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Rassegna trimestrale
Supplemento al n. 8/2016
di Orizzonte Magazine
di Studi Tradizionali
Anno 5 n. 2
Luglio 2016
Una pubblicazione
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ROMA
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Rassegna trimestrale
di Studi Tradizionali
ANNO 5 n. 2
Luglio 2016
Supplemento al n. 8/2016 di
Orizzonte Magazine
Reg. trib. di Bari n° 19/2014
Direttore Responsabile
Franco Ardito
Redazione
via G. Colucci, 2
70019 Triggiano (BA)
OUROBOROS è sfogliabile
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IN QUESTO NUMERO PARLIAMO DI:
7
Sacralità
8
Zero:
14
Il
20
La
36
Dalla
40
Introduzione
42
Arte
del numero
Editoriale
dal nulla all'infinito
di Gandolfo Dominici
numero otto
di Franco Ardito
Grande Piramide
di Rino Guadagnino
pietra grezza alla piramide
di Aldo Tavolaro
al Giubileo
di Franco Ardito
e scienza
di Paolo Maggi
Tutti i diritti sono riservati.
Nessuna parte della pubblicazione
può essere riprodotta,
rielaborata o diffusa
senza espressa autorizzazione.
della Direzione.
La collaborazione
avviene dietro invito.
Articoli e materiali non si
restituiscono. La Direzione
si riserva di adattare testi e
illustrazioni alle esigenze
della pubblicazione.
Le opinioni espresse
negli articoli impegnano
solo gli autori e non
coinvolgono né rappresentano
il pensiero della
Direzione
In copertina:
"Drago che divora una lucertola", tratto
da "Clavis Inferni" di Cipriano, tardo 18°
secolo,Wellcome Library, London.
(Copyrighted work available under Creative Commons
Attribution only licence CC BY 4.0)
5
6
L u g l i o
N
SACRALITÀ
DEL NUMERO
ella Bibbia è scritto: “Tu hai disposto ogni cosa con misura,
numero e peso" (Sap. 11,20). Per porre ordine nel Creato,
traendolo dal caos primordiale, Dio ha utilizzato il numero
nelle sue diverse espressioni: come estensione dei corpi nello
spazio (misura), come consistenza della materia (peso), come
espressione delle leggi che governano l’Universo.
Tuttavia fra tutte le cose che fanno parte della Creazione il
numero non compare; Dio non lo ha creato e questo significa
che il numero è parte di Lui, appartiene alle Sue prerogative,
è divino, quindi. Del resto presso le antiche civiltà la sacralità
del numero era ben nota: nell’antica Mesopotamia si attribuivano
numeri sacri agli dei, per Pitagora la Sacra Tetraktis
era una divinità, la Qabbalah ebraica afferma che le ventidue
lettere dell'alfabeto ebraico, e il loro relativo significato
numerico, sarebbero preesistenti alla creazione del mondo.
Giungendo infine ai giorni nostri, lo stesso Jung considerava
il numero un’entità numinosa, sacra e lo ha definito come
“un archetipo dell’ordine fattosi cosciente”.
Accade così che talvolta si scorge come i numeri, al di là delle
logiche matematiche legate al concetto di quantità, vivano
un’esistenza “metafisica” che segue logiche e norme completamente
diverse e, per molti versi, ancora ignote. Gli esempi
sono intorno a noi: il più semplice è la Tavola Pitagorica, con
la particolare disposizione delle cifre al suo interno, quindi i
quadrati magici, di cui è pieno il Medio Evo, e i tanti giochi
matematici, divertenti agli occhi di un osservatore superficiale
ma che pongono numerosi interrogativi a chi non
s’accontenta delle apparenze.
E poi la serie di Fibonacci, che sancisce la Sezione Aurea,
quella che Luca Pacioli chiamò la Divina Proporzione e che in
natura caratterizza una gran quantità di rapporti nel mondo
vegetale come nel mondo animale, uomo compreso. È l’espressione
matematica della bellezza della natura, la Firma di
Dio, la più immediata espressione della sacralità del numero,
che lo estrae dalla sua più semplice concezione matematica
per farne una finestra sul lato sconosciuto dell'Universo.
7
zer
dal n
all'inf
di Gandolf
8
S
crive Laotse, nel
Tao Te King, uno
dei grandi libri dell’Antica
Cina: "... Lo guardi e non lo vedi
lo ascolti e non lo senti ma se lo adoperi è
inesauribile…"
La sua è la descrizione del Tao,
dell’Assoluto, ma son parole che ben
si adattano alla presentazione dello
Zero, del Niente, un numero speciale
che richiede un’attenzione partico-
lare. È, infatti, un numero che porta
oltre la matematica, verso concetti
quali il Nulla e l’Infinito.
Secondo la sua definizione “enciclopedica”,
lo Zero (0) è il numero
o:
ulla
inito
o Dominici
che precede l’Uno
(1) e gli altri numeri
interi positivi, e segue
i numeri negativi (visione,
questa, squisitamente profana ma
che, come vedremo, apre ad un’interpretazione
esoterica ben diversa).
Nell’accezione comune, Zero significa
anche: niente, nulla, vuoto o
un'assenza di valore.
Il numerale o cifra zero si usa nei
sistemi di numerazione posizionali
(qual è il nostro), quelli cioè in cui il
valore di una cifra dipende dalla sua
posizione.
Attorno al 300 a.C. i Babilonesi
iniziarono a usare un semplice sistema
di numerazione in cui impiegavano
due cunei pendenti per marcare
uno spazio vuoto. Questo simbolo
non aveva una vera funzione se non
quella di segnaposto, e infatti sembra
9
10
che l'origine del segno 0 sia da attribuire
alla forma dell'impronta lasciata
sulla sabbia da un ciottolo tondo
dopo essere stato rimosso (e quindi
mancanza del numero). L'uso dello
zero come numero in sé è una introduzione
relativamente recente della
matematica, che si deve ai matematici
indiani.
Un primo studio dello zero, dovuto
a Brahmagupta, risale al 628.
Quindi gli arabi appresero dagli indiani
il sistema di numerazione posizionale
decimale, e lo trasmisero agli
europei durante il Medioevo (perciò
ancora oggi in Occidente i numeri
scritti con questo sistema sono detti
"numeri arabi").
Essi chiamavano lo zero sifr:
questo termine indicava un venticel-
lo caldo che spirava
in particolari periodi
dell'anno.
Fu in particolare
Leonardo Fibonacci
(Leonardo Pisano
filius Bonacci) a far
conoscere la numerazione
posizionale in
Europa: nel suo “Liber
Abaci”, pubblicato nel
1202, egli tradusse sifr
in zephirus; da questo
derivò zevero e quindi
zero. Anche il termine
"cifra" discende da questa
stessa parola sifr.
Nella storia della
matematica, la conquista
del concetto di
Zero e il suo riconoscimento
al rango di
numero non fu facile e
trovò molte resistenze.
Lo Zero, infatti, non è
indispensabile nell’aritmetica
più elementare:
i romani e i greci
ne fecero a meno, e
fig.1 fino al Medioevo lo
zero venne usato in modo impreciso
e con molta circospezione. In fondo,
usare lo zero implicava l’ammissione
dell’esistenza del Nulla, cosa non
semplice. Scrive Geymonat: “Tutti siamo
convinti di poter parlare sensatamente
del “nulla”, di intenderci fra noi allorché
usiamo questo termine […] esso deve avere
per noi un significato ben determinato.
Proprio questo fatto però, che esso significhi
qualcosa, che denoti un’effettiva realtà,
sembra particolarmente ripugnante al
pensiero comune”.
D'altra parte se lo Zero rappresenta
il Nulla si potrebbe ritenere, a
torto, che non sia così essenziale come
gli altri numeri. Ecco perché, al di
fuori della matematica in particolare,
lo Zero resta un numero imbarazzante
e ancora oggi lo si usa a fatica.
Sugli ascensori, per esempio,
raramente il piano terra viene indicato
con il numero 0 e si preferisce
invece usare la lettera T; le
pubblicazioni partono dal n.1 e lo
0 individua l’eventuale numero di
prova; sulla tastiera del computer
i numeri sono tutti in ordine dall'1
al 9, dopo il quale trova posto lo 0,
mentre sul telefono viene collocato
in basso, separato dagli altri numeri.
Evidentemente lo Zero continua
ad imbarazzarci. Tutti sappiamo
che dovrebbe precedere l'1, ma è più
sicuro tenerlo da parte, isolato.
La rappresentazione geometrica
dello Zero è il Punto, che Euclide
definiva appunto come “ciò che non ha
parti”, o in altre parole, secondo una
terminologia più “moderna”, senza
dimensioni.
L’intera geometria euclidea è costruita
a partire dagli “evanescenti”
punti; il che crea qualche imbarazzo
visto che enti geometrici che “non
hanno parti” (i punti) possono benissimo
essere “le parti” di altri enti
geometrici (spazi e figure), che hanno
dunque parti.
Ecco perché, da un punto di vista
esoterico, lo Zero e il Punto (sua
rappresentazione geometrica) sono
«simboli» che portano oltre…, verso
concetti quali il Nulla e l’Infinito, in
altre parole verso Dio.
Per comprendere questo è necessario
osservare la figura n. 1.
Abbiamo detto che il punto è un
ente geometrico «senza dimensioni» e
corrisponde allo 0, ossia l’assenza di
«valore numerico». Ma la definizione
di retta, come tutti sappiamo, è quella
di un «insieme infinito di punti»; la
retta, quindi, per esistere ha bisogno
del punto.
Anche le altre figure geometriche,
fig.2
bidimensionali e tridimensionali, non
potrebbero esistere senza il punto, essendo
da questo a loro volta formate
e composte. Possiamo quindi osservare
la «potenza» del punto che, pur
non avendo dimensioni, è l’elemento
fondante di qualsiasi figura nelle tre
dimensioni conosciute.
Lo stesso discorso vale per il
numero Zero. Guardiamo insieme
la figura n. 2: lo Zero è il «numero
non-numero» grazie al quale esistono
gli altri numeri, essendo il punto di
partenza, la scaturigine, oltre che la
demarcazione, dei numeri positivi e
di quelli negativi.
Non solo, ma se provate a mettere
lo Zero davanti una cifra qualsiasi
esso la riduce dividendola per 10,
mentre se lo aggiungete alla destra
della cifra, esso la moltiplica per 10.
Insomma, per essere un sinonimo
del “Nulla”, lo Zero ha davvero una
potenza inimmaginabile.
Un grande storico della matematica
moderna, Karl Menninger, scrive:
"Che tipo di folle simbolo è questo [lo zero]
che significa proprio il nulla? Se è nulla,
allora dovrebbe essere nulla e basta. Ma
qualche volta è nulla e qualche altra volta
è qualcosa… …Così ora zero diventa
qualcosa, qualcosa di incomprensibile ma
potente, se pochi “nulla” possono mutare
un piccolo numero in uno grandissimo.
Chi può capire questo?".
Ian Stewart, scienziato e matematico,
invece scrive: "Nulla è più interessante
del nulla, nulla è più intrigante del
nulla e nulla è più importante del nulla.
Lo zero è uno degli argomenti preferiti dai
matematici, un autentico vaso di Pandora,
per curiosità e paradossi…".
Per concludere, ragionare sullo
Zero e sul Punto insegna che "il Nulla
è Tutto, e Tutto è il Nulla. Tutto esiste grazie
al Nulla e Nulla esiste senza il Tutto"
11
12
13
il numero otto
di Franco Ardito
L
a numerazione
Una premessa importante da
fare consiste nel concetto stesso di
numerazione. Nell’uomo la percezione
diretta della realtà si limita a
due o massimo tre entità identiche,
oltre subentra il concetto di molti.
Questo significa che il bambino fra
i 12 e i 18 mesi riesce a distinguere
direttamente solo fra uno, due
o molti oggetti; fra i 2 e i 3 anni
concepisce il tre, mentre acquisirà
la facoltà di contare solo attraverso
l’insegnamento e l’esercizio del
pensiero astratto, che naturalmente è
funzione dell’ambiente in cui vive e
della civiltà a cui appartiene. Non a
caso in francese trés significa “molto”,
“oltre” in latino si traduce con
trans mentre in inglese è through; in
14
inglese folla è throng; in italiano si
dice "troppo" e si dice "truppa". E’
facile scorgere come questi termini
derivino tutti dalla radice di “tre”.
La numerazione è quindi un’operazione
profondamente astratta e
intellettuale, motivo per il quale la
matematica viene percepita come una
scienza scollegata dal concreto, salvo
le principali operazioni numeriche
necessarie per l’attività quotidiana.
Le civiltà più evolute si distinguono
per la complessità della loro numerazione;
ancora oggi in certe tribù
africane, ma anche asiatiche e sudamericane,
il pastore mette da parte
una pietruzza per ogni animale che
porta al pascolo, confrontando al
ritorno le pietruzze con gli animali rientrati:
se non gliene avanza nessuna
15
Nell'immagine:
Riproduzione del
Faro di Alessandria.
16
significa che gli animali ci sono tutti.
In effetti i numeri sembrano vivere
una vita propria, seguendo leggi delle
quali solo una parte è stata indagata
attraverso le logiche matematiche;
altre sono state percepite e vi si opera
attraverso artifici, altre ancora sono
inspiegabili o addirittura sconosciute,
e solo l’esoterismo cerca di penetrarle.
Il numero OTTO
Dopo i sei giorni della Creazione
e il settimo di riposo viene l’ottavo
giorno, il simbolo dell’eternità.
Per questo motivo i
Battisteri delle chiese hanno
molto spesso forma ottagonale,
a significare la rinascita
derivante dal sacramento del
battesimo: “[…] era giusto che
l’aula del Sacro Battistero avesse
otto lati - scrive Sant’Ambrogio
nel IV secolo d.C. - perché
ai popoli venne concessa la vera
salvezza quando, all’alba dell’ottavo
giorno, Cristo risorse dalla
morte.”
D’altra parte l’8 è la
dualità esaltata alla terza
potenza, quindi attiva sui tre
piani relativi a corpo, anima
e spirito; esprime il riflesso
dello spirito nel mondo creato,
dell’incommensurabile e
dell’indefinibile nell’universo
tangibile.
Definendo i quattro
Vangeli canonici, Ireneo di
Lione, teologo del II secolo,
affermava che “come vi
erano quattro angoli della terra e
quattro venti, così non potevano
esserci più di quattro o meno di
quattro Vangeli.” Il numero 4,
così definito come simbolo
della materia e della terra,
nell’8 si raddoppia, esaltando
la sua natura concreta e
tangibile; per questo motivo
l’otto indica la legge, il rigore
e la regola per procedere oltre. L’iniziato,
dopo avere attraversato i sette
cieli corrispondenti ai sette pianeti,
arriva alla rigenerazione, sintomo di
un nuovo inizio su un piano di coscienza
superiore; l’8 esprime quindi
l’incognito che segue alla perfezione
simboleggiata dal numero sette,
incita alla ricerca e alla scoperta della
trascendenza, e infine simboleggia la
morte come momento di transizione,
di passaggio verso livelli superiori.
Come l’ottava lettera, l’H, anche il
numero 8 è graficamente definito da
due figure contrapposte legate insieme,
sottolineando che la rigenerazione
passa attraverso la congiunzione
degli opposti.
L’Ottagono
Questo stato di elevazione verso
l’alto della condizione umana è
ancora più evidente nell’ottagono che,
derivando da un doppio quadrato
indica l'aspetto dinamico del numero
otto, che da uno stato d'instabilità
tende all'equilibro, come ogni cosa in
natura, raggiungendolo nella raffigurazione
statica del numero otto. Per
questo motivo l’8 viene considerato il
numero dell’equilibrio cosmico.
È noto inoltre che, al di là di ogni
connotazione simbolica, l'ottagono è
l'unica figura che consente di passare
da una costruzione impostata
su pianta quadrata (per esempio il
presbiterio) alla semisfera che tipicamente
lo sovrasta. L’ottagono rappresenta
quindi il termine di passaggio
dalla materia, definita
dal quadrato, alla divinità
rappresentata dal cerchio (o
dalla semisfera). E’ un motivo
che si trova in numerose
costruzioni sacre, a partire
dal Faro di Alessandria,
dove una costruzione quadrata
era sovrastata da una
torre ottagonale, alla quale
ne era sovrapposta un’altra
circolare. Altri esempi si
possono citare, oltre ai già
indicati Battisteri: la Cupola
della Roccia a Gerusalemme,
la chiesa di S. Vitale a
Ravenna, la moschea degli
Omayyadi a Cordoba.
L’Infinito
Questa definizione di
mediatore fra il basso e
l’alto pone il numero 8 come
simbolo dell’infinito; ma
qui l’indagine si fa più complessa.
Anche nel mondo
sensibile siamo circondati
dall’infinito, a cominciare
dai numeri naturali. In matematica
l’infinito è un numero
col quale si fanno operazioni,
l’insieme dei numeri razionali
è infinito e al suo interno
ci sono realtà infinite di
ordine superiore, ancora più
complesse: i numeri decimali
sono infiniti, i numeri irra-
17
stata calcolata la massa; si rimedia definendo
la probabilità che essa si trovi
in un particolare punto. Similmente,
lanciando una moneta, non è possibile
stabilire se essa mostrerà una faccia o
l’altra; si può solo definire la probabilità
che esca testa, fermo restando che
potrebbe uscire croce venti volte di seguito.
Interviene a consolarci la teoria
dei grandi numeri, per la quale all’infinito,
quindi su un numero infinito
di lanci, ognuno dei due eventi (testa
o croce) si
ve-
18
zionali sono composti da infinite cifre
decimali tutte diverse fra loro, i numeri
periodici hanno infinite cifre decimali
che si ripetono per gruppi con
regolarità (periodo) a volte precedute
da cifre decimali che compaiono una
volta sola (antiperiodo). E’ proprio
vero che i numeri sembra che vivano
una vita propria, della quale ci sfuggono
le logiche; per parte nostra, di tutto
questo ci limitiamo a considerare solo
la parte più evidente e ovvia: quella
che ci serve per fare i conti.
Intanto a rappresentare l’infinito
interviene sempre il
numero otto, questa volta
disposto in orizzontale,
quasi ad indicare
l’estendersi dell’infinito
nell’ambito
del mondo visibile,
orizzontalmente
quindi.
Su questo
piano l’infinito
comprende
sia l’infinitamente
grande che l’infinitamente
piccolo; la scienza cerca d’indagarli
tutti e due ma è costretta a fare i conti
con strane bizzarrie che, come abbiamo
detto, cerca di superare attraverso
artifici matematici: si tratta in sostanza
del calcolo delle probabilità e della
teoria dei grandi numeri.
Nella fisica dei Quanti, per esempio,
non è possibile misurare la posizione
di una particella della quale è
rifi-
cherà nel 50%
dei casi.
La spiegazione scientifica, nell’uno
e nell’altro caso, è che la presenza
dell’osservatore influenza l’evento,
e questo apre il campo ad una serie
di considerazioni: se la posizione di
una particella può essere influenzata
dalla sola presenza dell’osservatore,
se la faccia mostrata dalla moneta
dopo il lancio può essere influenza-
di osservare gli eventi dall’esterno
attraverso il simbolo del serpente
Ouroboros; un serpente circolare che
si morde la coda, simboleggiando
il ripetersi ciclico del tempo, al cui
interno tutto è compreso ma che l’osservatore
guarda dall’esterno, come
se non ne facesse parte. E’ il simbolo
del caos primordiale, anch’esso
caratterizzato dal senso dell’infinito;
talvolta è composto da due serpenti,
che si mordono vicendevolmente la
coda, definendo così una polarizzazione
duale; talvolta questa polarizzazione
è definita da un
serpente unico arrotolato in
forma di Otto.
La polarizzazione
dell’infinito è ancora
più evidente nel
nodo d’amore:
un cordone
ta dalla presenza del lanciatore e di
coloro che assistono, è segno che gli
eventi umani sono influenzati non
solo da chi vi prende parte ma anche
da chi solo li osserva. Questo attribuisce
un valore ai concetti di positività
e negatività, può dare una ragione
dell’atteggiamento positivo, il proprio
ma anche quello degli altri, come
strumento di guarigione dalle malattie;
un fenomeno ben noto ai medici
ma non ancora spiegato. Il concetto
“niente avvie-
ne
per
caso” perde
così il suo aspetto
di semplice enunciato
quasi fatalistico per assumere significati
precisi; addirittura i concetti
di volontà e di preghiera, con la loro
potenzialità di focalizzare l’individuo
sulla riuscita di un evento, assumono
un significato diverso dal consueto.
L’Ouroboros
La tradizione esprime la necessità
unico disegna
il simbolo
dell’Otto
orizzontale i
cui due cerchi,
che hanno valenza
femminile,
sono attraversati da
un tratto che ha evidente
valenza maschile; ancora una
volta il segno descrive la necessità
di comporre gli opposti se si vuole
superare i propri limiti e tendere all’infinito,
perché l’infinito è assoluto, non
appartiene alla sfera del duale ma anzi
lo supera; di conseguenza è necessario
coniugare il proprio maschile col proprio
femminile se s’intende raggiungere
il senso della propria eternità.
19
la grande piram
di Rino Guadagnino
20
Nella piramide di Cheope è racchiuso
il passato dell’uomo e
la chiave di lettura del nostro futuro.
Eretta a sentinella nella piana di
Giza a controllare nascita, sviluppo e
scomparsa delle civiltà, eterna collina
di pietra che resterà anche quando
noi lasceremo questo pianeta, quan-
do, da chi e come è stata costruita?
Quale la sua vera funzione? Quali
segreti nasconde? È davvero un progetto
iniziato 12.000 anni fa, come
le cattedrali gotiche, che venivano
progettate secoli prima della loro
costruzione? Le analisi al carbonio 14
effettuate da tre laboratori diversi su
ide
pollini rinvenuti al suo interno forniscono
la data del 10500 a.C. Forse un
popolo scampato ad una catastrofe
globale ha voluto ricostruire parte
della propria cultura o lasciare un
messaggio ai posteri?
In effetti è una costruzione che
non sembra appartenere totalmente
all’Egitto e al suo popolo, la cui
storia peraltro si perde nel tempo: per
la scienza ufficiale inizia nel 3100
a.C. con Menes, il "Papiro di Torino"
parla di 9 dinastie di re prima di
Menes, la "Pietra di Palermo" ne cita
120, Manetone fornisce un elenco
che risale a oltre 25.000 anni. I 2,3
21
22
milioni di blocchi di calcare e granito
che compongono la piramide, per un
totale di ben 6 milioni di tonnellate,
fanno pensare che quel luogo sia stato
scelto proprio perché l’unico idoneo
a sostenere un tale peso. In origine
l’edificio era rivestito interamente con
115.000 lastre di calcare bianco da 10
tonnellate l’una, coperte di geroglifici.
Si dice che per copiarli sarebbero
occorse migliaia di pagine; se fossero
stati conservati, tutti i misteri della
piramide sarebbero stati risolti. Ma
l’azione dell’uomo e un terremoto
verificatosi nel 1300 a.C. hanno contribuito
alla loro distruzione.
Le misure rilevate nella piramide
espresse in pollici evidenziano una
profonda conoscenza scientifica dei
suoi costruttori dato che, se alcuni
dati possono sembrare coincidenze,
altri sembrano effettivamente voluti.
Il lato nord misura 230,2505 metri,
il lato ovest 230,3565 metri, il lato est
230,3905 metri e il lato sud 230,4535
metri. La loro somma è di 921,44
metri; esprimendola in pollici egizi
(2,5228 m.) si ottiene un valore pari
a 365,24, ovvero il numero di giorni
che compongono l’anno solare.
Il doppio del perimetro è di
1.842,88 metri, valore prossimo a
1/60 di grado alla latitudine dell’equatore,
pari a 1842,78 metri.
Il doppio perimetro diviso l’altezza
(146,6 metri) fornisce il valore del
pi greco (3,1416), determinante nella
costruzione delle piramidi.
La somma delle diagonali di base
è di 25.826,6 metri, analogo al numero
di anni corrispondenti all’Anno
Platonico, relativo alla precessione
degli equinozi.
Gli angoli della base misurano circa
90°, con un’approssimazione di solo 2".
Gli angoli d'inclinazione delle
quattro pareti sono uguali e misurano
51° 50' 35”; questo dimostra che
il p era conosciuto da chi progettò e
costruì il monumento.
La Piramide corrisponde all'emisfero
settentrionale della Terra in
scala 1:43200. I prolungamenti delle
sue diagonali dagli angoli di NO e
NE racchiudono il delta del Nilo.
La piramide è posta al centro esatto
della massa terrestre, all’incrocio
fra il 30° meridiano e il 30° parallelo,
che coprono la maggiore porzione di
terra, a 1/3 della distanza fra Equatore
e Polo Nord, nella linea centrale
che divide il globo e rappresenta lo
"zero" naturale di Longitudine.
Il meridiano che passa per il vertice
della Piramide taglia la Terra in
due parti quasi uguali, manca infatti
di soli 5 km il polo. Di conseguenza
Giza è la naturale Greenwich e questo
evidenzia la profonda conoscenza
astronomica di una civiltà perduta che
eresse i suoi maggiori centri tenendo
conto di dati matematici e geodetici,
incorporando nelle costruzioni le misure
della precessione degli equinozi.
Le quattro facce e i lati sono allineati
con i Punti Cardinali in modo
da posizionare i lati obliqui di fronte a
tali punti. È orientata con una precisione
stupefacente, lo scarto è infatti
di soli 3' 6". Le quattro pareti sono
leggermente curve e la loro curvatura
corrisponde a quella terrestre. Le ombre
proiettate dalla piramide marcano
con esattezza matematica le date degli
Equinozi di primavera e autunno e dei
Solstizi d'inverno e d'estate.
Al suo interno vi sono alcune
camere. Dalla camera ipogea parte un
tunnel verticale di uso sconosciuto,
noto come il condotto dei ladri. Per Zecharia
Sitchin quel condotto fu scavato
dai seguaci di Marduk per giungere
all’interno della piramide e liberare il
Dio che era tenuto prigioniero. Era il
tempo della battaglia fra gli déi.
In tempi remoti la stella polare era
Alpha Draconis, se gli egizi volevano
osservarla attraverso un telescopio
dovevano inclinarlo di 16° e 17’, la
stessa inclinazione del passaggio di-
Foto sotto:
La grande galleria.
23
Sopra:
Il sarcofago nella
Camera del Re.
Sotto:
La Camera della
Regina.
scendente a circa 31 metri sottoterra,
che riempito di acqua rifletterebbe la
stella come lo specchio di un moderno
telescopio. Attraverso il corridoio
ascendente arriviamo alla grande
galleria lunga 46 metri con una
pendenza 26°, alta 8,5 metri e con
un soffitto formato da 36 blocchi di
granito removibili, ciascuno dei quali
può essere rimosso singolarmente.
La galleria, larga alla base 2 metri, si
restringe in alto; contro il muro presenta
un gradino di 60 cm; al posto
del pavimento c’è un canale infossato
largo 1 metro, di cui non si conosce
la funzione.
La camera della regina non è
quadrata. Esami condotti all’interno
della Piramide con moderne strumentazioni
hanno rivelato vuoti e
cavità in diversi punti della piramide,
sotto la Sfinge e nell’intera piana di
Giza. Dietro al corridoio che porta
alla camera della regina sono state
rilevate diverse cavità delle quali
non si sono potute appurare le reali
dimensioni. Vi è solo la sicurezza che
in quel punto si trova un vano molto
profondo, colmo di sabbia e di oggetti
non identificati; di questa sabbia sono
stati prelevati dei campioni attraverso
trapanazioni accuratamente mirate.
Le analisi hanno evidenziato senza
possibilità di contestazioni, per l’alto
contenuto di metalli pesanti, una
datazione precedente a quella delle
glaciazioni. Sabbia di questo tipo non
è presente nelle immediate vicinanze
della piramide, ma a sei chilometri
più a Sud e nel Sinai. Alcuni dei
vani, scoperti nella zona, sono così
grandi che non è stato possibile accertarne
le misure dal momento che la
profondità del pavimento è rimasta
ignota. Nel 1839, durante i lavori
di sgombero di un corridoio della
piramide, fu segnalata, dagli operai
impiegati nel lavoro, una forte corrente
d'aria fresca. Un secolo e mezzo
dopo, nel 1951, tale evento fu accom-
24
pagnato da un rumore che durò una
decina di secondi. Segnalato più volte
dall'archeologo Ahmed Fakhri, che lo
localizzava nel corridoio orizzontale,
alla fine del passaggio dell'entrata occidentale,
il fenomeno faceva dedurre
la presenza di una comunicazione
con l'esterno ma questa apertura,
vicino all'entrata ovest, non è stata
ancora scoperta.
La camera del Re, posta a 45,5
metri dalla base, a circa 1/3 dell’altezza
della piramide, contiene un
sarcofago vuoto che ha il volume
esterno doppio di quello interno. Non
conosciamo come sia stato possibile
realizzarlo. Se vogliamo tracciare un
cerchio intorno al triangolo formato
dalla faccia della piramide dobbiamo
far centro nel punto in cui è ubicata
la Camera del Re. Detta camera, alta
5,81 metri (metà della diagonale del
pavimento di 11,62 metri), lunga 5,20
e larga 10,46, fornisce le misure esatte
dei due triangoli fondamentali del teorema
di Pitagora (571-497 a.C.) (uno
con i tre lati di 5-12-13 e l’altro con i
lati di 3-4-5).
La piramide presenta quattro condotti
inclinati, due per la camera del
re e due per la camera della regina,
che salgono verso l’alto. Nel condotto
della parte Sud della camera della
regina e stata rinvenuta, a 65 metri,
una porta con maniglie, oltre questa
una seconda porta. Nel condotto a
Nord è stato ritrovato del legno, una
pallina e del rame. Questo percorso
dopo 19 metri svolta a sinistra
per altri 4 metri evitando la galleria
principale. Si ferma ad una terza
porta provvista di maniglie, uguale a
quella del condotto sud. Si pensa che
contenga una camera segreta. I due
condotti della camera del Re sboccano
all’esterno e puntano sulla stella
Polare e Alpha Draconis, quelli della
regina, chiusi da porte, guardano
verso Sirio e Zeta Orionis.
Le piramidi, della IV dinastia,
25
Nell'immagine:
Ipotesi di rampa
a spirale per la
costruzione della
Grande Piramide.
disegnano sul terreno la disposizione
delle stelle di Orione e ricostruiscono
la costellazione sulla terra, divenendo
la raffigurazione di Osiride sulla
Terra. Considerando il Nilo emerge
la corrispondenza fra la posizione di
Orione con la Via Lattea, che per gli
Egizi rappresentava il Nilo celeste.
Il mistero più fitto riguarda però il
sistema adottato per la sua costruzione.
Molte sono le ipotesi: dal piano
inclinato, che doveva raggiungere
la lunghezza di circa un chilometro
e mezzo e un volume più elevato
di quello della stessa piramide, agli
argani, alla teoria dei legni corti di
Pincherle, alla serie di quattro rampe,
alla rampa a spirale che segue l’inclinazione
delle pareti proposta da Zahi
Hawass, alla teoria di Elio Diomedi
basata sulle traversine con l’utilizzo
delle gallerie interne come rampe
di trasporto, a quella dello scrittore
arabo del 1440 circa l’utilizzo di fogli
magici che facevano lievitare i blocchi
al suono di una specifica nota
musicale, in modo da poterli spingere
per svariati chilometri. Lo storico
arabo Ibn Abd Hock affermò che la
piramide fu costruita da Surid Ibn
Salhouk, un antico re egizio vissuto
12.000 anni fa, con lo scopo di preservare
le conoscenze acquisite dal
suo popolo; egli sognò che un disastro
si sarebbe abbattuto sulla Terra.
Leggende copte e la testimonianza
dell’egiziano Masudi confermerebbero
tale storia. Non ultima la teoria di
Davidovits, che ha pensato a blocchi
di pietra artificiale realizzati con un
impasto di calcare effettuato sul luogo,
ma che non spiega la presenza dei
blocchi di granito. Il calcare bianco si
trova a decine di metri di profondità
nel sottosuolo, il granito proviene
invece dalle Cave di Aswan, distanti
500 chilometri.
Sopra la Camera del Re vi sono
26
Associazione Culturale “Bensalem”
Castel del Monte
Il Tempio della Rosa
a cura di Attilio Castronuovo
Castel del Monte è uno dei misteri più affascinanti che, dalle nebbie del passato, siano giunti fino a noi.
Adagiato su un poggio che domina la pianura, enigmatico per tutto ciò che attiene ai suoi scopi e alla sua
funzionalità, sembra sfidare il visitatore desideroso di comprenderne il segreto. Si potrebbero affastellare
all’infinito ipotesi su ipotesi nella speranza di giungere a qualche certezza, ma il castello sembra sottrarsi a
questa ricerca, mostrandosi sempre più sfuggente, evanescente, irraggiungibile.
di Daniela Gagliano
edizionigagliano@gmail.com
27
Nell'immagine:
Disposizione delle
travi di pietra nella
struttura sulla
Camera del Re.
A destra:
Un amuleto d'oro
che riproduce lo Zed.
28
cinque camere formate da strutture di
granito o calcare. Portano i nomi di
Davison, Wellington, Nelson, Arbuthnot,
Campbell. Le prime 4 camere
sono strutture di granito uguali al
tetto della camera del Re, la quinta
è una struttura di calcare. Il tetto
della camera è costituito da 9 travi
di granito, il primo tetto rialzato ne
comprende 8, i successivi 9 ognuno,
l’ultimo ha 8 travi; in tutto 49 travi
tutte orientate in direzione nord-sud.
Il tetto a spiovente comprende 24 travi
a sbalzo di calcare orientate come le
altre. L’altezza totale è di 15 metri.
La torre è inserita tra due gigantesche
mura di calcare. Il peso totale è di
70 tonnellate. Le travi perfettamente
piatte sulla parte inferiore, risultano,
nelle superfici superiori, grezze e di
spessore disuguale. Presentano tutte
profonde scanalature. Per gli egittologi
tale struttura serve a proteggere il tetto
piatto della camera del re dal peso
eccessivo della piramide; avrebbero
la funzione di camere di scarico. In
realtà sostengono solo il loro peso; per
alleggerire la struttura sarebbe bastato
porre il tetto spiovente direttamente
sopra la camera del Re. La serie dei
tetti realizza la forma del pilastro Zed,
simbolo importantissimo rinvenuto
frequentemente nel rituale e nelle tombe
egizie, dato che rappresentava la resurrezione
di Osiride, in particolare la
sua colonna dorsale. Il suo significato
è quello di stabilire un contatto tra il
defunto e la vita dopo la morte.
Perché i costruttori posizionarono
1.200 tonnellate di travi di granito
sopra il tetto piatto della camera?
Forse per la capacità di risonanza del
granito? Le travi dovevano risuonare,
vibrare e interagire con quelle situate
nel soffitto della camera del Re? La
torre è una costruzione indipendente,
inserita
in una
struttura
di calcare in modo
da poter vibrare
liberamente interagendo
con
il granito
della
camera sottostante.
Le nove travi della
camera del re pesano
oltre 300
tonnellate,
il pavimento
non poggia sopra una
muratura piatta ma su
un rivestimento
modulare,
in modo da ridurre
l’area di contatto al
minimo e permettere
alle 21 pietre del pavimento
di vibrare liberamente.
Il tetto spiovente
facilita la risonanza
delle travi, massimizzando
la loro capacità
di vibrare al minimo
smorzamento. Le variazioni
nelle loro dimensioni
convalidano la
funzione acustica. In
alcune travi sono presenti
profonde scanalature,
come se si avesse
voluto accordare il
granito alterandone
le dimensioni fisiche.
Il granito difatti è
altamente risonante
e i pezzi più grandi,
una volta colpiti,
emettono un suono
chiaramente
udibile. Anni fa
l’obelisco Hashet
esposto al Cairo
emetteva un
suono
prolungato
se percosso.
Poiché tutti i
turisti lo percuotevano
fu
ancorato
al terreno col
cemento. Da quel
momento non produce
più
alcun
suono.
Il campo elettromagnetico
terrestre
comprende
una serie di risonanze,
che influenzano
tutto ciò che
vive o esiste sulla
Terra, conosciute
come le Risonanze
di Schumann, la cui
frequenza varia dai
7,83 Hz a 60 Hz. La
Camera del Re ha
una risonanza di 30
Hz; potrebbe darsi
che la Camera del
Re e la torre entrino
in risonanza
grazie alle vibrazioni
Schumann.
La piramide,
costruita in pietra,
diventerebbe
quindi un’estensione
della
Terra, vibrando
con essa. Con
i condotti
aperti sarebbe
potuto fuoriuscire
un
suono che
29
si sarebbe propagato all’esterno con
un effetto impressionante. Lo scopo?
Forse ricreare il suono della creazione,
o forse produrre un suono piacevole
e rilassante per intensificare il
profondo simbolismo religioso.
Per completare il quadro ricordiamo
che sono stati condotti esperimenti
sonici nella Camera del Re, dai
quali è emerso che questa è sensibile
alle frequenze molto basse grazie al
quarzo contenuto nel granito; le camere
sovrastanti avrebbero funzionato
da cassa di risonanza, modulando
diverse frequenze, e il tutto avrebbe
costituito una specie di grande diapason
per riprodurre le frequenze della
Terra. In tal caso i canali avrebbero
assunto la funzione di canne d’organo
in grado di riprodurre suoni
diversi. In seguito un terremoto
avrebbe rotto il meccanismo.
Il sarcofago stesso avrebbe
mostrato una svariata tipologia
di risonanze corrispondenti
a quelle ambientali.
Il vento creerebbe una
vibrazione armonica
compresa fra 16 e 0,50
Hz, di bassa frequenza
e non udibile dall’orecchio
umano, simile ad
un accordo in Fa
diesis che corrisponde
al centro
di risonanza
della Terra,
cosa testimoniata
dagli antichi
scritti egizi. Quindi
i blocchi sarebbero
accordati sulla frequenza
della Terra. Gli
sciamani americani
intagliavano ossa e
legno per fabbricare
flauti che producevano
la stessa nota: un Fa
diesis. Un flauto ritrovato da Leopoldo
Batres nella Piramide del Sole
a Teotihuacan, andato perduto, sembra
che "producesse una scala musicale a
sette note, diversa da quella europea”.
Tutta la materia, corpo umano
compreso, è composta da atomi che
vibrano secondo determinate lunghezze
d’onda; la malattia è una alterazione
di queste frequenze. Recenti
studi hanno confermato che ogni particella
subnucleare è influenzata dalle
variazioni lunari, terrestri e solari,
da alterazioni dei campi magnetici,
macchie solari, terremoti, dai campi
elettromagnetici; abbiamo la dimostrazione
che a livello sub atomico la
materia vi-
30
vente interagisce con qualsiasi altra
materia. Si entra nel campo della
radioestesia. La piramide assume ben
altro e più grande significato. Siamo
in presenza di un tempio o di un congegno
che, sfruttando l’energia sonica
prodotta da qualche particolare nota
musicale, svolgeva una precisa funzione
a noi sconosciuta? Le ipotesi
sono molteplici: solo un effetto scenico,
una centrale energetica o, come
ipotizza qualcuno, una porta spazio
temporale? La teoria è a dir poco
affascinante ma potrebbe divenire inquietante
se si dovesse scoprire che si
trattava di un meccanismo utilizzato
per cambiare la frequenza delle onde
cerebrali; una sorta di macchina per
il lavaggio del cervello. Notiamo che
7 Hz provocano frequenze volte al
trascinamento del cervello e frequenze
Alfa vengono usate nella
terapia della musica per contribuire
a ridurre lo stress nei
pazienti.
Non dimentichiamo le
altre ipotesi riguardo alla
sua funzione: un teodolite
di precisione, un osservatorio
celeste, una pompa per
prelevare acqua dal Nilo,
un generatore di energia. Si
narra che, sia Siemens sia tale
Cameron Verne, scoprirono
un campo di energia intorno
ad essa. A un terzo dalla base,
all’incirca nella stessa posizione
della Camera del Re, gli effetti
erano più intensi quando un lato era
rivolto al nord magnetico in linea
col campo magnetico della Terra.
Era stata scoperta l’energia, il potere
della piramide. Ricordiamo il brevetto
di Drbal per affilare lamette, le
certificazioni di effetti terapeutici, la
capacità di mummificare, la moda di
conservare tutto in involucri a forma
di piramide.
Il fisico Gohed dichiarò che quanto
avviene all’interno del monumento
contraddice tutte le leggi della scienza.
Un girasole posto nella camera
del Re gira in senso contrario. Si dice
che la piramide abbia il potere di
rallentare l’inversione dei poli magnetici
che avviene al termine della
precessione e di evitare all’umanità
catastrofi naturali.
Dalla piramide sono state estrapolate
date di eventi storici, trasformandola
in un grande contenitore di
profezie; l’elenco delle date è lungo
e comprende la nascita di Cristo,
l’esodo degli Ebrei, la scoperta dell’America,
l’inizio e la fine della prima
Guerra mondiale, ovviamente le date
della seconda; viene segnalato il 1991
come epoca di grandi cambiamenti,
l’ultima data menzionata è il 2001.
Perché non si va oltre? Per caso questa
segnava la fine del mondo?
Ma per rimanere obiettivi rammentiamo
quanto scritto da Umberto
Eco nel suo Pendolo di Foucault:
"Misurando quel chiosco vedremo che la
lunghezza del ripiano è di 149 cm. Un
centomiliardesimo della distanza Terra-
Sole, l’altezza posteriore di 176 centimetri
divisa per la larghezza della finestra di 56
fornisce il valore di 3,14. La somma degli
spigoli, 190 + 176 x 2 è uguale a 730, anno
della vittoria di Poitiers. Lo spessore del
ripiano è di 3,10 centimetri e la larghezza
della cornice della finestra di 8,8, sostituendo
ai numeri interi le relative lettere
dell’alfabeto otteniamo C10H8 formula
della naftalina."
Siamo consapevoli che quando si
parla di piramide non esistono assolute
certezze ma solo teorie, ipotesi,
asserzioni che a volte la scienza ufficiale
accetta per convenienza.
Concludiamo quindi con una ipotesi
interessante che dipinge uno scenario
fantastico, ma non impossibile,
dove un’antica civiltà evoluta tecnologicamente,
in possesso di notevoli
conoscenze astronomiche, scopre una
catastrofe ciclica che mette in pericolo
l’intero pianeta. Ogni 18.900 anni
31
Nell'immagine:
Orientamento
astronomico dei
condotti della
Grande Piramide.
32
circa i campi elettromagnetici solari
si sovrappongono, causando un’inversione
magnetica solare che porta ad
un ribaltamento magnetico terrestre;
quando il campo magnetico solare
cambia direzione tende a sbilanciare
la Terra dal suo asse, esponendola a
terremoti, inondazioni ed eruzioni
vulcaniche. Quel popolo non può
evitare il disastro, ma i sopravvissuti
decidono di avvertire le civiltà future
riguardo al fenomeno e progettano
di lasciare un messaggio costruendo
qualcosa che il tempo non possa
distruggere
facilmente.
Scolpiscono
un
monolite,
che affiora
nella fertile
pianura,
dando
forma ad
un gigantesco
Leone
che osserva
all’orizzonte
il sorgere
dell’omonima
costellazione;
indicano
così il momento
dell’inizio di una nuova epoca.
Devono avvertire che la catastrofe è
legata al ciclo delle macchie solari,
la cui durata è di 11,1 anni. Di conseguenza
innalzano tre Piramidi in
modo che la loro distanza dal Leone
corrisponda a 111,111 gradi precessionali,
stabilendo un riferimento al
ciclo delle macchie solari. Inseriscono
quindi nella piramide più grande
dei "condotti", facendo in modo che
8.000 anni dopo, cioè nel 2450 a.C.,
risultino allineati con alcune stelle; il
numero 8000 diviso per 72, valore del
grado precessionale, fornisce 111,111.
Non solo, nel costruirle fanno in modo
che esse riproducano sulla Terra la
posizione delle tre stelle della cintura
di Orione; chi leggerà il messaggio
saprà che all’epoca della costruzione,
nel 10450 a.C., risultava spostata più
in alto di 111,111 gradi rispetto alla
sua posizione perché saranno trascorse
5 fasi e si avvicinerà il completamento
del relativo ciclo di 18.900
anni solari.
Edificano la Grande Piramide con
lo scopo di rallentare, o impedire,
l’inversione dei poli; la rivestono di
calcare bianco in modo che risplenda
al sole e sia visibile da lontano, la
ricoprono di iscrizioni che narrano
l’evento disastroso, spiegano la funzione
del monumento e cosa accadrà
nel futuro. Le piramidi creeranno
una cupola di energia di smisurate
proporzioni, idonea a salvare tutto
quanto si trova al suo interno.
Oggi sappiamo che un ciclo di
macchie solari si compie in 187 anni
e 20 cicli corrispondono a 1.366.040
giorni, un collegamento alla data
di inaugurazione del Tempio della
Croce di Palenque (1.359.540). Con i
Maya un’altra corrispondenza; considerando
che la distanza massima
fra una località e l’altra è metà della
circonferenza terrestre, la sezione aurea
di tale distanza è 12.360; in realtà
12.320 chilometri separano Giza da
Teotihuacan. Per caso la loro localizzazione
dipende da un unico progetto?
Il Viale dei Morti è allineato con
il vecchio Polo Nord con un errore
di soli 2 gradi. I Maya imputavano lo
spostamento dei poli terrestri proprio
all’inversione del campo magnetico
solare di cui conoscevano la durata
ciclica. Prestavano molta attenzione
al ciclo di 260 giorni perché in tale
periodo si sovrappongono i campi
magnetici solari; il pianeta Venere veniva
difatti osservato per tenere sotto
controllo i cicli delle macchie solari
dato che dopo venti cicli si verifica
tale inversione.
Attualmente ci troviamo nel momento
in cui il Leone osserverà il sorgere
dell’Acquario; siamo nell’età del
ferro; e questo ci riporta alla mente le
parole di Enoch: "Verrà il giorno in cui
la Torre renderà ciò che le è stato affidato;
la piramide salterà come un ariete e terminerà
la triste età del ferro."
Qualcuno dice che la piramide
generi delle energie, ma c'è di più:
le stesse energie sono riscontrabili
anche in tutti i modelli della Grande
Piramide e ogni tipo di modello costruito
dicono "mummifichi" qualsiasi
tipo di materia organica morta.
Carne, pesce, uova, frutta, fiori,
erbe, etc... Tutto viene perfettamente
conservati, anche per anni.
Di tutto questo gli Egizi non dovevano
essere a conoscenza. E' risaputo
infatti che non mummificavano i loro
Re ma ne imbalsamavano i corpi, privandoli
di tutte le interiora e di quelle
parti che avrebbero potuto causare
putrefazione.
Quindi il
corpo veniva
trattato,
con procedure
speciali
e cerimonie
religiose
appropriate,
per sessanta
giorni;
un numero
determinato
più che
altro dalla
cerimonia
religiosa,
riportando
tale trattamento
alla scomparsa periodica
dal cielo Boreale della stella Sirio.
Durante questo periodo il corpo era
tenuto in appositi bagni di aromi speciali,
poi spalmato di unguenti appositi
e infine, con cerimonie sacre che
accompagnavano ogni atto, veniva
fasciato con lunghe bende. Alla fine
di tutto questo, il corpo così preparato
veniva chiamato "mummia" e
deposto nel sarcofago, con una maschera
dorata, in luoghi sotterranei
fuori dalla portata dei profanatori di
tombe.
La vera mummificazione avviene
invece nei modellini in scala della
33
34
Grande Piramide, senza mai toccare
o manomettere il soggetto durante
il periodo chiamato "d'incubazione",
che varia da alcuni giorni a qualche
mese, a seconda delle dimensioni del
soggetto da "trattare"e delle dimensioni
della piramide. Tale sconcertante
e affascinante scoperta
avvenne per caso quando
un giorno un certo Antoin
Bovis, francese, durante
un viaggio in Egitto,
visitando la celeberrima
Piramide, trovò nella
Camera del Re alcuni topi
e pipistrelli mummificati,
entrati per caso e in seguito
morti, forse per fame.
Invece di imputridirsi
o marcire, come sarebbe
stato naturale che avvenisse,
erano lì, davanti ai
suoi occhi stupiti. Con un
lampo d'intuizione Bovis
dedusse che la causa poteva
essere proprio la forma
geometrica della piramide
per cui, rientrato dal viaggio,
volle provare se la sua
intuizione fosse valida:
realizzò con del semplice
cartone un modellino in
scala 1/500 della Grande
Piramide e vi sistemò, ad
1/3 di altezza (come è situata
la "Camera del Re" )
dalla base, un gattino morto.
Attese una settimana e
quando tornò a controllare
trovò sotto la piramide il
gattino perfettamente intatto, che non
emanava alcun cattivo odore.
Provò con altre sostanze organiche:
tutte puntualmente subivano lo
stesso effetto...
La notizia, tra l'incredulità generale,
fece comunque il giro del mondo,
snobbata dagli egittologi e raccolta dai
ricercatori privati; furono eseguiti altri
svariati esperimenti, finché, da un ingegnere
elettronico cecoslovacco, Karl
Drbal, nacque addirittura il brevetto
N° 91304, per modellini di piramide
"tipo Cheope" che consentono di
mantenere bene affilate le lamette da
barba. Difatti questo piccolo modellino
(circa 10 cm d’altezza) permette ad
una semplice lametta da barba delle
più comuni di eseguire tra le 50 e le
100 rasature, purché dopo l'uso venga
rimessa all'interno della piramide.
Non è facile immaginare quanto
abbia faticato quell'ingegnere a convincere
la commissione preposta al
rilascio del brevetto, poiché in realtà
non aveva argomenti validi a spiegare
quale fenomeno avviene in una simile
struttura di cartone. Infatti passarono
10 anni prima che la Commissione
giudicasse "del tutto eccezionale"
l'invenzione (diciamo meglio, la scoperta)
dell’ing. Drbal, rilasciandogli il
brevetto.
Approfittando della stranezza di
questa invenzione, una ditta californiana
di materie plastiche mise in
vendita a scopo pubblicitario alcune
centinaia di modellini di piramide in
plastica, confezionati con una lametta
da barba in omaggio. In breve
tempo però la produzione fu sospesa
e i modellini ritirati dal mercato: la
piramide funzionava e la vendita di
lamette stava calando; la civiltà dei
consumi ha le sue leggi.
Ancora oggi non si è riusciti a
scoprire che cosa davvero accade
nello spazio all’interno della piramide.
Sono state fatte molte ipotesi: si
parla di onde cosmiche provenienti
dallo spazio, che sarebbero convogliate
e amplificate nel
centro della piramide; o
anche dell’azione del flusso
del tempo che, amplificata
dalla costruzione, renderebbe
possibile conservare
la materia organica morta,
disidratandola così rapidamente
da non darle il
tempo di imputridire.
Secondo recenti studi
sembra invece che l’energia
in ballo sia un tipo di radiazione
elettromagnetica,
dell'ordine delle nano-onde.
Tale energia, irradiata
all'esterno e concentrata
nello spazio interno, sarebbe
dovuta semplicemente
alla forma della piramide
e al fatto di possedere 5
punte: l'apice e i 4 vertici
della base, che avrebbero la
funzione di ricetrasmettitori
di nano-onde. Le punte
convoglierebbero le radiazioni
delle molecole a 1/3
d'altezza dalla base della
piramide: nella "Camera
del Re", quindi.
Comunque l'energia
che riesce a concentrare la
piramide crea un’atmosfera
fortemente satura, con lunghezze
d'onda attorno ai 10 nanometri. Lo
stesso tipo di energia viene irradiato,
in parte, anche all'esterno della punta
superiore ma non sembra avere gli
stessi effetti, comunque alcune compagnie
aeree evitano di far passare i
loro aerei sopra le piramidi poiché a
volte si rilevano strane anomalie nella
strumentazione di bordo.
35
dalla pietra gre
alla piramide
di Aldo Tavolaro
36
Nel linguaggio
iniziatico la Pietra
grezza è il simbolo del neofita che non
possiede ancora la preparazione adeguata
per partecipare alla costruzione
del Tempio Universale. La pietra
cubica è invece il simbolo di chi ha
cominciato a lavorare su se stesso e
ad acquisire le conoscenze necessarie
a concorrere a quella costruzione.
E' comunque opportuno aggiungere
che la pietra grezza è considerata
anche androgina, costituendo la
perfezione dello stato primordiale.
Inoltre essa è materia passiva, ma se
su
di essa
viene esercitata
esclusivamente l'attività umana
essa si svilirà, mentre se vi si esercita
anche l'attività spirituale, al fine di
farne una pietra levigata, essa si nobiliterà.
La pietra levigata, detta anche
cubica, esprime quindi la nozione di
stabilità, equilibrio, compiutezza.
Se alla pietra cubica sovrapponiamo
una piramide il simbolismo si estende
ad indicare la manifestazione sottile
zza
che
penetra
integralmente
quella corporea
e la domina: stiamo parlando
dell'Opera dei Saggi o Pietra Filosofale.
In altre parole, alla dimensione
umana, rappresentata dalla pietra
cubica che condensa materia e spirito,
si aggiunge la Conoscenza.
Questo simbolismo in exterioribus
merita a mio parere un approfondimento,
tanto più che è evidente
l'intenzione in superioribus di quanti
questi simboli ci hanno tramandato.
Innanzi tutto l'inclinazione degli
spigoli della piramide richiama i raggi
del sole che scendono sulla terra,
sottolineati ed esaltati da uno squarcio
fra le nubi. E questo è già un accostamento
cosmico. Inoltre, fra le tante
piramidi che ci circondano, è quella di
Cheope la piramide per eccellenza, da
numerosi anni a questa parte oggetto
di continui studi che coinvolgono
37
icercatori d'ogni parte del mondo.
In quel monumento, a parte le ipotesi
stravaganti che non mancano mai in
nessuna ricerca, sono racchiuse formule
matematiche incontrovertibili
che lasciano stupefatti e che ne fanno
un libro di pietra.
Pur se è presente il p, che è un rapporto
correlato al cerchio, sovrano è
il f, il numero d'oro 1,618, che possiamo
ben definire come il rapporto
che domina nel creato. Infattioltre
che nel corpo umano, lo troviamo nel
mondo vegetale, nel mondo animale,
in quello sottomarino e perfino nelle
distanze dei pianeti dal Sole e di alcuni
satelliti dai pianeti.
In particolare nella Grande Piramide:
• l'altezza della faccia triangolare
divisa per la metà della base dà il
numero d'oro 1,618;
• la superficietotale della piramide
divisa per la superficie laterale dà
1,618;
• la superficie laterale della piramide
divisa per la superficie di base
dà 1,618;
• l'altezza della piramide divisa per
la metà del lato di base dà 1,272,
che rappresenta la radice quadrata
di 1,618;
• la lunghezza dello spigolo laterale
divisa per l'altezza della faccia
triangolare dà 1,174, che è la radice
cubica di 1,618;
• la superficie di una delle facce
laterali triangolari è uguale al
quadrato dell'altezza del monumento;
• l'altezza della piramide è medio
proporzionale tra la metà del lato
di base e l'altezza della faccia
triangolare;
• l'altezza della faccia triangolare
divisa per l'altezza della piramide
dà 1,272, radice quadrata di 1,618;
• dividendo il perimetro di base della
piramide per il doppio dell'altezza
si ottiene 3,14;
• la superficie del quadrato di base
divisa per la superficie del triangolo
mediano, corrispondente alla
sezione della piramide, dà 3,14.
La piramide è un libro di pietra, vi
sono racchiuse le conoscenze matematico-geometriche
che regolano
gran parte del creato, ma è anche
un esempio di come il numero sia
qualcosa di più di una entità astratta
usata per descrivere una quantità.
38
ORIZZONTE adv
39
Introduzione
al giubileo
di Franco Ardito
“I
ntroduzione al Giubileo”, ultimo del
libro di Claudio Monachesi, a
prima vista potrebbe sembrare una
delle tante attività fiorite intorno al
Giubileo della Misericordia e interessanti
solo perché funzione di questo
accadimento. Basta aprirlo, però,
per rendersi conto che si tratta di
tutt’altra cosa, che il Giubileo papale
ne rappresenta solo un aspetto e, per
certi versi, un puro pretesto e che il
libro vive di vita propria, mettendo
insieme concezioni cristiane, sacre
scritture, qabbalah, logiche iniziatiche
e tradizioni esoteriche diverse,
collegate e armonizzate da una mente
eclettica qual è quella di Claudio
Monachesi. Talchè non è strano che
nell’introduzione di Fabrizio Mariani,
peraltro scritta per la prima
stesura di Introduzione al Giubileo
2000 e qui riproposta, si parli di
percorso iniziatico in cui i luoghi,
pur sacri alla cristianità, diventano
luoghi dell’anima, cammino di perfezione,
strumenti verso la ricerca di
se stessi. Si scopre così che il pensiero
cristiano estende le sue radici in
territori ben più profondi dei semplici
aspetti dogmatici e devozionali, e
che anche in essi è la potenza della
rigenerazione.
Il viaggio si sviluppa attraverso
la “Rosa del Giubileo”, suddivisa in
12 settori perché il 12 rappresenta il
numero della completezza, del ciclo
concluso, che diventano 14 se si considerano
anche il sopra e il sotto. In
questo modo il cerchio si trasforma
in struttura elicoidale, scopre l’alto e
il basso, la necessità di salire.
La “Rosa del giubileo” comprende
40
tutti gli spazi da visitare, con i relativi
“misteri”, da scorgere soprattutto
nella propria interiorità:
1. S. Maria ai Martiri, situata
nel Pantheon, un testimone bimillenario.
Rappresenta i misteri dell’iniziazione
e dell’ascensione in cielo
come passaggio di un culto in un altro
culto, di un cielo in un altro cielo.
2. S. Maria in Vallicella, la
Chiesa Nuova fatta costruire da San
Filippo Neri, che vi è sepolto. Individua
i misteri della gioia e dell’allegria.
3. San Pietro in Vaticano, la ricchezza,
le due chiavi: d’oro e d’argento: i
misteri della grandezza di questo mondo.
4. Porziuncola, luogo della
riunione mondiale delle religioni; è il
simbolo dei misteri del farsi piccoli.
5. S. Maria Aracoeli, il risveglio
dal sonno, Mosè ed Elia, Cesare Augusto.
I misteri della trasfigurazione.
6. S. Paolo fuori le mura e l’Abbazia
delle Tre Fontane, la tomba
di Paolo nella croce egizia. Il luogo del
martirio. L’altare di San Bernardo di
Chiaravalle con accanto l’Ara dei Fratelli
Arvali: i misteri della conversione.
7. San Sebastiano fuori le mura.
La “Memoria Apostolorum” nelle
catacombe. Due acrostici: Ictus,
Vitriol. Le orme dei piedi (i pesci) lasciate
sulle pietra da Gesù). I misteri
delle profondità degli abissi e della
Pentecoste.
8. San Lorenzo fuori le mura.
Due basiliche che si uniscono una
all’altra annodandosi agli absidi. Il
silenzio. La cenere di Lorenzo. I misteri
della morte.
9. Santa Croce in Gerusalemme.
Le ultime sette parole di Gesù sulla
croce. Le 14 stazioni della Via crucis.
INRI, INBI, INMH. I misteri della
passione.
10. Santa Maria Maggiore. La
fondazione rituale con l’aratro fatta
da Papa Liberio, che ne tracciò il
perimetro similmente agli antichi. I
misteri della nascita, della verginità,
dell’assunzione.
11. Santa Prassede, dove è stato
raccolto il sangue di circa duemilatrecento
martiri. I misteri della Gerusalemme
Celeste.
12. Santo Stefano Rotondo,
il sepolcro di Gesù. I misteri della
resurrezione.
13. San Giovanni in Laterano,
Mater Urbis et Orbis, ovvero i misteri
dell’ascensione in cielo.
14. Sancta Sanctorum, ovvero i
misteri di “Atziluth”.
Così il ciclo è completo. Obiettivo
del viaggio è assumere l’esperienza
giubilare a motivo iniziatico,
farne una strada d’elevazione, la
propria strada, vivendola in modo
pieno e completo, trasportandosi in
un luogo non luogo, in un tempo
al di là del tempo, sostanzialmente
muovendosi in una dimensione
sacrale con la coscienza di essere
noi stessi luogo, tempo e sacralità.
E ritrovare se stessi alla fine del
viaggio, con la consapevolezza che
un ciclo si è concluso, e che siamo
in grado di iniziarne un altro.
Ci ritroviamo di nuovo tutti insieme
giù, poco fuori l’edificio della Scala
Santa; ci sono ancora commenti richieste
consigli interrogativi baci strette di
mano... E qualcuno che si meraviglia
del tempo, repentinamente cambiato,
senza più vento, il cielo d’un grigio uniforme
e una pioggerellina che quasi non
bagna i nostri capelli i nostri vestiti.
Alcuni di noi per andare alle automobili
camminano ancora insieme,
alcuni osservando il cielo... Sono stanco,
ma soddisfatto e quasi incredulo che
sia potuto accadere tutto questo... Una
vecchia mendicante farfuglia con la
bocca vuota ‘la carità’… E in fondo, già
visibile, la statua di S. Francesco benedicente...
E di lato Porta S. Giovanni, e
le mura aureliane che si dirigono virili
verso S. Croce in Gerusalemme.
“ Dove andiamo a cena stasera?”
Claudio Monachesi
Introduzione
al Giubileo
Edizioni
Terre Sommerse
www.terresommerse.it
41
arte e scienza
di Paolo Maggi
42
“O tu ch’onori scienzia ed arte,
questi chi son c’han cotanta orranza,
che dal modo delli altri li diparte?”
E quelli a me: “L’onrata nominanza
Che di lor suona su nella tua vita,
grazia acquista in ciel che sì l’avanza”
(Inferno, IV)
Dante, un maestro di sapere,
come il suo Virgilio, per essere
definito tale doveva essere un erudito
tanto nelle materie scientifiche, quanto
il quelle letterarie. Ma esiste oggi
nella cultura moderna un dialogo tra
arte e scienza? Almeno apparentemente
no. Nella mentalità corrente il
sapere umanistico e il sapere scientifico
sembrano anzi essere due forme
di conoscenza in antitesi tra loro. Sono
percepiti come due modi di vedere
il mondo completamente divaricanti,
basati il primo su un approccio intuitivo
ed estetico alla realtà, il secondo
su un approccio razionale. E tra di
essi non può essere stabilito nessun
rapporto di collaborazione. Due mon-
Nella foto:
Jan Vermeer.
L'Astronomo
(1668)
43
44
di che, peraltro, spesso si guardano
l’un l’altro con reciproco disprezzo.
Eppure questa dicotomia tra arte
e scienza è relativamente moderna,
frutto della rivoluzione scientifica del
XVIII secolo. In epoca classica non
esisteva una contrapposizione tra la
dimensione estetica e quella scientifica.
Basti pensare che il termine greco
techne e l’equivalente latino ars, significavano
entrambi tecnica, ma anche
arte. Le grandi filosofie dell’antichità
erano spesso un esempio di profonda
armonia tra scienza ed arte. Pitagora
e i suoi successori vedevano il mondo
della natura, quello della matematica
e della musica intimamente interconnessi.
Ippocrate, nel V secolo a.C.,
dava della medicina una definizione
che si collocava a metà strada tra le
certezze dell’episteme e le incertezza
dell’esperienza empirica.
Aristotele poi aveva un’idea ben
chiara di cosa potesse essere definita
arte, un’idea rivoluzionaria e tuttora
attuale, ancorché ignorata dai più:
arte e scienza sono entrambe figlie di
un’unica madre, l’esperienza. E l’arte
è punto di incontro fra molte competenze
empiriche.
“L’esperienza è per gli uomini solo il
punto di partenza da cui derivano scienza
ed arte. L’arte nasce quando da una molteplicità
di nozioni empiriche venga prodotto
un unico giudizio universale che abbracci
tutte le cose simili tra loro. Infatti l’esperienza
si limita a ritenere che una certa
medicina sia adatta a Callia colpito da una
certa malattia, o anche a Socrate o a molti
altri presi individualmente; ma a giudicare,
invece, che una determinata medicina
è adatta a tutti costoro considerati come
un’unica specie (ossia affetti, ad esempio,
da catarro o da bile o da febbre), è compito
riservato all’arte.” (Aristotele, Opere,
Metafisica, Laterza Bari, 1988).
Dunque, la definizione di arte che
dà Aristotele, è assai più ampia di
quella comunemente intesa, che la
vede solo come un’attività umana che
porta a forme creative di espressione
estetica. E la medicina, secondo la
Leonardo da Vinci e il
Rinascimento
L’esergo ci ricorda poi come, nel
Medioevo, il sapere fosse percepito
come un’unità che non poteva
prescindere dalle sue due principali
componenti. Ma forse è il Rinascimento
l’epoca in cui sono stati più
stretti i rapporti tra scienza ed arte,
soprattutto grazie all’opera geniale di
Leonardo da Vinci che ha rappresentato
il più alto punto d’incontro tra
questi due universi. Le sue macchine
ne sono un chiaro esempio. Macchine
da guerra e teatrali, idrauliche e
industriali, per muoversi sulla terra,
sopra e sotto le acque, e per volare.
In esse, lo studio della prospettiva,
nato nel mondo della pittura, assume
un ruolo centrale. Ma Leonardo, artista
e scienziato, non costruisce solo
macchine. Studia la natura: le forme
delle nubi, il movimento delle acque,
gli insetti e gli uccelli. E soprattutto
il corpo umano. Leonardo dunque
personifica l’idea aristotelica di arte e
scienza: entrambe sono intimamente
connesse, frutto di un'incessante ricerca
empirica. E collaborano fra loro
per produrre conoscenza.
In tutto il Rinascimento gli artisti
usano la prospettiva per rappresentare
e per documentare il mondo
che li circonda. Ma la prospettiva
ha un ruolo ancora più importante
nella filosofia dell’epoca: è usata per
assegnare all'uomo un ruolo nuovo
nel creato. Un ruolo centrale. La
geometria e la matematica diventano
dunque sia un mezzo per rappresentare
il mondo, sia per conferire
all’uomo che lo osserva una posizione
di preminenza.
visione aristotelica, allora come ora, è
arte per eccellenza.
La situazione attuale
Oggi vi sono delle zone di confine
in cui arte e scienza sembrano tornare
a dialogare, come nel Rinascimento.
E il punto di incontro sembra
tornato ad essere il mondo delle
Nella foto:
Leonardo da Vinci,
L'uomo vitruviano
(ph. Luc Viatour)
45
Nell'immagine:
Alberi come frattali.
46
immagini.
I frattali ne sono un esempio. Nel
1975, un matematico francese di
origine polacca, Benoit Mandelbrot
coniò il termine frattale per indicare
quelle forme geometriche che, a differenza
di quelle euclidee, non sono
regolari. In natura ne esistono esempi
diversi: dai fiocchi di neve alle nuvole,
alle montagne, ai rami degli alberi.
Un albero ha molti rami, e questi
somigliano a piccoli alberi, i rami
grandi si dividono in rami sempre più
piccoli, e anche questi somigliano ad
alberi ancora più piccoli. In alcuni
casi, come i cristalli, questo fenomeno
è riproducibile fino a livello microscopico.
Si tratta della cosiddetta
autosomiglianza frattalica. E fu proprio
con le immagini tridimensionali,
realizzate presso i laboratori IBM,
che Mandelbrot riuscì a dimostrare la
sua nuova teoria geometrica. E' stato
questo un evidente esempio di convergenza
tra arte e scienza. Quelle
immagini hanno sorpreso per la loro
bellezza e, al tempo stesso, per il loro
valore scientifico. C’è chi sostiene
che un panorama, un arredamento,
un’immagine ci colpiscono per la loro
bellezza non quando hanno le forme
squadrate della geometria euclidea,
ma quando ripropongono il fenomeno
dei frattali.
Nel 1986 la 42esima edizione della
Biennale di Venezia, curata dal grande
critico dell’arte Maurizio Calvesi,
fu dedicata proprio al rapporto tra
arte e scienza. E furono invitati i
principali esperti in questo campo. In
quell’occasione, le immagini generate
al computer furono definite una nuova
tecnica paragonabile per importanza
alla scoperta rinascimentale della pro-
spettiva. In quegli anni Donna Cox,
un’artista che da anni lavora a fianco
di scienziati all'Università dell'Illinois,
scrisse un saggio intitolato "Rinascimento
digitale", espressione ancora oggi
utilizzata per definire il rapporto fra
arte e tecnologia. Il computer oggi,
come lo studio della prospettiva all'epoca
di Leonardo, è un mezzo per rappresentare
e ricostruire il mondo che
ci circonda. Con il computer siamo in
grado di rappresentare un universo in
cui le barriere spazio-temporali sono
state abbattute. Con il computer è
possibile generare nuove immagini,
nuovi modelli sia della realtà, che dei
prodotti della tecnica. La prospettiva
del terzo millennio è dunque il computer
e il suo immenso potere di rappresentazione.
Il computer ha ripreso
a far dialogare scienza e arte.
Roger Guillemin, Nobel per la
medicina nel 1977 per aver scoperto
le endorfine, si dedica da alcuni
anni all’arte digitale. Egli sostiene
che la tecnologia e, in generale, tutte
le applicazioni della scienza sono
vicine all'arte perché, come quest’ultima,
sono vere e proprie creazioni
della mente umana. E il computer è,
ancora una volta, il punto d’incontro
tra arte e tecnica, perché con esso si
possono fare calcoli scientifici, come
realizzare opere d'arte.
Sotto:
Mosca bianca,
opera digitale di
Antonio Riello.
47
48
La ricerca del bello
Ma arte è anche rapporto con il
bello. E vi è una affascinante quanto
controversa teoria secondo cui la nascita
delle scoperte scientifiche sarebbe
guidata dalla ricerca del bello. In altre
parole, la storia della scienza sarebbe
una storia d’immagini che hanno
attirato gli scienziati
per il loro fascino, la
loro bellezza, la loro
semplicità e, come
conseguenza naturale,
la loro veridicità.
Secondo questa
ipotesi, la sensazione
di bellezza che si può
provare di fronte ad
una teoria può essere
tale da rendere possibili
quei balzi della
mente dall’esperienza
sensibile all’intuizione
di un’ipotesi scientifica
rivoluzionaria,
che sono in grado
di superare i vincoli
coartanti del rigoroso
criterio deduttivo.
Certo, il senso
artistico, il senso del
bello possono aiutare
molto la mente intuitiva
che oggi molti
sono disposti a ritenere
il vero motore di
ogni grande scoperta
scientifica, e la bellezza
dell’immagine,
intuita nel fenomeno
naturale studiato,
può essere essa stessa
talmente potente da
rendere secondaria l’importanza della
validazione sperimentale della teoria:
Pulchritudo splendor veritatis.
Indubbiamente si tratta di una teoria
molto discutibile, che trova le sue
origini nelle testimonianze di grandi
scienziati che hanno descritto le loro
scoperte.
Il fisico matematico Hermann
Weyl disse: “Nelle mie ricerche mi
sforzai sempre di unire il vero al bello; ma
quando dovetti scegliere fra l’uno e l’altro,
di solito scelsi il bello” .
Lo stesso Einstein, rispondendo
a chi gli chiese cosa avrebbe fatto se
l’esperimento non avesse confermato
la sua teoria, disse: “Tanto peggio per
l’esperimento. Ha ragione la teoria!”
Paul Dirac, dopo aver costruito
un’equazione dell’elettrone matematicamente
più elegante delle prece-
denti, che in seguito portò alla teoria
dell’antimateria, affermò: “Per le nostre
equazioni la bellezza è più importante
dell’accordo con gli esperimenti”.
Werner Heisenberg, parlando del
momento in cui realizzò l’importanza
di una sua scoperta, racconta: “La
mia prima impressione fu di sgomento:
ebbi l’impressione di osservare, oltre la
convincenti. Un fatto è certo: la bellezza
della natura è un potente stimolo
allo studio dei suoi misteri. Diceva
il grande matematico Henri Poincaré:
“Lo scienziato non studia la natura perché
sia utile farlo. La studia perché ne ricava
piacere; e ne ricava piacere perché è bella.
Se la natura non fosse bella, non varrebbe
la pena di sapere e la vita non sarebbe
degna di essere vissuta
(...). Intendo riferirmi
a quell’intima bellezza
che deriva dall’ordine
armonioso delle parti e
che può essere colta da
un’intelligenza pura”.
superficie dei fenomeni atomici, un livello
più interno di misteriosa bellezza”.
I detrattori di questa teoria ricordano
che, in alcuni casi, le ipotesi
dimostratesi vere non erano necessariamente
quelle più esteticamente
Arte e Medicina
Pochi dubbi invece
vi sono che sia la
medicina il territorio
in cui arte e scienza si
incontrano e generano
i risultati migliori.
Questo perché la salute
è un’entità molto
diversa da qualsiasi
altra cosa ci circondi
e che possa coinvolgere
l’attività dell’uomo.
La salute non
è un prodotto della
tecnica, e dunque
il medico non è un architetto,
un ingegnere
o un artigiano. La
salute non è ricerca o
conoscenza e dunque
il medico non è uno
studioso nel senso
stretto del termine,
o un insegnante. La
salute non è organizzazione
sociale e dunque
il medico non è un avvocato, un
economista o un politico. La salute non
è un’opera d’arte e dunque il medico
non è un artista, almeno nel significato
corrente che diamo a questo termine.
Eppure per riprodurre o per tutelare la
Nella foto:
Lezione di anatomia
di Velpeau all'Hôpital
de la Charité-
Tavola di Augustin
Feyen-Perrin (1864).
49
Nell'immagine:
Pablo Picasso,
Scienza e Carità,
1895. Museo Picasso
de Barcelona
50
salute servono tutte le cose che abbiamo
citato: la tecnica, la ricerca, la
cultura, l’organizzazione sociale. E il
medico deve interessarsi spesso di tutte
queste discipline rimanendo sempre
altro da ciò, restando un punto d’incontro
e sintesi di questi diversi saperi,
secondo la definizione che dà del’arte
Aristotele.
Infine, a proposito di arte, non possiamo
dimenticarci che, ancor oggi,
l’unica categoria entro la quale può
ricadere l’attività del medico è quella
dell’arte, appunto, l’arte medica.
E se, per Aristotele, l’arte medica
nasce dall’incontro fra le diverse discipline
del sapere empirico di cui essa si
compone, il metodo medico consiste
nel ricostruire il percorso tra queste
discipline. Studiare il metodo somiglia
un po’ a quel gioco nel quale si disegnano
figure su di un foglio unendo i
puntini secondo una data sequenza.
La finalità è una sola: acquisire
un’intelligenza complessiva del sapere
umano, che permette di interagire
saggiamente con il corpo ammalato.
L’intelligenza complessiva del sapere è
una delle prerogative che caratterizza
questo indefinibile mestiere che deve
far dialogare la scienza, la tecnica, la
cultura, la società. E si fa, per questo,
arte, secondo l’idea di Aristotele.
Possedere l’intelligenza complessiva
del proprio ruolo è una caratteristica
di quei pochi che sono ancora
capaci di coltivare campi diversi
del sapere umano, e che riescono a
sottrarsi alla marea montante dell’analfabetismo
culturale, che oggi ci
vorrebbe tutti superesperti nel nostro
ristrettissimo campo d’interesse e
totalmente ignoranti di tutto il resto.
Tornare ad avere l’intelligenza
complessiva della scienza vuol dire
tornare a considerare l’uomo di
scienza e il medico come punti di
incontro e di sintesi tra sapere scientifico
e sapere umanistico, riuscire a
individuare come il proprio campo di
conoscenza si colloca nella società e
nella storia.
E' uscito
ORIZZONTE MAGAZINE
E' possibile sfogliarlo e scaricarlo gratuitamente all'indirizzo web
http://www.orizzontemagazine.it/orizzonte-n8-agosto-2016/
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