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Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento - SIE - Società ...

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gusto abbia statuto catacretico e il fatto che gusto e giudizio collaborinonell’imprimere senso e vincoli alla esperienza critico-estetica, laquale solo da tale coesione viene sottratta all’arbitrio e all’irrilevanzasemantica senza decadere a luogo di applicazione meccanica di stereotipi.In altri termini, mediante il recupero <strong>del</strong> referente kantiano siriesce a comprendere meglio un’acquisizione capitale <strong>del</strong>la teoresi esteticadi <strong>Morpurgo</strong>: quando si riconosce il carattere orientativo e riflettenteal principio di senso efficace nell’esperienza estetica, è a un giudiziosottratto alla dinamica <strong>del</strong> riferimento che occorre imputare larealizzazione di esigenze di compiutezza avanzate dal semplice atto <strong>del</strong>gusto.4. L’assimilazione <strong>del</strong> tenore critico di stirpe kantiana condizionaprofondamente anche la relazione che <strong>Morpurgo</strong> istituisce tra funzionisemantiche e strutture <strong>del</strong> giudizio nella sua ricerca tesa a classificarele forme <strong>del</strong> giudizio al fine di mostrare la peculiarità <strong>del</strong>l’ambito estetico.Si tratta di una ricerca che ha occupato <strong>Morpurgo</strong> prevalentementenel corso degli anni Sessanta, e che ha dato luogo a non pochisaggi, tra i quali spicca quello <strong>del</strong> 1962 intitolato Gusto e Giudizio.L’intreccio tra assimilazione <strong>del</strong>la terza Critica e ricognizione <strong>del</strong>le formedi giudizio, nella prospettiva di un’analisi articolata <strong>del</strong>lo spettro<strong>del</strong>la semanticità, si fa evidente in particolare in una pagina di questosaggio su cui è opportuno fermare l’attenzione. È una pagina in cui lapartizione dei giudizi viene effettuata sulla base di un criterio dualescopertamente mutuato dalla terza Critica di Kant. Da un lato, scrive<strong>Morpurgo</strong>, vi sono giudizi basati su criteri «costitutivi», e dunque daintendere come «giudizi determinanti»; è il caso dei giudizi espressidalla «critica rettorica» che, in altro universo concettuale, possono essereanche chiamati “essenzialisti” nella misura in cui pretendono distatuire e definire le proprietà “imprescindibili” che le opere d’artedovrebbero manifestare. Dall’altro lato, invece, ossia nel caso in cui sievitano irrigidimenti normativo-idealizzanti, agiscono nozioni che «nonsono efficaci se non come criteri regolativi, per giudizi riflettenti» (cfr.Gusto e Giudizio, p. 224). Al di là <strong>del</strong>la sua scorza lessicale, il nocciolodi questa pagina di Gusto e Giudizio sta nel particolare approfondimento<strong>del</strong>lo schema duale che vi si introduce, laddove affiorano alcunitratti fondamentali <strong>del</strong>la fenomenologia <strong>del</strong> giudizio critico-estetico <strong>del</strong>ineatadagli interventi di <strong>Morpurgo</strong> degli anni Sessanta e rispetto a cuile ricognizioni storiografiche sul gusto fungono da prolegomeni. Aconferma di ciò è utile leggere ciò che <strong>Morpurgo</strong> scrive svolgendo ilconfronto tra giudizi determinanti e giudizi riflettenti, tra nozioni costitutivee nozioni regolative: «le prime precisano e impongono alcuneproprietà che si attribuiscono all’oggetto estetico, le ultime diconosoltanto l’effetto <strong>del</strong>l’oggetto estetico nella fruizione <strong>del</strong> gusto» (ibi-69

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