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Intervista esclusiva a Ciro Ferrara - Torino Magazine

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Con i figli Paolo e BenedettaIn basso: durante lo spot Birra Moretti«Ogni allenatore ti forma, ti cresce,ti matura, ti dà sempre qualche cosa.Obiettivamente con Lippi ho avutopiù sintonie che con ogni altro»Durante l’intervistarata una realtà piuttosto chiusa. La mia prima difficoltàvenne dal traffico: tra viali e controviali proprio nonmi raccapezzavo. Facevo confusione e ogni tanto mi sorprendevoa ridere da solo. C’è voluto un po’ per impararea destreggiarsi».Dieci anni in maglia bianconera, tanti successi, manon era così scontato che ti fermassi anchedopo…«È stato un radicamento progressivo, ma mi ha aiutatovincere subito, scrivendo pagine importanti nella storia dellasocietà, di conseguenza il rapporto si è consolidato.Quando stava finendo la mia carriera ho cominciato aA Napoli due scudetti, a <strong>Torino</strong> scudetto e Champions.Due momenti storici subito dopo il tuo arrivo,chissà quante volte ci hai pensato…<strong>Ciro</strong> se la ride di gusto e commenta: «Diciamo che hoavuto il c..o di trovarmi al posto giusto nel momento giusto».Poi torna serio e aggiunge: «Ho militato in duesocietà importanti che lottavano al vertice, quindi ho avutoal possibilità di vincere a Napoli e di vincere a <strong>Torino</strong>.A Napoli si parla ancora oggi di quei due scudetti,nella Juventus c’è una maggiore abitudine alla vittoria».Anche i festeggiamenti erano diversi?«Certo: il primo scudetto napoletano lo stiamo ancorafesteggiando adesso!».Che ricordo hai di Diego Armando Maradona?«Mi è rimasto un ricordo fantastico. Per me resta in assolutoil più grande giocatore di tutti i tempi. Ma conservoanche un ricordo bellissimo della persona nonostantegli errori, che ha anche ammesso pagando sulla propriapelle. Diego è sempre stato un ragazzo in gradodi farsi voler bene dai compagni, di grande simpatia edisponibilità; non ha mai fatto pesare di essere il numerouno al mondo, mentre forse poteva permetterselo.E poi mi piace sottolineare i tanti gesti piccoli e grandi,per esempio coi bambini, che faceva fuori dal campo.Tutte cose che sono state messe meno in risaltorispetto ai suoi problemi con la droga».Quando parli del tuo lavoro di allenatore metti alprimo posto i valori umani. Per te la tecnica e latattica contano meno delle motivazioni?«Le motivazioni sono essenziali, il calciatore le deve trovaredentro di sé in tutte le gare, ma anche durante ogniallenamento. L’aspetto tecnico e quello tattico hanno unagrande importanza, ma l’aspetto motivazionale, sul quapensareal dopo, a programmare il seguito; anche seinizialmente pensavo ad un percorso dirigenziale.Questa città mi era entrata nel cuore. Il fatto di trovarmibene sotto molti punti di vista mi ha spinto nella sceltadi fermarmi».Cosa ti piace di <strong>Torino</strong>?«La qualità della vita ed il fatto che sia una città su misuraper chi ha famiglia. Ma ci sono anche altri pregi: <strong>Torino</strong>è discreta, nel lavoro c’è una mentalità giusta, moltoquadrata».Ci sono luoghi a cui sei particolarmente legato?«Oggi abito in centro e ci sto benissimo, ma i primi annili ho trascorsi alla Gran Madre. Continuo a trovare la precollinaun luogo di grande bellezza e serenità».A <strong>Torino</strong> non ti sei dedicato solo al calcio ma anchealla ristorazione. Un’esperienza completamentediversa…«<strong>Torino</strong> mi ha anche permesso di diversificare i mieiinteressi. È stato molto piacevole, anche per il riscontrocon clientela e tifosi. Vuoi una curiosità? Qualchevolta nel locale chiedono di me, quasi fossi io a gestirei tavoli».Napoli e <strong>Torino</strong> sono due città profondamente differenti.Come le vive un atleta professionista?«A Napoli, durante la settimana, andare in giro costituivaun bel problema; muoversi tra la gente voleva dire esserericonosciuto e incitato, la pressione era molto forte. Peròla domenica il San Paolo pieno costituiva uno spettacolounico. Invece qui il calcio viene affrontato in maniera piùtranquilla, maggiormente vivibile. Per un calciatore l’idealesarebbe una sintesi: stadio bollente e città serena neglialtri giorni».le devo lavorare prima della partita e durante la settimana,si rivela fondamentale. Soprattutto a questi livelli.Quando alleni grandi campioni è difficile insegnarequalcosa dal punto di vista tecnico, sotto l’aspetto tatticopuoi lavorarci, ma è determinante che gli atleti comprendanotutti i giorni quello che deve essere lo spiritodi gruppo, lo spirito di squadra che diventa la base perraggiungere gli obiettivi».Dagli inizi della tua carriera ad oggi com’è cambiatala vita di un atleta professionista?«Oggi questi grandi campioni rappresentano ciascunoun’azienda, e tu devi fare in modo che tutte queste aziendeabbiano lo stesso obiettivo ed un ‘tempo comune’:quello necessario per arrivare al traguardo che ci si prefigge.Inoltre adesso le rose sono molto più ampie e,di conseguenza, c’è maggiore competitività all’internodel gruppo. Occorre prestare attenzione ai ragazzi piùgiovani: c’è il rischio che una sola presenza in serie Ali porti alle stelle, ma poi altrettanto velocemente puòarrivare la delusione».«Le motivazionisono essenziali,il calciatorele deve trovare dentrodi sé in tutte le gare,ma anche duranteogni allenamento»1011

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