8<strong>Campo</strong> de’ fioriRoma che se n’è andata: luoghiPer i meandri del ghettoS. Angelo, il più piccolo dei Rioni <strong>di</strong> Roma,prende il nome dalla chiesa, e<strong>di</strong>ficata nell’anno770, <strong>di</strong> Sant’Angelo in Pescheria,con riferimento al vicino mercato del pesceche, per lungo tempo, restò ubicato sottole colonne del Portico <strong>di</strong> Ottavia, e<strong>di</strong>ficioreligioso meglio conosciuto nel me<strong>di</strong>oevocome “Regio Sancti Angeli in foropiscium”, ossia presso il mercato delpesce.Soltanto una breve annotazione per ricordareche questa chiesa ebbe una grandeimportanza storica; infatti, proprio daSant’Angelo in Pescheria, dopo avereascoltato trenta messe dello Spirito Santoa partire da mezzanotte, il giorno dellaPentecoste del 1347 uscì Cola <strong>di</strong> Rienzo “… armato de tutte arme …“, con il solocapo “<strong>di</strong>scoperto”, preceduto dai gonfalonie seguito da una “ … moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> garzonitutti gridanti …“, per avviarsi alCampidoglio e parlare al popolo nel tentativo<strong>di</strong> ripristinare la Repubblica Romana.Il Rione si sviluppava originariamente suquello che era il sito del Circo Flaminio,qui costruito durante il III secolo a.C. daGaio Flaminio, ma già nel Me<strong>di</strong>oevo, quandoil Circo e <strong>di</strong>versi fabbricati <strong>di</strong> epocaromana non esistevano più, vennerocostruite nuove case, utilizzando prevalentementel’abbondante materiale <strong>di</strong> risultapresente in zona, cosa che, ancora oggi, sipuò facilmente notare, osservando i muridelle costruzioni più antiche.Allorquando Paolo IV, Gian Pietro Carafa,1555 - 1559, come già ricordato, emise laBolla con la quale <strong>di</strong>sponeva la segregazionedella comunità ebraica, circa la metà<strong>di</strong> questo antichissimo Rione <strong>di</strong>venne ilGhetto <strong>di</strong> Roma e, mentre migliaia <strong>di</strong> ebreifurono costretti a vivere ammassati in piccole,vetuste e insalubri case, appena fuorida quell’ignobile “recinto” agiate famigliecristiane risiedevano in eleganti palazzi.In questo sito il nobile romano LorenzoManili costruì la propria <strong>di</strong>mora.Successivamente, siamo nel XVI secolo, iSavelli pensarono bene <strong>di</strong> costruire in cimaal Teatro <strong>di</strong> Marcello un bellissimo palazzo,passato più tar<strong>di</strong> alla proprietà degli Orsinie, in altra parte del Rione, la potente famigliadei Mattei eresse ben quattro palazzi,che insieme formarono la cosiddetta “isoladei Mattei”. Altre nobili famiglie, come iCostaguti, i Santacroce ed i Serlupi, scelsero<strong>di</strong>costruire leloro residenzein Sant’Angelo.Antica la presenzadegliebrei in questoluogo,tanto che,come testimonial’anonimocronista,che talunistu<strong>di</strong>osi in<strong>di</strong>viduanonellapersona del<strong>di</strong>plomaticopontificioBartolomeo <strong>di</strong>Jacovo da Valmontone, autore della “Vita<strong>di</strong> Cola <strong>di</strong> Rienzo” :“ … nacque nello Rione della Regola. Sioavitazio fu canto fiume, fra li mulinari,nella strada che vao alla Regola, deretoSanto Tomao, sotto lo Tempio delli Iudei… “Ma veniamo a tempi molto più recenti.Sono ormai passati più <strong>di</strong> trecento anni daquel triste 14 luglio 1555; la città è in attesadella demolizione <strong>di</strong> quelle case checostituirono il Ghetto <strong>di</strong> Roma, il quartierenon è più soggetto a coprifuoco, non cisono più le porte d’ingresso, quel sito èormai Roma, gli ebrei sono citta<strong>di</strong>ni italiania tutti gli effetti ma, come ben sai, icostumi <strong>di</strong> un popolo sono <strong>di</strong>fficili da cambiare,non si possono mo<strong>di</strong>ficare nello spazio<strong>di</strong> poche settimane o, se preferisci, <strong>di</strong>pochi mesi, a volte occorrono decenni. Almomento, gli ebrei che abitano nel Ghettomantengono vive e integre le loro abitu<strong>di</strong>nie manifestazioni, qui trovi ancora gliabiti usati, i ven<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> stracci e le donnementre chiacchierano sedute sulle soglie,in cerca <strong>di</strong> luce per cucire e aria per respirare,in quei caratteristici cortili - piazzette,formatesi, quasi spontaneamente, agliincroci dei contorti meandri.E’ proprio su quelli che furono i meandridel Ghetto che desidero intrattenerti,anche se non è facile ricostruirne l’esattatopografia. Brevemente: all’interno duegran<strong>di</strong> trasversali, la “strada <strong>di</strong> Rua” o“Ruga delli Judei”, in origine “RugaJudaeorum”, partiva da Piazza Giu<strong>di</strong>a conandamento parallelo alla “strada <strong>di</strong>Piscaria”, mentre la “strada Fiumara” sisviluppava oltre le case affacciate sulTevere, quin<strong>di</strong>, verso Monte Cenci, la“piazzetta delle Scole”, un luogo che prendevail nome dalla presenza delle cinque“scole ebraiche”, la “scola del Tempio”, la“scola Nova”, la “scola Siciliana”, oltre alledue <strong>di</strong> rito spagnolo, ossia la “scolaCatalana” e la “scola Castigliana”, fondatedagli ebrei che, espulsi dalla Spagna allafine del Quattrocento, vollero stabilirsi aRoma.La produzione artistica, costituita dagliacquarelli <strong>di</strong> Ettore Roesler Fran, su Romasparita è l’unica documentazione a noi pervenuta<strong>di</strong> quello che fu il Ghetto <strong>di</strong> Roma,anche se è pur vero che l’artista, per ritrarrequel particolare quartiere, oltre ai suoipennelli, adoperò spesso l’obiettivo fotografico,riuscendo così a conservare alcuneimmagini davvero uniche, cosa che altri,dopo <strong>di</strong> lui, non riuscirono a fare, essendoarrivati a cose compiute, ossia quandoquelle case erano già state completamentespianate.Ettore Roesler Franz confidava ad alcuniamici che vi fu un particolare momentodella sua vita artistica durante il qualedovette impegnarsi non poco per anticipare,a volte soltanto <strong>di</strong> poche settimane, l’operadei “demolitori” della vecchia Roma eciò allo scopo <strong>di</strong> riuscire a fermare con isuoi colori quelle immagini della città che,
, figure, personaggi<strong>Campo</strong> de’ fiori 9<strong>di</strong> Riccardo Consoli<strong>di</strong> lì a poco, sarebbero state cancellate e<strong>di</strong>strutte per sempre. L’artista sostenevache per lui, assieme ad un misto <strong>di</strong> rabbia,era un piacere poter gareggiare con queitenaci “demolitori”.La Roma che egli amava <strong>di</strong> più e che ci hatramandato non è tanto quella dei gran<strong>di</strong>osimonumenti o dei palazzi principeschi,ma piuttosto quella delle povere e umilicase, anche se, talvolta, mescolate e confusecon qualche <strong>di</strong>mora baronale, oltre aquella dei balconcini fioriti, dei ricchi pergolatilungo le sponde del Tevere e, naturalmente,dei meandri del Ghetto.Nei quadri dell’artista, tutti realizzati avalle dell’abbattimento del “recinto”, ilPortico <strong>di</strong> Ottavia costituisce l’epicentro <strong>di</strong>una zona che fu pure nido <strong>di</strong> osterie ecovo <strong>di</strong> pescatori, una sorta <strong>di</strong> perno centraleattorno al quale, <strong>di</strong> volta in volta, civengono presentati i tanti tuguri e i numerosimeandri, un susseguirsi <strong>di</strong> scenemolte volte tristi, a volte raggianti <strong>di</strong> vita;possiamo osservare il timpano e il colonnatodello stesso Portico collegati ad unacasa con scala esterna, ben in vista e conparapetto fatiscente, nel cortile un gruppo<strong>di</strong> capre <strong>di</strong>sposte in semicerchio, con ilpastore addormentato in mezzo a loro e,ancora, un gran pavese <strong>di</strong> panni stesi.Acquerelli dove è protagonista assoluta laluce del sole, che consente <strong>di</strong> valorizzareogni particolare. Così: un magnifico fratedominicano barbuto, intento ai suoi acquistinel mezzo <strong>di</strong> un largo; un deposito all’aperto<strong>di</strong> cappotti, giacche, vestiti e stoffe<strong>di</strong> ogni genere; un ombrellaio al lavoro;canestri e altri recipienti ai quali bene siaccompagna l’in<strong>di</strong>cazione “vini <strong>di</strong> Marino”;una cesta, la cosiddetta “canefora”, poggiatasul selciato; un vecchio carrettoabbandonato; un uomo in bottega <strong>di</strong>etro ilsuo banchetto <strong>di</strong> lavoro.Elementi eterogenei nella composita varietàdei meandri del Ghetto e, mentreincombono le già programmate “demolizioni”,facciamo appena in tempo adosservare una serie <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici fatiscenti, conorribili scale esterne prive <strong>di</strong> corrimano eballatoi senza parapetto, protetti da pochetavole inchiodate, povere case sopraelevatenel corso dei secoli, allo scopo <strong>di</strong> acquistarein altezza gli ambienti necessari allacomunità, che aumentava <strong>di</strong> numero;vicoli e case interamente aperte al commerciodalla verdura, agli articoli per lacasa, agli oggetti <strong>di</strong> piccolo antiquariato epoi, in mezzo a tutto ciò, senza alcunaapparente relazione logica, una magnificafinestra crociata o guelfa, come si usava<strong>di</strong>re un tempo, posizionata in alto.Un tempo a Roma e <strong>di</strong>ntorni si pescavaovunque, sopratutto nel Tevere, doveabboccava persino la spigola, pesce <strong>di</strong>mare per eccellenza, che risaliva il fiumeattratta dai rifiuti commestibili, <strong>di</strong>venendo<strong>di</strong> qualità più pregiata per via della faticafatta nuotando contro corrente. Il pescatoaffluiva sui banchi <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta al pubblico,<strong>di</strong>sposti nei mercati della città, in talequantità e qualità da lasciare stupefattituristi e viaggiatori, ma principalmente neibanchi <strong>di</strong> Sant’Angelo in Pescheria, mercatodel pesce per eccellenza, sul quale cisiamo intrattenuti in altra sede.Questo mercato è stato per moltissimianni elemento caratterizzante il Ghetto <strong>di</strong>Roma, passaggio obbligato del commercioittico. Qui era costumanza che la testa deipesci “nobili” dovesse andare in regalo aiConservatori <strong>di</strong> Roma quando gli esemplarieccedevano la lunghezza <strong>di</strong> cinque palmie un’oncia, corrispondenti al nostro metroe tre<strong>di</strong>ci centimetri, come ricordato da unabella lapide del XVII secolo, apposta lungola scala del Palazzo dei Conservatori.Una volta demolito il Ghetto alcune dellecolonne romane, prima incorporate nellefacciate <strong>di</strong> antiche case, sono rimaste inpie<strong>di</strong>, quasi a volerci ricordare quello cheera stato l’antico limite; Ettore RoeslerFranz ha voluto riprodurre antichi archiilluminati dalla luce del sole, attraverso lapaziente ripetizione degli antichi mattoni<strong>di</strong>sposti a raggiera. I meandri del Ghettosono sempre raffigurati con tutte le vivaciimmagini <strong>di</strong> vita e, a completamento, eccocosa scrive Cesare Pascarella in una dellesue deliziose prose:“ … dal fondo <strong>di</strong> un vicolo s’avanza ungruppo numeroso e pittoresco <strong>di</strong> suonatoristrimpellando mandolini e chitarre; essihanno in capo gran<strong>di</strong> tube ornate <strong>di</strong> fiori esono tutti vestiti <strong>di</strong> forme <strong>di</strong>susate. Leesclamazioni <strong>di</strong> sorpresa e le domande siincrociano fra i portoncini e le finestre:Che è successo? … Che d’e’? … E’ ritornatocarnevale? … Chi so? … E una vocesuperando il frastuono delle voci deglistrumenti e delle risate <strong>di</strong> cui ormai il vicoloè pieno, risponde: So’ li pittori chevanno a magnà li carciofoli, in Ghetto … “.La Sinagoga, sul Lungotevere dei Cenci, èoggi il luogo <strong>di</strong> culto della comunità ebraica<strong>di</strong> Roma, con la sua cupola quadrata,visibile da molti punti della città e fucostruita tra gli anni 1899 e 1904. Il“Tempio”, come amano chiamarla gli ebreiromani, rappresenta la riconquistata citta<strong>di</strong>nanzadopo la vergogna del Ghetto; èfrequentata praticamente da tutti, anchese in città insistono altre Sinagoghe piùpiccole. Nessuna immagine all’interno,solo simboli e numerosi scritte in ebraico,quasi tutte versetti delle Scritture, cheesaltano la sacralità del luogo.Il Ghetto <strong>di</strong> Roma, un luogo così fitto <strong>di</strong>presenze e <strong>di</strong> incroci, non solo reali maanche simbolici poiché osservando, siapure nei <strong>di</strong>pinti, quelli che furono i suoimeandri e le sue case affollate e strette,possiamo soltanto immaginare dove ecome hanno vissuto, per più <strong>di</strong> trecentoanni, uomini e donne, quoti<strong>di</strong>anamenteimpegnati a svolgere i pochi mestieri loroconsentiti. Ma la vita <strong>di</strong> tante generazioniin questo luogo ha aiutato la comunità <strong>di</strong>Roma nel mantenimento delle “tra<strong>di</strong>zioni”,nel capire l’importanza dell’unità dellafamiglia innanzi tutto e poi ancora il legamecon il commercio, la sopravvivenza delgiudaico romanesco ma, soprattutto, ilsenso <strong>di</strong> appartenenza a quel luogo, aquelle pietre, a quello spazio.