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Inforum 40/41 aprile/settembre 2012 - Territorio - Regione Emilia ...

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Le città e la crisicosa bisognerebbe fare nel prossimo futuro: nessunoha ricette sicure. Forse è meglio così piuttostoche vendere finte nuove certezze post-crisi.Mi sembra che l’insieme di teorie, manifesti, programmie progetti di questi ultimi decenni sulla cittàe il suo ruolo nei processi di sviluppo e trasformazionedella società e dell’economia, si stia sgretolandosotto i colpi della crisi; come le case di Finaleo Cavezzo. Provo profonda tristezza a constatarloperché a lungo ho creduto che saremmo riusciti acambiare le cose e sono stato anche convinto sostenitoredi un modello italiano fatto al tempo stessodi conservazione e innovazione, di radici profondee di nuovi innesti. Temo d’essermi sbagliato: adessocomincio a pensare che in realtà per tanti annici siamo mossi all’interno di un cerchio magico checi ha fatto confondere i nostri desideri con la realtà.Siamo andati avanti con sogni, alibi, “self-fulfillingprophecies”, e alla fine abbiamo sbattuto la facciacontro il muro.I banchieri e gli speculatori finanziari internazionalinon sono personaggi simpatici e tanto menoamichevoli, ma mi sembra preoccupante l’attuale,diffusissimo (e in parte comprensibile) atteggiamentoche li rende colpevoli di ogni nostro male.Sono molto poche (e assai criticate) le voci di chiprova a dire che forse il disastro in cui ci troviamoè anche responsabilità nostra. Sono ancora menole voci di chi dice che per uscire dalla situazione incui siamo (e saremo a lungo; su questo non mi fareimolte illusioni) bisognerà cambiare drasticamentemolte cose a cui ci siamo impropriamente abituati,che abbiamo considerato come giuste ed eternee che restano elementi portanti della cultura in cuisguazziamo.Tutti i nuovi progetti urbani di larga scala, i concorsiche le grandi città stanno facendo, le operazionicome l’EXPO sono concepiti per metterci nellemani delle banche e degli immobiliaristi. Si parlagongolando del Qatar; si aprono le porte agli speculatoriamericani e si sognano quelli russi. Daloro le amministrazioni locali di destra e di sinistraaspettano i soldi per fare metropolitane, ferrovie,autostrade, tunnel, dando in cambio le mani liberesu intere parti della città. Come ci si può poi lamentared’essere vittime delle cattive banche?Che ci piaccia o no siamo da qualche secolo in unsistema globale, che si è rafforzato e maggiormentediffuso negli ultimi decenni. Non sapendo cosafare adesso ci viene in mente che per risolvere lacrisi finanziaria sarebbe utile tornare al chilometro0, alle monete locali e al baratto. Come se nonavessimo anche assoluto bisogno di comunicaree collaborare con il resto del mondo, di compraree vendere agli altri beni durevoli, alimenti e servizicon strumenti finanziari comuni; e su questo nonfossimo in fortissimo ritardo. Il futuro dei nostri figlie nipoti può ridursi alla vendita di piadine slow aituristi BRICS?Ci preoccupa il nostro ritardo tecnologico, adesempio quello connesso al digital divide, che tagliafuori i nostri vecchietti, le casalinghe e un pezzodel sud, ma non ci tormenta per nulla il fatto che latecnologia avanzata emargini centinaia di milioni dipersone in paesi vicini a noi, con cui dovremmo costruireinsieme il futuro, dovremmo poter dialogare.E non ci turba neppure sapere che disporre di piùcomputer e di una buona rete non cambia di certol’economia e trasforma la società. Sono necessariemolte altre cose per formare il contesto che consenteinnovazione e creatività: normative più snelle,sistemi di credito flessibili, educazione migliore ediversa, buoni servizi nuove forme di rapporto socialee infine anche città e territori diversi da quellia cui ci siamo tanto affezionati.Parliamo della necessità di realizzare “smart cities”,territori della creatività, reti di eccellenza nel campodella gestione urbana e del territorio per balzare dinuovo in avanti come grilli. E poi proponiamo come“tempeste di creatività” pacchetti di cose già vecchie,inutili o strampalate: da sistemi di servizi chela Corea del Sud, il Cile o il Canada hanno già daanni; ai festival estivi di filosofia, gastronomia, erboristeria,in città addormentate dal caldo; oppurecucine che si trasformano in computer per leggerele ricette; biciclette che misurano l’inquinamento;led che consentono di proiettare la pubblicità nelcielo notturno …Purtroppo, assorbiti come siamo inquesti processi creativi, non riusciamo poi a fare infretta le diagnosi delle edifici colpiti dai terremotie soprattutto a ricostruirli, a ridurre il carico delleautomobili nelle zone centrali, a togliere la spazzaturadalle strade e a riciclarla decentemente.E’ mai possibile che nella città con la più grande9


PAOLO CECCARELLIFotografiadi Fabio Mantovaniacciaieria del nostro paese si arrivi al dilemma secontinuare ad ammazzare gli abitanti con l’inquinamentoche produce o far morire gli operai di fameper salvarli dal cancro?Abbiamo paura degli immigrati (di cui peraltro abbiamodrammaticamente bisogno) e per fermare leondate di arrivi proponiamo di sviluppare le economiedei loro paesi, in modo che ci restino. Contemporaneamenteperò teorizziamo sulla necessitàdell’autosufficienza. Dovremmo (comunque conparsimonia) mangiare cibo e usare manufatti soltantose prodotti da noi nell’orto sul tetto e nel garagein cortile e certamente non importare da lontanobeni che, per poco che siano pagati dalle multinazionali,permettono di campare a infiniti contadini eoperai in Africa, Asia, America Latina.Quante volte abbiamo posto al centro dei nostripiani e delle nostre politiche per la casa e i servizila nostra inevitabile condizione di essere “internazionalizzati”in modo strutturale? Faccio un piccoloesempio della nostra inadeguatezza. Operazionicome l’EXPO a Milano, che dovrebbe attrarre milionidi stranieri, non si pongono neppure il problemadi disporre di luoghi di culto “all’altezza” degli islamici,ma anche dei benestanti indù, parsi, jainisti,buddisti o shintoisti che si spera vengano in visita.Le città non possono essere ferite da moschee etempi vari; la preoccupazione per gli “alieni” arrivaal massimo a promuovere ristoranti etnici. A migliaiadi immigrati si negano i diritti più elementari; lecittà sono sorde a questi problemi di accoglienzae convivenza: al massimo si offre qualche capan-10


Le città e la crisinone abbandonato o un campo di calcio dismessoin estrema periferia, cose per poveracci ai marginidelle nostre società. Si sostiene che i visitatorida altri continenti hanno buoni redditi, consistentecapacità di spesa e pagano per servizi di qualità;forse gli piacerebbe anche trovare luoghi di culto,magari decenti. Questo vale per l’Expo, ma cosasi fa per le Fiere, per il turismo, per l’ istruzione superiorein <strong>Emilia</strong>-Romagna dove si cerca di attrarreoperatori dei paesi emergenti dell’Asia? Forse scegliamosolo laici. E che dire dell’ offerta scolastica,dei programmi educativi per una fetta consistentedei futuri italiani?Tutto questo mi fa venire il sospetto che tra le causedella nostra incapacità di reagire alla crisi, dellascarsa voglia di modificare fino in fondo certe istituzioni,usanze, strutture sociali ed economiche cisiano anche le nostre amate e dolcissime città, i nostripaesaggi culturali, il patrimonio storico-artistico.Città che – come molte altre nostre cose - sono vischiosemacchine costruite più sulle consuetudiniche sulla ragione, su tessuti di relazioni amicali, il“capitale sociale” all’italiana, l’adattabilità permissiva,la paura del mutamento, la protezione daglialtri. Città diventate feticci per rassicurarci delle nostrepaure e incapacità. Questo ovviamente non miporta a pensare che i centri storici dovrebbero esseredistrutti; il paesaggio sfigurato; le architetture,le statue e i quadri abbandonati a se stessi e chesi dovrebbe puntare tutto su scintillanti città profondamenterinnovate e territori totalmente razionalizzati.Penso più semplicemente che il capitale fissoche abbiamo, fatto appunto di edifici, infrastrutture,paesaggi, dovrebbe essere visto con un occhio diversoe meno benevolo: non solo come fattore positivoe risorsa per lo sviluppo ma anche come peso,elemento frenante, infrastruttura fisica di supportoa processi tendenti soprattutto alla conservazionedelle vecchie strutture sociali ed economiche, dielemento di resistenza dura alla trasformazione, antiquariatoda comprare. Le grandi navi passeggeriin laguna, le porcherie architettoniche di Benettona Rialto e Pierre Cardin a Marghera sono anche l’inevitabilefrutto della riduzione a pura merce dellacittà storica messa da tempo nell’impossibilità direagire, resa null’ altro che bene da sfruttare (con lascusa dell’economia della cultura). Venezia insularepotrebbe essere molto diversa, ancora viva se nonse ne fossero favoriti il culto in chiave di necrofiliae gli eventi culturali effimeri. Marghera non sarebbeterra di nessuno, dove costruire ignobili grattacieli,se se ne fosse pianificato un futuro diverso da quellodi area industriale dismessa, destinata a periferiaturistica. E a Venezia, voglio ricordarlo, non ci sonostate efferate amministrazioni di destra.Abbiamo discettato molto sulla conservazione delpassato e poco o nulla sulla costruzione di un futuroche non fosse un prolungamento del vecchio(anche nelle pratiche di sfruttamento speculativodei luoghi, della concertazione politica) ma invecequalcosa di complessivamente diverso, più adattoa sostenere le profonde trasformazioni dell’epocain cui stiamo vivendo. A furia di studiare la storia neabbiamo perso il senso, abbiamo favorito la continuazionead infinitum delle sue pratiche; ci siamodimenticati di come vanno le cose del mondo. Abbiamocreduto che costruire grattacieli a casaccio,fare Expo fallimentari, favorire l’arrivo di navi di dimensionimostruose, affidarsi a loschi immobiliaristi,costruire industrie assassine fosse la nostrastrada alla modernità e adesso siamo con il cerinoin mano.Detroit e le sue sorelle del Nord America, le cittànelle tante rust-belt che ci sono in tutti i continenti, leshrinking cities dell’est industriale europeo, le grandicapitali di paesi ex-ricchi come La Avana o Montevideo,le megalopoli dei paesi in sviluppo che maisi sviluppano, ci dovrebbero far riflettere su cosapuò capitare alle città di regioni e paesi che entranonel gorgo della crisi e non ne escono più, oppurea quelle che non riescono neppure a decollare, afunzionare decentemente, non per loro ignavia maperché la storia del mondo si è messa a girare differentementeda come si pensava e sperava.Questo vale anche per noi, magari in misura menodrammatica e con sufficienti margini di manovraper il futuro. Comporterà comunque dure e profondetrasformazioni anche per le nostre finte città moderne.Bisogna ricominciare a pensare ma anche esoprattutto a farlo in termini diversi, in base a nuovecategorie.Le vischiosità, le forme di arretratezza, di incapacitàdi rispondere alle mutate esigenze che sonoproprie della nostra società si presentano in modiparticolari nella struttura delle città. Il modo in cui11


Francesco Indovina - Valentina SimulaSempre città occasionaleAlla continua ricerca di “occasioni”La città “occasionale” (Indovina, 1993) è stata il risultatodella messa in mora, sostanziale, del processodi pianificazione nel governo delle trasformazioniurbane; non sarebbe possibile sostenere che oggi,dopo vent’anni, la pianificazione abbia assunto il ruolodi direzione nel governo delle città che le compete.Ad eccezione che in alcune città la pianificazionerischia di essere un “genere letterario” più che unostrumento di governo della città; questa vanificazioneè avvenuta con più peso nei vent’anni a cavallodel secolo.Il processo di deregulation, che ha caratterizzato glianni ‘80, infatti, non è stato contrastato né da provvedimentinormativi, né tanto meno da una prassi digoverno, al contrario altri elementi hanno contribuitoad alimentare l’occasionalità nella gestione del territorio.Si tratta di alcuni tratti significativi di questoperiodo che per realizzarsi hanno avuto la necessitadi una “attitudine”, si potrebbe dire così, dei governidelle città a distaccarsi dall’idea di applicareuna pianificazione, comunque definita, che definisseobiettivi e prospettive future. Piuttosto si è teorizzatoche era proprio nell’interesse collettivo e dello sviluppodella città “cogliere” le occasioni, trasferendo alivello collettivo quella che poteva essere una prassiindividuale, forse non del tutto giustificata, anche secomprensibile in una fa di disarticolazione sociale.Affermare che ancora oggi possa valere la definizionedi città occasionale per molte delle città italiane (enon solo), deve essere considerata una descrizionedella dinamica di molte di tali città. Questo non sta asignificare che non esistano casi in cui si è tentato unapproccio coerente di pianificazione. Ma non volendofare una casistica, in questa sede non proponibile,ma volendo cogliere un indirizzo generale, pare dipoter dire che l’occasionalità sia la cifra giusta dellatendenza qui esaminata.Ma il tempo non passa invano, delle novità ci sono,quella che pare rilevante è il tentativo di nobilitare leoccasioni facendole diventare un elemento costitutivodel piano. Un tentativo che nega di fatto ogni ragioned’essere del piano, che per sua costituzione èla formalizzazione di obiettivi definiti e non di obiettivimaturati per caso. I tentativi in questa direzione nonhanno incontrato nessun conforto da parte dei critici(tranne di quanti questo approccio hanno teorizzato),ma piuttosto il consenso degli amministratori dellecittà, che hanno posto nell’occasione la speranzadi uscire dalle difficoltà di governo.Tali “occasioni” (spesso chiamate proprio così), sonostate, ovviamente, presentate come vantaggiose perla città e la relativa popolazione, ma si è oscuratoil fatto che venivano “offerte” da gruppi pochissimoattenti agli interessi comuni.Per altro il tanto parlare di “reti di città” non pare abbiaprodotto significative modifiche nelle politicheurbane, mentre ha prodotto forme nuove di organizzazionedell’insediamento umano nel territorio cherichiedono maggiore e migliore pianificazione. Maanche in questo caso piuttosto che governare questiprocessi di urbanizzazione diffusa si è lasciatoche il processo si auto-organizzasse determinandoeffetti negativi sul consumo di suolo, sull’ambientee sui costi di gestione dei servizi. Quello che pareparadossale è che difronte a questi fenomeni urbanistiattenti e progressisti, piuttosto che porsi il problemadi come “pianificare” questi processi abbianoassunto un atteggiamento critico verso tali fenomenidenunciandoli come “negazione” della città e noncomprendendo che si trattava della ricerca di unadiversa e migliore città.La tendenza ad attivare “piani strategici” (piuttostoche strategie di sviluppo) ha costituito un escamotageche doveva compensare la mancanza di idee edi visione di amministratori e tecnici, per acquisire lostatus di strumenti adatti a “creare” occasioni. Senzaparlare delle opzioni di “marketing urbano” che costituisconouna dichiarazione ufficiale per assecondarela città occasionale.Gli elementi (reali e materiali) che in questo ventenniohanno rafforzato lo sviluppo occasionale della cittànon sono “nuovi” in assoluto, ma sicuramente è nuovoil peso esercitato in questa fase storica. Da unaparte si tratta del ruolo sempre crescente assegnatoal processo edilizio e dall’altra parte allo svilupparsidi quella che è possibile chiamare l’urbanistica deglieventi.Nell’anno di grazia <strong>2012</strong>, inoltre, non pare possibileaffrontare il tema delle dinamiche urbane senza fare13


Sempre città occasionaleAnche in questo settore non sono da sottovalutaregli effetti della ricerca della finanza internazionaledi occasioni di investimenti speculativi, e se alcunidi questi (molti?) sono risultati fallimentari non èil caso di preoccuparsi per gli esiti negativi sul pianofinanziario, ma molto preoccupanti appaiono gliesiti di trasformazione del territorio, manomissioni diambienti, costruzioni di edifici interrotti, ecc. L’euforianon controllata determina non solo guai finanziari (dicui non ci occupiamo) ma guai territoriali che ci preoccupano.Gli “eventi”Quella degli “eventi” ha costituito una delle maggioreiatture che potevano capitare alle nostre città. Nonci si riferisce, anche se la cosa ha un grande rilievo,ai fenomeni di corruzione che hanno accompagnato,in generale, la realizzazione delle opere destinatea permettere il pieno dispiegarsi dell’evento stesso,quanto piuttosto agli effetti sia sulla pianificata crescitadella città che sui “detriti” che l’evento lascia ineredità alla città.Ogni evento, per sua natura eccezionale, pretendedelle procedure eccezionali, delle risorse eccezionalied è, a parole, carico di meravigliosi effetti sullacittà, sulla sua economia, sulla sua visibilità internazionale,sulla qualità della vita dei cittadini, ecc.Ogni evento, proprio perché è una manomissionedell’ordinaria dinamica della città, richiede la messain mora dell’eventuale piano della città e richiedeprocedure eccezionali e quasi sempre urgenti. Sitratta di un’occasione che la città non può perdere.A fronte di queste affermazioni ogni rispetto del piano,della normativa, delle procedure, ecc. rischia diessere una meschinità nei confronti di una grandepossibilità offerta alla città.Ogni evento “non costa”, certo ci vorrà un contributopubblico, ma a fronte ci saranno enormi vantaggieconomici per la città e per il paese intero. I contributipubblici nel tempo tendono a crescere continuamentedi pari passo con la valutazione dei sempremaggiori vantaggi.Ogni evento lascerà alla città un patrimonio di “opere”che potranno essere utilizzate al meglio come centrodi innovazione tecnologica, polo di eccellenza, incubatoridi imprese, ecc. O attrezzature che potrannoessere poi utilizzate dalla popolazione. Per gli eventidi natura sportiva questa ultima notazione risultaveritiera con le seguenti cautele: talvolta il dimensionamentoeccede le possibilità della popolazione; gliimpianti vanno gestiti e la gestione è costosa per cuinon sono rari i casi di impianti “abbandonati” (e nonsi fa riferimento alle opere non terminate in tempoche restato quali scheletri abbandonati – mondiali dinuoto in Italia compresi).Molto più complessa è la situazione che riguarda leesposizioni. In questo caso gli edifici costruiti nonsempre (o meglio quasi mai) hanno l’utilizzazionesperata e dichiarata (centri di ricerca, poli di eccellenza,ecc. hanno bisogno di idee, uomini, attrezzaturee non solo di edifici). Più spesso di quanto sipotesse temere si tratta di edifici dall’incerta utilizzazionee comunque sottoutilizzati. Una questione rilevantedell’urbanistica degli eventi intesa come l’urbanisticache si piega alle necessità dell’evento, è ilfenomeno che è possibile definire della “moltiplicazione”:le strutture che si sono realizzate per l’eventoper essere utilizzate pienamente hanno necessitàche gli eventi si moltiplichino, ogni evento richiamala necessità di un altro evento. In un processo di disastrocontinuo.La crisi economicaSe si volesse avanzare qualche considerazione sulgoverno urbano nell’attuale fase di “crisi”, sarebbenecessario specificare la natura di tale crisi. L’interpretazioneche si tratti di una crisi, anche se moltograve, congiunturale, non pare condivisibile; cosìcome, la speranza che prima o poi, tutto ritorneràcome prima, per effetto della forza regolatrice delmercato, pare infondata. L’attuale crisi appare comela manifestazione di una trasformazione profonda delcapitalismo, generata da una lunga stagione liberista,soprattutto in campo finanziario, incompatibilecon l’ordine sociale al quale ci eravamo abituati. Insomma,nulla sarà come prima.Dentro la dinamica della crisi il governo delle cittàsubisce dei pericolosi contraccolpi, nell’indifferenzadell’opinione pubblica che è sottoposta al bombardamentoideologico dei sacrifici (termine che vorrebbeindicare un fenomeno limitato nel tempo), ma che,più correttamente, si dovrebbe chiamare impoverimentostrutturale. Non sono rare le ciniche opinionidi chi intravede in questa tendenza un dato positivocon l’affermarsi di uno stile di vita più sobrio, dimenticandoche tale impoverimento si applica in modo15


Francesco Indovina - Valentina SimulaFotografiadi Riccardo Vlahovdifferenziato alla popolazione, colpendo sempre chiha meno, mentre chi ha più trova in questa situazioneopportunità di arricchimento.Tornando al tema del governo urbano non si possonoconsiderare, in generale, gli amministratori localiindifferenti alle condizioni delle popolazioni che sonoinsediate nei loro territori. Molte amministrazioni risultanoagguerrite nel contrastare le politiche nazionalidei “tagli”, anche se con scarsi risultati. Molti ritengonodi fare “quello che possono, né pensano dipoter fare di più”, anche se ciò che riescono a farenon solo non pare sufficiente ma spesso finisce conl’essere controproducente, aggravando le condizionidei cittadini. La metafora che ai più sembra adattarsia questa situazione è quella dell’incudine e del martello.Da una parte si ha una popolazione che nellasua parte maggioritaria, vede una contrazione delreddito; cioè la capacità di spesa di larghe fasce dipopolazione si contrae, con un peggioramento dellacondizione di vita. Dall’altra parte le amministrazionilocali, specialmente quelle comunali, subiscono taglinei trasferimenti di risorse da parte statale e regionale,effetto della crisi, e quindi finiscono per averesempre meno risorse per la gestione delle rispettivecittà.Una situazione quale quella descritta vorrebbeche le amministrazioni locali sviluppassero una politicaespansiva dei servizi sociali in modo da compensarele minori risorse delle famiglie. Ma una politicadi espansione dei servizi, ripetono tutti, anche se fossenecessaria, sarebbe impossibile a fronte di unacontrazione delle risorse.È proprio questo stare tra l’incudine e il martello checondiziona le amministrazioni locali e che le spingea fare scelte sbagliate, anche se suggerite e ugualmenteattivate anche a livello nazionale. Tali scelte,come si potrà osservare alimentano ulteriormente ladinamica occasionale delle nostre città.Una tra le principali scelte è quella di vendere il rispettivopatrimonio immobiliare (palazzi, aree, abitazioni,ecc.). Fare cassa pare sia la parola d’ordine.Pur non volendo considerare il caso, pur reale, divendita di uffici che poi l’amministrazione pubblicaha affittato da chi li aveva acquistati (con una perditasecca per l’amministrazione pubblica), questa sceltasembra su diversi piani un errore.Intanto è difficile “vendere bene” in una situazionedi crisi (le cronache ci raccontano di una diminuzionedei prezzi degli immobili anche del 20%); più chevendere in questo caso si tratta di svendere. Ma nonbasta, per il tema che qui interessa c’è un secondoaspetto che merita attenzione. Vendere da partedell’amministrazione significa garantire che l’acquirentefaccia un buon affare (il privato altrimenti non cista), il che significa garantire, secondo i casi, ampliamentivolumetrici, cambiamenti di destinazioni d’uso,ecc. cioè azioni tutte che hanno poco a che fare conuna città pianificata.Inoltre non è raro il caso che alcuni di questi edificisiano stati già destinati a usi collettivi, arricchendo lacittà di funzioni di qualità. È vero che molto spessoquesti progetti restano non attuati per anni, per ca-16


Sempre città occasionalerenza di risorse, ma è sicuro che la vendita di questiedifici sottrae una possibile risorsa futura alla città.Questo non vuole dire che non ci possano essereedifici suscettibili di essere venduti a ragion veduta,ma è chiaro che la fase di crisi non può costituire unafase positiva per queste operazioni. Anche qui ancoral’incudine e il martello, bisognerebbe vendere mail tempo sarebbe sbagliato. Un’altra scelta è quelladi accordare credibilità alla pressione di promotoriimmobiliari per processi di urbanizzazione e di trasformazionedi destinazione d’uso dei suoli. Dentrola crisi, si suggerisce, non si può andare per il sottile,se queste operazioni portano risorse, sono dabenedire. Anche se la crisi fornisce poche speranzedi buoni affari, c’è sempre chi crede che tutto possariprendere come prima. Queste due scelte appaionoprodurre risultati negativi e soprattutto mettono losviluppo della città in mano ai privati, scardinandoogni possibile strategia di governo per il futuro. Altrescelte, come ridurre al minimo tutti gli interventi dimanutenzione, o contrarre i servizi sociali, ecc., sebbeneabbiano effetto sulla qualità della città incidonoin modo marginale sul tema qui affrontato. Quantodescritto mette in luce che tali interventi “amministrativi”in realtà non incidono sulla crisi e di fatto, oltrerendere più grave la condizione delle fasce di popolazionepiù colpite, toglie all’amministrazione ognipotere di governo della città, con una cessione di potereagli interessi privati. Non pare che questa possaessere la strada virtuosa che le amministrazioni localipossono seguire, il governo delle città e dei territori,soprattutto nella crisi, ha un forte bisogno di innovazione,non già di una semplice amministrazione dibilancio, né tanto meno di assecondare politiche diprivatizzazione mai a beneficio collettivo.Dalle occasioni alle opportunitàLa sintetica esplorazione effettuata ha messo in evidenzacome in realtà l’occasionalità nelle scelte disviluppo urbano più che ridursi ha trovato negli ultime30 anni nuovo alimento nei fenomeni che hannoinvestito la città. Le amministrazioni, grandi e piccole,restano costantemente vigili nel cogliere le occasioniche si presentano per la loro città. Tanto più la crisimorde le città, tanto più la ricerca delle occasioni diventanell’immaginario politico la soluzione.Si tratta di un atteggiamento, forse comprensibile manon condivisibile, che viene alimentato dalle critichetalvolta giustificate, ma più spesso errate, nei riguardidella pianificazione. Vale la pena di sottolinearecon forza che la ricerca di occasioni corrisponde aduna cessione di potere; il governo del territorio costituisceuna delle principali funzioni delle amministrazionilocali, questo sta a significare che l’amministrazionelocale ha il potere, e dovrebbe avere anche lacapacità, di governare le trasformazioni della città edel territorio. Una tale attitudine starebbe a significareche l’amministrazione locale tiene il volante delladinamica urbana e territoriale e guida tale dinamicaverso obiettivi condivisi e verificati. Giocare con leoccasioni assume il significato di cedere il volante: ladinamica non è più guidata secondo obiettivi condivisi,ma prende la strada delle occasioni offerte dagliinteressi che attraverso ad esse si materializzano.Una cessione di potere che può essere perniciosaper la vita della città. Si può sempre sostenere chel’amministrazione non è obbligata a cogliere le occasioni,ma può scegliere tra esse quelle che sono coerenticon i propri obiettivi di sviluppo. Si tratta di unaaffermazione tanto ragionevole quanto inverosimile.L’amministrazione potrebbe esercitare questo poteredi scelta se non fosse presa al collo dalle necessità edalle scarsità delle risorse. La sua carenza cronica dirisorse, accentuata enormemente dalla crisi, rendequesto possibilità di scelta più ipotetica che reale.Se si puntasse alle opportunità con connotato endogeno,questo potrebbe essere il terreno su qualel’intelligenza politica delle amministrazioni potrebbeesercitarsi. L’attenzione dovrebbe essere rivolto alleconseguenze della globalizzazione, della finanziarizzazionee della crisi economica e agli effetti prodottiin una prospettiva di “rinnovo urbano” (Cecchini, instampa). La ricerca delle opportunità all’interno delleprofondissime trasformazioni della nostra era potrebbepermettere di trovare il bando della complicatamatassa della realtà per intrecciare i fili lungo la viadella razionalità, della salvaguardia ambientale edell’eguaglianza sociale e fare delle nostre città unmodello di vita.Francesco IndovinaDocente di Analisi Territoriale e Pianificazione.Università di AlgheroValentina SimulaAssistente Dipartimento di ArchitetturaUniversità di Alghero17


MATILDE CALLARI GALLIDomanda di cittàFotografiadi Luigi OttaniI processi di globalizzazione e la cittàOggi la città è al centro del nostro presente e dellanostra progettualità: e non solo perché in tutti icontinenti verso di essa accorrono le grandi massemigratorie, non solo quale luogo fisico opposto alpaese, al villaggio, alla campagna quanto piuttostoperché essa costituisce il modello di vita che i mezzidi comunicazione dilatano sino a farlo divenire aspirazionee desiderio di tutti i contesti abitativi. é unarealtà che potremmo rappresentare con una mappache si apre, a collage, su tutte le altre mappe checon essa hanno rapporti: le mappe delle città deisuoi abitanti venuti da lontano, le mappe delle cittàcon cui ha avuto rapporti nella sua storia e con cui,oggi, ha rapporti commerciali, di studi, di scambiculturali e turistici.Innegabilmente la città, i suoi spazi, i suoi circuiti divita, sono il risultato dei processi molteplici, diversificatie contraddittori del mondo in cui viviamo. Potrebbequasi essere assunta a metafora per analizzarei paradossi e la complessità dei mondi contemporanei:spazio unificato ma al tempo stesso semprepiù eterogeneo, oltrepassa e trascende con le suemescolanze di lingue, codici espressivi, usi, costumi,lo Stato e la Nazione, vale a dire i confini costruiti,nel passato, a garanzia dei diritti di cittadinanza. Allostesso tempo molti conflitti urbani della contemporaneitàseguono vecchi modelli propri delle battaglieper il possesso del territorio. La città ci sollecita aseguire gli intrecci tra locale e globale, ad analizzareinsieme i processi di globalizzazione e di indigenizzazione,i movimenti transnazionali e contemporaneamentela loro interpretazione.I processi di globalizzazione espressi e vissuti nellafruizione delle nuove tecnologie dell’informazione,nelle reti di comunicazione, nelle esperienze migratorie,nelle molte forme dei nomadismi contemporanei,divengono realtà per un numero crescente di18


Domanda di cittàindividui. Essi hanno dato origine a nuove forme diorganizzazione dell’economia e del lavoro, a nuovepercezioni del rapporto spazio/temporale, a nuoveinterazioni finanziarie trasformando completamentele relazioni tra le diverse culture, sconvolgendo le dinamichedei processi identitari, mutando profondamentei ritmi della vita quotidiana di masse semprepiù imponenti di individui.Tuttavia alla transnazionalizzazione delle economiecorrisponde una frammentazione localistica dellepolitiche e delle pratiche quotidiane mentre l’inquietudineche deriva dai fermenti propri dei processi diglobalizzazione è presente trasversalmente in tutti igruppi sociali.Le città divengono sempre più le “discariche” dellaglobalizzazione, i terreni su cui si addensano i problemiche da essa scaturiscono, anche se la loro origineesula in maniera crescente dai confini urbani; icittadini, con i loro rappresentanti, si trovano davantial difficile compito di trovare soluzioni locali a contraddizioniglobali: ad esempio, come conseguenzadella costante crescita dei pericoli su scala globale,cresce la tendenza a convogliare i problemi esistenzialidell’endemica insicurezza tipica della nostracontemporaneità, nella sola preoccupazione per legaranzie della sicurezza personale.Oggi, sempre di più, i territori urbani vengono ridisegnatidall’avvicendamento di gruppi, di immagini,di movimenti: la stessa demarcazione tra centro eperiferia perde la sua pregnanza in seguito ai processidi “gentrificazione” del centro, in seguito aldegrado di alcune aree periferiche e al contemporaneosviluppo in esse di quartieri residenziali. Lacrescente eterogeneità della composizione non solodelle nostre città ma delle loro aree, dei loro quartieri,delle stesse loro strade, mette a repentaglio ilsenso di comunità e di appartenenza ad una cittadinanza:e molti studi quantitativi e qualitativi sonoconcordi nel rilevare che il senso di omogeneità diun gruppo rafforza la sua fiducia e la sua sicurezza,mentre di converso ricerche svolte in aree in cui lacommistione “sociale, generazionale, etnica” è elevatapresentano alti livelli di insicurezza e di incertezza:insicurezza nei percorsi quotidiani, incertezzanell’affrontare situazioni improvvise e nuove.Da un panorama di paura ad una sicurezza localeLa globalizzazione non è un processo pacifico, néintende pacificare il mondo. Come ha scritto StuartHall, essa lavora “sul terreno della cultura postmodernacome una formazione globalein uno spazioestremamente contraddittorio, entro il quale abbiamo,in forme completamente nuove che solo ora cominciamoa capire, le stesse vecchie contraddizioni,la stessa vecchia lotta” (Hall, 1991, p. 26)La cultura della diseguaglianza che si va definendoin questi anni con i suoi squilibri, con i suoi andamentinon lineari, con ritmi irregolari e imprevedibili,nasconde un potenziale di grande aggressività eappare, ogni giorno di più, una miscela esplosiva.Le élites dei paesi ricchi e dei paesi poveri si saldanonei loro propositi di espropriazione e di durata,emarginando i più attivi degli esclusi con molteplicie differenziati meccanismi: conformismo e passivitàindotti dai mezzi di comunicazione di massa,sottoistruzione e disoccupazione intellettuale, commerciillegali e diffusione di droghe, negazioni deidiritti di cittadinanza. Nello stesso tempo la microdelinquenza, la violenza diffusa, l’organizzazioneinternazionale del vizio, il terrorismo politico, sonotutti fenomeni destinati a crescere per l’affermazionedell’individualismo proprietario, per la circolazionedell’antagonismo predatorio, per la perdita di valoredei sistemi di mediazione tra parti sociali e gruppisempre più lacerati e ostili.Di fronte a questa situazione che squaderna in tuttaEuropa insieme al dilagare di localismi esasperatilo scoppio di violenze e di intolleranze, una politicadella città per la città potrebbe anche dichiararsiimpotente davanti al cumulo di problemi che per decisioniprese altrove, da entità di cui si intravede afatica il volto, si scaricano sul suo territorio. Potrebbecosì rinunciare ad interpretare ciò che appare caosindistinto e imprevedibile nelle forme e nelle direzioni,rifiutarsi di elaborare proposte che di fronte adun panorama mondiale possono apparire minime eininfluenti. Ed invece è proprio da politiche applicateal territorio che è necessario e indispensabile muovereper disegnare una nuova antropologia delledifferenze, è dal proprio territorio che bisogna muovereper parlare ai diversi gruppi che costituiscono ilmosaico urbano della contemporaneità di nuovi dirittidi cittadinanza, di nuovi modelli di uso delle areeurbane, di partecipazione alla gestione del tempo edello spazio cittadino. è solo da una complessa edecisa politica di riappropriazione della conoscenza19


MATILDE CALLARI GALLIe dell’uso del territorio in cui si vive o che si attraversanei molteplici spostamenti che contraddistinguonola vita di milioni di abitanti del nostro paese che sideve ripartire per sfuggire alla dimensione di paurae di impotenza in cui ci costringe il modello della“società del rischio”, così invasivo e onnipresentenel concerto dei mezzi di comunicazione di massa,nelle comunicazioni di convegni e di talk show. El’invadenza delle relazioni stabilite sul web e con ilweb assumono in pieno il loro carattere positivo sevengono ricondotte alla dimensione territoriale e inun certo senso rese concrete attraverso pratiche epolitiche territoriali.Vorrei chiarire che non si tratta di far ricorso ad un facilee ingenuo ottimismo né di negare la drammaticasituazione in cui versa gran parte della popolazionemondiale ma, al contrario, cercare strumenti checonsentano di lottare contro l’atmosfera sinistra checirconda il suo futuro, di risvegliare il desiderio di opporsi,di cercare gli strumenti per disegnare pratichee politiche che rispondano ai bisogni e ai desideri dichi traduce quotidianamente nel suo territorio e neisuoi vissuti le violenze, gli scarti, i residui dei processidi globalizzazione.Métissage, contaminazione, ibridismoLe forme espressive urbane possono favorire la riflessioneper meglio cogliere la complessità deiprocessi identitari della contemporaneità. I terminidi metissage, contaminazione, ibridazione sono divenutiesplicitamente protagonisti di molte ricerchesia della cultura colta che della cultura popolare edoggi la connessione tra le grandi opere della culturae quest’”altra” cultura appare sempre più fluida ediffusa. Così la “cultura” del quotidiano - il “tragittoantropologico” secondo la definizione di Gilbert Durand- provoca la continua emergenza di nuovi valorie forse la comprensione del costume come fatto culturalepuò aiutarci a vivere le continue pressioni allequali la contemporaneità ci sottopone.Quello del metissage è un aspetto della vita socialenon certo nuovo: su di esso si fonda la storia geneticae culturale della nostra specie che sin dai suoiprimordi e in tutto il pianeta si è svolta con un intensoe mai interrotto “commercio” fra le differenze. Se inalcuni luoghi e in alcuni tempi gli incontri – e quindigli scambi – si sono svolti lentamente, lasciando sedimentareper generazioni gli stimoli e i suggerimentiricevuti da un baratto occasionale o da una rapidaFotografiadi Luigi Ottani20


Domanda di cittàscorreria piratesca, dando tempo ai gruppi coinvoltidi assorbire l’impatto delle novità, in altri luoghi e inaltri tempi gli incontri tra le differenze sono stati continui,profondi, spesso violenti ma sempre produttividi innesti culturali, spesso così profondi da trasformarecompletamente i protagonisti degli scambi.Da tempo nella letteratura antropologica è presentela convinzione che sia necessario elaborare unanuova interpretazione della differenza culturale chesuperi le idee di “purezza” e di immobilismo così tenacementelegata ad essa. Sin dagli ultimi decennidel XX secolo si fa strada la convinzione che sianecessario una “reinvenzione della differenza” (J.Clifford, 1999, p. 29): venendo meno culture chepossono essere considerate omogenee, mancandocomunità che possano essere, ragionevolmente, ritenute“isolate”, la stessa comparazione tra le culturedeve essere sottoposta ad una radicale ridefinizione(M. Callari Galli, 1995, p. 27).I soggetti della vita urbana sono “dislocati” o “decentrati”ma non certo “sradicati”; sono invece semprestoricamente determinati, posizionati, situati:“Tutti partiamo da un luogo specifico, da una storia,un’esperienza e una cultura particolare”, ha scrittoStuart Hall. E allora gli individui e i gruppi possonopensarsi all’interno di una tradizione a pattoche consideriamo il loro rapporto con quel passatocome una recezione critica e non come qualcosa di“irriflessivo” o dato per scontato. Le tradizioni nonvanno considerate strutture rigide, completamenterealizzate ma piuttosto come ricchi depositi, veri epropri repertori di significati virtuali o potenziali cheentrano in rapporto con tendenze, orientamenti, tensionidel presente.I diversi livelli, le stratificazioni che costituiscono leidentità vissute nelle nostre città dovrebbero essereconsiderati nelle loro specificità ma anche, se nonsoprattutto, attribuendo valenze di interconnessionea ciò che troppo spesso e superficialmente è consideratoopposizione, distanza, inferiorità.Un insidioso pericolo risiede nell’analisi delle differenzeculturali, soprattutto in quella dei rapporti cheesse stabiliscono tra di loro: è il pericolo di opporreun Soggetto forte (e quindi per i nostri modelli culturali,positivo) rappresentato da quello elaborato ediffuso dal pensiero della modernità occidentale asoggetti “deboli”, “negativi”. Dobbiamo fare attenzionequando accettiamo i processi di decostruzionepropri della postmodernità a non dissolvere “inuovi soggetti” o “le nuove etnicità” - in “economielibidinali” (Lyotard), in “nomadologie senza approdi”(Deleuze), in “schizofrenie permanenti” (Lacan).Come scrive ancora Stuart Hall, i nuovi soggetti nonrappresentano una sottomissione ad un destino bensìun dialogo aperto e costante tra di loro e con la tradizione.Viviamo in un sistema politico che appare in affanno: esi parla di postdemocrazia, di democrazia senza consenso,di democrazia agonistica e senza garanzie.Uno dei presupposti della democrazia agonistica èche le “differenze” non possano essere pensate al difuori di una lotta continua tra i diversi progetti egemonici,al di fuori di un processo continuo di dominio edi resistenza; al tempo stesso tuttavia la loro esistenzaimplica negoziazioni e mediazioni, in un processodi continuo riconoscimento.La contemporaneità con i suoi nomadismi, i suoicontinui rimescolamenti di idee, immagini, valori ecostumi a cui si alternano tenaci radicamenti di tradizionie pregiudizi, ci spinge a non poter attribuire allacittà una forma pre-organizzata, pre-stabilita a cui isuoi variegati abitanti debbano adattarsi. Piuttostosarebbe necessario fare in modo che gli abitanti potesseroavere strumenti per esprimere la loro visionedel paesaggio urbano in cui vogliono vivere: ed inquesto nuovo paesaggio urbano anche gli elementiconflittuali dovrebbero trovare spazi intermedi neiquali sia possibile elaborare strategie di confronto edi dialogo sorrette da strutture e tecniche di riconciliazione“deboli” che intervengano nei vissuti quotidiani,nei disegni degli spazi pubblici e in quelli privatima condivisi.Le aree dismesse nelle periferie per lo più abbandonateal degrado o a piani di futura speculazionepotrebbero divenire il luogo di questa riconciliazioneche tenda, attraverso una progettazione comune tratecnici e fruitori degli spazi urbani, a scoprire comesia possibile ritrovare dialogo, socialità e confrontonella città delle differenze.Mi piace immaginare che queste aree trasforminole periferie della città con piazze, giardini, percorsi,crocevia, disegnati per gli incontri tra i suoi abitanti,con arredi e decori urbani mobili, anche deperibili,affidati all’immaginazione dei gruppi - diversi perprovenienza geografica, per sesso, generazione,appartenenza sociale - che li vivono e li attraversano.21


MATILDE CALLARI GALLIComunità e territorioDai dati di molte indagini risulta in modo netto l’aumentodel collegamento tra insicurezza e presenzadegli immigrati, in generale degli stranieri.E in alcune città, come Bologna, “straniero” è divenutoanche lo studente, che occupa gli spazi pubblicidella città con stili di vita che confliggono conquelli dei “residenti”. L’intolleranza verso queste minaccecresce e si registrano richieste di una maggiorpresenza delle forze dell’ordine, è in aumento ilnumero di coloro che chiedono che i campi profughisiano sgomberati senza che si siano trovate soluzioniper collocare in luoghi più adatti i loro abitanti:esempio del legame tra il disagio della vita urbanae la violenza strutturale che cancella l’individualità,che riduce i soggetti a numeri e l’intervento a praticaamministrativa.Eppure ancora i luoghi sono oggetto dei ricordi, deidesideri e delle speranze dei loro abitanti: per quantotemporanea sia la loro stanzialità, per quanto rapidie frequenti siano i loro nomadismi ad essi affidanola capacità di accoglierli, di rendere possibile lo sviluppodi relazioni significative e la speranza di potercostruire ancora, in qualche modo, legami affettivi.Ancora di comunità parlano antropologi e urbanisti,ammistratori, politici e cittadini: in effetti è possibileparlarne anche dopo che sono intervenuti cambiamenticosì profondi nella spazializzazione e nellatemporalizzazione ricordando con Cohen che “la comunitàesiste nella mente dei suoi membri e che nondovrebbe essere confusa con un’affermazione geograficao sociografica dei fatti”; e se ne può parlarea patto che lo si faccia in termini dinamici, sapendodi avere a che fare non con una realtà radicata e stabilema piuttosto con un orientamento, con un grumodi tendenze, con un progetto di partecipazione, conun percorso tracciato per raggiungere obiettivi stabiliticome comuni di volta in volta da gruppi che siscelgono e si confermano man mano che i loro programmisi svolgono, si realizzano o falliscono.Nella città contemporanea, ci dicono i sociologi, assistiamoad una perdita continua di capitale sociale:ed invece, a mio parere, il capitale sociale esistenella quotidianità urbana ma spesso non ha sufficientevisibilità, offuscato da ansie di consumo, dasuperficialità di giudizi, da fretta di vivere. Esso puòtuttavia essere reso visibile, rintracciandolo nei movimentiper il commercio equo e solidale, nel volontariato,nell’impresa cooperativa, nel microcredito,nella “banca del tempo”. Ed è necessario proporreprogetti urbani che stimolando e mettendo in rete lenicchie di capitale sociale esistenti, riproducano legami,relazioni, vale a dire comunità.A guardar bene, liberandosi da schemi conoscitividel passato, molte sono le forme di comunità cheoggi il vivere urbano genera: la comunità di un quartiere,la comunità virtuale di un social blog, la comunitàdi un gruppo di lavoratori che operano perrispondere ad esigenze comuni – economiche, culturalio sociali che siano – indicano tutte che l’identitàdel mondo contemporaneo è una identità generatada appartenenze multiple: è a queste identità,a queste appartenenze che si deve rivolgere chiintenda costruire percorsi di partecipazione attivaconcretamente collegati con le realtà territoriali.E forse in questi percorsi, gestendo i processi di formazionedelle identità, può essere cercata una modalitàper colmare la distanza tra spazio urbano espazio politico.Studiosi di aree disciplinari diverse da tempo auspicanol’elaborazione di nuove mappe urbane e l’individuazionedi nuovi punti di riferimento per ipotizzareuna cartografia cognitiva che permetta al soggettourbano una nuova e accresciuta consapevolezzadella sua posizione nel sistema globale: un telaio direti, di carte territoriali che sappia leggere le crisi disenso, i “buchi neri” presenti nel tessuto sociale dellemetropoli occidentali, al fine di orientare interventiche conducano il disordine metropolitano verso unprogetto urbanistico e sociale alternativo a quellotradizionale [Jameson 1989; Bauman 2000; CallariGalli 2004].Ma le nuove geografie urbane rimangono difficili darappresentare e richiedono, per rimanere nella metafora,una cartografia complessa: costringono studiosied operatori ad abbandonare il punto di vistaunico, dominante, nel quale invece si colloca spessol’osservatore; costringono ad introdurre nelle elaborazionila dimensione simbolica dell’appartenenza aun territorio [De Certau 1974; Augé 1993; Appadurai2001; Herzfeld 2003]: o almeno a considerare le formein cui i soggetti individuali, i cittadini, produconoo riproducono questa appartenenza, elaborandolaattraverso esperienze e pratiche quotidiane [DeCertau 2001; Dal Lago e Quadrelli 2003; Callari Galli2009].22


Domanda di cittàNon si tratta solo di sviluppare le riflessioni teorichesul rapporto tra Ville e Citè ma muovendo da questesvolgere ricerche empiriche che intendano “mappare”i vissuti degli spazi urbani, approfondire i legamicon i “luoghi” che i diversi gruppi cittadini abitanoe attraversano nella loro quotidianità, avanzare proposteper nuove forme di partecipazione alla lorogestione, individuare l’emergere di nuove forme diesclusione sociale che radicano la conflittualità soprattuttonegli spazi pubblici.Gli spazi pubblici, a Bologna come nelle altre città,costituiscono il luogo privilegiato delle pratiche multiculturali:lo spazio urbano è lo spazio della differenza,della mobilità e della variabilità; nello spaziourbano l’alterità viene percepita come una presenzacontinua e la differenza è un elemento costitutivo dellavita della città. Ma questo spazio è anche il luogosu cui si scatena la lotta tra chi vuole identificare nelsuo uso un segno della possibilità di incontro tra lemolte differenze che vivono in esso e tra chi invecelo sceglie come prova dell’impossibilità della convivenza,ne esalta il degrado, ne dilata la pericolosità.Nello spazio pubblico si riflette la segregazionedelle aree residenziali che sottolineando la presenzadel pericolo e dell’aggressività, esclude e cancellaogni possibilità di condivisione dello stesso spazio.A questa segregazione ci si deve opporre praticamente,stabilendo connessioni tra i territori con attivitàartigianali, di produzione artistica e/o commerciale,di iniziative sportive e educative, sollecitandole energie e le specificità delle diverse aree, orientandoleverso un pluralismo aperto al colloquio e alconfronto: un pluralismo che si esercita favorendol’espressività e la conoscenza delle diversità delleculture che abitano la nostra città, contribuendo allagestione del territorio tramite la qualificazione dellesue strutture locali, sviluppando il sostegno alle praticheartistiche emergenti che con la loro attenzionea convogliare emotività e innovazione possonocostituire un campo privilegiato per stabilire nuovirapporti dei diversi gruppi – sociali, generazionali,etnici, sessuali - sia fra di loro che con il territorio diuna città che si avvii a divenire la loro città.Matilde Callari GalliDocente di Antropologia CulturaleUniversità di BolognaFotografiadi Luigi Ottani23


ROBERTO GRANDICittà della cultura, Cultura della cittàFotografiadi Fabio MantovaniIl termine “città creativa” è stato proposto per laprima volta da Charles Landry attorno alla metàdegli anni Ottanta all’interno di ricerche che portavaavanti sulla crisi del modello di sviluppo urbanodel tempo; da allora ha conosciuto un successoglobale, con il conseguente rischio di progressivadesemantizzazione. Un tale rischio coinvolge nonsoltanto il termine “città creativa”, ma anche quellipiù recenti di smart cities, green cities, slow citiese così via.Questi attributi alla parola città, che hanno negliultimi anni narrativizzato i perché della nuova centralitàdello sviluppo urbano, ricoprono significatidiversi di cui tenere conto. In primo luogo costituisconola sintesi di un progetto di nuovo sviluppodelle città incentrato su obiettivi specifici che fannoriferimento alle nuove agende politiche sulla sostenibilitàdelle politiche urbane future elaborate dalleistituzioni sovranazionali, nazionali e locali. Si trattadi progettualità che prevedono, spesso, processipartecipativi che includono tutte le componenti delterritorio incrementandone la capacità mobilitante.Sono anche attributi che istituzioni, centri di ricerca,agenzie attribuiscono alle città che hanno certecaratteristiche o che si associano all’interno di networkspecializzati 1 .1 - Francesca Belledi e Gianfranco Franz (2011) ne fanno un elenco: Rete di CittàCreative Unesco (dove Bologna è parte della sottorete Città Creative per la Musica);Rete delle Città Creative dell’Euro Mediterraneo (di cui fa parte Faenza); Retedelle Città Simili; Rete delle città che hanno sottoscritto il Patto dei Sindaci (tra cuiBologna, Cesena, Ravenna, Reggio <strong>Emilia</strong>, Rimini) che fissa obiettivi specifici daraggiungere in tema di politiche energetiche; città catalogate nella ricerca EuropeanSmart Cities coordinata dal Politecnico di Vienna.24


Città della cultura, Cultura della cittàDa ultimo, questi attributi che affiancano la parolacittà costituiscono anche delle scorciatoie di modache varie città si attribuiscono per migliorare la propriaimmagine nazionale e internazionale esaurendole proprie iniziative nella creazione di uno slogan,oramai anche poco originale, la cui efficacia siconsuma nel breve periodo.Crisi dei modelli di sviluppo urbano e rispostedelle cittàMa torniamo al contesto che ha fatto da ambiente allascelta di progettare uno sviluppo urbano creativo. Sitratta di un contesto caratterizzato dalla crisi profondadei modelli di sviluppo urbanoeuropei.Le cause della crisi sono molteplici. Quelle più rilevanti,ai fini di questo intervento, sono: l’affermarsidell’Urban Sprawl, la crisi dei modelli di organizzazioneindustriale tradizionali, l’aumento dellacompetitività globale tra città, l’obsolescenza deimodelli tradizionali di amministrazione dei territori.La crisi nasce all’interno dello sviluppo della cittàed è nella città che dobbiamo cercare la soluzione.Le risposte delle città si sono mosse a più livelli.A) L’adozione del city marketing e del city brandingcon l’obiettivo di dotare le aree urbane di una propriaidentità riconoscibile e distintiva, quale rispostaall’aumentata competitività tra città per attrarrerisorse e persone a livello locale, nazionale e internazionale.Gli obiettivi operativi adottano punti di vistasia esterni che interni. Nel primo caso, sono postein atto politiche di attrazione degli investimenti,di creazione di nuovi flussi turistici e di promozionedi un’immagine positiva della città. Nel secondo, leiniziative politiche si rivolgono alla soddisfazionedei bisogni dei cittadini e delle attività produttive, infunzione di un miglioramento della qualità della vitae del senso di appartenenza al territorio. Emergecon forza la necessità di giungere alla definizionee costruzione di identità riconoscibili dei territori urbanie delle aree metropolitane.B) L’applicazione di politiche di rigenerazione urbanada parte di un crescente numero di municipalitàin un contesto in cui gli obiettivi di sviluppoeconomico risultano nell’immediato prioritari. Sitratta di scelte portate avanti grazie a politiche d’investimento,attente all’industria culturale, che utilizzanostrumenti di marketing e piani di promozionedell’immagine della città. I centri urbani che perprimi hanno imboccato questa strada sono quelli incui lo sviluppo basato sulla industria manifatturieraera entrato per primo in una crisi irreversibile, lasciandovuote strutture industriali importanti e in decadenzaparti significative di quartieri cittadini, nonsolo periferici. Questa situazione di crisi ha costrettole municipalità a ripensare sia a come utilizzaregli edifici e le aree dismesse sia a come ridefinirel’identità tradizionale, ormai obsoleta e inadeguata.Queste municipalità utilizzano tutte le opportunità adisposizione per ottenere finanziamenti nazionali einternazionali e visibilità con l’obiettivo di affermarenel contesto competitivo urbano globale la loro rinascitaurbana in una dimensione eminentementeculturale. I grandi eventi – dalle Olimpiadi, estive einvernali, ai campionati europei o mondiali di calcio;dalle esposizioni universali fino ai vari numerosissimifestival - rappresentano una di questeoccasioni. Non a caso Glasgow, nominata CapitaleEuropea della Cultura nel 1990, ha utilizzato perprima questa occasione, innovando radicalmenteil modo di interpretare la nomina intesa, da allorain avanti, come una occasione per mettere in attoun processo di ridefinizione dell’identità della cittàe di riposizionamento urbano di cui le iniziativedell’anno della celebrazione costituiscono una tappaimportante, ma non conclusiva (Grandi 2008). Apartire dalle situazioni di maggiore crisi di sviluppourbano, molte città hanno mostrato a se stesse eal mondo che è possibile non solo privilegiare unriuso a destinazione culturale degli edifici abbandonati,ma definire una strategia di sviluppo urbanoche punta sull’economia della cultura, dellaconoscenza e dell’innovazione, con il conseguenteincremento del numero di imprese e professionistidi questi settori. è a partire da questi anni che cittàdi medie dimensioni riescono ad affermare a livellointernazionale la loro immagine di città culturali ecreative, un posizionamento territoriale fino ad alloraappannaggio esclusivo delle grandi capitali o dicittà tradizionalmente dotate di un importante patrimonioarchitettonico, culturale e artistico.Gli aspetti positivi delle iniziative più riuscite di riprogettazioneurbana guidata da scelte che hannoposto la cultura al centro sono stati, sostanzialmente,tre (Bianchini 1993, 1999):Il riuso, con finalità prevalentemente culturali, diedifici e parti di città decadenti e abbandonate,25


ROBERTO GRANDItanto che in alcuni casi si è parlato di ‘rinascimentourbano culturale’;∙ lo sviluppo di start up e la nascita di impresenell’ambito della cultura e della creatività, con ilconseguente incremento di professioni che operanoin questi settori;∙ il raggiungimento di una immagine internazionalepositiva della città.Tre esempi di modi significativi e tra loro diversi dirigenerazione urbana: Glasgow, con gli eventi culturalie gli investimenti sulle infrastrutture creativeiniziati nel 1982 e legittimati, come ricordato, dallanomina a Capitale Europea della Cultura nel 1990;Bilbao, che ha utilizzato l’apertura del Museo Guggenheimdi Frank Gerhy nel 1997 per promuovereil proprio riposizionamento come città creativa,facendo seguire a questo evento vari progetti dirinascita urbana; Anversa, con il progetto di riposizionamentointernazionale quale città della modae della creatività, iniziato nel 1993 con la nominaa Capitale Europea della Cultura e proseguito attraversoi grandi eventi culturali che hanno seguitoquesta nomina.C) L’adozione, graduale e non generalizzata, distrategie di cultural planning che non sono da intendersi(Bianchini 1993, Ghilardi 2001) come ‘pianificazionedella cultura’, ma come un approccioculturale antropologico alla politica e pianificazioneurbana. Le strategie di cultural planning, che siaffermano spesso all’interno di politiche di rigenerazioneurbana, pongono il punto di vista culturaleal centro dei processi di definizione delle politichepiù generali di sviluppo del territorio, il cui orizzontenon si limita all’ambiente fisico, ma coinvolge quelloeconomico, industriale, sociale e turistico. La cultura,infatti, non è più considerata come uno dei settoridi sviluppo di un territorio ma come il paradigmache orienta lo sviluppo del territorio. Il legametra cultural planning e territorio è enfatizzato, anche,dalla metodologia adottata per promuoverlo,basata su due fasi precise e tra loro correlate (Ghilardi2010). La prima è una mappatura meticolosae rigorosa di tutte le risorse culturali locali, intesecome potenzialità, per definire gli assi distintivi disviluppo e quindi fornire informazioni strategiche aidecisori su come rispondere, nella maniera più efficace,ai bisogni locali massimizzando le opportunità.La seconda fase è quella della costruzione dellastrategia che costituisce la cornice all’interno dellaquale collocare le risorse potenziali identificandogli obiettivi catalizzatori. Si tratta di politiche cheper risultare efficaci devono essere in grado, da unlato, di integrare le iniziative portate avanti dalle varieistituzioni che si muovono nell’ambito culturale,spesso ancora troppo gelose della loro autonomia,dall’altro, promuovere la progettazione dello sviluppourbano coinvolgendo non solo le competenzedi urbanisti e architetti, ma anche quelle di studiosie tecnici di molte altre discipline e specialità. Imodi di agire delle autonomie locali, adeguati a unasocietà in cui i problemi potevano essere affrontatinelle loro singole specificità confrontandosi con unnumero ristretto di attori sociali, non sono più adeguatiad uno sviluppo urbano che impone: tempi didecisione rapidi; capacità di scegliere, rischiandol’impopolarità nel breve periodo; il confronto con unnumero elevato di attori sociali sia pubblici sia privatie la creazione di agenzie di sviluppo territorialecon una rilevante autonomia operativa.D) Queste politiche sono legittimate e incoraggiatedalle indicazioni contenute nel Libro verde - Leindustrie culturali e creative, un potenziale da sfruttaredella Commissione Europea. In questo documentoil passaggio da una economia obsoleta auna nuova è descritto in questa maniera: “Le fabbrichesono progressivamente sostituite da comunitàcreative, la cui materia prima è la capacità di immaginare,creare e innovare”. Quindi “se l’Europa vuolerestare competitiva in questo ambiente globalein evoluzione, deve creare le condizioni propizieal fiorire della creatività e dell’innovazione in unanuova cultura imprenditoriale” sia predisponendogli strumenti adeguati, accrescendo la capacità disperimentare, innovare e creare imprese e facilitandol’accesso al finanziamento e a una gamma appropriatadi competenze sia aiutando le industrieculturali e creative a svilupparsi nel loro ambientelocale e regionale, come pedana di lancio versouna presenza più forte sul piano mondiale.Le città creativeNonostante il grande interesse sulla creatività comemotore di sviluppo sia il concetto di città creativa,sia quelli correlati di industria creativa, economiadella conoscenza, classe creativa rimangono avvoltida una rilevante ambiguità. All’interno dei limiti26


Città della cultura, Cultura della cittàrappresentati da questa situazione di incertezza,anche scientifica, mi pare utile elencare i pre-requisitiindividuati, all’interno di ricerche tra loro ancheprofondamente diverse, come necessari per attuareprogetti efficaci di città creative.Presento tali pre-requisiti arricchendo i contenutidelle sei ‘colonne’ che l’Unione Europea ha individuatoper giungere alla costruzione di un IndiceEuropeo della Creatività (Kea 2006): capitale umano,apertura e diversità, ambiente culturale, tecnologia,ambiente istituzionale, output culturali.a) Capitale umano inteso, da un lato, come capitaleintellettuale quale “prossimità e accesso a unavarietà di saperi, idee e competenze professionalialtamente qualificate e legate alla presenza diuniversità, centri di ricerca, servizi avanzati” (Santagata2009: 65); dall’altro, come capitale socialeovvero come “rete complessa delle relazioni traorganizzazioni, comunità e gruppi di interesse checostituiscono la società civile” (Laundry 2006: 288).b) Ambiente culturale caratterizzato dalla presenzadi risorse culturali, patrimoni storici, artistici,ambientali e numerosità e varietà delle infrastrutturedel tempo libero con caratterizzazione culturaleche diano luogo a percentuali elevate di spese perprodotti e servizi culturali. La presenza di questi edei precedenti pre-requisiti faciliterà l’affermazionedi aree urbane ad alta qualità di vivibilità e inno-Fotografiadi Fabio Mantovani27


città ROBERTO e territorio GRANDIvatività caratterizzate, anche come sedimentazionestorica, da prossimità, accessibilità, circolazione,interscambio, anche informale, di conoscenze,idee e professionalità qualificate.c) Tecnologia come messa in atto di iniziative(dalla diffusione della banda larga alla presenzadi computer nelle case, nei posti di lavoro e di formazione)che facilitino lo sviluppo della cultura edell’imprenditoria digitali nella consapevolezza dellestrette relazioni tra cultura, creatività e ICT.d) Apertura e diversità con riferimento: alla presenzae coabitazione di culture e stili di vita differentiche favoriscano contesti di tolleranza socialee un ambiente urbano aperto alle sollecitazioni chevengono dall’esterno; alla diversità e pluralità deimedia e alla fruizione di prodotti culturali anche dinicchia e non appartenenti al mainstream. I prerequisitidelle colonne della tecnologia e dell’aperturae diversità aumentano il capitale creativo di un luogoe la sua capacità attrattiva nei confronti di quelliche Richard Florida ha definito i componenti dellaClasse Creativa, i cui indicatori includono le oramaiabusate tre T: Talento, Tecnologia e Tolleranza. Sitratta di persone 2 impegnate nella soluzione di problemicomplessi che condividono un ethos creativocomune che valorizza la creatività, l’individualità, ladifferenza e il merito.Si ipotizza che quando la concentrazione di questaclasse creativa raggiunge una certa massa criticaè in grado di sviluppare le industrie creative del territorio.e) L’ambiente istituzionale comprende pre-requisititra loro diversi. In primo luogo la presenza diistituzioni pubbliche trasparenti, che rendano contodel loro operato e che siano in grado di innovarei loro meccanismi organizzativi, impedendo il sedimentarsidi comportamenti routinari. In secondoluogo provvedimenti normativi che facilitino lo sviluppodelle imprese culturali e creative: da incentivi2 - Richard Florida (2002: 8) definisce, in primo luogo, “il centrodella classe creativa che include gli scienziati, gli ingegneri, gliarchitetti, i designer, gli educatori e formatori, gli artisti, i musicisti,chi si dedica all’entertainment e coloro la cui funzione economicaè creare nuove idee, nuova tecnologia e/o nuovi contenuti.Attorno a questa centro, la classe creativa include anche ungruppo più ampio di professionisti creativi nel business, nellafinanza, nella giurisprudenza, salute e campi correlati”.che sollecitano le donazioni e le sponsorizzazionia favore di iniziative culturali a diminuzioni dell’Ivasui prodotti culturali, da fondi pubblici sulla culturaalla promozione di iniziative di venture capital o ditutto ciò che facilita lo start up di imprese culturalie creative.f) Gli output creativi fanno riferimento al ruolosempre più rilevante ricoperto dalle imprese dellacultura e della creatività quali motori dello sviluppoeconomico di un territorio. Una conferma di questoaspetto si trova in una recente ricerca coordinatada Ervet sulla presenza delle industrie della culturae della creatività in <strong>Emilia</strong> Romagna (AA.VV <strong>2012</strong>) 3 .I rischi delle città creativeIl crescere del numero delle città creative ha mostratogli indubbi vantaggi economici, sociali e culturaliacquisiti dai centri urbani che hanno optatoper questo tipo di sviluppo, ma ha fatto emergereanche alcuni rischi che hanno dato luogo a fenomeninegativi fino ad ora marginali e poco pubblicizzati,ma che possono diventare potenzialmente pericolosi.Soprattutto le città che hanno dato prioritàalla creazione di infrastrutture urbane per attirare laclasse creativa dall’esterno, senza disporre di risorseculturali, istituzioni e centri di ricerca e formazioneadeguati, rischiano di subire processi di gentrificazione,causati da scelte di rigenerazione urbanaincentrate su politiche di investimento immobiliareche modificano radicalmente il contesto sociale delterritorio sia in relazione al passaggio dai vecchi ainuovi residenti sia alla scomparsa di edifici culturalmenterilevanti per l’identità del territorio. Spessoquesto processo di costruzione di quartieri creativiin aree centrali o periferiche degradate prende ilvia con l’insediamento, accanto ai residenti a bassoreddito, di giovani artisti e studenti. Il quartiere subisceun processo di rigenerazione culturale spontaneagrazie alla alta densità di giovani creativi eall’indotto dei servizi che si installano.Il valore urbanistico e commerciale dell’area si incrementafino al momento in cui sarà sottopostaad un progetto di radicale ristrutturazione per tra-3 - Le industrie culturali e creative in <strong>Emilia</strong>-Romagna comprendevano,nel 2008, 30-32.000 imprese e unità locali e 77-78.000addetti. Ciò corrisponde al 7,6-7,9% di unità locali e imprese eal 4,5-4,6% degli addetti dell’intera economia regionale.28


città Città della e territorio cultura, Cultura della cittàsformarla in un quartiere creativo alla moda, con laconseguente espulsione dei vecchi residenti e diquei giovani creativi che l’hanno ‘lanciato’ ma chenon sono in grado di sostenere l’incremento dei costi.L’espulsione e marginalizzazione dei residentia più basso reddito acutizza i rischi sociali derivatidai processi di ghettizzazione urbana 4 .Inoltre il considerare prevalentemente gli aspetticommerciali della creatività può dare luogo alla replica,nelle diverse città creative del mondo, dellestesse soluzioni urbanistiche e architettoniche con4 - A parere di Lia Ghilardi (2008: 3) “la creazione di quartiericulturali ha prodotto un mix sociale altamente conflittuale conuna separazione tra persone ‘benestanti’ che possono viverenelle parti rigenerate della città e cittadini a basso redditto chevivono nelle aree degradate interne alla città”.la conseguente perdita di quella specificità identitariadifferenziante, che assume un ruolo importantenella competizione territoriale globale di medio elungo periodo 5 . Senza un’adeguata scelta politicache tenga conto anche delle conseguenze socialidei processi di rigenerazione delle città si rischia dicreare una sorta di creative divide tra le comunitàdi élite creative, che traggono vantaggio dall’affer-5 - In queste aree gentrificate i valori culturali urbani sonospesso rimpiazzati da altri che rispondono a logiche più commercialie lo stile di vita prende il posto dell’impegno civico(Zukin 1995). In questi casi, come sostengono molti ricercatori,“shopping malls e spazi per l’intrattenimento notturno sostituisconole gallerie tradizionali, i musei e i centri civici con il risultatodi una ‘banalizzazione’ o ‘tematizzazione’ di esperienzeurbane che fa venire meno il potenziale creativo e distintivo diun luogo” (Ghilardi 2008: 3).Fotografiadi Fabio Mantovani29


Città della cultura, Cultura della cittàmarsi dell’economia della creatività, e le fasce socialipiù deboli che ne sono escluse e penalizzate.Le città creative nel contesto italianoLe scelte di politica del territorio tese alla riconversionedei centri urbani in città creative ha toccatosolo marginalmente le città italiane che pure sono,storicamente, dotate sia di patrimoni artistici e architettonicie di risorse culturali (spesso, purtroppo,poco o male valorizzate) superiori alla media dellecittà concorrenti sia di centri urbani con un’identitàriconoscibile e sufficientemente integra (MartinottiTinagli e Sacco 2009). Le ragioni che hanno rallentatoquesto processo sono strettamente correlatealla debole presenza di alcuni dei pre-requisiti chehanno favorito lo sviluppo delle città creative. La situazioneitaliana è caratterizzata principalmente da:∙ città con infrastrutture e imprese culturali e innovativeframmentate e di piccole dimensioni che fannofatica ad internazionalizzarsi da sole;∙ un ceto politico mediamente riluttante ad intraprendereprogetti che hanno dei ritorni che superanole scadenze elettorali più ravvicinate;∙ un ceto imprenditoriale mediamente poco innovativoe istituti finanziari con scarsa propensionead investire capitali di rischio in iniziative nei settoridella creatività;∙ una regolamentazione troppo rigida e burocratizzata;∙ l’assenza di significativi processi di integrazionee cittadinanza attiva dei nuovi residenti, portatori diculture diverse con forti elementi di novità;∙ una pubblica amministrazione nella quale permangonomodalità di intervento routinarie e inadeguatealle nuove necessità. Il ritardo con cui lecittà italiane stanno adottando politiche urbane perposizionarsi quali città creative può costituire unvantaggio relativo se questo ritardo sarà utilizzatoper rimuovere gli ostacoli, ora noti, e se le sceltepolitiche sarranno in grado di ridurre al minimo leconseguenze negative legate ai rischi potenzialipiù sopra ricordati. Le amministrazioni pubblicheche ritengono di essere in condizione di affrontarela competizione globale tra le città per ottenererisultati efficaci, non solo nel breve ma anche nelmedio e lungo periodo, devono, oggi, adottare unastrategia che tenda alla creazione di città allo stessotempo creative, sostenibili e inclusive.Da un lato, il punto di vista della cultura, creatività,innovazione deve essere considerato strategico nelprocesso di definizione delle politiche di sviluppourbano. Dall’altro, si devono attivare processi decisionaliinclusivi che vedano la partecipazione siadei residenti sia dei diversi attori sociali coinvolticon l’obiettivo di progettare uno sviluppo urbanopartecipato in cui sia garantita un’alta qualità divivibilità del centro storico e degli altri quartieri ein cui siano presenti strutture e servizi che facilitinol’apertura alle influenze esterne. La messa incampo di iniziative tese a incrementare lo sviluppodelle professioni, delle imprese e delle istituzionicreative e innovative a partire dal territorio creerà ipre-requisiti per realizzare un ambiente creativo attraentee in grado di incrementare la massa criticadei creativi. Sull’esempio di quanto realizzato in altripaesi, le città italiane si dovranno dotare di alcunistrumenti specifici, quali un’Agenzia di sviluppo territorialeper la Creatività, a cui le istituzioni pubblichee private riconoscano un ruolo pro-attivo, nonunicamente di coordinamento. Da ultimo, semprein una logica politica e istituzionale, è utile ricordareche la creatività non è solo una caratteristica peculiaredella produzione artistica, ma può essereconsiderata anche come l’invenzione di modi innovativiper risolvere i problemi. Partendo da questadefinizione è importante che le istituzioni si impegninoa introdurre metodologie creative, in quantoinnovative, all’interno dei processi decisionali cheriguardano gli ambiti dell’agire politico, economicoe sociale. L’adozione di una logica creativa daparte delle istituzioni del territorio é opportuna soprattuttonella situazione attuale in cui le soluzionitradizionali non sono più in grado di fornire risposteadeguate alle nuove domande poste in tutti i campidell’agire sociale (Grandi 2010). Il raggiungimentodi un equilibrio tra lo sviluppo di forme diffusedi creatività adeguate alle esigenze dell’economiadella conoscenza e la vivibilità e coesione socialedei centri urbani deve costituire l’obiettivo condivisosia dai cittadini sia dalle istituzioni pubbliche eprivate.Roberto GrandiDocente di Sociologia dei Processi Culturali e ComunicativiUniversità di Bologna30


GIANFRANCO FRANZZero risorse.La rigenerazione urbana come atto virtuosoJosé Mourinho, tanto vincente quanto antipaticoallenatore di calcio, verrà per sempre ricordato inItalia per il sarcastico ammonimento: ‘zero tituli’, conil quale, qualche anno addietro, zittiva allenatori epresidenti di squadre tanto blasonate quanto in crisidi risultati.Anche le città italiane, in termini di riqualificazioneurbana, sono generalmente in crisi di risultati daalmeno vent’anni. Qualche buon progetto è statorealizzato in non poche città italiane; più raramenteprogrammi complessi e integrati, promossi dagliinizi degli anni ’90, anche con una notevole varietàdi strumenti, di processi, di obiettivi e di forme partenariali,sono stati portati davvero a compimento.Come da tempo è noto a chi si occupa di politicheurbane, programmi complessi e progetti urbani integrati,l’Italia, in due decenni, ha colmato un notevolegap tecnico, in termini di strumentazioni disponibilie di nuove procedure praticabili. Grazie alleinnovazioni tecniche, giuridiche e culturali dei primiFotografiadi Riccardo Vlahov31


GIANFRANCO FRANZanni ‘90, tanto le amministrazioni locali, quanto leimprese e i cosiddetti operatori immobiliari, hannopotuto affrontare il problema della trasformazioneurbana in forme più appropriate rispetto al ritardoche si era accumulato fra la fine degli anni ’80 ei primi anni seguenti Tangentopoli. Quel che oggipossiamo osservare è come, ancora una volta, siavenuta a mancare l’implementazione, la virtuosa attitudinea portare a termine le imprese avviate.La sfida dell’ammodernamento della città, attraversoil riuso delle aree produttive dismesse, in buonasostanza, non è stata vinta. Alcuni casi, anche notevoli,addirittura avviati nella seconda metà deglianni ’80, sono stati infine portati a termine con successo;alcuni quartieri di edilizia pubblica sono statiriqualificati assumendo la rilevanza di vera e propriabuona pratica. Ma se comparassimo i risultati italianicon quelli ottenuti da altri paesi europei (Francia,Germania, Regno Unito, ma anche Olanda e paesiscandinavi) non avremmo di che compiacerci. Sequesto vale per la cosiddetta riqualificazione urbana,quella cioè in cui siamo stati relativamentepiù efficaci, finalizzata al recupero físico-spaziale,urbanistico-edilizio, ancor meno brillanti siamo statirispetto al tema e alle sfide poste dalla rigenerazioneurbana, più immateriale, meno fondata sull’urbanisticae sulle opere pubbliche e più orientata all’azionesociale generativa.In questi due decenni, rispetto ai nostri partner, maanche competitori, europei ci è mancata sia unaforte politica di Stato per l’ammodernamento dellecittà (infrastrutture, reti, attrezzature pubbliche, ediliziaresidenziale pubblica, edilizia scolastica e universitaria),sia una politica di integrazione socialefinalizzata alla rigenerazione delle nostre città, unobiettivo che non si centra con i progetti di riqualificazione,ma con progetti sociali complessi e dilunga durata. Per capire il nostro ritardo è sufficientecomparare le politiche berlinesi, ma anche di cittàcome Anversa destinate ai quartieri abitati da immigratie la cecità de nostro approccio al tema immigrazione,dominato dalla infame legge Bossi-Fini. Acausa di questo stolido input del governo centrale leamministrazioni più attente e avanzate – raramentequelle governate dalla destra (ricordiamoci semprela barbarie delle panchine trevigiane di Gentilini) –si sono trovate nella più totale solitudine, mitigata daqualche positiva politica regionale.L’insostenibile perniciosità della riformadel Titolo V della CostituzioneIl ruolo dello Stato nella definizione di politiche e programmidi portata nazionale si è indebolito fino a diventarevera e propria assenza (che oggi possiamomisurare in tutta la sua gravità proprio nella vicendadel terremoto della Bassa <strong>Emilia</strong>na: Ferrara, conmilioni di danni e la propria infrastruttura poduttivafuori uso - Musei e monumenti -, non è stata neppureinserita nella lista dei Comuni terremotati, forseper consentire al Governo un esborso minore!). Lasostanziale attuale assenza dello Stato è frutto diuna lunga incultura della clase politica e non solo ilfrutto avvelenato della stagione berlusconiana. Perquanto riguarda le politiche nazionali, essa derivadal colpo di mano ai danni della Costituzione operatoal suo scadere dal Governo D’Alema, con lavelleitaria e oltremodo dannosa riforma del Titolo V.Così, dopo la sciocca gara a chi era più federalista(vinta da nessuno e persa dallo Stato), oggi abbiamoda una parte una Amministrazione Centralesempre più disimpegnata da temi e problemi che,per la loro rilevanza, non possono essere delegatialla scala dei governi regionali e, dall’altra Regionivirtuose che suppliscono in termini di innovazione,ma ben poco possono in termini di capacità finanziaria.Una situazione attualmente aggravata dallecondizioni di crisi della finanza pubblica e dalla generalizzatarecessione dell’economia nazionale.Economia, economia urbana e cittàLa città è uno di questi temi/problemi, sia nella suadimensione fisica e spaziale, sia nella sua dimensionesociale e relazionale, sia, infine, per il suocarattere di condensatore di un immenso stock dicapitale fisso. L’accumulazione di questo stock dicapitale fisso, pubblico e privato, insieme al livellodi capitale sociale e culturale, rappresenta la ricchezzadi una città, accumulata in decenni e secoli,ma la cui rotazione e rigenerazione non può conosceresoste, pena una rapida obsolescenza, quindiun progressivo depauperamento e la decadenza.è un processo da me osservato e definito, in un testosulla manutenzione urbana, come ‘la síndromedi Montevideo‘: la capitale dell’Uruguay, nel volgeredi non più di tre decenni, accumulò un incredibilestock di capitale urbano, fisso e culturale, che, altermine della Seconda Guerra Mondiale, non sep-32


Zero risorse.La rigenerazione urbana come atto virtuosope più far ruotare e rigenerare. Oggi quel capitalefisso è ancora pienamente percepibile, ma sempremeno fruibile, perchè invecchiato senza manutenzione,senza rinnovamento, senza trasformazione,malgrado alcuni interventi anche di grande valore,ma insufficienti per portata e massa critica a invertirela parabola di declino, mentre la società si è cristallizzata,diventando sempre più autoreferenzialee in qualche modo sterile, non trovando più risorseed energie per rigenerarsi. Oggi le nostre cittàavrebbero bisogno di un colossale impegno politicoe decenni di investimenti ancora in riqualificazioneurbana (fisica, infrastrutturale e spaziale), finalmentein rigenerazione urbana (sostenendo giovani eimmigrati), e seriamente in innovazione tecnologica(la cosiddetta Smart City).gli anziani, soggetta al digital divide e quindi al ritardo,alla marginalità, alla fruizione di servizi di tipotradizionale e quindi via via in perdita di peso e diqualità;b) la parte stabile e stabilizzata di immigrati, sia perfavorire le potenzialità di questi nuovi cittadini, sia Fotografiadi Riccardo VlahovZero risorse = Zero tituliPurtroppo la città, come tutta la società italiana, stafacendo i conti con quanto ci ha lasciato la pagliacciatadel decennio berlusconiano. Ci sono scarsissimerisorse, non ce ne saranno per lungo tempo enon ce ne saranno per tutti. Il che, rispetto a quantoci sarebbe da fare equivale a dire: zero risorse equindi zero tituli. La città italiana, infatti, oggi avrebbebisogno di una potente iniezione di politichekeynesiane:∙ attraverso riedizioni attaulizzate e autentiche delPiano Ina-Casa di Amintore Fanfani (che almeno ciha lasciato le migliori periferie residenziali degli ultimi60 anni!), e non attraverso il risibile Piano Casaberlusconiano;∙ rieditando i PRU del 1994 in luogo del lancio delpatetico perchè velleitario Piano Città di Monti ePassera, messo a punto dagli ‘edili’ e dagli immobiliaristiin crisi da risultati e a sostegno del qualesono stati rastrellati quattro soldi dalla spending review,che si riveleranno inspendibili;∙ anche attraverso piani di alfabetizzazione digitaledi massa analoghi a quelli che, fra gli anni ’60 e’70, portarono all’ampliamento della scolarizzazione(e, per inciso, alla realizzazione di migliaia di scuole,palestre, piscine, mense), al recupero di coloroche possedevano titoli insufficienti al mercato dellavoro di quegli anni (le famose 150 ore e le scuoleserali per lavoratori). Oggi però il duplice obiettivodovrebbe essere:a) la quota abnorme di società italiana, compresi33


GIANFRANCO FRANZper procedere più rapidamente verso una ineludibileintegrazione (usando i figli come leva sui genitorie ringraziando Mario Balotelli se i giovani nati o cresciutiin Italia potranno ottenere, in tempi e in modifinalmente civili, la cittadinanza, a dimostrazione, ricordandoil grande Ennio Flaiano, che la situazionedel Paese continua purtroppo a restare grave manon seria!);∙ infine, attraverso piani di infrastrutturazione rapidaanaloghi a quelli che videro in pochi anni la cosiddettaItalietta post unitaria intelaiare il Paese di ferroviee quella democristiana del Boom economicorealizzare l’Autostrada del Sole in soli quattro anni.Ma stavolta il Paese si dovrebbe impegnare nell’infrastrutturazionedigitale, prima ancora che implementaree ammodernare le infrastrutture tradizionali(ferrovie e acquedotti in primis). Ci vorrebbe cioèl’impegno di miliardi di Euro, in luogo delle pochecentinaia di milioni messe a dispisizione dai MinistriPassera e Profumo su Smart City e Distretti tecnologici.Resta il rovello su come finanziare politiche neokeynesiane:con altro e impossibile indebitamento?,con la defiscalizzazione?, con la lotta all’evasione?Non sta a me, che economista non sono, capirlo etrovare il modo. In ogni caso, questo sarebbe l’unicomodo. E quindi non sarà. Perchè le risorse realmentenon ci sono in cassa (e per recuperarle daglievasori fiscali bisognerebbe agire manu militari) eperchè le politiche neo-keynesiane non sono ancoranelle corde della classe dirigente europea, intossicatada trent’anni di retorica neo-liberista, tantonella inadeguata sfera politica, quanto nell’eccedente,debordante e ormai kafkiana tecno-struttura,sempre più autoreferenziale e piena di incrostazionicon cordate, gruppi e reti di interessi.Perchè rigenerazione come atto virtuosoVedremo invece una corsa generalizzata al titolodi Smart City. Una corsa competitiva, meritocraticae premiale (almeno a parole). Alcuni avrannole risorse, naturalmente non determinanti perchèinsufficienti, altri no. Alcuni potranno far qualcosa,altri continueranno ad affondare, zavorrando il Paese.Non vedremo invece che scarsi risultati e ditestimonianza sul fronte rigenerazione urbana, malgradol’emergenza occupazione sia il tema centraledei prossimi anni. Le principali esperienze nord-europeedi rigenerazione urbana sono state prodotteproprio per affrontare fenomeni di forte disoccupazioneinsieme a contesti di esclusione etnico-razzialee spaziale. Persino la Francia è riuscita ad affrontarela rigenerazione affrancandola dalla logica deilavori pubblici. Ma anche l’Amministrazione Clintonavviò, parallelamente alle condizioni che permiseropoi il boom (e anche la bolla) di internet e dell’economiadigitale, una rimarchevole politica di rigenerazionedelle Inner Cities statunitensi attraversoprocessi di rigenerazione e di sostegno ai cosiddettiSmall Business (piccole attività commerciali, attivitàdi servizio alla persona, start up tecnologiche abasso costo, ecc.).Rigenerare la città con questi target sociali e questiobiettivi risulterebbe virtuoso perchè richiederebberisorse importanti, ma diluite nel tempo, piuttostoche massicciamente mobilizzate, come invecerichiesto dalla logica urbanistica/lavori pubblici.Come insegna il caso di Napoli, riqualificare parzialmenteo rigenerare a tempo breve non serve a granchè;anzi, serve a produrre un pernicioso senso difrustrazione negli operatori, in chi partecipa, nei beneficiari.Le politiche rigenerative richiedono tantotempo e danno risultati poco o nulla visibili in chi èabituato a valutare i successi delle amministrazionidal taglio dei nastri, e dalle opere realizzate e in chiha come rete privilegiata di interlocutori la filiera dellecostruzioni e del cemento. Rigenerazione comepratica virtuosa perchè oltre che ad intervenire nellaparte più sofferente della società urbana, interverrebbeanche in quella con le maggiori potenzialità: igiovani e gli immigrati con le maggiori prababilità disuccesso. Ma la nostra società dovrebbe accettarel’idea del rischio e quindi di investire denaro pubblicoin iniziative che possono anche fallire e possonofallire in gran numero perchè ancora di più ne vengonosostenute e lanciate.Purtroppo a prevalere sarà ancora una volta la logicaburocratica secondo la quale è meglio investiremilioni di Euro in organi, personale e procedure dicontrollo e valutazione preventiva, di monitoraggioe di rendicontazione piuttosto che investire produttivamentein iniziative ad ampio raggio. Così, anchenelle pratiche di sostegno alle micro-imprese e diincubazione di start up, che tanto potrebbero fare34


Zero risorse.La rigenerazione urbana come atto virtuosoper rigenerare le nostre città, prevale un atteggiamentodi prudenza e di formale salvaguardia delleprocedure che conduce al tipico risultato dellamontagna che produce topolini. Non diversamenteda quanto accade per una infinità di progetti europei,i cui risultati, esposti in notevoli pubblicazioni inquadricromia, sono spesso di una banalità e di unainutilità sconcertanti.Smart City e Small BusinessDovremmo avere la capacità e l’umiltà (di cui difettiamo,sapendoci in difetto) di declinare l’obiettivodell’innovazione tecnologica (assolutamente necessaria!)insieme a quello del sostegno alla popolazionesvantaggiata. Invece, siccome siamo presuntuosie riteniamo di non dover imparare nulla daDanesi, Olandesi, Finlandesi, ci concentremo sugliaspetti nominalmente e mediaticamente più appaganti,relegando gli obiettivi di rigenerazione socialeagli scarsi e spuntati mezzi degli assessorati aiservizi sociali. E’ per questo che nel nostro Paese,a differenza dei nostri partner (ma anche competitori!)europei, scarseggiano le politiche a favoredella donna e della famiglia, a sostegno attivo dellapopolazione disoccupata, a sostegno degli immigrati.Su questi soggetti si dovrebbe puntare, siaper ottenere una utile (in termini urbani) diffusione dimicro-attività e micro-imprese, sia per diffondere eampliare le potenzialità della tecnología.Cosa faremo? Esattamente il contrario, perchè questoè quello che è nelle corde e nel DNA del Paese.Si finanzieranno – anche se in modo del tutto insufficiente– progetti faraonici e retoricamente presentati,affinchè risultino catartici, risolutivi, più avanzatidell’orizzonte, sul modello dell’imbecille proposta diauditorium per L’Aquila, che potrà essere ricostruitasolo se sarà Smart, e sarà sicuramente Smartperchè il Governo ci mette qualche milioncino! Maintanto L’Aquila è ancora lì, completamente diruta.Faremo progetti di mobilità sostenibile e digitalmentegestita, coinvolgendo le grandi imprese delleTLC, le ‘sette sorelle’ delle ex municipalizzate, piùpomposamente dette multi-utilities, quindi trasferendole poche risorse pubbliche a chi dovrebbe invecetirare fuori risorse. Sulle convincenti performancedi personaggi auto-definitisi media guru, come ilCarlo Ratti che sembra ripetere i successi mediaticidi Richard Florida, si metteranno a punto progettidigitali e satellitari per risolvere la mobilità e il trafficodelle città italiane, dimenticando quanto tempo, apartire dalla Legge Tognoli, abbiamo sprecato mentrein Europa si costruivano parcheggi interrati, parcheggiscambiatori, metropolitane, filobus, tramvie.Si faranno straordinari progetti di innovazione tecnologicanel settore dell’energia, coinvolgendo Eni,Enel, Edison e alcune città, chissà come selezionate,senza investire prima e più massicciamente sulrisparmio energetico e sulla riduzione dei consumi.Così punteremo, almeno nominalmente, sulle innovazionitecnologiche per l’energia, mentre stiamoinfestando la pianura agricola di scellerati impiantidi bio-masse e bio-gas, la cui produzione energeticaè del tutto inutile, parassitaria e drogata da insostenibiliincentivi finanziari.In molte città d’Europa, ma anche negli USA le politichedi rigenerazione urbana sono state implementatein quartieri marginali, abitati da residenti marginali.In molti casi, come in quello ormai celebredi South of the Market di San Francisco, sono statecreate apposite agenzie non profit che impiegavanopersonale altamente specializzato e fondi pubblicio donazioni di fondazioni, utilizzando sofisticatetecniche di business plan, gestione aziendale eGIS per il monitoraggio, applicando tutto questo allepiù svariate attività: acconciatori, bar, piccoli negozidi alimentari, start up anche tecnologiche, ma dipiccola e piccolissima scala. Ad Anversa sono statiassegnati finanziamenti e micro-prestiti per l’autoriabilitazionedegli alloggi di immigrati, prevedendol’apertura di attività commerciali e artigianali pocosopra la soglia della sussistenza, operando secondouna logica a macchia di leopardo, incurantidell’omogeneità del risultato a livello di quartiere. Inmolti luoghi del mondo, anche a New York, la GrameenBank ha promosso rigenerazione attraversomicro-prestiti a residenti altrimenti considerati dropout, espulsi dal sistema. Sempre ad Anversa sonostati realizzati corsi di formazione e di aggiornamentoall’interno dei quartieri in crisi o, alla francese:sensibili.Potremmo esserne capaci in Italia e in <strong>Emilia</strong>-Romagna?Sì, ma a patto di saper sospendere se nonproprio azzerare i labirinti normativi che difendonole corporazioni nostrane, dai tassisti ai commercianti,dagli artigiani ai professionisti. Non a caso,in Francia, nel 1997, si inventarono le Zones Fran-35


Zero risorse.La rigenerazione urbana come atto virtuosoches Urbaines, aree sottoposte a regolazione specialee temporanea. Messa così, la questione apparecome una fatica di Sisifo. Se davvero in Italiasi volesse operare in una logica di rigenerazioneurbana, per gli ultimi o i penultimi, si dovrebberomobilitare operatori sociali esperti di promozionee non di assitenza; si dovrebbero mobilitare facilitatorie formatori, uscendo dalle perverse logichedella formazione istituzionalizzata e ingessata nelleformule del Fondo Sociale Europeo, che premianoe garantiscono, con un fiume di soldi mal impiegati,il reddito ai formatori piuttosto che ai veri obiettividella formazione, mantenendo inutili centri di formazione,patronati sindacali e corporativi, afferentialle varie rappresentanze di categoria. Si dovrebberoimpiegare esperti di economia non profit che lenostre università producono in numero insufficiente,essendo i corsi di laurea in Economia ancora concentratiin offerte formative non adeguate ai tempie agli effetti della crisi. Si dovrebbe avere il coraggioe la capacità politica di azzerare o sospenderei regolamenti delle attività commerciali, gli assurdilabirinti normativi della fiscalità e dell’accesso agliordini professionali. Come in molte città d’Europa edel mondo si dovrebbe permettere l’apertura, piuttostoche imporre il contingentamento e gli orari diesercizio, di attività commerciali le più varie, favorendoil formarsi di ‘cluster spontanei’ di commercioe artigianato capaci di rivitalizzare e vivacizzarequartieri negletti e privi di vitalità. Bisognerebbe impiegarepersonale capace di fungere da interfacciafra le persone da mobilitare e attivare socialmentee produttivamente e gli uffici preposti al rilascio didocumentazioni, permessi, licenze (che comunquesarebbe meglio azzerare o sospendere sine die).Le politiche e i programmi di rigenerazione urbanahanno bisogno di risorse finanziarie, ma soprattuttodi volontà riformatrice e di innovazione; devono esserepensate per sostenere coloro che più soffronola crisi, coloro che hanno perso il posto di lavoroo che non riescono a trovarne uno; devono esserepensati per alleviare le sofferenze economichedegli ultimi piuttosto che per sostenere coloro chesono già in attività, seppur sofferenti anch’essi, piuttostoche per avviare le nostre città verso nuovi ecompetitivi futuri urbani. Devono, soprattutto, essereformulati attraverso processi veri di integrazionefra i settori dei servizi sociali, della formazione, delleattività commerciali e dell’urbanistica, senza chealcuno di tali servizi e assessorati prenda il sopravventosugli altri. Con le politiche di rigenerazione e ilsostegno agli Small Business non si procederebbenell’ottica di azioni strategiche per la competitivitàdelle città e del Paese. Queste politiche avrebberobisogno di altri programmi e di altri finanziamenti,come appunto quelli destinati alla Smart City, anchese totalmente insufficienti. Non è attraverso la rigenerazioneurbana che si potrebbe attuare una politicadi rilancio strategico e competitivo del Paese. Enon sarebbe neanche intelligente pensarlo.Le città italiane, in questo momento, avrebbero bisognodi un grande sforzo di investimento seguendodue binari non necessariamente coerenti fra loro:da una parte il grande business dell’innovazione infrastrutturalee tecnologica (che si fa con i miliardidi Euro e non con i ‘bruscolini’, anche se generosied intelligenti, messi a disposizione da questo Governo);dall’altra, gli Small Business, i micro aiuti permicro imprese per i milioni di persone ormai fuoridal mercato del lavoro e che probabilmente mai piùtroveranno un impiego così come per decenni loabbiamo tutti immaginato e interpretato. Per questamoltitudine, pensare e parlare di strategie di competitivitàe di innovazione non significa nulla, nonavrebbe alcun impatto e non produrrebbe alcunbeneficio. Per i motivi che ho elencato, una politicadi rigenerazione urbana si palesa come un’impresatitanica, forse impossibile da immaginare e implementaree, per questo, virtuosa. Troppe sono ancorale incrostazioni e i ritardi culturali, sia a livellopolitico, sia tecnico-amministrativo, troppo grandeè ancora l’amore per le procedure, i regolamenti, legaranzie, le sicurezze, le grandi pianificazioni. Fraqualche anno, quasi certamente, potremo contaree soppesare i topolini prodotti sull’onda delle retoricheSmart, mentre quasi altrettanto certamentestaremo ancora a discettare di cosa si debba fareper la rigenerazione urbana. Zero risorse, ma anchezero voglia di rischiare e scompaginare le regole.E quindi: zero tituli.Gianfranco FranzDocente di Economia Urbana e Regionale e di Politiche Urbane e Territoriali.Università di Ferrara36


ANNA ELISA FANOServizi ecosistemici e biodiversità urbana.Risposte e strumenti a basso costoper la qualità urbanaGli urbanisti Sumeri che costruirono la città di Ur,una delle più antiche città del mondo che si stimaall’inizio del III millenio a.C. avesse circa 65.000abitanti, non si rendevano certo conto di costruireun “Ecosistema Urbano”; così come gli agricoltoriatzechi non avevano idea di “mantenere ed accrescerela biodiversità urbana” coltivando ortaggisulle “chinampas”, zolle di terra galleggianti sulleacque basse del lago di Texcoco nel quale era costruitala città precolombiana di Tenochtitlan. AncheSemiramide, che secondo la tradizione fececostruire i “Giardini pensili” di Babilonia vicinoalla Porta Ishtar (o più probabilmente il fautore delprogetto fu Nabucodonosor II nel 590 a.C.) nonFotografiadi Rhodri Jones37


ANNA ELISA FANOsi rendeva conto di incrementare la «BiodiversitàUrbana», e di propugnare una «Megalopoli Sostenibile»sulle rive del l’Eufrate, megalopoli cheall’epoca di Alessandro Magno contava circa unmilione di persone (350 a.C.).Bisogna arrivare a Eugene P. Odum (1969), padredella moderna Ecologia, per immaginare un Ecosistemacome un Sistema termodinamico, apertoverso un ambiente esterno, parte integrante delsistema stesso, comprendente input ed output dimateriali ed energia.Tutto questo per spiegare che i temi degli EcosistemiUrbani e del ruolo delle Biodiversità Urbanache oggi ci sembrano importantissimi, fino a pochianni orsono erano assolutamente negletti e nellamigliore delle situazioni si pianificava l’assetto urbanosecondo i canoni del funzionalismo e dellozoning.Dobbiamo arrivare agli anni ’70 per dimostrarequanto ipotizzato da Odum (1969) che una cittàsia effettivamente un ecosistema, caratterizzatoda un ambiente di input e di output. Tale affermazionè è stata effettivamente stimata per la città diBruxelles nel 1977 (Duvigneaud and Denayeyer-De Smet, 1977), con la valutazione dei flussi dimateriali ed energia caratteristici. Anche noi abbiamostimato quello che viene definito “metabolismourbano” per il Comune di Faenza. Utilizzandodati del 2011 abbiamo stimato i flussi in entratae in uscita di energia e materiali e il ricircolo cheavviene all’interno dell’ecosistema urbano, dimostrandocome sia possibile l’equilibrio termodinamicofra ingressi ed uscite se si attua una correttagestione di ricircolo e riuso (trattamento differenziato)e di emissioni in atmosfera.All’inizio degli anni ’90 (Costanza and Daly, 1992)viene pubblicato un nuovo dogma: gli ecosisteminaturali forniscono gratuitamente beni e servizialla società umana.I servizi sono riconducibili alle funzioni degli ecosistemi:i processi che avvengono all’interno deglistessi ad opera della componente biologica,comunità (ad es. fotosintesi, riciclo dei nutrienti,decomposizione, ecc…).I beni sono ciò che ci viene materialmente fornitodagli ecosistemi (es. cibo) ed assieme allefunzioni, rappresentano “benefici gratuiti che lapopolazione umana può derivare, direttamenteo indirettamente, dalle caratteristiche strutturali efunzionali degli ecosistemi purché queste venganomantenute in alto valore di efficienza“, per ottenerequest’ultima condizione bisogna garantireagli ecosistemi una buona qualità ecologica.La quantificazione economica di tali servizi gratuitiè stata fatta dalla scuola economica americana diBob Costanza (Costanza et al. 1997). E a questopunto secondo i canoni classici della Economiapossiamo identificare il «capitale umano», rappresentatodal lavoro; il «capitale fisso», rappresentatoda quanto prodotto dall’uomo; il «capitale naturale»,rappresentato dalla natura che ci circonda,suddivisibile nei vari ecosistemi appunto.Tutti e tre questi capitali concorrono al PIL, ancheil capitale naturale (Costanza et al. 2009).Normalmente però il fatto che, ad esempio, abbiamobisogno di ossigeno per vivere, che gratuitamenteci è fornito dalla fotosintesi clorofillianaoperata dalle piante non ci tocca! Ci toccherebbesicuramente se dovessimo andare al supermercatoa comprare una bombola di ossigeno mistoad azoto, vapor d’acqua e altri gas in bassissimeconcentrazioni…Nel 2005 è stato pubblicato il risultato del MillenniumEcosystem Assessment (MA), un progetto diquattro anni di studio che ha coinvolto circa 1300ricercatori di tutto il mondo volto ad approfondirele tematiche ambientali in un’ottica sociale, cheha dimostrato come la Qualità della Vita sia piùalta in relazione all’incremento della Biodiversitàe del Valore dei Servizi ecosistemici, quindi il BenessereUmano dipende anche dalla possibilità didisporre e di utilizzare il Capitale Naturale.Tutti gli argomenti fin qui trattati, invece di portarel’opinione pubblica ad una maggiore consapevolezzaambientale, sono stati utilizzati da alcuniambientalisti che hanno spinto all’eccesso la pocaattenzione per l’ambiente urbano e questo ha determinatocome risultato una visione secondo laquale l’ambiente selvatico (wild nature) o intoccatoha molto più valore rispetto a quello antropico.Secondo questo approccio la popolazione è consideratacome il problema di fondo, e la soluzioneè quella di allontanare gli esseri umani dai siti odagli ambienti naturali in modo da proteggere opreservare questi ultimi, in altri termini c’è statauna forte spinta al conservazionismo ad oltranza38


Servizi ecosistemici e biodiversità urbanacon la natura messa sotto teca e resa intoccabile.Di conseguenza i veri nemici della natura sonoconsiderati l’inurbamento e l’urbanizzazione, e diqui le “città” viste come acerrime nemiche della“natura”.è opportuno invece, allontanarci da queste posizionie ritornare alla comprensione di come la diversitàculturale e la biodiversità, possano essereconiugate per determinare ecosistemi urbani resilientie sostenibili; resilienti nel senso ecologicodel termine che sta a significare la possibilità cheessi “ammortizzino” le pressioni esterne e ritorninorapidamente dopo un evento di disturbo, alla efficienzaprecedente; sostenibili, nel senso della ricercaappunto di un equilibrio fra gli input di energiae materiali e gli out dei medesimi nel sistemaesterno, si da non gravare troppo sullo stesso siain termini di richieste sia in termini di “inquinamento”(Berkes et al. 2003, Standish et al <strong>2012</strong>).L’ultimo nodo concettuale da sciogliere quindi,diventa se sia preferibile costruire una «compactcity» caratterizzata da un’alta densità abitativa eda una marcata centralizzazione dei servizi conuna riduzione del territorio occupato dall’insediamentourbano e una riduzione delle dipendenzadai trasporti per lo svolgimento delle attività.Oppure privilegiare un «urban sprawl» con vastiterritori interessati dalla urbanizzazione e conuna forte dipendenza delle attività dai trasporti.Questo modello ultimo di fatto si suddivide in duesottogruppi, il primo caratterizzato da medio/bassadensità ma con piccoli centri clusterizzati edorganizzati sul territorio, all’interno di una matricenaturale/seminaturale/rinaturata.Il secondo sottogruppo invece è la distribuzionelarga e non clusterizzata delle abitazioni con bassadensità abitativa.Esempio del primo tipo (città compatta ad altadensità abitativa) la città di Singapore (Repubblicadi Singapore) con una superficie di 6<strong>41</strong> km²,5.076.700 abitanti (dati 2010) e quindi una densitàdi 7919.97 ab/km2; esempio del secondo tipo(media/bassa densità abitativa, inframmezzata daampie zone di natura non urbana) la città Londra(Regno Unito) con una superficie di 1 572,1 km²,7 825 200 abitanti (dati 2010) e quindi una densitàdi 4977.55 ab/km2; ed infine un utopistico modellocaratterizzato da ancora più bassa densità abitativacon villette sparse nel verde del territorio.Il giudizio dell’ecologo su questo tema, facendoricorso alla Teoria ecologica dell’Isole Biogeografiche(MacArthur and Wilson, 1967), è che si deveprediligere il sistema urbano che dia garanzia delpossibile mantenimento di spazi naturali, seminaturali,artificiali e rinaturati («infrastrutture verdi»)all’interno del territorio urbano in modo tale chequesti conservino i servizi (processi) che possonoessere gratuitamente offerti da queste aree alla«città» (Benedict and MacMahon, 2002) comedimostrato per Edimburgo, Glasgow, Leicester,Oxford e Sheffield (Tratalos et al 2007), quindi lascelta va verso il modello due (primo sottogruppodell’urban sprawl) con una matrice di natura nonurbana che contiene piccoli nuclei organizzati urbanicon conseguente medio/bassa densità abitativa.La distribuzione delle zone verdi deve essere rigorosamentecaratterizzata da nodi e corridoi ecologicisecondo le Teorie di Ecologia del Paesaggio.Partendo dal presupposto che analizzando 29grandi città dell’area Baltica è stato dimostrato(Bolund and Hunhammar, 1999) che l’area di sostegnoin materiali ed energia (il sistema esternodi input ed output secondo Odum, 1969 descrittoprima) di queste città è di circa 500-1000 piùgrande dell’area metropolitana medesima, qualisono questi patch naturali o assimilati ad essi, chemantenuti all’interno del territorio urbano possonooffrire servizi gratuiti alla città e quindi diminuirele esigenze in ingresso ed in uscita in termini dimateriali ed energia? Sono distinguibili aree blu(sistemi acquatici) e aree verdi (sistemi terrestri).Sono ascrivibili alle prime i laghi e le coste marine,i fiumi che passano nel territorio urbano, i canalie le zone umide tipo stagni, paludi, ecc. Fannoparte delle seconde i boschi urbani, i parchi, lezone coltivate ed infine i giardini e piazze e stradealberate.E quali sono i servizi gratuiti generati da questearee?Filtraggio dell’aria, Regolazione del microclima allivello della città, Riduzione del rumore, Drenaggiodello scorrimento superficiale di acqua piovana,Trattamento dei reflui, Benessere culturale, edonistico,sportivo (ricreazionistico).39


ANNA ELISA FANOFotografiadi Rhodri JonesVediamo qualche dato sperimentale relativamenteal primo servizio: il filtraggio dell’aria da parte degliorganismi vegetali.è stato dimostrato che la capacità di filtraggio dipendedalla superficie fogliare e che in genere lacapacità aumenta all’aumentare della dimensionedel vegetale.Quindi genericamente alberi più efficienti di piccoliarbusti, e latifoglie più efficienti di aghifoglie.Qui entra in gioco la biodiversità, infatti non bastaun filare di alberi sul bordo della strada ad abbatterele polveri prodotte dal traffico veicolare, maper garantire una efficiente opera di bonifica è necessarioche ci sia una diversificazione architettonicadella struttura verde ed una diversificazionespecifica della medesima. La diversificazionespaziale garantisce l’abbattimento del particolatoa diversi livelli di altezza dal manto stradale, ladiversificazione tassonomica corrisponde a possibilidiverse efficienze di assorbimento da partedi specie differenti e ad una specifica differenteefficienza per diversi inquinanti (polveri sottili, anidridecarbonica, ozono, anidride solforosa, ecc.).In India a Bangalore, è stato dimostrato (Nagendraand Gopal, 2010) che la migliore performancedi abbattimento di PM10 e di assimilazione di CO2si osserva nei viali alberati misti, caratterizzati daalberi di alto fusto con chiome complesse alter-<strong>40</strong>


Servizi ecosistemici e biodiversità urbananati ad alberi più bassi con chiome più piccole,rispetto a strade alberate con alberi più piccoli odi unica tipologia e misura, questo perché la complessitàmaggiore crea un più ampio schermo verdee la massima efficacia specifico dipendente. Ingenerale un ettaro di bosco misto, composto davarie latifoglie compresi gli arbusti del sottobosco,può rimuovere 15 tonnellate di particolato di origineveicolare per anno, mentre un bosco monospecificodi abeti filtra da due a tre volte di meno.In termini economici, gli alberi della regione diChicago sono stati stimati rimuovere circa 5500tonnellate di inquinanti differenti dall’atmosfera,determinando un vantaggio economico di 9 milionidi dollari/anno (MacPhearson et al. 1997).Manes e coll. (<strong>2012</strong>) dimostrano che nella cittàdi Roma la presenza di boschi urbani (Villa Ada,Villa Borghese, Castel Fusano, Castel Porziano)diminuisce significativamente l’ozono troposfericonelle zone circostanti, rispetto a siti di controllolontani dalle zone vegetate. Inoltre la tipologiaboschiva risulta determinante nella utilizzazionedell’O3. L’insieme più efficiente risulta il bosco mistodeciduo (rappresentato per lo più da Q. cerris,Q. frainetto, Tilia cordata, Platanus x acerifolia, eRobinia pseudoacacia), rispetto al bosco sempreverde (rappresentato prevalentemente da Q. ilexe Q. suber) e al bosco di conifere (rappresentatoda pinete di Pinus italicus) a dimostrazione ulterioredel ruolo determinante della diversità nel determinareservizi ecosistemici.Risultati analoghi sono stati ottenuti in Inghilterrarispetto alle PM10 (MacDonald et al 2007).Relativamente al secondo servizio offerto, la presenzadi un’isola di calore in città è cosa notoriadi fatto la temperatura in zona urbana è più altaalmeno di 2-3°C rispetto alle zone extraurbane onaturali circostanti (Solecki et al 2005).E’ stato largamente dimostrato come il verde urbanocon la sua azione di evapotraspirazioneabbassi significativamente la temperatura in areeurbane soprattutto nei periodi di massima vegetazione,tale azione di mitigazione è funzione delladimensione dei patch verdi (Hamada and Ohta2010). Li et al. (<strong>2012</strong>) a Beijing (Pechino) capitaledella Repubblica Popolare cinese, hanno dimostratoche non solo la dimensione dello spazio verdedetermina l’abbassamento della temperaturaal suolo in aree urbane, ma anche la distribuzionedelle specie vegetali (maggiore diversificazionevegetale/maggiore diminuzione termica), e la lorodensità nei patch (maggiore densità/maggiore mitigazione),ed infine la forma dei patch (massimamitigazione con patch verdi quanto più distribuitinello spazio). L’esempio migliore potrebbe esserequello delle piazze alberate miste londinesi…constrade altrettanto alberate miste, come corridoiecologici di interconnessione.Le green walls possono essere considerati parti diquesto green network?Sebbene esteticamente siano bellissime, il parereè negativo dal punto di vista ecologico, in quantotroppo omogenee dal punto di vista architetturale,sono prevalentemente costituite infatti di organismivegetali di differente specie ma di dimensionemolto simile, e troppo costruite per gli aspetti edonisticie non per quelli di incremento della diversificazioneecologica.è preferibile connettere piazze con giardini, magariarricchiti con vasche e canali, mediante vialialberati misti. L’incremento della biodiversità nongarantisce solamente la fornitura dei servizi primadefiniti, ma tutela la presenza diversificata dellafauna compresi gli uccelli insettivori, che nellevarie forme arboree/arbustive trovano spazio pernidificare, e compresi gli anfibi, potenti predatorianche di larve acquatiche di Zanzara tigre, infinecompresi alcuni insetti predatori che concorronoalla regolazione degli insetti nocivi/dannosi presentiin città.In conclusione il ruolo della biodiversità urbana èspesso misconosciuto e per dirla con una metaforadi Paul Erlich, uno dei padri della Ecologiaapplicata alla società:è come su un aereo in volo, se guardando dal finestrinovediamo i rivetti dell’ala saltare uno dopol’altro sotto l’azione dell’attrito con l’aria, sebbenesi sia certi che l’ala si staccherà dall’aereo, non sipuò dire in quale momento questo avverrà e qualesia il rivetto fondamentale, saltato il quale si staccheràtutto!Anna Elisa FanoDocente di EcologiaUniversità di Ferrara<strong>41</strong>


PASQUALE PERSICOMorire di RenditaIl punteruolo rosso: nell’odissea dello sviluppola rendita fondiaria è un naufragioFotografiadi Riccardo VlahovNell’odissea dello sviluppola rendita fondiaria è un naufragioLa città è anche il luogo della produzione della casae delle attrezzature urbane. La produzione dellacasa, e quindi anche della città e del territorio urbanizzato,si presenta oggi piena di grosse distorsionianche rispetto allo schema classico di funzionamentodel capitalismo e dell’accumulazione del capitale(produttivo in particolare).Una delle responsabilità maggiori spetta sicuramentealla rendita fondiaria, titolo giuridico con effettieconomici e sociali rilevanti. Nel valorizzarsi il capitaleinvestito nel settore delle costruzioni ha avutobisogno della città e del suo valore.Nella storia della valorizzazione del capitale investitonel settore, vi è una sorta di strabismo tra il processodi valorizzazione gestito dal promotore/i e il processodi valorizzazione gestito dall’impresa. L’industrializzazionedel costruire, e quindi la ricerca dell’efficaciae dell’efficienza, deve fare continuamentei conti con questo titolo giuridico che legandosianche a interessi finanziari speculativi finisce percondizionare fortemente la costruzione della città intelligente(consapevole e resiliente). La natura realedel denaro che arriva a pagare il prezzo del suolofinisce per oscurare il processo di determinazionedel prezzo che non va a remunerare fattori specificidi produzione della città, ma la rendita fondiariaantagonista rispetto alle finalità dell’accumulazioneallargata (anche nel senso non marxiano). Il denaroremunerativo, anche se dato nella forma di perequazioneper ambito ampio, appare nella fase di produzionedi usi privati e standard, ma sfugge subitodopo alla responsabilità etica del reinvestimento perla città mostrandosi come una trappola per la vitalitàurbana. In definitiva, la natura estranea della renditaal modo di produzione capitalistico, che insegue larealizzazione di economie di scala e di scopo, finisceper provocare naufragi continui del senso dellacittà che così perde resilienza, cioè capacità territorialedi riprendere il viaggio della sua storia, tenendoinsieme la geografia ecologica, la geografia politicae quella economica del territorio, fino alla perdita diidentità in termini di paesaggio.Finanza di Città e Sistemi UrbaniCon Finanza di Città si propone una rivisitazione delconcetto di città per evidenziare la necessità di ricorreread una visione allargata dei processi e perproporre, ad una scala dimensionale profondamentediversa, il tema del finanziamento dei progetti odella progettualità potenziale.Sebbene la finanza di progetto stia accelerando lasua fase operativa anche in Italia, i limiti di un approccioper progetti ai temi dello sviluppo e la necessitàper quest’ultimo di concepire la città come“infrastruttura”, si stanno mettendo in evidenza per la42


Morire di Renditacrisi fiscale degli stati. Ripensare al tema della città,e alla città reale in particolare, è una strada obbligata.Ripensare la città significa restituire ad essa unanuova funzione storica, fuori dalle nostalgie, fuori dailuoghi comuni, fuori dalle “mura” in cui normalmentesi finisce per chiudere i temi dell’identità urbana.La civiltà contemporanea ha bisogno di città, intesacome sviluppo del pensiero urbano; ha bisognodi fondere il suo desiderio di progresso e di accumulazioneculturale con l’ideale luogo immaginato,e nello stesso tempo esorcizzare tutte le paure delvivere nelle città globalizzate. La città è per questola rete dei luoghi a supporto degli uomini e delle loroorganizzazioni; spesso queste si evolvono temporaneamentein istituzioni durature che frequentementedefiniscono l’identità delle città. La Finanza di Cittàsi propone come visione operativa di accompagnamentoe di collegamento tra progetti urbani soft edhard, per fare entrare in campo la città stessa e darea questa una visione di luogo, dove spazio e tempopossono nuovamente essere percepiti temporaneamentein armonia. Le città contemporanee sonopiene di progetti ma questi non sono sempre uscitidal cilindro della pianificazione. Esse si presentanocome il prodotto di una vera e propria operazionedi bricolage che vede l’unione di molti pezzi di cittàche andranno a comporne l’effetto finale. Qui nonsi vuole proporre il solito schema di pianificazione,ma una nuova visione in cui la scala delle possibilitàsia decodificabile in base ad una dimensione,quella della finanza virtuosa contrapposta a quelladistorsiva, che possa ridurre l’asimmetria tra spazioe tempo e dare strumenti ulteriori al progetto di cittàche oggi appare dominato dalla finanza strabicache rende chiara solo a-posteriori l’idea di cittàin campo. Le persone offrono, anche attraverso leistituzioni e le organizzazioni, le proprie capacità; lecittà offrono le proprie strutture e il loro potenzialespazio regolato di comportamento; le competenzesi sviluppano insieme al consumo, la città cresce.Dai sistemi di relazione tra capacità individuali e collettivescaturisce il valore della città. Quindi, comeogni altro territorio o area vasta, la città producevalore legato al tipo di relazioni che potenzialmentesi possono sviluppare, questo valore è qualitativoe quantitativo e può essere visto come prodotto osomma di diverse componenti.Valore della città = V = Q x A / M o v = q + a – mDove v è il tasso istantaneo di aumento del valoredella città, q è il tasso di sviluppo della qualità dellerelazioni potenziali della città, a è il tasso di accelerazionedei processi innovativi nelle istituzioni e nelleorganizzazioni della città (progetti nuovi) e m è il tassodi inerzia dovuto all’aumento della complessitàorganizzativa delle funzioni urbane.Qui la rendita fondiaria mette in campo tutte le sueinsidie in termini di corpo estraneo alla razionalitàurbana. è evidente che per muovere in alto tale valoreoccorre rendere evidente una “intenzionalitàstrategica” cioè un volano di riferimento che dia l’ideache vi è uno spazio per accrescere le capacitàcompetitive della città. L’ente locale è diventatosoggetto centrale del processo di pianificazione,soprattutto formale. Rispetto però al tema dell’intenzionalitàstrategica, esso appare debole e incapacedi interpretare la scala dei fabbisogni di finanzadi accompagnamento, necessaria alla sostenibilitàdello sviluppo urbano. Ecco apparire con chiarezzache la città non può essere schiacciata sulla municipalitàe da questa interpretata ed identificata. Mala stessa municipalità non è che un nodo di una reteche chiede di diventare network cioè infrastrutturacomplessa e vitale a supporto dello sviluppo delleattività degli uomini. Con questo, non si vuole soloribadire che la programmazione coordinata delleattività, cioè i metodi della pianificazione, hannotenuto poco conto della dimensione finanziaria. Iltentativo è quello di proporre, attraverso la visionedella Finanza di Città, un salto di scala nel vederele attività della città possibile. Questo salto non èdi natura tecnica, come pure l’argomento potrebbesuggerire, ma è di natura culturale. Offrendo al temadella finanza il suo spazio di approfondimento si èin grado di misurare i gradi di libertà che si possonoguadagnare nel prendere decisioni operative estrategiche andando incontro ad esigenze nuovedi sviluppo urbano che chiedono di evidenziare pertempo il rischio di obsolescenza del progetto e/o difuturo naufragio dell’accumulazione di valore.Il Caso Salerno e il pericolo di naufragio del processodi trasformazione urbana(la vitalità della rendita e quella degli acari delle palme)Rhyncophprus Ferrugineus è il nome del parassitache ha distrutto e continua a distruggere il patrimoniodi verde urbano esistente nella città di Salerno. Esso43


Morire di RenditaI promotori del processo di trasformazione urbanacomprano un diritto giuridico extraeconomico e lopagano non come costo di produzione del benecasa e delle attrezzature urbane, ma come anticiposul superprofitto atteso rispetto a quello medio.Il prezzo del suolo non esiste in sé, ma è originatodall’attività del promotore e dalla sua capacità difarsi riconoscere dal detentore del potere di regolamentazionedello sviluppo della città. Ai promotorispesso conviene nascondere queste verità perlasciare il proprietario dei suoli, ma anche il regolatore,nell’ignoranza rispetto a quello che avverrànegoziando ex-ante l’anticipo necessario (prezzofondiario e tangente fanno perciò parte di un ragionamentoche tende a nascondere la verità sul processodi produzione del valore atteso).Certo, oggi le città sono più attente ed hanno competenzeper far emergere la conoscenza sul processodi trasformazione. Tuttavia nell’attuale fase delcapitalismo finanziario, i processi di appropriazionedel valore tendono a concentrarsi ridistribuendo valorepiuttosto che creando valore. Guido Rossi, giuristasublime ed economista moderno, parla di finanzache nessuno vuole mettere in regola e, avendo ilcoraggio di citare Lenin nell’editoriale scritto per ilSole24ore, così descrive la fase attuale di concentrazionefinanziaria: la bolla finanziaria vede le bancheprotagoniste. Ma a mano a mano che le banchesi sviluppano e siconcentrano in poche istituzioni, si trasformano davirtuose mediatrici in potenti gruppi monopolisticiche dispongono di quasi tutto il capitale liquido ditutti i capitalisti e piccoli industriali, condizionanofortemente i processi di produzione e le sorgenti dimaterie prime di tutta una serie di paesi, e diremmooggi finiscono per governare i paesi ed in qualchecaso i continenti.La cosiddetta finanza di progetto si muove pertantodentro una logica redistributiva e di concentrazionedi potere finanziario e non dentro una logica di accompagnamentodei processi di produzione di valoreed il problema politico ed istituzionale è trovarele diverse scale di regolamentazione efficaci ancorprima che efficienti.I danari dei contribuenti, invece che finanziare i benipubblici e di merito, che servono a finanziare lo sviluppodelle infrastrutture complesse (le città e le retiecologiche), salvano temporaneamente legrandi istituzioni finanziarie che continuano a direbugie alimentando il gioco speculativo.Ridurre l’influenza politica delle grandi istituzioni finanziarieè il problema dei problemi politici, ma unsussulto della politica è anche necessario per far saliredi scala i temi della regolamentazione delle trasformazioniurbane, per non morire definitivamentedei rendering che oggi affollano gli spazi del pensieroinnovativo dei grandi studi di architettura. Unreset della mente è necessario per dare alla renditail giusto significato: è la larva della storia a cui nonsappiamo rinunciare e che spesso è vista come traghettoper arrivare alla città nuova, immaginata piùche pensata, sponsorizzata più che vissuta, corrottapiù che stabile, bricolage più che tessuto urbano.Pasquale PersicoDocente di Economia e Politiche per l’ImpresaUniversità di SalernoFotografiadi Fabio Mantovani45


UGO BALDINIIl piano al tempo della crisiFotografiadi Riccardo VlahovIl tempo della crisi: fare di più con meno?La crisi che stiamo attraversando ha conseguenzein ogni campo, e non di poco conto, dato cheper molti versi rappresenta un vero e proprio capovolgimentodi prospettiva. Lo stesso tema centraledell’ urbanistica, la rendita, è venuta a mutarei suoi connotati in modo significativo e in unamisura tale da modificare l’idea stessa del piano.La vicenda dell’urbanistica italiana, dal dopoguerraad oggi, é segnata profondamente dall’atteggiamentopolitico che si é assunto nel tempo neiconfronti della rendita urbana.All’inizio parve opportuno favorirla per accelerarela ricostruzione, quindi si cominciò a demonizzarla,visti gli effetti disastrosi (della sua eccessivaprivatizzazione) su città e territori.Il tentativo di ostacolare la rendita con leggi, regolamentie pratiche burocratiche di ogni generegiunse a far dimenticare però gli obiettivi fondamentalidel piano urbanistico: bellezza, efficienzaed equità dei sistemi urbani e territoriali non eranopiù riconoscibili in piani, incapaci di governare larendita e, al tempo stesso, di proporre la crescitasostenibile delle città; piani di città in costante accrescimento,“erodendo il greenfield”, lavorandoquasi mai alla riqualificazione dell’esistente (lavoraresul costruito senza concorrenze sul nuovoimpianto).In tempi recenti è subentrata l’idea, certamentepiù saggia e matura, di utilizzare la rendita per finanziarela città pubblica. Sono stati messi a puntostrumenti come la perequazione, la cui efficacia46


Il piano al tempo della crisiè evidente in tutti quei casi in cui le riserve di renditasono tali da assicurare ampi margini di profittoagli investimenti immobiliari. Il problema che oggiil piano urbanistico deve affrontare è che questiampi margini di profitto si sono, nella maggior partedei casi, dissolti.Le pratiche perequative restano efficaci ed utili intutti quei casi in cui non si devono estrarre dallarendita risorse economiche, ma aree per l’usopubblico, là dove neppure si chiede alla proprietàdi rinunciare a realizzare quanto il piano dispone,ma solo di concentrare l’edificazione.A dir vero questo «quanto» non è neppur essoritenuto intangibile. Rinunciare ad una quota dicubatura è in taluni casi ritenuto utile per garantiremigliore qualità e “vendere meglio”. Ecco cheperò vendere è diventato difficile e non assicurapiù la maturazione di una rendita che vada oltre lasemplice remunerazione dell’investimento.A questo punto occorre chiedersi quali siano leconseguenze di tutto ciò sul piano urbanistico. Laprima conseguenza é che il piano urbanistico nonha più necessità di essere difensivo. Al contrario,deve essere in grado di attivare investimenti edattività economiche.è un cambiamento radicale le cui principali conseguenzesono la ricerca di una migliore qualitàurbana perseguibile sia attraverso un progettodi manutenzione sia attraverso progetti innovativiche migliorino il posizionamento e l’attrattività(quindi la convenienza ad investire, a risiedere, afrequentare) il comune o parti di esso (da riqualificare).Il piano urbanistico deve riprendersi appieno lapropria componente progettuale. Architettura eUrbanistica sono oggi tenute a riprendere un dialogoda troppo tempo interrotto e giungere a risultatiefficaci di qualità, perché il fattore di localizzazionedelle attività economiche é oggi, soprattutto,la qualità urbana.In una situazione di sempre maggiore difficoltàdella finanza comunale non viene meno la necessitàdi pianificare, ma più forte è l’esigenza di agireanche oltre gli stretti canoni urbanistici per individuare“i piani che servono”, orientati al risultato,condivisi e generatori nel contempo di strategie dilunga durata.Piani che servono per produrre risorse e scioglierenodi problematici, contenendo i costi e aumentandoi ricavi (gli effetti, i benefici) della attività dipianificazione, meglio finalizzata, poco retorica,trasparente, fortemente integrata con altre istanze(dal welfare alla sicurezza).Risorse finanziarie, intanto, per consentire quegliinvestimenti che la crisi economica e fiscale starallentando oltre misura, ma anche risorse umanee culturali sulla cui intelligenza (competenza,motivazione) fare leva per essere più capaci dirispondere alle sollecitazioni di un clima più problematicoe competitivo. Risorse finanziarie nuoveda pensare e risparmi legati a modalità e nuoveculture da mettere in campo.Le politiche dell’energia (produzione, risparmio,capitalizzazione) e le politiche dei servizi (con leconnesse manovre di valorizzazione e riconversionepatrimoniale) possono consentire di recuperare,ad esempio, nei deficit di efficienza energeticacome nelle riserve di rendita fondiaria del patrimoniopubblico, risorse finanziarie rilevanti pergli investimenti da operare. Nei rifiuti il campo diapplicazione/sperimentazione è assai vasto e vafavorito il confronto tra strategie e fattibilità diverseper costo e rendimento.Tutto, naturalmente, puntando anche ad un ricorsopiù efficace alle risorse dei fondi comunitari comedi quelli nazionali e regionali attraverso una attentaattività di fund raising, che superi le difficoltà digestione attuali.Occasioni di riqualificazione urbana significativanelle quali anche altri attori sociali possono portareun contributo importante: il commercio di vicinatoper la riqualificazione degli spazi pubblici,l’artigianato delle costruzioni e degli impianti peril miglioramento delle prestazioni ambientali eenergetiche della città, la cooperazione sociale eil volontariato per nuove politiche di sussidiarietà,verso una amministrazione pubblica che vuole – edeve - rinnovarsi profondamente.Un’azione di pianificazione urbanistica che focalizzila sua attenzione sui temi della riqualificazioneurbana e ambientale assume comunque caratteree natura di un’azione strategica che intendeusare anche gli strumenti e le risorse proprie delpiano urbanistico e la sua capacità di costituire47


UGO BALDINIdiritti e di creare valore per sollecitare e sostenerediffusamente investimenti (pubblici e privati).Investimenti e azioni capaci di realizzare quegliobiettivi di “sostenibilità efficiente” che la città contemporaneanon può sicuramente eludere, navigandonelle acque basse - basse come mai prima- di una difficile congiuntura economica.L’uso accorto della perequazione, l’impiego sapiente- e costante - delle fattibilità, può portarenuove risorse agli enti e condizioni di vantaggioper scelte ben valutate, negoziate e condivise.Lavorare sulle aree di trasformazione e sui tessutida densificare, con la logica perequativa (che nonscambia interventi di riqualificazione con la compromissionedelle aree agricole esistenti), vuol direagire sui contenitori vuoti o male utilizzati, sull’ediliziapubblica da intensivare e mixare, sull’ediliziadel dopoguerra da sostituire.Vuol dire rivedere i tessuti produttivi non solo perruoli residenziali o commerciali ma anche per capirecome renderli flessibili a nuovi usi che conservinole presenze dell’impresa anche se in formenuove.Vuol dire agire anche sui detrattori ambientali pergenerare nuovo paesaggio e sullo schema di fruizioneper rendere accessibile il territorio rurale evalorizzare i suoi servizi (alimentazione, cultura,ricreazione, sicurezza, natura, ospitalità).Questa è una parte significativa del programma inun piano strutturale (ma forse meglio di un pianostrategico e strutturale, come si tentò di dire tempofa) che vuole chiarire subito i suoi scopi e leazioni conseguenti. L’altra parte, riguarda la cittàpubblica che va rivista per aumentarne il valoresia dal punto di vista delle funzioni che assolve,che della forma che assume, che della accessibilitàche garantisce, che dei contenuti organizzativiche incorpora.Aumentare il valore della città pubblica porta diconseguenza un aumento di valore della città privata,il tutto servito nel modo giusto da una perequazioneben calcolata che funziona sulle singolearee di intervento. Lavorare alla riqualificazioneurbana porta dunque a individuare e riformulare -anche sostanzialmente - azioni progettuali specificheper l’organizzazione della mobilità, dei servizi,dell’energia, della sicurezza, del welfare e così via.Porta a stabilire un rapporto più organico con ilPiano Triennale delle Opere Pubbliche (opere chesono le prime a dimostrare che “il piano serve”:d’ora in poi “però” quello che si dice di fare, sifa...); un Piano Triennale che il piano urbanisticoavvalora (e che per molti aspetti può alimentare dirisorse con la perequazione e i bandi).Porta soprattutto a doversi fare carico delle preferenzedei cittadini; “il piano che serve” deve dimostrarela sua utilità e fattibilità con azioni chemettano in luce le opinioni e la creatività di chi vivee frequenta i luoghi e ha qui risorse investite o dainvestire. Luoghi comuni, spazi condivisi, capacidi favorire i processi di identificazione comunitariama anche capaci di parlare all’anima degli uomini.Per fare partecipare i cittadini e i quartieri alla curadella città, sia quella che si deve mantenere chequella che si trasforma.Numerosi sono i protagonisti di una riqualificazioneurbana che si pone il problema di costruire lacittà nuova nella città già costruita, migliorandonela qualità e le performances. Innanzitutto i cittadini,che devono vivere il progetto delle trasformazioninon come minaccia ma come opportunità.Opportunità per disporre di maggiori dotazioni dibeni pubblici, lo spazio in primo luogo: attrezzato,accessibile, gradevole. Per questo, ascolto epartecipazione sono funzioni da esercitare conresponsabilità ma con determinazione rendicontabile.In secondo luogo il tessuto delle imprese. Nonsolo gli operatori immobiliari e finanziari protagonistidelle grandi trasformazioni o le grandi impresedella distribuzione commerciale, dell’industriaculturale e della logistica che animano questeprospettive. Ma innanzitutto gli operatori del commerciodi vicinato, gli artigiani della manutenzioneurbana, le imprese sociali dei servizi sussidiari.A questi soggetti si deve rivolgere il progetto urbanoper diventare progetto sociale, espressione diuna urbanistica “della gente” in dialettica positivacon le istituzioni e i loro strumenti canonici, spessoormai troppo ritualizzati.Se riqualificazione vuol dire aumento del valoredella città pubblica, densificazione sostenibile,miglioramento delle prestazioni ambientali edenergetiche dei tessuti costruiti e degli spazi aper-48


Il piano al tempo della crisiti, allora rendere vivibili gli spazi pubblici con servizicommerciali e sociali, coinvolgere l’artigianatodelle costruzioni, degli impianti e dei servizi, renderela cooperazione sociale protagonista dell’integrazionelocale tra bisogni e soggetti, deve esserel’ambizione necessaria del progetto urbano.Questo in un territorio globalizzato (che ci imponele sue crisi) dove al negoziato col mondo (e con lesue logiche finanziarie) nel secolo cinese, bisognaandare con un progetto locale “che ben funziona”,bisogna in ogni caso provvedere a “fare di più conmeno”.Sul cambiamento sociale e l’importanzadell’approccio comunitarioCome realizzare questo link operativo (previstoanche dallo sforzo normativo regionale) che sipropone di agire sul rinnovo partecipato proponendoun impegno culturale ancor prima che amministrativo?è necessario proporre un ragionamento ampio sulpassaggio obbligato da compiere estendendo unapproccio di progettazione partecipata che prendein considerazione un territorio limitato, con tradizionicomuni e identità locale, ad un approccioin grado di integrare una gestione partecipativanella costruzione di un progetto urbano che affrontala dimensione della intera città.Con il Masterplan dei Quartieri a Parma si è concretizzatocompiutamente per noi il principio percui è strategico “ripartire dai quartieri” (quelliveri...) o meglio ancora dalla dimensione di vicinato,con profonde implicazioni per la pratica urbanistica,chiamata ad operare in un campo di innovazionidisciplinari esteso e di obiettivi a diversamatrice.Quale, allora, è l’urbanistica possibile del cambiamento?A quali fenomeni/esigenze deve fare fronte?Quale è il contesto e il mutamento di cui bisognaavere consapevolezza?Per una città “senza periferie” e per un rurale “diverso,autentico e complementare”, bisogna rendersiconto oggi che siamo in presenza di una crisi,di un cambiamento (necessario e possibile) che hatra le sue caratteristiche:· una immigrazione di lungo raggio che ha come“fattore di spinta” l’affrancarsi dalla povertà;Fotografiadi Riccardo Vlahov49


UGO BALDINI· una immigrazione richiamata anche da “fattori diattrazione” che hanno avuto origine nel mercatodel lavoro per lo squilibrio demografico tra le classidi età in ingresso e in uscita;· famiglie che oltre alle imprese richiamano immigrazioneper la crescente domanda di lavoro dicura per l‘invecchiamento della popolazione e lacrisi dei modelli familiari;· una popolazione invecchiata perché aumenta lasperanza di vita; negli ultimi sei anni è aumentatadi 1,3 anni per gli uomini e di 1,6 anni per le donne;· una natalità che si riprende solo ora e moltolentamente dopo un lungo periodo di crisi dellariproduzione naturale che ha avuto in <strong>Emilia</strong> Romagnail suo epicentro (e che qui oggi ha invecei valori più positivi);· una crescita della disuguaglianza sociale nelladistribuzione dei redditi delle famiglie e nell’accessoalle opportunità dell’abitare a quelle formative,di lavoro, di fruizione dei servizi tra popolazioniche risiedono in territori diversi: le condizioniabitative tornano ad essere il più rilevanteindicatore di povertà;· la crisi, che ha radici antiche, della produttivitàdel sistema Italia sottopone il Paese ad un indebitamentopubblico stringente e riduce le risorseprivate, generando nuove povertà private e nuovivincoli alla operatività pubblica;· il sistema di welfare in crisi anche a livello localeper i problemi di una fiscalità squilibrata nelrapporto tra centro e periferia e, per l’affollarsidi domande sempre più estese e diversificate: apartire da una nuova domanda posta da vulnerabilitàvecchie e nuove;· un aumento del tempo dedicato alla mobilità pergli scambi tra casa e lavoro per effetto del progressivodilatarsi delle dimensioni dei mercatilocali del lavoro e per la crescente congestionedei sistemi di trasporto;· l’aumentata pressione sulle risorse naturali esercitatadallo sviluppo economico: l’energia innanzituttoma anche l’acqua, il suolo e i rifiuti;· l’instabilità dei mercati finanziari incide sull’economiareale, ha effetti sul welfare, specie perl’accesso al bene casa, pone il tema di una revisioneprofonda del sistema dei servizi.Il caso del Masterplan dei Quartieri ha dimostratoche non c’è progettazione degli spazi urbani chenon sia espressione di una preesistente intenzionalitàsociale e politica. Progettare lo spazio significaprogettare la vita associata: definire chi conta,quali sono le priorità, in quale ideale di vita unacomunità si riconosce, quali strumenti adotta perrealizzarlo.È un modo (uno dei modi) efficace per contrastarela separazione tra urbs come tessuto urbanistico epolis come insieme dei cittadini, separazione checaratterizza spesso la crisi contemporanea dellacittà: per riuscire a definire nel concreto che cosasia la “città della qualità”, la “città del disagio” e la“città della riqualificazione”.In questo senso va auspicato l’avvio, come detto,di azioni che si collocano al crocevia tra pianourbanistico e politiche sociali: se da un lato èproprio la comunità l’expertise in grado di fornireindicazioni ai progettisti per sviluppare soluzionipiù rispondenti ai bisogni reali, dall’altro il consolidamentodella comunità in quanto tale è uno degliscopi del processo di piano.In tal senso infatti si può parlare di community building,individuando nel processo di formazione delDocumento Programmatico della Qualità Urbana(Legge 6, Governo e Riqualificazione solidale del<strong>Territorio</strong> - 2009, <strong>Emilia</strong>-Romagna) l’occasione perfavorire il miglioramento della coesione internadelle comunità locali e dei rapporti di prossimità:il progetto strategico della città pubblica, progettourbanistico e sociale.È utile ricordare che un approccio realmente deliberativorichiede però che il coinvolgimento dellepersone abbia luogo a partire dalla costruzionecondivisa di un modello di vicinato: la partecipazioneva ricercata innanzitutto laddove si tratta dicostruire la visione comune, poiché questa mobilitagli individui alla partecipazione attiva.Il quartiere, come ogni pubblico (o comunità),prima di esistere effettivamente deve scoprire diesistere. Senza questo processo preliminare discoperta e costruzione esiste unicamente un’aggregazionedi individui che può essere mobilitata,purtroppo o per fortuna, unicamente sulla base dinegoziazioni capaci di rispondere all’interesse individualedi ciascuno.50


Il piano al tempo della crisiÈ inutile – perché inefficace – invocare il benepubblico se il pubblico come entità collettiva cosciente,ancora non esiste. Allo stesso modo costruirecomunità e pianificare gli elementi che definisconolo spazio della comunità stessa, possonoessere rappresentati, alla stregua di un vero e proprioapparato metodologico, dagli stessi principicostitutivi del masterplan di quartiere, costruendocosì la matrice urbano/sociale della nuova (rinnovata)“città pubblica”.Sul potenziale di comunità, criticità e opportunitàdel pianoIn questo processo si inserisce il paradigma del“Potenziale di comunità”.Il potenziale di comunità consente di riflettere sulleopportunità urbane, migliorarne l’accessibilità e laattrattività, fare e condividere bilanci, costruire fattibilitàcon la gente, garantire opportunità, dare vitaa nuove attività.Se c’è un accordo sostanziale sull’importanza divalorizzare la struttura di base dell’organismo urbanointorno al concetto di vicinato, allora si puòindagare la vita urbana che si manifesta, nel quotidiano,in una condizione di prossimità spazialein relazione ai luoghi delle attività e dei servizi divicinato. In questa dimensione si esprime in primoluogo la socialità pubblica e attraverso questa sicostruiscono le reti di comunità.La dimensione di comunità è caratterizzata dai seguentifattori:· il prevalere di rapporti sociali face-to-face in situazionidi compresenza fisica;· la rilevanza di una scena privilegiata: lo spaziopubblico urbano nelle sue forme, in particolarequella della strada e della piazza;· un ambito territoriale, il “quartiere”, o il villaggio,entro il quale l’individuo colloca e riconosce lapropria azione e i propri riferimenti;· una modalità prevalente di spostamento costituitadal camminare (o dall’andare in bicicletta) chefavorisce il contatto face-to-face;· un orizzonte temporale costituito dalla quotidianità;· il formarsi, nella consapevolezza degli individui,di un’unità sociale, la comunità, legata ai caratteriprecedenti.L’analisi dei potenziali di comunità punta a metterein luce le componenti territoriali che costituisconola rete connettiva della comunità nei quartieri,individuando così i capisaldi del riconoscimentoidentitario degli abitanti e dell’efficace distribuzionedei servizi di vicinato.La geografia disegnata dai potenziali di comunità,individua i luoghi critici su cui incardinare sul territoriopolitiche di riqualificazione, densificazione ecoesione sociale. Ma anche i luoghi in cui mitigaree rimuovere, con le politiche per la mobilità, i fattoriche possono indebolire o spezzare le connessionibasilari, le continuità, le condizioni di accessibilitàe vivibilità pedonale sui quali si fondano lerelazioni di quartiere.Il potenziale di comunità può essere il riferimentosostanziale del Piano Strategico dei Servizi eil riferimento originale di una VAS Sociale che riguardala valutazione di molti piani, non solo quellistrettamente urbanistici e naturalmente riguardaanche il Documento Programmatico della QualitàUrbana.Sui beni comuni e il PIL della città pubblica: tutelare,valorizzareCos’è invece il bene comune? Il bene comune è ilbene che gli individui di una comunità riconosconocome qualcosa che hanno in comune, qualcosaper cui ha senso impegnarsi e lottare perché seesso si riduce, ciascuno ne riceve un danno.Come fa un bene ad essere comune? Perché gliindividui rinunciano volontariamente al loro beneper costruire un bene comune? Nella nostra esperienzadi esseri umani e di cittadini sperimentiamoil bene assieme agli altri in modi diversi, e daquesta nostra esperienza nasce l’idea del benecomune.I beni comuni principali sono quelli di cui possogodere solo condividendoli con gli altri. Ciascunofa esperienza del bene comune in primo luogoquando scopre che certi beni, certi piaceri sipossono avere solo agendo in comune. L’amicizia,l’amore, lo sport di squadra sono beni di cuinon posso godere se non nel rapporto con gli altri.Senza l’altro che lo condivide con me, nessuno diquesti beni comuni può essere raggiunto.Poi ci sono beni che sono comuni nel senso che51


UGO BALDINIFotografiadi Riccardo Vlahovassociandomi agli altri mi è più facile ottenerli. Quil’associazione tra me e l’altro è solo strumentale:convergiamo assieme verso uno scopo perchél’unione fa la forza.Il welfare e la difesa, la qualità delle strade e i servizidi raccolta pubblica dei rifiuti sono esempi diquesto secondo tipo.Si tratta di beni che potremmo raggiungere ancheda soli (posso difendermi da solo, andare a cavalloper i campi e vivere in una fattoria autosufficiente),ma che grazie all’associazione con gli altridiventa più facile ottenere.Pensare la città pubblica oggi ci pone davantialla sfida di pensarla non solo come il luogo convergentedella soddisfazione dei bisogni (servizi,alloggi, cultura, lavoro) ma come l’incarnazionedel bene comune, di un’idea di umanità in cui ciriconosciamo; una società inclusiva: come l’incarnazione,se non di un’ideale di vita, certamente diun’idea di cittadinanza.Vivere nella città pubblica non significa solo viverein un posto più accogliente perché caratterizzatoda minor disuguaglianza, maggiori servizi, superiorefunzionalità. Significa vivere nel posto cheincarna la nostra idea di cittadinanza.È dunque una visione politica della vita comune,della società migliore in cui vogliamo vivere, ciòche dà significato alla città pubblica come luogodi realizzazione del bene comune. La città pubblicanon è la città del pubblico: non è la città dovegli enti pubblici monopolizzano le attività e occupanogli spazi.È la città dove l’amministrazione si fa promotricedella crescita virtuosa del bene comune, agendocome facilitatore e generatore di opportunità, attivandole risorse che già esistono nel territorio: stakeholdereconomici, associazioni professionali e divolontariato, scuole e enti di ricerca, cittadini.La città pubblica è la città della responsabilità sociale,perché la responsabilità sociale traduce inimpegni concreti la visione di bene comune. Conquale dimensione strategica? Ad esempio attraversoazioni per:· caratterizzare la domanda di infrastrutturazionesociale rivolta ai progetti di trasformazione urbanacontribuendo alla determinazione della quotadi rendita da ricondurre alla città pubblica;52


Il piano al tempo della crisi· innovare le modalità di acquisizione delle aree aservizio non ancora acquisite (crediti edilizi);· sviluppare un rapporto fattivo con le imprese e ladimensione finanziaria;· pensare la città e la forma urbana (polarità, infrastrutture,…)· avviare azioni sinergiche per aumentare il “PILdella città pubblica”.La vivibilità urbana di Parma fattore primario dellasua attrattività è in larga misura il prodotto della ricchezzae dell’articolazione dei suoi spazi pubblici,capaci di ospitare una intensa vita di relazione e diesprimere valori identitari.La città pubblica – anche nell’occasione del DPQU- deve puntare a migliorare il proprio rendimentosociale, aumentando l’intensità d’uso e la pluralitàdi significati e di funzioni che lo spazio pubblicooffre alla vita quotidiana in tutte le stagioni dell’esistenzae aumentando così anche il valore immobiliaredella città privata.Sulle proposte (investire ed agire)della Barriera di MilanoGli spazi pubblici, eredità nei casi migliori di unagenerosa stagione di urbanistica degli standard,attraverso la loro ri-progettazione, (o rigenerazionein caso di politiche poco avvedute) la loro cura emanutenzione, la loro animazione, diventano cosìoccasioni di fruizione e di incontro, centralità diffusedi una città senza periferie, di una città pubblica,che ha bisogno del protagonismo del quartiere.Proprio come ha proposto, a Torino, la Barriera diMilano, per:· INVESTIRE sulla riqualificazione della città pubblica(che non è arredo urbano, ma azione sullaqualità e intensità dei servizi);· AGIRE sulle imprese impegnate nella trasformazionecon forme contrattuali che rilascino risorsepubbliche (lavorando sulla rendita) e contribuiscanoa migliorare anche la città “che già c’è”;· AGIRE sulle scuole per far capire a tutti come èla città vista dai bambini (e viceversa);· AGIRE sugli sprechi (l’energia, l’acqua, il suolo)e sulla green economy;· AGIRE sul vicinato e sui quartieri, sulle reti informalie sui diritti di cittadinanza e sugli stili di vita;· AGIRE sul capitale umano con la formazionecontinua e nei processi di integrazione culturalee di animazione sociale;· AGIRE sulla qualità e la fruizione dello spaziopubblico per migliorare la sicurezza urbana;· AGIRE, oltre che sui servizi pubblici rinnovati,sul commercio di vicinato, l’artigianato di servizio,la cooperazione: creare lavoro buono;· AGIRE innanzitutto sulla riqualificazione “incrementale”(grandi idee, piccoli progetti) in unostretto rapporto con i cittadini e con amministrazionirinnovate, capaci di accompagnare i progetti;· AGIRE sulle risorse agricole e naturali e su chile governa, producendo servizi alimentari e ambientalidi qualità;· INVESTIRE sulle forme di aggregazione: volontariato,imprese sociali, nuovo welfare;“Avere un progetto locale convincente, condivisoe politicamente praticabile (rendicontabile) peragire in un secolo (cinese) in cui bisogna esseredisponibili all’innovazione ma anche accorti nelprodurre sempre con questa, sostenibilità sociale,ambientale, economica e generare buona organizzazione”così dice la Barriera.Il Progetto della città pubblica e del rinnovo urbanodeve essere il riferimento sostanziale per ogniazione di piano, il documento programmatico sullaqualità deve orientare le diverse istanze di pianificazione(strategica, operativa, strutturale, condivisa,sostenibile) e potrebbe trovare nel Masterplanle ragioni locali forti cui attingere e l’atteggiamentogiusto contro la deriva burocratica in atto. Converràpoi riflettere bene tanto sul ruolo soddisfacente(non strumentale) della forma di partecipazione,quanto sulla utilità sostanziale della valutazione disostenibilità salvandola da una pratica che rischiadi essere solo formale e infine, sulla forza dellagovernance istituzionale (interna ed esterna al comune),fondamentale per produrre le coerenze ele sinergie indispensabili nell’orientare e attuare ilPiano.Ugo BaldiniPresidente C.A.I.R.E.(Cooperativa Architetti ed Ingegneri Reggio <strong>Emilia</strong>)53


STEFANO STANGHELLINIDalle politiche energetiche spuntiper innovare la gestione urbanisticaFotografiadi Michele BudaNel dibattito urbanistico italiano si è formata un’ampiacondivisione sulla priorità che, nel governo delterritorio, deve essere riconosciuta a due obiettivi:il contrasto del consumo di suolo e la promozionedella rigenerazione urbana. In alcuni precedenticontributi si è evidenziato come i fenomeni delconsumo di suolo e del degrado urbanistico sianooggetto di attenzioni e di indirizzi di ricerca provenientida ambienti culturali e da ambiti disciplinaridiversi, ma che la loro genesi economica sia accomunatadalle dinamiche di formazione ed appropriazioneprivata della rendita fondiaria urbana(Stanghellini, 2011b). Si è quindi sostenuto che lestrategie volte a contrastare il consumo di suolo eda promuovere la rigenerazione urbana non debbanoessere definite separatamente, ma debbano essereconcepite quali componenti sinergiche di unastrategia unitaria.Nel quadro concettuale così delineato, si è ravvisatauna certa analogia tra i “certificati verdi” istituitiin ambito energetico per sostenere la produzioneenergetica da fonti rinnovabili e talune fattispecie di“diritti edificatori” o “crediti edilizi” previsti dalle piùrecenti modalità di redazione dei piani urbanistici.In questo contributo, ci si propone di compiere unulteriore passo in avanti nel solco del ragionamentogià tracciato. Lo stimolo è offerto dal prolungarsidella crisi economica, dal suo accentuarsi nel nostropaese, e dalla conseguente diffusa consapevolezzadel carattere strutturale delle sue cause.Appare evidente che il modello di sviluppo dellecittà italiane degli ultimi due decenni non solo nonè più attuale, ma nemmeno potrà essere ripropostoalmeno sul breve e medio periodo. Uno sviluppourbano basato sull’incremento della produzione insediativa,sulla crescita dei valori immobiliari, sulleplusvalenze fondiarie e sui grandi profitti dei progettidi larga scala, non è più realistico. Le nuoveprospettive di sviluppo urbano fanno invece affidamentosulla evoluzione tecnologica nel campodell’energia, delle comunicazioni, dei trasporti, dei54


Dalle politiche energetiche spuntiper innovare la gestione urbanisticabeni intermedi, e quindi su un contestuale contenimentodei costi di produzione e di esercizio, e diincremento della qualità dei prodotti e dei servizi.In relazione a ciò, la tesi che si vuole sostenere èche negli ultimi vent’anni, nel campo delle politicheenergetiche comunitarie prima e nazionali poi, sisono affermate impostazioni economiche innovativee conseguentemente sono stati introdotti in Italiastrumenti operativi di nuova concezione. Invece lepolitiche urbanistiche italiane sono rimaste bloccatesu strategie e strumentazioni tradizionali non piùadeguate. Di conseguenza, le strategie e gli strumentiadottati in ambito energetico, in quanto piùevoluti, possono essere un fertile riferimento perl’evoluzione delle strategie e degli strumenti in materiadi governo del territorio, e più precisamenteper rendere sinergiche le strategie di contrasto delconsumo di suolo e di promozione della rigenerazioneurbana.Sul consumo di suoloe sulla trasformazione urbanaè noto come da qualche tempo in Italia la culturaurbanistica ed ambientalista presti grande attenzioneal fenomeno del consumo di suolo (Aa.Vv.,2009). Il suolo utilizzabile per usi plurimi connessiad attività primarie ed a servizi ricreativi, e nellostesso tempo utile per assicurare agli insediamentiun’elevata qualità ecologica, è un “bene pubblico”o “comune” al pari di altre categorie di beni, qualiad esempio i beni culturali, il paesaggio, le acque etanti altri ancora (Perrone e Zetti, 2010).Per la conformazione del territorio nazionale e pergli sviluppi insediativi che vi sono stati realizzati, ilsuolo ancora non urbanizzato è risorsa scarsa. Ilconsumo di questa risorsa, inteso come impiegoper usi insediativi ed infrastrutturali e quindi comesua definitiva perdita per gli usi extraurbani, riguardasoprattutto le zone pianeggianti periurbane equelle costiere, ove sono molteplici e forti gli interessieconomici che lo alimentano facendo pressionesulle Amministrazioni comunali in occasionedella redazione degli strumenti urbanistici.Ragionando in termini di uso efficiente delle risorseterritoriali, è evidente che non ha senso consumareulteriori quantità di suolo extraurbano, allargandocosì i bordi del territorio urbanizzato, quando contemporaneamente,all’interno della città, si formanobolle di degrado che si dilatano mano a mano chela città si espande.Eppure l’espansione degli insediamenti e il contestualeconsumo, o comunque l’impegno per usiurbani, dei cosiddetti greenfields, prosegue. Ognirevisione degli strumenti urbanistici, anche se operataattraverso un Piano comunale di nuova concezione(Inu, 1995 e 1998), apre a nuove urbanizzazioni:le proprietà e i loro consulenti premono sulleAutorità locali che, deboli, finiscono col cedere alleinsistenti pressioni. Solo i Piani comunali più rigorosie creativi riescono a contenere il sacrificio deigreenfields in termini quantitativi e qualitativi, cioèlimitando le nuove edificazioni ai terreni interclusi ocontigui al territorio urbanizzato, e proponendo peri greenfields periurbani delle utilizzazioni rispondentialle nuove tendenze dello sviluppo economicoe sociale.Mentre le città si espandono, alcune delle funzioniospitate negli edifici che le formano si indebolisconoe poi cessano. Di conseguenza le strutture edilizieche le ospitavano sono investite da varie formedi degrado.Le aree degradate, dismesse o sottoutilizzate, perla dimensione e la posizione che occupano, sonounanimemente considerate importanti risorse per ilfuturo delle città: attraverso la loro riqualificazionee riconversione è possibile innestare nel tessutourbano funzioni di rilevanza strategica, promotricidi sviluppo economico e sociale, attrattrici di investimenti,capaci di accrescere la competitività dellacittà (Dalla Longa, 2011).Che nelle politiche urbane si debba dare prioritàalla rigenerazione rispetto all’espansione è un fattoassodato, tanto nel dibattito culturale, quanto inquello politico.Tuttavia la rigenerazione urbana è ostacolata dacomplesse situazioni proprietarie e societarie, dalunghe e contrastate procedure urbanistiche, dadispositivi autorizzativi plurimi con pronunciamentidelle autorità preposte che non sono sempre univoci,dagli elevati costi delle bonifiche e delle demolizioni,e comunque da maggiori difficoltà nell’organizzazionedei lavori. Tutto ciò dà luogo a costimaggiori rispetto a quelli che si debbono sostenereper edificare nelle zone di espansione.La rigenerazione urbana, in molti casi, è considerataun “fallimento del mercato”, nel senso che il55


STEFANO STANGHELLINImercato, con le proprie forze, non è in grado di realizzarla.è quindi necessario che ci sia un interventopubblico che crei condizioni favorevoli all’investimentoprivato. L’esperienza dei programmi innovativiin ambito urbano di iniziativa ministeriale - daiprogrammi di riqualificazione urbana ai programmidi quartiere fino ai Pic Urban - sottintendeva proprioquesta consapevolezza. Ma quelle sperimentazionisi sono pressoché esaurite, al pari dei flussi di risorsefinanziarie pubbliche che avevano messo a disposizionedelle nostre città. E dal reimpiego delleesigue risorse residue attraverso il “Piano nazionaleper le Città” non c’è da attendersi esiti confrontabilicon quelli dei precedenti programmi.In assenza di incentivi finanziari, fino a poco tempofa la creazione di condizioni economiche favorevoliall’iniziativa privata veniva affidata alla valorizzazionefondiaria, ossia al cambio delle destinazionid’uso e all’incremento delle superfici utili. I maggioriricavi del progetto così concepito avrebbero compensatotutti i maggiori costi, fra cui anche quellifinanziari connessi ad iniziative ad alto rischio e conprolungato impiego del capitale.La trasformazione urbanistica attuata medianteprogetti di questa natura dà luogo a volumetrie efunzioni che producono forti impatti su sistemi urbaniche, in genere, già di per se stessi sono carentidi infrastrutture e di servizi. La trasformazioneurbanistica richiede quindi di essere sostenuta daun robusto adeguamento delle infrastrutture e delleattrezzature pubbliche.Poiché tale adeguamento è molto costoso e le Amministrazioninon sono in grado di coprirne i costi,era divenuta prassi corrente quella di chiedere aglioperatori privati di farsene carico (Stanghellini,2011a). La disponibilità di questi era subordinataall’accettazione, da parte delle Amministrazioni,che i maggiori costi fossero compensati da ulterioriquantità edificatorie o dalla previsione di nuovepregiate funzioni, ossia da ulteriori valorizzazionifondiarie. Il finanziamento della trasformazione urbanaavveniva dunque sfruttando quanto più possibilela leva della rendita (Stanghellini, <strong>2012</strong>).La strategia appena delineata si è tuttavia indebolitadi pari passo al radicalizzarsi della crisi economica.Le difficoltà in cui versano i mercati immobiliaridelle città italiane lasciano ormai marginimolto ridotti al finanziamento della “città pubblica”attraverso l’incremento delle quantità edificabili.Occorre quindi definire un nuovo modello di sviluppourbano, che si richiami al concetto della sostenibilitàforte e della sostenibilità debole (Munda,1995 e 1997), e che promuova la rigenerazione deitessuti urbani attraverso l’investimento pubblico eprivato nell’innovazione tecnologica applicata alleinfrastrutture e alla mobilità, al recupero e alla sostituzionedel patrimonio edilizio, alla creazione dinuove dotazioni territoriali.Sulle innovazioninelle politiche energeticheLe politiche energetiche nazionali derivano da direttivecomunitarie. Esse perseguono un indirizzomolto forte, costituito dalla promozione della produzioneenergetica da fonti rinnovabili, che vieneincentivata allo scopo di ridurre progressivamenteil consumo delle risorse energetiche non rinnovabili.Tale strategia si affida a misure di carattereeconomico-finanziario sostenute da appositi dispositivinormativi e gestionali. Una di queste misure ècostituita dai “certificati verdi”, forma di incentivazionedella produzione di energia elettrica da fontirinnovabili praticata dapprima in altri paesi (alcuniStati negli Usa, Regno Unito, Svezia, Paesi Bassi)e poi anche nel nostro. Si tratta di certificati checorrispondono ad una certa quantità di emissioni diCO 2: se un impianto produce energia elettrica utilizzandofonti rinnovabili e quindi emettendo menoCO 2di quanto avrebbe fatto un impianto alimentatocon fonti fossili, il gestore ottiene dei “certificati verdi”che può rivendere a industrie o attività che sonoobbligate a produrre una quota di energia mediantefonti rinnovabili ma non lo fanno autonomamente.Il risultato è la creazione di un mercato di “certificativerdi” che porta ad incentivare processi di produzionedell’energia in grado di ridurre i gas-serraevitando un intervento diretto dello Stato. Un’altramisura è il “conto energia”. è questo il sistema di incentivimesso a punto dal Gestore dei Servizi Energeticiper promuovere la diffusione degli impiantifotovoltaici. Non si basa sulla corresponsione di uncontributo iniziale ai soggetti realizzatori degli impiantifotovoltaici, ma su un contributo calcolato inbase all’energia pulita prodotta che viene corrispostoper venti anni. Il finanziamento di questi incentiviè operato tramite una componente tariffaria delle56


STEFANO STANGHELLINIregionali e sulla attività di pianificazione dei Comuni.è tuttavia risaputo che gli strumenti normativilasciati da soli, privi cioè del supporto di misureeconomiche di natura incentivante e disincentivante,spesso non sono sufficienti. In particolare nonlo sono quando, come nel caso dei greenfields,la loro trasformazione urbanistica gode, in terminieconomici, di un enorme vantaggio competitivo rispettoalla riqualificazione dei brownfields.Sulla possibilità di innovarela gestione urbanisticaMolte proposte sono state avanzate, in ambito parlamentare,per innovare gli strumenti di gestioneurbanistica. è noto come l’innovazione basilare riguardiil regime immobiliare, ossia l’esclusione dellojus aedificandi dalla proprietà del suolo o, piùrealisticamente, il riconoscimento di uno jus aedificandidi entità molto moderata e di natura perequativaai suoli classificati edificabili dagli strumentiurbanistici. Sulla riforma del regime immobiliarepotrebbero incardinarsi, con potenzialità operativemolto maggiori di quelle attuali, i nuovi istituti dellacompensazione e delle premialità, in quanto generatoridi “diritti edificatori” aggiuntivi a quelli originatidalla perequazione urbanistica. Non menoimportante è la semplificazione delle procedure,la cui estrema complessità e disarmonia è forseil principale fattore disincentivante gli investimentiprivati nella riqualificazione urbana. In questo quadro,anche tradizionali istituti quali il comparto edificatorioed il condominio, la cui istituzione ed il cuifunzionamento si basano su vecchie norme non piùappropriate, potrebbero essere facilmente riformatie resi più operativi.Questo scritto si concentra tuttavia sulla tesi che lestrategie e gli strumenti praticati in ambito energetico,in quanto più evoluti, possono essere un utileriferimento per l’evoluzione delle strategie e deglistrumenti in materia di governo del territorio, e piùprecisamente per rendere sinergiche le strategie dicontrasto del consumo di suolo con quelle di promozionedella rigenerazione urbana.Uno strumento analogo ai “certificati verdi” potrebbeessere introdotto per le politiche urbanistiche.Il suo impiego potrebbe configurarsi nel modoseguente. Il Comune, nell’ambito del dimensionamentodel Piano regolatore tradizionale o del Pianostrutturale, si riserva una quota dei “diritti edificatori”da impiegare quali “crediti edilizi verdi”. Nell’ambitodella zonizzazione del Piano regolatore o della redazionedel Piano operativo, ai suoli da trasformaresono assegnati un indice di edificabilità territorialeminimo ed uno massimo: l’indice minimo ha carattereperequativo e quello massimo progettuale, nelsenso che il raggiungimento dell’indice massimoè condizione vincolante per la realizzazione dellatrasformazione urbanistica. In occasione dell’attuazionedel Piano, gli operatori che riqualificanole aree dismesse o degradate producendo anchenuove dotazioni territoriali fra cui verde pubblico ecollettivo, ottengono dal Comune dei “crediti ediliziverdi” che possono rivendere agli operatori cheintervengono sui terreni di nuova urbanizzazione.Un trasferimento di risorse finanziarie analogo al“conto energia” si potrebbe ottenere per altre vie.Ad esempio, la trasformazione dei greenfields perusi urbani potrebbe essere gravata da un significativoprelievo tributario, ossia un “contributo disostenibilità” da intendersi quale compensazioneper la perpetua rinuncia, da parte della collettività,ad un bene ambientale operata a scapito dellagenerazione presente e di quelle future. Gli introitipotrebbero essere destinati a rigenerare i tessutiurbani degradati, soprattutto per quanto riguardagli interventi di interesse generale (infrastrutture, attrezzature)o collettivo (bonifiche). In questo modo,si incrementerebbero anche i costi privati negli interventidi trasformazione delle aree di espansionee si alleggerirebbero quelli di riqualificazione urbana,attenuando l’attuale squilibrio economico tra idue tipo di intervento.Ad una strategia analoga potrebbe essere funzionalel’Imu, l’imposta municipale unica la cui aliquotabase è del 7,6 per mille e quella massima del10,6 per mille. Qualora alle aree in attesa di essereedificate venisse applicata l’aliquota massima e labase imponibile dell’imposta approssimasse il valorevenale, i loro proprietari non potrebbero mantenerleinutilizzate per un periodo di tempo troppolungo. Quindi, per effetto congiunto della pressionefiscale e del libero funzionamento del mercato, ilcosiddetto “residuo”, ossia le previsioni urbanistichedella precedente pianificazione non ancora attuate,si ridurrebbe spontaneamente: ai proprietaridi aree edificabili non resterebbe che intraprendere58


Dalle politiche energetiche spuntiper innovare la gestione urbanisticala trasformazione urbanistica o, nell’impossibilità, dichiedere al Comune la loro riclassificazione comearee agricole. In occasione della formazione di unnuovo strumento urbanistico, poi, solo le proprietàdavvero intenzionate ad intraprendere l’interventosarebbero interessate all’inclusione delle loro areeentro le previsioni attuative. Nello stesso tempo, ilgettito addizionale dell’Imu dovrebbe confluire inun conto comunale dedicato al finanziamento dellarigenerazione urbana.Come si può notare, la prima misura attiene soloalla sfera della produzione nei due diversi settori,mentre la seconda trasferisce risorse dalla proprietàdell’insieme dei beni immobili alla produzione nelsolo settore della rigenerazione urbana. è evidente,quindi, che le suggestioni esposte necessitano diapprofondimenti sia sul piano teorico che in terminiapplicativi. Prospettano tuttavia un indirizzo di lavoroche merita di essere esplorato.In conclusione, una postilla merita di essere dedicataal contributo di costruzione, nella sua tripartizionein oneri di urbanizzazione primaria, oneri diurbanizzazione secondaria e contributo sul costodi costruzione. Nel corso di 35 anni sono cambiatele esigenze delle città, e quindi anche le caratteristichetecnologiche delle opere di urbanizzazione,e conseguentemente anche i loro costi. Inoltre sonointervenute norme di legge che hanno consentitoai Comuni di indirizzare una parte consistente deiproventi dal contributo di costruzione verso impieghidiversi da quelli originari, circoscritti alla produzionedi infrastrutture e al recupero urbano. In viagenerale, occorre quindi ammodernare il sistemacontributivo, rendendolo coerente alle dotazioniterritoriali di cui le città oggi hanno bisogno e vincolandonel’impiego alla realizzazione e manutenzionedelle opere pubbliche.Stefano StanghelliniDocente di EstimoUniversità Iuav di VeneziaFotografiadi Michele Buda59


LUCIANO VECCHILa riqualificazione urbana nei Comuni minori:prospettive e ipotesi di lavoroNell’esperienza regionale dei programmi avviaticon la LR. n. 19/98 (e.s.m.i.), emerge fra i datisalienti, una più evidente efficacia realizzativa deiComuni minori (fino a 10.000 abitanti), rispetto aquelli di maggiori dimensioni: non solo sul pianoquantitativo, ma anche su quello della sostanzialecoerenza fra le previsioni e i risultati conseguitidove tutt’al più le variazioni hanno riguardato interventidi miglioramento delle soluzioni progettualie dell’iter attuativo senza comportare rilevanti revisionifinanziarie e temporali (1) .Viceversa, nei Comuni di più ampie dimensioni lostato di attuazione è apparso più incerto e frammentato,condizionato in molti casi da trasformazionisostanziali e da eventi che hanno inciso intaluni casi, sullo stesso significato dei programmideterminando rimodulazioni e nuovi percorsi operativi,oltre che una ridefinizione dei rapporti colpiano che hanno in parte depotenziato i contenutiinnovativi degli stessi programmi.L’ammontare complessivo degli investimenti attivatia favore di Programmi di Riqualificazione Urbana(PRU) di prima generazione risalenti al 2002(con un apporto di risorse pubbliche del 24%), èstimabile in circa 80 milioni di euro di cui 7,2 milionidi euro prodotti dai Comuni minori, a fronte di uniter attuativo a due velocità.Al 2011 l’attuazione dei PRU nei Comuni minoririsultava da tempo completata, mentre per gli altriComuni era ancora attestata al 65% delle previsioni.Seppur meno nota, ma ancora più significativa èstata la capacità attuativa dei centri minori in ordinead una recente esperienza regionale, legata adun più pragmatico e puntuale utilizzo della riqualificazioneurbana per i Comuni fino a 5000 abitanti:mediante l’adozione di un apposito provvedimentofinalizzato alla riqualificazione di spazi pubblici,da intendersi come opportunità per svilupparepratiche e proposte intese a consolidare i rapportifra il progetto di spazio pubblico e il suo sistemaurbano e a concorrere alla qualità del progettoin termini di adeguamento tecnico, di sviluppo ditemi sperimentali e di apporti partecipativi .(2) .In questi casi tutti i progetti ammessi a contributo(61 sui 103 presentati), sono pervenuti alla completaattuazione nei termini stabiliti e l’utilizzo deicontributo regionale si è dimostrato oltre che adeguatonell’entità (fino ad un massimo di € 100.000 aprogetto), efficace nel concorrere al finanziamentodei progetti (nelle diverse tipologie di spazi) danon richiedere ulteriore integrazioni ma semmai unutilizzo delle risorse residuali (dovuto a ribasso digara per l’appalto delle opere), da riempiegare perinterventi complementari al medesimo progetto.In sostanza si è trattato di un provvedimento cheseppur marginale nella disponibilità finanziaria econ modeste pretese nella programmazione regionale,è apparso utile e per alcuni versi esemplarenelle modalità di orientare le risorse intorno a precisiobiettivi di scopo.Inoltre sulla base di una indagine promossa in fasedi attuazione degli interventi, ne sono scaturite importantiindicazioni sulla verifica del senso e delruolo del progetto di spazio pubblico nella strutturaurbana e nel sostegno ai processi di rinnovamento,su più specifici aspetti di natura tecnica (ovverosulla rispondenza dell’apparato normativo delleopere pubbliche per l’esistente), sulle modalità difunzionamento e gestione, sul montaggio finanziarioe la valutazione dei costi, sulla fasi di appaltoed esecuzione e sul coinvolgimento sociale.Da questo materiale ne possono derivare indicazioniper poter implementare pratiche e meto-1) Per una più approfondita valutazione sul ruolo della riqualificazioneurbana nei centri minori, si rinvia al contributo di LucianoVecchi riportato in “L’Ufficio Tecnico” n. 11/12/2008, ed.Maggioli (Rn), pagg. 71-74;2) Su questa esperienza sono stati prodotti diversi contributiapparsi nel n. 35/2010 di “<strong>Inforum</strong>”, ed. Compositori(Bo),pagg. 16-18 e nella rivista dell’Inu “Urbanistica Informazioni”n. 235/2011, pagg. 16-19;60


La riqualificazione urbana nei Comuni minoridi codificabili preposti alla formazione e attuazionedel progetto per il miglioramento d’uso deglispazi pubblici funzionali a processi di riqualificazione,soprattutto nei Comuni meno tecnicamenteattrezzati.Ciò premesso i risultati di queste differenti esperienzedove la riqualificazione ha assunto diversiruoli e finalità (passando da quello più organico estrutturato del PRU e quello più soft e puntuale delprogetto di spazio pubblico), sono riconducibiliad una serie di fattori comuni che molto succintamentesi richiamano:∙ La dimensione dei programmi e delle reciprocherelazioni con la struttura urbana.Essi afferiscono ad un articolato quadro di interventie iniziative legate a obiettivi di recupero urbanoassunti fin dagli inizi degli anni ’90 e successivamenteinseriti in programmi e in specificistrumenti varati da provvedimenti statali e regionali(quali i Programmi Integrati per l’Edilizia Abitativa,i Piani di Recupero, i Programmi Integrati di RecuperoUrbano, gli stessi PRU ecc.).Quindi dietro a queste esperienze e alle tendenzedi innovare le pratiche d’intervento sull’esistente(dalla fase statico-conservativa del patrimonioa quella più dinamico-funzionale rivolta a parti diFotografiadi Riccardo Vlahov61


LUCIANO VECCHIFotografiadi Riccardo Vlahovcittà per produrre qualità urbana), c’è continuitàe una coerenza di azioni che seppur con diversigradi di complessità si è tradotta in pratiche virtuosecapaci di intercettare risorse non solo in terminiaggiuntivi, ma come condizione per stimolareinteressi urbani ed elevare la fattibilità dei progetti.La sfida per i Comuni minori è stata quella di rapportarsilocalmente con le procedure e i meccanismidi formazione e attuazione dei programmicomplessi e con le relative opportunità di finanziamento,in presenza di risorse estensive insufficientementevalorizzate.∙ L’approccio pragmatico e l’enfasi prestata ai risultatipiuttosto che al processo, avvalendosi dimodelli cooperativi flessibili e articolati finalizzati afavorire l’inclusività e la rappresentatività, piuttostoche affidarsi a partnership strutturate.Con questo modello organizzativo nelle diversedeclinazioni si è voluto garantire il livello di coesione(ancora solido nei centri minori) e favorire lacoralità delle azioni e dei rapporti fra i livelli amministrativi,tecnici e sociali per concorrere alla distribuzionee alla gestione dei benefici e dei rischiderivanti dalle operazioni.∙ Il ruolo e il significato dei progetti, relativi a luoghie parti della struttura urbana ancora rappresentatividell’identità locale e dei suoi significati collettivi.La riabilitazione di questi luoghi e il loro rafforzamentonei circuiti primari delle relazioni alla scalaurbana, ha supportato le ragioni dei progetti, corrispondendoa nuovi obiettivi di rilancio della cittàpubblica.In questo contesto è del tutto superfluo rilevareche il progetto di spazio pubblico, ha suscitatopartecipazione e coinvolgimento seppur con diversiesiti, laddove si è configurato intorno a luoghiriconoscibili che hanno mantenuto le dimensionie la forma e imposto le “misure” dei rapporti spa-62


La riqualificazione urbana nei Comuni minori3) Sul rapporto fra gli spazi pubblici e la città, si segnalano fragli altri, i contributi di Paolo Baldeschi, Mario Guido Cusmanoe F. Lucchesi, pubblicati in “Paesaggio Urbano” n. 3/97. ed.Maggioli (Rn) e ancora attuali;4) Sono le principali finalità del bando approvato con Deliberazionedella Giunta Regionale n. 858/2011 e riportato sulBollettino Ufficiale Telematico della <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-Romagnan. 98 del 30/6/2011. Sui temi del bando e le prospettive dellariqualificazione urbana nel governo nel territorio si rimanda alcontributo di Luciano Vecchi in “L’Ufficio Tecnico” n. 4/<strong>2012</strong>,ed. Maggioli (Rn), pagg. 42-46;ziali e percettivi con la struttura urbana (3) .Il valore sociale della proposta è quello che in questicasi, ha saputo meglio garantire le condizioni didecollo dei programmi.L’avvio della nuova fase della riqualificazione urbanalegato all’emanazione della LR. n. 6/09 “Governo e riqualificazione solidale del territorio”,coincide con una crisi che non permette all’attoreregionale in presenza di risorse esigue il rilancio diprogrammazioni di ampio respiro, ma semmai diconcentrare le iniziative intorno a provvedimenti discopo finalizzati in primo luogo a verificare l’insiemedelle condizioni e gli strumenti per la realizzazionedei programmi, senza trascurare gli apportiinnovativi che da più mirate iniziative possono derivareper gli stessi PRU.Si fa riferimento al bando “ Concorsi di architetturaper la riqualificazione urbana” del giugno 2011,col quale si vuole promuovere la progettualità deiComuni in un percorso strutturato che coinvolga icittadini attraverso le pratiche della partecipazionee, selezioni i progetti mediante lo strumento delconcorso di architettura, sui temi della riqualificazionein diverse aree di intervento, per valutare nonsolo l’efficacia delle procedure per la promozionedella qualità architettonica e urbana, ma anche lacapacità del progetto di generare innovazione edi tradurre in risultati tangibili di qualità ambientalee di coesione sociale, una strategia di interventicomplessi (4) .Pur in presenza di un quadro ancora parziale, dallaverifica delle proposte e dei contenuti degli stessibandi ammessi a contributo, si conferma il caratterepolivalente della riqualificazione: come contenitoreal quale fare affluire differenti situazioni, icui obiettivi sono generalizzabili nel miglioramentod’uso e nella promozione dei processi di rinnovo.Dai concorsi di architettura potrebbero perciò scaturireanche per i Comuni minori, opportunità edelementi di arricchimento per la costruzione deiprogrammi e per rafforzare lo stesso ruolo del progettonon solo nell’integrazione fra le componentifisico-spaziali con quelle socio-economiche, madella sua rappresentatività sociale, attraverso laverifica della coerenza e della mutua compatibilitàdegli interventi proposti.Del resto, non va sottaciuto che l’ ancora deboleconnotazione dell’integrazione è fra gli elementi dicriticità dei programmi dei Comuni minori.Essa si è infatti manifestata più come “idea guida”a cui tendere la formazione degli stessi programmiche effettivo risultato.Dagli esiti dei bandi si attendono anche indicazionisulla fattibilità economico-finanziaria delle propostee delle possibili ricadute per poter orientare laspese pubblica verso obiettivi di scopo in grado dideterminare benefici alla scala di processo.In questo contesto sulla reperibilità e l’impiegodelle risorse, lo stesso Documento Programmaticoper la Qualità Urbana può fornire al decisorepubblico un importante contributo, consentendoattraverso il processo di partecipazione (e dunquela verifica diretta della domanda di servizi), di individuarele priorità delle opere da finanziare e soprattuttodi poter definire preliminarmente al POCe al PRU, i percorsi e la gamma degli strumenti piùrispondenti alle singole trasformazioni.Ma soprattutto il declino socio-economico in atto,impone una revisione della stessa riqualificazionein senso strettamente operativo e per percorsi incrementali,tenendo conto dei requisiti di condizionalitàpremessi agli interventi (5) , dove il nuovo scenariodi riferimento dovrebbe riguardare:il passaggio dalle pratiche alle politiche, riproponendoil ruolo unificante della riqualificazione neiconfronti delle politiche settoriali e partendo dalriconoscimento delle stesse forme di sussidiarietàorizzontale nella costruzione e nelle gestione deiprogrammi.Ne consegue l’opportunità di estendere il rapportodai tradizionali soggetti (da una parte l’Amministra-5) Si fa riferimento alla condizionalità per migliorare l’efficaciadelle politiche, introdotte con la “Nota di Aggiornamento delDocumento di Economia a Finanza del 2011”, contenuta negliAtti Parlamentari della Camera dei Deputati” Doc. LVII del20/9/2011;63


La riqualificazione urbana nei Comuni minorizione Comunale e dall’altro gli operatori privati), airappresentanti del terzo settore e dei portatori diinteressi sociali i cui contributi si stanno rivelandodeterminanti per il successo della riqualificazionenei centri minori.Come dimostrano alcune esperienze (6) , il sostegnoalle azioni botton-up dei portatori di interessi socialie delle cosiddette “comunità contrattuali” (7) , haconsentito la realizzazione di importanti interventidi rinnovo urbano e stimolato attenzioni e iniziativeper l’utilizzo e la gestione dei luoghi.Si tratta di casi esemplificativi del come la riqualificazionenelle sue azioni materiali e immaterialiconcepita in maniera adattiva, possa configurarsicome occasione di animazione urbana, foriera digenerare inedite combinazioni sociali e, parimenti,di sperimentare iniziative di collaborazione fra istituzionie società locale più adeguate alla domandadi welfare urbano e ai suoi segmenti.Questi casi pongono in essere l’importanza cheassumono nei programmi di riqualificazione, la gestionedegli spazi e la flessibilità d’uso delle strutture:non tanto in termini di adattamento ai cambiamentidella domanda, ma come possibilità disvolgere un ruolo in un qualche modo anticipatoredella stessa domanda, e quindi essere in grado digenerare processi di rinnovo urbano in progress.∙ Apertura al confronto sui temi e programmi diriqualificazione ai soggetti del patrimonio minuto,in particolare relativamente agli interventi di adeguamentofunzionale, efficientamento energetico eambientale, sostituzione edilizia ecc. il cui apportoinserito in programmi operativi unitari può costituirevalore aggiunto per la riqualificazione di tessutiurbani consolidati, sfruttando gli stessi meccanismipremiali previsti dall’art. 7 bis della LR. n.20/00 (e.s.m.i.) e del “Piano Città” della D.G.R. n.1281/2011, in grado di apportare benefici collettivi.Questi programmi operativi unitari potrebberotrovare possibile applicazione anche in compartiurbani degli stessi Comuni colpiti dai drammaticieventi sismici per i preminenti obiettivi di messa insicurezza e tutela dell’esistente.Per questi programmi andrebbero ipotizzate formeorganizzative molto snelle (come i consorzi) efigure di accompagnamento nella formazione deiprogrammi e dei negoziati.∙ La messa in rete delle esperienze: non solo peralimentare un più permanente confronto e un utilescambio di informazioni, ma per costruire pratichedi benchmarking, dalle quali trarre indicatori permigliorare l’efficacia dei programmi e valorizzarnei contenuti e le azioni anche in chiave di competitività.Luciano VecchiServizio Qualità Urbana<strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong> Romagna6) Si accenna fra le altre, alle esperienze di Cotignola (riqualificazionedi una piazza) e di Bagno di Romagna (ripristino diviabilità storica).L’apporto continuativo di attori appartenenti ad associazionidi volontariato (il Faro di Corzano a Bagno di Romagna) o agruppi di impegno locale (la Piazza di Barbiano di Cotignola),è stato determinante per la realizzazione di opere e serviziconsentendo al pubblico un risparmio di risorse intorno al 50%del costo delle opere e soprattutto di valorizzare il rapporto fracompresenza sociale e progettuale.7) Sulla presenza delle “comunità contrattuali” (intese comeforme di organizzazioni i cui membri aderiscono volontariamentea forme di prestazione alla luce di un contratto che stabilisceobiettivi e impegni), si segnala il volume (a cura di GraziaBrunetta e Stefano Moroni) “La città intraprendente”, ed.Carocci (Roma), 2011.Fotografiadi Riccardo Vlahov64


Arnaldo Cecchini e Valentina TaluArnaldo Cecchini e Valentina TaluMisurare e valutareConsiderazioni generali sulla misuraNon penso che si possa prescindere dalla misura perfare delle scelte specie in architettura e in urbanistica:misurare è condizione necessaria per il progetto e peril piano (1) .In generale è il Secolo dei Lumi quello in cui nasce lapassione e la necessità della misura; l’epoca, con lesue colpe e i suoi meriti, in cui si è passati dal “mondodel pressappoco all’universo della precisione” (2) e - tuttosommato – non è stato (solo o soprattutto) un male.A misurare si dedicarono i nuovi uomini di scienza, risalendofiumi e scalando montagne, prendendo misurenelle campagne, nei deserti, nelle giungle.1 - Non tutte le nostre scelte sono progettate e pianificate: si vedaKahnemann2 - Alexandre Koiré Du monde de l’à-peu-prés à l’univers de laprécision, in Critique, n. 28 1948Pazzi esploratori con l’ansia di capire e di misurare; eprima ancora di classificare, una straordinaria maniache voleva, con quella delle misure, mettere ordine nelmondo. E già Don Giovanni aveva, secondo Mozart eDa Ponte, un catalogo per rappresentare la sua potenza:“In Italia seicento e quaranta; in Almagna duecentoe trentuna; cento in Francia, in Turchia novantuna; main Ispagna son già mille e tre. V’han fra queste contadine,cameriere, cittadine, v’han contesse, baronesse,Marchesine, principesse” (3) ..Misura, architettura e urbanisticaMa la misura è alla base della progettazione degli edifici,anche da molto prima che Le Corbusier mostras-3 - Sull’importanza di cataloghi, elenchi e liste si veda: UmbertoEco Vertigine della lista Bompiani 2009Fotografiadi Fabio Mantovani65


Arnaldo Cecchini e Valentina TaluFotografiadi Luca Lanzonise che l’uomo (in senso proprio) è la misura di tutte lecase, inventando il Modulor.Già il pregevole dialogo di Valéry, Eupalino o Dell’Architetturaci fa suggestivamente capire il legame fortetra la misura e la costruzione: “E nei meravigliosidiscorsi agli operai non rimaneva traccia delle arduemeditazioni notturne: parlava per ordini e numeri” (4) . El’urbanistica nasce anche con una giusta, equa vogliadi misurare; in primo luogo misurare la miseria dellacondizione urbana nelle città industriale; ad esempioseguiamo il rapporto di Kay: “Ne deriva l’importanza diprovvedere o attraverso regolamenti edilizi o per mezzodi una legislazione generale, contro quelle fertili occasionidi malattia e di degradazione morale che sonocostituite dal completo abbandono delle strade e delleabitazioni dei quartieri poveri.4 - Paul Valery Eupalinos ou l’architecte Gallimar, Paris 1921Quando la salute declina per la compresenza di questecause, le malattie contagiose si diffondono con unavirulenza fatale fra la popolazione soggetta alla loroinfluenza. I registri del Fever Hospital (…). La tabellaseguente (…) farà emergere la dimensione del maleche insidia il povero”.I metri quadri per persona, la quantità di luce disponibile,l’ampiezza delle strade sono state misure indispensabiliper progettare gli spazi necessari alla vitasana, per pensare agli standard abitativi, più in là perpensare all’existenzminimum.E per pianificare sempre son servite molte misure, imponentiquantità di dati, ma anche indici, indicatori,standard; e poi modelli, modelli sempre più grandi, ascala sempre più larga, per inferire dalle misure attualialle misure future.L’ossessione per i numeri ha avuto come conseguenzauna cecità verso i concreti modi di vivere delle66


Arnaldo Cecchini e Valentina Talu8 - Simone De Beauvoir The Deuxiéme Sexe Gallimard, Paris, 1949.9 - Edgar Allan Poe “The man of the crowd” Burton’s Gentleman’sMagazine December1 8<strong>40</strong>.10 - Fredrick Levine, Christopher Locke, David Searls, David,Weinberger, Cluetrain Manifesto. The End of Business as UsualPerseus Books 2000.Dall’alto e nel mercatoSi può leggere la città e il suo territorio dall’alto, standonefuori, salendo su una collina o su una torre; lo sipotrà fare con uno sguardo capace di leggere la morfologiae vedere la sua influenza sulla forma della cittàe sulla distribuzione delle sue funzioni, con la capacitàdi leggere le stratificazioni storiche e sociali ancheattraverso le diverse tipologie abitative, di ricostruireuna mappa dei valori dei suoli, sulla base delle densitàe delle altezze; potremo portarci protesi, binocoli,mappe, telemetri, diciamo quell’insieme di tecnologieapplicate e convergenti che potremmo chiamare “realtàaumentata”, potremo leggere qualche libro primao dopo, magari tornandoci dopo la lettura; una letturazenitale la definirebbe qualcuno con riprovazione, cheè utilissima; e poi, e poi, se si passasse molto tempopotrebbe capitare di imbatterci in un tramonto travolgentee accorgerci che molti innamorati sono salitisulla collina per ammirarlo o molti curiosi per vederegli intricati voli degli uccelli sulla città, e forse la comprensionee l’analisi sarebbero più ricche se ci fossimoportati una buona bottiglia di vino. Si può leggere lacittà e il suo territorio dal basso immergendosi dentrola vita quotidiana delle strade nelle diverse ore delgiorno (come avviene in quel magnifico “saggio” sullavita urbana di Londra che è il racconto di Poe L’uomodella folla (8) ), guardando gli intrecci delle popolazioni edelle funzioni, in una stazione o – meglio di tutto – in unmercato, quello che ancora è, sempre più, raramenteun mercato come era l’agorà: (“La piazza del mercatoera il cuore della città... La gente si alzava presto eveniva qui per il caffè e le verdure, le uova e il vino,le pentole e i tappeti, gli anelli e le collane, i regali e idolci... Venivano qui per guardare e ascoltare e meravigliarsi,per comprare e per divertirsi. Ma molti venivanoqui soprattutto per incontrarsi gli uni con gli altri. Eper parlare”). (9)Osservare con puntiglio e acribia, la vita del mercato,o di una piazza come ha fatto Perec in Tentativo diesaurire un luogo parigino (10) è vertiginoso ed utile (“Cisono molte cose in place Saint-Sulpice, ad esempio:un municipio, un ufficio delle tasse, un commissariatodi polizia, tre bar di cui uno è anche tabaccheria, un cinema,una chiesa per la quale hanno lavorato Le Vau,Gittard, Oppenord, Servandoni e Chalgrin, dedicataad un cappellano di Clotario II, vescovo di Bourges dal624 al 644 e la cui festa ricorre il 17 gennaio, una casaeditrice, un impresa di pompe funebri, un’agenzia diviaggi, una fermata dell’autobus, un sarto, un albergo,una fontana ornata dalle statue di quattro grandi oratoricristiani (Bossuet, Fénelon, Fléchier e Massillon),un’edicola di giornali, un negozio di oggetti di culto,un parcheggio, un istituto di bellezza e tante altre coseancora. Molte, se non la maggior parte di queste cose,sono state descritte, inventariate, fotografate, raccontateo censite; il mio proposito nelle pagine che seguonoè stato piuttosto quello di descrivere il resto: ciò chegeneralmente non si nota, non viene ricordato, ciò chenon ha importanza: quello che accade quando nonaccade niente, se non il passare del tempo, delle persone,delle macchine e delle nuvole. (…) Ieri c’era davantial mio tavolo, sul marciapiede, un biglietto dellametropolitana; oggi c’è, non proprio nello stesso punto,la cartina di una caramella (di cellophane) e un pezzettodi carta difficilmente identificabile grande quantol’involucro di carta delle Parisienne, ma di un blu moltopiù chiaro”). Ma oltre a questa immersione, a questosmarrimento, a questa deriva mentale, è davvero inutileo sbagliato sapere qual è il prezzo delle mele almercato o di un Pernod al bar; e se poi un verduraio èun giovane attraente e simpatico può non essere inutilechiedere il suo numero di telefono (o dargli il nostro).Sicché entrambi gli approcci possono essere qualitativie quantitativi. Non è meglio uno dell’altro. Ma a nonsono riducibili l’uno all’altro, entrambi servono, entrambisono meticci. L’idea di non misurare niente non significariconoscere “le ragioni del cuore” contrappostealla “fredda razionalità” (per inciso guardarsi dai luoghicomuni significa anche ricordare le mille volte che laragione ben affilata ci ha procurato emozioni: io amola “calda razionalità”!), significa ridursi a non poter trovarespiegazioni dei fenomeni, di non cercare le molteragioni che rendono possibili quei fenomeni e non altri.Contrapporre la lettura della città a partire dalle suemappe (o per dirla in termini moderni dei suoiSistemi Informativi Territoriali) alla lettura a partire dallenarrazioni, significa accettare l’unidimensionalità, noncapire che “una cosa cha ha una sola spiegazione nonha nessuna spiegazione”.Misurare per valutareVarrà la pena di fare un esempio facilmente compren-68


Misurare e valutaresibile; nulla è più chiaro di un indicatore come la densitàdi popolazione di uno Stato, un indicatore oggettivoche si ottiene dividendo la popolazione in un datoistante per la superficie, si tratta di un indicatore variabilenel tempo, soggetto quasi soltanto alla variazionedella popolazione (almeno nella maggior parte deicasi e sul medio periodo la superficie di un paese sisuppone costante); è un buon indicatore, in prima approssimazione,del grado di affollamento di un paese.Tuttavia sarebbe discutibile sostenere che un paeseche ha densità superiore ad un altro ha, necessariamente,un grado di affollamento reale maggiore;infatti non conta solo l’estensione del territorio, ma lasua configurazione fisica: laghi, deserti, montagne,foreste, paludi pur rappresentando estensioni checontribuiscono a determinare la superficie globale diun paese, tuttavia non possono essere considerate“superfici abitabili”, sicché un indicatore più ragionevoledell’affollamento potrebbe essere la densità persuperficie utile, ottenuta dividendo la popolazione perla superficie “utile”; in questo caso entrambi i terminidel quoziente sono variabili nel tempo.Tuttavia questa nuova definizione, pure più significativa,ha il difetto di essere più indeterminata, più opinabile,oseremmo dire, più soggettiva; se infatti esistononorme tecniche e giuridiche comunemente accettateper misurare la superficie di un paese, la nozione di“superficie utile” dipende molto dal punto di vista (adesempio è la superficie agricola? quella edificabile?).C’è dell’altro: è ragionevole supporre che ci sia unacerta differenza fra l’affollamento “ammissibile” in unasocietà agricola e in una società industriale, e all’internodi una società industriale in una di antica o recenteurbanizzazione, sicché ad un medesimo indice di densitàutile, potrebbero corrispondere assai diversi livellidi reale affollamento, misurabili con indici di “densitàutile corretti”, moltiplicati cioè per un qualche fattore dicorrezione che tenga conto del grado di industrializzazionedel paese, della sua “storia urbana”, e così via.Come si vede l’interpretazione, la soggettività si insinuanosempre di più all’interno della fredda lingua deinumeri, e ancora non abbiamo parlato della percezionesoggettiva della gente, che potrebbe far sentirecome affollata ad alcuni una situazione che per altrinon lo è affatto. Come si vede, anche una misura chepotevamo pensare come semplice, oggettiva, meramentequantitativa come il grado di affollamento,risulta molto discutibile e ambigua; anche ricorrendoad un’analisi multidimensionale (che cioè costruiscaun indice, articolato in diversi livelli) l’opinabilità nonscompare, anche se appare più visibile l’insieme deifattori che sono stati presi in considerazione e che,quindi, possono essere esaminati separatamente.I problemi però non sono finiti, perché la valutazionedei risultati conseguiti, comporta spesso l’uso di indicatoriqualitativi, che, per definizione, sono ancora piùFotografiadi Fabio Mantovani69


Arnaldo Cecchini e Valentina Talusoggettivi e sfuggenti di quelli quantitativi.La scelta di un indicatore non è automatica e necessitata,ma dipende dal problema specifico, non è quindiquasi mai del tutto oggettiva: non bisogna tuttavia confonderequalitativo con arbitrario, anche una “misura”qualitativa è confrontabile e valutabile; non bisognapoi scambiare per qualitativi degli indicatori che, purecostruiti sulla base di scelte soggettive, sono semplicementedegli indici aggregati che, a giudizio degliideatori, misurano proprietà qualitative. Cerchiamo dispiegarci con un esempio: molti analisti ritengono insoddisfacenteper misurare il benessere di un paesefare ricorso alla determinazione del PIL o del PIL procapite e del PIL pro capite corretto sulla base del potered’acquisto (tra l’altro grandezze non sempre facilmentecalcolabili), e hanno proposto degli indicatoriche mettono insieme diverse variabili ad esempio il PILpro capite, la speranza di vita alla nascita, il grado dialfabetizzazione, come nel caso dell’“Indice di sviluppoumano” (ISU, o in inglese HDI) proposto dall’UNDP(United Nations Development Program) nel 1991 (11) ; l’I-SU è costruito elaborando una media fra le tre variabilicitate, di cui il PIL è preso in scala logaritmica: si realizzacosì un indicatore continuo compreso fra 0 e 1; :Non si può negare che si tratti di un buon indicatore,più raffinato del solo PIL, un indicatore che, benchéabbia qualche correlazione tra le variabili che lo definiscono,appare comunque molto utile; e tuttavia moltecritiche possono essere mosse anche a questo indicatore,che pure è più multidimensionale e articolato.E se ne discute, eccome.Parlando di qualità della vita urbanaGli studi sulla qualità della vita urbana hanno datoorigine ad un eterogeneo insieme di proposte metodologiche(e ad altrettante definizioni del concetto diqualità della vita urbana, anche se talvolta solo implicite)che sono accomunate da un approccio che puòessere definito “contabilistico”. Senza volerne ridurrele differenze, anche sostanziali, è possibile affermareche gli strumenti di rilevazione della qualità della vitaurbana correntemente utilizzati sostanzialmente nonfanno altro che “contare” il numero o la dimensione deglielementi contenuti in un paniere più o meno ampioe diversificato di dotazioni disponibili dentro la città (12) .11 - Georges Perec Tentative d’épuisement d’un lieu parisien inCause commune 1975.12 - http://hdr.undp.org/en/humandev/.Nello specifico, questi strumenti:∙ in relazione all’ambito di analisi, consideranola città come mero ambito geografico entro cui circoscriverel’analisi e non in funzione del suo contributospecifico alla definizione della qualità della vita degliindividui che la abitano.∙ per quanto riguarda la base informativa utilizzata,assumono che il livello di qualità della vita di un individuoche abita la città sia determinato automaticamenteda alcune caratteristiche della città, piuttostoche dall’interazione individuo-città. La base informativaè costruita, pertanto, “contando” luoghi, servizi eopportunità disponibili nella città, senza considerarené l’uso che effettivamente ne viene fatto, né la lorodistribuzione territoriale, né altre informazioni “laterali”,fondamentali per descrivere se, quanto, come,quando, ... gli individui interagiscono con essi.∙ per quanto concerne la restituzione delle informazioni,definiscono un punteggio o un giudizio sinteticodi rappresentazione della qualità della vita della cittàa partire dai “conti” ricavati o in funzione della lorodistanza rispetto a dei valori standard di riferimento econfrontano le “prestazioni” di città diverse, anzichéfornire indicazioni disaggregate e puntuali, utili per lepolitiche locali.C’è un’altra possibilità.Nell’ambito dell’approccio delle capacità, il benessereindividuale viene definito non in funzione dei beni dicui l’individuo può disporre ma in funzione della sualibertà di “funzionare”.Questo comporta focalizzare l’attenzione su cosa l’individuorealmente è e fa (ovvero i suoi funzionamenti)e su cosa egli effettivamente può essere e fare (vale adire le sue capacità), date le sue caratteristiche personalie quelle del contesto in cui agisce. L’acquisizionedel benessere è, dunque, un processo di interazionedell’individuo con il contesto, nell’ambito del quale ibeni disponibili sono sì determinanti per ottenere il benesserema esclusivamente in funzione del loro ruolostrumentale e non possono, quindi, essere consideratiuna metrica adeguata per misurarlo (13)Elemento essenziale dell’approccio delle capacità èl’importanza attribuita al processo di conversione individualedei beni disponibili in effettivo benessere. Que-13 - Gli esempi più noti, in Italia, sono le indagini sulla qualità dellavita de Il Sole 24 Ore ed Ecosistema Urbano ed Ecosistema UrbanoBambino di Legambiente; è utile citare, inoltre, la recente indagineBenessere equo e sostenibile (bes) di Istat e Cnel.70


Misurare e valutaresto processo è influenzato da quattro diversi fattori:le caratteristiche personali, le condizioni ambientali, ilclima sociale e i modelli di comportamento dominanti;gli ultimi tre fattori possono essere definiti “di contesto”perché fanno riferimento alle caratteristiche del contestoambientale e sociale in cui l’individuo vive e concui interagisce e sono senza dubbio condizionati dallaforma e dall’organizzazione della città. Esplorare ed“esplicitare” il ruolo che la città ha all’interno del processodi conversione individuale dei beni disponibili inbenessere può condurre alla costruzione di una reinterpretazionedel concetto di qualità della vita urbanautile ai fini della definizione di progetti e politiche dipromozione della qualità della vita urbana più efficaci,pertinenti, sostenibili ed equi. Per le discipline chesi occupano del progetto e dell’organizzazione dellacittà fare riferimento all’approccio delle capacità comportavalutare la qualità della vita urbana sulla basedell’effettiva possibilità per gli individui – o, meglio, perciascun individuo – di “usare” la città, piuttosto chesemplicemente sulla base delle caratteristiche intrinsechedella città, come generalmente avviene.Il fare riferimento al concetto di funzionamento urbanoai fini della definizione e della valutazione dei progettie delle politiche di promozione della qualità della vitaurbana può essere considerato di per sé un passoin avanti. Pensare in termini di funzionamenti urbani,infatti, significa attribuire un ruolo centrale a ciò checiascun individuo realmente è o fa, con e nella città,piuttosto che agli input dei progetti e delle politicheurbani, come ad esempio la quantità di denaro investito(per la riqualificazione di uno spazio verde, la realizzazionedi una pista ciclabile, la costruzione di uncentro ricreativo, ecc.), o agli output degli stessi, comead esempio l’entità dei progetti realizzati (mq di verdepubblico attrezzato, km di pista ciclabile, elenco delleattività promosse dal centro ricreativo, ecc.), come generalmenteavviene. Il riferimento alle capacità urbanecomporta un ulteriore avanzamento, in quanto consentedi esplorare non solo l’uso reale che gli individui fannodella città ma anche le possibilità d’uso effettive chegli stessi hanno (o non hanno). Costruire una nuovainterpretazione del concetto di qualità della vita urbanaa partire dall’approccio delle capacità, permette disuperare i limiti dell’approccio “contabilistico”.14 - Amartya K. The Idea of Justice Harvard University Press 2009,Amartya K. Sen Development as freedom Knopf Press 1999, AmartyaK. Sen Inequality Reexamined, Harvard University Press 1992.Nello specifico:∙ in riferimento all’ambito di analisi, pur mantenendofermo lo sguardo sulla città, si adotta una prospettivaindividuale, poiché si indaga il processo di interazionetra l’individuo e la città, al fine di individuare lecaratteristiche urbane che influenzano direttamentela qualità della vita individuale;∙ per quanto concerne la base informativa, il riferimentoall’approccio della capacità porta con sé l’esigenzadi guardare ai funzionamenti urbani e soprattuttoalle capacità urbane degli individui.Questa esigenza impone due requisiti - distinti mastrettamente connessi fra loro - alla natura e alla strutturadella base informativa che deve essere utilizzataper rilevare la qualità della vita urbana, ovvero:∙ che non devono essere considerate rilevantiesclusivamente le informazioni che “quantificano”le dotazioni urbane ma anche e soprattutto quelleche consentono di descriverne l’uso che gli individuine fanno (o non ne fanno),∙ che è necessario fare riferimento alle possibilitàreali che gli individui hanno (o non hanno) di utilizzarele diverse dotazioni urbane e non solo all’usoeffettivo che essi fanno delle stesse.- per quanto riguarda la restituzione delle informazioni,in particolare se l’interesse è rivolto agli ambiti localinell’intento di promuoverne la qualità della vita,riferirsi all’approccio della capacità impone di nondisperdere il carattere “progettuale” delle informazionistesse attraverso la loro composizione in uno opiù “super-indici”, costruendo vere e proprie mappedella qualità della vita urbana, dalla lettura delle qualisia possibile, in particolare:o valutare se, quanto ed in che termini gruppi di individuiomogenei rispetto ad una determinata caratteristicapersonale subiscono limitazioni all’usodella città in virtù di quella stessa caratteristica;o valutare se, quanto ed in che termini in alcunearee urbane si determina una concentrazione diindividui con ridotte possibilità d’uso della città.Come si vede da questo esempio, potremo concludereche – in generale - per trovare qualcosa bisognacercarla e per cercare bisogna – più o meno – saperecosa si cerca.Arnaldo CecchiniDocente di Tecnica e Pianificazione Urbanistica - Università di AlgheroValentina TaluAssistente Tecnica e Pianificazione Urbanistica - Università di Alghero71


PIERO ORLANDIPrima e dopo la riqualificazione urbana.Una riflessione sulle “città in attesa”Nell’autunno del 2001, quando la <strong>Regione</strong>, con lacollaborazione dell’IBC, realizzò la grande mostradi fotografie di Gabriele Basilico sulla riqualificazioneurbana 1 , sembrò a chi scrive che l’attesa fosse ilsentimento che meglio corrispondeva allo stato urbanistico,ma anche psicologico, in cui versavanole città, mentre si decidevano le sorti di un vastopatrimonio di aree dismesse. Le città erano in attesadi idee, di finanziamenti, di investitori che potesserodare un futuro alle aree degradate. Progressivamente,nel decennio successivo, sono stati attivatimolti progetti di riqualificazione nelle città principalidella regione. E dunque possiamo dire che le cittàhanno smesso di attendere, sono entrate nelladimensione del fare. è così davvero? è vero chele nostre città, le città dell’<strong>Emilia</strong>-Romagna, hannosmesso di attendere?Le argomentazioni con cui qui di seguito si tentauna risposta giungono naturalmente da un precisoe soggettivo punto di osservazione, che è quello delServizio dell’Istituto per i Beni Culturali che si occupadi beni architettonici e ambientali, che in alcunicasi è stato chiamato a condividere le ricerche ei bilanci che alcune città dell’<strong>Emilia</strong>-Romagna hannovoluto eseguire su temi come quelli della qualitàurbana, dei servizi, del rapporto tra l’architettura eil piano urbanistico, dei concorsi di architettura, ecosì via. Percorsi di collaborazione che si affiancanoad altre iniziative prese per proprio conto da partedell’IBC, nel solco di una tradizione di riflessionesulle politiche urbane che gli è propria sin dagli annidella sua fondazione.Per fare un esempio: poche settimane fa siamostati invitati a dibattere intorno ad un libro fotograficoda poco pubblicato, dove si osservano gli interventiurbanistici ed architettonici realizzati nella1 - Gabriele Basilico, LR19/98. La riqualificazione urbana in<strong>Emilia</strong>-Romagna, Editrice Compositori, Bologna, 2001. Si vedain particolare l’introduzione a cura di Piero Orlandi, Le città inattesa.città di Cesena in attuazione del piano regolatoreadottato nel 2000 ed approvato nel 2003 2 : vediamogente che va in bicicletta, che ascolta concerti,che va in skateboard, che passeggia nei parchi,che porta i bambini a scuola, che beve una bibitain un chiosco, che accede alla stazione con facilitàe senza barriere, che sosta in piazza, che ascoltaconferenze... Si vedono anche molti nuovi edifici,alcuni belli, altri forse non molto costosi e dunqueper questo apprezzabili, altri ancora che forse nonsono né particolarmente belli né poco costosi, mafunzionano ottimamente per servire a ciò per cuisono stati pensati come necessari. Cosa intendiamo,infatti, per qualità, quando la aggettiviamo conurbana, o architettonica, come si fa da qualche temponei documenti pubblici, nei nomi degli uffici chegovernano l’urbanistica, e addirittura nelle leggi, neiprovvedimenti amministrativi?è molto chiaro cosa si intende per quantità – e invecequesta parola è stata così ingiustamente sottovalutata,o addirittura detestata, per colpa dell’espansioneurbana, delle periferie a macchia d’olio,dei confini perduti... Meno chiaro, anzi piuttostooscuro, è il significato di qualità, una parola cheal contrario appare un po’ sopravvalutata, una diquelle parole - come amore... – di cui non si può dirmale. Nell’ambiente dell’urbanistica qualità significaa volte bellezza, a volte utilità, altre volte condivisione,o funzionalità, o contenimento della spesa,o contenimento dei consumi, o ancora capacità diconservare viva la memoria dei luoghi, e giù giù finoa significati iper-tecnici come ad esempio attuazionedella perequazione, esito di concorsi pubblici, ecosì via. Tutto questo, per inciso, si crede che possaessere facilmente dimostrato, provato, dalla fotografia.Che al massimo potrà certificare se può parerbello un edificio, ma certamente non dimostrarese un parcheggio funziona, se una pista ciclabile2 - Anna Maria Biscaglia, Otello Brighi (a cura di), Cesena, lacittà sostenibile, Grafiche Morandi, Fusignano, <strong>2012</strong>.72


Prima e dopo la riqualificazione urbanacollega punti che è necessario collegare, se un parcoè frequentato con soddisfazione dagli abitanti.La fotografia non può certo fare bilanci, mentre puòdimostrare le potenzialità dei luoghi – questo eramolto chiaro, nelle fotografie che Basilico scattò inquel 2001 ormai lontano nelle aree urbane da riqualificare.Diciamo che nel bilancio che Cesena ha fatto cisono un po’ tutti questi significati: il bilancio di questidieci anni si fonda su molte realizzazioni, daiPeep agli edifici direzionali, commerciali, produttivie di servizio, agli spazi pubblici. Ma una cosa vieneda chiedersi lo stesso, sfogliando questo libro: se laparola trasformazione non sia - anche questa - unpo’ sovraesposta: forse perché ci si affanna a ognipiè sospinto a contrapporla idealmente a conservazione.Come se fosse un lapsus, come se fosse laconfessione involontaria che è più facile parlare dellatrasformazione, piuttosto che realizzarla sul serionella concretezza del costruito. è come se questoparlarne fosse l’unico colpo di coda che le cittàemiliane e romagnole sanno tirare contro l’eccessodi conservazione. Ecco che sta profilandosi un po’della risposta alla domanda se l’attesa sia davverofinita: no, non è finita del tutto, se restano così forti ivincoli provenienti dall’inerzia del passato, contro lavera trasformazione.Qualcuno ricorderà che, tra le ricerche svolte inattuazione della legge regionale sulla qualità architettonicadell’ormai lontano 2002, nel 2005 l’IBCrealizzò un censimento delle architetture del secondoNovecento ritenute meritevoli di attenzione inquanto di interesse storico-documentale 3 . Il periododi indagine partiva dalla fine della seconda guerramondiale e giungeva al 2000. Alcuni anni dopo,nel 2010, abbiamo pensato di integrare quel lavoro,lanciando on line un bando rivolto ai progettistiche avessero realizzato edifici nella nostra regionetra il 2000 e il 2010, chiamandolo appunto “Selezionearchitettura 2010”. Ne è stata anche avviatauna seconda edizione, in questi mesi del <strong>2012</strong>. Marestando alla prima: giunsero 180 segnalazioni, la3 - Quale e quanta. Architettura in <strong>Emilia</strong>-Romagna nel secondoNovecento, Edizioni CLUEB, Bologna, 2005.Fotografiadi Michele Buda73


PIERO ORLANDIFotografiadi Michele Budagiuria istituita con la partecipazione delle tre facoltàdi architettura della regione e dell’INU, selezionò 12opere. Cose molto diverse tra loro: interventi di restauro,di riqualificazione urbana, nuove costruzionidi edifici e quartieri.Tra le 12 opere c’era anche una piccola casa biancain via Riva di Reno a Bologna, progettata daGianluca Brini. E’ un edificio che molti vedono comedisarmonico, dissonante; sono state fatte conferenzestampa di Italia Nostra per parlarne male, gridandoalla fine dei centri storici – poiché quell’edificio,sostitutivo di un altro preesistente e diverso, sta nelcentro storico legale, anche se non in quello formale.In realtà, la giuria dell’IBC ne apprezzò propriocerti valori compositivi dissonanti della facciata, adesempio la ricerca di una grande varietà nelle aperture,corrispondenti a diverse necessità di quantitàdi luce negli interni. Quella sincerità costruttiva chefamosi critici del passato – pensiamo a Zevi soprattutto- elogiavano, elencando i caratteri del modernoin architettura.Qualcuno polemizzò dalle colonne dei giornali edai microfoni delle televisioni: perché mai l’IBC dovrebbeoccuparsi di architettura contemporanea,anziché delle tradizionali sue materie, la cui ascendenzaconduce a Lucio Gambi e Andrea <strong>Emilia</strong>ni?Ci sembrò giusto rispondere: perché deve cercaredi costruire gli orientamenti culturali delle politichepubbliche, sul paesaggio, sulla qualità architettonica,sulla riqualificazione urbana, perché insommala cultura non può dividere il presente dal passato.Dall’altra parte si invocava il rispetto del contesto.Ma prima di tutto, bisognerebbe che ci intendessimosu cosa vuol dire questa parola. Dopo tutto,si può discutere se ci debba essere o no rapportocon il contesto. Come sappiamo - e ce lo rammentaanche un documento come la Carta d’Atene - perl’architettura del Novecento, per il movimento funzionalista– che certo non è tra i movimenti più amatidagli storici dell’arte, proprio per la sua convinzioneche la forma segue la funzione – il disinteresse alcontesto è una ragione addirittura fondativa dell’architetturamigliore. Detto questo, se vogliamo sostenere– e possiamo senz’altro farlo, magari dobbiamofarlo – che nell’ambiente storico il rapporto con ilcontesto debba esser cercato per forza, per regola,che sia una regola imprescindibile, che i processidi approvazione urbanistica non possano non pre-74


Prima e dopo la riqualificazione urbanavederlo ed obbligarlo, allora dobbiamo dare all’architettoprogettista la facoltà di indicare che tipo direlazione con il contesto ha valutato, come l’ha risolta,come ha usato il contesto facendone un temadi riflessione progettuale. Non pretendere poi anchedi fornire un catalogo di comportamenti – anzi,un solo comportamento – di adesione al contesto,quello dell’ambientamento, della copia. Riferendosia questi temi, l’IBC, a gennaio di quest’anno, haorganizzato un incontro in cui i partecipanti discutevanodelle “varianti del gusto” in urbanistica. Ineffetti, pare molto evidente, non solo a Bologna, manella nostra regione tutta, e nel nostro paese intero,che un “gusto condiviso” non c’è più. StefanoCatucci, un filosofo che si è sempre occupato diarchitettura 4 , ricorda Karl Scheffler, critico d’arte edi architettura che nel 1913 nel libro Die Architekturder Grossstadt scriveva che gli architetti hanno perdutola capacità di cogliere con sicurezza istintivai rapporti armonici, di imitare le piccole costruzionidei muratori. Perfino un padre del moderno in architettura,Adolf Loos, diceva che bisogna usare ilcriterio della continuità, che c’è uno “spirito del tempo”(non meglio definito, purtroppo) da accettare,da rispettare. Giorgio Grassi, progettista sapiente,parla di una sensibilità per le preesistenze che varisolta tramite un controllato dosaggio dei rapportitra somiglianza e diversità. Guido Canali parla di unrestauro leggero, altri hanno teorizzato il restauro timido.L’understatement come regola del progetto architettonicoviene considerato necessario per ragionidi compatibilità e contestualizzazione, ma ancheeconomiche, e perfino sociali.E tuttavia, anche nel campo della conservazione, visono associazioni culturali, anche di grande notorietàe di grandi meriti, come l’Associazione NazionaleCentri Storici, che esprimono nei propri documentiprincipii come questi: la conservazione è inseparabiledall’innovazione, la storicità è inseparabile dallacontemporaneità, l’identità come succedersi di caratterievolutivi.La Carta d’Atene (1933), parte seconda, n. 62, recitacosì:4 - Lo cita Giovanni Carbonara, nel suo Architettura d’oggi erestauro, UTET, 2011.L’impiego di stili del passato, sotto il pretesto estetico,nelle costruzioni erette in zone storiche, haconseguenze nefaste, la conservazione di tale usoo l’introduzione di tale iniziativa non deve esseretollerata sotto alcuna forma. E ancora: Tali sistemisono in contrasto con il grande insegnamento dellastoria: non s’è mai verificato un ritorno al passato, emai l’uomo è tornato sui suoi passi. I capolavori delpassato ci mostrano come ogni generazione abbiaavuto la sua maniera di pensare, le sue concezioni,la sua estetica. Copiare servilmente il passatoè votarsi alla menzogna, significa elevare il falso aprincipio.Franco Purini dice che occorre modificare l’arte,che ha alimentato lo spirito della carta d’Atene, facendoirrompere nella teoria urbana l’arte modernacon il suo “disordine” e la sua pluralità, affinché sostituiscala pittura di paesaggio, come paradigmaideale, una pittura ormai diventata il rifugio di unprivilegio elitario. Andrea <strong>Emilia</strong>ni, che è uno storicodell’arte insigne, sa che dietro all’idea di paesaggiourbano che gli è cara e di cui sempre ci parla(e di cui infatti ci ha parlato anche nell’incontro del19 gennaio scorso) c’è la pittura di paesaggio, nelsenso che anche Purini sostiene.Sappiamo tutti che l’operazione culturale che èstata fatta a Bologna a fine anni Sessanta con lefamose fotografie di Paolo Monti del centro storico –anzi, dei centri storici, visto che fino al 1975 furonoreplicate anche a Modena, Forlì, Rimini, Cesena, ein vari altri centri storici della regione – è un modoper promuovere i valori dell’edilizia storica, elevandoquella città a modello. Le foto di Monti non sonopittura di paesaggio, ma la forza iconica che hannoè tutta incentrata sui valori della storia, prova ne siache Monti escludeva programmaticamente edificimoderni, automobili, cartelli stradali, e restituivauna immagine urbana ideale, non reale. PierluigiCervellati ha detto più di una volta molto bene chequelle fotografie sono insieme il rilievo e il progetto,un progetto invisibile, nel senso che non modifica diuna virgola l’esistente.Tutto questo è stato nei fatti il criterio progettualeunico di questi ultimi quarant’anni, ed oggi è diventatodecisamente un fattore di attesa cronica, un fardellopesante per nuove idee di città.Un modo per contrastare la chiusura nei confrontidei valori del Novecento, e di temperare almeno un75


PIERO ORLANDIpoco la preponderanza della cultura storico-artisticafondata sulla pittura di paesaggio, è di studiare, conoscere,valorizzare e anche rappresentare il secoloscorso. è quello che stiamo facendo con GabrieleBasilico per il progetto Modena Città del Novecento5 . Basilico rappresenta in 25 scatti le realizzazionipiù importanti del Novecento, fuori e dentro il centrostorico. Si tratta di quartieri di edilizia sociale realizzatidall’Istituto Autonomo per le Case Popolari eda imprese e cooperative all’interno dei Piani perl’edilizia economica e popolare; di centri civici e sociali,sedi di quartiere, centri per l’attività sportiva,residenze assistite per anziani, sedi universitarie edi ricerca, edilizia sanitaria, cinema, interventi di riqualificazionedi ambiti urbani degradati, parchi attrezzatie spazi aperti ad uso pubblico, chiese.L’obiettivo principale della ricerca condotta dall’IBCe dal Comune di Modena, è di offrire ai cittadiniun’informazione completa sulla città moderna e contemporanea,per comprenderne i suoi valori, menonoti e divulgati rispetto a quelli della città storica. Larelazione fra città dei diritti e diritto alla conoscenzaè l’elemento centrale di questo lavoro. Il diritto allaconoscenza degli spazi urbani e dell’architettura sipuò esercitare anche attraverso le immagini: si trattadi quartieri di edilizia sociale realizzati dall’IstitutoAutonomo per le Case Popolari e da imprese e cooperativeall’interno dei Piani per l’edilizia economicae popolare; di centri civici e sociali, sedi di quartiere,centri per l’attività sportiva, residenze assistite peranziani, sedi universitarie e di ricerca, edilizia sanitaria,cinema, interventi di riqualificazione di ambitiurbani degradati, parchi attrezzati e spazi aperti aduso pubblico, chiese e centri parrocchiali.C’è anche, nel lavoro condotto oggi, un’assonanzavoluta e ricercata con quanto è accaduto circa quarant’annifa, per la messa a punto e la promozionedelle politiche di conservazione dei centri storici. Sitratta di una identità di metodo, non tanto di tematiche.Se negli anni Settanta la conservazione deicentri storici era il tema emergente delle politicheurbanistiche, oggi questa centralità è invece rappresentatadalla riqualificazione delle periferie, obiettivoche necessita di una messa a fuoco precisa sulla5 - Il progetto è curato dall’Ufficio Ricerche Storia urbananell’ambito dell’Assessorato alla cultura del Comune di Modena.città del Novecento. Ma resta uguale il metodo, cheaffianca la fotografia all’indagine storico-critica e fauso di entrambe per perlustrare il territorio alla ricercadelle eccellenze e per conseguenza additandoall’urbanistica i modelli di successo da replicare.Oggi, come sappiamo, la vita quotidiana nella cittàpone all’attenzione degli urbanisti e degli amministratorinuove urgenze: la scadente qualità delle costruzionidella fase espansiva, l’assenza dello spaziopubblico nella maggior parte delle periferie, lanecessità di riciclare il patrimonio edilizio esistente edi rendere più densa la città per limitare il consumodi suolo. Le pratiche connesse alla riqualificazione,ormai quasi ventennali, hanno portato alla ribaltatemi in larga misura ancora nuovi, ad esempio ladefinizione di criteri per la selezione degli edificimeritevoli di conservazione tra quelli realizzati nelsecondo Novecento, soprattutto per poter stabilirequanto invece è possibile considerare privo di interessenel quadro del processo di trasformazioneurbana. è necessario mettere a punto modelli dicomportamento utili per istituire relazioni ed equilibritra l’antico e il moderno (quanto e cosa demolire,quanto e cosa restaurare, in che forme costruire), unconfronto che spesso ricorre nelle aree industriali dismesse,limitrofe al centro antico, a volte inserite nelcuore della città e tangenti alla sua struttura più delicata.Tutto questo costituisce l’insieme dei problemiche stanno sullo sfondo della ricerca modenese, ilsuo riverbero sul piano dell’operatività urbanistica.Ma pur restando su un piano più strettamente connessoalla diffusione di una cultura e di un modo divedere, il lavoro di Basilico si muove avendo chiaraconsapevolezza di un compito che potremmo definiredi conoscenza operativa. Il suo è un sinteticosurvey, che si limita a soli venticinque scatti, e dunquesi pone su un piano necessariamente simbolico,ma proprio per la sua concentrazione in pocheimmagini riassuntive dei molteplici significati dellaricerca, ci è parso pertinente chiedere al fotografomilanese di rifotografare, nel quadro di un lavoro diversoma nei fatti analogo, due luoghi del centro storicoche già Monti aveva documentato. Sono luoghiche esprimono anch’essi i valori della città dei servizie dei diritti che la ricerca odierna intende metterein luce: la sistemazione della piazzetta Redecocca,con la riconversione della ex scuola Ceccarelli, ora76


Prima e dopo la riqualificazione urbanasede della circoscrizione; e l’ex convento di SantaChiara, poi caserma, un intervento pilota che portavala cultura del Peep nel centro storico, e fondavala pratica del recupero edilizio e urbano. Questi dueesempi di realizzazione di servizi pubblici nel centroantico connessi alle politiche di quegli anni fungonoin sostanza da testimoni consegnati idealmentealla ricerca fotografica attuale, come se essa da lìtransitasse per poi allargarsi allo sguardo della cittàmoderna e contemporanea. A Modena l’autore milanesenon ha fotografato soltanto la periferia, mapiù in generale la città di oggi, quella dove la gentevive, abita, lavora, si muove. La città delle case,dei servizi, delle scuole, degli ospedali. Che spessocoincide con parti della periferia, ma di una periferiache l’amministrazione pubblica locale ha saputoriempire di contenuti, non solo di persone. E dunque,se lo è, è una periferia in termini topografici,non certo qualitativi. Ma poiché Modena è una cittàdi medie dimensioni – non delle dimensioni di Istanbul,Valencia, Mosca o Berlino, alcune delle grandimetropoli fotografate da Basilico – riesce a conservareun’unità spaziale ben percepibile nelle immagini,che descrivono una città pianificata, con grandeattenzione ai servizi, che continua a realizzare ipiani per l’edilizia popolare – ormai forse unica inItalia, dove è in atto una fase di generale regressodell’edilizia sociale -, che si segnala per la dotazionedi verde pro-capite che è la più alta nel nostropaese. Questa è la Modena che Basilico racconta,e le sue immagini, pur conservando lo stile propriodel grande fotografo milanese, sembrano trattenerecon evidenza i caratteri specifici di una città dei servizirealizzati, della qualità architettonica diffusa, deidiritti effettivamente riconosciuti a tutto il territorio.Una città capace di dare di sé una rappresentazionelontana dall’attesa e molto presa dal fare.Piero OrlandiResponsabile Servizio Beni Architettonici ed Ambientali.<strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-RomagnaFotografiadi Michele Buda77


MARINA DRAGOTTOL’evoluzione degli strumenti di definizionee valutazione dei progetti urbani complessi.La Matrice della Qualità Urbana di AUDISPremessaIl tema della trasformazione e della rigenerazione urbanaè antico quanto le città stesse, ma ha assuntonegli ultimi quarant’anni un ruolo centrale per la profonditàdelle trasformazioni subite dall’organizzazionedel territorio indotte dal boom economico. Per la primavolta le città sono cresciute scavalcando i confini delcomune capoluogo e promuovendo la bassa densità,grazie al progressivo venir meno di alcuni vincoli storicilegati al sistema economico, alla mobilità delle personee al ruolo del comparto agricolo che avevano finoad allora “imposto” la densità edilizia e la promiscuitàdelle funzioni (residenza, servizi, produzione).Tutte le analisi poste alla base dei tentavi dell’UnioneEuropea per stimolare lo sviluppo di una nuova stagionedi politiche urbane, concordano nel constatareche il modello di espansione urbana del dopoguerra inEuropa si è per lungo tempo, e nella maggior parte deicasi, limitato a rispondere alla domanda di casa, senzaoccuparsi adeguatamente della vivibilità complessivadei nuovi insediamenti (scarsità di servizi alla personae alle famiglie, qualità ambientale, ecc) e del loro collegamentocon le aree centrali (mancata collocazionedei nuovi insediamenti in coerenza con i principali assidi mobilità, mancato adeguamento delle infrastrutture,insufficiente potenziamento delle linee pubbliche,ecc). Questa lunga stagione urbanistica ha condottoad un impoverimento progressivo delle qualità progettualie realizzative delle città, anche per l’assenza dipolitiche e strumenti di coordinamento adeguati.Questa “evoluzione” dei sistemi urbani, lungi dal determinareun’espansione delle qualità dei centri storici(coesione sociale, servizi diffusi, offerta formativa eculturale, luoghi di aggregazione di qualità, possibilitàdi muoversi a piedi o con mezzi pubblici efficienti,ecc), non ha nemmeno prodotto uno spostamento del“centro” verso le nuove espansioni. Purtroppo il modelloseguito non ha determinato quella che alcuni hannodefinito “la città diffusa”, ma la periferizzazione di tuttoil territorio, costringendo masse crescenti di popolazionea costosissimi spostamenti quotidiani; milioni di oreconsumate nel traffico e sottratte al tempo libero, allafamiglia, alla cultura, allo sport, alla socialità, all’ozio.Un allarmante spreco di risorse territoriali, come datempo denunciato, ma anche un tremendo depauperamentodel nostro capitale sociale che da sempretrova nelle città dense, ricche di servizi e di scambi sociali,economici e intellettuali il luogo attraverso il qualestimolare lo sviluppo positivo e sostenibile dell’interasocietà.In Italia questo “modello” di crescita si è pienamenteaffermato negli anni 70 e, data la particolare strutturainsediativa basata su una fitta rete di città, ha riguardatotutti i capoluoghi di provincia. Semplificando potremmodire che gli italiani hanno riversato una parteconsistente della loro migliore condizione economicacomprando case (nuove e in generale ritenute migliori)in territori sempre più periferici e senza porre troppaattenzione alla dotazione di servizi complessi, potendosempre contare sulla vicinanza al capoluogo. Un capoluogoprogressivamente abbandonato dai suoi abitantie da molte funzioni (produzione, servizi, commercio).In una manciata di decenni le trasformazioni produttivee demografiche hanno profondamente cambiato isistemi urbani generando sviluppo, ma anche qualche“guasto” al territorio (consumo di suolo, aree degradateo dismesse) e alla qualità della vita delle persone.Oggi va rilevato che, come già avvenuto in altri paesiindustrializzati 1 , il cuore dei nostri sistemi urbani è entratoin una strutturale crisi demografica (abitanti semprepiù anziani) e funzionale mentre le parti periferiche(che includono i Comuni di prima e seconda cintura)non hanno avuto la forza di assumere le caratteristichenobili della città.In questo quadro il tema della rigenerazione urbanaha assunto un ruolo centrale perché a esso è affidata1 - Colpisce a questo proposito la straordinaria freschezza e attualitàdel testo pubblicato nel 1969 da Jane Jacobs Vita e mortedelle grandi città. Saggio sulle metropoli americane (Giulio Einaudieditore 2000 e 2009, Torino).78


La Matrice della Qualità Urbana di AUDISla capacità di riequilibrare il sistema, riparando i dannicausati da una crescita disarticolata e contrastando inuovi consumi di suolo.La rigenerazione, infatti, agisce in territori già urbanizzati,ma in varie forme degradati (invecchiamento edilizio,inadeguatezza dei servizi e degli spazi pubblici,dismissione, isolamento, ecc), immettendo residenzeadeguate alle esigenze di comfort e di risparmio energeticosempre più elevate, funzioni e servizi alla personae alle imprese che mirano a fare di un territorio“semplicemente urbanizzato” un pezzo di città.La necessità di definire strumenti innovativi per migliorarela qualità degli interventiL’esperienza maturata in questi anni grazie ai programmicomplessi di rigenerazione e sviluppo urbanosostenibile promossi dall’Unione Europa, dal Ministerodelle Infrastrutture e da alcune <strong>Regione</strong> (tra le qualispicca l’<strong>Emilia</strong> Romagna), pur passibile di critiche, haindubbiamente determinato e accompagnato una positivaevoluzione delle cultura urbanistica riconducibilea tre aree:1) La strumentazione utilizzata che si è caratterizzataper: il salto da un approccio settoriale a quello integrato,un agire amministrativo fondato su logiche digovernance e coordinamento multilivello e l’introduzionedi modelli di valutazione orientati all’efficacia dellepolitiche;2) Il cambiamento di tutti gli attori in campo: le pubblicheamministrazioni, in particolare i comuni, chehanno dovuto affrontare temi inediti con strumenti deltutto nuovi facendo crescere nuove competenze alloro interno, i promotori/costruttori che hanno dovutoimparare ad affrontare temi via via più complessi e riorganizzaredi conseguenza le loro strutture, i soggettifinanziari chiamati a sostenere operazioni sempre piùarticolate e meno “garantite”, le nuove figure professionalie persino i cittadini, sempre più attivamente presentinelle decisioni;3) Le forme di collaborazione tra pubblico e privato:“costretti” ad una maggiore comprensione reciprocaper superare le molte difficoltà e imprevisti di programminecessariamente complessi e per raggiungere gliobiettivi pubblici e privati definiti dai piani/progetti,hanno cercato di utilizzare nuovi strumenti di collaborazionein continua evoluzione.La stagione dei Programmi complessi ha dunque costruitoun patrimonio di conoscenza pratica e disciplinareche necessita ora di fare un ulteriore passo avantiper consolidare e allargare una cultura urbanisticaaperta, attenta alle necessità di una società semprepiù complessa e articolata e capace di affrontare gliFotografiadi Riccardo Vlahov79


MARINA DRAGOTTOeffetti di una crisi economica, sociale e ambientaleestremamente pervasiva.In questo senso, oltre all’evidente necessità di elaborarepolitiche in grado di orientare l’azione degli attoripubblici e privati che agiscono sul territorio verso unuso più razionale delle risorse, appare oggi indispensabiledefinire strumenti innovativi che aiutino il dialogotra pubblico e privato nel trovare il punto di equilibriotra le esigenze delle parti in causa (pubblica amministrazione,imprenditori e cittadini).Il punto non è trovare il modello perfetto di rigenerazioneurbana al quale abbinare un criterio di valutazioneritenuto oggettivo e dunque tranquillizzante; il puntoè migliorare progressivamente i processi che conduconoalla definizione dei progetti d’intervento facendo“giocare” al meglio tutti i soggetti.A favore della maturazione di una pratica urbanisticasempre più orientata a strutturare la qualità dei processiper arrivare a una qualità dei prodotti (gli interventi),sembra di poter dire che anche il nostro paese è prontoper compiere uno sforzo comune per accompagnarela cultura urbanistica a una nuova evoluzione che ciconduca a passare:dalla logica dello standard alla logica della prestazione;∙ dall’attenzione alla tecnologie a quella del raggiungimentodi obiettivi;∙ dal progetto come tema autoreferenziale a quello dellasua integrazione con il contesto;∙ dal progetto chiavi in mano alla gestione nel lungoperiodo.È sempre più chiaro, infatti, che la città ha bisogno dipiani/progetti che propongano e intreccino richiesteprestazionali chiare alle quali, data la diversità dei contesti,è necessario e possibile dare risposte flessibili eintegrate, nello spazio e nel tempo.I piani/progetti di rigenerazione urbana, infatti, nonpossono prescindere dal contesto nel quale agiscono.Un contesto determinato da due famiglie di elementi, aloro volta in continua evoluzione:∙ la situazione sociale, economica, ambientale e culturaledell’ambito territoriale nel quale è collocata l’area,molto variabile anche all’interno della stessa città;∙ la strumentazione politica e tecnica di cui si è dotatala città nel suo insieme e nelle sue diverse parti.Dunque può essere progressivamente affinato il setdi domande e di elementi ai quali tutti i piani/progettidevono dare una risposta, ma è necessario assumereche le risposte dovranno misurarsi concretamente conle opportunità che il contesto offre.Gli obiettivi principali di questi “nuovi” strumenti di lavoro,che non devono configurarsi come certificazionio pure valutazioni, dovrebbe essere:∙ aumentare la qualità dei piani/progetti di trasformazioneurbana, attraverso la completezza degli elementiprogettuali;∙ aumentare la capacità di attuare i piani/progetti imprimendouna più forte alleanza tra i soggetti in campo(pubblico, privato, cittadini) attraverso una maggiorechiarezza, trasparenza e condivisione degli obiettivida raggiungere;∙ individuare metodi di valutazione delle risposte fornitedai piani/progetti coerenti e flessibili che chiamino incausa sia la capacità dei progettisti che la capacitàdi programmazione degli enti pubblici;∙ migliorare progressivamente la relazione tra l’azionedell’Amministrazione Pubblica, alla quale spettail compito di impostare le politiche e gli strumenti digestione del territorio, e quella dei Privati, che devonoporsi il tema della sostenibilità complessiva delletrasformazioni urbane;∙ favorire la flessibilità delle soluzioni senza perdere divista l’obiettivo;∙ diminuire i tempi di approvazione e realizzazione degliinterventi.Questa nuova strumentazione non sostituisce la disciplinaurbanistica; al contrario essa si pone a serviziodi un più incisivo ruolo di governance, facilitazione eaccompagnamento dei piani/progetti di rigenerazioneurbana.La Matrice AUDIS della Qualità UrbanaIl contributo di AUDIS in questo contesto è partito dallaredazione della Carta della Rigenerazione Urbana nellaquale sono state individuate 9 qualità (urbanistica,architettonica, dello spazio pubblico, sociale, economica,ambientale, energetica, culturale e paesaggistica)che tutti i piani/progetti di scala urbana devonocontenere.Attraverso questa struttura, la Carta AUDIS, pur noncostituendo un manuale e non fornendo soluzioni diretteai problemi specifici posti dai diversi territori, definisceil modello di città a cui fare riferimento: la cittàeuropea, densa, che si iscrive nel filone culturale delleEuropean Sustainable Cities con principale riferimentoalle Carte europee di Aalborg (1994) e di Lipsia (2007)80


La Matrice della Qualità Urbana di AUDISe alla dichiarazione di Toledo (2010).Attraverso l’analisi di casi realizzati in Italia negli ultimidue decenni i2 e il lavoro di redazione del Protocollo dellaQualità Urbana di Roma Capitale concluso a marzo<strong>2012</strong> 3 , AUDIS ha trasposto i principi espressi nella suaCarta nella Matrice della Qualità urbana. L’obiettivo èstato di definire uno strumento di lavoro concreto; nonuna ricetta, ma una checklist di elementi (obiettivi, criteri,parametri) sui quali portare tutti i soggetti coinvoltia ragionare (amministrazioni pubbliche, sviluppatori ecittadini).La Matrice della Qualità urbana si pone lo scopo principaledi contribuire a riorganizzare il processo di“definizione e costruzione dei piani/progetti di trasformazioneurbana. La sua applicazione non definiscele soluzioni progettuali da utilizzare, che dipendononecessariamente dal contesto, ma aiuta a tenere inconsiderazione tutti gli elementi necessari a “costruire”,caso per caso, un piano/progetto completo chetenga al centro la qualità della vita degli abitanti, sianoessi residenti, cittadini temporanei (studenti, lavoratori,professionisti, ecc), imprenditori, ecc.Nella gestione di processi complessi e articolati comequelli che caratterizzano le trasformazioni di scala urbana,infatti, è necessario utilizzare strumenti di coordinamentodinamici che sappiano accompagnare lacostruzione del piano/progetto.Il riconoscimento della Matrice come piattaforma comunedi riferimento per la costruzione del piano/progettodi trasformazione urbana (nelle fasi di fattibilità,piano, progetto), serve a mettere in relazione i progettidi trasformazione urbana ideati da promotori privati opubblici e l’idea di città promossa dalla Pubblica Amministrazione.2 - Tra questi un contributo essenziale è stato fornito dalla ricercacurata da AUDIS e commissionata dalla <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong> Romagnacon il contributo di Pentagruppo Monitoraggio della rigenerazioneurbana attraverso indicatori condivisi nella quale sono stati analizzatigli esiti complessi di qualità di sei PRU finanziati attraverso laLegge 19/98 della <strong>Regione</strong>. La ricerca ha definito il primo prototipodi Matrice della Qualità Urbana. Rapporto di ricerca completo disponibilein www.audis.it3 - Il Protocollo della Qualità Urbana di Roma Capitale, elaboratoda AUDIS con la supervisione di Risorse per Roma spa tra maggio2011 e marzo <strong>2012</strong> è stato voluto da Giunta di Roma Capitalee ha visto la partecipazione attiva di numerosi soggetti pubblici eprivati. Esso è composto da una versione avanzata della Matricedella Qualità Urbana e da una proposta di riorganizzazione, a normativainvariata, delle procedure di elaborazione e approvazionedei piano/progetti di scala urbana. Rapporto di ricerca disponibilein www.audis.itLa decisione finale sui contenuti di ciascun piano/progettonon è responsabilità della Matrice, ma dell’amministrazionepubblica e del privato.Sostenendo la necessità di un pieno utilizzo degli strumentidi programmazione generale di cui le città sonodotate (piani urbanistici generali, piani della mobilità,piani ambientali, piani dei servizi, ecc), la Matrice promuovel’evoluzione della cultura urbanistica dalla logicadel mero controllo amministrativo alla logica di unamaggiore e più articolata cooperazione tra pubblico eprivato. Il processo di definizione dei contenuti dei piani/progettiguidati dalla Matrice, infatti, induce:∙ la Pubblica Amministrazione a mettere a coerenzatutte le scelte compiute sul territorio dalle sue diversearticolazioni (urbanistica, mobilità, ambiente, sociale,ecc) evidenziando e sostenendo le esigenze dell’interessepubblico;∙ il promotore (pubblico o privato che sia) a definire egiustificare le sue scelte (di qualità alta, media o bassa)in modo articolato e trasparente.Descrizione e uso della Matricedella Qualità urbanaLa Matrice della Qualità urbana è composta da unaCarta d’Identità, che riassume le principali caratteristichetecniche (non direttamente qualitative) del piano/progetto e da nove Qualità: urbanistica, architettonica,dello spazio pubblico, sociale, economica, ambientale,energetica, culturale, paesaggistica.Naturalmente il progetto è unico e la suddivisione innove parti di definizione qualitativa è strumentale eserve solo ad organizzare il processo. Tutte le qualitàsono connesse a tutte le altre.Ogni Qualità contiene “solo” gli elementi consideratiindispensabili per raggiungere risultati complessivi apprezzabilinella rigenerazione o trasformazione urbana;essi non possono perciò essere considerati esaustiviin un’ottica di specializzazione di ciascuna parte. Volendoraggiungere un maggior grado di dettaglio, allaMatrice della Qualità urbana potranno essere affiancatistrumenti di certificazione e valutazione specifici giàesistenti per alcune parti (in particolare per le qualitàedilizia e ambientale).Per ognuna delle nove qualità la Matrice della Qualitàurbana definisce tre aree:Gli elementi da descrivere, a loro volta suddivisi inquattro parti secondo una struttura ad albero:∙ gli Obiettivi, aiutano a definire il risultato che ci si81


MARINA DRAGOTTOpropone di ottenere; il fine cui si tende. Suddivisi inObiettivo generale e Obiettivi operativi riassumonoper punti i contenuti della Carta AUDIS. Gli obiettivisono sufficientemente “alti” da poter essere considerati(e richiesti) in qualsiasi piano/progetto di rigenerazioneurbana di qualità;∙ i Criteri, costituiscono gli elementi di riferimento chepermettono di guidare, di definire e di stimare le sceltecompiute nel piano/progetto.Essi declinano gli obiettivi e devono essere consideratida un piano/progetto secondo la fase di avanzamentoin cui si trova (studio preliminare, piano attuativo, pianoattuativo con previsioni plani volumetriche, tipologiche,architettoniche, progetto esecutivo) e dando lerisposte più adeguate rispetto alle situazioni nelle qualiagisce il progetto considerato;∙ i Parametri, costituiscono gli elementi in funzione deiquali si chiariscono le caratteristiche tecniche e discrezionaliessenziali delle scelte compiute. Essi definisconoper ciascun criterio gli elementi che devonoessere effettivamente considerati e valutati. Non tuttii parametri sono applicabili a tutti i piani/progetti perchéalcuni elementi possono non essere presenti;∙ le Modalità di descrizione e/o calcolo, esplicitano glielementi di cui può essere composto ciascun parametro.Naturalmente sono compilate solo le particorrispondenti alle specifiche caratteristiche del progetto.∙ Nella sua interezza la Matrice della Qualità urbanaè composta da: <strong>40</strong> obiettivi, <strong>41</strong> criteri, 96 parametri.La compilazione a cura del promotore suddivisa in duecolonne da compilare a seconda del caso: rispondendosulla presenza/assenza di un elemento (colonna“Sì/No”); riportando il dato quantitativo o la descrizionerichiesta (colonna “Dato o descrizione”). Una terza colonna,precompilata, indica l’unità di misura o il numeromassimo di battute da utilizzare.La compilazione a cura dell’Amministrazione suddivisain:∙ target, colonna nella quale, per ogni voce della Matricedella Qualità urbana, l’Amministrazione può indicarequal è il livello al quale il progetto dovrebbeattestarsi (infrastrutture, offerta residenziale, servizi,prestazioni ambientali, ecc). Il target può derivareda strumenti amministrativi, di programmazione odi pianificazione (PRG, Piano della Mobilità, Pianodei Servizi, ecc), da regolamenti di varia natura, dastrumenti di certificazione adottati a livello locale, dabenchmark o da scelte di opportunità politica di cuil’Amministrazione vuole assumersi la responsabilità;∙ valutazione: un giudizio sintetico sul raggiungimentodegli obiettivi di qualità (buono/sufficiente/insufficiente).Le modalità di compilazioneLa definizione degli obiettivi di interesse generale è acura dell’Amministrazione che compila la Matrice dellaQualità urbana per la parte di sua competenza (la colonnaTarget) attraverso un Ufficio di Scopo, che devenecessariamente coinvolgere le Direzioni interessate(oltre a Urbanistica, Mobilità, Ambiente, Sociale, LavoriPubblici ecc, secondo le caratteristiche dell’intervento).Attraverso questa operazione, che può avvenire amonte dell’avvio del processo o come primo atto allamanifestazione formale di interesse da parte del promotoredi avviare il progetto di trasformazione di suacompetenza, l’Amministrazione ribadisce e specificale sue aspettative politiche e tecniche per l’area in oggettoe il suo contesto.Gli obiettivi o limiti così fissati dall’Amministrazione costituirannoil punto di riferimento del promotore per ladefinizione del progetto. Essi possono essere derivati:∙ dal Piano urbanistico generale vigente, da altri Piani(mobilità, servizi, ecc), da regolamenti di livello comunaleecc;∙ da riferimenti tratti da medie nazionali o locali (esempio:dotazioni di servizio, prestazioni, ecc);∙ da livelli di certificazione stabiliti o adottati a livellolocale.La compilazione dei dati di progetto è a cura del proponenteche considera gli obiettivi fissati dall’Amministrazionenella colonna Target anche per la spiegazionedelle scelte effettuate.La valutazioneLa Matrice della Qualità urbana non è uno strumentodi valutazione o certificazione e il suo scopo ultimonon è di giungere ad un giudizio del piano/progetto,ma di guidare il processo per facilitare la definizionedel miglior intervento di trasformazione possibile acondizioni date. Tuttavia è utile e necessario giungeread una valutazione dei risultati raggiunti nelle diverseQualità, anche per verificare la tenuta complessiva delpiano/progetto. La valutazione di tutte le parti è a curadell’Amministrazione. Per ciascun criterio il responsabiledi procedimento esprime il livello di qualità raggiuntodal progetto, paragonandolo con l’obiettivo fissatodall’Amministrazione (punto di riferimento) e con82


La Matrice della Qualità Urbana di AUDISle difficoltà di realizzazione verificate sul campo nelcorso della costruzione del piano/progetto. I gradi digiudizio sono: buono, sufficiente, insufficiente.Per una verifica sintetica degli esiti complessivi delprogetto i giudizi vengono tradotti in voti (3 buono, 2sufficiente, 1 insufficiente). Ciò consente una rappresentazionegrafica di facile lettura.L’applicazione per fasiPer adeguarsi ad accompagnare le diverse fasi delprocesso di definizione di un progetto complesso, laMatrice della Qualità urbana è stata strutturata in trefasi:- Progetto preliminare;- Piano attuativo;- Piano attuativo con previsioni planivolumetriche, tipologiche,architettoniche.Ciascuna fase definisce obiettivi, criteri e parametririguardanti tutte e nove le qualità della Matrice dellaQualità urbana.Man mano che si procede nella progettazione le descrizionicontenute nella Matrice della Qualità urbanasaranno più precise e puntuali.Questa costruzione per fasi e livelli consente di utilizzarela Matrice della Qualità urbana in modo molto flessibilea seconda dell’uso che se ne vuole fare all’internodell’iter procedurale di approvazione amministrativa- preliminare, piano, attuazione edilizia – o per strutturaregli elementi di un concorso o valutare gli esiti di unprogetto già realizzato.ConclusioniL’accentuarsi della crisi europea prospetta scenari dilungo periodo nei quali la sostenibilità dell’organizzazioneterritoriale e sociale diviene sempre più unanecessità direttamente legata alla sostenibilità economicadel livello di benessere collettivo al quale, con unpercorso lungo e faticoso, siamo giunti.La rigenerazione urbana, per i vantaggi e la razionalitàcomplessiva che una città densa e ricca di funzionioffre, rappresenta un elemento deciso per vincerequesta sfida.La Matrice della Qualità Urbana è scaricabile dal sito:www.audis.itMarina DragottoCoordinatrice AUDIS (Associazione Aree Urbane Dismesse)Fotografiadi Riccardo Vlahov83


LUCA LANZONISmart City / Città Creativa: un programmasperimentale di auto formazione fra istituzioniNel mese di giugno sono stato ospite dell’iniziativaR2B Research to Business presso la Fiera di Bologna.In questo contenitore circa 70 startup della<strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-Romagna si presentavano al pubblicoe si mettevano in contatto tra loro scambiandoidee e mettendo in confronto i loro progetti diimpresa. Passare due giornate in questo ambienteper me nuovo è stato molto stimolante perché hamesso in evidenza in modo indiretto gli elementiche sono stati alla base dell’esperienza Smart City/ Città Creativa: il confronto tra punti di vista diversi,o apparentemente diversi, l’uso di uno spaziotemporaneo di lavoro condiviso, quello di un padiglionedella Fiera di Bologna, il lavoro su tematichecomuni, nel caso di R2B la ricerca che vuoletrasformarsi in economia. Da questa breve introduzionepossiamo fare partire la nostra riflessione,rispetto al programma Smart City / Città Creativa,tenendo come punti di riferimento le tre questioniemerse durante le giornate di R2B.Smart City / Città Creativa è stato istituito comeprogramma sperimentale, con lo scopo di supportare,stimolare e accompagnare il lavoro diconfronto dei comuni dell’<strong>Emilia</strong>-Romagna, rispettoal tema della ri-generazione urbana e del suorapporto con lo strumento del concorso di architetturae urbanistica. Il tutto si poteva risolveretranquillamente, dando la possibilità alle singoleAmministrazioni comunali, di partecipare con unaloro singola idea al bando della <strong>Regione</strong> e speraredi essere premiate, con i contributi regionali utiliall’organizzazione delle attività concorsuali. Macosì non è stato.Abbiamo dunque, come CRUTA e AssessoratoAmbiente, Riqualificazione Urbana, deciso di istituireun programma sperimentale di “accompagnamentoe di stimolazione territoriale” in cui tuttigli “attori locali” (Amministrazioni Pubbliche, associazionidi varia natura, imprese, gruppi di cittadini,ordini professionali, ecc.) venissero coinvoltirispetto ad una tematica da esplorare e approfondire;quella della qualità (intesa come percorsointegrato) espressa dalla ri-generazione urbana.L’obiettivo finale era dare la possibilità finanziaria(fondi regionali) e metodologica per la realizzazionedi una serie di concorsi di architettura e urbanistica“innovativi”, come punto di partenza peruna “nuova stagione” della ri-generazione urbana;il percorso per arrivarci era tutto da costruiree soprattutto si dovevano identificare gli ambiti tematicisu cui fare lavorare e confrontare gli “attorilocali” (Assessori, dirigenti, funzionari dei Comuni,professionisti, imprenditori, associazioni di cittadini,ecc.) affinché fosse possibile identificare nuovitemi (problemi da risolvere, opportunità, ecc.) inerentila ri-generazione urbana. Partendo da questopresupposto abbiamo subito cercato una seriedi “buone pratiche” o case study da cui partire perorganizzare le attività di “accompagnamento e distimolazione territoriale”.Il primo riferimento ha riguardato l’esperienza diTED (Technology Entertainment Design) “ideasworth spreading” ovvero “idee degne di esserediffuse” utilizzato per capire come organizzare ilprimo step del percorso; il Forum organizzato aBologna il 24 giugno 2011, per lanciare le attivitàdel Laboratorio. L’esperienza di TED è stata fondamentaleper capire con quale metodologia eapproccio introdurre le tematiche della ri-generazioneurbana e della riqualificazione urbana. Tramitequesta esperienza abbiamo deciso di introdurrei temi di lavoro attraverso il confronto direttotra 32 interventi di natura diversa (video, letture ditesti, micro lezioni, presentazioni, performance,ecc.) della durata tassativa di 5 minuti, invitando aparlare rappresentanti del mondo delle arti, dellacultura, delle professioni, dell’impresa, del Governopubblico, oltre ad alcuni “saggi”, su differentimodi di leggere e interpretare le tematiche dellariqualificazione della città.La prima parte del Forum è stata caratterizzata daun ritmo incalzante di interventi e di ribaltamen-84


Smart City / Città Creativati di punti di vista. Gli amministratori dei Comunidell’<strong>Emilia</strong>-Romagna, invitati alla presentazionedei lavori del “Laboratorio di creatività urbana”sono stati letteralmente investiti (stimolati) di informazioni,suggestioni, possibili modi di agire, temidi lavoro, ecc., in poche parole, una serie di “ideedegne di essere diffuse”. Tramite questo approccioabbiamo costruito in modo indiretto una comunitàdi idee, primo passo verso la condivisione diun progetto, alla quale abbiamo chiesto di aderirealle iniziative del “Laboratorio di creatività urbana”utili all’individuazione di nuovi metodi di lavoro.La costruzione di una comunità di idee è il primofondamentale passo per la costruzione di uno spaziodi lavoro in cui poter scambiare opinioni e risolvereproblemi in modo integrato. In questo senso ilsecondo riferimento che abbiamo utilizzato comeelemento di confronto, rispetto al programma del“Laboratorio di creatività urbana” ha riguardatol’esperienza di The Hub. Il progetto The Hubè costituito da una rete internazionale di “luoghidi lavoro temporaneo” dove imprenditori sociali,creativi e professionisti con differenti profili, possonoaccedere a risorse (spazi, infrastrutture, collegamenticon altre persone, ecc.) dove lasciarsiispirare dal lavoro di altri, avere idee innovative,sviluppare relazioni utili, individuare opportunitàdi mercato e fare dell’auto formazione. L’aspettoprincipale di questo progetto riguarda la costruzionedella comunità che lo sostiene; il terminehub identifica il perno su cui una ruota di biciclettao di automobile gira, questo concetto è alla baseFotografiadi Fabio Mantovani85


LUCA LANZONIdello sviluppo di ogni singolo hub della rete. Primadi identificare lo spazio in cui lavorare, le attrezzatureda utilizzare, le tecnologie da implementare,ecc. The Hub lavora rispetto alla costruzione delpotenziale gruppo di utenti (imprenditori sociali,creativi e professionisti, ecc.) che lo dovrà utilizzaree che ne caratterizzerà le strategie. Questoè sicuramente un percorso lungo, che si sviluppacirca in un anno di tempo, ma è anche un solidoapproccio per garantire la continuità del progetto.Partendo da questa esperienza e da quella precedentedi TED, la prima fase del “Laboratorio dicreatività urbana” è stata quindi utilizzata comemomento per la costruzione di una comunità allargata(Amministratori pubblici, professionisti, imprenditori,associazioni di categorie e di cittadini,ecc.) che fosse in grado di lavorare su tematicheaffini e comuni, indirizzate verso l’identificazionedi un approccio innovativo rispetto alla riqualificazioneurbana. Questa fase del lavoro è stata supportataanche dalla presenza di una piattaformaweb (blog) con cui condividere informazioni, buonepratiche e fare circolare ancora di più le “ideedegne di essere diffuse”.La seconda fase del programma ha riguardatol’organizzazione e lo sviluppo di due momenti dilavoro dove la comunità del “Laboratorio di creativitàurbana” si è confrontata con una serie di tematichereali. Sono stati organizzati due workshopitineranti; Reggio <strong>Emilia</strong> e Voghiera, in Provincia diFerrara. Nel primo sono stati invitati i rappresentatidei Comuni con più di 15.000 abitanti, nel secondoi piccoli centri con meno di 15.000 abitanti. Iworkshop, organizzati in due giornate di lavoro,hanno permesso il confronto diretto tra Assessori,dirigenti e funzionari dei Comuni e esperti, ricercatori,professionisti e tecnici, affrontando i diversitemi, emersi durante il Forum di Bologna o promossidalla <strong>Regione</strong> con l’intento di individuaregli obiettivi e le soluzioni più creative e innovativerispetto alla tematica dei concorsi di architettura eurbanistica, come strumento per la ri-generazionee la riqualificazione urbana. L’intento di questi“spazi temporanei di lavoro condiviso” è statoquello di costruire una rete di competenze pubblichee private che potessero supportare e diffondereuna progettualità innovativa.I workshop sono stati organizzati in due giornatedi lavoro; la prima dedicata al confronto direttotra i differenti attori, la seconda come momentodi sintesi e condivisione delle tematiche emerse.Durante i lavori della prima giornata i partecipantisono stati divisi in gruppi di lavoro (tavoli tematici)in funzione delle loro richieste dirette. I tavoli sonostati organizzati tramite i seguenti ambiti: stesurabandi di concorso e tempistica, progettazione egestione degli spazi aperti e del verde urbano, innovazionetecnologica (energia, mobilità, abitare,comunicazione), ricomposizione della forma urbana.Questi ambiti di lavoro sono serviti come strumentoper declinare le quattro principali tematicheinerenti i concorsi di architettura e urbanistica:Tema A. Ricomposizione della forma urbanaTema B. Rigenerazione degli ambiti urbani consolidatiTema C. Ridefinizione dei limiti della struttura urbanaTema D. Ridisegno degli spazi liberi destinati allafunzione pubblicaOgni tavolo tematico è stato strutturato come unospazio di lavoro autonomo composto da “attori”pubblici, da “attori” privati, da tecnici e da ricercatori,coordinati da una o due persone nella vestidi “stimolatori”. L’organizzazione del tavolo prevedevache ogni Amministrazione partecipante portasseun tema di lavoro reale (caso studio), inerentead un problema di riqualificazione urbana delproprio Comune, in modo che fosse discusso ancheda tutti gli altri “attori” (pubblici, privati, ecc.)attraverso differenti punti di vista. Tramite questametodologia ogni singolo “host” (tavolo tematico)ha sviluppato una serie di linee guida o modi diapproccio inerenti a tematiche reali. Al terminedella prima parte della giornata le indicazioni diogni singolo “host” sono state integrate con quelleprovenienti dagli altri tavoli tematici, per costruireuna prima bozza o “documento tentativo”, inerentele quattro principali tematiche identificate comestrutturanti per i concorsi di architettura e urbanistica.La successiva parte, della prima giornata dilavoro, è stata utilizzata da ogni “host” per approfondirei temi emersi anche alla luce delle integrazionifornite dagli altri tavoli.86


Smart City / Città CreativaLa seconda giornata del workshop è servita perpresentare i risultati dei lavori dei singoli “host”,integrati con le osservazioni della prima giornatae utilizzati per stimolare una sessione di lavorocongiunta, formata da tutti gli “attori” presenti nel“Laboratorio di creatività urbana”.La metodologia di lavoro utilizzata durante i workshopci ha permesso di sperimentare un nuovoapproccio verso l’identificazione di possibili strumentie soluzioni inerenti le tematiche della riqualificazioneurbana. I rappresentati delle Amministrazioniche hanno partecipato alle attività del“Laboratorio di creatività urbana” sono stati investitida un duplice ruolo: nel primo, hanno condivisouna problematica (presentazione di un casostudio) con i colleghi di altri Comuni, mettendolain discussione e confrontandola con tematiche simile;nel secondo, hanno intrapreso un approccioal lavoro di tipo “learn by doing” in cui tramite illavoro condiviso sono stati “stimolati” e hanno trovatopossibili soluzioni alle proprie problematiche;quali temi di riqualificazione urbana sviluppare econ quali strumenti concorsuali.L’obiettivo principale delle attività “Laboratorio dicreatività urbana” è stato quello di costruire unospazio di lavoro temporaneo (fisico e su web) incui fosse possibile mettere in evidenza connessionie collegamenti tra problemi o soluzioni, nelcampo della riqualificazione urbana. In questoquadro di riferimento il tema della “creatività urbana”,inteso come nuovo modo per trovare soluzioni,è stato declinato rispetto il chiaro e sempliceenunciato di Poincaré, che ci ricorda che per esserecreativi bisogna cercare connessioni nuovee utili. Connessioni fra elementi già esistenti. Trapotenzialità che esistono già sul territorio. In questocaso le connessioni che sono state costruitehanno riguardato la messa in rete e il confronto trale diverse esperienze delle Amministrazioni della<strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-Romagna.Il “Laboratorio di creatività urbana” è stato smarte creativo perché ha cercato di lavorare per reagiread una condizione di svantaggio (economico,di idee, sociale, procedurale, ecc.) obbligando leAmministrazioni locali a muoversi fuori dalle proceduredefinite, obbligandole a diventare parteattiva,cercando nuove connessioni, all’interno diun percorso di lavoro condiviso e integrato tra“attori” di differente natura (altre Amministrazionipubbliche, privati, cittadini, ecc.).Non si è trattato quindi di una gara a chi arrivaprima e si prende il piatto, lasciando agli altri lebriciole. Si è trattato di un percorso in cui ciascunoè stato capace di essere creativo all’interno delleproprie condizioni e rispetto a propri obiettivi, conle proprie forze e malgrado le proprie debolezze.L’<strong>Emilia</strong>-Romagna, le sue municipalità, le sue comunitàlocali, articolate in una galassia infinita diassociativismo e cooperativismo, hanno tanti pregi.In particolare per quel che riguarda la gestionedella cosa pubblica. Ma la creatività richiedeinvenzione più che gestione. Molto spesso, anchese tendiamo a sottovalutare questo aspetto,i risultati più interessanti dipendono assai più daprocessi decisionali innovativi che dalla presuntareplicazione di altrui buone pratiche.Ed è anche bene sottolineare che non si è creativi,o smart grazie ad interventi puntuali, singolepolitiche settoriali, né, tantomeno, attraversosingoli progetti occasionali, incapaci di generaretrasformazioni complesse. In questo senso il “Laboratoriodi creatività urbana” ha puntato moltosulla definizione delle “strategie a contorno” e asupporto delle singole ipotesi di riqualificazioneurbana identificate dei singoli Comuni e inseritenei concorsi.Si può essere creativi o smart di successo solose si possiede una visione strategica di insieme,ampiamente accolta e condivisa dalla popolazioneresidente, capace di generare attese ma, soprattutto,mobilitazione sociale, azioni dirette anzichélunghe sedute collettive di “partecipazioneparlata”.In questo quadro di riferimento ritorna quella cheè stata una costante del Laboratorio: puntare primadi tutto e soprattutto sulla costruzione di una“comunità di idee”, “idee degne di essere diffuse”,affinché tramite le connessioni fra elementi già esistenti,si passi da una “partecipazione parlata” aduna “partecipazione progettante”.Luca LanzoniArchitetto, Docente al Master Eco-PolisUniversità di Ferrara87

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