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Ipertesto C – GULag: il sistema concentrazionario sovietico - Sei

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<strong>GULag</strong>: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong><strong>concentrazionario</strong><strong>sovietico</strong>POTERIE CONFLITTIIPeRtestoLe origini del <strong>sistema</strong>La prassi di internare i nemici e gli oppositori in campi di concentramento (o lager, secondol’espressione tedesca, che veniva usata correntemente anche in Russia) fu adottata dai bolscevichidurante la guerra civ<strong>il</strong>e. Nata come misura eccezionale, dettata dall’emergenza bellica,tale pratica si trasformò ben presto in <strong>sistema</strong>, cioè in realtà istituzionale diretta dall’alto.Un passo importante in tale direzione si ebbe <strong>il</strong> 17 febbraio 1919, allorché un appositodecreto del Comitato esecutivo centrale dei soviet della Russia conferì alla Ceka <strong>il</strong>diritto di isolare in lager tutti i soggetti sospettati di essere controrivoluzionari. Pare che,alla fine del 1919, esistessero 21 campi registrati, che salirono a 107 nel 1920. I dati relativia questa prima fase sperimentale, tuttavia, sono confusi e tutt’altro che sicuri.Il <strong>sistema</strong> assunse la sua forma definitiva nel 1923, allorché nacque <strong>il</strong> lager a regime specialedelle Solovki (o sLoN). Le solovki sono un arcipelago, situato al 65° parallelo d<strong>il</strong>atitudine, a circa 160 ch<strong>il</strong>ometri dal circolo polare artico. Questo gruppo di isole si trovadunque nell’estremo Nord della Russia, nel Mar Bianco, al largo della città di arcangelo(distante circa 300 km). In inverno, <strong>il</strong> Mar Bianco gela e rende molto diffic<strong>il</strong>e la navigazione.al giorno d’oggi, nella stagione invernale, i pochi abitanti (circa 1500, concentratiRiferimentostoriografico 1pag. 12➔Un arcipelagonel Mar BiancoIPERTESTO C1Un gruppo di prigionieridestinati alle Solovkientra nel campo ditransito di Kem´.Fotogramma di un f<strong>il</strong>mdi propaganda giratodalle autorità sovietiche.gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


IPeRtestoUNITÀ IV2IL COMUNISMO IN RUSSIA➔Il poteredelle SolovkiLE ISOLE SOLOVKIquasi tutti sull’isola più grande) sono collegati alla terra ferma grazie a un piccolo aeroporto.In passato, invece, gli insediamenti umani erano tagliati fuori dal resto della Russiaper gran parte dell’anno. oltre tutto, a causa della latitudine quasi polare, in invernole isole sono immerse nella penombra per moltissime ore al giorno.Nel 1435, vi giunse <strong>il</strong> primo gruppo di monaci cristiani, determinati a vivere lontanodal mondo, a contatto con una natura durissima e selvaggia. Malgrado le condizioni climaticheestreme, nel xvI secolo la comunità monastica crebbe di numero e si dotò di ungrande monastero, al cui interno fu edificata la chiesa più alta di tutta la Russia (cattedraledella trasfigurazione, completata nel 1558). all’inizio del Novecento, i monaci dellesolovki gestivano numerose e fiorenti attività economiche; <strong>il</strong> monastero, ad esempio,possedeva una propria flotta e una stazione radio. Ma tutto questo, ovviamente, con l’avventodei bolscevichi al governo fu confiscato dal nuovo stato comunista.Già nel 1920, la regione di arcangelo ospitava numerosi lager e i bolscevichi avevano creatosull’isola principale un campo di prigionia, per soggetti catturati durante la guerra civ<strong>il</strong>e.Nel 1923, con la creazione del lager a destinazione speciale, la maggior parte dei detenutie l’amministrazione centrale furono trasferite sull’arcipelago, mentre i pochi campiminori rimasti attivi sul continente persero ogni autonomia e furono trasformati in sottocampi,dipendenti dal comandante del lager delle solovki.Il primo ufficiale incaricato di dirigere <strong>il</strong> campo fu a.P. Nogtev (1892-1947), che rimaseal suo posto fino al 1930. Numerose testimonianze concordano nel ricordare che luistesso o uno dei suoi collaboratori, quando accoglievano un gruppo di nuovi prigionieri,amavano proclamare con sarcasmo che nel nuovo luogo in cui erano capitati non vigevala legge ordinaria dell’Unione sovietica. I prigionieri erano ora, unicamente, sotto<strong>il</strong> potere delle Solovki. In pratica, al di là dei regolamenti di carattere generale, alle solovkicontava solo l’arbitrio del comandante, dei suoi collaboratori e delle guardie. Per farcapire subito questo messaggio, poteva accadere che qualche detenuto fosse immediatamenteucciso, poco dopo l’arrivo, davanti a tutti gli altri, con un colpo di fuc<strong>il</strong>e.Beluz'e ˇ MonteSekiraSavvatievoIsakovoNovaja SosnovajaReboldaF<strong>il</strong>imonovoBaiaProfondaEremodella TrinitàKen'gaIsola GrandePostazione di lavoro TrojckajaEremodel GolgotaCittadelleIsola di AnzerIsola Grande MuksalmaCremlinoEremo di San SergioDigaIsolaPiccolaMuksalmaMar di BarentsIsola Grandedelle LepriMar BiancoMar BalticoPromontorio Pecak ˇMar CaspioIsola Piccola delle LepriMar NeroF.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


Il lager delle isole Solovkisecondo lo scrittore russo aleksandr solzenicyn, <strong>il</strong> regime delle solovki era ancora molto«lontano dall’indossare la corazza del <strong>sistema</strong>». Piuttosto, a suo parere, «l’aria delle solovki»appariva come «uno strano miscuglio di estrema ferocia e di inconsapevolezzaquasi indulgente». Questa valutazione nasce dal fatto che, a fianco di episodi di eccezionalebrutalità, lo storico registra anche casi e situazioni del tutto particolari, destinati a scomparirenell’evoluzione successiva del <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>.ad alcuni detenuti, ad esempio, fu concesso ricevere non solo pacchi e lettere dall’esterno,ma persino visite di parenti. Nel 1926, ai numerosi religiosi reclusi fu concesso di celebrarela Pasqua, con una solenne e grandiosa cerimonia liturgica. Inoltre, all’interno dellager, venivano curate ricerche di storia dell’arte e dell’architettura russa, di etnologia edi archeologia; era pubblicata una rivista e (dal 1926 al 1931) funzionò anche un teatro.Nell’inverno 1929-1930, in occasione di un’epidemia di tifo che colpì <strong>il</strong> lager, l’edificiodel teatro fu adibito a lazzaretto per i malati, ma continuò a funzionare come luogo dispettacoli e di concerti.all’interno del monastero la densità abitativa era insostenib<strong>il</strong>e. I letti, ovviamente, non avevanolenzuola e gli ambienti, in genere, erano freddissimi, privi di qualsiasi riscaldamento,cosicché i reclusi erano costretti a costituire dei gruppi di calore di 4 o 6 persone, che si stringevanogli uni agli altri per scaldarsi un poco. tuttavia, le condizioni di vita di coloro che eranoinviati nel bosco, in campi senza nome, a tagliare legname, erano molto peggiori. I loroalloggi erano a dir poco primitivi: si trattava di buche o trincee, scavate spesso con le maninude (cioè senza vanghe o altri attrezzi) in terreni paludosi e acquitrinosi. La mortalità piùelevata si registrò proprio in tali luoghi improvvisati. altri lavori molto duri furono quellodi costruzione e manutenzione di una piccola ferrovia a binario unico e a scartamento ridotto(entrata in funzione <strong>il</strong> 13 agosto 1927) e quello nelle torbiere. Qui si lavorava con l’acquafino alle ginocchia o fino alla cintola per estrarre la torba (la norma fissata era di almeno12 metri cubi giornalieri a persona), che poi veniva messa a essiccare.➔Cultura e teatro➔Sottocampinei boschiUn gruppo di detenutidel lager delle isoleSolovki durante i lavoridi costruzione di unapiccola ferroviaa binario unico.IPeRtestoIPERTESTO C3gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


IPeRtestoUNITÀ IV4IL COMUNISMO IN RUSSIAUn ritratto delle isole SolovkiDOCUMENTILa testimonianza più importante che abbiamo sulle isole Solovki ci è pervenuta da Dmitrij SergeevičLichacev, che fu arrestato nel 1928. Riportiamo un brano delle sue memorie, da cui emergeche <strong>il</strong> principale problema del lager era <strong>il</strong> sovraffollamento (con conseguente rischio di epidemiedi tifo).Dalle conversazioni del 1929 ricordo che la densità della popolazione delle Solovki erasuperiore a quella del Belgio, fermo restando che gli spazi sterminati dei boschi e delle paludinon solo non erano abitati, ma erano addirittura inesplorati. Che cos’erano, dunque, leSolovki? Un enorme formicaio? Sì, tanto che era diffic<strong>il</strong>e passare tra gli edifici. Per entraree uscire dalla baracca 13, accanto alla chiesa della Trasfigurazione, c’era sempre ressa. Idetenuti-guardiani mantenevano l’ordine con i manganelli. Nel contempo l’accesso e l’uscitaerano consentiti solo con gli ordini, le disposizioni per <strong>il</strong> lavoro.La notte sui passaggi tra gli edifici scendeva <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio. Le mura erano imponenti: quelledi torri e chiese si allargavano verso <strong>il</strong> basso. Proverò ora a descrivere la dislocazione dellebrigate nel lager. Nel Cremlino (così sichiamava la parte di edifici del monasterocinta da mura, massi giganteschiricoperti di licheni color ruggine) c’eranoquattordici brigate. La quindicesima,fuori del monastero, era per i detenutiche vivevano nelle diverse tanepresso l’officina meccanica o la fabbricadi alabastro, presso <strong>il</strong> bagno numero2 ecc. Il cimitero del lager venivachiamato brigata 16. Era una battuta,ma sta di fatto che, d’inverno, in alcunebrigate i cadaveri restavano insepolti esvestiti.Perché i detenuti venivano suddivisiin brigate? Probab<strong>il</strong>mente dipendevadal fatto che erano stati i m<strong>il</strong>itari prigionierisull’isola a mantenere l’ordine tra iprimi arrivati. I secondini non potevano,né tanto meno sapevano organizzarealcunché. In un primo momento l’unicaforza organizzativa in grado di ripartire,sfamare e instaurare una primordialeforma di disciplina tra i detenuti che arrivavano sulle isole dell’arcipelago delle Solovkierano i m<strong>il</strong>itari, che si rifecero ai modelli di cui disponevano. [...]Di tutte le brigate la tredicesima era la più grande e la più tremenda. Vi venivano destinatii nuovi arrivi, lì inquadrati per spezzare ogni velleità di protesta, e poi spediti ai lavoripesanti. Chiunque giungesse alle Solovki era obbligato a trascorrere non meno di tremesi nella brigata 13 detta, per l’appunto, di quarantena. La mattina ci facevano metterein f<strong>il</strong>a per l’appello lungo i corridoi che si snodavano intorno alle chiese della Trasfigurazionee della Trinità. Eravamo in f<strong>il</strong>e di dieci, ci si contava, e l’ultimo gridava «Centottantaduesimoper f<strong>il</strong>e di dieci!». È capitato che nella brigata tredici di quarantena si stipasserostrette strette tre, quattro o anche cinquem<strong>il</strong>a persone. Va da sé che avessimo tutt<strong>il</strong>e pulci. Solo ricorrendo a raccomandazioni particolari si riusciva a lasciarla prima deltempo. [...]Le Solovki erano esattamente <strong>il</strong> luogo in cui l’uomo si trovava di fronte <strong>il</strong> prodigio e la quotidianità,<strong>il</strong> passato del monastero e <strong>il</strong> presente del lager, e gente di ogni morale, dalla piùnob<strong>il</strong>e alla più spregevole. [...] La vita alle Solovki era tanto assurda da non parere vera. «Quitutto si confonde come in un incubo terrib<strong>il</strong>e», si cantava in una delle canzoni del lager.D.s. LIChaCev, La mia Russia, einaudi, torino 1999, pp. 138-143, trad. it. C. ZoNGhettIl’appello dei detenutinel lager delle isoleSolovki: un ritualeche si ripeteva ognimattino.A quale metafora ricorre l’autore per esprimere l’aspetto più importante del lager?Qual era la brigata peggiore del lager?Quali elementi contrastavano tra loro, all’interno del campo?F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


La corruzione, all’interno del campo, imperava sovrana. elargendo denaro agli ufficialio al personale sanitario, era possib<strong>il</strong>e essere dichiarati inidonei ai lavori più pesanti ed essereassegnati ad altre attività meno faticose, salvo poi vedersi improvvisamente ritiraretali priv<strong>il</strong>egi. anche questa prassi rientrava nel clima di generale arbitrio e irrazionalitàche caratterizzò la gestione del lager delle solovki negli anni venti.Le infrazioni ritenute più gravi comportavano sanzioni pesantissime. all’interno della chiesasituata sul Monte Sekira funzionava un vero tribunale politico, che poteva emettere sentenze:poteva decidere, ad esempio, un prolungamento della pena detentiva, oppure la fuc<strong>il</strong>azionedel detenuto. alla fine di ottobre 1929, si verificò uno degli episodi più gravi di tuttala storia del campo. volendo intimorire i detenuti, in occasione di un fallito tentativo dievasione da parte di due prigionieri, dopo la loro cattura furono uccisi numerosi deportati.Il numero preciso è discusso: molte testimonianze (ad esempio quella di Dmitrij Lichacev,sotto riportata) parlano di circa 300; più probab<strong>il</strong>mente, però, i fuc<strong>il</strong>ati non superarono lacinquantina. In questo caso, l’esecuzione non avvenne sul Monte sekira, ma nei pressi delmonastero, da cui fu prelevata la maggior parte dei detenuti eliminati. sul Monte sekira, venneinfine commesso un altro tipo di crimine: un numero imprecisab<strong>il</strong>e di prigionieri fu gettatoda una lunga scala di 365 gradini, che portava fino alla base della collina. Queste uccisionierano poi ufficialmente fatte passare per incidenti.Lo sv<strong>il</strong>uppo del <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong>Il durissimo scontro sociale in atto nelle campagne russe, all’inizio degli anni trenta, fece aumentarein modo esponenziale <strong>il</strong> numero dei detenuti, e quindi dei campi. Nel 1930, per gestireuna struttura che si faceva sempre più ramificata e complessa, fu creato un nuovo appositoente, la Direzione centrale dei lager (Glavnoe Upravlenie Lagerej, abbreviato in <strong>GULag</strong>).Inoltre, in concomitanza con la svolta impressa da stalin all’economia sovietica, si decise diimpiegare la manodopera dei campi per fini produttivi. Fin dal 1923, i detenuti avevano semprelavorato all’interno dei lager. In epoca staliniana, però, <strong>il</strong> lavoro schiavo dei detenuti ebbeun ruolo determinante nel formidab<strong>il</strong>e processo di crescita economica che si verificò in URss,nel corso degli anni trenta. Il loro impiego divenne <strong>sistema</strong>tico, metodico e, al limite, spietato,in quanto i risultati da conseguire contavano molto di più della vita e della dignità umanadi coloro che dovevano contribuire a raggiungerli, con i loro sforzi e la loro fatica.Per costringere a lavorare masse sempre più ingenti di prigionieri, negli annitrenta fu introdotto<strong>il</strong> cosiddetto <strong>sistema</strong> delle razioni differenziate. In pratica, fu istituita una micidiale correlazionetra mole di lavoro effettivamente svolta nell’arco di una giornata e quantità di panericevuta. a ciascun detenuto (o, in alternativa, a una squadra) era assegnato un dato obiettivolavorativo da raggiungere: ad esempio, veniva fissato un determinato numero di metricubi di tronchi da tagliare, da accatastare o da caricare. se tale norma era raggiunta, alla razionedei detenuti era aggiunto un corrispondente quantitativo di pane. Diversamente, <strong>il</strong> detenutodoveva accontentarsi della misera razione-base di pane, e della zuppa, <strong>il</strong> cui valorenutritivo era spesso un fatto casuale: come scrive varlam šalamov, «<strong>il</strong> mestolo del distributoreche pesca soltanto brodaglia (praticamente acqua), può ridurre le qualità nutritive delcompanatico praticamente a zero».Nei primi anni trenta, per chi svolgeva lavori fisici pesanti era fissata una razione giornalieradi un ch<strong>il</strong>o di pane. Per chi adempiva la norma giornaliera al 100 per cento c’eranoaltri 300 grammi di supplemento. Nella seconda metà degli anni trenta, mentre larazione punitiva scese fino a 300 grammi, la quantità di pane distribuita al detenuto a prescinderedai risultati del lavoro, la cosiddetta garantita, fu abbassata di più della metà, arrivandoa toccare i 400-450 grammi.se si eseguivano i 3/4 del piano affidato era prevista un’aggiunta di 100 grammi. Per l’adempimentocompleto della norma c’era un supplemento di 200 grammi sulla razione-base;se la si superava, addirittura, del 125%, era possib<strong>il</strong>e avere 300 grammi in più. tuttavia, i vecchidetenuti avevano imparato a loro spese una semplice massima di saggezza concentrazionaria:«Non ti ammazza la razione piccola, ma quella grande!». andare alla ricerca della razionesupplementare, infatti, richiedeva spesso sforzi eccessivi, che alla fine esaurivano deltutto le forze e non erano affatto compensate dalla quantità extra ricevuta.F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012➔Clima di arbitrioe irrazionalitàRiferimentostoriografico 2pag. 14➔Sfruttamentodel lavoro➔Razioni di paneIPeRtestoIPERTESTO C5gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>


IPeRtestoUNITÀ IV6IL COMUNISMO IN RUSSIAIl <strong>sistema</strong> delle razioniDOCUMENTINegli anni Trenta, nei lager sovietici fu introdotto un nuovo <strong>sistema</strong> di razioni alimentari, forniteai deportati in rigida proporzione rispetto al lavoro svolto. Il passo che riportiamo è di Olga Adamova-Slozberg, che visse in lager dal 1936 al 1956. La scena seguente si svolge nella regione della Kolyma(Siberia nord-orientale).Con Galja Prozorovskaja si lavorava in coppia a preparare <strong>il</strong> legname. Da principio lei erapiù forte e più ab<strong>il</strong>e di me, ma a poco a poco cominciò a cedere. Lavorava sempre più lentamentee noi finivamo sempre più tardi la quota stab<strong>il</strong>ita (otto metri cubi al giorno in due).Le altre andavano già a casa e noi non avevamo ancora <strong>sistema</strong>to le nostre cataste e nonavevano la forza di andare più svelte.Io mi arrendevo per prima: «Basta, Galja, finiamo domani. Non ce la faccio più».Galja rispondeva spaventata:– E la nostra quota? Dobbiamo passare a quattrocento grammi?Chi raggiungeva la quota aveva seicento grammi di pane al giorno, chi non la raggiungevaquattrocento. Quei duecento grammi di differenza erano decisivi per la nostra sopravvivenza,perché con quattrocento grammi di pane non si può vivere e lavorare a cinquantasotto zero.– Sì, la quota. Su, diamoci sotto!Ammucchiavamo la catasta di legno, mentre io facevo qualche piccolo aggiustamento.Per esempio inf<strong>il</strong>avo sotto la catasta neve e residui fradici di legname.Galja mi scongiurava:– Lascia perdere. Magari ci scoprono e sai che vergogna! Ex membri del partito che caccianola neve sotto la catasta.In una maniera o nell’altra avevamo fatto i nostri otto metri cubi ed era già buio; per tornarea casa dovevamo ancora percorrere cinque ch<strong>il</strong>ometri. E così ci mettevamo in cammino,col ghiaccio che ci pungeva le mani, la schiena, <strong>il</strong> volto. Era necessario uno sforzo divolontà enorme per camminare ancora un’ora e mezzo o due nel gelo del bosco, quandole gambe pesano un quintale, le ginocchia tremano per la fame e la stanchezza, <strong>il</strong> fazzolettoche copre la testa si trasforma in una lastra gelata e si fa fatica a respirare.Ma ci aspettano <strong>il</strong> tepore della baracca, una sbobba calda e duecento grammi di panepesante, molle, ma così saporito. Più avanti c’è <strong>il</strong> riposo sulla branda e una stufa accesa.E andiamo avanti.o. aDaMova-sLIoZBeRG, Il mio cammino, Le Lettere, Firenze 2003, pp. 106-107, trad. it. F. FICIChe cosa èla «quota»?In che modo emerge<strong>il</strong> passatocomunista delledue detenute?Commenta la frasefinale: «E andiamoavanti».Alcuni detenuti delcampo delle isoleSolovki durante lapausa per <strong>il</strong> pranzo.Per i reclusi nonraggiungere la moledi lavoro prefissatain una giornatasignificava vedersiridurre le razionialimentari.F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


Il canale Mar Bianco-Mar BalticoIl primo grande progetto che vide l’uso massiccio di manodopera tratta dai lager fu <strong>il</strong>canale destinato a unire <strong>il</strong> Mar Bianco al Mar Baltico (chiamato in russo Belomorkanal).L’idea di un canale nell’estremo Nord della Russia europea va attribuita direttamentea Stalin, che oltre tutto fissò con precisione anche i tempi di realizzazione:venti mesi al massimo. In questo arco temporale così compresso, i detenuti furono obbligatia scavare (nel terreno roccioso, o gelato) per più di 200 ch<strong>il</strong>ometri, nonché acostruire 5 dighe e 19 chiuse. La decisione fu presa nel febbraio 1931; in settembre,iniziarono i lavori. Nell’agosto 1933, <strong>il</strong> canale fu completato e ufficialmente inauguratoda stalin, con un viaggio in battello.Per costruire <strong>il</strong> canale, vennero trasferiti moltissimi detenuti dalle solovki (che, in pratica,si trasformarono in un semplice carcere di sicurezza) e fu organizzato un vasto campodi lavoro correzionale. Denominato Belbaltlag, vide impegnati complessivamente170 000 detenuti, 25 000 dei quali morirono durante i lavori di costruzione. La costruzionedel Belomorkanal fu caratterizzata da una quasi totale assenza di tecnologia.tutti i lavori, anche i più duri, impegnativi e faticosi, furono condotti senza macchine,con attrezzature quanto mai primitive (rozze pale, picconi, mazze, vanghe e carrioledi legno ecc.) o addirittura a mani nude. Per questo, fu necessario concedere premie incentivi di vario tipo agli operai che, malgrado le difficoltà, riuscivano comunquea far procedere <strong>il</strong> lavoro. ai più laboriosi, vennero concesse razioni alimentari pienamentesoddisfacenti e fu persino promessa un’abbreviazione della pena: per ogni tregiorni di lavoro in cui raggiungeva la norma che gli era stata assegnata, <strong>il</strong> detenuto potevariscattare un giorno di pena. Quando <strong>il</strong> canale fu completato, furono in effett<strong>il</strong>iberati 12 484 prigionieri.Detenuti impegnatinella costruzione delcanale Mar Bianco-Mar Baltico.IPeRtestoIPERTESTO C7gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


IPeRtestoUNITÀ IV8IL COMUNISMO IN RUSSIAIl freddo estremo di KolymaDOCUMENTIVarlam Šalamov (1907-1982, arrestato nel 1937 e liberato nel 1951) è ritenuto <strong>il</strong> narratore più lucidodel dramma che si consumò nei campi della regione della Kolyma. Nei suoi racconti, <strong>il</strong> freddo micidialedella Siberia nord-orientale diventa metafora di un altro ben più terrib<strong>il</strong>e gelo, presente a Kolyma:quello della totale indifferenza per le sofferenze umane.A noi lavoratori non mostravano mai <strong>il</strong> termometro; del resto era inut<strong>il</strong>e visto che con qualsiasitemperatura dovevamo comunque andare a lavorare. Inoltre i veterani della galera, anchesenza termometro, potevano stab<strong>il</strong>ire con precisione quasi assoluta quanti gradi sotto zeroci fossero: se c’è una nebbia gelata, fuori fa meno quaranta; se l’aria esce con rumore dal naso,ma non si fa ancora fatica a respirare, vuol dire che siamo a meno quarantacinque; se la respirazioneè rumorosa e si avverte affanno, allora meno cinquanta. Sotto i meno cinquantacinque,lo sputo gela in volo. Ed erano già due settimane che gli sputi gelavano in volo.Ogni mattina, Potasnikov si svegliava con una speranza: si era attenuato <strong>il</strong> gelo? Dall’esperienzadell’inverno precedente sapeva che, per quanto bassa fosse la temperatura, era sufficienteuna sua variazione improvvisa, un contrasto netto per provare una sensazione di calore. Anchese la temperatura fosse risalita solo fino a quaranta-quarantacinque gradi, per un paio di giorniavrebbero sentito caldo; e fare progetti al di là di quei due giorni era del tutto insensato.Ma <strong>il</strong> gelo non si attenuava, e Potasnikov si rendeva conto che non avrebbe potuto resistereancora molto. La colazione gli bastava per un’ora di lavoro al massimo, poi arrivava la stanchezza,<strong>il</strong> gelo gli trapassava <strong>il</strong> corpo fino alle ossa e quel modo di dire popolare non era affattouna metafora. Non poteva fare altro che agitare <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e l’attrezzo che stavausando e saltellare da un piede all’altro per non congelare, questo fino all’ora di pranzo. Il pastocaldo – la famigerata juska acquosa e due cucchiaiate di pappa, la kasa – non lo rimettevain forze ma almeno lo riscaldava. E di nuovo aveva forze bastanti per non più di un’ora di lavoro,dopo di che Potasnikov desiderava soltanto una cosa: riscaldarsi, oppure abbandonars<strong>il</strong>ungo disteso sulle aguzze pietre ghiacciate e morire. La giornata in qualche modo finiva e dopo<strong>il</strong> pasto serale, bevuta l’acqua calda con <strong>il</strong> pane – nessuno mangiava <strong>il</strong> pane alla mensa con laminestra, se lo portavano tutti nella baracca – Potasnikov si metteva subito a letto.Naturalmente lui dormiva su uno dei tavolacci di sopra: da basso faceva freddo comein una cantina ghiacciata e quelli che avevano i posti di sotto passavano metà della nottein piedi vicino alla stufa, facendo a turno per stringersi contro di essa con entrambe le braccia:era appena tiepida. Non c’era mai legna sufficiente: bisognava procurarsela, a quattroch<strong>il</strong>ometri di distanza, dopo <strong>il</strong> lavoro, e tutti cercavano di sottrarsi in qualsiasi modo a questaincombenza. Di sopra faceva più caldo, ma naturalmente anche lì tutti dormivano conaddosso gli stessi indumenti che indossavano di giorno per andare a lavorare: berretti, giacconi,casacche, pantaloni imbottiti. Di sopra faceva più caldo, ma anche lì bastava una notteperché <strong>il</strong> gelo incollasse i capelli al cuscino.Potasnikov sentiva le sue forze diminuire di giorno in giorno. Lui, un uomo di trent’anni, facevaormai fatica sia a issarsi sui tavolacci superiori, sia a ridiscenderne. Il suo vicino di lettoera morto <strong>il</strong> giorno prima, era morto così, non si era svegliato, e nessuno si era preoccupatodi sapere di cosa fosse morto, come se la causa potesse essere una sola, quella che tutti conoscevamobene. Il piantone della baracca era contento che fosse morto di mattina e non disera: l’approvvigionamento giornaliero del defunto sarebbe andato a lui. Non era un segreto,e Potasnikov aveva preso <strong>il</strong> coraggio a quattro mani, gli si era avvicinato: «Dammene una crosta»,ma l’altro l’aveva accolto con una serie di violente ingiurie, quali poteva profferire solo unuomo debole diventato forte, <strong>il</strong> quale sa che le sue ingiurie resteranno impunite. Solo in circostanzeeccezionali accade che un debole ingiuri un forte, ed è <strong>il</strong> coraggio della disperazione.Potasnikov non aveva replicato e si era fatto da parte. [...]Non faceva una colpa a nessuno per tanta indifferenza. Aveva capito per tempo da dovevenisse quell’ottusità spirituale, quel freddo dell’anima. Il gelo, quello stesso gelo che trasformavain ghiaccio uno sputo prima che toccasse terra, era penetrato anche nelle anime degliuomini. Se potevano congelarsi le ossa, se poteva congelarsi e intorpidirsi <strong>il</strong> cervello, altrettantopoteva accadere anche all’anima. Nella morsa del gelo non si poteva pensare a niente. Ed eratutto molto semplice. Con <strong>il</strong> freddo e la fame <strong>il</strong> cervello veniva alimentato in modo insufficientee le cellule cerebrali deperivano: un evidente processo fisico che chissà se era reversib<strong>il</strong>e, comesi dice in medicina, al pari di un congelamento, o provocava un danno definitivo. Così l’anima:si era congelata, rattrappita e sarebbe forse rimasta tale per sempre. In passato Potasnikovaveva avuto spesso di questi pensieri, ma ora non gli restava nient’altro che <strong>il</strong> desiderio di resistere,di vedere la fine di quel gelo restando vivo.[1954]v. šaLaMov, I racconti di Kolyma, einaudi, torino 1999, pp. 17-19, trad. it. s. RaPettIChe differenza c’era,nei tavolacci di unabaracca, trai posti più in altoe quelli inferiori?In quali «circostanzeeccezionali»,secondo l’autore,accade che undebole ingiuriun forte?Il congelamentodell’anima, secondol’autore, èreversib<strong>il</strong>e?F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


La ramificazione del <strong>sistema</strong>verso la fine degli anni venti, l’estremo Nord della siberia centrale (l’area in cui poi,più tardi, sarebbe nato <strong>il</strong> centro minerario di vorkuta) venne scelto come zona di confinoper i detenuti che, dopo aver scontato la pena, erano stati liberati dal campo dellesolovki. Dall’estate del 1929, si cominciò la costruzione delle infrastrutture (primatra tutte una ferrovia) capaci di trasformare l’area in un distretto minerario (estrazionedi carbone e di petrolio).Nel 1931, iniziò la costruzione del grande complesso <strong>concentrazionario</strong> di karaganda (KaragandinskijItL o karlag), in kazakistan. Qui, negli anni Quaranta, avrebbero lavoratocirca 60 000 deportati, in aziende agricole che si estendevano su un territorio di 20 800ch<strong>il</strong>ometri quadrati. Un altro segmento importantissimo del <strong>sistema</strong> fu l’insieme dei cantieridestinati al raddoppio della ferrovia transiberiana; <strong>il</strong> tratto su cui venne concentrato<strong>il</strong> principale intervento fu quello che andava dal lago Bajkal al fiume amur (distanticirca 2000 ch<strong>il</strong>ometri uno dall’altro). Nel 1938, questa vasta regione ospitava circa 200 000detenuti, divenuti 260 000 l’anno seguente.Nel novembre 1931, una risoluzione del Comitato centrale stanziò 20 m<strong>il</strong>ioni di rubliper la creazione del Dal´stroj, un’enorme azienda di stato incaricata di sfruttare le risorseminerarie della regione del fiume kolyma (nella siberia nord-orientale). Una spedizionegeologica inviata là nel 1928, infatti, aveva scoperto enormi giacimenti d’oro.a kolyma (ancor più che in altre regioni siberiane) le condizioni climatiche erano terrib<strong>il</strong>i, pernon dire estreme, in quanto la temperatura invernale può scendere fino a -40 o addirittura-50 °C. Malgrado ciò, nel 1939, a kolyma erano costretti a lavorare 138 000 detenuti, divenuti190 000 nel 1940.Nel 1941, <strong>il</strong> Dal´stroj controllava un’area vastissima: un territorio di 2 266 000 ch<strong>il</strong>ometriquadrati; nel 1951, tale territorio si sarebbe ulteriormente ampliato e avrebbe toccato i3 000 000 di ch<strong>il</strong>ometri quadrati. Dal 1932 al 1939, la produzione di oro passò da 276ch<strong>il</strong>ogrammi a 48 tonnellate.La regione della kolyma, però, era molto diffic<strong>il</strong>e da raggiungere. I prigionieri arrivavanoin treno a vladivostok, e poi – in nave – erano condotti al porto di Magadan, che dovetteessere costruito dai detenuti stessi, insieme a tutte le altre infrastrutture indispensab<strong>il</strong>i(ferrovie, strade e ponti). Infine, dalla città di Magadan, i deportati raggiungevanoi vari centri minerari nell’interno.Il <strong>GULag</strong> durante la guerraDurante la seconda guerra mondiale, l’esercito tedesco invase l’URss <strong>il</strong> 22 giugno 1941.Questo drammatico evento sconvolse non solo l’intera società sovietica (che avrebbepagato un prezzo altissimo: secondo le stime più recenti, 27 m<strong>il</strong>ioni di vittime, tra cui18 m<strong>il</strong>ioni di civ<strong>il</strong>i), ma anche <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong>. All’inizio del 1941, la popolazionedel <strong>GULag</strong> era di circa 1 930 000 detenuti. a seguito dell’invasionetedesca, a molti prigionieri (970 000) fu concessodi arruolarsi nell’esercito, ma tale possib<strong>il</strong>ità fu semprenegata a coloro che erano stati condannati come controrivoluzionari,in base all’art. 58 del Codice penale<strong>sovietico</strong>. Inoltre, vennero arrestati almeno 400000 cittadini sovietici di nazionalità finnica o romena,considerati potenziali sostenitori dellaFinlandia o della Romania, in caso di conflitto conquesti stati. La popolazione del <strong>GULag</strong>, dunque,non calò in modo significativo (nel 1942 si contanocirca 1 777 000 detenuti).Negli anni di guerra, però, la popolazione presente nel<strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong> subì un significativo doppiomutamento: aumentò la percentuale di prigionieri per mo-F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012➔Vorkutae Karaganda➔KolymaUna massa di scarpedi prigionieri mortinel campo diButugičak, dove eranoreclusi moltissimidetenuti politici.IPeRtestoIPERTESTO C9gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>


IPeRtesto➔Fabbrichedi munizionitivi politici (28,7% nel 1941; 41,2% nel 1945) e la quota delle donne in stato di detenzione:dal 7,6% (110 835 prigioniere) nel 1941 al 24% (168 634 nel 1945).Durante la guerra, i detenuti furono ut<strong>il</strong>izzati per costruire impianti industriali e aeroporti,oppure per migliorare e potenziare la rete ferroviaria e <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> stradale <strong>sovietico</strong>. soprattutto,però, un numero elevatissimo di prigionieri fu impiegato in fabbriche di bombe e munizioni.si può affermare che <strong>il</strong> 10-15% del totale dei proiett<strong>il</strong>i prodotti per l’Armata rossasia uscita da impianti in cui lavorava manodopera forzata.Gli anni 1941-1945 furono durissimi per quel che riguarda la situazione alimentare deidetenuti, molti dei quali soffrirono la fame. Per quanto le direttive provenienti da Mosca,in questo caso, esortassero i comandanti dei campi a prestare molta attenzione allecondizioni fisiche dei detenuti (di cui si riconosceva l’importanza produttiva, nell’ambitodello sforzo bellico), la situazione oggettiva era drammatica: in linea di massima, l’apportocalorico che era possib<strong>il</strong>e fornire ai prigionieri era del 30% inferiore, rispetto a quelloprebellico. Ciò provocò un costante aumento del tasso di mortalità, che nei campipassò dal 3,2% (rispetto alla popolazione concentrazionaria media annuale) del gennaio/luglio1941 al 25,2% del gennaio/luglio 1944.UNITÀ IV10IL COMUNISMO IN RUSSIALa fameDOCUMENTINato nel 1919, lo scrittore polacco Gustaw Herling fu arrestato nel marzo 1940 e poi detenuto inun lager <strong>sovietico</strong> della regione di Kargopol´ fino al 1942. La prima edizione delle sue memorie di prigionierouscì a Londra nel 1951.La fame... la fame è una sensazione orrib<strong>il</strong>e, che si trasforma in un’astrazione, in incubialimentati da una continua febbre mentale. Il corpo è come una macchina surriscaldata, chelavora con accresciuta velocità e con minor carburante, e le braccia e le gambe scheletrichediventano sim<strong>il</strong>i a cinghie di trasmissione strappate. Gli effetti fisici della fame non hannoun limite al di là del quale la vac<strong>il</strong>lante dignità umana possa ancora serbare <strong>il</strong> suo incerto maindipendente equ<strong>il</strong>ibrio. Quante volte schiacciavo la mia faccia pallida contro i vetri gelati dellafinestra della cucina per implorare con uno sguardo muto da Fedka, <strong>il</strong> ladro di Leningradoaddetto alle razioni, un altro mestolo di minestra acquosa! E ricordo che una volta <strong>il</strong> mio miglioramico, un vecchio comunista e compagno di gioventù di Lenin, l’ingegner Sodovskij,sulla piattaforma vuota della cucina mi strappò dalle mani un pentolino pieno di minestra escappò via, e senza aspettare nemmeno di raggiungere la latrina, ingurgitò correndo la minestrabollente con labbra febbr<strong>il</strong>i. Se Dio esiste, punisca senza pietà coloro che piegano <strong>il</strong>loro prossimo con la fame. [...]I primi sintomi di questa fame apparvero verso la fine dell’inverno 1941, e nella primaveraogni segno di vita era scomparso dal campo. Nelle cucine la minestra diventava ognigiorno più liquida, spesso la razione del pane era al di sotto del peso, e sparirono completamentele aringhe che tanto piacevano a Dimka.Gli effetti di questa fame divennero presto palesi. Le brigate facevano ritorno dal lavoromolto più lentamente, di sera si poteva a stento camminare lungo i sentieri ingombrati dalleincespicanti vittime della cecità notturna; nella sala d’aspetto della baracca sanitaria attendevanola visita del medico degli infelici dalle gambe gonfie come tronchi, coperte di piaghesuppurate prodotte dallo scorbuto; ogni sera una grande slitta riportava indietro alcampo uno o due tagliaboschi svenuti sul lavoro. La fame non allenta di notte la sua stretta,anzi proprio allora, astuta e violenta, attacca con le sue armi misteriose. Solo Iganov, un vecchiorusso della brigata dei carpentieri, pregava fino a notte alta, ricoprendosi <strong>il</strong> volto con lemani. Gli altri dormivano nel s<strong>il</strong>enzio opprimente della baracca <strong>il</strong> sonno febbricitante di coloroche soffrono fisicamente, aspirando l’aria con un fischio attraverso le labbra semiaperte,rivoltandosi senza posa sull’uno e sull’altro fianco, borbottando e singhiozzando nel sonnocon un mormorio che lacerava <strong>il</strong> cuore. [...] Dimka aveva accettato di aiutare tre pulitori d<strong>il</strong>atrine per un piatto in più di minestra, sicché tornava alla baracca poco prima di mezzanotte,bagnato e puzzolente come un topo di fogna. Per antica abitudine soleva ancora alzare<strong>il</strong> coperchio del secchio dei rifiuti, ma da molto tempo ormai non c’erano più resti diaringhe sul fondo vuoto.G. heRLING, Un mondo a parte, Feltrinelli, M<strong>il</strong>ano 1994, pp. 156-162, trad. it. G. MaGIContro qualisoggetti l’autoreinvoca lamaledizione divina?Quali effettiproduceva la famesui detenut<strong>il</strong>avoratori?Che conseguenzeaveva sul lororiposo notturno?F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


La vittoria di StalinNel 1945, al momento della vittoria della guerra contro la Germania nazista, stalin raggiunse<strong>il</strong> culmine del proprio prestigio e della propria forza. Da più parti, all’interno dellasocietà sovietica sorgevano richieste di maggiore libertà e soprattutto di un mutamentodella politica economica del regime, che da molti anni priv<strong>il</strong>egiava la produzione diacciaio o di armamenti, a scapito dei beni di consumo. Questa svolta non ci fu: nel 1946,ad esempio, l’URss produsse meno di un paio di scarpe e meno di un metro di stoffa all’anno,per ciascuno dei suoi cittadini. Inoltre, nell’inverno di rabbia 1946-1947, l’ennesimacarestia provocò 2 m<strong>il</strong>ioni di morti per fame (500 000 nella sola repubblica russa)e gravi difficoltà alimentari per almeno 100 m<strong>il</strong>ioni di individui.La polizia segreta sovietica si rese conto che una sim<strong>il</strong>e situazione era esplosiva. Pertanto,gli ultimi anni Quaranta furono caratterizzati da un’altra imponente ondata di arrestie di deportazioni. Migliaia di persone (36 670 solo nell’autunno 1946) furono condannatea 5-8 anni per furto di pane o di farina.tra <strong>il</strong> 1945 e la morte di Stalin (1953) la popolazione dei lager sovietici crebbe in continuazione:da 1460000 nel 1945, i detenuti salirono a 2200000 circa nel 1948, a 2468000nel 1953. Questa crescita vertiginosa si spiega tenendo conto delle diverse categorie di internati,tra i quali dobbiamo ricordare 272 867 soldati dell’Armata rossa che erano staticatturati dai tedeschi e che vennero accusati di essersi arresi senza opporre resistenza alnemico. tra questi m<strong>il</strong>itari, poi, un posto speciale occuparono i 56 746 vlasovity: soldati cheavevano accettato di vestire la divisa tedesca e di combattere (sotto <strong>il</strong> comando del generaleandrej andreevič vlasov) contro l’esercito <strong>sovietico</strong>.Uno dei fenomeni più gravi sottolineati dai sopravvissuti all’interno dei lager sovietici è <strong>il</strong>peso crescente che assunsero col passar del tempo i criminali comuni. Molto spesso, infatti,si trattava di delinquenti di professione, spietati e violenti, che all’interno del <strong>sistema</strong>riuscivano ad imporsi proprio in virtù della loro crudeltà, che esercitavano verso i detenutipiù deboli e soprattutto (con la complicità delle autorità) verso i prigionieri politici, condannatiin base all’art. 58 del Codice penale. Per principio, i malavitosi non lavoravano: mentrequelli passavano tutta la giornata a giocare a carte, gli altri detenuti della squadra, cuiessi erano assegnati, erano costretti a svolgere anche la loro percentuale di lavoro.In un primo tempo, i delinquenti non accettarono incarichi di responsab<strong>il</strong>ità all’internodel campo, guardando all’autorità dello stato come ad un nemico, con cui non bisognavacollaborare. tuttavia, durante la guerra, pur di uscire dal lager molti criminali accettaro-➔Difficoltàdopo <strong>il</strong> 1945➔Delinquentie politiciDue detenuti polacchi,dopo la liberazione,si fanno fotografaredavanti al cimiteroche ricorda le vittimedello sciopero repressonel sangue <strong>il</strong>1 o agosto 1953.IPeRtestoIPERTESTO C11gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


IPeRtestoUNITÀ IV12IL COMUNISMO IN RUSSIA➔Guerra delle cagne➔Calo di produttivitàno di arruolarsi nell’esercito. al loro ritorno in campo, dopo <strong>il</strong> 1945, questi malavitosifurono accusati dagli altri di tradimento e furono denominati sprezzantemente «cagne»(suki, un epiteto volgare sim<strong>il</strong>e a «puttane»). a partire dal 1949, tra i due gruppi iniziòuna lotta lunga e feroce; denominato di solito la guerra delle cagne, lo scontro venne ampiamentetollerato dalle autorità, che se ne servirono, spesso, per sbarazzarsi di alcuni criminaliparticolarmente pericolosi e potenti.Nell’immediato dopoguerra, furono deportati nei lager sovietici anche moltissimi ucraini,polacchi o cittadini delle tre repubbliche baltiche (Lituania, Lettonia ed estonia) chesi erano opposti all’occupazione russa nel 1939-1940, oppure avevano apertamente collaboratocoi tedeschi. La maggior parte dei polacchi proveniva dalle f<strong>il</strong>e dei partigianinazionalisti, ost<strong>il</strong>i sia ai tedeschi, sia ai russi. Molti di loro furono deportati a Vorkuta,una regione della siberia del Nord ricchissima di carbone. Nel 1951, l’intera area comprendevaben 192 951 detenuti.Proprio i campi con una maggiore presenza di stranieri (polacchi e ucraini, soprattutto)videro la nascita, nei primi anni Cinquanta, di numerose e varie forme di resistenza, cheandavano dalla tufta (l’imbroglio sul lavoro) su vasta scala, allo sciopero organizzato veroe proprio. La produttività del lavoro nei campi andò costantemente calando. In un primotempo, i comandanti e le autorità periferiche cercarono di minimizzare <strong>il</strong> fenomeno,falsificando le cifre. Infine, però, ci si rese conto anche ai massimi livelli che <strong>il</strong> <strong>sistema</strong>del lavoro forzato non era più redditizio.L’episodio di resistenza più significativo avvenne a vorkuta, ove uno sciopero fu represso nelsangue (circa 70 morti) <strong>il</strong> 1 o agosto 1953. a quell’epoca, stalin era già morto (5 marzo) eun’amnistia promulgata <strong>il</strong> 27 marzo aveva già messo in libertà circa 1 200 000 detenuti.Riferimenti storiografici1La vita nei lager sovieticiLe condizioni di vita dei detenuti nei lager sovietici variavano notevolmente a seconda dei luoghi:potevano essere determinanti, di volta in volta, la posizione geografica, <strong>il</strong> tipo di lavoro che i deportatidovevano svolgere, <strong>il</strong> carattere del comandante e dei sorveglianti ecc. La descrizione che segue cercadi individuare le principali caratteristiche comuni.I forzati dei lager, richiesti, registrati e «gestiti come risorse umane», rappresentavano <strong>il</strong>gradino più basso nella piramide sociale dell’età staliniana, erano gli «schiavi del lavoro» dell’UnioneSovietica. Le istituzioni concentrazionarie sovietiche si adoperavano per impedirein tutti i casi che in questi reclusi si formasse un’identità di gruppo; a tale scopo fin dalla nascitadel <strong>sistema</strong> si provvide a suddividerli in categorie. La prima distinzione fu tra «appartenentialla classe operaia» ed «elementi estranei» o «nemici di classe», mentre dalla metàdegli anni Trenta, rinunciando alla suddivisione in classi, si distinse fra reclusi per motivi nonpolitici e «controrivoluzionari».Fin dall’inizio dell’era dei piani economici i criminali costituirono l’aristocrazia dei lager.Vi erano delinquenti di mestiere e delinquenti abituali i quali, una volta assunta una posizionedominante all’interno della gerarchia criminale, venivano chiamati urkas, oppure blatnois,blatnjaki o blatari e nel campo formavano una casta potente e rigidamente chiusa con unproprio codice di comportamento. Coloro che infrangevano <strong>il</strong> codice erano espulsi ed etichettaticome suka. I criminali non avevano raggiunto quel loro rango priv<strong>il</strong>egiato solo in virtùdella loro organizzazione, bensì anche grazie a un <strong>sistema</strong>tico sostegno da parte delle rispettivedirezioni dei campi. Come «elementi socialmente affini» godevano di maggiore fiducia;le direzioni dei campi si preoccupavano di creare un antagonismo tra loro e gli «articolo58» (come erano chiamati i condannati secondo l’articolo 58 per «attivitàcontrorivoluzionaria»). La grande maggioranza delle posizioni con incarichi, definite nelgergo dei campi posizioni pridurki, veniva così assunta da criminali. [In tal modo, quasi sempre,i criminali evitavano <strong>il</strong> duro lavoro manuale, n.d.r.]F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


La quota dell’altro grande gruppo, i «controrivoluzionari»e gli «articolo 58» era in continuacrescita. Nella scala gerarchica degli internatistavano all’ultimo gradino; poiché <strong>il</strong> regime<strong>sovietico</strong> li considerava soggetti «non rieducab<strong>il</strong>i»,gli «articolo 58» subivano una serie di inasprimentidella pena cui non erano soggetti i criminali.Ripetute disposizioni, spesso però nonosservate, proibivano agli «articolo 58» di detenereincarichi. [...]Principio base per <strong>il</strong> sostentamento in tutte lecategorie di lager era vincolare la quantità delle razionialimentari al raggiungimento dello standarddi produzione, assieme a molti altri criteri. È diffic<strong>il</strong>edare una panoramica sulla varietà delle razioni;i reclusi destinati ai «lavori comuni» erano particolarmentecolpiti da tale regolamentazione. Ilcibo era di cattiva qualità, insufficiente e non corrispondevacomunque alle prestazioni richiestedal durissimo lavoro; era carente di calorie, vitaminee altre sostanze indispensab<strong>il</strong>i. Affamandocostantemente i reclusi si voleva spingerli a raggiungereo superare lo standard di produzione perottenere in cambio razioni maggiori o di migliorequalità. Questo genere di sprone al lavoro nonproduceva quasi mai <strong>il</strong> risultato sperato visto chei prigionieri morivano anziché lavorare di più. Conl’inizio della guerra le razioni già ampiamente insufficientivennero ulteriormente ridotte. Grandicrisi di fame percorsero i lager tra <strong>il</strong> 1941 e <strong>il</strong>1942; solo quando la produttività calò sensib<strong>il</strong>mentevennero reintrodotte le razioni dell’anteguerra,ma in realtà la «grande fame» nel <strong>GULag</strong> siconcluse solo nel 1948. [...]La morte era una realtà quotidiana nel lager. Gli internati morivano di fame, spossatezza,assideramento, venivano fuc<strong>il</strong>ati, erano vittima di incidenti sul lavoro o delle strutture punitivecui erano destinati. L’atteggiamento di disprezzo verso gli esseri umani adottato nei confrontidei reclusi in vita proseguiva con la «mancanza di pietà» verso i morti. Il prigioniero defuntoveniva contrassegnato al piede sinistro con una targhetta di legno o altro mezzo diidentificazione che riportava la sua matricola; i denti d’oro venivano estratti; per ostacolareun decesso simulato, la testa della salma veniva fracassata con un martello o gli veniva conficcatoun chiodo nel petto. Il cadavere, nella maggior parte dei casi nudo o con la sola logorabiancheria addosso, veniva infine sotterrato all’esterno del campo. Le fosse erano diffic<strong>il</strong>menteo per nulla identificab<strong>il</strong>i.I reclusi che avevano la fortuna di essere sopravvissuti all’internamento e a cui non erastato comminato un «secondo termine», ovvero una ulteriore condanna, venivano affrancatidallo status di internati in lager, ma non ottenevano la libertà. Le autorità dell’NKVD [una dellediverse denominazioni assunte dalla polizia politica sovietica, n.d.r.] erano interessate a nonfar uscire dall’impero economico del <strong>GULag</strong> o comunque dal proprio controllo gli ex internati,pur usciti dal <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> del <strong>GULag</strong>, e quindi li ponevano sotto sorveglianzadel Commissariato, poi Ministero degli Affari Interni. Una possib<strong>il</strong>ità era quella di consegnareal r<strong>il</strong>asciato una lista, la cosiddetta «lista delle esclusioni», con un elenco di città nellequali non si sarebbe potuto stab<strong>il</strong>ire, costringendolo così ad andare a vivere in aree che eranozona di insediamento del <strong>GULag</strong> o dell’NKVD. La seconda variante, altrettanto frequente, eraquella di imporre all’ex internato di continuare a vivere come colono nelle vicinanze del campoove era stato rinchiuso e di continuare a esercitare la consueta attività prevista dai piani. Icosiddetti «coloni liberi» vivevano sì all’esterno dell’area del lager, ma continuavano a essereparte integrante del <strong>GULag</strong>, erano insomma più ex internati che uomini liberi.R. stettNeR, Il <strong>GULag</strong>. Prof<strong>il</strong>o del <strong>sistema</strong> dei lager staliniani, in G. CoRNI, G. hIRsChFeLD (a cura di),L’umanità offesa. Stermini e memoria nell’Europa del Novecento, <strong>il</strong> Mulino, Bologna 2003,pp. 186-192, traduzione di R. MaRtINIAlcuni detenutial lavoro in un lager<strong>sovietico</strong>.Quali detenutipossono esseredefinit<strong>il</strong>’«aristocraziadel campo»?Chi erano gli«articolo 58»?Che cosa accadevaalla maggior partedei detenuti,una volta scontatala pena?IPeRtestoIPERTESTO C13gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


IPeRtestoUNITÀ IV14IL COMUNISMO IN RUSSIAla costruzione delcanale che doveva unire<strong>il</strong> Mar Bianco al MarBaltico da parte di ungruppo di prigionieridi un gUlag <strong>sovietico</strong>.2Le funzioni economiche del <strong>GULag</strong>Negli anni Trenta, anche se ufficialmente si affermava ancora che i campi avevano funzioni di rieducazione,<strong>il</strong> compito principale dei lager era di tipo economico. L’economia basata sullo sfruttamentodel lavoro dei detenuti, però, aveva dei margini di spreco eccezionalmente elevato, oltre a non tenerein minimo conto la dignità umana (e la vita) dei detenuti stessi.Nel <strong>sistema</strong> staliniano la funzione economica del campo è fondamentale. Già Mora eZwierniak scrivevano che <strong>il</strong> gulag non è solo un’istituzione penitenziaria, ma anche un’impresaindustriale e commerciale che, come accade normalmente per enti di questo tipo, sibasa su contratti, b<strong>il</strong>anci preventivi, crediti ecc. Spesso <strong>il</strong> gulag assume <strong>il</strong> ruolo di un imprenditoreche si impegna a esaudire le commesse affidategli da diversi enti, come i Commissariatidel popolo per le Comunicazioni, gli Affari m<strong>il</strong>itari, le Foreste, l’Industria e via dicendo.In base ad appositi contratti, <strong>il</strong> gulag esegue tutte le opere previste dal pianonazionale e diversi lavori pubblici: costruzione di strade ferrate e fortificazioni, sfruttamentodelle miniere (comprese quelle d’oro) e taglio delle foreste. La rimunerazione stab<strong>il</strong>ita dai contrattisi basa sui normali prezzi della manodopera, come se si trattasse di un’impresa cheut<strong>il</strong>izza lavoratori liberi. Siccome le spese per <strong>il</strong> lavoro dei prigionieri sono molto basse, l’eccedenzaserve a mantenere l’immenso e costoso apparato di controllo dell’NKVD, nonchétutti i prigionieri che, per un qualsiasi motivo, non siano momentaneamente impegnati nellavoro.I campi hanno supplito alla penuria di macchine con la forza muscolare dei detenuti, soprattuttonelle zone più isolate: grazie al progressivo estendersi del gulag, molte terre inospitali,Dal´stroj, Magadan [= la regione della Kolyma, nella Siberia nord-orientale, n.d.r.], maanche Vorkuta, furono colonizzate dai forzati. Il gulag ebbe una funzione notevole anche nellarussificazione e nella sovietizzazione del paese, poiché fu messo in atto un massiccio programmadi mescolanza di etnie. […]In ogni campo la dimensione economica è ben presente e determina la seguente organizzazione:fin dall’ingresso del prigioniero al campo, una commissione stab<strong>il</strong>isce in qualeclasse di attitudine al lavoro debba essere inserito. I detenuti vengono suddivisi in brigate(l’unità di base in quest’ambito) di 20-40 lavoratori. A capo di ogni brigata c’è un brigadiere– un prigioniero che dirige l’organizzazione del lavoro – coadiuvato da un desjatnik (caporale),un aiutante che calcola la percentuale di lavoro obbligatorio effettuato. Ogni brigata lavorasotto la sorveglianza di un soldato armato, che ha diritto di vita o di morte sui prigionieri.Sino al 1936 <strong>il</strong> lavoro all’aperto si interrompeva quando la temperatura scendeva a-35 °C; nel 1936 <strong>il</strong> limite è abbassato a -40 °C, ma a Kolyma <strong>il</strong> regolamento locale fissa lasoglia minima a -55 °C.In seguito agli scioperi tra <strong>il</strong> 1935 e <strong>il</strong> 1955, la direzione dei campi ritorna alle regole inizialisull’interruzione del lavoro per cause meteorologiche (-35 °C), ma a partire dagli anniSessanta <strong>il</strong> limite è nuovamente abbassato a -40 °C. La durata della giornata lavorativa, variab<strong>il</strong>esecondo i campi, si aggira intorno alle 10-12 ore. Le condizioni di lavoro però sonotalmente dure che finiscono per danneggiare <strong>il</strong> rendimento economico. A partire dagli anniTrenta la funzione economica del campo – l’ut<strong>il</strong>izzo della forza lavoro dei prigionieri – è presenteovunque. Significa che è primaria? Le condizioni di lavoro, per quanto apparentementeF.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012


dettate dalla ricerca della massima produttività, in realtà sono tali da far pensare che la funzionefondamentale sia l’eliminazione dei detenuti.Come sostiene Scholmer, non si può paragonare <strong>il</strong> lavoro nei campi a quello degli schiavi,perché <strong>il</strong> proprietario di schiavi non li usava in modo così sconsiderato. Inoltre, li comprava,mentre <strong>il</strong> potere <strong>sovietico</strong> li ruba. Nel gulag, infatti, <strong>il</strong> detenuto non è sfruttato solo per <strong>il</strong> suolavoro: è anche uno strumento mediante <strong>il</strong> quale si esercita un potere assoluto. Nella realtàqueste condizioni di lavoro si ritorcono contro <strong>il</strong> loro scopo: la produttività. Le pretese disciplinariper accrescere gli sforzi sul lavoro e la sottoalimentazione per far economia del carburantedestinato all’attrezzo animato – per riprendere l’espressione di Aristotele – portanoal fallimento in materia di produttività, nonostante per decenni sia stato possib<strong>il</strong>e rimpiazzarela manodopera mancante. Dallin e Nikolaevskij, dopo aver descritto a lungo una formadi lavoro quasi schiavista, finiscono per affermare che <strong>il</strong> lavoro forzato ha un basso rendimento,è improduttivo, causa un enorme spreco di vite umane e una vera e propria decadenzamorale e civica. Solzenicyn insiste sul fatto che i campi non riuscivano a coprire lespese. Il carbone di Vorkuta, per esempio, costava <strong>il</strong> doppio di quello di Donetz [regione minerariain cui i minatori erano operai liberi, non detenuti, n.d.r.].La resistenza passiva dei detenuti non ha nulla a che vedere con questa situazione. Intali condizioni repressive e generatrici di morte, la resistenza si manifesta con la tufta. ElinorLipper spiega di che cosa si tratta: «Tufta significa l’arte di presentare le cose sotto unfalso aspetto; un’arte sv<strong>il</strong>uppatasi attraverso molte generazioni di delinquenti nei lunghi annidi prigionia. Chi di tufta se ne intende, ha sempre <strong>il</strong> suo lavoro in perfetta regola, sebbenein realtà non lo sia affatto. Per esempio, due legnaiuoli consegnano la sera al brigadiere <strong>il</strong>loro mucchio di legna; <strong>il</strong> brigadiere lo controlla, lo misura e segna: dodici metri cubi. È unaquantità rispettab<strong>il</strong>e, e non di meno i due legnaiuoli non sembrano particolarmente esausti.In realtà essi hanno raccolto appena tanta legna quanta ne basta, ab<strong>il</strong>mente aggiustata, perfarne un mucchio che sembra gigantesco. Questa è tufta».J. kotek, P. RIGoULot, Il secolo dei campi. Detenzione, concentramento e sterminio 1900-2000,Mondadori, M<strong>il</strong>ano 2001, pp. 159-161, trad. it. a. BeRNaBBIIPeRtestoIPERTESTO CPer quale motivo è improprio paragonare <strong>il</strong> lavoro dei detenuti del gulag a quello degli schiavineri?Per quanto importante sia stato <strong>il</strong> lavoro dei detenuti, è legittimo affermare che <strong>il</strong> raggiungimentodi precisi obiettivi economici esauriva le funzioni del gulag?Che cosa era la tufta?15gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012

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