mimesis 2016 libro
Tutte le poesie premiate alla XIX edizione del Premio Nazionale Mimesis di poesia. Articoli, fotografie, link
Tutte le poesie premiate alla XIX edizione del Premio Nazionale Mimesis di poesia. Articoli, fotografie, link
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In copertina l’opera Matrix Divina del
M° Massimo Patroni Griffi.
Sito dell’Associazione Culturale Teatrale Mimesis
www.associazionemimesis.com
Sponsor dell’antologia
Video d’apertura della XIX edizione del Premio
Nazionale Mimesis di poesia.
https://www.youtube.com/watch?v=GvwWNDisDn8
Gabriele Sparagna e Giorgia Tommasino ricevono il premio
per “ i piccoli poeti”. Con Giovanna La Vigna, Mariano
Dinacci e il Presidente di Mimesis Nicola Maggiarra
Giuria e staff
Prefazione Antologia poetica Matrix Divina-Mimesis 2016
Antologia varia, articolata, plurale, che, con tutte le opere selezionate,
ci offre un esempio concreto e palpabile dei diversi stili con cui la
poesia contemporanea si propone al lettore.
Scrivere di Poesia, e fare Poesia sono cose serie; non si improvvisa,
se poveri di mente o di emozioni. E basta questo? No di certo. Lo
scoglio più grande è forse la parola, che il poeta, come giocoliere,
lavora, ritaglia, smussa, arrotonda, dilata, inventa insomma; fino a
darle quel senso umano che dell'umano ha qualcosa di più. Se poi la
Natura ti s'aggrappa all'anima, la fa sua quest’anima, la rapisce e la
trascina fra colline aspre di mare, su montagne brillanti di neve, su
piane meriggiate di sole, o su orizzonti senza limiti per gli azzardi di
una vista mortale, e dopo averla colorata è disposta a ridartela carica
di sostanza che parla di te, della tua storia, allora è lei che dice tutto,
e tu, silenzioso e in estasi, l'ascolti mentre proficua ti rende la sua
preda. Ed è lì che il tuo fatto si fa storia universale.
È tutto là il grande senso della poesia: andare oltre i confini
dello spazio ristretto in cui viviamo. Ed è quello che fanno i POETI
con le loro impennate verbali, con le loro intuizioni etimo-foniche,
con le loro vibrazioni interiori e con quel grande slancio fonicolinguistico
vòlto a completare l'equilibrio eternamente umano e
dis/umano fra il seno che canta e la parola che suona.
E sono proprio questi poeti che con i mezzi terreni, forse
troppo terreni, cercano, con una vertiginosa verticalità, di allungare
lo sguardo oltre quei limiti che esigono l'apporto dell'anima. Se poi
l'abbondanza di emozioni è sorretta e controllata da intrecci metrici
di grande impatto armonico si fa da brividi il poièin. E parlo
dell'impiego di una saggia varietà versificatoria, che, passando da
misure brevi a più ampie, prepara il terreno a una cascata di armonie,
epicentri e culmini di luminosa liricità. Direbbe il poeta: "La vita ha
bisogno del sogno, come la morte ha bisogno della vita. Ma è
proprio la morte a far sì che il sogno vada oltre l'umano per farsi
sostanza, e pezzo di un cuore che vinca la sorte".
Qui si canta; i versi dicono di musicalità, dicono di cultura, di
organicità, di equilibrio, di suoni che accarezzano i sensi, di misure
intrecciate in nessi corrispondenti ai ritmi che da sempre pulsano
nell’umano esistere. Da che l’uomo è uomo. E non c’è argomento
che non sia adatto a tradursi in poesia: sociale, politico, erotico,
religioso… Basta che il Poeta lo faccia suo, lo imbeva del suo sentire,
lo trasformi in immagine e lo renda al foglio pregno di vitalità. Sta
qui la differenza fra realtà e immagine. Se mi soffermo su un
oggettivismo piatto, disanimato, e impersonale tutto al più faccio
cronaca, non certo poesia.
I più grandi autori antichi e contemporanei ci hanno dimostrato
che l’unico mezzo di ostacolare la morte è il ricorso alla memoria. A
quel pozzo inesauribile di vicende che, sfumate dal tempo, ma non
vinte, ci parlano di fragilità, di amore, di malinconia, di cose perse, e
sempre vive; di vicende che ci chiedono di tornare a respirare aria di
terra natale, familiare.
E noi possiamo farlo, possiamo soddisfare le richieste di tale
vicende: lo possiamo fare incastonandole nell’armonia del canto.
Nazario Pardini
Si comincia, il pubblico è straordinario.
Stefano Fucili e la sua band Piazza Grande per l’omaggio
a Lucio Dalla: “L’ultima luna”
La Repubblica venerdì 26 agosto 2016
Il M° Fabrizio Martone
Il Giornale di Latina
Il Messaggero venerdì 26 agosto 2016
MIMESIS: da sinistra, Giovanna La Vigna, Nino Fausti,
Nicola Maggiarra, Patrizia Stefanelli, il segretario Giovanni
Martone, Mariano Dinacci . Manca in foto la redazione di
Mimesis con Marco Martano e Barbara Scudieri che in questo
momento effettuano le riprese video.
PREMI CONFERITI
SEZIONE "A" POESIA INEDITA
1° classificato: € 500, offerti dal Comune di Itri, targa ricordo,
pergamena con motivazione
e 5 copie dell’antologia;
2° classificato: € 200, targa ricordo, pergamena con
motivazione e 5 copie dell’antologia;
3° classificato: € 100, targa ricordo, pergamena con
motivazione e 5 copie dell’antologia.
SEZIONE "B" POESIA EDITA
1° classificato: Contratto editoriale gratuito con la C E
“Edizioni Stravagario” che prevede la pubblicazione di una
silloge di 60 pagine in 100 copie, targa ricordo, pergamena con
motivazione e 5 copie dell’antologia;
2° classificato: € 200, targa ricordo, pergamena con
motivazione e 5 copie dell’antologia;
3° classificato: € 100, targa ricordo, pergamena con
motivazione e 5 copie dell’antologia.
FINALISTI VINCITORI di entrambe le sezioni:
Monile in argento creato da Esmeralda Crea e Marco Tessari,
pergamena con motivazione, 5 copie dell’antologia, una
confezione di vini pregiati dell’Azienda Agricola Monti Cecubi
di Itri.
SEZIONE "C" POESIA DIALETTALE EDITA O INEDITA
(con allegata traduzione in italiano)
1° classificato: PREGIATA CREAZIONE di Massimo Patroni
Griffi, pergamena motivazione e 5 copie dell’antologia;
2° classificato: Targa, pergamena con motivazione e 5 copie
dell’antologia;
3° classificato: Targa, pergamena con motivazione e 5 copie
dell’antologia.
PREMIO SPECIALE STAMPA: Nella serata di premiazione
una giuria di giornalisti, critici ed editori, assegnerà, in
estemporanea tra tutte le poesie selezionate, il “Premio
Speciale Stampa” alla poesia di maggiore impatto
comunicativo. Targa artistica e pergamena con motivazione.
POESIA INEDITA
I CLASSIFICATO Rodolfo Vettorello. Riceve il premio del
Comune di Itri, dall’assessore alla cultura Dott.ssa Paola Soscia
e dal Sig. Sindaco Dott. Antonio Fargiorgio.
Dammi lavoro Dio, dammi lavoro
Dammi lavoro Dio,
dammi il dolore
del corpo che si piega alla fatica,
dammi la fame che mi fa capire
che il pane costa lacrime e sudore.
Non devi darmi giorni di sereno
se non mi dai le piaghe sulle mani..
Domani avrò il coraggio di parlarle,
di dirle che ho perduto il mio lavoro.
Quest’oggi fingerò che non sia stato
e partirò col treno del mattino.
Il giorno passerò sulla panchina
d’una sala d’aspetto, alla stazione.
Domani forse le dirò ogni cosa:
la donna capirà che sono un uomo
che pregherebbe Dio di avere in dono
la morte certa al posto di lavoro
piuttosto che la morte per vergogna.
Si muore tutti e alcuni sulla scena.
Vorrei morire, Dio dei disperati
come muoiono i santi sulle croci,
coi ferri del mestiere alla cintura
e nelle mani
il fuoco del sudore che le brucia.
II CLASSIFICATA Caterina Cellotti. Premiata dal
Prof. Pasquale Balestriere.
Nei sereni giardini della sera
Danza nell’aria un fremito d’aurora
un’alchimia di luci e di presagi: è l’età
dei vent’anni, l’età degli anni nei boccioli
un guizzo ardito tra pensieri e sogni.
Mi dici – Vorresti ripercorrere quegli ani?
Tornare indietro, vivere quel mono
cullando attese, passioni, ansie, germogli?
- No, grazie – non ho esitazioni.
La vita ha già scritto sulle pagine bianche
del mio libro, tra ossimori del troppo
o quasi niente, tra fragili scintille e meraviglie
tra poche primavere e lunghi inverni
la pelle che scolora o che sfavilla.
E poi, a cosa è valso riempire il mio
bagaglio che a volte tanto pesa di fatica
a volte lo sospingo in braccio al vento?
Un bagaglio che ho colmato di tenera
memoria, di voci accarezzate dal sorriso,
dell’amore donato a piene mani
di lacrime sigillate nelle tasche
di preghiere, d’idee… Se torno indietro,
tutto svanisce nel sentiero nascosto
di un viaggio tra cenere di giorni arrugginiti
e fossili di cieli già ammansiti.
E parlano le rughe a custodire trepide
memorie di ciò che non si è più e
a spiegare il senso vero di ogni cosa.
Forse mi piacerebbe la magia di un attimo
soltanto: al tempo dolceamaro scivolato
tra le dita, al rapido invecchiare lento
della vita, mescolare un riverbero d’aurora
quando il sole appare e accende
il cuore, ricamando profumi e voli e canti
e poi… sostare nei sereni giardini
della sera.
III CLASSIFICATO Mauro Corona. Premiato dal
Prof. Candido Meardi.
Ti sia certo l’istante che non vivi
Il non essere e l’essere erano suono
(Lorenzo Calogero)
Ti sia certo l’istante che non vivi
e delle piume il vento
se cogli attimi d’incanto nella pioggia
o se la nebbia curva la parola
e la dissimula dal vero
Ti sia pena allora o vanto se il vento
allontana da te
le nostre varie umanità e ricerca
lo spento fulgore che ti nasconde
al canto
Tu sei una natura dalla materia densa
e indecifrata, mutevole traccia
degli eventi e muta come i colli a sera
di pioggia e d’alberi percorsi nei sentieri
Ti sopravvive l’estro o la penuria greve
dei pensieri se basta chiudere le mani
per trattenere il fiato che non torna
Un’alchimia lieve ti resta
dove muti silenzio in canto
e la perduta voce delle cose
IV CLASSIFICATO Giovanni Caso
Sulla scacchiera dell’eternità
Ci resta poco ormai del nostro giorno
che volge al suo crepuscolo dorato,
ci consegniamo al miele del silenzio,
come fiumi volteggiano i pensieri.
Se potessimo insieme riascoltare
il canto dei gabbiani, se sapessimo
disegnare la luna dell’infanzia,
tutto sarebbe bello come allora.
Ma la luna già cala oltre le siepi.
Eppure custodiamo nel respiro
il profumo dei primi aspri germogli.
Non siamo più i fanciulli che salivano
sui muri dei giardini, il fiato in gola,
il tempo ormai accompagna i nostri passi
verso le rive dell’autunno, all’acqua
delle memorie
– ma non manchi il fuoco
per vincere l’inverno, né un’altana
per afferrarci al vento delle stelle.
C’è un’alba di trifoglio sul cuscino
quando ci risvegliamo
– ed ogni volta
andiamo col sorriso sulle labbra
a filare coi grilli i nostri panni.
Ognuno è un universo nel suo corpo
di fragile farfalla, ognuno ha forza
per non fermarsi al sasso della soglia.
Il cuore è in viaggio e non si ferma ancora.
Eppure siamo lembi di un sussurro
sulla scacchiera dell’eternità.
V CLASSIFICATO Giuseppe Barba
Mare di ieri, mare di oggi
Seduto a meriggio fra piccole dune,
nascosto alla strada da due tamerici,
rivedo la vita, le ormai troppe lune,
i giorni più tristi, le ore felici.
Un sole di sangue mi invoglia a pensare,
e nel vento che palpita come il mio cuore
s’accendono e spengono scaglie di mare,
lampi d’un tempo, ricordi d’amore.
Ricordi di lune su campi di grano,
papaveri e spighe a vegliare sospiri,
il silenzio del mondo, concerti d’arcano,
le Pleiadi e l’Orsa, i loro respiri,
capelli a ventaglio fra i trifogli e le viole,
occhi di sogno tra mimose e asfodèli,
due labbra corallo più calde del sole,
un alcova di muschio tra i fiori e gli steli.
E memorie di notti su letti di sabbia,
fra lingue di mare a lambire la pelle,
fra giunchi ondeggianti a fare da gabbia,
e lassù San Lorenzo a incendiare le stelle;
e sul carro dell’Orsa viaggiava l’ebbrezza,
viaggiavano l’anima e mille chimere,
e il mondo era un volto, una dolce carezza,
e tutto era lì, in quelle magiche sere.
Adesso da vecchio, in qualche notte di luna,
ti cerco, mare che muovi il mio cuore,
anche se oggi, allo scoglio e alla duna,
tu porti pezzi di un mondo che muore,
putridi resti di sogni e speranze
di bimbi che han perso i loro domani,
e narri storie di orrore e mattanze
e di un Dio che non vede inferni lontani.
VI CLASSIFICATA Carla Baroni
La stria e il partigiano
La stria venne, con la scura pelle
nere le lunghe vesti e tra i capelli
un qualche filo bianco. Via via
brutta stria che rechi la magia
cantavano i bambini che abitavano
le case in riva al Po andando a letto.
E si imputava a lei ogni malanno
che capitasse a caso sul podere,
la mucca senza latte, la mal bianca
che faceva cader le foglie al pero
e se il fiume ingrossava, maledetta,
era lei che faceva la fattura.
Venne di notte, aveva mani lunghe
capaci di frugare in mezzo all'erbe
e trovarvi l'aneto e la cicuta
e il tarassaco e il latte di gallina
tutti a guarire, tutti a far unguenti
o tisane che fanno addormentare.
E invece trovò lui il partigiano
ferito ad una gamba da un moschetto
forse di un suo compagno un po' sbadato.
Lontani spari a sbalzi sopra l'argine
e a tratto a tratto un luccichio nel buio.
L'uomo gemeva, gli occhi come brace,
la bella bocca tumida socchiusa
e lei, di nuovo, si sentì una donna
non più la fattucchiera disprezzata.
E lo trascinò quasi alla sua casa
fatta di pietre e frasche, una capanna
nascosta tra le foglie degli ontani.
E sciolse sulle spalle i bei capelli
e gli guidò la mano sopra i colli
turgidi dei suoi seni sitibondi.
Tempesta fuori, tra gli spari e i tuoni
si udivano le raffiche del vento
ma più grande tempesta era nei cuori.
E fu così per giorni, notti e giorni
poi il vento si acquietò, il fiume pure...
Quando le nacque un figlio, tutti dissero
che il diavolo l'aveva posseduta,
ma quel bimbo così tanto voluto
le rischiarò il sentiero della vita.
Nessuno seppe mai del partigiano
che attraversò di notte il fiume a nuoto.
VI A PARI MERITO Roberto Benatti
Potrà mai finire l’amore?!
Non l’egoismo d’un volto,
né il vibrar d’una voce;
un alone intorno al ricordo,
l’amore,
una lama fra le palpebre
a tagliare l’ombra,
a ferire l’illusione.
E’ un guado l’attesa
sul fiume di zelo
che non prova vergogna,
perché l'amore è eterno:
l’avanti e indietro
d’un barcollar di cimase.
I semi d’amore
germogliati nella paura
aspettano inerti
che il vento li strappi.
Chi potrà fermare
le parole ormai dette?
E chi sa dirmi di lei?
Se parla
del ragazzo dai capelli bianchi
che la insegue nei sogni,
se sussulta il suo petto
all’udire il suo nome.
Il dubbio è a spaglio
stasera,
sulle dita lunghe delle ombre,
fra i rami e nel frascare delle foglie.
Forte la tentazione
di chiudere gli occhi
e di non riaprirli.
Forse l’amore
è negli alberi capovolti,
fra i raspi ossuti
e ritorti
di malinconiche radici
intrecciate e confuse
come l’età dei ricordi bambini.
E’ notte,
e i grilli non consolano il buio.
Il vento ha lingue di lupo,
il viso s’imperla di pensieri.
Tuoni sordi e tamburi di rane
implorano scrosci,
s’oscura il cielo delle stagioni.
Il naso è schiacciato
contro i vetri di pioggia,
lo sguardo perso
in follie di fughe,
tra le impronte sull’erba,
su quanto è ancora lontano,
domani.
VII CLASSIFICATA Franca Cavallo. Ritira il premio Caterina Cellotti.
Gioisce il merlo sopra il bagolaro
A me sospira lungamente il giorno
al rosseggiar del cielo sopra i sassi
tra basole di pietra senza tempo
e vecchi bagolari canterini.
Ha smesso di bussare alla finestra
la vecchia luna che rotola sull’erba
ed è rimasta lì , come aquilone
impigliato alle fronde degli ulivi.
Non altro mi consola che il silenzio
di quest’autunno che rapina i sogni
e saccheggia le vigne inaridite.
Gioisce il merlo sopra il bagolaro
Il nonno
VII A PARI MERITO Pompeo Mattioli. Premia il
Prof. Pasquale Balestriere.
Il nonno
aveva un vecchio somaro
di mosche
E la luna che a sera
condiva di biacca
le stoppie.
Amava
d’identico amore
le voci
che il vento portava
Scalando
ansante la valle;
le piccole stelle
con le quali vantarsi,
il mezzo toscano
che marciva tra i denti,
i pochi
denti rimasti.
E amava
ancora la neve
sciolta
nella vecchia gavetta,
le notti all’addiaccio
Col canto dei grilli
che come
una vecchia mitraglia
sminuzzava il silenzio,
tossiva, increspava e moriva
ma poi ripigliava
sgranando lo stesso rosario…
Allora
contavano i morti
sepolti nel fango
o impigliati
come bioccoli di lana nei voci,
ai cavalli di frisia,
allora
Contava le poche
monete di rame rimaste,
le ciocche ormai marce,
le stelle
Invecchiate d’un tratto.
“Al paese…” diceva ogni tanto.
Ma il paese
era un’ombra lontana
Ed i vecchi
le facce stupite
e un po’ sciocche
d’una foto gualcita.
“Al paese…”
diceva sommesso,
e pensava
che un paese ci fosse davvero
laggiù dove i monti
vestivano l’azzurro
E che ancora ci fosse
la bruna Maria
con occhi di pianto,
nascosta
Oltre il nuovo pagliaio
dove una sera,
piangendo e soffiando
come una giumenta…
Al paese…
Le ore bastavano appena
per le cose d’un giorno,
per la rabbia e la fame,
per l’orto
La stalla e la vigna,
per le storie d’amore
contate
Sotto il lume a petrolio.
Al paese
c’era un Cristo di legno
e sua madre,
la sera,
parlava con esso,
della vacca malata
e delle quattro galline
ormai vecchie.
Ogni giorno al paese
il sole nasceva
cuocendo nei campi
la spiga
e cullando nell’ombra
la loro stanchezza,
ma certo non era
Lo stesso, non certo
lo stesso di neve
che nasceva d’un tratto
e poi tramontava
Portandosi
i poveri morti
contati ogni giorno.
VIII CLASSIFICATA Rosanna Di Iorio. Premia il
Prof. Pasquale Balestriere.
NUMERO QUATTROCENTOOTTANTATRE,
MASCHIO, APPENA TRE ANNI E FORSE MENO
Tu non c’eri tra le onde quella sera
mentre si scatenava la bufera.
No, tu non hai provato la paura,
il gelo che l'assenza di una luce
nelle viscere getta al fuggitivo.
Tu non eri nel panico, travolto,
alla ricerca ostile di un riparo
improbabile col passar del tempo.
Non hai visto le mani disperate,
bagnate e gonfie sussultare, uscire
sotto la pioggia dell’Indifferenza,
di un mattino feriale uguale ad altri
e dove un nome è un nome e niente più.
NUMERO QUATTROCENTOOTTANTATRE,
MASCHIO, APPENA TRE ANNI E FORSE MENO
In riva tanti corpi e poche facce
ancora calde nel precario stato
tra la vita e la morte. Tu non c'eri.
Tu eri dentro l’angolino d’ombra
tranquillo, e cavalcavi le stesse onde,
gli intrecci. Sotto un sole illuminato.
Oggi anche gli uccelli, indaffarati,
ai tralicci non sanno cosa fare.
Mentre tu sempre là nel tuo cantuccio
sospeso aspetti il seguito di un sogno
con carovane misere che vanno
lentamente in attesa di una Voce
Come Odisseo per cedere Speranza.
Una voce che circola dabbasso,
il volto nudo senza mai vergogna
e che nasconde il sole tra le pieghe
dell’Incoscienza. Come sempre. Vaga.
Inutilmente vana. Come sempre.
E dici che non è successo niente.
Eppure sai che le sirene più
sanno cantare ormai. Ma non fai niente.
IX CLASSIFICATO Angelo Taioli
Di tutte le sentinelle
Di tutte le sentinelle di polvere
lasciate a contare anni sulle vene
dei mobili, a tremare sulle cenge
ridenti dei ricordi incorniciati,
confidi ancora almeno una
abbia vegliato attenta nelle notti
di ciglia della bambola sul letto?
Nel vai e vieni dei fantasmi, qualcuno
abbia segnato in eterei libri
mastri, il resoconto dell’assenza?
dell’erba alta nel cortile, dell’edera
che allunga occhi
nello scuro di crepe di lucertole?
O anche tu sei rimasta, con le spalle
contro un angolo di vento, confusa
nel mite di un natale? Assieme al pino
che mettemmo a dimora nell’abbraccio
di una fioriera di cemento? (uguale
a quelli che vedemmo in fila, appena
fuori il parcheggio a pagamento in piazza
duomo, davanti al velluto deserto
della porta della misericordia
- spruzzati di neve sintetica -
che imploravano sguardi sotto i portici
degli ultimi saldi,
alla gente senza peccato,
che camminava svelta e sicura
nelle scarpe con l’acca.)
X CLASSIFICATA Antonio Colandrea
“Cave d’autunno”
Cave d’autunno, covi di ricordi
di rovi e mandorle, capponi
di uomini chini a spingere vagoni
lungo binari in fuga verso il mare.
Amigdala dorata la memoria
s’apre e m’inonda
di schizzi d’arso sale
nessun ricordo affonda
bensì ogni cosa adesso affiora, sale.
Con schianti di granata partoriva
la candida montagna i suoi graniti
rosseggiava al tramonto la tua casa
da un frastaglio di mandorli parata
E ci portavi in dono meraviglie:
le verdi asprigne drupe
i ruspanti introvabili castrati
dai muscoli di marmo…
Canto il rimpianto, cerco l’armonia
per via perduta, ai cardini del tempo
m’impongo di provare a rattoppare…
mi pungo ai cardi dell’è troppo tardi!
Da pietra incandescente a nano spenta
al gioco torno degli antichi incastri
ma gli angoli smussati più non hanno
punte che vanno ad ancorarsi al cuore.
Figlio d’autunno anch’io come calcare
dovevo transitare in altra forma
e frantumarmi, farmi dilavare.
L’onda che monta adesso è una marea
da pietra viva a riva mi riporta
come pomice sasso calcinato
al cuore abbacinato del calcare.
Ispirata da “Cave d’autunno” di Montale
MENZIONE DI MERITO Saverio Cristiani
50 ANNI
Campo di concentramento di Mauthausen, aprile
1995
Tre giorni di vento
Signore
tre giorni soltanto
Il primo in coro a pregare
in ginocchio a pregare
i soldati a pregare
quest’ultima croce
da sola
a spezzarci la voce
Tre giorni di vento
Signore
tre giorni soltanto
Il secondo a guardare
con gli occhi sbarrati
in silenzio a guardare
le file accorciarsi sul prato
ed il fumo salire
lontano nel cielo velato
Tre giorni di vento
Signore
tre giorni soltanto
Il terzo da soli a salire
la scala più dura
la scala che porta a morire
il fiato più corto ogni momento
quel fiato diventi
soltanto tre giorni di vento
MENZIONE DI MERITO Maricla Di Dio
Se questa è pace
Ti allontani e con te cade un giorno
che somiglia a quello di domani
Un fascio di bruma dietro la porta del sole
L’ora del respiro bianco, delle cose ripassate
e stese ad un filo di luna
In un fosso del giardino moscerini e foglie
Poi, nell’oscuro, cresce il silenzio
Manca un grano d’amore
Un brivido, una carezza sul cuore
Se questa è pace, ha il sapore del sorbo
E gocciola e s’annida negli incavi un gelo d’alto autunno
Anche i muri perdono calore
Mi abbraccio. Il freddo scopre la fragilità dell’osso
Dorme Siena di profondo blu
Case di carta
Lontane. Oltre i vetri.
MENZIONE DI MERITO Adriana Lozza
Amato figlio
Da prima che tu fossi ti ricordo
A tingermi la vita di chimere
A dare voce e forma ai miei silenzi
Per non più inganni di parole vuote.
Ricordo il tuo albeggiare in desideri
Contro il delirio del mio triste assenso
Contro foschie di cieli tumultuosi
Verso una gioia luminosa e grande.
Io ti trovai potente nei miei sogni
Ancora informe a dirmi della vita
A fare dei miei dubbi una speranza
Per il mio amore ancora da pensare.
Ma il mondo intero si faceva opaco
Nei giorni in cui svaniva la mia attesa
E un flusso oscuro mi graffiava il cuore
Lasciandomi il dolore dei miei errori.
Stordirmi ancora in una nuova attesa
Stravolta da disprezzi e incomprensioni
Lungo un sentiero senza direzione
A ritrovar la traccia del mio amore.
Ma ancora tu a tessere il mio tempo
In trame di pensieri già pensati
In giochi di memorie mai svanite
Per nuove aurore ancora da guardare.
Amato figlio, è il suono inesplorato
D’intenso pronunciar di sentimenti
Quando all’inerzia ed al clamore antico
Ho dato un volto ed un valore nuovo.
E andammo insieme oltre le barriere
Ad abbracciar la vita in altri modi
A ritrovar sentieri mai tracciati
Tra i varchi informi dei perduti amori.
Ricordi amari a dare peso ai giorni
E nuove lontananze da esplorare
Per la malia di un vuoto menzognero
Lasciato al suo destino disperato.
Ma il nostro camminare negli affanni
Si fece storia in cieli misteriosi
Tra ombre e luci e sguardi tempestosi
Lungo distanze ancora da colmare.
E poi l’abisso buio, e ancora buio
Dentro i silenzi al giorno irrivelati
Tra le volute delle antiche sfere
Per le stagioni ancora da inventare.
Tutto lasciammo al vento della vita
Oltre le alture ai passi consumate
Tra le maree dei tuoi albeggianti anni
E i fuochi fatui delle mie passioni.
Non più parole a dirci del destino
Ma echi di silenzi sconosciuti
E il suono greve ai passi solitari
A calpestar speranze ormai perdute.
Ma un orizzonte ancora abbacinante
Ci viene incontro al chiaro dell’aurora
E porta antiche mete alla coscienza
Ormai accesa di una luce nuova.
E adesso noi avvinti dall’amore
Che non sa fingersi finito
Perché il mistero di cui siam fatti dono
Riveli la sua logica immortale.
Amato Figlio ancora voglio dire
Ti sia la vita fonte di ogni bene.
MENZIONE DI MERITO Elena Varriale. Premiano Il
Presidente di Mimesis Prof. Nicola Maggiarra e la direttrice
del Premio Dott.ssa Patrizia Stefanelli.
Sibilla
Dark lady della predizione o
Vergine nera maledetta da Apollo
sono Amaltea, Sibilla di antro fumante.
Nella carne invecchio, tra rughe mi dispero
ma di morte non conoscerò liberazione.
Nella terra d’Averno e del fuoco
destino scritto è il mio vaneggio
farnetico, sobbalzo, ansimo, prevedo:
sono la perenne veggente vecchia!
Sentite l’eco di voce che ferisce l’antro?
Rimbalza dalla pietra sulla pelle
è un sibilo di viscere in fiamme
lava incandescente che entra nelle vene
rantolo di roccia rovente è l’inferno
che accende l’orrore delle visioni.
Col ventre gravido di oracoli
mi consumo nel dolore, mi dilanio
nelle veggenze: tremo, sussulto, arranco.
A confortarmi c’è la pietas che stringo
con foga tra i mille perché invocati.
Domande e quesiti, istanze e preghiere
riesco a contenere tutto, ma è nella luce
che ferisce gli occhi bui della morte
ed illumina tortuose strade della profezia
che trovo le risposte che dispenso.
Ferita che sfibra in eterno è il mio tormento:
conoscere tutto e non poter vivere niente.
POESIA EDITA
I CLASSIFICATO Carmelo Consoli .Riceve il premio
dall’editrice Dott.ssa Irene Sparagna per la poesia
“Lampedusa”. In queste foto riceve anche il Premio Speciale
stampa dalla giuria dei giornalisti-critici-editori.
Lampedusa
Potessi addolcirla questa terra amara,
restituirla al profumo antico delle zagare,
allo stupore dorato delle maree lontane,
fanciullo perso tra calanchi neri di schiume,
capperi e ginestre sgomente d'infinito tra le rocce.
Potessi ritornare alla dolcezza degli approdi,
di quattro vele all'orizzonte,
nel canto sereno della risacca,
all'isola cara che mi fu madre di odorosi silenzi,
speranze d'amore tra albe dorate e rosati tramonti.
Nei bianchi sentieri, nelle fumide campagne
adesso ho perso la mia ombra solitaria
tra polvere e mare nelle controre assolate,
per unirmi a vite sconosciute in un grido
di fame e libertà.
Ho lasciato nel legno marcio dei barconi,
nelle misere spoglie alla deriva
il canto di marine luccicanti,
gli orizzonti colmi di stelle e l'illusione
che oltre il filo azzurro dei confini ci fossero
mondi favolosi, uomini uniti da un sogno di pace e dignità.
E ora potessi addolcirla questa terra amara,
con la fragranza antica delle piane,
l'odore buono del pane, del fumo dei camini.
Renderla l'Itaca preziosa
che spunta dalle acque della morte e sorride di vigne,
ulivi, piane colme di grano e di pietà.
Potessi tornare al tempo dei cieli immensi
senza guerre, mescolare la meraviglia che sorgeva
allora dalle onde con il coro di dolore
di infinite processioni a un passo ormai dall'isola felice,
la prua in vista del candore dei gelsomini.
II CLASSIFICATO Valerio Di Paolo. Riceve il premio dal
Prof. Candido Meardi.
… quello che resta … (per Anna)
Non ci sarà più l’acciottolio dei piatti
in quei dopopranzo d’estate,
né ci sarà l’ultima fetta di anguria
sul tavolo della cucina.
Sarà inutile dire ai ricordi di mettersi in posa e sorridere ancora.
Spenti i papaveri non crescerà più neanche il grano.
Dopo il fischio del treno che passa
rimane il suono che man mano si spegne
poi, resti sola.
Sarà come abitare il destino, passerai le giornate
a incartare quel che resta dei sogni
nel giornale di ieri.
Sarà come guardare un vassoio di frutti di cera
posato sul tavolo della cucina
là, dove c’era la fetta di anguria.
La voce non troverà più la bocca
nemmeno per mettere un “mio”
dopo una parola o un pensiero d’amore.
Il silenzio che resta non possiamo dividerlo mai
con nessuno, ognuno avrà il suo.
Rimarrai in quelle vecchie stazioni
dove i treni non fermano più,
con i ricordi che ronzano in testa,
segmenti di voli di mosche
sotto una lampada spenta da tempo.
Ti farà compagnia solo un vento di treno
che trascina davanti ai tuoi oggi
le pagine del giornale di ieri,
dentro un dialogo fitto
tra la neve e la neve.
III CLASSIFICATA Giusy Frisina. Riceve il premio
dal Prof. Candido Meardi e dal Prof. Nicola Maggiarra.
Visione greca
Luna d’oro sul blu
Jonico imbrunire
Moneta inestimabile
Da non dimenticare
Vedo
L’alba d’oro che si accende
Sulla fiaccola attenta dei miei occhi
Olimpiade sognata sulle strade d’Oriente,
Tu antico padre dalle spalle larghe,
Tu risvegliami sul teatro del cosmo
Aperto all’entusiasmo delle stelle -
Solo per me e solo per chi insegue
L’armonia antica nelle notti scure
Solo per chi - leonessa di Micene -
Attende quella luce e non si stanca
Tu aprimi le porte dei ghiacciai
Vedo
Un giorno puro ed assolato
Immerso dentro la città svenduta
Sui muri di cemento senza nome
Che pure abbraccia i profughi pietosa
E annida fiabe di vecchi e di bambini
Nelle pagine nude dei condomini
E salva sulle colline la sua Storia
Vedo
Il mare brillare eterno nel denso pomeriggio
Nell’azzurra stregata primavera
Dove ogni cosa è ferma o in movimento
In estasi o in tormento
Secondo come la guardi
Vedo
Il papavero e la pietra
Contendersi la gloria
In silenzioso dialogo nel verde
Sull’abissale inquieta rotta del tempo
Ora rimasto a trattenere il fiato
Per questa strana luce che lo avvolge
Ma senza più aspettare una risposta
Se la domanda può bastare a se stessa
Vedo
La vita che s’inebria del suo cielo
Mentre divento farfalla dalla mente quantica
Che entra dalle finestre e resta fuori
Per poter contemplare la bellezza
Delle alte colonne del tempio
Come del filo d’erba e della brezza
Vedo
Le commosse lanterne della Plata
Sospese nell’incanto del tramonto
Dipinto sull’Acropoli
Che di colpo s’illumina di giallo
Lottando con la notte che ora scende
Sulla cima di una memoria remota
Nascosta solo dagli alberi
Vedo
L’agorà che si alza all’improvviso
Più dolcemente sull’ orlo della sera
E tu sali solenne magistrato
Saggio filosofo – poeta - visionario
Su per le strade polverose e bianche
Di una città salvata solamente
Dal grande desiderio di rinascere
E chiami Atena e arriva Poseidone
Dalle vele sul mare che ritorna
Vedo
Che non sono più chi sono
Quando ritrovo le mie radici in un mondo
Cancellato da secoli
E non so più se arrivo o sto partendo
Se la danza delle Tìadi sul Parnaso
Sia sacra a Dioniso e cara anche ad Apollo
E l’uno vada ancora verso l’altro
Nel sacro cerchio dell’eterno ritorno
E vago
Ancora là dove mi appare
La scintilla più viva della mente
E penso ancora a te
Che non dici più niente
Nel silenzio che ora mi risponde
E sarà nulla e resta solo il dubbio
Eppure volo anche se resto a terra
Più umana e più divina finalmente
Con sullo sfondo il volto della Sfinge
Che chi sa come ci sorride sempre
IV CLASSIFICATA Maddalena Leali
Bisso di mare (Byssus)
A Kevin
Il piccolo cancello aperto dall’alba
e Clementina la gatta a fare la guardia
dei miei pochi gradini di ogni mattina.
Girata la toppa, ricordi? spingevo la porta.
Un sussurro il tuo nome,
uno scoppio la tua risata. Eri là.
Dolce, l’ansia si disperdeva
sotto i pini marittimi,
fra gli aghi secchi e le processionarie.
Il tempo disperso nei ritmi diversi,
convulsi, gioiosi, tristi, complicati,
seppure amorevoli, giochi complessi
per le anime cieche, algoritmi
ogni giorno sconnessi,
percezioni semplici soltanto
ai sensi dei bimbi.
Ricordi? l’anno dei no, l’anno dei sì,
i giochi del su, la paura del giù.
E il buio… E quel tuo camminare
restando seduto alla conquista
del complice nido dell’amico
come te sfortunato.
Breve, questa piccola ombra
che lasci a me che continuo a vivere.
Mi vedi? Malinconica e muta, non triste.
Perché non sei nella memoria trapassata,
precipitoso e lieve, come tela di rado
ordito e inesistente trama, preziosa,
però, e protetta come bisso di mare,
sconosciuto e nascosto alle menti dei più.
Il tempo sempre raggiunge
e s’indossa a qualcuno lacerandone i giorni,
Stupido tempo: nella sua inconsapevole
erranza tralascia il bisso di mare
dei giorni del sì e del no,
dei giochi del giù e del su.
E io che so di averti amato tanto
riparo di seta lo strappo … e ti trattengo.
IV CLASSIFICATO A PARI MERITO Rodolfo Vettorello.
Riceve il premio dal Prof. Pasquale Balestriere.
Elogio dell’imperfezione
Aride stelle in cielo;
geometrie
senza emozione, senza luce, senza
una semplice nota dissonante,
una parvenza minima che parli
della bellezza dell’imperfezione.
Questo universo immobile ci incanta
e l’ordine perfetto ci seduce
ma vivere è tutt’altro.
E’ il fango che produce
le fioriture magiche del cuore.
Si vive male, a volte, ma si vive
malgrado la follia degli assoluti.
Si spera il sole e intanto ci si appaga
del freddo di un inverno senza luce.
Il vento cresce
e porta neve all’uscio delle case,
risale le colline addormentate
nell’infinito sonno senza luna.
Come in letargo, la natura tace
e un tempo impercettibile trascorre
sull’orologio, al muro di cucina.
Non farei cambio della mia fortuna
di vivere una vita irrazionale
con l’equilibrio inutile dei saggi.
La geometria perfetta dei solstizi
genera mostri.
Solo il cuore,
la sua tachicardia disordinata,
dà il giusto ritmo al vivere una vita
di un’unica certissima nozione:
la meraviglia dell’imperfezione.
V CLASSIFICATO Saverio Cristiani
Il pozzo
C’è un pozzo profondo nascosto
tra le righe che leggi
Ogni tanto mi ci fermo a pensare,
e pescando a casaccio nel buio
attingo quel po’ di dolore che basta
a tirar sera col fiato di sempre.
Poi sciolgo la mano al saluto e riparto
lasciandomi dietro una polvere antica
e tanta corda
come rimpianto
a penzolare.
VI CLASSIFICATA Franca Donà. Riceve il Premio
Dal Prof. Nicola Maggiarra e dalla Dott.ssa Patrizia Stefanelli
Quando i fiori cantavano
Per quei fiori rossi mai fermi
all’aria che sa di cielo e di campane
per quei ricordi nel fazzoletto bianco
pronti a far piangere se penso
a mio padre e la sfilata dietro la bandiera
lo stemma senza corona che è più regale
nel campo vermiglio la falce e il martello
e tu con un garofano sulla giacca buona
la musica che rimbomba dentro al cuore
i capelli indietro lucidi e gli occhi ancor di più
a costruire l’Italia del lavoro e la famiglia.
A quei fiori rossi, al fremito del cuore
a quella musica che il vento ha catturato
a mio padre, al suo bicchier di vino
all’uomo che è stato … io dico “grazie”
per quei garofani che porto dentro al cuore.
VII CLASSIFICATA Carmela Esposito mentre saluta il pubblico
La casa del sole
Le carte dell’avvenire
chiusero un anno
sulle cose di dicembre
Stesero un velo
sullo smagrito cipresso del camposanto
conta in quel luogo
il silenzio dei taciturni
che tengono tutto dentro.
Anche la mente
ha un suo lutto
lavato via da una mimosa di marzo
o dai passi incerti del primo pettirosso
non tutti sanno volare
non tutti sanno partire.
Già la pioggia nel giardino
spolvera foglia a foglia
cycas nell’aiuola
scrosta calce dai muri
la casa di sole
diventa triste per sempre
le rose respirano a fatica
i tarli scavano buchi
larghi una vita.
MENZIONE DI MERITO Carla Maria Casula
Pennellate di me
Dischiusa a vita incerta
- otto mesi di cova trafelata -
ho respirato il rosso delle fragole
quel maggio capriccioso
che bagnava la pioggia col calore
nei viali della luce
tra le rose spettinate dal vento
e i respiri materni sillabati
Voce nebbiosa e stanca
sul giaciglio di vetro
- pulsava il cloroformio -
vestivo attese bianche stropicciate
nella corsa grinzosa contro il tempo
che con gli artigli muti
smorzava i vagiti
dietro la bocca implume a spine alterne
senza il velluto in fiore
- poi mi coprì l’aroma della vita –
MENZIONE DI MERITO Domenico Pisana
Notte di San Lorenzo 2014
Consegnami o cielo
al mio canto di libertà,
sguardo dell’anima sul mare,
ridonami l’aria e le stelle,
che danzano come numi dell’olimpo,
la tenue carezza di sangue e di miele,
l’odore salmastro della sabbia,
il sussurro di una brezza di vento,
il sogno amato non sognato
che sversa nelle trafitte delle fibre
foglie verdi destinate ad ingiallire.
Cielo, restituiscimi i tuoi germi d’infinito,
le trasparenze ricamate di voci sibilanti
che parlano lingue di pensieri indecifrabili:
voglio riascoltare ciò che i poeti sanno ascoltare,
imparare la lingua del cuore
che l’impercettibile luccichio delle stelle
possa riflettersi o negarsi: non importa
essere un granello di più, il granello calpestato,
il granello leggero che l’onda si porta via.
MENZIONE DI MERITO Fernando Della Posta
City frame Blues
La città che sgombra, s’ingombra s’inonda.
Mi chiedo le persone sul far della sera
che cosa si dicano in strada
tra il sole che canta l’abisso
e la luna che risponde a dispetto.
Un’ala di fuoco s’andrà celando nel vespro
come un cataclisma nascosto;
avrà pochi cantori invece del sonno
cui rinnovare ogni sera il suo pianto:
pazzi innamorati e bimbi di passo,
da sprazzi di cielo e finestre di specchio,
che s’aprono di smania tra bave di vento
dall’urlo dell’ultimo isolato violento.
Vorrei, sotto i portici inanellati di gelo
dal mio bicchiere di bourbon al banco del mondo
disegnarti gli sguardi a calmare la sera
come il baco nel bozzolo a filare la seta.
MENZIONE DI MERITO Annalisa Rodegherio
“ E’ questa
la notte in cui si
genera al bambino
la madre”
(Nascita di Maria)
Rainer Maria Rilke
ANNA
Era un coro d’angeli
a intonare melodie
per la chiarità del seme
che s’aggrappava al grembo.
Il tuo, Anna, non a caso, scelto.
Intorno adesso s’alzano colonne,
arcate e volte
a colmare spazi antichi
mentre in piena luce
con sguardo dolce avanzi,
ora figlia, al braccio di tuo padre.
Sposa avvolta in veli di magnolia
incanti gli occhi
mentre esibisci grata,
il frutto-dono, la grazia del Disegno:
essere figlia del figlio che ti è nato,
essere madre che se lo stringe al petto.
(Dedicata a mia nipote Anna, diventata prima madre e poi
sposa, dopo anni di anoressia)
POESIA DIALETTALE
I CLASSIFICATO Luciano Gentiletti. Riceve il Premio dal
M° Massimo Patroni Griffi che offre una sua opera.
Er mistero de la vita
Quanno che vojo scappà via dar monno
me vado a rifuggià de sopra a 'n monte:
ce sò li boschi... l'acqua de 'na fonte...
'na pace che te scenne ner profonno.
Sortanto si vai immezzo a la natura
ritrovi quer te stesso soffocato,
riacchiappi li valori c'hai scordato,
t'accorgi che stai drento a un'avventura.
T'abbasta guardà 'n fiore... l'animali...
e scopri che ce sta 'na vita sola:
c'è chi striscia... chi cammina... chi vola,
ma in fonno semo fatti tutti uguali.
Vorebbe da sapé perché ce stamo...
perché ce sta la pianta e l'animale...
perché c'è chi fa er bene e 'n artro er male...
da 'ndove semo usciti e 'ndove annamo.
Quanno ch'è sera, attorno ar focolare,
guardo quer foco e fò volà er penziero:
l'anima mia se sperde ner mistero
come un fiume ch'affoga drento ar mare.
IL MISTERO DELLA VITA
Quando voglio fuggire dal mondo / vado a rifugiarmi sopra un
monte:/
ci sono i boschi... l'acqua di una fonte.../ una pace che ti
scende nel profondo./
Soltanto se sei immerso nella natura/ puoi ritrovare te stesso,/
riprenderti i valori che hai dimenticato/ accorgerti che stai
dentro un'avventura./
Ti è sufficiente guardare un fiore... un animale.../ per renderti
conto che la vita è una sola:/
c'è chi striscia... chi cammina... chi vola,/ ma nel profondo
siamo tutti uguali./
Vorrei sapere perché esistiamo.../ perché esiste la pianta e
l'animale.../
perché c'è chi è propenso a fare il bene e chi il male.../ da dove
veniamo e dove andiamo./
Scende la sera e accanto al focolare/ la mente è affollata di
pensieri:/
l'animo mio si perde nel mistero/ come un fiume che annega
nel mare./
II CLASSIFICATA Daniela Gregorini
Dal muntiròzz
Adè sin machì, su l’alt, no’ dó,
indulcìt’ da quell che vdén.
Guarda ma sta terra
ndó c’avén l’ ràich:
è ‘l crìn ‘ndó sinn cresciùt.
Guarda l’ pòrch ‘nti càmp
domesticati dai contadìn,
còm i capéi dla pupa
che tu hai petnàt.
Guarda i colór, giù giù fin da piéd
‘ndó cmìnc’n l’ càs ricamàt
su l’òréll del tappèt c’lèst, l’ mar,
che tira ‘l ròccl
ma cla strisciulìna d’ réna.
Guarda ma ‘l maés, l’ vìgn,
i ulìv, ‘l gràn ch’ verdéggia…
anicò inscén par na cuperta
ch’ t’ha fatt nònnta a scàcch,
sa l’uncinét… e l’autostrada
è na piega ‘ntél mèzz.
Fermt. Fermt a sentì i passr ch’ cantn,
l’ gagg’ ch’ sgàgg’n, ‘l tord ch’ zìrla
o ‘l mèrl ch’schocc’la…
fra càlc giorn arnirànn l’ róndn a stórm
e arcminciarà la festa .
Pù sènt ‘st’odór e tiénl da cónt :
ancora è quèll intìc dla campagna,
anca si i palazz ènn nùti su a ròta;
è quell dl’burìn
che s’arampica fin maquasù,
di àlbr che buttn fòra i fiór;
st’ódór ch’ t’ s’appicc’ca ma l’anma
cóm quell dla pèll d’ mamta
che, passàt i ann, énn te potrai scordà
e si sarai distànt
t’ darà gust argì a trovà.
Dal poggio
Adesso siamo qui, in alto, noi due,/ addolcite da quello che
vediamo./Guarda questa terra/dove abbiamo le radici:/è il
cesto per pulcini dove siamo cresciute./Guarda i solchi dei
campi/addomesticati dai contadini,/ come i capelli della
bambola/ che tu hai pettinato./Guarda i colori, giù giù fino in
fondo/ dove cominciano le case, /ricamate sull’orlo/del
tappeto celeste ,il mare,/che fa la corte alla strisciolina di
rena./guarda le maggesi, le vigne,/ gli olivi, il grano che
verdeggia…/tutto insieme pare una coperta /che ti ha fatto
nonna a scacchi,/con l’uncinetto…e l’autostrada/ è una piega
nel mezzo./ Fermati. Fermati ad ascoltare i passeri che
cantano/le gazze che starnazzano, il tordo che zirla, il merlo
che chioccola…/fra qualche giorno torneranno le rondini a
stormi/e ricomincerà la festa./Poi senti quest’odore e
custodiscilo:/ ancora è quello antico della campagna/anche se
i palazzi sono spuntati a ripetizione;/è quello del venticello di
bora/ che ti bacia la fronte,/degli alberi che buttan fuori i
fiori;/quest’odore che ti si appiccica all’anima,/come quello
della pelle di tua madre/che, passati gli anni, non potrai
scordare/e se sarai distante ti darà gusto tornare a trovare.
III CLASSIFICATO Giuseppe Vultaggio
Lupu di mari
A Favignana 1 , ‘st jornu, c’è bunazza 2 ,
lu mari pari ogghiu, ‘un si rimìna,
lu suli nesci fora e si l’abbrazza…
‘na varchicedda nesci di bulìna.
‘Na riti, lentamenti, un vechhiu ‘ntrizza,
chi d’’a so’ vita, fu cumpagna e vantu,
nto mentri, l’aria, la risacca sbrizza,
d’’i tonnaroti 3 già, si senti ‘u cantu.
La menti scurri e si rivìri arzuni;
li verri cu diu Giovi e cu Nettunu
e poi, “lupu di mari”, a lu timùni,
fu cumannanti e “patri” p’ognerunu.
Ricorda quannu, un tempu, a lu scurari,
‘na fimmina, a lu portu, l’aspittava,
ricorda d’’i soi occhi lu brillari,
d’’u so’ caluri…quannu l’abbrazzava.
La persi un jornu e cu idda…la so’ vita,
fu un jornu malirittu, malandrinu;
abbrucia ancora forti dda ferita,
fu mala sorti o forsi…fu destinu!
Canciau lu ventu e ora…l’accarizza,
calau lu suli supra la banchina,
lu vecchiu lassa ‘n terra la so rizza…
‘na varchicedda trasi di bulina!
Traduzione letterale: LUPO DI MARE
A Favignana, oggi, c’è bonaccia, / il mare
sembra olio, non si muove, / il sole esce
fuori e se lo abbraccia…/ una barchetta esce
di bolina. / Una rete, lentamente, un vecchio
intreccia, / che della sua vita fu compagna e
vanto, / nel mentre , l’aria, la risacca
schizza, / dei tonnaroti 3 già, si sente il canto.
/ La mente scorre e si rivede giovanotto; / le
guerre con dio Giove e con Nettuno / e poi,
“lupo di mare”, al timone, / fu comandante
e “padre” per ciascuno (s’intende dei suoi
uomini). / Ricorda quando, un tempo,
all’imbrunire, / una donna, al porto,
l’aspettava, / ricorda dei suoi occhi il
bagliore, / del suo calore…quando
l’abbracciava.
La perse un giorno e con lei…la sua vita, /
fu un giorno maledetto, malandrino; / brucia
ancora forte quella ferita, / fu per sfortuna o
forse…fu destino! / E’ cambiato il vento ed
ora…lo accarezza, / si è abbassato il sole
sopra la banchina, / il vecchio lascia per
terra la sua rete…/ una barchetta entra di
bolina!
1. Favignana: Con Levanzo e Marettimo è
isola dell’arcipelago siciliano
delle “Egadi” (di fronte la città di
Trapani)
1. 2. Bunazza: propriamente lo stato del
mare in calma e tranquillità;
termine marinaro per evidenziare
una bella giornata.
1. 3. Tonnaroti: pescatori di tonno.
MENZIONE DI MERITO
Maria Teresa Di Marco
Lamentu de la me terra
La me bedda Sicilia io cantu
di pupi aranci e cavaleri
di lu so mari ca comu u mantu
di la Madonna la cuntenti.
E finemula, vi dicu, io mi scantu
Taliarimi pi beru un vi cummeni
aiu u cori ruttu e l’occhi chin’’i chiantu
di comu m’at’ arrubbatu tutti li beni
La zagara ciusisci e fetu sentu
di munnizza e corruzioni
ma unn’aviti sintimentu
Pi la vostra stessa condizioni?
Chi ciusciassi ora stu ventu
di puisia e boni ntinzioni.
Chi ci canti? Aranci sfatti
‘nterra persi e scafazzati?
O li farini chi t’accatti
ca un sa d’unni su purtati?
Io mi sentu afflitta, chi dicu? Dispirata
NNi facistivu minnitta di la me biddizza
Canta di carretti e stiddi
di lanari e tramontana
ma adduma st’occhi, sti faiddi
e va vidi unni si ‘ntana
Cu fa porci commidi e cumanna
cu fa finta di nenti e nun la sganga
sta smania d’omertà
sta mafia, la disonestà
E diccillu: la pinsata è schifiusa
u mari di Sicilia un si spurtusa.
Lamento della mia terra La mia bella Sicilia io canto/di pupi,
arance e valaieri/ del suo mare che, come manto/della
Madonna lo racchiude./ E finiamola, vi dico, io ho
paura/guardarmi davvero non vi è conveniente/ho il cuore
rotto e gli occhi pieni di pianto /per come mi avete rubato tutti
i beni. / La zagara fiorisce e io sento tanfo7 d’immondizia e
corruziione/ma non avete sentitmento (ragione cuore)/per la
vostra stessa condizione?/Magari soffiasse questo vento di
poesia e buone intenzioni/ Cos’hai da cantare? Arance
ammuffite / a terra, perse e schiacciate?/ o le farine che
compri/che non sai da dove provengono?/ io mi sento afflitta,
che dico’ Disperata/ ne avete fatto rovina della mia bellezza
amata/canto i carretti e stelle / di oleandri e tramontana/ ma
accendi (apri) gli occhi queste faville/ e vai a vedere dov’è
rintanata/ chi fa i porci comodi e chi comanda / chi fa finta di
niente e non la sradica/ questa smania di omertà/ questa
mafia, la disonestà/ E diglielo: l’idea è schifosa/ il mare di
Sicilia non si buca (U mari di Sicilia un si spurtusa) e il motto
degli artisti siciliani, contro le trivelle nel Canale di Sicilia alla
ricerca del petrolio.
MENZIONE DI MERITO Pasquale Aceto
Billo
E mo
m'chiamman' "Cazzillo recchiappese"
Ma in verità? so snob e cacciatore
Zompo fujo e fiuto tutto
Ma chell' che chiù m' piace e fa
è o' poeta.
Si Signore,
o' poeta.
Parlo ca luna cò vient' miez'e fronne
e quann' m' ne tene parlo pur' co' cielo ma
stì quatt fess'
che stann' attuorn a me
nun vonn' capì niente e tutt' chess.
e me chiamm'n
Billoooooooooooooooooooooooo
E i vac'
le zomp' braccia
e me facc'io coccolà.
La giuria dei giornalisti-editori-critici sta per comunicare a il
vincitore del Premio Speciale Stampa. Da sinistra: Marco
Martano, Barbara Scudieri, Orazio La Rocca, Orazio Ruggieri,
Massimo Patroni Griffi, Daniela Cecchini, Irene Sparagna.
Foto di gruppo
Piazza Umberto I
Il nostro presentatore, Mariano Dinacci, saluta le
rappresentanti delle Associazioni intervenute a consegnare il
premio offerto: Associazione Don Cosimino Fronzuto Onlus-
Prof.ssa Rosamaria Ugliano e Associazione Diritto & Donna-
Dott.ssa Maria Cattolico.
Mariano Dinacci e Giovanna La Vigna, che si è occupata
dell’accoglienza dei poeti, ricevono
il premio Mimesis per la collaborazione
LE VOCI RECITANTI
ANDREA MAIORANA della band Piazza Grande di
Stefano Fucili
NINO FAUSTI
NICOLA MAGGIARRA
PATRIZIA STEFANELLI
STEFANO FUCILI cantautore. Stefano è stato paroliere
e musicista per Lucio Dalla
Il segretario del Premio Giovanni Martone
con Patrizia Stefanelli al buffet. Stanchi ma contenti
CIAO!
https://www.youtube.com/watch?v=Hu80
uDzh8RY&list=RDHu80uDzh8RY
ciao!