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Mini invasiva piccola porta aperta sulla guarigione - S.Anna hospital

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Sant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010CardiochirurgiaUna <strong>piccola</strong> <strong>porta</strong><strong>aperta</strong> <strong>sulla</strong> <strong>guarigione</strong>4Introdotta al Sant’<strong>Anna</strong> Hospital la tecnica di chirurgia mini <strong>invasiva</strong>È indicata per la cura delle valvulopatie. Significativi i vantaggi per il malatoIl dottor Alfonso Agnino, cardiochirurgo delSant’<strong>Anna</strong> Hospital, non sembra avere dubbi: «Latecnica operatoria mini <strong>invasiva</strong> - dice - non sostituiràintegralmente quella tradizionale ma quest’ultimaè destinata a essere utilizzata su un numero semprepiù circoscritto di pazienti».La chirurgia mini <strong>invasiva</strong> di cui parla Agnino è la metodicache consente di effettuare un’operazione chirurgicaal cuore senza aprire lo sterno ma attraversoun’incisione di una decina di centimetri, praticataall’altezza del terzo o quarto spazio intercostale;quindi con un trauma chirurgico ridotto al minimo.I vantaggi di tale metodica sono molteplici. Sonosicuramente di tipo estetico (a differenza della <strong>piccola</strong>incisione laterale, l’apertura dello sterno com<strong>porta</strong>,successivamente, una cicatrice im<strong>porta</strong>nte)ma sono soprattutto di ordine clinico e funzionale.Basti pensare, spiega Agnino, che il paziente si puòmettere seduto già dopo 12/14 ore dall’intervento;nell’arco delle 24 ore può lasciare la terapia intensivae camminare; nel giro di 5/6 giorni, infine, può usciredall’ospedale e fare ritorno a casa. In più, la chirurgiamini <strong>invasiva</strong> fa sì che tenda a ridursi la necessità dellariabilitazione cardiorespiratoria, proprio perchéil trauma chirurgico è minimo. Non aprire lo sterno,inoltre, significa limitare il rischio di complicanze re-


Sant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010spiratorie post-operatorie perché non viene alteratala meccanica ventilatoria. La tecnica mini <strong>invasiva</strong>,inoltre, permette di ridurre in maniera im<strong>porta</strong>nteil normale sanguinamento chirurgico, riducendoquindi la necessità di eventuali trasfusioni. Una tecnica,sostanzialmente, che non solo “fa bene” al pazientema anche al nostro sistema sanitario, con unsignificativo contenimento dei costi.La chirurgia mini <strong>invasiva</strong> è particolarmente indicatanella cura dei problemi valvolari: dalla insufficienzamitralica alla steno insufficienza mitralica, dall’insufficienzatricuspidalica alla stenosi o all’insufficienzaaortica. In altre parole, tutto quello che ha a che farecon la valvulopatia cardiaca e che può essere curatoo con la sostituzione della valvola o con la suaricostruzione. La chirurgia mini <strong>invasiva</strong>, inoltre, èindicata anche nei reinterventi. Sui pazienti che, adesempio, hanno già subito un intervento al cuore eche per una qualsiasi ragione debbono essere nuovamenteoperati, è bene procedere per via toracotomica,cioè mini <strong>invasiva</strong>; questo per evitare il rischiodi ledere il cuore o ciò che è stato fatto nell’interventoo negli interventi precedenti.Dal punto di vista dell’approccio chirurgico, il cambiamentorispetto al metodo tradizionale è significativo.Nella chirurgia mini <strong>invasiva</strong>, non c’è maiuna visione diretta del cuore; diversa è la postura delchirurgo, che utilizza strumenti da trenta centimetriche muove con la sola punta delle dita e con polsoe avambraccio fermi. Il cambiamento mentale per ilchirurgo è totale così come quello fisico, puntualizzaAgnino. I gesti che egli compie sul cuore, all’internodel torace, può osservarli solo attraverso un monitore non più “dal vivo”.Anche per il paziente i cambiamenti sono significativi,fatta salva l’anestesia generale che gli viene praticataprima dell’intervento. Sul tavolo operatorio ilpaziente cardiopatico è disteso <strong>sulla</strong> schiena e poggiatosu una sacca a pressione, per favorire l’esposizionedell’emitorace destro e di conseguenza l’incisionein corrispondenza del terzo o quarto spaziointercostale. Per le donne, il punto sarà il solco dellamammella e per gli uomini, circa tre centimetri soprail capezzolo. Attraverso l’incisione, il chirurgoraggiunge solo le parti del cuore su cui andrà a operare.Tutto il resto del muscolo non è visibile. Tramiteuna seconda, <strong>piccola</strong> incisione a livello inguinale didestra o addirittura, in alcuni casi, attraverso unasemplice puntura viene poi fatta salire, lungo la venafemorale, una cannula fino alla corrispondenzadel cuore. Questo permetterà il drenaggio del sanguevenoso. Attraverso l’arteria femorale dello stessolato destro o attraverso quella porzione di aortavisibile dall’incisione superiore, viene inserita unaseconda cannula, che porterà il sangue ossigenatodalla circolazione extra corporea verso il paziente.Riepilogando: una cannula venosa drena il sanguevenoso non ossigenato; questo va nell’apparecchiaturadella circolazione extra corporea, dove vieneossigenato e, attraverso una pompa, viene reimmessonel paziente creando il cosiddetto by-passcardio polmonare parziale; questo perché il cuoreviene soltanto svuotato ma continua a battere. Solosuccessivamente verrà arrestato completamenteattraverso la cardioplegia, una sostanza che serve afermare il muscolo cardiaco e a proteggerlo durantela fase ischemica.L’intervento vero e proprio, che per quanto riguardala sostituzione o la ricostruzione valvolare sarà analogoa quello tradizionale, si effettua grazie a un’attrezzaturaspecifica per la chirurgia mini <strong>invasiva</strong>, tracui una camera a fibra ottica che permette di vedere,


Sant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010Cardiochirurgia6sul monitor, l’interno del cuore. A differenza dellasternotomia, cioè l’apertura dello sterno, nella chirurgiamini <strong>invasiva</strong>, come detto, è visibile solo unaparte del cuore e più precisamente l’aorta, la venacava superiore, una porzione dell’atrio di destra edi quello di sinistra. Questa visione parziale da partedel chirurgo, differente rispetto a quanto avvienenella chirurgia classica, rende ancora più im<strong>porta</strong>ntela presenza dell’anestesista; il chirurgo vede solo unterzo del muscolo cardiaco e quindi può solo intuirese esso è drenato attraverso la circolazione extracorporea. È proprio l’anestesista, per mezzo di unasonda transesofagea, a confermare il corretto drenaggiodel cuore e a dare al chirurgo la tranquillitàindispensabile a procedere. Altrettanto fondamentaleè la presenza del tecnico perfusionista, che si occupadella circolazione extra corporea.La chirurgia mini <strong>invasiva</strong> com<strong>porta</strong> dunque un intensolavoro d’equipe. Una volta concluso l’interventopropriamente detto, il cuore viene fatto ripartiree sarà ancora una volta l’anestesista a confermare lacorretta contrazione del muscolo e quindi la possibilitàdi sospendere la circolazione extra corporea. Lachirurgia mini <strong>invasiva</strong> non ha particolari controindicazioni.Tutto dipende dalla conformazione delpaziente e dalle condizioni del cuore: se questo èdilatato o se si è in presenza di aderenze a livello polmonare(pleurite destra o trattamenti radioterapicia destra), allora l’approccio mini invasivo non saràpossibile.Tutto sommato, però, le controindicazioni restanoassai limitate. Neppure l’età costituisce un problemaanzi, più si è in avanti negli anni più la chirurgia mini<strong>invasiva</strong> è consigliabile. Questo perché, mentre per ipazienti giovani può esservi certamente una motivazionedi tipo estetico (si pensi alle giovani donnee a quello che può significare una <strong>piccola</strong> incisionesotto il seno rispetto alla cicatrice conseguenteall’apertura dello sterno), negli adulti e negli anzianiscattano quei benefici medici del post-operatorio,che rendono particolarmente indicata la metodicamini <strong>invasiva</strong>.In ogni caso però, conclude Agnino, sarà semprel’equipe medica (cardiochirurgo e anestesista) a deciderequale tipo di intervento eseguire, tradizionaleo mini invasivo, in ragione della patologia da curare,del quadro clinico del paziente e delle sue condizionigenerali.


Sant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010Escat IIIIII10rare con estrema semplicità i valori di coagulazionedel sangue. Ciascuno di loro si autocontrolla e graziealla telemedicina i risultati vengono trasmessi al centrocoordinatore di Escat III in Germania. I pazientifanno fino a due misurazioni settimanali, piuttostoche un esame del sangue ogni 15 o 20 giorni. Questoconsente loro di avere in tempo reale le informazioninecessarie a variare, se serve, i dosaggi dei farmaci edunque stabilire la terapia con maggiore accuratezzae continuità.«A più un anno dall’avvio dello studio presso ilSant’<strong>Anna</strong> e a quasi tre dall’avvio complessivo diEscat, i primi risultati registrati a livello internazionale- spiega Braccio - sono assolutamenteincoraggiati perchéhanno evidenziato una sensibilediminuzione sia degli eventi tromboembolici, legati al cattivo funzionamentodella protesi, sia deglieventi emorragici. I primi si sonoverificati in una percentuale di casidello 0,3% contro una media del2,8% paziente/anno; per gli altri,la percentuale è stata dello 0,5%contro una media del 2,5% paziente/anno.Per quanto riguarda inparticolare i pazienti in studio al S.<strong>Anna</strong> - aggiunge Braccio - nessuno di loro ha fattoregistrare eventi trombo embolici o emorragici. Nonhanno avuto difficoltà particolari ad effettuare l’autocontrollodell’indice di coagulazione ma soprattuttosi dichiarano soddisfatti per essersi affrancatidall’obbligo di sottoporsi periodicamente ad analisidi laboratorio”.Tra i pazienti “arruolati” in Escat III al Sant’<strong>Anna</strong>, ancheAlberto Sarra, avvocato e consigliere regionale, sottopostonei primi giorni del 2010 a un lungo, delicatoe complesso intervento chirurgico (perfettamenteriuscito) dall’equipe del dottor Mauro Cassese, peruna dissecazione dell’aorta: una delle patologie piùgravi e a più alta mortalità.«Ho accettato di buon grado di far parte dello studio- dice Sarra. Ho dovuto mio malgrado misurarmi improvvisamentecon un problema di salute molto serioe mi rendo conto, a parte la buona riuscita dell’intervento,di quanto i risultati di Escat III, se sarannoquelli auspicati, potranno avere ricadute im<strong>porta</strong>nti<strong>sulla</strong> qualità della vita dei <strong>porta</strong>tori di protesi meccanica.L’ho fatto anche perché ho piacere di dare uncontributo ed essere parte di uno studio di <strong>porta</strong>tainternazionale, che vede protagonista una strutturaospedaliera di eccellenza della mia regione. Sapevo- ha aggiunto - del livello qualitativo raggiunto dalSant’<strong>Anna</strong> Hospital nell’impegnativo campo dellachirurgia cardiovascolare e del prestigio di cui godela struttura in ambito medico scientifico, ma ciò cheho avuto modo di verificare da paziente è andatooltre ogni aspettativa. L’attenzione complessiva e leprestazioni di cui gode il malato, dalsuo ingresso alle dimissioni e fino aisuccessivi controlli, sono quanto dimeglio un ospedale possa offrire aun paziente e ai suoi familiari.Non credo - ha detto ancora Sarra- che il mio ruolo pubblico possaaver fatto la differenza, come purequalcuno ha sostenuto. Tant’è chenelle stesse ore in cui io facevo ilmio ingresso in ospedale, un altroammalato con la stessa mia gravepatologia ma un’età molto avanzataveniva ricoverato, ricevendoesattamente lo stesso trattamento riservato a me.La medesima cosa si è ripetuta nei giorni della miadegenza post operatoria. Al Sant’<strong>Anna</strong> sono arrivaticittadini dalle zone più diverse della Calabria e ilgrado di accoglienza e di cura è sempre stato di altissimolivello. Da rappresentante delle Istituzioni - haconcluso Sarra - una cosa però posso certamenteaffermarla: il tema dell’emergenza cardiaca e dellacardiochirurgia, in Calabria, deve essere ancora compiutamentedefinito ma, quali che saranno le scelteultime e definitive, esse non potranno prescinderedall’eccellenza che rappresenta per la nostra regionela realtà del Sant’<strong>Anna</strong> Hospital. Tenere nel doverosoconto le competenze, le capacità e le professionalitàche la struttura esprime, significa non tanto renderemerito all’impegno quotidiano delle persone che vilavorano ma significa rendere un servizio ai calabresie al nostro sistema sanitario regionale».


ElettrofisiologiaSant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010Pacemaker e defibrillatorisotto controllo da casaLe apparecchiature trasmettono quotidianamente e a distanzatutti i parametri come se si eseguisse un controllo in ambulatorioSi stima che in Italia si impiantinoogni anno circa58 mila pacemaker e 15 miladefibrillatori cardiaci impiantabili(ICD) in 400 laboratoridi elettrostimolazione.Negli ultimi dieci anni, il numerodi impianti di pacemakerè raddoppiato, mentrequello dei defibrillatori si èaddirittura moltiplicato diquasi venti volte. Anche tenendoconto dei tassi di mortalitàe sostituzioni, la popolazionedei pazienti che regolarmenteaccede al controlloperiodico convenzionale èletteralmente esplosa nel girodi pochissimi anni.Inoltre, la diffusione della terapia di resincronizzazionenello scompenso cardiaco, che da sola interessaormai più di un terzo degli impianti di defibrillatori,ha introdotto una quota non irrilevante di pazienticritici, che necessitano di un controllo più attento.Nel frattempo, le risorse umane e professionali dellestrutture sanitarie non sono cresciute in proporzione.Su di esse, si esercita un carico di lavoro già enormee destinato a crescere ancora nel prossimo futuro.L’acquisizione di metodi più efficienti e razionali,basati sulle moderne tecnologie di telecomunicazionee monitoraggio remoto (a distanza, comodamenteseduti su di una poltrona o sdraiati a letto), èun passaggio obbligato e non più rimandabile.L’Unità di Elettrofisiologia e Cardiostimolazionedel Sant’<strong>Anna</strong> Hospital, diretta dal dottor SaverioIacopino, esegue circa milleinterventi all’anno traimpianti di pacemaker edefibrillatori e ablazionitranscatetere. È attivo unambulatorio di controllo deidispositivi impiantati cheesegue circa 4000 controlliper anno ed è stato istituitoun servizio di telemedicinache realizza un controllo adistanza quotidiano, automaticoo su richiesta, deipazienti <strong>porta</strong>tori di stimolatoricardiaci impiantabili,tramite un sistema dedicato(Monitor). Tale sistema si è rivelatoutile anche per il fattoche il Sant’<strong>Anna</strong> accoglie pazientiprovenienti da tutta la regione e anche fuoriregione, determinando in tal modo una riduzionedegli spostamenti del paziente verso l’ambulatorioe quindi un risparmio economico per i costi di trasportoe di perdita di giornate lavorative dei familiariche spesso accompagnano l’ammalato.I pacemaker e i defibrillatori trasmettono, quotidianamentee a distanza, tutti i parametri funzionali ediagnostici del dispositivo, come se si eseguissegiornalmente un controllo ambulatoriale. Le informazioniacquisite vengono inviate al medico utilizzandola rete web (internet e e-mail) o la rete telefonicacellulare GSM (tramite sms).Il medico può quindi collegarsi con una propria passwordpersonale al sito e vedere lo stato clinico deipropri pazienti. Inoltre il medico può programmare11


EmodinamicaSant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010L’Icus che ha cambiato lacardiologia interventisticaSi tratta di un’indagine diagnostica per studiare e curare meglio le coronarie.Insieme all’esame angiografico aiuta a individuare l’intervento necessarioconosciuta con l’acronimo Icus (IntracoronaryÈ ultrasound) che, in italiano, corrisponde all’ecografiaintracoronarica. Si tratta di un’indagine che,attraverso l’introduzione nelle coronarie di sondead emissione di ultrasuoni, permette di ottenere immaginiad alta risoluzione con cui acquisire informazioniaggiuntive <strong>sulla</strong> parete coronarica per megliocurarla.I laboratori di emodinamica italiani, nella loro praticaclinica, hanno adottato con molta lentezza l’Icus(tutt’oggi sono una minoranza), mentre in altre areedel mondo la tecnica è molto utilizzata. Si è avutocosì modo di costatare che i risultati ottenuti affiancandol’Icus all’esame angiografico - che in emodinamicaresta quello principale - rendono ottimaleil lavoro che si andrà a fare in coronaria o comunquesuggeriscono le strategie di intervento più opportune.Lesioni che, ad esempio, non siano chiarenell’ambito dell’albero coronarico possono esseremeglio scandagliate con l’Icus e perfettamente inquadratenella loro criticità; quindi è possibile stabilirela migliore metodica di trattamento.«L’Icus - osserva il dottor Bindo Missiroli, direttoredel laboratorio di Emodinamica al Sant’<strong>Anna</strong>Hospital dal 2002 - è da sempre un nostro cavallo dibattaglia. Abbiamo imparato a impiantare con successole protesi intravascolari coronariche grazie allostudio fatto dal dottor Antonio Colombo nel 1995,che rimane una pietra miliare. Grazie all’Icus, infatti,si è potuto osservare che le protesi (i cosiddetti stent)andavano impiantate utilizzando regimi di alta pressionedel palloncino tramite il quale avviene l’applicazionedella protesi stessa. Questo ha rivoluzionatola storia della cardiologia interventistica e ha gettatole basi per farla arrivare a quello che è adesso, cioèun trattamento che ha sorpassato nel numero di in-13


Sant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010Emodinamica14terventi quello chirurgico nel trattamento della cardiopatiaischemica».Apprendere e applicare l’Icus è piuttosto complesso;anche per questo, intorno alla metodica è nato l’Icusclub: un gruppo di esperti che offrono ai cardiologiinterventisti, desiderosi di entrare in confidenza conl’interpretazione delle immagini, attività formative,di studio e di divulgazione della metodica. Gli stagesi svolgono presso strutture specializzate, tra le qualiil Sant’<strong>Anna</strong> e con operatori già esperti. Tra questi,anche Missiroli che, nell’ambito dell’Icus club, si occupadelle attività formative nel sud Italia e le isole.Nel tempo, la tecnologia ha fatto passi enormi e conessa anche la metodica è andata perfezionandosi;ma “la ragione per cui l’Icus club si è andato semprepiù affermando - spiega Missiroli - sono le difficoltàcui va incontroil singoloc a r d i o l o g oi n t e r v e n t i -sta nel doverinterpretarei risultati didue diversemetodiche,l’esame angiograficoel’Icus, finalizzate allo stesso scopo ma che, acquisitecontemporaneamente, possono dare luogo a dubbiinterpretativi. Occorre esercitarsi molto e questospiega il grande interesse dei cardiologi interventisti,soprattutto i più giovani, che intendono diventarepadroni della tecnica anche attraverso momentidi incontro e discussione di casi».Le due metodiche di indagine sono quindi complementari.L’esame insostituibile e diagnostico coronarograficoresta, come detto, l’esame angiografico,che consiste nel sostituire al sangue un mezzodi contrasto, in modo tale da rendere osservabile il“lume” (la strada attraverso cui defluisce il sangue)e appurare se esso è libero od occupato da placca.Tuttavia, l’esame angiografico non dà informazioni<strong>sulla</strong> composizione della placca stessa, poiché indagail lume e non la parere dell’arteria. La paretecoronarica va interpretata come un organo, cioè uncomplesso insieme differenziato di cellule che vivonoe che metabolizzano alcune sostante presenti nelsangue. La parete si divide in tre strati; il più im<strong>porta</strong>nte,ai fini metabolici, è quello medio, la cosiddetta“tunica media delle arterie”. Questa può andare incontroa fenomeni di accumulo di sostanze, come ilcolesterolo e alla difficoltà di smaltirle. Tali sostanze,accumulandosi, danno quindi luogo alla formazionedi placche che possono complicarsi e causare le variemanifestazioni del grande capitolo della cardiopatiaischemica, cioè la difficoltà del sangue di raggiungereil tessuto muscolare cardiaco che è la pompa dellavita. Ecco perché l’Icus è im<strong>porta</strong>nte: perché permettedi avere informazioni di parete. Le due metodiche,dunque, corrono in parallelo. In altre parole, una dàun calco del lume, l’altra dà informazioni di parete edi composizione della placca che ostruisce il lume.Entrambe concorrono così a migliorare il risultatodell’intervento sul lume, cioè sullo spazio vivo per ilflusso sanguigno.«Il Sant’<strong>Anna</strong> - dice ancora Missiroli - è uno dei centripiù accreditati su questa metodica diagnostica.L’Icus oltre ai risultati illustrati, si è rivelata utile ancheper migliorare le tecniche di intervento in emodinamica.Non solo inizialmente ha aiutato a capirecome impiantare gli stent ottenendo un risultatoclinico ottimale ma, nel corso del tempo, ha permessodi ottimizzare i risultati che rimangono nellecoronarie. L’Icus, ovviamente, si applica ai quadri piùcomplessi perché in caso di lesione semplice, avereulteriori informazioni rispetto all’esame coronarograficonon fa la differenza. Nei quadri più complessiinvece, l’Icus si rivela un aiuto validissimo. Ancheperché questo tipo di indagine è in grado di fornireinformazioni così dettagliate e puntuali da indurre acambiare eventualmente il tipo di intervento da eseguire,nel senso di far propendere per la cardiochirurgiapiuttosto che la cardiologia interventistica, sealla luce dell’esame si rivela ad esempio necessarioimpiantare un by-pass piuttosto che ricreare il lumecon l’angioplastica. Il chirurgo non tratta la placcama opera a valle di quest’ultima annullandone gli effetti.Il cardiologo interventista, invece, si confrontacon la placca e da qui la necessità di disporre di tuttele informazioni possibili».


LettereLettere al MagazineSant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010Ho avuto il piacere di ricevere il vostro Magazine e ho provato un dispiacere enorme nel leggere l’editoriale sulle cosiddettemorti sospette. Sono stato vostro ospite: il 18 agosto 2009, sono stato trasferito d’urgenza dal pronto soccorsodi Reggio Calabria con una diagnosi di dissecazione dell’aorta toracica. Appena arrivato al Sant’<strong>Anna</strong> ho incontratoi miei “angeli”, persone che si sono prese cura di me con un’attenzione e una tempestività ammirevole. L’interventoeseguito dal dottor Agnino non era sicuramente dei più semplici, l’affetto e le cure con cui tutti i dottori e gli operatori mihanno assistito per la durata della degenza mi hanno consentito di superare il momento non certo facile. Sicuramentenon è bello sentirsi puntare il dito contro, purtroppo è più facile accusare che elogiare, non rendendoci conto che unarealtà come il Sant <strong>Anna</strong> Hospital è una bella realtà per la nostra Calabria. Nel ringraziarvi per tutto, spero che questepoche righe di gratitudine possano essere per voi un incitamento a continuare nel miglior modo la vostra missione.Pasquale Barresi, Bologna15La possibilità di vedere anche la mia lettera pubblicata, insieme a tante altre, sul magazine del Snt’<strong>Anna</strong> Hospital,sarà sicuramente il mezzo per poter esprimere la stima e l’ammirazione verso tutta la struttura e l’organizzazionedi una così alta professionalità. Il 27 maggio 2009 - non sapendo nemmeno della sua vera realtà - lo scenario che mi sipresentò davanti fu quello di una clinica pulita, ben organizzata e dotata di personale giovane, altamente qualificatoe grandemente motivato. Mi ispirò subito fiducia il primo impatto che ebbi col dottor Martinelli e, successivamente,coi dottori De Fiores e Braccio; e che dire della grande disponibilità delle dottoresse Montesanti, Gerbasi, De Donatise tutti quelli che non menziono fra personale medico, paramedico e ausiliario. Bravi. Sono tutti bravi. Sono veramenteall’altezza del compito che svolgono quotidianamente. Doverosa è pertanto questa mia nota di ringraziamento atutti quanti operano nel “piccolo ma grande” Sant’<strong>Anna</strong> Hospital, che non è solo osasi di speranza, ma luogo di tantissimecertezze.Salvatore Gambino, Rende (CS)Intendo ringraziare l’equipe medica e paramedica e tutti i collaboratori della struttura, che il 30 settembre 2008 mihanno ridato la vita. Sono arrivato al Sant’<strong>Anna</strong> in condizioni di salute gravissime, e solo grazie alla vostra professionalitàe bravura ho avuto la possibilità di ritornare a una vita dignitosa. Ho ricevuto tutte le dovute attenzioni del casoe ho trovato nella vostra struttura medica oltre che seri professionisti anche un clima familiare, che mi hanno reso piùagevole il trauma del post operatorio e della riabilitazione. Tutto ciò premesso, ritengo opportuno a distanza di temporingraziare nuovamente per tutto quello che mi è stato fatto, esprimendo gratitudine a tutti coloro che lavorano nelvostro ospedale, ritenendoli all’altezza della situazione, in una regione dove la sanità è carente di strutture di eccellenzecome la vostra. Colgo l’occasione per inviare Cordiali saluti.Francesco Ruggero, Cirò Marina (KR)Dopo un delicatissimo intervento di cardiopatia ischemica e aneurisma del ventricolo sinistro, effettuato il 23 dicembre2004, ho ripreso a vivere con tranquillità e normalità una vita che pensavo mi stesse sfuggendo. Commosso ericonoscente ringrazio tutti per l’organizzazione, l’efficienza, l’alta professionalità e l’aiuto psicologico, che può esseredato solo da “chi ama il proprio lavoro”. Un grazie speciale ai dottori Martinelli, Missiroli, Agnino e gli altri, per la loroeccellente attività; possa il buon Dio guidare sempre le vostre mani e illuminare la vostra mente per lo svolgimento diuna missione così im<strong>porta</strong>nte verso il prossimo.Umberto Castellano, CosenzaIl 27 marzo del 2007, a causa di una dissecazione aortica, venivo tras<strong>porta</strong>to in elicottero dai “Riuniti” di ReggioCalabria presso la vostra struttura ed operato d’urgenza. Dal quel giorno la mia vita è cambiata e colgo l’occasioneper esprimere la mia più sincera gratitudine e profonda stima non solo per la professionalità ma soprattutto perle amorevoli cure prestatemi. Mi auguro tantissimo che i vostri cuori continuino a battere per fare battere i cuori di tuttinoi nel momento in cui ne abbiamo bisogno. Con incommensurabile affetto e stima.Vincenzo Corigliano, Villa San Giovanni (RC)


Sant’<strong>Anna</strong> Hospital Magazine - 1/ 2010Sommario16

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