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Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento - SIE - Società ...

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dal punto di vista <strong>del</strong> fruire: […] L’abbandono <strong>del</strong> concetto di gusto,sostituito dal giudizio, dall’intelletto, risulta perciò effettivamente unritorno, un’involuzione, non un progresso, un’evoluzione» 15 .Ma non c’è proprio nulla, nel nostro <strong>Settecento</strong>, che si mostri all’altezza<strong>del</strong> dibattito europeo e riesca ad inserirvisi? Non ci sono riflessionisul gusto che si pongano davvero la questione <strong>del</strong>la sua naturache colgano i problemi che il concetto di gusto suscita? In realtà unepisodio c’è, ma si tratta un episodio che <strong>Morpurgo</strong> non poteva trattareestesamente, anche se ne intuisce l’importanza.È il caso <strong>del</strong> carteggio che uno studioso appartato, un dilettantericco di doti, il conte Pietro di Calepio, bergamasco (un suo antenatoera stato l’autore <strong>del</strong> dizionario latino noto come “calepino”), intrattienenel 1729 con lo svizzero Johann Jakob Bodmer, l’autore di tanteopere di teoria e critica letteraria, molte <strong>del</strong>le quali in collaborazionecon Breitinger. Calepio (1693-1762), noto altrimenti quasi soltantoper il suo scritto Paragone <strong>del</strong>la poesia tragica d’Italia con quella diFrancia, stampato a Zurigo nel 1732, polemizza in queste lettere precisamentecontro quella riduzione <strong>del</strong> gusto a giudizio intellettuale cheabbiamo visto corrente in Muratori e che in quegli anni il suo corrispondentesvizzero, Bodmer, faceva propria. Contro l’idea che il gustoaltro non sia che un giudicare <strong>del</strong>l’intelletto, Calepio ritiene che ilgusto sia un sentire, sia un sentimento. «Per gusto – egli scrive –s’esprime il sentimento che riceve l’animo per opera <strong>del</strong>l’elocuzione, eper buon gusto quel discernimento che con l’aiuto <strong>del</strong>la ragione conoscele perfezioni e i difetti <strong>del</strong>la medesima» 16 . Per sapere se un’operapiace o no, non c’è bisogno di regole, di principi, di ragionamenti, masemplicemente di gustarla, ossia di assaporarla col nostro sentire. Ilgusto, quindi, è per Calepio un sentimento, un sentimento che peròagisce non scompagnato dalla ragione. L’eloquenza opera per impressionesensibile. Essa persuade bensì attraverso la ragione e il diletto,ma solo il secondo è il suo veicolo specifico (la ragione è in comunecon le scienze), e il suo compito rimane quello di destare l’immaginazione,la quale, per parte sua, è «tutta sensuale» 17 . Se la decisione suciò che piace o non piace fosse presa dall’intelletto, dovremmo esseresempre in grado di spiegare perché qualcosa piace, mentre accadespessissimo che qualcosa ci piaccia, senza che sappiamo spiegare perché.«Conviene dunque – concludeva Calepio – stabilire che, oltre ildiletto prodotto dalla considerazione <strong>del</strong>l’arte, havvene un altro propriode’sensi, e maggiore, comune al popolo e alli dotti, il qual consistenel sentirsi secondare l’interna commozione dalle immagini <strong>del</strong>lepassioni altrui, e che questo opera immediatamente, eccitando il piantoe preoccupando l’operazione <strong>del</strong>l’intelletto, che in tal funzione nonha parte» 18 .43

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