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il Museo civico di baranello - il Molise

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Luglio / Settembre 2012N°12 - Anno IV©ISSN: 2036-3028Poste Italiane s.p.a. – Spe<strong>di</strong>zione in Abbonamento Postale –70% - S1/CBIL MUSEO CIVICODI BARANELLObreve guida alla collezione “Giuseppe Barone”a cura <strong>di</strong> Gabriella Di Rocco


info@gslegno.comwww.gslegno.comGarden Strutture Legno sncC.da Gaudo,186011 Baranello (CB)Tel./Fax (+39) 0874.460599Via dell’Agricoltura, 1758022 Follonica (GR)Tel./Fax (+39) 0566.57566STRUTTURE IN LEGNO LAMELLARECASE PREFABBRICATE IN LEGNOARREDO GIARDINOVENDITA LEGNAMIVENDITA PELLET AUSTRIACOCASETTE IN LEGNO DA GIARDINO2 3


MAGAZINEINDICEluglio/settembre2012Associazione CulturaleArcheoIdeavia Campania, 21786100 Campobassowww.archeoidea.infoDirettore responsab<strong>il</strong>eGiuseppe LemboRedazioneGiovanna FalascaSandra GuglielmiBrunella Mutt<strong>il</strong>loEttore RufoAlessandro TestaRoberta Ven<strong>di</strong>ttoProgetto graficoGiovanni Di Maggiowww.gio<strong>di</strong>maggio.comFotografiaAntonio PristonSegreteriaarcheomolise@gma<strong>il</strong>.comNUMERO12Comitato scientificoMarta ArzarelloIsabella AstorriMarco BuonocoreAnnalisa CarlascioDora CatalanoEm<strong>il</strong>ia De SimoneGabriella Di RoccoDaniele FerraraFederica FontanaRosalia GallottiRosa LanteriAdriano La ReginaLuigi MarinoMaurizio Matteini ChiariAntonella MinelliAlessio MonciattiAlessandro NasoLuiz OosterbeekMarco PacciarelliMassimo PennacchioniCarlo PerettoLorenzo Qu<strong>il</strong>iciMichele Rad<strong>di</strong>Alfonsina RussoRaffaele SardellaUrsula Thun HohensteinFranco ValenteHanno collaboratoa questo numeroDomenico BocciaMichelangelo CarozzaMarco CoronaGabriella Di RoccoTommaso EvangelistaMarco MaioClau<strong>di</strong>o NiroGiuseppina RescignoEttore RufoChiara SantoneARCHEOMOLISE ON-LINEwww.archeomolise.itwww.facebook.comwww.twitter.comStampaGrafica Isernina86170 Isernia - ItalyVia Santo Spirito 14/16Registrazione del Tribunale <strong>di</strong> Isernian. 72/2009 A.C.N.C.; n. 112 Cron.;n. 1/09 Reg. Stampa del 18 febbraio2009Le foto dei reperti del <strong>Museo</strong> Civicosono pubblicate con autorizzazionedell’amministrazione comunale <strong>di</strong>BaranelloSi ringrazia la Soprintendenzaper i Beni Storici, Artistici edEtnoantropologici del <strong>Molise</strong> per lefoto delle statuine presepiali e delleporcellanePer ricevere 4 numeri <strong>di</strong>Archeo<strong>Molise</strong> fornire un contributo<strong>di</strong> €15,00 tramite bollettino postaleo bonifico intestati ad AssociazioneCulturale ArcheoIdea via Campania217, 86100 Campobasso. Causale delversamento: contributo per 4 numeri<strong>di</strong> Archeo<strong>Molise</strong>.Per <strong>il</strong> bollettino postale <strong>il</strong> numero <strong>di</strong>conto corrente è 50357649Per <strong>il</strong> bonifico l’IBAN è IT02 I0760115 6000 0005 0357 649Si ringrazia per la gent<strong>il</strong>ecollaborazione la Soprintendenzaai Beni Archeologici del <strong>Molise</strong>, laSoprintendenza per i Beni Storici,Artistici ed Etnoantropologici del<strong>Molise</strong>, <strong>il</strong> Comune <strong>di</strong> Baranello e lafamiglia BaroneIN COPERTINABaranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrinaXVI: piatto in porcellana, fabbrica <strong>di</strong>Meissen.(foto SBSAE <strong>Molise</strong>)Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina III:prochoe apula con quadriga.Mangiatore <strong>di</strong> prosciuttoCopia da incisione <strong>di</strong> CorneliusBloemaert (1625), XVIII secolo, oliosu telaintroduzione<strong>di</strong> Gabriella Di RoccoCENNI SU BARANELLO<strong>di</strong> Domenico BocciaL’ARCHITETTO GIUSEPPEBARONE E IL MUSEO CIVICO<strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Niro<strong>di</strong> Tommaso Evangelista<strong>di</strong> Michelangelo Carozza, Giuseppina Rescigno,Tommaso Evangelistapag. 8pag. 10pag. 14LA RACCOLTA BARONE. UNMUSEO-IPERTESTO TRACOLLEZIONISMO E MODERNITA’LA PINACOTECAsala 1pag. 18pag. 24LA CERAMICA GRECA E ITALIOTAsala 1 – vetrine II, III e IV<strong>di</strong> Gabriella Di Roccopag. 344 5


INDICEEDITORIALEOSCILLA E ASTRAGALIsala 1 – vetrina XXVII<strong>di</strong> Chiara SantoneGLI AEGYPTIACAsala 1 – vetrina XXVII;sala 2 – vetrine VII e VIII<strong>di</strong> Marco CoronaI REPERTI LITICI PREISTORICIsala 1 – vetrina XXVII;sala 2 – vetrina XI<strong>di</strong> Ettore RufoIL PRESEPE NAPOLETANOsala 2 – vetrina XII<strong>di</strong> Giuseppina RescignoLE PORCELLANEsala 2 – vetrine XIV, XV, XVI e XVIIpag. 42pag. 48pag. 56pag. 64gni qual volta <strong>il</strong> turista occasionale termina la visita al <strong>Museo</strong> Civico “GiuseppeBarone” <strong>di</strong> Baranello sottolinea, in termini entusiastici, la ricchezza e l’unicità delleopere conservate.Tutti restano meravigliati <strong>di</strong> come, in una piccola comunità del <strong>Molise</strong>, vi sia un“tesoro” custo<strong>di</strong>to ancora secondo le in<strong>di</strong>cazioni del donatore.Il patrimonio artistico proviene dalla collezione privata dell’architetto GiuseppeBarone, che nel 1897 donò alla comunità <strong>di</strong> Baranello <strong>il</strong> frutto della sua passioneper l’arte, dando prova <strong>di</strong> grande affetto per <strong>il</strong> suo paese natio e curandone personalmentela catalogazione e la <strong>di</strong>sposizione in due sale <strong>di</strong>stinte. Si deve a lui <strong>il</strong>primo catalogo analitico che fu aggiornato nel 1899 con l’inventariazione definitivae la numerazione degli oggetti donati. Mise a <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> tutti la sua collezione <strong>di</strong> oggetti d’arte antica emoderna, esigendo che <strong>il</strong> Comune si preoccupasse della loro gestione e custo<strong>di</strong>a.Attualmente, <strong>il</strong> <strong>Museo</strong> Civico non è conosciuto al grande pubblico, ma attira l’attenzione e la curiosità solo <strong>di</strong>stu<strong>di</strong>osi e <strong>di</strong> appassionati <strong>di</strong> arte, che giornalmente lo visitano.Il presente numero monografico della rivista Archeo<strong>Molise</strong>, realizzato in collaborazione con l’associazione culturaleArcheoIdea, è stato concepito per dare impulso alla storica vocazione del <strong>Museo</strong> e per r<strong>il</strong>anciare la suamissione culturale, valorizzando compiutamente le preziose raccolte <strong>di</strong> <strong>di</strong>pinti, <strong>di</strong> sculture, <strong>di</strong> ceramiche <strong>di</strong> argentie <strong>di</strong> arazzi e le notevoli testimonianze delle arti decorative italiane ed europee. Pertanto, questo numero <strong>di</strong> Archeo<strong>Molise</strong>intende sottolineare un momento importante del <strong>di</strong>namico processo <strong>di</strong> crescita che è stato intrapresodall’amministrazione comunale per promuovere e valorizzare l’inestimab<strong>il</strong>e patrimonio artistico <strong>di</strong> Baranello.Oggi c’è un rinnovato interesse per <strong>il</strong> <strong>Museo</strong> Civico, e sono certo che questo primo contributo scientifico saràmolto ut<strong>il</strong>e alle persone che, sempre più numerose e competenti, si avvicinano con interesse ed entusiasmo alpatrimonio artistico che in esso è conservato. Tale numero si propone come un ag<strong>il</strong>e strumento d’informazionee come invito per <strong>il</strong> pubblico <strong>di</strong> appassionati ad approfon<strong>di</strong>re, con una visita <strong>di</strong>retta, la conoscenza delle operecusto<strong>di</strong>te nelle sale. Mi piacerebbe che questa guida fosse letta soprattutto dai ragazzi, per educarli all’amoreper l’arte e al rispetto dei beni culturali, mettendoli in <strong>di</strong>retto contatto con <strong>il</strong> passato e sv<strong>il</strong>uppando <strong>il</strong> loro sensod’identità e <strong>di</strong> appartenenza al territorio in cui vivono. Spero che d’ora in avanti le visite e gli incontri sarannosempre più frequenti, come opportunità <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento culturale e storico- artistico.Ringrazio gli ere<strong>di</strong> della famiglia Barone che, con la sensib<strong>il</strong>ità che li contrad<strong>di</strong>stingue, hanno appoggiato l’invitomio e dell’associazione culturale ArcheoIdea per tale iniziativa. Un sentito ringraziamento va al Soprintendenteper i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del <strong>Molise</strong>, Daniele Ferrara, che si è attivato per <strong>il</strong> restauro <strong>di</strong>alcuni <strong>di</strong>pinti e opere dell’architetto Barone. Un affettuoso ringraziamento va a Clau<strong>di</strong>o Niro, sempre <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ee presente nell’accompagnare i visitatori.Grazie alla redazione <strong>di</strong> Archeo<strong>Molise</strong> e a tutti gli autori che hanno contribuito, con competenza e rigore scientifico,alla realizzazione <strong>di</strong> questo progetto e<strong>di</strong>toriale, con la consapevolezza <strong>di</strong> arrivare, da qui a qualche anno, allacomp<strong>il</strong>azione <strong>di</strong> un catalogo generale <strong>di</strong> tutte le opere conservate nel Nostro <strong>Museo</strong>.Marco MaioSindaco <strong>di</strong> Baranello<strong>di</strong> Gabriella Di Roccopag. 726 7


introduzioneAlbo dei visitatori all’inaugurazione del 10 ottobre1897. Tra i firmatari anche <strong>il</strong> prefetto DomenicoLastrucciAd un anno dall’uscita del primo numero <strong>di</strong> carattere monografico dellarivista Archeo<strong>Molise</strong>, de<strong>di</strong>cato all’alta valle del Volturno, <strong>di</strong>amo alle stampe laseconda monografia incentrata sullo straor<strong>di</strong>nario patrimonio storico, artistico earcheologico costituito dalla collezione ‘Giuseppe Barone’ del <strong>Museo</strong> Civico <strong>di</strong>Baranello.Con la collezione Banca Intesa del <strong>Museo</strong> Archeologico <strong>di</strong> M<strong>il</strong>ano e la grandecollezione Jatta <strong>di</strong> Ruvo <strong>di</strong> Puglia allestita nel <strong>Museo</strong> Nazionale Jatta, quella <strong>di</strong>‘Giuseppe Barone’ rappresenta una delle poche collezioni storiche giunte intattesino a noi, un vero unicum in <strong>Molise</strong> e una delle più emblematiche testimonianzeancora oggi esistenti delle gran<strong>di</strong> raccolte private.Il più grande auspicio dell’architetto Barone, <strong>il</strong>lustre mecenate <strong>di</strong> Baranello, era quello <strong>di</strong> veder un giorno nontroppo lontano aprirsi per la sua terra un periodo <strong>di</strong> ‘novella civ<strong>il</strong>tà’, come ben si legge nella sua introduzione alcatalogo delle opere antiquarie raccolte, nella consapevolezza dell’importanza <strong>di</strong> aprire la mente e avvicinare legiovani generazioni al sentimento del bello, per poter contribuire al pubblico benessere. Per far ciò, volle donare aisuoi concitta<strong>di</strong>ni l’intera raccolta istituendo <strong>il</strong> <strong>Museo</strong> Civico ed inaugurandolo <strong>il</strong> 10 ottobre del 1897. Intellettualeestremamente raffinato, già così anticipatamente europeo, Giuseppe Barone si era formato nella seconda metàdel XIX secolo a Napoli dove era venuto in contatto con una molteplice schiera <strong>di</strong> mercanti d’arte e <strong>di</strong> antiquari.Sulla parete dello scalone d’ingresso dell’ex palazzo comunale <strong>di</strong> Baranello aperto su Via Santa Maria, tele e<strong>di</strong>pinti del Seicento e Settecento accolgono <strong>il</strong> visitatore, facendo bella mostra <strong>di</strong> sé. Le due sale, collocate alprimo piano, ospitano oggetti della più svariata natura e tipologia, conservati all’interno <strong>di</strong> vetrine progettatedallo stesso Barone: reperti protostorici provenienti da Cuma, terrecotte architettoniche <strong>di</strong> età romana, lucerne,ex-voto, mon<strong>il</strong>i in bronzo relativi a corre<strong>di</strong> funerari, vasi e unguentari corinzi, ceramiche attiche e italiote, asce,punte <strong>di</strong> lancia e <strong>di</strong> giavellotto, paramenti liturgici, statuine presepiali napoletane, maioliche e porcellane <strong>di</strong> variaprovenienza e molti altri mirab<strong>il</strong>i oggetti. Nella vetrina che reca <strong>il</strong> numero XXV sono, inoltre, conservati i preziosivolumi su cui <strong>il</strong> Barone ebbe modo <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re i suoi stu<strong>di</strong> umanistici, nonché una gran quantità <strong>di</strong> <strong>di</strong>segniautografi. Della maggior parte <strong>di</strong> questa collezione non si conosce l’esatta provenienza, poiché lo stesso Barone,nello st<strong>il</strong>are <strong>il</strong> suo catalogo, non inserì questi dati ma si limitò a numerare ed <strong>il</strong>lustrare sinteticamente ogni reperto,non trascurando tuttavia <strong>di</strong> far precedere ciascuna classe <strong>di</strong> materiali da un lungo paragrafo documentariosull’origine, la storia e l’evoluzione dei reperti stessi.Scopo precipuo <strong>di</strong> questo progetto e<strong>di</strong>toriale non è quello <strong>di</strong> presentare un nuovo catalogo dettagliato e aggiornatodegli oggetti che compongono la collezione, cosa che presupporrebbe tempi <strong>di</strong> redazione d<strong>il</strong>atati e finanziamentiadeguati, bensì <strong>di</strong> proporre una sorta <strong>di</strong> vademecum, una guida <strong>di</strong>dattica e, al contempo, scientifica, realizzata daspecialisti del settore, archeologi e storici dell’arte in particolare, che con impegno, passione e a titolo gratuitohanno messo a <strong>di</strong>sposizione le proprie competenze per garantire al lettore e al visitatore del <strong>Museo</strong> Civico <strong>di</strong>Baranello la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> immergersi appieno nella storia e nell’arte, avendo sal<strong>di</strong> punti <strong>di</strong> riferimento con cuiorientarsi e apprezzare al meglio le opere esposte.Per la ricchezza e la quantità dei reperti della collezione, circa 2000, e per ovvie ragioni <strong>di</strong> spazio, non è statopossib<strong>il</strong>e in questa occasione esaminare tutti i manufatti in maniera esaustiva. Abbiamo, invece, strutturatola monografia secondo gran<strong>di</strong> classi tipologiche <strong>di</strong> oggetti e reperti, con l’augurio, da parte <strong>di</strong> chi scrive, cheiniziative come questa possano servire ad accrescere e rinnovare l’interesse collettivo per l’immenso patrimonioculturale del <strong>Molise</strong> che merita <strong>di</strong> essere conosciuto e valorizzato.Uno speciale e sentito ringraziamento va a tutti gli autori dei contributi, senza i quali questo numero monograficonon sarebbe stato possib<strong>il</strong>e e a coloro che a vario titolo hanno contribuito a realizzarlo, all’AmministrazioneComunale <strong>di</strong> Baranello che sin dall’inizio ha <strong>di</strong>mostrato grande interesse ed appoggiato in ogni modo <strong>il</strong> progetto,alla famiglia Barone, al Direttore del <strong>Museo</strong> Civico, alle due Soprintendenze per i Beni Archeologici e per i BeniStorici, Artistici ed Etnoantropologici del <strong>Molise</strong>, per la preziosa collaborazione e la cortese <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità.Gabriella Di Rocco8 9


Cenni suBaranello<strong>di</strong> Domenico Bocciae origini <strong>di</strong> Baranello, secondo un’ipotesi oggi ampiamente con<strong>di</strong>visa, sarebberoL legate al vicino Monte Vairano, che si trova nel territorio <strong>di</strong> appartenenza deicomuni <strong>di</strong> Baranello, Busso e Campobasso: <strong>il</strong> vecchio nome del paese “Vairanello”ne è la testimonianza. La menzione più antica del paese risale all’XI secolo, maprobab<strong>il</strong>mente un agglomerato <strong>di</strong> abitazioni, <strong>il</strong> primo nucleo dell’attuale comune,esisteva già prima dell’anno M<strong>il</strong>le. Si ritiene, infatti, che lo sv<strong>il</strong>uppo urbano del centroabitato risalga al IX secolo, periodo nel quale, come attestano antichi documentistorici, <strong>il</strong> paese apparteneva alla contea <strong>di</strong> Bojano.A tale periodo si fa risalire anche l’origine <strong>di</strong>uno dei monumenti più significativi del centrostorico baranellese, la Torre che, posizionatanel punto più alto con evidenti funzioni<strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, <strong>di</strong>venne successivamente parte <strong>di</strong>un castello; intorno ad essa sono ancora riconoscib<strong>il</strong>iparti dell’antica cinta muraria.Tra l’XI e gli inizi del XV secolo le notizie suBaranello sono frammentarie e scarsamentedocumentate. Documenti storici sul paese riprendonosolo a partire dal 1423, anno in cuiinizia, in successione, <strong>il</strong> dominio su Baranello<strong>di</strong> famiglie nob<strong>il</strong>i: tra le più prestigiose, i Gaetani,i Capece-Galeota, i Sanfelice, i D’Avalos,i De Gennaro e, ancora, i Barone, i D’Aquino,i Carafa-d’Aragona e, per finire, i Ruffo <strong>di</strong> Calabria,che ancora oggi conservano <strong>il</strong> titoloducale. Ultimo titolare del feudo fu VincenzoRuffo, ancora Duca <strong>di</strong> Baranello quando, <strong>il</strong> 2agosto del 1806, Giuseppe Bonaparte promul-Baranello, veduta del paese da nord.10 11


gò la storica legge contro i priv<strong>il</strong>egi feudali,legge che trovò proprio in un baranellese, <strong>il</strong>Conte Giuseppe Zurlo, un convinto e decisoattuatore, nelle sue funzioni prima <strong>di</strong> Ministrodella Giustizia e poi, tra <strong>il</strong> 1809 ed <strong>il</strong> 1815, <strong>di</strong>Ministro dell’Interno. Zurlo fu un riformatore<strong>il</strong>luminato che prese a cuore le sorti del popolomeri<strong>di</strong>onale ed introdusse riforme importantissime,in questo impegno sostenuto da alcunisolerti collaboratori e, tra questi, e più <strong>di</strong> tutti,<strong>il</strong> fratello Biase Zurlo; al suo <strong>Molise</strong> regalò, inconcorso con <strong>il</strong> Cuoco, l’autonomia amministrativa,<strong>di</strong>staccandolo dalla Capitanata, conla costituzione della Provincia <strong>di</strong> <strong>Molise</strong>. Nonmancarono le sue attenzioni f<strong>il</strong>iali per <strong>il</strong> paesenatio; dopo <strong>il</strong> terrib<strong>il</strong>e terremoto del 1805,unitamente al fratello Biase, nel ricostruire <strong>il</strong>palazzo <strong>di</strong> famiglia egli sostenne anche la ricostruzionedel centro abitato, in particolare larie<strong>di</strong>ficazione dell’antica Chiesa parrocchiale,de<strong>di</strong>cata a San Michele Arcangelo, affidandonela ricostruzione a Berar<strong>di</strong>no Musenga, protagonistadella scena architettonica molisananei primi due decenni dell’Ottocento, e quin<strong>di</strong>arricchendola con una splen<strong>di</strong>da donazione <strong>di</strong>quadri che ancora oggi costituisce gran partedel notevole patrimonio culturale ed artistico<strong>di</strong> Baranello. D’altra parte, i luoghi <strong>di</strong> cultosono da considerare come i più antichi e sicuricusto<strong>di</strong> della storia e del patrimonio artisticoe culturale dei popoli e, anche a Baranello,questa affermazione trova evidenti ragioni <strong>di</strong>riscontro. Così è per la Chiesa <strong>di</strong> Santa Mariaad Nives che, come quella parrocchiale, ha originimolto antiche. Situata in località Cappella,a circa cinque ch<strong>il</strong>ometri dal centro abitato,fu, con molta probab<strong>il</strong>ità, un cenobio benedettino;da alcuni documenti conservati negliarchivi parrocchiali si apprende che la Chiesagodette del titolo abbaziale sotto la giuris<strong>di</strong>zioneecclesiastica del Capitolo <strong>di</strong> Santa Sofia<strong>di</strong> Benevento. Ancora storia, cultura ed artetroviamo nella Chiesa della Beata Vergine delRosario, comunemente detta <strong>di</strong> San Biase, chesi erge nella centralissima Piazza Santa Maria.Nata come cappella gent<strong>il</strong>izia intorno al 1500,sui resti <strong>di</strong> una preesistente antica chiesetta risalenteal 1200, è retta dalla Confraternita delSantissimo Rosario istituita ufficialmente <strong>il</strong> 2<strong>di</strong>cembre del 1831 con decreto firmato dal reFer<strong>di</strong>nando II. La Chiesa è costituita da unasola navata e presenta, sulle pareti laterali esulla volta, pregevoli decorazioni barocche <strong>di</strong>stucco e pitture ad olio. La Chiesa ha subito,nel tempo, vari interventi <strong>di</strong> ristrutturazione,con mo<strong>di</strong>fiche ed ampliamenti; tra questi <strong>di</strong>grande r<strong>il</strong>ievo l’ampliamento e la costruzionedel campan<strong>il</strong>e realizzati nel 1890 su progettodell’architetto baranellese Giuseppe Barone,senza dubbio un personaggio a cui <strong>il</strong> popolo <strong>di</strong>Baranello deve infinita riconoscenza. Tutto aBaranello parla <strong>di</strong> Giuseppe Barone, dalla progettazionedegli interventi architettonici sullaChiesa del Santissimo Rosario, a quella dellamonumentale Fontana raffigurante la dea Cerere,al rifacimento in st<strong>il</strong>e fiorentino dellafacciata dell’antico Palazzo del Comune, perfinire al capolavoro della sua vita, la collezione<strong>di</strong> antichità, <strong>di</strong> materiali provenienti dalla necropoli<strong>di</strong> Cuma e da Pompei, vasi italioti, atticie corinzi, vasi peruviani, bronzi me<strong>di</strong>evali,ceramiche provenienti da tutto <strong>il</strong> mondo, <strong>di</strong>pinti<strong>di</strong> scuola napoletana e fiamminga, e tantoaltro ancora, frutto dell’opera meticolosa <strong>di</strong>un uomo e <strong>di</strong> un professionista accorto e finecultore del bello, oggi <strong>di</strong>venuta, grazie alla suanob<strong>il</strong>e donazione alla comunità baranellese,avvenuta nel 1897, <strong>il</strong> <strong>Museo</strong> Civico “GiuseppeBarone”. Storia, arte e cultura evidentementecostituiscono <strong>il</strong> fulcro dello sv<strong>il</strong>uppo della comunitàbaranellese, che negli anni Cinquantae Sessanta del secolo scorso ha conosciuto ancheesaltanti momenti <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>uppo economicoe sociale, quando ad un’economia prevalentementeagricola si è affiancata un’economia,potremmo quasi <strong>di</strong>re, industriale, se è verocome è vero che a Baranello in quegli annioperavano contemporaneamente due fornaci<strong>di</strong> laterizi, una fabbrica <strong>di</strong> travi in cemento,una segheria e fabbrica artigianale <strong>di</strong> mob<strong>il</strong>iNell’altra pagina:Baranello, torretta c<strong>il</strong>indrica del circuito murario delborgo me<strong>di</strong>evale.In questa pagina:Baranello, Palazzo Zurlo.ed alcuni caseifici. Successivamente si è peròassistito ad una lunga fase <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà economicache ha avuto come conseguenza, soprattuttoa cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta,una forte emigrazione che ha pesato considerevolmentesulla consistenza e l’organizzazionesociale della comunità. Da alcuni anniuna vivace ripresa dell’iniziativa economica,sostenuta da impren<strong>di</strong>tori accorti e sensib<strong>il</strong>i aicambiamenti e agli ammodernamenti dei mercati,la favorevole posizione geografica <strong>di</strong> vicinanza,e baricentrica, rispetto ai due maggioricentri citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Campobasso e Bojano, unarinnovata vivacità della vita sociale e culturalerivolta soprattutto al recupero e alla valorizzazionedel notevole patrimonio archeologicostorico ed artistico stanno facendo <strong>di</strong> Baranellometa ideale sia per brevi soggiorni che perben più durature scelte <strong>di</strong> vita.12 13


L’architetto Giuseppe Barone e <strong>il</strong><strong>Museo</strong><strong>civico</strong><strong>di</strong> <strong>baranello</strong><strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o NiroGiuseppe Barone è stato un valente architetto che ha sempre manifestato, nelcorso della sua vita, una vastissima gamma <strong>di</strong> interessi in campo artistico. Nacquea Baranello <strong>il</strong> 28 febbraio 1837, secondogenito tra otto figli <strong>di</strong> una ricca famigliacaratterizzata dal rispetto dei valori civ<strong>il</strong>i e morali del tempo.Può essere sicuramente considerato tra imolisani più <strong>il</strong>lustri soprattutto perché de<strong>di</strong>còla propria esistenza alla ricerca della bellezzanel campo dell’Arte proiettando questaricerca in un ambito che non si limitava alpuro piacere estetico ma aspirava a costituireanche un forte impulso verso una funzioneeducativa e civ<strong>il</strong>e dell’Arte. In questa prospettivadeve essere considerato <strong>il</strong> valore della cospicuacollezione privata che Giuseppe Baro-ne raccolse e donò al suo paese.A ventidue anni conseguì la laurea in architetturapresso l’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Napoli.Nella città partenopea visse e lavorò peralcuni decenni realizzando molti progetti cheesprimevano un orientamento st<strong>il</strong>istico assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>eal cosiddetto ‘eclettismo storicistico’,corrente che caratterizzava l’opera <strong>di</strong> moltiprotagonisti dell’architettura ottocentesca.La sua produzione si sv<strong>il</strong>uppò non solo nellaFacciata principale del museo Barone14 15


Nell’altra pagina:Particolare dell’interno del museoprogettazione <strong>di</strong> importanti e<strong>di</strong>fici ma anchenella realizzazione <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong> arredo.La fervida passione per lo stu<strong>di</strong>o dei monumentiantichi che caratterizzava l’eclettismostoricistico è alla base delle più r<strong>il</strong>evantirealizzazioni della sua attività professionale,che presto conobbe notevole fama e notorietànella società napoletana del secondo Ottocento.Particolarmente significativi furono inumerosi attestati e <strong>di</strong>plomi <strong>di</strong> benemerenzaricevuti da Giuseppe Barone per progetti presentatiin <strong>di</strong>versi concorsi <strong>di</strong> architettura.L’architetto Barone, <strong>di</strong>mostrando una passionequasi romantica nella sua attività <strong>di</strong>fine collezionista, trovò proprio nel collezionismol’ispirazione per la definizione <strong>di</strong> unost<strong>il</strong>e personale che fondeva armoniosamente<strong>di</strong>verse matrici dell’architettura del passato.Un elemento importante in questo percorso<strong>di</strong> maturazione st<strong>il</strong>istica fu <strong>il</strong> suo amore per iviaggi. Fu, infatti, un instancab<strong>il</strong>e viaggiatoree, visitando le più belle città d’Italia comeRoma, Firenze e Venezia, si appropriò dellemigliori testimonianze del genio architettonicoitaliano.Tale ampiezza <strong>di</strong> interessi trova una <strong>di</strong>rettatestimonianza nella raccolta <strong>di</strong> opere d’arteche costituisce la sua collezione. Chi visita <strong>il</strong>museo ha modo <strong>di</strong> apprezzare la grande varietàe <strong>il</strong> notevole valore storico-artistico deireperti sapientemente esposti in artistiche edeleganti vetrine progettate dallo stesso Barone.La strutturazione stessa del museo è, sottoquesto aspetto, una preziosa occasione perconoscere l’organica concezione dello spaziomuseale che caratterizza l’epoca in cui visseGiuseppe Barone. Una raccolta, dunque, cheoltre al valore storico, costituisce un importantefattore <strong>di</strong> arricchimento educativo e <strong>di</strong>crescita civ<strong>il</strong>e che, in accordo con la stessaconcezione del suo creatore, si concretizzanella <strong>di</strong>mensione pubblica offerta dalla musealizzazionedella raccolta, in opposizionealla <strong>di</strong>mensione in<strong>di</strong>vidualistica del collezionismo.La donazione al Comune e alla citta<strong>di</strong>nanzabaranellese avvenne <strong>il</strong> 10 ottobre 1897 efu stipulata con un atto ufficiale dell’11 <strong>di</strong>cembredello stesso anno. Il notaio Defeo scrissel’atto <strong>di</strong> donazione con minuzia <strong>di</strong> particolari,prescrizioni e salvaguar<strong>di</strong>e tutte finalizzatealla tutela dell’integrità della collezione.Il <strong>Museo</strong> fu, come già detto, allestito dallostesso donatore e collocato al primo piano delPalazzo Comunale situato in Via Santa Maria,strada principale <strong>di</strong> Baranello, e si trovaancora oggi in questo e<strong>di</strong>ficio ornato da unaelegante facciata in st<strong>il</strong>e fiorentino progettatadallo stesso Barone.Nel <strong>Museo</strong> si possono ammirare più <strong>di</strong>2000 reperti, catalogati con cura da GiuseppeBarone. Un elenco molto parziale permette <strong>di</strong>segnalare la variegata presenza <strong>di</strong> molti pezziarcheologici, vasi corinzi, attici ed italioti,bronzi, statuette, oggetti della vita quoti<strong>di</strong>ana,ceramiche, maioliche, monete, quadri, arre<strong>di</strong>sacri, libri antichi, statuette <strong>di</strong> presepi napoletanie altro ancora.Il visitatore è, sin dal primo momento, messoin con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> apprezzare non solo <strong>il</strong> valoredella collezione ma anche la grande de<strong>di</strong>zioneall’arte che animò <strong>il</strong> collezionista.Barone certamente non riteneva che la suainiziativa potesse confrontarsi con ben piùimportanti, ricche e preziose collezioni, mala sua modesta ambizione fu quella <strong>di</strong> portarealmeno una testimonianza della bellezza artisticaa tutti coloro che amano le arti e desiderano<strong>il</strong> civ<strong>il</strong>e progresso della propria terra.Questa ambizione fu un continuo riferimentoper tutta la sua vita, che terminò a Baranellonel 1902.Grazie a Giuseppe Barone, che a pieno titolopuò essere considerato benefattore del suopaese e del <strong>Molise</strong>, <strong>il</strong> <strong>Museo</strong> Civico <strong>di</strong> Baranelloè ancora oggi un bene <strong>di</strong> tutti.16 17


La raccoltaBaroneUn museo-ipertesto tra collezionismo e modernità<strong>di</strong> Tommaso EvangelistaIl museo <strong>civico</strong> <strong>di</strong> Baranello, nato dalla donazione della collezione che <strong>il</strong> 10 ottobre1897 l’architetto Giuseppe Barone fece al Comune e alla citta<strong>di</strong>nanza baranellese, èun unicum in <strong>Molise</strong> e tra i pochi esempi in Italia <strong>di</strong> collezionismo ottocentesco arrivatointegro ai nostri giorni. Data la sua peculiare conformazione e <strong>il</strong> suo particolareallestimento, prima <strong>di</strong> procedere con i successivi contributi nell’analisi delle singolesezioni, è opportuno definirne la tipologia.Particolare delle vetrine della prima salaIl termine museo deriva da mouseion (“casadelle muse”), ossia l’e<strong>di</strong>ficio che ad Alessandriad’Egitto era destinato ad ospitare gli stu<strong>di</strong>osi. Imusei d’arte hanno origine <strong>di</strong>verse ma derivanoprevalentemente da tre “antenati”: i tesori,offerti ai templi antichi prima e alle cattedralipoi, le Wunderkammern, raccolte private basatesulla preziosità e la rarità degli oggetti e<strong>di</strong>nfine le collezioni nob<strong>il</strong>iari. Il museo pubblico,pur basandosi sostanzialmente sul modelloromano (i Musei Capitolini, la raccolta Albaniprogettata da Carlo Marchionni), nasce peròin Francia nel periodo post-rivoluzionario enapoleonico quando si afferma per la primavolta <strong>il</strong> carattere integralmente collettivo delpatrimonio storico-artistico della nazione e siprogetta <strong>il</strong> Louvre, Muséum central des Arts,come luogo <strong>di</strong> educazione dove le opere trovanonuova giustificazione estetica, <strong>di</strong>datticae storica.Nel caso <strong>di</strong> Baranello, quin<strong>di</strong>, più che <strong>di</strong>museo vero e proprio si dovrebbe parlare <strong>di</strong>collezione poiché le opere sono state raccoltesecondo l’arbitrio e <strong>il</strong> gusto <strong>di</strong> un privato e solosuccessivamente hanno ricevuto una musealizzazione.Con la donazione, questa collezione<strong>di</strong>venta pubblica offrendo così ai citta<strong>di</strong>niopportunità <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficazione personale, <strong>di</strong> ispirazione,<strong>di</strong> celebrazione civ<strong>il</strong>e.La raccolta messa insieme da Barone è una18 19


A destra:Veduta parziale della prima salatipica raccolta ottocentesca, manifestazionedell’impianto scientifico classificatorio chemirava allo stu<strong>di</strong>o degli oggetti in base all’osservazionee alla misura e procedeva per sistemazionidel sim<strong>il</strong>e secondo le forme. Dopo unaclassificazione tipologica (reperti archeologici,ceramiche, <strong>di</strong>pinti) e morfologica, le <strong>di</strong>stinzioniin termine <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne, identità, <strong>di</strong>fferenza,permettevano un or<strong>di</strong>namento tassonomicodegli oggetti e quin<strong>di</strong> un’esposizione che fossequanto più possib<strong>il</strong>e razionale e <strong>di</strong>dattica allostesso tempo. A <strong>di</strong>fferenza però del sempliceaccumulo quantitativo, nell’Ottocento muta lasensib<strong>il</strong>ità nei confronti dei reperti intesi semprepiù come strumenti <strong>di</strong> conoscenza; tra d<strong>il</strong>oro, allora, cominciano ad instaurarsi ine<strong>di</strong>tinessi volti a r<strong>il</strong>evare non tanto l’identità deisingoli manufatti quanto i profon<strong>di</strong> rapportistrutturali e culturali. Ai <strong>di</strong>pinti, per esempio,si inizia a pensare per “scuole” proponendosequenze cronologiche; circa i manufatti archeologici,invece, ci si interessa dei contestistorici, del loro ruolo quali testimonianze dellacultura materiale antica e dei vari rapportiformali (derivazioni, cause, mutamenti). Permaneinvece un certo gusto per <strong>il</strong> bizzarro el’esotico tipico dei Cabinet de curiosités e delleWunderkammern, vere e proprie “camere dellemeraviglie”, nate in aria tedesca tra <strong>il</strong> Seicentoe <strong>il</strong> Settecento come evoluzione degli stu<strong>di</strong>olirinascimentali e che comprendevano, oltre adopere d’arte antiche e moderne, anche <strong>di</strong>fferentimanufatti, oggetti particolari provenientidal mondo della natura o creati dalle manidell’uomo. Quelli che la natura stessa fornivaerano detti naturalia (denti <strong>di</strong> Narvalo, animalicon due teste, coralli, conchiglie giganti), quellirealizzati artigianalmente, particolari per laloro originalità e unicità, per le tecniche o lalavorazione complicate, erano detti artificialia.Unitamente tali reperti erano mirab<strong>il</strong>ia,cose che suscitano meraviglia. Per inciso, dallaseparazione <strong>di</strong> queste due categorie <strong>di</strong> oggettisi sv<strong>il</strong>upperanno poi i due tipi principali <strong>di</strong>musei: i musei d’arte e <strong>di</strong> archeologia e i musei<strong>di</strong> scienze naturali. Tra le varie sotto-collezioniche vi si potevano rinvenire c’erano, inoltre,raccolte <strong>di</strong> libri e stampe rare, <strong>di</strong> cammei, f<strong>il</strong>igrane,stoffe, gioielli, ceramiche, monete antiche.Nella raccolta Barone quin<strong>di</strong> si possono leggeretutta una serie <strong>di</strong> riferimenti alla storia delcollezionismo e del gusto che vale la pena sottolineareper suggerire, una volta <strong>di</strong> più, come<strong>il</strong> valore del museo non risieda nel singolo elementoma nell’intero insieme e nella modalitàcon la quale è stato musealizzato. A <strong>di</strong>fferenzadel museo sineddoche, celebre espressione coniatada Umberto Eco per definire un museoincentrato su una sola opera alla quale si arrivadopo un percorso, nato per fini <strong>di</strong>datticima sommerso da masse <strong>di</strong> turisti alla ricercadell’opera più rappresentativa percepita qualeicona “pop”, <strong>il</strong> museo <strong>di</strong> Baranello ha valoreper <strong>il</strong> contesto nel quale sono calate le singoleopere che se prese separatamente possonoanche non rivelare qualità eccelse ma che nelcomplesso mostrano una ricchezza e una <strong>di</strong>versitàche colpisce ed educa <strong>il</strong> visitatore.Il <strong>di</strong>scorso non può che partire dal contenitore.La raccolta è ospitata nell’ex Palazzo Comunalesituato in Via Santa Maria, strada principaledel paese. Barone, nella sua prefazioneal Catalogo dei reperti, così scrive: «in men <strong>di</strong>due anni, con ardente attività, si è ricostruitoquasi a nuovo l’intero palazzo del Comune connuova facciata alla foggia de’ palazzi fiorentinidel Risorgimento, e vi si è or<strong>di</strong>nato <strong>il</strong> museo<strong>civico</strong> con la speranza che voglia schiudersi perquesti luoghi un periodo <strong>di</strong> novella civ<strong>il</strong>tà». L’e<strong>di</strong>ficioquin<strong>di</strong>, progettato dallo stesso architetto,è un revival della tipologia del palazzorinascimentale, con largo uso del bugnato oggiscomparso, che da una parte serve visivamentea <strong>di</strong>stinguere <strong>il</strong> complesso dalle abitazioni intorno,suggerendo al fruitore <strong>il</strong> fatto che si apprestaad entrare in un luogo destinato all’arte,e dall’altra richiama simbolicamente gli idealicomunali palesando la destinazione civica dellacollezione. Entrando e salendo la scala ci sitrova subito <strong>di</strong> fronte ad un oggetto particolareche ben sintetizza l’eclettismo della raccolta:si tratta <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> capriccio, posto sottotre maschere in terracotta, che raccoglie frammenti<strong>di</strong> pitture pompeiane ricomposte, a mosaico,in una struttura <strong>di</strong> legno quadrata chepoggia su un basamento nel quale sono collocatidue pie<strong>di</strong> in terracotta. In questo caso allostu<strong>di</strong>o della singola parte è stata preferita unavisione complessiva degli oggetti che tutti insiemevanno a formare un nuovo reperto mo-20 21


In basso:Veduta prospettica delle vetrine della seconda salatorio si riesce a comprendere anche l’interesse<strong>di</strong> Barone per una collezione che rispecchiassei suoi gusti ma che fungesse anche da “repertoriod’arte” e luogo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. I tomi, infatti, trattano<strong>di</strong> svariati argomenti, dalla storia dell’arteall’archeologia, e sono accompagnati da <strong>di</strong>verseincisioni: molto presumib<strong>il</strong>mente in essi sipossono ritrovare informazioni su tutti glioggetti (o tipologie <strong>di</strong> oggetti) contenuti nellaraccolta e quin<strong>di</strong> è possib<strong>il</strong>e stu<strong>di</strong>are e approfon<strong>di</strong>rei reperti alla luce degli stu<strong>di</strong> dell’epocaconfrontando ipotesi ed attribuzioni conle supposizioni che lo stesso architetto ha lasciatonel suo Catalogo. Emerge allora comequesta raccolta, oltre all’idea <strong>di</strong> collezionismoottocentesco, si ispiri anche al modello delsapere enciclope<strong>di</strong>co settecentesco che trova<strong>il</strong> suo apice nell’Encyclopé<strong>di</strong>e ou Dictionnaireraisonné des sciences, des arts et des métiers <strong>di</strong>Diderot e D’Alambert, compen<strong>di</strong>o universaledel sapere che largo spazio riservava appuntoalle arti. Come scrive lo stesso Barone sul suoCatalogo, infatti, «questi musei artistici e industriali(hanno) lo scopo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere lo stu<strong>di</strong>odei prodotti dei vari perio<strong>di</strong> storici delle nazioni,<strong>di</strong> aprire la mente all’invenzione e gli occhial sentimento del bello». E ancora «<strong>il</strong> museo<strong>civico</strong> <strong>di</strong> Baranello, <strong>di</strong> questo mio caro paesello,concorrerà anch’esso a salvare e custo<strong>di</strong>re i prederno.Giunti nella prima stanza lo sguardo sisofferma subito sulla pinacoteca: i quadri sono<strong>di</strong>sposti a quadreria ovvero secondo una tipologiaallestitiva, sv<strong>il</strong>uppatasi dal Seicento inpoi, che priv<strong>il</strong>egia una visione complessiva dei<strong>di</strong>pinti collocati a parete, con spirito <strong>di</strong> horrorvacui, in base a forma, <strong>di</strong>mensione e soggetto.Ecco pertanto come la collezione si sv<strong>il</strong>uppaa partire da un nucleo centrale dove sono collocatele opere più significative. Posto priv<strong>il</strong>egiatooccupa <strong>il</strong> San Girolamo del Ribera, ai duelati San Giuseppe col bambino e l’Estasi dellaMaddalena <strong>di</strong> scuola napoletana, dalle medesimecornici; in basso l’Assunta si presentatagliata rispetto alla classica forma a pala d’altarepoiché va ad inserirsi sotto <strong>il</strong> San Girolamoper non rompere l’armonia della parete.In basso, a scalare, sono collocati i quadri <strong>di</strong>più piccole <strong>di</strong>mensioni, anche questi <strong>di</strong>spostisecondo i generi e secondo la logica della composizioneche pred<strong>il</strong>ige una visione d’insieme.Sempre a parete quattro bronzetti su pie<strong>di</strong>stalloarricchiscono la struttura. In fondo unalibreria raccoglie svariati testi. E’ interessantesoffermarsi su questo particolare poiché dallaselezione dei libri e dallo scrupolo classifica-ziosi saggi delle arti e delle industrie dei nostriantichi padri, <strong>il</strong>lustrandoli e <strong>di</strong>vulgandoli a beneficiodell’o<strong>di</strong>erno progresso. E quest’opera <strong>di</strong>patria carità, ho fede, sarà rimuneratrice nellosvolgersi delle industrie e meritoria al cospettodella posterità». Unito alla biblioteca un piccolomedagliere, progettato dallo stesso Barone,mostra medaglie che riguardano la sua carriera.Grande cura è riservata alle vetrine ricavatein arma<strong>di</strong> appositamente <strong>di</strong>segnati e fatti realizzaredall’architetto che occupano metà dellaprima sala e tutto <strong>il</strong> perimetro della secondapresentando <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> reperti. Ognivetrina reca in alto un numero romano e inbasso una piccola targa. Gli oggetti in esse contenutisono molteplici, si passa dai vasi atticia figure nere e rosse alle porcellane <strong>di</strong> <strong>di</strong>versefabbriche europee, dai bronzi romani agli arre<strong>di</strong>sacri, dalle statuette in bronzo alle figurepresepiali, e non mancano oggetti <strong>di</strong> provenienzaextraeuropea e <strong>il</strong> classico medaglieredepredato durante l’occupazione tedesca.Emerge in questo accumulo <strong>di</strong> testimonianzemateriali, solo apparentemente caotico,uno spiccato spirito classificatorio, sottolineatodalle <strong>di</strong>verse stoffe <strong>di</strong> vario colore che tappezzanogli interni degli arma<strong>di</strong> e che mettonoin risalto, anche visivamente, la <strong>di</strong>versità degliartefatti, l’idea enciclope<strong>di</strong>ca della raccoltae <strong>il</strong> gusto personale del collezionista. Alcunevetrine, inoltre, sembrano <strong>di</strong>staccarsi dal rigorosoor<strong>di</strong>namento e si avvicinano maggiormenteall’idea della Wunderkammern poiché,mancando caratteristiche comuni, i manufattisono presentati con maggiore libertà espositiva.E’ <strong>il</strong> caso, per esempio, della vetrina XXI,che presenta oggetti <strong>di</strong> ambito religioso maanche una variegata raccolta <strong>di</strong> quei cosiddettiartificialia che, proprio per la loro <strong>di</strong>sparataprovenienza, sfuggono a or<strong>di</strong>namenti.A conclusione <strong>di</strong> questa breve e doverosapremessa emergono tre caratteristiche fondamentalidel museo e dei suoi beni: la naturaeclettica e allo stesso tempo classificatoriadella raccolta, da collocarsi tra spirito collezionisticoe desiderio enciclope<strong>di</strong>co; l’idea delcarattere <strong>civico</strong> delle opere destinate a formarei citta<strong>di</strong>ni all’arte e alla storia; l’uso <strong>di</strong>datticodei reperti chiamati ad essere segni reali e stu<strong>di</strong>ab<strong>il</strong>iper lo storico e oggetti evocativi e auraticiper l’amatore. Se a ciò uniamo l’infinitacura destinata da Barone alla musealizzazionee alla presentazione-esposizione (la cura perle bacheche, la progettazione delle vetrine, <strong>il</strong>ruolo della biblioteca) emerge l’idea <strong>di</strong> un museocompleto, un museo strutturato come unasorta <strong>di</strong> ipertesto. Il concetto che un oggettopossa rimandare ad un altro, per conformitào <strong>di</strong>fferenza, e che possa essere successivamenteritrovato e approfon<strong>di</strong>to sui libri e sullestampe messe a <strong>di</strong>sposizione, la stessa idea delcolore delle tappezzerie e i vari aus<strong>il</strong>i <strong>di</strong>datticipensati appositamente per i reperti permettonouno stu<strong>di</strong>o in profon<strong>di</strong>tà dell’opera, con tuttala collezione che viene a strutturarsi comeuna vera e propria architettura del sapere. Seall’inizio avevamo accennato al museo-sineddoche,tipico dell’età post-moderna, a Baranelloci troviamo <strong>di</strong> fronte ad un museo-ipertestoche, pur <strong>di</strong> antica formazione, mostra una sorprendentemodernità capace <strong>di</strong> restituire lalegittima importanza ai reperti e la giusta centralitàal visitatore.BibliografiaIl testo fondamentale per comprendere la tipologiadel museo <strong>di</strong> Baranello e gli intenti del collezionista èBarone G. (1897), Il museo <strong>civico</strong> <strong>di</strong> Baranello: or<strong>di</strong>nato,descritto ed <strong>il</strong>lustrato dall’architetto GiuseppeBarone. Stab<strong>il</strong>imento Tipografico Pierro e Veral<strong>di</strong>,Napoli.Riguardo alla storia ed evoluzione del museo e allesue <strong>di</strong>verse tipologie si segnala a titolo esplicativo:AA.VV. (1980), Capire l’Italia. I musei. Touring ClubItaliano, M<strong>il</strong>ano. Nar<strong>di</strong> E. (a cura <strong>di</strong>) (2001), Leggere<strong>il</strong> museo. Proposte <strong>di</strong>dattiche. Seam, Roma.Hooper-Greenh<strong>il</strong>l E<strong>il</strong>ean (2005), I musei e la formazionedel sapere. Le ra<strong>di</strong>ci storiche, le pratiche delpresente. Il Saggiatore, M<strong>il</strong>ano.Poulot D. (2008), Musei e <strong>Museo</strong>logia. Jaca Book,M<strong>il</strong>ano.22 23


LaPinacoteca<strong>di</strong> Michelangelo Carozza, Giuseppina Rescigno, Tommaso EvangelistaLa quadreria del <strong>Museo</strong> <strong>di</strong> Baranello è costituita da opere <strong>di</strong> varia epoca e scuola,molte delle quali restaurate <strong>di</strong> recente a cura della Soprintendenza per i Beni Storici,Artistici ed Etnoantropologici del <strong>Molise</strong>.La Sant’Agata (1), riconoscib<strong>il</strong>e dai seni cheportano i segni del martirio, è datab<strong>il</strong>e alla secondametà del XVIII secolo. L’impostazionemonumentale della Santa, accentuata dallavisione in scorcio dal basso, la vivacità delletinte e gli effetti chiaroscurali riconducono <strong>il</strong><strong>di</strong>pinto a un pittore napoletano st<strong>il</strong>isticamentevicino a Francesco Solimena e Francesco DeMura.La piccola tela raffigurante la Danae (2),copia del celebre quadro <strong>di</strong> Tiziano (<strong>Museo</strong> <strong>di</strong>Capo<strong>di</strong>monte, Napoli), è opera napoletana dariferire alla fine del Seicento e gli inizi del Settecento,periodo in cui nella capitale del Regnosi <strong>di</strong>ffonde l’uso <strong>di</strong> realizzare copie da artistidel Cinquecento veneziano. Nel <strong>di</strong>pinto è rappresentatol’episo<strong>di</strong>o, tratto dalle “Metamorfosi”<strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o, dell’unione tra Danae e Giovenelle sembianze <strong>di</strong> pioggia d’oro.L’icona raffigurante <strong>il</strong> Transito della Madonna(3) si inserisce nella produzione tardadella scuola veneto-cretese. L’opera si caratterizzaper la presenza <strong>di</strong> elementi arcaicizzanti,quali la rigorosa e rigida simmetria della composizione,a cui vanno ad affiancarsi aperture“moderne”, rintracciab<strong>il</strong>i nella morbidezzadei volti degli angeli e nella resa <strong>di</strong>versificatadelle loro vesti. La particolare iconografia, chesi <strong>di</strong>scosta da quella consueta della DormitioVirginis, priva delle figure <strong>di</strong> Cristo e <strong>di</strong> Pietroe Paolo, conferma una datazione avanzatadell’opera tra <strong>il</strong> XVIII e <strong>il</strong> XIX secolo.Giovanni Serritelli (1809-1874) è l’autoredel <strong>di</strong>pinto raffigurante la Battaglia navale<strong>di</strong> Lissa (4), combattuta <strong>il</strong> 20 luglio 1866 neipressi dell’isola dalmata tra le navi della marinadell’Impero austriaco e quelle del Regnod’Italia. L’artista si formò a Napoli, ove fu allievodell’olandese Anton Sminck van Pitlooe sotto la sua guida frequentò la scuola <strong>di</strong> Po-San Paolo EremitaCerchia <strong>di</strong> Jusepe De Ribera dettoSpagnoletto - (attr.), XVII secolo, olio su tela24 25


1) Sant’Agataambito napoletanoXVIII secolo (seconda metà)olio su tela2)Danaecopia da Tiziano (1545 ca.)fine XVII – inizio XVIII secoloolio su tela3) Transito della Madonnascuola veneto-creteseXVIII-XIX secolotempera su tavola4) Battaglia navale <strong>di</strong> LissaSerritelli Giovanni (Napoli, 1809-1874)post 1866olio su tela5)Scena <strong>di</strong> genere con tacchinoambito Italia meri<strong>di</strong>onaleXVIII secolo (prima metà)olio su tela6) Natura morta con galloambito Italia meri<strong>di</strong>onaleXVIII secolo (prima metà)olio su tela7) Madonna con Bambino e San Giovanninoambito napoletanoXVII secolo (seconda metà)olio su rame8) Madonna con Bambinoambito napoletanofine XVII – inizi XVIII secoloolio su rame9) San Giuseppe e Gesù BambinoDe Mura Francesco (Napoli, 1696-1782) – attr.XVIII secolo (metà)olio su tela10) Madonna del Divino amorecopia da Raffaello – Giovan Francesco Penni (1518 circa)XVIII secoloolio su tavola11) Marina: veduta del portoambito Italia meri<strong>di</strong>onalefine XVII – inizi XVIII secoloolio su tela12) Scena pastoraleTassone Giuseppe (Roma, 1645-1737) - attr.fine XVII – inizi XVIII secoloolio su tela13) Osteria <strong>di</strong> campagna con cavalieriambito fiammingofine XVII – inizio XVIIIolio su rame14) Madonnaambito Italia meri<strong>di</strong>onaleXVII secolotempera su tavola15) Ecce Homoambito Italia meri<strong>di</strong>onaleXVII secoloolio su rame16) San Paolo EremitaCerchia <strong>di</strong> Jusepe De Ribera detto Spagnoletto - attr.XVII secoloolio su tela17) Maria Vergine bambina tra angeli a SantiPaolo de Majo (Marcianise, 1703-1784) – attr.XVIII secolo (metà)olio su tela18) Il bosco <strong>di</strong> FontainebleauPalizzi Giuseppe (Lanciano, 1812 – Passy, 1888)1848olio su tavola19) Ritratto <strong>di</strong> monsignor Giuliano della Roverecopia da Federico Barocci (1595)XIX secoloolio su tela incollata su tavola20) Mangiatore <strong>di</strong> prosciuttocopia da incisione <strong>di</strong> Cornelius Bloemaert (1625)XVIII secoloolio su tela21) Maddalena penitente in estasiConca Sebastiano (Gaeta, 1680 – Napoli, 1764) – attr.De Matteis Paolo (Piano Vetrale, 1662 – Napoli 1728) – attr.inizi XVIII secoloolio su tela22) Assunzione della Vergineambito Italia meri<strong>di</strong>onaleXVIII secoloolio su tela23) Marinaambito Italia meri<strong>di</strong>onalefine XVII – inizio XVIIIolio su tela24) Ritratto <strong>di</strong> Gent<strong>il</strong>uomoambito napoletanoXVIII secoloolio su tela25) Adorazione dei pastoriambito em<strong>il</strong>ianoXVI secolo (secondo quarto)olio su tavola26) La bottega del pittoreambito tedescoXIX secolo (metà)acquerello su carta27) Sant’Elia profetascuola veneto-creteseinizi XIX secolotempera su tavola28) Paesaggio con porto e v<strong>il</strong>laambito napoletanoXVIII secolo (seconda metà)olio su tela29) Paesaggio fluvialeambito Italia meri<strong>di</strong>onaleXVIII secolo (prima metà)olio su tela30) Ritratto <strong>di</strong> Teresa IannottiNattino Girolamo (Napoli, 1842 – 1913) – attr.XIX secolo (seconda metà)olio su tela31) Ritratto <strong>di</strong> Giovanni BaroneNattino Girolamo (Napoli, 1842 – 1913) – attr.XIX secolo (seconda metà)olio su telaDidascalie e grafica a cura <strong>di</strong> Michelangelo Carozza26 27


In basso:Mangiatore <strong>di</strong> prosciuttoCopia da incisione <strong>di</strong> Cornelius Bloemaert (1625), XVIIIsecolo, olio su telas<strong>il</strong>lipo che dette un nuovo impulso, a livellointernazionale, alle rappresentazioni dellevedute marine. Accanto alla resa minuziosadei dettagli e degli effetti luministici, nell’operaè evidente un’esaltazione del sentimentopatriottico che risente del recente clima postunitario.Le due piccole Scene <strong>di</strong> genere con animalibuon livello legato all’ambiente artistico meri<strong>di</strong>onale<strong>di</strong> pieno Settecento. La Madonna sorreggesulle ginocchia <strong>il</strong> Bambino che bene<strong>di</strong>ceSan Giovannino; a lato è la figura <strong>di</strong> Santa Elisabetta,mentre in secondo piano si intravedequella <strong>di</strong> San Giuseppe che assiste in <strong>di</strong>spartealla scena. Sullo sfondo, invece, si apre un ampiopaesaggio.Il <strong>di</strong>pinto intitolato da Barone Marina: vedutadel porto (11), riferib<strong>il</strong>e a un artista attivotra la fine del XVII e l’inizio del XVIIIsecolo, rientra nell’ambito della produzione <strong>di</strong>pittura <strong>di</strong> paesaggio affermatasi nell’ambientepartenopeo già nel corso del Seicento. I soggetti<strong>di</strong> tale produzione sono in genere veduteideali <strong>di</strong> marine, animate da piccole figureche con la loro presenza segnano un paesaggioimmerso in un’atmosfera <strong>di</strong> quiete. La scenaqui raffigurata è caratterizzata dalla presenza<strong>di</strong> un’antica torre sulla destra, circondata dapiccole abitazioni e da una nave in porto sullasinistra.La Scena pastorale (12) è attribuita dal Baronea Giuseppe Tassone (1645-1737), pittore<strong>di</strong> origini romane attivo a Napoli, specializzatonella realizzazione <strong>di</strong> scene <strong>di</strong> genere arricchitedalla presenza <strong>di</strong> ovini e bovini. L’attenzioneal mondo animale è evidente anche nel <strong>di</strong>pintodella collezione Barone, in cui <strong>il</strong> paesaggioè appena sbozzato sullo sfondo e lo stessopastore occupa un ruolo marginale rispetto algruppo <strong>di</strong> capre, vere protagoniste della scena,rese con ampie e corpose pennellate, che<strong>il</strong>luminano con sprazzi <strong>di</strong> luce i can<strong>di</strong><strong>di</strong> manti.Il <strong>di</strong>pinto intitolato Osteria <strong>di</strong> campagnacon cavalieri (13) raffigura una scena <strong>di</strong> genereambientata all’aperto, nei pressi <strong>di</strong> unalocanda, davanti alla quale si intrattengonopersonaggi <strong>di</strong> vario tipo, dai cavalieri a donnecon bambini. Il soggetto e alcuni elementi figurativi,come la tipologia dell’e<strong>di</strong>ficio raffigurato,rimandano alla produzione <strong>di</strong> genere <strong>di</strong>provenienza fiamminga, riproposta dall’autoresu un supporto <strong>di</strong> rame con risultati <strong>di</strong> buodacort<strong>il</strong>e (5-6) su fondo paesaggistico richiamanola tra<strong>di</strong>zione della natura morta napoletanaseicentesca, i cui capof<strong>il</strong>a furono GiovanBattista Ruoppolo e Giuseppe Recco. Le tele,da riferire probab<strong>il</strong>mente allo stesso artista, si<strong>di</strong>scostano nella resa pittorica e formale dallatra<strong>di</strong>zione seicentesca, tanto da suggerire unadatazione alla prima metà del XVIII secolo.Il <strong>di</strong>pinto su rame raffigurante la Madonnacon Gesù e San Giovannino (7), datab<strong>il</strong>e allaseconda metà del XVII secolo, viene attribuitoda Barone ad Andrea Vaccaro (1604-1670)che, al <strong>di</strong> là dell’autografia dell’opera, è sicuramente<strong>il</strong> riferimento principale per <strong>il</strong> pittore<strong>di</strong> questa tela.Ad un artista napoletano è da riferire la Madonnacon Bambino (8); <strong>il</strong> <strong>di</strong>pinto riproponeuno schema figurativo tipicamente cinquecentescoe riprende un motivo compositivoed iconografico ispirato a modelli <strong>di</strong> Raffaello.L’esecuzione su rame consente <strong>di</strong> datare l’operatra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento.Il <strong>di</strong>pinto raffigurante un raccolto e affettuosocolloquio tra San Giuseppe e <strong>il</strong> Bambino(9) si inserisce nel solco della tra<strong>di</strong>zionedella pittura sacra napoletana <strong>di</strong> fine Seicento- prima metà del Settecento tracciato da LucaGiordano e Francesco Solimena. La chiarezzadell’impianto compositivo, la compostezzaformale, <strong>il</strong> sott<strong>il</strong>e intimismo, la resa luminosae la tenue gamma cromatica inducono ad attribuirel’opera a Francesco De Mura (1696-1782), allievo del Solimena. Il <strong>di</strong>pinto potrebbeessere stato realizzato dal pittore napoletanodopo la sua esperienza torinese, a contatto conl’ambiente internazionale e rococò della cortesabauda, per la quale lavorò nei primi anniquaranta del XVIII secolo.La Madonna del Divino Amore (10), copiadel celebre quadro che la critica attribuisce siaa Raffaello che all’allievo Giovan FrancescoPenni detto <strong>il</strong> Fattore (<strong>Museo</strong> <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>monte,Napoli), è un <strong>di</strong>pinto da riferire a un pittore <strong>di</strong>28 29


na qualità tecnica e formale. L’opera è datab<strong>il</strong>etra la fine del Seicento e gli inizi del secolosuccessivo.La piccola opera raffigurante la Madonna(14) mostra l’immagine della Vergine a mezzobusto, con <strong>il</strong> volto incorniciato da un doppiovelo e lo sguardo rivolto verso <strong>il</strong> basso. La tipologiadel soggetto e le misure del quadro fannopensare a un <strong>di</strong>pinto destinato al culto privato,la cui datazione è da porsi nell’ambito dellaproduzione seicentesca.Lo stesso <strong>di</strong>scorso vale per <strong>il</strong> vicino EcceHomo (15), <strong>di</strong>pinto appartenente alla serie <strong>di</strong>opere presenti nel <strong>Museo</strong> realizzate a olio surame. Il soggetto raffigurato, Cristo sofferenteritratto a mezzo busto con la corona <strong>di</strong> spinee la canna tra le mani incrociate in primopiano, rappresenta una tipologia iconograficaabbastanza <strong>di</strong>ffusa nella pittura <strong>di</strong> devozione,in questo caso resa con un linguaggio pittoricosemplificato, che pone anche quest’opera, dellestesse <strong>di</strong>mensioni della precedente, nell’ambitodella produzione seicentesca destinata alculto domestico.Il quadro, che occupa per importanza e percollocazione un posto centrale nella collezionedei <strong>di</strong>pinti del <strong>Museo</strong>, è <strong>il</strong> San Paolo Eremita(16) attribuito dal Barone a FrancescoFracanzano (1612-1656), artista pugliese allievo<strong>di</strong> Jusepe de Ribera. I riman<strong>di</strong> all’operariberesca sono chiari ed evidenti sia nella resapittorica e formale che nella scelta iconograficae compositiva. Il <strong>di</strong>pinto, infatti, si inseriscein una serie <strong>di</strong> opere <strong>di</strong> soggetto sim<strong>il</strong>e(un santo eremita raffigurato a mezzo busto, inatto <strong>di</strong> preghiera, <strong>di</strong>etro uno sperone <strong>di</strong> rocciae davanti a uno sfondo privo <strong>di</strong> aperture paesaggistiche)tutte aventi come modello figurativo<strong>il</strong> S. Onofrio <strong>di</strong> Ribera conservato presso<strong>il</strong> <strong>Museo</strong> dell’Ermitage a San Pietroburgo. Ilrimando comune alla maniera del pittore spagnoloè presente anche nella resa pittorica del<strong>di</strong>pinto, nella stesura <strong>di</strong> un impasto denso ecorposo, dato per pennellate vigorose e deci-se, accese da bagliori <strong>di</strong> luce che sottolineano itratti salienti del volto e delle mani.Il <strong>di</strong>pinto raffigurante Maria Vergine bambinatra angeli e Santi (17) presenta in bassoS. Gaetano da Thiene e un santo francescanoche accompagnano lo sguardo del devoto versol’immagine <strong>di</strong> Maria Bambina, rappresentatacon i simboli dell’Immacolata, tra S. Anna,S. Gioacchino e S. Giuseppe. L’opera presentai tratti tipici della pittura devozionale napoletana<strong>di</strong> metà Settecento a cui Paolo de Majo(1703-1784), possib<strong>il</strong>e autore, appartiene: unacomposizione semplice e pulita, l’ut<strong>il</strong>izzo <strong>di</strong>colori chiari e luminosi, la presenza <strong>di</strong> personaggiben <strong>di</strong>stinti e riconoscib<strong>il</strong>i. Allievo delSolimena, de Majo fu autore <strong>di</strong> immagini sacreimmerse in tonalità atmosferiche chiare, destinatealla <strong>di</strong>ffusione del culto mariano.Il Bosco <strong>di</strong> Fontainebleau (18), <strong>di</strong>pinto firmatoda Giuseppe Palizzi (1812-1888) e datato1848, è esempio dei meriti artistici del pittoreche, con <strong>il</strong> fratello F<strong>il</strong>ippo, fu uno dei principaliinterpreti italiani della pittura <strong>di</strong> paesaggionel secondo Ottocento. La tavola rappresentauna testimonianza preziosa, poiché rara, dellaproduzione giovan<strong>il</strong>e e dell’inizio del soggiornodel pittore a Parigi. La particolare sensib<strong>il</strong>itàagli effetti della luce, la stesura del coloreattraverso tocchi rapi<strong>di</strong> e sommari e l’uso <strong>di</strong>una materia coloristica dall’impasto ricco edal tono intenso, sono tratti salienti della personalitàartistica del Palizzi presenti anche nel<strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Baranello, che si <strong>di</strong>stingue dal restodella sua produzione per l’ut<strong>il</strong>izzo del supportoligneo.Il Ritratto <strong>di</strong> monsignor Giuliano DellaRovere (19) è copia del <strong>di</strong>pinto realizzato daFederico Barocci intorno al 1595 e conservatopresso <strong>il</strong> Kunsthistorisches Museum <strong>di</strong> Vienna.Il monsignore è ritratto a tre quarti <strong>di</strong> figura,nella sua casa <strong>di</strong> Fossombrone, in unastanza piena <strong>di</strong> libri, seduto su una savonarola,mentre sfoglia un grosso libro con la mano destra.A parte alcune piccole <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> colo-ri e oggetti raffigurati, <strong>il</strong> <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Baranellomostra, rispetto all’originale, una grande capacitàda parte dell’autore <strong>di</strong> riproporne l’introspezionepsicologica e la naturalezza nellaresa della figura.Il Mangiatore <strong>di</strong> prosciutto (20) rientra,per soggetto ed elementi formali, nella tra<strong>di</strong>zionedella pittura <strong>di</strong> genere che in ambitomeri<strong>di</strong>onale si afferma dalla metà del Seicento,sulla scia della pittura nordeuropea. Inparticolare <strong>il</strong> <strong>di</strong>pinto in questione pare essereuna copia <strong>di</strong> un’incisione dell’artista olandeseCornelius Bloemaert, datata 1625. La scelta delIn Alto:Paesaggio con porto e v<strong>il</strong>laAmbito napoletano, XVIII secolo (seconda metà), oliosu tela30 31


soggetto mostra un forte gusto per gli aspettipiù grotteschi e deformi del genere umano chel’artista rende attraverso un’analisi spietata equasi caricaturale dei tratti fisionomici e unforte realismo st<strong>il</strong>istico.La Maddalena penitente in estasi (21) vieneattribuita, tramite analisi st<strong>il</strong>istica, vicendevolmentea Paolo de Matteis (1662-1728) oa Sebastiano Conca (1680-1764). Di certo l’operasi colloca nell’ambiente partenopeo degliinizi del XVIII, quando l’impeto barocco pareaffievolirsi per lasciare <strong>il</strong> posto a soluzionicompositive più solide ed eleganti, non privecomunque <strong>di</strong> raffinati accor<strong>di</strong> cromatici e luministici.La composizione, che vede la Santain primo piano sorretta da due angeli, annullal’evento per fornire un’immagine devozionale,iconica e classica allo stesso tempo, dalla qualeemerge sopratutto una forte carica patetica esentimentale, esaltata dai tenui contrasti tra imorbi<strong>di</strong> incarnati e la matericità delle stoffe edei capelli.L’Assunzione della Vergine (22) è un’opera,senza attribuzione, da ritenersi comunque<strong>di</strong> ambito meri<strong>di</strong>onale per la vicinanza, sulpiano compositivo, con i moduli e gli impiantidel Solimena. Settecentesca e <strong>di</strong> buona qualitàartistica, moderatamente classica nell’impostazione,ha i suoi punti <strong>di</strong> forza nella nitidezzadel <strong>di</strong>segno e nelle morbide campiture <strong>di</strong>colore che conferiscono all’evento sacro unadelicata luminosità. Si evidenziano gli equ<strong>il</strong>ibratiaccor<strong>di</strong> cromatici, l’aerea vaporositàdelle nuvole e <strong>il</strong> volto estatico e delicato dellaMadonna.Interessante è la piccola Marina (23). Il <strong>di</strong>pinto,<strong>di</strong> anonimo dell’Italia meri<strong>di</strong>onale, datab<strong>il</strong>etra fine XVII e inizi del XVIII secolo, sicolloca nel genere delle marine seicentesche.E’ raffigurato un paesaggio a metà strada tracapriccio, veduta ideale e “veduta esatta”: inprimo piano figure <strong>di</strong> pescatori animano <strong>il</strong>molo mentre <strong>di</strong>verse barche solcano <strong>il</strong> mare;sullo sfondo, davanti ad un promontorio, unacitta<strong>di</strong>na portuale sfuma nella bruma; <strong>il</strong> cielosembra preannunciare una tempesta. Il tutto èreso con tocchi veloci <strong>di</strong> colore e con uno spiccatogusto per <strong>il</strong> pittoresco e l’aneddotico. Con<strong>il</strong> Ritratto <strong>di</strong> Gent<strong>il</strong>uomo (24) ci troviamo<strong>di</strong> fronte ad un’opera, <strong>di</strong> buon livello, raffiguranteun uomo dall’aspetto giovane e raffinatoche regge un compasso mentre mostra conorgoglio una pergamena con <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> piante;la presenza <strong>di</strong> questi attributi lo configurano,data la giovane età, come uno studente e/ostu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> architettura. Dall’abbigliamentodell’uomo e da analisi st<strong>il</strong>istiche si può datarela tela al XVIII secolo che, seppur <strong>di</strong> ambitonapoletano, mostra ascendenze inglesi. A livellost<strong>il</strong>istico si segnala <strong>il</strong> riuscito contrastotra <strong>il</strong> blu del mantello, <strong>il</strong> rosso del vestito e <strong>il</strong>bianco del foulard e le lievi e veloci pennellateche fanno emergere la figura dallo sfondo scuro.L’Adorazione dei pastori (25), un <strong>di</strong>pintodel secondo quarto del XVI secolo, è da accostareall’ambiente em<strong>il</strong>iano per caratterist<strong>il</strong>istici assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>i alla maniera del Parmigianino,in particolare per quanto concerne lasperimentazione della forma allungata e serpentinata.La scena, scorciata dal basso, ha <strong>il</strong>suo centro reale e simbolico nel Bambino dalquale prorompe una luce <strong>di</strong>vina che <strong>il</strong>luminal’um<strong>il</strong>e mangiatoia e le figure dei pastori coltiin controluce. Sullo sfondo sono raffiguratiuna teoria <strong>di</strong> angeli festanti e particolari <strong>di</strong> une<strong>di</strong>ficio monumentale classico. L’opera, comeappare evidente dallo sdoppiamento del voltodel giovane in primo piano, risulta non finita.La bottega del pittore (26), acquerello sucarta, presenta caratteri tipici della produzionepittorica nor<strong>di</strong>ca della metà del XVIII, maè da attribuirsi ad un pittore ottocentesco cheripropone, in piccolo formato, scene <strong>di</strong> generee soggetti minori sull’esempio dei maestritedeschi. L’opera mostra una certa freschezzanel tocco e nella campitura cromatica. Il soggetto,ambientato nell’um<strong>il</strong>e interno <strong>di</strong> un ate-lier ricco <strong>di</strong> gessi e <strong>di</strong>segni, è giocato sul contrastotra l’anziano e um<strong>il</strong>e pittore che osservai progressi del giovane e benestante allievo.Diversa dalle altre composizioni è quella delSant’Elia profeta (27). Si tratta <strong>di</strong> un’icona <strong>di</strong>evidente impronta bizantineggiante, che puòessere attribuita ad un artista veneto-cretesedegli inizi dell’Ottocento, nella quale, oltre alpermanere <strong>di</strong> moduli e schemi compositivi arcaiciquali la grotta e la figura del santo, è possib<strong>il</strong>ein<strong>di</strong>viduare anche aperture “moderne”come nel volto e nelle vesti del giovane. L’opera,una tempera su tavola, raffigura, come daiscrizione, <strong>il</strong> profeta Elia in atteggiamento bene<strong>di</strong>centein una grotta mentre ammaestra ungiovane <strong>di</strong>scepolo con cartiglio, <strong>il</strong> che farebbepensare anche all’iconografia apocrifa <strong>di</strong> SanGiovanni che detta <strong>il</strong> prologo del suo Vangeloa Procoro.Il Paesaggio con porto e v<strong>il</strong>la (28) è unatela della seconda metà del XVIII secolo dariferire probab<strong>il</strong>mente ad un artista <strong>di</strong> ambitonapoletano che ha visto e stu<strong>di</strong>ato le vedute <strong>di</strong>Gaspar van Wittel e dei “paesaggisti” romani.Raffigura sulla sinistra una v<strong>il</strong>la circondata dapini marittimi e, sulla destra, un piccolo portocon barche ormeggiate. In primo piano sinotano due figure e un grande albero isolatomentre lo sfondo, arioso e luminoso, si caricadei tenui colori del tramonto.Il Paesaggio fluviale (29), della prima metàdel XVIII secolo, è da ascrivere invece ad unpittore <strong>di</strong> ambito meri<strong>di</strong>onale de<strong>di</strong>to alla pittura<strong>di</strong> paesaggio, che sicuramente conosceval’opera <strong>di</strong> Lorrain e le novità delle vedute“romane”. Vi è raffigurato <strong>il</strong> corso <strong>di</strong> un fiumepercorso da barche; sulla sinistra vi è un tipicopaese con chiese e rovine, mentre sulla destraun tempio antico a pianta che ricorda <strong>il</strong> Tempio<strong>di</strong> Vesta del Foro Boario a Roma o <strong>il</strong> tempiodella Sib<strong>il</strong>la a Tivoli. In primo piano, nell’ombradella vegetazione, si muovono piccole figure,mentre lo sfondo si riveste dei cal<strong>di</strong> coloridel tramonto. Il tutto reso con spiccatosenso per <strong>il</strong> pittoresco.Infine, non sulla parete centrale, troviamo iRitratti <strong>di</strong> Teresa Iannotti e Giovanni Barone(30, 31). Le due tele, che formano unasorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttico, raffigurano i genitori dell’architettoGiuseppe Barone. Datate intorno allaseconda metà del XIX secolo, furono eseguiteda Girolamo Nattino (1842-1913), pittore attivoin ambito meri<strong>di</strong>onale. I due ritratti, compostie semplici, si inseriscono nel f<strong>il</strong>one dellaritrattistica <strong>di</strong> fine Ottocento, attenta, da unaparte alla resa realistica del soggetto colto inatteggiamenti ed espressioni naturali, e dall’altraalle conquiste nell’ambito della fotografia,della quale adotta tagli e rese luministiche.Il testo del contributo è frutto <strong>di</strong> una comunecollaborazione. Spetta a Michelangelo Carozzal’analisi dei <strong>di</strong>pinti 1-10; a Giuseppina Rescignoquella delle opere 11-20; a Tommaso Evangelistaquella dei <strong>di</strong>pinti 21-31.BibliografiaBarone G. (1897): Il <strong>Museo</strong> <strong>di</strong> Baranello, Napoli.Causa R. (1957): Pittura napoletana dal XV al XIX secolo.Istituto Italiano D’Arti Grafiche, Bergamo.Comanducci, A. M. (1982): Dizionario <strong>il</strong>lustrato deipittori, <strong>di</strong>segnatori e incisori italiani moderni econtemporanei. SIES, M<strong>il</strong>ano.Parca S. (2005): Schede OA. Archivio SoprintendenzaBSAE del <strong>Molise</strong>.Rescigno G. (2005): Schede OA. Archivio SoprintendenzaBSAE del <strong>Molise</strong>.Spinosa N. (1993): Pittura napoletana del Settecento.Electa, Napoli.Spinosa N. (2003): Ribera. Electa, Napoli.Ut<strong>il</strong>i M. (2008): <strong>Museo</strong> <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>monte. TouringClub Italiano, M<strong>il</strong>ano.Civ<strong>il</strong>tà del Seicento a Napoli (1984), catalogo mostra.Electa, Napoli.Settecento napoletano: sulle ali dell’aqu<strong>il</strong>a imperiale:1707-1734 (1994), catalogo mostra. Electa, Napoli.32 33


La ceramicagreca e italiota<strong>di</strong> Gabriella Di RoccoLe ceramiche greche e italiote della collezione ‘Giuseppe Barone’ trovano posto nelleteche n. II, III e IV della prima sala del <strong>Museo</strong> Civico <strong>di</strong> Baranello e costituiscono uncorpus <strong>di</strong> oltre 120 unità, unico per <strong>il</strong> <strong>Molise</strong>. Nello specifico si tratta <strong>di</strong> esemplari <strong>di</strong>vasi attici decorati secondo la tecnica a figure nere e a figure rosse e datab<strong>il</strong>i tra la finedel VI e la seconda metà del V secolo a.C. (vetrina n. II) e <strong>di</strong> un cospicuo numero <strong>di</strong> vasi<strong>di</strong> ceramica italiota riferib<strong>il</strong>i al IV e al III secolo a.C. (vetrine n. III e IV).Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina II: anfora attica afigure nere con Apollo liricine, lato A.Per ragioni <strong>di</strong> spazio non potremo <strong>il</strong>lustrarein questa sede ciascun vaso ma ci limiteremo adelineare i tratti salienti che riguardano questimateriali, richiamando l’attenzione del lettoresu alcuni dei reperti più significativi dellasplen<strong>di</strong>da raccolta Barone.La ceramica attica, molto apprezzata in tutto<strong>il</strong> mondo antico, è giunta sino a noi perché feceabitualmente parte dei corre<strong>di</strong> funerari conservatisinelle necropoli greche, magnogrecheed etrusche; si tratta <strong>di</strong> una tipologia ceramica<strong>di</strong> altissimo livello tecnologico ed artistico,mai più eguagliata nella storia dell’antichità.Il repertorio formale <strong>di</strong> questa classe ceramicaè quanto mai vario e complesso: ci sonole forme cosiddette aperte (crateri, stamnoi,skyphoi, kylikes) e le forme chiuse (anfore,oinochoai, lekhytoi, pelikai, hydriai); l’appara-to iconografico è scrupolosamente accurato:ogni singola zona della superficie vascolare èdecorata sapientemente dal ceramografo chead essa riserva uno specifico elemento decorativo;generalmente la scena principale èritratta nella parte me<strong>di</strong>ana del vaso (spalla,pancia), mentre alle zone superiore ed inferiore(labbro, collo, piede) è destinata la decorazioneaccessoria.Leader nella produzione <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong>vasi fu la città <strong>di</strong> Atene, in Attica. I vasai e iceramografi ateniesi si ispirarono per le lorocreazioni alla botteghe corinzie; fu proprio aCorinto, infatti, che nel VII secolo a.C. vennerealizzata la particolare tecnica <strong>di</strong> decorazionedella superficie dei vasi <strong>di</strong> terracotta conpiccole figure a s<strong>il</strong>houette piena, ossia configure campite con vernice d<strong>il</strong>uita che in cot-34 35


tura scuriva, assumendo una colorazione nerae lucente, liscia e setosa al tatto; gli elementiinterni alle figure, come i tratti anatomici o ipanneggi delle vesti, erano ottenuti asportandola vernice con una sott<strong>il</strong>issima punta metallica,mentre <strong>il</strong> fondo del vaso restava del colorerosso/bruno dell’arg<strong>il</strong>la.A partire dalla metà circa del VI secolo a.C., iceramografi ateniesi adottarono tale tecnica afigure nere per decorare i manufatti ceramici,sostituendola, alla fine dello stesso secolo, conquella più evoluta a figure rosse che permisela realizzazione <strong>di</strong> veri e propri capolavori, pernoi tanto più preziosi in quanto la grande pitturagreca <strong>di</strong> età arcaica e classica, <strong>di</strong> cui quellavascolare costituisce, in un certo senso, un riflesso,è andata persa per sempre.L’anfora a collo <strong>di</strong>stinto della collezione‘Giuseppe Barone’ con la raffigurazione <strong>di</strong>Apollo che suona la lira, datab<strong>il</strong>e intorno al500 a.C., è senza dubbio tra le più particolaridell’intera raccolta. Di non gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni,circa 25 cm <strong>di</strong> altezza, essa è caratterizzata dabocca ad echino e collo molto svasato, corpoespanso nella parte superiore, fortemente rastrematoverso <strong>il</strong> basso. La scena metopale occupa,come <strong>di</strong> consueto, <strong>il</strong> punto <strong>di</strong> massimaespansione del vaso. Sul lato principale (latoA) sono rappresentate tre figure: al centro, <strong>di</strong>prof<strong>il</strong>o a destra, è Apollo con chitone ed himation,ritratto nell’atto <strong>di</strong> suonare la lyra,lateralmente due figure femmin<strong>il</strong>i, rivolteverso quella centrale, ammantante in un lungohimation, rispettivamente Lato (Latona)e Artemis (Artemide). Anche la decorazioneaccessoria si inquadra nella tipologia tipicadella fine del VI secolo a.C.: sul collo, palmetterivolte alternativamente verso l’alto e verso<strong>il</strong> basso, collegate tra loro da steli; in basso, al<strong>di</strong> sotto della scena figurata, un giro <strong>di</strong> fiori d<strong>il</strong>oto e una raggiera sottostante. Sull’altro lato(lato B), invece, è rappresentata una scena conal centro un oplita in panoplia con elmo, cortomantello e schinieri, <strong>il</strong> cui busto è completamentenascosto dal grande scudo circolare conepisema, sulla destra un arciere dotato <strong>di</strong> faretrae sulla sinistra un personaggio ammantato.L’altro esemplare vascolare che vogliamoqui richiamare è una seconda anfora a collo<strong>di</strong>stinto, coeva alla precedente, che ritrae,sul lato principale, un auriga con quadriga echitone bianco, mentre, sul lato B, due figure:Dionisio sulla destra e una menade sulla sinistra.Gianna Dareggi, la stu<strong>di</strong>osa che all’iniziodegli anni Settanta del secolo scorso stu<strong>di</strong>òper prima questi reperti ceramici, ha proposto<strong>di</strong> attribuire la realizzazione delle scene <strong>di</strong>quest’anfora al Pittore delle Linee Rosse, cosidefinito per la particolare tecnica <strong>di</strong> questoceramografo <strong>di</strong> ut<strong>il</strong>izzare linee paonazze nellesue composizioni pittoriche,. Si tratta <strong>di</strong> unartista attivo tra la fine del VI e l’inizio del Vsecolo a.C. espressione della fase tarda dellatecnica a figure nere.Grazie all’enciclope<strong>di</strong>co lavoro <strong>di</strong> sir JohnDavidson Beazley, lo stu<strong>di</strong>oso che ha de<strong>di</strong>catol’intera vita a stu<strong>di</strong>are e catalogare i vasi atticiriuscendo a riconoscere scuole, botteghe epittori specializzati nella tecnica delle figurenere e delle figure rosse, è possib<strong>il</strong>e, attraversoopportuni confronti, rintracciare la manoo la scuola o <strong>il</strong> gruppo <strong>di</strong> appartenenza <strong>di</strong> unNell’altra pagina:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina II: anfora attica a figurenere con quadriga, lato A (da Dareggi 1977)In alto:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina II: kylix ad occhioni <strong>di</strong>tipo calcidese, particolare.artista pur non conoscendone l’identità; soloin rarissimi casi, infatti, <strong>il</strong> ceramografo ha lasciatotraccia certa <strong>di</strong> sé apponendo la propriafirma sul vaso.Tra i reperti ceramici a figure nere la raccoltaBarone accoglie anche alcune kylikes (coppe).Una <strong>di</strong> esse è, a nostro avviso, <strong>di</strong> grandesuggestione: si tratta della coppa ad occhioni<strong>di</strong> tipo calcidese datab<strong>il</strong>e al 520 a.C. circa.Inventore <strong>di</strong> questa tipologia decorativa dellecoppe che prevede la realizzazione <strong>di</strong> duegrossi occhi apotropaici posti all’esterno delvaso, fu uno dei gran<strong>di</strong> maestri delle figurenere, Exekias, artista attivo nella seconda metàdel VI secolo a.C. Ottenuti con <strong>il</strong> compasso, gliocchioni vengono messi in risalto dal sapientee calibrato uso della policromia: <strong>il</strong> bianco36 37


A sinistra:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina II: anfora attica a figurerosse con giovane imberbe, lato A.In basso:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina III: hydria apula conscena <strong>di</strong> compianto funebre.Nell’altra pagina, in alto:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina II: kelebe attica a figurerosse con Vittoria, particolare lato A.Nell’altra pagina, in basso:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina III: prochoe apula conquadriga.per la cornea, <strong>il</strong> rosso-violaceo per l’iride e <strong>il</strong>nero per la pup<strong>il</strong>la. Nel nostro caso tra i dueocchi <strong>il</strong> pittore ha posto una quadriga guidatada un auriga in chitone bianco; eccezionale laresa prospettica e <strong>il</strong> movimento del cocchio,ottenuti <strong>di</strong>pingendo i cavalli in torsione, coltiproprio nel momento della corsa; nel tondo internodella coppa trova spazio l’immancab<strong>il</strong>egorgoneion.Al Gruppo <strong>di</strong> Haimon, un gruppo <strong>di</strong> ceramografioperanti intorno al 480 a.C., sono stateattribuite una serie <strong>di</strong> piccole lekythoi (brocchette)funerarie tra cui una con una riccascena <strong>di</strong>onisiaca: Dioniso è steso sulla kline,accanto a lui una menade ammantata è sedutae suona una lyra, alle sue spalle un’altra menadeammantata giunge a dorso <strong>di</strong> mulo. Ladecorazione accessoria è molto ridotta: trattiverticali e raggiera nella parte bassa del lungocollo svasato, al <strong>di</strong> sotto della scena figuratauna serie <strong>di</strong> tre linee orizzontali <strong>di</strong> cui quellame<strong>di</strong>ana più spessa.Gli esemplari ceramici della collezione Baroneconservati presso <strong>il</strong> <strong>Museo</strong> Civico <strong>di</strong> Baranellosono riferib<strong>il</strong>i, come già anticipato, allafase tarda della tecnica a figure nere, ossia allafine del VI secolo a.C., periodo in cui ad Atenegli artisti iniziavano a sperimentare la nuovatecnica a figure rosse, tecnica che ebbe poiun enorme successo per cui i vasi attici eranoestremamente richiesti sui mercati dell’inte-ro bacino del Me<strong>di</strong>terraneo, sia verso oriente,sulle coste del Mar Nero, che nella lontanavalle padana e più ad ovest in Iberia sino allostretto dei Dardanelli.Questa nuova tecnica a figure rosse prevede<strong>il</strong> proce<strong>di</strong>mento inverso rispetto alla precedentetecnica a figure nere: le figure sono risparmiatedalla stesura della vernice e vengonoperciò lasciate nel colore rossiccio dell’arg<strong>il</strong>la,mentre <strong>il</strong> fondo del vaso è ricoperto dauno strato <strong>di</strong> vernice nera; i dettagli internidelle figure non sono più incisi, bensì <strong>di</strong>pinticon la punta <strong>di</strong> un sott<strong>il</strong>issimo pennello intintoin arg<strong>il</strong>la d<strong>il</strong>uita.Uno dei più interessanti esemplari <strong>di</strong> ceramicaa figure rosse della collezione Barone èuna splen<strong>di</strong>da anfora <strong>di</strong> tipo nolano, datab<strong>il</strong>eintorno al 470 a.C., ossia ad una fase in cui lanuova tecnica decorativa è già pienamente affermatain Atene e numerosi sono gli artisti e<strong>di</strong> maestri che vi si cimentano, realizzando manufattitra i più pregiati che l’antichità ci abbiatramandato. L’anfora in questione è stata attribuitaad un pittore della maniera del celeberrimoPittore <strong>di</strong> Berlino. Costui è noto aglistu<strong>di</strong>osi per la caratteristica <strong>di</strong> ritrarre su anforee, in generale, su vasi <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni,figure isolate che emergono dal fondo nerodel vaso che appare privo del tutto, o quasi,della decorazione accessoria. Nel nostro caso,sul lato A dell’anfora, ve<strong>di</strong>amo un giovaneammantato, interpretab<strong>il</strong>e come un lottatorevincitore, vestito con himation e corona, coltonell’atto <strong>di</strong> salutare gli spettatori mentre tende<strong>il</strong> braccio destro. Sul lato B una Nike, la vittoriaalata, sta planando <strong>di</strong>nanzi ad un altare, conin mano una phiale (ciotola) ed una oinochoe(brocchetta).A <strong>di</strong>fferenza delle figure nere, ancora severenello st<strong>il</strong>e ed essenziali nei tratti anatomici,la nuova tecnica a figure rosse permetteva alceramografo <strong>di</strong> ampliare la gamma <strong>di</strong> possib<strong>il</strong>ità<strong>di</strong>segnative e, soprattutto, <strong>di</strong> essere piùverosim<strong>il</strong>e nella resa dei dettagli che animano38 39


In questa pagina:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina IV: skyphos campanocon menade danzante.Nell’altra pagina:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina III: piatto campano conprotome muliebre.le figure stesse, anatomie comprese. Il giovaneimberbe ritratto su quest’anfora è colto infattiin tutta la sua espressività: gli occhi, le narici,le labbra, <strong>il</strong> pa<strong>di</strong>glione auricolare, i riccioli deicapelli, sono realizzati tutti con estrema curae raffinatezza.Un’altra anfora, sim<strong>il</strong>e nella forma alla precedente,ma datab<strong>il</strong>e al 450 a.C. circa, reca, sullato A, due figure: un uomo anziano con lyra ebastone ed un fanciullo che incede verso destra,mentre, sul lato B, un adulto appoggiatoad un bastone; potrebbe trattarsi <strong>di</strong> una scena<strong>di</strong> scuola. In questo caso la resa dei trattianatomici e quella dei panneggi appare menoaccurata della precedente.Nella collezione Barone non mancano alcunisplen<strong>di</strong><strong>di</strong> crateri, i vasi usati durante <strong>il</strong> simposiogreco, in cui acqua, vino ed aromi venivanomescolati per poi essere versati nelle coppe edegustati nelle lunghe ore <strong>di</strong> convivio. Il craterea colonnette (kelebe), attribuito al Pittore <strong>di</strong>Oreste e datato al 450 a.C. circa, ne è un pregevoleesempio. Qui la decorazione accessoriaè molto ricca, con fiori <strong>di</strong> loto e tralci <strong>di</strong> vite,particolarmente sv<strong>il</strong>uppata sul collo e posta a<strong>di</strong>ncorniciare la metopa che racchiude la scenafigurata. Quest’ultima, sul lato A, mostra alcentro un fanciullo su po<strong>di</strong>o accompagnato daun suonatore <strong>di</strong> doppio flauto, alle cui spalle èun altro personaggio appoggiato ad un bastonee, sulla destra, una Vittoria con gran<strong>di</strong> ali ecorona <strong>di</strong> olivo <strong>di</strong>stesa, pronta ad incoronare <strong>il</strong>fanciullo; sul lato B sono ritratti tre personaggimasch<strong>il</strong>i nell’atto <strong>di</strong> incedere verso destra efesteggiare.Il tardo cratere a calice del Gruppo <strong>di</strong>Polygnoto, risalente al 430-420 a.C., mostra,invece, una tipica scena <strong>di</strong>onisiaca con satiroche insegue una menade retrospiciente.Una delle più interessanti testimonianzeche ci ha lasciato la Magna Grecia è costituitasenza dubbio dalla ceramica italiota, una produzioneavviata in Puglia e Lucania a partiredalla seconda metà del V secolo a.C., che si affermaparticolarmente nel corso del IV secoloa.C. anche in Campania e in Sic<strong>il</strong>ia. Com’ènoto, fu <strong>il</strong> risultato dell’incontro delle tecnicheimportate dai Greci delle colonie costiere conla volontà <strong>di</strong> imitazione da parte degli in<strong>di</strong>genidell’entroterra; le popolazioni locali certamenterecepirono <strong>il</strong> valore culturale delle immaginiriprodotte sui vasi e ne commissionaronola realizzazione agli artisti greci locali: <strong>il</strong>vaso figurato <strong>di</strong>venta, infatti, per le aristocraziein<strong>di</strong>gene, strumento <strong>di</strong> rappresentanza e,nello stesso tempo, <strong>di</strong> propaganda politica. Laproduzione italiota, partendo dai modelli attici,sv<strong>il</strong>uppa pian piano caratteristiche formalie iconografiche proprie, un proprio repertoriocon forme e immagini ben <strong>di</strong>fferenziate. Possiamoriassumere brevemente in tre gran<strong>di</strong>aree tale produzione: i gran<strong>di</strong> vasi con soggettiiconografici complessi, spesso <strong>di</strong> contenutomitologico; gli articolati servizi da simposiodecorati con rappresentazioni legate al mondo<strong>di</strong>onisiaco e, infine, i vasi <strong>di</strong> modeste <strong>di</strong>mensionicon scene tratte dalla sfera del gineceo edella vita quoti<strong>di</strong>ana.La collezione Barone ne conserva alcunimagnifici esemplari. L’hydria <strong>di</strong> produzioneapula risalente alla metà del IV secolo a.C. occupanella raccolta Barone un posto <strong>di</strong> primopiano: <strong>il</strong> vaso, alto 37 centimetri, presenta <strong>il</strong>labbro ribattuto che ricorda prototipi metallici.Una delle particolarità <strong>di</strong> questi vasi rimanel’aggiunta <strong>di</strong> colore bianco e giallo all’internodella scena figurata, oltre alla presenza <strong>di</strong> unafascia <strong>di</strong> vernice rinforzata attorno alle figure.Nel nostro caso <strong>il</strong> lato A reca, al centro, unacolonna ionica campita <strong>di</strong> bianco posta sopraun’alta base, a sinistra un giovane rivolto verso<strong>il</strong> centro che tiene tra le mani un tralcio eun ramoscello, a destra una fanciulla in peploe recante flabello ed oinochoe; <strong>il</strong> lato B, sottol’ansa verticale, reca due palmette con girali.Certamente degna <strong>di</strong> nota è anche la grandeprochoe apula datab<strong>il</strong>e alla seconda metà delIV secolo a.C. caratterizzata da un corpo ovaleallungato, un lungo collo con bocca svasata eansa nastriforme. L’elemento decorativo piùevidente è la grande quadriga al galoppo, con icavalli <strong>di</strong>pinti in bianco, guidata da auriga con<strong>il</strong> tipico chitone talare gonfiato dal vento; sullato B spicca una grande palmetta a ventagliocon girali.Anche la ceramica italiota <strong>di</strong> produzionecampana è largamente rappresentata a Baranello:skyphoi (bicchieri) con scene <strong>di</strong> gineceoe mena<strong>di</strong> danzanti, splen<strong>di</strong>de anfore con ansetort<strong>il</strong>i e scene <strong>di</strong> compianto funebre, piccolelekythoi (brocchette) e piatti con protomi muliebridalle varie fogge e acconciature, piatticon grossi pesci.In conclusione possiamo affermare comela collezione <strong>di</strong> ceramiche greche e italiotedel <strong>Museo</strong> Civico <strong>di</strong> Baranello rappresenti unvero patrimonio per <strong>il</strong> <strong>Molise</strong>, un patrimonioin buona parte ancora da stu<strong>di</strong>are, valorizzaree tramandare, proprio come Giuseppe Baroneebbe a ripetere più volte.BibliografiaArias P.E. 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Osc<strong>il</strong>la eastragaliLe forme degli osc<strong>il</strong>la sono svariate; purrestando quella circolare la più <strong>di</strong>ffusa, se netrovano rettangolari, a forma <strong>di</strong> pelta, ovoidali.A lungo gli stu<strong>di</strong>osi hanno <strong>di</strong>battuto sulsignificato <strong>di</strong> questi oggetti. All’inizio essierano maggiormente impressionati dai temiin essi rappresentati, che dalla loro forma ederano portati a interpretare questi manufatticome oggetti religiosi, suggestionati dal passaggiopresente nelle Georgiche <strong>di</strong> Virg<strong>il</strong>io(ve<strong>di</strong> supra) che li attribuiva al culto bacchico.Successivamente ha prevalso la teoria per cuiessi avrebbero un uso eminentemente decorativo,comprovato dai numerosi ritrovamentiin e<strong>di</strong>fici abitativi, effettuati durante gli scavi<strong>di</strong> Pompei ed Ercolano. R<strong>il</strong>ievi scultorei mar<strong>di</strong>Chiara SantoneTra i numerosi reperti presenti nella sezione romana dello splen<strong>di</strong>do <strong>Museo</strong> <strong>di</strong>Baranello, <strong>il</strong> visitatore potrà ammirare una nutrita serie <strong>di</strong> categorie <strong>di</strong> manufattiche vanno dagli ex-voto religiosi alle antefisse, dai gocciolatoi alle lucerne, dai vasi allestatuette <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa fattura e qualità. In questa straor<strong>di</strong>naria messe <strong>di</strong> oggetti dellavita quoti<strong>di</strong>ana hanno carpito l’attenzione <strong>di</strong> chi scrive due classi <strong>di</strong> materiali che nonsempre hanno avuto da parte degli stu<strong>di</strong>osi e degli appassionati la giusta attenzioneche forse meritano: gli osc<strong>il</strong>la e gli astragali.Le maschere osc<strong>il</strong>lanti“nec non Ausonii, Troia gens missa, coloniversibus incomptis ludunt risuque soluto, oraquecorticibus sumunt orrenda cavatis, et te,Bacche, vocant per carmina laeta, tibique osc<strong>il</strong>laex alta suspendunt mollia pinu.” (Virg<strong>il</strong>io,Georgica, II, 385-389).“E i conta<strong>di</strong>ni si <strong>di</strong>vertono con versi rozzi eriso sfrenato e indossano paurose maschere <strong>di</strong>corteccia incavata e invocano te, o Bacco, concanti gioiosi e per te sospendono osc<strong>il</strong>la suglialti rami del pino”.Con <strong>il</strong> termine osc<strong>il</strong>lum Virg<strong>il</strong>io in<strong>di</strong>cavapropriamente una mascherina che venivaappesa agli alberi, in onore <strong>di</strong> Bacco, perchéosc<strong>il</strong>lasse: in questo modo i campi restavanosottoposti alla protezione del <strong>di</strong>o; in senso lato<strong>il</strong> termine è passato ad in<strong>di</strong>care <strong>di</strong>schi e mascheresospesi tra le colonne dei portici dellecittà e nei perist<strong>il</strong>i delle case con uso apotropaico.L’uso <strong>di</strong> appendere maschere agli alberiera praticato già dai greci ed aveva carattererituale e magico, legato al culto <strong>di</strong> Dioniso e<strong>di</strong> altre <strong>di</strong>vinità. In verità in origine ad esseresospese agli alberi erano le teste delle vittimesacrificate che vennero poi sostituite da imitazioniin legno, in terracotta e in altri materialiche raffiguravano anche immagini <strong>di</strong>vine.Fatte osc<strong>il</strong>lare, sulla base del loro movimentose ne traevano auspici per la fert<strong>il</strong>ità dei campi.Ad Atene nel momento dell’estate quandole uve cominciavano a rosseggiare, si celebravanole feste delle Aiorai (festa delle altalene)durante le quali si usava sospendere agli alberidelle corde su cui venivano poste delle bambole;su un vaso trovato a Chiusi, ora conservatoa Berlino, è raffigurata una scena che presentaappunto un’altalena fatta osc<strong>il</strong>lare da un satiro.Questa festa aveva forti connotazioni agricoleed era finalizzata a propiziare un abbondanteraccolto, simboleggiato dall’albero, emblemadella fert<strong>il</strong>ità e della vita, e dal banchetto finalenel quale veniva <strong>di</strong>stribuito cibo soprattutto aipoveri. Si sottolinea anche la connessione conDioniso nella cerimonia delle altalene, comechiaramente <strong>di</strong>mostrano le rappresentazionifigurate.Gli osc<strong>il</strong>la usati nel mondo romano mantenneroinizialmente <strong>il</strong> significato propiziatorioconnesso con le prerogative fert<strong>il</strong>izzanti dellealtalene greche. In un secondo momento sipassò ad appendere <strong>di</strong>schi osc<strong>il</strong>lanti negli e<strong>di</strong>fici,<strong>di</strong>menticandone <strong>il</strong> carattere rituale e magicoe la funzione degli osc<strong>il</strong>la ebbe prevalentementecarattere decorativo. Nelle città vesuviane,soprattutto Pompei, sono innumerevoligli osc<strong>il</strong>la <strong>di</strong> marmo, decorati con soggetti <strong>di</strong>vario genere tra i quali prevalgono, non a caso,i miti <strong>di</strong>onisiaci e le maschere, anch’esse collegatea Dioniso; la fattura <strong>di</strong> taluni <strong>di</strong> essi è davveroeccezionale, rivelando, in questo, anche<strong>il</strong> gusto elevato e la <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità economicadei proprietari delle case nelle quali venivanosospesi. Dell’uso e della posizione <strong>di</strong> questiosc<strong>il</strong>la nelle case pompeiane, soprattutto neigiar<strong>di</strong>ni, sono efficace testimonianza i <strong>di</strong>pintiIn basso:Pompei: Casa del Bracciale d’oro.parietali, come ad esempio l’affresco del tricliniodella Casa del Bracciale d’Oro che mostraun giar<strong>di</strong>no inquadrato in una incannucciatasu cui pende, dall’alto, un osc<strong>il</strong>lum circolare.42 43


morei sim<strong>il</strong>i a quelli provenienti da Pompei eda Ercolano sono stati trovati ovunque in Italia,in Francia, in Spagna, in Nord Africa; sonomeno comuni nelle province orientali. Il problemache ha caratterizzato lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> questimateriali è <strong>il</strong> fatto che in un solo caso, quello<strong>di</strong> Pompei appunto, maschere, ton<strong>di</strong>, peltae,pinakes e fistulae, sono stati analizzati comefacenti parte dello stesso gruppo e questoperché l’eruzione del Vesuvio e la conseguenteconservazione della città hanno evitato laloro <strong>di</strong>spersione, evidenziando <strong>il</strong> loro univocouso come ornamenti decorativi <strong>di</strong> case e monumentipubblici. L’uguaglianza formale <strong>di</strong>questi reperti è <strong>di</strong>mostrata anche dall’essenzialeunitarietà dell’intero corpo dei materia-1 Osc<strong>il</strong>lumInv. 298. Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XXVII.Ø cm. 7; spessore cm. 1,8. Arg<strong>il</strong>la rosata, impasto depurato.Leggere abrasioni ai bor<strong>di</strong>.III-I secolo a.C.Probab<strong>il</strong>e produzione tarantina.L’osc<strong>il</strong>lum, ricavato da un unico blocco, presenta duefori per la sospensione eseguiti dopo la cottura. Il latoA è ornato al centro da una svastica, <strong>di</strong> fattura grossolana,impressa con un punzone; <strong>il</strong> lato B, invece, nonè decorato.li, data dall’uso dei medesimi mezzi st<strong>il</strong>istici,dalle identiche modalità <strong>di</strong> sospensione e dallosv<strong>il</strong>uppo <strong>di</strong> scale sim<strong>il</strong>i che, evidentemente, siriferiscono ad una origine comune <strong>di</strong> tutta laserie <strong>di</strong> oggetti; purtroppo le caratteristichest<strong>il</strong>istiche ora citate sono state applicate soloai r<strong>il</strong>evi escludendo a priori la classe delle maschere.La caratteristica unità <strong>di</strong> questa classe<strong>di</strong> marmi decorativi appare evanescentequando la storia e l’evoluzione dei tipi che lacompongono vengono stu<strong>di</strong>ate separatamente.Infatti <strong>il</strong> materiale <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>e è risultatotutt’altro che omogeneo e questo a causa <strong>di</strong>e<strong>di</strong>zioni preliminari e ormai datate e a causadello scarso interesse che questi materialihanno rivestito in ambiente scientifico.2 Osc<strong>il</strong>lumInv. 299. Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XXVII.Ø cm. 7; spessore cm. 1,5. Arg<strong>il</strong>la giallina; matrice logora.Tracce <strong>di</strong> colore rosso tra i raggi.III-I secolo a.C.Probab<strong>il</strong>e produzione tarantina.L’osc<strong>il</strong>lum, ricavato da un unico blocco, presenta duefori per la sospensione eseguiti dopo la cottura. Il latoA presenta una testa molto consunta, volta verso l’altoe ra<strong>di</strong>ata. In basso a sinistra vi sono due lettere, Δ(delta) e Ω (omega) e a destra altri due segni, <strong>di</strong> cui<strong>il</strong> primo è una Ι (iota) e <strong>il</strong> secondo forse una Χ (chi). Illato B è liscio e piatto.Il gioco degli astragali dall’antichità aigiorni nostri.L’astragalo o talo, <strong>il</strong> piccolo osso <strong>di</strong> forma irregolarmentecuboide situato nel tarso (l’insiemedelle ossa del piede), ha ricoperto nelleantiche culture me<strong>di</strong>terranee la duplice funzione<strong>di</strong> oggetto sacrale nei rituali <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinazione(astragalomanteia) e <strong>di</strong> strumento lusorio,precursore del gioco dei da<strong>di</strong>.In questo contributo non ci soffermeremosulla presenza e funzione degli astragali incontesti funerari e religiosi ma sul suo uso inambito lu<strong>di</strong>co. Gli astragali potevano esserericavati da <strong>di</strong>verse specie animali, in relazionesoprattutto alle scelte praticate nell’economiaprimaria dai <strong>di</strong>versi gruppi umani negliambiti geografici e cronologici pertinenti. Seprovenienti da animali <strong>di</strong> piccola taglia (ovicaprinio suini), la loro modesta <strong>di</strong>mensionerappresentava la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> maneggiareagevolmente più ossa ed era con<strong>di</strong>zione idealeper giocare in maniera veloce e ripetitiva.Il gioco degli astragali è menzionato per laprima volta da Omero nell’Iliade (XXIII, 83-88): Patroclo uccide <strong>il</strong> suo compagno <strong>di</strong> giocoin una <strong>di</strong>sputa sorta ἀμφ’ ἀςτράγαλοισι, “giocandoagli astragali”. Da altre testimonianzescritte sappiamo che tutti i Greci, senza<strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> genere e status sociale, eranoappassionati giocatori <strong>di</strong> astragali. Tra i molteplicigiochi aventi per protagonisti questiossicini è possib<strong>il</strong>e operare una <strong>di</strong>stinzionetra quelli che <strong>di</strong>vertivano i bambini, basatisoprattutto sull’ab<strong>il</strong>ità con la quale venivanomanipolati e lanciati, e quelli praticati dagliadulti, veri e propri giochi d’azzardo su cuisi scommetteva. Forse fu proprio l’impiego<strong>di</strong> somme <strong>di</strong> denaro <strong>il</strong> motivo per cui questaattività venne proibita a Roma da un e<strong>di</strong>ttocensorio del II secolo a.C. e consentita solo inDicembre, durante le feste de<strong>di</strong>cate a Saturno.Delle numerose possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> impiego che gliastragali ricoprivano, quella che attribuiva un<strong>di</strong>verso valore alle combinazioni derivate dalloro lancio simultaneo era sicuramente la piùcomune (pleistobolinda). Dalla <strong>di</strong>versa cadutadei quattro astragali nascevano ben 35 <strong>di</strong>versecombinazioni, aventi ciascuna <strong>il</strong> proprionome. Il lancio peggiore era costituito dallacaduta degli astragali con tutte e quattro lefacce corrispondenti al valore 1 (combinazionedel cane, κύων, canis); la migliore, quella<strong>di</strong> Venere (iactus Veneris) che si realizzavaquando si presentavano ognuno con una faccia<strong>di</strong>versa. Rispetto al gioco dei da<strong>di</strong> in cuibasta sommare <strong>il</strong> valore delle singole facce,quello con gli astragali presupponeva la conoscenza<strong>di</strong> regole complicate, applicab<strong>il</strong>i allesingole combinazioni.Numerose sono le rappresentazioni <strong>di</strong> questogioco sia nella statuaria e sulla coroplasticasia sulla produzione vascolare in cui sonoraffigurate spesso scene <strong>di</strong> astragalizontes(giocatori <strong>di</strong> astragali). L’opera che abbiamoscelto come prova esemplificativa è un piccologruppo <strong>di</strong> astragalizousai conservato al BritishMusem <strong>di</strong> Londra.Sopra un’alta base rettangolare sono accoccolatedue figure femmin<strong>il</strong>i, affrontate in posizionespeculare (Fig. 5). La figura <strong>di</strong> sinistra, con icapelli sciolti sulle spalle, fermati in alto da unasorta <strong>di</strong> piccolo <strong>di</strong>adema, è avvolta strettamentein un mantello; la compagna indossa invecesoltanto un chitone e ha i capelli raccolti in unacuffia. Il documento è molto importante, perchésostanzialmente è l’unico gruppo plastico conservatointegro che rappresenti giocatori <strong>di</strong> astragalie che <strong>il</strong> gioco praticato dalle due donna siaproprio quello fatto con gli ossicini, non è deducib<strong>il</strong>esolo dalla caratteristica posizione dellefigure: fortunatamente, infatti, si conservano anchegli astragali, che entrambe le fanciulle stringononella mano sinistra. La figura <strong>di</strong> sinistradeve avere appena effettuato <strong>il</strong> lancio, poiché <strong>il</strong>braccio destro è teso verso <strong>il</strong> basso, e la compagna,con la mano destra alzata, è pronta pergettare a sua volta l’astragalo, ben visib<strong>il</strong>e tra le44 45


A destra:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XXVII: astragali.<strong>di</strong>ta. Il gioco rappresentato è sicuramente quellodella pleistobolinda, per la chiara posizione dellemani delle figure. In un importante ricerca etnologicasu questo tema, lo stu<strong>di</strong>oso GehrardRohlfs, ha rimarcato come notevoli siano lecorrispondenze riscontrate nelle denominazionidel gioco e nelle combinazioni tra i popolidel sud Europa. Attraverso <strong>il</strong> me<strong>di</strong>oevo,la passione per questa attività si è conservatafino ai giorni nostri; in Salento e in Calabriaera ancora praticato negli anni ‘70 come ere<strong>di</strong>tàpervenuta dalla Magna Grecia. A testimonianza<strong>di</strong> questa continuità tra antico emoderno ci viene in soccorso G. D’Annunzioche nell’Alcyone scrive:“Bada; Non aliossi pel tuo giocoma ho in serbo per te, schiavo ribelle,una sferza <strong>di</strong> cuoio paflagone”.BibliografiaAA,VV. (1992): Domus Viridaria, Horti picti, Napoli.AA.VV. (1977): L’instrumentum domesticum <strong>di</strong> Ercolanoe Pompei nella prima età imperiale, Quaderni <strong>di</strong>cultura materiale, Roma.Bacchetta A. (2006): Osc<strong>il</strong>la.R<strong>il</strong>ievi sospesi <strong>di</strong> età romana, M<strong>il</strong>ano.Becq de Fouquières L. 1873: Le jeux des anciens, Parigi.De Grossi Mazzorin J., Minniti C. 2009: L’uso degliastragali nell’antichità tra ludo e <strong>di</strong>vinazione, Atti del6° Convegno Nazionale <strong>di</strong> Archeozoologia, San Romanoin Garfagnana – Lucca, 213-220.De Nar<strong>di</strong> M. 1991: Gli astragali: contributo alla conoscenza<strong>di</strong> un aspetto della vita quoti<strong>di</strong>ana antica,Quaderni Friulani <strong>di</strong> Archeologia, 1, 75-88.Dwyer E. J. (1981), Pompeian Osc<strong>il</strong>la Collections, Bullettinodell’Istituto Archeologico Germanico, SezioneRomana, Vol.88, 1981, 2° fascicolo.Rohlfs G. 1965: L’antico giuoco degli astragali, Quadernie Stu<strong>di</strong>, 2, Firenze.46 47


In basso:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, balaustra della scala: vasocanopo iscritto in alabastroGli Aegyptiaca<strong>di</strong> Marco CoronaI reperti egiziLa raccolta <strong>di</strong> Aegyptiaca della collezione Baroneè ricca ed interessante e presenta unacerta varietà nella tipologia degli oggetti: essacomprende tanto i funeralia quanto oggetti <strong>di</strong>culto ed amuleti <strong>di</strong> materiale vario, dall’alabastroalla faïence fino al bronzo. La maggiorparte degli elementi rimanda ad un contestoegizio <strong>di</strong> epoca tarda, compreso fra <strong>il</strong> VII ed <strong>il</strong>IV secolo a.C.Data la natura occasionale delle acquisizioni,non siamo in possesso <strong>di</strong> notizie sullaprovenienza dei reperti, sicché è possib<strong>il</strong>e affidarsisolo a mere congetture sulla loro origine,da ricercarsi, plausib<strong>il</strong>mente, nel mercatoantiquario, forse napoletano, del secondo Ottocento.I vasi canopiDi grande interesse sono due canopi. Il primo(inv. 162), <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni, è in alabastro:<strong>il</strong> contenitore è rastremato verso <strong>il</strong> bassoe presenta la spalla arrotondata; la fasciame<strong>di</strong>ana non mostra iscrizioni. Il coperchioè lavorato con una certa cura dei particolarie riproduce le fattezze antropomorfe del geniotutelare Amset: la <strong>di</strong>vinità porta in testa<strong>il</strong> copricapo nemes, che scende sulla fronte elascia scoperte le orecchie.Il secondo canopo (inv. 82) è <strong>di</strong> pregevolefattura ed è stato realizzato anch’esso in alabastro.Questo esemplare, analogo al precedente,reca incisa al centro della parte anterioreun’iscrizione allineata entro sette colonne:all’interno del testo è in<strong>di</strong>cato uno dei figli<strong>di</strong> Horo, Duamutef, tra<strong>di</strong>zionalmente rappresentatocon la testa <strong>di</strong> sciacallo, in associazionecon la dea Neith, invocata all’inizio dell’iscrizione.In contrasto col dato epigrafico, <strong>il</strong>coperchio raffigura con rude naturalismo (adesempio nell’asimmetria degli occhi) le fattezze<strong>di</strong> Amset, sempre coperto dal nemes eprovvisto della barba posticcia: l’identità <strong>di</strong>materiale dei due pezzi non assicura con certezzala pertinenza del coperchio al contenitorené l’effettiva antichità del primo.La comparsa dei canopi è legata allo sv<strong>il</strong>uppodelle pratiche <strong>di</strong> imbalsamazione: i contenitori,infatti, dovevano accogliere le visceredel defunto asportate prima del bendaggiodel corpo e trattate per garantirne la conservazione.I vasi erano presenti nei corre<strong>di</strong> funerariin numero <strong>di</strong> quattro, in genere depostipresso <strong>il</strong> sarcofago o contenuti in un’appositacassetta <strong>di</strong>visa in quattro settori, ed eranomuniti <strong>di</strong> un coperchio che, a partire dallaXVIII <strong>di</strong>nastia fino al Periodo Tolemaico,assunsero la forma dei quattro figli <strong>di</strong>Horo, ciascuno dei quali proteggevagli organi custo<strong>di</strong>ti all’interno:Duamutef, lo sciacallo, conservavalo stomaco del defunto; Hapi, <strong>il</strong> babbuino,era preposto alla <strong>di</strong>fesa dei polmoni; Amset,<strong>di</strong> aspetto umano, tutelava <strong>il</strong> fegato; Qebehse-48 49


A sinistra:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina VIII: ushabti perAhmose in faïenceNell’altra pagina, in alto:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XXVII: scarabeo inpietra teneraNell’altra pagina, al centro:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina VIII: amuleto in faïencein forma <strong>di</strong> occhio-udjatNell’altra pagina, in basso:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina VIII: amuleto in faïencein forma <strong>di</strong> falconuef, <strong>il</strong> falco, preservava gli intestini. Questaassociazione fra le teste umano-zoomorfe ed ifigli <strong>di</strong> Horo, in<strong>di</strong>cati nelle epigrafi, si protrassefino al Terzo Periodo Interme<strong>di</strong>o, allorchécominciò ad essere <strong>di</strong>sattesa, come <strong>di</strong>mostra<strong>il</strong> nostro secondo esemplare.Gli ushabtiGli ushabti (invv. 812-813, 816) meritano unamenzione particolare: essi presentano caratteristicheformali che ne fanno oggetti <strong>di</strong>grande interesse archeologico ed antiquario.E’ in<strong>di</strong>viduab<strong>il</strong>e un primo gruppo <strong>di</strong> tre statuettein faïence dall’aspetto mummiforme,con la parrucca tripartita sul capo, la barbaposticcia sul mento e le mani che spuntanodal sudario ed impugnano zappette, accette eretine per i semi o le pietre; i pie<strong>di</strong> poggianosu un piccolo p<strong>il</strong>astro orizzontale.Sul corpo <strong>di</strong> due statuette corrono le iscrizioniin geroglifico: la prima, <strong>di</strong>sposta insenso verticale lungo la superficie anterioreverde chiaro, è delimitata da un riquadroepigrafico rettangolare inciso e riporta nelpreliminare i consueti attributi del defuntoovvero l’Illuminato e l’Osiride, molto comuninelle iscrizioni degli ushabti, quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> nome<strong>di</strong> Ahmose e quello del genitore. Nel secondoesemplare, <strong>di</strong> colore verde scuro, <strong>il</strong> testo geroglifico,consumato e in molti punti assai pocoleggib<strong>il</strong>e, è <strong>di</strong>sposto orizzontalmente lungootto linee <strong>di</strong>vise da sott<strong>il</strong>i incisioni: <strong>di</strong> seguitoal nome del defunto, che non è decifrab<strong>il</strong>ein modo chiaro, sembra essere riportata unavariante della formula magica per animare gliushabti contenuta nel sesto capitolo del Librodei Morti. La terza statuetta, <strong>di</strong> colore marronescuro, è anepigrafa nella parte frontale,mentre <strong>il</strong> p<strong>il</strong>astrino dorsale ospita una breveiscrizione geroglifica incolonnata non moltochiara.La correttezza dei geroglifici, la lavorazionedettagliata del modellato del corpo e delviso, l’uso della caratteristica invetriatura ela presenza dei p<strong>il</strong>astrini dorsale e <strong>di</strong> basesembrerebbero assicurare la genuinità dellafattura egizia <strong>di</strong> questi oggetti e, contemporaneamente,in<strong>di</strong>rizzare verso una datazioneal periodo tardo. Dello stesso materiale dovevanoessere altri tre ushabti <strong>di</strong> cui si legge nelvecchio inventario Barone, oggi non più rintracciab<strong>il</strong>i(invv. 811, 814-815).Altre due statuette (inv. 504) della medesimatipologia sono forgiate in metallo: l’aspettoè analogo agli esemplari precedenti, mentrel’iscrizione geroglifica, identica per entrambee <strong>di</strong> buona qualità, è <strong>di</strong>sposta in sensoorizzontale lungo otto linee <strong>di</strong> testo. L’uso delmetallo solleva dubbi sull’autenticità: l’ipotesipiù plausib<strong>il</strong>e potrebbe essere connessa aduna produzione moderna attraverso calchi daoriginali. Ad avvalorare la teoria è la presenzasulla medesima base della statuetta bronzea<strong>di</strong> una figura, forse <strong>di</strong>vina, col volto zoomorfo,un copricapo turrito, mantello e veste lunga,non inquadrab<strong>il</strong>e in alcuno schema statuarioantico: essa sembrerebbe frutto dell’egittomaniamoderna.Gli ushabti (dal verbo wšb, rispondere) sonostatuette funerarie modellate in materiali <strong>di</strong>versi,principalmente legno o pietra, la cuiadozione all’interno del corredo funerario risalealla XII <strong>di</strong>nastia, nel periodo del Me<strong>di</strong>oRegno, e si protrae fino al termine del Periodo50 51


In questa pagina:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina VII: statuetta bronzea<strong>di</strong> Osiride con corona atefNell’altra pagina:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina VII: statuetta bronzea<strong>di</strong> Osiride con corona hedjetTolemaico. Essi generalmente recano in manoattrezzi per <strong>il</strong> lavoro agricolo, normalmentezappe ed accette ma anche picconi, reti e ceste<strong>di</strong> vimini, che ut<strong>il</strong>izzano, secondo la credenzaegizia, per lavorare nei campi Iaru alposto del loro padrone, solitamente un nob<strong>il</strong>e:per rianimarli, era necessario recitare la formuladel capitolo sesto del Libro dei Morti,graffita o <strong>di</strong>pinta sul corpo della statuetta.In Italia centro-meri<strong>di</strong>onale gli ushabti apparverogià in epoca preromana (Roma, Capua,Erice), tuttavia in contesti cultuali; lame<strong>di</strong>azione è attribuib<strong>il</strong>e ai Fenici ed ai Ciprioti.In Egitto la loro presenza nelle tombedei nob<strong>il</strong>i, inizialmente limitata ad uno o dueesemplari, nel Terzo Periodo Interme<strong>di</strong>o arrivòfino ad un numero <strong>di</strong> 401 (365 servitoripiù 36 assistenti, questi ultimi abbigliati convestiti da viventi e muniti <strong>di</strong> bastoni e fruste):data la loro produzione - e la ven<strong>di</strong>ta nell’ambitodei templi - in serie, in epoca tarda si affermaronol’uso <strong>di</strong> stampi e l’ut<strong>il</strong>izzo dellafaïence, un materiale economico e fac<strong>il</strong>mentereperib<strong>il</strong>e in Egitto.Lo scarabeoDi accurata lavorazione è uno scarabeo (inv.80) in pietra tenera. L’amuleto ritrae l’insettocon le ali richiuse nelle elitre ed <strong>il</strong> capo incassatonel corpo: è presente un foro passantein senso longitu<strong>di</strong>nale che definisce l’oggettoquale elemento d’ornamento <strong>di</strong> un mon<strong>il</strong>e.L’ovale <strong>di</strong> base presenta una serie <strong>di</strong> geroglificiincisi in modo piuttosto preciso interpretab<strong>il</strong>icome Ammon-Ra col canestro magico-decorativooppure Ammon-Ra (è) (<strong>il</strong> mio) Signo-re. La provenienza potrebbe essere campana,mentre la fabbricazione sembra riferib<strong>il</strong>e altipo egittizzante egeo <strong>di</strong> Perachora-Lindo (ca.750-650 a.C.).Già in epoca pre<strong>di</strong>nastica le comunità ruraliegizie attribuivano allo scarabeo sacro funzionime<strong>di</strong>co-magiche: <strong>di</strong> esse la più importante,in considerazione del comportamento etologicodell’insetto, concerneva la sfera della fecon<strong>di</strong>tàfemmin<strong>il</strong>e (fert<strong>il</strong>ità, parto, salute infant<strong>il</strong>e).La connessione al culto solare (Khepri)e l’accentuazione del valore funerario fuopera del sacerdozio eliopolitano dopo la nascitadello Stato faraonico; Asiatici e Fenici,che <strong>di</strong>ffusero lo scarabeo nel Me<strong>di</strong>terraneo,intesero la valenza popolare a favore delleloro donne e dei loro bambini, come attestanoi contesti <strong>di</strong> rinvenimento <strong>di</strong> tali oggetti magici.Lo Scarabeo svolse fuori dell’Egitto sempreuna pragmatica funzione protettiva; in epocaimperiale romana esso fu sostituito dallegemme me<strong>di</strong>co-magiche cosiddette gnostiche(tipo Abraxas).L’occhio-udjatBen conservati due amuleti in forma <strong>di</strong> occhio-udjat:realizzati in faïence (pasta invetriatamolto economica ricavata dalla mescolanza<strong>di</strong> soda e sabbia quarzifera fusa) chepresentano una certa raffinatezza nella lavorazionedei particolari, come <strong>il</strong> piumaggio delfalco, <strong>il</strong> sopracciglio e l’iride.Questo genere <strong>di</strong> talismani non è particolarmenteconosciuto in Italia, sebbene incontriuna buona fortuna presso quei popoli me<strong>di</strong>terranei(i Fenici) che hanno intrattenuto rapporticon gli Egiziani.Il potere dell’udjat si fondava sulla credenzapreistorica, presente anche in Egitto comenel resto del Me<strong>di</strong>terraneo, dell’ “occhio benefico”che respinge quello “malefico” (o“malocchio”). Nella Valle del N<strong>il</strong>o la mitopo-52 53


Nell’altra pagina:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina VII: statuetta bronzea<strong>di</strong> Iside-Fortuna-Demetraiesi sacerdotale la legò alla vicenda del combattimentofra Horo e Seth, in cui <strong>il</strong> primoperse l’occhio sinistro, poi curato da Thot. GliEgizi coglievano sempre la valenza pragmaticadell’udjat (= “sanato”), ut<strong>il</strong>izzandolo tantocome rime<strong>di</strong>o terapeutico (ponendolo sul taglioaddominale inferto alla mummia) quantocome protettore dal “malocchio” (<strong>di</strong>segnandolosui sarcofagi e sulle navi). La fortunadell’amuleto presso i Fenici e i Greci, tuttavia,fu determinata da credenze locali preesistentisul potere positivo/negativo dell’occhio(umano ed animale).Il falcoUna placchetta in faïence, integra e lavoratacon le sembianze <strong>di</strong> falco, riporta all’attenzionela consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> epoca tarda <strong>di</strong> nonasportare gli organi dei defunti e deporli neicanopi, ma <strong>di</strong> applicare sulla mummia, con <strong>il</strong>sostegno <strong>di</strong> reticelle <strong>di</strong> rivestimento, alcuniamuleti protettivi. Nel nostro caso, la piastrinarappresenta Qebehsenuef, figlio <strong>di</strong> Horo egenio tutelare degli intestini.Statuette bronzee <strong>di</strong> OsirideLa collezione possiede, inoltre, due figurineosiriache <strong>di</strong> epoca tarda.La prima, mal conservata, è <strong>di</strong> aspettomummiforme: <strong>il</strong> <strong>di</strong>o indossa <strong>il</strong> copricapo atef,la corona formata da una mitra completata a<strong>il</strong>ati da due piume <strong>di</strong> struzzo; sotto <strong>il</strong> mento èposta la barba posticcia. Le braccia si raccolgonosul petto e le mani, congiunte l’una conl’altra, stringono lo scettro heqa e <strong>il</strong> flagellonekhekh. Una frattura irregolare si sv<strong>il</strong>uppapoco sotto l’area plantare.La seconda immagine rappresenta <strong>il</strong> <strong>di</strong>o,sempre in aspetto mummiforme, con la barbaposticcia e la corona bianca hedjet, simbolodel dominio sull’Alto Egitto, munita <strong>di</strong> ureo, <strong>il</strong>cobra, simbolo sacro della regalità faraonica;le braccia spuntano dal sudario e le mani sonoraccolte poco sotto <strong>il</strong> petto, la destra sopra lasinistra, e stringono lo scettro was.Mentre la prima statuetta presenta un tipoiconografico noto e ben attestato nella produzionebronzistica dell’artigianato egizio, laseconda è meno consueta, in quanto la posturadel soggetto e la presenza dello scettro wasgeneralmente rimandano ad un’altra <strong>di</strong>vinitàmummiforme, cioè Ptah.Il culto <strong>di</strong> Osiride assunse particolare importanzanel mondo egizio a partire dal PrimoPeriodo Interme<strong>di</strong>o: la leggenda dellamorte e della rinascita ed <strong>il</strong> conseguente ruolo<strong>di</strong> signore dell’Oltretomba, accordaronoalla sua figura un ampio consenso, soprattuttoin epoca tarda. Secondo <strong>il</strong> mito Osiride ottenneanche <strong>il</strong> governo <strong>di</strong> tutto l’Egitto e ne fu <strong>il</strong>primo sovrano. Nelle due rappresentazioni<strong>il</strong> <strong>di</strong>o è ritratto con i simboli tipici del potere,quali <strong>il</strong> flagello e lo scettro, le corone atefed hedjet; nel copricapo atef spiccano poi lepiume <strong>di</strong> struzzo, che in<strong>di</strong>cano la funzione <strong>di</strong>Osiride <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>ce supremo dell’Ald<strong>il</strong>à. Il <strong>di</strong>opresenta poi la barba posticcia ricurva, emblemadel potere <strong>di</strong>vino, in opposizione allabarba dritta, che invece simboleggia <strong>il</strong> potereumano.Statuetta <strong>di</strong> Iside-Fortuna-DemetraFra i bronzi compare anche una piccola statua<strong>di</strong> Iside rappresentata con i tratti <strong>di</strong>stintividella Fortuna romana (inv. 545). La <strong>di</strong>vinitàveste una tunica con scollo a V e manichecorte fino al gomito, mentre un himation lescende dalla spalla sinistra e ricade panneggiatodavanti e, particolarmente, <strong>di</strong>etro. I trattidel viso sono piuttosto sommari, i capellisono spartiti sulla fronte e raccolti <strong>di</strong>etro inun nodo basso sulla nuca, da cui escono duericcioli che scendono sulla spalla destra; la testa,cinta da un <strong>di</strong>adema, è coronata dal kalathos,prerogativa <strong>di</strong> Demetra. Nelle mani, poi,la dea reca gli attributi tipici del remo, nelladestra, e della cornucopia, nella sinistra, qualiemblemi del dominio sul caso. La fattura delbronzetto rimanda al periodo imperiale, forsealla fine del sec. I d.C., ed all’ambito campano.La rappresentazione <strong>di</strong> Iside-Fortuna-Demetrarisente <strong>di</strong> quel sincretismo che in epocaromana caratterizzò la rappresentazione <strong>di</strong>molti dei egizi: mentre la romana Tyche/Fortunariproduce la Sorte cieca, Iside, dea maternae protettiva, incarna la Sorte previdenteche è in grado <strong>di</strong> piegare <strong>il</strong> Fato al suo volere,anzi lo domina, come recitano molte sue aretologie.BibliografiaAA.VV. (1989): La Collezione egiziana del <strong>Museo</strong>Archeologico Nazionale <strong>di</strong> Napoli. SoprintendenzaArcheologica per le Province <strong>di</strong> Napoli e Caserta,Napoli.Barone G. (1897): Il museo <strong>civico</strong> <strong>di</strong> Baranello, Pierroe Varal<strong>di</strong>, NapoliCapriotti Vittozzi G. (2002): Gli oggetti egizi nelleMarche dal periodo piceno a quello romano. In: RoccatiA., Capriotti Vittozzi G. (a cura <strong>di</strong>): Tra le palmedel Piceno. 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In basso:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, dettaglio della vetrina XXVII:asce in pietra levigata e cuspi<strong>di</strong>La logica espositiva, tipologica-<strong>di</strong>-primosguardo,risiede essenzialmente nell’accostamento<strong>di</strong> forme sim<strong>il</strong>i (con rari elementi “intrusi”)e non sembra fondarsi su più precisicriteri associativi (<strong>di</strong> provenienza, <strong>di</strong> contesto,<strong>di</strong> materia prima…). Si tratta <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong> mirab<strong>il</strong>efattura, “belli da vedere”, indubitab<strong>il</strong>menteraccolti, come da tendenza antiquaria ottocentesca,proprio per la loro attrattiva estetica;purtroppo, però, <strong>il</strong> loro valore documentario èlimitato: come or<strong>di</strong>nariamente avviene per leraccolte spora<strong>di</strong>che, anche <strong>di</strong> questi manufattinon è dato sapere molto. La tipologia, è vero, ciaiuta a proporne un inquadramento nel tempo(pur orientativo); tuttavia, l’evidente naturaselezionata della raccolta, la sua non accertataorganicità e l’incerta provenienza della piùparte dei manufatti impe<strong>di</strong>scono passi ulteriori.Più organico, almeno geograficamente, èforse l’insieme contenuto nella vetrina XXVII,i cui reperti si <strong>di</strong>cono provenienti dagli scavi<strong>di</strong> Cuma; anche la collezione cumana sembraperò includere elementi estranei (nel catalogo<strong>di</strong> Giuseppe Barone, ad esempio, una dellequattro asce è inclusa nell’inventario della vetrinaXI).La provenienza dei reperti litici della vetrinaXI (vertiginosa teca <strong>di</strong> «Bronzi, ferri, smalti,<strong>di</strong>pinti, sculture, petrificazioni, armi s<strong>il</strong>iceepreistoriche, ed altri oggetti» [Barone, 1899]),è, sulla carta, incerta: lo lamenta Stefano Grimal<strong>di</strong>nel suo censimento delle industrie preistorichedel <strong>Molise</strong> (Grimal<strong>di</strong>, 2005, p. 70); elo stesso Barone, nella seconda e<strong>di</strong>zione delsuo Catalogo, si limita a descrivere sommariamentele «armi <strong>di</strong> pietra» senza far cenno allaloro provenienza né ai canali <strong>di</strong> acquisizione(in<strong>di</strong>cati probab<strong>il</strong>mente nell’introvab<strong>il</strong>e – maesistente - prima e<strong>di</strong>zione del 1897), curandosial contrario, nella nota <strong>di</strong> premessa daltitolo «Armi e altri istrumenti litici» (pp.106-107), <strong>di</strong> sottolineare, con l’anelito internazionalistaproprio della cultura borghese <strong>di</strong> fineCatalogo dei repertiVetrina XXVII8 elementi: 4 asce in pietra levigata, 2 punte <strong>di</strong> freccia, una lama, una punta/raschiatoio convergente.Ipotesi d’inquadramento: Paleolitico me<strong>di</strong>o: punta/raschiatoio; Paleolitico superiore-Neolitico: lama; Neolitico:asce; Eneolitico: cuspi<strong>di</strong>.136: lama; mm 87x22x0,5137: punta/raschiatoio a ritocco invadente semi-bifacciale; mm 62x30x11151: ascia in pietra verde levigata; mm 56x31x10185: ascia in pietra levigata; smussature da ut<strong>il</strong>izzo sul fronte attivo; mm 110x55x34186: punta a peduncolo e alette; mm 45x27x0,7187: ascia in pietra levigata; smussature da ut<strong>il</strong>izzo sul fronte attivo; mm 48x29x111045: ascia in pietra levigata, frammentata; mm 60x50x10 ca.?: punta <strong>di</strong> freccia a peduncolo e alette; mm 45x15x0,6Vetrina XI24 elementi: 16 punte <strong>di</strong> freccia, un frammento <strong>di</strong> punta, 2 asce in pietra levigata, 2 raschiatoi, 2 schegge(<strong>di</strong> cui una ritoccata), una lama. Ipotesi d’inquadramento: Paleolitico inferiore-me<strong>di</strong>o: schegge e un raschiatoio(1046); Paleolitico me<strong>di</strong>o (Musteriano): un raschiatoio (1050). Paleolitico superiore-Neolitico:lama; Neolitico: asce; Eneolitico: cuspi<strong>di</strong> (n.1052 <strong>di</strong>scorda dalle altre per tecnologia e tipologia).1043: ascia in pietra levigata; mm 75x47x301044: ascia in pietra levigata; mm 173x79x261046: raschiatoio convergente; mm: 62x26x0,71047: scheggia; mm 71x36x0,71048: lama fratturata a ritocco marginale; mm 72x22x0,51049: scheggia ritoccata; mm 75x34x121050: raschiatoio convergente a ritocco scalariforme lungo; mm 58x34x0,91051: punta <strong>di</strong> freccia con peduncolo largo e alette asimmetriche; mm 62x25x0,71052: punta <strong>di</strong> f. con peduncolo e alette sv<strong>il</strong>uppate, a ritocco unifacciale non coprente; mm 56x31x0,41053: punta <strong>di</strong> f. con peduncolo e alette, con encoche laterale; mm:55x19x0,81054: punta <strong>di</strong> f. sub-romboidale con peduncolo e alette accennate; <strong>di</strong>mensioni mm 20x15x0,51055: punta <strong>di</strong> f. incompleta; mm 46x21x0,91056: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette; mm 43x16x0,91057: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette sv<strong>il</strong>uppate; mm 53x20x0,71058: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette; mm 45x18x0,61059: punta <strong>di</strong> f. sub-romboidale a peduncolo lungo e alette; mm 39x21x0,61060: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette (fratturata alla punta e alla base); mm 45x23x0,51061: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette poco sv<strong>il</strong>uppate; mm 54x22x0,61062: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette, a faccia <strong>di</strong>edra; mm 37x17x0,71063: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette; mm 38x18x0,61064: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette; mm 33x16x0,61065: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette sv<strong>il</strong>uppate; mm 35x17x0,41066: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette; mm 34x17x0,71067: punta <strong>di</strong> f. a peduncolo e alette; mm 24x13x0,658 59


Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XII, primo ripianoNicola Somma, Giovane conta<strong>di</strong>na, fine XVIII<strong>il</strong> presepenapoletano<strong>di</strong> Giuseppina RescignoBreve storia del collezionismo delpresepe napoletanoLe origini della produzione artistica <strong>di</strong> statuetteper la composizione <strong>di</strong> scene raffigurant<strong>il</strong>a Natività è antica e va collegata allatra<strong>di</strong>zione me<strong>di</strong>evale della Sacre Rappresentazioni.La produzione <strong>di</strong> figure a tutto tondoin terracotta era <strong>di</strong>ffusa nell’intera penisolaitaliana, Napoli compresa, dove, tra Quattrocentoe Cinquecento, sono documentati allestimenti<strong>di</strong> presepi in ambito religioso, in particolarepresso i monasteri citta<strong>di</strong>ni.La nascita del fenomeno del collezionismovero e proprio si ha solamente in epoca barocca,quando lo spirito religioso, che pervade lavolontà <strong>di</strong> ricomporre visivamente i luoghi e ipersonaggi della Natività, incontra la sensib<strong>il</strong>itàlaica e mondana del nuovo secolo. Il gustoteatrale, che si <strong>di</strong>ffonde in tutte le manifestazioniartistiche, trasforma la semplice composizionepresepiale, formata da poche statuette,in imponenti apparati scenografici che abbondano<strong>di</strong> personaggi, rappresentazioni realistichee minuziose <strong>di</strong> luoghi, sfoggio <strong>di</strong> ricchezzae qualità dei costumi. Trasformazionecui contribuì in modo decisivo l’introduzionedell’ut<strong>il</strong>izzo dei manichini: figure articolateformate da un’anima <strong>di</strong> ferro dolce ricoperta<strong>di</strong> stoppa, con arti in legno e testa in terracottapolicroma, delle quali si poteva mo<strong>di</strong>ficarea piacimento l’atteggiamento.A partire dalla fine del Seicento, ma soprattuttonel corso del Settecento, <strong>il</strong> presepe <strong>di</strong>ventaa Napoli un fenomeno soprattutto laico,una vera e propria moda tra le famiglie nob<strong>il</strong>ie agiate che gareggiano nella realizzazionedell’apparato più ricco e gran<strong>di</strong>oso, spesso ricorrendoalla consulenza <strong>di</strong> architetti, pittorie scenografi nelle scelte <strong>di</strong> allestimento. Nasceun nuovo ramo del collezionismo aristocratico,cui è destinato un notevole impegno64 65


lezione Barone sono esposti nella vetrina XIIdel <strong>Museo</strong>. Si tratta <strong>di</strong> 18 pezzi raffiguranti<strong>di</strong>versi tipologie <strong>di</strong> personaggi, <strong>di</strong> animali e <strong>di</strong>vegetali.L’intento squisitamente collezionistico ederu<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Barone è attestato dalla scelta <strong>di</strong> acquistaresolo alcuni pezzi sciolti, senza mirarea una ricostruzione <strong>di</strong> scene o episo<strong>di</strong> tipicidella tra<strong>di</strong>zione presepiale napoletana.È evidente, nella scelta espositiva, che Baronevuole mostrare al visitatore un campionedella vastissima produzione del genere, chene rappresenti la varietà nei soggetti (i conta<strong>di</strong>ni,ma anche <strong>il</strong> paggetto suonatore e <strong>il</strong> nerodragomato, gli animali sia in legno sia in terracottama anche i vegetali) e negli autori.L’esposizione, infatti, mostra come Baroneabbia scelto <strong>di</strong> acquistare le opere degli autoripiù “accre<strong>di</strong>tati” in quel momento sul mercatodell’antiquariato, dei quali nell’inventariocita con attenzione i nomi. Sono gli stessinomi riportati dal Perrone nel suo testo anda-to in stampa proprio in quegli anni e ancoraoggi ritenuti tra i maggiori esponenti del genere:Nicola Somma, Lorenzo Mosca, GiuseppeGori, i Bottiglieri, gli Ingal<strong>di</strong> e i Vassallo.Le figure sono <strong>di</strong>stribuite nei primi due ripianidella vetrina. Sul ripiano più alto sonoesposti, in or<strong>di</strong>ne:la giovane conta<strong>di</strong>na, vestita con corpettoe maniche in tessuto celeste, gonna rossa egrembiule a fasce bianche e <strong>il</strong> giovane conta<strong>di</strong>nobenestante con <strong>il</strong> corpetto in seta biancacon applicazioni e ricami, giacca in lissato <strong>di</strong>seta blu e pantaloni in seta damascata rossa,entrambi attribuiti dal Barone a Nicola Somma,modellatore attivo tra la seconda metà delXVIII secolo e <strong>il</strong> 1817;<strong>il</strong> paggetto dal ricco abbigliamento, in<strong>di</strong>catodal Barone come opera <strong>di</strong> Lorenzo Mosca,uno dei massimi esponenti del genere, attivo aNapoli tra <strong>il</strong> 1721 e <strong>il</strong> 1789;<strong>il</strong> “nero dragomato”, figura tipica del presepenapoletano del Settecento, spesso affolla-la statuetta del conta<strong>di</strong>no caratterizzatadallo stesso forte espressionismo, elemento <strong>di</strong>reminiscenza sanmartiniana proprio dello st<strong>il</strong>e<strong>di</strong> Nicola Somma, a cui <strong>il</strong> Barone attribuisce<strong>il</strong> pezzo;<strong>il</strong> gobbo, le cui parti modellate e scolpitesono riferite, nell’Inventario, a tal “Battista”,modellatore <strong>di</strong> cui non sono state rinvenutenotizie nella bibliografia relativa. La figurapuò comunque considerarsi opera del tardoSettecento per la resa realistica del volto edelle mani e per <strong>il</strong> tipo <strong>di</strong> abbigliamento;<strong>il</strong> mandriano con in mano <strong>il</strong> secchio del latte,attribuita dal Barone a Nicola Somma, chepresenta elementi <strong>di</strong> grande interesse sia nelforte espressionismo del volto che nell’attenzioneai dettagli delle vesti: <strong>il</strong> cappello, la borsae le ciocie in cuoio, <strong>il</strong> corpetto e le brache intela <strong>di</strong> cotone (tipo jeans), <strong>il</strong> g<strong>il</strong>et in tessuto d<strong>il</strong>ana a lungo pelo;<strong>il</strong> vecchio signore del contado, attribuita daBarone a un Bottiglieri. Si tratta molto probab<strong>il</strong>mente<strong>di</strong> Matteo, allievo <strong>di</strong> Lorenzo Vaccaro,attivo a Napoli soprattutto come scultorein marmo e stucco. La sua ab<strong>il</strong>ità nella ritrattistica,per la quale fu <strong>il</strong> più noto a Napoli nellaprima metà del Settecento con DomenicoAntonio Vaccaro, è riconoscib<strong>il</strong>e anche nellasua attività <strong>di</strong> presepista, come mostra la fortecaratterizzazione fisionomica delle sue statuette;<strong>il</strong> piccolo puttino <strong>di</strong> particolare bellezza evalore artistico, intagliato in legno policromo,attribuito dal Barone a Giacomo Colombo,scultore <strong>di</strong> marmo e legno attivo nelle provincedel Viceregno tra la fine del XVII e gli inizidel XVIII. È documentata anche la sua attivito<strong>di</strong> personaggi raffiguranti le <strong>di</strong>verse razzedell’Impero Ottomano. Particolarmente sfarzosaè la vestitura della statuina, arricchita dauna collana <strong>di</strong> perle e da ricami d’oro. Sotto <strong>il</strong>turbante in seta <strong>il</strong> capo pelato presenta sullasommità apicale <strong>il</strong> co<strong>di</strong>no, obbligatorio a Napoliper i cosiddetti “levantini” (schiavi tornat<strong>il</strong>iberi). L’attribuzione da parte <strong>di</strong> Baronea Giuseppe Gori può considerarsi atten<strong>di</strong>b<strong>il</strong>eper <strong>il</strong> naturalismo e l’attenzione ai dettagliche <strong>il</strong> modellatore ere<strong>di</strong>tò dal maestro, GiuseppeSanmartino.Le figure presenti sul secondo ripiano sono:una figura <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>na, le cui parti modellatee scolpite sono anche esse attribuite allamano <strong>di</strong> Nicola Somma. L’espressionismo propriodella produzione del presepista napoletanoè evidente nella resa dei tratti fisionomicie nel realismo delle mani. Di particolare interesseè la presenza dei cosiddetti “finimenti”,la gabbietta e <strong>il</strong> paniere, elementi cui si devegran parte del fascino del presepe napoletano;Nell’altra pagina:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XII, secondo ripianoGiacomo Colombo, Angelo, inizio XVIIIIn questa pagina:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XII, secondo ripianoNicola Somma, Mandriano, fine XVIII68 69


leporcellane<strong>di</strong> Gabriella Di RoccoFurono i Portoghesi – ‘porcelana’ in portoghese sta per ‘vasellame’ – che perprimi importarono in Europa questi manufatti dalla Cina, dove in tempi remoti,probab<strong>il</strong>mente già intorno al VII secolo d.C., si inventò questo particolare tipo <strong>di</strong>materiale; dalla Cina la fabbricazione della porcellana giunse in Giappone, <strong>di</strong> cui sonoparticolarmente note le porcellane in st<strong>il</strong>e Kakiemon e Imari.Già Marco Polo, al rientro dal suo lungo soggiornoin Estremo Oriente nel XIII secolo, ebbea scrivere una relazione sulla porcellana portandoin Europa un tipo <strong>di</strong> proto-porcellana,una ceramica dall’impasto duro verniciata <strong>di</strong>bianco.A partire dalla seconda metà del XVI secolo,grazie alla me<strong>di</strong>azione della Compagnia Olandesedelle In<strong>di</strong>e, i mercati europei conobberoe apprezzarono i manufatti in porcellana chevenne definita ‘oro bianco’, <strong>di</strong>venendo un prodotto<strong>di</strong> lusso molto ricercato dalle corti <strong>di</strong> tuttaEuropa. Da quel momento scienziati e chimicidel Vecchio Continente tentarono <strong>di</strong> scoprirela ricetta dell’impasto, <strong>di</strong> carpirne i segreti <strong>di</strong>fabbricazione, ma senza successo. Ci provaronoCosimo I de’ Me<strong>di</strong>ci e suo figlio Francesco,noto alchimista, installando una piccola manifatturaa Firenze ed ottenendo, con l’aiuto <strong>di</strong>artisti provenienti dal Levante e <strong>di</strong> personalespecializzato <strong>di</strong> Faenza e Urbino, una pasta <strong>di</strong>porcellana ‘tenera’, detta per l’appunto ‘porcellaname<strong>di</strong>cea’, la quale produzione, però, s’interruppecon la morte <strong>di</strong> Francesco.Agli inizi del XVIII secolo, <strong>di</strong>etro la fortespinta dell’Elettore <strong>di</strong> Sassonia Augusto <strong>il</strong> Forte,lo scienziato tedesco, <strong>il</strong> <strong>di</strong>ciottenne FriedrichBöttger, e <strong>il</strong> fisico Walther von Tschirnhaus riuscirono,dopo innumerevoli tentativi, a ricostruirela formula della porcellana: a Meissen,nei pressi <strong>di</strong> Dresda, si avviò così la produzione<strong>di</strong> questi costosi e pregiati manufatti realizzatiad imitazione <strong>di</strong> quelli levantini.A partire dal 1730 anche i Francesi avviaronola propria manifattura a Chant<strong>il</strong>ly, per volontàdel Duca <strong>di</strong> Borbone, fervente collezionista <strong>di</strong>Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XVI: piatto inporcellana, fabbrica <strong>di</strong> Meissen(foto SBSAE <strong>Molise</strong>).72 73


esposti nella vetrina XVI, costituiscono ununicum tra le porcellane della collezione Barone.I decori bianchi a r<strong>il</strong>ievo sul fondo orodella tesa del piatto impreziosiscono l’intensoe splendente bleu de roi, creazione del chimicoHellot e peculiare della manifattura <strong>di</strong> Sèvresalla metà del XVIII secolo; la tazza a forma <strong>di</strong>elmo con decori vegetali a r<strong>il</strong>ievo in bianco eoro reca un’ansa a tralcio terminante con unatesta <strong>di</strong> rapace.Nella medesima vetrina trova posto un altroesemplare <strong>di</strong> manifattura francese <strong>di</strong> altissimolivello qualitativo: un piattino con tazza (inv.1349) caratterizzati da un particolare <strong>di</strong>segnoa girandola costituito da nastri azzurri su cui sitrovano motivi floreali dorati a r<strong>il</strong>ievo alternatia fiori policromi su fondo bianco lungo <strong>il</strong> bordoe su fondo giallo verso <strong>il</strong> centro.È stato detto inizialmente che le porcellaneeuropee del XVIII secolo, in primis quellasassone e quella francese, presero a modello<strong>il</strong> vasellame importato copiosamente dallaCina e dal Giappone; lo <strong>di</strong>mostra <strong>il</strong> fatto chetra i manufatti europei traspare nitido <strong>il</strong> gustoper i motivi decorativi del Sol Levante, comei colorati e sinuosi motivi floreali, e che l’esotismoorientale si traduceva, lo abbiamo visto,con un uso amplissimo <strong>di</strong> metalli preziosi, inparticolare dell’oro, impiegati assai spesso perle decorazioni.La raccolta <strong>di</strong> Baranello conserva anche moltiesemplari <strong>di</strong> provenienza orientale, cinese egiapponese, che, indubbiamente, l’architettoBarone doveva aver acquistato tramite i suoinumerosi contatti con i mercanti e gli antiquaripartenopei.Il delizioso piatto con decorazioni rosse, blue oro (inv. 1363) della vetrina XVII mostra unascena <strong>di</strong> paesaggio giapponese, tipica dello st<strong>il</strong>eImari: al centro rocce da cui spuntano crisantemie bambù, sulla tesa rami <strong>di</strong> grosse peoniealternati a zone decorate con motivi geometrici.Ma non solo piatti in porcellana orientalesono presenti qui a Baranello. La vetrina XVIIospita, tra gli altri oggetti, anche una bottiglia<strong>di</strong> manifattura cinese (inv. 1369), ascritta al tardoperiodo della <strong>di</strong>nastia Ming, caratterizzatada piede ad anello, corpo sferico e lungo collocon bocca svasata; in intenso blu cobalto sonorealizzate le volute <strong>di</strong> fiori e foglie <strong>di</strong> loto cheornano <strong>il</strong> corpo della bottiglia, mentre sul collo,nello stesso colore, campeggiano rami <strong>di</strong> fiori<strong>di</strong> pruno e foglie <strong>di</strong> platano.Non possiamo chiudere questa breve <strong>di</strong>saminasulle porcellane della collezione Barone senzafare riferimento, seppur in sintesi, ai magnificireperti della Real Fabbrica <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>montee della Real Fabbrica Fer<strong>di</strong>nandea.Di gran<strong>di</strong>ssimo pregio la serie <strong>di</strong> piatti, <strong>di</strong> cuiqui mostriamo un esemplare (inv. 1159) espostonella vetrina XIV, datab<strong>il</strong>i, in base ai confrontist<strong>il</strong>istici, alla metà del XVIII secolo. Questipiatti, bordati in oro, recano sul fondo una raffinatissimadecorazione a fiori l<strong>il</strong>la e rossi <strong>di</strong>spiccata imitazione orientale.Nella stessa vetrina sono visib<strong>il</strong>i anche unatazza con piattino (inv. 1168) bordati da fregidorati e impreziositi da raffigurazioni antropomorfe:una Venere dai vivaci colori assisa sullaconchiglia, sul fondo del piatto, e una scena <strong>di</strong>vita cortigiana immersa in un bucolico paesaggiodai toni romantici, sulla tazzina, elementoquesto caratteristico delle porcellane <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>monte;la decorazione pittorica, me<strong>di</strong>ante iconfronti con un grande esemplare conservatopresso <strong>il</strong> <strong>Museo</strong> Duca <strong>di</strong> Martina <strong>di</strong> V<strong>il</strong>la Flori<strong>di</strong>anaa Napoli, è stata attribuita al celebrepittore Giovanni Caselli.Per concludere, proponiamo al lettore unultimo, pregevole oggetto in porcellana, unadeliziosa tazzina realizzata dalla Real FabbricaFer<strong>di</strong>nandea, una delle molteplici presentinella collezione Barone, conservata nella vetrinaXV (inv. 1277) e decorata con una grecain nero su fondo rosso e una metopa centraledorata dove una figura femmin<strong>il</strong>e in costume sistaglia su un bel paesaggio lacustre.E allora buona visione!Nell’altra pagina, in alto:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XIV: piatto inporcellana della Real Fabbrica <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>monte (fotoSBSAE <strong>Molise</strong>).Nell’altra pagina, in basso:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XIV: piattino e tazza inporcellana della Real Fabbrica <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>monte.In basso:Baranello, <strong>Museo</strong> Civico, vetrina XV: tazzina inporcellana della Real Fabbrica Fer<strong>di</strong>nandea (foto SBSAE<strong>Molise</strong>).BibliografiaBarone G. (1897): Il <strong>Museo</strong> Civico <strong>di</strong> Baranello or<strong>di</strong>nato,descritto ed <strong>il</strong>lustrato dall’architetto GiuseppeBarone. Napoli.Eriksen S., de Bellaigue G. (1987): Sèvres porcelain:Vincennes et Sèvres 1740-1800. London.Mottola Molfino A. (1977): L’arte della porcellana inItalia. Busto Arsizio.Parca S. (2005): Schede OA, Soprintendenza peri Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del <strong>Molise</strong>Perrotti A.C. (1978): La porcellana della real fabbricaFer<strong>di</strong>nandea (1771-1806). Napoli.Rescigno G. (2006): Schede OA. Soprintendenzaper i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del<strong>Molise</strong>.Rossi P. (1981/1983): Schede OA. Soprintendenzaper i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del<strong>Molise</strong>.Schnorr Carolsfeld von L. (1974): Porzellan der EuropaischenFabriken. Braunschweig.Stazzi F. (1972): Capo<strong>di</strong>monte. M<strong>il</strong>ano.80 81


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