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Intervento N. Pagnoncelli.pdf - Confindustria

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Convegno ConfindustriaLa sfida dello sviluppoL’impegno delle imprese italiane contro la cultura del declinoMilano, 2 e 3 aprile 2004L’ORGOGLIO DI FARE IMPRESARICERCA IPSOSIntervento di Nando Pagnoncelli, Presidente IpsosConfindustria ha incaricato Ipsos di realizzare una ricerca quantitativa sul modello italiano diimpresa, con l’obiettivo di verificare se sia presente o meno presso gli imprenditori italiani laconsapevolezza dell’esistenza di un “modello italiano” e per conoscere i tratti distintivi di talemodello, i punti di forza e di debolezza riconosciuti, dalle caratteristiche tipiche dell’imprenditore alrapporto con il credito, dalle relazioni con i dipendenti a quelle con il territorio.La ricerca si proponeva inoltre di aggiornare alcuni dei giudizi sull’andamento della propria aziendae del settore di appartenenza e sulle prospettive future, indicatori che avevamo già rilevato nelmarzo del 2003 e avevamo presentato al convegno di Torino.La ricerca Ipsos è stata realizzata tra il 20 febbraio e il 4 marzo mediante interviste telefoniche.Sono stati intervistati 1.100 imprenditori e dirigenti. Il campione è stato stratificato per areageografica, dimensione delle aziende e settore di appartenenza ed è stato ponderato perrappresentare fedelmente la distribuzione dell’universo delle aziende italiane con oltre 9 addetti.Nella rilevazione del clima d’opinione degli imprenditori italiani rispetto alla situazione attualeabbiamo ritenuto opportuno non eludere un evento che ha segnato profondamente gli ultimi mesidella nostra storia: la crisi Parmalat. La reazione dell’opinione pubblica è stata molto negativa, conun calo di fiducia nelle imprese e nella loro capacità di competere sui mercati internazionali, oltreche con una diminuzione netta di fiducia nelle banche e nella borsa. I contraccolpi sulle aziendeitaliane sono non trascurabili e anche le nostre imprese ne risentono. Innanzitutto si percepisce un


peggioramento drastico nel rapporto con le banche, con riferimento all’accesso al credito da partedelle aziende. Ma le conseguenze, secondo gli imprenditori, sono anche dirette: quasi il 70% deinostri intervistati ritiene che le aziende italiane nel loro complesso ne abbiano risentito in termini dicredibilità, immagine e reputazione. Se questa è la percezione generale, anche la propria aziendarischia di non essere del tutto indenne dal riverbero negativo della crisi Parmalat: è vero infatti chela larghissima maggioranza (86%) dichiara che la propria azienda abbia risentito poco o per nulladella vicenda, ma 14% si ritiene direttamente colpito in termini di credibilità e reputazione.Passiamo ora ad esaminare gli indicatori del clima generale. Le ricerche e i sondaggi degli ultimidue anni offrono il ritratto di un paese insoddisfatto e sfiduciato. Un paese che fa fatica a ritrovarsi,che teme per il futuro dei propri figli, un paese in fase di ripiegamento difensivo, un paese“rattrappito”. Le analisi che abbiamo condotto ci inducono a ritenere che la scarsa fiducia nel futuroè da mettere in relazione non soltanto alla difficoltà di “tenuta” del proprio potere d’acquisto e allapercezione della situazione economica del paese ma è soprattutto sintomo di un disagio piùprofondo, di un malessere che deriva da un sentimento di disillusione, conseguenza della serieininterrotta di aspettative disattese che ha caratterizzato l’ultimo decennio e che ha investito temi esettori diversi, dalla politica (pensiamo alle aspettative riguardo al maggioritario e al federalismosolo per citare due esempi) alla finanza (pensiamo all’entusiasmo con cui si è passati dai titoli distato agli investimenti in Borsa più moderni e innovativi), dalla sfida dell’Euro (accompagnata inItalia, lo ricordo, dai livelli di consenso più elevati riscontrati in Europa) al crescita quasi ipertroficadel calcio, a torto o a ragione considerato un importante elemento di identità nazionale. Incertezzae disillusione che non portano ad apprezzare neppure i dati positivi di cui veniamo a conoscenza,la ripresa dei consumi di gennaio o il calo della disoccupazione all’8,7%. Non sta a noi dire sequesto clima di diffuso e cupo pessimismo abbia fondamento oggettivo oppure no; spesso la realtàpercepita è diversa dalla realtà effettiva. Ciò nondimeno è la realtà percepita che orienta leopinioni, i giudizi e le scelte. Per questo motivo ci pare particolarmente interessante conoscere ilsentiment della classe dirigente del Paese.


Le prospettive generali, pur percepite come non drammatiche, evidenziano dei punti di difficoltà.Lo vediamo subito: la maggioranza degli imprenditori si dichiara soddisfatto dell’andamento dellapropria azienda, ma una rilevante minoranza (41%) non lo è. E se guardiamo all’andamento delsettore nel quale si opera, l’insoddisfazione prevale ed è largamente diffusa (62%). E’ un segnaledi malessere, che va tenuto seriamente in considerazione. La percezione generale degli operatorieconomici è in questo caso piuttosto simile a quella della popolazione che evidenziavamoprecedentemente.Queste ombre si accentuano nel confronto con l’anno precedente: rispetto al 2003 infatti lapercezione di un miglioramento dell’azienda risulta in calo sensibile (-12%) e altrettanto avviene, inmisura più contenuta, per l’economia del paese (-7%). Se poi guardiamo alla valutazionedell’andamento dell’azienda negli ultimi tre anni, una diapositiva che qui per brevità nonpresentiamo, il segno è ancora più negativo (-15%). Emergono da questi primi dati alcuni segnalidi sfiducia che coinvolgono prima di tutto l’azienda in cui si opera: il netto ottimismo che avevamorilevato nel 2003 è oggi meno condiviso. Questo elemento sembra essere un filo conduttoreinterpretativo utile anche a leggere i dati che esporremo successivamente: in una realtà che stentaa fare sistema come quella italiana, come ci confermeranno anche in questa indagine gliimprenditori intervistati, l’azienda riesce a produrre valore aggiunto grazie ad una capacitàintrinseca. Se, come sembra succedere, proprio sull’azienda che di solito riesce a parare i colpi siaddensano delle nubi, appare lecito parlare di un rischio sfiducia. Sfiducia temperata, appunto,proprio perché prevalgono in generale gli atteggiamenti positivi, pur se il trend annuale risultanegativo. E’ poi da sottolineare che questo atteggiamento pervade consistentemente le aziendemedio-piccole, l’ossatura del nostro sistema economico, assai più preoccupate del futuro e menosoddisfatte dell’andamento passato.In sostanza, riassumendo i due indicatori che abbiamo utilizzato vediamo prevalere unatteggiamento cauto: poco meno di un terzo dei nostri imprenditori è decisamente ottimista, cioèpensa che le cose andranno meglio sia per l’azienda che per il paese. A questo gruppo fa da


contraltare il segmento di circa un quinto che invece è fortemente pessimista. Siamo in unoscenario che ha aspetti diversi e più preoccupanti di quello che si vedeva un anno fa.Passiamo ora al modello italiano di impresa. E’ senza dubbio prevalente l’idea che l’imprenditoriaitaliana abbia forti caratterizzazioni che la distinguono dagli altri paesi. La larghissima maggioranza(71%) ritiene che gli imprenditori italiani siano diversi dagli altri. I tratti salienti sono dati da fantasiae creatività, che, unite ad efficienza e flessibilità, consentono un continuo adeguamento allerichieste del mercato, attraverso interventi innovativi sia in termini di qualità del prodotto che diinnovazione tecnologica. Ritorna qui quell’atteggiamento che lo scorso anno chiamavamo didinamismo: fatto di scelte innovative ma anche tradizionali, di tecnologicamente avanzato e diantico, secondo i prodotti e i mercati di riferimento. Diventano, quindi, fattori imprescindibili dicompetitività la lettura attenta dei bisogni del mercato e la capacità di cambiare ciò che ènecessario nel modo più efficace e veloce possibile.Ma quali sono i punti di debolezza dell’imprenditoria del nostro paese? Le difficoltà principaliderivano dalle caratteristiche del sistema paese: i costi eccessivi e pressione fiscale elevata, lascarsa capacità della politica e delle istituzioni di favorire lo sviluppo. Questi sono i freni principaliallo sviluppo aziendale. Insieme a ciò anche alcune caratteristiche dell’imprenditoria nazionale e inprimo luogo la dimensione delle imprese che, se consente l’elevata adattabilità di cui si è parlato,rende però difficile una buona pianificazione. Infine il rapporto con le banche e i limiti nell’accessoal credito sono un aspetto non irrilevante delle difficoltà degli imprenditori italiani.Quest’ultimo tema rappresenta un nervo scoperto: negli ultimi due anni, secondo il 55% degliimprenditori l’accesso al credito è peggiorato per il settore nel quale le aziende operano. Questaposizione fa il paio con quella che abbiamo rilevato relativamente alla crisi Parmalat e alle sueripercussione sul rapporto banche/aziende. Ma quando ci si riferisce alla specifica realtà aziendale,le opinioni sono molto diverse. La maggioranza infatti (52%) ritiene che il rapporto delle banche


con la propria azienda sia migliorato, anche se la minoranza che viceversa riscontra unpeggioramento è molto rilevante (45%).Quali sono i tratti più direttamente riconducibili all’imprenditorialità italiana? Iniziamo dagliinvestimenti. Più del 60% delle aziende ha fatto, nel corso degli ultimi tre anni, investimentirilevanti. Ma questi investimenti sono prevalentemente finanziati con mezzi propri. Solo un quinto liha finanziati tramite debiti con le banche e altrettanti attraverso leasing. Di scarsissima consistenzai finanziamenti pubblici. E’ evidente che questa è una limitazione consistente: nel realizzareinnovazione e ammodernamento l’imprenditore è prevalentemente vincolato alle proprie forze.In sostanza però gli imprenditori sanno sempre cavarsela, anche nelle situazioni più difficili. Sonocreativi e fantasiosi, sanno trovare le vie giuste, i santi in paradiso, e, come abbiamo visto, sannoinnovare. L’unico limite sembra essere rappresentato dalle dimensioni eccessivamente piccoledelle imprese nazionali che rendono difficile stare al passo con il mercato e le sue trasformazioni.Ma, come vedremo tra poco, in realtà il tema dell’azienda familiare presenta caratteristicheambivalentiCoerentemente con la percezione di un’imprenditoria capace, flessibile e creativa, le componenti divalore aggiunto dell’azienda sono principalmente due. Le risorse umane, che rappresentano unavariabile strategica di grandissima importanza. Un gruppo di dipendenti coesi, capaci dicondividere e raggiungere gli obiettivi, flessibili, sono una risorsa fondamentale. L’altro pilastronella definizione del valore aggiunto aziendale è rappresentato dall’innovazione, in particolare diprodotto. Torna ancora la concezione di dinamismo di cui abbiamo parlato precedentemente:dinamismo che consiste nell’anticipare l’evoluzione del mercato, nell’essere pronti a cogliere lenovità. Trovarsi sull’onda giusta è considerata la caratteristica vera e tipica della capacitàinnovativa per molti imprenditori italiani.


Tutto questo avviene però in maniera non sistemica. Quello che conta nello sviluppo e nel buonfunzionamento dell’azienda è la solidità della rete familiare. E’ a partire da questa rete, dallafamiglia, che si è nella maggior parte dei casi costruita un’azienda ben funzionante. Molto menorilevante, ma non inconsistente, il ruolo delle reti sociali (le associazioni di categoria, le Camere diCommercio, ecc.). Molto scarso il ruolo delle istituzioni pubbliche: hanno contato qualcosa solo perpoco più di un quarto degli intervistati. La politica è sostanzialmente ininfluente: ha contatoqualcosa solo per il 10% delle aziende. Le cose cambiano solo per le grandi aziende. Per questele reti istituzionali e politiche hanno avuto un ruolo decisamente più rilevante.Le caratterizzazioni dell’imprenditoria italiana sono sostenute dalla dimensione prevalentementefamiliare dell’azienda che per la larga maggioranza (60%) rappresenta una forza per il nostrosistema. Ecco qui l’ambivalenza di cui parlavamo prima: l’azienda familiare presenta sì qualchedifficoltà di crescita, ma è contemporaneamente un elemento di forza, forse l’elemento centraledella nostra struttura imprenditoriale. Solo per le grandi aziende l’impresa familiare rappresenta unlimite, ma anche in questo caso si raggiunge a fatica la maggioranza assoluta dei pareri.I punti di forza dell’impresa familiare sono innanzitutto relative alle caratteristiche dell’imprenditore:la coesione della direzione aziendale, la competenza spesso acquisita sul campo, l’elasticità e ladinamicità rendono l’azienda familiare particolarmente capace di far fronte ai cambiamenti, grazieanche ad una forza lavoro di qualità, a sua volta coesa, capace di lavorare in gruppo, coinvolta neidestini aziendali. E poi si riescono a tenere meglio sotto controllo i capitali e si riducono i costi.Chi invece pensa che la ridotta dimensione aziendale sia un limite sottolinea una certa chiusura,l’insufficienza di pensiero strategico, aspetti strettamente collegati alla mancanza di management ealla conseguente sovrapposizione dei ruoli tra proprietà e direzione aziendale. Un limiteconsistente è infine rappresentato dalla difficoltà nell’affrontare investimenti rilevanti per tenere ilpasso con il mercato e la concorrenza. Non a caso gli investimenti sono prevalentemente finanziaticon mezzi propri.


Da ultimo, il territorio. Il territorio rappresenta una risorsa fondamentale per circa tre quarti delleaziende, e tra queste quasi il 40% lo reputa una base indispensabile per la propria attività. Unaminoranza (circa un quarto) considera invece la relazione con il territorio secondaria o ininfluente.Questo stretto rapporto con il territorio è molto più rilevante per le aziende che operano nel settoredel commercio e dei servizi. Tuttavia il territorio manifesta segnali di difficoltà: solo un quartoritiene che il luogo nel quale l’azienda è nata offra ancora molte possibilità di espansione; lamaggioranza invece vede poche possibilità quando non una definitiva stazionarietà, mentrequalcuno (12%) lo ritiene addirittura in declino. E’ evidente che una prospettiva del genere èparticolarmente preoccupante per aziende di ridotte dimensioni, a conduzione familiare, per lequali la rete territoriale rappresenta una carta di alto valore.Il primo elemento di legame con il territorio è la relazione forte che si instaura con la forza lavoro.Se la delocalizzazione, sia essa all’estero o nel Mezzogiorno del paese, è infatti prevalentementedettata dalla ricerca di costi minori, in particolare della manodopera, il territorio in cui si operafornisce dipendenti forse più costosi, ma sicuramente più fidelizzati. Ancora una volta le risorseumane sono al centro dell’attenzione. Ma il territorio è importante anche per altri motivi: perchésegna l’identità aziendale e migliora il marketing, perché è più facile trovare sostegni e risorse,perché la rete dei rapporti con le altre imprese è solido e fattivo, infine anche perché si riescemeglio a produrre percorsi di innovazione.In conclusione, dall’indagine emergono con grande chiarezza alcuni segnali: il modelloimprenditoriale italiano rimane fortemente caratterizzato e dai risultati traspare un evidente orgogliodi appartenere a questo modello, capace di affrontare imprevisti e difficoltà con un alto grado diinventiva e tenacia. Certo, questo modello ha tutti i limiti strutturali che si sono più volte evidenziati:difficoltà di crescita, carenze strategiche, debolezza sostanziale. L’anno scorso definivamo gliimprenditori italiani degli ottimi followers e questa indagine, sia pur con un taglio diverso, loriconferma. La debolezza fondamentale è rappresentata dall’incapacità di fare sistema. In molti deidati che abbiamo visto l’azienda viene vissuta quasi come una monade: conta la famiglia, l’azienda


è in grado di farcela da sola, le sue relazioni con le reti sociali e politiche sono scarsissime. Suquesto schema ben noto si riflettono però fenomeni preoccupanti: l’ottimismo cala rispetto alloscorso anno e cala maggiormente proprio in relazione alla singola azienda. Il territorio nel qualel’azienda opera rischia la saturazione e presenta segnali di declino. E’ venuto forse il momento diuscire dalla monade. Crisi e contrazione dei consumi richiedono una risposta di sistema e unamaggiore coesione sociale.

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