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scarp150 - Caritas Torino

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numero 150anno 15aprile 20113 00 €Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milanoil mensile della stradade’teniswww.scarpdetenis.itventunoSport economy150 numeri del nostro giornale.Nel 150° “compleanno” dell’Unità.La penisola vista dal basso: continuiamoa camminare verso un paese più giusto e solidaleScarpisti d’ItaliaMilano Pirata & Vascello <strong>Torino</strong> Volontariato, risorsa per tutti Genova Domanda di accoglienzaVicenza Le regole dell’Asilo Rimini Difficile studiare a Beltoja Firenze M. vuole imparare l’italianoNapoli Spero nei cittadini attivi Catania Sui banchi da adulti Palermo I ragazzi della Vela grande


<strong>scarp150</strong>editorialiIl mattoncino di “Scarp”,anche i piccoli fanno storiaL’organodel partitoRoberto Davanzodirettore <strong>Caritas</strong> AmbrosianaLo confesso. Quando mi capita di andarea cena da amici, spesso porto comeomaggio l’ultimo numero di Scarp. Lomostro e lo intitolo come “l’organo del partito”.Forse il titolo è esagerato, dal momento che <strong>Caritas</strong>Ambrosiana per mandato è chiamata a stare sutante altre frontiere dell’esclusione, oltre a quella dellagrave emarginazione. Ma non posso negare un briciolodi orgoglio nel presentare un prodotto editorialedoppiamente di qualità: sia per la professionalità deigiornalisti che ci lavorano, sia per la professionalità delprogetto di reintegro sociale che sta alla base dell’intuizioneche lo fece nascere.Celebrare il 150° numero è allora un bell’appuntamento:per far scorrere i volti dei venditori che si sono avvicendatie che ne hanno tratto motivo per recuperare una dignitàsmarrita, per ringraziare i giornalisti e l’associazioneche accompagna i venditori, per onorare le comunità parrocchiali,le associazioni e gli organismi che periodicamentesi lasciano scomodare dalla nostra presenza.Un bell’appuntamento, per ricordare che il mondodella grave emarginazione non ha bisogno solo di risorseeconomiche, ma anzitutto di compagnia. Che i senzatetto sono spesso senza amici, senza relazioni.Certo, celebrare il 150° numero può anche esserecausa di qualche scoraggiamento. In questi anni il fenomenodi chi vive per strada non è diminuito: unarecente ricerca dell’Univerità Bicocca ha stimato che,solo a Milano, sono circa 5 mila le persone senza dimora.Non so se quando è nata la rivista si immaginavache essa avrebbe potuto diventare superflua, inutile.Di certo questo deve essere l’obiettivo e il motivo ultimodel nostro operare. Nel frattempo noi continuiamoa esserci. Con l’aiuto dei nostri lettori.Un grande augurio a tutti!Paolo BrivioLa storia la fanno anche i piccoli. Mica solo i diplomatici, i condottieri,i pensatori, a cui pure dobbiamo – l’abbiamo festeggiato di recente– l’unità di un paese. La fanno anche i più periferici, dimentichi disé e dimenticati dalla società, quando rimettono insieme i cocci del lorosmarrimento e trovano la forza di associarsi in vista di un progetto comune.Che sappia di riscatto, di rivendicazione, di affermazione della propriasoggettività di cittadini. E che contribuisca – di conseguenza – ad arricchireil tasso di civiltà e democrazia che una comunità umana sperimenta.La storia la fanno anche i piccoli e allora permetteteci di celebrarecon orgoglio il nostro piccolo 150°, mattoncino di partecipazione e solidarietàmimetizzato nell’edificio del 150° tricolore. Scarpisti d’Italia:se un paese vuole credibilmente sostenere di essere grande, lo dimostraanzitutto rafforzando i suoi meccanismi di inclusione, i suoi dispositividi giustizia. Scarp de’ tenis esordì nell’aprile 1996 (copertina afianco) con uno squillante “Vittoria!”. Raccontava del varo, per legge,della residenza anagrafica, cioè della possibilità di iscrivere alle anagraficomunali, anche tramite indirizzi fittizi creati ad hoc, le personesenza dimora. Fu un passo avanti storico, per gli homeless eper chi se ne occupa: sparire dalle anagrafi significa sparire daglielenchi della sanità pubblica, dei servizi sociali, della previdenza,delle case popolari. Ma è rimasto solo parzialmente attuato– l’Italia è campione mondiale di varo di ottime leggi e cattivaapplicazione delle stesse –, a causa di prassi amministrativedifformi da comune a comune.In anni recenti, l’attuale governo, approvando il controversoPacchetto sicurezza, ha rischiato di indebolire la residenzaanagrafica. La minaccia non si è concretizzata,anche grazie alla campagna “Il Residente della Repubblica”(altra copertina), che nel 2009 ha visto di nuovoScarp in prima linea, insieme agli altri giornali di stradaitaliani e agli organismi per le persone senza dimora.Una conquista è salva. Ma resta aperta la scommessa dipiegare norme e prassi amministrative alla prospettiva diun’universale, chiara, efficace attuazione del diritto da cuiscaturisce la possibilità di godere di tutti gli altri: abbiamoancora da scrivere, raccontare e lottare, nel nostro piccolo,per contribuire a fare grande l’Italia.Ovviamente, 15 anni e 150 numeri di Scarp non vannoriletti solo alla luce di una battaglia, politica e di civiltà,tutta da completare. Sono anche un torrente, irregolare maribollente di vita, il quale si è trascinato nella sua corsa – chebagna ormai più di dieci città della penisola, grazie al supportodelle <strong>Caritas</strong> (Italiana, Ambrosiana, diocesane), di diverseorganizzazioni, di tanti generosi lettori e sostenitori – cronachedi conquiste e cadute, echi di dolori e allegrie, i lamentidi chi recrimina e i sorrisi di chi risale. Minuscole traiettorieprivate, che interpellano e vivacizzano l’arena del viverepubblico. A Scarp lo sperimentiamo ogni giorno: i piccolifanno storia. Con umiltà, con entusiasmo, con tenacia,promettiamo di continuare a farla.aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.3


<strong>scarp150</strong>Cos’èÈ un giornale di strada non profit. È un’impresasociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimentoa persone senza dimora o emarginate. È un’occasionedi lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passoper recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.Come leggerciScarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i raccontidi chi vive sulla strada. È uno strumento di analisidelle questioni sociali e dei fenomeni di povertà.Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale.Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali.Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vitae globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrinadi appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!Dove vanno i vostri 2,50 euroVendere il giornale significa lavorare, non fareaccattonaggio. Il venditore trattiene una quotasul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscalili prende in carico l’editore. Quantoresta è destinato a progetti di solidarietà.Per contattarcie chiedere di vendereRedazione centrale - Milanocooperativa Oltre, via Copernico 1tel. 02.67.47.90.17fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.itRedazione <strong>Torino</strong>associazione Opportunandavia Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306opportunanda@interfree.itRedazione GenovaFondazione Auxilium, via Bozzano 12tel. 010.52.99.528/544comunicazione@fondazioneauxilium.itRedazione Vicenza<strong>Caritas</strong> Vicenza, Contrà Torretti 38,tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.netRedazione Rimini<strong>Caritas</strong> Rimini, via Madonna della Scala 7,tel 0541.26040 - ufficiostampa@caritas.rimini.itRedazione Firenze<strong>Caritas</strong> Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701addettostampa@caritasfirenze.itRedazione Napolicooperativa sociale La Locomotivalargo Donnaregina 12 tel. 081.44.15.07scarpdenapoli@virgilio.itRedazione CataniaHelp center <strong>Caritas</strong> Cataniapiazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495redazione@telestrada.itRedazione Palermo<strong>Caritas</strong> Palermo, vicolo San Carlo 62tel. 091.6174075scarpdepalermo@gmail.comsommarioscarp specialeLe copertineLa nostra storia, la nostra famiglia p.6scarp de’ tenisIl mensile della stradaDa un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 15 n. 150 aprile 2011 - costo di una copia: 3,00 euroPer abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 25 €c/c postale 37696200 (causale ABBONAMENTO SCARP DE’ TENIS)Redazione di strada e redazione giornalistica via Copernico 1, 20125 Milano (aperto da lunedì a giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel.02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazioneSabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis e Tiziana Boniforti Sito web RobertoMonevi Hanno collaborato Aghios, Mario Agostino, Danilo Angelelli, Sergiu Nicola Anotonoaea, Ambrogio, Andrea Barolini, Damiano Beltrami, Matilde Bornati, SimonaBrambilla, Roberto Capuano, Elena Carletti, Anna Cavallari, Massimo De Filippis, Maria Di Dato, Grazia Di Stefano, Sergio Gatto, Silvia Giavarotti, Gaetano “Toni” Grieco,Laura Guerra, Chiara Lambrocco, Paolo Lambruschi, Michele La Rosa, Bruno Limone, Paola Malaspina, Mary, Mercy, Gheorghe Mateciuc, Alessandro Mercurio, SilviaMontella, Michele, Mr Armonica, Gianni Mura, Nemesi, Daniela Palumbo, Marianna Palma, Panbir, Mauro Peri, Antonio Pirozzi, Cinzia Rasi, Letizia Rossi, Nadia Sabatino,Cristina Salviati, Santo e Teodora, Generoso Simeone, Stefano, Roberto Stramonio, Giacomo Torricelli, Antonio Vanzillotta, Yamada, Disegno di copertina GiovanniFreghieri Foto Archivio Scarp Disegni Claudia Ferraris, Silva Nesi, Psichedelio, Luigi Zetti Progetto grafico Francesco Camagna e Simona CorvaiaEditore Oltre Società Cooperativa, via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandocicopia. Questo numero è in vendita dal 10 aprile al 14 maggio 2011.InchiestaScarpisti d’Italia p.8scarp cittàMilanoAttiriamo meno, ma pochi rinunciano p.34Le apparenze contano, l’amore è senza colore p.37Un Pirata nel mare di Milano p.38<strong>Torino</strong>Volontariato, risorsa per tutti p.40GenovaDomanda di accoglienza p.42VicenzaDormire in strada, questione di regole p.44RiminiMica facile studiare a Beltoja p.46FirenzeM, che vuole imparare l’italiano p.48NapoliCittadini attivi, speranza di Napoli p.50CataniaIl mio (adulto) compagno di banco p.52PalermoI ragazzi della vela grande p.54scarp ventunoDossierSport Economy: l’odore dei soldi p.57StiliNordest in transito p.65caleidoscopioRubriche e notizie in breve p.69Associatoall’UnioneStampaPeriodicaItaliana


<strong>scarp150</strong>La nostrastoria...Lasciateci (auto)celebrare...Ma con allegria, con tutti i nostri colori!Siamo arrivati a 150 passi sulle stradedi tante città dell’Italia 150enne:e allora collage! Con tutte le nostrecopertine, un giornale dopo l’altro,da aprile 1996 ad aprile 2011.È una bella macchia: di storie,testimonianze, messaggi.È la nostra storia, il camminodi un progetto. E di tante esistenze...la nostrafamigliaIn 15 anni, centinaia di persone sono transitate per Scarp.Di tutti serbiamo un ricordo. Ma è difficile citarli tutti. Alloraspazio ai nomi di oggi. Alcuni resistono dal 1996. Altri sono eredidi una lunga storia. Giornalisti, venditori, educatori, commerciali,amministrativi, volontari: è la grande famiglia di Scarp de’ tenis,quasi 180 nomi, che si ostinano a scrivere solidarietà.Milano Luciano, Marco, Paolo, Sabrina, Tiziana, Daniela, Stefania,Chiara, Marta, Stefano, Antonio, Francesco, Ettore, Simona, Max, Lorenzo,Alessandro, Maria Grazia, Claudia, Silva, Elio, Luigi, Paolo, Roberto,Massimo, Matteo, Roberto, Claudio, Valeri, Michele, Marcel, Vincenzo,Raffaele, John, Issam, Mohamed, Ana, Anghelina, Antonio, Claudio,Giovanni, Tommaso, Adrian, Enzo, Marcello, Gibraeil, Habib, Halina,Edmond, Eugenio, Mauro, Achim, Luigi, Salvatore, Dario, Michele,Alexandrina, Sidneia, Massimo, Mauro, Nicola, Antonio, Lia, Giuseppe,Antonio, Armida, Lenuta, Antonio, Gerardo, Giovanni, RoccoComo Cecilia, Faouzi, Salvatore, Alessio, Alì<strong>Torino</strong> Giacomina, Claudia, Vittoria, Armerino, Gianfranco, Giovanni, Aghios,Roberto, Massimiliano, Gheorghe, Mercy, Nemesi, Cristina, PasqualeGenova Mirco, Stefano, Paola, Rita, Franco, Antonio, FilippoVicenza Duro, Aomar, Tony, Rachid, Maya, Lucia, Sergiu Nicola, Chiara,Gaietto, Nestor, Cristina, Giovanni, Pietro, DijopFirenze Veronica, Mario, Andrea, Laura, Roberto, Francesco, Santo,Okpan, Luigi, OrlandoRimini don Giovanni, Said, Abdullahi, Mohamud, Franco, Vincenzo, Sara,Roberto, Angela, Letizia, Paolo, EvyNapoli Domenico, Maria, Marianna, Domenico, Giuseppe, Berenice,Massimo, Umberto, Antonio, Bruno, Maria, Sergio, Luca, Rosa, Laura,AntonellaCatania Luigi, Sissi, Michele, Bernie, Antonio, Gabriella, Raffaele, Angus,Lorena, Grazia, Filippo, Claudia, Antonio, Michele, Guglielmo, Alessandra,Liliana, WolfPalermo Nadia, Caterina, Marcella, Sara, Mario, Teodoro, Michele, Stefano6.<strong>scarp150</strong> aprile 2011


le copertineImmagine elaborata da Roberto Monevi<strong>scarp150</strong> aprile 2011 .7


<strong>scarp150</strong>Scarpisti d’ItaliaCompiamo150 numeri,mentre il paesecompie 150 anni.Sarà un caso...Per noi èun’occasioneper riflettere(lo facciamo in questepagine speciali)sul sensodel nostro percorso,su come è cambiatal’Italia senza dimora.E quella che un tettosulla testa ce l’ha.Ma non sempresi preoccupa(come dovrebbe)di chi convivecon la povertàMi ero beccato il virus della scrittura. Dopo di che c’eranoquattro cose che facevo ogni giorno. Rimediare dei soldi,procurarmi un po’ di roba, andare fuori di testa e scrivere.E col tempo è andata a finire che ho mollato le prime tre.Vuoi sapere chi sono gli homeless?I senza dimora sono lo specchio diun mondo impazzito che esclude semprepiù persone e mette da parte chi nonriesce a tenere il passo. L’homelessnon è un uomo libero.Lee Stringer – numero 130, aprile 20098.<strong>scarp150</strong> aprile 2011La promessaNuovi approdi,ogni raccontoè una gioiaSiamo arrivati fino a qua,camminando 15 dei 150 anni dell’Italiaunita. E non ci va di smettere. Vorremmofarlo: vorrebbe dire che il paese sta moltomeglio. Che per esempio l’homelessnessdi strada (come si dice in Europa, doveragionano su come azzerarla) si candidaa diventare vicenda d’archivio. Invece citocca mettere in programma ulteriori approdi,in altri territori del Belpaese. Siconcretizzeranno in questo 2011.Però non ci dispiace, battere nuovestrade, tornare su quelle che conosciamobene. Perché ogni racconto in prima persona,ogni copia di giornale venduta,ogni euro messo da parte, ogni re-iscrizioneall’anagrafe, ogni domanda di casapopolare, ogni borsa lavoro, sono unaconquista che ci fa gioire. Si camminacon uomini e donne (150, nel 2010...) chemarginali lo sono solo per i sociologi. Pernoi sono amici, compagni, colleghi. Grati,con noi, a tutti coloro che ci stimano.Ci leggono. Ci acquistano. E così incoraggianoil loro-nostro camminare. In attesache non sia più necessario..Le redazioniIl ricordoEra il tempodelle pacchesulle spalleQuindici anni sulla strada.E dire che nella primavera del 1996 ciscommettevano in pochi. Tanta concorrenza,pochi venditori, lo scetticismo deglioperatori sociali sulla capacità di inserimentosociale di un giornale di stradadove – non ce n’è... – chiunque deverischiare e rimettersi in gioco. E per i lettoriquesta testata era al più una simpaticaassonanza con la mitica canzonedi Jannacci.Insomma, era il tempo delle pacchesulle spalle. Scarp a fatica e grazie alla<strong>Caritas</strong> e a tanti amici è andato avantitra mille tempeste in direzione ostinata econtraria, come avrebbe detto De Andrè,altra persona cara alla testata. Aveva ragioneil mondo della strada. Oggi questoè diventato un marchio nel mondo dell’informazioneitaliana, un’antenna cheperlustra il mondo degli ultimi. Non èquestione di bontà. Scarp si compra e silegge per le notizie, le storie raccolte dauna redazione capace. E si acquista per ilrapporto umano unico con il pubblicocreato dai i venditori, che aiutano a confezionarloin ogni sua fase e che hannoritrovato con questo giornale dignità evita. Buon cammino, Scarp de’ tenis!.Paolo Lambruschi(primo direttore)Si chiama Jaap, ilviaggiatore olandese che aggiusta lebici dei milanesi. Dopo la facoltà diingegneria meccanica a Twente, ha fattol’istruttore di nuoto, il programmatore dicomputer, il montatore di tendone al circorusso, il giocoliere con le torce infuocate...Jaap, l’olandese pedalante di Milanonumero 147, dicembre 2010 - gennaio 2011


<strong>scarp150</strong>Amato Stivalesofferto dal bassoVoci (e volti!) dalle redazioni: l’Italia vista dalla strada. Un paese distratto...MilanoSguardi giovaniche ti evitano,oggi ho dirittoMi chiamo Mauro, MauroPeri. Ho 51 anni. Non ho avuto una vitafacile. Di c...ate ne ho fatte tante. La piùgrande è stata la droga.Non sto a raccontarvi tutto quelloche passa un tossico. Vi dico però che ènulla, rispetto a quello che si vive quandosi finisce sulla strada. A me è capitatodi finirci per un anno. Prima a Piacenza,poi a Milano. E quello è stato ilperiodo più brutto della mia esistenza.Peggiore della scimmia e delle crisi d’astinenza.Ho visto persone fare veramente ditutto pur di racimolare quell’euro e cinquantaper pagare il posto letto al dormitorio.Ho visto persone azzuffarsi perun tozzo di pane, come fossero cani.Perché è una balla colossale che tra po-veri ci si aiuta. Quando si sta per affogare,pur di tenersi a galla, si ammazzerebbela madre. Questa è la cruda e tristeverità. Ma a dirla tutta, forse non èstato nemmeno tutto quello schifo afarmi più male.Quello che mi distruggeva, mi azzannavail cuore e me lo riduceva in unapoltiglia dolorante, erano gli sguardidella gente. Vedere quegli occhi che fannodi tutto per evitarti e quando sonocostretti a fissarti restano vuoti, impassibili,indifferenti, come se davanti nonEnzo è un operatore vicentino che si alterna tra il ricoveronotturno per senza dimora e l’assistenza ai tossicodipendenti.Nato in Sicilia, si può dire che è cresciuto per strada.«Non ho avuto possibilità di vivere normalmente. I ragazziche frequentavo si davano tutti all’alcol, anche se al miopaese bere vino non è certo un’abitudine diffusa. Quando imiei coetanei sono passati alla droga, per me è stato naturaleseguirli su quella strada».«Ridotto a uno straccio, camminavo appoggiato ai muri perriuscire a stare in piedi. Il 30 luglio 2004, dopo un brindisi perla nascita della figlia di un mio conterraneo, ho dichiarato10.<strong>scarp150</strong> aprile 2011ufficialmente che non avreipiù toccato una goccia di vino o disuperalcolico. Da allora, giorno dopogiorno, rinnovo la mia promessa e tengofede alla mia decisione: toccare il fondo miha costretto a decidere. E ho sceltola vita».L’ultimo goccio di Enzo il volontarionumero 135, ottobre 2009


le redazionici fosse nessuno, mi feriva come unapugnalata. Lo si capisce da tanti piccoligesti. Quando chiedi una sigaretta, adesempio. Alla fine, a furia di insistere,quello che te la dà lo trovi pure, ma te laallunga velocemente e se ne va più prestoche può, come se avesse paura di esserecontagiato dalla tua presenza, dallasfiga vivente che rappresenti. Ognivolta pensi che sarebbe stato meglionon domandare nulla.Quando finisci sulla strada, ti tengonoalla larga come se fossi un appestato.E a farlo sono soprattutto i giovani. Capisciche gli fai spavento. Che sei il loropeggiore incubo. Che, se potessero, ticancellerebbero con un colpo di spugna.Se ci pensi sul serio, rischi di diventarepazzo. Io ho rischiato di diventarlo.Ma per fortuna ho trovato degliamici che mi hanno dato una mano. Hori-cominciato con Scarp. Poi ho fatto untirocinio e oggi lavoro in una piccola legatoria.Ho un impiego. E il diritto a essereconsiderato di nuovo un uomo. .Mauro PeriRiminiNeofita Abukar,Sara e gli occhidi chi ha capitoUn mattino grigio einsolitamente freddo. Strada facendo midiverte pensare che sto svolgendo lostesso lavoro degli ispettori della “GuidaMichelin”. Proprio lo stesso, a parte il fattoche il ristorante in cui mi sto recandoè la mensa dei poveri del Cottolengo.Turno al Cottolengo – n. 116, novembre 2007Abukar arriva da Mogadiscio,in Somalia. È lui l’ultimo acquistodella famiglia di Scarp Rimini. Neofita,ha la pettorina da appena una settimana,ma ha già capito il senso diquello che deve fare e, anche se a fatica,riesce a farsi intendere da chi si avvicinae lo vede con il giornale in mano.«Sono in Italia dal 2008 – raccontacon un filo di emozione nella voce –.Sono stato a Roma, dopo Lampedusa,in attesa del documento. Poi sono arrivatoqui. Questo è il mio primo lavoroe mi piace quello che faccio. Da quiparte il mio futuro».Scarp de’ tenis per lui è un approdo,almeno per ora. La consapevolezza delposto che occupa è, invece, pienissimain Sara, unica venditrice donna delgruppo. Ha la pelle di un bel coloreambrato che la mamma tailandese leha regalato, più due occhi scuri che osservanoe capiscono tutto. «Facevo lavolontaria in <strong>Caritas</strong> – racconta –. Cisono arrivata tramite un progetto dellascuola. Poi ho cominciato a conoscereamici là dentro e mi sono avvicinataa Scarp. Io sono orgogliosa ancheper tutte le persone che ho conosciuto».A tratti è titubante e incerta, un po’si vergogna – ha solo 16 anni – ancheper gli amici venditori. Vede e ascoltale loro vite e si vergogna per le sue fortune.«Ioho una casa, una famiglia chemi vuole bene. Ed anche se zoppica unpo’, è pur sempre una famiglia... Possodire di essere davvero fortunata».Con lei si chiude il cerchio. Unicadonna, è anche quella che si industrianei modi più disparati. “Sfrutta” Riminie frulla per le spiagge d’estate (ancheperché in inverno ha meno possibilità:frequenta il terzo anno del liceo scientifico)e poi non c’è giorno che non vadaa scuola con la sua copia di Scarpnello zainetto. «Lo dico a tutti, lo spiegoa tutti… e sono sempre felice quandoqualcuno capisce che questo non è ungiornale come tutti gli altri, ma è una rivistache regala dignità». Gli occhi di chicapisce si sanno leggere, e li legge anchelei. Occhi di chi ha capito..La redazioneQuesta che segue è la cronaca dell’esistenzadi un essere umano che, anche per proprie responsabilità,all’età di 51 anni si è trovato non desiderandolo tropponel novero dei senza casa e senza lavoro.Non voglio dipingermi come più disgraziato di quanto sia:denti a parte godo di ottima salute, ho una piccola retedi relazioni che mi consentono di lavarmi i vestiti, procurarmii vestiti, fare qualche cena come si deve. Ho, mai come orain vita mia, tanto, troppo tempo libero.Questo mi permette di guardare il mondo e pensare.Per ora campo con 12 centesimi – numero 129, marzo 2009aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.11


Scarpisti d’Italia<strong>Torino</strong>Nostra Strada,di sale bisognamangiarne...GenovaMassimoe le “cattive”compagnieIeri sera ho parlato conMassimo. È nel nostro dormitorio dadue mesi. Ha lavorato tantissimi anni,più di una ventina, come operaio in unafabbrica del ferrarese, integrava il lavorocome lavapiatti e cameriere. All’iniziodegli anni Novanta i proprietari dell’aziendadove lavorava hanno finto unfallimento e con i soldi della Cassa delMezzogiorno hanno trasferito lo stabilimentonel sud Italia. Ha trovato altri impieghi,sempre più saltuari. Negli ultimitre anni ha dormito in stazione.Mi ha raccontato che il primo annola notte non dormiva, dormiva di giornoe la notte stava sveglio. «Non è veroche i barboni sono tutti uguali, ognunoha la sua storia – dice –. Un poliziotto miha detto “attento alle compagnie”, madove andare a mangiare o a lavarmi melo hanno insegnato tossici, avanzi di galera,disgraziati. Lo stato che fa?».12.<strong>scarp150</strong> aprile 2011Poche righe per riassumerela Nostra Strada, quella che abbiamo attraversatotante volte, in lungo e in largo,quella che pochi vedono per davveroanche se tutti la osservano. Noi ce laportiamo, nostro malgrado e malgradotutto, negli occhi, sulle facce, in bocca etra i capelli. Ora proveremo, con fare arditoe battagliero, a restituirvene unaparte: quella parte pulsante, vibrante,che nell’immediatezza trova il tempoper fermarsi sul foglio. Porta Palazzo,avete presente il mercato? Qui troviamo,tra verdura e frutta, la fatica di far uscireun pranzo e la cena. Il tempo a mezzogiornoincalza, per noi che non abbiamoquasi mai un contratto. E quando c’èecco che subito finisce, e in ogni caso«non è il mio lavoro, non è la mia arte!».Ma vado oltre e mi riparo nel guscioche porto, da cui esco e ascolto. Ascoltole storie di chi mi sta attorno e poco importail vero o il falso. Ma stiamo attentiper favore che non è facile e già vel’abbiamo detto, occorre soppesare tral’urlo e la rabbia la persona con cuim’accompagno, l’azione che compio.E lungo la Dora i gabbiani nelle lorostanze arabescate, come scatole inventate,non odono il frastuono d’un maleducatoalla fermata che sale sull’autobuscon un carrello ingombro. Acroba-Quella che emerge dalle sue parole èun’Italia a tinte fosche, che non si occupapiù di se stessa, distratta e che si distrae,che non si ricorda delle persone.«In stazione c’è di tutto, come nella società.Certo qualcuno se può ti frega. Mac’è la solidarietà. Se uno ha due sigarettee gliene chiedi una, te la dà, perché sache dopo farai la stessa cosa tu con lui».tici evitano il pugno e lo schiaffo, a loronon chiedono alcun documento, nonporgono nessuna coperta o il latte caldo.In loro la fiducia, ragazzi, è la stazionesenza porte. Ecco dunque che vi bastiquanto scritto che il poco spazio anoi c’è stretto e vi lasciamo ricordandoviche di sale occorre mangiarne tanto,per conoscere davvero la strada. .La redazioneForse è da qui che dobbiamo ripartire.Riconoscere, con don Milani, che ilmio problema è il problema dell’altro,che il problema dell’altro è il mio problema.Che nessuno si salva da solo, enessuno salva l’altro, ma possiamo salvarciinsieme. Forse da qui possiamo ripartire,per creare coesione sociale. .Giacomo Torricelli


le redazioniVicenzaLe ore gelide,intorno la genteche tira drittoQuello che ci interessa raccontare,a noi che viviamo o abbiamovissuto nei ricoveri comunali o della <strong>Caritas</strong>,è la durezza della vita quotidianaper strada, quando il dormitorio chiudei battenti alle nostre spalle. E lo facciamochiedendovi di immaginare unabreve parte della giornata: quella che vadalla chiusura del ricovero all’aperturadei centri diurni, tra le 7.30 e le 9 di mattina.Se d’estate a quell’ora l’aria è frescae si sta bene, potete ben capire invececome si stia d’inverno, quando dalcalduccio del letto ti catapulti in unastrada gelata senza una meta, senza unposto dove andare. E in quelle umide opiovose giornate d’autunno o di primavera?Eccovi dunque la scena: gruppi dipersone che lasciato il ricovero si affrettanoper raggiungere portici o portonidove trovare uno pseudo-riparo. Chi habuone gambe raggiunge l’ospedale e siFirenzeHo visto la cittàdiventarealveare di alieniHo visto... È l’inizio di Dio èmorto di Guccini e anche di Urlo, celeberrimapoesia di Allen Ginsberg. L’argomentoè lo stesso di queste poche righe:cosa ho visto intorno a me dallamia prima giovinezza a ora? Ho vistouna città diventare, da piccola ma orgogliosadella propria unicità (artistica esociale), un agglomerato di case abitateda alieni sconosciuti, votati allo sfruttamentointensivo di mandrie di esseriumani più interessati a fabbricarsi ricordidigitali anziché a capire i monumentiche stanno loro davanti, dove ilvalore degli individui è misurato da unanuova forma di razzismo: la ricchezza.Ho visto una regione, bellissima, aggreditada cemento, inquinamento,massificazione incontrollata e acriticain cui qualsiasi manifestazione culturaleviene svilita a “evento” valido solo perla quantità di biglietti venduti, e ognirintana al caldo delle sale d’attesa, mase piove gli si rovineranno tutte le scarpee poi dovrà ritornare in centro per farecolazione al Mezzanino o per raggiungereil centro diurno San Faustino,alle 9. Chi ama leggere e ha dimestichezzacon libri e giornali può ripararealla biblioteca civica che apre alle 8.30,mezzora di freddo in meno.A rendere ancora più disagiate que-specificità, anche materiale, minima,come un prosciutto affumicato, replicatafalsandola in omaggio al dio denaro.Ho visto una nazione, uscita dallamiseria di una miserevole guerra, risollevarsi,progredire al punto da lasciarsperare ai propri cittadini di poter cominciareun nuovo ciclo di civiltà nellalibertà, per poi tornare invece lenta-ste gelide ore mattutine sono gli sguardidella gente, che ti squadra da capo a piedi.Pochissimi, uno su cento, si fermanoa chiederti se hai bisogno di qualcosa oper scambiare anche solo una parola, lamaggior parte tira dritto. Eccoci qui, allora,sulle strade d’Italia, a girare infreddolitie bagnati senza una meta, e conun grande scoraggiamento nel cuore..La redazionemente indietro abbandonando cultura,solidarietà, identità nella diversità, eprostrarsi, con l’aiuto di schermi televisivisempre più grandi, a un’idea dellasocietà e dello stato che disconosce nonsolo le proprie radici, ma anche una minimaconcezione dell’intelligenza, dellacultura e della democrazia. .Roberto Stramonioaprile 2011 <strong>scarp150</strong>.13


Scarpisti d’ItaliaNapoliSenso di libertàdei giorni tiepidi,dove sei finito?La strada napoletana vistada me che sono senza dimora è un luogoche all’inizio ti dà un senso di libertà;quante strade ci sono in questa città ecome sono piene, colorate, confuse!Certo dipende dal tempo, quando fabello ci stai bene. Ma quando fa freddoe devi lasciare di prima mattina il centrodi accoglienza che ti ospita, ti chiedi dovesia finita la sensazione di libertà deigiorni tiepidi e senza regole.La strada è dura e le giornate sonolunghe. Troppo fredde o troppo calde. Iposti dove possiamo andare in una cittàtanto grande sono pochi: “Il Binario dellaSolidarietà”, l’unico centro diurno, e ilaboratori di Scarp, che però si fannouna volta alla settimana. Le stanze da affittarecostano troppo per chi ha pochisoldi e poi devi dare in anticipo la caparra,pagare le bollette, mangiare. Edunque non si sfugge alle mense gratuite,ai centri di accoglienza notturni pieniche cambiano a seconda delle difficoltàdi regole e di gente. E anche scegliere incontrate e dei progressi fatti. La reda-cosa mangiare diventa una conquista. zione affaccia su una piazza del centro,La strada napoletana, per un operatoreal balcone abbiamo appeso il tricoloredi Scarp, rilancia ogni giorno le sto-per festeggiare l’Unità d’Italia. Ma, so-rie che la attraversano. Ogni redattore e prattutto, per dire che ci siamo ancheredattrice di strada, ogni venditore e noi, con la fatica e l’entusiasmo di un la-Pagina 1venditrice che lavora con noi, sono unosguardo, una storia, uno stato d’animo,voro nascosto, eppure prezioso..La redazioneOgni giorno, Stannahècon te.Per fare le scale, scegli un montascale Stannah: affidati a persone che si impegnano ogni giorno perrendere più semplice la tua vita. Ti ascolteremo con attenzione per capire a fondo le tue aspettativee offrirti soluzioni su misura per le tue esigenze. Ti affiancheremo in ogni momento per consigliarti,per scegliere e installare il tuo montascale, per garantirti sicurezza e serenità. Contattaci perprenotare una visita, provare un montascale o farci tutte le domande che vuoi. Gratuitamente esenza impegno.Persone di cui fidarsi. Dal 1867.Stannah ti risponde.800-818000Chiamata gratuitawww.sta nnah.it


le redazioniPalermoMi risollevodai margini,vedo la frenesiaSono Stefano e ho 46 anni.Sono cresciuto in una famiglia medioborghese,ma già all’età di 13 anni eronel tunnel. Questo mi ha allontanatodalla famiglia e mi ha portato a scenderesempre più in basso. Dopo tanti fallimenti,tra cui anche la separazione dacolei che era diventata la mia compagna,nella mia mente si accavallavanosentimenti brutti, che non lasciavanospazio alla speranza. È in quel momentoche ho iniziato a vivere più intensamentela strada, mi accorgevo di comela gente mi guardava, i giudizi cadevanosu di me come dei macigni e tutto questomi portava ad aumentare il mio sensodi inutilità e inadeguatezza.Giunto ai margini, però, ho incontratoanche qualcuno che si fermavaper darmi “indirizzi e speranze”, e per risollevarmiho cominciato a rivolgermiproprio a quelle persone che volevanoCataniaChe ne sarà di teItalia mia?(auguri in versi)Da Catania un racconto inversi: 150 parole dedicato ai 150 annidella RepubblicaChe sarà di te Italia mia? / Che ne saràdell’idea che sei stata? / Della bellezzache eri ancor prima che nascessi, dellagenialità che al mondo dasti? / Che nesarà, Italia mia, della tua diversa gente?/ Qui, sulla strada / a raccattar cicche /sulla bellezza sputo/ come un giornoqualcun altro ha fatto.Qui, dove per non staccare le umidemembra mi alzo piano, / il genio è riuscirea cucinare e mangiare qualcosa.Qui, dalla terra dove nacqui / e che tidette il nome / una speranza sola mi rimane:/ che la tua gente sia più tollerante/ che la voce che fu del più misero tragli uomini / riattraversi il più bello tra ipaesi / trasportata, magari, dal vento chegermogliare fa, / nella primavera in cuianche tu nascesti, / il rosso dei tuoi fiori,starmi vicino. Non è stato facile, ma misono accorto che non ero solo e chequalcuno era disposto ad aiutarmi. Oggiposso contare su persone che condolcezza, amore e interesse continuanoad aiutarmi, dimostrandomi che insiemesi può fare molto, specialmente pertutti coloro che vivono in strada.Io (Michele) dalla strada vedo la mia/ il rosso dei tuoi impossibili amori.Che ne sarà Italia mia dell’amor tuo?/ Dell’unità che sognasti / della socialitàin cui speravi? / I ciechi parlano di una“via d’uscita”. / Tu ci “vedi” e non la trovi./ Ma ora e qui ti dico e spero / che,come me, tu sia fortunata. / Che ritrovigli amori perduti. / Che vera socialità ritrovinegli italiani nuovi da lontano ve-Italia che corre e non si ferma mai. C’ètrambusto, non c’è tempo per riflettere,per osservare, per ascoltare. Voglio allontanarmida questi ritmi, non vogliovivere in questa frenesia. È un’Italiaegoista, fatta di gente che va dritta per lasua strada senza volgere lo sguardo a chiè ai margini di quella stessa strada. .Stefano e Michelenuti. / Che i giovani figli tuoi ritrovino ilgrido dell’entusiasmo a lungo sopito dalsonnifero del potere.Che ne sarà di te Italia mia? / E chesarà, poi, di un piccolo giornale di stradache cammina anche per te? / Qui,dove il futuro è adesso / c’è il sole e iosono lontano. Ciao. Auguri. .Michele La Rosaaprile 2011 <strong>scarp150</strong>.15


<strong>scarp150</strong>La memoria cortadi un paese riccoEsordimmo indigenti. Poi in Italia un forte sviluppo. Oggi si inverte la rotta?Agostino GiovagnoliLaureato in filosofia all’Universitàdi Roma “La Sapienza”,dal 1993 insegna Storiacontemporanea all’UniversitàCattolica del Sacro Cuore diMilano, dove è anche direttoredel Dipartimento di scienzestoriche. È esperto dei rapportitra stato e chiesa euno dei principali studiosidella Democrazia cristianadi Francesco ChiavariniAntonio ha 55 anni e di mestiere ha sempre fatto il guardianonotturno. Almeno fino a quando l’azienda per cui lavorava hachiuso i battenti dalla sera alla mattina. Così Antonio è rimastosenza lavoro. Per un po’ ha dormito nella cantina della casa deisuoi genitori poi, alla loro morte, nell’abitazione difamiglia. Visto gli alti costi i suoi fratelli hanno peròdeciso di vendere: con la sua parte di ereditàAntonio si è allora comprato una Fiat 600 diseconda mano e la posteggiò vicino alla casa cheera stata dei suoi genitori. Da li non si è più mosso:sono cinque anni che vive in quell’auto. Ma non è16.<strong>scarp150</strong> aprile 2011È stata anche una lunga, dolorosa, complicata storia di povertà. L’Unitàd’Italia: mica è stata solo rose, fiori e magnifiche sorti e progressive. Le plebi ruralie proletarie, i cafoni e i (sotto)salariati delle prime fabbriche, e poi i briganti, gli analfabeti,i malnutriti, gli emigranti, più tardi i baraccati, i disoccupati, fino ai moderniindebitati per il mutuo, ai tormentati dalla quarta (e terza) settimana: altrettantefigure di un dramma collettivo, quello della povertà, che ha copioni mutevoli, mareplicati da un secolo e mezzo. Senza che ancora si riesca a imbastire – come ormaisi dice – organiche politiche di contrasto.Il professor Agostino Giovagnoli è storico dell’età contemporanea, tra i principalidella penisola. Gli abbiamo chiesto di accompagnarci in un viaggio lungo leevoluzioni della povertà, in Italia, attraversoi 150 anni di storia unitaria.Professore, chi erano i poveri, in Italia,quando l’Italia smetteva di essereuna “espressione geografica” e diventavaun nazione?L’Italia agli inizi era un paese complessivamentepovero. Molto più di altri paesieuropei. Ancora agli inizi del Novecento,l’età media era di appena 35 anni,contro i 46 dell’Inghilterra. Le condizionidi vita erano assai sfavorevoli nellecampagne, dove viveva la stragrandemaggioranza degli italiani. Pellagra e tifo,malattie dovute alla denutrizione, eranoendemiche nelle zone rurali.Quando muta il panorama sociale inItalia e per effetto di quali forze?Qualcosa è cominciato a cambiare neiprimi decenni del Novecento, nel periodogiolittiano, quando l’industrializzazionemigliora le condizioni di vitamateriale di ceti popolari e i poveriprendono coscienza della loro condizione.Ma si tratta di un cambiamentomarginale: riguarda solo il Nord, e alcunezone in particolare. Inoltre arriva subitoil fascismo, che imprime una fortebattuta di arresto a questo processo. Sirafforza l’idea negativa dei poveri: il CodiceRocco, ad esempio, introduce ilreato di mendicità, che trasforma i poveriin criminali. Il cambiamento veroarriva solo nel secondo dopoguerra,con lo sviluppo economico e l’affermazionedei partiti-massa che la democraziarende possibile. Inizia a quel punto ilfinita. A un certo punto isoldi ereditati dai genitori sono finiti eAntonio non è stato più in grado di pagarebollo e assicurazione dell’auto in cui vive. Così, perpaura che qualcuno venga a portagli via la sua“casa”, praticamente non la lascia mai, e passagiorno e notte lì dentro. Uno dei fratelli, ogni giorno,lo va a trovare e gli porta qualcosa da mangiare.La casa di Antonio – numero 141, maggio 2010


periodo delle grandi riforme sociali: lariforma agraria, che ridistribuisce le terrea chi le lavora; la riforma Vanoni, cheintroduce la fiscalità progressiva; la costituzionedella Cassa del Mezzogiorno,che affronta la questione meridionale.Dal dopoguerra in poi la lotta alla povertà,da parte dello stato, è proseguitain modo lineare, continuativo?I primi decenni dopo la seconda guerramondiale sono stati particolarmente felicinel contrasto delle sperequazioni sociali.Mi sembra molto significativo chedurante le celebrazioni del precedenteanniversario dell’Unità d’Italia, quelloper i cento anni, nel 1961, la lotta allapovertà fosse al centro del dibattito politico.Allora si riteneva che a un secolodall’unificazione politico-istituzionalefosse giunto il tempo non più prorogabiledi un’unificazione anche economico-socialedel paese. Ora mi pare chequesto sentimento sia andato smarrito.Anzi, prevalgano tesi di senso opposto.Si riferisce al federalismo? Non pensache l’accentuazione dei poteri delleautonomie locali, oggi, può giovarealla causa dei poveri e finalmente accorciarele distanze tra Nord e Sud?Federalismo è una parola vuota. Puòvolere dire un’accentuazione delle autonomielocali, che è in sé un fatto positivo;oppure qualcosa di più. Ma un federalismoperequativo, solidale, chetenga conto delle esigenze anche deipoveri verrebbe a costare molto, addiritturadi più dello stato centralizzato.Qual è stato il ruolo della chiesa nellalotta alla povertà?Nei primi decenni dell’Unità l’assolutaprotagonista dell’assistenza ai poveri èstata la chiesa. Lo stato era espressione,soprattutto all’inizio, di una ristretta élitee difendeva gli interessi di quei ceti;era inoltre molto debole e non aveva i« Nel 1961, peril centenario,la lotta allapovertà eraal centrodel dibattitopolitico. Quelsentimentopare smarrito»mezzi per far fronte agli enormi problemisociali del paese. Il protagonismodella chiesa sul piano sociale, nella secondametà dell’Ottocento, si concretizzanella nascita di congregazioni religioseper far fronte a bisogni specifici: lacura degli orfani, o degli storpi. Lo statocerca di regolamentare queste espressionidi carità, con l’intento nemmenotroppo nascosto di controllarle. La trasformazionedelle Opere pie di misericordiain Ipab, istituti di pubblica beneficenza,fu voluta dal governo Crispi.Torniamo a oggi. Tira aria di mutazioneculturale. C’è chi dice che si èsmesso di combattere la povertà percombattere i poveri. È d’accordo?Effettivamente mi pare che si stia semprepiù affermando l’idea che il problemanon sia la povertà, ma l’esistenza deipoveri. Un’idea inquietante, che si fa largoanche là dove meno te lo aspetteresti.Si pensi all’insofferenza nei confrontidi chi chiede l’elemosina che ha attecchitopersino nelle parrocchie. Difficiledire da cosa dipenda. La stagione dellegrandi riforme sociali è coincisa con glil’intervistaanni del boom economico. Ed è certamentepiù facile fare politiche redistributive,mentre si cresce, piuttosto chequando si è in una fase di stagnazione,se non di recessione. Tuttavia, nonostantela crisi, non si può dire che nelcomplesso gli italiani stiano male, anzinon sono mai stati così ricchi come ora.È curioso dunque che proprio mentreraggiungiamo livelli di benessere maitoccati prima nella nostra storia, diventiamoanche più egoisti. Penso, in realtà,che al fondo di questo atteggiamento cisia il profondo senso di insicurezza generatodalla globalizzazione. La classepolitica, anziché analizzare questo sentimentoe trovare il modo di smontarlo,ha preferito scaricarlo sui poveri, sui piùdeboli, cioè sugli immigrati, i senza tetto,le minoranze etniche come i rom.Non siamo mai stati così bene... Eppurepredomina l’opinione che lo statosociale debba essere alleggerito.Realismo politico, o inganno storico?L’uno e l’altro. Il debito pubblico accumulatonel passato è un dato di fatto checi impedisce grosse manovre. Ma si puòeliminare. Un modo per farlo velocemente,e ridare quindi fiato anche allepolitiche sociali, sarebbe quello di introdurreun’imposta patrimoniale: una tassacioè sui patrimoni, come c’è in Francia,in Svezia e in Norvegia. Anche in Italiala si sperimentò durante il governoAmato, nel 1992, per evitare il crack finanziarioe permettere alla lira di restareagganciata al sistema monetario europeo.Non ci sarebbe alcuno scandalo ariparlarne ora. La logica dell’egoismo individualenon ci porta da nessuna parte.Un paese poco generoso è un paese chealla fine produce poco e non cresce. .I senza dimora, specchio diun mondo che esclude sempre più personee mette da parte chi non è in grado ditenere il passo. Un mondo impazzito,governato dalla finanza che prestoapparterrà solo a qualche uomo, per il qualeil resto della terra sarà diventato virtuale.Delphine de Vigan – n 131, maggio 2009Questo dovrebbe essere il paese più cattolicodel mondo, invece è il più amorale. Stiamo perdendoil senso della civiltà, non abbiamo strutture di accoglienza,né regole precise. Chi arriva qui dai paesipoveri in cerca di una vita migliore è moltospesso lasciato allo sbando e vienerisucchiato dalla criminalità. Ci fanno schifose rubano dentro casa, ma poi le donne civanno bene come amanti.Carlo Verdone – numero 139, marzo 2010aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.17


Regione ToscanaDiritti Valori Innovazione SostenibilitàONLUSabitareprodurremostra-convegno internazionaleterrafuturabuone pratiche di vita, di governo e d’impresaverso un futuro equo e sostenibilefirenze - fortezza da basso20/22 maggio 2011VIII edizione ingresso liberocoltivare• appuntamenti culturali • aree espositive• laboratori • animazioni e spettacoliRelazioni istituzionali e Programmazione culturaleFondazione Culturale Responsabilità Etica Onlustel. +39 049 7399726 - email fondazione@bancaetica.orgagireSezioni espositive 2011:Abitare Naturale Azioni Globali&Welfare Bio Cibo&CoseComunicare la Sostenibilità Eco-Idea-MobilityEquoCommercio Itinerari Educativi per la SostenibilitàNuovEnergie Reti del buon governo Salute+BenessereTerra dei Piccoli Turismo Eco&Responsabile TutelAmbientewww.terrafutura.itgovernareOrganizzazione eventoAdescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c.tel. +39 049 8726599 - email info@terrafutura.itPartner


la storiaAntico come l’Italia unitaI tapini e gli insospettabili,c’è un dormitorio a BresciaNei primi decenni dell’Italia unita, mentre lo stato era percerti versi latitante, furono le istituzioni ecclesiastiche a farsicarico dei poveri. Non sono molte le opere caritative, tuttavia,che hanno attraversato i 150 anni di storia unitaria del paese,rimanendo uguali a se stesse, pur rinnovandosi per far fronteai nuovi problemi. Una di queste è il dormitorio della SanVincenzo di Brescia, che da oltre un secolo continuaa ospitare chi vive sulla strada, anche se naturalmentei senza tetto sono profondamente cambiati, da allora.Il ricovero notturno fu inaugurato alla vigilia del Natale 1899con lo scopo di “provvedere ai bisogni della notte semprecattiva consigliera”, di offrire “al tapino, al malato, a chiin cerca di lavoro volge il suo passo errante, un tetto amicoe un buon letto”: così si legge nella relazione di bilanciodel primo decennio di attività. A volerlo fu il presidentedel Circolo della gioventù cattolica di Brescia, tal GiorgioMontini, padre del futuro pontefice Paolo VI, che decise dicondividerne la gestione con la San Vincenzo cittadina.Aperto nella contrada di Sant’Urbano, ai piedi del castelloche sovrasta il cuore della città, l’ostello era “un ampiocamerone, nel quale la luce e l’aria pura... penetranodai grandi e frequenti finestroni”, come scriveva un giornaledel tempo. Ci potevano stare al massimo 12 persone.Esclusivamente uomini.Il posto è rimasto lo stesso. Ma da allora molte cosesono cambiate. Oggi la struttura offre 44 posti letto e dàaccoglienza in media a 350 ospiti l’anno. Dal 1995, poi,all’ospitalità maschile si è affiancata la casa di accoglienzafemminile. Oltre alle camere, ci sono anche una mensa,un piccolo ambulatorio, un guardaroba, una lavanderia,un ufficio di assistenza burocratica. Insomma, da sempliceluogo di caritatevole accoglienza, il dormitorio si è trasformatoin strumento di reinserimento sociale, all’interno di una rete diservizi pubblici e privati.Ma ciò che più conta sono le storie della varia umanitàpassata per questo luogo. I loro volti raccontano la storiasociale di Brescia e del nostro paese. Per rendersene contobasta sfogliare i faldoni dell’archivio e affidarsi ai ricordi, comeha fatto Giuseppe Milanesi, volontario vincenzianodi lungo corso: «Negli anni Cinquanta del Novecentoil dormitorio era semplicemente un ostello per chi arrivavain città e non aveva punti di riferimento. In genere eranocontadini che venivano dalla provincia con la speranzadi diventare operai. Poveri ma non emarginati. I cosiddetti“barboni” arrivano solo tra gli anni Sessanta e Settanta: sonopersone che non lavorano, che vivono di espedienti. Qualcunoaddirittura per scelta, almeno così dice. Sono i senza dimoraideologici, quelli “contro”, che a un certo punto si confondonocon i tossicodipendenti. Gli anni Novanta e i primi anni 2000sono il periodo degli immigrati. E in quei due decenni lapressione si è fatta forte: ogni sera c’era la codafuori dal portone. Ora tutto è cambiato di nuovo. Glistranieri sono diminuiti e non c’è più chi fa la fila.Ma sono comparsi gli “insospettabili”,quelli che non ci si aspetterebbe di trovare qui:persone con disagi psichici che starebberomeglio in servizi psichiatriciperò assenti, lavoratori che hanno persoil posto e spesso anche la famiglia.Persone difficilmente classificabili come“gravemente emarginati”, “barboni,“clochard”, “senza tetto”... Gente normale.Che assomiglia molto di più a quellache veniva qui 50 anni fa. Con unadifferenza: guardano al futuro con moltameno speranza».Rimini, notte d’autunno.È freddo ma Andrea, 44 anni, originariodi Taranto, in Riviera da 15 anni, dorme perstrada, su una panchina. Fermo immagine.Perché è da film la scena che si impone auna ragazza che passa, e vede una torciaumana che si agita, e cerca di spegnersi.Sulla panchina di Andrea – n. 137, dicembre 2009Mi chiamo Filippo, sono nato a Cataniatanti anni fa. Nel 1994 mi trovavo in Inghilterra, a Liverpool,città natale dei Beatles. Ero andato a Liverpool perché avevouna storia con una donna inglese conosciuta in Sicilia,purtroppo però la storia finì male. Appena arrivai cercai subitoun posto per dormire; non avevo soldi neanche per farmiun panino. Scoprii che sotto la stazione c’era la metropolitana,feci un giro e notai una porta, di lì entrava il personale erimaneva aperta giorno e notte: feci una preghiera diringraziamento a Gesù, perché sarei rimasto al riparo dal freddo.Consiglio a tutti il volontariato – numero 129, marzo 2009aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.19


<strong>scarp150</strong>Centocinquant’anni in due. Giuseppe e Luisa hanno vistol’Italia arricchirsi. Oggi c’è tutto. Eppure manca qualcosa...Avevamo un sogno,è rimasta la pauradi Ettore SuttiGiuseppe ha 77 anni e Luisa 73: 150 anni in due. E quest’anno festeggiano50 anni di matrimonio. Sembra fatto apposta. La loro casa di Lecco, Lombardiapassata in una generazione dalla sobrietà all’agiatezza diffusa, trabocca di ricordi.Muri, mobili e tavolini sono ricoperti di ricordi: fotografie, ninnoli, souvenirche ritraggono figli, amici, posti lontani, ricordi d’infanzia. «Da che ci siamo conosciutisiamo sempre stati insieme – dice Giuseppe, sguardo tenero quando si rivolgealla moglie –. Ma una volta era più semplice. Tutto era più semplice. Non c’era nulla.Non avevi nulla. Il massimo che potevi fare era andare all’osteria o al cinema. Machi li aveva i soldi? Non so. Eravamo tutti in miseria, ma forse si cresceva meglio.Adesso basta, però. Non voglio sembrare il vecchio patetico che vive di ricordi...».Luisa scuote la testa dolcemente.«Guardi –si intromette –l’unica cosa che Giuseppe si alza, apre un cassetto,so è che oggi mi sembra tutto molto più tura fuori un cedolino ingiallito. «Questoè uno dei primi stipendi che ho pre-difficile rispetto a quando eravamo giovaninoi. Allora c’erano meno opportunità,ma anche meno storture. Di certo, mo in quattro (la Luisa è rimasta a casaso: 29 mila lire. Con questi soldi viveva-non invidio i ragazzi di oggi. Noi, almeno,avevamo un sogno da inseguire: divamoil mutuo e andavamo per due set-quando è nato il secondo figlio), pagamenticarela guerra, lasciare la povertà, timane al mare in riviera d’agosto. Oggicostruirci una casa e una famiglia. Oggi prendo quasi 2 mila euro di pensione. Eche i sogni si comprano al supermercato,cosa è rimasto a questi giovani?». ta la gente. Qui una volta ci sii soldi non bastano mai. E poi è cambia-conosce-va tutti. Si sapeva chi aveva bisogno e chino. Capitava spesso di invitare gente acena perchè si sapeva che a casa non neavevano. Oggi è più difficile anche cercaredi aiutare i vicini di casa...».Bene, ma meglio?«Bisogna ammettere però che una voltanon c’era l’assistenza che c’è oggi –dice Luisa –. I miei genitori sono morti anemmeno 60 anni. E se avevi un problemadi salute, o conoscevi qualcunoo non c’era verso... Il vero problema, oggi,è il fatto che abbiamo troppo. E alloraabbiamo tutti paura di perdere qualcosa.Quand’ero giovane dormivamocon la porta aperta. Non c’era nulla darubare. Oggi la gente fatica a salutareperchè ha paura: paura di conoscere, disapere i problemi degli altri, di doveraiutare. Stiamo bene, è vero. Ma siamoproprio sicuri che stiamo meglio?». .Rivoluzioni e ripetizioniL’avvento delle macchine, annona e social card: Anna e Carmelo tra novità e deja vù20.<strong>scarp150</strong> aprile 2011L’Italia compie 150 anni. Inquesti anni il paese ha subito grandimodifiche strutturali e sociali. Ma le cosesono davvero cambiate? Quando lochiedo ai miei genitori, la risposta nonè poi così sicura.Anna e Carmelo sono i miei genitori.La mia mamma è nata a Catania nel1937, mio padre, modicano, è dellaclasse 1935. Stanno insieme dall’ottobre1961 (foto a sinistra; nella pagina afianco, ritratti oggi), mezzo secolo. Rappresentanouna ricchezza culturale pernoi giovani. Possono essere equiparatia un libro di storia moderna. «Mi ricordobene gli anni dell’avvento dellemacchine agricole – racconta papà –.Ho iniziato a lavorare a 10 anni: ognimattina con i miei fratelli andavamo ingiro con il carretto trainato da cavalli.Negli anni Cinquanta le prime macchineda lavoro, e la Piaggio Ape rivoluzionòil trasporto di merci. Per noi siaprirono le porte di tutta la Sicilia: riusciia girare per tutta l’isola e qualcheanno dopo, addirittura, anche a passarelo stretto di Messina».Mia madre, invece, si ricorda china


sui libri di scuola a studiare a lume dicandela, o con una lampada a petrolio.«La nostra scuola – racconta – era permetà occupata dai rifugiati nordafricani.Persone che avevano lasciato Bengasio Tripoli a causa della secondaguerra mondiale, accolti nel nostro paese.Passano gli anni, la storia continua aripetersi. Allora non c’erano elettrodomesticinelle case, quando ero piccolale lenzuola e i vestiti venivano dati alle“lavandaie”, che li lavavano al fiume».Il ritorno della tesseraQuello che nessuno dei due dimenticheràmai sono gli anni della guerra,che misero in ginocchio il paese, la Siciliain particolare. «Avevamo le cosiddette“tessere della povertà” – ricordamio padre –. In quegli anni, grazie al sistemaannonario, le famiglie erano dotatedi una tessera che consentiva di ottenere,settimanalmente, i viveri di base:pasta, zucchero, pane e legumi».Le persone facevano la fila davanti auno sportello che distribuiva cibo e miamadre racconta che nei periodi di minorcrisi la sua famiglia distribuiva gli alimenti,ottenuti con la tessera, alle famigliepovere. Quando nel 2009 è stata introdottanel nostro sistema di welfare lasocial card, i miei genitori dicono di averfatto un balzo indietro nella storia..Lorena Cannizzarole testimonianzeRicordi di SiciliaSan Giuseppe, pane di tuttiOggi la solidarietà si fa da soliSiamo Santo e Teodora, abbiamo 87 e 81 anni. Siamo sposatida 59. Viviamo in un paesino delle Madonie, in Sicilia. Abbiamo vissutola guerra e la povertà. Le nostre famiglie d’origine erano numerose e ognunoin famiglia dava il suo contributo affinchè si potesse stare bene. Si lavoravatanto. I nostri genitori si svegliavano molto presto per andare a lavorarein campagna e noi abbiamo imparato fin da piccoli a darci da fare.Lavoravamo nei campi dei proprietari terrieri, poi mettendo qualche soldoda parte (Santo ha anche lavorato per dieci anni in Germania, ndr) siamoriusciti a comprare un nostro terreno. Noi non abbiamo vissuto la povertà,ma molti che abitavano anche vicino a casa nostra erano poveri. Tuttiprovavamo ad aiutarli, dando loro da mangiare e da bere.Ricordo – dice Teodora – un signore senza gamba che veniva a bussarealle nostre porte perché sapeva di poter ricevere un pezzo di pane. E un’altrasignora, si chiamava Lucia, che invitavamo a turno a mangiare alla nostratavola. Questo era il nostro modo di fare solidarietà e accogliere in casa chiaveva più bisogno; non avevamo tanto, ma volevamo esserci per questepersone più sfortunate. Un’iniziativa importante era quella di San Giuseppe:tutti noi ci riunivamo per fare insieme il pane da donare alle persone piùpovere che venivano anche da lontano. Era un momento di condivisione belloanche per noi, che lavoravamo insieme per le persone bisognose. Noi oggistiamo molto meglio dal punto di vista economico, e nel nostro paese sonodi certo anche meno le persone povere. Noi però abbiamo avvertitoun cambiamento proprio nella dimensione comunitaria: oggi sentiamouna maggiore povertà di relazioni, ognuno fa le opere di solidarietà insolitudine. Si mandano dei soldi per qualche iniziativa di cui si sente parlare,ma non si fanno più le cose tutti insieme per gli altri.Oggi è cambiata anche la relazione tra noi in paese. Prima ci si riuniva,si mangiava insieme, avevamo poco, eravamo stanchi per il lavoro, mac’erano più “unione” e desiderio di stare insieme. Oggi invecei nostri figli e i nostri nipoti sono sempre di corsa, vengono a trovarci masubito vanno via perché hanno tanti impegni. Anche nelle nostre borgate sirespira un clima di solitudine, siamo sempre di meno, abbiamo le malattie enon andiamo neanche più a giocare a carte insieme. Sicuramente oggiviviamo meglio, abbiamole nostre comodità, ma siamo più soli.Santo e TeodoraOggi più che mai lapovertà è sinonimo di guerra e conflittosociale: per uno che non ha speranza néfuturo, la violenza diventa un’opzioneobbligata, che permette di spezzarela catena dell’oppressione, della fame,dell’arbitrio, della manipolazione.Moni Ovadia – numero 138, febbraio 2010É il sistema che genera i “miserabili”. Enon parlo solo dei molti che la miseria la vivono sulla propriapelle. Parlo di chi, anche con il portafoglio pieno, rinuncia apensare e demanda alle leggi splendenti del Mercato ladecisione sul proprio stile di vita.I miserabili del nostro tempo sono eroirinunciatari. Forse oggi è venuto ilmomento di fare un po’ di manutenzionealle relazioni che ci legano. Io vedo lacultura come una possibile rispostaMarco Paolini – numero 137, dicembre 2009aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.21


<strong>scarp150</strong>Le “150 ore” hanno fatto crescere, in istruzione e condizionesociale, una generazione di lavoratori. Oggi tocca agli immigratiDante e la nevestudiare emancipaMaria, casalinga in CommediaMaria ha 70 anni ed è un’allegra signoracon la passione per Dante, che leggetutti i giorni nella piccola biblioteca diquartiere. Ha due figli grandi, entrambirealizzati nel lavoro e nella vita privata.La signora Maria proviene da una famigliapovera; già quando aveva 10 anniportava avanti la casa e si occupava deitre fratelli piccoli, mentre i suoi genitorilavoravano in campagna.A causa di queste responsabilità, dopola scuola elementare non è riuscita acontinuare gli studi; poi, a 19 anni si èsposata, andando a vivere con il marito.«Nel 1985, a 44 anni, ho deciso di iniziarea frequentare i corsi per prendere ildiploma di terza media – racconta –. Eroe sono tuttora una casalinga, non mi sonomai vergognata delle miei origini edella mia posizione sociale, ma ciò chemi stava più a cuore era riuscire ad aiutarei miei figli nei compiti. Volevo inoltrefare qualcosa di buono per me, vistoche la mia vita era stata costruita solo infunzione degli altri: sono stata figlia, sorella,moglie e poi madre, mai solo Maria.Inizialmente avevo un po’ di timore,ritornare a scuola da adulti non è facileper nessuno, ma dopo poco tempo misono integrata. Il mio corso era alla mattina,frequentato per lo più da casalindiSimona BrambillaUna volta erano le “150 ore”. Nate negli anni Settanta, costituironouno strumento prezioso per far ottenere la licenza media ai lavoratori. Grazie aquei corsi, garantiti per legge, sono stati molti gli italiani che si sono ritagliati, oltrea un’istruzione di base, una posizione sociale e una condizione di vita migliori.I tempi cambiano e oggi ci sono i Ctp: in pratica le vecchie 150 ore, solo chea usufruire del servizio (nei “Centri territoriali permanenti per l’educazione inetà adulta”) non sono più (soprattutto) gli italiani, ma tanti immigrati, italianidi domani. Cambia il periodo, cambianogli addendi: ma non le aspirazionie il risultato.22.<strong>scarp150</strong> aprile 2011ghe come me e da pensionate. Ricordocon nostalgia quel periodo della mia vita,in poco tempo siamo diventate tutteamiche. Ho imparato moltissime cose,non solo studiando, ma anche e soprattuttorapportandomi con le mie compagne.Le lezioni non erano tradizionali,prendevamo spunto da argomenti diattualità e le pagine del quotidiano eranoil nostro manuale. Ognuna di noi erachiamata a dire il suo parere sugli argomentitrattati, la classe diventava così unluogo di confronto, oltre che di apprendimento.Ripenso con piacere, peresempio, al laboratorio di scrittura sull’autobiografia:tutte eravamo ansiose diraccontare le nostre storie, è stato unmomento toccante rivivere in un testotutta la mia vita. Naturalmente si facevalezione anche in modo tradizionale, conspiegazioni, compiti a casa e verifiche.Apprezzavo molto anche questo tipo distudio, ed è proprio grazie a un compitoa casa di letteratura che mi sono avvi-cinata a Dante, benché non fosse un autoreda scuola media. Finito il corso, sonoritornata spesso a scuola a salutare leprofessoresse e ad assistere a qualchelezione. Nella vita ho poi continuato aleggere giornali e quotidiani, mi piaceessere sempre informata e crearmi mieopinioni. Oggi mi porto nel cuore unbellissimo ricordo di quella scuola, chemi ha aperto le porte della cultura. Enon solo».Alex, alunno dopo la multaAnche Alex non ha avuto una vita facile.Viene dalle Filippine, ha 27 anni, è inItalia dal 2008. Da qualche anno frequentai corsi di italiano al Ctp di vialeMugello, a Milano, e ora è al livello “Elementare2”. «È stato duro venire in Italiala prima volta – scrive, con un italiano


ancora un po’ incerto –. L’inizio è statodavvero difficile perché ho dovuto pagarecinquemila euro a una signora chenon conoscevo bene e che non avevaorganizzato il viaggio per me. In praticami ha fregato i soldi e mi ha ingannato.Ero triste perché la signora aveva promessoche sarebbe andato tutto benema non era vero: all’agenzia di viagginon c’era il mio biglietto d’aereo. Piangevonelle Filippine perché non potevovenire in Italia. La seconda volta, invece,sono stato più fortunato e il 20 novembre2008 alle 11, non me lo dimenticheròmai, sono arrivato finalmente inItalia. Ero molto felice. Tutta la mia famigliami aspettava a Milano, io e miasorella abbiamo pianto per la felicità. Ilgiorno dopo fuori dalla finestra era tuttobianco, perché nevicava. Sono uscitocon mia sorella e i miei cugini che abitavanogià da tanto a Milano a guardarela neve perché era sorprendente.Il giorno di Natale decisi di uscire dasolo per la prima volta: ho preso il tram,ma il biglietto che avevo era scaduto, neavevo un altro ma non l’ho timbrato. Ilcontrollore mi ha fatto pagare una multadi 34 euro, senza capire bene che erosorpreso, gli ho fatto domande in inglesema lui mi ha risposto in italiano enon lo capivo. Quell’incidente mi haspinto a cominciare a studiare l’italiano.A casa ho iniziato da solo, prendevoi libri delle mie cugine, però non era ancorasufficiente. Ho deciso di iscrivermia un corso di lingua italiana per impararebene anche la grammatica. Considerola scuola come la camera da lettodi casa mia, perché è il posto dove parlo,leggo, studio, posso rilassarmi e divertirmicon tutti i miei amici e compagnidi classe. Ringrazio Dio per avermidato la possibilità di conoscere questascuola che considero la mia secondacasa. Sono molto contento perché ascuola ho tanti amici che mi voglionobene, anche se ho pochi soldi»..Non voglio dire che siamotutti un po’ matti come spesso si dice.È una questione più che altro di relazioni.Noi viviamo dei rapporti con le cose econ le persone, che sono sempre in crisi.La criticità la viviamo con i genitori, coni figli, con il pane che compro dal fornaio.Non c’è quasi mai un’esperienza direttale testimonianzeLo strumentoNate per ottenere la licenza,oggi introducono all’italianoLe “150 ore” sono nate nel 1974 ed erano così chiamate perché150 era il totale delle ore che il datore di lavoro concedeva in un annocome permesso retribuito ai dipendenti per assolvere l’obbligo scolastico.Inizialmente i corsi erano frequentati per lo più da operai provenienti dallefabbriche, il loro fine era migliorare la posizione lavorativa e perseguireun miglioramento sociale. Anche casalinghe e pensionati ben prestoiniziarono a prendere parte ai corsi; l’età degli alunni variava tra i 30 e i 50anni. C’erano inoltre studenti giovani, di 15-16 anni, demotivati, pluribocciatie socialmente svantaggiati che erano stati respinti dalla scuola media,e che trovavano in quelle classi un “contenitore” affettivo e protettivo.Grazie alle legge Martelli del 28 febbraio 1990, che regolarizzò i primistranieri, anche questi ultimi fecero il loro ingresso nel mondo delle 150 ore.I cittadini immigrati inizialmente frequentavano i corsi di alfabetizzazione,poi quelli per il diploma di terza di media, titolo necessario per accederea un corso professionale, cercare un posto di lavoro e, per alcuni,in particolare i cinesi, poter fare la patente di guida. A metà degli anniNovanta sono arrivati, attraverso la pratica del ricongiungimento familiare,i ragazzi stranieri minorenni. Prima i filippini e i latinoamericani, seguiti poi daafricani, cinesi, afghani e molti altri. Costoro, nonostante la scolarizzazionepregressa, non potevano contare sulla traduzione e sull’equipollenzadel titolo, per frequentare le scuole superiori.Oggi le 150 ore non esistono più: grazie all’ordinanza ministeriale 455del 1997 sono stati istituiti i Ctp (Centri territoriali permanenti perl’educazione in età adulta). I fini di queste nuove strutture sostanzialmenterimangono quelli delle vecchie 150 ore: garantire l’alfabetizzazionedei cittadini italiani che ne sono sprovvisti, insegnare la lingua italianaai cittadini stranieri immigrati, organizzare corsi brevi annuali peril conseguimento della licenza media e corsi di cultura generale.A frequentare i Ctp oggi sono per lo più studenti stranieri; la frequenzadegli italiani è quasi del tutto scomparsa. I corsi più seguiti sono quellidi alfabetizzazione alla lingua italiana: uno studio statistico stilato dall’Ufficioscolastico regionale della Lombardia, e riferito all’anno scolastico 2009-2010, evidenzia che, su un totale di 62.308 iscritti ai Ctp lombardi, ben28.226 sono stranieri frequentanti i corsi di italiano, più del 45%; gli iscrittirestanti sono persone che hanno origini straniere, ma frequentano i corsiper la licenza media (4.978, l’8%), di informatica (8.962, il 14,5%), inglese(10.159, 16,4%) e di altra natura (9.613, il 15,5%).delle persone e degli oggetti checi circondano. Questa spersonalizzazione coincidecon l’ideologia manicomiale. Il problema vero è il nostrorapporto con le persone, gli avvenimenti e i luoghi che cicircondano. Dovremmo acquisire, singolarmente, maggiorconsapevolezza nella relazione con la società in cui viviamo.Ad esempio, è schizofrenico il rapporto che abbiamo con iprodotti che stanno all’interno di un supermercato. Di cui nonsappiamo nulla di chi e di come li fa. So solo come devoconsumarli, e questa già è una contraddizione.Ascanio Celestini – numero 106, novembre 2006aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.23


<strong>scarp150</strong>Miracolo a Milano,i poveri disturbanoIndecorosi intralci di città. Che li tartassa di ordinanze. Ma loro, testoni...di Gianni MuraI poveri sono aumentati e la comprensione verso i poveri è diminuita.Non ho bisogno di sondaggi, a Milano abito in quel che si può definire un osservatorioprivilegiato, tra il Centro Commerciale più noto come Stazione Centrale, e viaBenedetto Marcello, dove martedì e sabato c’è un bel mercato. Il numero di chi siaggira tra le bancarelle che stanno chiudendo e cerca di salvare l’arancia un po’ ammaccata,l’insalata un po’ appassita è un numero in aumento, ma c’è dell’altro.Più o meno dieci anni fa erano poveri vestiti da poveri (non che esista una divisa,è solo per capirsi) e questi ci sono ancora. Di nuovo ci sono quelli e quelle conun cappotto che ha visto giorni migliori, qualcuno addirittura ha la cravatta. E ti ritrovia pensare che siano ex insegnanti, ex contabili, ex qualcosa, gente che avevaun lavoro e l’ha perso, gente che ha unapensione da fame (appunto) e si vergognaa chiedere (come si diceva una volta).Mi hanno detto che molti di loro frequentanomercati molto lontani da casa,per non farsi vedere dai vicini.Chi ferisce il decoro?Forse è cambiata la condizione del povero,una volta vissuta dall’esterno comerealtà da aiutare, in qualche modo, eoggi come un fastidioso, anzi indecorosointralcio. In nome del decoro cittadinodozzine di sindaci hanno già varatonorme non contro l’accattonaggio molestoma l’accattonaggio normale, quelche una volta si chiamava chiedere lacarità. Me li ricordo: sui sagrati dellechiese, anche in piazza Duomo sotto iIl mondo si sta muovendo: l’emigrazione-immigrazione èprobabilmente l’avvenimento, l’evento più forte e importante dioggi. Attraverso le mie canzoni cerco di prendere posizione.Mi pare che ogni essere umano possa scegliersi l’angelo chedesidera. Non cambia se è un simboloreligioso o no; è fondamentale, però, cheogni uomo, creda di essere guida di sestesso, e di essere lui stesso il suo proprioangelo. E comunque di aspettarlo. È unamaniera di aiutarsi, di darsi forza.Ivano Fossati – numero 101, maggio 200624.<strong>scarp150</strong> aprile 2011portici, e fuori dai cimiteri. Tutto proibito:ma perché stupirsi di Verona o Genovaquando queste norme ad Assisi, lacittà del Poverello, sono state approvatenel 2008? Proibito stare fuori dalla chiese,dai cimiteri, dalle banche, dai centricommerciali, dagli ospedali, dagli ufficipubblici e, occhio, sempre a una certadistanza dai negozi.Non ignoro che è tipico delle societàmalate tartassare i più poveri e tutelarei più ricchi, tagliare al sociale e regalarea chi sta già bene di suo. Pure, tutti questibandi antipovertà continuano a farmischifo. Sarà la mia sensibilità, manelle città vedo cose e comportamentiche feriscono il decoro molto più di unmendicante. Sarà la mia età e il fatto diessere cresciuto in campagna, con unanonna che diceva che chi fa del male aun povero offende Gesù. E per questo incampagna, nel caso l’Oltrepò pavese,non solo a casa nostra per il povero sull’usciouna fetta di pane e una di salamec’erano, e un bicchiere d’acqua o divino. Ho scritto sull’uscio perché nonvolevano mai entrare, anche se invitati.Preferivano star fuori, e questo a mebambino non dispiaceva, alcuni avevanobarbe lunghe e occhi spiritati, comegli orchi delle favole.Panchine soppresseAccattone è una parola che non mi piace.Preferisco mendicante. Barbone èuna parola che non mi piace, anche sepuò avere un suono affettuoso, comenella canzone di Jannacci a cui s’ispiraquesta testata. In inglese si chiamanohomeless, senza casa, in francese clochardo sdf, senza domicilio fisso, misembra ci sia più rispetto. Quanto al decoro,le modernissime banche in unapiazza del Cinquecento e tre auto in secondafila o, perché no, una abusiva sulparcheggio riservato ai disabili offendonoil decoro molto più di un mendicante.O meglio, quello che per me è il decoro,ma evidentemente sindaci e assessorihanno visioni diverse. In alcunicasi, la loro ottusità non ha confini:quante panchine, utili a tutti, sono statesoppresse in Italia?Dalla strada si può dire cheprendiamo tutto. Ma l’arte degli artisti distrada è diversa dalla nostra perché loro simettono in scena senza nessun filtro con ilpubblico. Bisogna avere tanto coraggio. Noisiamo molto più tutelati sul palcoscenico.Si parte avvantaggiati, quando la genteesce per vedere te.Ale & Franz – numero 103, luglio 2006


l’interventoIl cane dell’avvocatoI mendicanti a volte avevano animali dicompagnia, vuoi per necessità vuoi perintercettare la simpatia di passanti piùteneri con gli animali che con gli esseriumani. Spesso un cane, a volte un pappagallino,un gatto mai (i gatti sono furbi).Oggi in alcune città è fatto divieto aimendicanti di avere animali e questo è ilmassimo dell’ipocrisia. Se non sono accertatimaltrattamenti, resta da dimostrareche il cane di un mendicante vivapeggio del cane d’un avvocato cocainomaneo di un amministratore delegato.Tra l’altro, il cane d’un mendicante hauna certezza: non sarà mai abbandonatoin autostrada, dato che il suo padronenon possiede un’auto. Ma questo gli assessorinon lo sanno o fingono di nonsaperlo. A loro preme tutelare l’immaginedel centrocittà, dove notoriamentevivono i ricchi, perché i ricchi non sianoturbati, disturbati, contrariati, disgustatidalla presenza, sia pure passeggera, diqualcuno che mostra l’altra faccia dellamedaglia e della vita. La mostrino in periferia,a quelli già periferici. Non dianofastidio, anzi meglio: non si facciano vedere.Nella città invivibile diventino invisibili,come la polvere sotto il tappeto.Certo, nella città invivibile ci sonoancora persone di buona volontà cheprovvedono al pane quotidiano di chista peggio, e sfamano gli affamati, e rivestonogli stracciati se non gli ignudi.Ma anche queste persone di buona volontàdiventino periferiche, meno visibili,perché questo sostanzialmente ècambiato: la povertà non deve far vergognarechi la provoca, ma chi la vive.Sicurezza, dicono. Ma è egoismo. Decoro,dicono. Ma è persecuzione. Tutela,Gianni MuraMilanese, 65 anni, è uno dei più famosi e“letterari” tra i giornalisti sportivi italiani.Ha lavorato per Gazzetta dello Sport,Corriere d’Informazione, Epoca e Occhio.Dal 1976 collabora con Repubblica: calcioe ciclismo, ma anche gastronomia e viaggi.I suoi domenicali “Sette giorni di cattivipensieri” sono una rubrica di culto.Autore di due recenti romanzi, da apriledirige E, il nuovo mensile di Emergency.Maria Grazia SacchiMilanese, libraia part time, illustratrice pure.Di libri per l’infanzia, con vari editoridicono. Ma è aggressione. I ricchi e i lorobadanti politici bisogna capirli: si sonfatti un mazzo così per arrivare dove sonoarrivati (non tutti, ma lasciamo stare),mentre per finire in miseria basta uncolpo di vento. Io lavoro, tu no, e adessovuoi pure stressarmi chiedendomi lacarità? No, guarda che è un altro film.Con la contraereaUn film del 1951, molto famoso, è Miracoloa Milano, regista De Sica su sceneggiaturadi Zavattini. Erano gli annidel neorealismo. Il film fu proibito inUrss perché giudicato troppo religiosoe criticato in Italia perché giudicatotroppo sovversivo, o comunista. Vinse ilpremio come miglior film al Festival diCannes. Molti ricorderanno la scena finale,i poveri radunati in piazza delDuomo che se ne vanno volando a cavalcionidi una scopa. Oggi li abbatterebberocon la contraerea.Miracolo a Milano non era il titolooriginale, cambiato su pressione dei distributorie di alcuni politici. Il titolo originaleera I poveri disturbano. Testonicome sono, continuano a disturbare. .aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.25


<strong>scarp150</strong>Brizzi cammina lo stivale. E ne scopre volti quotidiani e celatiItalica val benetre paia di scarpedi Daniela PalumboEnrico Brizzi, il prolifico scrittore bolognese, ha appena finito di scrivereun altro libro. È il racconto del lungo cammino intrapreso per il progetto “Italica150”: oltre 2.100 chilometri dalle pendici della vetta d’Italia, nell’Alta valle Aurina, finoa Capo Passero, in provincia di Siracusa, dal 7 aprile a metà luglio 2010. Tre paiadi scarpe consumate e una splendida esperienza umana: lo scrittore l’ha riassuntanel libro che presenterà a <strong>Torino</strong>, al Salone del Libro, dal 12 al 16 maggio 2011.«Progetto Italica – racconta Brizzi – nasce dall’esperienza dei miei viaggi a piedi,che ormai faccio con cadenze regolari, insieme a un gruppo di amici formatosidirettamente “sul campo”, confluiti nell’associazione “Francigena XXI”. Le camminatepiù lunghe sono state quelle lungo la Via Francigena, nel 2006, da Canterburya Roma, poi siamo andati fino in Terrasanta.Ma ogni viaggio fa storia a sé».Perché viaggiare a piedi?A passo d’uomo, sulla strada, ciò che vediha una dimensione più autentica.Camminare è il modo migliore per conoscereluoghi e persone, perché permettedi riportare la vita a ritmi umani.A un certo punto si avvicinava il 150°dell’Unità e ci è venuta l’idea di dedicareil cammino al nostro paese: volevamocapire con che voce parlava. Uniregli opposti, Nord e Sud, ci è sembrato unbel modo di festeggiare. Il viaggio volevaessere anche un’indagine sul campo.E come è andata? Cosa è emerso daquesta Italia?Vedendoci arrivare a piedi, molti ciprendevano per stranieri, spesso per turistianglosassoni, si fermavano, ci chiedevano.Al Nord soprattutto. Al Centroe al Sud, nelle zone ad alto sfruttamentoagricolo, dove abbiamo visto più personelavorare la terra, queste davanol’impressione di voler sfuggire il contattocon lo sconosciuto: avevano paura,era chiaro che erano senza documenti.Perché sulla strada, nei campi, incontripiù stranieri che italiani: nella nostra repubblicafondata sul lavoro, lavoranotanto i regolari quanto i clandestini. Vedendoi terreni agricoli pieni di uominipiegati a lavorare capisci che forse aqualcuno conviene che sia così, che cisiano tanti irregolari. Sono due “caste”diverse, i regolari e i clandestini: la primadorme sonni tranquilli, l’altra è terrorizzata,anche se incrocia un sempliceposto di blocco dei vigili urbani. Questomondo, visto da noi che abbiamo intasca una carta di identità italiana, connomi italiani e nonni italiani, può esse-«NessunaAlla fine il problema di tutti è darsi un’identità che dia sensoIn comunità: «Erano partite perall’esistenza. Alla fine ci si trova a fare una vita in cuiappiccichiamo un sacco di cose che diventano fondamentaliper la nostra esistenza, perché costruiscono la nostra identitàuguale a quella di tutti. Dunque accettata.Il “barbone” che dorme in strada è aimargini perché è diverso. Ma anche lui,quando entra nel mondo delle cose, subisceil fascino del possedere, che supplisceal nostro bisogno di sicurezza.Gigio Alberti – numero 148, febbraio 201126 .<strong>scarp150</strong> aprile 2011È assolutamente r inecessario parlare di educazione. violenti, chi daMa oggi tutti i giovani che una studiano vita privazioni,chi per insegnare mantene-hannopiù tempo libero e noi dobbiamoloro come riempire questo re la tempo. famiglia. Non Adrianae Lara, prima operatricisaràfacile. Don Bosco nell’Ottocentoha insegnato Tutte come sonol’oratorio, costrette a poi prosti-ha inventato nità la protetta scuola. per ra-divertirsi: “Casa ha Liri”, inventato comutuirsi:chi Antonio da protetto-Mazzi – numero gazze 124, che settembre hanno 2008 de-


e una cosa di cui possiamo decidere didisinteressarci. Ma se scegli di fare tantichilometri a piedi, è difficile davverofregartene di loro.Dalla strada, si intravede un futuro diintegrazione nel nostro paese?In quei giorni mi sono tornati in mentequei ragazzi stranieri, sempre gli stessi,che incontro da cinque anni nelle piazzedi Bologna: dopo così tanto tempovendono ancora accendini e calzini.Avrei un’opinione negativa sul successodell’integrazione, in Italia, se non fosseche le mie tre figlie frequentano lescuole pubbliche e i nomi delle lorocompagne suonano marocchini, rumeni,peruviani. Sono bambini italiani chestanno crescendo con le mie figlie inquesta Italia. E che domani potrannoavere le stesse opportunità.L’autoreIeri l’uscita di Jack,oggi pagine a ritmo lentol’intervistaEnrico Brizzi è nato nel 1974. A vent’anni ha debuttato conJack Frusciante è uscito dal gruppo, poi si è confermato come uno degliscrittori più rappresentativi della generazione under 40. Il suo ultimo libroè La vita quotidiana in Italia ai tempi di Berlusconi (Laterza). Da adulto hascoperto la passione per i viaggi a piedi, che racconta a modo suo dandocorpo a numerose pubblicazioni. L’ultimo è Italica, viaggio a piedi da Norda Sud, durante il quale ha consumato tre paia di scarpe. Oltre al libro (BaldiniCastoldi Dalai), che presenteràa <strong>Torino</strong>, Progetto Italica èanche un documentario cheBrizzi presenterà il 7 maggioal TrentoFilmFestival,importante appuntamentocol cinema di montagna.Quali sorprese ha riservato questoviaggio?Siamo partiti con in tasca tanti luoghicomuni, ma alla fine è stato un viaggiocosì contraddittorioe riccodi sorpreseche è difficile riassumere. È un fattoche in Italia basta valicare una linea dicollina perché cambino il dialetto, la cucina,le abitudini. E il vecchio stato preunitario,sotto il quale pagavano le tassee facevano il militare i padri dei padridelle persone che incontri oggi. L’Italiaè così, un mosaico ricchissimo di vecchieprovince storiche, regni, ducati:pensare che queste differenze non esistanopiù è fantasia. Quello che trovostrano è che non si sottolinei questa differenzacome una ricchezza, ma la siesalti come un motivo per creare confiniinterni e per parlare di patrie, anzichédi una patria. È storicamente regressivo.Nord e Sud sono così distanti?Dalla strada sorprende la ricchezza invisibiledi questa Italia. Al Nord c’è piùagiatezza, e probabilmente più istruzione,eppure al Sud c’è una saggezza anticache il Nord farebbe molto bene adascoltare, invece di infarcire il propriovocabolario di termini inglesi scelti a casoo parlare di un “Paese senza valori”:al Sud ho visto una vicinanza con la terrada un lato, e la consapevolezza chenon tutto si può toccare e vedere, di cuial Nord si ride, salvo poi non poter farePasta alla bolognese,mozzarella di bufala, pane. É il menù di oggialla mensa dei poveri a Piazza del Gesù,centro storico di Napoli. A gestirla èErnesto, energico ottantenne che ha fattodel punto di ristoro la sua missione.Da quindici anni si sveglia ogni mattinaper cucinare e regalare un sorriso a chi hapochi motivi per sorridere. Sono appenale otto e mezza del mattino ma lui, che è arrivato da casain motorino, è andato già a messa, ha fatto la spesa epredisposto i tavoli. E adesso è intento a preparare il sugoper la pasta. A fianco di ogni piatto c’è un dolce. «Questi meli regala un pasticciere – racconta Ernesto “O’Maresciallo” –.Sono tutti di ieri ma sono ancora buonissimi. I ricchi i dolcinon li possono mangiare. I poveri non hanno né il diabetené il fegato malato, mangiano tutto. Perchè la vita è peri poveri, non per i ricchi...».Pranzo da O’ Maresciallo – numero 116, novembre 2007aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.27


Scarpisti d’ItaliaIl “Viaggio” di PioveneVizi permanenti, non le virtù«L’Aquila smozzicata dai sismi»Cominciò da Bolzano il Viaggio in Italia di Guido Piovenee proseguì, regione per regione, fino a coprire ogni landa, anche la piùdimenticata. Durò tre anni, dal maggio 1953 all’ottobre 1956, e fu fattoper incarico della Rai, che ne diffondeva gli scritti via radio man mano cheil giornalista-scrittore li realizzava. Un’impresa senza precedenti, da cui scaturìun libro: l’Italia che Piovene visitò è quella degli anniCinquanta, tra ricostruzione e boom economico, ma inodi e i vizi di quell’Italia sono gli stessi di oggi. Casomai sono alcune virtù, a essere scomparse odecadute...***L’Abruzzo è la nostra regione che fu più devastata daiterremoti; nessun centro ne rimase esente, e L’Aquilane subì una serie. Così l’arte abruzzese appare comesmozzicata dai cataclismi, e ciò che oggi noi vediamoè un avanzo. L’Abruzzo, come tutti sanno, ebbe nelMedio Evo i secoli più felici, quando tutta l’Italiapartecipava in modo equo a una civiltà diffusa; madivenne provincia quando la civiltà italiana cominciò ad accentrarsi neivertici dei grandi centri. La grande arte si arrestò alla fine del Quattrocento.Perciò i terremoti infierirono su quanto l’Abruzzo aveva di meglio.Anche la parte nobiliare di L’Aquila è in buona parte rifatta, sebbene ormaida qualche secolo. Delle ricostruzioni dopo i disastri reca tuttavial’impronta. Si avverte l’intervento degli imprenditori, che usavano lo stilein voga. Le date dei terremoti più catastrofici vollero che abbondasse,qui e in quasi tutto l’Abruzzo, un barocco che si direbbe oggi commercialee di serie, adatto però a soddisfare le esigenze del fasto. Pure non èpossibile camminare in alcune parti della città, comequella in cui sorgono il Palazzo Rivera e il PalazzoDragoni de’ Torres, senza subire l’attrattiva di uncontrappunto tra edifici barocchi, residui di costruzionianteriori, improvvise aperture sulle montagnecircostanti.Guido Piovene, Viaggio in ItaliaBaldini&Castoldi, 1993, pagine 920Ho un rapporto davvero un po’ strano con il mare.Gli sono legato come se mi unisse a lui una sortadi cordone ombelicale e, quasi sempre, finisco per andarea sfogare davanti a lui le mie rabbie, le mie delusioni,le mie sconfitte.Ricordo una volta anni fa, quando sconvolto per la perditadi un amico, la mia reazione fu semplicemente di salirein macchina e lasciare il mio mare, il mare di Genova, dietrole spalle. Guidai ininterrottamente per tremila chilometri. Mifermai solamente a Gibilterra; più in là non si poteva andare.Devi chiederlo al mare - numero109, marzo 200728 .<strong>scarp150</strong> de’ tenis aprile ottobre 2011 2008a meno di chiromanti e veggenti, o dipsicoterapeuti.E il vecchio “italiani brava gente”?Quando cammini hai sempre bisognodi indicazioni e di qualcuno che ti riempiala borraccia: le persone che hannola soglia di casa direttamente sulla stradati aprono la porta e ti fanno riempirela borraccia, le persone che hanno la recinzionealta due metri e la scritta attential cane e al padrone, non glielochiedi neppure perché ti stanno già dicendoche la borraccia non te la riempiono.Non voglio fare l’elogio della poveragente alla De Amicis, perché c’ètanta povera gente che scimmiotta lapeggiore ricca gente, però chi è semplicedi solito è meno paranoico di chi credeche le strade siano piene di lupi.Insomma, ricchezza fa rima con egoismo?È sempre stato così, fin dall’epoca dellaBibbia. Eppure ho percorso un Venetodove non esistono solo i raduni delle camiceverdi, l’egoismo della ricchezza, lebarricate intorno la casa. Siamo statiospitati dal comitato “No Dal Molin”(formatosi per dire no alla nuova basemilitare Usa a Vicenza, ndr) e lì abbiamoincontrato gente di sinistra ma anchedi destra, e leghisti: perché le personenon hanno una sola identità comenei sondaggi, ma sono universi complessi.In Veneto abbiamo visto piste ciclabilicome in nessun altro posto in Italia,tanto verde e parchi per i bambini.Cosa unisce di più l’Italia di oggi?Lo sdegno per chi ci governa, per stradalo senti forte: ovunque gli italiani siritengono migliori della classe politica.Gli spettacoli della politica sono osceni,soprattutto se ascoltati dal bar di unpaese dove le persone sono in cassa integrazionein massa, perché ha chiusol’unica fabbrica che c’era..A un attento osservatore della società,esaminando una schedina, non può nonvenire alla mente l’Oracolo di Delfi.Nell’antica Grecia la gente ricorreva a luiper i responsi, dietro pagamento,naturalmente. Mi chiedo: è forse mortol’oracolo di Delfi?Basta il gratta e vinci – n. 142, giugno 2010


<strong>scarp150</strong>Due operatrici sociali.Versione motocicliste.In viaggio verso Sud.Diario di bordo.E di un’ItaliasorprendenteIn VespaLampedusa aspettacidi Anna “la zia” Cavallari (e Matilde “Chicco” Bornati)Mi è sempre piaciuto fantasticare sui possibili viaggi da fare durante le ferie.Amo le mete lontane ed esotiche, ma amo anche pensare a viaggi diversi, a vacanzeche non mi costringano giorni e giorni nello stesso luogo. Durante i miei viaggivoglio crescere e non importa se questo non mi porterà più lontano di Lodi, purchéal mio ritorno abbia un pezzettino in più di umanità e di mondo tra le mani.Una sera dello scorso giugno ci siamo trovate, io e “Chicco”, a sognare possibilimete con un po’ di amici: tanti sogni che si scontravano, tutti con lo stesso difetto: ilmezzo di trasporto non ci convinceva a sufficienza, vuoi perché troppo costoso, vuoiperché inflazionato, fino a che: l’idea. Saliamo sulla Vespa e vediamo dove arriviamo.Obiettivo: Sicilia. Anzi Lampedusa. Con tutto quello che ne consegue.Partiamo da una Milano estivamente deserta. Imbocchiamo la via Emilia instile far west. La prima sera raggiungiamole montagne – nel piacentino ve di marmo che ben si scorgono dallacolline verdissime – e ci fermiamo in città; lo spettacolo è mozzafiato, in bilicosulla montagna scavata percepiamoun bar per una meritata birra e un panino;al tavolo accanto, incontriamo il l’intreccio tra la bellezza del progresso eprimo di una lunga serie di tipi, quelli le umane storie di morte e solidarietàche «Bella la vespa Px, ce l’avevo anche che qui si consumano e si sono consumate.Sulle Apuane fa veramente freddoio. Ma è un 150?». Categoria umanache unisce l’Italia, da nord a sud. e ci sale anche un po’ di strizza, perchéPassiamo le prime notti accampate lungo la strada non si vedono posti adattiper dormire...sul ciglio delle strade di campagna. ACarrara la città ci sorprende per il fascinoun po’ decadente del centro storico; La nonnina ci consigliaci sediamo per uno spritz, tre rom ci Per fortuna, sulle rive di un lago artificialescorgiamo un borgo medievale ab-suonano un concertino accanto. I nostrisguardi si perdono a contemplare le cabandonato.Stendiamo i nostri averi alriparo di una chiesetta in pietra su un belpraticello; ceniamo con due merendinee ci addormentiamo appena spuntanole stelle, con il rumore delle trote che saltanofuori dall’acqua. I giorni seguenti lipassiamo a girellare la Toscana e iniziamoa renderci conto che in qualche modo,nel vederci sulle Vespe stracariche, lepersone si innamorano come se stessimovivendo per loro il sogno di ognuno.Così è facile che quando ci fermiamo amangiare un panino, subito tutti si accrocchinoattorno a noi, e che il baristaci offra un bel bicchiere di vino.Verso il sesto giorno di marcia viviamouna delle esperienze più ricche: letenebre iniziano a calare, di campeggineanche l’ombra, e nemmeno di postiper dormire alla randagia. Avvertiamo illato oscuro dell’avventura. Ma Chiccoprende in mano la situazione e a SanMartino sul Fiora, Maremma grossetana,ferma una nonnina per chiederle seci permette di dormire nel suo giardino;lei ci consiglia di montare la tenda nelcampo sportivo e ci spedisce al bar dovetutto il paese si prodiga per trovarci unaprile 2011 <strong>scarp150</strong>.29


Scarpisti d’ItaliaIl viaggioGuzzisti garibaldini,c’è un paese da risalire150 anni dell’Unità d’Italia,90 anni della Moto Guzzi: c’eranoabbastanza motivi, perché i “guzzisti”stringessero in un grande abbracciol’intera penisola. L’hanno attraversatatutta in moto, da Palermo a Genova,ripercorrendo la strada dei Millegaribaldini. Da loro hanno preso ispirazioneanche per il nome dell’iniziativa: il “Raiddei 1000”, manifestazione nata da un’ideadi Andrea Natale, segretario di Moto-Guzzi.it, che ha proposto di ripercorrereil tragitto dei garibaldini, puntandoall’apertura di “Mondo Moto Guzzi”,a Genova. Città non scelta a caso:«La Moto Guzzi – ricorda Mario Arosio, presidente del Moto GuzziWorld Club – è stata costituita con atto notarile redatto proprio a Genova.Inoltre Genova è la terra di Mazzini, Garibaldi, Mameli...».La partenza è dunque avvenuta il 13 marzo, in nave, con 11 moto al seguito,per raggiungere la Sicilia e da lì risalire in moto la penisola. Dopo lo sbarcoa Palermo, «a Bronte – racconta Arosio – siamo stati ospiti del comune.Abbiamo proseguito poi verso Catania, Messina, Reggio Calabria eSorrento, dove l’accoglienza è stata incredibile: bloccata la cittadina, c’èstata una grande festa in piazza. Siamo quindi passati per Roma, Venturinae Viterbo. Lì siamo stati accolti dal sindaco e dal presidente della provincia,ma soprattutto da tanti cittadini entusiasti. Intanto sempre più motociclistisi aggregavano al gruppo e ci seguivano, alcuni solo per una tappa, altri finoa Genova. Partiti in 11, a Massa eravamo già un’ottantina. E molti altriguzzisti si sono uniti per l’entrata trionfale a Genova, il 19 marzo. Al casellodi Nervi la polizia ha contato 117 moto. Per l’ultima tappa abbiamo sceltoQuarto per ricordare i Mille. Di qui, scortati da polizia e vigili, abbiamoattraversato Genova per arrivare poi ad aprire la manifestazione MondoMoto Guzzi. È stato il momento più bello: il corteo delle moto in paratanella città di Genova». Ma prima c’erano stati tanti incontri indimenticabili:«L’accoglienza è stata dappertutto eccezionale. Penso che in Italia ci siatanta voglia di stare insieme. L’Italia che abbiamo visto è davvero unita.A ogni tappa tiravamo fuori il tricolore con lo stemma del Raid dei 1000e della Moto Guzzi, e tutti mettevano le loro firme».Perché essere guzzisti non è solo avere una moto, è molto di più: «I guzzistisono accomunati da una passione speciale per propria moto, che è un fortelegante. Normalmente al guzzista piace fare tanti chilometri in moto,divertirsi e poi… mettere le gambe sotto il tavolo. La strada per noiè il passaggio da un posto a un altro, per andare a raggiungere gli amici:i Guzzisti festeggiano quando stanno insieme. La filosofia del guzzistaè slow; un po’ d’altri tempi, romantica e sognatrice».Silvia Montellagiaciglio notturno. Dopo numerose offertedecidiamo di dormire nel praticellodel prete nella piazza centrale.Le Vespe non si arrendono e noi proseguiamoper l’Umbria, a Terni ammi-30.<strong>scarp150</strong> aprile 2011rariamo le cascate delle Marmore e lasera Chicco mi racconta della prostitutanigeriana che ha visto sulla statale; soche sta pensando alle centinaia di donneche ha conosciuto in questi anni daoperatrice sociale e che si sta chiedendola storia di quella donna, per ridarle unvolto e una dignità.All’Aquila inevitabile ricordarsi delterremoto dei mesi precedenti. Cerchiamodi entrare in centro ma il solo vedereda lontano i militari ci scoraggia. E poici sentiamo così fuori luogo, con le ciabattedi gomma e la nostra aria vacanziera...Troppe volte (le autrici sono operatricisociali e lavorano con i rom, ndr)abbiamo visto le persone entrare neicampi rom come fossero piccoli zoo, ecerchiamo di evitare la stessa sorte agliaquilani.Poi Puglia, Gargano, notti in spiaggia,sveglie per ammirare l’alba. In prossimitàdi Foggia la vespa di Chicco ci annunciache sta esalando il suo ultimo respiro:l’ingresso in città è trionfale, Chicconera in volto che spinge a mano ilmezzo celeste (e di che colore può essereun mezzo che porta in paradiso?). Ciaiuta il mitico… Biondo! Meccanico d’esperienza,visita la Vespa in assoluto silenzio,noi trepidanti accanto. Diagnosi:è il condensatore. Il Biondo monta sulmezzo il condensatore di un Ciao e cispedisce alla Piaggio per cercarne unoadatto. Pagamento: una sigaretta. Ilmondo è pieno di brava gente.Nella bellezza, un CieAttraversiamo il Tavoliere delle Puglie.Poi sempre più a Sud. In mezzo ai campi,i furgoni che, fatta sera, scaricano i lavoratoristagionali sul ciglio della strada.Il 12 agosto ci svegliamo all’alba per ilcaldo e ci mettiamo in marcia intontite.Ma lungo la strada il risveglio. Come unnaufrago che vede una nave, uno scalatoreche vede la cima, un emigrante difronte alla statua della libertà, eccola, sistaglia innanzi a noi, la vediamo e quasila tocchiamo: Sicilia. Realizzo che ci siamo.Siamo arrivate, l’abbiamo fatto davvero.Forse neanche noi ci credevamo finoin fondo.Il tour si chiude a Lampedusa, isolastupenda e ospitale. Ma appena si entrain paese, ciò che cattura lo sguardo è ilCie (Centro identificazione ed espulsione),immagine che vale da riepilogo delnosro viaggio. Terra straordinaria, la nostraItalia; ma luogo in cui siamo chiamatea lottare e inventarci un nuovocambiamento. Perché sempre, nella bellezza,si staglia un Cie, con le sbarre allefinestre. .


<strong>scarp150</strong>Costituzione, architrave d’Italia. I genitori del sindaco di Napolihanno contribuito a scriverla. E lei l’ha raccontato a Scarp...La Carta di Rosetta,sindaco bambinadi Laura GuerraSembra di vederli quei due bambini, Rosetta e il fratello più piccolo, cheaspettano il suono della campana di Montecitorio a Roma, in un giorno di dicembredel 1947. Con i genitori, Angelo e Maria, dentro le sale del palazzo a firmare unodegli atti di nascita della Repubblica. «Finalmente la campana suonò – racconta Rosetta– e noi bambini con l’ingenuità dei nostri pochi anni ci aspettavamo che tuttocambiasse subito e come per magia. Anche noi avevamo partecipato a un eventostorico. E per premio, per festeggiare, mamma e papà ci comprarono un cono gelato,che per quel periodo era davvero una cosa eccezionale».Inizia così il racconto di Rosa Iervolino Russo, sindaco di Napoli, che intorno a untavolo ovale, la prima sera di primavera, ha raccontato in esclusiva per noi di Scarpl’atto di nascita della Costituzione italiana.Dietro la bella convivialità di un caffè dio garantito a tutti, come vera leva die del suo semplice eloquio, la ricchezza emancipazione e indipendenza. E poidi una lectiotutta per noi, redazione partenopeadi Scarp. La descrizione dell’I-definito un “momento tristissimo”, chec’è anche l’attualità: il conflitto libico,talia del dopoguerra distrutta e povera, rimanda all’articolo 11 della Costituzione:“L’Italia ripudia la guerra”. «Tutti cidove tutti desideravano libertà, pace,giustizia, uguaglianza, solidarietà e lavoro.Ed ecco i principi fondamentali del-male a partecipare, stiamo cercando distiamo chiedendo se facciamo bene ola Carta, scritti nella prima parte di un proteggere il diritto alla democrazia e allalibertà di quel popolo. Ma quella deglidocumento che ebbe, fra gli estensori,proprio i suoi genitori. La donna delle aerei che partono dalla basi militari nonistituzioni, sottolinea anche le conquistedelle donne, per realizzare una parità smante, è un fallimento della democra-è mai una soluzione né bella né entusia-che partisse anzitutto dal diritto allo stuziae dei rapporti con gli altri».CarosindacoO’ caro Sindacol’ho conosciuta solo adessoe dire che avevo un complessodi avvicinarmi a lei.Ma tutto questo è svanitoal primo impattoquindi ho graditoe non c’è stato alcuno distacco.Lei ci ha resi importantinon ci ha fatto sentire a disagioed è proprio l’agioche ci ha fatto sentirepiù galanti.Abbiamo domandatoci siamo presentatima senza nessunavelleitàed è per questoche ha riscontratoin noiuna certa genuinità.In tutta questa ipocrisiale resta un grande vantoessere la figliadi una Costituzioneimportante.Antonio PirozziA lezionedi CostituzioneIl gruppo di Scarp Napoliinsieme al sindaco,Rosa Russo Iervolino.Altri “echi” dell’incontrosaranno pubblicatisul prossimo numeroaprile 2011 <strong>scarp150</strong>.31


Scarpisti d’ItaliaPomeriggio a palazzo San Giacomo:«La Costituzione nacque dai desideri»Lunedì, primo giorno di primavera, intorno alle 18, dopo aver sorseggiatoun caffè in un bar vicino a piazza Municipio, me ne stavo seduto su unapanchina di fronte a Palazzo San Giacomo. A un tratto la mia attenzioneè stata richiamata da una voce squillante. Antonio avanzava con tutti gli altricolleghi che sembravano prodi condottieri, si pararono davanti a metogliendomi la visuale di Palazzo San Giacomo. Dopo tutti insieme, con farescherzoso, ci siamo avvicinati all’équipe di Scarp. Ma cosa ci facevamoalle 18.30 a piazza Municipio? Non dovevamo partecipare a una festa,oppure andare a teatro o al cinema per vedere un film. Ma fare qualcosadi diverso, di grandioso. Un evento insolito e irripetibile ci teneva uniti comeuna grande famiglia. Eravamo in attesa, come un papà che aspetta un figliofrutto del suo amore, come uno stormo di rondini che annuncianola primavera. Dovevamo incontrare il primo cittadino della città di Napoli:il sindaco Rosa Iervolino Russo.Intorno a un tavolo ovale, in una sala illuminata da grandi lampadari dicristallo, ci ha raccontato della sua infanzia, del dopoguerra, dei suoi genitoriAngelo e Maria che partecipavano alle riunioni dell’assemblea costituenteraggiungendo Roma in treno in un lungo viaggio. Ci ha raccontato che quandola Costituzione è stata approvata, per festeggiare lei e il fratello più piccolohanno avuto in premio un cono gelato.Ci ha spiegato tante cose, facendoci esempi semplici. Soprattutto ci ha dettoche la prima parte della Costituzione, dove sono scritti i diritti fondamentali,non può essere modificata, mentre la seconda parte, che riguardal’organizzazione della Repubblica, si può modificare, stando però attentia non dimenticare quanto è scritto nella prima parte.Ci ha parlato del clima in cui è nata la Costituzione: dopo una guerrache aveva portato lutti, miseria e mancanza di libertà, tutti in Italiadesideravano la pace, la giustizia, l’uguaglianza. Su questi desideri nacquela Costituzione. All’uscita il freddo mi aspettava e la sua presenza gelidami fece rabbrividire, ma quel pomeriggio trascorso in un luogo così importantelascerà in me un ricordo indelebile.Sergio GattoSoffermandosi sulla seconda partedella Carta, il sindaco si è detta favorevolealla riduzione del numero dei parlamentari.E ricordando che la secondaparte della Costituzione può essere modificata,ha raccomandato di vigilaresempre anche come semplici cittadini,affinché attraverso i cambiamenti dell’organizzazionedello stato non si intacchinoe non si svuotino di senso i dirittifondamentali. Poi un passaggio sul benecomune e sulla bellezza dell’impegnopolitico in nome della collettività, unprincipio «che agli albori della Repubblicaera molto sentito; oggi sembra essersismarrito con la prevalenza di interessipersonali». Ma non si deve generalizzare:«La politica è fatta di gente perbenee di mascalzoni. Chi decide èsempre il popolo, che è sovrano».Giudstizia e uguaglianzaCon parole semplici, il sindaco ha condivisocon noi principi importanti; noipiù modestamente abbiamo condivisocon lei il nostro lavoro, le nostre storie, ledifficoltà nel perseguire giustizia socialee uguaglianza, ma anche le nostrepiccole e grandi conquiste. «Scarp de’ tenise l’Asilo notturno per senza dimoraattivo da oltre un anno all’IstitutoSant’Antonio La Palma, grazie al sostegnodel comune di Napoli, sono esempiotangibile del nostro lavoro», ha conclusoDanilo Tuccillo, presidente dellacooperativa La Locomotiva, che gestiscei servizi..L’incontroLe lotte delle donne,è stato un bel ripassoÈ stata una bellissima sorpresa per me; tuttiinsieme indovinate dove siamo andati? Noi “disagiati”a Palazzo San Giacomo a incontrare il sindaco di Napoli,Rosa Russo Iervolino. Non lo nascondo: avevo il cuore chemi batteva, grandi sale, scale imponenti e poi la Sala Giunta,dove siamo stati ricevuti e dove c’erano la bandiera italiana,quella europea e quella gialla e rossa del comune di Napoli.Abbiamo aspettato pochi minuti e il sindaco è arrivata; iomi sentivo molto agitata ed emozionata, ma ascoltandolami sono sentita subito più tranquilla. In verità non avrei maicreduto di trovarmi di fronte a lei, una donna così importante,conosciuta, capace. Ci ha spiegato la Costituzione e per me,che a scuola non studiavo molto, è stato un bel ripasso.Ce l’ha spiegata con modi e parole semplici. I suoi genitoriche facevano parte del gruppo di persone che l’ha discussa32.<strong>scarp150</strong> aprile 2011e approvata, andavanoda Napoli a Romafacendo viaggi difficili.Era appena finita laguerra e non era comeadesso che i politici vanno in giro con auto blu e scorte. Eraproprio un’altra epoca, ad esempio le donne non potevanolavorare nelle stesse professioni degli uomini e lottavano perconquistare il diritto di votare.Dal suo racconto ho capito che Rosa Iervolino ha studiatomolto e si è molto impegnata nei suoi ruoli istituzionali permigliorare le condizioni di tutte le donne. Difficoltà chelei capisce benissimo, essendo rimasta vedova giovanissimae con tre figli da crescere. Per questo ha sempre credutoche una donna che lavora è una donna indipendentee questo è importante.Il tempo è volato e mi è sembrato poco, anche se siamo staticon lei quasi due ore: avrei voluto chiederle tante cose.Mi è rimasta la bella sensazione di aver vissuto, con tantoentusiasmo, una serata importante. Marianna Palma


<strong>scarp150</strong>l’augurioNel salterio 150 “lodi”. L’ultima: sinfonia di voci differenti innalzate a DioIl respiro di tutti i viventifinalmente fratelli nella gioiaNSalmo 150Lodate Dio nel suo santuario,lodatelonel suo maestoso firmamento.Lodatelo per le sue imprese,lodateloper la sua immensa grandezza.Lodatelo con il suono del corno,lodatelo con l’arpa e la cetra.Lodatelo con tamburelli e danze,lodatelo sulle corde e con i flauti.Lodatelo con cimbali sonori,lodatelo con cimbali squillanti.Ogni vivente dia lode al Signoreell’amore la preghiera è di casa. Ai nostri piccoli, appenahanno potuto parlare, abbiamo fatto capireche le cose non si prendono, si chiedono; e che nonsi chiedono esigendole, bensì domandandole indono «per favore», «per piacere». Con fatica abbiamoinsegnato loro anche a dire: «Grazie!»; oppure:«Che bello!», «Che buono!», «Che bravo!»; oa chiedere scusa. Tutto questo perché comprendesseroche la relazione di attenzione e di affettoche possiamo stabilire con gli altri è più importantedei beni materiali che riusciamo a conquistareda loro. Infatti, ciò che davvero in fondo desideriamoe che può riempire il nostro cuore nonè un possesso che ci lascia nella solitudine,ma il sentirci riconosciuti,considerati, apprezzati. Anche la nostrapreghiera con Dio dovrebbe essereun dialogo d’amore.La lode è la gioia di esprimerglilo stupore nel contemplarlo cosìgrande, così buono e perfetto; il ringraziamentoè il traboccare dellanostra gratitudine di fronte ai suoinumerosi e sconfinati doni; la supplicaè ammettere che abbiamo bisognodi lui e che confidiamo nellasua generosità di Padre; la richiestadi perdono è la tristezza di avermancato alla sua amicizia e la commozionedi fare nuovamente esperienza della sua pazienzamisericordiosa.Pregando impariamo a lasciarci amare e ad amare. Ilnostro cuore diventa di carne. Il nostro modo di vedere e disentire viene plasmato. Siamo liberati dalla tentazione dicredere che il male e la morte, in apparenza così forti e diffusi,siano per noi un destino inevitabile.Ma come assumere tutta la vita, con le sue a volte formidabilicontraddizioni, dentro questa luce di tenerezza e disperanza? La Bibbia ci aiuta mettendo nelle nostre mani ilsalterio, libro della preghiera di Israele e della Chiesa. Essoraccoglie 150 salmi, chiamati in ebraico “lodi”, sebbene moltisiano in realtà suppliche e lamenti, nei quali trovanoespressione tutte le sfumature di sentimenti di cui il cuoredell’uomo è capace.Il salterio è suddiviso in cinque libretti, ognuno dei qualisi conclude con una lode solenne. Il salmista desidera benedireil nome del Signore e invita tutte le voci di tutti i tempie di tutti i luoghi a unirsi a lui e a far risuonare una lodemagnifica e corale!Ripercorrendo le dossologie si vede come l’invito a lodareDio, che in un primo tempo era rivolto a «tuttoil popolo» (Sal 106,48), si estenda poi a «ognivivente [carne]» (Sal 145,21). La lode ambisce aoltrepassare i confini di Israele. Nell’Antico Testamentoil termine «carne» (basàr) indica la finitezzadel vivente, la sua debolezza: è tutto questoche l’orante vuole coinvolgere nella sua lode!Ma al paradosso di una fragilità, che pure èin grado di lodare Dio creatore andando oltre sestessa, manca ancora un ultimo passo.Ècosì che nell’invito viene alla finecoinvolto «ogni respiro»: «Ogni vivente(alla lettera: «ogni respiro») dialode al Signore. Alleluia!» (Sal 150,5).Poiché la carne è animata propriograzie al «respiro» donatole da Dio, ènel respiro che si vede in atto, già realizzata,la comunione con Dio e laparentela con ogni vivente. Il respiroè il ritmo, il tempo della vita. È l’esperienzavitale elementare e universale.Cogliere nel respiro insiemela gioia di vivere e la lode di Dio significapoter pensare la lode comequalcosa davvero possibile sempre ea tutti, finché c’è un alito in gola. Lodareè essenziale quanto respirare! E respirare è già lodare!Non appena il salmista constata questa elementare universalitàdella vita, può innalzare nel soffio del canto la lode alDio vivente e datore di vita: «Sia per sempre la gloria del Signore;/ gioisca il Signore delle sue opere. / Voglio cantare al Signorefinché ho vita, / cantare inni al mio Dio finché esisto. /Benedici il Signore, anima mia» (Sal 104,31.33.35b)!La solenne lode del salmo 150 è la grande dossologia finaleche chiude l’intera raccolta del salterio. Èun coro gioioso,anzi è sinfonia di un’orchestra di voci differenti innalzataal Dio vivo che riempie della sua presenza tutta la realtà.È un salmo che dà voce all’esultanza di tanti, diversi, eppure“accordati” strumenti. Ognuno ritrova nel ringraziamentola sua unicità, tutti co-spirano a magnificare la bellezzadel vivere, accordandosi nel grande respiro di Dio. Finalmentesorelle e fratelli, figli dell’unico Padre.Dionigi card. TettamanziArcivescovo di Milano - socio onorario di “Amici di Scarp”aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.33


<strong>scarp150</strong>Arrivano meno immigrati. Ed è la prima volta che accade da dieci annia questa parte. Al 1° luglio del 2010, infatti, la popolazione straniera provenienteda paesi a forte pressione migratoria in Lombardia era stimata in 1 milione 188mila persone, “solo” 18 mila in più rispetto al 1° luglio 2009 (quando, rispetto a unanno prima, si erano contate 110 mila presenze in più).Insomma: la curva degli arrivi non inverte la rotta. Ma cresce in modo molto,molto meno ripido che in passato. Il dato è emerso dal decimo rapporto dell’Osservatorioregionale per l’integrazione e la multietnicità (Orim), intitolato L’immigrazionein Lombardia: dinamiche e consolidamento. La Lombardia continua araccogliere circa un quarto dei presenti in Italia (stimati in 5,1 milioni), raggiunoraridi lavoro già ridotti vuol dire fargendo la quota di 12 stranieri ogni 100residenti. In provincia di Milano nel2010 sono stati censiti 424 mila immigrati(244 mila nel capoluogo), uno momento era contenuto, o in qualcheemergere un bisogno che fino a quelstraniero ogni 5-6 residenti. Dopo Milano,le province con più immigrati so-Già, perché se con uno stipendio dimodo tenuto sotto controllo».no Brescia (191 mila), Bergamo (137 600 euro al mese si riesce comunque amila), Varese (74 mila), Monza-Brianza pagarne 200 per un posto letto in un appartamento,diventa tutto più compli-(71 mila), Pavia e Mantova (62 mila),Como (49 mila), Cremona (47 mila), cato, se non impossibile, quando il reditoviene ridotto a 300-400 euro al me-Lecco (31 mila), Lodi (29 mila), Sondrio(9 mila). In calo anche gli irregolari, graziesoprattutto agli effetti della sanatose.Da qui l’aumento esponenziale delriacolf e badanti del settembre 2009: isoggetti senza titolo di soggiorno sonostimati in 113 mila (47 mila donne e 66mila uomini), ben 40,4 mila in meno (-26%) rispetto al 2009.milanoIn Lombardia, nel 2010, brusca frenata nell’arrivo dei migranti.Più disoccupazione e povertà: ma quasi nessuno torna a casaAttiriamo meno,ma pochi rinuncianoMilanoPirata e Vascello,traversate metropolitane:«Mai fermi, così si pensa»<strong>Torino</strong>Anno del volontariato,parla il direttoredella <strong>Caritas</strong> diocesanaGenovaAssociazione 3 Febbraio,la lotta quotidianaè costruire integrazioneVicenzaCarlo in strada di notte,come si accedeall’Albergo cittadino?RiminiNell’Albania remota,mica è facile studiareper i bambini di BaltojeFirenzeVita da rifugiati,la sfida di A. e M.alla burocrazia miopeNapoliIl vescovo Di Donna:«Cittadini attivi,speranza per la città»CataniaSui banchi da adulti,non è mai troppo tardiper puntare al diplomaPalermoI ragazzi della Vela grande,il gruppo-appartamentoche rimette in carreggiata34.<strong>scarp150</strong> aprile 2011di Ettore SuttiCrescita dei bisogniIl numero dei migranti cresce moltomeno velocemente. Viceversa, si impennanoi bisogni sociali. «La crisi haavuto e sta avendo una ricaduta significativa– racconta Pedro Di Iorio, responsabiledel Sai (Servizio accoglienzaimmigrati) di <strong>Caritas</strong> Ambrosiana –.Stiamo registrando una contrazionegenerale del reddito, dovuta alla riduzionedelle prestazioni lavorative richiestea molti stranieri che operanonei servizi (pulizie) o nel lavoro di cure(colf e badanti). Tagliare due o tre ore a


le richieste di piccolo sostegno economico(i 50-70 euro per l’affitto) o del pagamentodi utenze e bollette (luce, gas,spese telefoniche). Una situazionedrammatizzata anche dalla sanatoriaper colf e badanti del 2009.«Chi a luglio 2009 era irregolare –continua infatti Di Iorio – a settembre2010, in virtù della sanatoria, ha avutol’accesso alla regolarizzazione.Questo, però, halasciato del tutto insanatoi loro problemi sociali.Regolarizzazioni fittizie aparte, è accaduto spessoche a “garantire” sianostate famiglie in cui lapersona da curare è nelfrattempo deceduta oche sono state costrette,per colpa della crisi, a ridurrefortemente le oredi assistenza. Per cui ilmigrante non è più classificatocome clandestino,ma il suo bisogno direddito resta inalterato. I nuovi arrivinel nostro paese rientrano in tre categorie:quelli che accedono tramite decretoflussi (chi entra deve avere già unlavoro), tramite ricongiungimenti familiari(che non sono in calo) e i richiedentiasilo (i quali, data la situazionepolitica nel vicino Nordafrica, rischianodi aumentare notevolmente).Tranne gli ingressi per via dei decretiflussi, sono categorie di potenziale bisogno».<strong>scarp150</strong>milanoI datiTanti stranieri senza lavoro,quasi due su dieci in sofferenzaQuello che sta colpendo duro la popolazione straniera residentein Italia è la disoccupazione: il numero degli immigrati senza lavoro è salitodi 110 mila unità dal settembre 2008, attestandosi oggi a 265 milapersone. Il tasso di disoccupazione,che negli ultimi due anni è cresciutodel 3,1%, ha raggiunto l’11,4%,a fronte dell’8% degli italiani.Sono i dati della fondazione “LeoneMoressa” di Mestre, che avverte:“Lo stato di disoccupazioneprolungato rischia di far caderegli stranieri nell’irregolarità, poichéil lavoro è la condizione necessariaper il regolare soggiorno in Italia”.Disoccupati, in cassa integrazioneo in mobilità. Per colpa della crisi,quasi due lavoratori immigratisu dieci si trovano in situazionedi sofferenza occupazionale. E quantiriescono a trovare lavoro devonoaccontentarsi di mansioni poco qualificate. Secondo l’Orim i disoccupati,tra gli immigrati con età superiore ai 14 anni presenti in Lombardia, sonopassati dall’11,3% del 2009 al 13% della metà del 2010. Se poi calcoliamosolo la popolazione attiva, la percentuale supera il 16% (tre punti in piùrispetto al 2009). Sommando a questi valori quelli relativi alla componentein cassa integrazione o mobilità, raggiungiamo la quota del 15,3% (sulcomplesso della popolazione) e del 19,1% (sulla componente attiva).E.S.Pochissimi decidono di tornareIulian e Margareta vengono dalla Romania.Con loro, i due figli, di 8 e 4 anni.Iulian è un immigrato di lungo corso enon aveva mai avuto problemi a trovareimpiego. Dopo qualche anno di durolavoro era riuscito a portare in Italia mogliee figli e ad accendere un mutuo percomprarsi una casa. Per cinque anni èandato tutto bene, poi il crollo: la dittaper la quale lavorava ha chiuso. Lui perun po’ è riuscito a garantire alla famigliaun reddito decente e a pagare il mutuo.Poi più nulla.«Il caso di Iulian è, purtroppo, semprepiù frequente – racconta Di Iorio –non sono poche le persone che si rivolgonoa noi per situazioni del genere. Lerisorse del territorio, siano esse di entipubblici o del privato sociale, quasi maiconsentono di tamponare la situazione:ci si rassegna dunque a perdere tuttoquello che si era faticosamente costruito,per cercare di reinventarsi unasistemazione abitativa, anche in luoghidiversi, meno adeguati, di quelli in cuisi era vissuti finora. Nessuno però, e ribadisconessuno, nonostante le difficoltà,palesa l’idea di rientrare al paesed’origine. I bambini sono inseriti in unpercorso scolastico; la rete parentale,nel paese natio, esiste ma è vista ormaicome “lontana”; soprattutto, non si puòtornare da “sconfitti”, e neanche da“stranieri”. Neppure in situazioni moltopesanti, quelle in cui, addirittura, a causadella prolungata assenza di lavoro, sirischia l’irregolarità “di ritorno”, con tuttociò che essa può comportare sul pianolegale (si rischia l’espulsione, magaridopo anni passati tranquillamente inItalia) e psicologico (il disagio socialelegato all’incertezza del futuro è sempremolto elevato)».Insomma: la crisi frena gli arrivi edesaspera i bisogni. Ma c’è anche chi,<strong>scarp150</strong> aprile 2011.35


<strong>scarp150</strong>milanoproprio a causa di essa, accetta di tornarea casa, rinunciando al proprioprogetto migratorio. È la storia di Maria,che finalmente riesce a sorridere.Lei e la piccola Angelica potranno tornarea casa loro, in Perù, per riabbracciarela famiglia e abbandonare losquallido seminterrato umido in cuihanno vissuto finora. La donna, 29 anni,sola e immigrata da poco, ha accettatocon gioia la nascita della sua bimba,ma si è subito resa conto che il suoprogetto migratorio non avrebbe avutoalcun futuro. Dopo qualche mese si èrivolta al Sai, che grazie alla mediazionedell’Oim (Organizzazione mondialedelle migrazioni) ha potuto organizzareil rimpatrio assistito in Perù, garantendoleun’assistenza adeguata in loco.Pochissimi decidono di tornare«Si tratta di casi molto rari – spiega DiIorio –: poche unità a fronte delle oltre6-7 mila persone che incontriamo ognianno. Si tratta essenzialmente di donnecon minori a carico senza un supportoparentale o coniugale, con situazionedi vulnerabilità psicologica, cheMigranti tra noi: un terzo da più di 10 anni,tasso d’istruzione medio-alto per moltiMa da dove vengono e chi sono gli immigrati in Lombardia? La comunità piùampia viene dell’Europa dell’est (415 mila), seguono gli asiatici (278 milapresenze), i nordafricani (240 mila presenze) e i latinoamericani (153 mila).La popolazione immigrata presente in Lombardia vanta una discretaanzianità: circa il 30% dichiara di essere in Italia da più di dieci anni. Mail 17% dei migranti che oggi vivono in Lombardia è nato in Italia o è arrivatonel nostro paese prima di aver compiuto i 18 anni. Il tasso di istruzioneè medio-alto per il 62,2% delle donne immigrate e per il 51,6% degli uomini.Il reddito mensile medio delle famiglie immigrate si attesta sui 1.500 euro,di cui oltre il 70% è destinato all’acquisto di beni e servizi per la casa(affitto, mutuo, utenze). Le rimesse assorbono invece l’8% del redditocomplessivo (in media 131 euro) e riguardano il 51,3% dei familiari.hanno poche chance di inserimentonel contesto lavorativo e possono peròcontare su una rete parentale importantenel paese d’origine. Oppure dipersone sole adulte o molto adulte(over 50-60), che hanno tentato in etàavanzata il processo migratorio e che ilmercato del lavoro respinge. Piuttostoche rimanere qui in condizioni di gravedisagio, preferiscono tornare a casa».Bisogni in aumento e risorse che calano.L’Italia è meno attraente per glistranieri? Non del tutto. «Nonostante lariduzione delle risorse, la contrazionedel mercato del lavoro domestico e diquello di cura a ore e l’allentamento dellecapacità di collaborazione delnetwork etnico di riferimento – concludeDi Iorio –, quasi tutti mantengonoferma l’idea del proprio progetto migratorio».Si tira la cinghia, come fanno gliindigeni, in attesa di tempi migliori. .DAI IL TUO 5 X 1000PER LA CASAPER LA SALUTEPER IL LAVORO97331480158INSERISCI IL NOSTRO CODICE FISCALENELLA TUA DICHIARAZIONE DEI REDDITI EFIRMA PER NOIASSOCIAZIONE AMICI DI SCARP DE’ TENISIDEE E PROGETTI A FAVORE DEI SENZA DIMORA


In un libro della giornalista Dazzi, la storia “impossibile”tra un ragazzino peruviano e una figlia della Milano-beneLe apparenze contano,l’amore è senza colore<strong>scarp150</strong>milanodi Daniela PalumboZita Dazzi (nella foto) lavora come giornalista a Repubblica dal 1989: ilsuo lavoro da cronista rappresenta un osservatorio privilegiato per capire i cambiamentidella città dove è nata 45 anni fa. Ma senza la sensibilità con la quale Zitasi mette in ascolto del territorio, non sarebbe nata la storia che racconta nel suo ultimolibro: Il volo di Alice (edizioni Rizzoli), ispirato a una storia vera. «L’idea parteda un episodio di cronaca di cui mi sono occupata per il giornale – racconta ZitaDazzi –. Durante il periodo delle polemiche sulla legge anticlandestini, un giovaneperuviano rimase solo nella sua casa di Pavia per un paio di settimane, mentre lamadre tornava in patria per motivi familiari. Il ragazzo durante l’assenza della donnacominciò a stare male, ma non chiese aiuto e non accettò di andare in ospeda-le perché non aveva il permesso di soggiornorinnovato e aveva paura di esseredenunciato dai medici, come allora anche se superare leCerto che è possibile,si paventava. Quando la madre tornò, il barriere della diffidenzae del pregiudizioragazzo stava malissimo. Quella che erauna semplice appendicite era degeneratain una peritonite. A quel punto il ri-All’inizio di ogni storianon è sempre facile.covero non servì a bloccare la malattia. d’amore c’è l’incontroLuìs – a cui è ispirato il Jaime del romanzo– è stato in ospedale per quasi mai, i ragazzi stranierifra due persone. Or-un anno, subendo una ventina di interventichirurgici. Ma poi morì, quando il 30% degli alunni dellecostituiscono il 20-libro era in stampa».nostre scuole. Molti, ilIl Volo di Alice tocca il tema dell'integrazione,ma anche le differenze so-Fin da piccoli si mischiano con i coeta-25%, sono nati qua.ciali. Oggi a Milano è davvero possibileche due ragazzi che appartengo-avendo la cittadinanza formale. A voltenei italiani e si sentono italiani, pur nonno a mondi così diversi si innamorino?amori, le famiglie si conoscononascono amicizie anche forti, a volteattra-Le vite di Alice e Jaime non potrebbero essere più diverse.Quindicenni iscritti a un liceo classico milanese, Alice è figliadi una giornalista-intellettuale con la quale ha un pessimorapporto, mentre Jaime è figlio di un’immigrata peruviana,arrivata in Italia da clandestina e regolarizzata con difficoltà.Quando si innamorano, nessuno sembra disposto adaccettarlo: gli amici di lei la giudicano una pazza, lui subisce leritorsioni di un gruppo di bulli del suo quartiere. E ad aggravarela già difficile situazione, Alice viene anche molestata da unamico della madre, senza che questa si renda conto di nulla...Zita Dazzi, Il volo di alice (Rizzoli 2011, pagine 160, 11,50 euro)verso i figli. Ma certo, gli ostacoli cresconoman mano che i ragazzi diventanograndi. Se all’asilo i bambini nonfanno troppo caso alle differenze, dallemedie in avanti le cose diventano piùcomplicate. Le apparenze e le esterioritàcominciano a contare di più. Diventamolto frequente che i giovani diorigine straniera stiano solo fra di loro, eche gli italiani li rifiutino. Tutto questoproduce comportamenti ostili, a voltescontri, in generale indifferenza,mancanza di solidarietà.Eppure, è propriodall’incontro di singolepersone che possononascere nuove speranze.Jaime è stato picchiatoda ragazzi italiani dellaperiferia, dove il disagioè forte. Spesso i “cattivi”sono quelli che invecedovrebbero esserepiù solidali? Perché?Perché nelle periferie spesso si è incompetizione per gli stessi beni, comela casa, il lavoro, il posto all’asilo per i figli.Sono le persone più deprivate chevedono negli stranieri un potenziale rischio,perché quando le risorse mancanoper tutti, si scatena la guerra fra poveri.In queste situazioni sarebbe importantela presenza delle istituzioni neiterritori, come forza di mediazione deiconflitti, come agenzie educative checreino spazi di incontro e di reciprocaconoscenza. L’ultima cosa che serve insituazioni di tensione è alitare sui ventidi rivolta, militarizzando i quartieri. Piùeducatori, meno camionette di polizia,diceva il cardinale Tettamanzi pochimesi fa. Sottoscrivo..<strong>scarp150</strong> aprile 2011.37


<strong>scarp150</strong>l’altra milanoCon il fido cane Vascello si aggira in bici per le strade meneghinePirata nel mare di Milano«Mai stare fermi, meglio pensare»di Antonio VanzillottaDavanti VascelloIl Pirata lascia al suofidato cane l’onoredel primo pianoNTutto cambiò nella mia vitaquando scoprii di avere piratispagnoli tra gli antenati. Iniziaia tatuarmi, e cambiai identità38.<strong>scarp150</strong> aprile 2011EL GRANDE MARE DELLE VIE DI MILANO CI VIVE ANCHE UN PIRATA. A Porta Venezia tutti loconoscono, dato che, incurante di pioggia e freddo, frequenta abitualmente inegozi della zona. Per lui niente alcolici o tabacchi: solo cibo per sé e per il fido“Vascello”, cagnolino che non l’abbandona mai.Scovare un Pirata non è mai semplice. Ma un giorno, grazie alla complicità deidipendenti di un supermercato di via Melzo, finalmente lo incontriamo. È propriolui, il Pirata, dai molteplici tatuaggi: teschi e sciabole, soprattutto. Il nomevero non lo rivela a nessuno, «nemmeno sotto tortura», chiarisce. Ma otteniamola possibilità di accompagnarlo in uno dei suoi innumerevoli giri, in cui ama lasciarsiandare a battute taglienti e sagaci. «Sono nato alla fine degli anni Cinquanta– dichiara – e nella vita ho fatto di tutto. Poi un giorno la rivelazione: hoscoperto che i miei antenati materni discendevano da pirati spagnoli». Così, neiprimi anni Ottanta, inizia la metamorfosi: comincia a tatuarsi e a crearsi unanuova identità. Ci è riuscito così bene, che oggi è il Pirata. Per tutti. «Sono un pirataa tutti gli effetti – racconta –, lo capisci da come mi vesto e da come mi comporto,dalla bandiera nera sulla mia bicicletta, soprattutto da come penso e dacome mi muovo in città».Già, come si potrà mai muovere un pirata per le vie di Milano? Lui ci pensa sue, dopo una lunga pausa, ci confida: «Mai stare fermi. Mai. Sempre in movimento,per non dare punti di riferimento. Molti anni fa mi muovevo in bici tuttol’anno. Ma questo avveniva prima che arrivasse Vascello. Adesso giro soprattuttoa piedi. La bici la uso da metà aprile a metà ottobre. Vascello non è più ungiovanotto e in bici soffre il freddo molto più di me. Invece a primavera inoltratacon la brezza ci ritempriamo. Vascello lo adagio in un cesto dietro la bici e cispostiamo in questa metropoli, naturalmente a tappe; al bisogno, arriviamo a faredai 20 ai 30 chilometri al giorno. Sono un piratama non ho vizi. Quindi, nonostante l’età, riesco amacinare molti chilometri». Incuriositi, chiediamoil motivo di questi continui spostamenti. «Sono unospirito libero – chiarisce – il movimento mi serveper rilassarmi e pensare».Al Pirata, come a ogni girovago che si rispetti, piace cambiare aria. Attualmenteabita a Lorenteggio; ma non resterà lì a lungo. «Ogni 5-6 anni cambio casae quartiere – spiega –: non c’è buco o zona di Milano in cui non abbia vissuto.Ma quella che mi è rimasta nel cuore è via Padova. Un luogo stupendo».La conversazione si interrompe al passaggio di una signora impellicciata: «Signora,ma lei va in giro con un cane morto addosso e uno al guinzaglio?», esclama.Poi aggiunge sogghignando: «Meglio un amico cane che un cane come amico».Disponibile alle chiacchiere ma restio all’obbiettivo, preferisce far immortalareil fido Vascello in primo piano, ritagliandosi un ruolo marginale. «Prendimidi profilo, mi raccomando – conclude –. Meglio lasciare un alone di mistero...»..


<strong>scarp150</strong>testimoniSenza busta paga, niente tessera Asl. Ma senza tessera Asl, niente lavoroIl paradosso di Amir,la burocrazia sa essere cieca...di Generoso SimeoneUEntrato in Italia da regolare,si è trovato senza lavoro edè finito in strada. Un negoziodi kebab lo chiama. Ma l’Asl...www.casadellacarita.orgNA TESSERA SANITARIA. AMIR AVEVA BISOGNO SOLO DI UNA TESSERA SANITARIA. Ma all’Asl nongliel'hanno voluta dare. «Perché no? – chiedeva incredulo Amir – Io ho il permessodi soggiorno». «Non importa – ribatteva il funzionario – ci devi dimostrareche stai lavorando, facci vedere l’ultima busta paga». Amir non poteva portareuna busta paga perché non aveva uno stipendio. Però un lavoro l’aveva trovato.Gli mancava solo di firmare il contratto. Per farlo doveva sottoporsi agli esamimedici necessari a ottenere l’idoneità per lavorare in un locale che fa kebab. Esamiche si possono fare solo con la tessera sanitaria. E come mai Amir aveva unpermesso di soggiorno, ma non una tessera sanitaria né un contratto di lavoro?Questo dipende dalla sua storia. Particolare.La storia è cominciata nel 2006. Amir viveva in Egitto, ma sognava di venire inItalia. Per questo chiedeva a suo cugino Yusuf, titolare di una pizzeria a Milano,di poterlo raggiungere. Amir voleva aiutarlo e guadagnare qualche soldo per sé equalcosa da rispedire in Egitto ai famigliari. Nel 2006 ecco il decreto flussi. Yusufpensa sia un’ottima occasione per far arrivare Amir in Italia. Anche perché gli sarebbepiaciuto ingrandire la pizzeria e l’aiuto del cugino avrebbe potuto rivelarsiutile. Fu così che Yusuf fa una richiesta nominativa per l’assunzione del cugino.Sono tra quelli che seguono la procedura.Il nullaosta giunge nell’aprile 2009. Ma nel frattempole cose per Yusuf sono cambiate. Il localo lo haingrandito, ma per farlo si è indebitato con le personesbagliate. Inoltre, l’attività rende meno di quantosi aspettasse. A settembre 2009, Amir arriva a Milano,in aereo, con un regolare visto di ingresso. Ignarodei problemi del cugino, il quale gli comunica che non può più assumerlo. «Devorestituire il prestito e guadagno meno di prima», gli spiega Yusuf.Dopo qualche mese, chiamato in prefettura a completare l’iter burocraticoper regolarizzare la sua permanenza in Italia, Amir non può più esibire un contrattodi lavoro. Così gli viene concesso il permesso di soggiorno per “attesa occupazione”.Che dura sei mesi. Amir cerca un impiego, ma trova solo lavoretti innero. Finisce i risparmi, non può più pagare la quota per il posto letto. Cominciaa vivere in strada, alla fine lo accoglie la Casa della Carità, quando il permesso staper scadere. Con un colpo di fortuna, si riesce a trovargli un impiego nel locale dikebab. Dove gli farebbero un contratto di un anno. Ma deve sottoporsi ad analisimediche. Serve la tessera sanitaria.Quando ha riferito la risposta del funzionario, alla Casa della Carità gli hannodetto di stare tranquillo. L’articolo 34 del decreto legislativo 286/98 stabilisce cheai fini dell’iscrizione obbligatoria al servizio sanitario nazionale è sufficiente lamera titolarità del permesso di soggiorno. All’Asl non possono e non devono chiederealcuna busta paga. Ma questo Amir non lo sapeva. Per fortuna ha qualcunoche lo consiglia. Ma altri, in condizioni simili, che fine fanno? .<strong>scarp150</strong> aprile 2011.39


<strong>scarp150</strong>torinoIn occasione dell’Anno europeo dei volontari, intervistaal direttore della <strong>Caritas</strong> diocesana, Pierluigi Dovis«Volontariato,risorsa per tutti»<strong>Caritas</strong> è un organismo molto articolato,in cui il volontariato ha una funzionerilevante...La <strong>Caritas</strong> diocesana è un ufficio delladiocesi, che ha il compito di promuoverela carità, dunque anche il volontariato.<strong>Caritas</strong> conta su circa 50 volontariche prestano la loro opera in compiti disegretariato, di ascolto a “Le Due TunidiNemesiIl lungopercorsoverso il 2011Il 2011 è l’Annoeuropeo del volontariato,in cui la solidarietà e la nondiscriminazione saranno valoricentrali. In tutta Europa occorredare risposte concrete a quantiquotidianamente si adoperanoper far fronte a molte difficoltà.Il Consiglio d’Europa, neldocumento istitutivo dell’Anno,pubblicato sulla Gazzettaufficiale dell’Unione europeail 22 gennaio 2010, afferma che“il volontariato è una delledimensioni fondamentalidella cittadinanza attiva edella democrazia, nella qualeassumono forma concreta valorieuropei quali la solidarietàe la non discriminazione, ein tal senso contribuirà allosviluppo armonioso delle societàeuropee”.In Italia il cammino dell’Annoeuropeo era iniziato già nel2007, quando il gruppo di lavoro“Volontariato europeo einternazionale a confronto”(dell’Osservatorio nazionaleper il volontariato)ha cominciato il percorsodi costruzione del Pianonazionale Italia 2011.Aghios40.<strong>scarp150</strong> aprile 2011Il 2011 è l’Anno europeo del volontariato e la <strong>Caritas</strong> diocesana di <strong>Torino</strong>ha proposto, in occasione della 22ª Giornata <strong>Caritas</strong>, tenutasi il 2 aprile, un momentodi riflessione, approfondimento, condivisione e comunione nel convegnodiocesano “Vino nuovo in otri nuovi. Volontari: energia per il cantiere chiamato domani”.Si è trattato del quarto appuntamento di riflessione sul volontariato per lanostra <strong>Caritas</strong>. Questa volta con una motivazione in più, poiché siamo, appunto, nelcuore dell’Anno europeo. Il quale invita, tra le altre cose, a riflettere sulla relazionetra azione dei volontari e scenario di crisi, che accentua le povertà. Questo cosa significa,in concreto, per il volontariato torinese? Lo abbiamo chiesto al direttoredella <strong>Caritas</strong> diocesana, Pierluigi Dovis (nella foto), che ci è venuto a trovare a Scarp.Può illustrarci il suo avvicinamento almondo del volontariato?Mi sono avvicinato al mondo del volontariatonegli anni Ottanta, durante glistudi superiori e in seguito durantequelli universitari all’Università PontificiaSalesiana di Roma. Le mie primeesperienze sono state al carcere minoriledi Roma, poi con i minori a rischio inIrlanda (con un progetto internazionale).Sono tornato a <strong>Torino</strong> nel 1991 e hosvolto il servizio civile alla segreteria della<strong>Caritas</strong> diocesana e nel centro d’ascoltoper persone in difficoltà. Infinenell’ottobre 2000 sono stato nominatodirettore della <strong>Caritas</strong> diocesana dalcardinale Severino Poletto.Qual è la situazione attuale della <strong>Caritas</strong>?Quali sono i problemi che deveaffrontare? Quali i progetti?L’obiettivo principale della <strong>Caritas</strong> èsmuovere le comunità cristiane perchési diano da fare per aiutare i poveri: sensibilizzando(anche attraverso interventisui media), organizzando momentidi formazione, attraverso azioniconcrete rivolte ad alcune categorie. A<strong>Torino</strong> gestiamo due comunità d’accoglienzaper donne sole o con bambini, ilcentro d’ascolto “Le Due Tuniche”, ottoappartamenti destinati al reinserimentodei carcerati, il progetto “Goccia disperanza”, un fondo rotativo di solidarietàdestinato alle nuove fasce di povertàe coordiniamo il progetto Scarp de’tenis. Al centro d’ascolto nel 2010 le presenzesono state 600; di queste persone,500 non erano mai state incontrate prima.A gennaio 2011 si sono presentateben 170 persone, il che significa un aumentomolto significativo delle personein difficoltà.


Il soledell’alba(Pensieriper Yara)Per tutti il sole dell’albaarriva lo stesso.Come puoi indovinare chi sono io,chi è lui,quando la povertà colpisce lo stesso?Chi alza la voce per coprire tutti,si è fatto sentire,ha catturato l’attenzione.Invisibile sarai se non hai la vocee non lo potrai fare!Pochi si puliscono le maniprima di toccareil pane quotidiano.Guardiamo la terra:se vuole esserelavorata,non aspettareun altro giornosarà troppo tardi.Il pianeta si è ribellato.Poche personesi danno da fareper crescere i figli.Altre distruggono,rovinano di tutto,sono solo ombresulla terra.GheorgheMateciuc<strong>scarp150</strong>torinoLa storia«Quanto è faticoso non bere!Ma posso cambiare vita...»Dal 28 gennaio al 28 febbraio sono stato ricoverato alla clinicaFatebenefratelli di San Maurizio Canavese. Durante tutto questo meseci sono stati giorni migliori e giorni peggiori, sicuramente i primi due sonostati quelli più difficili. Appena arrivato ho fatto il colloquio di ingresso:mi hanno chiesto da dove venivo, cosa facevo e altre informazioni cheritenevano necessarie. Ho avuto un colloquio con l’assistente sociale,con la quale ho ripercorso il mio vissuto da quando sono arrivato a <strong>Torino</strong>.Poi sono stato chiamato in infermeria per un’iniezione, ho provato moltodolore e tanta paura. Mi hanno quindi accompagnato nella mia stanza.Dopo avere riposato sono andato in sala mensa, ero a disagio perché nonconoscevo ancora nessuno li dentro. Ho avuto la fortuna di sedere insiemea persone bravissime, con le quali ho parlato tutto il tempo. Alle 17.30 sonoandato a Messa per consacrare il primo giorno, per combattere le mie pauree perché non stavo tanto bene. Quando ho parlato con il Signore mi sonosubito ripreso. Il secondo giorno ero già più tranquillo, la terapia sembravadare i suoi frutti e la dottoressa che mi ha seguito si è dimostrata seriae capace, il rapporto medico-paziente si è consolidato giorno dopo giorno.Durante questo mese sono venuti a trovarmi Giacomina, Michele, Pieroe Giovanni. Quando li vedevo arrivare era tanta la felicità perché ero tantocontento di rivedere persone amiche. Inoltre loro mi hanno telefonavanoquasi tutti i giorni. Ho sentito spesso anche gli amici di Porta Nuova,che mi hanno sollevato con le loro chiamate, contribuendo a migliorareil mio umore. Sono entrato al Fatebenefratelli per disintossicarmi dall’alcol,non è stato facile resistere quando ero in clinica ma ancora di più orache sono uscito, perché vedo gli altri bere. Tuttavia ora che non sto bevendo(a parte litri e litri di gazzosa!) mi sento meglio. Durante il mese in clinicae anche dopo ho riflettuto molto. E ora so che posso inventarmi una nuovavita.Roberto Capuanoche” e nelle case di accoglienza. Unamassima che riassume lo spirito con cuivengono coinvolti i volontari è “Non faretu ciò che possono fare gli altri”. Daintendere come: “aiuta gli altri a faremeglio quello che sanno fare”.Il 2011 è l’Anno europeo del volontariato.Cosa si aspetta la <strong>Caritas</strong> torineseda questo evento?Ci si aspetta anzitutto che i volontarinon debbano abbandonare il loro impegnoa causa delle difficoltà esistentiin tempi di crisi. E che giovani e famigliescoprano che fare volontariato è un’occasioneper esprimere al meglio il proprioessere uomo o donna, impegnatinel costruire qualcosa. Ci si aspettainoltre che la politica non abbandoni ilvolontariato, non gli metta le manette,e scopra che non deve fare il supplentedell’inefficienza dello stato.Le associazioni di volontariato sonointerpellate dalle istituzioni o hannosolo il ruolo di arginare e limitare le situazionidi disagio?C’è sempre la tentazione da parte delleistituzioni di subordinare il volontariato.Occorrono nuove forme di collaborazione,basate sul rispetto reciproco. E laconsapevolezza del valore sociale dell’operadei volontari.Cosa fate per la preparazione e formazionedei volontari?Tutti i volontari fanno un cammino diformazione. Dato che le situazioni cambianovelocemente, per il futuro del volontariatoè necessario un aumento diqualità, di capacità di formare (da partedelle associazioni) e di formarsi, perpromuovere la dignità delle persone.Il lavoro in rete: a <strong>Torino</strong> si fa?Si lavora abbastanza in rete, ma dobbiamosuperare campanilismi. Il camminoè iniziato, il futuro sta nella collaborazione,ma occorre che ogni associazioneabbia chiara la propria identità.Il volontariato è anziano o anche giovane?L’età media è alta, dopotutto i giovanivivono in precarietà.Che cosa differenzia il volontariatocattolico da quello laico?Non è che uno sia migliore dell’altro. Ladifferenza sta nelle motivazioni che portanoad avvicinarsi alle persone e nel comesi vivono le relazioni: il volontariocattolico deve essere un amico..<strong>scarp150</strong> aprile 2011.41


<strong>scarp150</strong>genovaL’associazione “3 febbraio” lavora per favorire l’integrazionein città. Prove di convivenza, a Sant’Antimo e nel centroDomandadi accoglienzaNon solo lottaDovevo venire qui per una semplice intervistae invece mi trovo nel mezzo diuna grande festa, animata e variopinta.Eppure, nonostante il clima “caldo”e di allegra accoglienza, non mancanospunti di riflessione molto seri, i cuipunti di partenza sono la presentazionedel libro di Gianluca Petruzzo Nessunoè straniero, incentrato sull’esperienzadegli sgomberi di extracomunitari aSant’Antimo (in provincia di Napoli), ela messa in scena dello spettacolo Spremutad’arance, vitamina S, scritto e interpretatoda Arianna D’Ambrini e ispiratoai fatti di Rosarno.In realtà, l’incontro è soprattuttoun’occasione per riflettere insieme sulleidee di libertà, dignità e accoglienzadell’essere umano, ma anche per far conoscerel’associazione, portando unasperanza di aiuto a tutti i fratelli stranieriche possono trovarsi in condizione didifficoltà.«Lottare è importante, ma nonbasta – mette subito in chiaro GianlucaPetruzzo –. O meglio, bisogna concendiPaola Malaspina42.<strong>scarp150</strong> aprile 2011«Assaggia questo, è buono, è un piatto del mio paese», mi dice Moussa,indicando un piatto di yasa, pietanza tipica senegalese a base di riso, pollo e verdurepiccanti. Siamo nel salone della chiesa di San Siro, in pieno centro storico genovese,all’incontro promosso dall’associazione “3 Febbraio”, organizzazione presentea Genova, come in altre città d’Italia, per promuovere l’accoglienza e i diritti dellapopolazione extracomunitaria. Il nome dell’associazione è stato scelto a partire dalladata in cui – correva l’anno 1996 – decine di migliaia di immigrati si ritrovano aRoma a manifestare per il riconoscimento della loro dignità in Italia. Da allora, l’associazione“3 febbraio” – per tutti comunemente A3F – di strada ne ha fatta molta,cercando di raccogliere le istanze di tante persone come Moussa, alla ricerca di unavita migliore lontano dal paese in cuisono nate. Eppure, se guardiamo alcontesto in cui viviamo, la strada da faresembra ancora lunghissima; e propriosu questo gli amici di A3F voglionoriflettere nell’incontro di oggi.trarsi su un certo concetto di lotta, checonsiste nel promuovere la solidarietà el’amicizia tra popoli, cercando di superarele barriere di diffidenza dei paesiospitanti, come l’Italia». Ne è un esempioil caso degli extracomunitari diSant’Antimo, che, dopo gli sgomberi daparte del comune, hanno trovato unanuova sistemazione grazie alla solidarietàdella popolazione locale. E quindiè molto importante la presenza di associazioniin grado di aggregare le personeaccomunate dal problema dell’integrazione,in modo da non farle sentiresole e lasciarle abbandonate a un difficilepercorso di vita che, prima o poi,può sfociare nella scelta della violenza edella criminalità.Sono moltissime le testimonianzeche si possono citare in proposito: unasu tutte, quella di Moussa, appunto,che, dopo un soggiorno non troppo felicein Francia, ha deciso di venire a viverein Italia, a Genova. «Trasferirsi in unpaese che non conosci e con pochimezzi – spiega – è molto difficile. Cosìdifficile che non so se ci sarei riuscito senon avessi incontrato gli amici di A3F;loro mi hanno offerto ascolto, aiuto econsiglio per costruire un percorso divita dignitoso. Ma soprattutto, non mihanno mai fatto sentire solo».


Taranga, ovvero accoglienzaC’è un filo sottile che lega l’esperienzadi Sant’Antimo con quella degli extracomunitarinel centro storico genovese.In entrambi i casi, si lavora per costruire,al di là dello scarso aiuto dato dalleistituzioni, un rapporto di convivenzacivile e solidale tra la popolazione di originee quella straniera. «Lavorare conpersone straniere – spiega Mauro, coordinatoredel nucleo genovese di A3F –significa misurarsi con molti compiti diversi:portare aiuto materiale, consulenzalegale, sostegno nei difficilissimirapporti con la burocrazia. Ma al di là ditutto, c’è un’idea di base: il problemanon è la fame, non è il documento, mala mancanza di accoglienza».Lo racconta anche Gianluca Petruzzo:«Il dramma maggiore per un extracomunitarioin Italia è aver intrapresoun difficilissimo viaggio lontano da casaper “non” essere accolto». E proprioper questo, A3F sta lavorando a Genovaalla costruzione di nuovi rapporti di solidarietàcon gli abitanti del centro sto-« Il drammamaggioreper unostranieroin Italia è il“non” essereaccolto,dopo unviaggioche mettea repentagliola vita»rico: l’anno scorso, scendendo “in campo”in via Pré, epicentro della convivenzainteretnica nel capoluogo ligure,hanno promosso l’iniziativa “Via Pré Teranga”(“Via Pré accogliente” in linguawolof, idioma senegalese), una grandefesta di piazza aperta a tutti, stranieri enon. E in una recente “Lettera aperta”scrivono: «Abbiamo percorso migliaiadi chilometri per cercare una vita miglioree crediamo che solo superando ledivisioni, gli egoismi sociali e unendociper il bene di tutti si possa costruire veramenteun centro storico più vivibile esicuro».Passato dimenticatoDi fatto, la politica e le istituzioni oggisembrano dare e garantire spazio soloal mercato, non al concetto di umanità.Gli stranieri sono accolti solo e nella misurain cui sono utili come forza lavoro;anche questo nuovo “antirazzismo” utilitaristasembra un ostacolo alla costruzionedi un nuovo assetto sociale interetnicopiù giusto rispetto al passato.Inoltre, le possibilità di integrazionesembrano lasciare poco spazio al riconoscimentodelle singole identità, dellespecificità culturali, religiose, linguistiche.Eppure, c’è in tutto questo meccanismouna sorta di conto che non torna.A un certo punto del suo monologo,Arianna D’Ambrini, con la sua bella voce,esclama: «Ma se ci penso» – Ma seghe pensu, nel nostro dialetto – e inizia acantare la strofa dell’omonima canzone:la storia è quella di un emigrato genovesein Sud America, che, colpito dallanostalgia di casa, decide di tentareuno sfortunato viaggio di ritorno.Ecco, la facilità con cui abbiamo dimenticatoil nostro recente passato diemigranti, di stranieri, di popoli non accoltiè il vero conto che non torna, inquesta storia. A noi nel presente e a chiverrà nel prossimo futuro è affidato ilcompito urgente di pareggiarlo; e sappiamogià di poterlo fare non da soli, manecessariamente insieme a questi fratelliche oggi ci chiedono aiuto. .<strong>scarp150</strong>genovaDiritti e integrazioneUn’incontro nella sede genovesedell’Associazione 3 FebbraioApprodoSulla barcaBuio intorno,Alzo la mano,Lui c’è.L’ Italia è una spiaggia,Ora sarà facile,Ora sarà facile.Nigeria lontana,Mi hanno bloccata.Non riescoa mangiare,Sono bloccata.Alzo di nuovola mano,Ho trovatoil Pane,La mia vitasi è alzata!Mercy<strong>scarp150</strong> aprile 2011.43


<strong>scarp150</strong>vicenzaL’accesso all’Albergo cittadino è legato alla residenza. Chi vieneda fuori deve sostenere un colloquio. Non tutti lo accettano...Dormire in stradaquestione di regoledi Cristina SalviatiIl RispettoSiamo circondatida tanta indifferenza,da tanta gente fredda,da tanti che se ne fregano…Hai mai pensato qualche voltache uno sconosciutopotrebbe diventareun amico?Non c’è rispettoper i poveri.Che vivono peggio di noi.Se non sei statoal loro postonon li potraimai rispettare.Anche se diciche sei bravo.E ti consideriintelligente…Non stareindifferenteSergiu NicolaAnotonoaea44.<strong>scarp150</strong> aprile 2011Un giovane rumeno ha avvisato la redazione di ScarpVicenza del fattoche un ragazzo italiano veniva lasciato a dormire in strada nel centro della città. Ilfatto lo inquietava particolarmente. «Se fossi nel mio paese e mi trattassero così –ha commentato Sergiu, il giovane rumeno –, sarei doppiamente avvilito».L’episodio ci ha dato lo spunto per intervistare il responsabile dell’Albergo cittadinodi Vicenza, Francesco Pilli, della cooperativa sociale Cosep di Padova, cheda pochi mesi ha rilevato la gestione della struttura comunale. Con lui abbiamo ripassatole regole che l’ente locale ha stabilito per l’accoglienza. Siamo arrivati dalui con in gola la nostra domada-nucleo:perché gli italiani sembrano nonavere priorità, nell’accesso all’Albergo?«Il criterio primario – ha risposto FrancescoPilli – non è quello della nazionalitào della nascita, bensì quello della residenza».Nella fattispecie il giovane italianosegnalatoci, Carlo (nome di fantasia),è veneziano, non ha la residenza aVicenza: «È stato trasferito qui da noidalla <strong>Caritas</strong> durante l’alluvione di novembre,quando la sede di Casa SanMartino è finita sott’acqua – ha spiegatoil responsabile –. SuccessivamenteCarlo è rientrato da noi per un’accoglienzadi emergenza, visto che era invernoe faceva molto freddo. Poi, passaticirca dieci giorni, per regola non potevapiù restare, a meno che non avessimoattivato un progetto che prevedessel’intervento del suo comune di residenza,Venezia».Senza colloquio finisci per stradaSe Carlo fosse andato a colloquio con glioperatori dell’Albergo cittadino e conl’assistente sociale si sarebbe avviato uniter che probabilmente avrebbe datocome risultato la sua accoglienza. Inveceha scelto altrimenti, non si è presentatoe ora si trova a dover dormire instrada: per una prassi, per un’insindacabileregola comunale. È sorta spontanea,così, una seconda domanda: ciprendiamo davvero cura dei senza di-mora? «Sì, compatibilmente con le risorseche abbiamo, e che purtroppo sonosempre meno – ha dichiarato FrancescoPilli –. Ma il problema a volte è anchedi un altro tipo: ci sono persone chescelgono di non farsi “seguire”, e di frontea questa presa di posizione noi nonabbiamo potere, non possiamo certoobbligare nessuno».Il problema della residenza negataai senza dimora torna dunque con tuttala sua sconcertante drammaticità. «Eva ricordato – ha aggiunto Pilli – che seuna persona fallisce progettualmentepiù volte nel suo territorio di residenzasarà molto più difficile creare un percorsoproprio lì. I senza dimora tendonoa spostarsi, a cambiare città, e si ritrovanosenza diritti». Eppure, secondola legge italiana basterebbe dichiarare diabitare su una panchina al parco perfarsi registrare come residenti... «Ma larealtà – chiarisce Fracesco – è ben diversae i comuni non accettano facilmentenuovi cittadini problematici. Equesto non è il caso solo di Vicenza,succede così un po’ dappertutto».Ancora troppi i tempi da riempireIn mezzo a questo quadro non proprioconfortante la nostra visita all’Albergocittadino ci ha però fatto scoprire qualcosadi nuovo: anche su Scarp, esattamenteun anno fa, avevamo raccontato


che gli ospiti manifestavano il desideriodi gestire gli spazi morti, il tempo libero.Un problema che era stato sollevato piùvolte e aveva portato a scrivere una letteraall’assessore Giovanni Giuliari, cheaveva poi richiesto esplicitamente, nelbando per affidare la nuova gestionedella struttura, progetti di attività e intrattenimento,dimostrando sensibilitàal problema. «Stiamo cominciando amettere in piedi una biblioteca – ha raccontatoin proposito Pilli –, a creare spaziin cui gli ospiti possano usare il computer,in cui possano essere aiutati ascrivere un curriculum vitae, a iniziareun percorso per l’accesso al mondo dellavoro». Queste iniziative sono assegnatea tre operatrici sociali.Senza colloquio finisci per stradaAccanto ad alcuni limiti burocratici,emerge dunque la sincera volontà, daparte della nuova gestione dell’Albergo,di aiutare chi è in difficoltà, soprattuttoattraverso nuove iniziative, volte a crearepercorsi individuali sia per l’accessoal lavoro, sia per irrobustire la rete di relazionidegli ospiti. Atteggiamento cheovviamente incrementa l’autostima e ladignità delle persone coinvolte. Certo,c’è da augurarsi che la burocrazia trovi ilcoraggio di ammorbidirsi, proprio confrontandosicon questo spirito di umanità.Le regole sono necessarie per ilbuon funzionamento di centri e strutture,ma vanno pensate per favorire lepersone e diminuire il disagio, che cambianel tempo le sue forme. Per questo iregolamenti comunali andrebbero rivistipiù spesso. .<strong>scarp150</strong>vicenzaIl raccontoIn psichiatria per la cannabisDroghe leggere? No, bugiardeSi dice, forse più per abitudine che per reale conoscenza dellasostanza, che i cannabinoidi siano droghe “leggere”. Bisogna in effettivedere con che spirito si affronta la questione: di certo si può solo asserireche tali droghe non portano alla morte o a gravi malattie fisiche.Questa è ovviamente una forte discriminante che le differenzia da tuttele altre droghe. Ma non siamo fatti di solo corpo, e il benessere è un lungocontinuum tra vita e morte. Lo stesso vale per il malessere. Porrei cannabinoidi nel punto corretto di questo continuum è difficile, perchébisogna tirare in ballo la psiche, un ambito ben più complesso del corpo.Restando al campo della psiche, mi sento allora di dire che i cannabinoidinon sono affatto droghe leggere, anzi sono sostanze che stimolanoil cervello e lo attivano fino a portarlo al parossismo. Giocano sul tonodell’umore alzandolo per poi abbassarlo di colpo, creano sopore, ma,per contro, alla lunga portano invece all’insonnia. Soprattutto, promettonoserenità, e invece molto spesso ti danno inquietudine, panico, ansia.Sono droghe bugiarde, pericolosissime. Si portano via brandelli di memoriaa ogni “fumata”. Possono far esplodere psicosi latenti e catapultareventenni in psichiatria. Ho conosciuto Giorgio che, dopo due settimanedi uso di cannabis, si era convinto di avere l’Aids. Mi ha telefonato in predaal terrore, una vera e propria paranoia. Quella volta ho cercatodi rassicurarlo, ma dopo due giorni ho scoperto che era stato ricoveratoal servizio psichiatrico. Da quel momento Giorgio non è più statolo stesso. Anche a Riki è andata male: fumava parecchio, non proprio tuttii giorni, ma quasi. Dopo qualche mese gli è esploso un disturbo schizoidea causa del quale era convinto di poter comunicare mentalmente conCarlos Castaneda. E che dire di Roby, che fumava per non piangere, e dopola terza boccata si ritrovava in lacrime su una panchina? O di Dado, chesi sentiva costantemente inseguito dalla polizia? Saranno anche “leggere”,’ste droghe, ma nella mia esperienza vi posso dire che il rischio intrinsecoè davvero molto pesante. Ti illudono, credi di poter ingigantire la tua vistainteriore, e invece te la opacizzano, te la distorcono. Creano paranoie e fobiecliniche. La cannabis non uccide? Sì, dico io, uccide qualcosa che a mioavviso è più importante dei nostri polmoni: uccide la nostra anima.Chiara LambroccoRifugio notturnoLa sede dell’Albergo cittadinodi Vicenza: la strutturadel comune per l’accoglienzadei senza dimora è oggigestita da Cosep,una cooperativa padovana<strong>scarp150</strong> aprile 2011.45


<strong>scarp150</strong>riminiUn villaggio nel nord dell’Albania. Dove i bambini devono farei conti con arretratezze e violenze. Ma un centro diurno li aiutaMica facilestudiare a Beltojadi Letizia RossiUn’anziana signora, seduta sul marciapiede, vicino a un’enorme pozzanghera.Davanti a lei una cassa della frutta rovesciata, che regge poche uova digallina, un bottiglione di plastica con l’olio di oliva, due piccole bottiglie di latte. Pocopiù in là una semplice bilancia, con due piatti e i pesi. Questa ancora oggi è l’Albania.E in particolare Scutari, città del nord, roccaforte cattolica e terra di martiriodurante il regime di Enver Hoxha nella seconda metà del Novecento.A sette chilometri da qui, in un villaggio rurale ai piedi delle montagne del Nord,ho trascorso un’intera settimana. Tante le domande degli amici, tante le domandeanche dentro di me. Ero a centinaia di chilometri da casa, bambini e ragazzinon parlavano la mia lingua, non avevo comodità, eppure non mi sono sentitastraniera o a disagio – neanche per unmomento. E per una settimana ho condivisola quotidianità di una comunità la messa, celebrata da don Silvio, altroLa giornata a Beltoja comincia conspeciale. Anzi, una famiglia: questo è membro della missione. Poi si inizia aper molti bambini e ragazzi dai 3 ai 17 cucinare. I bambini arrivano al mattino.anni il centro diurno del villaggio di Beltoja.Vi operano, instancabili, due Sorel-sulle spalle, prima di mezzogiorno, re-Si fanno vivi sorridendo con lo zainettole Operaie del santo Vangelo di Lodi insiemea Violeta, immigrata qualche anlaggiospesso le lezioni sono già termiducidalla mattinata scolastica. Nel vilnofa in Italia per lavoro, ma che ha decisodi tornare nella sua terra per servire elementari e alle medie. Se un profesnatea metà mattina, all’asilo come allela sua comunità.sore manca, niente sostituzioni, ma tut-ti a casa, anche se sono soltanto le 11.Molti di loro non sanno né leggerené scrivere. Alcuni professori, infatti,passano le loro ore di insegnamento albar, tra un bicchiere di vino e una bottigliadi grappa. Al rientro in classe cosapossono insegnare ai loro allievi? A turno,i ragazzi sorvegliano il cancello dellascuola perché non c’è un vero e proprioguardiano. Tutti possono entrare euscire. Così, appena i bambini arrivanoal centro diurno, Violeta li accoglie e lisegue, affinché continuino a studiare e afare i compiti, in un clima sereno e dipace. Alle 12.30 un pasto caldo è assicurato.Tutti si siedono a tavola: in totale,ogni giorno, sono circa cento. Per moltidi loro, sarà l’unico pasto vero dellagiornata.Le loro famiglie, infatti, vivono in caseche, spesso, sono vere e proprie baracchericoperte di lamiera. Il più dellevolte non solo manca il cibo, ma anchel’acqua, la corrente e il riscaldamento. IProfessori al barUna veduta del villaggiodi Beltoja, pochi chilometrida Scutari, nel norddell’Albania. Sopra,alcuni piccoli frequentatoridel centro diurno46.<strong>scarp150</strong> aprile 2011


« Il Kanun fissain manierarigorosail dirittodi vendicarel’uccisionedel propriofamiliare,colpendo finoal terzo grado iparenti maschidell’assassino.Adempierealla vendettaè consideratoun obbligo,penail disprezzoda parte della»collettivitàsoldi non ci sono, nemmeno per le necessitàprimarie.Disoccupazione. E non soloLa disoccupazione è uno dei maggioriproblemi dell’Albania, soprattutto neivillaggi rurali e montani. Ma le difficoltàsono anche altre: a Beltoja una recentealluvione ha portato via ogni bene a circa200 nuclei familiari. Una famiglia hadovuto vendere il proprio terreno – unicafonte di sostentamento – per assicurarele cure mediche a un figlio malatodi tumore; una bambina da anni nonpuò abbracciare la madre e la sorellamaggiore, immigrate in Italia, ed è rimastaal villaggio con il padre alcolista.I problemi, in effetti, non sono solodi ordine economico. Affetto, rispetto,dignità: molti bambini non sanno nemmenocosa significhino queste parole.Cosa dire a un piccolo di 4 anni che dadue vive senza padre, morto perché èstato colpito in pieno da un fulmine all’internodella sua abitazione? Come sostenereuna ragazza che, a causa del suodisagio psichico, non è accettata nemmenodai propri genitori, e che per an-ni non è potuta uscire di casa? Comemanifestare vicinanza a una donna cheviene picchiata ogni giorno perché ilmarito è ubriaco e che vive l’incubo diun matrimonio che non ha scelto, mache le è stato imposto da altri?Comanda ancora il KanunIn Albania vige ancora il Kanun; un anticocodice non scritto, ma che è consuetudinein molti villaggi del Nord. Trale regole, questa legge prevede la “vendettadi sangue”, prassi antichissima, diorigine illirica. Essa fissa in maniera rigorosail diritto di vendicare l’uccisionedel proprio familiare, colpendo fino alterzo grado i parenti maschi dell’assassino.Adempiere alla vendetta è consideratoun obbligo, pena il disprezzo daparte della collettività. Il perdono daparte dei parenti offesi è previsto e regolatoda uno specifico rituale.Anche questa è la realtà del villaggiodi Beltoja. La realtà dove ogni giornoVioleta, le suore e don Silvio, vivono laloro missione. Provando a diffondere trai piccoli logiche diverse: di solidarietà econvivenza. Logiche che passano ancheattraverso piccoli gesti. E così nel pomeriggiosi fanno i compiti, oppure sigioca tutti insieme. I più piccoli fannoesercizi per prepararsi a entrare nellascuola statale, i grandi si preparano peril giorno successivo. La domenica sipartecipa insieme alla messa, il sabatoal catechismo. Di tanto in tanto si fannogite, in estate il campeggio.Settimana insiemePer nove ragazze di Beltoja, il centrodiurno è famiglia non solo durante ilgiorno, ma per sei giorni alla settimana.Dalla domenica al venerdì sera sonoospiti della casa di accoglienza. Mancanzadi nutrimento, violenza domestica,estrema povertà, assenza di affetto,carenza educativa: a queste condizioniprovano a sottrarle le Sorelle Operaiedel Santo Vangelo. Durante la settimanale ragazze usufruiscono di vitto e alloggio.La mattina vanno a scuola, il pomeriggiostudiano insieme, come veresorelle. Condividono i pasti a pranzo ea cena, ognuna nella casa ha un compito:insieme si apparecchia la tavola, insiemesi asciugano i piatti. Insieme sipuliscono gli ambienti, insieme si lavanogli indumenti. Insieme si fa festa perun bel voto preso a scuola, insieme si<strong>scarp150</strong>riminigioisce per una torta di compleanno.L’impegno in casa e i piccoli lavorifatti a mano sono i capisaldi del progettoeducativo. Alla fine del mese, per ilservizio prestato, le ragazze ricevono alcunilek (moneta albanese), allo scopodi educarle al valore del lavoro e del denaro.Per ogni ragazza della casa, comeper ogni bambino della comunità che èpreso in carico, è stabilito un progettopersonalizzato, con specifici obiettivi finalizzatia migliorare la situazione personalee famigliare. Un lavoro possibilegrazie alle donazioni di associazioni e diprivati e all’impegno di persone di buonavolontà, che tramite il loro sostegnoe il loro affetto aiutano questa comunitàattraverso l’adozione a distanza. .Quandola povertàcolpisce tuttilo stessoDimentichiamo sempre che siamo nati,cresciuti e protetti dal primo giornoda una donna.Che siamo cresciuti in amore.L’odio distrugge il bene fattodagli altri.Il sacrificio che fa una donnaper crescere il suo bimbonon è facile da immaginare.L’essere umanonon è ermafrodita,la vita è fatta per esserevissuta in due.Questa è la natura,così siamo stati creati.Cosi ci ha creato Dio.E dobbiamo rispettare,di vivere in amore.Ragazzi,dobbiamotrovare un giornoper offrire almenoun fiore a una donna,ringraziarlaper tutti quei momentivissuti insiemee per quanti no.Gheorghè Mateciuc<strong>scarp150</strong> aprile 2011.47


<strong>scarp150</strong>firenzeDue richiedenti asilo somali, alle prese con i laboriosi ritidella burocrazia italiana. Ma l’hanno presa come una sfida...M. che vuoleimparare l’italiano« Ciò checonserveròdi questastoria,sono quelleparole:“Adessoimparol’italiano”.Le hapronunciatecon gioia M.,appena hariacquistatobuona partedell’uditoe ricevetteun dizionario»testimonianza di Elena Carletti raccolta da Mario AgostinoA 150 anni dalla propria nascita, l’Italia s’interroga ancora su come affrontareil tema dell’integrazione delle persone straniere, su come provare a conciliarepossibilità di accoglienza e opportunità di lavoro. Abbiamo raccolto una delletante storie di integrazione difficile, grazie all’esperienza di chi (Elena Carletti, operatricedel centro d’ascolto <strong>Caritas</strong>) si confronta ogni giorno parabole di vita che,nella loro ricerca di riscatto e speranza, pongono pressanti interrogativi al nostropaese.* * *Ho conosciuto M. e A. nel novembre del 2010 al centro d’ascolto degli stranieriaperto da <strong>Caritas</strong> in via Faentina. M. è un ragazzo somalo che, a causa della difficilesituazione che ha vissuto nel suopaese d’origine, ha riportato un gravedeficit all’udito, che lo ha fatto diventaresordo, e una frattura alla mano destramal rinsaldata, che gli impedisce diusarla con facilità. Durante gli scontriin Somalia, un militare lo colpì con il fucilevicino all’orecchio e da quel momentoperse gran parte dell’udito. Oggivive in una struttura di accoglienzainvernale gestita dalla <strong>Caritas</strong> diocesana,mangia alle mense della stessa <strong>Caritas</strong>.È impossibile comunicare con luisenza traduttore: non capisce né il labialeitaliano né quello inglese, né tan-tomeno alcuna delle due lingue scritte,mentre comprende solo il labialesomalo. A. è un suo connazionale, chevolontariamente ha assunto il ruolo diprezioso interprete a favore di M. Danovembre, lo accompagna costantementealle varie visite e appuntamenti,rendendo i rapporti con M. più proficuie semplici.Fuggiti entrambi da un paese inguerra e giunti in Italia alla fine del2007, i due giovani somali hanno unpermesso per protezione sussidiaria esono disoccupati. Il centro di ascolto48.<strong>scarp150</strong> aprile 2011


stranieri ha fissato con loro alcuniobiettivi. Inizialmente, ci si è propostidi fornire a M. strumenti di integrazionispecifici per la sua condizione dinon udente e invalido non riconosciuto.Al Centro di riabilitazione ortofonica(Cro) di Firenze si cominciato con ildelineare il suo problema sul piano diagnostico;di conseguenza, si è messo apunto l’iter assistenziale e medico daseguire per ottenere due protesi acustichee il riconoscimento dell’invalidità.M. è stata la prima persona che hoavuto modo di seguire in maniera approfonditacome operatrice del centrodi ascolto stranieri. In un primo periodo,il percorso da affrontare mi sembravalungo e complesso, dubitavo dellemie capacità di gestirlo. Ma fissati benegli obiettivi da raggiungere, ho decisodi affrontare un passo dopo l’altro. Icolloqui con M. ed A. si sono ben prestorivelati momenti piacevoli, in cui hoavuto l’opportunità di conoscere meglioi due ragazzi e affezionarmi a loro.Inoltre, i piccoli traguardi raggiuntihanno progressivamente reso più forte,determinata e sicura anche me.PrimaveraFresche voci di campanerisuonanonel cielo vestito a festa.Veste di festa anche per il borgo;la chiesa in cima al collepare d’oro puro.Ogni finestra un fiore,voli di rondini nel Sole,sorriso di peschie biancheggiar di mandorli.Azzurro il cielo sul maredi terra verdeggiante.Splende come zaffiroil fiumeche appare e spariscenella valle.Nel lieto borgouna bimba affacciail bianco visoalla finestra, e ride:è Primavera!Mary<strong>scarp150</strong>firenzeOra M. ci sente per davveroDopo cinque mesi di percorso, dobbiamoancora far sì che a M. sia riconosciutal’invalidità alla mano, ma siamoriusciti ad ottenere gli apparecchi acustici!In un primo momento la contentezzaper l’obiettivo raggiunto era stataoscurata dal fatto che l’applicazionedegli ausili dava molto fastidio a M.(sentiva fischi acuti e rumori forti…). Ilsenso di fallimento e di delusione erastato grande, insieme alla paura chequalcosa fosse andato storto e ci fossimoillusi con una soluzione non adattaa lui. Fortunatamente gli apparecchiavevano solo bisogno di essere collaudatie adesso M. ha riacquistato buonaparte dell’udito. Quando ho avuto confermadella piacevole notizia, ho provatouna forte gioia e soddisfazione: M.era entusiasta e lo era anche grazie almio contributo.Sono davvero felice per lui, un grossolimite alla sua integrazione è statoabbattuto: con gli ausili lo studio dellanostra lingua sarà molto più facile efruttuoso. Prima di ciò era A. a spiegarea M. la corretta pronuncia, attraverso illabiale, durante il corso di italiano: unacosa complicatissima. Subito dopol’acquisizione degli ausili, hanno richiestoun vocabolario somalo-italianoper compiere il passo più indicativodella volontà di integrarsi: appropriarsidella lingua del nostro paese. Intanto,abbiamo provato a far ottenere la residenzaa Firenze per entrambi: M. e A.hanno preso coscienza di potere e doverefar valere i loro diritti di rifugiati. Ilpercorso da fare è ancora molto lungo,ma sono sicura che camminando, passodopo passo, riusciremo a raggiungerele mete che ci siamo prefissi.Il lungo iter per l’invaliditàPer quanto riguarda l’invalidità di M.,ora aspettiamo di potere effettuare lavisita medica al centro traumatologicoortopedico, che ha un lista d’attesa lunghissima,di circa sei mesi. M. fece unaprima visita alla mano all’Asl, dove glisuggerirono di andare al Cto. Poi, nell’ottobre2009, andò dal medico generico,il quale gli riconobbe il diritto diavanzare la richiesta di invalidità, mascrisse, probabilmente per mancanzadi chiarezza da parte di M. nel raccontodel trauma subito, di un problemaalla mano dovuto al coinvolgimento inscontri a fuoco. Il problema è che terminicome “lesioni dovute a conflitti armati”sottraggono il caso alla competenzadella commissione in grado di riconoscerel’invalidità civile; così la praticaè stata indirizzata verso l’invaliditàdi guerra, che però può essere richiestada italiani, non da stranieri. Se nel testotrascritto si fosse correttamente scrittoche la vittima non era un militare, maun civile rimasto coinvolto negli scontriarmati, sarebbe stato possibile ottenereil riconoscimento di invalidità anchealla mano. Invece la commissioneha considerato come inattuabile la richiestadel medico generico.Allora per M. si è cambiatra strategia:si è presentata una domanda d’iscrizioneal progetto “Prov-Integra”, chedovrebbe dare ai due somali la possibilitàdi usufruire di un corso d’italiano edi ore di formazione professionale, permestieri come la falegnameria, più unostage di due mesi in un’azienda, cheprevede anche un rimborso spese.«Ciò che conserverò di questa storia,in particolare – ha dichiarato la miacollega Elsa Dini, responsabile del centrod’ascolto della <strong>Caritas</strong> – è quel“adesso imparo l’italiano” pronunciatocon indescrivibile gioia da M. appenariacquistata buona parte dell’udito,quando ricevette il dizionario». Forse èun po’ poco, in attesa che la tortuosa vicendapèossa approdare ad altri esiti.Unito da 150 anni, il nostro è ancora unpaese ad ostacoli. Buon compleanno,Italia. .<strong>scarp150</strong> aprile 2011.49


<strong>scarp150</strong>napoliMonsignor Antonio Di Donna, vicario generale della diocesi,si racconta a Scarp. «Bisogna puntare sulla crescita culturale»Cittadini attivi,speranza di NapoliSiamo andati in due a intervistare il vescovo Antonio Di Donna, buonamico di Scarp. Ci ha ricevuti nel suo ufficio in Curia e ci siamo alternati nel farglile domande che tutti insieme avevamo preparato durante i laboratori di scrittura.Monsignor Di Donna ci ha raccontato un po’ della sua vita. Fin da piccolo ha frequentatola parrocchia di Santa Caterina di Ercolano, dove poi ha fatto il volontario;è secondo di tre figli maschi, suo padre era operaio delle Ferrovie dello Stato.Scolaro diligente, ha frequentato il liceo classico di Torre del Greco. Da ragazzo vitanormale, amici, uscite serali. Ha seguito il consiglio del padre, che preferiva lescuole pubbliche, poi a 18 anni è entratoin seminario per seguire e coltivare laTrittico partenopeosua vocazione. Ha fatto il parroco nellaMonsignor Di Donna (al centro)tra Massimo e Bruno,chiesa di San Ciro a Portici e al santissimoRosario di Ercolano, fino a che il car-di Scarp che l’hanno intervistatoi due giornalisti-venditoridinale Crescenzio Sepe lo ha chiamatoper farsi aiutare come vescovo ausiliare.Era un po’ preoccupato del nuovo incarico,ma poi ha accettato con convinzione:oggi è vicario generale della diocesipartenopea.Il fardellodella vitaMonsignore ha una giornata moltopiena: sveglia alle 6 per dedicare almenoun’ora e mezza alla preghiera e allauna vita riavròUn fardello io porteròmeditazione, lettura dei giornali, per le un cammino ripercorrerò.8 va in ufficio, dove si dedica alleLa meta è lontanaudienze e all’organizzazione di incontrie iniziative diocesane. Il pomeriggiomi rinfrescopasso vicino a una fontanaè dedicato agli impegni nelle varie parrocchie.Due volte alla settimana c’èe mi fermo vicino a un pesco.Mi addormento supino supinoma poi mi rialzo e camminol’incontro con il cardinale, per fare ilcontinuando il mio viaggiopunto sul governo della diocesi. Glima nell’arco di un raggio.piace la montagna. A tavola preferisceE all’improvvisopiatti semplici, tradizionali, a Napoli lecala la serachiamiamo le “paste mischiate”, cioèed è un’altra atmosferapasta e fagioli, lenticchie, ceci; ma anchegnocchi, pastasciutta, spaghetti ale il mio viaggioarriva così la finepomodoro semplice. E poi ha un deboleper i dolci.Ho percorsoè stato sublime.La Chiesa e la carità. Monsignore, secondolei si fa a sufficienza?un nuovo giornocome se fosse statauna vita interaLa Chiesa è sempre la stessa, è un corpomi ha fatto vivereorganico che muta accettando nuovetutto il contornosfide, e sicuramente deve crescere di piùdi trascorrerenel campo della carità. Ricordando an-una vita vera.di Massimo de FilippisL’incontroUn uomorettoe corretto“Retto e corretto”.Questa è la prima impressioneche si ha al cospettodi monsignor Di Donna.E a mano a manoche lui parla la convinzioneaumenta. Una famiglia normale,un’infanzia passata fra casa,scuola e chiesa, il richiamosempre più forte della vocazionereligiosa, che gli fa vivereserenamente anche i tumultidel Sessantotto, hanno creatoe cresciuto un uomo serio,convinto di sè e delle propriescelte, e perciò pronto anchea ubbidire.A ubbidire, per esempio, quandoil cardinale Crescenzio Sepelo ha chiamato, sicuramentenon a caso, all’incarico(di grande responsabilità)vicario generale della diocesidi Napoli. La chiesa hada sempre bisogno di uominidi provata dirittura moralee di obiettività. E di provatadirittura morale monsignorDi Donna sembra davverofornito. Retto e corretto,insomma perfetto.Bruno Limone50.<strong>scarp150</strong> aprile 2011Antonio Pirozzi


<strong>scarp150</strong>napoliche di coniugare carità e giustizia, perchévecchie e nuove povertà non si affrontanoné si risolvono se non si intervienesecondo carità e giustizia. In particolare,per le persone senza dimora,che aumentano per gli effetti della crisieconomica, ci sembra di non fare maiabbastanza. Tutti devono fare la loroparte, ma certo la chiesa non può sostituirsiad altri attori sociali.Se ne parla dappertutto: qual è lasua opinione sulla posizione delle gerarchieecclesiastiche in merito alRubygate?La chiesa ha il dovere di denunciare certesituazioni e lo ha fatto con il cardinaleAngelo Bagnasco, presidente dellaCei, che ha ribadito che serve trasparenzaa tutti i livelli, ma dobbiamo ricordareche queste posizioni non possonoessere condivise solo se conviene.La chiesa, che ha il dovere della denunciae della profezia, non può essere tirataper la giacca da nessuno.A noi che siamo sempre a corto disoldi ci viene spontaneo chiedere delsuo rapporto con il denaro...Me ne servo ma non mi serve. È unmezzo che uso certamente per quel chemi occorre: affitto, cibo, abiti. L’accumulonon mi interessa, e non solo perchésono un uomo di chiesa. Mi piaceuno stile di vita sobrio.Come ha trovato il coraggio di assumereuna scelta così definitiva, “indossandol’abito”?Oggi la parola “per sempre” fa paura.Impegnarsi per sempre cozza con lamentalità corrente, lo dico sempre aigiovani: che seguano una vocazione sacerdotale,matrimoniale o di impegnoper gli altri, non bisogna avere paura diandare controcorrente.C’è speranza per Napoli, città difficilee faticosa?Napoli è città bella e dolente, governarlaè arduo e io non invidio chi si candidaa guidarla (le elezioni comunali sonoa maggio, ndr). Ma non c’è governo chepossa reggere alla sfida esercitando solola delega: occorre puntare su una crescitaculturale dei napoletani investendonei valori dell’etica, del bene comune,della cittadinanza attiva. E bisognasconfiggere la pratica del clientelismo edel piagnisteo. Io credo molto nella partecipazioneattiva dei cittadini nellescelte che riguardano tutti.Sappiamo che le piace ascoltare musicanapoletana, in particolare SergioBruni, ma anche Adriano Celentano.Si definisce rock o lento?Né l’uno né l’altro, mi trovo sempre amediare per comporre piccoli e grandiconflitti, mi ritrovo molto nel detto“Tengo il carro per la scesa” (modo di diretutto napoletano, usato per indicarechi regge un carro in discesa, in modoche non deragli verso conseguenze imprevedibili,ndr).Insomma, un mediatore nato. Delresto è il secondo di tre fratelli e chi stain mezzo, si sa, finisce sempre per dovermettere d’accordo gli estremi. .Il ricordoAntonioche passavale versioniHo frequentatoil ginnasio liceo classico“De Bottis”. Io stavo in quartaginnasio quando ho conosciutoAntonio, oggi monsignorAntonio, che faceva la terzaliceo, e ricordo che era moltogeneroso: passava le versionidi latino e greco ai compagni.Era molto studioso. Aveva moltiamici ed era simpatico, alcuni lifrequenta ancora oggi. Per anninon ho saputo niente di lui, poici siamo ritrovati dopo tantotempo quando sono andata avendere il giornale nella chiesadel Santissimo Rosario adErcolano, dove lui era parroco,e lì stringemmo di nuovoamicizia. Ricordo ancora quandomi raccontò che andava invilleggiatura sulle Dolomiti.Oggi frequento la redazione diScarp in uno stabile di fronte alpalazzo arcivescovile dove lui hal’ufficio; mi fa piacere scriveredi lui e spero che anche a luifaccia piacere essere ricordatoda me.Maria Di Dato<strong>scarp150</strong> aprile 2011.51


<strong>scarp150</strong>completare la loro formazione o che voglionoprendere un’altra specializzazioneallo scopo di riqualificarsi. Esiste ancheuna forte utenza di ragazzi stranieri,soprattutto per i corsi serali degli Itis(Istituti tecnici industriali) come l’Archimededi Catania, che anch’io frequento.È qui che ho incontrato Ly, ragazzosenegalese che al suo paese lavoravaall’università, e che ha deciso diproseguire gli studi che aveva interrottocome amministratore. Ly è da poco arcataniaSono tanti: lavoratori, immigrati, casalinghe. Frequentano i corsi“ex 150 ore” per avere un diploma. Scommettendo sul futuroIl mio (adulto)compagno di bancodi Grazia Di StefanoEx 150 ore: scuole serali. Sono nate negli anni Settanta per dare modoa coloro che avevano abbandonato la scuola dell’obbligo di riprendere gli studi econseguire così la licenza media o il diploma. «Si studiava la matematica utilizzandola busta paga», spiega Mimmo Cosentino, sindacalista della Cgil Flc (federazionelavoratori della conoscenza). Oggi, gli istituti per le ex 150 ore vengono chiamatiCtp (Centro territoriale permanente); il decreto Gelmini li tramuterà in Cpa (Centroprovinciale adulti). «Le scuole Cpa daranno la possibilità a chi le frequenta diprendere la licenza media e superiore», continua il professor Riccardo Di Salvo, docentedel Centro territoriale permanente, nel quartiere Picanello a Catania.Ma chi frequenta oggi le scuole serali? Si tratta perlopiù di adulti che devonorivato a Catania, dopo aver perso il lavoroche aveva nel nord Italia. Grazie aun amico ha conosciuto questa scuola eha deciso di iscriversi: «I professori vengonoincontro alle nostre esigenze –racconta –; vado d’accordo con tutti espero di cogliere questa opportuntà».Antonio, 49 anni, frequenta la stessaclasse di Ly: «Ogni volta che mi sono ritrovatosenza lavoro – racconta – ho dovutorimettermi in gioco facendo unnuovo mestiere. In previsione di unconcorso che vorrei fare per sistemarmi,ho deciso di prendere il diploma. Da ragazzoavevo preso un attestato di qualifica,purtroppo mi sono accorto chenon è sufficiente per trovare lavoro».Tra i compagni di classe di Ly e Antonioc’è Palma, anche se per un motivodiverso: in gioventù, una volta sposata,ha dovuto interrompere gli studiper andare a lavorare. «Grazie all’intesache c’è con mio marito – racconta – riescoa seguire gli studi. Quando sono quiè lui che mi aiuta con le bambine.Quando torna dal lavoro mi dà il cambiocon le figlie, in modo che io possafrequentare la scuola serale e prendere ildiploma. Spero che i sacrifici che tuttala mia famiglia sta facendo mi diano lapossibilità di trovare lavoro nel settoredella termotecnica, dove sto cercandodi specializzarmi». .ArchimedeLezione nel Ctp(Centro territorialepermanente) di Catania52.<strong>scarp150</strong> aprile 2011


Dallo “Statuto”a Roberto BolleLa legge 300 del 1970 (lo“Statuto dei diritti dei lavoratori”)pose le basi per l’istituzionedi scuole serali pubbliche peril recupero e l’alfabetizzazioneculturale di “lavoratori studenti”.Poi, con i decreti delegati sullascuola, le competenze dellescuole serali passarono aiconsigli d’istituto e aiprovveditorati agli studi.A partire dal 1973-’74 furonoattivati i primi corsi, finalizzatial conseguimento diun titolo di studio (licenzamedia). Questi corsi sisvolgevano esi svolgono secondo un pianodi studi sviluppato in 150 ore,che riguarda il livellodell’istruzione primaria; altermine del percorso didatticol’allievo assolve l’obbligoscolastico, conseguendo lalicenza media. Parallelamentealla diffusione dei corsi seralia indirizzo primario, istituitipresso i centri territorialipermanenti (Ctp), si è diffusa lapresenza nel territorio nazionaledi scuole serali pubbliche diordine superiore di secondogrado, di ogni indirizzoe specializzazione (licei, istitutimagistrali, istituti d’arte, tecnicie professionali). Negli anniNovanta il processo di educazionedegli adulti (Eda), sotto la spintadelle indicazioni provenientidall’Unione Europea, si è evoluto,fino a trasformarsi in life longlearning, cioè in un processo diapprendimento orientato lungol’intero arco della vita.Le scuole serali svolgono un ruolorilevante non solo per gli adultiche intendono riprenderea studiare, ma anche per lariqualificazione professionale dilavoratori, disoccupati, inoccupati,casalinghe e migranti. Personaggiillustri che hanno frequentato leserali: Mario Ridolfi, architetto;Franco Cosimo Panini, editore;Luciano Fantuzzi, industriale;Roberto Bolle, ballerino.<strong>scarp150</strong>cataniaIntervistaUn’utenza problematica«Lavoriamo sulla fiducia»Clara Lo Presti, docente di tecnologia, da quattro anni svolgela sua attività al centro Eda dell’Istituto comprensivo “Fermi” di SanGiovanni La Punta (Ct). I centri Eda consentono di seguire un percorsoformativo piuttosto completo in tempi brevi.Gli Eda partono rilevando le esigenze degli utenti. Come vengono rilevate?Dedichiamo il mese di settembre (e altri momenti durante l’anno scolastico,per chi si iscrive in ritardo) alle attività di accoglienza, che consentonodi individuare competenze e abilità degli utenti e di definire quindi l’accessoai diversi livelli. Costruiamo così il cosiddetto “patto formativo”, che sta allabase della progettazione educativa e della programmazione didattica.Partiamo dagli interessi dell’utente, per approfondirli e dargli l’opportunitàdi conseguire un titolo di studio spendibile nel mondo del lavoro.Chi si iscrive?Soprattutto di adulti, spesso lavoratori saltuari non regolari, che hannobisogno di conseguire la licenza media per motivi di lavoro. Numerosi sonoi minori, con provvedimenti restrittivi, amministrativi o penali, inseriti nellecomunità di recupero del territorio. Ma anche giovani disoccupati o in cercadi prima occupazione, casalinghe, stranieri, ex alunni della stessa scuola,emarginati o auto-emarginatisi dal sistema d’istruzione curriculare.Un’utenza problematica...Con i ragazzi che vengono dalle comunità di recupero si deve lavorare conpazienza, per far loro acquistare fiducia in sé e negli altri. Non è facile e puòcapitare che alcuni di questi giovani non riescano a conseguire la licenzamedia. Quando però i risultati sono positivi, è un vero e proprio successo.Per loro, e anche per noi...Alessandra MercurioTeleStrada in classe“Fuori dal Comune”,intercultura formato tvMulticultura. O meglio, intercultura. Sono questi i terminipiù comunemente usati per indicare gli intrecci determinati dalla presenzadi più popolazioni in uno stesso territorio. Ma spesso non basta denotarnesemplicemente la compresenza. Piuttosto, è importante favorire laconoscenza reciproca e l’interazione continua tra varie culture. Parte,con questa finalità, “Una scuola Fuori dal Comune”, progetto realizzatodall’istituto scolastico “Caronda”, con la collaborazione della redazionegiornalistica di Telestrada, la web tv della <strong>Caritas</strong> diocesana, gestita dallaredazione catanese di Scarp de’ tenis. Le attività, articolate in due moduliformativi della durata di 50 ore ciascuno, si svolgeranno nel corso di dueanni scolastici (2010-2011 e 2011-2012), coinvolgendo gli alunni delleclassi prime della scuola secondaria di primo grado. Dopo una prima fasededicata alla ricerca e alla documentazione sulla presenza dei compagnistranieri a scuola, gli alunni organizzeranno interviste semistrutturate:“Gli italiani dicono di loro” e “Gli altri dicono degli italiani”. Nonmancheranno visite ai luoghi di culto e di ritrovo e riflessioni sui modi di vitae sulle culture diverse. In itinere, gli alunni realizzeranno un report televisivo,con la collaborazione degli esperti della redazione giornalistica di TeleJonicae Telestrada, per documentare le fasi del lavoro svolto, ma soprattutto perdiventare protagonisti della comunicazione e della cittadinanza attiva.Alessandra Mercurio<strong>scarp150</strong> aprile 2011.53


<strong>scarp150</strong>Un gruppo unito e solidaleGrazie al sostegno psico-educativo deglioperatori e all’aiuto degli altri ragazzidel gruppo-appartamento, J. cominciavaa integrarsi e a superare le difficoltàlegate alla sua riservatezza. I ragazzidel gruppo escono con lui, gliinsegnano le strade della città, provavanoin tutti i modi a non farlo mai sentiresolo. Il primo aspetto del piano educativoindividualizzato di J. riguardal’apprendimento della lingua italiana;frequenta due corsi d’italiano organizzatida enti del privato sociale e contemporaneamentestudia per raggiungerela licenza media. Con tanto impegno,in un anno riesce a raggiungerequesto obiettivo. E oggi, grazie all’attivazionedi una borsa-lavoro, lavora inuna farmacia come magazziniere. È unragazzo che ha tanti impegni, sta costruendoil suo futuro, ma il suo pensierova sempre alla madre in Bangladesh,che spera di riabbracciare presto.Tra i progetti dell’associazione ApripalermoDal Bangladesh, J. si era catapultato in una realtà troppodiversa. Ora sta superando il trauma. Come tanti amici...I ragazzidella Vela grandedi Nadia SabatinoCielostellatoEgoista mai son stato,mi son dato e mai negatoe adesso che sonoavanti con gli annie ho i capelli bianchiho per tetto e per casaun cielo stellato,manto di Madonna.Chiedo a Dio e agli uominiun pezzo di pane,un bicchiere d’acquae un letto caldo.E nell’attesache venga tubuon Dioa chiuderequesta vita miami dico un Padre,un Gloriae così sia.Pongo a tenelle tue maniquesta vita mia.Panbir54.<strong>scarp150</strong> aprile 2011J. oggi è un ragazzo di 19 anni. Era arrivato al gruppo-appartamento “LaVela grande” dell’associazione “Apriti Cuore” onlus due anni fa. Viene dal Bangladesh,nel suo paese ha sempre lavorato con la madre, non ha studiato: un bambinodiventato adulto troppo presto, a causa della povertà della famiglia.La sua storia è semplice e dolorosa al tempo stesso. Un giorno, J. decide di venirein Italia per lavorare e guadagnare un po’ di soldi da mandare alla madre. Giuntoa Palermo, incontra un connazionale che lo aiuta a trovare un luogo dove stare.J. è un ragazzino di 17 anni, disorientato, impaurito, solo e incapace di comunicare.Così, in seguito a una segnalazione ai servizi sociali del comune, in quanto minorenneJ. viene accolto nel gruppo-appartamento di Apriti Cuore. Arriva in puntadi piedi, è timido, non parla bene l’italiano.Ma alcune sue qualità subitocolpiscono gli educatori: umiltà, educazione,gentilezza. La difficoltà più grande,per lui, è non riuscire a comunicaree relazionarsi, anche a causa della suatimidezza.« Attornoal tavolosi discutedella giornata,come in unavera e propriafamiglia»ti Cuore, il gruppo-appartamento “LaVela grande” ha visto la luce nel dicembre2004. L’obiettivo è rispondere alleesigenze dei giovani italiani e stranieriprivi (momentaneamente o definitivamente)di figure parentali. Il progettopropone un accompagnamento educativoindividualizzato per giovani a rischioo inseriti nel circuito penale e perminori stranieri non accompagnati, conl’obiettivo di offrire modelli di riferimentocerti con cui confrontarsi nelcorso della crescita.Il progetto intende valorizzare le risorsedi ciascuno attraverso percorsi distudio-formazione o di lavoro che soddisfinole attitudini e le aspettative deiragazzi. Tale metodo di lavoro permetteai minori di poter contare su un validosostegno in vista del raggiungimento diuna vita indipendente.


<strong>scarp150</strong>palermoFacce da ScarpSto superando la timidezzae con Giovanni parlo di pitturaTutti partecipano alla gestioneIl servizio prevede la partecipazione deigiovani alla gestione della propria vita alivello organizzativo, economico e decisionale;la partecipazione dei giovani allavita della casa; attività di studio; attivitàlavorative mediante borse-lavoro;attività di volontariato; attività ludicoricreativee sportive. Le attività sono finalizzateal raggiungimento di un’autonomiaglobale della persona che riguardi,dunque, i diversi aspetti dellacrescita personale.Il gruppo-appartamento può ospitarefino a un massimo di sei giovani trai 16 e i 21 anni sottoposti alla competenzadell’autorità giudiziaria del Tribunaleper i minorenni o segnalati dai servizisociali del comune. Sono a disposizionesei posti letto, e un posto letto perl’educatore di turno.I ragazzi presenti nel gruppo-appartamentoin questo momento sono sei,cinque vengono dal Bangladesh e unodal Senegal. Il clima è familiare e sereno.Dopo una giornata di impegni, lasera ci si riunisce intorno alla tavola tuttiinsieme e, oltre a condividere il cibo, sidiscute della propria giornata e ci siconfronta. Come in una vera e propriafamiglia. .Mi chiamo Michele, lavoro con Scarp da circa un anno e la miaesperienza è molto positiva. Sono un venditore e a volte mi piace anchescrivere dei miei pensieri o dei racconti per questa rivista. Sono moltosoddisfatto e contento di essere entrato a far parte di questa “famiglia”.ll lavoro che ho svolto, sempre con impegno e costanza, mi ha permessodi conoscere tanta gente di diversa estrazione sociale e di diversa etnia.Quando ho cominciato a vendere le riviste ho messo in evidenza alle personeche incontravo che a Palermo mancava un mensile che affrontasse problemidi grande rilevanza e spessore sociale come fa Scarp e ho trovato tanta gentericettiva e sensibile alle tematiche che affronta il giornale. La mia esperienzadi vendita è avvenuta soprattutto nelle parrocchie, luoghi in cui l’accoglienzaè stata davvero significativa; sia i parroci che i fedeli sono sempre stati moltodisponibili a ospitarci. I parroci, in particolare, la maggior parte della volte,hanno dato a me la possibilità di parlare del giornale e questo per me è statofonte di grande gratificazione.Io sono sempre stato una persona moltotimida, non facevo facilmente amicizia con lepersone e per me era davvero molto difficileconfrontarmi con gli altri.Lavorare per Scarp mi ha aiutato a migliorare lacomunicazione, ha aumentato la voglia di relazionarmicon gli altri e di confrontarmi con persone disposte adascoltarmi. Questo è stato un modo, l’unico forse della mia vita, per superarela mia timidezza, migliorando le mie capacità comunicative e relazionali.Ho fatto amicizia con molti fedeli, in particolare con Giovanni, il quale, oltrea comprare la rivista, mi ha dato un’offerta grazie alla quale ho potutocomprare un cavalletto per dipingere. Spesso mi vedo con Giovannie discutiamo di arte ed entrambi concordiamo nel sostenere che l’arteè una nobile espressione dell’animo umano, e permette di avvicinarsi a Dioin modo non evanescente ma tangibile.Un altro aspetto molto importante che volevo evidenziare riguarda il fatto cheio, grazie a questo giornale di strada, sono riuscito a esprimere le mie ideee a manifestare particolari sentimenti, vissuti in un periodo della mia vitamolto difficile. Questo per me è molto importante, perchè Scarp mi ha datoe continua a darmi la possibilità di dire ciò che penso e ciò che sento.MicheleOltre duemila non accompagnati,nell’isola 115 strutture per minoriSecondo il Rapporto Nomisma – ministero dell’interno, intitolatoL’immigrazione intra identità e pluralismo culturale” (2009), in Sicilia sono2.155 i minori stranieri non accompagnati (il 33% del totale dei minoristranieri presenti in Italia); gli egiziani sono il gruppo maggioritario (16,7%),seguiti dai ghanesi (12,9%) e dai nigeriani (11,7%). Il progettoRilevazione delle strutture di accoglienza destinate ai minori stranieri nonaccompagnati del 2009, promosso dal ministero del lavoro e delle politichesociali, rileva che in Sicilia i minori stranieri non accompagnati ospitatinelle strutture d’accoglienza sono 1.474. Le strutture d’accoglienza inSicilia, tra gruppi-appartamento e comunità-alloggio, sono 115.<strong>scarp150</strong> aprile 2011.55


<strong>scarp150</strong>poesie di stradaLuciLe luci della nottesono come scintilleche ti indicano la via,che affievolendosisi stemperanoo che ti abbaglianoimprovvisamente,ma non abbaiano, né mordono,né ti devono impediredi seguire la tua strada,anche perché l’unica vera luceinvisibileè riposta lassù,oltre la luna e le stelle,al di là delle nuvole,da sempre e per sempre.Silvia GiavarottiChi siamo?Siamo tutti precari della vitae nella vita:e più si è distrattipiù si è disgraziati;per il resto siamo tutti uguali.Silvia Giavarotti56.<strong>scarp150</strong> aprile 2011Un sorrisoÈ come la tenerezzadi uno sguardopieno d’amore,è come lo splendore del sole,è come il fruscio del vento,è come lo sguardo limpidodi un bambino,è come la bellezza dei fiori.Un sorrisoè un piccolo nienteche cambia tutto.Gaetano “Toni” GriecoOstacoliAh! Amoreamore sconosciutoti desiderai tantocome l’acqua chemi serviva per crescerema non ero desideratonon c’era posto per meanzi,invisibile dovevo essere.Ma di carne ed ossaera il mio corpoe il corpo non ti piacevanon piaceva neppureagli altri,non rimaseche la mentela mente che sognala mente che studiala mente che desiderala mente potenteche creala mente sensibileche cede al nemicoma nell’amore io credo.L’amore che scaldail cuore,il corpo e la mentee che superaostacoli e ostacolie ancora… ostacoli...AmbrogioNella tualetturaassortaTi guardonella tua lettura assorta,sopra un corpo di donnascopro un viso di bimba,paffutello,un viso soave, molto bello,che mi da la brezzadi assaporare in tel’immensa dolcezzae io vorrei essereun tenero gattinoper essere da te coccolato,da te amato,vorrei essereun tenero gattinoper svegliarti ogni giornoe con le sue fusapassare ore liete con te,già dal primo mattino.Mr ArmonicaLa piumaSono una piumasoffice trasportatadal vento.Dolcementemi faccio dondolare.Non sento freddo,né caldo,sento solo il desideriodi trovare te.Il vento continuaa spingermifino ad arrivare sudi un cuscino di piume,come me.Piuma dopo piumavedo riempirsi la tua vita,da spettatrice.Ti guardo mentreti addormenti,ti vedo lasciare la realtà,per raggiungerminel mondo incantatodei sogni.Cinzia Rasi


ventunoVentuno. Come il secolo nelquale viviamo, come l’agendaper il buon vivere, comel’articolo della Costituzionesulla libertà di espressione.Ventuno è la nostraidea di economia.Con qualche proposta peragire contro l’ingiustizia el’esclusione socialenelle scelte di ogni giorno.ventunodossier Il sudore dei muscoli,l’odore dei soldi. Calcio e motori:un’ipertrofica macchina da denaro.Viaggio nella “sport economy”, trastipendi milionari, società offshore,business miliardari e cifre da capogiro.Che fanno gola anche alla mafia.di Andrea Barolini1aprile 2011 <strong>scarp150</strong> . 57ventunoeconomia Il Veneto e le“città verdi”. Nuovi stili di vita urbani:spazio alle “transition town”di Cristina Salviativentunostorie Dar=Casa,risposta all’emergenza abitativadi Marta Zanellaventunorighe Figli di uno sportminoredi Antonio Rossi - medaglia d’oro olimpica


1 ventunodossierStipendi milionari, sponsorizzazioni record, diritti che valgonooro. Lo sport è un business globale. Ma per molti versi opacoPallone e motoril’odore dei soldidossier a cura di Andrea BaroliniIl giro d’affari generatoda certi sportprofessionistici toccacifre da capogiro.Secondo il “Libro Biancosullo sport” dell’UnioneEuropea, nel 2005il 91% degli investimentiin sponsorizzazioni,nel mondo, si èconcentrato sullo sport.Calcio e motoriin testa. I meccanismipaiono tutt’altro chepuliti. Società offshore,scatole cinesi, bilancigonfiati, scommesseillecite: i lati oscuridi un mondo dorato58.<strong>scarp150</strong> aprile 2011Giro d’affari tentacolareTifosi di tutto il mondo,il business siete voi...Non ce ne vogliano i tifosi dell’Inter. Partiamo dal fuoriclasse SamuelEto’o solo per ragioni cronologiche. Milano, 1 marzo 2011. Via Montenapoleone,ora di punta. L’attaccante nerazzurro, alla guida della sua jeep, accosta per uncaffè al bar Cova. In sosta vietata. Il campione ordina, consuma, paga, esce e siritrova davanti una vigilessa che sta scrivendo un verbale. La scena, a questopunto, diventa surreale, incredibile. Eto’o si mette – letteralmente – a supplicarela poliziotta. Mani giunte, sguardo implorante spiega: «Ma era solo un minuto!».C’è da capirlo, Samuel Eto’o. Uno stipendio da circa 10 milioni di euro all’annopuò essere sufficiente per acquistare tre maxi appartamenti che occupanol’intero ultimo piano di un palazzo in via Turati (mille metri quadrati, per17 milioni). Ma poi non resta moltoper pagare i 38 euro di multa per l’infrazionecontestata... Impossibile revarrebbea poco più di 4 centesimi dieuro al mese, la stessa sanzione equisistereal richiamo della calcolatrice: euro.per un normale stipendiato da mille La storia, solo apparentemente banale,è lo specchiodi un sistema.Di una realtàche propone, achi la abita, unpunto di vista sulmondo del tuttodistorto. È l’odiernopianeta-sport.Commistione indissolubilediesercizio fisico efinanziario. E, soprattutto,un’ipertroficamacchinada soldi.


sport economyMilioni di bandiere. E di dollariQuello che per la maggior parte di noiequivale a un paio d’ore di relax settimanalidi fronte alla televisione è inrealtà un circuito alimentato da trasferimentida capogiro, stipendi milionari,marketing spietato, diritti televisivia nove zeri, colpi (spesso bassi)di mercato e sponsorizzazioni record.Nel quale vicende comeCalciopoli sono roba da ladri di galline.Il tutto garantito dalla passionedella gente, che alimenta da un lato ilgiro d’affari dei diritti tv, dall’altro ilcolossale business degli sponsor.Qualche esempio? La finale diChampions League tra Barcellona eManchester United, disputata allostadio Olimpico di Roma nel 2009, haincollato davanti alla tv 109 milioni dipersone. Complessivamente, l’interacompetizione può vantare oltre 200milioni di fedelissimi. Ancora, il granpremio di Formula Uno del Bahraintotalizza normalmente più di 50 milioni;la finale dei 100 metri di atleticaai mondiali del 2009 è stata seguita da33 milioni di persone. Per non parlaredi quella di coppa del mondo dicalcio del 2010 tra Spagna e Olanda,che secondo le stime della Fifa (la federazionecalcistica internazionale)avrebbe raggiunto i 700 milioni, battendola cerimonia di apertura delleOlimpiadi di Pechino (600 milioni).Il business, insomma, siamo noi. Idiritti tv sono diventati talmente remunerativida rischiare di far passaretutto il resto in secondo piano. Compresolo spirito dello sport: il marketingpervade tutto. Ecco così che i palinsestisono costruiti col solo obiettivodi andare incontro ai gusti dell’audience.Si punta sugli sport che fannopiù presa. E pazienza per chi vorrebbegustarsi una gara di atletica leggera...Nella logica del profitto, d’altraparte, le cifre non danno scampo.Informarsi per credere: l’evento pereccellenza negli Stati Uniti, il Super-Bowl (la finalissima annuale di football)ha visto triplicare in 15 anni ilprezzo per aggiudicarsi 30 secondi dipubblicità in tv. Si è passati dal 1 milione150 mila dollari del 1995 ai 3 milionidel 2009. Il tutto per raggiungerei quasi 100 milioni di persone sedutiin poltrona davanti agli schermi.La guerra degli sponsorMa la tv non basta. Anche gli sponsorcostituiscono una fetta gigantescaCifreda capogiro700 milionigli spettatori che hano seguito la finaledei Mondiali di calcio di Sudafrica2010 davanti alle tv di tutto il mondo3 milioni di dollariil costo per uno spot di trenta secondidurante il Superbowl americano91%degli interventi di sponsorshipdi tutto il mondo si sono concentratinel 2005 sullo sport160 milionidi euro sborsati da British Telecomper aggiudicarsi la sponsorizzazioneprincipale delle Olimpiadi di Londradel 2012aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.59


ventunodossierTempi che cambianoNella foto in alto,l’etiope Abebe Bikila,scalzo, vince la maratonaalle Olimpiadi di Romadel 1960: altri tempi.Sotto, un paio di Nikecon griffe personalizzateai piedi del campionedi tennis Roger FedererPilota solodiscreto, magrande fiutoper il business.Storiadi “Bernie”,dalla venditadi auto usatealla Formula 160.<strong>scarp150</strong> aprile 2011della torta. Secondo il Libro Biancosullo sport dell’Unione europea, nel2005 il 91% di tutti gli investimenti insponsorship si è concentrato propriosullo sport (la cultura non superal’1%...). Parliamo di un business da 7-8 miliardi di dollari l’anno. E tra i colossiche vogliono sponsorizzare ilproprio marchio si è scatenata unavera e propria guerra. Non solo peraggiudicarsi i loghi su maglie, cartellonie spot: ormai spopolano “formule”nuove, come i nomi affiancati aglieventi – un esempio a portata di mano?“Serie A-Tim” – o agli impianti. Ècosì per numerosi stadi in Inghilterrao in Germania. Ma è anche il caso, perlasciare per un momento il calcio, delcatino della squadra di hockey sughiaccio americana dei PittsburghPenguins, a cui è affiancato il nomedella Consol Energy, compagnia attivanel settore minerario e del gas. Unaffare da 84 milioni di dollari, per unnaming right (si chiama così l’accostamentodel proprio nome a unevento o a una struttura) di 21 anni. Efortuna che i colossi dell’alcol e deltabacco sono ormai interdetti dallosponsorizzare gli eventi sportivi!Provare a tirare le somme, dunque,è un’impresa. Il giro d’affari è tal-Formula 1, formula businessIl senso degli affaridel padrone del CircusNon sarà stato un campione in pista, ma di certo ha avuto lo “spunto”giusto per fare affari. Benvenuti nel mondo a cinque stelle di Bernard CharlesEcclestone, meglio conosciuto con il nomignolo di “Bernie”, attuale discussopadre-padrone del circus globale della Formula Uno.Nato nel 1930 in un villaggio sulla costa est dell’Inghilterra, ha abbandonatogli studi a 16 anni per lanciarsi nel mondo delle corse. Risale al 1949 la primagara ufficiale, in Formula 3. Ma già all’epoca,più che le doti da pilota (carrieraconclusa a 26 anni a causa di unincidente) a fiorire erano gli affari,principalmente vendita di auto usate.Quell’attività ha consentito a Ecclestonedi acquistare nel 1951 la primaauto da corsa e, nel 1957, di compraredue Connaught Formula One. È l’esordionel mondo di cui diventerà pa-mente ipertrofico e tentacolare da richiederemesi di studi. Però possiamofarci un’idea dando uno sguardoalla classifica di contratti cosiddetti“top”. Il colosso dell’abbigliamentoNike ha pagato 475 milioni di dollariper assicurarsi la sponsorizzazionedella Ligue 1 del calcio francese, 206per campeggiare sulle maglie nerazzurredell’Inter e 118 per vestire ilcampionissimo di tennis svizzero RogerFederer. Allo stesso modo la BritishTelecom sta sborsando 160 milioniper le future Olimpiadi del 2012in Gran Bretagna.Speculazioni e scatole cinesiMa l’esempio più chiaro di come losport si sia trasformato sempre più inun moderno mega-business lo dà laFormula Uno. Nella sua trasformazione,il cui principale deus ex machinaè il miliardario inglese Bernie Ecclestone,c’è per intero il profilo classicodi una multinazionale: speculazionifinanziarie, paradisi fiscali,fondi d’investimento, scatole cinesi.E soprattutto – riferisce una stima diDeloitte – un turnover da quasi quattromiliardi di dollari. E pensare che,tempo fa, c’era chi correva le Olimpiadia piedi nudi. .drone: nel 1971 diviene proprietariodella scuderia Brabham per 100 milasterline, l’anno successivo assume unruolo nell’associazione dei costruttoridi Formula 1 (Foca), di cui nel 1978 diventail numero uno.Anche le corse gli sorridono: nel1981 arriva per la Brabham il primotitolo mondiale, grazie al pilota bra-


sport economytabellaLe principalisponsorizzazioni sportiveAzienda Sponsorizzazione Valore (milione di dollari) Durata (anni)1 Nike Federazione calcistica francese 475 72 Nike Inter FC 206 103 BT Olimpiadi di Londra del 2012 160 54 Nortel Olimpiadi di Londra del 2012 150 45 Adidas AC Milan 123 106 Nike Roger Federer 1187 Adidas Ajax 110 108 Adidas Unione calcistica russa 1009 BP Olimpiadi di Londra del 2012 100 410 British Airways Olimpiadi di Londra del 2012 98 511 Adidas All Blacks 90 1012 Consol Energy Stadio dei Pittsburgh Penguins 84 2113 Dekra Campionato di calcio tedesco 80 414 Deutsche Telekom Campionato di calcio tedesco 80 415 Miller Dallas Cowboys 80 1016 Rogers Communication Buffalo Bills 77 517 Aut. Club of South Carolina Auto Club Speedway of Southern California 75 1018 Banco Itau Confederazione calcistica del Brasile 75 519 Budweiser NHL 75 320 Olympus US Open 70 6Fonte: R&S Mediobanca, “Indagine sule multinazionali (1999-2009)”, disponibile su www.mbres.itNella foto sopra, il rendering del nuovo stadio Olimpico per Londra 2012L’impero di BernieEcclestone, inglese, classe 1930,discusso padre-padrone della F1siliano Nelson Piquet. Per completarelo stereotipo del manager rampantesposa nel 1984 una modella ditrent’anni più giovane (dalla qualedivorzierà nel 2009 con una causa daun miliardo di dollari, già considerata“la separazione del secolo”). Treanni più tardi vende la scuderia per 5milioni di dollari e dà vita alla FormulaOne Promotional Association(oggi Formula One Management,Fom): sono le fondamenta del suoimpero. Primo obiettivo: mettere lemani sul business dei diritti televisivi.Che Bernie, a suo modo di vedere,distribuisce equamente: il 47% va aicostruttori, il 30% alla federazionesportiva (la Fia) e il 23% a se stesso.Nel 1995 il presidente della Fia, MaxMosley, noto alle cronache recentiper aver partecipato a festini hard incostume nazista (d’altra parte lo stessoBernie il 4 luglio del 2009 si lanceràin pubbliche lodi di Adolf Hitler,poi prontamente smentite), gli cedeper 15 anni i diritti commerciali dell’interaFormula Uno .Un anno dopo, per ragioni fiscali,Ecclestone trasferisce la proprietà deibusiness legati alle corse alla moglieSlavica (chissà che non sia stata questala “scintilla” che ha fatto deflagra-aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.61


ventunodossierre il matrimonio...), mentre la Fompassa di mano e finisce sotto il controllodi una nuova società, la SlecHoldings. Sede, ovviamente, offshore,alle Channel Islands: senza un paradisofiscale che manager modernosei? Il dominio assoluto sembra compiersi.Tanto che alcuni team (McLaren,Williams e Tyrrell), preoccupatiper la perdita di potere, tentano invanodi ribellarsi.Show must go onNel 1997 arriva un nuovo scandalo:Ecclestone da mesi esercita pressionisul governo inglese affinché nonvieti le pubblicità dei produttori ditabacco sulle carrozzerie delle monoposto.E – per essere più convincente– regala al partito laburista dell’allorapremier Tony Blair un milione disterline (somma poi restituita). Unavicenda nella quale fu implicato anchel’avvocato David Mills, al centrodelle cronache recenti per un processoche coinvolge il presidente delconsiglio italiano Silvio Berlusconi.Proseguono quindi i giri di potere (edi denaro): nel 1999 il super-managervende il 12,5% della Slec alla societàMorgan Grenfell Private Equity, per325 milioni di dollari; nel 2000 cedeun altro 37,5% all’americana Hellman& Friedman, per 725,5 milioni.A loro volta le due società unisconole forze e creano la Speed Investment(con sede nel paradiso fiscale a stellee strisce, il Delaware), che poi vendonoper 1,65 miliardi di dollari a unacontrollata del gruppo editoriale tedescoEM.TV (nel quale entrerà poianche il colosso Kirch, grazie all’interventodelle banche BayerischeLandesbank, JPMorgan e della compiantaLehman Brothers). Più recentemente,con una nuova cessione del25% di Slec, Ecclestone riceve 987,5milioni di dollari.Ma dal 2006 le cose cambiano.Per la prima volta l’impero di Berniepare perdere qualche colpo. Entra ingioco il Cvc Capital Partners, che acquisiscenel 2006 la Formula OneGroup, capostipite dell’impero. L’o-Il pallone tra mafia e debitiBoss e speculatori,rotola il malaffareQuello del Potenza Calcio sarà stato anche un caso limite, ma è l’emblemadi uno sport malato, che solo in piccolissima parte è emerso dagli scandali chehanno colpito il gotha del pallone negli ultimi anni, coinvolgendo anche i club piùtitolati. Per questo vale la pena partire da qui.Che il calcio sia un affare, è noto. Che sia stato spesso un affare poco pulito, cel’hanno insegnato la storia (dal calcio-scommesse in poi) e l’hanno confermato igiudici sportivi (da ultimo, nello scandalo Calciopoli). Ma si è trattato di punte di uniceberg del quale nel capoluogo lucano, dopo una vicenda che ha finito per priva-re una città della sua squadra, se ne èscoperto un pezzetto in più.Al centro dello scandalo c’è il giovaneex-presidente potentino, GiuseppePostiglione. Formalmente titolare dellaNipa, un’azienda di comunicazione, entranel calcio come azionista di maggioranzarelativa della squadra del capoluogolucano. Un’ascesa rapida e apparentementelimpida: nel 2009 vince perfinoil premio Fair Play. Ma l’uomo d’affari,nel frattempo, costruisce una triade conun dirigente di lungo corso, Luca Evangelisti,e con il boss Antonio Cossidente,punto di contatto tra camorra e il clandei Basilischi. Secondo le carte dell’inchiesta“personaggi ancora sconosciuti”62.<strong>scarp150</strong> aprile 2011regalavano ogni domenica risultati sicurial presidente del Potenza. Che scommetteva,vinceva e divideva. Una societàa delinquere, che ha cominciato ainsospettire gli inquirenti quando Postiglioneè diventato un assiduo frequentatoredel lussuoso hotel Plaza, in via delCorso, a Roma: una “base strategica” perallargare il giro. Ma il passo è stato piùlungo della gamba, e il tutto è sfociatonella condanna della giustizia sportivaper la manipolazione di una partita dellastagione 2007-’08: la squadra è statarelegata all’ultimo posto del torneo diLega Pro di prima divisione. Ne è seguitoil crollo: Postiglione, all’alba del 23Il casodel Potenzacalcio,emblemadel calcio malato.Tra risultatisicuri,scommesse facili,lussi sfrenatie tanti soldida spartirsinovembre 2009, è stato arrestato. E il PotenzaCalcio, oggi, è una piccola realtàdel campionato di Eccellenza.Le mani della mafia...La storia del Potenza insegna che il calcioè ormai utilizzato spesso come untrampolino di lancio o come uno scudo.Anche la criminalità lo sa bene. Di intreccitra cosche e pallone sono stracolmii campionati minori, e più si scendedi livello, più il fenomeno è palpabile.Nel libro La mafia nel pallone, del giornalistadi Tuttosport Daniele Poto, c’è lafotografia di un calcio che definire sporcoè davvero un eufemismo. Le infiltra-


sport economyzioni sono all’ordine del giorno in Campania,Basilicata, Calabria. Ma fannobreccia anche in Lazio, Abruzzo, Puglia.E si spingono in alcuni casi anche nelnord del paese. Si va dalle operazionioffshore per la compravendita di giocatorialle scommesse più o meno legali,dal controllo delle curve al pizzo chiestoai venditori dentro e fuori gli stadi. «C’èmolta gente disposta a chiudere entrambigli occhi pur di veder trionfare lapropria squadra. Sono stati comprati enon se ne rendono conto – ha spiegatodi recente Marcello Cozzi, responsabiledi Libera in Basilicata, al mensile Valori–. Inoltre, a livello giovanile, le squadresono la porta d’accesso ai clan. Sientra in una certa cerchia, s’iniziano afrequentare determinati ambienti. I giocatorisanno che il proprio cartellino èdi proprietà della società e che devonosottostare alle decisioni del boss di turno.Ribellarsi è difficile, quando giocaresignifica non solo dare calci a un pallone,ma anche assicurare il pane sulla taperazioneè condotta in partnershipcon la Apm, che oggi gestisce marketinge pubblicità del campionato, e laAllsport Management, che si occupadell’ospitalità dei vip ai gran premi. Iltutto con una maxi-operazione da2,5 miliardi di dollari, che Cvc contadi ripagare grazie anche allo sfruttamentodei mercati emergenti, con ineonati o nascituri gran premi inMalesia, Barhain, Russia, Cina, Corea,Abu Dhabi. Parole d’ordine (comuninel settore): delocalizzare, diversificare,massimizzare i profitti.Ma l’ottantenne Ecclestone sembraimmortale, e strappa il mantenimentodel ruolo di amministratoredelegato. Nel 2007, per non farsimancare nulla, insieme a Flavio Briatoreacquista il pacchetto di maggioranzadella squadra di calcio ingleseQueens Park Rangers. The show (business)must go on. .Proposta dell’ex stella del Manchester«Via i soldi dalle banche»La proposta choc di CantonaUna storia curiosa e – a suo modo – istruttiva è quellache ha visto protagonista l’ex campionissimo del Manchester United,Eric Cantona. Che da tempo non dà più calci al pallone. Cerca di darli,però, a un sistema economico e sociale che proprio non gli va giù.La verve del francese, fortunatamente, non è la stessa di quandosi lanciò con un colpo da kung-fu contro un tifoso del Crystal Palace(gesto che gli valse nove mesi di squalifica). Ma la determinazioneè quella di sempre. Basta ascoltare una breve video-intervistache nei mesi scorsi ha spopolato su internet, nella quale, parlandodegli scioperi organizzati in Francia nell’autunno del 2010, l’excalciatore si domanda se siano davvero utili «milioni di persone amanifestare» per le strade. «Vogliamo fare davvero la rivoluzione?È facilissimo: basta che quegli stessi milioni di persone vadanoin banca e ritirino tutti i loro soldi. Il sistema crollerebbe all’istante.Ogni tanto ai sindacati bisogna dare qualche idea nuova...».Ne era nata una “Giornata della chiusura del conto”, conclusasiin realtà con scarsi risultati. Ma Cantona ha certamente colto,una volta ancora, il centro del bersaglio.vola della propria famiglia».Talvolta, il sistema tocca personaggidi spicco. Fu così per il celebre centrocampistaGaetano D’Agostino – ex Messina,Roma e Udinese, già nel giro dellaNazionale, oggi in forza alla Fiorentina –,che secondo le carte processuali avrebbeottenuto un provino al Milan, nel1994, grazie a Marcello Dell’Utri, su intercessionedel boss Giuseppe Graviano(circostanza smentita dai protagonisti,ma confermata dagli inquirenti). Ancora,il calabrese Giuseppe Sculli – oggi Lazio,nipote del boss della 'ndranghetacalabrese Giuseppe “Tiradritto” Morabito– fu definito da un rapporto del Rosdei Carabinieri «un individuo perfettamenteintegrato nella realtà criminaledella propria area». L’attaccante commentò:«Cammino a testa alta perchénon ho nulla di cui vergognarmi».Ma perché le mafie sono così interessateal calcio? È evidente, quasi ovvio:per tutti i soldi che vi girano attorno.Cifre stratosferiche, soprattutto ad altilivelli. E anche quando non c’entra lacriminalità organizzata, arriva quella finanziaria.Sergio Cragnotti, Calisto Tanzie Vittorio Cecchi Gori hanno fatto tremare– se non crollare – le proprie squadre.I crack che sotto la loro gestionehanno patito, rispettivamente, Lazio,Parma e Fiorentina venivano in realtàda lontano: la montagna di debiti accumulatadalle squadre di calcio italiane èstrettamente collegata alle banche. Peranni, infatti, gli istituti di credito hannogarantito un flusso di capitali quasi illimitatoal mondo del pallone. E chi nonè fallito si è ritrovato con vere e proprievoragini nei bilanci.... la strada dei mattoni ...Il gioco è durato fino alla crisi finanziariaglobale. Poi le banche hanno chiusoi rubinetti. Ed è scattata la corsa alla diversificazione.Via dunque alla nuovafrontiera del calcio: il mattone. Già unanno fa il sottosegretario alla presidenzadel Consiglio con delega allo Sport,aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.63


2Rocco Crimi, gongolava: «Con lo stadiodi proprietà potremo competere megliocon i maggiori club europei». Masappiamo bene che in Italia le ondatedi costruzioni, spesso, sono accompagnateda notevoli problemi.I Mondiali di Italia ’90 insegnano:all’epoca ci fu la possibilità di crearestrutture davveronuove, polivalenti, sicuree capaci di garantireservizi sul territorioanche al di làdegli eventi sportivi.Ma a vent’anni di distanzai nostri impiantisono consideratitra i peggiorid’Europa. Per cui viaai nuovi stadi. La primaa muoversi è statala Juventus, checonta di completareil suo nuovo catinoentro il 2011: 41 milaspettatori, 150 milametri quadrati diaree dedicate ai servizi,34 mila perstrutture commerciali,30 mila per aree verdi, 8 aree ristoro.E design firmato Giugiaro: il tuttoper 105 milioni di euro. Coperti per 75milioni grazie alla cessione dei diritti diintitolazione dello stadio stesso (la Juveli ha venduti per 12 anni a Sportfive,società del Gruppo Lagardére Sports).Una ventina arriveranno poi dalla venditadell'area commerciale. E, come permagia, le banche hanno riaperto le loroporte, con mutui per complessivi 50milioni.Un esempio da seguire, secondo lealtre società di calcio. E anche per il governo,che ha deciso di predisporre unalegge ad hoc per agevolare la costruzionedei nuovi impianti (con tanto di incentivistatali milionari). La discussioneparlamentare, però, dopo un primosì al Senato nell’ottobre 2009, ancoranon è conclusa....e una montagna di debitiIl problema è che si tratta di palliativi.Moltissime squadre sono infatti afflitteda tempo da enormi quantità di debiti.Poco più di un anno fa l’Uefa stimò cheil “rosso” complessivo della Premiership64.<strong>scarp150</strong> aprile 2011La “torta” europeaCoppa dei paperoni,quanto vale la ChampionsL’Unione delle federazioni calcistiche europee (Uefa) rendenoti ogni anno i dati relativi alla redistribuzione degli introiti legati allaChampions League, competizione che vede protagonisti i club migliori delVecchio continente. Si tratta della torta più corposa,in termini economici, alla quale ogni società di calcionon può che ambire. Per l’ultima stagione sportivaconclusa (2009-2010), infatti, ciascuna delle 32squadre che hanno partecipato ha ricevuto un bonusiniziale di 3,8 milioni di euro. Ai quali si aggiungono550 mila euro per ciascuna partita giocata nella fase“a gironi” (solo per il fatto di essere scesi in campo).Chi poi al novantesimo minuto è risultato vincitore,ha incassato altri 800 mila euro; la metà in caso dipareggio. Le 16 squadre che hanno raggiunto la fasefinale (non più a gironi, ma ad eliminazione diretta)hanno incassano 3 milioni per aver disputato gliottavi di finale; 3,3 milioni per i quarti; 4 milioni perle semifinali. La vincente (l’italiana Inter, lo scorsoanno) ha poi intascato un jackpot finale da 9 milioni(5,2 per la seconda, il Bayern di Monaco). Nellaclassifica dei pluripremiati degli ultimi 17 annispiccano il Manchester United, con 299 milioni 787mila euro, il Bayern Monaco (268 milioni) e il RealMadrid (249,5 milioni).Secondo i calcoli della Gazzettadello Sport relativi alla stagione precedente (2008-2009), i ricavi per la Uefa sono stati pari a 1 miliardo90 milioni di euro. 530 milioni, invece, sono andati agonfiare le tasche dei club. Denaro provenienteprincipalmente dai diritti televisivi e dagli sponsor.(la serie A inglese) fosse arrivato a 3,8miliardi di euro: il 56% del totale europeo.Ma sono dati vecchi (risalgono al2008), destinati a essere corretti al rialzo.Su tutti spicca il Manchester United,che all’inizio del 2010 aveva un “buco”di 700 milioni di sterline. Ma l’esposizionedei suoi proprietari, la famiglia statunitenseGlazer, pochi mesi dopo giàsuperava il miliardo. Motivo? Quando,nel 2005, i Glazer completarono l’acquisizionedella società, sborsando quasi800 milioni di sterline, non lo fecero consoldi propri, ma con capitali presi a prestitodalle banche e dai fondi speculativi,mettendo a garanzia le attività stessedel club. Così ora i profitti bastano appenaper pagare gli interessi.Anche in Spagna la situazione èpreoccupante: il debito totale dei clubiberici era pari nel 2008 a 978 milioni,ma uno studio successivo, condotto neimesi scorsi dall’università di Barcellona,ha alzato la cifra a 3,5 miliardi. Trale peggio posizionate le big: il Barcellona(con debiti per 430 milioni) e il RealMadrid (683), ma anche il meno quotatoMallorca, primo club nella storia aessere escluso dalle coppe per problemifinanziari.E in Italia? Le venti società dellamassima serie sono indebitate per 2,2miliardi (oltre 200 milioni in più rispettoal 2009). In buona parte, ha ricordatoIl Sole 24 Ore, verso le banche. L’Interdeve agli istituti di credito 48 milioni, ilMilan addirittura 163. Per non parlaredella Roma, che la famiglia Sensi ha dovutocedere a Unicredit in cambio dell’azzeramentodel debito della controllanteItalpetroli, che aveva ampiamentesuperato i 300 milioni di euro..


1 ventunostili“Transition town”, cittàe stili di vita sostenibili:in Veneto molti fermentiNordestin transitopetrolio, ripianificando i consumi energetici e localizzando le risorse di base come ci-bo, beni primari e servizi fondamentali.La mappa (visitabile sul sito transitionitalia.wordpress.com), rivela che inItalia il movimento è ai prime passi. Sonoancora poche le località che si sono meritatel’appellativo di “città in transizione”.Ma in molti si stanno preparando.di Cristina SalviatiBasta Nordest, sinonimo di sviluppo ed economia di impresa. Il Venetovuole mostrare l’altra faccia: nuovi stili di vita, minori consumi, mobilitazione perl’ambiente, riscoperta delle relazioni, riuso, nuovi modi di concepire l’economia. Unassunto di base: il concetto di “transizione”, dal movimento (conosciuto con il suonome inglese, Transition Town), nato in Inghilterra da Rob Hopkins nel 2003. All’inizioHopkins pensò a un’esercitazione scolastica che stimolasse gli studenti a proporresoluzioni esistenziali in un mondo senza più petrolio. In realtà questa iniziativa risultòrivoluzionaria e si diffuse rapidamente in tutta Europa, “contagiando” intere comunità,composte da quartieri, piccoli paesi e associazioni, che attraverso propostee progetti pratici e basati sul “buon senso” diminuiscono la propria dipendenza dalPadova, le proposte della pastorale«Considero “transizione” – dice padreAdriano Sella, responsabile della commissione“Nuovi stili di vita” della diocesidi Padova – tutti i gruppi e le associazioniche lavorano alla revisione del propriovivere quotidiano. La diocesi di Padovaha inserito nella pastorale dellavoro un intenso programma per aiutarele persone a cambiare quotidianità. Eche sollievo leggiamo nei volti quando,incontrando le parrocchie, spieghiamocome con semplici gesti quotidiani ci sipossa liberare da stressanti abitudini,che ci rendono succubi del mercato».Alle persone vengono proposti comportamentiquotidiani e pratiche facilmenterealizzabili, alle comunità scelte eazioni collettive. «Il processo – continuapadre Sella – avviene mediante il movimentodal basso verso l’alto. Quando lenuove pratiche diventano azioni dellagente e scelte di massa, anche i vertici ele strutture delle istituzioni politiche edeconomiche vengono coinvolti nel cambiamento».Un ricco programma impegna lacommissione nella realizzazione di incontri,conferenze, laboratori. Un esempioè “La Boicottega”: insegna a conoscerei prodotti delle multinazionali, delcommercio equo e solidale e dell’agricolturabiologica e a boicottare i prodotti diimprese che hanno comportamentidannosi verso i lavoratori, soprattutto delSud del mondo, verso l’ambiente e, insenso più ampio, verso tutti i popoli dellaterra. La diocesi di Padova inoltre faparte della Rete interdiocesana Nuovi stilidi vita e ne coordina la segreteria operativa(nuovistilidivitapadova.wordpress.com,tel. 049.773687).Vicenza e le Gocce di GiustiziaAnche nel vicentino la “transizione” èben diffusa e conosciuta in alcuni settoridella società civile. È sempre padreAdriano Sella, cofondatore dell’Equobara Vicenza e attivo anche in questa diocesi,a raccontarne la situazione: «Anchenel vicentino sono moltissime le associazionie i gruppi spontanei che lavoranoal cambiamento, basti pensare che i Gas(Gruppi di acquisto solidale) sono numerosissimi».Gocce di Giustizia, nato aVicenza nel 1995, è un movimento laicoaprile 2011 <strong>scarp150</strong>.65


ventunoeconomia2che promuove le pari opportunità traNord e Sud del mondo e la dignità di ognipersona e ogni popolo. Prende le distanzedall’economia neoliberista e proponeeventi e laboratori che promuovono lasobrietà e le pratiche di “transizione”, riducendogli sprechi. (www.goccedigiustizia.it,tel. 0444.32.73.95).Mestre e i bilanci di giustiziaAltra realtà diffusa è quella della campagna“Bilanci di giustizia”, lanciata a Veronanel 1993 dall’associazione Beati i Costruttoridi Pace. A Mestre nacque il primogruppo Bilanci di giustizia ed è quiche ha sede la segreteria nazionale. «Oggii gruppi sono 43 in tutta Italia, dal nordalla Sicilia – spiega il responsabile, donGianni Fazzini –; abbiamo coinvolto piùdi 1.200 famiglie. Proponiamo un metodoper tornare a essere protagonisti dellapropria economia familiare». A chiaderisce viene fornita una scheda da utilizzareper registrare tutte le spese, conl’invito a fissare liberamente comportamentida discutere in famiglia e sceltemensili per cambiare la quotidianità. Allafine del mese si verifica la scelta e il raggiungimentodell’obiettivo.«Le scelte delle famiglie hanno favorito– continua don Gianni – il dialogocon le amministrazioni pubbliche; peresempio la decisione di non portare piùi figli a scuola con l’auto ha fatto sì che ilcomune di Mestre predisponesse le condizioniper organizzare i piedibus. L’esigenzadi acquistare frutta e verdura frescae di stagione dai produttori locali haspinto le istituzioni a realizzare mercatirionali, dove il contadino vende direttamentela propria merce». Le schede dei“bilanci” vengono poi raccolte in unabanca dati del coordinamento nazionale,che ne cura l’elaborazione statistica eredige un rapporto annuale (www.bilancidigiustizia.it,tel. 041. 5381479).Verona, famiglia controcorrenteGraziella Torneri vive con la sua famigliaa Verona. «Io e mio marito – racconta –sentivamo forte il disagio di vivere in unazona tanto ricca, ma presa solo dal consumismo.Cercavamo rapporti con lepersone e invece la relazione era più congli oggetti. La scelta di aderire a Bilanci digiustizia è stata decisiva. Aver trovato altrepersone che vivevano le stesse convinzionici ha permesso di realizzare un66.<strong>scarp150</strong> aprile 2011Qui VicenzaE poi ci troveremo all’Equobar...prodotti bio e karaoke letterarioLuogo di incontro dei gruppi vicentini attenti a un’economia di giustiziaè l’Equobar in zona Polegge, nel capoluogo. È un locale gestito interamente da volontariche provengono dal movimento Gocce di Giustizia ed è sostenuto da una retedi associazioni di volontariato. L’organizzazione è affidata all’associazione AlterAttiva,nata nel 2006, che sin dal nome indica la volontà promuovere attivamenteun’alternativa all’odierna società dei consumi forzati. E non sostenibili.Quando si entra all’Equobar la differenza di atmosfera è palpabile: ci si saluta, si scambiaqualche parola, anche con chi arriva per la prima volta. Gli avventori sono abituatia socializzare senza mediazioni. Il bar offre prodotti equo-solidali, oppure biologicie reperibili a chilometro zero, con particolare attenzione alla genuinità di cibi e vivande.Un ricco programma di appuntamenti culturali rende il luogo vivace e semprefrequentato. «Lo spazio – spiega Marzia, responsabile del programma di eventi – è apertoa tutti i gruppi che si occupano di proporre nuovi stili di vita, ma anche a singoli chevogliano presentare attività culturali in linea con la finalità del luogo».Periodicamente vengono proposte iniziative come il mercatino del baratto, che due voltel’anno coinvolge persone interessate al riutilizzo di oggetti altrimenti destinatia diventare rifiuto. Grande interesse riscuotono anche un corso che aiuta a migliorarela propria vista, o le serate dedicate alla conversazione in inglese; appuntamento fissoè il “karaoke letterario”, serata di condivisione di letture e riflessioni. Spesso vengonocoinvolti gruppi musicali per rendere piacevole la permanenza degli ospiti e per dar modoalle band locali di farsi conoscere. «Tuttisi esibiscono gratuitamente – raccontaancora Marzia –; svolgiamo un ruolodi vetrina dei talenti e delle espressioniartistiche locali».L’Equobar si trova in strada Marosticana320, è aperto dalla domenica al giovedìdalle 19 alle 24, il venerdì e il sabato dalle19 all’1 di notte. Per contatti si può visitareil sito www.equobarvicenza.it, oppuretelefonare al numero 346.7265477.Aperitivi solidaliAll’Equobar di Vicenza solo prodottia chilometri zero e del commercio equovero cambiamento».Ambiente, solidarietà, giustizia. Oggiè molto cambiata la sensibilità versoquesti temi. «Penso che proprio la ricchezzasia la causa della disgregazionedel tessuto sociale di un territorio comequello veneto – continua Graziella –. Lachiusura attorno ai propri beni, alle proprietàda salvaguardare contro tutti, hannomesso in crisi le relazioni di vicinato,rendendole precarie. Il boom economicodel dopo guerra è stato anche una rovinaper l’ambiente. Oggi c’è maggioresensibilità in proposito, ma rimane moltoda fare. Noi nel tempo abbiamo lanciatotanti messaggi; le persone attorno anoi non sono più così scettiche». .I rimedi di MayaIl bicarbonatoUna ricetta per la pulizia del viso,utilissima per ogni tipo di pelle:insaponatevi le mani e versate unpo’ di bicarbonato, finché si formauna specie di crema. Massaggiatela crema sul viso, per due o treminuti e poi risciacquate con acquatiepida. Asciugate bene il viso emettete un po’ di crema o duegocce di olio di oliva extravergine. Ilbicarbonato toglie non solo lasporcizia, ma disinfetta e elimina lecellule morte.


ventunostorie1Milano, alloggi recuperati. E affittati a chi è fuori mercatoLo sfitto diventa risorsaDar=Casa è dare futuroArchivio dellagenerativitàitalianaINFOwww.generativita.itdi Marta ZanellaGli studiosi dicono cheper uscire dalla crisioccorre ritrovareil coraggio dell’intrapresa,declinandolo in manieramoderna. Cioècoinvolgendo i molteplici“capitali” comunitari(umano, relazionale, sociale,economico). Questosuggeriscono, fra l’altro,le esperienze raccontatedall’Archivio dellageneratività italiana,progettato dall’Istituto LuigiSturzo e dall’Almed (Altascuola in media)dell’Università Cattolica.Esperienze che hannosaputo reinventarela tradizione, hanno prodottovalori e significati, hannosaputo affrontare le sfidedella contemporaneitàin modo generativo.Di benessere condiviso,solidarietà, coesione sociale.Scarp vi raccontale più significativeIn arabo, “dar” significa casa.Una cooperativa sistema allogginon usati. E li assegna a bassoprezzo. Non solo a stranieri...COOPERATIVA DAR=CASATel. 02.70101943Via Canaletto, 10 - Milanoinfo@darcasa.orgwww.darcasa.orgIL QUARTIERE È UNO DI QUELLI CHE SI DEFINISCONO DIFFICILI: lo Stadera, periferia sud diMilano. Ma la corte di via Palmieri, con i suoi appartamenti ben ristrutturati, ilcortile colorato dal murales interculturale dei bambini e le 17 etnie che ci convivonoserenamente, è il risultato di un progetto vincente.Dietro a tutto questo c’è Dar=Casa, cooperativa nata nel 1991 da un gruppodi persone reduci da anni di impegno politico e sindacale, con l’obiettivo di affrontarela prima emergenza abitativa degli immigrati (Dar significa proprio“casa”, in arabo). Così hanno stipulato un accordo con il comune e l’ente che gestiscele case popolari, che permettesse loro di ristrutturare alloggi sfitti da annie non assegnabili perché troppo piccoli, e di rimetterli in uso. Dar=Casa versaper questi appartamenti affitti bassi, li ristruttura e li affitta a canoni pocopiù alti: la differenza serve per pagare i lavori di risistemazione.In questo modo, in vent’anni, 332 famiglie hanno trovato alloggio: anzituttochi non potrebbe accedervi ai prezzi di mercato. E poi sono stati sottratti aldegrado e alle occupazioni abusive alloggi di proprietà pubblica. Le case disponibiliper il progetto oggi sono poco più di 200, di cui oltre 150 di proprietà pubblica,sparse per Milano e provincia. Tra le quasi mille persone che hanno richiestoun alloggio a Dar=Casa, in questi anni, più del 90% sono straniere, di 60 diversenazionalità (prevale il Marocco, e poi Egitto, Senegal, Perù e Filippine).L’affitto delle case costa in media 300 euro al mese, anche se – spiegano daDar=Casa – non è possibile fare un calcolo preciso.Se all’inizio la cooperativa era nata prevalentemente per gli immigrati, oggiè aperta a tutti coloro che, per varie ragioni, sono in difficoltà, il cosiddetto “cetomedio” che non regge i prezzi di mercato. «Siamo nati per gli immigrati, maoggi il bisogno della casa è anche di tanti italiani – spiega Sara Travaglini –. Sonoaumentate le richieste perché sono aumentatele situazioni difficili. Oltre agli stranieri, ci sono gliitaliani che perdono il lavoro, le donne sole con figli.Noi li seguiamo, un vero e proprio accompagnamentoall’abitare: a livello individuale, facendorete con gli organismi (associazioni, centri diascolto) che possono aiutarli ad affrontare situazionidi perdita del lavoro o problemi familiari; inoltre, cerchiamo di mettere inrelazione i nostri “utenti” con altre persone che vivono, nel territorio, il problemaabitativo, e quelli ad esso connessi».Nel quartiere San Siro, ad esempio, dove la cooperativa gestisce 25 alloggi, èstato girato un video, nel quale le donne immigrate si confrontano su temi rilevanti:i figli, l’arrivo in Italia, i loro stati d’animo, e poi esperienze positive, lanascita del doposcuola. Allo Stadera, invece, insieme all’attivissima “Banca deltempo” 4Corti, si lavora con i bambini che vengono impegnati in laboratori conmateriale da riciclo. Quando si può Dar=Casa, il resto vien da sé. .aprile 2011 <strong>scarp150</strong>.67


ventunrighedi Antonio Rossimedaglia d’oro olimpica di canottaggioFigli di uno sport minoreSudore e fatica. E il treno del successo, che passa solo ogni quattroanni, con le Olimpiadi. I figli dello sport minore sono quelli che nontrovano spazio nei palinsesti della tv, dove per 365 giorni all’annosi parla solo di calcio e motori. Pallone, macchine e moto: sembranole uniche discipline sportive degno di attenzione in Italia. È lo sportche va a braccetto col business, con gli affari esclusivi dei dirittitelevisivi, che alimentano in modo spropositato quelle discipline. Lì isoldi sembrano non mancare mai. Gli stessi soldi che non si trovanoper finanziare altri sport, che pure al nostro paese hanno portatomedaglie olimpiche, trasmettendo grandi emozioni.Sono sport che raccontano storie intrise di fatica. Di allenamenti chesfiniscono. Anni di preparazione fisica e psicologica da buttare, animae corpo, in una gara da un minuto, pagaiando su un lago con le acqueferme, scendendo a folle velocità su un toboga di ghiaccio, sparandoa un piattello che pare imprendibile, nuotando contro il tempo egli avversari in una piscina, strattonandosi su un tatami. Sono atletiche, per fortuna, possono contare ancora sulla preparazione olimpicadel Coni e sull’impegno dei gruppi sportivi delle Forze militari. Sono ifigli di uno sport che è storia di vita. Sono i figli di uno sport che in tvci passa poco. Ma che ancora, davanti a una medaglia olimpica e conl’inno in sottofondo, sa far gioire e far piangere un paese intero.68.<strong>scarp150</strong> aprile 2011


<strong>scarp150</strong>lo scaffaleLe dritte diYamadaDa ragazzina, mi ricordo che a giugno eluglio si scendeva in cortile solo quando erano finite intelevisione le partite del Roland Garros o Wimbledon.Dopo, tutti portavano giù la loro racchetta di legnoe, dentro le righe di un campo rettangolare ricavatodavanti ai box, giocavamo colpendo la pallina efacendo la telecronaca, fingendoci la Evert, Connors,Borg, McEnroe o la Navratilova. Diventavamo grandi eil grande tennis spariva dalla Rai, trasferendo tuttol’ambaradan sul satellite e nei racconti magistralidi Rino Tommasi e Gianni Clerici. Non avendo Sky,ne è passato del tempo prima che m’accorgessi d’uncognome ricorrente e vincitore quasi di ogni torneo delGrande Slam, e quel cognome era Federer. Settimanefa il mio occhio individua la parola “Federer” sullacopertina di un librino verde come l’erba di Wimbledon(superficie su cui il gioco del Nostro meglio s’esprime),e subito sono incuriosita, spostando lo sguardo più su,dall’autore del piccolo saggio, David Foster Wallace, edal titolo, Roger Federer come esperienza religiosa.David Foster Wallace è uno scrittore americano.Nato nel 1962, si è suicidato nel 2008. Il successoplanetario del suo Infinite Jest, scritto nel 1996, lo hatrasformato in autore di culto e così è finito, proprio conquesto libro, nella classifica dei migliori romanzi inlingua inglese dal 1923 al 2006, stilata dal Time. Eraun grande appassionato di tennis, che ha praticatoanche a livello agonistico. Per questo motivo, nel 2006, ilNew York Times lo spedisce come inviato a Wimbledon,a fare il cronista del moderno tennis bionico.Wallace segue una dopo l’altra le partite di Federer,e le sue parole diventano quello che succede alla pallinacolpita dalla racchetta di Federer, spiegando ai lettorila cinestetica poesia dei colpi del campione svizzeroche, quell’anno, arriva in finale contro Rafael Nadal.Solo un tennista poteva rivelare la bellezza di questosport. Wallace fa di più, narra i mutamenti (dai fasti delCustodidella terradi SiciliaQuesto libro delMlac (Movimentolavoratori diAzione Cattolica)dell’arcidiocesidi Siracusaapprofondiscei problemiambientali nelterritorio siciliano.Il volume affrontala questionein manierainnovativa,partendo daconsiderazionidi carattereantropologico,per giungerea delineareuna sintesipossibile tralavoro dell’uomo eambiente, senzavedere in antitesisviluppo e natura.a cura del Mlacdi SiracusaCustodi dellanostra terraPagine 80Euro 10gioco a rete ai racchettoni), prendendosela anche con una frase dogmatica e vetustariportata su un cartello che gli si para davanti, in un giro al Wimbledon Lawn TennisMuseum: la contraddice – ha le competenze per farlo – divulgando la genialitàdel tennis di Federer, che è in grado di pensare, con l’anticipo di quattro-cinquescambi, come stendere l’avversario, se con un potente topspin o con un tocco velocea rete. È a pagina 22 che Wallace conduce il lettore a considerare un aspetto del tennistelevisivo che appiattisce lo sforzo degli atleti: l’inquadratura è sempre dall’alto e dafondocampo, col risultato che il campo di gioco si “scorcia”. Nella realtà, tra una el’altra linea di fondo ci sono 23,77 metri in cui la pallina diventa un proiettileil cui senso di marcia deve essere, a turno, invertito dai tennisti.Aggiunge che nessun altro atleta fa sembrare questa cosa facile e naturale comeFederer, molte volte con delle giocate che sono «Mozart e i Metallica insieme».Mantengo il segreto sul titolo – così fenomenale – captato da Wallace e diventatoun passpartù per entrare nella vertigine atletica di Federer: la scrittura di Wallacece la mostra, in uno spettacolo pirotecnico di bravura. .Roger Federer come esperienza religiosa di David Foster WallaceEdizioni Casagrande, 2010I poveri non cilascerannodormireSi arricchiscedella prefazionedi Marco Paolinila terza edizioneaggiornatadel libro di padreAlex Zanotelli, cheha passato diversianni della sua vitaa Korogocho, unoslum di Nairobi.Il missionariocombonianoracconta la lotta diogni giorno dei piùpoveri del pianetaper arrivare algiorno dopo. E inquesto mododisegna un quadrospietato dellanostra società,e delle distorsionidel nostro modellodi sviluppo.Alex ZanotelliI poveri non cilascerannodormireEditore MontiPagine 109Euro 9,50De Andrèraccontatoai ragazziLe canzoni diFabrizio De Andréhanno unapotenzialitàdidattica enorme,perché ricchedi valori formativi:parola di donAndrea Gallo, checura la prefazionedel libro. Il testopercorre dalleorigini le operedel cantautoregenovese epropone spuntidi lavoro con glistudenti, a partiredalle sue canzoni:il linguaggioe il messaggiodi De Andrérestano attualie sono trasversali,perché parlanoa diversegenerazioni.MassimilianoLeprattiDe André in classeEdizioni EmiPagine124Euro 9


<strong>scarp150</strong>Eurovolontari 2011 - Belgiotestimonianza raccolta da Sara MartiniDebby, settimana con gli anziani«Mi diverto. Con discrezione»Debby Van Der Kelen ha 23 anni e da quandone aveva 16 è impegnata in attività di volontariato conl’associazione belga Joka. «È stato l’entusiasmo di una miainsegnante a introdurmi a questa esperienza a cuipartecipai per la prima volta in estate, insieme a due amici»,racconta Debby. L’entusiasmo di un gruppo di giovani e unacasa residenziale per persone anziane sono i due elementiimprescindibili per vivere l’esperienza di un campo Joka,insieme alla presenza di un gruppo di persone esperte,che accompagnano l’impegno dei giovani volontari. «Peruna settimana noi giovani – continua Debby – dedichiamotempo e compagnia agli anziani, con attenzioni specialianche grazie alla natura, la musica, il gioco. Dopo lacolazione, iniziano le attività della giornata. Organizziamola lettura del giornale per un gruppo di loro, con qualcunosi fa una passeggiata mattutina. Molte sono le possibiliattività, ma in ogni caso tutte sono scelte avendo a cuorele esigenze di ciascuna persona a noi affidata».La giornata di Debby come volontaria continua così: «Congli operatori individuiamo di volta in volta chi e in qualemomento della giornata può ricevere visite. Nel pomeriggioc’è poi la “grande attività”, condivisa da tutti. Possiamodanzare, cantare, giocare e mettere in moto la nostracreatività!». Con l’associazione Joka è possibile vivereesperienze simili anche con ragazzi con disabilità equest’anno per la prima volta è stata proposta ancheuna nuova esperienza: un campo in un centro didetenzione con persone richiedenti asilo: «La mia curiositàe il mio desiderio di mettermi in gioco mi stimolanoa voler fare tutte queste scoperte».Debby spiega il valore che dà al suo agire: «Farevolontariato mi diverte in un senso particolare, è belloincontrare molte persone e condividere esperienze estorie di vita. Trovo importante l’impegno non finalizzatoalla percezione di un guadagno in termini economici.Desidero fare qualcosa per gli altri. Molte persone nonpossono lasciare le loro case o le strutture in cui sonoospitate, ma noi possiamo andare da loro. Anche se unasettimana all’anno è molto poco, noi portiamo un po’di novità nelle vite di molte persone, e se al termine di unasettimana insieme un sorriso appare sul loro volto, èun grande dono».Secondo Debby, la formazione dei volontari, anche giovani,come lei, è cruciale. «È importante il rispetto per lapersona che si incontra e che ti apre le porte della suastanza, della sua vita, del suo cuore. Ulteriori aspettiimportanti sono la capacità di identificarsi nell’altroe di ascoltare, così come il far sì che i tempi e gli spazidelle persone siano rispettati senza imporre loro ritmiimpropri. E infine, ma non da ultimo – sottolinea la giovanebelga – l’obbligo della discrezione e del rispetto dellaconfidenza, che spesso siamo chiamati a custodire».Milano“Il pane di Osf”,lo acquisti e aiutigli utenti della mensaSabato 14 e domenica 15 maggionelle piazze di Milano, Como, Lecco,Bergamo, Brescia e Varese tornal’iniziativa “Il pane di Osf”. L’OperaSan Francesco offre (con un offertaminima di 5 euro) una pagnottelladi pane bianco. L’iniziativa di raccoltafondi andrà a favore degli utenti dellastorica mensa dell’Opera: poveri,70.<strong>scarp150</strong> aprile 2011emarginati, senzatetto. Osf offreogni giorno 2.300 pasti ai poveri,gratuitamente.INFO www.operasanfrancesco.itMilanoCasa del volontariato:da comune e Cariploprogetto per la cittàNascerà la Casa del volontariato:avrà sede in via Monte Grappa 6.È un progetto del comune di Milanoe di Fondazione Cariplo; quest’ultimacoprirà le spese per metà importo.Totale dell’investimento: 2 milionidi euro. La casa dovrebbe essereconsegnata al Ciessevi (Centro serviziper il volontariato) nel dicembre 2012.L'immobile, 1.960 metri quadri,una volta restaurato ospiterà, oltrealla nuova sede del Ciessevi, ancheuna scuola di alta formazione peril volontariato, un centro studi edocumentazione, una foresteria perospitare giovani volontari europei.INFO www.ciessevi.org.ComoUn passaggioche fa risparmiaree tutela l’ambienteAnche a Como arriva il Carpooling:grazie al nuovo servizio è possibilepostare nel sito il proprio annunciodi ricerca o offerta di un passaggio,e trovare altre persone con cuicondividere i propri tragitti in auto…e anche i costi.Il sito è statoattivato all’internodel progettosperimentale dimobilità sostenibile “KilometriKondivisi 2010”, co-finanziatoda Fondazione Cariplo. È possibileaccedere al portale e registrare


caleidoscopioStreet artdi Emma NeriColoriamo i sogni,Graffiti SchoolÈ nata la prima Graffiti ArtSchool d’Italia per aspiranti writer:l’iniziativa è dell’attore Raul Bova, cheinsieme alla moglie, Chiara Giordano,ha realizzato la Fondazione Coloriamoi sogni onlus, nata con l’obiettivodi sostenere una cultura della giustiziae dare ali ai sogni delle giovanigenerazioni. La scuola è a Rietie il ricavato servirà a finanziare progettidi solidarietà per ragazzi svantaggiati.“Graffiti” è anche un percorso itineranteche arriverà nelle piazze d’Italia conun calendario ricco di appuntamenti.Il progetto prevede che la Fondazionedi Bova organizzi l’evento con i più notiwriter d’Italia, disponibili a “esibirsi”nei comuni che decideranno di ospitarela manifestazione. Oltre ai writerci saranno personaggi del mondo dellosport e dello spettacolo. Una kermessedi aggregazione sociale, nella qualei ragazzi, writer in erba, insieme a quellifamosi potranno dare vita a muricolorati di immagini ispirate alla legalità.INFO www.fondazionecoloriamoisogni.itMiriguardadi Emma NeriUn portale per progettare la vitadelle persone diversamente abiliUn nuovo portale web: così il Centro progetto di vita (Cpv)vuole garantire e promuovere il diritto alla vita indipendente dellepersone con disabilità. Il portale è un servizio sperimentale dellaregione Lombardia, gestito da Ledha (Lega per i diritti delle personecon disabilità) e rivoltoa persone con disabilitàmotoria.Il Cpv è attivo nella sededi Ledha (via Livigno 2,Milano) e si occupaspecificamentedel supporto alladefinizione-ridefinizionedi un progetto di vitaper persone condisabilità motoria.Il nuovo sito intendeessere ancheuno strumentodi monitoraggiodel rispetto di questo diritto nel territorio della regione. Il sitosi propone altresì di raccogliere testimonianze di persone chein Lombardia sono riuscite a realizzare un proprio progetto di vitaindipendente, o di chi ha tentato ma non c'è riuscito per diverseragioni, attraverso un apposito questionario online.INFO http://cpv.ledha.it/il proprio account, per cercarepassaggi o pubblicare annunci peroffrire un posto sulla propria auto.Quando due utenti postanoun annuncio con lo stesso tragitto,il sistema invia a entrambi una emailper accordarsi e organizzare il viaggio.INFO www.comocarpooling.itGenovaFermate buspiù sicurecon gli “angeli”Fino a fine giugno, dalle ore 21 alleore 24 a Brignole,Sampierdarena,Caricamento ePrincipe, riprendel’attività degli“Angeli allefermate”; dopola pausa estiva,ritornerà asettembre 2011.Gli “angeli” sono animatori dotati di alie cartellino identificativo del comune,che entrano in servizio in orarionotturno alle fermate del centrostorico e sulle principali lineedi autobus. Effettuano attivitàdi accompagnamento a casa perpersone sole, svolgono animazionecon letture e performance ointerpretano il ruolo dell’angeloconfidente-ascoltatore che cerca dicreare momenti di coesione sociale;favoriscono l’uso del mezzo pubblicoin orario serale;promuovono il senso civicoe accrescono la sensazionedi sicurezza, distribuisconomateriale culturale einformativo e segnalano iproblemi dei cittadini.INFOwww.angeliallefermate.itPiemonteJimmy in camminoverso Auschwitz,viaggio della MemoriaSono partiti il 15 febbraio da BorgoSan Dalmazzo (Cn) e arriveranno adAuschwitz il primo maggio: l’iniziativa“Passo dopo Passo ad Auschwitz”nasce da Jimmy, attore di teatro che,accompagnato dai figli e da due amici,sta cercando di percorrere in 76 giorniben 1.913 chilometri, seguendo iltragitto che fecero, nel 1944, 26 ebreideportati dai nazisti da Borgo SanDalmazzo. È possibile seguirein diretta il cammino sul sitowww.viaggioadauschwitz.com, oppuresi può fare un pezzo di strada con loro,o anche solo inviare una cartolina: incambio loro ne spediranno un’altrada Auschwitz a quanti gli sono stativicini in questi lunghi giorni a piedi.INFO www.viaggioadauschwitz.comaprile 2011 <strong>scarp150</strong>.71


<strong>scarp150</strong>GenovaChi inventò la guerra?Leggere la storiaper capire il presenteDal 15 al 18 aprile torna “La nascitadelle nazioni” un festival sulla storia.Quest’anno il tema sarà quanto maidelicato (e purtroppo attuale):“L’invenzione della guerra”. Storici,attori, registi, sociologi e scrittoriprovenienti da tutta Europa siconfronteranno sui temi nevralgicidella nostra storia passata e recente.Ogni giorno dalle 9 alle 24, oltre 60eventi: incontri, teatri, concerti, filme video, giochi, mostre, libri, vini, cibie attività per le scuole.INFO www.palazzoducale.genova.itVicenzaL’Italia unita,progressi e problemiin dieci pellicoleDieci film per rileggere la storiadell’Unità italiana: è il cineforumorganizzato da Assogevi (associazionedi genitori vicentini) a Villa Tacchi,in occasione delle celebrazioni del150° dell’Unità. Dal “Gattopardo”al recentissimo “Benvenuti al Sud”,dieci pellicole raccontano progressie problemi del Belpaese. L’iniziativa,iniziata a marzo, dura fino al 12maggio. Qualche titolo ancorain programma: 28 aprile, “La giustadistanza” di Mazzacurati; 5 maggio,sei domande a... Mogoldi Danilo AngelelliRinascimento di spiritualità per un’Italia da ricostruireImpossibile selezionare le sue canzoni. Sono tantissime, tutte entrate didiritto nella storia della musica leggera italiana. E della nostra vita. Lanuova, Rinascimento, riesce a intercettare l’aria di questo tempo faticoso.Perché il nostro mondo, diventato quasi irriconoscibile, «sembra un altromondo» e «tende la sua mano, forse cerca Dio». Così ha cantato GianniMorandi all’ultimo Festival di Sanremo durante la serata di celebrazionedei 150 anni dell’Unità d’Italia. Gianni Bella ha composto la musica. Lui,Giulio Rapetti Mogol, l’ha intessuta con un testo che riconcilia con lacanzone italiana.Si può ancora suscitare una riflessione attraverso quattro minuti diparole in musica?Il giorno dopo l’esecuzione di Rinascimento sul palco dell’Ariston, lacompilation che la contiene ha venduto centomila copie. È una questione diqualità. Quando Gianni Morandi ha sentito per la prima volta il pezzo si ècommosso. E poi si è preparato a lungo. Se chi le scrive e chi le canta lesentono davvero, le parole arrivano, eccome.Da Rinascimento: «La soluzione forse è pregare (…) Una vita piùspirituale». Il riscatto personale e sociale passa anche attraverso laspiritualità?La mia fede non deriva da un fatto di ortodossia: sono cattolico per quelloche cerco di capire della vita. La religione non è solo atto di fede, ma fruttodella ragione. La fede è anche conseguenza di una riflessione e ci può farAutore di testisenza epocaNella foto sopraun “primissimo” pianodi Mogol. A destra,la copertinadella compilationche raccoglie,con le canzonidella tradizioneitaliana, l’ineditoRinascimentoraggiungere una qualità della vita migliore. A livello personale e in quanto facenti parte della società.L’identità di un paese la si può trovare anche nella spiritualità?Certo. Oggi più che mai durante la messa il sacerdote parla di cose concrete. È l’azione che ci definisce cristiani, non laripetizione dei riti. Il paese è da ricostruire, ma il terreno è fecondo perché l’italiano è buono e gentile. Viene da unatradizione in cui era normale portarsi a casa qualcuno che si vedeva stare male per strada. C’era il senso del soccorso.Nella scrittura di Rinascimento hanno influito di più i suoi 74 anni o il periodo che viviamo?La canzone è soltanto una risposta al modo di vivere di questi anni. Io sono lo stesso di sempre, amo lo sport e l’avventuracome quando ero ragazzo. La sensibilità a certi temi c’è sempre stata: La canzone del sole, del 1971, ha l’inciso “Oh marenero”; Il nostro caro angelo, del 1973, parla di ideali.«Una nuova conoscenza, innocenza e sapienza, che riunisce la gente». Sta lì la possibilità di rinascita?Quel verso è il fulcro della canzone. La sapienza e l’innocenza non sono in contrasto. Anzi, è da questo connubio che nascel’uomo fatto a immagine di Dio.Continuando a estrapolare, crede davvero che «finirà lo smarrimento, sarà un rinascimento»?Gli ultimi versi sono all’insegna dell’ottimismo, uno slancio di fede e speranza. Ho quattro figli e soprattutto sette nipoti: michiedo sempre in che mondo questi ultimi vivranno. Credere che ce la possiamo fare è un po’ cominciare a cambiare le cose.72.<strong>scarp150</strong> aprile 2011


caleidoscopio“Venti sigarette” di Amadei; 12maggio, “Benvenuti al Sud” di Miniero.INFO www.comune.vicenza.itFirenzeOttava edizionedi Terra Futura,si parla di beni comuni,Un nuovo progetto di società e dieconomia, per il benessere dell’uomoe del pianeta. Su questo obiettivoda sempre si concentra Terra Futura,mostra convegno internazionale dellebuone pratichedi sostenibilitàambientale, economicae sociale, la cui ottavaedizione è inprogramma dal 20al 22 maggio a Firenze, alla Fortezzada Basso. Promossa da Fondazioneculturale Responsabilità etica onlusper il sistema Banca Etica, da regioneToscana e Adescoop-Agenziadell’economia sociale, insieme aipartner Acli, Arci, <strong>Caritas</strong> Italiana,Cisl, Fiera delle Utopie Concrete eLegambiente, Terra Futura rifletteràquest’anno, grazie al nutritissimoprogramma culturale, su “La cura deibeni comuni”. Nella vasta rassegnaespositiva, articolata in diverse sezioni,numerosi i settori rappresentati: tuteladell’ambiente, energie alternative,finanza etica, commercio equo,agricoltura biologica, edilizia e mobilitàsostenibili, turismo responsabile,consumo critico, welfare, impegnoper la pace, solidarietà sociale.INFO www.terrafutura.itNapoliI ragazzi della Sanità:guide per i turistinelle “catacombe”Don Antonio Loffredo è il parrocodel rione Sanità. È lui che animae progetta iniziative culturali edi aggregazione nel quartiere.Don Antonio, in particolare, ha cercatodi creare occasioni di lavoro peri ragazzi della Sanità; insiemea loro ha rivisitato la gestione delsistema delle “catacombe” del rione;il progetto è diventato cooperativa,“La Paranza”, che dà lavoro a 18ragazzi, assunti con contratti a tempoindeterminato. Tutti hanno fatto uncorso di formazione e oggi fanno leguide ai turisti: chi vuole visitare lecatacombe non ha cheda contattarli.INFO www.catacombedinapoli.itpagine a curadi Daniela Palumboper segnalazionidpalumbo@coopoltre.itPillolesenza dimoraCensimento nelle stazioniSono 76.794 i clochard che vivonoin dieci stazioni d’Italia (Roma,Milano, Napoli, Catania, Foggia,Bologna, Firenze, Chivasso, Pescarae Genova). Il 73% sono uomini;il 27% donne; il 22% italianie il 78% stranieri. I dati, cui se neaggiungono molti altri, derivanodalla ricerca Mind the gap, oltre laLinea Gialla, stilata dall’Osservatorionazionale sul disagio e la solidarietà(www.onds.it) delle Ferrovie delloStato. Essa analizza anche abitudinie situazione sociale dei senzadimora nelle stazioni.Sant’Egidio, guida e censimentoI giovani volontari della Comunitàdi Sant’Egidio hanno presentatoa Palazzo Reale una piccola guidadedicati ai senzatetto di Milano:Dove mangiare, dormire, lavarsi.Edizione 2011. A Napoli, invece,Sant’Egidio ha censito i senzatettoche vivono nell’area metropolitana:sono oltre 1.500 le persone chevivono in strada. Su un campionedi 650, il 66% ha tra i 19 e i 34 anni,l’84% dei quali immigrati in cerca dilavoro. Il problema per cui si finiscein strada è la disoccupazione (78%),poi sfratto o perdita della casa,dipendenze, malattia mentale.Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesiaprile 2011 <strong>scarp150</strong>. 73


<strong>scarp150</strong>street of americaSuo padre lotta per i diritti degli afroamericani. E lui oggi rievoca...Parker, “prof” sulla panchina«La segregazione non è svanita»di Damiano Beltrami – da New YorkRSchaffi liberatoriRubin Parkeral parcoKelly Ingramdi Birmingham,Alabama,da dove raccontaai passantiepisodidella storiaafromaericanadegli Stati uniti74.<strong>scarp150</strong> aprile 2011UBINPARKER È PROFESSORE SUI GENERIS. È un homelesscinquantenne che insegna storia afroamericanaper le strade di Birmingham, in Alabama, nel sud degli States. «Qui fino agli anniSessanta non solo gli autobus avevano sedili separati per i bianchi e per i neri, non soloi bagni pubblici avevano lavelli separati per i bianchi e per i neri – rievoca Parker, mentrespinge un carrello della spesa carico di vestiti, scarpe e tomi di storia sdruciti –: c’eranopure le lavanderie solo per i bianchi. A questo livello, eravamo».Parker è un tipo corpulento, dalla barba ispida e gli occhi scintillanti. Dopo alcuni anniin carcere per spaccio di crack si è ritrovato senza casa, a sopravvivere per i desertiboulevard di Birmingham, il più grande centro dello stato, un tempo capitale della produzionedi acciaio in America e oggi sonnolenta città del Sud. Parker tira a campare appostandosiogni giorno davanti al Birmingham CivilRights Institute e offrendo a turisti e passanti lezioniinformali su cosa sia stata la segregazione primadel movimento per i diritti civili guidato daMartin Luther King.«Guarda questa chiesa – attacca, indicando la16th Street Baptist Church all’angolo tra la 16thStreet e la 6th Avenue Nord –. Nei primi anni Sessantaera un luogo di aggregazione per la comunitàafroamericana, venivano organizzati incontri e proteste.Beh, nel 1963, alcuni membri del Ku Klux Klan(organizzazione che propugna la superiorità dellarazza bianca) bombardarono la chiesa, uccidendoquattro ragazze».Il padre di Parker, Charles, partecipò alla famosamarcia da Selma a Montgomery, il 7 marzo 1965; una giornata passata alla storia come“La domenica di sangue”. Guidata da John Lewis, uno dei capi del movimento per i diritticivili, la folla stava marciando verso la capitale dell’Alabama, Montgomery, per dimostrarel’appoggio al diritto di voto dei neri. «Quando i manifestanti arrivarono sul ponteEdmund Pettus trovarono la polizia in assetto anti-sommossa e venne loro intimato didisperdersi – racconta Parker –. Allora Lewis, che non voleva indietreggiare, si inginocchiò,e molti lo imitarono. Pochi secondi e i poliziotti cominciarono a maganellare senzapietà. Mio padre tornò a casa così malconcio che mia madre non lo poteva neppurericonoscere».Parker parla a singhiozzo, è come se questa storia lo prendesse a schiaffi ogni giorno.Ma ricordarla e condividerla è per lui terapeutico, quasi liberatorio. E ciò che più ama èraccontare il finale, la decisione dell’allora presidente Lyndon B. Johnson di firmare ilVoting Rights Act, (la legge per i diritti di voto) del 1965, dopo due anni di violenze mostruose.«La segregazione non è svanita completamente – mette in guardia Parker, mentreprende fiato seduto su una panchina del parco Kelly Ingram –. Anche tra noi senzatetto,bianchi e neri dormono e bazzicano in zone diverse. Ma almeno oggi noi neri usiamole stesse latrine dei bianchi. E se saliamo su un autobus non siamo costretti a sederciin ultima fila». .


La borsanonèunGIOCOFondi etici: l’investimento responsabileETICA SGR: VALORI IN CUI CREDERE, FINO IN FONDO.Etica Sgr è una società di gestione del risparmio che promuove esclusivamente investimenti finanziari in titolidi imprese e di Stati selezionati in base a criteri sociali e ambientali.L’investimento responsabile non comporta rinunce in termini di rendimento. È un investimento “paziente”, nonha carattere speculativo e quindi ben si coniuga con la filosofia di guadagno nel medio-lungo termine comunea tutti gli altri fondi di investimento.Parliamo di etica, contiamo i risultati.I fondi Valori Responsabili si possono sottoscrivere presso tutte le filiali e i promotori di Banca Popolare Etica, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio,Banca di Legnano, Simgest/Coop, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Casse Rurali Trentine, Banca Popolare dell’Alto Adige, Banca della Campania, Banca Popolaredi Marostica, Eticredito, Cassa di Risparmio di Alessandria, Banca di Piacenza, Online Sim e presso alcune Banche di Credito Cooperativo.Per maggiori informazioni clicca su www.eticasgr.it o chiama lo 02.67071422. Etica Sgr è una società del Gruppo Banca Popolare Etica. Prima dell’adesioneleggere il prospetto informativo. I prospetti informativi sono disponibili presso i collocatori e sul sito www.eticasgr.itLIPPER FUND AWARDS 2010Valori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto Rendimenti a tre anni (2007-2009)LIPPER FUND AWARDS 2009Premio Migliori Risultati Categoria Risparmio GestitoPremio Migliori Risultati Categoria Risparmio GestitoValori Responsabili Monetario e Valori Responsabili Obbligazionario Misto Rendimenti a tre anni (2006-2008)LIPPER è una storica agenzia di rating e fund research, appartenente al Gruppo Reuters, che ogni anno individua – dopo un’attentissimaanalisi – i prodotti di investimento migliori sul mercato. I Lipper Fund Award-Italia premiano in particolare i migliori fondi a tre anni didiritto italiano ed estero venduti in Italia.MILANO FINANZA GLOBAL AWARDS 2009Valori Responsabili Obbligazionario Misto - Rendimento a un anno (2008)

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