17.11.2016 Views

Agricoltura e Cooperazione sul Garda Bresciano (1841-2016) - Cantine La Pergola

Agricoltura e Cooperazione sul Garda Bresciano (1841-2016) - Cantine La Pergola

Agricoltura e Cooperazione sul Garda Bresciano (1841-2016) - Cantine La Pergola

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Pier Giuseppe Pasini<br />

AGRICOLTURA<br />

E COOPERAZIONE<br />

SUL GARDA BRESCIANO<br />

(<strong>1841</strong>-<strong>2016</strong>)<br />

<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>


Pier Giuseppe Pasini<br />

AGRICOLTURA<br />

E COOPERAZIONE<br />

SUL GARDA BRESCIANO<br />

(<strong>1841</strong>-<strong>2016</strong>)<br />

<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>, Moniga del <strong>Garda</strong>


Parte tutto dalla terra. E dai modi – dalla cultura – con cui la<br />

si coltiva. Per questo l’agricoltura spicca non solo fra le attività<br />

produttive, ma anche fra quelle umane, arrivando ad essere tecnicamente<br />

definita settore primario.<br />

Abbiamo inoltre a disposizione una sola parola, ma infinite<br />

sono le sfumature di cui è portatrice. Perché l’agricoltura si manifesta<br />

e si declina secondo la vocazione e la tradizione proprie<br />

di un territorio, di chi lo vive e lo lavora, in una parola: il terroir.<br />

Sul <strong>Garda</strong>, e in particolare in Valtènesi, l’agricoltura è stata<br />

l’asse portante dell’economia locale e del vivere sociale per secoli,<br />

il fulcro di una economia rurale alla base della sopravvivenza<br />

delle popolazioni del <strong>La</strong>go, che, per il proprio sviluppo, ha beneficiato<br />

fin dagli inizi dell‘Ottocento dell’essenziale strumento<br />

della cooperazione, come testimonia la nascita, già nel <strong>1841</strong>,<br />

della Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong>.<br />

Pier Giuseppe Pasini, esperto e studioso appassionato dell’agricoltura<br />

gardesana, avendo indagato un arco di 175 anni del<br />

nostro passato più recente, ci mette a disposizione una messe di<br />

conoscenze quasi completamente sconosciute.<br />

Nel primo capitolo descrive le caratteristiche dell'agricoltura<br />

gardesana dall'Unità d'Italia fino agli anni '70 del secolo scorso,<br />

mentre nel secondo illustra le iniziative a carattere associativo<br />

e cooperativo che in quell'epoca fiorirono e la caratterizzavano,<br />

mettendo un accento particolare <strong>sul</strong>la viticoltura, una forma di<br />

cultura della natura che, nel territorio gardesano e ancor più in<br />

Valtènesi, assume un rilievo particolare per l’entità dell’estensione<br />

territoriale, del peso economico e del significato sociale.<br />

Il terzo capitolo ci presenta le condizioni nelle quali nasce e<br />

poi si concretizza – anche in precise norme giuridiche – l'esigenza<br />

della difesa dell'identità, qualità e valore dei prodotti agri-<br />

3


4<br />

coli e in particolare del vino, per poi raccontarci l'esperienza di<br />

<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>, una realtà particolare in ambito cooperativo<br />

e vitivinicolo sorta negli ultimi 40 anni. Segue nel capitolo successivo<br />

la descrizione di realtà cooperative ancora oggi vive in<br />

ambito agricolo.<br />

Oggi assistiamo al raggiungimento di obiettivi agognati da<br />

decenni: con il recente riconoscimento europeo del disciplinare<br />

del vino Valtènesi doc, il 14 luglio 2011, il Consorzio Valtènesi ha<br />

riscoperto e raggiunto l’obiettivo che i nostri più prossimi antenati<br />

avevano già intravisto nel 1942, quando vollero promuovere<br />

il Consorzio volontario produttori vino rosso della Valtènesi per<br />

tutelare il valore e l’identità dei vini del proprio territorio.<br />

Conforta oggi, dopo aver ondeggiato per 50 anni tra varie<br />

denominazioni come Riviera, <strong>Garda</strong> e <strong>Garda</strong> classico (tutte interessanti<br />

ma non identitarie), vedere finalmente anche il territorio<br />

viticolo della Valtènesi proteso a promuovere la propria identità.<br />

Questa sensibilità alla identità territoriale non solo si ritrova<br />

nel disciplinare del Valtènesi doc, ma anche in altre iniziative,<br />

fra le quali citiamo l’attuale riqualificazione della strada costiera<br />

gardesana della Valtènesi e l’istituzione del Parco Naturale della<br />

Rocca di Manerba. Due iniziative nate grazie al contributo di<br />

architetti, ambientalisti, esperti internazionali, giovani studenti,<br />

nonché lungimiranti amministratori locali e cittadini sempre più<br />

attenti al tema ambientale.<br />

Anche la nuova configurazione della cooperativa <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong><br />

<strong>Pergola</strong> (forma breve di <strong>Cantine</strong> della Valtènesi e della Lugana<br />

<strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>), annunciata proprio dando alle stampe questo libro,<br />

è testimonianza di questa sensibilità: si tratta della riscoperta di<br />

un tratto importante della storia della viticoltura della Valtènesi.<br />

<strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>, oltre che una tecnica nota di allevamento della<br />

vite succeduta al pal de bus, è una località storica di Moniga (qui<br />

ha sede la cooperativa vinicola), che si trova su un tratto paesaggistico<br />

della statale Gardesana occidentale. Lì, fin dal 1920,<br />

si producono vini di qualità, in particolare il noto e prestigioso<br />

Chiaretto di Moniga del <strong>Garda</strong>, località che per anni è stata il


cuore della Valtènesi dell’enologia, come ri<strong>sul</strong>ta da pubblicazioni<br />

e da prestigiosi testimonianze, fra le quali quella del Professor<br />

Michele Vescia, accademico della vite e del vino.<br />

<strong>Cantine</strong> la <strong>Pergola</strong> non ha ereditato solo il luogo sede della<br />

cantina e il nome, ma la missione di concorrere a rappresentare<br />

la parte agronomica ed enologica della produzione cooperativa<br />

locale, producendo vini dai vigneti dei piccoli produttori che,<br />

spesso anziani, abbandonano e lasciano i terreni in conduzione<br />

alla Cooperativa. Con essi la Cooperativa fin dagli inizi ha offerto<br />

– e continua ad offrire – lavoro e prospettive ai giovani; realizza<br />

sperimentazioni agronomiche ed enologiche, come quelle effettuate<br />

e pubblicate <strong>sul</strong> vitigno autoctono Groppello; protegge<br />

l’ambiente, coltivando da sempre con il metodo biologico. Con<br />

il sacrificio e l’abnegazione di soci e lavoratori vuole continuare<br />

ad essere lievito nel territorio, così come è stato nei 35 anni trascorsi<br />

dalla sua legale costituzione ad oggi.<br />

Oltre a ciò, <strong>Cantine</strong> della Valtènesi e della Lugana (abbreviato<br />

in Civielle), quale strumento al servizio del comparto vitivinicolo,<br />

si occupa di offrire servizi tecnologici rivolti al miglioramento e<br />

alla valorizzazione dei vini e iniziative di promozione della commercializzazione,<br />

facendosi ambasciatrice dei vini e del territorio<br />

gardesano in ogni continente.<br />

Il prezioso racconto delle vicende storiche descritte in questo<br />

libro assume un ulteriore particolare rilievo in quest’anno, che<br />

coincide con il 130° anniversario della costituzione a Milano della<br />

prima Associazione della <strong>Cooperazione</strong> Italiana: la Lega Nazionale<br />

delle Cooperative e Mutue.<br />

Un ringraziamento sentito a Pier Giuseppe Pasini per aver<br />

scoperto, ripercorso e messo in luce pagine sconosciute di storia<br />

gardesana, utili ancor oggi a coloro che si dedicano a disegnarne<br />

il futuro.<br />

Sante Bonomo<br />

Presidente di <strong>Cantine</strong> la <strong>Pergola</strong><br />

5


7<br />

INTRODUZIONE<br />

Affrontare il tema della cooperazione negli anni del suo<br />

maggiore sviluppo nella riviera bresciana del lago di <strong>Garda</strong>,<br />

e della Valtènesi in particolare, significa tracciare un profilo<br />

delle condizioni economiche e sociali di questa terra negli<br />

anni che vanno dall’unificazione d'Italia ai giorni nostri.<br />

E significa di pari passo tracciare la storia della peculiarità<br />

agronomica di un territorio vocato ad una agricoltura principalmente<br />

arborea piuttosto che all’agricoltura erbacea.<br />

Vite, olivo, ed agrumi nell’alta riviera, hanno fatto la storia<br />

secolare di questo territorio sopportandone peripezie,<br />

turbamenti climatici, calamità naturali ed epidemie capaci<br />

di annientarne o ridimensionarne in maniera drastica le<br />

produzioni. <strong>La</strong> terribile crisi agraria che si verificò in Europa<br />

nella seconda metà dell’800 e che non risparmiò neppure<br />

il territorio gardesano, fu causa di una povertà sempre<br />

più diffusa che colpì soprattutto il mondo contadino contribuendo<br />

spesso al triste fenomeno dell’emigrazione.<br />

Chi rimaneva nelle campagne, per sopravvivere era costretto<br />

a ricorrere a prestiti presso gli usurai. Il tenore di<br />

vita delle classi contadine stava scivolando verso un piano<br />

di sempre maggiore miseria. <strong>La</strong> guerra commerciale italo<br />

francese provocò danni notevoli alle campagne andando<br />

a colpire in maniera particolarmente grave la produzione


8<br />

vinicola. <strong>La</strong> nascita della cooperazione nel mondo agricolo<br />

non fu solo la rivolta del piccolo contadino o del bracciante,<br />

del mezzadro o del salariato sfruttato, contro l’avidità<br />

dell’usuraio o la prepotenza del padrone. <strong>La</strong> cooperazione<br />

fu innanzitutto la risposta ai bisogni delle persone in modo<br />

efficiente e secondo metodi imprenditoriali. Ma fin dal suo<br />

nascere la cooperazione non fu una semplice risposta ai bisogni<br />

materiali, come avremo modo di vedere più avanti in<br />

modo maggiormente approfondito.<br />

Nonostante la povertà dilagante essa riuscì a dare risposte<br />

a bisogni più elevati di quelli materiali, a bisogni di socialità,<br />

di stima e di senso alle proprie fatiche. E se la penisola<br />

italiana non aveva ancora trovato la sua unità politica<br />

quando in Inghilterra, in piena rivoluzione industriale, un<br />

gruppo di 28 tessitori spinti dalla pesante crisi economica,<br />

decise di costituire, nel 1844, nella cittadina inglese di Rochdale,<br />

la Rochdale Equitable Pioneers Society, mettendo<br />

insieme un piccolo capitale e aprendo un negozio cooperativo,<br />

in cui vendevano prodotti integri a prezzi ragionevoli,<br />

con lo scopo “di migliorare la situazione economica<br />

dei soci”, fissando i principi per la gestione della società<br />

cooperativa e così segnando di fatto la data di nascita della<br />

cooperazione, proprio <strong>sul</strong> lago di <strong>Garda</strong>, nel <strong>1841</strong> si era costituita,<br />

a Gargnano, in forma cooperativa la Società <strong>La</strong>go<br />

di <strong>Garda</strong> per la vendita, in forma associata degli agrumi che<br />

qui si producevano.<br />

Nasceva dunque la cooperazione a metà dell’800 e si<br />

inaugurava un periodo che, alimentato dai primi incoraggianti<br />

ri<strong>sul</strong>tati fece dello strumento cooperativo codificato<br />

a Rochdale, un modello da imitare in ogni parte d’Europa.<br />

Fu in questo contesto che si inserì il grande fermento cooperativo<br />

che, <strong>sul</strong>l’esempio di quanto stava avvenendo al-


trove, si affermò anche nella riviera bresciana del <strong>Garda</strong> ed<br />

in Valtènesi. Filantropi di estrazione liberale e cattolica, parroci<br />

e confraternite religiose locali gestirono società di mutuo<br />

soccorso, cooperative e circoli ricreativi. Le prime cooperative<br />

furono vere e proprie fucine per restituire fiducia ai<br />

lavoratori e stima in se stessi e negli altri e per ricostruire il<br />

senso dell’esistenza in un mondo che stava cambiando con<br />

estrema rapidità.<br />

<strong>La</strong> cooperazione si presentò come un formidabile strumento<br />

di democrazia e di convivenza sociale per ritrovare<br />

i legami tra l’uomo e il suo territorio, tra la gente e il proprio<br />

ambiente. Analogamente le casse rurali nacquero <strong>sul</strong>la<br />

base della necessità di liberare dallo sfruttamento e dalla<br />

piaga dell’usura lavoratori e piccoli proprietari diretto coltivatori<br />

e di rompere le catene del bisogno che opprimevano<br />

anche la dignità delle persone.<br />

Artefice primo della cooperazione di credito avviata in<br />

Germania fin dal 1846 fu Friedrich Wilhelm Reiffeisen. In<br />

Italia Leone Wollemborg, economista, giurista e uomo politico<br />

discendente da una ricca famiglia della borghesia padovana<br />

fondò la sua prima cassa rurale nel1883.<br />

Grazie all’ impegno solidale, anche per la società agraria<br />

rivierasca fu possibile evitare il tracollo, superare le difficoltà<br />

e mantenere un ambiente ed un territorio capace di conservare<br />

le sue peculiarità produttive.<br />

Tutto questo però non fu sufficiente, nella prima metà<br />

del ‘900 a garantire prospettive di crescita e di benessere<br />

per cui, per assicurare un futuro a coltivazioni e produzioni<br />

così caratteristiche e tipiche come quelle dell’olio d’oliva<br />

e del vino, fu giocoforza puntare <strong>sul</strong> riconoscimento e<br />

la difesa della qualità e <strong>sul</strong>la valorizzazione della tipicità.<br />

Recuperando anche, nonostante le delusioni per l’infelice<br />

9


10<br />

esito di alcune esperienze di cooperazione avvenute nella<br />

zona, quello spirito solidaristico caratteristico della cooperazione<br />

in grado di dare risposte alla frammentazione<br />

della proprietà agricola ed alla tentazione dell’abbandono<br />

di coltivazioni agrarie, nella illusione, o nella prospettiva di<br />

facili guadagni, inseguendo più remunerativi progetti speculativi<br />

di sottrazione edificatoria degli spazi agricoli che<br />

per secoli avevano garantito equilibrio ambientale e fascino<br />

paesaggistico.<br />

In questo contesto di parziale abbandono dell'agricoltura<br />

e di invecchiamento progressivo degli addetti, nella<br />

fase di riflessione che succederà alla stagione del '68, così<br />

ricca di fermento e nuove speranze, e in presenza di una<br />

crisi occupazionale paragonabile a quella dei nostri giorni,<br />

si assiste, verso il finire degli anni '70, e in tutto il territorio<br />

nazionale, alla nascita e alla crescita di un nuovo fenomeno<br />

cooperativo. È costituito da giovani, studenti, neodiplomati,<br />

laureati, semplici operai o figli di agricoltori che avevano<br />

abbandonato le fatiche e la povertà della terra nei primi<br />

anni del dopo guerra, e che, appassionati di agricoltura,<br />

si uniscono ora ad esperti agricoltori per rinvigorire con<br />

energie fresche il comparto agricolo. A favorirli - certo non<br />

finanziariamente, almeno qui <strong>sul</strong> <strong>Garda</strong> <strong>Bresciano</strong>- sono<br />

le innovazioni delle normative giuridiche per la coltivazione<br />

delle terre incolte (legge 440/1978) e per lo sviluppo<br />

dell'occupazione giovanile in agricoltura (legge 285/1977),<br />

che diedero all'Italia intera nuove speranze di ripresa e sviluppo.<br />

Questo fenomeno si presentò anche <strong>sul</strong> <strong>Garda</strong> con<br />

esperienze cooperative che, a distanza di quasi 40 anni,<br />

sono ancora vive e capaci di contagiare con il proprio positivo<br />

entusiasmo.<br />

Novembre <strong>2016</strong>


Il clima mite del lago ha favorito le coltivazioni dei limoni. <strong>La</strong> prima cooperativa<br />

gardesana - Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong>- nasce a Gargnano, nel <strong>1841</strong>.<br />

11


12


LE CARATTERISTICHE<br />

DELL’AGRICOLTURA<br />

GARDESANA<br />

13


14


15<br />

LE CARATTERISTICHE<br />

DELL’AGRICOLTURA<br />

GARDESANA<br />

All’avvento dell’Unità d'Italia le condizioni dell’agricoltura<br />

gardesana, così come del resto quelle dell’agricoltura<br />

della provincia di Brescia si presentavano in uno stato di<br />

notevole prostrazione. “Nel 1852 la crittogama della vite<br />

aveva già aggredito gran parte dell’agricoltura vinicola:<br />

nel ’53 prese piede l’atrofia ne’ bachi da seta, ed ambidue<br />

questi flagelli invasero in breve la provincia tutta, per sopracarico<br />

di sventure, anche malattie contagiose nel ’55 la<br />

percossero vitalmente, avendo tanto i municipi che i privati<br />

dovuto per ciò sopportare ingenti spese” 1 . A questo andava<br />

aggiunta la scarsità dei prodotti agricoli che aveva caratterizzato<br />

in tutta la provincia il decennio 48-58 a causa delle<br />

persistenti siccità e delle frequenti grandinate che avevano<br />

devastato le coltivazioni. D’altra parte ad aggravare le condizioni<br />

dell’agricoltura erano venute anche le esose imposizioni<br />

fiscali e tributarie dell’Austria, dopo i moti del ’48, a<br />

colpire la proprietà, mettendola nell’impossibilità non solo<br />

1. Bettoni Lodovico, Relazione <strong>sul</strong>la condizione dei possessori d’immobili<br />

nella provincia di Brescia del Conte Lodovico Bettoni, 2° edizione, Brescia<br />

1862, Tip. del giornale <strong>La</strong> Sentinella Bresciana, pag. 118


16<br />

di procurare nuovi investimenti ma pure a conservare le posizioni<br />

2 .<br />

Già nel 1857 i deputati della Congregazione Provinciale si<br />

rivolsero all’Imperial Regia Luogotenenza per ottenere dal<br />

governo austriaco una riduzione di imposte ricordando le<br />

tristi condizioni in cui versava l’economia. "in causa del fallito<br />

prodotto dei bozzoli, non solamente mancano le [..] fonti<br />

seriche di sostegno al bisognoso, ma lamentar dobbiamo il<br />

licenziamento avvenuto di molte migliaia d’uomini che davano<br />

opera alla sfrondatura e potatura dei gelsi, all’educazione<br />

dei filugelli, come pure la conseguente soppressa circolazione<br />

del numerario nei mesi estivi, che procura i mezzi<br />

necessari per comperare il grano da spedire specialmente<br />

negli alpestri loro domicili; inoltre giova ricordare che mancata<br />

essendo nei contadini pressoché tutta la loro metà dei<br />

bozzoli, si ritrovano inetti a soddisfare le anticipazioni avute<br />

in generi ed in denari dai loro padroni, i quali pure, nella impossibilità<br />

di sostenere le spese ordinarie dell’andamento<br />

agrario, effettuano a quest’ora un insolito restringimento al<br />

numero dei braccianti, ed abbandonando ogni pensiero di<br />

straordinarie migliorie all’agricoltura, si dichiarano anzi forzati,<br />

per mancanza di mezzi a diminuire le spese più necessarie<br />

di animali, concime e lavori ordinari; e siccome assai<br />

pochi sono gli agiati, i quali dopo tanti versamenti ordinari<br />

e straordinari abbiano un fondo di riserva per le eventuali<br />

urgenze, così ne conseguirà una limitazione anche nella privata<br />

beneficenza.<br />

Quasi tutti i comuni della provincia bresciana, per progredire<br />

nel pagamento delle rate del prestito nazionale,<br />

sono costretti a ricorrere a mezzi patrimoniali, alienando<br />

stabili e cartelle del Monte e dello stesso prestito, con<br />

danno evidente dei medesimi pel deprezzamento in cui si<br />

trovano le carte pubbliche ed i fondi, e diversamente sarebbero<br />

impossibilitati a corrispondere ai propri impegni,<br />

2. Ibidem, pag. 118


17<br />

attesa la assoluta mancanza dei mezzi comunisti a concorrere<br />

al pagamento delle quote assegnate ai singoli comuni,<br />

i quali ebbero anche il sopraccarico delle spese avvenute in<br />

forza del cholera nel passato anno 1855... Molti possidenti<br />

hanno assunto mutui passivi per sopperire alle imposizioni<br />

sostenute dal 1848 in poi, ed anche per mantenere i lavori<br />

campestri, massime quelli che stanno nell’area di 65.548 iugeri<br />

di vigne sterili dalla crittogama da cinque anni, come<br />

pure gli abitanti dei comuni boschivi dell’estensione di iugeri<br />

136.939 il cui prodotto è insignificante” 3 . All’indirizzo<br />

della Congregazione Provinciale faceva eco la Camera di<br />

Commercio che nel medesimo periodo rilevava con preoccupazione<br />

lo stato di decadimento della vitivinicoltura<br />

gardesana e le nefaste conseguenze di tale situazione <strong>sul</strong>le<br />

condizioni economiche delle popolazioni locali.<br />

Secondo tale relazione il valore del vino prodotto nel distretto<br />

di Salò che dalla media del decennio 1842-51 ri<strong>sul</strong>tava<br />

essere di lire austriache 1.235.550, nel triennio 1852-54<br />

si era ridotto a sole 187.570 lire, cosicchè la rendita ottenuta<br />

dal suolo compresi tutti gli altri prodotti, che in ciascuno<br />

anno del decennio 1842-51 era ammontata a lire 1.735.828,<br />

in quel triennio si era ridotta a lire 573.276; dalla quale dedotta<br />

l’imposta di lire 320.000 non rimanevano che 253.276<br />

lire mentre la rendita censuaria che era stata attribuita al<br />

distretto ammontava a lire 630.703” 4 .<br />

“E si noti – aggiungeva la Camera di Commercio nella<br />

sua relazione – che la proprietà fondiaria v’è aggravata da<br />

un debito di cinque milioni di lire. I proprietari dovendo<br />

provvedere al mantenimento dei coloni e sostenere le gravi<br />

spese di coltivazione dei vigneti e di nuove piantagioni,<br />

rese indispensabili dalla mortalità cagionata dalla crittogama<br />

e dagli straordinari freddi, a supplire ai consueti bisogni<br />

delle familiari amministrazioni, si videro costretti a ricorrere<br />

3. Cocchetti Carlo, Brescia e sua provincia..., cit., pagg. 194-195<br />

4. Ibidem, pag. 208


18<br />

a mutui. Questo palliativo, che non toglie il male, mancò<br />

per la diminuzione dei capitali disponibili, e i fondi vitati,<br />

per i debiti ipotecari ond’erano già affetti, e pel considerevole<br />

deprezzamento, presentarono troppa incerta garanzia,<br />

cosìcché il credito fondiario ne rimase, si può dire, annichilito.<br />

Ai mutui tennero dietro le volontarie, poi le espropriazioni<br />

per debiti fiscali e privati a condizioni rovinose pei<br />

proprietari, ed in generale può affermarsi che il valore dei<br />

fondi aviti è diminuito di una buona metà” 5 .<br />

A rendere ancora più gravi tali condizioni vennero le<br />

battaglie della seconda guerra d’indipendenza che si combatterono<br />

nella parte meridionale della regione gardesana<br />

e portarono con sé la devastazione e la distruzione delle<br />

colture nei territori di Lonato, Pozzolengo, Sirmione e San<br />

Martino che furono teatro dei combattimenti 6 .<br />

Le particolari condizioni climatiche e la conformazione<br />

geografica dell’ambiente fecero sì che le coltivazioni arboree<br />

assumessero un ruolo predominante nell’economia<br />

agricola gardesana, ad esse erano massimamente dedicate<br />

le attenzioni e le cure degli agricoltori, a scapito delle altre<br />

coltivazioni che venivano praticate solo in maniera integrativa.<br />

Così accadde che quando qualcuna delle coltivazioni<br />

arboree venne colpita da malattia o calamità naturali, la<br />

classe agricola -sia proprietaria che coltivatrice – si trovò a<br />

dover fronteggiare situazioni di estrema gravità da cui non<br />

riuscì ad emergere che a distanza di anni ed al prezzo di<br />

numerosi sacrifici. D’altra parte nel primo ventennio post<br />

unitario l’agricoltura gardesana dovette sopportare le conseguenze<br />

dei mutamenti di mercato derivati dai capovolgimenti<br />

politici e quelle della nuova legislazione italiana che<br />

con l’introduzione della tassa <strong>sul</strong> macinato nel 1868 non<br />

favorì certo il miglioramento delle condizioni di vita delle<br />

5. Ibidem, pag. 208<br />

6. Pieri Piero, Storia militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962


19<br />

classi agricole 7 . Dal canto suo la proprietà agricola gardesana<br />

si trovava nella condizione di non poter far fronte a<br />

spese eccezionali, in quanto veniva da un decennio preunitario<br />

che l’aveva notevolmente indebolita e nel medesimo<br />

tempo era impreparata ad introdurre innovazioni colturali<br />

che migliorassero le produzioni agricole.<br />

<strong>La</strong> più caratteristica delle coltivazioni gardesane era<br />

senza dubbio quella degli agrumi, che favorita dalle particolarmente<br />

miti condizioni, richiedeva tuttavia una grande<br />

quantità di cure ed attenzioni, in special modo nella stagione<br />

fredda.<br />

Praticata da sola, non consociata ad altre coltivazioni,<br />

occupava una superficie abbastanza limitata; 60 ettari circa<br />

distribuiti essenzialmente nei comuni di Limone San Giovanni,<br />

Gargnano, Toscolano e Maderno 8 .<br />

Superficie superiore a quella destinata all’agrumicoltura<br />

era occupata dall’olivicoltura che,sia pure con diversa frequenza<br />

ed intensità, si trovava presente in tutto il territorio<br />

della riviera gardesana. Ma se l’agrumicoltura poteva essere<br />

in qualche modo considerata una coltivazione intensiva,<br />

non altrettanto accadeva per l’olivicoltura, quasi mai praticata<br />

in maniera esclusiva, ma generalmente associata alla<br />

vite o ad altri alberi da frutto.<br />

Difficile quindi stabilire quanta fosse la superficie destinata<br />

esclusivamente all’olivicoltura; il Marchiori nella sua<br />

monografia <strong>sul</strong>le principali coltivazioni della provincia di<br />

Brescia indicava per il mandamento di Gargnano la presenza<br />

di ettari 1,20 di superficie olivata ogni cento ettari<br />

di superficie territoriale; nel mandamento di Lonato essa<br />

scendeva poi a ettari 0,21 – 0,30 per ogni cento ettari di<br />

7. Romani Mario, Un secolo di vita agricola in Lombardia (1861-1961),<br />

Milano, Giuffrè, 1963<br />

8. Bettoni Lodovico, L’agricoltura nei contorni del lago di <strong>Garda</strong>, (estratto<br />

dal giornale "L’Italia Agricola"), Milano, Bernardoni, 1877, pag. 2


20<br />

superficie e ad ettari 0,11 – 0,20 nel mandamento di Salò 9 .<br />

Particolarmente importanti erano gli oliveti di Limone<br />

San Giovanni, di Tignale e di Tremosine; dei colli sopra<br />

Gargnano, Toscolano, Maderno, Gargnano e Salò. Nella<br />

regione collinare particolarmente estesa era la coltivazione<br />

a Moniga ed a Padenghe, dove l’olivicoltura veniva, per importanza,<br />

subito dopo la viticoltura. Scendendo più a sud<br />

l’ulivo andava mano a mano diminuendo, avvicinandosi a<br />

Desenzano ed ancora più a Rivoltella, per scomparire del<br />

tutto in Lugana; solo si ripresentava <strong>sul</strong> promontorio di Sirmione<br />

10 .<br />

Scarsa attenzione veniva dedicata alla coltivazione dell’olivo<br />

e le cure non erano così assidue come avrebbero dovuto<br />

per garantire un rendimento elevato e costante. Solo la<br />

caduta della produzione agrumicola fece sì che all’olivicoltura,<br />

almeno nella zona settentrionale della regione gardesana<br />

venissero dedicati maggiore spazio e maggiori cure,<br />

nella speranza di rimpiazzare con il prodotto degli olivi, il<br />

mancato frutto degli agrumi 11 .<br />

Per il resto l’olivicoltura veniva praticata con metodi tradizionali<br />

e non si poteva certo dire che fosse progredita;<br />

anche la quantità di olivi coltivata era rimasta sostanzialmente<br />

stazionaria. A Desenzano ed a Rivoltella, la presenza<br />

degli oliveti era diventata pressoché inesistente dopo che<br />

per i rigidi inverni del 1829 e del 1859 gran parte degli ulivi<br />

era andata distrutta e gli agricoltori vi avevano sostituito<br />

la coltura del gelso, ma negli anni tra il ’60 ed il ’70 nel comune<br />

di Desenzano erano state messe a dimora non meno<br />

di 6 mila piante, ed un migliaio circa in quello di Rivoltel-<br />

9. Marchiori Pietro, Le principali coltivazioni della provincia di Brescia con<br />

10 carte illustrative (Relazione pubblicata dal "Comizio Agrario di Brescia")<br />

Brescia, Tip. Queriniana, 1884, pag. 6<br />

10. Benedini Bortolo, Terra e agricoltori nel Circondario di Brescia, Brescia,<br />

Apollonio, 1881, pagg. 34 -35<br />

11. Bettoni L., L’agricoltura..., cit., pag. 54


21<br />

la 12 . Le qualità di olivo maggiormente diffuse nella riviera<br />

benacense erano la casaliva, la gargnà e la miniol e quasi<br />

sempre la coltivazione avveniva in consociazione con quella<br />

della vite, mentre il terreno sottostante era utilizzato seminandolo<br />

a frumento, a granturco, o, assai spesso, a fagioli 13 .<br />

Alla vite era destinato gran parte del territorio della<br />

riviera gardesana, ed i centri di sua massima coltivazione<br />

erano i paesi della Valtènesi: Moniga, Manerba, San Felice,<br />

Portese, Puegnago, Polpenazze, Raffa, Soiano,dove i<br />

vigneti si estendevano senza interruzione sia al piano che<br />

<strong>sul</strong>le colline. “Il viaggiatore che da Salò si reca a Desenzano,<br />

sia passando per Portese, S. Felice, o per Raffa, o Puegnago,<br />

Polpenazze, scorge da ogni lato una successione di<br />

vigneti, non interrotta da fondi messi completamente ad<br />

altra coltura. Questi vigneti secolari, forse millenari si mantengono<br />

continuamente mediante scavo di buche e rimesse<br />

di barbatelle laddove i vecchi ceppi periscono. Il terreno<br />

è completamente ingombro di radici dei gelsi che perirono<br />

o di quelli che sparsi ne’ filari più o meno rigogliosamente<br />

vegetano” 14 .<br />

Il Marchiori dava un indice di 6-10 ettari di terreno coltivato<br />

a vite su 100 ettari di superficie territoriale nel mandamento<br />

di Gargnano, dai 21 ai 30 ettari nel mandamento di<br />

Salò e dai 61 ai 70 ettari nel mandamento di Lonato 15 .<br />

Balza dunque evidente con quale intensità si dovettero<br />

far sentire le conseguenze dell’invasione dei vigneti della<br />

crittogama e dell’oidio, a cui solo valsero limitatamente i<br />

rimedi dell’irrorazione con lo zolfo. D’altra parte, così come<br />

l’invasione della malattia della gomma aveva messo in gi-<br />

12. Benedini B., Terra e agricoltori cit., pagg. 34-35<br />

13. Bettoni L., L’agricoltura..., cit., pag 40; Solitro G., Benaco, cit., pagg.<br />

162-63<br />

14. "Brescia Agricola. Giornale agricolo commerciale", Brescia, Annate da<br />

1844-85 a 1888-89, presso Biblioteca Civica Queriniana<br />

15. Marchiori P., Le principali coltivazioni..., cit., pagg. 5-6


22<br />

nocchio i produttori d’agrumi, la crittogama che per un decennio<br />

(1854 -1864) aveva quasi completamente annullato il<br />

prodotto della vite, travolse la proprietà viticola ed aggravò<br />

le condizioni di vita della classe colonica . “Non passa giorno<br />

che in questi paesi non si vedano aste volontarie o giudiziarie,<br />

insomma la proprietà in Riviera manca di stabilità<br />

pel difetto del vigente sistema di coltivazione, pel quale la<br />

media delle spese di coltivazione è sproporzionata in confronto<br />

alla media di produzione” 16 .<br />

Così scriveva “Brescia Agricola” nel 1884, a oltre vent’anni<br />

dal quadro drammatico rilevato dal Bettoni nel suo bilancio<br />

della provincia di Brescia o dalle ancora gravi notizie<br />

della Camera di Commercio del 1869.<br />

<strong>La</strong> coltivazione della vite era solitamente associata ad<br />

altre colture: con l’olivo, con il gelso, con il frumento, il granoturco<br />

o i legumi e l’erba da foraggio, e quasi sempre era<br />

fatta a palo secco ed a filari. Ma mentre nei centri del mandamento<br />

di Gargnano non vi veniva prestata grande cura,<br />

particolare attenzione si poneva nei centri viticoli maggiori<br />

alla simmetria degli impianti, anche se poi dal punto di vista<br />

della qualità degli interventi colturali, non si avevano<br />

particolari differenze. <strong>La</strong> produzione media in vino in ragione<br />

di ettaro veniva calcolata tra i 30 ed i 35 ettolitri, anche<br />

se non mancavano, in annate particolarmente abbondanti<br />

ed in condizioni favorevoli produzioni di 50-60 ettolitri di<br />

vino. “Vi hanno delle viti a palo secco che portano più di 50<br />

chilogrammi di grappoli. Sonvi però plaghe, specialmente<br />

<strong>sul</strong>la Riviera superiore, ove l’olivo, il gelso, il lauro, ombreggiano<br />

il campo ed ove la vite è assai trascurata, onde il prodotto<br />

non compensa le spese” 17 .<br />

Secondo il Bettoni, la regione gardesana dava una rendita<br />

vinicola pari alla settima parte del prodotto totale della<br />

provincia. Caduta dunque la produzione a livelli irrisori nel<br />

16. "Brescia Agricola...", cit., anno 1884<br />

17. Bettoni L., L’agricoltura..., cit., pag. 89


23<br />

decennio a cavallo dell’unità, essa tornò gradatamente ad<br />

aumentare dopo il ’65, grazie alla cura dello zolfo; la Camera<br />

di Commercio calcolava che la produzione per il 1869,<br />

per tutta la provincia di Brescia, ammontasse a 300.000<br />

ettolitri. Così come la trasformazione delle olive, anche la<br />

trasformazione delle uve non sempre veniva praticata con<br />

la dovuta cura e neppure veniva posta troppa attenzione ai<br />

consigli volti a suggerire modificazioni ai sistemi tradizionali<br />

di lavorazione o all’introduzione di nuove tecniche.<br />

“<strong>La</strong> fabbricazione del vino - scriveva il Bettoni - è fatta<br />

dai produttori immediati delle uve, dai proprietari, dagli affittuali<br />

e dai coloni e non è oggetto di speciale industria.<br />

Questa circostanza influisce sinistramente sui vini del circondario<br />

e specialmente sopra quelli della Riviera del lago<br />

di <strong>Garda</strong>. Se sussistessero società per la fabbricazione del<br />

vino e se queste tenessero depositi abbondanti, verrebbero<br />

tolti molti errori e pregiudizi e si otterrebbero vini più<br />

gustosi e di maggior durata. Facendo inoltre capo ad esse<br />

negozianti nazionali ed esteri, in poco tempo il credito del<br />

vino benacense si aumenterebbe a dismisura.” Ed il Solitro<br />

a sua volta scriveva “I casi di grosse partite di vino andato<br />

a male, d’intere cantine guastate e cedute poi a vilissimo<br />

prezzo per aver trascurato quelle diligenze e cautele che<br />

si richiedono nella fabbricazione del prezioso liquore, non<br />

furono per lo passato così rare da non poter servire d’utile<br />

esempio e di ammaestramento ai più ostinati”. Ma ciò era<br />

dovuto anche ad altre cause, come annotava ancora il Solitro:”<br />

Nella regione del Benaco, specialmente lungo la riva<br />

occidentale la proprietà fondiaria è molto frazionata; credo<br />

sia anche questo uno dei motivi per cui non si è potuto ancora<br />

aver qui un tipo stabile di vino. Secondo l’abilità e diligenza<br />

di questo o quel proprietario abbiamo dell’eccellente<br />

vino di Manerba, di Raffa, di Moniga, di Puegnago, ma<br />

non abbiamo il vino benacense che possa varcare il confine


24<br />

della regione lombarda non solo, ma d’Italia” 18 . E tuttavia,<br />

il vino del <strong>Garda</strong> era considerato il migliore della provincia<br />

di Brescia, ambito in cui esso in gran parte veniva smerciato.<br />

Ma alcune partite varcarono i confini dell’Italia e raggiunsero<br />

“ Nuova York e Rio Janeiro, Alessandria d’Egitto e<br />

Jokoama, la Svizzera, la Francia, la Germania, l’Inghilterra,<br />

che ebbero del vino del <strong>Garda</strong>, lo gustarono e lo pagarono<br />

bene” 19 .<br />

Colpita dalle malattie e dalle calamità naturali, l’agricoltura<br />

gardesana evidenziò tutta la sua fragilità e mise in<br />

luce come la sua crisi non fosse tanto un fatto congiunturale<br />

quanto una vera e propria crisi strutturale che la caratterizzò<br />

nel primo cinquantennio post’unitario e dalla quale fu<br />

possibile uscire solo attraverso radicali trasformazioni che<br />

andarono via via introducendosi con sempre maggiore ampiezza<br />

e intensità a partire dai primi anni del ‘900 e che lo<br />

scoppio della prima guerra mondiale colse nel pieno del<br />

loro sviluppo.<br />

<strong>La</strong> coltivazione degli agrumi, nonostante i rimedi tentati,<br />

per altro con scarsi ri<strong>sul</strong>tati, non si riprese più; i giardini, abbandonati,<br />

rimasero lungamente incolti o vennero utilizzati<br />

per altre coltivazioni. D’altra parte a decretare la fine dell’agrumicoltura<br />

contribuirono in maniera notevole le mutate<br />

condizioni di mercato a cui in un primo tempo i produttori<br />

avevano ritenuto di potersi facilmente adattare, confidando<br />

nella migliore qualità dei loro prodotti 20 .<br />

Nella “Relazione della direzione del Comizio Agrario<br />

Circondariale di Salò per l’annata 1897” si leggeva: “<strong>La</strong><br />

principale ricchezza della Riviera, il limone, va gradatamen-<br />

18. Solitro G., Benaco, cit., pagg. 240-241<br />

19. Relazione della Camera di Commercio e Arti di Brescia a S.E. il Ministro<br />

d’<strong>Agricoltura</strong> Industria e Commercio sopra la statistica e l’andamento industriale<br />

e commerciale del proprio distretto per l’anno 1869<br />

20. Relazione della direzione del Comizio agrario circondariale di Salò per<br />

l’annata 1897, Brescia, Tip. Istituto Pavoni, 1898


25<br />

te scomparendo. <strong>La</strong> esiziale concorrenza fattale dai limoni<br />

meridionali, che si mandano al nord sopra ogni piazza<br />

a prezzi perfino di perdita, ha rovinato completamente la<br />

nostra plaga, senza recar giovamento a quella meridionale.<br />

Quindi anche i proprietari, che hanno fin qui fatto sforzi<br />

grandissimi per tenere in assetto i loro agrumeti, è loro giocoforza<br />

abbandonarli.”<br />

L’olivicoltura fu ancora a lungo praticata con i criteri tradizionali:<br />

“Tutta la regione del <strong>Garda</strong> non dà all’olivo l’importanza<br />

che esso ha e la sua coltivazione non ha quelle<br />

cure e quella estensione che dovrebbe avere. Partendo da<br />

Limone San Giovanni ove il progresso raggiunto in questa<br />

coltura è ragguardevole, i paesi che s’incontrano discendendo<br />

verso Desenzano curano sempre meno l’olivo, finché<br />

giunti in Valtènesi constatiamo lo strano fenomeno che<br />

i contadini, nella gran maggioranza non conoscono affatto<br />

la potatura, non sanno curare la carie e se il padrone non si<br />

decide a chiamare operai della Riviera propriamente detta,<br />

questa povera pianta rimane in balia di se stessa e dei suoi<br />

nemici, deperisce e muore. Non è affatto raro il caso di trovare<br />

olivi che da vent’anni non furono né potati né curati<br />

del marcio. In Valtènesi adunque questa coltivazione in luogo<br />

di aumentare diminuisce. Alle piante che deperiscono<br />

e muoiono non si sostituiscono piante giovani” 21 .Ed ancor<br />

più grave la situazione si presentava scendendo verso sud a<br />

Desenzano, Rivoltella, Lonato dove l’olivo si trovava a combattere<br />

la concorrenza del gelso che alimentava la bachicoltura<br />

locale, discreta fonte di reddito. Uno dei punti di maggiore<br />

debolezza era stato ed era ancora il sistema di propagazione<br />

dell’olivo che veniva fatta per polloni o per ovoli;<br />

dai primi anni del ‘900 si iniziò però a preferire le pianticelle<br />

già innestate provenienti da seme che davano maggiore<br />

21. Razzetti Carlo, Impianto e coltivazione degli olivi, in “Il Risorgimento<br />

agricolo”, anno IV, 1903 n. 3-4


26<br />

garanzia di riuscita. 22 Dal 1903 al 1913 il Consorzio Agrario<br />

della Riviera ne collocò 16.800 acquistate direttamente in<br />

Toscana. D’altra parte una maggiore cura nella potatura ed<br />

una più assidua e razionale concimazione dimostrò che la<br />

produzione poteva facilmente essere migliorata.<br />

<strong>La</strong> viticoltura fu, tra le coltivazioni tipiche gardesane,<br />

quella che subì maggiori trasformazioni e attirò su di sé<br />

le maggiori attenzioni. <strong>La</strong> prima risposta che l’agricoltura<br />

gardesana diede all’invasione della crittogama degli anni<br />

preunitari, fu una risposta prettamente produttivistica per<br />

conseguire la quale non si esitò ad estendere irrazionalmente<br />

la coltivazione della vite, particolarmente nella regione<br />

collinare, anche nelle aree marginali e meno adatte.<br />

“<strong>La</strong> mancanza del prodotto uva fece salire enormemente<br />

i prezzi di questa, tanto più che non era possibile a quei<br />

tempi l’importazione delle uve meridionali, e l’agricoltore,<br />

nella speranza di rimediare alla rovina in cui era caduto, si<br />

diede ad aumentare, a raddoppiare la coltivazione della<br />

vite. Così scomparvero i campi liberi e parte dei prati trasformati<br />

in vigneti; si spezzarono le piane larghe con nuove<br />

piantagioni di viti e si abbandonò quasi del tutto la coltivazione<br />

del frumento. Si trasformarono in vigneti anche dei<br />

boschi che esistevano nella parte alta delle colline, ma però<br />

non in proporzioni rilevanti. Le conseguenze del nuovo indirizzo<br />

sbagliato si sentirono immediatamente. Si lamentò<br />

la deficienza forte dei foraggi e delle stramaglie, diminuì la<br />

produzione del frumento ed i vecchi forni cessarono di cuocere<br />

il pane fatto in casa. Aumentarono assai gli acquisti del<br />

legname per le viti; la produzione del granoturco, coltivato<br />

senza interruzione in piane strette, raramente con stallatico<br />

rubato alle viti diminuì al punto che ora è inutile seminarlo.<br />

Di contro non si ebbe lo sperato aumento del prodotto<br />

uva, perché le cure anticrittogamiche non furono mai fatte<br />

bene, specialmente col sopraggiungere della peronospera<br />

22. Bettoni L., L’agricoltura..., cit., pagg. 79 -93


27<br />

e perché lo scarso letame che prima manteneva in buona<br />

vegetazione poche viti, ora doveva essere sufficiente per<br />

un numero quasi doppio. <strong>La</strong> deficienza dei foraggi fece diminuire<br />

il bestiame da lavoro. <strong>La</strong> depressione economica<br />

iniziò l’emigrazione dei contadini. All’aumento enorme di<br />

spese generali e di tasse, si unì la diminuzione generale dei<br />

prodotti aggravata dalla mortalità del bestiame. Si può dire<br />

che da una lunga serie d’anni l’agricoltore assiste impotente<br />

allo sfacelo lento della proprietà, sfacelo che purtroppo<br />

continua” 23 .<br />

Scriveva Carlo Omodeo Salè nel suo saggio su “Avvicendamenti<br />

e consociazioni colturali della Riviera Bresciana<br />

del <strong>Garda</strong> nel quadro della evoluzione agricola nell’ultimo<br />

cinquantennio” pubblicato in Memorie dell’Ateneo di Salò<br />

(1940): “...il decennio che precedette il 1885 fu floridissimo<br />

nel commercio ed anche nella esportazione del vino. [....]<br />

Ben presto dal periodo di floridezza accennato si passò ad<br />

altro di crisi profonda che culminò nell’ultimo decennio del<br />

secolo scorso. Innanzitutto crisi di mercato: venuta meno<br />

l’esportazione e sopraggiunte altre ragioni di carattere<br />

economico–politico concomitanti, il prezzo dell’uva discese<br />

notevolmente dai massimi di lit.34,5 al quintale.. a valori<br />

minimi di 17 lire. Diminuì contemporaneamente la produzione<br />

da un valore medio di 16 a 17 quintali per ettaro a<br />

10 e 11 quintali. Quest’ultimo fatto era dovuto allo sfruttamento<br />

eccessivo dei terreni nel periodo precedente colle<br />

consociazioni illogiche e la deficienza di concime, ma più<br />

ancora al diffondersi e all’aggravarsi prima dell’oidio e poi<br />

della peronospora. Fu specialmente grave la peronospora.<br />

Ad essa da principio non si diede la dovuta importanza<br />

giacché produceva danni lievi, non solo, ma, secondo alcuni,<br />

arrecava qualche vantaggio per la gratuita sfogliatura<br />

parziale prima della vendemmia. Ma successivamente al-<br />

23. Razzetti C., <strong>La</strong> Valtenesi agraria, in “Il Risorgimento Agricolo”, anno 1,<br />

n.7 , agosto 1900


28<br />

largò il suo campo di azione ed attaccò oltre che le foglie<br />

anche i grappoli, prima e dopo la fioritura, l’uva durante il<br />

suo sviluppo e gli stessi grappoli che vi corrispondevano.<br />

Di modo che i danni andavano via via crescendo, giungendo<br />

a distruggere anche l’intero raccolto. Ma i rimedi efficaci<br />

ritrovati per i due parassiti indicati, basati <strong>sul</strong> largo impiego<br />

di cuprici liquidi e di zolfo, aggravarono enormemente le<br />

spese di coltivazione e di difesa. Di modo che in quel periodo<br />

si può ritenere che tutte le aziende agricole della Riviera<br />

del <strong>Garda</strong> fossero in perdita. Molti terreni infatti cambiarono<br />

di proprietà ed il prezzo per ettaro discese a Lit.1.000<br />

ed anche a meno.di qui fallimenti, disoccupazione, miseria,<br />

emigrazione in larghissima scala...”. Tuttavia non sempre,<br />

allo scarso raccolto corrispondeva uno scadente prodotto,<br />

ma talora la qualità del vino riusciva ottima e non rimaneva<br />

priva di mercato, anche se avevano cominciato a fare la loro<br />

comparsa i vini meridionali che venivano smerciati a danno<br />

della produzione locale 24 . E la Gazzetta Ufficiale del circondario<br />

di Salò “Il <strong>Garda</strong>” puntualmente dava notizia dell’andamento<br />

del mercato vinicolo: “Anche nei nostri paesi è<br />

cominciato lo smercio dei vini meridionali, a tutto danno<br />

del prodotto locale”(sabato 2 novembre1899). “In Valtènesi<br />

a Manerba, Moniga, Raffa e Portese abbiamo delle ottime<br />

qualità di vino, di solito molto apprezzato nella stagione<br />

invernale e speriamo che abbia a cominciare presto la vendita”.<br />

(9 novembre 1889). “Da parecchi giorni vediamo arrivare<br />

col tram nei nostri paesi vagoni di uva meridionale<br />

colla quale molti intendono fare vino da taglio coi nostri<br />

scadenti, ma molti invece prepareranno sotto il battesimo<br />

del vino meridionale dio sa quale bevanda”. (27 novembre<br />

1890).<br />

Nel 1898 ritornò a presentarsi la peronospora. “la rapidità<br />

dello sviluppo della peronospora è quasi incredibile e<br />

24. "Il <strong>Garda</strong>. Gazzetta settimanale del Circondario di Salò", annate 1889-<br />

91, Salò, Tipografia Faustino Conter & C.


29<br />

ben lo sanno gli agricoltori che nel 1898 si videro in 48 ore<br />

portata via quasi tutta l’uva; lo stesso accadde nel 1900”.<br />

Intanto preannunciata da pressanti inviti a non aspettarla<br />

con le mani in mano senza far nulla, dalla Francia dove aveva<br />

duramente colpito la viticoltura locale, si affacciò ai confini<br />

della regione gardesana la filossera, che già dal 1879 si<br />

andava diffondendo nell’Italia e che già era comparsa nella<br />

parte occidentale della provincia di Brescia. Le prime avvisaglie<br />

si ebbero nel 1901 con il rinvenimento di alcuni focolai<br />

di infezione a Bedizzole; nel 1902 fu la volta di Carzago 25 .<br />

Nel 1905 le esplorazioni compiute dalla Regia delegazione<br />

antifilosserica di Lonato rilevarono anche a Padenghe<br />

e Manerba la presenza della filossera che superato l’arco<br />

delle colline si avviava ormai ad invadere tutta la regione<br />

gardesana 26 . Carlo Omodeo Salè scriverà in proposito: “Ma<br />

la vera rivoluzione è stata determinata, come si disse,dalla<br />

comparsa (per quanto tardiva rispetto alle altre regioni<br />

d’Italia) e dalla rapida diffusione della filossera. Se questa<br />

ri<strong>sul</strong>tò, alla fine, forse benemerita, fu certamente agli inizi<br />

disastrosa, per modo che, molte proprietà, grandi e piccole,<br />

si sfasciarono, mentre altre furono date in affitto a prezzi<br />

irrisori. Conseguenza dolorosissima della crisi così grave fu<br />

la emigrazione. Osserva il Rossetti che in un solo anno il<br />

10% della popolazione abbandonò la Valtènesi... e che il<br />

sindaco di un comune di 700 abitanti firmò nell’annata 70<br />

precetti esattoriali”. Nel tentativo di fermare l’espansione<br />

dell’epidemia, sollecitato dai comuni della zona, il MAIC<br />

emise un decreto con cui sospese l’esportazione dai comuni<br />

di Manerba e Padenghe di alcune materie che avrebbero<br />

potuto facilitarne la propagazione. Ma intanto l’infezione<br />

si manifestò anche a Moniga, poi nel 1906 a Portese. Il 31<br />

dicembre 1910 il ministero dell’<strong>Agricoltura</strong> dichiarò sospetti<br />

di infezione filosserica tutti i comuni dei mandamenti di<br />

25. "Il Risorgimento Agricolo", anno III, n. 1-2<br />

26. <strong>La</strong> filossera in Valtenesi, Ibidem, anno VI, n. 14, 1905


30<br />

Gargnano, Salò e Lonato, ad eccezione di quelli già dichiarati<br />

ufficialmente filosserati. Nel 1911 all’elenco si aggiungevano<br />

i comuni di Polpenazze, Volciano e Muscoline e nel<br />

1912 i comuni di Salò, Gardone Riviera, Soprazzocco e Villanuova.<br />

27 Per affrontare il problema filossera i comuni dei<br />

paesi maggiormente viticoli istituirono dei consorzi antifilosserici<br />

che provvedessero alla ricostituzione dei vigneti.<br />

Nacquero così nel 1911 i consorzi antifilosserici di Manerba,<br />

Moniga, Soiano, Polpenazze, Puegnago, Raffa, San Felice,<br />

Portese e Padenghe a cui il ministero concesse un sussidio<br />

di Lit. 2.700. Nel 1912 i consorzi comunali si consorziarono<br />

nella federazione dei consorzi di difesa della viticoltura<br />

della Riviera Bresciana del <strong>Garda</strong>, su proposta della regia<br />

delegazione antifilosserica e nel 1913 nacquero i consorzi<br />

di Volciano e di Campoverde.<br />

<strong>La</strong> ricostituzione dei vigneti colpiti dalla filossera offrì<br />

l’occasione per una loro riduzione ed una loro razionalizzazione.<br />

Alla coltivazione a palo da buco si sostituì la coltivazione<br />

a spalliera con pali di legno, con evidente risparmio.<br />

Alle viti originali vennero sostituite viti americane il cui<br />

adattamento al suolo veniva accertato mediante accurate<br />

analisi dei terreni in cui dovevano essere collocate. Secondo<br />

i dati ufficiali del catasto agrario del 1909 la produzione<br />

di uva della regione gardesana ammontava a q.li 254.730 di<br />

cui 18.070 prodotti nella regione montuosa e 236.660 nella<br />

regione collinare. <strong>La</strong> produzione media per ettaro era, nella<br />

parte montana di q.li 26,7 e di q.li 26,3 nei vigneti della regione<br />

collinare; la superficie destinata esclusivamente alla<br />

viticoltura era di 7.334 ettari nella regione collinare e di ettari<br />

515 nella parte montuosa 28 .<br />

Per meglio comprendere in quale contesto maturarono<br />

le prime iniziative di solidarietà e di cooperazione val<br />

la pena ricordare quali fossero le condizioni di vita della<br />

27. Ibidem, anno VII, n. 7, 1906<br />

28. Catasto Agrario del Regno d’Italia, Lombardia, zone 40 e 43


Il frontespizio della prima pagina del primo numero della rivista<br />

31


32<br />

società agricola gardesana, in quanto al precario funzionamento<br />

del sistema produttivo corrispondeva un altrettanto<br />

grave e precario contesto sociale.<br />

<strong>La</strong> coltivazione del suolo, solo in minima parte, nella riviera<br />

gardesana era praticata in economia dal proprietario,<br />

e ciò avveniva quasi esclusivamente nella regione montana<br />

dell’alta riviera. Non particolarmente diffusa era la conduzione<br />

dei fondi in affittanza, il cui contratto aveva la durata<br />

di nove anni ed il cui canone veniva solitamente pagato in<br />

due rate, l’una a maggio, l’altra a novembre. Nel contratto<br />

l’affittuale si obbligava a tenere <strong>sul</strong> fondo un conveniente<br />

numero di bestie per consumare i prodotti del suolo, ma<br />

non sempre questa clausola veniva osservata. D’altra parte<br />

il contratto era quasi sempre stipulato nella forma più<br />

semplice, talora veniva fatta una scrittura privata, ma assai<br />

spesso il contratto era solamente verbale. L’affittuale dunque<br />

esercitava l’industria agraria con propri capitali: “il bestiame<br />

per le arature e per i trasporti, gli attrezzi rurali, i pali<br />

i vimini e lo zolfo per le viti, più una parte di grano per la<br />

semina ed una quantità di foraggio e di strame per sopperire<br />

all’insufficienza del prodotto dello stabile e denaro per<br />

le spese impreviste”.<br />

Il sistema di conduzione dei fondi più diffuso nella zona<br />

era invece il contratto di mezzadria, un contratto che era<br />

“in uso da molto tempo” e che non presentava caratteri<br />

molto diversi dai contratti di mezzadria in vigore nella collina<br />

lombarda del tempo, ma il tipo di coltivazioni e le dimensioni<br />

dei possedimenti, peraltro spesso frammentati e<br />

non contigui, facevano sì che esso fosse ritenuto il più adeguato,<br />

all’interno del quale però si ritagliavano condizioni<br />

particolari e varietà di clausole che mutavano di volta in<br />

volta, da contratto a contratto, a seconda degli usi locali. Il<br />

proprietario assegnava al colono ed alla sua famiglia la casa<br />

di abitazione a titolo gratuito, e in taluni casi anche un piccolo<br />

orto per il quale però richiedeva un compenso, sep-


33<br />

pur minimo. <strong>La</strong> divisione del prodotto avveniva nel modo<br />

seguente: dove il prodotto della vite era abbondante due<br />

terzi spettavano al proprietario ed un terzo al colono; se<br />

il prodotto era scarso veniva diviso a metà. Il frumento, il<br />

granturco e gli altri cereali venivano pure divisi a metà, ma<br />

al colono era fatto obbligo di provvedere a proprie spese<br />

all’acquisto delle sementi. Al colono veniva fatto obbligo<br />

di allevare i bachi da seta ed il ricavato della vendita veniva<br />

diviso a metà. A carico del colono erano le scorte vive<br />

necessarie alla coltivazione del podere, mentre il fieno per<br />

il bestiame, i pali e i vimini per le viti erano a carico del<br />

proprietario. Al colono spettava il pagamento della tassa<br />

di famiglia e quella <strong>sul</strong> bestiame, inoltre il proprietario imponeva<br />

al mezzadro l’obbligo di un determinato numero di<br />

carreggi per il trasporto di derrate e di materiali, mentre il<br />

mezzadro si impegnava ad offrire al proprietario, a titolo di<br />

regalìa, un numero fisso annuo di polli e di primizie dell’uva<br />

e dei frutti. Anche il prodotto delle olive veniva diviso a<br />

metà, ma anche in questo caso il colono era tenuto a donare<br />

al padrone una regalìa, che mentre per l’uva era fissata<br />

in un quindicesimo del prodotto totale, variava da colonìa<br />

a colonìa. E così come per l’uva era tenuto a prestare la<br />

sua opera nella cantina padronale “per tutte le operazioni<br />

attinenti alla fabbricazione del vino compresa la svinatura”<br />

al colono spettava la spesa di conduzione al torchio delle<br />

olive e della torchiatura.<br />

Durante l’anno, fino all’epoca del raccolto, il proprietario<br />

veniva incontro alle necessità del colono con sovvenzioni<br />

in granoturco e anticipazioni in denaro che venivano poi<br />

detratte al momento di chiudere i conti. Accadeva assai<br />

spesso così che nelle annate meno felici il mezzadro chiudesse<br />

i suoi conti in rosso, perennemente indebitato nei<br />

confronti del proprietario e solo nelle annate migliori riusciva<br />

a restituire quanto gli era stato anticipato. Accadeva<br />

anche però che il proprietario diffidasse dei suoi mezzadri,


34<br />

Costruzione del Consorzio Agrario al Crociale di Manerba


35


36<br />

Il Consorzio terminato.<br />

convinto che gli sottraessero parte dei prodotti, cosa che<br />

per altro probabilmente succedeva, data la povertà delle<br />

condizioni di vita, per cui i mezzadri, non ottenendo sovvenzioni<br />

dai proprietari, erano costretti ad indebitarsi con<br />

estranei che praticavano condizioni di usura. E il problema<br />

delle sovvenzioni non era l’unico per cui il mezzadro era<br />

costretto a ricorrere ad estranei che nulla avrebbero dovuto<br />

aver a che fare con la conduzione del podere. Il contratto<br />

di colonìa faceva obbligo al mezzadro di fornire il bestiame<br />

necessario alla coltivazione del fondo, ma ben pochi erano<br />

quelli che possedevano i buoi della loro stalla. Per poterne<br />

disporre ricorrevano alla soccida, che quasi sempre veniva<br />

praticata in forme assai onerose, per cui i prodotti del suolo<br />

spettanti al mezzadro finivano per non essere quasi mai<br />

sufficienti a far fronte alle necessità della famiglia colonica<br />

e del podere 29 .<br />

Nella regione gardesana la famiglia colonica era compo-<br />

29. Marchiori P., Monografia <strong>sul</strong>le condizioni dell’agricoltura e della classe<br />

agricola del circondario di Salò, in Atti della Giunta per la inchiesta agraria e<br />

<strong>sul</strong>le condizioni della classe agricola, vol. VI, Tomo I, Roma, Forzani e C., 1882


37<br />

sta mediamente da sei ad otto individui ed un coltivatore<br />

era in grado di lavorare un ettaro e mezzo di terreno nella<br />

parte collinare. Solitamente, data la ridotta dimensione<br />

delle possessioni, una sola famiglia colonica bastava alla<br />

normale conduzione di un fondo e la permanenza su un<br />

podere da parte di una famiglia mezzadrile era abbastanza<br />

lunga e non era infrequente che al padre subentrassero i figli<br />

e ciò anche per più generazioni. Tuttavia non mancarono<br />

casi in cui i mezzadri oppressi dai debiti abbandonassero i<br />

fondi “lasciando un debito che più non pagano”, oppure,<br />

quando la crisi si faceva più grave e la speranza di annate<br />

positive sfumava, abbandonavano i fondi “per costituirsi<br />

braccianti o lavoratori avventizi” quando non ricorrevano<br />

all’emigrazione.<br />

Dal quadro sin qui presentato si può comprendere come<br />

per il mezzadro, legato al fondo dalla compartecipazione<br />

al prodotto, il cinquantennio post’unitario non fu particolarmente<br />

felice e le condizioni economiche della famiglia<br />

mezzadrile erano spesso più misere di quelle di chi, come i<br />

salariati, poteva godere di una retribuzione fissa in denaro,<br />

per cui si può comprendere come vi fossero mezzadri che<br />

alla sicurezza del rapporto mezzadrile preferivano trasformarsi<br />

in braccianti o in salariati, liberandosi di tutti quegli<br />

oneri che il contratto di mezzadria comportava. Tuttavia<br />

esso rimase predominante in tutta la regione meridionale<br />

della riviera gardesana e conservò immutate le sue caratteristiche<br />

fino a quando ai primi del novecento non si iniziò<br />

ad introdurre, nel sistema di coltivazione tradizionale,<br />

le prime innovazioni colturali, vuoi sotto la spinta della necessità,<br />

vuoi sotto lo stimolo dei nuovi orientamenti agrari<br />

volti a riequilibrare la debole e sempre meno remunerativa<br />

agricoltura gardesana. E ancora qualche annotazione <strong>sul</strong>le<br />

condizioni di vita dei lavoratori della terra che vengono definite<br />

“molto meschine”. Tra le più frequenti cause di morte<br />

vi sono malattie intestinali e problemi alle vie respiratorie.


38<br />

Coltivazione del mais in Valtènesi<br />

Le abitazioni sono spesso malsane, umide, poco areate. Ma<br />

la malattia che più di tutte colpisce gli adulti è la pellagra,<br />

provocata dalle carenze dell’alimentazione 30 .“Il cibo usuale<br />

dei contadini è la polenta, salame, polli, erbaggi, beve vino<br />

30. Benedini B., Terra e agricoltori, cit., pagg. 154-157


39<br />

nella primavera e nell’estate... non mangiano di solito carne<br />

di beccaria...Il cibo ordinario ed abituale dei contadini consiste<br />

nei legumi, nel sorgo turco e nelle carni insaccate di<br />

maiale e non si fa uso di vino che nei tempi estivi e durante<br />

i lavori faticosi”. “Il vivere del colono e dell’operaio è molto<br />

meschino, è basato principalmente <strong>sul</strong> grano turco che si


40<br />

mangia tutti i giorni con erbaggi, legumi e poco pesce..”.<br />

Così in due inchieste condotte <strong>sul</strong>le condizioni di vita dei<br />

lavoratori delle campagne condotte prima e dopo l’unità<br />

d’Italia. Si comprende quindi come, in tale situazione, chi<br />

fosse solo un poco sensibile alle condizioni dei lavoratori<br />

della terra cogliesse al volo l’opportunità che la cooperazione<br />

mostrava di poter dare. E come l’adesione delle classi<br />

lavoratrici e proprietarie fu subito entusiastica, vincendo<br />

le ritrosie di cui l’atavico individualismo aveva permeato<br />

fino ad allora l’animo contadino 31 .<br />

31. Czoerning Karl, <strong>Agricoltura</strong> e condizioni di vita dei lavoratori agricoli<br />

lombardi 1835-1839, Milano, Editrice Bibliografica, 1986.


Pompeo Gherardo Molmenti (1852 –1928)<br />

41


42


43<br />

LE INIZIATIVE<br />

DI SOLIDARIETÀ<br />

SOCIALE


44


LE INIZIATIVE<br />

DI SOLIDARIETÀ<br />

SOCIALE<br />

45<br />

I primi due decenni post unitari non furono per la regione<br />

gardesana particolarmente ricchi di iniziative volte a favorire,<br />

direttamente ed indirettamente le condizioni dell’economia<br />

agricola. Già all’avvento dell’Unità tuttavia, <strong>sul</strong> <strong>Garda</strong><br />

era operante da circa un ventennio una delle più significative<br />

esperienze di cooperazione nata in un’epoca in cui<br />

ancor poco si parlava di cooperazione, ma che le condizioni<br />

dell’alta riviera occidentale del <strong>Garda</strong> ampiamente giustificavano.<br />

Mentre infatti l’agricoltura bresciana e lombarda<br />

in generale erano ancora caratterizzate da una produzione<br />

di sussistenza volta al soddisfacimento dei consumi delle<br />

classi proprietarie e produttrici, l’agricoltura dell’alta riviera<br />

occidentale del <strong>Garda</strong> si era consolidata nella produzione<br />

mercantile degli agrumi. E proprio i difficili rapporti con<br />

il mercato provocarono la nascita della “Società <strong>La</strong>go di<br />

<strong>Garda</strong>”, costituita con una prima scrittura l’8 marzo 1840 e,<br />

successivamente, definitivamente confermata il 6 gennaio


46<br />

<strong>1841</strong> per iniziativa del consigliere di Gargnano Giuseppe<br />

Pederzani “allo scopo di vendere con reciproca eguaglianza<br />

comunalmente i limoni” 32 . <strong>La</strong> proprietà era notevolmente<br />

frammentata per cui se si eccettuano i pochi grandi possidenti<br />

che potevano direttamente provvedere mediante una<br />

propria organizzazione alla commercializzazione dei limoni,<br />

tutti gli altri, al momento di vendere i loro raccolti erano<br />

in balìa dei commercianti che badavano maggiormente ai<br />

propri interessi che a quelli dei produttori. 33 Nata dunque<br />

per sottrarre i produttori d’agrumi dalle mani di mediatori<br />

e speculatori, la Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> dette vita ad una efficace<br />

organizzazione commerciale che si estendeva a nord<br />

nel cuore dei paesi dell’Europa orientale, spingendosi sino<br />

ai mercati della Russia.<br />

Alla nuova società diedero subito la loro adesione 254<br />

possidenti, e benché i soci non superassero i due terzi dei<br />

possessori di giardini d’agrumi, nel 1863, agli inizi del primo<br />

decennio post unitario, nei magazzini della Società <strong>La</strong>go di<br />

<strong>Garda</strong> confluiva il prodotto di 12.000 campate di giardini, e<br />

nel 1879 quello di 17.400 campate.<br />

I soci, che all’inizio della Società erano suddivisi in permanenti-obbligati<br />

cioè per tutta la durata della Società – ed<br />

annuali, partecipavano alla vita della società esprimendo<br />

il loro diritto di voto <strong>sul</strong>la base delle loro possessioni. Chi<br />

aveva 100 campate aveva diritto ad un voto, chi ne aveva<br />

200 a due voti, chi ne aveva trecento ed oltre a tre voti, e chi<br />

invece possedeva meno di cento campate aveva diritto ad<br />

esprimere da uno a tre voti solo se munito di procura di altri<br />

32. Samuelli Tomaso, Origine della Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> ed operazioni<br />

da essa compite durante un quarantennio, Salò, Tipografia Faustino Conter,<br />

1883<br />

33. Erculiani Giuseppe, <strong>La</strong> Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong>. Sue origini – Scopi e<br />

sviluppo dal 1840 al 1940, pubblicato in memoria di Pederzani Giuseppe di<br />

Gargnano che la ideò, volle e creò, Brescia, Tipografia R. Codignola, 1940 –<br />

XIX


47<br />

soci; diversamente egli era escluso dalle votazioni. <strong>La</strong> costituzione<br />

del capitale sociale doveva avvenire in maniera<br />

abbastanza indolore per i possessori di giardini d’agrumi,<br />

mediante la trattenuta di una cifra percentuale <strong>sul</strong> ricavato<br />

dei limoni venduti, in ragione, dapprima, di un soldo milanese<br />

<strong>sul</strong> ricavato netto di 100 limoni per formare un fondo<br />

di cassa divisibile fra i soci al termine della società o del loro<br />

rapporto con essa, poi del 2% <strong>sul</strong> ricavato netto dei limoni.<br />

Il fondo di cassa costituito con una trattenuta proporzionale<br />

al conferimento dei limoni fatto da ogni socio, non diventava<br />

proprietà della società, ma rimaneva accreditato ad ogni<br />

socio e di sua proprietà, con diritto di riscatto al termine del<br />

contratto sociale o all’uscita dalla società. Il capitale veniva<br />

quindi formandosi con una piccola parte dei prodotti messo<br />

a risparmio da ciascun socio, così che ognuno costituiva<br />

una quota di capitale sociale proporzionata alle sue forze,<br />

senza nessun grave sacrificio e veniva in possesso di una<br />

cartella di credito.<br />

Proprio in questo meccanismo era insito uno dei punti di<br />

debolezza della società che non seppe né poté arginare le<br />

difficoltà sorte nella produzione agrumiera, ma sopravvisse<br />

sino ai nostri giorni, mutando i suoi scopi, adattandosi alla<br />

nuova realtà, incapace di assumere un ruolo di promozione<br />

e di guida verso la ripresa di una coltivazione che <strong>sul</strong>le<br />

sponde occidentali del <strong>Garda</strong> vantava tradizioni plurisecolari.<br />

“Lo sviluppo che assunse l’azienda negli anni di prosperità,<br />

la quantità di frutta che affluiva nei magazzeni, il bisogno<br />

di sollecitarne la vendita, la speranza di maggiori e<br />

più vantaggiosi affari mercé l’istituzione di figliali poste più<br />

vicine ai consumatori, furono le ragioni che consigliarono<br />

nell’anno 1846 la istituzione in Vienna di un’agenzia estiva<br />

più tardi tramutata in permanente; nel 1848 fu decisa l’apertura<br />

di una filiale a Milano e il medesimo anno venne


48<br />

aperto in Verona un magazzino estivo, che però ebbe pochi<br />

anni di vita. Il 1857 vide la attivazione di altre due case filiali:<br />

l’una a Trieste alla quale oltre allo smercio dei limoni gardesani<br />

sarebbe spettato il compito di estendere il commercio<br />

ed altri rami congeneri, quali esempio limoni meridionali,<br />

aranci, frutta secche, che affluivano nel porto di Trieste”;<br />

l’altra a Praga.<br />

Appare evidente lo sviluppo della Società <strong>sul</strong>le direttrici<br />

commerciali dell’impero Austro-Ungarico, che da un lato<br />

aveva sempre costituito il naturale sbocco della produzione<br />

agrumicola locale, dall’altro lato avrebbe potuto comportare<br />

difficoltà e turbamenti al momento dei mutati rapporti<br />

politici successivi al passaggio dell’area gardesana al Regno<br />

d’Italia.<br />

Ma il 1855 aveva portato nei giardini d’agrumi la malattia<br />

della gomma che già a metà degli anni ’60 aveva ridotto<br />

la produzione di limoni a circa un quarto della produzione<br />

normale. I magazzini della Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> che nel<br />

decennio 40-49 avevano raccolto 59.333.281 limoni estivi e<br />

66.181.311 nel decennio 50-59, nel decennio 60-69 ne ricevettero<br />

solamente 32.343.282 e 21.284.276 nel decennio<br />

1870-79. Rimanendo pressoché invariato il numero dei soci<br />

che conferiva alla società i suoi prodotti.<br />

<strong>La</strong> vasta organizzazione commerciale posta in essere dalla<br />

società divenne sovradimensionata rispetto alla quantità<br />

di prodotto che ancora era in grado di immettere <strong>sul</strong> mercato,<br />

e venne gradatamente smantellata per ridurre costi<br />

che divenivano insostenibili e non più remunerativi.<br />

Così, nel 1859 venne decisa la soppressione dell’agenzia di<br />

Praga, che serviva come scalo per le piazze commerciali della<br />

Boemia e della Moravia e di quella di Trieste; il 13 settembre<br />

1862 fu decisa la cessazione della casa di Milano ed il 20 aprile<br />

1871 si deliberò la liquidazione della filiale di Vienna.<br />

<strong>La</strong> grande avventura commerciale si era praticamente


49<br />

conclusa, e la Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> ridimensionata nel suo<br />

scopo fondamentale si trovò a battere altre strade. Tuttavia<br />

essa era riuscita ad esercitare una positiva influenza per i<br />

proprietari di giardini d’agrumi proprio in questa congiuntura<br />

sfavorevole per la produzione limoniva. Infatti pur ammettendo<br />

che la diminuita produzione abbia contribuito a<br />

tenere elevato il prezzo degli agrumi, si deve rilevare come<br />

i ricavi garantiti dal momento dell’entrata in funzione della<br />

società furono superiori a quelli conseguiti dai produttori<br />

limonivi nei periodi precedenti; ad una media decennale di<br />

List. 3,42 per 100 limoni naturali, nel decennio 1832-<strong>1841</strong>,<br />

corrispose, nel periodo 60-80 un ricavo depurato per 100<br />

limoni, di Lit. 3,90 nel primo quinquennio, 5,17 nel secondo,<br />

6,82 nel terzo e 5,73 nel quarto, con una media ventennale<br />

di Lit. 5,40 (+ 1,98). E di tale migliore remunerazione non<br />

godettero solo i soci, ma tutti i produttori d’agrumi, giacché<br />

il peso della Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> fu tale da determinare<br />

tutto l’andamento del mercato.<br />

Allorché la caduta della produzione agrumicola si delineò<br />

in tutta la sua gravità la Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> si trovò<br />

economicamente impreparata non solo a favorire la ricostituzione<br />

dei giardini distrutti, così da garantire la continuità<br />

della coltivazione, ma non fu in grado nemmeno di disporre<br />

di capitali da impiegare “nella istituzione di piazze gratuite<br />

all’ospedale di Salò per cura di possidenti di giardini<br />

caduti nell’indigenza; nell’organizzazione di un consorzio di<br />

mutuo soccorso fra i proprietari dei giardini ed i giardinieri;<br />

nella fondazione di società mutua contro i danni degli incendi<br />

dei giardini; nell’impiego degli studi superiori a figli<br />

di proprietari di giardini”.<br />

<strong>La</strong> Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> nata per favorire la commercializzazione<br />

degli agrumi rimase legata a questo suo scopo<br />

primitivo, ma ridottosi il volume d’affari in questa attività ritenne<br />

di poter estendere i suoi interessi ad altre produzioni


50<br />

locali. Così nel 1877 si decise di accogliere nella società anche<br />

chi, non possedendo giardini d’agrumi fosse possessore<br />

di piante di lauro e di fondare un apposito opificio “onde<br />

lavorare tutte le bacche dei vecchi e nuovi soci e vendere<br />

l’olio in comunione”, giacché trovava smercio sugli stessi<br />

mercati ove la Società vendeva i limoni.<br />

Nel 1902 infine il consiglio di amministrazione decise la<br />

creazione di un moderno oleificio che entrò in funzione nel<br />

1903 in Gargnano, che provvedesse alla lavorazione delle<br />

olive ed al commercio dell’olio. Nel primo anno furono lavorati<br />

Kg. 225.336 di olive e Kg. 430.737 nel secondo anno<br />

di attività, conferiti da 150 soci che subito aderirono all’iniziativa.<br />

Mentre la Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> si garantiva la sopravvivenza<br />

espandendosi in nuovi settori, adeguando le sue<br />

strutture e le sue attività alle mutate condizioni della locale<br />

agricoltura, a Salò si costituiva, nel giugno del 1885 il Comizio<br />

Agrario circondariale.<br />

Se dunque le iniziative volte ad intervenire in maniera<br />

diretta <strong>sul</strong>l’agricoltura nei primi decenni post’unitari avevano<br />

a che fare con l’indifferenza delle classi contadine, la<br />

regione gardesana non rimase estranea, soprattutto dopo<br />

il 1880 al fermento di iniziative che operando <strong>sul</strong> piano assistenziale,<br />

creditizio e cooperativo tesero a migliorare le<br />

condizioni di vita della classe agricola, in sintonia con quanto<br />

accadeva nel resto del bresciano e delle altre regioni<br />

del regno. E se altrove le disagiate condizioni della classe<br />

agricola dettero vita ad una spinta rivendicativa che andò<br />

sempre più accentuandosi sino a trasformarsi in un’aperta<br />

conflittualità <strong>sul</strong> finire del secolo, grazie anche al diffondersi<br />

del socialismo, la regione gardesana non fu particolarmente<br />

coinvolta da aperti conflitti tra possidenti e operai e salariati<br />

agricoli in conseguenza delle caratteristiche strutturali<br />

dell’agricoltura dominata dalla piccola proprietà e dalla


51<br />

mezzadria e dall’insignificante presenza del bracciantato. In<br />

queste condizioni trovarono ampie possibilità di affermazione<br />

le iniziative di mutuo soccorso, lontane da ogni valenza<br />

rivendicativa, anche quando in altre parti della provincia<br />

la spinta al confronto di classe aveva posto le basi per la trasformazione<br />

delle società di mutuo soccorso in organismi<br />

più apertamente sindacali. Liberali e cattolici furono dunque<br />

i promotori delle numerose società di mutuo soccorso<br />

che un po’ ovunque sorsero nella regione gardesana 34 .<br />

Nel giugno del 1885 si era costituito a Salò il Comizio<br />

Agrario Circondariale. 35 Istituiti con legge del 1866 a metà<br />

fra l’obbligatorio ed il volontario, i comizi agrari avevano il<br />

compito di adoperarsi per far conoscere le migliori coltivazioni,<br />

i migliori metodi colturali, i più perfezionati strumenti<br />

ed in genere stimolare ogni intervento atto a promuovere<br />

pratiche dimostrazioni, esposizioni di prodotti, di macchine<br />

e di strumenti rurali” in una parola avevano “l’incarico di<br />

promuovere tutto ciò che può tornare utile all’incremento<br />

dell’agricoltura”. Inizialmente istituiti per i capoluoghi di<br />

provincia, nel 1879 vennero estesi anche ai capoluoghi di<br />

circondario, ma prima che Salò vedesse nascere il suo Comizio<br />

si dovettero attendere ancora sei anni. A presiederlo<br />

fu chiamato il conte Lodovico Bettoni, possidente e studioso<br />

d’agricoltura, membro della Deputazione Provinciale di<br />

Brescia, deputato e senatore del regno. Ma nato fra la diffidenza<br />

e l’indifferenza il comizio agrario non riuscì a superare<br />

le difficoltà che incontrò <strong>sul</strong> suo cammino e nel 1898<br />

al nascere del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera<br />

cessò ogni sua attività e quei proprietari che maggiore attenzione<br />

avevano dedicato ai problemi agricoli divennero<br />

34. Cavalleri Ottavio, Il movimento operaio e contadino nel bresciano (1878<br />

-1903), parti II e III, Roma, ed. Cinque Lune, 1972<br />

35. Comizio Agrario Circondariale di Salò, Relazione della direzione all’Assemblea<br />

dei soci dell’8 gennaio 1887, Brescia, 1887, Tip. Istituto Pavoni


52<br />

i primi soci del nuovo organismo 36 . Tuttavia nei suoi pochi<br />

anni di attività promosse conferenze <strong>sul</strong>la peronospora e la<br />

fillossera, l’allevamento del bestiame e l’albericoltura; iniziò<br />

a creare vivai di alberi da frutto, peri, meli peschi, castagni<br />

e viti americane che distribuì tra i soci, avviò esperienze di<br />

allevamento di nuove razze di bestiame bovino e soprattutto,<br />

in collaborazione con l’osservatorio meteorologico di<br />

Salò, iniziò un servizio giornaliero di previsioni del tempo a<br />

vantaggio degli agricoltori della regione 37 .<br />

Altre iniziative rimasero <strong>sul</strong>la carta e non videro realizzazione.<br />

Scriveva nel numero del 15 novembre 1890 la Gazzetta<br />

settimanale del circondario “il <strong>Garda</strong>” :[...] non intendiamo<br />

di fare appunto alla direzione del comizio; sappiamo<br />

bene anche noi che essa non ha mancato, in parecchie occasioni<br />

di chiamare a raccolta i soci; ma questi non si sono<br />

mai dati per intesi, al punto che si capisce benissimo come<br />

siano cascate le braccia anche ai pochi di buona volontà,<br />

ed ora le sorti delle istituzioni camminano come Dio vuole.<br />

Nell’anno agricolo testé compiuto non sarebbero mancate<br />

le occasioni per radunarsi e gli argomenti da trattare: l’acquisto<br />

del solfato in comunione; lo sviluppo e la cura della<br />

peronospora; il contributo dei coloni nella spesa, i ri<strong>sul</strong>tati<br />

ottenuti ecc, ecc, erano tutte questioni che potevano dar da<br />

discorrere parecchie volte ai nostri agricoltori se avessero<br />

voluto. Nell’ottobre del 1889 il comizio aprì la sottoscrizione<br />

per la provvista del solfato di rame; ma ben pochi risposero<br />

all’appello, tanto che la maggior quantità del solfato<br />

fu ritirata dai membri della direzione. Le due o tre sedute<br />

indette per discorrere di questi ed altri argomenti affini an-<br />

36. Comizio Agrario Circondariale di Salò, Relazioni per gli anni 1887,<br />

1889, 1897, Brescia 1888, 1890, 1898, Tip. Istituto Pavoni<br />

37. Relazione del direttore dell’osservatorio meteorologico di Salò, allegata<br />

alla relazione della direzione del Comizio Agrario Circondariale di Salò per<br />

l’anno 1887


53<br />

darono sempre diserte, ed ora da molti mesi non si sente<br />

più nemmeno parlare del comizio, quasi non esistesse [...] si<br />

è detto e ripetuto che i nostri contadini sono per massima<br />

avversi a introdurre modificazioni o innovazioni agricole e<br />

che i padroni devono sudar sangue prima di farle adottare;<br />

noi possiamo invece affermare il contrario, ad onore e lode<br />

di questa benemerita classe di lavoratori; e cioè abbiamo<br />

sentito i contadini dichiarare che nel venturo anno faranno<br />

la irrorazione di primavera come cura preventiva della<br />

peronospora, mentre i rispettivi padroni non ne sono forse<br />

altrettanto persuasi, e lo dimostrano non occupandosi<br />

dell’acquisto del solfato di rame in questa stagione che è<br />

quella indicata per averlo a buon prezzo” 38 .<br />

Se però il periodo che va dall’unificazione al 1880 vide<br />

predominare l’attività filantropica dei liberali, gli anni successivi<br />

videro farsi massiccio l’intervento cattolico che non<br />

si limitò alla creazione di società di mutuo soccorso dichiaratamente<br />

confessionali ma estese la sua iniziativa ad organizzare<br />

il credito rurale ed a promuovere, mediante la cooperazione<br />

l’approvvigionamento delle merci e la lavorazione,<br />

la trasformazione e la vendita delle derrate agricole.<br />

Il 1859 aveva visto a Salò la nascita della prima Società<br />

di Mutuo Soccorso, nella quale accanto ai lavoratori della<br />

terra, ai mezzadri, si collocavano i possidenti, i proprietari,<br />

paternalisticamente rivolti alle sofferenze della classe economicamente<br />

più debole, secondo una preoccupazione<br />

filantropica tipica del mondo liberale lombardo risorgimentale<br />

39 .<br />

<strong>La</strong> società che si era costituita agli inizi del 1859 quando<br />

ancora la regione gardesana era terra austriaca aveva<br />

subito raccolto l’adesione di 187 soci, divenuti 407 nel di-<br />

38. "Il <strong>Garda</strong>. Gazzetta settimanale del circondario di Salò", 15 novembre<br />

1890<br />

39. Cavalleri O., Il movimento..., cit., pagg. 91 – 93


54<br />

cembre dello stesso anno dopo la liberazione dall’Austria.<br />

Scopo dell’iniziativa: la costituzione di un fondo comune<br />

al quale attingere per la distribuzione di sussidi in caso di<br />

malattia, di infortunio o di infermità, in modo che, nella disgrazia,<br />

non venissero a mancare i mezzi di sostentamento.<br />

All’iniziativa dei liberali si Salò, che era stata la prima in provincia<br />

di Brescia, altre fecero seguito a Desenzano e Lonato<br />

nel 1862, a Toscolano nel 1863, a Rivoltella nel 1864 ed a<br />

Pozzolengo nel 1874 40 .<br />

Di ispirazione dichiaratamente cattolica furono le Società<br />

di Mutuo Soccorso di Gardone Riviera, Gargnano e<br />

San Felice di Scovolo nel 1885 e quella di Roè Volciano del<br />

1892. Ma mentre tutte queste operavano entro un raggio<br />

d’azione che non superava i limiti dei confini parrocchiali,<br />

per quelle di ispirazione cattolica, e dei confini comunali<br />

per quelle aconfessionali, nell’85 e nel ’90 sorsero due società<br />

di mutuo soccorso che esercitavano la loro influenza<br />

<strong>sul</strong> territorio di più paesi. <strong>La</strong> prima venne fondata nel 1885<br />

in Bedizzole per iniziativa di Don Francesco Gorini e Giuseppe<br />

Schena che assunse la denominazione di “Società<br />

operaia agricola cattolica federativa di mutuo soccorso di<br />

Bedizzole e paesi limitrofi”; ad essa fecero capo soci provenienti<br />

da Gavardo, Goglione Sopra, Nuvolento, Virle Treponti<br />

oltre che naturalmente da Bedizzole. <strong>La</strong> società, che<br />

raccolse 251 soci, oltre ad avere una sezione giovani ai quali<br />

era richiesto un contributo mensile di lit.0,15, era suddivisa<br />

in tre categorie che versavano un contributo mensile di<br />

lit. 1,80, lit. 1,20 e lit. 0,60. Il sussidio, che per i giovani era<br />

di lit. 0,20 giornaliere, veniva erogato per intero nei primi<br />

due mesi di malattia e dimezzato per i successivi due mesi.<br />

L’azione della società tuttavia non si esauriva in questa funzione<br />

assistenziale, ma si esplicava in molteplici attività che<br />

andavano dalla concessione di prestiti a favore dei soci,<br />

40. Ibidem, pagg. 106 -107


55<br />

all’organizzazione di pellegrinaggi ed alla diffusione della<br />

stampa cattolica, avvalendosi anche di una struttura organizzativa<br />

che comprendeva due biblioteche ambulanti, una<br />

banda musicale ed un corpo filodrammatico. Caratteristiche<br />

non dissimili da quelle della società di mutuo soccorso<br />

di Bedizzole ebbe la “Società operaia agricola cattolica<br />

federativa di mutuo soccorso di Salò e paesi limitrofi” che<br />

sorse il 1° ottobre 1890 raccogliendo 158 soci ed estendendo<br />

la sua influenza su quasi tutta la zona del basso <strong>Garda</strong> 41 .<br />

Accanto al problema dell’elevazione morale e sociale della<br />

classe agricola non meno grave apparve la necessità di un<br />

credito agricolo che sottraesse il piccolo proprietario ed il<br />

mezzadro dalle mani degli usurai ai quali essi erano costretti<br />

a ricorrere per fare fronte agli impegni ed alle necessità<br />

dell’azienda agricola. 42<br />

Significativa e, oserei dire ancora di attualità, l’acuta analisi<br />

che il sindaco di Salò e vicepresidente del Consorzio<br />

Agrario Cooperativo, avvocato Marco Leonesio, fece della<br />

situazione nel presentare il suo “Programma per la costituzione<br />

di una società anonima cooperativa di credito e sindacato<br />

agricolo a capitale illimitato fra gli agricoltori dei<br />

mandamenti di Salò e Gargnano”.<br />

“... ad un complesso di altre circostanze, per la cui influenza<br />

i capitali si distolsero in questa seconda metà del<br />

secolo dalla agricoltura, venne ad aggiungersi, quale nuova<br />

causa di maggior depressione, la azione governativa,<br />

vuoi colle imposte d’ogni maniera fatte più gravi dalle formalità<br />

imbarazzanti di accertamento e dal modo vessatorio<br />

di percezione, vuoi col favorire sempre il divorzio del capitale,<br />

principalissimo aiutatore di ogni azienda economi-<br />

41. Ibidem, pag. 292. Importante inoltre è la raccolta di statuti disponibile<br />

all’Archivio Storico Micheletti<br />

42. De Maddalena Aldo, Credito e banche a Brescia nei secoli XIX e XX, in<br />

Storia di Brescia, vol IV, parte XV


56<br />

ca, dalla agricoltura. Ond’è che se non soccorre la privata<br />

iniziativa vedremo in breve scomparire nella voragine del<br />

fallimento tutti i piccoli proprietari, che sono tanta parte e<br />

per ogni riguardo la più sana della nazione [....] È risaputo<br />

che, salve rarissime eccezioni, il reddito medio dei fondi<br />

è inferiore assai a quello che chiamasi interesse legale<br />

del capitale (5%) [...] ne consegue che i piccoli possidenti<br />

veggonsi costretti a soggiacere al peso di interessi troppo<br />

sproporzionati alla potenzialità del terreno, se anche hanno<br />

la fortuna di trovare il denaro presso qualche banca ad un<br />

tasso relativamente modico, e il lavoratore (colono o bracciante)<br />

deve lasciarsi spolpare da chi gli somministra credito<br />

quanto è indispensabile al sostentamento della famiglia.<br />

E sì che in genere non puossi immaginare vita più sobria e<br />

parsimoniosa di quella dei nostri piccoli proprietari di fondi<br />

e dei nostri contadini! Il facile impiego del denaro, qui<br />

in modo assai rimuneratore, là in modo comodo [...] fece<br />

sì che la rendita dello stato ed i titoli ad essa parificati, le<br />

azioni industriali, la Cassa di Risparmio di Milano, la Cassa<br />

Depositi e Prestiti e Casse Postali, la Banca Nazionale e le<br />

Banche Popolari hanno in mille e diverse guise attratto a sè<br />

tutti i grossi e piccoli risparmi, compiendo l’ufficio di altrettante<br />

piovre divoratrici del denaro, la cui circolazione nelle<br />

vene della patria agricoltura venne perciò a farsi sempre<br />

più scarsa e lenta, rendendola anemica e inetta a sostenere<br />

il più piccolo urto.<br />

Se anche una parte soltanto del deanro che ad interesse<br />

medio del 3 e 1/4% fosse impiegato, con non minore sicurezza<br />

e con maggiore profitto degli stessi depositanti, presso<br />

i nostri agricoltori diventerebbe coefficiente potentissimo<br />

di produzione e di benessere. Né si dica che il risparmio<br />

accumulato nelle casse di detti istituti di previdenza,<br />

rifluisce ancora a beneficio dell’agricoltura. Se si eccettua<br />

quanto la Cassa di Risparmio di Milano dedica agli scopi


57<br />

del credito fondiario – e ognuno sa come per i piccoli possidenti<br />

il credito fondiario sia null’altro che un miraggio –la<br />

massima parte di quei risparmi è destinata ad alimentare<br />

le speculazioni industriali ed edilizie nei grandi centri, e ad<br />

incoraggiare l’eseguimento di opere pubbliche delle Provincie<br />

e dei Comuni, mentre gli agricoltori possono attingervi<br />

in assai scarsa misura, ricorrendo alle Banche Popolari,<br />

i cui prestiti cambiari a un interesse relativamente alto,<br />

anziché l’aiuto della redenzione rappresentano non di rado<br />

per i piccoli possidenti l’anticamera dell’estrema rovina” 43 .<br />

Purtroppo il progetto di credito agrario che andasse oltre i<br />

confini comunali era destinato a rimanere tale.<br />

Fu l’istituzione delle Casse Rurali che riuscì a rendere<br />

meno drammatiche le conseguenze della crisi dell’agricoltura<br />

che anche nella regione gardesana si andavano sempre<br />

più acuendo. “ogni giorno infatti si andava scoprendo<br />

la miseria estrema in cui versava una schiera sempre più<br />

fitta di coltivatori diretti che, non volendosi arrendere al capitalismo<br />

agrario dilagante nelle regioni della Lombardia<br />

e del Veneto, rimanevano vittime delle incertezze del mercato<br />

e delle pesantissime tassazioni imposte per pagare<br />

gli impegni contratti per la realizzazione amministrativa e<br />

politica dello stato italiano[...] l’idea di diffondere quindi le<br />

casse rurali nel mondo agricolo ebbe in breve tempo pieno<br />

successo. Le casse rurali diventarono per molte famiglie<br />

l’ancora di salvezza, il mezzo per dare impulso ad iniziative<br />

in campo agricolo, lo strumento di elevazione morale<br />

e sociale dei contadini. Oltre che salvare le classi agricole<br />

dall’usura, le casse rurali avevano lo scopo di offrire ad esse<br />

i mezzi per provvedere ad una coltura razionale della terra,<br />

43. Programma per la costituzione di una società anonima cooperativa di<br />

credito e sindacato agricolo a capitale illimitato fra gli agricoltori dei mandamenti<br />

di Salò e Gargnano, Salò, Tip. Giò Devoti succ. F. Conter e C., 1892,<br />

pagg. 4-5


58<br />

mettendo a loro disposizione il capitale necessario a condizioni<br />

convenienti anche per non costringerle a precipitare<br />

la vendita dei raccolti” 44 .<br />

<strong>La</strong> prima cassa rurale ad essere istituita nella regione<br />

gardesana fu, nel 1894, la “Cassa Rurale di San Felice di<br />

Scovolo” seguita nel 1895 dalle Casse Rurali di Depositi<br />

e Prestiti di Bedizzole e di Manerba e nel 1896 da quella<br />

di Sirmione, dalla Cassa Rurale Cattolica di Lonato e dalle<br />

Casse Rurali di Rivoltella e Vesio di Tremosine. Nel 1898<br />

nasceva la Società Casa Rurale di Limone San Giovanni ed<br />

infine nel 1902, veniva fondata la Cassa Rurale diprestiti di<br />

Volciano.<br />

Attorno alle casse rurali, sotto la spinta e lo stimolo alla<br />

cooperazione ed alla solidarietà nata da queste esperienze<br />

sostenute e propagandate dai cattolici e dal clero locale<br />

cui ripetutamente si era fatto appello da parte di chi si<br />

preoccupava di cose agricole, perché servendosi della sua<br />

autorità morale si facesse propagatore del rinnovamento e<br />

del miglioramento agricolo sorsero e si svilupparono cooperative<br />

di consumo, società di assicurazione contro i danni<br />

della mortalità del bestiame, cooperative agricole o unioni<br />

rurali, cantine sociali e latterie cooperative che trasformarono<br />

il volto dell'economia di alcuni paesi 45 .<br />

Particolarmente caratteristica e unica nel suo genere in<br />

tutta la provincia bresciana fu l’ “Unione agraria della cassa<br />

rurale cattolica per acquisti e vendita collettiva di bozzoli”<br />

di Manerba ed è interessante notare come questa istituzione<br />

sia poi servita da esempio <strong>sul</strong>la cui esperienza nel 1899 il<br />

Consorzio Agrario Cooperativo della Rivera del <strong>Garda</strong>, con<br />

sede in Manerba organizzò su più vasta scala l’ammasso<br />

44. Cavalleri O., Il movimento operario e..., cit., pag. 323<br />

45. Fappani Antonio, Il movimento Cattolico a Brescia, Brescia, Edizioni<br />

del Moretto, s.d.


59<br />

sociale dei bozzoli 46 . Ma la cooperazione si estese anche<br />

alla trasformazione dei prodotti della terra o dell’allevamento<br />

per cui oltre alle latterie sociali di Vesio e Pieve di<br />

Tremosine del 1893, nel 1900 sorse a Liano di Gargnano la<br />

<strong>La</strong>tteria Sociale di Sasso e Navazzo e nel 1902 la <strong>La</strong>tteria<br />

Sociale di Tignale, e <strong>Cantine</strong> Sociali vennero create a Limone<br />

San Giovanni, Tremosine, Manerba e Prandaglio 47 . Nel<br />

neonato Regno d’Italia già alla fine del 1862 si contavano<br />

443 società di mutuo soccorso e nel 1886 veniva costituita<br />

a Milano la Federazione delle società cooperative italiane,<br />

denominata dal 1893 Lega Nazionale delle Cooperative. Le<br />

azioni di governo di Crispi e dei suoi immediati successori<br />

condussero l’Italia in una profondissima crisi economica<br />

che, dopo essere sfociata in scontri di piazza repressi sanguinosamente<br />

preparò l’entrata in scena di Giovanni Giolitti<br />

(1892). L’economia italiana, sorretta da una congiuntura<br />

internazionale favorevole, dalla ristrutturazione del sistema<br />

bancario, dall’incentivo alle grandi opere pubbliche, dalla<br />

nuova politica industriale impostata dal ceto dirigente liberale,<br />

mostrò segni di confortante dinamismo, proprio in<br />

questo periodo è fissata nell'anno 1896 la nascita del Chiaretto.<br />

Lo stato, tra il 1904 ed il 1910 intervenne con ben dodici<br />

provvedimenti legislativi volti a favorire più o meno direttamente<br />

la cooperazione e si passò dalle 3800 società esistenti<br />

nel 1902 alle 5065 del 1910. Poi fu il primo conflitto<br />

mondiale e riflessi negativi si registrarono anche nel settore<br />

cooperativo salvo riprendere in maniera consistente tra il<br />

1919 e il 1920 stimolato in parte dalla forte disoccupazione,<br />

dall’altro dall’aumento sfrenato dei prezzi.<br />

Fra il 1919 ed il 1924, in un periodo di grande confusione<br />

e tensione sociale, il fascismo, nell’intento di ostacolare l’a-<br />

46. Cavalleri O., Il movimento operaio e..., cit., pagg. 344-345<br />

47. Ibidem, pagg. 349-350


60<br />

vanzata delle forze socialiste e cattoliche, colpì duramente<br />

la cooperazione, bruciando e distruggendo sedi e minacciando<br />

i cooperatori. Solo nel 1923 il primo governo Mussolini<br />

diede il via ad un processo di normalizzazione che<br />

avviò l’opera di revisione dei problemi cooperativi da parte<br />

del partito nazionale fascista.<br />

Dal 1925 al 1927 il regime sciolse la confederazione ed<br />

intraprese una radicale riorganizzazione dei settori cooperativi;<br />

fu creato l’Ente Nazionale Fascista per la cooperazione<br />

con sede a Roma e le cooperative furono inquadrate<br />

nell’ordinamento corporativo.<br />

Nei giorni che seguirono l’8 settembre 1943 il fascismo<br />

provò a fare leva anche <strong>sul</strong>la cooperazione ma le sorti dell’Italia<br />

stavano per cambiare e le forze antifasciste posero le<br />

basi per la ricostruzione di cooperative libere e democratiche.<br />

Ricostituite la Confederazione Cooperativa Italiana e<br />

la Lega Nazionale delle Coopertive e Mutue, nonostante<br />

il mondo della cooperazione fosse spesso al centro di<br />

discriminazioni da parte dello stesso governo e vittima di<br />

un vero e proprio ostracismo, si giunse alla legge Basevi<br />

approvata nel settembre 1947 contenente “provvedimenti<br />

per la cooperazione” che sanciva sia i principi solidaristici<br />

e democratici cui dovevano ispirarsi le società cooperative,<br />

sia le clausole che avrebbero dovuto certificare il rispetto<br />

del requisito della mutualità stabilito dalla Costituzione.<br />

Quanto alle casse rurali, come tutto il mondo cooperativo,<br />

negli anni trenta, furono anch’esse destinate a seguire<br />

i piani organizzativi voluti dal regime fascista, impegnato<br />

nella ricerca di un sempre più ampio e vasto consenso popolare.<br />

Le casse rurali, costrette dapprima ad associarsi alla Federazione<br />

fascista Casse Rurali, poi all’Ente assistenza casse<br />

rurali dovettero poi approdare all’Ente fascista di zona,<br />

in un clima di malcelata ostilità da parte del regime che


61<br />

detestava il fatto che fossero nate, per gran parte, dall’iniziativa<br />

cattolica. Del resto, la ricerca del consenso da parte<br />

del fascismo, passava anche attraverso un rigido controllo<br />

delle autonomie locali, di cui le casse rurali erano un’espressione.<br />

Così, nell’ambito di un generale riassetto del<br />

sistema creditizio italiano e con l’intento di modernizzarle<br />

accrescendone l’operatività, il regime, con leggi del 1932<br />

e 1934 imponeva loro la cessazione delle dirette attività di<br />

commercio dei prodotti ed attrezzi agricoli da lasciare ai<br />

Consorzi Agrari 48 .<br />

Sottoforma di cooperativa nel 1898 era nato il Consorzio<br />

Agrario della Riviera Bresciana del <strong>Garda</strong> allo scopo di<br />

“acquistare per conto proprio o di terzi e distribuire ai propri<br />

soci e agli agricoltori in genere, merci, prodotti, attrezzi,<br />

macchine, scorte vive e morte, occorrenti all’ esercizio<br />

dell’agricoltura e al consumo delle famiglie coloniche; vendere,<br />

sia per conto proprio, sia per conto di terzi, i prodotti<br />

agrari dei soci o degli agricoltori in genere, aprire nei luoghi<br />

dove saranno richiesti dal bisogno, appositi spacci per<br />

la vendita di prodotti agrari; acquistare macchine, attrezzi<br />

ecc. Per darli in prestito od in affitto; stabilire laboratori od<br />

opifici per la lavorazione di prodotti agrari; facilitare le operazioni<br />

di credito agrario dei propri soci, esercitare assicurazioni<br />

agrarie, nei limiti della Riviera bresciana del <strong>Garda</strong>,<br />

raccoliere le offerte e le domande di lavoro agrario e agire<br />

come ufficio di collocamento” 49 .<br />

Il consorzio, presieduto dal Principe Scipione Borghese,<br />

proprietario terriero con vaste possessioni nei comuni di<br />

Manerba, San Felice, Portese e Moniga, passò dagli 82 soci<br />

del primo anno di attività agli 821 del 1912 e procurò di creare<br />

immediatamente una capillare rete di vendita, aprendo<br />

48. Zane Marcello, Banca di Bedizzole Turano Valvestino 1895 – 2005<br />

49. Statuto del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera Bresciana del<br />

<strong>Garda</strong>, Salò, Tip. Pirlo e Veludari, 1898


62<br />

prima un magazzino a Manerba, sede del consorzio, poi<br />

a Lonato ed ai Tormini, lungo la linea ferroviaria, quindi,<br />

appoggiandosi prima alla Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> e poi alla<br />

Cooperativa agricola di Sasso e Navazzo ne aprì uno a<br />

Gargnano. Le merci che venivano offerte ai soci venivano<br />

sottoposte ad un rigoroso controllo della qualità, così da<br />

garantire i soci acquirenti che, in caso di non rispondenza,<br />

venivano regolarmente rimborsati, anche se ciò talora non<br />

bastava a convincere i contadini ed i piccoli proprietari che<br />

finivano per cedere alle lusinghe dei commercianti i quali<br />

non esitavano ad approfittare della loro ignoranza 50 .<br />

Tuttavia il volume d’affari fu subito considerevole e dalle<br />

100.000 lire del 1899 si passò alle 333.000 del 1912. Ad accrescere<br />

il volume d’affari del consorzio concorse anche la<br />

vendita collettiva dei bozzoli, per i quali era stato istituito<br />

sin dal 1900 un ammasso sociale che sottrasse gli agricoltori<br />

alle pretese degli speculatori e degli ammassatori privati,<br />

promuovendo nel medesimo tempo un’azione di pressione<br />

per la revisione del medio dei bozzoli di Brescia, apparso<br />

inquinato da contrattazioni fittizie e da manovre tendenti a<br />

mantenere basso il prezzo dei bozzoli con grave danno dei<br />

produttori 51 .<br />

L’ammasso dei bozzoli incontrò subito il favore dei coltivatori,<br />

ma non poté sottrarsi alle difficoltà a cui era esposto<br />

il mercato nazionale, anche se, consolidatosi nel corso degli<br />

anni contribuì in maniera determinante a garantire tranquillità<br />

al mercato locale della produzione bacologica.<br />

Tuttavia “la tutela degli interessi materiali degli agricoltori<br />

è certo utilissima cosa, ma è ancora più utile mettere<br />

in grado gli agricoltori di comprendere i benefici che loro<br />

50. "Il Risorgimento Agricolo", anno I, n.8 del 15 settembre 1900, Anno II<br />

n. 7 dal 15 aprile 1901, anno VI n. 12 del 30 giugno 1905<br />

51. Razzetti Carlo, Un poco di storia, in "Il risorgimento Agricolo", anno II<br />

n. 11-12 del 1 luglio 1901


63<br />

arrecano le istituzioni cooperative, e di avvalersi con cognizione<br />

di causa di tutto quel materiale che la scienza agraria<br />

moderna pone oggi a loro disposizione.<br />

Ciò che manca altrove e qui è l’istruzione agraria che<br />

centuplica i vantaggi delle moderne scoperte relative all’agricoltura.<br />

In altre parti d’Italia fanno ottima prova e danno<br />

splendidi ri<strong>sul</strong>tati le Cattedre Ambulanti d’<strong>Agricoltura</strong> che<br />

hanno lo scopo di portare l’istruzione agricola in mezzo ai<br />

proprietari ed ai contadini (la prima esperienza in Lombardia<br />

nell'anno 1900). Compreso dell’immensa utilità di tale<br />

istituzione, il consiglio del Consorzio si è posto all’opera e<br />

colla autorevole ed efficacissima cooperazione del comm.<br />

avv. Marco Leonesio è riuscito a raccogliere per sottoscrizioni<br />

private più di £ 4.000 annue e per cinque anni consecutivi”.<br />

“Tutti dicono: i nostri contadini sono ignoranti,<br />

sono immersi nei pregiudizi, sono schiavi di pratiche false<br />

e dannose; e sta bene, ma chi pensa a redimerli da questa<br />

ignoranza, a trarli dai pregiudizi, a convincerli che le loro<br />

pratiche sono false e dannose? [...] Avessimo almeno i maestri<br />

ambulanti come in Germania, che girano per le campagne<br />

a tener informati gli agricoltori dei nuovi trovati, dei<br />

nuovi metodi di coltivazione, ma nulla di questo” 52 .<br />

Anche la Cattedra, come già il Consorzio da cui essa<br />

emanava, nacque per l’impegno e l’iniziativa dei privati<br />

che preoccupati delle condizioni in cui versava l’agricoltura<br />

gardesana decisero di promuoverne la creazione, così che<br />

le nuove tecniche, le nuove macchine agricole, i concimi,<br />

gli zolfi e i fosfati che l’agricoltore e il colono acquistavano<br />

presso i magazzini del Consorzio o delle unioni rurali e delle<br />

casse rurali, potessero essere utilizzati correttamente e<br />

largamente e la produzione agricola della zona ne fosse au-<br />

52. Zucchini Mario, Le cattedre ambulanti di agricoltura (1886 - 1935) in<br />

"Rivista di storia dell’agricoltura", 1970, pag. 221 e seguenti


64<br />

mentata e migliorata 53 . “Il Consorzio agrario è un elemento<br />

di lotta degli agricoltori, perciò è vitale e la vita sua sarà lunga<br />

e feconda. Non basta che il Consorzio venda zolfo, zolfati,<br />

concimi, attrezzi, ma deve pensare alla conservazione e<br />

allo smercio dei prodotti agrari degli agricoltori, deve porre<br />

allo studio tutti i problemi di economia agraria nei rapporti<br />

tra proprietari e contadini in materia di tributi. Deve preparare<br />

il terreno adatto ad altre associazioni che si occupino<br />

esclusivamente della lavorazione e dello smercio dei singoli<br />

prodotti agrari come latterie, oleifici, cantine sociali ecc.<br />

Le cattedre non possono e non debbono vivere all’infuori<br />

di questo intenso movimento economico, anzi se vorranno<br />

essere durature, efficaci, se vorranno partecipare dell’entusiasmo<br />

professato nei Consorzi, debbono unire, amalgamare<br />

l’operato puramente agrario con quello ben più difficile<br />

e interessante dei consorzi. E chi meglio del direttore della<br />

Cattedra, che consacra la sua vita all’insegnamento agrario<br />

può con maggiore competenza e costanza dedicarsi allo<br />

studio e allo sviluppo dell’opera dei Consorzi”.<br />

In ossequio ai suoi compiti istituzionali le Cattedra iniziò<br />

la sua attività concentrando la sua attenzione su quello che<br />

era il maggior problema del momento e <strong>sul</strong> quale era più<br />

che mai necessario richiamare l’attenzione di proprietari e<br />

contadini.<br />

<strong>La</strong> viticoltura era infatti colpita dalla filossera e la Cattedra<br />

istituì dei corsi settimanali d’innesto in quasi tutti i comuni<br />

viticoli della zona, accompagnandoli con conferenze<br />

<strong>sul</strong>la fillossera ed ispezioni ai vigneti, sia compiute spontaneamente<br />

dal direttore della cattedra, sia su richiesta degli<br />

agricoltori o delle pubbliche amministrazioni preoccupate<br />

che la nuova malattia si propagasse devastando le coltivazioni.<br />

In tali interventi la Cattedra dapprima sostituì e poi<br />

53. Razzetti Carlo, Cattedra Ambulante e Consorzio Agrario, in "Il Risorgimento<br />

Agricolo", Anno I, n. 6, 1 agosto 1900


65<br />

coadiuvò l’azione del Consorzio antifilosserico bresciano<br />

a cui venne demandato il compito di tutelare la viticoltura<br />

provinciale, intervenendo sia per prevenire, sia per isolare i<br />

casi di infezione che si manifestavano, così da arginare l’avanzata<br />

della malattia, sia per selezionare nuovi ceppi di viti<br />

e predisporre vivai con cui ricostituire i vigneti fillosserati 54 .<br />

“I sottoscrittori sono tutti proprietari di terreni viticoli e<br />

devono di conseguenza rivolgere speciali cure alla viticoltura<br />

della regione collinare. Per rispondere a questo importantissimo<br />

compito, la Cattedra si occupò delle istruzioni<br />

pratiche <strong>sul</strong>la fillossera <strong>sul</strong>l’innesto delle viti americane [...]<br />

in un mese e mezzo la Cattedra ha impartito l’istruzione<br />

<strong>sul</strong>l’innesto in 19 comuni, in una settimana a 463 alunni dei<br />

quali 55 si meritarono il premio e 122 si distinsero”.<br />

Supporto e strumento di diffusione dei principi di agricoltura<br />

moderna propugnati dalla Cattedra e informatore <strong>sul</strong>le<br />

iniziative sociali ed attività promosse dal Consorzio Agrario<br />

fu “Il Risorgimento agricolo” che uscì regolarmente a partire<br />

dal 14 aprile 1900 55 . Organo ufficiale della Cattedra Ambulante<br />

e del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera<br />

Bresciana del lago di <strong>Garda</strong>, esso divenne anche la voce<br />

ufficiale dell’associazione “Pro Montibus” del circondario<br />

di Salò e della Società dei viticoltori della Riviera bresciana<br />

del <strong>Garda</strong>. Notizie pratiche di agricoltura, consigli per l’oleificazione<br />

e la vinificazione, suggerimenti per la conservazione<br />

delle derrate agricole, consigli su come combattere<br />

la fillossera o la diaspis pentagona o l’afta epizootica si accompagnavano<br />

alle notizie sui mercati e sui prezzi, alle relazioni<br />

<strong>sul</strong>l’attività della Cattedra e del Consorzio, ai bilanci<br />

54. "Il Risorgimento Agricolo", Relazione <strong>sul</strong>l’operato della Cattedra Ambulante<br />

d’agricoltura in Salò per l’anno 1902, anno III, n. 1-2 del 31 gennaio<br />

55. "Il Risorgimento Agricolo", A chi riceve il Giornale, anno I n. 1 del 14<br />

aprile 1900


66<br />

delle associazioni cooperative a loro collegate, agli studi<br />

<strong>sul</strong>le varie zone agricole, ai ri<strong>sul</strong>tati dei campi sperimentali,<br />

alle informazioni <strong>sul</strong>le operazioni, sugli acquisti e le vendite<br />

di merci presso i magazzini del consorzio, o ancora <strong>sul</strong>la<br />

necessità di modificare il patto colonico, o l’abolizione del<br />

dazio <strong>sul</strong> grano.<br />

Dove non arrivava la presenza diretta della Cattedra<br />

giungeva la voce dei suoi insegnamenti attraverso le pagine<br />

del bollettino che significativamente era stato chiamato “Il<br />

Risorgimento agricolo”. Intanto, grazie all’azione concorde<br />

di cattedra e consorzio, la riviera gardesana aveva visto sorgere<br />

nuove cooperative e nuove iniziative <strong>sul</strong>l’esempio delle<br />

istituzioni sociali nate nell’ultimo decennio del 1800 ma<br />

che rispetto a quelle si proponevano di esercitare la propria<br />

attività in ambiti territoriali notevolmente più vasti di quelli<br />

ristretti in cui quelle erano sorte e si erano sviluppate.<br />

“A Vesio per cura e virtù di Don Giacomo Zanini socio<br />

del nostro Consorzio fioriva e fiorisce tuttora una latteria<br />

sociale. Perché non trasportare i benefici di tale ottima istituzione<br />

cooperativa anche in Riviera? Dopo diverse difficoltà<br />

si riuscì a far funzionare la latteria sociale dei comuni<br />

di Gardone Riviera, Maderno e Toscolano, la quale oggi è<br />

floridissima e smercia panna, latte e burro agli Hotels che<br />

per la Riviera sorgono numerosi”. <strong>La</strong> nuova latteria sociale<br />

incominciò a funzionare nell’ottobre del 1899 e riunì un<br />

gran numero di piccoli proprietari in difficoltà nel commercializzare<br />

il loro latte e derivati nei periodi in cui <strong>sul</strong> mercato<br />

la domanda diminuiva 56 .<br />

Interessante fu anche il cammino dell’Oleificio Sociale<br />

Benacense di Toscolano anch’esso nato per iniziativa del<br />

Consorzio agrario che si proponeva in questo modo di migliorare<br />

la qualità dell’olio, aumentare il rendimento delle<br />

56. <strong>La</strong>tteria Sociale dei Comuni di Gardone Riv. Maderno, Toscolano, in "Il<br />

Risorgimento Agricolo", anno I, n. 10, 15 novembre 1900


67<br />

olive e migliorare l’utilizzazione delle sanse, in una parola di<br />

immettere <strong>sul</strong> mercato un prodotto di qualità superiore e<br />

garantire ai produttori un maggiore utile dalla lavorazione<br />

delle olive. “Già nel 1899 venne diramata ai soci una circolare<br />

nella quale si proponeva la creazione d’un oleificio in<br />

Valtènesi a Manerba e uno in Riviera che avessero per il momento<br />

intenti modesti. Più che altro si tendeva a fare delle<br />

esperienze <strong>sul</strong>la resa e <strong>sul</strong>la qualità dell’olio.<br />

I ri<strong>sul</strong>tati che si sarebbero ottenuti in alcuni anni d’esercizio<br />

dovevano dare gli elementi per poter proporre la creazione<br />

di un grande oleificio. Le adesioni furono numerose e<br />

gli studi compiuti si risolsero nel concetto che per la Riviera<br />

propriamente detta la località adatta per l’impianto dello<br />

stabilimento era in Toscolano, centro della produzione delle<br />

olive.<br />

A Toscolano potevano facilmente affluire tutte le olive<br />

del lago come già vi affluivano tutte le sanse prodotte dagli<br />

oleifici delle due sponde” 57 . I moderni impianti dell’oleificio<br />

permisero di conseguire, rispetto alla lavorazione tradizionale<br />

un maggior rendimento d’olio per ogni quintale di oliva<br />

che andava da un minimo di 800 grammi ad un massimo<br />

di tre kg e mezzo, a seconda delle partite. L’oliva di ciascun<br />

socio veniva lavorata a parte per stabilire la resa in olio e le<br />

olive venivano pagate in base all’olio ottenuto, mediante<br />

acconti immediati e successivamente si procedeva al saldo.<br />

L’oleificio pagava pure i trasporti per le olive provenienti da<br />

località distanti secondo le norme stabilite dal regolamento<br />

interno che dava disposizioni anche in merito alla consegna<br />

delle olive. Ai soci veniva garantito un interesse del 5% su<br />

ogni azione sottoscritta. L’oleificio provvedeva direttamente<br />

alla vendita dell’olio che veniva retribuito ai soci tenendo<br />

conto della qualità dell’olio ricavato dalle loro olive, così da<br />

57. Razzetti Carlo, L’oleificio sociale benacense, in "Il Risorgimento Agricolo",<br />

n. 17, 5 settembre 1902


68<br />

corrispondere loro il valore reale della loro produzione 58 .<br />

<strong>La</strong> rete di vendita che puntava a privilegiare la vendita al<br />

minuto, e solo in un secondo momento si orientò anche sui<br />

negozianti, si concentrò essenzialmente <strong>sul</strong> mercato interno,<br />

non tralasciando però di cercare sbocchi <strong>sul</strong> mercato internazionale,<br />

particolarmente nel nord Europa. Sul mercato<br />

interno, oltre che servirsi, come era naturale, della rete distributiva<br />

del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera,<br />

organizzò la vendita del proprio prodotto confezionato in<br />

fiaschi, dapprima a Brescia, affidando la propria rappresentanza<br />

alla Premiata <strong>La</strong>tteria di Borgosatollo che vendeva il<br />

latte a domicilio a oltre 1.600 famiglie, e poi a Milano, dove<br />

la rappresentanza fu affidata ad una impresa di fornitura di<br />

ghiaccio a domicilio, approfittando così, come a Brescia, di<br />

una clientela già formata.<br />

Minore fortuna ebbero, stranamente, due iniziative legate<br />

alla produzione vinicola. <strong>Cantine</strong> sociali erano sorte a<br />

Limone San Giovanni, a Tremosine, a Prandaglio ed a Manerba.<br />

“Parrà inverosimile che a Manerba siasi costituita una<br />

cantina sociale, senza nessun lavoro preparatorio, senza<br />

statuti, senza discussioni. Eppure una cantina sociale c’è<br />

e ne parliamo di proposito, perché la sua istituzione torna<br />

a grande onore dei promotori. Ma poiché tutte le cose<br />

hanno il loro principio tornerà utile spiegare la genesi della<br />

improvvisata cantina sociale. Prima che incominciasse la<br />

vendemmia, gli agricoltori della Valtènesi, esaltati un po’<br />

dalle notizie tristi <strong>sul</strong> raccolto delle uve dell’Italia meridionale,<br />

pretesero dalle loro uve prezzi elevatissimi, eccessivi.<br />

E come succede sempre che agli eccessi succedono gli eccessi<br />

opposti, avvenne che i compratori di uve, spaventati<br />

dalle domande esagerate, decisero di non comprare uva.<br />

58. Razzetti C., <strong>La</strong> rendita delle olive, in "Il Risorgimento Agricolo", n. 12,<br />

31 gennaio 1903


69<br />

Il raccolto abbondantissimo del Piemonte dava ragione ai<br />

compratori e per vari giorni, durante la vendemmia, i nostri<br />

paesi non videro, come si suol dire, un cane che cercasse di<br />

acquistare un po’ d’uva. Alle grandi speranze subentrarono<br />

la riflessione prima, il panico poi e i prezzi precipitarono di<br />

sette o otto lire al quintale. Ma non bastava questo ribasso;<br />

molta uva rimaneva ancora invenduta, massime a Manerba.<br />

Come potevano fare quei poveri proprietari che sono senza<br />

botti. O vendere quasi per nulla l’uva, o trovare una via d’uscita<br />

più conveniente. Quale? A Manerba esiste una cassa<br />

rurale che esercita il credito tra i piccoli proprietari e che<br />

ha loro portato molti benefici al paese facendo diminuire<br />

la piccola usura. E poiché l’uva è il principale prodotto del<br />

paese bisognava salvare da una mezza rovina una parte di<br />

questi piccoli proprietari. <strong>La</strong> Cassa poi era direttamente interessata<br />

ad impedire la crisi. Gli amministratori della cassa<br />

rurale ebbero la felice idea di pensare alla costituzione di<br />

una cantina sociale. Per fortuna in Manerba esiste una cantina<br />

ricca di botti ma che non viene usata dalla proprietaria<br />

Signora Lucia Vitalini. In questa cantina i soci della Cassa<br />

portarono la loro uva, che venne intanto pagata Lit. 15 al<br />

quintale” 59 .I tempi per la costituzione di una grande cantina<br />

sociale che potesse coinvolgere gran parte del territorio<br />

della riviera vennero però considerati prematuri dal<br />

Consorzio Agrario Cooperativo che ritenne invece maturi i<br />

tempi per la creazione di una distilleria cooperativa da collocarsi<br />

a Manerba.<br />

“Per le distillerie si può fare questo ragionamento semplicissimo<br />

– dichiarava il prof. Carlo Razzetti in una conferenza<br />

tenuta a Manerba il 19 aprile 1903 – ove le vinacce<br />

provengano da vini molto alcoolici l’industria della distillazione<br />

è indubbiamente remunerativa [...] <strong>La</strong> nostra regione<br />

produce vini da 10 a 13 gradi d’alcool e perciò ci troviamo<br />

59. Cavalleri O., Il movimento operaio..., cit., pagg. 349-350


70<br />

L'ammasso del grano ai magazzini del Consorzio


71


72<br />

nelle condizioni favorevoli alla distillazione[...] Una distilleria<br />

capace di lavorare 5.000 q.li di vinacce non è certamente<br />

troppo grande per noi che nei soli comuni di Padenghe,<br />

Moniga, Manerba, Soiano, Polpenazze, Puegnago, Portese,<br />

San Felice e Raffa abbiamo 2.800 ettari di vigneto. Ora<br />

calcolando appena una produzione di q.li 10 di uva per ettaro<br />

abbiamo una produzione di 28 mila q.li di uva, cioè<br />

di q.li 7.000 di vinaccia. E non tengo conto di Lonato e di<br />

Desenzano che fanno complessivamente oltre 1.500 ettari<br />

di vigneto e di Salò, Volciano e Caccavero che ne fanno<br />

oltre 800 ettari. Ma badate che sono stato assai basso nella<br />

produzione dell’uva poiché si potrebbe portarla intorno a<br />

q.li 15 per ettaro. L’impianto della distilleria porterebbe una<br />

spesa di £ 11.000” 60 .<br />

Il momento sembrava propizio, anche perché “la nuova<br />

legge sugli spiriti ha voluto lievemente favorire la costituzione<br />

delle distillerie cooperative [...]”. Inoltre il governo per<br />

favorire la costituzione delle distillerie cooperative mise a<br />

disposizione, a titolo di prestito gli apparecchi perfezionati<br />

di distilleria che deteneva nei suoi magazzini di macchine<br />

agricole. Ma l’entusiasmo non bastò e di fronte ad una più<br />

attenta disamina dei costi, dell’effettivo beneficio ch’essa<br />

avrebbe dovuto portare e il modo con cui da parte di alcuno<br />

dei promotori si intese condurre in porto l’operazione, il<br />

Consorzio abbandonò l’iniziativa e pur non osteggiandola<br />

apertamente accentuò il suo disimpegno. Non così il Consorzio<br />

Antifilloserico <strong>Bresciano</strong> che proprio in quel periodo<br />

era impegnato a promuovere in altre zone viticole bresciane<br />

ben quattro distillerie cooperative 61 .<br />

60. Per una distilleria cooperativa in Valtenesi, (conferenza tenuta a Manerba<br />

dal direttore del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera Bresciana del<br />

<strong>Garda</strong>), in "Il Risorgimento agricolo", n. 18, 30 aprile 1903<br />

61. Distillerie infatti furono create in quel tempo a Muscoline, in Franciacorta<br />

e <strong>sul</strong> lago d’Iseo


73<br />

<strong>La</strong> distilleria cooperativa della Valtènesi e Riviera del<br />

<strong>Garda</strong> vide la luce nei primi mesi del 1906 e fu legalmente<br />

costituita con l’emissione di azioni da lire 10 ciascuna da<br />

sottoscriversi da parte dei soci ed iniziò a predisporre le<br />

sue attrezzature in Cunettone. Ma poiché la preparazione<br />

dell’iniziativa era stata “più semplicistica di quella che preludiò<br />

la primitiva proposta del 1903 del Consorzio Agrario<br />

di Manerba, e per cause che certo non erano state attentamente<br />

studiate e previste nella fase costitutiva come pure<br />

per il sovradimensionamento del progetto con conseguente<br />

maggiore onere per i soci, onere tanto esagerato da non<br />

rendere più remunerativa per i soci la partecipazione all’impresa,<br />

essa non sopravvisse per più di due anni e nel 1908<br />

l’esperienza poteva considerarsi conclusa” 62 con la conseguenza<br />

di aver ingenerato ulteriore diffidenza verso la cooperazione<br />

in chi vi si accostava con non poche incertezze e<br />

titubanze, e sconforto in chi della cooperazione agricola si<br />

era fatto promotore e propagatore.<br />

Sollecitato dalle difficoltà del mercato che o non assorbiva<br />

l’eccedenza di produzione vinicola della Riviera gardesana,<br />

oppure smerciava vini dalle provenienze più disparate<br />

spacciandoli come vini della riviera, si levava, nell’agosto<br />

del 1907, l’invito ai produttori vinicoli a costituirsi in sindacato<br />

vinicolo per tutelare i loro interessi e garantire maggiore<br />

serietà al mercato.<br />

“Anche oggi s’accentua un rinvilìo impressionante dei<br />

prezzi del vino; (eppure l’anno scorso non se n’è prodotto<br />

granché!) e quel che è di peggio in vista della sperabile<br />

abbondanza del prossimo raccolto, pare vada delineandosi<br />

una corrente ribassista anche per l’anno venturo! Quali<br />

le cause? Quali i rimedi? Dirò subito che il prezzo attuale<br />

del vino non è tale da sgomentare il coltivatore della vite;<br />

62. <strong>La</strong> Distilleria Cooperativa di Manerba, in "Il Risorgimento Agricolo", n.<br />

10, ottobre 1906


74<br />

Cantina in Valtènesi negli anni Trenta


75


76<br />

<strong>La</strong>voratrici agricole in cascina negli anni Quaranta


77


78<br />

tutt’altro, non dirò neppure, restringendo le mie osservazioni<br />

alla Riviera del <strong>Garda</strong> che qui la superproduzione dell’uva<br />

possa essere causa di rinvilìo dei prezzi del vino, poiché,<br />

dato il sistema estensivo di coltivazione della vite adottato<br />

in quasi tutta la Riviera e la finezza del nostro prodotto, qui<br />

da noi certamente non si può parlare di superproduzione<br />

[...] la disponibilità del commercio del vino è dunque per<br />

noi della Valtènesi quello che determina l’attuale crisi ed<br />

è di tale natura da rendere vano ogni nostro sforzo individuale<br />

per eliminarla, per essa si rende necessario il sindacato<br />

vinicolo della Riviera del <strong>Garda</strong>. Si dice che alcuni<br />

negozianti sparsi per la Riviera ed altrove vendano del vino<br />

che della Riviera non ha che il nome, perché proviene e da<br />

Brescia e da Mantova e da Trani; difatti ognuno che sia stato<br />

anche solo a Brescia, o a Milano, o anche in centri minori<br />

della nostra stessa provincia e sia entrato in uno di quegli<br />

spacci che portano la scritta ‘Vino di Riviera’ avrà sentito<br />

che razza di broda che rivolta lo stomaco viene presentato<br />

molte volte sotto la speciosa etichetta di vino di Riviera, e<br />

intanto il negoziante che paga poche lire d’imposta, che<br />

non patisce la grandine ma riposando all’ombra, dorme<br />

tranquillo i suoi sonni, intasca illeciti guadagni, mentre il<br />

vignaiuolo che trema ad ogni rumor di tuono, che si rompe<br />

tutto l’anno le braccia alla fatica e paga forti imposte e zolfi<br />

e fosfati, vede le sue cantine ingombre di vero vino di Riviera<br />

e non ‘c’è verso di poterlo smerciare” 63 . Pochi incontri<br />

preparatori e la nuova Società dei viticoltori della Riviera<br />

Bresciana del <strong>Garda</strong> e Comuni limitrofi si costituì e fissò la<br />

sua sede in Salò, iniziando la promozione di una serie di<br />

iniziative che purtroppo lo scarso numero dei soci ed il conseguente<br />

ridotto potere contrattuale fece inesorabilmente<br />

naufragare. Nel settembre 1909, preso atto della situazione<br />

63. Silvioli Enrico, Il sindacato vinicolo della Riviera del <strong>Garda</strong>, in "Il<br />

Risorgimento Agricolo", n. 15, 31 agosto 1907


79<br />

sfavorevole, delusa per la cancellazione da parte del Maic<br />

del contributo che in precedenza le era stato assegnato,<br />

deliberò la sospensione di ogni attività 64 .<br />

“I soci della Società dei Viticultori della riviera Bresciana<br />

del <strong>Garda</strong> presa visione della relazione e del bilancio presentati<br />

dal Consiglio d’Amministrazione dichiararono: di<br />

approvare l’opera dispiegata dal proprio Consiglio d’Amministrazione<br />

per quanto essa non abbia corrisposto agli<br />

sforzi fatti per dar vita rigogliosa ed attiva al proprio sodalizio<br />

e di approvare ancora la relazione ed il bilancio presentati,<br />

in pari tempo ritenuto: che non vi ha nessuna ragione<br />

di sciogliere la Società in quantoché tutti gli scopi che la<br />

medesima si era prefissa e che sono elencati nello Statuto<br />

Sociale, rappresentando vitali questioni la cui risoluzione è<br />

di evidente attualità e che solo per mancanza di mezzi non<br />

è stato possibile dare esecuzione ad alcune delle iniziative<br />

proposte, e che d’altro lato la liquidazione non apporterebbe<br />

nessun beneficio e non farebbe che aumentare la<br />

sfiducia e il discredito alle Istituzioni Agrarie locali esistenti:<br />

delibera che la Società dei Viticoltori della Riviera Bresciana<br />

del <strong>Garda</strong>:1 ) si mantenga costituita continuando ad<br />

esistere sì da poter essere in ogni momento chiamata alla<br />

realizzazione e al compimento di nuovi benefici o alla soluzione<br />

di nuovi problemi imposti dall’accolta degli interessi<br />

dei viticultori; sospendendo pel momento ogni e qualsiasi<br />

dovere od obbligo legale o corresponsione pecuniaria annuale<br />

o vitalizia dei propri soci; 2 ) che sia affidato il fondo<br />

di cassa e tutto il materiale esistente alla Direzione della<br />

Cattedra Ambulante d’<strong>Agricoltura</strong> di Salò, perché essa se<br />

ne valga nel miglior modo che crede per aiutare i viticultori<br />

e promuovere o dar corso al programma fissato dallo<br />

64. Relazione della Società dei viticultori della Riviera Bresciana del <strong>Garda</strong><br />

e Comuni limitrofi con sede in Salò, in "Il Risorgimento Agricolo", n. 16 e n.<br />

17, 1909


80<br />

Statuto, come pure dandole facoltà di invitare nuovamente<br />

a raccolta sotto l’egida della Società già costituita tutti i<br />

viticultori, appena le necessità locali impongano a suo avviso<br />

la riorganizzazione delle varie forze individuali sparse ed<br />

inattive”.


Manifesto di una delle prime edizioni della “Festa del Vino” di Polpenazze del<br />

<strong>Garda</strong><br />

81


82


83<br />

LA LUNGA BATTAGLIA<br />

PER LA DIFESA<br />

DELLA QUALITÀ


84


85<br />

LA LUNGA BATTAGLIA<br />

PER LA DIFESA<br />

DELLA QUALITÀ<br />

Così mentre si combatteva la battaglia per la ricostituzione<br />

dei vigneti prendeva forma e consistenza la lunga battaglia<br />

per la difesa della qualità. Il primo tentativo compiuto,<br />

a livello di Parlamento nazionale, di disciplinare la denominazione<br />

d’origine dei vini risale al 1904; nel 1914 venne<br />

approvato un ordine del giorno, proposto dall’onorevole<br />

Ottavi, con il quale si sosteneva la necessità di “tutela delle<br />

marche di origine e delle denominazioni dei vini tipici”. Ma<br />

solo nel 1920, dopo la fine del primo conflitto mondiale,<br />

il parlamento riprese in esame quella proposta, più rivolta<br />

alla tutela della tipicità di un vino piuttosto che al suo stretto<br />

legame territoriale e viticolo.<br />

Un passo avanti fu compiuto con l’approvazione della<br />

proposta recante ‘Disposizioni per la difesa dei vini tipici’<br />

formulata dall’onorevole Arturo Marescalchi nel 1924,<br />

trasformata in legge nel 1926 con un iter attuativo che si<br />

concluse solo nel 1930. Tuttavia né questa legge né la successiva<br />

del 1937 avente come titolo ‘Provvedimenti per la<br />

viticoltura e la produzione vinicola’ che aboliva ogni dispo-


86<br />

Moniga nel 1930 in una panoramica da Soiano<br />

sizione precedente e tentava di porre rimedio alle carenze<br />

della normativa precedente riuscirono nell’intento di tutelare<br />

e valorizzare viticoltura e vini tipici. Ottorino Milesi nel<br />

suo “Il vino e i vini bresciani” scrive:”... Ai buoni propositi<br />

peraltro non fecero seguito i necessari regolamenti di applicazione......Infatti<br />

quelle denominazioni riconosciute ad<br />

alcuni vini di pregio, non controllate nel territorio e nella<br />

paternità viticola, furono più dannose che utili in quanto<br />

dilatarono le produzioni di ‘quei vini’ in modo del tutto abnorme<br />

appropriandosi spesso della dizione di alcune denominazioni<br />

geografiche originalmente destinate a modeste<br />

quantità”. Per mettere ordine nel settore con una filosofia<br />

nuova e chiaramente territoriale, sia viticola che enologica<br />

si dovrà arrivare al 1963 65 . A livello locale l’entrata in guerra<br />

dell’Italia nel maggio 1915 colse i vignaioli ed i viticoltori<br />

65. Milesi Ottorino, Difesa dell’identità e tipicità del vino, in Il vino e i vini<br />

bresciani, pagg. 55-57, Brescia, CCIAA, s.d.


87<br />

gardesani nel pieno della crisi provocata dalla filossera ed<br />

alle prese con una ricostituzione dei vigneti destinata a durare<br />

fino agli anni trenta del novecento.<br />

Ma la battaglia per la viticoltura si combatteva di pari<br />

passo anche <strong>sul</strong> fronte della trasformazione delle uve e il 16<br />

settembre del 1939 (il XVII dell’era fascista) la sezione vitivinicoltura<br />

del consorzio provinciale tra i produttori dell’agricoltura<br />

prese l’iniziativa di istituire “un Enopolio di fortuna<br />

al quale si potranno conferire uve da vinificare in locali<br />

adibiti a questo scopo dall’enopolio ed anche da vinificare<br />

sotto la guida di provetti tecnici nelle cantine stesse degli<br />

aderenti” 66<br />

Tuttavia neppure l’impegno della lavorazione comune<br />

delle uve riuscì ad ottenere per il vino della Valtènesi un<br />

riconoscimento di qualità superiore per cui protestarono i<br />

podestà della Valtènesi: i vini locali avrebbero potuto essere<br />

classificati, se non proprio di prima categoria, almeno<br />

di seconda. Invece no, nessuna distinzione di merito, ed<br />

anche i vini della Valtènesi finirono tra i vini di terza categoria,<br />

dove erano compresi, come scriveva il 9 marzo del<br />

1942 (XX) il prefetto di Brescia rispondendo all’esposto dei<br />

podestà, “la maggior parte dei buoni vini italiani”. Tuttavia,<br />

proseguiva rassicurante, si stia tranquilli, perché il comitato<br />

“ha riconosciuto che il valore di pregio delle singole<br />

produzioni dovrà essere riesaminato prima della prossima<br />

campagna vinicola”. Intanto i produttori si accontentino di<br />

vedersi pagato il loro vino come vino di terza categoria.<br />

I produttori però non furono per niente soddisfatti ed<br />

in attesa che le autorità competenti decidessero di riesaminare<br />

la questione, il 12 settembre 1942 parteciparono<br />

a Brescia ad una riunione presso l’ispettorato provinciale<br />

dell’agricoltura per esaminare e discutere uno Statuto del<br />

“Consorzio volontario produttori vino rosso della Valtènesi<br />

66. Pasini Pier Giuseppe, Dai campi al campeggio, in Manerba 900, pagg.<br />

66-67, <strong>Garda</strong>, Centro Studi per il territorio benacense, 1987


88<br />

Veduta aerea del territorio di Moniga: nel 1938 (in alto) e dieci anni dopo


89<br />

(Riviera Bresciana <strong>Garda</strong>)”. Recitava l’articolo uno dello statuto<br />

(che è composto di 39 articoli): “Tra i produttori di vino<br />

rosso della Valtènesi (Riviera Bresciana <strong>Garda</strong>) è costituito<br />

senza limiti di durata il consorzio volontario per la difesa di<br />

detto vino e del suo marchio d’origine, cosicché sotto la<br />

denominazione di cui sopra venga commerciato solamente<br />

il vino che dai vitigni della suindicata plaga viene prodotto.<br />

<strong>La</strong> sede del Consorzio è in Brescia presso l’Unione provinciale<br />

fascista degli agricoltori con ufficio di amministrazione<br />

a Manerba”. Per Manerba, che aveva visto nascere la prima<br />

cantina sociale ed il Consorzio Agrario Cooperativo della<br />

Riviera agli inizi del secolo, era l’occasione per tornare ad<br />

essere la capitale della viticoltura rivierasca.<br />

“<strong>La</strong> zona di produzione del vino rosso della Valtènesi<br />

comprende oltre i territori comunali di S. Felice del Benaco,<br />

Puegnago, Manerba, Polpenazze, Padenghe, anche quelli<br />

limitrofi di Salò e Volciano.<br />

Dal territorio di Salò sono esclusi i vigneti promiscui ad<br />

ortaggi ed i terreni irrigui, quelli delle frazioni di S. Bartolomeo<br />

e Serniga e comunque posti a oltre 250m. s.l.m.”<br />

(art.3)<br />

Questa la definizione del vino rosso della Valtènesi:<br />

“Concorrono alla produzione di tale vino i seguenti vitigni:<br />

il groppello che è il vino di base la cui percentuale va dal 45<br />

al 60% ed oltre; mentre il restante è costituito da un misto<br />

in proporzione varia oltre che di vecchi vitigni locali: schiava,<br />

berzamino nostrano, corva, trebbiano ecc., di vari vitigni<br />

forestieri, principalmente: Barbera, Nebbiolo, Sangiovese.<br />

Il vino della Valtènesi è di solito governato con uve all’uopo<br />

conservate di Groppello, Corva, Berzamino nostrano e Trebbiano.<br />

Esso di norma non viene invecchiato ma è consumato<br />

nell’annata di produzione. I suoi caratteri organolettici<br />

sono i seguenti: colore rosso rubino, trasparente, profumo<br />

delicato, sapido, asciutto, armonico con sapore amarognolo<br />

di mandorla. Se giovane è frizzante. Invecchiando il suo


90<br />

colore tende al rosso mattone. L’alcole in volume si aggira<br />

fra i 10,5 e 12% ed oltre; l’acidità totale tra 6-7,5” 67 .<br />

Intanto, accanto ai non indifferenti sforzi di possidenti e<br />

piccoli coltivatori nella ricostituzione dei vigneti, non mancavano<br />

le iniziative volte a far conoscere oltre i confini locali<br />

la vitivinicoltura della Valtènesi. Nel settembre del 1921, il<br />

sindaco di Puegnago Domenico Tebaldini guidava in Valtènesi<br />

i partecipanti al Congresso enologico nazionale svoltosi<br />

a Brescia.<br />

Ma la Valtènesi non era solo vino rosso. Nella sua opera<br />

del 1924 “I vini tipici d’Italia”, Arturo Marescalchi, uomo politico<br />

e appassionato studioso di enologia scriveva a proposito<br />

dei vini gardesani: “... le uve a vino rosso coltivate maggiormente<br />

sono il groppello, vitigno longevo e di prodotto<br />

abbondante, uva ricca di zucchero e tannino, ben colorata.<br />

Talora si usa come a Moniga vinificarla da sola levando il<br />

mosto dalle vinacce dopo 42/48 ore per ottenere il chiaretto.”<br />

Già, il chiaretto. Premiato all’Esposizione bresciana del<br />

1904 con medaglia d’oro, a soli otto anni dalla sua invenzione.<br />

Era infatti il 1896 quando a Moniga, Pompeo Molmenti<br />

storico e studioso di storia dell’arte, giunto qui dalla natìa<br />

Venezia per sposare Amalia Brunati, discendente d’una nobile<br />

e ricca famiglia di Salò, appassionatosi alla coltivazione<br />

delle terre portategli in dote dalla moglie, vinificò per la<br />

prima volta in riviera il “chiaretto”. Durante i suoi numerosi<br />

viaggi in Francia aveva apprezzato i vini rosé, specialmente<br />

quelli della Loira e di essi si era fatto spiegare il metodo di<br />

vinificazione.<br />

Tornato a Moniga, applicò la vinificazione in rosato delle<br />

rosse uve locali e – si dice – “inventò” il chiaretto: un vino<br />

rosa chiaro tendente al cerasuolo, dal profumo equilibrato<br />

di fiori e frutta, dal sapore asciutto, armonico e sapido<br />

destinato ad avere un’affermazione tale che a lungo i pro-<br />

67. Statuto del Consorzio Volontario produttori Vino Rosso della Valtenesi<br />

(Riviera Bresciana <strong>Garda</strong>) 1942, in A.C.M. categoria XI agricoltura 1942


91<br />

duttori di Moniga e della Valtènesi dovettero combattere<br />

per difenderne nome e qualità dall’avidità di commercianti<br />

che spacciavano per “chiaretto di Moniga” vini di tutt’altra<br />

natura e tutt’altra provenienza. Negli anni del fascismo la<br />

cooperazione, inquadrata ed irreggimentata aveva anche<br />

localmente subito non poche battute d’arresto, e le priorità<br />

in agricoltura erano andate alla battaglia del grano<br />

ed al perseguimento dell’autarchico soddisfacimento del<br />

fabbisogno alimentare italiano. I già ridotti capitali a disposizione<br />

dell’agricoltura subirono un’ulteriore contrazione e<br />

solo le casse rurali, riuscirono in qualche modo a sovvenire<br />

alle necessità dei coltivatori e dei produttori agricoli. L’economia<br />

di guerra, il difficile periodo della repubblica sociale<br />

e l’immediato dopoguerra, il venir meno della spinta<br />

propulsiva della cooperazione, tradottasi in alcuni casi nel<br />

fallimento di esperienze cooperative che ingenerarono un<br />

clima di sfiducia e di prostrazione furono per l’agricoltura il<br />

suggello di una crisi economica legata alle negative annate<br />

agricole che colpirono duramente la viticoltura e soprattutto<br />

il commercio vinicolo. Ogni anno, nel corso degli anni<br />

cinquanta, dagli amministratori locali della Valtènesi si invocava<br />

l’autorità del Prefetto di Brescia perché intervenisse a<br />

determinare il mercato delle uve tra produttori e commercianti,<br />

senza ottenere però grandi ri<strong>sul</strong>tati 68 .<br />

Era il febbraio del 1952 quando il sindaco di Moniga Pietro<br />

Ghirardi nel corso di un’assemblea dei rappresentanti<br />

dei proprietari terrieri, dei capi famiglia mezzadri e dei<br />

piccoli proprietari convocata in municipio dichiarava: “...<br />

premesso che nel territorio del Comune si produce una<br />

quantità di vino pregiato denominato ‘Rosato’ o più comunemente<br />

‘Chiaretto di Moniga’ e che tale produzione si<br />

aggira sui 10.000 quintali annui di uva, pari a 7.000 quintali<br />

di vino, premesso inoltre che in sito esistono stabilimenti<br />

68. Pasini Pier Giuseppe, Moniga. Storia di una comunità tra Ottocento e<br />

Novecento, pagg. 85- 87, Grafo, 1997


92<br />

Pigiatura dell'uva nel 1962


93


94<br />

<strong>La</strong>vaggio trucioli a lago per filtrare il vino (1950)


95


96<br />

<strong>La</strong>vaggio trucioli a lago per filtrare il vino (1950)


97


98<br />

di produzione vini per una capacità media di 60 – 70 mila<br />

ettolitri annui tutti esitati col nome di ‘Chiaretto di Moniga’;<br />

fatto presente che da qualche anno i produttori locali trovano<br />

serie ed insormontabili difficoltà per collocare all’atto<br />

della vendemmia il prodotto; che nella passata raccolta solamente<br />

1/3 della produzione totale è stata comprata dai<br />

grossisti di Moniga e anche questa quantità ad un prezzo<br />

inferiore a volte a quello delle uve prodotte nei comuni<br />

contermini, rilevato il fatto che nessun produttore ha la<br />

possibilità di lavorare, per mancanza di attrezzatura e di<br />

locali la propria uva, e che perciò stesso è obbligato a vendere<br />

a qualsiasi prezzo pur di non veder deperire un prodotto<br />

così delicato; richiamata nuovamente l’attenzione <strong>sul</strong><br />

divario esistente fra l’uva comperata in luogo dai grossisti<br />

locali che è quella che dà il nome al pregiato ‘Chiaretto di<br />

Moniga’ e la impressionante quantità di vino venduto sotto<br />

tale nome, l’assemblea, espressione genuina e completa<br />

dei precipui interessi della popolazione... di fronte alla resistenza<br />

constatata nella categoria dei commercianti vinicoli<br />

che usando il nome di un prodotto ben definito, esportano<br />

<strong>sul</strong> mercato nazionale, prodotto non propriamente locale;<br />

fa voti... ecc. ecc.”. A loro rispondeva, in maniera non troppo<br />

rassicurante, l’ispettorato agrario di Brescia, indicando<br />

però quale poteva essere la via d’uscita:<br />

“... Lo stato di disagio della viticoltura è generale ed<br />

è determinato da cause specifiche concomitanti e bene<br />

identificate e per ben attenuarla occorrono le invocate disposizioni<br />

di legge e soprattutto quella per la difesa della<br />

denominazione di origine dei vini genuini ed accreditati<br />

commercialmente, quale ad esempio ‘Chiaretto di Moniga’.<br />

L’ispettorato agrario ha promosso tempo addietro attraverso<br />

la stampa una campagna per denunciare le notevoli<br />

moltiplicazioni fraudolente di questo vino pregiato, e<br />

tale campagna ha avuto risonanza nazionale richiamando<br />

l’attenzione degli organi governativi competenti”.


99<br />

Ma bisogna dire che fu una attenzione dagli esiti assai<br />

scarsi se ancora nel ’56 il sindaco di Moniga era costretto a<br />

scrivere al prefetto di Brescia una lettera alquanto preoccupata.<br />

Nel 1957 produttori e commercianti sembravano vicini<br />

ad un accordo; i commercianti si impegnarono all’acquisto<br />

di tutte le uve prodotte localmente definendo il prezzo<br />

in base al grado zuccherino; nello stesso tempo riprese ad<br />

operare l’Enopolio della Valtènesi, divenuto proprietà dei<br />

produttori, così pure le cantine del Consorzio Agrario. Ma<br />

il problema stentava a trovare stabile soluzione. E intanto<br />

l’attenzione <strong>sul</strong> Chiaretto di Moniga, nel bene e nel male<br />

era sempre intensa.<br />

“<strong>La</strong> nostra clientela francese desidera, a pasto, del vino<br />

chiaretto di Moniga – scriveva un ristoratore di Ventimiglia<br />

rivolgendosi al sindaco del paese – Non si rivolga a negozianti<br />

perché non nutriamo eccessiva fiducia e poiché si<br />

tratta di fare affermare qui un vino diremo tipico è necessario<br />

che non interferiscano i negozianti con prodotti simili...”<br />

Ma il Chiaretto continuò per anni a scorrere a fiumi anche<br />

negli anni successivi, così che non furono pochi gli interventi<br />

tesi ad arginare il fenomeno. “...Questo comune è<br />

a conoscenza che codesta ditta mette in vendita del vino<br />

da pasto con la seguente impressione su bottiglie di vetro:<br />

‘<strong>Cantine</strong> di Maguzzano – Vino superiore da pasto – S.A. Immobiliare<br />

del <strong>Garda</strong>-Maguzzano di Moniga’. Poiché, fino a<br />

prova contraria Maguzzano è frazione del comune di Lonato<br />

e dista da Moniga ben km. 5, prima di procedere per altre<br />

vie a tutela del prodotto di Moniga, si prega....ecc ecc..”<br />

O ancora: “Questo Comune è a conoscenza che codesta<br />

ditta mette in vendita vino delle proprie <strong>Cantine</strong> con la seguente<br />

etichetta ‘Boni – Chiaretto di Moniga – <strong>Cantine</strong> f.lli<br />

Boni – Moniga del <strong>Garda</strong>. Poiché non ri<strong>sul</strong>ta che codesta<br />

ditta abbia mai avuto in questo comune stabilimento alcuno<br />

di lavorazione e produzione e tanto meno un deposito<br />

o quant’altro di simile, si prega...”


100<br />

<strong>La</strong> difesa della qualità e della tipicità era ancora lontana,<br />

nonostante da tempo i viticoltori della Valtènesi si stessero<br />

battendo per ottenere la costituzione di un consorzio di<br />

tutela. Il mondo della viticoltura e della cooperazione nel<br />

mondo agrario locale era destinato a procedere ancora per<br />

anni tra delusioni e battute d’arresto, seppure non mancasse<br />

qualche significativa iniziativa. Alcuni convegni, come<br />

quello dell’Accademia Italiana della Vite del 1953 ebbero il<br />

merito di proporre in modo nuovo i problemi della viticoltura<br />

che in quegli anni andò incontro alle delusioni della cooperazione<br />

con il fallimento dell’Enopolio di Manerba e di<br />

lì a poco alla chiusura di quello di Puegnago, promosso dal<br />

capo dell’Ispettorato Agrario di Salò, Vittorio Di Martino.<br />

<strong>La</strong> spinta propositiva si era oramai andata affievolendo, il<br />

desiderio di cimentarsi con nuovi progetti sembrava essere<br />

un capitolo chiuso e le numerose riunioni tra agricoltori non<br />

Panoramica di Moniga presa dalla strada statale (1954) nei pressi della <strong>Pergola</strong>


101<br />

servivano spesso ad altro che ad esprimere lamentele 69 .<br />

Nel 1959 si tenne il primo Convegno sui vini bresciani,<br />

nell’ambito dell’Esposizione Industriale Bresciana e si parlò<br />

di vini più che di vite. Nel luglio del 1960, a Moniga, nel<br />

corso di un incontro promosso dal direttore dell’ ispettorato<br />

agrario di Salò e del sindaco della cittadina, i produttori<br />

vinicoli della zona vararono un Consorzio per la tutela<br />

dei vini della Valtènesi. Ne dava conto il Giornale di Brescia<br />

nell’edizione del 30 luglio. “Il vino, sin dai tempi di Noè, ha<br />

sempre dovuto esibire un suo ‘certificato di residenza’, unico<br />

elemento valido per renderlo bene accetto <strong>sul</strong>la mensa<br />

dei buongustai. Per questo si tende, sempre con maggior<br />

frequenza, a falsificare l’origine di certi vini, assegnando<br />

loro, per valorizzarli, i nomi di zone notoriamente famose<br />

per i loro vigneti pregiati, dai quali si ricavano vini altrettanto<br />

fini e di alta qualità. Fra queste zone, vi è anche il lago<br />

di <strong>Garda</strong>, patria del famoso ‘Lugana’, del ‘Chiaretto’, del<br />

‘Rosso riviera’, del ‘S. Sivino’ e di altri tipi che sono tuttora<br />

l’oggetto di una spietata ed illecita concorrenza da parte di<br />

prodotti che sappiamo bene come, hanno tentato di confondere<br />

le idee dei consumatori con denominazioni sibilline<br />

ed assolutamente fuori dalla realtà. Da qui le ragioni<br />

per cui i produttori locali si sono riuniti per discutere ed<br />

approvare la costituzione di un consorzio che tuteli il nome<br />

e l’origine dei vini gardesani”. Con l’intensificarsi di queste<br />

iniziative si gettavano le basi per la costituzione, nel 1962,<br />

del Consorzio volontario per la difesa dei vini tipici e pregiati<br />

della provincia di Brescia. Il neonato consorzio impostò<br />

i problemi vitivinicoli locali su basi rigorosamente scientifiche,<br />

sia per quanto riguardava il settore agricolo della<br />

produzione, sia per quanto riguardava l’altrettanto importante<br />

e non disgiunto problema della commercializzazio-<br />

69. Vescia Michele, I vini bresciani, relazione all’Accademia Italiana della<br />

vite e del vino, Brescia, 1974, dattiloscritto


102<br />

Attesa per la consegna delle uve<br />

ne e della vendita 70 . Unitamente a questo si impostò uno<br />

studio scientifico <strong>sul</strong> problema tecnico della vinificazione,<br />

produzione, stabilizzazione e conservazione del prodotto.<br />

“Questo ente - affermava Michele Vescia nel corso di un<br />

convegno promosso nel 1967 dalla Comunità del <strong>Garda</strong> su<br />

“Lo sviluppo economico della regione del <strong>Garda</strong>”- che per<br />

la prima volta, come strumento modernissimo, ha chiamato<br />

a raccolta tutti i produttori per discutere sui propri problemi<br />

onde uscire da un paternalismo tradizionale per acquistare<br />

una moderna veste di democratica discussione e di difesa<br />

dei propri interessi, presentò agli enti competenti, fra<br />

i primissimi in Italia, i Disciplinari di produzione che permettevamo<br />

agli agricoltori interessati di usufruire di quanto<br />

previsto nella legge del 12 luglio 1963, al fine di ottenere il<br />

riconoscimento e la tutela dei propri vini. Ora i produttori<br />

possono con soddisfazione vedere approvati, con decreto<br />

presidenziale, i disciplinari di produzione dei vini della ‘Ri-<br />

70. Mazza Attilio, Cento anni di vita contadina, in Vecchia Valtenesi, Confraternita<br />

del Groppello, Edizioni del Moretto, 1985


103<br />

Manerba, attesa consegna delle uve negli anni Cinquanta<br />

viera del <strong>Garda</strong>’ e del ‘Lugana’...ecc” 71 .<br />

Fu dunque negli anni sessanta del secolo scorso che la<br />

viticoltura della Valtènesi per i suoi vini prese l’unico indirizzo<br />

possibile per garantirsi una sopravvivenza remunerativa,<br />

cioè quello di una produzione di pregio altamente qualificata.<br />

Era infatti impossibile immaginare una produzione<br />

tale da garantire una massa critica capace di sostenersi attraverso<br />

la quantità, in un ambiente naturale quale quello<br />

della Valtènesi o più in generale del <strong>Garda</strong>, sia per la giacitura<br />

dei terreni sia per l’ambiente climatico. “Stabilito perciò<br />

che il nostro avvenire è nella produzione di pregio, - dichiarava<br />

ancora Michele Vescia nel 1967 –è necessario che<br />

alla legge per la tutela delle denominazioni di origine dei<br />

vini vengano affiancati quei seri consorzi volontari fra i produttori,<br />

i quali sono gli unici che appaiono in grado di po-<br />

71. Vescia Michele, Lo sviluppo e le prospettive della viticoltura gardesana<br />

e della produzione vinicola con particolare riferimento ai recenti provvedimenti<br />

delle comunità europee, in Lo sviluppo economico della regione del <strong>Garda</strong>, vol.I,<br />

pagg. 57-61


104<br />

<strong>La</strong>voratori agricoli in posa


105


106<br />

terla far rispettare e di completarne il controllo soprattutto<br />

qualitativo...Bisogna però considerare, che il desiderio di riorganizzazione<br />

e di riassettamento della nostra viticoltura si<br />

è scosso da pochi anni e solamente in alcuni produttori avveduti<br />

ha trionfato quella coscienza vitivinicola, che molto<br />

spesso, per varie cause, è venuta a mancare nella generalità<br />

dei nostri viticoltori. È chiaro che se problemi annosi hanno<br />

trovato, per volontà di alcuni, il modo di essere impostati<br />

su sagge direttive, è necessario che le autorità responsabili<br />

diano a questi, che già da soli hanno saputo trovare la forza<br />

dii risorgere <strong>sul</strong>la strada giusta, tutto quell’aiuto che possa<br />

essere necessario a completare l’opera.”<br />

Per la viticoltura della Valtènesi era il tempo della rinascita,<br />

dopo aver conosciuto anni di crisi profonda, ed era<br />

anche giunto il momento di vincere la diffidenza che il fallimento<br />

delle tante e significative esperienze cooperative<br />

aveva ingenerato nel mondo agricolo locale alimentando<br />

un rigurgito di individualismi. Era il tempo di tornare alla<br />

cooperazione, perché la qualità aveva bisogno di unità e di<br />

capacità produttive ed imprenditoriali in grado di mettere<br />

anche i piccoli e medi coltivatori nella condizione di trarre<br />

profitto dalle opportunità che la normativa italiana ed europea<br />

<strong>sul</strong>la tutela delle produzioni tipiche di qualità offriva<br />

ed offre.


Giovani e agricoltori, soci fondatori di Agri-Coop Alto <strong>Garda</strong> Verde,<br />

a fine anni Settanta.<br />

107


108


109<br />

CANTINE<br />

LA PERGOLA


110


CANTINE<br />

LA PERGOLA<br />

111<br />

A metà degli anni Settanta del secolo scorso, l’agricoltura<br />

locale gardesana si ritrovò nuovamente in crisi e, per<br />

molte delle cantine che si limitavano alla sola commercializzazione,<br />

giunse il tempo della chiusura. In poco più di un<br />

decennio, tra il 1970 e il 1990, chiusero a Moniga varie cantine<br />

storiche (basti citare Bonomini, Colosio, Frassine-Bolla,<br />

Chiappini, Simoni), e la capacità di produzione e stoccaggio<br />

dei vini calò da oltre 150mila ettolitri di vino a soli 15mila.<br />

Occorreva affrontare la situazione da nuovi punti di vista.<br />

Così, il 6 maggio 1982, per iniziativa di un gruppo di piccoli<br />

viticoltori, veniva costituita a Moniga del <strong>Garda</strong> la Cantina<br />

Sociale Valtènesi, con l'obiettivo di ottenere per i produttori<br />

soci un'equa remunerazione dell'uva, mediante la vinificazione<br />

e l'imbottigliamento diretto del vino. Al termine<br />

del primo esercizio, i soci erano 20.


112<br />

<strong>La</strong> costituzione della Cantina sociale era la logica prosecuzione,<br />

nonché lo sbocco in ambito vinicolo, dell'attività<br />

di una piccola cooperativa di giovani ed esperti viticoltori<br />

che pochi anni prima, nel 1979, avevano dato vita alla<br />

cooperativa Valtènesi Verde. Una realtà che attraverso la<br />

coltivazione di terre incolte o mal coltivate -in quel periodo<br />

presenti anche in Valtènesi- procurò lavoro a giovani desiderosi<br />

di dedicarsi al lavoro associato e non subordinato in<br />

agricoltura, praticando –da pionieri- il metodo della agricoltura<br />

biologica, all'epoca non ancora codificato in norme<br />

di legge.<br />

Si partì con ri<strong>sul</strong>tati brillanti nonostante la congiuntura<br />

economica sfavorevole, e si confermò definitivamente<br />

l'idea, nuova e unica nel suo genere, di operare anche in<br />

favore di piccole cantine, la cui barriera al mercato era rappresentata<br />

dalla mancanza di impianti idonei al confezionamento<br />

e dalla conseguente vendita del vino a prezzi poco<br />

remunerativi, spesso in damigiane. Venne così "inventato"<br />

l'imbottigliamento su impianti mobili scarrabili: sale di imbottigliamento<br />

e confezionamento che venivano trasportate<br />

nelle piccole cantine per procedere alle operazioni di<br />

imbottigliamento.<br />

<strong>La</strong> Cantina aveva preso avvio nell’azienda di uno dei soci,<br />

un coltivatore diretto che mise a disposizione le proprie<br />

strutture ed attrezzature fino al 1987, quando dalle <strong>Cantine</strong><br />

<strong>La</strong>mberti di Verona venne acquisita la sede attuale in località<br />

<strong>Pergola</strong> a Moniga, inizialmente in affitto, e successivamente<br />

acquistata nel 1990. L’immobile era stato costruito<br />

dal produttore valtellinese Nino Negri negli anni tra il 1920<br />

e il 1930 per la vinificazione del Chiaretto di Moniga e del<br />

Rosso Riviera, destinati soprattutto al mercato regionale.<br />

Oltre alla Cantina, Nino Negri costruì lì a fianco la locanda<br />

<strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> (detta "<strong>La</strong> Pergolina"), punto d’incontro di


113<br />

produttori, mediatori e commercianti di uve e di vino del<br />

territorio. Così la ricorda il Professor Michele Vescia: ”Il baricentro<br />

della zona era la trattoria la Pergolina, stretta fra<br />

l’attuale Cantina Sociale, allora Cantina Negri, e la Cantina<br />

Frassine, [...] facilmente raggiungibile e dove, o per incontrarsi<br />

o per mangiare, tra una visita e un’altra ai vigneti, avvenivano<br />

gli incontri con lo scambio di vedute che formavano<br />

il mercato” (in Groppello e Dintorni, 2013, Confraternita<br />

del Groppello, pag. 70).<br />

Dopo i primi esercizi sociali, brillanti per la remunerazione<br />

delle uve, si ebbero non poche difficoltà di sviluppo.<br />

E infatti, tra il 1987 ed il 1990, la cantina fu <strong>sul</strong>l’orlo di<br />

chiudere per difficoltà gestionali e finanziarie. Ne conseguì<br />

un'azione convinta di capitalizzazione e di investimenti da<br />

parte dei soci: nel 1991 l’azienda fu ricapitalizzata portando<br />

il capitale sociale da poche migliaia a 360milioni di lire, con<br />

una quota minima di 20milioni a socio, e con il passaggio<br />

da una mentalità prettamente solidaristica a quella di una<br />

cooperativa che, pur non rinunciando alla mutualità, si inseriva<br />

nelle regole competitive del mercato puntando alla<br />

solidità patrimoniale. Questo passaggio fu marcato dalla<br />

nascita della nuova denominazione sociale <strong>Cantine</strong> della<br />

Valtènesi e della Lugana, a segnalare lo stretto legame della<br />

Cantina con le due aree viticole di provenienza delle uve,<br />

rispettivamente ad est –la Valtènesi- e a sud –la Lugana- del<br />

<strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong>.<br />

Negli anni successivi si accompagnarono, agli investimenti<br />

immobiliari e tecnologici, svariate azioni di comunicazione<br />

per avvicinare i prodotti ai consumatori: ne sono<br />

esempio le iniziative di degustazione sui battelli che attraversano<br />

il <strong>Garda</strong> e i convegni su viticoltura e territorio.<br />

<strong>La</strong> consapevolezza della necessità di far conoscere i vini<br />

locali, via via paradossalmente diventati sempre più scono-


114<br />

<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> (già <strong>Cantine</strong> Negri nel secondo dopoguerra) cartolina d’epoca


115


116<br />

<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> (già <strong>Cantine</strong> Negri nel secondo dopoguerra) cartolina d’epoca


117


118<br />

Interno di <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> (già <strong>Cantine</strong> Negri nel secondo dopoguerra)<br />

cartolina d’epoca


119


120<br />

sciuti al mercato, portò all'invenzione da parte della Cantina,<br />

il 21 marzo 1996, di <strong>Garda</strong>&Vino, la prima enoteca locale<br />

dedita alla degustazione e alla commercializzazione dei vini<br />

prodotti in Valtènesi e Lugana, nella cui sala si svolgeranno<br />

per anni iniziative culturali, informative ed enogastronomiche<br />

di altissimo livello.<br />

L'anno successivo, per ancor meglio rispondere alle esigenze<br />

dei più piccoli produttori di uva, la Cantina promuoverà<br />

la costituzione di una nuova cooperativa: Viticoltori<br />

del <strong>Garda</strong> -conta oggi 65 soci- a cui verrà affidata l’attività<br />

di raccolta e vinificazione, e il cui prodotto verrà conferito<br />

a <strong>Cantine</strong> della Valtènesi e della Lugana per il confezionamento<br />

e la commercializzazione.<br />

Nel 1998, sempre per iniziativa della Cantina, è la volta<br />

della costituzione del Centro Servizi Agroalimentari, con<br />

l’obiettivo di migliorare l’efficienza e la qualità delle aziende<br />

agricole e vitivinicole, l’innovazione e la divulgazione<br />

delle nuove tecnologie e delle conoscenze scientifiche, le<br />

certificazioni di qualità e la promozione di iniziative per lo<br />

sviluppo e la commercializzazione dei prodotti tipici in Italia<br />

e all’Estero.<br />

Da allora in Cooperativa è un susseguirsi di azioni di crescita<br />

e consolidamento: ampliamento dell’immobile, nuovi<br />

impianti, azioni di promozione dei prodotti in Italia e all’estero<br />

in vista di nuovi e più impegnativi progetti.<br />

In questo periodo i vini raggiungono l'eccellenza come<br />

documentano la quantità e qualità dei riconoscimenti che<br />

la cooperativa riceve, a partire da Moniga con la conquista<br />

del Trofeo Pompeo Molmenti, ad Asti con l'Oscar della<br />

Douja d'Or, la medaglia d'oro al Mondiale di Bruxelles, e<br />

decine di altri premi che "tappezzano" le pareti della sede<br />

sociale.<br />

A fine 2011 la crisi finanziaria impone alla Cooperativa


121<br />

una battuta d’arresto forzata: è l’occasione per fermarsi e<br />

riflettere <strong>sul</strong> significato del proprio esistere e <strong>sul</strong>le prospettive<br />

future. I soci non si perdono d’animo e capitalizzano la<br />

Cooperativa con oltre 1milione di euro; la Cooperativa si<br />

riorganizza e torna ad investire sia in impianti, sia in azioni<br />

per la crescita delle vendite sui mercati internazionali, e a<br />

immaginare nuove prospettive.<br />

È in questo contesto che, riflettendo <strong>sul</strong> legame con la<br />

terra e con la propria storia, e immaginando di volerla comunicare<br />

al pubblico di estimatori dei suoi prodotti, maturerà<br />

la decisione - sancita con l'assemblea straordinaria dei<br />

soci del 10 febbraio <strong>2016</strong> - di ampliare la denominazione<br />

sociale, con l'inserimento del nome <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>, e con la<br />

creazione del nuovo brand <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>.<br />

Oggi, <strong>Cantine</strong> della Valtènesi e della Lugana <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong><br />

(abbreviato in <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>) è una società agricola<br />

cooperativa a mutualità prevalente con una base sociale di<br />

14 soci ordinari (tra cui le cooperative agricole Viticoltori<br />

del <strong>Garda</strong>, Valtènesi Verde e Agri-coop Alto <strong>Garda</strong> Verde<br />

e alcuni soci lavoratori) e 25 soci sovventori. Rappresenta<br />

inoltre 35 aziende vitivinicole.<br />

I vigneti coltivati dai soci della Cooperativa coprono<br />

una superficie di 80 ettari circa, distribuiti su tutte le DOC<br />

gardesane: Valtènesi - Riviera del <strong>Garda</strong> Classico, Lugana e<br />

San Martino della Battaglia. Vengono coltivati direttamente<br />

30 ettari di terreni, di cui 17 a vigneto e il rimanente a oliveto<br />

e seminativi: sono gli appezzamenti che i soci affidano<br />

alla gestione della Cooperativa e dove la Cooperativa ha<br />

realizzato il primo vigneto sperimentale a Groppello, i cui<br />

ri<strong>sul</strong>tati sono stati pubblicati nel 2010 da parte del Consorzio<br />

<strong>Garda</strong> Classico e dal Centro Vitivinicolo Provinciale di<br />

Brescia in Groppello, l’autoctono della Valtènesi.<br />

Dall’impegno nella valorizzazione del terroir, che ha visto


122<br />

<strong>La</strong> Cantina Cremisan di Betlemme-1885


123


124<br />

la Cooperativa impegnata in prima linea, è nata poi la denominazione<br />

d’origine controllata Valtènesi.<br />

Ciò che più conta nella cooperativa, dunque, non sono<br />

i numeri o la dimensione (anche se i prodotti confezionati<br />

superano il numero non insignificante di 4milioni di bottiglie),<br />

ma gli obiettivi e il significato nel territorio e nel settore<br />

vitivinicolo. L’attenzione per l'ambiente è massima e ha<br />

portato fin dagli inizi all'adozione del metodo dell’agricoltura<br />

biologica <strong>sul</strong> cento per cento dei terreni in conduzione<br />

diretta, esteso progressivamente a tutti i terreni dei soci.<br />

Anche la sensibilità per i meno fortunati è da sempre<br />

presente nella Cooperativa. Per i non vedenti la Cooperativa<br />

produce dal 1996 la linea di vini Bacco di Homerus, a<br />

sostegno del progetto internazionale di vela autonoma per<br />

non vedenti ideato <strong>sul</strong> lago di <strong>Garda</strong> dal campione mon-<br />

Il Trofeo Pompeo Molmenti premia il miglior Chiaretto dell'anno a Moniga del<br />

<strong>Garda</strong>


125<br />

diale di vela Alessandro Gaoso, con l’obiettivo ambizioso<br />

di consentire ai non vedenti di veleggiare autonomamente.<br />

Nei suoi vent'anni di storia il progetto ha dimostrato la<br />

propria validità nel mondo con eventi realizzati in Europa,<br />

Americhe, Medio Oriente e Oceania, come l’attraversamento<br />

delle Colonne d’ Ercole con la scorta del veliero italiano<br />

Amerigo Vespucci e l’approdo in Terra Santa durante<br />

l’intifada 2003 a bordo del veliero Bamboo. Da quest'ultima<br />

iniziativa è scaturito il progetto di sviluppo e riqualificazione<br />

dei vini prodotti dalla storica e prestigiosa cantina vinicola<br />

salesiana di Cremisan, in Terrasanta, i cui nuovi vini, nati<br />

da vitigni autoctoni, e distribuiti in Italia dalla Cooperativa,<br />

sono recensiti da prestigiose guide internazionali come<br />

Wine Spectator. L’intento del progetto è quello di creare<br />

relazioni che permettano di contribuire al diffondersi della<br />

cultura della pace, in un territorio che da sempre versa<br />

in condizioni socio-politiche<br />

estreme.<br />

<strong>La</strong> sensibilità che ha portato<br />

la Cooperativa a impegnarsi<br />

in queste particolari<br />

esperienze internazionali, ha<br />

altresì stimolato la voglia di<br />

commercializzare i vini del<br />

proprio territorio in ogni continente,<br />

come avviene oggi,<br />

anche in vista di nuovi progetti<br />

di sviluppo della propria<br />

capacità produttiva, necessari<br />

e richiesti <strong>sul</strong> territorio e in<br />

attesa di essere realizzati.<br />

Pubblicazione realizzata con i dati provenienti dal primo vigneto sperimentale di<br />

<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> 2007 - 2010.


126


127<br />

LE COOPERATIVE<br />

VERSO IL FUTURO


128


LE COOPERATIVE<br />

VERSO IL FUTURO<br />

129<br />

È radicandosi nel territorio che la <strong>Cooperazione</strong> agricola<br />

ha trovato e ancora oggi trova la motivazione alla propria<br />

esistenza e l’indubbia motivazione al continuo migliorarsi,<br />

sia essa impegnata nell’olivicoltura o nell'allevamento, nella<br />

viticoltura o nella produzione di latte, nella floricoltura o<br />

nella gestione del verde forestale o pubblico, o in qualsiasi<br />

altro campo cada sotto il grande cappello dell’<strong>Agricoltura</strong>.<br />

Nel territorio gardesano sono molte le realtà cooperative<br />

tuttora operanti in agricoltura: ne citiamo alcune, tra le<br />

più significative per tradizione e attività.<br />

<strong>La</strong> <strong>La</strong>tteria Turnaria di Tignale, nata nel 1904 come latteria<br />

sociale, ha avviato la trasformazione delle olive a partire<br />

dalla metà degli anni Novanta, arrivando a produrre, oggi,<br />

una linea di prodotti interamente biologici.<br />

Sempre parlando di olio, a San Felice del Benaco è operativa<br />

la Cooperativa agricola San Felice, sorta nel 1946,


130<br />

quando l’ansia della ricostruzione e della ripresa economica<br />

si fece stimolo all’iniziativa sociale. Le innovazioni tecnologiche<br />

in frantoio, la continua attenzione alla qualità delle<br />

olive, ai tempi e alla modalità di raccolta, alla frangitura in<br />

tempi brevissimi e alle analisi effettuate immediatamente<br />

su ogni singola partita di olio ottenuto, han fatto sì che il<br />

prodotto sia di qualità superiore, certificata anche dalla denominazione<br />

di origine protetta <strong>Garda</strong> <strong>Bresciano</strong> D.O.P. e<br />

in grado di soddisfare i gusti dei consumatori più esigenti.<br />

A Tremosine, opera l’Alpe del <strong>Garda</strong>, nata nel 1980 per<br />

mano di un gruppo di allevatori e montanari che, una volta<br />

costituita la cooperativa, costruì un caseificio, allo scopo di<br />

trasformare il latte prodotto negli allevamenti di bovini esistenti<br />

<strong>sul</strong> territorio dell'Alto <strong>Garda</strong>. <strong>La</strong> decisione di allevare<br />

esclusivamente capi di razza Bruna Alpina, per la produzione<br />

di latte e quindi formaggi di estrema qualità, è stata una<br />

scelta coraggiosa dell’Azienda Agricola della cooperativa,<br />

che tuttora qualifica Alpe del <strong>Garda</strong> sui mercati.<br />

Nel basso <strong>Garda</strong> è operativa <strong>Garda</strong> <strong>La</strong>tte dal 1965, con<br />

produzioni di grana padano e provolone DOP e allevamento<br />

suinicolo.<br />

A Gargnano va citata l'Agri-coop Alto <strong>Garda</strong> Verde s.a.<br />

onlus. Costituita da giovani agricoltori il 26 maggio 1978, la<br />

cooperativa si è progressivamente specializzata nell’offerta<br />

di servizi di manutenzione ad alta specializzazione per il<br />

verde forestale, pubblico, privato e sportivo, con macchinari<br />

all’avanguardia che le consentono di effettuare ogni tipo<br />

di potatura, idro-semina e lavori di ingegneria naturalistica.<br />

Punto di riferimento per il territorio, la cooperativa realizza<br />

e gestisce anche limonaie ed è in grado di produrre piante<br />

di olivo da varietà autoctone dell’area del <strong>Garda</strong>. Fiore<br />

all’occhiello della Cooperativa l’inserimento nel mercato<br />

del lavoro di decine di persone svantaggiate.


131<br />

A Limone troviamo la Cooperativa agricola possidenti<br />

oliveti, costituita nel 1919 da ventotto piccoli proprietari<br />

guidati dal parroco don Giovanni Morandi. <strong>La</strong> cooperativa<br />

è tutt’ora attiva, con ben 450 piccoli produttori soci olivicoltori.<br />

Per la floricoltura citiamo Valtènesi Verde Società Agricola<br />

Cooperativa, a Lonato del <strong>Garda</strong>, costituita nel 1979<br />

da giovani appassionati di agricoltura ed esperti contadini.<br />

Su una superficie di oltre 10mila m2 di serre in vetro completamente<br />

automatizzate coltiva, in primavera, coloratissime<br />

gerbere, cascanti surfinie, verbene, composizioni multicolore<br />

di varie essenze, portulache, annuali per bordure e<br />

aiuole e gerani in grande varietà e colori. I mesi estivi sono<br />

destinati alla produzione di piante verdi da interno come i<br />

ficus, le sanseverie, le beaucarnee e le dracene. In autunno<br />

le serre si colorano in modo spettacolare con la fioritura<br />

delle migliaia di ciclamini e stelle di Natale.<br />

Per concludere, abbiamo Antica Qualità Benacense, una<br />

cooperativa di recente costituzione, nata a Manerba dalla<br />

volontà di alcuni storici produttori della Valtènesi, allo scopo<br />

di valorizzare la produzione vitivinicola e olivicola del<br />

<strong>Garda</strong>, cercando di coniugare tradizione e sviluppo, attraverso<br />

la salvaguardia del territorio. <strong>La</strong> cooperativa valorizza<br />

l’agricoltura d’eccellenza e sostiene la commercializzazione<br />

della produzione olearia e vitivinicola, ma soprattutto trasforma<br />

l’uva e l’oliva che una quindicina di soci conferitori<br />

coltivano su circa 30 ettari di vigneto e 20 di oliveto.<br />

Ecco dunque che la cooperazione, con multiformi attività,<br />

evoca messaggi che superano le caratteristiche dei prodotti<br />

e coinvolgono ed evocano storie di uomini e donne<br />

che rendono viva, attiva e importante ancor oggi la cooperazione<br />

nelle aree rurali del <strong>Garda</strong>.


132


133<br />

GLOSSARIO


134<br />

Circondario<br />

Il circondario amministrativo del Regno d’Italia è stato<br />

un ente intermedio tra la provincia e il mandamento. Fu<br />

istituito nel 1859 con la legge Rattazzi, come nuova denominazione<br />

della “provincia” del Regno di Sardegna, che<br />

corrispondeva all’arrondissement francese. In seguito alla<br />

graduale annessione allo stato sabaudo degli altri territori<br />

della penisola, l’istituto del circondario fu esteso alle nuove<br />

province, sostituendo, nello specifico, l’istituto del distretto<br />

del Regno delle Due Sicilie. I circondari vennero soppressi<br />

nel 1927. Le città capoluogo dei circondari erano sede<br />

di sottoprefettura, di tribunale, di catasto e uffici finanziari.<br />

Il circondario era a sua volta suddiviso in mandamenti. Il<br />

circondario di Salò e di Brescia furono aboliti, come tutti i<br />

circondari italiani, nel 1927, nell’ambito della riorganizzazione<br />

della struttura statale voluta dal regime fascista, la quale<br />

portò anche all’accorpamento di diversi piccoli comuni:<br />

Comizio agrario circondariale (1866 – 1923)<br />

Pochi anni dopo l’unificazione nazionale, <strong>sul</strong>la falsariga<br />

delle Camere di commercio e arti il governo istituì in ogni<br />

capoluogo di circondario (decreto 23 dicembre 1866) i Comizi<br />

agrari, con lo scopo di promuovere le attività utili alla<br />

valorizzazione ed all’avanzamento tecnologico dell’agricoltura.<br />

Gli antecedenti dei Comizi agrari vanno cercati in<br />

organismi con funzioni analoghe attivati fino dalla seconda<br />

metà del secolo XVIII nei maggiori stati europei e nella<br />

prima metà del secolo successivo nel regno di Sardegna. I<br />

comizi, che non dipendevano dal Ministero dell’agricoltura,<br />

ma rappresentavano enti pubblici territoriali (anche in ciò ri-


135<br />

calcando l’ordinamento delle camere di commercio), avevano<br />

il compito di consigliare al governo le misure necessarie<br />

per il miglioramento del rendimento agricolo circondariale,<br />

fornendo altresì i dati e le analisi necessarie ad una più avvertita<br />

politica ed amministrazione del settore agricolo, che<br />

peraltro in quel periodo era ancora la prima fonte di produzione<br />

della ricchezza nazionale.<br />

I Comizi agrari suggerivano al governo le “provvidenze<br />

generali e locali atte a migliorare le condizioni dell’agricoltura”<br />

(art. 2), raccoglievano ed offrivano al governo ed alla Deputazione<br />

provinciale le notizie che fossero richieste nell’interesse<br />

del settore agricolo, “adoperandosi a far conoscere<br />

e adottare le migliori colture, le pratiche agrarie convenienti,<br />

i concimi vantaggiosi, gli strumenti rurali perfezionati”<br />

(art. 4). Infine, i Comizi agrari erano deputati a studiare “le<br />

industrie affini all’agricoltura di utile e possibile introduzione<br />

nel paese”. Tra i vari compiti loro assegnati figura anche<br />

la promozione di concorsi, sperimentazioni ed esposizioni<br />

di prodotti e macchine agricole, e la messa a punto regolamenti<br />

igienici e contro la diffusione delle epizoozie. Tra i<br />

compiti assegnati ai Comizi agrari dalla commissione governativa<br />

che nel 1865 promuove la loro istituzione è prevista<br />

anche la formazione della Camera provinciale dell’agricoltura,<br />

ente rappresentativo degli interessi degli agricoltori, che<br />

avrebbe esteso al settore agricolo istituzioni modellate su<br />

quelle già attivate o in via di consolidamento negli altri settori<br />

produttivi. L'organo amministrativo del comizio agrario<br />

era la direzione, composta da un presidente, da un vicepresidente,<br />

da un segretario e da quattro consiglieri delegati<br />

eletti ogni anno. Costituivano il Comizio agrario tutti coloro<br />

che, interessandosi al progresso dell’agricoltura, facessero<br />

richiesta di iscrizione. Ai Comizi agrari partecipava anche ad


136<br />

un rappresentante per ogni comune del circondario (eletto<br />

dal consiglio comunale relativo). Spettava al prefetto indire<br />

la riunione costitutiva e mantenere i contatti tra i Comizi<br />

della provincia e il Ministero. Dal punto di vista finanziario, i<br />

comizi funzionavano grazie ad un fondo comune costituito<br />

col concorso dei propri membri e grazie ai sussidi concessi<br />

dallo Stato, dalla Provincia e dai comuni del circondario. <strong>La</strong><br />

scarsa efficienza di questa organizzazione con<strong>sul</strong>tiva indusse<br />

dunque il governo a studiare una profonda riforma del<br />

settore, che si concretizzò nel regio decreto 30 dicembre<br />

1923, n. 3229 (decreto 30 dicembre 1923 b). Tale decreto<br />

provvide ad istituire, nelle province il cui Consiglio provinciale<br />

ne avesse fatto richiesta, i Consigli agrari provinciali<br />

Deputazione Provinciale<br />

Nel 1865 la prima legge comunale e provinciale dello stato<br />

unitario italiano (legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato<br />

A) istituì quale organo esecutivo della provincia la deputazione<br />

provinciale (e deputati provinciali erano detti i suoi<br />

membri), eletta dal consiglio provinciale ma presieduta dal<br />

prefetto, investita anche di funzioni di controllo <strong>sul</strong>le amministrazioni<br />

comunali. Con la legge 30 dicembre 1888 n. 5865<br />

la “tutela”, ossia il controllo di merito sugli atti delle amministrazioni<br />

locali, fu trasferito dalla deputazione provinciale<br />

a un organo di nuova istituzione, la giunta provinciale amministrativa<br />

(da non confondersi con quella che in seguito si<br />

chiamerà giunta provinciale), presieduta dal prefetto e composta<br />

da due consiglieri di prefettura e da quattro membri<br />

effettivi (più due supplenti) eletti dal consiglio provinciale.<br />

Con il testo unico comunale e provinciale del 1889 fu introdotta<br />

la figura del presidente della deputazione provincia-


137<br />

le, eletto dalla stessa e diverso dal presidente del consiglio<br />

provinciale. Nel 1922, con l’avvento del fascismo, gli organi<br />

democratici provinciali furono soppressi e sostituiti da organi<br />

di nomina governativa (secondo la legge comunale e<br />

provinciale del 1928 un preside in luogo della deputazione<br />

e un rettorato, composto da 4 a 8 rettori, in luogo del consiglio).<br />

In seguito alla caduta del fascismo, l’amministrazione<br />

provvisoria delle province fu disciplinata con R.D.L. 4 aprile<br />

1944, n. 11 che la affidò, in attesa del ripristino del sistema<br />

elettivo, a un presidente e a una deputazione provinciale,<br />

nominati dal prefetto. Con la legge 8 marzo 1951, n. 122 fu<br />

ripristinato il sistema elettivo e la deputazione provinciale<br />

assunse l’attuale nome di giunta provinciale.<br />

Cattedra ambulante di agricoltura<br />

Le cattedre ambulanti di agricoltura furono per quasi<br />

un secolo la più importante istituzione di istruzione agraria,<br />

rivolta in particolare ai piccoli agricoltori, con l’apporto<br />

delle istanze più avanzate degli ambienti intellettuali e dal<br />

mondo della docenza, prima libera, poi di ruolo, proveniente<br />

dalle scuole e dagli istituti tecnici. Nel 1907, un primo<br />

provvedimento venne a disciplinare la vita delle cattedre e<br />

il reclutamento del personale. <strong>La</strong> materia fu regolamentata<br />

nuovamente nel 1928 con un decreto e nel 1935 le cattedre<br />

furono trasformate in ispettorati provinciali dell’agricoltura,<br />

cessando di essere emanazione delle iniziative locali e diventando<br />

uffici esecutivi del Ministero dell’agricoltura e delle<br />

foreste. Alla novità data dall’istituzione delle cattedre ambulanti<br />

si affiancò, progressivamente, la sempre maggiore<br />

specializzazione dei docenti, che impartivano insegnamenti<br />

tecnico-pratici itineranti.


138<br />

Consorzio agrario<br />

I Consorzi Agrari nacquero in forma di società cooperative<br />

<strong>sul</strong> finire del ‘800, per svolgere principalmente la funzione<br />

di gruppi di acquisto (soprattutto concimi chimici e<br />

macchine agricole) a favore degli agricoltori. Assorbirono<br />

negli anni molte delle funzioni che erano prima assunte da<br />

altre istituzioni create a favore degli agricoltori, in particolare<br />

dei Comizi agrari, che erano regolati dal R.D. 3452 del<br />

23 dicembre 1866, e della Società degli Agricoltori Italiani,<br />

ma che avevano fatto fatica a decollare. Dal 1926 i vari Consorzi<br />

agrari divennero “l’organo commerciale della Federazione<br />

Provinciale degli Agricoltori”: essi offrivano infatti un<br />

credito agrario senza interessi nei confronti degli acquisti di<br />

sementi, concimi, macchine agricole, bestiame e tutto ciò<br />

che era necessario all’attività produttiva agricola: in questo<br />

modo venivano abbattute l’usura bancaria e la speculazione<br />

realizzata dai grandi distributori privati. I Consorzi agrari,<br />

perfettamente inseriti nella politica agraria del fascismo (appoggiando<br />

bonifica integrale, Battaglia del grano, ecc.), organizzarono<br />

anche la gestione ammassi. Si trattava in questo<br />

caso di “ammassare” appunto tutti i prodotti primari per<br />

l’alimentazione nei Consorzi agrari per favorire una maggiore<br />

razionalizzazione ed efficienza nel settore e mantenere<br />

la nazione pronta in caso di necessità, trasformando più facilmente<br />

l’economia civile in economia di guerra. Nel 1935<br />

si verificò il primo ammasso volontario del grano, quando i<br />

Consorzi agrari ammassarono 12 milioni di quintali di grano,<br />

mentre nel 1938 ne vennero ammassati 40 milioni di quintali<br />

per le esigenze autarchiche. Il 30 maggio 1932, con legge<br />

n.752, venne costituito l’Ente Finanziario dei Consorzi Agrari,<br />

per agevolare l’assetto finanziario dei Consorzi stessi;<br />

mentre con il regio decreto legge del 5 settembre 1938 e


139<br />

la legge del 2 febbraio 1939 vennero costituiti di Consorzi<br />

Agrari Provinciali, che univano i compiti e le funzioni di Consorzi<br />

agrari e della Federazione, subendo una razionalizzazione<br />

che li riduceva da 196 a 94 (uno a provincia).<br />

<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> imbottiglia i propri vini anche in versione<br />

Bacco di Homerus, a sostegno del Progetto Homerus ideato<br />

da Alessandro Gaoso, che ama chiamare queste bottiglie<br />

"contenitori di solidarietà".


140


141<br />

FONTI ARCHIVISTICHE<br />

E A STAMPA


142<br />

FONTI ARCHIVISTICHE E A STAMPA<br />

Archivio Comunale Manerba del <strong>Garda</strong>.<br />

Archivio Comunale Moniga del <strong>Garda</strong>.<br />

Archivio Privato Bettoni Bogliaco.<br />

Biblioteca del Senato della Repubblica, Archivio Maic.<br />

Archivio di Stato Brescia.<br />

Archivio Camera di Commercio di Brescia.<br />

AA.VV, Cooperative ed economia sociale a 150 anni da Rochdale, Bologna<br />

1996.<br />

AA.VV, Mezzo secolo di ricerca storica <strong>sul</strong>la cooperazione bianca.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e prospettive, a cura di Sergio Zaninelli, vol. I, Società<br />

Cattolica di Assicurazione, Verona 1996.<br />

Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e <strong>sul</strong>le condizioni della classe<br />

agricola, vol. VI Tomo 1°, Forzani e C. Tipografi del Senato,<br />

Roma 1882.<br />

Bettoni Lodovico, L’agricoltura nei contorni del lago di <strong>Garda</strong>,<br />

(estratto dal giornale "L’Italia agricola") Bernardoni, Milano 1877.<br />

Bettoni Lodovico, Relazione <strong>sul</strong>la condizione economica dei possessori<br />

d’immobili della Provincia di Brescia, Tip. del giornale <strong>La</strong> Sentinella<br />

Bresciana, Brescia 1862.<br />

Bettoni Lodovico, Della proprietà immobile nella provincia di Brescia,<br />

in Commentari dell’Ateneo di Brescia per gli anni 1862 – 1864,<br />

Apollonio, Brescia 1864.<br />

Bianchedi Carlo Alberto, L’olivicoltura e l’oleificazione nel circondario<br />

di Salò, Tip. Pavoni Brescia 1877.<br />

Bocchio Giovanni, Vino e vigneti nella riviera bresciana del lago di


143<br />

<strong>Garda</strong>, Tip. Codignola, Brescia 1898.<br />

Braga Emilio, L’agricoltura bresciana dalla crisi allo sviluppo (1880<br />

-1913), in Dalla Famiglia contadina all’impresa moderna, Grafo,<br />

Brescia 1984.<br />

Cafaro Pietro, Per una storia della cooperazione di credito: le casse<br />

rurali lombarde (1883-1963), F. Angeli, Milano 1985.<br />

Catasto Agrario del Regno d’Italia, Lombardia, zone 40 e 43.<br />

Cavalleri Ottavio, Il movimento operaio e contadino nel bresciano<br />

(1878-1903), ed. Cinque lune, Roma 1972.<br />

Cavalleri Ottavio, Iniziative sociali dei cattolici bresciani tra il 1896<br />

e il 1902, in "Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento<br />

sociale cattolico in Italia", 1968.<br />

Cavalleri Ottavio, Iniziative socioeconomiche dei cattolici bresciani<br />

tra il 1878 ed il 1903 con dati statistici, in "Brixia Sacra", 1969.<br />

Comizio Agrario Circondariale di Salò, Relazione della direzione del<br />

Comizio Agrario Circondariale di Salò per gli anni 1887,1889,1897,<br />

Brescia, Tip. Istituto Pavoni, Brescia 1888 -1890 - 1898.<br />

Consorzio Agrario Cooperativo del <strong>Garda</strong>, Statuto, Tip. Pirlo e Veludari,<br />

Salò 1898.<br />

Consorzio Agrario Cooperativo del <strong>Garda</strong>, Relazione all’assemblea<br />

generale dei soci, Tip. Devoti, 1899.<br />

Consorzio Antifillosserico <strong>Bresciano</strong>, Relazione sui lavori compiuti<br />

dal consorzio nell’anno 1902, Tip. Apollonio, Brescia 1903.<br />

Consorzio Antifillosserico <strong>Bresciano</strong>, Il territorio di Portese e San<br />

Felice di Scovolo sotto l’aspetto geologico viticolo, Lenghi e C., Brescia<br />

1911.<br />

Cova Alberto, Cattolici e questione agraria nell’Italia unita, Studium,<br />

Roma 1993.


144<br />

De Maddalena Aldo, L’economia bresciana nei secoli XIX e XX, in<br />

Storia di Brescia, vol. IV.<br />

Erculiani Giuseppe, <strong>La</strong> Società lago di <strong>Garda</strong>. Sue origini, scopi e<br />

sviluppo dal 1840 al 1940, Tip. Codignola, Brescia 1940.<br />

Fabbri Fabio, Il movimento cooperativo nella storia d’Italia 1854-<br />

1975, Milano 1979.<br />

Fagoboli Luigi, Del credito agricolo considerato come una delle forme<br />

di credito popolare, in Commentari dell’Ateneo di Brescia per<br />

l’anno 1867, Apollonio, Brescia 1867.<br />

Fappani Antonio, Le società opraie cattoliche nel bresciano, in "Bollettino<br />

dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico in<br />

Italia 1869-70".<br />

Fappani Antonio, Il prete e la montagna, Grafo, Brescia 1987.<br />

Galetti Vincenzo, <strong>La</strong> cooperazione in Italia. 90 anni di storia, Roma<br />

1976.<br />

Leali Giuliana, Manerba Ottocento, Comune di Manerba del <strong>Garda</strong>,<br />

1997.<br />

Lechi Francesco, L’agricoltura nella provincia di Brescia, in Storia<br />

di Brescia, vol. IV.<br />

Leonardi Andrea, <strong>La</strong> Federazione dei consorzi cooperativi dalle origini<br />

alla prima guerra mondiale (1895 -1914), in Per una storia<br />

della cooperazione trentina, vol. I, F. Angeli, Milano 1982.<br />

Leonesio Marco, Programma per la costituzione di una società anonima<br />

cooperativa di credito e sindacato agricolo a capitale illimitato<br />

fra gli agricoltori dei mandamenti di Salò e Gargnano, Tip.<br />

Devoti e Conter, Salò 1892.<br />

Marchiori Pietro, Le principali coltivazioni della provincia di Brescia<br />

con 10 carte illustrative, Tip. Queriniana, Brescia 1884.


145<br />

Marchiori Pietro, <strong>La</strong> diversa intensità delle principali nostre coltivazioni<br />

agrarie, in Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno1881,<br />

Apollonio, Brescia 1881.<br />

Mazza Attilio, Vecchia Valtenesi, Edizioni del Moretto- Confraternita<br />

del Groppello, Brescia 1995.<br />

Mazza Attilio ( a cura di), <strong>La</strong> Valtenesi e il groppello, Edizioni del<br />

Moretto - Confraternita del Groppello, Brescia 1980.<br />

Milesi Ottorino, Il vino e i vini bresciani, CCIAA Brescia, s.d.<br />

Omodeo Salè Carlo, Avvicendamenti e consociazioni colturali della<br />

Riviera bresciana del <strong>Garda</strong> nel quadro della evoluzione agricola<br />

nell’ultimo cinquantennio, in Memorie dell’Ateneo di Salò, Tip. Giovanelli,<br />

Toscolano 1940.<br />

Pasini Pier Giuseppe, <strong>La</strong> specializzazione delle colture, in Atlante<br />

del <strong>Garda</strong>, vol III, Grafo, Brescia 1992.<br />

Pasini Pier Giuseppe Dai campi al campeggio, in Manerba 900, ed.<br />

Centro studi per il territorio benacense, <strong>Garda</strong> 1987.<br />

Pasini Pier Giuseppe, Moniga. Storia di una comunità tra Ottocento<br />

e Novecento, Grafo, Brescia 1997.<br />

Romani Mario, Un secolo di vita agricola in Lombardia (1861-<br />

1961), Giuffrè, Milano 1963.<br />

Rossetti Giuseppe, Floridezza, decadenza e risorgimento di un podere<br />

di tipo arabile nella zona collinare dell’anfiteatro morenico benacense.<br />

Un terzo di secolo di agricoltura pratica, Tip.Longhi e C.,<br />

Brescia 1911.<br />

Samuelli Tomaso, Origine della società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> ed operazioni<br />

da essa compite durante un quarantennio, Tip. Conter, Salò 1883.<br />

Sapelli Giulio (a cura di), Il movimento cooperativo in Italia. Storia<br />

e problemi, Torino 1981.


146<br />

Società Operaia Agricola Cattolica Federativa di Mutuo Soccorso<br />

di Salò e paesi limitrofi, Statuto, Queriniana, Brescia 1890.<br />

Società Operaia e Agricola di Mutuo Soccorso in Manerba, Statuto,<br />

Pirlo, Salò 1889.<br />

Società Operaia di Lonato, Statuto, Bignotti, Castiglione 1894.<br />

Società operaia di Moniga del lago, Statuto, Apollonio, Brescia<br />

1889.<br />

Solitro Giuseppe, Benaco, Devoti, Salò 1897 (ristampa anastatica<br />

1997).<br />

Vescia Michele, Sviluppo e prospettiva della viticoltura gardesana e<br />

della produzione vinicola con particolare riferimento ai recenti provvedimenti<br />

della Comunità Europea, in Lo sviluppo economico della<br />

regione del <strong>Garda</strong>, vol. I, Contardi - Comunità del <strong>Garda</strong>, Verona1973.<br />

Zane Marcello, Banca di Bedizzole e Turano Valvestino 1895 -2005,<br />

Grafiche Tagliani per Banca di Bedizzole e Turano Valvestino, Calcinato<br />

2005.<br />

Zane Marcello, BCC del <strong>Garda</strong> Banca di Credito Cooperativo Colli<br />

Morenici del <strong>Garda</strong> –una cooperazione di comunità 1895-2005,<br />

Edizioni del Credito Cooperativo, Roma 2005.<br />

Zangheri R., Galasso G., Castronovo V., Storia del movimento cooperativo<br />

in Italia 1886-1986, Torino 1986.<br />

Zucchini Mario, L’agricoltura bresciana nel centennio 1871 -1970,<br />

in "Rivista di Storia dell’agricoltura", 1972.<br />

Zucchini Mario, Le cattedre ambulanti di agricoltura (1886- 1935)<br />

in "Rivista di Storia dell’agricoltura", 1970.


147<br />

PERIODICI<br />

"<strong>Agricoltura</strong> (l’) bresciana". Periodico del Comizio Agrario di Brescia,<br />

1890 -1894.<br />

"<strong>Agricoltura</strong> (l’) bresciana". Organo settimanale del Comizio e delle<br />

Istituzioni agrarie bresciane, 1913 – 1915.<br />

"Atti del Consiglio Provinciale di Brescia dal 1860 al 1914", Brescia,<br />

Apollonio.<br />

"Brescia Agricola". Giornale agricolo commerciale, 1884- 1889."<br />

"<strong>Garda</strong> (Il). Gazzetta settimanale del Circondario di Salò", 1889<br />

-1891.<br />

"Giornale delle istituzioni agrarie bresciane", 1902 -1905.<br />

"Risorgimento (Il) agricolo". Organo ufficiale della Cattedra Ambulante<br />

e del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera Bresciana<br />

del <strong>Garda</strong>, Tip. Gio Devoti, Salò, 1900 -1917.


148<br />

Relazione per l'inchiesta agraria Jacini


149


INDICE<br />

7 Introduzione<br />

13 Le caratteristiche dell'agricoltura gardesana<br />

43 Le iniziative di solidarietà sociale<br />

83 <strong>La</strong> lunga battaglia per la difesa della qualità<br />

109 <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong><br />

127 Le cooperative verso il futuro<br />

133 Glossario<br />

141 Fonti archivistiche e a stampa


Finito di stampare nel novembre <strong>2016</strong><br />

per conto di <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong><br />

Progetto grafico e stampa: Premier Padenghe <strong>sul</strong> <strong>Garda</strong> (BS)<br />

Fotografie: Archivio Pier Giuseppe Pasini<br />

<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong><br />

Coordinamento: Max Bocchio, Liliana Baronio<br />

Simboli grafici: Marta Andreoni


15€

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!