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Scarica il quaderno - Vicenza Jazz

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And a Bird FlewFrom Great Mother AfricaDECIMA EDIZIONEnew conversations 200515/21 MAGGIO


2UnascommessavintaPare ieri quando, quasi per scommessa,con Riccardo Brazzale eMatteo Quero, proponemmo all’Amministrazionecomunale di organizzarea <strong>Vicenza</strong> un festival jazz.Dieci anni fa <strong>il</strong> jazz non poteva ancoracontare sulla diffusione presso <strong>il</strong> pubblico oggi garantita da clube locali sempre più vivaci, da festival in continua crescita e persinoda una certa voga corrente per tutto quanto – anche alla lontana -abbia in qualche modo a che fare con la musica afroamericana.La scommessa, possiamo dirlo senza tema di presunzione, è statavinta. Dai cinque concerti che componevano <strong>il</strong> primo cartellone,“<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” ha fatto molti passi avanti e basta scorrere i nomiche si sono avvicendati sui palcoscenici cittadini sino a oggi percomprendere come <strong>il</strong> festival abbia saputo davvero offrire al pubblicouno spaccato amplissimo della scena jazzistica contemporanea,dagli esiti più mainstream a quelli più sperimentali e di contaminazionecon altri generi. E per una settimana all’anno la città siè immersa e continua a immergersi in un’atmosfera di festa checoinvolge l’appassionato più incallito, così come un segmento nonmarginale del “popolo della notte”, che magari non acquista idischi di B<strong>il</strong>l Evans o Charlie Parker, ma ascolta volentieri un riff dibatteria o una scala blues mentre sorseggia una birra.Si parla molto di questi tempi del valore sociale dell’impresa. Perl’azienda che rappresento, aver accompagnato le dieci edizioni di“<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” significa avere in qualche modo adempiuto a questamissione.Luca Trivellato


Alla ricercadella semplicitàperdutaIl tema conduttore che accompagnalo sv<strong>il</strong>uppo della decima edizionedi “New Conversations-<strong>Vicenza</strong><strong>Jazz</strong>” mi sembra particolarmenteaccattivante, perché mette insiemele radici africane di questa musica(ma, per esteso, anche di tante suggestioni culturali della nostracontemporaneità) con <strong>il</strong> volo trasognato di un grande artista comeCharlie Parker che agli appassionati era ed è noto col nome di“Bird”.Questa fusione di intenti e di percorsi della mente suggerisce asua volta diversi tipi di riflessione, sulla scorta degli innumerevoliincroci che i viaggi del pensiero ci consentono.Più volte, nel corso del secolo appena concluso, la cosiddetta culturaeuro-occidentale ha cercato nelle radici africane quel senso disemplicità e purezza che a noi, spesso, continua ad apparire permolti versi perduto.Questo ricorso all’essenzialità della cultura e della musica, e persinodella vita, è stata ed è una delle peculiarità vincenti di unamusica come <strong>il</strong> jazz, che anche quando dovesse sembrare di nonfac<strong>il</strong>e approccio riesce sempre a lasciarti dentro qualcosa, quasicome quelle poesie che, lette nella pur ostica lingua originale, riesconoa dirti più di ogni altra diretta espressione.3Enrico Hüllweck


PROGRAMMAJohn Jorgenson “Franco-American Swing” - Gipsy <strong>Jazz</strong>John Jorgenson, chitarra;Andy McKenzie e John Wheatcroft, chitarra ritmica;Stefan Dudash, violino; Charlie Chadwick, contrabbassoObi 5Alessia Obino, voce; Ettore Martin, sax tenore;Daniele Santimone, chitarre; Alessandro Fedrigo, basso elettrico;Stefano Peretto, batteriaMichele Polga QuartetMichele Polga, sax tenore; Marcello Tonolo, piano;Marc Abrams, contrabbasso; Emanuele Maniscalco, batteriaMercoledì 20 APRILETeatro Olimpico - ore 21Venerdì 6 MAGGIOJolly Hotel Tiepolo - ore 21Giovedì 12 MAGGIO<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatteri - ore 22. 304“Bach to Africa: Lambarena”Coro e Orchestra di <strong>Vicenza</strong> diretti da Giuliano FracassoRosario Giuliani: “For Bird”Rosario Giuliani, sax alto; Paolo Birro, piano;Marc Abrams, contrabbasso; Mauro Beggio, batteriaDj Paul Beatmusica lounge, ch<strong>il</strong>l out, easy listening, latin jazz, r’n’b, beat“Bach to Africa: I Corali”Concerto per organo e coroCorali di J.S. Bach - tributo ad Albert SchweitzerMorris and the MagicalsMoris Ponzio, voce; Primo Fava, chitarra; Alberto Baù, basso;Andrea Ellero, batteria; Aldo Balzarotti, organo HammondVincent Herring - Dan<strong>il</strong>o Memoli 4tetAnteprima Jolly <strong>Jazz</strong>: “Jam for Bird” - Musica e buffetVincent Herring, sax contralto; Dan<strong>il</strong>o Memoli, pianoforte;Stefano Senni, contrabbasso; Joris Dudli, batteriaOrchestra del Teatro Olimpico di <strong>Vicenza</strong>P. Cajkovskij: Serenata per orchestra d’archi op.48;A. Dvorak: Serenata per archi op.22;G. Gershwin: Rapsodia in blu per archi e jazz bandSolista: Alexander Frey; direttore: Giancarlo De LorenzoIn collaborazione con “Il Suono dell’Olimpico”Rosario Giuliani: “For Bird”Rosario Giuliani, sax alto; Paolo Birro, piano;Marc Abrams, contrabbasso; Mauro Beggio, batteriaVenerdì 13 MAGGIOTempio di San Lorenzo - ore 21<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatteri - ore 22. 30Shanty Café - ore 23Sabato 14 MAGGIOTempio di San Lorenzo - ore 16Nuovo Bar Astra - ore 18. 30Ristorante “Le muse”, Jolly Hotel Tiepolo - ore 21Teatro Olimpico - ore 21<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatteri - ore 22. 30


PROGRAMMADomenica 15 MAGGIOore 10. 30 - Chiesa di San Pietrodalle 16 - Piazza San Lorenzodalle 18 alle 20 - Art Caféore 18 - Caffè Teatroore 21 - Piazza dei Signoriore 23. 30 - <strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatteri“Bac(k) to Africa: Missa Luba”Celebrazione liturgicaCoro e Orchestra di <strong>Vicenza</strong>diretti da Giuliano FracassoAllievi della Scuola TheloniousBig Band & Music Ensemblegruppi musicali della Scuola TheloniousNew Art Ensemble(omaggio ad Astor Piazzolla)MANU DIBANGO & SOUL MAKOSSA GANGManu Dibango, sax tenore, voce;Kaba Malekani, chitarra;Julien Agazar, tastiere;Noël Ekwabi, basso elettrico e voce;Jacques Conti-B<strong>il</strong>ong, batteria;Isabel Gonzalez, voce;Valérie Ekoume, voceMauro Baldassarre QuartetMauro Baldassarre, sax alto; Michele Calgaro, chitarra;Lorenzo Calgaro, contrabbasso; Enzo Carpentieri, batteria;Paolo Mele, voce recitante5Lunedì 16 MAGGIOdalle 18 alle 20 - Art Caféore 21 - Teatro Astraore 23. 30 - <strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatterigruppi musicali della Scuola TheloniousFULL BLOWN TRIODave Burrell, pianoforte;W<strong>il</strong>liam Parker, contrabbasso;Andrew Cyr<strong>il</strong>le, batteriaDON BYRON: “Music for Six Musicians”Don Byron, clarinetto;James Zollar, tromba;George Colligan, pianoforte;Leo Traversa, contrabbasso;M<strong>il</strong>ton Cardona, percussioni;Ben Witman, batteriaCarlo Atti QuartetCarlo Atti, sax tenore;Dan<strong>il</strong>o Memoli, piano;Marc Abrams, contrabbasso;Massimo Chiarella, batteria


PROGRAMMAMaretti-Bonelli duogruppi musicali della Scuola TheloniousURI CAINE solo performance:“Viaggio intorno a Mozart” - Verso <strong>il</strong> 2006: seconda tappaUri Caine, pianofortePAOLO FRESU & URI CAINEPaolo Fresu, tromba e flicorno;Uri Caine, pianoforteDiego Rossato QuartetDiego Rossato, chitarra;Beppe P<strong>il</strong>otto, basso;Riccardo Baggio, batteria;Mauro Baldassarre, sax altoThe Zippy CodeDan Kinselman, sax e flauto; Tony Cattano, trombone;Giovanni Guidi, piano; Gabriele Pesaresi, contrabbasso;Emanuele Maniscalco, batteriaMartedì 17 MAGGIOCafé Restaurant “dai Nodari” - dalle 17. 30 alle 20. 30Art Café - dalle 18 alle 20Teatro Olimpico - dalle 18. 30Nuovo Bar Astra - ore 18. 30<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatteri - ore 23. 306Maretti-Bonelli duo plus vocalaperitivo Hancock con gli Zippy Codegruppi musicali della Scuola TheloniousElettro QuartetFederico Callegaro, piano;Lorenzo Carrer, batteria;Giuseppe Corazza, sax;Giancarlo Varricchio, basso elettricoHERBIE HANCOCK 4tetHerbie Hancock, pianoforte;Lionel Loueke, chitarra;Dave Carpenter, contrabbasso;Richie Barshay, batteriaThe Zippy CodeDan Kinselman, sax e flauto;Tony Cattano, trombone;Giovanni Guidi, piano;Gabriele Pesaresi, contrabbasso;Emanuele Maniscalco, batteriaMercoledì 18 MAGGIOCafé Restaurant “dai Nodari” - dalle 17. 30 alle 20. 30Hotel Castello - ore 18Art Café - dalle 18 alle 20Nuovo Bar Astra - ore 18. 30Sala Palladio della Fiera - ore 21<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatteri - ore 23. 30


PROGRAMMAGiovedì 19 MAGGIOdalle 17. 30 alle 20. 30 - Café Restaurant “dai Nodari”dalle 18 alle 20 - Art Caféore 18. 30 - Nuovo Bar Astraore 19 - Il Ristorantino BluesMaretti-Bonelli duo plus saxgruppi musicali della Scuola TheloniousChateauxIlaria Boschetto, voce; Nicola Tamiozzo, chitarra;Luca Zaffaina, tastiere; Paolo Dal Bello, basso elettrico;Emanuele Giordani, batteriaMatteuzzi – Baldassarre duoore 21 - Teatro Olimpicoore 22 - Circolo Culturale Cantieriore 23. 30 - <strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone ZavatteriEnsemble del Conservatorio “A.Pedrollo” diretto da Paolo BirroRICHARD GALLIANO TRIO meets TOOTS THIELEMANSRichard Galliano, fisarmonica; Toots Thielemans, armonica a boccaLarry Grenadier, contrabbasso; Clarence Penn, batteriaGiovanni Lubian Quartetingresso con tessera ArciGigi Sella QuartetGigi Sella, sax; Beppe Calamosca, trombone;Lorenzo Calgaro, contrabbasso; Massimo Chiarella, batteriaVenerdì 20 MAGGIOore 11 - Conservatorio “A. Pedrollo”ore 18 - Sala Stucchi Pal. Trissinodalle 18 alle 20 - Art Cafédalle 18. 30 - Nuovo Bar AstraIl retaggio africano nel jazzseminario con Maurizio Franco e Paolo BirroDan<strong>il</strong>o Memoli Triopresentazione del cd “Feliec”Dan<strong>il</strong>o Memoli, pianoforte; Marc Abrams, contrabbasso;Massimo Chiarella, batteriagruppi musicali della Scuola Thelonious<strong>Jazz</strong> AvenueMatteo Dalla Rovere, piano; Matteo Balasso, basso;Giulio Fabris, batteria7ore 21 - Teatro Astraore 21. 30 - Il Ristorantino Bluesore 22 - Osteria alla Querciaore 23. 30 - <strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone ZavatteriRAY LEMA, piano soloCHARLES MCPHERSON 4tetCharles McPherson, sax contralto; Randy Porter, pianoforte;Jeffrey Littleton, contrabbasso; Chuck McPherson, batteriaFat MaxImpossib<strong>il</strong>e Banda di OttoniGaetano Partip<strong>il</strong>o e Giovanni Falzone QuartetGaetano Partip<strong>il</strong>o, sax alto; Giovanni Falzone, tromba;Mauro Gargano, contrabbasso; Fabio Accardi, batteria


PROGRAMMAFunk OffCorpo Bandistico di Vivaro-Duev<strong>il</strong>ledirettore Santino CrivellettoCorpo Bandistico di Centrale di Zuglianodirettore Antonio BorgoBand Orchestra “Giuseppe Bovo” di Carmignano di Brentadirettore Fabrizio PallaroSabato 21 MAGGIOCentro Storico - dalle 16Piazza San Lorenzo - dalle 16Piazzale di Campo Marzo - dalle 16Piazza Matteotti - dalle 16gruppi musicali della Scuola TheloniousArt Café - dalle 18 alle 20Vertical (acid jazz)Luca Gazzani, batteria; F<strong>il</strong>ippo Rinaldi, basso;Marco Scarabel, chitarra; Paolo Bortolaso, organo Hammond;Andrea Gastaldon, sax; Luca Moresco, tromboneNuovo Bar Astra - dalle 18. 308FRANCESCO CAFISO& RICCARDO ARRIGHINIFrancesco Cafiso, sax contraltoRiccardo Arrighini, pianoforteLYDIAN SOUND ORCHESTRA+ CHARLES MCPHERSON:“Bird at Massey Hall”Pietro Tonolo e Robert Bonisolo, sax tenore, alto, soprano;Rossano Em<strong>il</strong>i, sax baritono e clarinetti;Kyle Gregory, tromba;Roberto Rossi, trombone;Dario Duso, tuba;Michele Calgaro, chitarra;Paolo Birro, pianoforte;Marc Abrams, contrabbasso;Mauro Beggio, batteria;Riccardo Brazzale, conduzione e arrangiamenti;Charles McPherson, sax contralto solistaTeatro Astra - ore 21Ferrauto - Marini duoIl Ristorantino Blues - ore 21. 30Jam Sessioncon gli artisti presenti al festival<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatteri - ore 23. 30


Domenica 22 MAGGIOdalle 18 alle 20 - Art Caféore 18 - Caffè Teatroore 21 - Auditorium Città di ThienePROGRAMMAgruppi musicali della Scuola TheloniousM&M’sDANILO REA“Operain<strong>Jazz</strong>”Lunedì 23 MAGGIOore 21 - Auditorium CannetiProiezione del f<strong>il</strong>m muto“Il fuoco” (1915)di Giovanni Pastronecon commento musicale dal vivo di ENRICO INTRAa cura di Aldo Bernardiniin collaborazione con Accademia Olimpica di <strong>Vicenza</strong>Dal 6 al 22 MAGGIOLAMeCMostra fotografica diPino Ninfa“La fête africaine”con installazioni e happening di Ndary Lô9Sabato 7 Domenica 8 MAGGIOLAMeCStage fotografico a cura diPino Ninfa“Come un racconto chiamato jazz”Dal 12 al 21 MAGGIO<strong>Jazz</strong> Café Trivellato/Salone Zavatteridurante i concerti:menù a temaproiezioni cinematografichemostra “10 anni di <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”con foto d’archivio diPino NinfaRoberto MasottiFrancesco Dalla PozzaStefano Bazza


di Riccardo BrazzaleDall’Africaa Parker,<strong>il</strong> volo infinito10Il viaggio che collega l’Africa aCharlie Parker, e che fa da f<strong>il</strong>o rossoalla decima edizione di “NewConversations-<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”, è in realtà quasi una sorta di stradaparallela che accompagna da una vita le idee di molti di noi.In esso sono infatti racchiusi dubbi, propositi e sogni che hannoanimato le m<strong>il</strong>le discussioni della nostra quotidianità: dal fratellonostro pitecantropo che si erige e, ancor prima di proferir parola,batte su un tronco vuoto e ne fa scaturire <strong>il</strong> ritmo vitale, sino allecontraddizioni di un poeta maledetto come Parker che a trentacinqueanni lascia le vicende terrene e ci fa chiedere, ancora unavolta, cosa sarebbe successo al jazz se uno come lui fosse restatofra noi per <strong>il</strong> tempo di una vita media.Domande vane, come ben sappiamo, cui è impossib<strong>il</strong>e risponderecon un minimo di senso compiuto: Parker ha lasciato una chiaraeredità ma restano, quasi ancor più visib<strong>il</strong>i nell’allungarsi del tempoche ci separa dalla sua morte, le strade che ha solo aperto, perchéfossero altri a percorrerle.Nato da un misto di sangue africano ed europeo trasfuso, di làdell’Oceano, in una terra lontana, con l’Africa <strong>il</strong> jazz (ma in veritàcosì è per tutti i frutti delle culture e delle società sv<strong>il</strong>uppatesi inambito occidentale) non ha tendenzialmente avuto un rapportofac<strong>il</strong>e. Anche <strong>il</strong> jazz, a un certo punto, come altre sorelle fra le artidel XX secolo, vi ha cercato linfa vitale, spesso trovandola, ma purescontrandosi con le m<strong>il</strong>le contraddizioni - certo non solo musicali -che l’Africa ha vissuto e va vivendo in questi ultimi decenni diaffrancamento dalle scorie culturali del colonialismo.


Dall’Africa a ParkerIn questo 2005, l’anno della significativa decima edizione delnostro festival, <strong>il</strong> Comune di <strong>Vicenza</strong> ha voluto confrontarsi conl’Africa non solo per <strong>il</strong> tramite del jazz (che, come si è detto,resta pur sempre un figlio indiretto) ma anche grazie a una seriedi altre, diverse iniziative che scavalcano la musica e toccano learti figurative, <strong>il</strong> cinema e la letteratura. Questo per dare appena<strong>il</strong> segno di quanto complessa e variegata sia la materia della culturaafricana e per dire comunque dell’impossib<strong>il</strong>ità di penetrarnenel profondo la vastità, lasciandoci perciò nell’obbligo moraledi tornarvi anche senza la spinta di qualche celebrazione o diqualche anniversario.Quando nel ’96 prese vita la prima edizione di “NewConversations-<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”, nessuno di noi sapeva probab<strong>il</strong>mentedove saremmo potuti andare, verso quali direzioni, versoquali incontri, se si vuole verso quali consensi/critiche/discussioni.F<strong>il</strong>ippo Bianchi, attuale direttore del periodico Musica <strong>Jazz</strong>, inquel maggio 1996 sull’atto di nascita di una rassegna che perpudore nessuno osava chiamare festival, fu autore di uno scrittoche oggi ci appare di lungimirante attualità .Eccone le parti in qualche modo più caratterizzanti: «La musicajazz è stata oggetto, storicamente, di una doppia emarginazione:quella del mercato pubblicamente sovvenzionato, che per annisi è ostinato a negarle legittimità artistica, e quella del mercatoprivato, che non ha trovato in essa sufficienti margini di sfruttamentocommerciale. Oggi, della legittimità del jazz a sv<strong>il</strong>upparsiin un ambito di mercato sovvenzionato, nessuno sembra piùdubitare. E infatti in tutta Europa, la sopravvivenza di questamusica è garantita e finanziata soprattutto dalle istituzioni culturalie dagli enti pubblici. Una scelta che <strong>il</strong> Comune di <strong>Vicenza</strong> hasposato senza riserve. Non solo, ma di questa scelta si sonotratte le logiche conseguenze, applicando al jazz quei criteri dipromozione culturale e quelle modalità produttive tipiche diun’area d’interesse pubblico. La dialettica fra differenti aree cul-11


Riccardo Brazzaleturali, lo sv<strong>il</strong>uppo degli st<strong>il</strong>i e dei linguaggi strumentali, i rapportifra scrittura e improvvisazione: questi sono i temi affrontati nellarassegna del Teatro Olimpico. Una rassegna che vuole caratterizzarsinon solo per <strong>il</strong> prestigio dei musicisti presentati, ma cheaspira a innescare una “conversazione”, per così dire, fraEuropa e America, f<strong>il</strong>trata da una sensib<strong>il</strong>ità “afro”, che è poi <strong>il</strong>presupposto dal quale la musica jazz è originata.» (1)R<strong>il</strong>ette ora, le parole di Bianchi sembrano poste a imprimatur diun manifesto programmatico dal quale non ci saremmo di fattopiù allontanati, forse in virtù proprio di quel nome, “new conversations”,nato per dare un senso al lavoro di tre pianisti (PaulBley, John Taylor e Carla Marcotulli) chiamati a dialogare insiemesu una vecchia idea di B<strong>il</strong>l Evans. (2)12


Dall’Africa a ParkerNon sembri qui lo scudo di una inut<strong>il</strong>e retorica ma quell’ideadelle “conversazioni” (fra artisti diversi, noti o emergenti, st<strong>il</strong>isticamentevicini o dialetticamente complementari) ci è via viarimasta nel cuore, quasi come una guida che ci ha imposto coneducata fermezza la via del nuovo, tuttavia nella piena consapevolezzadi chi non ha mai inteso allontanarsi dal solco del jazz.Certamente, i battelli che a un certo punto cominciarono a risalire<strong>il</strong> Mississippi venivano, a loro volta, da lidi lontani, appuntopersino dal Golfo della Guinea da dove, quattro secoli fa, era partitala prima nave di schiavi alla volta di Jamestown. Eppure, lastrada che separa <strong>il</strong> jazz dall’Africa non è probab<strong>il</strong>mente piùcorta rispetto a quella che lo separa dall’Europa.Quando, nei primi anni ‘40, Charlie Parker si trovò a capo di unmovimento di musicisti che avrebbero definitivamente rinnovato<strong>il</strong> jazz, le distanze dall’Africa certamente non diminuirono.Anzi, per molti versi, aumentarono, perché le nuove teoriearmoniche ripartivano, di fatto, da quelle che la musica eurocoltaaveva sv<strong>il</strong>uppato (e poi abbandonato) qualche decennioprima. Anche <strong>il</strong> blues, ben strano ma pur eterno cordone ombelicalecon l’ancestralità, diventa altro: Parker è un artista intimamentebluesy, ma i suoi blues sono tutt’altro che avvolti dallasemplicità delle origini.Ma Parker era un geniale “fuori-quota” e la sua musica eraeffettivamente più avanti nel tempo. Sì, ma quanto? E in qualidirezioni?13Riproporre oggi “f<strong>il</strong>ologicamente” <strong>il</strong> concerto della Massey Hallnon avrebbe alcun senso, perché un siffatto tipo di musica, dimolto fondata sulle capacità e l’incommensurab<strong>il</strong>e bravuraimprovvisativa dei cinque solisti che vi erano impegnati, nonpotrebbe che apparire come vacua copia sbiadita.Ci è parso dunque più interessante tentare una via meno scontata,lontana non solo dal ripasso calligrafico ma anche, per converso,dall’estremo capovolgimento di tipo avanguardistico che


Riccardo Brazzale14spesso può nascondere vie non meno risapute.A quali risultati sarebbe giunto, Parker, se avesse lavorato(come poi Eric Dolphy) al fianco di George Russell? Se lo chiede(implicitamente, nella domanda alla rovescia) anche StefanoMerighi, qualche pagina oltre, in questo stesso volume. O alfianco di G<strong>il</strong> Evans, come di lì a poco, M<strong>il</strong>es Davis? E se si fosseseduto in sezione, vicino a Johnny Hodges, di fronte al gesto delDuca, quali sonorità ne sarebbero uscite?A rispondere non ci proveranno i campionatori ma (tolgo l' intanto)<strong>il</strong> progetto, <strong>il</strong> sound e i musicisti della Lydian Orchestra che,assieme a Charles McPherson, proporranno non solo i temi mapure alcuni degli assoli di Bird immessi, tuttavia, da una partenelle armonie lidie che renderanno un po’ aperta (e persino shorteriana)una vecchia canzone come All the Things You Are, dall’altrafra le sordine wa-wa di ellingtoniana memoria rievocate inPerdido, infine nei ritmi balcanici con cui r<strong>il</strong>eggeremo un piccolototem del ritorno bop a un'Africa comunque quasi toccatadall'Egeo come A Night in Tunisia.In fondo, però, ci proveranno tutti, a rispondere alla domanda“Quanto Parker c’è oggi fra noi? E quanta Africa?” Ci proverannonon solo McPherson, Herring o <strong>il</strong> giovane Cafiso, ma pure,ognuno a proprio modo, tanto Manu Dibango che Ray Lema, UriCaine e Paolo Fresu, Don Byron e Dave Burrell, Herbie Hancocke Richard Galliano con Toots Thielemans. Per dire magari quantole strade si siano perse di vista, ma per concludere alfine conun paio di quiete certezze: nessuno di noi oggi sarebbe qui aparlare di jazz se qualcuno, suo malgrado, tanto tempo fa nonfosse partito dall’Africa. Ma pure nessuno, oggi, parlerebbe deljazz che conosciamo se non ci fosse stato Charlie “Bird” Parker e<strong>il</strong> suo impossib<strong>il</strong>e volo maledetto.(1) “Qalembour”, magazine di cultura e spettacolo del Comune di <strong>Vicenza</strong>. Numerozero. Apr<strong>il</strong>e 1996.(2) Si tratta del disco “Conversations with Myself" (B<strong>il</strong>l Evans - Verve 1963).


Un viaggiomusicalelungo dieci anni“New Conversations-<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”è considerato tra i festival più r<strong>il</strong>evantidel panorama jazzistico europeoe può contare su una notevole attenzione da parte deimedia nazionali e internazionali e di un pubblico che ha sempregarantito una numerosa presenza ai vari appuntamenti.Dopo due anni di prove-generali (nel ‘94 con la prima nazionaledi “Rava l’Opera Va”, nel ‘95 con i due concerti di MichelPetrucciani in solo e di Richard Galliano con l’Orchestra delTeatro Olimpico), <strong>il</strong> festival nasce nel 1996 su impulsodell’Assessorato alla Cultura del Comune di <strong>Vicenza</strong> e del mainsponsor Trivellato Mercedes Benz, secondo una formula articolatain cinque concerti al Teatro Olimpico (<strong>il</strong> più antico teatrocoperto del mondo, edificato fra <strong>il</strong> 1580 e <strong>il</strong> 1585 su progetto diAndrea Palladio), d<strong>il</strong>uiti nell’arco temporale che va da maggio aluglio. Si tratta più di una rassegna che di un festival ma ha giàquel suo nome, “New Conversations”, che diventerà quasi unmodello tematico: conversazioni e dialoghi musicali fra artistiche si trovano a <strong>Vicenza</strong> per dar vita a nuove idee.Nel 1997 la rassegna si concentra nell’ultimo fine settimana dimaggio, connotandosi finalmente come un vero e proprio festival.L’anno successivo, forte anche di un significativo successodi pubblico e critica, <strong>il</strong> festival abbraccia l’intera ultima settimanadi maggio, sebbene gli appuntamenti clou siano concentratitra <strong>il</strong> giovedì e la domenica.Nel 1999 <strong>il</strong> grande salto: un’intera settimana di eventi musicalidislocati non solo nello storico Teatro Olimpico, ma in tutto <strong>il</strong>tessuto urbano (palazzi storici, chiese, piazze, strade, cinema,15


16ristoranti), modulandone la collocazione a seconda delle peculiaritàdegli spazi (i concerti acustici all’Olimpico e nei luoghi dimaggior pregio artistico; i grandi ensemble e i generi di maggioreimpatto sonoro - bop, free, fusion - all’aperto o in altre saleda concerto). Ma non mancano anche progetti al confine conaltre musiche (dalla classica, antica e novecentesca, alla worldmusic) e con altre discipline (happening musicali all’interno disedi espositive, convegni, seminari didattici, incontri con l’autore,iniziative letterarie e cinematografiche sul tema), nel segnodi un festival per lo più costituito da progetti speciali, creatiappositamente per <strong>Vicenza</strong> e presentati in esclusiva.Da qualche anno dunque, <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong> (che si avvale sin dallaprima edizione della direzione artistica del compositore e arrangiatorevicentino Riccardo Brazzale), riempie la città di musicaper un’intera settimana, attirando l'attenzione non solo di unvasto pubblico (in totale, per ogni edizione, circa 10 m<strong>il</strong>a spettatoridi fascia prevalentemente compresa tra i venticinque e i cinquant’anni),ma anche dei tanti addetti ai lavori e della stampanazionale ed estera.Ogni anno, infatti, garantiscono la loro presenza a <strong>Vicenza</strong> nonsolo i giornalisti delle maggiori testate nazionali, di settore enon, oltre che delle radio e delle televisioni non solo della Rai,ma anche critici internazionali dall’Europa e dagli Stati Uniti.Nel tempo, la progressiva affermazione del festival ha attiratol’interesse di numerosi altri sponsor che - accanto alla presenzadel Ministero e della Regione Veneto - oggi affiancano nell’organizzazione<strong>il</strong> Comune di <strong>Vicenza</strong> con la Trivellato MercedesBenz e lo staff di “Ognipratica”.


Mercoledì 20 APRILETeatro Olimpico - ore 21John Jorgenson è unchitarrista americanoche nutre un autentico,immenso amoreper <strong>il</strong> gipsy jazz e, di conseguenza,per la musicaJohn Jorgenson“Franco-American Swing”In collaborazione con <strong>il</strong> “Soave Guitar Festival”di Django Reinhardt. Non a caso Jorgenson è stato chiamato avestire i panni del geniale chitarrista di origine gitana nel f<strong>il</strong>m Headin the Clouds, uscito negli Stati Uniti nel settembre 2004. Questaesperienza di attore, insieme al suo talento di musicista, ha portatoJorgenson alla ribalta delle cronache musicali: le maggiori rivisteamericane di settore, ad iniziare da Vintage Guitar Magazine, glihanno dedicato ampi servizi e copertine. Jorgenson, oltre ad averfatto parte della Desert Rose Band e degli Hellercasters, ha suonatoper sei anni nella band di Elton John.19Jolly Hotel Tiepolo - ore 21Venerdì 6 MAGGIOObi 5Obi 5 è un gruppo di recentecostituzione Ettore Martin, sax tenoreAlessia Obino, voceche allinea cinque Daniele Santimone, chitarramusicisti dai variegati Alessandro Fedrigo, basso elettricobackground e dalle moltepliciesperienze artistiche:Stefano Peretto, batteriaa fungere da collante è la medesima, forte passione per l’ampio bacinodelle musiche di matrice afro-americana. Nell’occasione vieneproposto un repertorio composto da classici della musica bras<strong>il</strong>iana,standard del jazz e brani pop in veste squisitamente jazzistica.


Giovedì 12 MAGGIOMichele Polga Quartetore 22 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli ZavatteriMichele Polga, sax tenore Dopo aver collezionatoMarcello Tonolo, pianoforte significative collaborazioni(con la LydianMarc Abrams, contrabbassoEmanuele Maniscalco, batteria Sound Orchestra, ClaudioFasoli, Paolo Fresu, TonyScott, Carla Bley, Steve Swallow, Maria Schneider),<strong>il</strong> sassofonista Michele Polga esordisce nelle vesti d<strong>il</strong>eader. E lo fa con un quartetto di vasta esperienza. Ilsound del gruppo si può collocare nell’area del modernmainstream, mentre <strong>il</strong> repertorio è composto da branioriginali e da arrangiamenti di celebri standard.20Venerdì 13 MAGGIO“Bach to Africa: Lambarena”Coro e Orchestra di <strong>Vicenza</strong>Giuliano Fracasso, direttoreEnrico Balboni, violinoore 21 - Tempio di S. LorenzoIl progetto “Lambarena -Bach to Africa” nascecome omaggio adAlbert Schweitzer aopera di due talentuosimusicisti: <strong>il</strong> compositore e produttore francese Hughes deCourson e l’autore, f<strong>il</strong>osofo e chitarrista Pierre Akendengué. Il lavoropresenta una fusione degli elementi fondanti la poetica sonoradi Schweitzer: le tradizionali armonie della musica di Bach e i ritmidel Gabon, la sua patria adottiva, vengono intessuti assieme percreare un affascinante mondo di suoni e ritmi inediti.


13 e 14 MAGGIO<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli Zavatteri- ore 22 .30Rosario Giuliani:“For Bird”Impostosi nel 2000 nel“Top <strong>Jazz</strong>” di Musica<strong>Jazz</strong> come migliornuovo talento italiano,Rosario Giuliani si è ancheRosario Giuliani, sax contraltoPaolo Birro, pianoforteMarc Abrams, contrabbassoMauro Beggio, batteriafatto onore suonando con i migliori solisti italiani (Rava, D’Andrea,Pieranunzi, Gatto) e americani (Brecker, Mintzer, Walton, Woods).Non è dunque un caso che dal 2002 incida regolarmente per l’etichettafrancese Dreyfus, per la quale sono usciti fino ad oggi trealbum: “Luggage”, “Mr. Dodo” e “More Than Ever”. Strumentistadalla tecnica invidiab<strong>il</strong>e, Giuliani rivela schietti influssi parkeriani,dimostrando altresì di aver inglobato le lezioni di CannonballAdderley e di Art Pepper, ma anche quella di John Coltrane.21Tempio di S. Lorenzo - ore 16Sabato 14 MAGGIO“Bach to Africa: I Corali”Concerto per organo e coroCorali di J.S. Bach - tributo ad Albert SchweitzerAllievi del Conservatorio “A. Pedrollo”diretti da Giuliano FracassoGrande musicista, appassionatoe studiosodi Bach, AlbertSchweitzer (di cuiquest’anno ricorre <strong>il</strong> quarantesimodella scomparsa) si laurea in medicina e dedica la sua vitaagli altri, aprendo un ospedale in Africa. Nelle sue composizioni enei brani tratti dai Corali di Bach si esibiranno gli Allievi delConservatorio “A. Pedrollo” di <strong>Vicenza</strong>, sotto la direzione di GiulianoFracasso, dando vita al secondo segmento del progetto musicalededicato all’Africa firmato dal direttore d’orchestra vicentino.


Sabato 14 MAGGIO22Herring - Memoli Quartet“Jam for Bird” musica e buffetVincent Herring, sax contraltoDan<strong>il</strong>o Memoli, pianoforteStefano Senni, contrabbassoJoris Dudly, batteriaVincent Herring è unodei più apprezzati altosassofonistidelle ultimegenerazioni di jazzmend’oltre Atlantico. Con<strong>il</strong> suo fluido eloquio didiscendenza parkeriana siè distinto accanto a Hampton, Murray, Ibrahim, Blakey, S<strong>il</strong>ver,Walton, Coryell e Nat Adderley, nel cui quintetto ha m<strong>il</strong>itato dal1987 al 1993. Rodato è <strong>il</strong> sodalizio con Dan<strong>il</strong>o Memoli, pianista chesvolge anche un’intensa attività didattica e ha all’attivo due albumcome leader, “<strong>Jazz</strong>” e <strong>il</strong> recentissimo “Feliec”.Orchestra del Teatro OlimpicoP. Cajkovskij: Serenata per orchestra d’archi op.48;A. Dvorak: Serenata per archi op.22;G. Gershwin: Rapsodia in blu per archi e jazz bandAlexander Frey, solistaGiancarlo De Lorenzo, direttoreore 21 -Ristorante “Le muse”Jolly Hotel Tiepoloore 21 - Teatro OlimpicoTra le collaborazioniche “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”intreccia da semprecon altre realtà musicalidella città, particolareimportanza riveste quellacon l’Orchestra del TeatroOlimpico, protagonista della rassegna sinfonica “Il Suonodell’Olimpico”. L’ultimo appuntamento di questo progetto si configuracome una sorta di ponte ideale verso l’inizio del festival,grazie a un repertorio che, a fianco di Cajkovskij e Dvorak, hacome piatto forte la Rapsodia in Blu per pianoforte e orchestra diGeorge Gershwin, compositore che seppe immettere <strong>il</strong> jazz nellegrandi strutture formali della musica colta europea, conservandotuttavia, almeno in parte, l’ingenuità, la freschezza, la poesia delsuo melos popolare.


Domenica 15 MAGGIOChiesa di S. Pietro - ore 10 .30“Bac(k) to Africa: Missa Luba”Celebrazione liturgicaCoro e Orchestra di <strong>Vicenza</strong>diretti da Giuliano FracassoAnche quest’anno <strong>il</strong>Coro e l’Orchestra di<strong>Vicenza</strong>, diretti daGiuliano Fracasso accompagnerannola celebrazioneliturgica domenicale della prima giornata di “<strong>Vicenza</strong><strong>Jazz</strong>”. Il repertorio raccoglie per la maggior parte brani musicalidella tradizione indigena congolese, resi noti in Europa grazie allavoro di Padre Guido Haazen, missionario approdato in Congo nel1953. Gli elementi essenziali della Missa Luba sono africani mentrele influenze occidentali contribuiscono a unificare e saldare idiversi ritmi e suoni, creando un effetto che fonde la spiritualitàcon la forza della musica.23Piazza S. Lorenzo - dalle 16Scuola di musica TheloniousBig Band & Music EnsembleNon è festival se nonc’è anche la componentepiù popolare efestosa, quella che porta la gente – tutta la gente, anchequella che magari a sentire un concerto non ci andrebbe mai –a vivere le piazze e le strade del centro storico a ritmo di jazz.Sono protagonisti di questo pomeriggio domenicale di musica,preludio al concerto serale di Manu Dibango, i gruppi dellaScuola di Musica Thelonious, realtà tra le più vivaci del panoramamusicale vicentino, dove insegnano e si sono formati jazzmentra i più apprezzati della scena italiana.


Domenica 15 MAGGIO24Manu Dibango& Soul Makossa GangManu Dibango, sax tenore e voceKaba Malekani, chitarraJulien Agazar, tastiereNoël Ekwabi, basso elettrico e voceJacques Conti-B<strong>il</strong>ong, batteriaIsabel Gonzalez, voceValérie Ekoume, voceore 21 - Piazza dei SignoriUno degli ambasciatorinel mondo della modernamusica africana:è stato persinodefinito “<strong>il</strong> M<strong>il</strong>es Davisdella world music”. ManuDibango è un’autenticaleggenda vivente, nonsolo nel continente nero.Sassofonista, pianista,cantante, compositore, Manu Dibango è nato nel 1933, aDouala, in Camerun. Fin da ragazzino ha frequentato gli ambientimusicali della sua città.Nel 1949, poco più cheteenager, si è trasferito aParigi per studiare: lì hafatto la conoscenza deljazz di Louis Armstrong,Duke Ellington, LesterYoung e Charlie Parker.Nel 1960 tornerà inAfrica, in Zaire, unendosial gruppo African <strong>Jazz</strong>,con <strong>il</strong> quale rimarrà percinque anni. Nel 1972 èquindi arrivato <strong>il</strong> successointernazionale con“Soul Makossa”, vibrantecommistione tra soul,funk e musica camerunese:per la prima volta unartista africano varca leManu Dibango


Domenica 15 MAGGIOsoglie delle classifiche americane. Mosso da una continua ricercamusicale, Dibango allargherà i propri confini espressivi neglianni Ottanta collaborando con <strong>il</strong> nigeriano Fela Kuti, altro gurudella musica africana, <strong>il</strong> trombettista Don Cherry, uno dei precursoridella world music, <strong>il</strong> bassista e produttore B<strong>il</strong>l Laswell eHerbie Hancock. Del 1994 è uno dei dischi più riusciti e rappresentatividi Manu Dibango, “Wakafrica”, nel quale figurano, tragli altri brani, la ripresa di Soul Makossa (ospite Youssou N’Dour)e una bellissima versione di Biko di Peter Gabriel. ManuDibango ha raccontato la sua vita nel libro Tre ch<strong>il</strong>i di caffè – Vitadel padre della world music.<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli Zavatteri- ore 23 .30Mauro Baldassarre Quartet“Omaggio a Charles Bukowski”Mauro Baldassarre, sax contraltoMichele Calgaro, chitarraLorenzo Calgaro, contrabbassoEnzo Carpentieri, batteriaPaolo Mele, voce recitanteEun quartetto formatoda alcuni tra i piùapprezzati jazzisti delTriveneto, tutti con unampio bagaglio di esperienze,anche internazionali.Il linguaggio musicale del gruppo è di limpida matrice bebop,mentre <strong>il</strong> repertorio attingeal ricco bacino deglistandard, comprendendoanche originals e brani cherecano <strong>il</strong> sig<strong>il</strong>lo di CharlieParker. A “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” <strong>il</strong>gruppo presenterà unomaggio tra parola e musicaa Charles Bukowski.Mauro Baldassarre25


Lunedì 16 MAGGIOFull Blown Trioore 21 - Teatro Astra26Dave Burrell, pianoforteW<strong>il</strong>liam Parker, contrabbassoAndrew Cyr<strong>il</strong>le, batteriaNato nel 1940 a Middletown,Ohio, DaveBurrell rimane uno deipianisti di spicco dellastagione del free jazz, forte di uno st<strong>il</strong>e che combina energia ritmicae profondo senso lirico. Negli anni Sessanta, proprio nell’ambitodei fermenti della new thing, ha suonato con Archie Shepp,Marion Brown, Pharoah Sanders, Giuseppi Logan e Sunny Murray.Importante nella sua carriera è anche la successiva partecipazioneal collettivo 360° Degree Music Experience, ideato dal trombonistaGracham Monchur III e dal batterista Beaver Harris. E altrettantomemorab<strong>il</strong>i sono i due album in duo con <strong>il</strong> sassofonista DavidMurray, “In Concert” (Victo, 1991) e “Windward Passages” (BlackSaint, 1993). Tornato di recente a farsi ascoltare in Italia (nella primavera2004 è stato ospite del festival romano “New York IsNow!”), Dave Burrell guida ora un supertrio comprendente <strong>il</strong> contrabbassistaW<strong>il</strong>liam Parker, uno dei principali animatori dell’attualescena d’avanguardia newyorkese, anche nelle vesti di leader dipropri gruppi (tra cui la Little Huey Creative Music Orchestra), e <strong>il</strong>batterista Andrew Cyr<strong>il</strong>le, uno dei grandi innovatori della percussionejazzistica. Cyr<strong>il</strong>le èstato in passato assiduopartner di Cec<strong>il</strong> Taylor e tra lepiù interessanti formazionidirette dallo stesso batteristava menzionato <strong>il</strong> quartettoMaono, comprendente <strong>il</strong>tenorista David S. Ware, delquale W<strong>il</strong>liam Parker sarebbediventato in seguito unodei collaboratori più congenialie preziosi.W<strong>il</strong>liam Parker


Lunedì 16 MAGGIOTeatro Astra - ore 21Don Byron ha riportatoin alto le quotazioni diuno strumento ormaiquasi relegato ai libridi storia: grazie al suo virtuosismotecnico e allasua grande forza espressiva,<strong>il</strong> clarinetto nel jazz hainfatti conosciuto unaDon Byron:“Music for Six Musicians”Don Byron, clarinettoJames Zollar, trombaGeorge Colligan, pianoforteLeo Traversa, contrabbassoM<strong>il</strong>ton Cardona, percussioniBen Witman, batteriaseconda giovinezza. Con alle spalle studi classici, Byron si è messoin evidenza negli anni Novanta con alcuni album di notevole spessore,primo fra tutti “Tuskegee Experiments”, inciso nel 1992 conB<strong>il</strong>l Frisell alla chitarra. Il suo interesse per la musica di tradizioneebraica (dal 1980, quando era ancora studente, Byron collaboracon la Klezmer Conservatory Band) lo ha portato in seguitoa scoprire un personaggio singolare come MickeyKatz, leader di gruppi klezmer, umorista yiddish epopolare parodista degli anni Cinquanta: <strong>il</strong> risultato ècontenuto nell’ottimo album “Don Byron Plays theMusic of Mickey Katz”. Ma la sua sete di nuoveconoscenze lo ha anche spinto verso le musichelatine; da qui <strong>il</strong> bel progetto “Music for SixMusicians”, che ha prodotto sino ad oggi due pregevolidischi, “Music for Six Musicians” e “You Are#6”. Tra gli altri lavori discografici di Byron, si rammentano“Bug Music”, briosa carrellata sulla musicadella nascente era dello Swing (Raymond Scott, JohnKirby e <strong>il</strong> giovane Duke Ellington), “Romance with theUnseen” (con ancora B<strong>il</strong>l Frisell alla chitarra) e <strong>il</strong> recentissimo“Ivey-Divey”, omaggio a Lester Young realizzatoin trio con <strong>il</strong> pianista Jason Moran e <strong>il</strong> batteristaJack DeJohnette.27Don Byron


Lunedì 16 MAGGIOCarlo Atti Quartetore 23 .30 -<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli Zavatteri28Carlo Atti, sax tenoreDan<strong>il</strong>o Memoli, pianoforteMarc Abrams, contrabbassoMassimo Chiarella, batteriaCarlo Atti è uno deimigliori sassofonistiitaliani di estrazionebop. Ha iniziato a suonare<strong>il</strong> flauto all’età di ottoanni, per poi passare al saxtenore sotto la guida di Giorgio Baiocco. In seguito ha conosciutoMassimo Urbani, Sal Nistico e Larry Nocella, con i quali ha suonatoin diverseoccasioni. Inqualità dicomponentedel NuovoSestettoItaliano, CarloAtti si è esibitoin una dellepassate edizionidiUmbria <strong>Jazz</strong>,aggiudicandosi<strong>il</strong> premioFour Roses.Ha inoltre collaboratoconSteve Grossman,BobMover e HalGalper, oltreche con RossanaCasale eLucio Dalla.Carlo Atti


Martedì 17 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Già ospite del festivalnel 2002 (in duo con <strong>il</strong>trombettista DaveDouglas) e nel 2004,nel quadro di un progettotriennale dedicato aMozart, Uri Caine è unodegli architetti sonori piùaudaci delle musiched’oggi, particolarmenteconosciuto e apprezzato,anche al di là dell’ambitojazzistico, per le sue visionarierivisitazioni di apparentementeintoccab<strong>il</strong>imonumenti della musicaclassica, da Mahler aBach, da Schumann aWagner. In queste esperienze,ma anche nellealtre che l’hanno vistocoinvolto nell’arco dellasua br<strong>il</strong>lante carriera,Caine ha messo a confrontomusicalità diverse(dalla tradizione classicaeuropea all’elettronica, dalklezmer al rock), rivelandoanche <strong>il</strong> suo rapporto enciclopedicocon <strong>il</strong> jazz, fattodi versat<strong>il</strong>ità, rispetto eprofonda conoscenza. LaUri Caine solo performance:“Viaggio intorno a Mozart”Verso <strong>il</strong> 2006: seconda tappaUri Caine, pianofortePaolo Fresu & Uri CainePaolo Fresu, tromba e flicornoUri Caine, pianoforteUri Caine29


Martedì 17 MAGGIOserata dedicata da “New Conversations – <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” al musicistadi F<strong>il</strong>adelfia sarà aperta da una solo performance, secondatappa del viaggio mozartiano che si concluderà nel 2006, in coincidenzacon le celebrazioni del 250° anniversario della nascitadel geniale compositore salisburghese. Caine sarà poi raggiuntoin palcoscenico da Paolo Fresu, rinnovando così <strong>il</strong> proficuo sodalizioche da qualche tempo lo lega al trombettista italiano.Sodalizio che ha preso avvio quando <strong>il</strong> pianista americano èstato ospite negli anni scorsi del festival di Berchidda, di cui èdirettore artistico lo stesso Fresu: l’intesa è stata immediata eha appunto trovato sbocco naturale in un duo che lo scorsoanno è stato protagonista di un applaudito tour europeo e che sista apprestando ad entrare in studio di registrazione.30Paolo Fresu


17-18 MAGGIO<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli Zavatteri- ore 23 .30The Zippy CodeDan Kinselman, sax tenore, clarinetto basso e flautiTony Cattano, tromboneGiovanni Guidi, pianoforteGabriele Pesaresi, contrabbassoEmanuele Maniscalco, batteriaDice di loro EnricoRava: «Zippy Code èun gruppo costituitoda musicisti che,oltre ad essere moltodotati e preparati, riesconoa esprimere una musicaveramente originale e profonda». Con queste credenziali i cinquegiovani solisti si stanno mettendo in luce anche in altre formazioni:Giovanni Guidi ed Emanuele Maniscalco fanno ancheparte degli Under 21 guidati dallo stesso Rava, mentre Kinselmansuona nel quartetto di Stefano Battaglia e Cattano collabora con lavocalist Cristina Zavalloni. Pesaresi, infine, fa spesso coppia conuno dei batteristi italiani più versat<strong>il</strong>i, Massimo Manzi.31


Mercoledì 18 MAGGIOHerbie Hancock Quartetore 21 - Sala Palladio (Fiera)32Herbie Hancock, pianoforteLionel Loueke, chitarraDave Carpenter, contrabbassoRichie Barshay, batteriaPianista di finissima classe,ma anche esploratorenel campo deisuoni elettronici, compositoredi grande talento,autorevole band leader,finanche attore cinematografico: tutto questo è Herbie Hancock,personalità poliedrica, tra le preminenti del jazz dagli anni Sessantain avanti. Nato a Chicago nel 1940, Hancock aveva appena undicianni quando si esibì con la Chicago Symphony Orchestra, eseguendouno dei concerti di Mozart per pianoforte e orchestra. Lesue prime esperienze jazzistiche risalgono agli albori degli anniSessanta, assieme al trombettista Donald Byrd: fu questi ad aprirgl<strong>il</strong>e porte della casa discografica Blue Note, per la quale <strong>il</strong> pianistaavrebbe registrato vari album di valore. La scalata all’Olimpo del jazzè poi proseguita con l’entrata nel quintetto di M<strong>il</strong>es Davis, crucialeavventura musicale condivisa assieme a Wayne Shorter, RonCarter e Tony W<strong>il</strong>liams. Hancock seguirà Davis fino ai primi segnalidella storica svolta elettrica, per poi involarsi per proprio conto versouna fusione tra jazz e funk. In questa fase spicca <strong>il</strong> gruppo Headhunters,<strong>il</strong> cui album di debutto resta uno dei dischi jazz più vendutidi tutti i tempi. Dagli anni Settanta in poi <strong>il</strong> percorso artistico diHancock si è quindi snodato all’insegna della duplice dimensioneelettrica ed acustica: su questo secondo fronte spicca <strong>il</strong> VSOPQuintet, con Freddie Hubbard alla tromba e gli stessi Shorter,Carter e W<strong>il</strong>liams. Nel 1983, l’incontro con B<strong>il</strong>l Laswell ha portato almanifesto del techno-jazz, Rockit, incluso nell’album “FutureShock”. Più recente è <strong>il</strong> sodalizio con Roy Hargrove e MichaelBrecker per un omaggio a M<strong>il</strong>es Davis e John Coltrane (“Directionsin Music”). Nell’arco della sua br<strong>il</strong>lante carriera Herbie Hancock haconquistato otto Grammy Awards e un premio della Academy Awardper la colonna sonora del f<strong>il</strong>m Round Midnight di Bernard Tavernier.


Mercoledì 18 MAGGIO33Herbie Hancock


Giovedì 19 MAGGIO34Ensemble del Conservatorio “A. Pedrollo”diretto da Paolo BirroRichard Galliano Triomeets Toots ThielemansRichard Galliano, fisarmonicaToots Thielemans, armonica a boccaLarry Grenadier, contrabbassoClarence Penn, batteriaore 21 - Teatro OlimpicoL’inedito incontro al verticetra <strong>il</strong> franceseRichard Galliano e <strong>il</strong>belga Toots Thielemans,rispettivamente virtuosidella fisarmonica edell’armonica a bocca, è diquelli destinati a lasciare <strong>il</strong>segno, a regalare emozionidegne di due straordinarimelodisti quali essi sono.Classe 1922, Thielemans si è avvicinato alla fisarmonica all’età ditre anni per poi imbracciare la chitarra, dopo aver ascoltato DjangoReinhardt, ma un’altra decisiva scoperta sarà la musica di CharlieParker. Nel 1950 Thielemans, già passato da una decina d’anniall’armonica a bocca, sarà in tour per l’Europa con BennyGoodman, prima di una lunghissima serie di prestigiose collaborazioniche negli anni vedranno <strong>il</strong> musicista di Bruxelles accanto adartisti così diversitra loro comeGeorge Shearing,Ella Fitzgerald,Quincy Jones,B<strong>il</strong>l Evans, JacoPastorius, PatMetheny, PaulSimon, B<strong>il</strong>ly Joel,solo per farequalche nome.Nonostanteanch’egli nonsuoni uno strumentoapparte-Richard Galliano


Giovedì 19 MAGGIOToots Thielemansnente alla tradizione del jazz,Richard Galliano si è imposto sullescene di questa musica con una originalissimafusione tra la musette, <strong>il</strong>new tango di Astor Piazzolla e,appunto, <strong>il</strong> linguaggio proprio deljazz. Musicista dalla straripante caricacomunicativa, Galliano ha intessutofeconde collaborazioni soprattuttocon <strong>il</strong> nostro Enrico Rava econ <strong>il</strong> connazionale Michel Portal.Ma doverosa menzione spettaanche al progetto “PiazzollaForever”, applaudito anche nelcorso di una delle passate edizionidel festival. L’ultimo album diRichard Galliano, <strong>il</strong> recentissimo“Ruby My Dear”, è stato inciso con l’apporto di Larry Grenadier(partner, tra gli altri, di Brad Mehldau) e di Clarence Penn, tra lemigliori sezioni ritmiche che attualmente è dato ascoltare.35<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli Zavatteri- ore 23 .30Gigi Sella QuartetIl sassofonista Gigi Sellaha a lungo collaboratocon la Lydian SoundOrchestra di RiccardoBrazzale e ha lavoratoGigi Sella, sassofoniBeppe Calamosca, tromboneLorenzo Calgaro, contrabbassoMassimo Chiarella, batteriaspesso anche nell’ambito del teatro, soprattutto con l’attoreMarco Paolini. Dopo aver suonato e inciso con <strong>il</strong> bassista StefanoOlivato, Sella è attualmente membro stab<strong>il</strong>e del gruppo di un altrobassista veneziano, Maurizio Nizzetto, con <strong>il</strong> quale ha inciso l’album“Shades” (2002).


Venerdì 20 MAGGIO36Dan<strong>il</strong>o Memoli Triopresentazione del cd “Feliec”Dan<strong>il</strong>o Memoli, pianoforteMarc Abrams, contrabbassoMassimo Chiarella, batteriaore 18 -Sala Stucchidi Palazzo TrissinoDan<strong>il</strong>o Memoli presenta<strong>il</strong> suo secondo cdinciso da leader. Dopol’esordio discograficocon ospiti quali SteveGrossman e John Mosca(grazie sempre alla collaborazione con “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”), <strong>il</strong> pianistaha registrato “Feliec” nel luglio 2004 assieme al suo abitualetrio. Vi si ascoltano standard quali Old Dev<strong>il</strong> Moon e You andthe Night and the Music ma soprattutto composizioni originali,peraltro accanto a due gemme ellingtoniane come Solitude eCaravan, quest’ultima in un personalissimo arrangiamento.Dan<strong>il</strong>o Memoli


Venerdì 20 MAGGIOTeatro Astra - ore 21Ray Lemapiano soloAltro <strong>il</strong>lustre ospite africano,Ray Lema ènato (su un treno) nel1946, nello Zaire, l’attualeRepubblica Democratica del Congo. Il suo percorso formativoè stato sicuramente atipico: alla musica si è avvicinato, infatti,durante la permanenza nel seminario di Kinshasa, dove era entratocon l’intento di prendere i voti sacerdotali. È qui che ha iniziatoa suonare <strong>il</strong> pianoforte, oltre all’organo, e ha scoperto Mozart,Bach e <strong>il</strong> canto gregoriano. Venuta meno la vocazione religiosa,Ray Lema ha via via assorbito altri influssi musicali: nel 1970 siunirà agli Yss Boys, uno dei gruppi rock più popolari del suo paese,e un paio di anni dopo comincerà lo studio della musica tradizionale.Quindi dal 1974 al 1976, Ray Lema farà parte del BallettoNazionale dello Zaire, anche nelle vesti di direttore artistico. Maun’altra cruciale esperienza precedente alsuccesso internazionale sarà, sul finire deglianni Settanta, <strong>il</strong> soggiorno negli Stati Uniti. Ilsuccessivo approdo in Europa, prima inBelgio e quindi in Francia, coinciderà con l’avvenutamaturità artistica: l’album d’esordio“Kinshasa – Washington DC – Paris” è <strong>il</strong>manifesto della musica di Ray Lema, unascoppiettante, modernissima fusione dirumba-rock, funk e reggae. La carriera delmusicista congolese si è poi snodata attraversoaltre tappe significative: l’album persolo pianoforte “Miz<strong>il</strong>a” è una di queste. In“Miz<strong>il</strong>a”, uscito nel 2004, Ray Lema mescolainfluenze classiche, jazz e africane, quasi avoler riannodare le f<strong>il</strong>a di un discorso che,comunque, rimane aperto a ulteriori sv<strong>il</strong>uppi.Ray Lema37


Venerdì 20 MAGGIOCharles McPherson Quartetore 21 - Teatro Astra38Charles McPherson, sax contraltoRandy Porter, pianoforteJeffrey Littleton, contrabbassoChuck McPherson, batterialasse 1939, originariodi Joplin (Missouri),ma cresciuto a Detroit,Charles McPherson èuna delle più limpide eautorevoli voci sassofonistiche post-parkeriane. Non a caso sarebbestato coinvolto nel 1988 da Clint Eastwood per la realizzazionedella colonna sonora del f<strong>il</strong>m Bird, sentito omaggio a CharlieParker, straordinario musicista ma anche protagonista di una soffertavicenda umana. Le enciclopedie del jazz si soffermano però,giustamente, sulla fortunata collaborazione tra McPherson eCharles Mingus con <strong>il</strong> quale <strong>il</strong> sassofonista ha suonato di frequentetra <strong>il</strong> 1960 e <strong>il</strong> 1972, figurando in album importanti del formidab<strong>il</strong>econtrabbassista quali “Mingus at Monterey” (1964), “MyFavorite Quintet” (1965), “Phithecantropus Erectus” (1970) e l’orchestrale“Let My Ch<strong>il</strong>drenHear Music” (1972). Significativirimangono, poi, i sodalizi con<strong>il</strong> trombettista Lonnie H<strong>il</strong>lyer e <strong>il</strong>tenorsassofonista GeorgeColeman. McPherson, oltreche nelle vesti di leader, ha all’attivoincisioni con Barry Harris,Art Farmer, Kenny Drew, lapianista giapponese ToshikoAkiyoshi e la Carnegie Hall <strong>Jazz</strong>Orchestra. UltimamenteMcPherson è stato chiamatoda Wynton Marsalis a unirsi invarie occasioni alla LincolnCenter <strong>Jazz</strong> Orchestra, direttadallo stesso trombettista.CCharles McPherson


Venerdì 20 MAGGIO<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli Zavatteri- ore 23 .30Giovanni Falzone eGaetano Partip<strong>il</strong>o sonosicuramente tra ipiù interessanti jazzistiitaliani delle ultimegenerazioni: <strong>il</strong> trombettistasic<strong>il</strong>iano si è impostonel “Top <strong>Jazz</strong> 2004” delGaetano Partip<strong>il</strong>o& Giovanni Falzone QuartetGaetano Partip<strong>il</strong>o, sax contraltoGiovanni Falzone, trombaMauro Gargano, contrabbassoFabio Accardi, batteriamens<strong>il</strong>e Musica <strong>Jazz</strong> quale miglior nuovo talento italiano, mentre <strong>il</strong>sassofonista pugliese è risultato secondo nello stesso referendum,staccato da una manciata di voti. Falzone e Partip<strong>il</strong>o hannounito in piùoccasioni leproprie forze,nel segno diuna musicache fa tesorodella modernatradizione deljazz, ma chenel contempoguarda avanti.Gargano eAccardi sono,nel quadrod’insieme,tutt’altro chedei semplicicomprimari.Giovanni Falzone39


Sabato 21 MAGGIOCentro Storico - ore 16Funk OffII Funk Off sono unamarching band, ovveroun gruppo di musicistiche si esibisce per lestrade, così come si facevauna volta e si fa tuttoraa New Orleans, ma nonvengono dalla Louisiana:sono toscani, di Vicchio,città natale di Giotto e delBeato Angelico, nonché culla di una delle più fiorenti tradizioni bandisticheitaliane. I Funk Off non suonano, però, trascrizioni di aried’opera o <strong>il</strong> repertorio tipico delle bande di paese: suonano <strong>il</strong> fonchi,così come lo chiamano loro, detto anche “Funk made inVicchio”, una miscela di funk, jazz, rock e molto altro ancora. Ilrisultato è davvero travolgente.41Centro Storico - dalle ore 16Corpo Bandistico di Vivaro-Duev<strong>il</strong>ledirettore Santino CrivellettoCorpo Bandistico di Centrale di Zuglianodirettore Antonio BorgoBand Orchestra “G. Bovo” di Carmignano di Brentadirettore Fabrizio PallaroSecondo uno st<strong>il</strong>e chemette curiosamenteinsieme la tradizionebandistica veneta conquella ottocentesca americana,tre poderosi gruppidi fiati e percussioni suonerannoe sf<strong>il</strong>eranno lungo le vie del centro storico di <strong>Vicenza</strong>.Confluiranno al cospetto della Bas<strong>il</strong>ica Palladiana in Piazza deiSignori dove, nel mescolarsi di suoni diversi, arriveranno a suonarein ben più di cento musicisti insieme, diretti dal cav. Antonio Borgo.


Sabato 21 MAGGIO42Francesco Cafiso& Riccardo ArrighiniFrancesco Cafiso, sax contraltoRiccardo Arrighini, pianoforteore 21 - Teatro AstraNonostante la giovaneetà (è nato nel 1989, aVittoria, in provincia diRagusa), FrancescoCafiso è già da alcuni annisotto i riflettori e al centro di un interesse da parte dei mass mediararo per un jazzista. La sua prepotente apparizione sulle scenemusicali, in virtù di un talento innato e di una tecnica strumentaledi primissimo ordine, è stata salutata con grande ammirazioneanche da <strong>il</strong>lustri jazzmen d’oltreoceano: affermatosi nel 2001 alPremio Massimo Urbani di Urbisaglia, concorso riservato ai giovanitalenti, <strong>il</strong> sassofonista sic<strong>il</strong>iano è stato infatti notato, tra gli altri,nientemeno che da WyntonMarsalis, che dal momento del loroincontro, avvenuto nel 2003, lo hapreso sotto la propria ala protettriceinvitandolo più volte a unirsi al suogruppo e alla Lincon Center <strong>Jazz</strong>Orchestra. Ormai ospite abitualedei più importanti festival europei,Cafiso ha vinto nel 2004 la WorldSaxophone Competition, nell’ambitodel London <strong>Jazz</strong> Festival. In Italiasvolge regolare attività concertistica,senza tuttavia trascurare glistudi scolastici e al conservatorio.Suona con musicisti di grandeesperienza come Enrico Rava eFranco D’Andrea, guidando altresìun proprio quartetto di cui fa parte <strong>il</strong>pianista toscano Riccardo Arrighini,con <strong>il</strong> quale Cafiso si esibirà in duoal Teatro Astra.Francesco Cafiso


Sabato 21 MAGGIOTeatro Astra - ore 21Una delle poche formazioniorchestraliitaliane con una regolareattività discograficae concertistica, laLydian Sound Orchestra èstata costituita nel 1989da Riccardo Brazzale, pianista,compositore earrangiatore che ha riunitoalcuni dei migliori solistidel panorama nazionale.Numerosi sono poi gliospiti, italiani e stranieri,che si sono alternati all’internodell’orchestra: daEnrico Rava aGianluigi Trovesi,da ClaudioFasoli a KennyWheeler, daManfred Schoofa Terrell Stafford.Significativaè, quindi, lacollaborazionetra alcuni deicomponenti dell’orchestrae laElectric BeBopBand del batteristaPaul Motian,Lydian Sound OrchestraLydian Sound Orchestra+ Charles McPherson“Bird at Massey Hall”Pietro Tonolo e Robert Bonisolo, saxRossano Em<strong>il</strong>i, sax baritono e clarinettiKyle Gregory, trombaRoberto Rossi, tromboneDario Duso, tubaMichele Calgaro, chitarraPaolo Birro, pianoforteMarc Abrams, contrabbassoMauro Beggio, batteriaRiccardo Brazzale, conduzione e arrangiamentiCharles McPherson, sax contralto solista43


Sabato 21 MAGGIO44che ha portato (sempre sotto la regia di Brazzale) alla rivisitazionedelle musiche dell’album “Monk at Town Hall”. Nutrita è anche ladiscografia della Lydian: “Melodious Thunk” (1993), “Timon ofAthens” (1995), che racchiude l’omonima suite di Duke Ellington,“Bukowski Blues” (1999), “The Art of Arranging” (2000), “Monkat Town Hall & More” (2002) e “Azurka” (2003). Dischi tutti contrassegnatida quellaspiccata progettualitàche contraddistingueanche la nuova impresadi Brazzale e dellaLydian: per l’occasioneverranno riproposti,ovviamente rivestiti diinediti arrangiamenti, isei brani che costituiscono“<strong>Jazz</strong> at MasseyHall”, uno dei dischi piùimportanti dell’interastoria del jazz, vividodocumento del concertotenuto da CharlieParker, Dizzy G<strong>il</strong>lespie,Bud Powell, CharlesMingus e Max Roach aToronto, <strong>il</strong> 15 maggio1953. Un nuova sfidache la Lydian, ampliata nella circostanza al sapiente sax alto diCharles McPherson, affronterà con la personalità di approcciomusicale che da sempre la connota.Charles McPherson<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli ZavatteriJam Session ore 23 .30 -con gli artisti presenti al festival


Domenica 22 MAGGIOAuditoriumCittà di Thiene- ore 21Dan<strong>il</strong>o Rea “Operain<strong>Jazz</strong>”Nato a <strong>Vicenza</strong> ma romanod’adozione, Da-Dan<strong>il</strong>o Rea, pianoforten<strong>il</strong>o Rea è uno dei pianistipiù amati del jazzitaliano. Lo dicono i suoisuccessi, come solista ecome componente di Doctor 3, <strong>il</strong> mirab<strong>il</strong>e trio (completato dal contrabbassistaEnzo Pietropaoli e dal batterista Fabrizio Sferra) chepiù volte si è aggiudicato <strong>il</strong> “Top <strong>Jazz</strong>” del mens<strong>il</strong>e Musica <strong>Jazz</strong>come miglior gruppo italianodell’anno. Il suoesordio professionale risaleal 1975, con <strong>il</strong> trio diRoma (con lo stessoPietropaoli e RobertoGatto alla batteria) e daallora le collaborazionidiscografiche e concertistichesi sono freneticamentesuccedute: ChetBaker, Lee Konitz, SteveGrossman, Bob Berg, Ph<strong>il</strong>Woods, Michael Brecker,Joe Lovano, Gato Barbieri,solo per fermarsi ad alcuninomi. “Operain<strong>Jazz</strong>”si ispira a “Lirico” fortunatoalbum di qualchetempo fa e rappresentaun viaggio personale trapagine operistiche diPuccini, Verdi e Mascagni.Dan<strong>il</strong>o Rea45


Lunedì 23 MAGGIOProiezione del f<strong>il</strong>m mutoIl fuoco (1915)di Giovanni Pastrone“Il fuoco” è una delleopere più riuscite erappresentative dicommento musicale dal vivo di Enrico Intraquella tendenza dela cura di Aldo Bernardinicinema muto italiano impegnataa mettere in scenain collaborazione con Accademia Olimpica di <strong>Vicenza</strong>melodrammi borghesi soprattuttoper valorizzare le qualità fisiche e l’erotismo di alcune primedonne.Permeato di simbologie e di motivi tematici cari al decadentismodannunziano allora imperante nella cultura nazionale, <strong>il</strong>f<strong>il</strong>m consacra diva un’attrice di grande talento (Pina Menichelli), dutt<strong>il</strong>ee sorprendente nel suo alto46 manierismo, protagonista assolutain una storia delirante,resa intensa ed artisticamentestraordinaria dal rigore e dalleinvenzioni visive della regia.Pastrone, reduce dal successomondiale di Cabiria (1914), confermaqui la forza e l’originalitàdi una personalità artistica d<strong>il</strong>ivello internazionale.La presentazione del f<strong>il</strong>m (acura dell’accademico AldoBernardini), in una copia restauratadal Museo del Cinema diTorino che ripropone anche lecolorazioni e i tempi di proiezioneoriginali, si giova in questaoccasione di un apposito commentomusicale dal vivo affidatoa Enrico Intra.Pina Menichelliore 21 - Auditorium Canneti


Dal 12 al 21 MAGGIO<strong>Jazz</strong> Café TrivellatoSalone degli ZavatteriIl <strong>Jazz</strong> Café Trivellato sitrasferisce quest’annoal Salone degliZavatteri, nel cuore di<strong>Vicenza</strong>, allestito comeclub notturno dove lamusica farà la parte del“10 anni di <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”Mostra con foto d’archivio diPino NinfaRoberto MasottiFrancesco Dalla PozzaStefano Bazzaleone, anche se non mancheranno interessanti eventi di visual art.La storia di “New Conversations”, nei suoi dieci anni di vita, saràripercorsa attraverso le immagini dei fotografi che si sono avvicendatia immortalare i numerosissimi artisti ospiti del festival.Proiezioni di pellicole legate al jazz e ai suoi protagonisti, nonchédegustazioni a tema, completano l’offerta del <strong>Jazz</strong> Café Trivellato.47Enrico Intra


Dal 6 al 22 MAGGIO48“La fête africaine”Mostra fotografica di Pino Ninfacon installazioni e happening di Ndary LôLa città di Dakar con isuoi dintorni è protagonistadi questamostra firmata daPino Ninfa, tra i piùapprezzati fotografi italiani,più volte collaboratoredi “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”. Il temadella rassegna si ricollega al f<strong>il</strong>o conduttore di questa decima edizionedel festival, che ha al suo centro la grande madre Africa,culla di grandissime culture, radice della stessa musica jazz.L’esposizione,Installazione di Ndary Lô - Foto Pino NinfaLAMeCcomposta daquaranta fotografie,saràarricchita dalleinstallazioni diNdary Lô, giovaneartista senegalese,espressionedel vitalissimofermentoculturale che ha<strong>il</strong> proprio baricentronelV<strong>il</strong>lage des Artsdi Dakar, e dauno stage cheriguarderà, nellospecifico, lafotografia neljazz.


Il 7 e l’8 MAGGIOLAMeC“Come un racconto chiamato jazz”Stage fotografico a cura di Pino Ninfa49Foto Pino Ninfa


<strong>Jazz</strong>e retaggioafricanodi Maurizio FrancoIl rapporto tra <strong>il</strong> jazz e l’Africa dovrebbeessere tra quelli centrali nello studiodella materia e dal punto di vista teorico in effetti è così. La storiografiadel jazz ci rivela però che, nella pratica, la manualistica trascuraun serio studio delle relazioni tra <strong>il</strong> pensiero musicale africano(soprattutto quello della West Africa) e quello maturato in ambitoamericano e all’origine della lingua jazz. Un gap che si evidenziaanche nella maniera di leggere la storia del jazz, che pone particolareattenzione ai parametri tipici del mondo musicale europeo, in primisl’armonia, e si addentra solo genericamente nello studio dellerelazioni con l’Africa. Non basta sostenere che <strong>il</strong> ritmo del jazz è diportato africano, affermazione che di per sé non ha un preciso significatoed è diventata un luogo comune. Il problema principale non stainfatti nell’individuare cosa arriva dall’Africa e cosa dall’Europa, poiché<strong>il</strong> jazz è una musica sincretica. È <strong>il</strong> risultato finale ad interessarci,cioè <strong>il</strong> prodotto di un lungo periodo di adattamento e di reciprocheinfluenze tra mondo europeo e retaggio africano, che ha realizzatouna complessa, articolata e originale linea musicale in grado di caratterizzarenella sua totalità i caratteri della musica americana di ognigenere e st<strong>il</strong>e. Un rapporto che negli anni ’60 era stato affrontato inmaniera diversa rispetto agli altri autori da Gunther Schuller, ma chestudi più recenti hanno cominciato ad indagare in profondità, anchese nella scrittura delle storie jazzistiche manca ancora una riflessioneorganica e profonda dell’argomento, in grado di agire attivamentenel modo di vedere e descrivere <strong>il</strong> percorso del jazz. Senza nessunapretesa di esaustività, ci limitiamo in questo scritto a mettere51


Maurizio Franco52in campo alcune considerazioni generali sull’argomento, a cominciaredall’immagine dell’Africa nel jazz, di cui una serie di libri relativamenterecenti ha cominciato finalmente a tracciare le coordinate. Daluogo di nascita a terra dei propri avi, la trasformazione dell’immaginedell’Africa nel mondo afroamericano degli Stati Uniti ha seguito <strong>il</strong>ritmo della tratta degli schiavi, iniziata nel ’600 e terminata nei primidecenni dell’800, e della successiva integrazione sociale. Un periododi tempo nel quale <strong>il</strong> rapporto con <strong>il</strong> continente africano è mutato dadiretto in indiretto, trasformando un luogo reale in universo miticoche per molto tempo, nel lungo processo di integrazione e adattamentoal modo di vivere americano, è stato addirittura rifiutato. Anzi,la storia del nero negli Stati Uniti è caratterizzata proprio dal contraddittorioprocesso di cambiamento dell’immagine e del modo di vivere<strong>il</strong> rapporto con l’Africa, che ha generato un articolato rapporto conla cultura d’origine. Un rapporto che non ha investito in maniera univocatutte le Americhe perché al di fuori degli Stati Uniti, nei paesi incui gli schiavi poterono godere di una relativa libertà di comportamento,sopravvissero in maniera diretta usi e costumi tradizionaliche si modificarono lentamente nel contatto con le nuove civ<strong>il</strong>tà,come avviene in tutte le culture di tipo orale. Nel Sud degli Stati Uniti,invece, la repressione verso le forme originarie di cultura e socialitàfu particolarmente violenta, per cui, paradossalmente, si sv<strong>il</strong>upparonocon maggiore rapidità processi di assim<strong>il</strong>azione e adattamentodei comportamenti sociali, economici e artistici dell’etnia dominante.Un esempio opposto è quello di Haiti dove <strong>il</strong> mondo afroamericanosovrastava numericamente quello bianco e aveva margini di libertàdi organizzazione rituale e persino sociale; per questo motivo nacqueroforme di sincretismo religioso, quali ad esempio <strong>il</strong> vodoo, econtinuarono a esistere per lungo tempo costumi e comportamentiimportati dall’Africa. Pure a Cuba, dove gli schiavi venivano “posteggiati”anche per diversi anni prima di essere trasferiti negli Stati Uniti,la cultura africana ha lasciato segni riconoscib<strong>il</strong>i ancora oggi. Quindiè stato <strong>il</strong> maggior controllo sociale avvenuto negli Stati Uniti sullapopolazione di origine africana a determinare uno sv<strong>il</strong>uppo imprevedib<strong>il</strong>eche ha lasciato un segno profondo nella cultura della nazione,


<strong>Jazz</strong> e retaggio africanodeterminando un inaspettato, e certo non voluto, cortocircuito nelladiffusione del sapere. In campo musicale, dopo la fine della schiavitùe <strong>il</strong> graduale inserimento del nero nella società americana, tale cortocircuitoha finito per produrre un pensiero e una prassi i quali, purnon annullando le differenze, hanno dato vita a quei linguaggi originaliriconoscib<strong>il</strong>i immediatamente come “americani”. In quest’ottica<strong>il</strong> jazz è certamente la più evoluta, complessa e originale tra tutte lemusiche americane proprio perché manifesta un sincretismo riuscitoa cui hanno guardato e si sono ispirati persino i musicisti bianchi,poiché la convivenza di neri e bianchi nella stessa area geopolitica haprodotto inevitab<strong>il</strong>i influenze reciproche. Se <strong>il</strong> neroamericano hadovuto adattarsi a una cultura differente e coercitiva, le modalità diquesto adattamento hanno influito sui modelli originari determinandoneun nuovo senso e una diversa pratica. L’immagine dell’Africaha comunque vissuto di una controversa considerazione all’internodella comunità nera degli Stati Uniti, quindi anche tra i musicisti dijazz. Considerata dai nazionalisti neri una madre a cui ricongiungersiconcretamente, come avvenne negli anni ’20 del secolo scorso con<strong>il</strong> movimento politico guidato da Marcus Garvey, per gli artisti è statasia una controversa fonte di ispirazione, alla quale dedicare titoli dicomposizioni, oppure un retaggio culturale da rivendicare con orgoglioda parte dell’intellighenzia nero-americana degli anni ’60, maanche un luogo da dimenticare, rifiutare, gettare nell’oblio per lamedia e alta borghesia nera. Tra i musicisti, solo pochi hannoammesso esplicitamente che esiste un nesso tra alcuni atteggiamentiespressivi tipici del jazz e <strong>il</strong> pensiero musicale dell’AfricaOccidentale, per cui le considerazioni della storiografia jazzisticasono, in realtà, <strong>il</strong> prodotto di un fondo culturale comune tra musicistie studiosi. Non ci si deve quindi stupire se hanno prevalso analisisuperficiali proprio nell’ambito degli studi sulla musica e la civ<strong>il</strong>tà africana,sulla componente nera del jazz. Congiuntamente a una diversaconsapevolezza maturata tra gli stessi musicisti, alcuni studiosicontemporanei stanno in primo luogo cercando di colmare questelacune, ritenendo l’Africa un imprescindib<strong>il</strong>e terreno di analisi eosservazioni per comprendere a fondo la natura dell’estetica e quin-53


Maurizio Franco54di del fare jazzistico. Del resto è indiscutib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> fatto che la sopravvivenzadegli articolati rituali africani, di cui erano parte integrante sofisticatemusiche, così come le modalità organizzative del materialesonoro, <strong>il</strong> sentire ritmico e timbrico, giunsero in un continente nuovoe vennero mantenuti più o meno vivi a seconda delle zone di destinazionedelle navi. Negli Stati Uniti furono repressi in maniera più omeno ampia, ma proprio dalla loro indiretta sopravvivenza all’internodi un mondo musicale che tendeva a standardizzarsi intorno a benprecise formule, si definì <strong>il</strong> genere musicale che noi chiamiamo jazze, inoltre, si sv<strong>il</strong>uppò un intreccio con <strong>il</strong> resto del mondo dello spettacolo,della musica e dell’intrattenimento che è <strong>il</strong> segno tangib<strong>il</strong>e diquell’influsso a doppio senso tra la cultura di origine europea e quelladi matrice africana di cui abbiamo già scritto. L’analisi del vastissimouniverso musicale della cosiddetta costa degli schiavi, che occupala parte occidentale del continente africano, dall’area subsaharianasin quasi al profondo sud, si relaziona al jazz attraverso una seriedi comportamenti comuni nell’approccio al mondo musicale, la cuiindiretta sopravvivenza ha prodotto le musiche di matrice afroamericana,tra le quali c’è appunto <strong>il</strong> jazz. Una ricerca che ci pone in contattocon una civ<strong>il</strong>tà musicale evoluta, costruita sul sistema modalee di eccezionale cultura ritmica e timbrica. Da questa civ<strong>il</strong>tà giungonoal jazz e alle musiche nere alcuni atteggiamenti espressivi, peraltromodificatisi nel contatto con un altro universo di pensiero e affievolitisinella portata a causa della loro lenta trasformazione in sedimentoculturale inconscio, cioè in retaggio. Tra i punti di più r<strong>il</strong>evanteimportanza per la realizzazione di quel sincretismo musicale chiamatojazz c’è l’organizzazione della musica in chiave antifonaria oresponsoriale, cioè basata sul gioco a chiamata e risposta. Un trattoche nel jazz, mescolato anche ad aspetti analoghi di derivazioneeuropea, si evidenzia nel gioco relazionale tra i musicisti centrato sull’interplay,sugli aspetti dialogici, e poi nelle formule di domanda erisposta tra solista e solista, nella costruzione delle frasi, nella stessastruttura di brani composti, seguendo un processo di accostamentodi sezioni contrastanti tra loro. Un altro aspetto di particolare r<strong>il</strong>ievo èrappresentato dalla concezione timbrica che nella musica tradiziona-


<strong>Jazz</strong> e retaggio africanole dell’area dell’Africa Occidentale viene esaltata dalla tessitura diuna raffinatissima f<strong>il</strong>igrana sonora che si sv<strong>il</strong>uppa sia in ambito strumentaleche vocale. Lo sottolinea anche l’assenza di strumenticostruiti industrialmente, a favore di un artigianato sv<strong>il</strong>uppato daglistessi esecutori, che favorisce la personalizzazione del suono, laricerca di un’identità timbrica che varia da maestro a maestro, a cuifa da riscontro un uso naturale, ricco di inflessioni e di sfumature, daparte della voce. La dialettica voce-strumento, strumento-voce,assolutamente centrale per l’estetica jazzistica, porta i musicisti africania imitare la fonetica della lingua, che poi è una lingua-tono in cui55


Maurizio Franco56<strong>il</strong> significato delle parole cambia a seconda dell’intonazione e, musicalmente,produce una sottigliezza di accenti che assume anche unavalenza di carattere ritmico. La peculiarità sonora del timbro jazzisticonasce proprio dalla citata dialettica tra voce e strumento, mentrela vocalità assume inflessioni peculiari osc<strong>il</strong>lando, come in Africa, tracorda di canto e corda di recitazione. Proprio l’ambito della vocemostra tra i neroamericani i segni più diretti dell’eredità africana,come si evince fac<strong>il</strong>mente ascoltando un coro spiritual oppure <strong>il</strong>canto blues o quello jazzistico. Nella voce, infatti, <strong>il</strong> passaggio tra <strong>il</strong>comportamento originario e un nuovo atteggiamento avvenne moltolentamente in quanto, lungo tutto <strong>il</strong> periodo della tratta, <strong>il</strong> contattocon le lingue madri veniva costantemente alimentato dai nuovi arrividi schiavi, anche se questi erano spesso portatori di dialetti e linguaggidifferenti tra loro. Tra gli altri aspetti della cultura africana cherestarono vivi nel nuovo mondo c’è, ovviamente, la concezione ritmica,basata sull’uso strutturale del ritmo e su una complessa poliritmia.Come nel caso del suono, la dimensione ritmica presenta forticaratteri di individualità e viene vissuta come un elemento chiave perla definizione di un fraseggio e di un’identità fortemente personalizzata.Nel jazz i parametri ritmico-timbrici sono quindi trattati in manieraestremamente sofisticata e per questo motivo <strong>il</strong> sistema di notazioneoccidentale è risultato, e risulta, inadeguato a renderne conto,portando alla parziale sopravvivenza di un tratto centrale della civ<strong>il</strong>tàdell’Africa Occidentale: la trasmissione orale del sapere. L’esistenzadi questa componente di oralità accanto a una concezione di tipoanalitico, legata alla cultura occidentale e alla scrittura, ha prodottouna feconda dialettica tra la pagina scritta e la sua effettiva interpretazionenel momento esecutivo, in quanto la prima si lega a doppiof<strong>il</strong>o all’identità ritmica e timbrica dell’esecutore e all’equ<strong>il</strong>ibrio relazionaleche si crea tra i vari musicisti di un piccolo gruppo o di un’orchestra.Quest’ultimo è poi un altro importante elemento del farejazzistico, che investe <strong>il</strong> già citato gioco relazionale dei musicisti traloro e, in parte, anche con un audience considerab<strong>il</strong>e come partecipanteattiva della performance; un fatto comune a quanto avvieneancora oggi nelle musiche africane, nelle quali <strong>il</strong> pubblico assume


<strong>Jazz</strong> e retaggio africanouna posizione centrale in molte espressioni artistiche e rituali graziea un’elevata competenza comune di base, caratteristica di tutte leciv<strong>il</strong>tà nelle quali i fenomeni musicali e artistici mantengono un ruolofunzionale all’interno della società. Per questo nel jazz <strong>il</strong> collettivo èfondamentale e <strong>il</strong> solista è solo la parte terminale di un processocomplesso, nel quale l’organico di un gruppo non è rappresentato dastrumenti, bensì da musicisti creatori, portatori di una precisa dimensionepsicologica e, quindi, espressiva. Il ruolo del solista, cresciutoin maniera esponenziale dagli anni ’20 sino agli anni ’60, è invece <strong>il</strong>frutto dell’incontro con <strong>il</strong> pensiero occidentale, che ha portato ad unalettura della storia del jazz sb<strong>il</strong>anciata verso le poetiche individuali,spesso interpretate come prodotto in sé e non collocate in un contestonel quale l’individuo è sempre legato al collettivo. Il sistema direlazioni presente nel jazz si basa dunque su convenzioni e codiciche riportano in parte alla tradizione esecutiva dell’AfricaOccidentale, che diventano <strong>il</strong> riferimento a cui attenersi per realizzareuna musica rigorosa negli incastri dell’insieme pur in presenza diun fitto gioco di variazioni improvvisate e semi-improvvisate.Aspetto, questo dell’improvvisazione, che nel senso comune in cuiviene pensato riferendosi all’esperienza jazzistica, cioè una creazioneistantanea particolarmente libera, è assolutamente estraneo allacultura africana dove gli aspetti di libertà sono ridotti alla possib<strong>il</strong>ità diinvenzione di ripetizioni variate degli schemi di base. Proprio la complessitàe la notevolissima varietà di questi schemi, oltre alla loroadattab<strong>il</strong>ità a molteplici contesti, collocano la musica africana tra lepiù sofisticate esperienze dell’intera storia universale della musica,sottraendola da quella visione puramente antropologica che la relegatra i fenomeni primitivi, definiti in senso inconsciamente razzista:“etnici”. Altri tratti della cultura africana di cui abbiamo la prova diuna sopravvivenza nel mondo afroamericano sono <strong>il</strong> legame direttodella musica con la danza e una f<strong>il</strong>osofia improntata all’unità delle arti,cioè alla compresenza spazio-temporale di manifestazioni artistichedi natura differente, nelle quali gli atti creativi presentano forme diinterdipendenza reciproca. La cosiddetta rivista negra e, prima ancora,<strong>il</strong> ministrel show e <strong>il</strong> vaudev<strong>il</strong>le sono un frutto di questo retaggio,57


Maurizio Franco58così come lo è lo stretto rapporto tra <strong>il</strong> jazz e <strong>il</strong> ballo (anzi, la danza),che caratterizza diversi decenni della sua storia musicale. Anche <strong>il</strong>tip-tap è un ulteriore esempio di una visione dell’arte che tende aunire generi diversi e ha potuto sopravvivere grazie anche al particolarecontesto sociale ed economico del mondo dello spettacolo negliStati Uniti. In sostanza, al di là dei legami strettamente musicali, lacultura africana ha potuto trasferire parzialmente in quella afroamericanaun complesso e articolato concetto di performance, comedimostrano soprattutto i primi decenni di storia del jazz, la cui influenzasi è estesa a tutto <strong>il</strong> mondo musicale americano contribuendo inmaniera determinante alle sue peculiarità, del resto avvertib<strong>il</strong>i anchenell’ambito delle musiche di impronta eurocolta. Queste brevi notenon hanno, come già specificato, lo scopo di individuare quali sonogli elementi africani nel jazz per dividerli da quelli europei e lavorarecon <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancino dello speziale. Siamo convinti che sia <strong>il</strong> risultato finalea contare, cioè <strong>il</strong> modo in cui si mescolano forme e concezioni delfare musica che in tutti i parametri incrociano idee provenienti sia dalmondo europeo sia da quello africano. Vogliamo invece soltanto sottolinearel’importanza della conoscenza della f<strong>il</strong>osofia del fare musicadell’Africa Occidentale, in quanto imprescindib<strong>il</strong>e per la comprensioneprofonda dell’estetica jazzistica.


Charlie Parkerdalla Carnegie Hallal Birdlanddi Ira GitlerSebbene non avesse portato a terminegli studi alla high school,Charlie Parker sapeva affrontare conintelligenza una molteplicità di argomenti. Il trombettista HowardMcGhee, molto vicino a Parker nel periodo che Bird trascorse a LosAngeles nel 1946, dopo che Dizzy G<strong>il</strong>lespie era tornato a New York,racconta nel mio libro Swing to Bop di come Parker «leggesse estudiasse sempre. Era un uomo molto istruito. Poteva parlare di…beh la mia auto stava facendo le bizze e io dissi “Maledizione! Mitoccherà portare questo aggeggio in autofficina”. E lui disse: “Nonè nient’altro che questo e quest’altro”. E poi uscì fuori, girò attornoal motore, e mise a posto quel dannato aggeggio! Sapeva tutto delmotore, di cosa lo faceva funzionare e di tutta quella merda. Mi feceimparare un sacco di cose…Ci piaceva stare alzati la notte ad ascoltareFirebird Suite e Rite of Spring. Mi fece conoscere Stravinsky…e anche Bartok, Wagner e soci.»A New York fui in sua compagnia diverse volte, a partire dal 1947.Nonostante ci fossimo parlati sul serio solo una volta, in un bar diBroadway proprio sopra <strong>il</strong> Birdland, non ebbi bisogno di quell’incontroper capire che si trattava di un uomo assai br<strong>il</strong>lante, di grandeintuito, capace di cavarsela in ogni circostanza.Una volta entrato nei circoli jazz di Kansas City credo sapesse, dentrodi sé, che sarebbe arrivato prima di quanto si potesse immaginarea New York, dove si trovava uno dei suoi mentori di KansasCity, l’altosassofonista Buster Smith. Dapprima Yardbird - <strong>il</strong> soprannomegli venne dato a Kansas City per via della sua passione per <strong>il</strong>pollo - se ne andò a Chicago viaggiando clandestinamente su untreno merci. Si presentò a un breakfast dance (1) , prese a prestito59


Ira Gitler60uno strumento e fece una grande impressione a Budd Johnson eB<strong>il</strong>ly Eckstine, allora componenti della band di Earl Hines.Poi se ne andò a New York dove frequentò la casa di Buster Smith.Finì a lavare i piatti al Jimmy’s Chicken Shack dove Art Tatum si esibivaregolarmente come pianista. Quando l’ingaggio di Tatum finì,anche Parker concluse <strong>il</strong> suo impiego. Lavorò in una taxi dance hall (2)e poi a Baltimora con un bandleader di nome Banjo Burney, primadi tornare a Kansas City per <strong>il</strong> funerale di suo padre.Si riunì alla fine alla band di Jay McShann, con cui aveva precedentementesuonato a Kansas City per un breve periodo, e dal 1940 al1942 cominciò a farsi conoscere fuori dal giro locale, grazie agliassoli nelle registrazioni con McShann. Al tempo in cui la band suonavaalla Savoy Ballroom di New York, altri jazzmen decisero diandare a vedere chi fosse quel sassofonista che avevano sentitoimprovvisare in Cherokee durante una trasmissione radiofonica.Anche Ben Webster cominciò a parlare di lui ai suoi colleghi.In quel periodo Bird cominciò a frequentare <strong>il</strong> Monroe’s UptownHouse, un club after-hour venuto alla ribalta dopo che altri locali avevanochiuso i battenti. Qui trovò una band hip-house e un’atmosferain cui <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e personale, in continua evoluzione, poteva prosperare.Al Monroe’s rivide anche Dizzy G<strong>il</strong>lespie che aveva precedentementeincontrato a Kansas City, nel 1940, quando <strong>il</strong> trombettistaera arrivato in città con la band di Cab Calloway. Altri ospitierano Don Byas, Roy Eldridge, Hot Lips Page e Charlie Shavers.«Quel tipo di musica mi convinse a lasciare McShann e rimanere aNew York», dichiarò Parker.Nel 1941 un recensore di Down Beat incluse anche Parker tra isidemen di McShann che a suo giudizio più avevano contribuitoall’ascesa di Jay.Quando Budd Johnson lasciò la band di Earl Hines, Eckstine eG<strong>il</strong>lespie, quest’ultimo già componente del gruppo, spinsero Earl aingaggiare Parker. Nel 1943 Bird suonò con Hines per dieci mesi alsax tenore (i sax alto erano già al completo). Il cantante Eckstinescelse quindi di intraprendere una carriera da solista, salvo poi formareuna big band nel 1944: credeva nel nascente movimento be


Charlie Parker dalla Carnegie Hall al BirdlandDizzy G<strong>il</strong>lespie e Charlie Parker61bop e ingaggiò molti dei precedenti sidemen di Hines, tra cuiG<strong>il</strong>lespie e, poco dopo, Parker. Uno scrittore di nome Johnny Sippelrecensì così la band nel numero di Down Beat del 1 ottobre: «Laforza trascinante dietro i sassofoni è Charlie Parker», affermò,«destinato a diventare, dopo Hodges, un esteta del sax alto…Il suost<strong>il</strong>e è appropriato, ma ciò che lo contraddistingue è soprattutto lasua straordinaria miniera di nuove idee.»Parker non rimase però abbastanza a lungo per registrare conEckstine. Ritornò a New York e cominciò a lavorare nei club della52esima. G<strong>il</strong>lespie ben presto seguì la strada di Parker e nonostantei due potessero suonare assieme in un vero e proprio grupponon prima della primavera del 1945, presto cominciarono a diventarepresenze assidue negli studi di registrazione.Dagli inizi del 1945 i musicisti che lavoravano nella 52esima realizzarononumerose registrazioni, grazie agli accordi firmati dalle piccolecompagnie indipendenti con <strong>il</strong> sindacato dei musicisti (le maggioricase discografiche, all’epoca, erano invece impegnate in un


Ira Gitlerbraccio di ferro con <strong>il</strong> sindacato stesso sull’aumento degli onorari).Il 31 dicembre 1944 G<strong>il</strong>lespie e Parker erano nella piccola formazioneche suonava per Sarah Vaughan in una sessione per laContinental. Tra i brani vi era Interlude (la versione cantata di A Nightin Tunisia di Dizzy). A gennaio G<strong>il</strong>lespie registrò le prime versioni diBebop e Salted Peanuts per la Manor. Nello stesso mese Parker eFoto di W<strong>il</strong>liam Claxton62


Charlie Parker dalla Carnegie Hall al BirdlandG<strong>il</strong>lespie registrarono per la prima volta su disco due set per laContinental, uno con Rubberlegs W<strong>il</strong>liams e l’altro con TrummyYoung.Il 28 febbraio i due giganti fecero la loro prima sessione come unicifiati nella front line. Ne scaturirono Grooving High, All the ThingsYou Are e Dizzy Atmosphere. Poi fu la volta del lungo ingaggio aiThree Deuces, nel mezzodel quale, l’11 maggio, <strong>il</strong>quintetto di G<strong>il</strong>lespie conParker registrò una sessioneper l’etichetta Gu<strong>il</strong>dcomprendente Shaw’Nuff, Hot House, SaltPeanuts (<strong>il</strong> titolo avevaperso la “ed”) e LoverMan con la voce di SarahVaughan.Questi 78 giri divenneroimmediatamente una piccolaBibbia per schiere digiovani musicisti statunitensi.Quando in Francia sidiffuse velocemente lanotizia che CharlesDelaunay ne aveva ottenutoalcune copie, i musicistiparigini continuaronoa chiedergli di ascoltarequei dischi, tanto che benpresto le superfici cominciaronoa scolorire.Delaunay mi disse cheDjango Reinhardt arrivavada lui prestissimo, conaddosso ancora la casacca63


Ira Gitler64del pigiama, per ascoltare quelle registrazioni.Hugues Panassie, rimasto a Vichy, in Francia a causa della guerra,continuava a supplicare Delaunay di spedirgli i dischi ma, dato chequelle erano le uniche copie che Charles possedeva, e i musicistisarebbero stati molto scontenti se le avesse inviate a Delaunay, letenne a Parigi. Delaunay pensava che se Panassie fosse stato ingrado di sentire Bird e Dizzy per primo e fosse diventato <strong>il</strong> loro “scopritore”non avrebbe odiato <strong>il</strong> bebop.Negli Stati Uniti era intanto scoppiata polemica tra sostenitori edetrattori del bebop (niente di paragonab<strong>il</strong>e alle scazzottate del1948 nella balconata della Salle Pleyel di Parigi dove si esibiva laband di G<strong>il</strong>lespie). I modernisti soprannominavano i detrattori delbebop “fichi ammuffiti”. Il produttore e scrittore John Hammonddichiarò: «Per me <strong>il</strong> bop è una collezione di disgustosi cliches, ripetutiad infinitum.»Altri conosciutissimi colleghi di Hammond (di cui non faremo inomi) espressero opinioni negative sullo st<strong>il</strong>e di Parker, sulla tecnicadi G<strong>il</strong>lespie e sul bebop in generale. Anche se poi, negli anni ’50,molti di loro diventarono produttori di dischi di quegli stessi musicistiche avevano denigrato dieci anni prima.I principali campioni di Parker e G<strong>il</strong>lespie si trovavano al periodicoMetronome: erano Barry Ulanov e Leonard Feather. George Simonera l’unico al Metronome a dare valutazioni incredib<strong>il</strong>mente bassea dischi che presto furono considerati dei classici da un vasto pubblico.Ma persino Ulanov ebbe a scrivere nella recensione di unconcerto del 1947 alla Carnegie Hall (pubblicato ufficialmente per laprima volta come “Diz ’N Bird at Carnegie Hall” dalla Roost, consociataBlue Note): «Charlie Parker si è unito a Diz per un piacevoleripasso della musica bebop per piccoli organici.» Un giudizio chenon rende giustizia del valore di quella performance.E siamo così giunti al Bird dal vivo. Era grandissimo in studio, manon c’era nulla di meglio che ascoltarlo “live”. Uno dei momentichiave del festival di <strong>Vicenza</strong> di quest’anno è la celebrazione delfamoso concerto alla Massey Hall di Toronto nel 1953. Sempre amaggio verrà pubblicato un concerto che nessuna persona di mia


Charlie Parker dalla Carnegie Hall al Birdlandconoscenza avrebbe mai pensato potesse essere registrato sudisco. Gli acetati vennero trovati grazie a una felice scoperta di BobSunenblick della Uptown Records. Quando G<strong>il</strong>lespie e Parker eranoai Three Deuces, nel 1945, un’organizzazione chiamata New <strong>Jazz</strong>Foundation, diretta da Monte Kay (che più tardi doveva diventare <strong>il</strong>manager del Modern <strong>Jazz</strong> Quartet), li presentò alla Town Hall diNew York nel maggio di quell’anno. Il concerto ebbe così tanto successoche ne fu organizzato un altro nella stessa Hall a giugno.Resta un mistero chi lo registrò, ma si tratta di una straordinaria,storica performance. Il repertorio è sim<strong>il</strong>e al materiale registrato instudio al tempo, ma nelle improvvisazioni tutti si spingono oltre.Parker, in particolare, ha un assolo di cinque chorus e un altro di sei.I sig<strong>il</strong>li di G<strong>il</strong>lespie sono acciaio inossidab<strong>il</strong>e. Ma oltre a questo, sipuò percepire un senso complessivo di eccitazione elettrica, l’esattamisura di una musica che stava realmente “accadendo” in quelmomento.Sarei negligente se non citassi Parker e G<strong>il</strong>lespie al Birdland nel1951, con Bud Powell, Tommy Potter e Roy Haines. Il concerto fudapprima pubblicato in un lp Columbia e forse è ancora rintracciab<strong>il</strong>e(lo era pochi anni fa) su un cd French Columbia. Prima che lacasa discografica lo immettesse sul mercato, esisteva come bobinache circolava tra i collezionisti. Ne avevo una copia e Thad Jonesvenne da me ad ascoltarla. Alla fine del set mi guardò e disse: «Puoiriavvolgere <strong>il</strong> nastro e farmelo ascoltare ancora?». E, naturalmente,così feci.Bird “live”, lives!65(traduzione di Loretta Simoni)(1) spettacolo che iniziava dopo l’orario di chiusura dei club e si protraeva sino almattino (n.d.t.)(2) locale dove le ballerine danzavano con i clienti. Il biglietto d’ingresso era “atempo”, con un costo proporzionato al periodo di permanenza del cliente(n.d.t.)


<strong>Jazz</strong> at Massey Hall: <strong>il</strong> più grande concerto jazz di sempre.Da sin.: Bud Powell, Charles Mingus, Max Roach, Dizzy G<strong>il</strong>lespie e Charlie Parker


<strong>Jazz</strong> at Massey Hall:<strong>il</strong> più grandeconcerto jazzdi sempredi Stephen Davis*Un sondaggio effettuato nei primimesi del 1953 tra i soci della New<strong>Jazz</strong> Society di Toronto chiedeva diindicare <strong>il</strong> gruppo ideale di musicisti bebop. I musicisti selezionatisarebbero stati contattati allo scopo di formare un super gruppoper un concerto alla Massey Hall della città.La New <strong>Jazz</strong> Society era un’organizzazione di appassionati di jazz,come le tante oramai sparse quasi ovunque nel mondo occidentale.Tuttavia l’interesse prioritario dei soci era per la “Chinesemusic”, come una volta definì <strong>il</strong> bebop Louis Armstrong <strong>il</strong> cuidisprezzo verso questa musica fu ripreso lungo gli anni ’40, aglialbori del genere, da critici professionisti che vivevano sui favoripopolari, nonché sull’adulazione dei musicisti e delle orchestreswing. I boppers, a loro volta, definivano i critici “fichi ammuffiti”,ma alla fine se la prendevano solo con Louis. L’atteggiamentocomune dei boppers, dominati da Charlie Parker di Kansas City,Missouri, verso i “fichi” era del tipo: «Non me ne frega proprio seascolti o no la mia musica». Come dire che chi sta in prima f<strong>il</strong>a inuna mischia di solito va avanti per conto proprio e quando gli altrivedono che tutto è tranqu<strong>il</strong>lo, lo seguono. Gli sfondamenti nonsuccedono nelle folle.La New <strong>Jazz</strong> Society scelse cinque boppers americani di colore,la crema di un’incredib<strong>il</strong>e generazione di musicisti: inventori,scienziati, esploratori, artisti, tutti professionisti che lavoravanofuori New York City. Erano i migliori esponenti della loro musicaperché loro stessi avevano cominciato a crearla dieci anni prima.Charlie Parker, <strong>il</strong> genio che presiedeva a questa musica e <strong>il</strong> piùgrande altosassofonista di tutti i tempi, aveva all’epoca trentatrè67


Stephen Davisanni. Come altri innovatori prima di lui, soprattutto Armstrong eLester Young, aveva escogitato un proprio sistema musicale perrompere le barriere armoniche esistenti prima della sua generazione.Mentre provava le progressioni armoniche di Cherokee inuna “Ch<strong>il</strong>i House” di Harlem, nel 1939, Parker era scivolato in unadeformazione del tempo che aveva ampliato attraverso un meticolosoprocesso di “ascolto interno” (per dirla con Ben Sidran) dinuove strutture armoniche, basate sulla sua personalissima ideadi melodia. Da quel momento era diventato l’iniziatore di un movimentoche avrebbe scosso <strong>il</strong> jazz alle radici e non sorprende chei metodi da lui introdotti allora siano ut<strong>il</strong>izzati ancora oggi.Il secondo musicista a essere scelto fu John Birks “Dizzy”68


<strong>Jazz</strong> at Massey HallG<strong>il</strong>lespie, <strong>il</strong> padre della tromba bop. A differenza di Parker, <strong>il</strong> cuibackground di Kansas City gli conferiva uno st<strong>il</strong>e vicino al melismadegli urlatori gutturali di blues urbano, Dizzy fu più che altro unaudace esploratore delle altezze vertiginose dello strumento. Nel1945, nella 52ª strada di New York, aveva guidato assieme aParker i primi gruppi bebop e sempre con Parker aveva contribuitoa cambiare <strong>il</strong> jazz da tranqu<strong>il</strong>lo linguaggio di semiminime ecrome a nuovo, maniacale dialetto di semicrome e biscrome. Ilpianista era Bud Powell, volub<strong>il</strong>e, pazzo, incostante, dal talentoapparentemente infinito, propenso a sperimentare improvvisestasi nel mezzo dell’esecuzione. Quando “c’era”, tuttavia, era inassoluto uno dei migliori alla tastiera; radunava in sé tutte le sueinfluenze e fu <strong>il</strong> progenitore di un proprio piccolo movimento. Lasezione ritmica era composta dal bassista Charles Mingus, musicistacaliforniano di estrazione classica cresciuto nell’ambito dellebig band, le cui principali influenze erano state Duke Ellington e,come per Bud Powell, <strong>il</strong> grande Art Tatum, mentre Max Roach era<strong>il</strong> batterista, l’innovatore assieme a Kenny Clarke dello sfrigolio delritmo bop, <strong>il</strong> veloce 4/4 suonato sul piatto, lasciando <strong>il</strong> resto dellostrumento per la punteggiatura e l’accentuazione.Questo dunque era <strong>il</strong> quintetto che avrebbe dovuto suonare aToronto in quella serata davvero storica. Soprattutto grazie all’impegnodi Mingus si giunse a un accordo e si firmò <strong>il</strong> contratto.Mingus voleva assolutamente registrare e portò con sé <strong>il</strong> suoimpianto che, giudicando a posteriori e considerando la limitatezzadei mezzi, produsse alla fine un suono sorprendentementepulito. Parker giunse a Toronto senza <strong>il</strong> suo famoso strumento, <strong>il</strong>sassofono contralto Selmer di fabbricazione francese: suonò invececon uno strumento bianco in plastica preso a prestito da unnegozio di articoli musicali della zona.A complicare un po’ la faccenda e ad aggiungere qualcosa in piùall’atmosfera generale della serata, fu <strong>il</strong> fatto che Bud Powell sifosse appena ripreso da uno dei suoi frequenti collassi nervosi equel concerto era per lui <strong>il</strong> primo dopo la terapia all’elettroshockcui si era sottoposto a Creedmore, un sanatorio di Long Island. Si69


Stephen Davis70diceva che Bud fosse ubriaco fradicio sin dal primo brano. Ancorpiù singolare era la famosa ost<strong>il</strong>ità tra Parker e G<strong>il</strong>lespie, temporaneamentesospesa per l’occasione. Il concerto, che ebbe luogonel maggio del ’53, era stato involontariamente programmatonella stessa sera della sfida tra Rocky Marciano e Jersey JoeWolcott per <strong>il</strong> campionato del mondo dei pesi massimi e, inparte proprio per questo motivo, i 2500 posti della Massey Hallerano pieni solo per un quarto. Durante i brani d’apertura Dizzy,sfegatato fan della boxe, continuava a precipitarsi dietro le quinteper controllare l’andamento della gara che Marciano vinse perknockout, con gran dispiacere di G<strong>il</strong>lespie. Il concerto era divisoin due parti: Powell Mingus e Roach si esibirono in trio nel primoset, seguì poi un lungo intervallo durante <strong>il</strong> quale sia i musicistiche <strong>il</strong> pubblico si recarono in un bar dall’altra parte della strada agozzovigliare fino a che i demoralizzati organizzatori non radunaronotutta la gente, riportandola dentro l’auditorium. Al terminedella serata si vide che gli incassi del botteghino erano insufficientia far fronte a quanto doveva essere garantito ai musicisti;così Charlie Parker, senza dubbio adirato ma probab<strong>il</strong>mente abituatoa inconvenienti del genere, obbligò coloro che avevanochiamato <strong>il</strong> gruppo a Toronto a coprire la somma restante ditasca propria. Il mattino dopo egli stesso si occupò del ritirodegli assegni.Secondo Ross Russell (nella sua stupefacente, esaustiva biografiadi Parker Bird Lives! della primavera del 1973), i nastri diMingus col concerto della Massey Hall furono ascoltati pocodopo dal produttore discografico Norman Granz che propose dipubblicarli su disco, sia pure con qualche taglio. Egli chiese aimusicisti quanto volessero come anticipo sui diritti d’autore eParker gli rispose che la cifra era di 100 m<strong>il</strong>a dollari, una provocazioneche valeva come risposta impossib<strong>il</strong>e a una domandaimpossib<strong>il</strong>e. Come si fa ad attribuire un prezzo a un genio e amomenti sublimi come quelli? Granz ebbe la risposta che meritava.


<strong>Jazz</strong> at Massey HallIn ogni caso Mingus lanciò la sua etichetta di breve vita, la DebutRecords, con un dieci pollici dal titolo “<strong>Jazz</strong> at Massey Hall”. Sipresumeva che coloro che avevano acquistato <strong>il</strong> disco della Debut(e la successiva edizione dodici pollici della Fantasy) fossero alcorrente della vera identità del panciuto altosassofonista dellacopertina, che sorrideva furbescamente e teneva tra le manigigantesche, come se fosse un giocattolo, uno strumento biancodi plastica. Sui credits dell’album era citato come “Charlie Chan”(un supposto strumentista cinese, se mai ce ne fu uno) per evitareun’azione legale da parte della Mercury cui Bird era contrattualmentelegato all’epoca del concerto.Il disco divenne leggenda non solo grazie alla situazione unica incui fu registrato e al livello musicale da virtuosi, ma anche perchéera assai diffic<strong>il</strong>e da reperire. Ascoltai per la prima volta “MasseyHall” nel 1963, poco dopo che la Fantasy lo ebbe ripubblicato.Perdido si fissò nella mia mente come succede con un volto indimenticab<strong>il</strong>e;<strong>il</strong> tema suonato all’unisono, poi Parker che prova acontrollare l’acustica di quell’inusuale sax di plastica e che si lanciagradualmente in un passaggio bello come al solito, attraversoi cambi armonici. Pensai che vi fosse qualcosa che avrebbe distoltola mia mente dal rock ’n roll. In quel brano i suoni fumanti diG<strong>il</strong>lespie e gli insistiti artifici di Bud Powell ebbero parte importantenell’aprire le mie orecchie alla scienza musicale fortementeemozionale del jazz. Ascoltai e imparai. All’epoca non sapevonulla di quello che, al tempo del concerto, sarebbe diventato uncelebre dualismo tra Parker e G<strong>il</strong>lespie; così non fui in grado diapprezzare l’ironia dell’introduzione parlata di Parker a SaltPeanuts di G<strong>il</strong>lespie. Incoraggiando scherzosamente Dizzy, eglipresenta <strong>il</strong> brano come scritto «dal mio degno braccio destro». Gliappassionati, invece, possono assaporare questo scherzo innocuo,poiché si tratta di una delle rarissime occasioni in cui la vocedi Parker si può ascoltare su disco.(…)Su Salt Peanuts, la velocità di esecuzione di Bird è tale che, perun sassofonista, non è immaginab<strong>il</strong>e cosa possa succedere71


Stephen Davis72andando ancora oltre.Poi c’è All the Things You Are, uno degli esempi più sbalorditiviche ci siano rimasti dell’interplay tra Parker e Bud Powell, con <strong>il</strong>talentuoso pianista tutto compreso nell’atto dell’invenzione persostenere Bird con attacchi, spunti e possib<strong>il</strong>i percorsi da seguirenel suo girovagare attraverso <strong>il</strong> brano. E quando la tromba sordinatadi Dizzy riprende la guida dopo l’assolo di Parker, egli sembraripagare Parker per <strong>il</strong> suo scherzo con un proprio gioco musicale,citando <strong>il</strong> passaggio alto, rauco e ibrido tratto da un kitsch orchestraleallora popolare, Grand Canyon Suite di Ferde Grofé.Wee, naturalmente, è un’esplosione be bop e contribuì a fare diquesto disco una leggenda. Qui i contrasti tra Parker e G<strong>il</strong>lespiesono più evidenti: <strong>il</strong> solo di Parker è un grido selvaggio d’amore,qualcosa di insondab<strong>il</strong>e, mentre Dizzy è molto sorvegliato e accurato.Hot House sembra l’opposto, così cool in un certo senso, tantoche Parker sembra camminare dentro al suo assolo d’aperturacome un elegantone che entra impettito in un bar e sorvegliaattentamente la scena.E poi c’è la degna conclusione del concerto, Night in Tunisia diDizzy, <strong>il</strong> pezzo jive, “mysterioso”, divenuto nel tempo l’inno delbebop. Parker è presente soprattutto quando avvolge la melodiaattorno a se stesso, annodandola e piegandola fino a che nonentra Dizzy a regolarla con note alte e vibranti. Powell, poi, ci sicala alla perfezione, concludendo quell’incredib<strong>il</strong>e sessione suuna nota acuta, felice e appropriata.(traduzione di Loretta Simoni)* dalle note di copertina dell’lp Fantasy


L’ereditàparkerianadi Stefano MerighiIndicare un’eredità parkeriana èazzardare una teoria le cui basi si rivelanopresto di inconsistente frag<strong>il</strong>ità.Narrano i biografi che Parker desiderava più di ogni altra cosa affinarela sua preparazione teorica, studiare con i contemporaneieuropei. Ross Russell, proprietario della Dial Records e autore diBird Lives!, scrive che poco prima di morire «Charlie fece visita alcompositore d’avanguardia Edgar Varèse, e lo trovò che faceva ibagagli per andare in Francia. Charlie ancora una volta parlò delprogetto, mai messo in atto, di studiare con Varèse. “Prendimicome faresti con un bambino”, disse al francese. “Io voglio unabase solida. Uno strumento solo non è abbastanza. Voglio scrivereper molti strumenti, per dellevoci, una sinfonia o un’opera”.Varèse disse a Charlie di farsi vivo lasettimana dopo Pasqua al suo ritornoa New York.»Sappiamo come andò: Parker morì<strong>il</strong> 12 marzo; era <strong>il</strong> ’55, non vide maiquella Pasqua. Non sappiamo altresìquali strade avrebbe intrapreso <strong>il</strong>suo slancio creativo se le condizionimateriali della sua esistenza gliavessero permesso la libertà discelta.Dunque a che Parker ci si deve riferirequando si voglia indicare un piccoloinsieme di artisti eredi delleEdgar Varèse73


Stefano Merighi74sue intuizioni musicali?Al genio del sax alto, capace di incendiare le jam-session e dirifondare l’intera sintassi dello strumento? All’eroe del bop,movimento rivoluzionario comunque frutto di determinate condizionie coincidenze storiche, irripetib<strong>il</strong>i nell’immediato futuro?Oppure al visionario musicista che voleva immettere <strong>il</strong> suo inarrivab<strong>il</strong>etalento di improvvisatore in un contesto di nuova scritturae che nel frattempo si accontentava di un contorno di qualcheviolino, viola, violoncello, arpa?In sostanza, non sappiamo fino in fondo quale fosse <strong>il</strong> destino dellamusica parkeriana, non sappiamo cioè se i suoi primi trentacinqueanni avessero esaurito la sua parabola artistica o, al contrario, avesserosoltanto posto le basi per un’ulteriore rivoluzione. Certo chela frenesia innovativa del bop era lo specchio dell’audacia e dellaconsunzione psico-fisica di molti suoi protagonisti - e Parker primotra questi, ovviamente -; dunque non si vede come un lucido autocontrollocombinato con una salute recuperata avrebbe permessoa Parker di oltrepassare quelle barriere estetiche che tanto lo angustiavano.Eppure…La questione ci sembra interessante alla luce dei molteplici sv<strong>il</strong>uppiche la storia della musica africana-americana ha conosciuto da lìin avanti.La musica di Charles Parker, malgrado le sue straordinarie qualitàtrascendentali, è come tutte le altre inserita nel contesto socio-culturaledell’epoca. Risente dunque di tutte le limitazioni di cui <strong>il</strong> soggettocreativo soffriva. Una povertà costante, dovuta all’incapacitàdi inserirsi nelle regole del business e allo sfruttamento operato dadiscografici, manager, promoter; ma anche una voglia di vita eccezionaleche portava Parker a consumare ogni fibra del suo esserenell’immanenza del quotidiano. Con conseguenze prevedib<strong>il</strong>i: squ<strong>il</strong>ibrinervosi, necessità di sopravvivenza che non permetteva alcuntempo ozioso, inteso come tempo di riflessione o di sv<strong>il</strong>uppo progressivodi metodi, idee estetiche, organizzazione del lavoro.Dunque Parker esauriva <strong>il</strong> suo talento nelle poche ore di sala di incisionee nelle notti dei jazz club, alternando una miracolosa lucidità


L’eredità parkerianaall’euforia da tossicodipendenza, fino al collasso e alla perdita di sé.Alcuni boppers usciranno da questo circolo vizioso in virtù di unanuova consapevolezza socio-politica: Max Roach e CharlesMingus insegnano. Ma Parker muore troppo presto e la sua figurasi proietta mitologicamente quale “artista maledetto” del jazz.Impossib<strong>il</strong>e confrontare le sue condizioni di produzione creativacon quelle di autorevoli autori di oggi, in grado di controllare al dettagliola propria attività, di suddividere <strong>il</strong> tempo tra studio, ricerca,dischi, concerti, tournèe.E dunque di che eredità andremo in cerca guardandoci intornonella pluralità delle musiche contemporanee?C’è un punto di vista tutto interno al jazz come codice stab<strong>il</strong>ito unavolta per tutte; questo individua nel bop l’apoteosi della sua evoluzione.E dunque prescrive una fedeltà quasi f<strong>il</strong>ologica nei confrontidella sua grammatica, come se questa fosse impermeab<strong>il</strong>e aimutamenti estetici.In questa prospettiva l’eredità parkeriana si intravede nel lavorotenace di molti altosassofonisti che ne hanno imitato <strong>il</strong> linguaggioe di cui oggi è pieno <strong>il</strong> mondo. A dire <strong>il</strong> vero, alcuni “allievi” idealidi Bird hanno avuto la forza in seguito di abbandonare <strong>il</strong> mero ricalcoe di intraprendere tragitti di una certa originalità che, pur senzaindicarli come caposcuola, ne hanno sancito <strong>il</strong> magistero per lunghedecadi. Si possono citare a questo proposito Julian“Cannonball” Adderley, Ph<strong>il</strong> Woods e Jackie McLean, solo undecennio più giovani del maestro ma già fuori dal nucleo “storico”del bop (che comprendeva invece Sonny Stitt). Ma ve ne sonoovviamente molti altri.Questo metro di analisi non è cambiato nella contemporaneità,ma se ci accostiamo alle voci contraltistiche degli anni Ottantae Novanta, c’è qualcuno che sosterrebbe sul serio un paragoneartistico tra Parker e - che so? - Donald Harrison, Vincent Herringo Kenny Garrett? Queste note solo per dire che non basta certosuonare “alla maniera di” per approfondire e rivelare l’insegnamentodel modello.Dagli anni Settanta in avanti ci sembra che, all’interno di questa75


Stefano Merighi76scuola espressiva - chiamatela post-bop, se vi va - solo BobbyWatson e Massimo Urbani (e forse in certa misura l’inglesePeter King) si sono distinti per mettere a frutto <strong>il</strong> parkerismo inmaniera feconda.In particolare Urbani mostrava una volontà utopica non accomodante,che riusciva a collegare la forza dionisiaca derivata daParker con la conoscenza di Coltrane e Ayler, in una sintesi digrande originalità.Ma, a ben vedere, una presunta eredità parkeriana va cercataaltrove.Se si discute di questo problema alla luce della sola musica americanadell’ultimo decennio, si va ben poco lontano: prima di tuttoperché non ne abbiamo ancora digerito la sostanza, in secondoluogo perché in particolare <strong>il</strong> mondo del jazz continua a rapportarsia queste figure-chiave secondo parametri mitologici che ne idealizzanol’icona piuttosto che sviscerarne le possib<strong>il</strong>ità.Dunque sembra giusto individuare un approfondimento delle intuizioniestetiche di Parker a partire dagli anni immediatamente successiv<strong>il</strong>a sua scomparsa, anni in cui l’insieme delle condizionisocio-culturali della produzione di musica in America erano ancoraparagonab<strong>il</strong>i a quelle del bop e in cui si erano create le premesseper la cosiddetta new thing.E, per essere brevi, converrà citare soltanto sassofonisti, comeviene naturale, a costo di escludere molti musicisti che concettualmenter<strong>il</strong>anciano la lezione parkeriana pur esprimendosi construmenti diversi.Le grandi novità riguardanti un’ipotetica consegna del testimoneparkeriano vengono intuite, in contesti diversi ma dialoganti, daEric Dolphy e Ornette Coleman. Due solisti e compositori istantaneiche integrano sia la capacità di Parker di oltrepassare i confinidel cosiddetto jazz pur condividendone la cultura e l’educazione,sia la sua volontà di tentare altre strade, magari, come già accennato,attraverso incroci con i linguaggi delle avanguardie europee.Vi sono molti esempi convincenti di questo doppio impegno sia inDolphy che in Ornette, i quali sono stati spronati in maniera signi-


L’eredità parkerianaficativa da due teorici fondamentali per quegli anni come GuntherSchuller e George Russell (ecco una bella suggestione: cosasarebbe accaduto nella musica di Parker se Russell avesse potutoaccettare di lavorare con lui?)Le tracce di Parker in Dolphy sono più che evidenti non tanto nellaripresa dello st<strong>il</strong>e strumentale (che pure c’era) quanto nell’elaborazionedi un surplusrispetto alle convenzionidate che Parker nonaveva avuto <strong>il</strong> tempo disv<strong>il</strong>uppare: lo studiodegli intervalli melodicicome elemento strutturale,con la conseguenteretrocessione degliaspetti armonici; la tendenzaa trascendereinsomma la gabbiamusicale circostante,che sembra sempre inritardo rispetto alla folgoranteintelligenza delsolista. Ma Dolphy sene va a trentasei anni,diventando a sua voltauna figura di culto per legenerazioni successive.È Coleman, allora, chespinge alle estremeconseguenze la ricercain questione. Con lui siarriva alla vaghezzaarmonica, al “canto libero”come spesso si èdetto, che fonde comeOrnette Coleman e Anthony Braxton Foto: Valerie W<strong>il</strong>mer77


Stefano Merighi78mai prima l’identità fondamentale del blues (che per Parker era ineludib<strong>il</strong>e)e l’improvvisazione visionaria.Se accettiamo di porre questi due autori come crocevia verso <strong>il</strong>futuro (e perché non Coltrane, o Davis, o Ayler, o Shorter? Ma perchéstiamo discutendo di un percorso parkeriano e non si vuoleallargare troppo <strong>il</strong> discorso…), allora potremo raffigurare unamappa i cui percorsi si snodano tortuosamente fino ai nostri giorni,pur tra m<strong>il</strong>le contraddizioni.L’ “indicatore” Dolphy, in questo tragitto, ci porta a considerare dauna parte i nuovi orizzonti della AACM di Chicago, dove l’autoreche più ha dialogato con Charles Parker e Eric Dolphy è statosenz’altro Anthony Braxton; dall’altra la pluralità delle esperienzeautonome del nuovo jazz europeo, segnate in questo senso daottimi artisti di casa nostra come <strong>il</strong> Gianluigi Trovesi prima manierae <strong>il</strong> recente Stefano Di Battista, elogiato ovunque per le sue frescheriflessioni parkeriane.L’ “indicatore Coleman” conduce invece ad una rete di percors<strong>il</strong>abirintici. La radicalità ornettiana ha ispirato tutti gli innovatori piùinteressanti degli ultimi decenni, che, collegandosi alla matriceblues di quella sovversione, proseguono ellitticamente anche lalezione di Charles Parker: si può coprire uno spettro di artisti cheva da John Tchicai fino a Tim Berne, passando per Sonny Simmonse Arthur Blythe.Ma un sassofonista-improvvisatore su cui bisognerebbe tornare ariflettere in questo senso è Julius Hemph<strong>il</strong>l, <strong>il</strong> più visionario, ingrado di offrire saggi intensi sia di immediata devozione parkeriana(Kansas City Line, in “Blue Boyé”) che di immaginare una proiezionestrutturata per quattro sassofoni (<strong>il</strong> World SaxophoneQuartet) di quell’universo sonoro. Così come, se ci soffermiamosulla scrittura e sull’arrangiamento, di riflesso pensiamo a DavidMurray che negli anni ’80, come scrive Claudio Sessa, si richiamaalle composizioni contrappuntistiche di Charles Parker Chasin’ theBird e Ah-leu-cha.Il festival di <strong>Vicenza</strong> riscopre con merito <strong>il</strong> talento “antico” diCharles McPherson che, dopo le glorie mingusiane, ha sempre


L’eredità parkerianaapprofondito <strong>il</strong> sentimento di f<strong>il</strong>iazione esplicita nei confronti diParker, riprendendo di recente <strong>il</strong> programma “Bird with Strings”insieme alla Cleveland Chamber Orchestra e infondendo a queimateriali nuove emozioni; così come si appresta a fare al cospettodel progetto “Massey Hall” al teatro Astra, nell’ep<strong>il</strong>ogo festivaliero.Ma se Ornette Coleman ha dato la stura a tutte queste possib<strong>il</strong>ità,è con un altro Coleman, Steve, che ci piace concludere questabreve disamina.Steve Coleman appare come l’ultimo grande artista afroamericanoche interpreta la storia del jazz come work in progress, nel segnodi un progresso stratificato in opposizione al frammentismo dellapostmodernità. «La musica di Charles Parker è probab<strong>il</strong>mentequella che ha esercitato la più grande influenza sulla mia musica.Non ho mai voluto copiare quello che Parker ha fatto, non è quelloche “influenza” significa per me. Considero Parker come uncompositore maggiore, soprattutto come un compositore spontaneo.È anche qualcuno a proposito del quale ut<strong>il</strong>izzerei l’analogiacon <strong>il</strong> ruolo del maestro-tamburo all’interno delle società tradizionalidell’Africa Occidentale. Per me Parker traduce queste ideecombinate attraverso uno st<strong>il</strong>e che è una specie di blues futurista,all’interno di qualcosa che può esprimere la vita, quella di un africano-americanodel XIX secolo.» Così Steve Coleman in un’intervistarecente.I suoi sacri testi sono ancora Confirmation, Salt Peanuts, ’RoundMidnight, però rielaborati in un contesto di nuova poliritmia,dove musica iniziatica e codici popolari trovano una sintesi felicee dove <strong>il</strong> linguaggio strumentale riprende Parker nella concitazione,nella velocità, nei movimenti vertiginosi interni ai pezzi,nelle insistenze lessicali, nel distacco intellettuale. SteveColeman torna a riflettere sul bop senza passare per <strong>il</strong> manierismodei propri coetanei.79


Ndary Lô


L’adattismodi Ndary Lôdi Marcello LorraiChe la casa di Ndary Lô sia vicina loannunciano le sagome di prof<strong>il</strong>o diUomini che camminano tracciate avernice nera su un muro di cinta sul bordo della strada. Gli Uominiche camminano sono un po’ <strong>il</strong> simbolo dell’arte di Ndary Lô. Ungruppo di queste sue tipiche figure, sculture in metallo nere, alte,segaligne, che fanno inevitab<strong>il</strong>mente pensare a dei Giacometti,componeva, con i piedi su un terreno cosparso di colorati sandaliinfradito di gomma, La longue marche du changement, l’opera chenel 2002 gli è valsa <strong>il</strong> Grand Prix Léopold Sédar Senghor alla penultimaedizione di Dak’Art, l’unica biennale africana di arte contemporaneaa non aver conosciuto un’esistenza effimera.Il mare non si vede, ma è poco distante. Siamo fuori Dakar, non lontanida Camp Thiaroye, <strong>il</strong> luogo dove nel dicembre del ’44 unmigliaio di tira<strong>il</strong>leurs senegalesi, reduci della guerra in Europa, doveerano anche stati fatti prigionieri e torturati dai nazisti, cadde falciatoda pallottole francesi per aver osato reclamare la propria paga,come nel 1987 ha raccontato nel suo f<strong>il</strong>m <strong>il</strong> regista SembèneOusmane.L’abitazione di Ndary Lô, una v<strong>il</strong>letta solo piano terra, è d’angolo inuna zona poco abitata: intorno alberi, terreni incolti, aree industriali.Di fronte alla casa, a lato della strada, una piroga piena di legni, alcunesculture in metallo, e una grande figura in ferro sdraiata di schiena,come un gigante abbattuto: per timore che potesse cadere efare male ai bambini che ci giocavano intorno come dei l<strong>il</strong>lipuzianialle prese con Gulliver, Ndary Lô ha preferito appoggiarla per terra.Ndary è sul retro, in un piccolo cort<strong>il</strong>e affollato di slanciate sculturein metallo di recupero, che un paio di omini di una trentina di centi-81


Marcello Lorrai82metri sembrano voler raggiungere calandosi dalla tettoia. Da alcunesculture ti guardano con gli occhi sgranati delle teste di bambole,un elemento abituale di molte creazioni di Ndary Lô: nel 2002, nell’ambitodi Dak’Art Off, in una sua personale presentata alla splendidagalleria Eberis, vicino al Marché Kermel, si poteva ammirareuna grande, impressionante Maternité in metallo di recupero, saldaturee appunto teste di bambola che guardavano fuori dal ventregonfio (un reticolo di metallo a maglie larghe) della figura inginocchiata;e nel 2004, sempre per Dak’Art Off, nel cort<strong>il</strong>e del CentreCulturel Français, Lô ha allestito una piroga stracarica di un gigantescoassemblaggio di trovarobato da cui ti fissavano teste di bambola,in una trasparente allusione e in omaggio alle vittime del naufragiodel battello Joolaa, <strong>il</strong> grande trauma del Senegal appenaentrato con tante speranze nel nuovo m<strong>il</strong>lennio.Ndary Lô è intento a lavorare a una scultura con saldatore emaschera. La tira su scoprendo <strong>il</strong> viso come un guerriero medioevalealla fine della battaglia e la terrà sopra la testa per tutta la duratadell’incontro: sembra un moro uscito da un teatrino di pupi sic<strong>il</strong>iani,salvo che invece che oro o argento <strong>il</strong> suo elmo è nero come <strong>il</strong>casco di un motociclista.Entriamo in casa. Sopra una libreria ci sono tanti minuscoli ominimetallici: un paio si stanno arrampicando su una scala fatta di f<strong>il</strong>i dinylon che si stende tra la cima della libreria e <strong>il</strong> soffitto. Mob<strong>il</strong>itandouna miriade di questi omini, sempre per Dak’Art Off 2004, Lô hacostruito una installazione mozzafiato sul tema della schiavitù,ambientata nella Esclaverie della Maison Crespin, a un passo dallatristemente famosa Maison des esclaves, sull’isola di Gorée: fiumidi omini di f<strong>il</strong>o di ferro, che sul pavimento, come colonne di formiche,vanno verso <strong>il</strong> loro atroce destino oppure cercano una disperatavia di fuga arrampicandosi sui muri per trovare una fessura cheli restituisca alla libertà.Non c’è nessun bisogno di sollecitare Ndary Lô neanche con unaprima domanda: appena acceso <strong>il</strong> registratore comincia a parlarecon passione, senza soluzione di continuità. «Sono nato nella regionedi Thiess, a Tivaouane, una città molto religiosa (è la città santa


L’adattismo di Ndary Lôdei tidjane, la confraternita più numerosa del Senegal, n.d.r.). Sonocresciuto lì fino all’adolescenza, con i nonni, in qualche modo sonostati i miei veri genitori, perché sono stato con loro dai quattro aiquattordici anni. Poi, per continuare gli studi, ho raggiunto miopadre e mia madre a Rufisque, vicino a Dakar, dove mio padre facevalo stampatore. Ho preso <strong>il</strong> diploma, sono andato all’università, hostudiato inglese, ho fatto un concorso e nell’88 sono entrato allascuola di belle arti da cui sono uscito nel ’92 con una specializzazionein pubblicità; per un anno ho lavorato come free lance e poiho deciso di ritirarmi in un quartiere abbandonato di Rufisque.Quando da Dakar arrivi a Rufisque, prima di entrare in città c’è laresidenza della società Bata che fabbricava scarpe. Poi la Bata hachiuso bottega e le case, che erano dei begli edifici, si sono deteriorate:porte rotte, niente più acqua, più elettricità. Il guardiano miha prestato un appartamento ed è stato lì che mi sono confrontatocon la realtà, con la vita. Perché da noi in Senegal si ha l’abitudinedi vivere dai genitori all’infinito; c’è chi rimane con i genitori fino aquarantacinque anni o magari tutta la vita. Invece io mi sono detto:“Ah no, è troppo fac<strong>il</strong>e”. Mio padre era arrabbiato con me, volevache tornassi a casa. Me ne sono stato per conto mio, non sapevonemmeno fare da mangiare. Facevo un unico piatto che mangiavomezzogiorno e sera, a base di cereali, con la pasta di arachidi chemi faceva mia madre, e con i cereali, lo zucchero, <strong>il</strong> latte che mi vendevaa credito un negozio: quando faceva caldo potevo farlo piùliquido, oppure lo facevo più concentrato, fino a poterlo tagliare afette, come una torta. Era <strong>il</strong> mio piatto, mi riempiva la pancia, miimpediva di morire.Non avevo niente per iniziare la mia vita di artista. Ma come diceva<strong>il</strong> presidente Lamine Gueye, dai tempi di Senghor, “la mancanza dimezzi è <strong>il</strong> miglior mezzo che ci sia”. Senza niente, di fronte alla vita,non sapevo cosa fare e quindi guardavo per terra e ho cominciatoa raccogliere pezzi di metallo. Non faccio delle cose su cui ho riflettutoprima: è facendo qualcosa che lo faccio, è come una reminiscenza,come un ricordo che affiora. Sono cose allo stato latente,che si fanno a mia insaputa. Mi metto a lavorare con un materiale83


Marcello Lorrai84e magari solo al momento dell’esposizione mi rendo conto che c’èun legame con la mia vita, con la mia infanzia, quando ero con inonni. I miei mi avevano messo dai nonni e siccome non volevoessere lì, rifiutavo di avere degli amici e quindi ero completamentesolo. Ma un bambino ha bisogno di giocare e, non avendo amici,giocavo con gli oggetti: quindi ho cominciato fin dall’infanzia a giocarecon le cose. Vicino c’era una fucina, mi piaceva da pazzi <strong>il</strong> calore;aiutare <strong>il</strong> fabbro facendo andare <strong>il</strong> mantice. La casa dei nonni eraleggermente fuori dalla città e intorno c’erano gli alberi, le vacche, icavalli, la natura: a me non piaceva abitare lì, ma poi quando hocominciato <strong>il</strong> mio percorso per essere un artista – un percorso, perchénon posso nemmeno dire di essere artista – mi sono resoconto che quel momento è stato determinante nella successionelogica della mia vita fino ad oggi.Ero l’unico ragazzino della casa, non c’era l’elettricità e quindi toccavaa me pulire le lampade a petrolio, andare a comprare <strong>il</strong> petrolio.Fatto sta che quando ero nel quartiere abbandonato ho cominciatoa lavorare con le lampade e con le lampade ho fatto la miaprima esposizione. Già dalla prima le mie esposizioni sono statediverse dalle altre: in precedenza, quando la gente andava a vedereuna mostra, cercava di capire; era magari pittura astratta, bisognavaessere degli iniziati, dei tipi intellettuali per capire quelle cose.Mentre con un’esposizione di Ndary Lô arrivi e poi di colpo ti mettia ridere, non c’è bisogno di spiegazioni, è una cosa terra terra.Comunque ho cominciato a essere catalogato come l’artista chefaceva le lampade. E io dicevo: non sono l’artista che fa le lampade;sono un artista che ha fatto delle lampade e adesso voglio passarea qualcosa d’altro. Tanto per cominciare, se all’inizio ogni lampadaera una scultura, per tagliare corto con questa storia hocostruito un’ossatura metallica, di tre metri circa, e sopra ci homesso delle lampade a petrolio: insomma le ho accumulate, centolampade. È venuto fuori un uomo imponente e l’ho chiamatoHommage à Ousmane Sow, perché Ousmane Sow (uomo appuntodi aspetto imponente, n.d.r.) è un grande scultore senegaleseche ha fatto molte cose qui e dunque per noi giovani artisti ai primi


L’adattismo di Ndary Lôpassi era un riferimento, ci aiutava a prendere slancio.Con questo lavoro ho vinto <strong>il</strong> premio della giovane creazione contemporaneadell’edizione ’96 della Biennale. Allo stesso tempoavevo vinto <strong>il</strong> premio del salone nazionale delle arti messo a disposizionedal Goethe Institut e così ho avuto la possib<strong>il</strong>ità di andareper la prima volta nella mia vita in Europa, in Germania; per tre mesia Düsseldorf, alla Kunstakademie. Andavo a trovare degli artisti,imparavo <strong>il</strong> tedesco, visitavo i musei, ero andato anche adAmsterdam, in bus: tutta la borsa che mi hanno dato l’ho spesa perandare a vedere i musei perché ero bulimico di arte, ne avevo vogliae quindi, essendo capitato dove ce n’è a go-go, perché in tutte lecittà ci sono dei musei, ne ho veramente approfittato. Quandodiscutevo con qualcuno e parlavo di un artista e mi dicevano: “Ah,se vuoi vedere <strong>il</strong> lavoro di quell’artista devi andare nel museo tale”,io <strong>il</strong> giorno dopo mi compravo un biglietto anche se era caro, andavosubito lì, prendevo un albergo, andavo al museo, stavo lì duegiorni, ci tornavo, giravo intorno alle opere, avevo <strong>il</strong> mio <strong>quaderno</strong> diappunti.Una volta alla Kunsthalle di Düsseldorf mi volevano portare alla poliziaperché quando ho visto <strong>il</strong> mio primo Picasso l’ho toccato. C’era<strong>il</strong> quadro appeso e io l’ho toccato. È suonato l’allarme ed è arrivatasubito una signora della sorveglianza, che mi ha detto: “È vietato”.Le ho risposto: “No, no, non l’ho fatto apposta, è la mia mano chesi è mossa da sola”. Vado in un’altra sala, vedo un altro Picasso etocco anche quello: avevo voglia di penetrare nell’opera, dentro dime vibravo d’arte e quindi vedendo questi grandi artisti che avevosempre visto nei libri… Chiamano la polizia, io mi sono ribellato, lalingua non la tengo mica ferma, mi esprimo, e ho detto: “Vogliovedere <strong>il</strong> direttore”. Quando <strong>il</strong> direttore è arrivato ho detto: “Non èvero che la mano si è mossa da sola, l’ho fatto apposta”. E ho rifattosul quadro lo stesso gesto. Loro sono sobbalzati. “Aspettate, vispiego - ho continuato - sono io che ho fatto questo, perché è laprima volta che vedo un Picasso, è la prima volta che sono inEuropa, ho voglia di imparare, ho voglia d’arte, voglio sentire questiartisti: lei, che è un direttore di museo, riesce a capirmi?” E allora <strong>il</strong>85


Marcello Lorrai86Ndary Lô: 'La longue marche du changement'direttore ha detto ai poliziotti di lasciarmi, mi ha portato nel suo ufficio,poi mi ha fatto visitare i depositi del museo.Quando sono tornato sono tornato a stare dai miei genitori. ARufisque andavo in giro guardando per terra. C’erano parecchi ferridi cavallo perché ci sono molti carretti, tanti cavalli, e sono trattaticosì male che perdono i ferri: questo mi faceva male al cuore perchésono sensib<strong>il</strong>e, quindi mi chiedevo cosa potessi fare per queicavalli e mi dicevo che non potevo fare niente: non sono mica <strong>il</strong> sindacodella città. Quello che posso fare lo posso fare come artista econ l’arte si può dire tutto. Quindi metto a disposizione <strong>il</strong> mio lavoroper difenderli, per parlare della loro condizione; e invece di fareun cavallo, con quei ferri di cavallo ho fatto un essere umano checammina. È come se ai carrettieri avessi posto la domanda: e sefossi tu ad avere i ferri di cavallo? L’ho fatto per portarli ad avere unaconsiderazione più umanista degli animali.Intanto in Germania ero rimasto impressionato dalle stazioni della


L’adattismo di Ndary Lômetropolitana, dai movimenti di popolazione, dalla gente che andavacosì in fretta. Da artista, durante la notte, nel mio studio, ci riflettevosopra e mi dicevo: “Ma magari è per questo che sono più sv<strong>il</strong>uppatidi noi. Perché da noi si fa con calma”. E io tornando qui,invece, volevo mettere tutto un continente in movimento, spingerliall’azione, metterli al lavoro. Il nostro presidente adesso dice:“Bisogna lavorare, lavorare, e ancora lavorare.” Io lo dico dal ’97,nel mio lavoro. È questo <strong>il</strong> motore dell’Uomo che cammina.Nel ’97 ho rappresentato <strong>il</strong> Senegal in una manifestazione dellafrancofonia in Madagascar. Eravamo in un parco nazionale, c’eranoartisti di tutto <strong>il</strong> mondo francofono, bisognava fare un’opera. Esenza elettricità non potevo fare della saldatura perché ci avevanochiesto un mese prima che materiale ci serviva. Io avevo domandatouna fiamma ossidrica e dei ferri arrugginiti. Mi avevano spiegatoche non era possib<strong>il</strong>e, che mi avrebbero portato in città, in unlaboratorio dove avrei potuto fare della saldatura. Ho detto: “No,adoro gli incontri e gli scambi, quindi resto con gli altri artisti”. Equindi non sapendo cosa fare ho girato. Lì in Madagascar c’era lapovertà: pur venendo da un paese povero, la povertà delMadagascar mi aveva impressionato, al punto che non prendevo ipasti perché avevo vergogna a mangiare bene e poi uscire e vederequello che vedevo, quindi quasi non mangiavo. Avevano fatto deipercorsi per le macchine dei turisti che ci portavano, così non sivedeva la miseria. Allora io ho preso un taxi per la giornata e sonoandato per conto mio a guardare la realtà in faccia. Sono rimastoscioccato perché ho visto dei bambini che per giocare avevano solodelle bambole rotte, bruciate. Col taxi sono tornato in città; in unsupermercato ho comprato delle caramelle, delle bambole, dellescarpine, perché la moneta lì è molto debole, e con la mia diariapotevo fare di tutto. Sono tornato, ho dato tutti i regali ai bambini ein cambio mi sono fatto dare quelle teste di bambola macabre.Sono tornato al v<strong>il</strong>laggio della manifestazione. Siccome era unparco, ovviamente la vegetazione non mancava. Ho raccolto unvecchio bambù secco, di due metri e mezzo, ho attaccato le testecome dei frutti e ho piantato l’albero. Ogni mattina, prima di dare87


Marcello Lorrai88<strong>il</strong> buongiorno agli altri artisti, prendevo due bottiglie d’acqua mineralee andavo a innaffiare <strong>il</strong> mio albero. Hanno messo la foto neigiornali: ho spiegato che ero andato a vedere la realtà, quello cheavevo visto l’avevo trasferito nel parco. L’ho chiamato “l’alberodella miseria”.Lì poi ho visto anche un sacco di artisti che praticavano la sculturain legno. E quindi ho preso del legno e ho provato anch’io. La miascultura però è addizione, non sottrazione, e per la prima volta invita mia tentavo di fare della sottrazione; gli altri artisti ridevano. Èvenuta fuori una forma di donna. Nel v<strong>il</strong>laggio c’era la coca cola chefaceva lo sponsor. La bevevano tutti, migliaia di persone che eranolì per la manifestazione, e c’era una montagna di tappi. Li ho recuperatie ho tappezzato la scultura di tappi di coca cola.Così in Madagascar mi sono reso conto di avere una grande capacitàdi adattamento. Cosa che mi ha spinto spesso a parlare delconcetto di daptaisme, perché sono uno che si adatta e allora hogiocato con le parole; daptaisme è una parola che non esisteva, unneologismo che ho inventato, che deriva da adaptation, perchésono in grado di inserirmi in contesti differenti, di fare opere con <strong>il</strong>uoghi, in funzione dei luoghi. E allora ho continuato così e ho fattoun sacco di esposizioni nel mondo. A volte, quando devo andare daqualche parte, chiedo di poter arrivare una settimana prima perchébisogna che <strong>il</strong> daptaiste si adatti.Io rifletto con gli occhi, non con la testa. La mia è una riflessionevisuale, anzi non c’è nemmeno una riflessione perché guardo unoggetto e la scultura si fa da sola, mi si impone: non c’è un prima.Quello che faccio dipende quindi da dove mi muovo, se vado nelTobago o in Amazzonia, in riva al mare o sulla neve. Spesso ho deiproblemi con le manifestazioni a cui mi invitano a partecipare, perchémi domandano un progetto, e io dico che non ho un progetto,che semplicemente sono una persona seria e mi piace lavorare. Avolte li sfido. Dico loro: non posso fare un progetto, ma se mi invitatenon ve ne pentirete.»


Charlie Parker89


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InformazioniBox OfficeCall CenterBotteghino del Teatro Olimpico199 112 112Orario / Opening hours: 9-17chiuso <strong>il</strong> lunedì / closed on Mondaysper <strong>il</strong> concerto del 14 maggio al Jolly Hotel Tiepoloacquisto biglietti in locoper <strong>il</strong> concerto del 22 maggio all’Auditorium Città di ThieneComune di Thiene - Ufficio CulturaVia Montegrappa, 12/b - Thiene(tel. 0445-804745)dal 16 maggio, dal lunedì al venerdì,dalle 9.30 alle 13.30<strong>il</strong> mercoledì anche <strong>il</strong> pomeriggio,dalle 16.30 alle 18.1094


InformazioniBIGLIETTI / TICKETSJolly Hotel Tiepolo - 14 maggioconcerto + consumazione a buffetTeatro Olimpico20 apr<strong>il</strong>e14 maggio17 e 19 maggioTeatro Astra. . . . . . . Euro 20,00intero ridotto rid. gruppi. . . . . . . Euro 15,00 10,00 8,00. . . . . . . Euro 18,00 13,00 13/8,00. . . . . . . Euro 21,00 16,00 13,00. . . . . . . Euro 15,00 10,00 8,00Sala Palladio della Fiera18 maggioAuditorium Città di Thiene22 maggio<strong>Jazz</strong> Cafè Trivellato/Salone degli Zavatteridalla domenica al giovedì /Sunday to Thursdayvenerdì e sabato /on Fridays and Saturdays. . . . . . . Euro 25,00 18,00 15,00. . . . . . . Euro 10,00 8,00 4,00. . . . . . . Euro 5,00. . . . . . . Euro 10,0095ABBONAMENTO / SEASON TICKETAbbonamento per i 6 concerti delle 21 dal 16 al 21 maggio / season ticket for the 6 concerts from May 16th to21st at 9 p.m.:. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Euro 85,00 60,00diritto di prevendita su abbonamenti e biglietti dei 6 concerti delle 21advance sale fee for the 6 concerts at 9 p.m.: . . . . . . Euro 1,00RIDUZIONI / REDUCTIONSM<strong>il</strong>itari, giovani fino a 25 anni, Carta 60, Cral e associazioni culturali (ne usufruiscono solo coloro che sonoregolarmente iscritti ai Cral e alle associazioni. L’acquisto avviene esclusivamente attraverso le associazionidi appartenenza e per gruppi di almeno 10 persone).Armed forces and young people under 25, senior citizens over 60, members of firm social clubs and culturalassociations (requests are to be made by clubs and associations and only for groups of 10 persons or more).


IndiceI salutidi Luca Trivellatodi Enrico Hüllweck23Programma generale4Dall’Africa a Parker, <strong>il</strong> volo infinitodi Riccardo BrazzaleUn viaggio musicale lungo dieci anni101596Le schede sui protagonistia cura di Roberto Valentino<strong>Jazz</strong> e retaggio africanodi Maurizio FrancoCharlie Parkerdalla Carnegie Hall al Birdlanddi Ira Gitler<strong>Jazz</strong> at Massey Hall:<strong>il</strong> più grande concerto jazz di sempredi Stephen DavisL’eredità parkerianadi Stefano MerighiL’adattismo di Ndary Lôdi Marcello Lorrai195159677381finito di stampare nel mese di maggio 2005dalla tipografia ogv - montecchio maggioreper la collana “I quaderni del jazz”

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