Agricoltura e Cooperazione sul Garda Bresciano (1841-2016) - Cantine La Pergola
Agricoltura e Cooperazione sul Garda Bresciano (1841-2016) - Cantine La Pergola
Agricoltura e Cooperazione sul Garda Bresciano (1841-2016) - Cantine La Pergola
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Pier Giuseppe Pasini<br />
AGRICOLTURA<br />
E COOPERAZIONE<br />
SUL GARDA BRESCIANO<br />
(<strong>1841</strong>-<strong>2016</strong>)<br />
<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>
Pier Giuseppe Pasini<br />
AGRICOLTURA<br />
E COOPERAZIONE<br />
SUL GARDA BRESCIANO<br />
(<strong>1841</strong>-<strong>2016</strong>)<br />
<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>, Moniga del <strong>Garda</strong>
Parte tutto dalla terra. E dai modi – dalla cultura – con cui la<br />
si coltiva. Per questo l’agricoltura spicca non solo fra le attività<br />
produttive, ma anche fra quelle umane, arrivando ad essere tecnicamente<br />
definita settore primario.<br />
Abbiamo inoltre a disposizione una sola parola, ma infinite<br />
sono le sfumature di cui è portatrice. Perché l’agricoltura si manifesta<br />
e si declina secondo la vocazione e la tradizione proprie<br />
di un territorio, di chi lo vive e lo lavora, in una parola: il terroir.<br />
Sul <strong>Garda</strong>, e in particolare in Valtènesi, l’agricoltura è stata<br />
l’asse portante dell’economia locale e del vivere sociale per secoli,<br />
il fulcro di una economia rurale alla base della sopravvivenza<br />
delle popolazioni del <strong>La</strong>go, che, per il proprio sviluppo, ha beneficiato<br />
fin dagli inizi dell‘Ottocento dell’essenziale strumento<br />
della cooperazione, come testimonia la nascita, già nel <strong>1841</strong>,<br />
della Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong>.<br />
Pier Giuseppe Pasini, esperto e studioso appassionato dell’agricoltura<br />
gardesana, avendo indagato un arco di 175 anni del<br />
nostro passato più recente, ci mette a disposizione una messe di<br />
conoscenze quasi completamente sconosciute.<br />
Nel primo capitolo descrive le caratteristiche dell'agricoltura<br />
gardesana dall'Unità d'Italia fino agli anni '70 del secolo scorso,<br />
mentre nel secondo illustra le iniziative a carattere associativo<br />
e cooperativo che in quell'epoca fiorirono e la caratterizzavano,<br />
mettendo un accento particolare <strong>sul</strong>la viticoltura, una forma di<br />
cultura della natura che, nel territorio gardesano e ancor più in<br />
Valtènesi, assume un rilievo particolare per l’entità dell’estensione<br />
territoriale, del peso economico e del significato sociale.<br />
Il terzo capitolo ci presenta le condizioni nelle quali nasce e<br />
poi si concretizza – anche in precise norme giuridiche – l'esigenza<br />
della difesa dell'identità, qualità e valore dei prodotti agri-<br />
3
4<br />
coli e in particolare del vino, per poi raccontarci l'esperienza di<br />
<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>, una realtà particolare in ambito cooperativo<br />
e vitivinicolo sorta negli ultimi 40 anni. Segue nel capitolo successivo<br />
la descrizione di realtà cooperative ancora oggi vive in<br />
ambito agricolo.<br />
Oggi assistiamo al raggiungimento di obiettivi agognati da<br />
decenni: con il recente riconoscimento europeo del disciplinare<br />
del vino Valtènesi doc, il 14 luglio 2011, il Consorzio Valtènesi ha<br />
riscoperto e raggiunto l’obiettivo che i nostri più prossimi antenati<br />
avevano già intravisto nel 1942, quando vollero promuovere<br />
il Consorzio volontario produttori vino rosso della Valtènesi per<br />
tutelare il valore e l’identità dei vini del proprio territorio.<br />
Conforta oggi, dopo aver ondeggiato per 50 anni tra varie<br />
denominazioni come Riviera, <strong>Garda</strong> e <strong>Garda</strong> classico (tutte interessanti<br />
ma non identitarie), vedere finalmente anche il territorio<br />
viticolo della Valtènesi proteso a promuovere la propria identità.<br />
Questa sensibilità alla identità territoriale non solo si ritrova<br />
nel disciplinare del Valtènesi doc, ma anche in altre iniziative,<br />
fra le quali citiamo l’attuale riqualificazione della strada costiera<br />
gardesana della Valtènesi e l’istituzione del Parco Naturale della<br />
Rocca di Manerba. Due iniziative nate grazie al contributo di<br />
architetti, ambientalisti, esperti internazionali, giovani studenti,<br />
nonché lungimiranti amministratori locali e cittadini sempre più<br />
attenti al tema ambientale.<br />
Anche la nuova configurazione della cooperativa <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong><br />
<strong>Pergola</strong> (forma breve di <strong>Cantine</strong> della Valtènesi e della Lugana<br />
<strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>), annunciata proprio dando alle stampe questo libro,<br />
è testimonianza di questa sensibilità: si tratta della riscoperta di<br />
un tratto importante della storia della viticoltura della Valtènesi.<br />
<strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>, oltre che una tecnica nota di allevamento della<br />
vite succeduta al pal de bus, è una località storica di Moniga (qui<br />
ha sede la cooperativa vinicola), che si trova su un tratto paesaggistico<br />
della statale Gardesana occidentale. Lì, fin dal 1920,<br />
si producono vini di qualità, in particolare il noto e prestigioso<br />
Chiaretto di Moniga del <strong>Garda</strong>, località che per anni è stata il
cuore della Valtènesi dell’enologia, come ri<strong>sul</strong>ta da pubblicazioni<br />
e da prestigiosi testimonianze, fra le quali quella del Professor<br />
Michele Vescia, accademico della vite e del vino.<br />
<strong>Cantine</strong> la <strong>Pergola</strong> non ha ereditato solo il luogo sede della<br />
cantina e il nome, ma la missione di concorrere a rappresentare<br />
la parte agronomica ed enologica della produzione cooperativa<br />
locale, producendo vini dai vigneti dei piccoli produttori che,<br />
spesso anziani, abbandonano e lasciano i terreni in conduzione<br />
alla Cooperativa. Con essi la Cooperativa fin dagli inizi ha offerto<br />
– e continua ad offrire – lavoro e prospettive ai giovani; realizza<br />
sperimentazioni agronomiche ed enologiche, come quelle effettuate<br />
e pubblicate <strong>sul</strong> vitigno autoctono Groppello; protegge<br />
l’ambiente, coltivando da sempre con il metodo biologico. Con<br />
il sacrificio e l’abnegazione di soci e lavoratori vuole continuare<br />
ad essere lievito nel territorio, così come è stato nei 35 anni trascorsi<br />
dalla sua legale costituzione ad oggi.<br />
Oltre a ciò, <strong>Cantine</strong> della Valtènesi e della Lugana (abbreviato<br />
in Civielle), quale strumento al servizio del comparto vitivinicolo,<br />
si occupa di offrire servizi tecnologici rivolti al miglioramento e<br />
alla valorizzazione dei vini e iniziative di promozione della commercializzazione,<br />
facendosi ambasciatrice dei vini e del territorio<br />
gardesano in ogni continente.<br />
Il prezioso racconto delle vicende storiche descritte in questo<br />
libro assume un ulteriore particolare rilievo in quest’anno, che<br />
coincide con il 130° anniversario della costituzione a Milano della<br />
prima Associazione della <strong>Cooperazione</strong> Italiana: la Lega Nazionale<br />
delle Cooperative e Mutue.<br />
Un ringraziamento sentito a Pier Giuseppe Pasini per aver<br />
scoperto, ripercorso e messo in luce pagine sconosciute di storia<br />
gardesana, utili ancor oggi a coloro che si dedicano a disegnarne<br />
il futuro.<br />
Sante Bonomo<br />
Presidente di <strong>Cantine</strong> la <strong>Pergola</strong><br />
5
7<br />
INTRODUZIONE<br />
Affrontare il tema della cooperazione negli anni del suo<br />
maggiore sviluppo nella riviera bresciana del lago di <strong>Garda</strong>,<br />
e della Valtènesi in particolare, significa tracciare un profilo<br />
delle condizioni economiche e sociali di questa terra negli<br />
anni che vanno dall’unificazione d'Italia ai giorni nostri.<br />
E significa di pari passo tracciare la storia della peculiarità<br />
agronomica di un territorio vocato ad una agricoltura principalmente<br />
arborea piuttosto che all’agricoltura erbacea.<br />
Vite, olivo, ed agrumi nell’alta riviera, hanno fatto la storia<br />
secolare di questo territorio sopportandone peripezie,<br />
turbamenti climatici, calamità naturali ed epidemie capaci<br />
di annientarne o ridimensionarne in maniera drastica le<br />
produzioni. <strong>La</strong> terribile crisi agraria che si verificò in Europa<br />
nella seconda metà dell’800 e che non risparmiò neppure<br />
il territorio gardesano, fu causa di una povertà sempre<br />
più diffusa che colpì soprattutto il mondo contadino contribuendo<br />
spesso al triste fenomeno dell’emigrazione.<br />
Chi rimaneva nelle campagne, per sopravvivere era costretto<br />
a ricorrere a prestiti presso gli usurai. Il tenore di<br />
vita delle classi contadine stava scivolando verso un piano<br />
di sempre maggiore miseria. <strong>La</strong> guerra commerciale italo<br />
francese provocò danni notevoli alle campagne andando<br />
a colpire in maniera particolarmente grave la produzione
8<br />
vinicola. <strong>La</strong> nascita della cooperazione nel mondo agricolo<br />
non fu solo la rivolta del piccolo contadino o del bracciante,<br />
del mezzadro o del salariato sfruttato, contro l’avidità<br />
dell’usuraio o la prepotenza del padrone. <strong>La</strong> cooperazione<br />
fu innanzitutto la risposta ai bisogni delle persone in modo<br />
efficiente e secondo metodi imprenditoriali. Ma fin dal suo<br />
nascere la cooperazione non fu una semplice risposta ai bisogni<br />
materiali, come avremo modo di vedere più avanti in<br />
modo maggiormente approfondito.<br />
Nonostante la povertà dilagante essa riuscì a dare risposte<br />
a bisogni più elevati di quelli materiali, a bisogni di socialità,<br />
di stima e di senso alle proprie fatiche. E se la penisola<br />
italiana non aveva ancora trovato la sua unità politica<br />
quando in Inghilterra, in piena rivoluzione industriale, un<br />
gruppo di 28 tessitori spinti dalla pesante crisi economica,<br />
decise di costituire, nel 1844, nella cittadina inglese di Rochdale,<br />
la Rochdale Equitable Pioneers Society, mettendo<br />
insieme un piccolo capitale e aprendo un negozio cooperativo,<br />
in cui vendevano prodotti integri a prezzi ragionevoli,<br />
con lo scopo “di migliorare la situazione economica<br />
dei soci”, fissando i principi per la gestione della società<br />
cooperativa e così segnando di fatto la data di nascita della<br />
cooperazione, proprio <strong>sul</strong> lago di <strong>Garda</strong>, nel <strong>1841</strong> si era costituita,<br />
a Gargnano, in forma cooperativa la Società <strong>La</strong>go<br />
di <strong>Garda</strong> per la vendita, in forma associata degli agrumi che<br />
qui si producevano.<br />
Nasceva dunque la cooperazione a metà dell’800 e si<br />
inaugurava un periodo che, alimentato dai primi incoraggianti<br />
ri<strong>sul</strong>tati fece dello strumento cooperativo codificato<br />
a Rochdale, un modello da imitare in ogni parte d’Europa.<br />
Fu in questo contesto che si inserì il grande fermento cooperativo<br />
che, <strong>sul</strong>l’esempio di quanto stava avvenendo al-
trove, si affermò anche nella riviera bresciana del <strong>Garda</strong> ed<br />
in Valtènesi. Filantropi di estrazione liberale e cattolica, parroci<br />
e confraternite religiose locali gestirono società di mutuo<br />
soccorso, cooperative e circoli ricreativi. Le prime cooperative<br />
furono vere e proprie fucine per restituire fiducia ai<br />
lavoratori e stima in se stessi e negli altri e per ricostruire il<br />
senso dell’esistenza in un mondo che stava cambiando con<br />
estrema rapidità.<br />
<strong>La</strong> cooperazione si presentò come un formidabile strumento<br />
di democrazia e di convivenza sociale per ritrovare<br />
i legami tra l’uomo e il suo territorio, tra la gente e il proprio<br />
ambiente. Analogamente le casse rurali nacquero <strong>sul</strong>la<br />
base della necessità di liberare dallo sfruttamento e dalla<br />
piaga dell’usura lavoratori e piccoli proprietari diretto coltivatori<br />
e di rompere le catene del bisogno che opprimevano<br />
anche la dignità delle persone.<br />
Artefice primo della cooperazione di credito avviata in<br />
Germania fin dal 1846 fu Friedrich Wilhelm Reiffeisen. In<br />
Italia Leone Wollemborg, economista, giurista e uomo politico<br />
discendente da una ricca famiglia della borghesia padovana<br />
fondò la sua prima cassa rurale nel1883.<br />
Grazie all’ impegno solidale, anche per la società agraria<br />
rivierasca fu possibile evitare il tracollo, superare le difficoltà<br />
e mantenere un ambiente ed un territorio capace di conservare<br />
le sue peculiarità produttive.<br />
Tutto questo però non fu sufficiente, nella prima metà<br />
del ‘900 a garantire prospettive di crescita e di benessere<br />
per cui, per assicurare un futuro a coltivazioni e produzioni<br />
così caratteristiche e tipiche come quelle dell’olio d’oliva<br />
e del vino, fu giocoforza puntare <strong>sul</strong> riconoscimento e<br />
la difesa della qualità e <strong>sul</strong>la valorizzazione della tipicità.<br />
Recuperando anche, nonostante le delusioni per l’infelice<br />
9
10<br />
esito di alcune esperienze di cooperazione avvenute nella<br />
zona, quello spirito solidaristico caratteristico della cooperazione<br />
in grado di dare risposte alla frammentazione<br />
della proprietà agricola ed alla tentazione dell’abbandono<br />
di coltivazioni agrarie, nella illusione, o nella prospettiva di<br />
facili guadagni, inseguendo più remunerativi progetti speculativi<br />
di sottrazione edificatoria degli spazi agricoli che<br />
per secoli avevano garantito equilibrio ambientale e fascino<br />
paesaggistico.<br />
In questo contesto di parziale abbandono dell'agricoltura<br />
e di invecchiamento progressivo degli addetti, nella<br />
fase di riflessione che succederà alla stagione del '68, così<br />
ricca di fermento e nuove speranze, e in presenza di una<br />
crisi occupazionale paragonabile a quella dei nostri giorni,<br />
si assiste, verso il finire degli anni '70, e in tutto il territorio<br />
nazionale, alla nascita e alla crescita di un nuovo fenomeno<br />
cooperativo. È costituito da giovani, studenti, neodiplomati,<br />
laureati, semplici operai o figli di agricoltori che avevano<br />
abbandonato le fatiche e la povertà della terra nei primi<br />
anni del dopo guerra, e che, appassionati di agricoltura,<br />
si uniscono ora ad esperti agricoltori per rinvigorire con<br />
energie fresche il comparto agricolo. A favorirli - certo non<br />
finanziariamente, almeno qui <strong>sul</strong> <strong>Garda</strong> <strong>Bresciano</strong>- sono<br />
le innovazioni delle normative giuridiche per la coltivazione<br />
delle terre incolte (legge 440/1978) e per lo sviluppo<br />
dell'occupazione giovanile in agricoltura (legge 285/1977),<br />
che diedero all'Italia intera nuove speranze di ripresa e sviluppo.<br />
Questo fenomeno si presentò anche <strong>sul</strong> <strong>Garda</strong> con<br />
esperienze cooperative che, a distanza di quasi 40 anni,<br />
sono ancora vive e capaci di contagiare con il proprio positivo<br />
entusiasmo.<br />
Novembre <strong>2016</strong>
Il clima mite del lago ha favorito le coltivazioni dei limoni. <strong>La</strong> prima cooperativa<br />
gardesana - Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong>- nasce a Gargnano, nel <strong>1841</strong>.<br />
11
12
LE CARATTERISTICHE<br />
DELL’AGRICOLTURA<br />
GARDESANA<br />
13
14
15<br />
LE CARATTERISTICHE<br />
DELL’AGRICOLTURA<br />
GARDESANA<br />
All’avvento dell’Unità d'Italia le condizioni dell’agricoltura<br />
gardesana, così come del resto quelle dell’agricoltura<br />
della provincia di Brescia si presentavano in uno stato di<br />
notevole prostrazione. “Nel 1852 la crittogama della vite<br />
aveva già aggredito gran parte dell’agricoltura vinicola:<br />
nel ’53 prese piede l’atrofia ne’ bachi da seta, ed ambidue<br />
questi flagelli invasero in breve la provincia tutta, per sopracarico<br />
di sventure, anche malattie contagiose nel ’55 la<br />
percossero vitalmente, avendo tanto i municipi che i privati<br />
dovuto per ciò sopportare ingenti spese” 1 . A questo andava<br />
aggiunta la scarsità dei prodotti agricoli che aveva caratterizzato<br />
in tutta la provincia il decennio 48-58 a causa delle<br />
persistenti siccità e delle frequenti grandinate che avevano<br />
devastato le coltivazioni. D’altra parte ad aggravare le condizioni<br />
dell’agricoltura erano venute anche le esose imposizioni<br />
fiscali e tributarie dell’Austria, dopo i moti del ’48, a<br />
colpire la proprietà, mettendola nell’impossibilità non solo<br />
1. Bettoni Lodovico, Relazione <strong>sul</strong>la condizione dei possessori d’immobili<br />
nella provincia di Brescia del Conte Lodovico Bettoni, 2° edizione, Brescia<br />
1862, Tip. del giornale <strong>La</strong> Sentinella Bresciana, pag. 118
16<br />
di procurare nuovi investimenti ma pure a conservare le posizioni<br />
2 .<br />
Già nel 1857 i deputati della Congregazione Provinciale si<br />
rivolsero all’Imperial Regia Luogotenenza per ottenere dal<br />
governo austriaco una riduzione di imposte ricordando le<br />
tristi condizioni in cui versava l’economia. "in causa del fallito<br />
prodotto dei bozzoli, non solamente mancano le [..] fonti<br />
seriche di sostegno al bisognoso, ma lamentar dobbiamo il<br />
licenziamento avvenuto di molte migliaia d’uomini che davano<br />
opera alla sfrondatura e potatura dei gelsi, all’educazione<br />
dei filugelli, come pure la conseguente soppressa circolazione<br />
del numerario nei mesi estivi, che procura i mezzi<br />
necessari per comperare il grano da spedire specialmente<br />
negli alpestri loro domicili; inoltre giova ricordare che mancata<br />
essendo nei contadini pressoché tutta la loro metà dei<br />
bozzoli, si ritrovano inetti a soddisfare le anticipazioni avute<br />
in generi ed in denari dai loro padroni, i quali pure, nella impossibilità<br />
di sostenere le spese ordinarie dell’andamento<br />
agrario, effettuano a quest’ora un insolito restringimento al<br />
numero dei braccianti, ed abbandonando ogni pensiero di<br />
straordinarie migliorie all’agricoltura, si dichiarano anzi forzati,<br />
per mancanza di mezzi a diminuire le spese più necessarie<br />
di animali, concime e lavori ordinari; e siccome assai<br />
pochi sono gli agiati, i quali dopo tanti versamenti ordinari<br />
e straordinari abbiano un fondo di riserva per le eventuali<br />
urgenze, così ne conseguirà una limitazione anche nella privata<br />
beneficenza.<br />
Quasi tutti i comuni della provincia bresciana, per progredire<br />
nel pagamento delle rate del prestito nazionale,<br />
sono costretti a ricorrere a mezzi patrimoniali, alienando<br />
stabili e cartelle del Monte e dello stesso prestito, con<br />
danno evidente dei medesimi pel deprezzamento in cui si<br />
trovano le carte pubbliche ed i fondi, e diversamente sarebbero<br />
impossibilitati a corrispondere ai propri impegni,<br />
2. Ibidem, pag. 118
17<br />
attesa la assoluta mancanza dei mezzi comunisti a concorrere<br />
al pagamento delle quote assegnate ai singoli comuni,<br />
i quali ebbero anche il sopraccarico delle spese avvenute in<br />
forza del cholera nel passato anno 1855... Molti possidenti<br />
hanno assunto mutui passivi per sopperire alle imposizioni<br />
sostenute dal 1848 in poi, ed anche per mantenere i lavori<br />
campestri, massime quelli che stanno nell’area di 65.548 iugeri<br />
di vigne sterili dalla crittogama da cinque anni, come<br />
pure gli abitanti dei comuni boschivi dell’estensione di iugeri<br />
136.939 il cui prodotto è insignificante” 3 . All’indirizzo<br />
della Congregazione Provinciale faceva eco la Camera di<br />
Commercio che nel medesimo periodo rilevava con preoccupazione<br />
lo stato di decadimento della vitivinicoltura<br />
gardesana e le nefaste conseguenze di tale situazione <strong>sul</strong>le<br />
condizioni economiche delle popolazioni locali.<br />
Secondo tale relazione il valore del vino prodotto nel distretto<br />
di Salò che dalla media del decennio 1842-51 ri<strong>sul</strong>tava<br />
essere di lire austriache 1.235.550, nel triennio 1852-54<br />
si era ridotto a sole 187.570 lire, cosicchè la rendita ottenuta<br />
dal suolo compresi tutti gli altri prodotti, che in ciascuno<br />
anno del decennio 1842-51 era ammontata a lire 1.735.828,<br />
in quel triennio si era ridotta a lire 573.276; dalla quale dedotta<br />
l’imposta di lire 320.000 non rimanevano che 253.276<br />
lire mentre la rendita censuaria che era stata attribuita al<br />
distretto ammontava a lire 630.703” 4 .<br />
“E si noti – aggiungeva la Camera di Commercio nella<br />
sua relazione – che la proprietà fondiaria v’è aggravata da<br />
un debito di cinque milioni di lire. I proprietari dovendo<br />
provvedere al mantenimento dei coloni e sostenere le gravi<br />
spese di coltivazione dei vigneti e di nuove piantagioni,<br />
rese indispensabili dalla mortalità cagionata dalla crittogama<br />
e dagli straordinari freddi, a supplire ai consueti bisogni<br />
delle familiari amministrazioni, si videro costretti a ricorrere<br />
3. Cocchetti Carlo, Brescia e sua provincia..., cit., pagg. 194-195<br />
4. Ibidem, pag. 208
18<br />
a mutui. Questo palliativo, che non toglie il male, mancò<br />
per la diminuzione dei capitali disponibili, e i fondi vitati,<br />
per i debiti ipotecari ond’erano già affetti, e pel considerevole<br />
deprezzamento, presentarono troppa incerta garanzia,<br />
cosìcché il credito fondiario ne rimase, si può dire, annichilito.<br />
Ai mutui tennero dietro le volontarie, poi le espropriazioni<br />
per debiti fiscali e privati a condizioni rovinose pei<br />
proprietari, ed in generale può affermarsi che il valore dei<br />
fondi aviti è diminuito di una buona metà” 5 .<br />
A rendere ancora più gravi tali condizioni vennero le<br />
battaglie della seconda guerra d’indipendenza che si combatterono<br />
nella parte meridionale della regione gardesana<br />
e portarono con sé la devastazione e la distruzione delle<br />
colture nei territori di Lonato, Pozzolengo, Sirmione e San<br />
Martino che furono teatro dei combattimenti 6 .<br />
Le particolari condizioni climatiche e la conformazione<br />
geografica dell’ambiente fecero sì che le coltivazioni arboree<br />
assumessero un ruolo predominante nell’economia<br />
agricola gardesana, ad esse erano massimamente dedicate<br />
le attenzioni e le cure degli agricoltori, a scapito delle altre<br />
coltivazioni che venivano praticate solo in maniera integrativa.<br />
Così accadde che quando qualcuna delle coltivazioni<br />
arboree venne colpita da malattia o calamità naturali, la<br />
classe agricola -sia proprietaria che coltivatrice – si trovò a<br />
dover fronteggiare situazioni di estrema gravità da cui non<br />
riuscì ad emergere che a distanza di anni ed al prezzo di<br />
numerosi sacrifici. D’altra parte nel primo ventennio post<br />
unitario l’agricoltura gardesana dovette sopportare le conseguenze<br />
dei mutamenti di mercato derivati dai capovolgimenti<br />
politici e quelle della nuova legislazione italiana che<br />
con l’introduzione della tassa <strong>sul</strong> macinato nel 1868 non<br />
favorì certo il miglioramento delle condizioni di vita delle<br />
5. Ibidem, pag. 208<br />
6. Pieri Piero, Storia militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962
19<br />
classi agricole 7 . Dal canto suo la proprietà agricola gardesana<br />
si trovava nella condizione di non poter far fronte a<br />
spese eccezionali, in quanto veniva da un decennio preunitario<br />
che l’aveva notevolmente indebolita e nel medesimo<br />
tempo era impreparata ad introdurre innovazioni colturali<br />
che migliorassero le produzioni agricole.<br />
<strong>La</strong> più caratteristica delle coltivazioni gardesane era<br />
senza dubbio quella degli agrumi, che favorita dalle particolarmente<br />
miti condizioni, richiedeva tuttavia una grande<br />
quantità di cure ed attenzioni, in special modo nella stagione<br />
fredda.<br />
Praticata da sola, non consociata ad altre coltivazioni,<br />
occupava una superficie abbastanza limitata; 60 ettari circa<br />
distribuiti essenzialmente nei comuni di Limone San Giovanni,<br />
Gargnano, Toscolano e Maderno 8 .<br />
Superficie superiore a quella destinata all’agrumicoltura<br />
era occupata dall’olivicoltura che,sia pure con diversa frequenza<br />
ed intensità, si trovava presente in tutto il territorio<br />
della riviera gardesana. Ma se l’agrumicoltura poteva essere<br />
in qualche modo considerata una coltivazione intensiva,<br />
non altrettanto accadeva per l’olivicoltura, quasi mai praticata<br />
in maniera esclusiva, ma generalmente associata alla<br />
vite o ad altri alberi da frutto.<br />
Difficile quindi stabilire quanta fosse la superficie destinata<br />
esclusivamente all’olivicoltura; il Marchiori nella sua<br />
monografia <strong>sul</strong>le principali coltivazioni della provincia di<br />
Brescia indicava per il mandamento di Gargnano la presenza<br />
di ettari 1,20 di superficie olivata ogni cento ettari<br />
di superficie territoriale; nel mandamento di Lonato essa<br />
scendeva poi a ettari 0,21 – 0,30 per ogni cento ettari di<br />
7. Romani Mario, Un secolo di vita agricola in Lombardia (1861-1961),<br />
Milano, Giuffrè, 1963<br />
8. Bettoni Lodovico, L’agricoltura nei contorni del lago di <strong>Garda</strong>, (estratto<br />
dal giornale "L’Italia Agricola"), Milano, Bernardoni, 1877, pag. 2
20<br />
superficie e ad ettari 0,11 – 0,20 nel mandamento di Salò 9 .<br />
Particolarmente importanti erano gli oliveti di Limone<br />
San Giovanni, di Tignale e di Tremosine; dei colli sopra<br />
Gargnano, Toscolano, Maderno, Gargnano e Salò. Nella<br />
regione collinare particolarmente estesa era la coltivazione<br />
a Moniga ed a Padenghe, dove l’olivicoltura veniva, per importanza,<br />
subito dopo la viticoltura. Scendendo più a sud<br />
l’ulivo andava mano a mano diminuendo, avvicinandosi a<br />
Desenzano ed ancora più a Rivoltella, per scomparire del<br />
tutto in Lugana; solo si ripresentava <strong>sul</strong> promontorio di Sirmione<br />
10 .<br />
Scarsa attenzione veniva dedicata alla coltivazione dell’olivo<br />
e le cure non erano così assidue come avrebbero dovuto<br />
per garantire un rendimento elevato e costante. Solo la<br />
caduta della produzione agrumicola fece sì che all’olivicoltura,<br />
almeno nella zona settentrionale della regione gardesana<br />
venissero dedicati maggiore spazio e maggiori cure,<br />
nella speranza di rimpiazzare con il prodotto degli olivi, il<br />
mancato frutto degli agrumi 11 .<br />
Per il resto l’olivicoltura veniva praticata con metodi tradizionali<br />
e non si poteva certo dire che fosse progredita;<br />
anche la quantità di olivi coltivata era rimasta sostanzialmente<br />
stazionaria. A Desenzano ed a Rivoltella, la presenza<br />
degli oliveti era diventata pressoché inesistente dopo che<br />
per i rigidi inverni del 1829 e del 1859 gran parte degli ulivi<br />
era andata distrutta e gli agricoltori vi avevano sostituito<br />
la coltura del gelso, ma negli anni tra il ’60 ed il ’70 nel comune<br />
di Desenzano erano state messe a dimora non meno<br />
di 6 mila piante, ed un migliaio circa in quello di Rivoltel-<br />
9. Marchiori Pietro, Le principali coltivazioni della provincia di Brescia con<br />
10 carte illustrative (Relazione pubblicata dal "Comizio Agrario di Brescia")<br />
Brescia, Tip. Queriniana, 1884, pag. 6<br />
10. Benedini Bortolo, Terra e agricoltori nel Circondario di Brescia, Brescia,<br />
Apollonio, 1881, pagg. 34 -35<br />
11. Bettoni L., L’agricoltura..., cit., pag. 54
21<br />
la 12 . Le qualità di olivo maggiormente diffuse nella riviera<br />
benacense erano la casaliva, la gargnà e la miniol e quasi<br />
sempre la coltivazione avveniva in consociazione con quella<br />
della vite, mentre il terreno sottostante era utilizzato seminandolo<br />
a frumento, a granturco, o, assai spesso, a fagioli 13 .<br />
Alla vite era destinato gran parte del territorio della<br />
riviera gardesana, ed i centri di sua massima coltivazione<br />
erano i paesi della Valtènesi: Moniga, Manerba, San Felice,<br />
Portese, Puegnago, Polpenazze, Raffa, Soiano,dove i<br />
vigneti si estendevano senza interruzione sia al piano che<br />
<strong>sul</strong>le colline. “Il viaggiatore che da Salò si reca a Desenzano,<br />
sia passando per Portese, S. Felice, o per Raffa, o Puegnago,<br />
Polpenazze, scorge da ogni lato una successione di<br />
vigneti, non interrotta da fondi messi completamente ad<br />
altra coltura. Questi vigneti secolari, forse millenari si mantengono<br />
continuamente mediante scavo di buche e rimesse<br />
di barbatelle laddove i vecchi ceppi periscono. Il terreno<br />
è completamente ingombro di radici dei gelsi che perirono<br />
o di quelli che sparsi ne’ filari più o meno rigogliosamente<br />
vegetano” 14 .<br />
Il Marchiori dava un indice di 6-10 ettari di terreno coltivato<br />
a vite su 100 ettari di superficie territoriale nel mandamento<br />
di Gargnano, dai 21 ai 30 ettari nel mandamento di<br />
Salò e dai 61 ai 70 ettari nel mandamento di Lonato 15 .<br />
Balza dunque evidente con quale intensità si dovettero<br />
far sentire le conseguenze dell’invasione dei vigneti della<br />
crittogama e dell’oidio, a cui solo valsero limitatamente i<br />
rimedi dell’irrorazione con lo zolfo. D’altra parte, così come<br />
l’invasione della malattia della gomma aveva messo in gi-<br />
12. Benedini B., Terra e agricoltori cit., pagg. 34-35<br />
13. Bettoni L., L’agricoltura..., cit., pag 40; Solitro G., Benaco, cit., pagg.<br />
162-63<br />
14. "Brescia Agricola. Giornale agricolo commerciale", Brescia, Annate da<br />
1844-85 a 1888-89, presso Biblioteca Civica Queriniana<br />
15. Marchiori P., Le principali coltivazioni..., cit., pagg. 5-6
22<br />
nocchio i produttori d’agrumi, la crittogama che per un decennio<br />
(1854 -1864) aveva quasi completamente annullato il<br />
prodotto della vite, travolse la proprietà viticola ed aggravò<br />
le condizioni di vita della classe colonica . “Non passa giorno<br />
che in questi paesi non si vedano aste volontarie o giudiziarie,<br />
insomma la proprietà in Riviera manca di stabilità<br />
pel difetto del vigente sistema di coltivazione, pel quale la<br />
media delle spese di coltivazione è sproporzionata in confronto<br />
alla media di produzione” 16 .<br />
Così scriveva “Brescia Agricola” nel 1884, a oltre vent’anni<br />
dal quadro drammatico rilevato dal Bettoni nel suo bilancio<br />
della provincia di Brescia o dalle ancora gravi notizie<br />
della Camera di Commercio del 1869.<br />
<strong>La</strong> coltivazione della vite era solitamente associata ad<br />
altre colture: con l’olivo, con il gelso, con il frumento, il granoturco<br />
o i legumi e l’erba da foraggio, e quasi sempre era<br />
fatta a palo secco ed a filari. Ma mentre nei centri del mandamento<br />
di Gargnano non vi veniva prestata grande cura,<br />
particolare attenzione si poneva nei centri viticoli maggiori<br />
alla simmetria degli impianti, anche se poi dal punto di vista<br />
della qualità degli interventi colturali, non si avevano<br />
particolari differenze. <strong>La</strong> produzione media in vino in ragione<br />
di ettaro veniva calcolata tra i 30 ed i 35 ettolitri, anche<br />
se non mancavano, in annate particolarmente abbondanti<br />
ed in condizioni favorevoli produzioni di 50-60 ettolitri di<br />
vino. “Vi hanno delle viti a palo secco che portano più di 50<br />
chilogrammi di grappoli. Sonvi però plaghe, specialmente<br />
<strong>sul</strong>la Riviera superiore, ove l’olivo, il gelso, il lauro, ombreggiano<br />
il campo ed ove la vite è assai trascurata, onde il prodotto<br />
non compensa le spese” 17 .<br />
Secondo il Bettoni, la regione gardesana dava una rendita<br />
vinicola pari alla settima parte del prodotto totale della<br />
provincia. Caduta dunque la produzione a livelli irrisori nel<br />
16. "Brescia Agricola...", cit., anno 1884<br />
17. Bettoni L., L’agricoltura..., cit., pag. 89
23<br />
decennio a cavallo dell’unità, essa tornò gradatamente ad<br />
aumentare dopo il ’65, grazie alla cura dello zolfo; la Camera<br />
di Commercio calcolava che la produzione per il 1869,<br />
per tutta la provincia di Brescia, ammontasse a 300.000<br />
ettolitri. Così come la trasformazione delle olive, anche la<br />
trasformazione delle uve non sempre veniva praticata con<br />
la dovuta cura e neppure veniva posta troppa attenzione ai<br />
consigli volti a suggerire modificazioni ai sistemi tradizionali<br />
di lavorazione o all’introduzione di nuove tecniche.<br />
“<strong>La</strong> fabbricazione del vino - scriveva il Bettoni - è fatta<br />
dai produttori immediati delle uve, dai proprietari, dagli affittuali<br />
e dai coloni e non è oggetto di speciale industria.<br />
Questa circostanza influisce sinistramente sui vini del circondario<br />
e specialmente sopra quelli della Riviera del lago<br />
di <strong>Garda</strong>. Se sussistessero società per la fabbricazione del<br />
vino e se queste tenessero depositi abbondanti, verrebbero<br />
tolti molti errori e pregiudizi e si otterrebbero vini più<br />
gustosi e di maggior durata. Facendo inoltre capo ad esse<br />
negozianti nazionali ed esteri, in poco tempo il credito del<br />
vino benacense si aumenterebbe a dismisura.” Ed il Solitro<br />
a sua volta scriveva “I casi di grosse partite di vino andato<br />
a male, d’intere cantine guastate e cedute poi a vilissimo<br />
prezzo per aver trascurato quelle diligenze e cautele che<br />
si richiedono nella fabbricazione del prezioso liquore, non<br />
furono per lo passato così rare da non poter servire d’utile<br />
esempio e di ammaestramento ai più ostinati”. Ma ciò era<br />
dovuto anche ad altre cause, come annotava ancora il Solitro:”<br />
Nella regione del Benaco, specialmente lungo la riva<br />
occidentale la proprietà fondiaria è molto frazionata; credo<br />
sia anche questo uno dei motivi per cui non si è potuto ancora<br />
aver qui un tipo stabile di vino. Secondo l’abilità e diligenza<br />
di questo o quel proprietario abbiamo dell’eccellente<br />
vino di Manerba, di Raffa, di Moniga, di Puegnago, ma<br />
non abbiamo il vino benacense che possa varcare il confine
24<br />
della regione lombarda non solo, ma d’Italia” 18 . E tuttavia,<br />
il vino del <strong>Garda</strong> era considerato il migliore della provincia<br />
di Brescia, ambito in cui esso in gran parte veniva smerciato.<br />
Ma alcune partite varcarono i confini dell’Italia e raggiunsero<br />
“ Nuova York e Rio Janeiro, Alessandria d’Egitto e<br />
Jokoama, la Svizzera, la Francia, la Germania, l’Inghilterra,<br />
che ebbero del vino del <strong>Garda</strong>, lo gustarono e lo pagarono<br />
bene” 19 .<br />
Colpita dalle malattie e dalle calamità naturali, l’agricoltura<br />
gardesana evidenziò tutta la sua fragilità e mise in<br />
luce come la sua crisi non fosse tanto un fatto congiunturale<br />
quanto una vera e propria crisi strutturale che la caratterizzò<br />
nel primo cinquantennio post’unitario e dalla quale fu<br />
possibile uscire solo attraverso radicali trasformazioni che<br />
andarono via via introducendosi con sempre maggiore ampiezza<br />
e intensità a partire dai primi anni del ‘900 e che lo<br />
scoppio della prima guerra mondiale colse nel pieno del<br />
loro sviluppo.<br />
<strong>La</strong> coltivazione degli agrumi, nonostante i rimedi tentati,<br />
per altro con scarsi ri<strong>sul</strong>tati, non si riprese più; i giardini, abbandonati,<br />
rimasero lungamente incolti o vennero utilizzati<br />
per altre coltivazioni. D’altra parte a decretare la fine dell’agrumicoltura<br />
contribuirono in maniera notevole le mutate<br />
condizioni di mercato a cui in un primo tempo i produttori<br />
avevano ritenuto di potersi facilmente adattare, confidando<br />
nella migliore qualità dei loro prodotti 20 .<br />
Nella “Relazione della direzione del Comizio Agrario<br />
Circondariale di Salò per l’annata 1897” si leggeva: “<strong>La</strong><br />
principale ricchezza della Riviera, il limone, va gradatamen-<br />
18. Solitro G., Benaco, cit., pagg. 240-241<br />
19. Relazione della Camera di Commercio e Arti di Brescia a S.E. il Ministro<br />
d’<strong>Agricoltura</strong> Industria e Commercio sopra la statistica e l’andamento industriale<br />
e commerciale del proprio distretto per l’anno 1869<br />
20. Relazione della direzione del Comizio agrario circondariale di Salò per<br />
l’annata 1897, Brescia, Tip. Istituto Pavoni, 1898
25<br />
te scomparendo. <strong>La</strong> esiziale concorrenza fattale dai limoni<br />
meridionali, che si mandano al nord sopra ogni piazza<br />
a prezzi perfino di perdita, ha rovinato completamente la<br />
nostra plaga, senza recar giovamento a quella meridionale.<br />
Quindi anche i proprietari, che hanno fin qui fatto sforzi<br />
grandissimi per tenere in assetto i loro agrumeti, è loro giocoforza<br />
abbandonarli.”<br />
L’olivicoltura fu ancora a lungo praticata con i criteri tradizionali:<br />
“Tutta la regione del <strong>Garda</strong> non dà all’olivo l’importanza<br />
che esso ha e la sua coltivazione non ha quelle<br />
cure e quella estensione che dovrebbe avere. Partendo da<br />
Limone San Giovanni ove il progresso raggiunto in questa<br />
coltura è ragguardevole, i paesi che s’incontrano discendendo<br />
verso Desenzano curano sempre meno l’olivo, finché<br />
giunti in Valtènesi constatiamo lo strano fenomeno che<br />
i contadini, nella gran maggioranza non conoscono affatto<br />
la potatura, non sanno curare la carie e se il padrone non si<br />
decide a chiamare operai della Riviera propriamente detta,<br />
questa povera pianta rimane in balia di se stessa e dei suoi<br />
nemici, deperisce e muore. Non è affatto raro il caso di trovare<br />
olivi che da vent’anni non furono né potati né curati<br />
del marcio. In Valtènesi adunque questa coltivazione in luogo<br />
di aumentare diminuisce. Alle piante che deperiscono<br />
e muoiono non si sostituiscono piante giovani” 21 .Ed ancor<br />
più grave la situazione si presentava scendendo verso sud a<br />
Desenzano, Rivoltella, Lonato dove l’olivo si trovava a combattere<br />
la concorrenza del gelso che alimentava la bachicoltura<br />
locale, discreta fonte di reddito. Uno dei punti di maggiore<br />
debolezza era stato ed era ancora il sistema di propagazione<br />
dell’olivo che veniva fatta per polloni o per ovoli;<br />
dai primi anni del ‘900 si iniziò però a preferire le pianticelle<br />
già innestate provenienti da seme che davano maggiore<br />
21. Razzetti Carlo, Impianto e coltivazione degli olivi, in “Il Risorgimento<br />
agricolo”, anno IV, 1903 n. 3-4
26<br />
garanzia di riuscita. 22 Dal 1903 al 1913 il Consorzio Agrario<br />
della Riviera ne collocò 16.800 acquistate direttamente in<br />
Toscana. D’altra parte una maggiore cura nella potatura ed<br />
una più assidua e razionale concimazione dimostrò che la<br />
produzione poteva facilmente essere migliorata.<br />
<strong>La</strong> viticoltura fu, tra le coltivazioni tipiche gardesane,<br />
quella che subì maggiori trasformazioni e attirò su di sé<br />
le maggiori attenzioni. <strong>La</strong> prima risposta che l’agricoltura<br />
gardesana diede all’invasione della crittogama degli anni<br />
preunitari, fu una risposta prettamente produttivistica per<br />
conseguire la quale non si esitò ad estendere irrazionalmente<br />
la coltivazione della vite, particolarmente nella regione<br />
collinare, anche nelle aree marginali e meno adatte.<br />
“<strong>La</strong> mancanza del prodotto uva fece salire enormemente<br />
i prezzi di questa, tanto più che non era possibile a quei<br />
tempi l’importazione delle uve meridionali, e l’agricoltore,<br />
nella speranza di rimediare alla rovina in cui era caduto, si<br />
diede ad aumentare, a raddoppiare la coltivazione della<br />
vite. Così scomparvero i campi liberi e parte dei prati trasformati<br />
in vigneti; si spezzarono le piane larghe con nuove<br />
piantagioni di viti e si abbandonò quasi del tutto la coltivazione<br />
del frumento. Si trasformarono in vigneti anche dei<br />
boschi che esistevano nella parte alta delle colline, ma però<br />
non in proporzioni rilevanti. Le conseguenze del nuovo indirizzo<br />
sbagliato si sentirono immediatamente. Si lamentò<br />
la deficienza forte dei foraggi e delle stramaglie, diminuì la<br />
produzione del frumento ed i vecchi forni cessarono di cuocere<br />
il pane fatto in casa. Aumentarono assai gli acquisti del<br />
legname per le viti; la produzione del granoturco, coltivato<br />
senza interruzione in piane strette, raramente con stallatico<br />
rubato alle viti diminuì al punto che ora è inutile seminarlo.<br />
Di contro non si ebbe lo sperato aumento del prodotto<br />
uva, perché le cure anticrittogamiche non furono mai fatte<br />
bene, specialmente col sopraggiungere della peronospera<br />
22. Bettoni L., L’agricoltura..., cit., pagg. 79 -93
27<br />
e perché lo scarso letame che prima manteneva in buona<br />
vegetazione poche viti, ora doveva essere sufficiente per<br />
un numero quasi doppio. <strong>La</strong> deficienza dei foraggi fece diminuire<br />
il bestiame da lavoro. <strong>La</strong> depressione economica<br />
iniziò l’emigrazione dei contadini. All’aumento enorme di<br />
spese generali e di tasse, si unì la diminuzione generale dei<br />
prodotti aggravata dalla mortalità del bestiame. Si può dire<br />
che da una lunga serie d’anni l’agricoltore assiste impotente<br />
allo sfacelo lento della proprietà, sfacelo che purtroppo<br />
continua” 23 .<br />
Scriveva Carlo Omodeo Salè nel suo saggio su “Avvicendamenti<br />
e consociazioni colturali della Riviera Bresciana<br />
del <strong>Garda</strong> nel quadro della evoluzione agricola nell’ultimo<br />
cinquantennio” pubblicato in Memorie dell’Ateneo di Salò<br />
(1940): “...il decennio che precedette il 1885 fu floridissimo<br />
nel commercio ed anche nella esportazione del vino. [....]<br />
Ben presto dal periodo di floridezza accennato si passò ad<br />
altro di crisi profonda che culminò nell’ultimo decennio del<br />
secolo scorso. Innanzitutto crisi di mercato: venuta meno<br />
l’esportazione e sopraggiunte altre ragioni di carattere<br />
economico–politico concomitanti, il prezzo dell’uva discese<br />
notevolmente dai massimi di lit.34,5 al quintale.. a valori<br />
minimi di 17 lire. Diminuì contemporaneamente la produzione<br />
da un valore medio di 16 a 17 quintali per ettaro a<br />
10 e 11 quintali. Quest’ultimo fatto era dovuto allo sfruttamento<br />
eccessivo dei terreni nel periodo precedente colle<br />
consociazioni illogiche e la deficienza di concime, ma più<br />
ancora al diffondersi e all’aggravarsi prima dell’oidio e poi<br />
della peronospora. Fu specialmente grave la peronospora.<br />
Ad essa da principio non si diede la dovuta importanza<br />
giacché produceva danni lievi, non solo, ma, secondo alcuni,<br />
arrecava qualche vantaggio per la gratuita sfogliatura<br />
parziale prima della vendemmia. Ma successivamente al-<br />
23. Razzetti C., <strong>La</strong> Valtenesi agraria, in “Il Risorgimento Agricolo”, anno 1,<br />
n.7 , agosto 1900
28<br />
largò il suo campo di azione ed attaccò oltre che le foglie<br />
anche i grappoli, prima e dopo la fioritura, l’uva durante il<br />
suo sviluppo e gli stessi grappoli che vi corrispondevano.<br />
Di modo che i danni andavano via via crescendo, giungendo<br />
a distruggere anche l’intero raccolto. Ma i rimedi efficaci<br />
ritrovati per i due parassiti indicati, basati <strong>sul</strong> largo impiego<br />
di cuprici liquidi e di zolfo, aggravarono enormemente le<br />
spese di coltivazione e di difesa. Di modo che in quel periodo<br />
si può ritenere che tutte le aziende agricole della Riviera<br />
del <strong>Garda</strong> fossero in perdita. Molti terreni infatti cambiarono<br />
di proprietà ed il prezzo per ettaro discese a Lit.1.000<br />
ed anche a meno.di qui fallimenti, disoccupazione, miseria,<br />
emigrazione in larghissima scala...”. Tuttavia non sempre,<br />
allo scarso raccolto corrispondeva uno scadente prodotto,<br />
ma talora la qualità del vino riusciva ottima e non rimaneva<br />
priva di mercato, anche se avevano cominciato a fare la loro<br />
comparsa i vini meridionali che venivano smerciati a danno<br />
della produzione locale 24 . E la Gazzetta Ufficiale del circondario<br />
di Salò “Il <strong>Garda</strong>” puntualmente dava notizia dell’andamento<br />
del mercato vinicolo: “Anche nei nostri paesi è<br />
cominciato lo smercio dei vini meridionali, a tutto danno<br />
del prodotto locale”(sabato 2 novembre1899). “In Valtènesi<br />
a Manerba, Moniga, Raffa e Portese abbiamo delle ottime<br />
qualità di vino, di solito molto apprezzato nella stagione<br />
invernale e speriamo che abbia a cominciare presto la vendita”.<br />
(9 novembre 1889). “Da parecchi giorni vediamo arrivare<br />
col tram nei nostri paesi vagoni di uva meridionale<br />
colla quale molti intendono fare vino da taglio coi nostri<br />
scadenti, ma molti invece prepareranno sotto il battesimo<br />
del vino meridionale dio sa quale bevanda”. (27 novembre<br />
1890).<br />
Nel 1898 ritornò a presentarsi la peronospora. “la rapidità<br />
dello sviluppo della peronospora è quasi incredibile e<br />
24. "Il <strong>Garda</strong>. Gazzetta settimanale del Circondario di Salò", annate 1889-<br />
91, Salò, Tipografia Faustino Conter & C.
29<br />
ben lo sanno gli agricoltori che nel 1898 si videro in 48 ore<br />
portata via quasi tutta l’uva; lo stesso accadde nel 1900”.<br />
Intanto preannunciata da pressanti inviti a non aspettarla<br />
con le mani in mano senza far nulla, dalla Francia dove aveva<br />
duramente colpito la viticoltura locale, si affacciò ai confini<br />
della regione gardesana la filossera, che già dal 1879 si<br />
andava diffondendo nell’Italia e che già era comparsa nella<br />
parte occidentale della provincia di Brescia. Le prime avvisaglie<br />
si ebbero nel 1901 con il rinvenimento di alcuni focolai<br />
di infezione a Bedizzole; nel 1902 fu la volta di Carzago 25 .<br />
Nel 1905 le esplorazioni compiute dalla Regia delegazione<br />
antifilosserica di Lonato rilevarono anche a Padenghe<br />
e Manerba la presenza della filossera che superato l’arco<br />
delle colline si avviava ormai ad invadere tutta la regione<br />
gardesana 26 . Carlo Omodeo Salè scriverà in proposito: “Ma<br />
la vera rivoluzione è stata determinata, come si disse,dalla<br />
comparsa (per quanto tardiva rispetto alle altre regioni<br />
d’Italia) e dalla rapida diffusione della filossera. Se questa<br />
ri<strong>sul</strong>tò, alla fine, forse benemerita, fu certamente agli inizi<br />
disastrosa, per modo che, molte proprietà, grandi e piccole,<br />
si sfasciarono, mentre altre furono date in affitto a prezzi<br />
irrisori. Conseguenza dolorosissima della crisi così grave fu<br />
la emigrazione. Osserva il Rossetti che in un solo anno il<br />
10% della popolazione abbandonò la Valtènesi... e che il<br />
sindaco di un comune di 700 abitanti firmò nell’annata 70<br />
precetti esattoriali”. Nel tentativo di fermare l’espansione<br />
dell’epidemia, sollecitato dai comuni della zona, il MAIC<br />
emise un decreto con cui sospese l’esportazione dai comuni<br />
di Manerba e Padenghe di alcune materie che avrebbero<br />
potuto facilitarne la propagazione. Ma intanto l’infezione<br />
si manifestò anche a Moniga, poi nel 1906 a Portese. Il 31<br />
dicembre 1910 il ministero dell’<strong>Agricoltura</strong> dichiarò sospetti<br />
di infezione filosserica tutti i comuni dei mandamenti di<br />
25. "Il Risorgimento Agricolo", anno III, n. 1-2<br />
26. <strong>La</strong> filossera in Valtenesi, Ibidem, anno VI, n. 14, 1905
30<br />
Gargnano, Salò e Lonato, ad eccezione di quelli già dichiarati<br />
ufficialmente filosserati. Nel 1911 all’elenco si aggiungevano<br />
i comuni di Polpenazze, Volciano e Muscoline e nel<br />
1912 i comuni di Salò, Gardone Riviera, Soprazzocco e Villanuova.<br />
27 Per affrontare il problema filossera i comuni dei<br />
paesi maggiormente viticoli istituirono dei consorzi antifilosserici<br />
che provvedessero alla ricostituzione dei vigneti.<br />
Nacquero così nel 1911 i consorzi antifilosserici di Manerba,<br />
Moniga, Soiano, Polpenazze, Puegnago, Raffa, San Felice,<br />
Portese e Padenghe a cui il ministero concesse un sussidio<br />
di Lit. 2.700. Nel 1912 i consorzi comunali si consorziarono<br />
nella federazione dei consorzi di difesa della viticoltura<br />
della Riviera Bresciana del <strong>Garda</strong>, su proposta della regia<br />
delegazione antifilosserica e nel 1913 nacquero i consorzi<br />
di Volciano e di Campoverde.<br />
<strong>La</strong> ricostituzione dei vigneti colpiti dalla filossera offrì<br />
l’occasione per una loro riduzione ed una loro razionalizzazione.<br />
Alla coltivazione a palo da buco si sostituì la coltivazione<br />
a spalliera con pali di legno, con evidente risparmio.<br />
Alle viti originali vennero sostituite viti americane il cui<br />
adattamento al suolo veniva accertato mediante accurate<br />
analisi dei terreni in cui dovevano essere collocate. Secondo<br />
i dati ufficiali del catasto agrario del 1909 la produzione<br />
di uva della regione gardesana ammontava a q.li 254.730 di<br />
cui 18.070 prodotti nella regione montuosa e 236.660 nella<br />
regione collinare. <strong>La</strong> produzione media per ettaro era, nella<br />
parte montana di q.li 26,7 e di q.li 26,3 nei vigneti della regione<br />
collinare; la superficie destinata esclusivamente alla<br />
viticoltura era di 7.334 ettari nella regione collinare e di ettari<br />
515 nella parte montuosa 28 .<br />
Per meglio comprendere in quale contesto maturarono<br />
le prime iniziative di solidarietà e di cooperazione val<br />
la pena ricordare quali fossero le condizioni di vita della<br />
27. Ibidem, anno VII, n. 7, 1906<br />
28. Catasto Agrario del Regno d’Italia, Lombardia, zone 40 e 43
Il frontespizio della prima pagina del primo numero della rivista<br />
31
32<br />
società agricola gardesana, in quanto al precario funzionamento<br />
del sistema produttivo corrispondeva un altrettanto<br />
grave e precario contesto sociale.<br />
<strong>La</strong> coltivazione del suolo, solo in minima parte, nella riviera<br />
gardesana era praticata in economia dal proprietario,<br />
e ciò avveniva quasi esclusivamente nella regione montana<br />
dell’alta riviera. Non particolarmente diffusa era la conduzione<br />
dei fondi in affittanza, il cui contratto aveva la durata<br />
di nove anni ed il cui canone veniva solitamente pagato in<br />
due rate, l’una a maggio, l’altra a novembre. Nel contratto<br />
l’affittuale si obbligava a tenere <strong>sul</strong> fondo un conveniente<br />
numero di bestie per consumare i prodotti del suolo, ma<br />
non sempre questa clausola veniva osservata. D’altra parte<br />
il contratto era quasi sempre stipulato nella forma più<br />
semplice, talora veniva fatta una scrittura privata, ma assai<br />
spesso il contratto era solamente verbale. L’affittuale dunque<br />
esercitava l’industria agraria con propri capitali: “il bestiame<br />
per le arature e per i trasporti, gli attrezzi rurali, i pali<br />
i vimini e lo zolfo per le viti, più una parte di grano per la<br />
semina ed una quantità di foraggio e di strame per sopperire<br />
all’insufficienza del prodotto dello stabile e denaro per<br />
le spese impreviste”.<br />
Il sistema di conduzione dei fondi più diffuso nella zona<br />
era invece il contratto di mezzadria, un contratto che era<br />
“in uso da molto tempo” e che non presentava caratteri<br />
molto diversi dai contratti di mezzadria in vigore nella collina<br />
lombarda del tempo, ma il tipo di coltivazioni e le dimensioni<br />
dei possedimenti, peraltro spesso frammentati e<br />
non contigui, facevano sì che esso fosse ritenuto il più adeguato,<br />
all’interno del quale però si ritagliavano condizioni<br />
particolari e varietà di clausole che mutavano di volta in<br />
volta, da contratto a contratto, a seconda degli usi locali. Il<br />
proprietario assegnava al colono ed alla sua famiglia la casa<br />
di abitazione a titolo gratuito, e in taluni casi anche un piccolo<br />
orto per il quale però richiedeva un compenso, sep-
33<br />
pur minimo. <strong>La</strong> divisione del prodotto avveniva nel modo<br />
seguente: dove il prodotto della vite era abbondante due<br />
terzi spettavano al proprietario ed un terzo al colono; se<br />
il prodotto era scarso veniva diviso a metà. Il frumento, il<br />
granturco e gli altri cereali venivano pure divisi a metà, ma<br />
al colono era fatto obbligo di provvedere a proprie spese<br />
all’acquisto delle sementi. Al colono veniva fatto obbligo<br />
di allevare i bachi da seta ed il ricavato della vendita veniva<br />
diviso a metà. A carico del colono erano le scorte vive<br />
necessarie alla coltivazione del podere, mentre il fieno per<br />
il bestiame, i pali e i vimini per le viti erano a carico del<br />
proprietario. Al colono spettava il pagamento della tassa<br />
di famiglia e quella <strong>sul</strong> bestiame, inoltre il proprietario imponeva<br />
al mezzadro l’obbligo di un determinato numero di<br />
carreggi per il trasporto di derrate e di materiali, mentre il<br />
mezzadro si impegnava ad offrire al proprietario, a titolo di<br />
regalìa, un numero fisso annuo di polli e di primizie dell’uva<br />
e dei frutti. Anche il prodotto delle olive veniva diviso a<br />
metà, ma anche in questo caso il colono era tenuto a donare<br />
al padrone una regalìa, che mentre per l’uva era fissata<br />
in un quindicesimo del prodotto totale, variava da colonìa<br />
a colonìa. E così come per l’uva era tenuto a prestare la<br />
sua opera nella cantina padronale “per tutte le operazioni<br />
attinenti alla fabbricazione del vino compresa la svinatura”<br />
al colono spettava la spesa di conduzione al torchio delle<br />
olive e della torchiatura.<br />
Durante l’anno, fino all’epoca del raccolto, il proprietario<br />
veniva incontro alle necessità del colono con sovvenzioni<br />
in granoturco e anticipazioni in denaro che venivano poi<br />
detratte al momento di chiudere i conti. Accadeva assai<br />
spesso così che nelle annate meno felici il mezzadro chiudesse<br />
i suoi conti in rosso, perennemente indebitato nei<br />
confronti del proprietario e solo nelle annate migliori riusciva<br />
a restituire quanto gli era stato anticipato. Accadeva<br />
anche però che il proprietario diffidasse dei suoi mezzadri,
34<br />
Costruzione del Consorzio Agrario al Crociale di Manerba
35
36<br />
Il Consorzio terminato.<br />
convinto che gli sottraessero parte dei prodotti, cosa che<br />
per altro probabilmente succedeva, data la povertà delle<br />
condizioni di vita, per cui i mezzadri, non ottenendo sovvenzioni<br />
dai proprietari, erano costretti ad indebitarsi con<br />
estranei che praticavano condizioni di usura. E il problema<br />
delle sovvenzioni non era l’unico per cui il mezzadro era<br />
costretto a ricorrere ad estranei che nulla avrebbero dovuto<br />
aver a che fare con la conduzione del podere. Il contratto<br />
di colonìa faceva obbligo al mezzadro di fornire il bestiame<br />
necessario alla coltivazione del fondo, ma ben pochi erano<br />
quelli che possedevano i buoi della loro stalla. Per poterne<br />
disporre ricorrevano alla soccida, che quasi sempre veniva<br />
praticata in forme assai onerose, per cui i prodotti del suolo<br />
spettanti al mezzadro finivano per non essere quasi mai<br />
sufficienti a far fronte alle necessità della famiglia colonica<br />
e del podere 29 .<br />
Nella regione gardesana la famiglia colonica era compo-<br />
29. Marchiori P., Monografia <strong>sul</strong>le condizioni dell’agricoltura e della classe<br />
agricola del circondario di Salò, in Atti della Giunta per la inchiesta agraria e<br />
<strong>sul</strong>le condizioni della classe agricola, vol. VI, Tomo I, Roma, Forzani e C., 1882
37<br />
sta mediamente da sei ad otto individui ed un coltivatore<br />
era in grado di lavorare un ettaro e mezzo di terreno nella<br />
parte collinare. Solitamente, data la ridotta dimensione<br />
delle possessioni, una sola famiglia colonica bastava alla<br />
normale conduzione di un fondo e la permanenza su un<br />
podere da parte di una famiglia mezzadrile era abbastanza<br />
lunga e non era infrequente che al padre subentrassero i figli<br />
e ciò anche per più generazioni. Tuttavia non mancarono<br />
casi in cui i mezzadri oppressi dai debiti abbandonassero i<br />
fondi “lasciando un debito che più non pagano”, oppure,<br />
quando la crisi si faceva più grave e la speranza di annate<br />
positive sfumava, abbandonavano i fondi “per costituirsi<br />
braccianti o lavoratori avventizi” quando non ricorrevano<br />
all’emigrazione.<br />
Dal quadro sin qui presentato si può comprendere come<br />
per il mezzadro, legato al fondo dalla compartecipazione<br />
al prodotto, il cinquantennio post’unitario non fu particolarmente<br />
felice e le condizioni economiche della famiglia<br />
mezzadrile erano spesso più misere di quelle di chi, come i<br />
salariati, poteva godere di una retribuzione fissa in denaro,<br />
per cui si può comprendere come vi fossero mezzadri che<br />
alla sicurezza del rapporto mezzadrile preferivano trasformarsi<br />
in braccianti o in salariati, liberandosi di tutti quegli<br />
oneri che il contratto di mezzadria comportava. Tuttavia<br />
esso rimase predominante in tutta la regione meridionale<br />
della riviera gardesana e conservò immutate le sue caratteristiche<br />
fino a quando ai primi del novecento non si iniziò<br />
ad introdurre, nel sistema di coltivazione tradizionale,<br />
le prime innovazioni colturali, vuoi sotto la spinta della necessità,<br />
vuoi sotto lo stimolo dei nuovi orientamenti agrari<br />
volti a riequilibrare la debole e sempre meno remunerativa<br />
agricoltura gardesana. E ancora qualche annotazione <strong>sul</strong>le<br />
condizioni di vita dei lavoratori della terra che vengono definite<br />
“molto meschine”. Tra le più frequenti cause di morte<br />
vi sono malattie intestinali e problemi alle vie respiratorie.
38<br />
Coltivazione del mais in Valtènesi<br />
Le abitazioni sono spesso malsane, umide, poco areate. Ma<br />
la malattia che più di tutte colpisce gli adulti è la pellagra,<br />
provocata dalle carenze dell’alimentazione 30 .“Il cibo usuale<br />
dei contadini è la polenta, salame, polli, erbaggi, beve vino<br />
30. Benedini B., Terra e agricoltori, cit., pagg. 154-157
39<br />
nella primavera e nell’estate... non mangiano di solito carne<br />
di beccaria...Il cibo ordinario ed abituale dei contadini consiste<br />
nei legumi, nel sorgo turco e nelle carni insaccate di<br />
maiale e non si fa uso di vino che nei tempi estivi e durante<br />
i lavori faticosi”. “Il vivere del colono e dell’operaio è molto<br />
meschino, è basato principalmente <strong>sul</strong> grano turco che si
40<br />
mangia tutti i giorni con erbaggi, legumi e poco pesce..”.<br />
Così in due inchieste condotte <strong>sul</strong>le condizioni di vita dei<br />
lavoratori delle campagne condotte prima e dopo l’unità<br />
d’Italia. Si comprende quindi come, in tale situazione, chi<br />
fosse solo un poco sensibile alle condizioni dei lavoratori<br />
della terra cogliesse al volo l’opportunità che la cooperazione<br />
mostrava di poter dare. E come l’adesione delle classi<br />
lavoratrici e proprietarie fu subito entusiastica, vincendo<br />
le ritrosie di cui l’atavico individualismo aveva permeato<br />
fino ad allora l’animo contadino 31 .<br />
31. Czoerning Karl, <strong>Agricoltura</strong> e condizioni di vita dei lavoratori agricoli<br />
lombardi 1835-1839, Milano, Editrice Bibliografica, 1986.
Pompeo Gherardo Molmenti (1852 –1928)<br />
41
42
43<br />
LE INIZIATIVE<br />
DI SOLIDARIETÀ<br />
SOCIALE
44
LE INIZIATIVE<br />
DI SOLIDARIETÀ<br />
SOCIALE<br />
45<br />
I primi due decenni post unitari non furono per la regione<br />
gardesana particolarmente ricchi di iniziative volte a favorire,<br />
direttamente ed indirettamente le condizioni dell’economia<br />
agricola. Già all’avvento dell’Unità tuttavia, <strong>sul</strong> <strong>Garda</strong><br />
era operante da circa un ventennio una delle più significative<br />
esperienze di cooperazione nata in un’epoca in cui<br />
ancor poco si parlava di cooperazione, ma che le condizioni<br />
dell’alta riviera occidentale del <strong>Garda</strong> ampiamente giustificavano.<br />
Mentre infatti l’agricoltura bresciana e lombarda<br />
in generale erano ancora caratterizzate da una produzione<br />
di sussistenza volta al soddisfacimento dei consumi delle<br />
classi proprietarie e produttrici, l’agricoltura dell’alta riviera<br />
occidentale del <strong>Garda</strong> si era consolidata nella produzione<br />
mercantile degli agrumi. E proprio i difficili rapporti con<br />
il mercato provocarono la nascita della “Società <strong>La</strong>go di<br />
<strong>Garda</strong>”, costituita con una prima scrittura l’8 marzo 1840 e,<br />
successivamente, definitivamente confermata il 6 gennaio
46<br />
<strong>1841</strong> per iniziativa del consigliere di Gargnano Giuseppe<br />
Pederzani “allo scopo di vendere con reciproca eguaglianza<br />
comunalmente i limoni” 32 . <strong>La</strong> proprietà era notevolmente<br />
frammentata per cui se si eccettuano i pochi grandi possidenti<br />
che potevano direttamente provvedere mediante una<br />
propria organizzazione alla commercializzazione dei limoni,<br />
tutti gli altri, al momento di vendere i loro raccolti erano<br />
in balìa dei commercianti che badavano maggiormente ai<br />
propri interessi che a quelli dei produttori. 33 Nata dunque<br />
per sottrarre i produttori d’agrumi dalle mani di mediatori<br />
e speculatori, la Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> dette vita ad una efficace<br />
organizzazione commerciale che si estendeva a nord<br />
nel cuore dei paesi dell’Europa orientale, spingendosi sino<br />
ai mercati della Russia.<br />
Alla nuova società diedero subito la loro adesione 254<br />
possidenti, e benché i soci non superassero i due terzi dei<br />
possessori di giardini d’agrumi, nel 1863, agli inizi del primo<br />
decennio post unitario, nei magazzini della Società <strong>La</strong>go di<br />
<strong>Garda</strong> confluiva il prodotto di 12.000 campate di giardini, e<br />
nel 1879 quello di 17.400 campate.<br />
I soci, che all’inizio della Società erano suddivisi in permanenti-obbligati<br />
cioè per tutta la durata della Società – ed<br />
annuali, partecipavano alla vita della società esprimendo<br />
il loro diritto di voto <strong>sul</strong>la base delle loro possessioni. Chi<br />
aveva 100 campate aveva diritto ad un voto, chi ne aveva<br />
200 a due voti, chi ne aveva trecento ed oltre a tre voti, e chi<br />
invece possedeva meno di cento campate aveva diritto ad<br />
esprimere da uno a tre voti solo se munito di procura di altri<br />
32. Samuelli Tomaso, Origine della Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> ed operazioni<br />
da essa compite durante un quarantennio, Salò, Tipografia Faustino Conter,<br />
1883<br />
33. Erculiani Giuseppe, <strong>La</strong> Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong>. Sue origini – Scopi e<br />
sviluppo dal 1840 al 1940, pubblicato in memoria di Pederzani Giuseppe di<br />
Gargnano che la ideò, volle e creò, Brescia, Tipografia R. Codignola, 1940 –<br />
XIX
47<br />
soci; diversamente egli era escluso dalle votazioni. <strong>La</strong> costituzione<br />
del capitale sociale doveva avvenire in maniera<br />
abbastanza indolore per i possessori di giardini d’agrumi,<br />
mediante la trattenuta di una cifra percentuale <strong>sul</strong> ricavato<br />
dei limoni venduti, in ragione, dapprima, di un soldo milanese<br />
<strong>sul</strong> ricavato netto di 100 limoni per formare un fondo<br />
di cassa divisibile fra i soci al termine della società o del loro<br />
rapporto con essa, poi del 2% <strong>sul</strong> ricavato netto dei limoni.<br />
Il fondo di cassa costituito con una trattenuta proporzionale<br />
al conferimento dei limoni fatto da ogni socio, non diventava<br />
proprietà della società, ma rimaneva accreditato ad ogni<br />
socio e di sua proprietà, con diritto di riscatto al termine del<br />
contratto sociale o all’uscita dalla società. Il capitale veniva<br />
quindi formandosi con una piccola parte dei prodotti messo<br />
a risparmio da ciascun socio, così che ognuno costituiva<br />
una quota di capitale sociale proporzionata alle sue forze,<br />
senza nessun grave sacrificio e veniva in possesso di una<br />
cartella di credito.<br />
Proprio in questo meccanismo era insito uno dei punti di<br />
debolezza della società che non seppe né poté arginare le<br />
difficoltà sorte nella produzione agrumiera, ma sopravvisse<br />
sino ai nostri giorni, mutando i suoi scopi, adattandosi alla<br />
nuova realtà, incapace di assumere un ruolo di promozione<br />
e di guida verso la ripresa di una coltivazione che <strong>sul</strong>le<br />
sponde occidentali del <strong>Garda</strong> vantava tradizioni plurisecolari.<br />
“Lo sviluppo che assunse l’azienda negli anni di prosperità,<br />
la quantità di frutta che affluiva nei magazzeni, il bisogno<br />
di sollecitarne la vendita, la speranza di maggiori e<br />
più vantaggiosi affari mercé l’istituzione di figliali poste più<br />
vicine ai consumatori, furono le ragioni che consigliarono<br />
nell’anno 1846 la istituzione in Vienna di un’agenzia estiva<br />
più tardi tramutata in permanente; nel 1848 fu decisa l’apertura<br />
di una filiale a Milano e il medesimo anno venne
48<br />
aperto in Verona un magazzino estivo, che però ebbe pochi<br />
anni di vita. Il 1857 vide la attivazione di altre due case filiali:<br />
l’una a Trieste alla quale oltre allo smercio dei limoni gardesani<br />
sarebbe spettato il compito di estendere il commercio<br />
ed altri rami congeneri, quali esempio limoni meridionali,<br />
aranci, frutta secche, che affluivano nel porto di Trieste”;<br />
l’altra a Praga.<br />
Appare evidente lo sviluppo della Società <strong>sul</strong>le direttrici<br />
commerciali dell’impero Austro-Ungarico, che da un lato<br />
aveva sempre costituito il naturale sbocco della produzione<br />
agrumicola locale, dall’altro lato avrebbe potuto comportare<br />
difficoltà e turbamenti al momento dei mutati rapporti<br />
politici successivi al passaggio dell’area gardesana al Regno<br />
d’Italia.<br />
Ma il 1855 aveva portato nei giardini d’agrumi la malattia<br />
della gomma che già a metà degli anni ’60 aveva ridotto<br />
la produzione di limoni a circa un quarto della produzione<br />
normale. I magazzini della Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> che nel<br />
decennio 40-49 avevano raccolto 59.333.281 limoni estivi e<br />
66.181.311 nel decennio 50-59, nel decennio 60-69 ne ricevettero<br />
solamente 32.343.282 e 21.284.276 nel decennio<br />
1870-79. Rimanendo pressoché invariato il numero dei soci<br />
che conferiva alla società i suoi prodotti.<br />
<strong>La</strong> vasta organizzazione commerciale posta in essere dalla<br />
società divenne sovradimensionata rispetto alla quantità<br />
di prodotto che ancora era in grado di immettere <strong>sul</strong> mercato,<br />
e venne gradatamente smantellata per ridurre costi<br />
che divenivano insostenibili e non più remunerativi.<br />
Così, nel 1859 venne decisa la soppressione dell’agenzia di<br />
Praga, che serviva come scalo per le piazze commerciali della<br />
Boemia e della Moravia e di quella di Trieste; il 13 settembre<br />
1862 fu decisa la cessazione della casa di Milano ed il 20 aprile<br />
1871 si deliberò la liquidazione della filiale di Vienna.<br />
<strong>La</strong> grande avventura commerciale si era praticamente
49<br />
conclusa, e la Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> ridimensionata nel suo<br />
scopo fondamentale si trovò a battere altre strade. Tuttavia<br />
essa era riuscita ad esercitare una positiva influenza per i<br />
proprietari di giardini d’agrumi proprio in questa congiuntura<br />
sfavorevole per la produzione limoniva. Infatti pur ammettendo<br />
che la diminuita produzione abbia contribuito a<br />
tenere elevato il prezzo degli agrumi, si deve rilevare come<br />
i ricavi garantiti dal momento dell’entrata in funzione della<br />
società furono superiori a quelli conseguiti dai produttori<br />
limonivi nei periodi precedenti; ad una media decennale di<br />
List. 3,42 per 100 limoni naturali, nel decennio 1832-<strong>1841</strong>,<br />
corrispose, nel periodo 60-80 un ricavo depurato per 100<br />
limoni, di Lit. 3,90 nel primo quinquennio, 5,17 nel secondo,<br />
6,82 nel terzo e 5,73 nel quarto, con una media ventennale<br />
di Lit. 5,40 (+ 1,98). E di tale migliore remunerazione non<br />
godettero solo i soci, ma tutti i produttori d’agrumi, giacché<br />
il peso della Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> fu tale da determinare<br />
tutto l’andamento del mercato.<br />
Allorché la caduta della produzione agrumicola si delineò<br />
in tutta la sua gravità la Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> si trovò<br />
economicamente impreparata non solo a favorire la ricostituzione<br />
dei giardini distrutti, così da garantire la continuità<br />
della coltivazione, ma non fu in grado nemmeno di disporre<br />
di capitali da impiegare “nella istituzione di piazze gratuite<br />
all’ospedale di Salò per cura di possidenti di giardini<br />
caduti nell’indigenza; nell’organizzazione di un consorzio di<br />
mutuo soccorso fra i proprietari dei giardini ed i giardinieri;<br />
nella fondazione di società mutua contro i danni degli incendi<br />
dei giardini; nell’impiego degli studi superiori a figli<br />
di proprietari di giardini”.<br />
<strong>La</strong> Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> nata per favorire la commercializzazione<br />
degli agrumi rimase legata a questo suo scopo<br />
primitivo, ma ridottosi il volume d’affari in questa attività ritenne<br />
di poter estendere i suoi interessi ad altre produzioni
50<br />
locali. Così nel 1877 si decise di accogliere nella società anche<br />
chi, non possedendo giardini d’agrumi fosse possessore<br />
di piante di lauro e di fondare un apposito opificio “onde<br />
lavorare tutte le bacche dei vecchi e nuovi soci e vendere<br />
l’olio in comunione”, giacché trovava smercio sugli stessi<br />
mercati ove la Società vendeva i limoni.<br />
Nel 1902 infine il consiglio di amministrazione decise la<br />
creazione di un moderno oleificio che entrò in funzione nel<br />
1903 in Gargnano, che provvedesse alla lavorazione delle<br />
olive ed al commercio dell’olio. Nel primo anno furono lavorati<br />
Kg. 225.336 di olive e Kg. 430.737 nel secondo anno<br />
di attività, conferiti da 150 soci che subito aderirono all’iniziativa.<br />
Mentre la Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> si garantiva la sopravvivenza<br />
espandendosi in nuovi settori, adeguando le sue<br />
strutture e le sue attività alle mutate condizioni della locale<br />
agricoltura, a Salò si costituiva, nel giugno del 1885 il Comizio<br />
Agrario circondariale.<br />
Se dunque le iniziative volte ad intervenire in maniera<br />
diretta <strong>sul</strong>l’agricoltura nei primi decenni post’unitari avevano<br />
a che fare con l’indifferenza delle classi contadine, la<br />
regione gardesana non rimase estranea, soprattutto dopo<br />
il 1880 al fermento di iniziative che operando <strong>sul</strong> piano assistenziale,<br />
creditizio e cooperativo tesero a migliorare le<br />
condizioni di vita della classe agricola, in sintonia con quanto<br />
accadeva nel resto del bresciano e delle altre regioni<br />
del regno. E se altrove le disagiate condizioni della classe<br />
agricola dettero vita ad una spinta rivendicativa che andò<br />
sempre più accentuandosi sino a trasformarsi in un’aperta<br />
conflittualità <strong>sul</strong> finire del secolo, grazie anche al diffondersi<br />
del socialismo, la regione gardesana non fu particolarmente<br />
coinvolta da aperti conflitti tra possidenti e operai e salariati<br />
agricoli in conseguenza delle caratteristiche strutturali<br />
dell’agricoltura dominata dalla piccola proprietà e dalla
51<br />
mezzadria e dall’insignificante presenza del bracciantato. In<br />
queste condizioni trovarono ampie possibilità di affermazione<br />
le iniziative di mutuo soccorso, lontane da ogni valenza<br />
rivendicativa, anche quando in altre parti della provincia<br />
la spinta al confronto di classe aveva posto le basi per la trasformazione<br />
delle società di mutuo soccorso in organismi<br />
più apertamente sindacali. Liberali e cattolici furono dunque<br />
i promotori delle numerose società di mutuo soccorso<br />
che un po’ ovunque sorsero nella regione gardesana 34 .<br />
Nel giugno del 1885 si era costituito a Salò il Comizio<br />
Agrario Circondariale. 35 Istituiti con legge del 1866 a metà<br />
fra l’obbligatorio ed il volontario, i comizi agrari avevano il<br />
compito di adoperarsi per far conoscere le migliori coltivazioni,<br />
i migliori metodi colturali, i più perfezionati strumenti<br />
ed in genere stimolare ogni intervento atto a promuovere<br />
pratiche dimostrazioni, esposizioni di prodotti, di macchine<br />
e di strumenti rurali” in una parola avevano “l’incarico di<br />
promuovere tutto ciò che può tornare utile all’incremento<br />
dell’agricoltura”. Inizialmente istituiti per i capoluoghi di<br />
provincia, nel 1879 vennero estesi anche ai capoluoghi di<br />
circondario, ma prima che Salò vedesse nascere il suo Comizio<br />
si dovettero attendere ancora sei anni. A presiederlo<br />
fu chiamato il conte Lodovico Bettoni, possidente e studioso<br />
d’agricoltura, membro della Deputazione Provinciale di<br />
Brescia, deputato e senatore del regno. Ma nato fra la diffidenza<br />
e l’indifferenza il comizio agrario non riuscì a superare<br />
le difficoltà che incontrò <strong>sul</strong> suo cammino e nel 1898<br />
al nascere del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera<br />
cessò ogni sua attività e quei proprietari che maggiore attenzione<br />
avevano dedicato ai problemi agricoli divennero<br />
34. Cavalleri Ottavio, Il movimento operaio e contadino nel bresciano (1878<br />
-1903), parti II e III, Roma, ed. Cinque Lune, 1972<br />
35. Comizio Agrario Circondariale di Salò, Relazione della direzione all’Assemblea<br />
dei soci dell’8 gennaio 1887, Brescia, 1887, Tip. Istituto Pavoni
52<br />
i primi soci del nuovo organismo 36 . Tuttavia nei suoi pochi<br />
anni di attività promosse conferenze <strong>sul</strong>la peronospora e la<br />
fillossera, l’allevamento del bestiame e l’albericoltura; iniziò<br />
a creare vivai di alberi da frutto, peri, meli peschi, castagni<br />
e viti americane che distribuì tra i soci, avviò esperienze di<br />
allevamento di nuove razze di bestiame bovino e soprattutto,<br />
in collaborazione con l’osservatorio meteorologico di<br />
Salò, iniziò un servizio giornaliero di previsioni del tempo a<br />
vantaggio degli agricoltori della regione 37 .<br />
Altre iniziative rimasero <strong>sul</strong>la carta e non videro realizzazione.<br />
Scriveva nel numero del 15 novembre 1890 la Gazzetta<br />
settimanale del circondario “il <strong>Garda</strong>” :[...] non intendiamo<br />
di fare appunto alla direzione del comizio; sappiamo<br />
bene anche noi che essa non ha mancato, in parecchie occasioni<br />
di chiamare a raccolta i soci; ma questi non si sono<br />
mai dati per intesi, al punto che si capisce benissimo come<br />
siano cascate le braccia anche ai pochi di buona volontà,<br />
ed ora le sorti delle istituzioni camminano come Dio vuole.<br />
Nell’anno agricolo testé compiuto non sarebbero mancate<br />
le occasioni per radunarsi e gli argomenti da trattare: l’acquisto<br />
del solfato in comunione; lo sviluppo e la cura della<br />
peronospora; il contributo dei coloni nella spesa, i ri<strong>sul</strong>tati<br />
ottenuti ecc, ecc, erano tutte questioni che potevano dar da<br />
discorrere parecchie volte ai nostri agricoltori se avessero<br />
voluto. Nell’ottobre del 1889 il comizio aprì la sottoscrizione<br />
per la provvista del solfato di rame; ma ben pochi risposero<br />
all’appello, tanto che la maggior quantità del solfato<br />
fu ritirata dai membri della direzione. Le due o tre sedute<br />
indette per discorrere di questi ed altri argomenti affini an-<br />
36. Comizio Agrario Circondariale di Salò, Relazioni per gli anni 1887,<br />
1889, 1897, Brescia 1888, 1890, 1898, Tip. Istituto Pavoni<br />
37. Relazione del direttore dell’osservatorio meteorologico di Salò, allegata<br />
alla relazione della direzione del Comizio Agrario Circondariale di Salò per<br />
l’anno 1887
53<br />
darono sempre diserte, ed ora da molti mesi non si sente<br />
più nemmeno parlare del comizio, quasi non esistesse [...] si<br />
è detto e ripetuto che i nostri contadini sono per massima<br />
avversi a introdurre modificazioni o innovazioni agricole e<br />
che i padroni devono sudar sangue prima di farle adottare;<br />
noi possiamo invece affermare il contrario, ad onore e lode<br />
di questa benemerita classe di lavoratori; e cioè abbiamo<br />
sentito i contadini dichiarare che nel venturo anno faranno<br />
la irrorazione di primavera come cura preventiva della<br />
peronospora, mentre i rispettivi padroni non ne sono forse<br />
altrettanto persuasi, e lo dimostrano non occupandosi<br />
dell’acquisto del solfato di rame in questa stagione che è<br />
quella indicata per averlo a buon prezzo” 38 .<br />
Se però il periodo che va dall’unificazione al 1880 vide<br />
predominare l’attività filantropica dei liberali, gli anni successivi<br />
videro farsi massiccio l’intervento cattolico che non<br />
si limitò alla creazione di società di mutuo soccorso dichiaratamente<br />
confessionali ma estese la sua iniziativa ad organizzare<br />
il credito rurale ed a promuovere, mediante la cooperazione<br />
l’approvvigionamento delle merci e la lavorazione,<br />
la trasformazione e la vendita delle derrate agricole.<br />
Il 1859 aveva visto a Salò la nascita della prima Società<br />
di Mutuo Soccorso, nella quale accanto ai lavoratori della<br />
terra, ai mezzadri, si collocavano i possidenti, i proprietari,<br />
paternalisticamente rivolti alle sofferenze della classe economicamente<br />
più debole, secondo una preoccupazione<br />
filantropica tipica del mondo liberale lombardo risorgimentale<br />
39 .<br />
<strong>La</strong> società che si era costituita agli inizi del 1859 quando<br />
ancora la regione gardesana era terra austriaca aveva<br />
subito raccolto l’adesione di 187 soci, divenuti 407 nel di-<br />
38. "Il <strong>Garda</strong>. Gazzetta settimanale del circondario di Salò", 15 novembre<br />
1890<br />
39. Cavalleri O., Il movimento..., cit., pagg. 91 – 93
54<br />
cembre dello stesso anno dopo la liberazione dall’Austria.<br />
Scopo dell’iniziativa: la costituzione di un fondo comune<br />
al quale attingere per la distribuzione di sussidi in caso di<br />
malattia, di infortunio o di infermità, in modo che, nella disgrazia,<br />
non venissero a mancare i mezzi di sostentamento.<br />
All’iniziativa dei liberali si Salò, che era stata la prima in provincia<br />
di Brescia, altre fecero seguito a Desenzano e Lonato<br />
nel 1862, a Toscolano nel 1863, a Rivoltella nel 1864 ed a<br />
Pozzolengo nel 1874 40 .<br />
Di ispirazione dichiaratamente cattolica furono le Società<br />
di Mutuo Soccorso di Gardone Riviera, Gargnano e<br />
San Felice di Scovolo nel 1885 e quella di Roè Volciano del<br />
1892. Ma mentre tutte queste operavano entro un raggio<br />
d’azione che non superava i limiti dei confini parrocchiali,<br />
per quelle di ispirazione cattolica, e dei confini comunali<br />
per quelle aconfessionali, nell’85 e nel ’90 sorsero due società<br />
di mutuo soccorso che esercitavano la loro influenza<br />
<strong>sul</strong> territorio di più paesi. <strong>La</strong> prima venne fondata nel 1885<br />
in Bedizzole per iniziativa di Don Francesco Gorini e Giuseppe<br />
Schena che assunse la denominazione di “Società<br />
operaia agricola cattolica federativa di mutuo soccorso di<br />
Bedizzole e paesi limitrofi”; ad essa fecero capo soci provenienti<br />
da Gavardo, Goglione Sopra, Nuvolento, Virle Treponti<br />
oltre che naturalmente da Bedizzole. <strong>La</strong> società, che<br />
raccolse 251 soci, oltre ad avere una sezione giovani ai quali<br />
era richiesto un contributo mensile di lit.0,15, era suddivisa<br />
in tre categorie che versavano un contributo mensile di<br />
lit. 1,80, lit. 1,20 e lit. 0,60. Il sussidio, che per i giovani era<br />
di lit. 0,20 giornaliere, veniva erogato per intero nei primi<br />
due mesi di malattia e dimezzato per i successivi due mesi.<br />
L’azione della società tuttavia non si esauriva in questa funzione<br />
assistenziale, ma si esplicava in molteplici attività che<br />
andavano dalla concessione di prestiti a favore dei soci,<br />
40. Ibidem, pagg. 106 -107
55<br />
all’organizzazione di pellegrinaggi ed alla diffusione della<br />
stampa cattolica, avvalendosi anche di una struttura organizzativa<br />
che comprendeva due biblioteche ambulanti, una<br />
banda musicale ed un corpo filodrammatico. Caratteristiche<br />
non dissimili da quelle della società di mutuo soccorso<br />
di Bedizzole ebbe la “Società operaia agricola cattolica<br />
federativa di mutuo soccorso di Salò e paesi limitrofi” che<br />
sorse il 1° ottobre 1890 raccogliendo 158 soci ed estendendo<br />
la sua influenza su quasi tutta la zona del basso <strong>Garda</strong> 41 .<br />
Accanto al problema dell’elevazione morale e sociale della<br />
classe agricola non meno grave apparve la necessità di un<br />
credito agricolo che sottraesse il piccolo proprietario ed il<br />
mezzadro dalle mani degli usurai ai quali essi erano costretti<br />
a ricorrere per fare fronte agli impegni ed alle necessità<br />
dell’azienda agricola. 42<br />
Significativa e, oserei dire ancora di attualità, l’acuta analisi<br />
che il sindaco di Salò e vicepresidente del Consorzio<br />
Agrario Cooperativo, avvocato Marco Leonesio, fece della<br />
situazione nel presentare il suo “Programma per la costituzione<br />
di una società anonima cooperativa di credito e sindacato<br />
agricolo a capitale illimitato fra gli agricoltori dei<br />
mandamenti di Salò e Gargnano”.<br />
“... ad un complesso di altre circostanze, per la cui influenza<br />
i capitali si distolsero in questa seconda metà del<br />
secolo dalla agricoltura, venne ad aggiungersi, quale nuova<br />
causa di maggior depressione, la azione governativa,<br />
vuoi colle imposte d’ogni maniera fatte più gravi dalle formalità<br />
imbarazzanti di accertamento e dal modo vessatorio<br />
di percezione, vuoi col favorire sempre il divorzio del capitale,<br />
principalissimo aiutatore di ogni azienda economi-<br />
41. Ibidem, pag. 292. Importante inoltre è la raccolta di statuti disponibile<br />
all’Archivio Storico Micheletti<br />
42. De Maddalena Aldo, Credito e banche a Brescia nei secoli XIX e XX, in<br />
Storia di Brescia, vol IV, parte XV
56<br />
ca, dalla agricoltura. Ond’è che se non soccorre la privata<br />
iniziativa vedremo in breve scomparire nella voragine del<br />
fallimento tutti i piccoli proprietari, che sono tanta parte e<br />
per ogni riguardo la più sana della nazione [....] È risaputo<br />
che, salve rarissime eccezioni, il reddito medio dei fondi<br />
è inferiore assai a quello che chiamasi interesse legale<br />
del capitale (5%) [...] ne consegue che i piccoli possidenti<br />
veggonsi costretti a soggiacere al peso di interessi troppo<br />
sproporzionati alla potenzialità del terreno, se anche hanno<br />
la fortuna di trovare il denaro presso qualche banca ad un<br />
tasso relativamente modico, e il lavoratore (colono o bracciante)<br />
deve lasciarsi spolpare da chi gli somministra credito<br />
quanto è indispensabile al sostentamento della famiglia.<br />
E sì che in genere non puossi immaginare vita più sobria e<br />
parsimoniosa di quella dei nostri piccoli proprietari di fondi<br />
e dei nostri contadini! Il facile impiego del denaro, qui<br />
in modo assai rimuneratore, là in modo comodo [...] fece<br />
sì che la rendita dello stato ed i titoli ad essa parificati, le<br />
azioni industriali, la Cassa di Risparmio di Milano, la Cassa<br />
Depositi e Prestiti e Casse Postali, la Banca Nazionale e le<br />
Banche Popolari hanno in mille e diverse guise attratto a sè<br />
tutti i grossi e piccoli risparmi, compiendo l’ufficio di altrettante<br />
piovre divoratrici del denaro, la cui circolazione nelle<br />
vene della patria agricoltura venne perciò a farsi sempre<br />
più scarsa e lenta, rendendola anemica e inetta a sostenere<br />
il più piccolo urto.<br />
Se anche una parte soltanto del deanro che ad interesse<br />
medio del 3 e 1/4% fosse impiegato, con non minore sicurezza<br />
e con maggiore profitto degli stessi depositanti, presso<br />
i nostri agricoltori diventerebbe coefficiente potentissimo<br />
di produzione e di benessere. Né si dica che il risparmio<br />
accumulato nelle casse di detti istituti di previdenza,<br />
rifluisce ancora a beneficio dell’agricoltura. Se si eccettua<br />
quanto la Cassa di Risparmio di Milano dedica agli scopi
57<br />
del credito fondiario – e ognuno sa come per i piccoli possidenti<br />
il credito fondiario sia null’altro che un miraggio –la<br />
massima parte di quei risparmi è destinata ad alimentare<br />
le speculazioni industriali ed edilizie nei grandi centri, e ad<br />
incoraggiare l’eseguimento di opere pubbliche delle Provincie<br />
e dei Comuni, mentre gli agricoltori possono attingervi<br />
in assai scarsa misura, ricorrendo alle Banche Popolari,<br />
i cui prestiti cambiari a un interesse relativamente alto,<br />
anziché l’aiuto della redenzione rappresentano non di rado<br />
per i piccoli possidenti l’anticamera dell’estrema rovina” 43 .<br />
Purtroppo il progetto di credito agrario che andasse oltre i<br />
confini comunali era destinato a rimanere tale.<br />
Fu l’istituzione delle Casse Rurali che riuscì a rendere<br />
meno drammatiche le conseguenze della crisi dell’agricoltura<br />
che anche nella regione gardesana si andavano sempre<br />
più acuendo. “ogni giorno infatti si andava scoprendo<br />
la miseria estrema in cui versava una schiera sempre più<br />
fitta di coltivatori diretti che, non volendosi arrendere al capitalismo<br />
agrario dilagante nelle regioni della Lombardia<br />
e del Veneto, rimanevano vittime delle incertezze del mercato<br />
e delle pesantissime tassazioni imposte per pagare<br />
gli impegni contratti per la realizzazione amministrativa e<br />
politica dello stato italiano[...] l’idea di diffondere quindi le<br />
casse rurali nel mondo agricolo ebbe in breve tempo pieno<br />
successo. Le casse rurali diventarono per molte famiglie<br />
l’ancora di salvezza, il mezzo per dare impulso ad iniziative<br />
in campo agricolo, lo strumento di elevazione morale<br />
e sociale dei contadini. Oltre che salvare le classi agricole<br />
dall’usura, le casse rurali avevano lo scopo di offrire ad esse<br />
i mezzi per provvedere ad una coltura razionale della terra,<br />
43. Programma per la costituzione di una società anonima cooperativa di<br />
credito e sindacato agricolo a capitale illimitato fra gli agricoltori dei mandamenti<br />
di Salò e Gargnano, Salò, Tip. Giò Devoti succ. F. Conter e C., 1892,<br />
pagg. 4-5
58<br />
mettendo a loro disposizione il capitale necessario a condizioni<br />
convenienti anche per non costringerle a precipitare<br />
la vendita dei raccolti” 44 .<br />
<strong>La</strong> prima cassa rurale ad essere istituita nella regione<br />
gardesana fu, nel 1894, la “Cassa Rurale di San Felice di<br />
Scovolo” seguita nel 1895 dalle Casse Rurali di Depositi<br />
e Prestiti di Bedizzole e di Manerba e nel 1896 da quella<br />
di Sirmione, dalla Cassa Rurale Cattolica di Lonato e dalle<br />
Casse Rurali di Rivoltella e Vesio di Tremosine. Nel 1898<br />
nasceva la Società Casa Rurale di Limone San Giovanni ed<br />
infine nel 1902, veniva fondata la Cassa Rurale diprestiti di<br />
Volciano.<br />
Attorno alle casse rurali, sotto la spinta e lo stimolo alla<br />
cooperazione ed alla solidarietà nata da queste esperienze<br />
sostenute e propagandate dai cattolici e dal clero locale<br />
cui ripetutamente si era fatto appello da parte di chi si<br />
preoccupava di cose agricole, perché servendosi della sua<br />
autorità morale si facesse propagatore del rinnovamento e<br />
del miglioramento agricolo sorsero e si svilupparono cooperative<br />
di consumo, società di assicurazione contro i danni<br />
della mortalità del bestiame, cooperative agricole o unioni<br />
rurali, cantine sociali e latterie cooperative che trasformarono<br />
il volto dell'economia di alcuni paesi 45 .<br />
Particolarmente caratteristica e unica nel suo genere in<br />
tutta la provincia bresciana fu l’ “Unione agraria della cassa<br />
rurale cattolica per acquisti e vendita collettiva di bozzoli”<br />
di Manerba ed è interessante notare come questa istituzione<br />
sia poi servita da esempio <strong>sul</strong>la cui esperienza nel 1899 il<br />
Consorzio Agrario Cooperativo della Rivera del <strong>Garda</strong>, con<br />
sede in Manerba organizzò su più vasta scala l’ammasso<br />
44. Cavalleri O., Il movimento operario e..., cit., pag. 323<br />
45. Fappani Antonio, Il movimento Cattolico a Brescia, Brescia, Edizioni<br />
del Moretto, s.d.
59<br />
sociale dei bozzoli 46 . Ma la cooperazione si estese anche<br />
alla trasformazione dei prodotti della terra o dell’allevamento<br />
per cui oltre alle latterie sociali di Vesio e Pieve di<br />
Tremosine del 1893, nel 1900 sorse a Liano di Gargnano la<br />
<strong>La</strong>tteria Sociale di Sasso e Navazzo e nel 1902 la <strong>La</strong>tteria<br />
Sociale di Tignale, e <strong>Cantine</strong> Sociali vennero create a Limone<br />
San Giovanni, Tremosine, Manerba e Prandaglio 47 . Nel<br />
neonato Regno d’Italia già alla fine del 1862 si contavano<br />
443 società di mutuo soccorso e nel 1886 veniva costituita<br />
a Milano la Federazione delle società cooperative italiane,<br />
denominata dal 1893 Lega Nazionale delle Cooperative. Le<br />
azioni di governo di Crispi e dei suoi immediati successori<br />
condussero l’Italia in una profondissima crisi economica<br />
che, dopo essere sfociata in scontri di piazza repressi sanguinosamente<br />
preparò l’entrata in scena di Giovanni Giolitti<br />
(1892). L’economia italiana, sorretta da una congiuntura<br />
internazionale favorevole, dalla ristrutturazione del sistema<br />
bancario, dall’incentivo alle grandi opere pubbliche, dalla<br />
nuova politica industriale impostata dal ceto dirigente liberale,<br />
mostrò segni di confortante dinamismo, proprio in<br />
questo periodo è fissata nell'anno 1896 la nascita del Chiaretto.<br />
Lo stato, tra il 1904 ed il 1910 intervenne con ben dodici<br />
provvedimenti legislativi volti a favorire più o meno direttamente<br />
la cooperazione e si passò dalle 3800 società esistenti<br />
nel 1902 alle 5065 del 1910. Poi fu il primo conflitto<br />
mondiale e riflessi negativi si registrarono anche nel settore<br />
cooperativo salvo riprendere in maniera consistente tra il<br />
1919 e il 1920 stimolato in parte dalla forte disoccupazione,<br />
dall’altro dall’aumento sfrenato dei prezzi.<br />
Fra il 1919 ed il 1924, in un periodo di grande confusione<br />
e tensione sociale, il fascismo, nell’intento di ostacolare l’a-<br />
46. Cavalleri O., Il movimento operaio e..., cit., pagg. 344-345<br />
47. Ibidem, pagg. 349-350
60<br />
vanzata delle forze socialiste e cattoliche, colpì duramente<br />
la cooperazione, bruciando e distruggendo sedi e minacciando<br />
i cooperatori. Solo nel 1923 il primo governo Mussolini<br />
diede il via ad un processo di normalizzazione che<br />
avviò l’opera di revisione dei problemi cooperativi da parte<br />
del partito nazionale fascista.<br />
Dal 1925 al 1927 il regime sciolse la confederazione ed<br />
intraprese una radicale riorganizzazione dei settori cooperativi;<br />
fu creato l’Ente Nazionale Fascista per la cooperazione<br />
con sede a Roma e le cooperative furono inquadrate<br />
nell’ordinamento corporativo.<br />
Nei giorni che seguirono l’8 settembre 1943 il fascismo<br />
provò a fare leva anche <strong>sul</strong>la cooperazione ma le sorti dell’Italia<br />
stavano per cambiare e le forze antifasciste posero le<br />
basi per la ricostruzione di cooperative libere e democratiche.<br />
Ricostituite la Confederazione Cooperativa Italiana e<br />
la Lega Nazionale delle Coopertive e Mutue, nonostante<br />
il mondo della cooperazione fosse spesso al centro di<br />
discriminazioni da parte dello stesso governo e vittima di<br />
un vero e proprio ostracismo, si giunse alla legge Basevi<br />
approvata nel settembre 1947 contenente “provvedimenti<br />
per la cooperazione” che sanciva sia i principi solidaristici<br />
e democratici cui dovevano ispirarsi le società cooperative,<br />
sia le clausole che avrebbero dovuto certificare il rispetto<br />
del requisito della mutualità stabilito dalla Costituzione.<br />
Quanto alle casse rurali, come tutto il mondo cooperativo,<br />
negli anni trenta, furono anch’esse destinate a seguire<br />
i piani organizzativi voluti dal regime fascista, impegnato<br />
nella ricerca di un sempre più ampio e vasto consenso popolare.<br />
Le casse rurali, costrette dapprima ad associarsi alla Federazione<br />
fascista Casse Rurali, poi all’Ente assistenza casse<br />
rurali dovettero poi approdare all’Ente fascista di zona,<br />
in un clima di malcelata ostilità da parte del regime che
61<br />
detestava il fatto che fossero nate, per gran parte, dall’iniziativa<br />
cattolica. Del resto, la ricerca del consenso da parte<br />
del fascismo, passava anche attraverso un rigido controllo<br />
delle autonomie locali, di cui le casse rurali erano un’espressione.<br />
Così, nell’ambito di un generale riassetto del<br />
sistema creditizio italiano e con l’intento di modernizzarle<br />
accrescendone l’operatività, il regime, con leggi del 1932<br />
e 1934 imponeva loro la cessazione delle dirette attività di<br />
commercio dei prodotti ed attrezzi agricoli da lasciare ai<br />
Consorzi Agrari 48 .<br />
Sottoforma di cooperativa nel 1898 era nato il Consorzio<br />
Agrario della Riviera Bresciana del <strong>Garda</strong> allo scopo di<br />
“acquistare per conto proprio o di terzi e distribuire ai propri<br />
soci e agli agricoltori in genere, merci, prodotti, attrezzi,<br />
macchine, scorte vive e morte, occorrenti all’ esercizio<br />
dell’agricoltura e al consumo delle famiglie coloniche; vendere,<br />
sia per conto proprio, sia per conto di terzi, i prodotti<br />
agrari dei soci o degli agricoltori in genere, aprire nei luoghi<br />
dove saranno richiesti dal bisogno, appositi spacci per<br />
la vendita di prodotti agrari; acquistare macchine, attrezzi<br />
ecc. Per darli in prestito od in affitto; stabilire laboratori od<br />
opifici per la lavorazione di prodotti agrari; facilitare le operazioni<br />
di credito agrario dei propri soci, esercitare assicurazioni<br />
agrarie, nei limiti della Riviera bresciana del <strong>Garda</strong>,<br />
raccoliere le offerte e le domande di lavoro agrario e agire<br />
come ufficio di collocamento” 49 .<br />
Il consorzio, presieduto dal Principe Scipione Borghese,<br />
proprietario terriero con vaste possessioni nei comuni di<br />
Manerba, San Felice, Portese e Moniga, passò dagli 82 soci<br />
del primo anno di attività agli 821 del 1912 e procurò di creare<br />
immediatamente una capillare rete di vendita, aprendo<br />
48. Zane Marcello, Banca di Bedizzole Turano Valvestino 1895 – 2005<br />
49. Statuto del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera Bresciana del<br />
<strong>Garda</strong>, Salò, Tip. Pirlo e Veludari, 1898
62<br />
prima un magazzino a Manerba, sede del consorzio, poi<br />
a Lonato ed ai Tormini, lungo la linea ferroviaria, quindi,<br />
appoggiandosi prima alla Società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> e poi alla<br />
Cooperativa agricola di Sasso e Navazzo ne aprì uno a<br />
Gargnano. Le merci che venivano offerte ai soci venivano<br />
sottoposte ad un rigoroso controllo della qualità, così da<br />
garantire i soci acquirenti che, in caso di non rispondenza,<br />
venivano regolarmente rimborsati, anche se ciò talora non<br />
bastava a convincere i contadini ed i piccoli proprietari che<br />
finivano per cedere alle lusinghe dei commercianti i quali<br />
non esitavano ad approfittare della loro ignoranza 50 .<br />
Tuttavia il volume d’affari fu subito considerevole e dalle<br />
100.000 lire del 1899 si passò alle 333.000 del 1912. Ad accrescere<br />
il volume d’affari del consorzio concorse anche la<br />
vendita collettiva dei bozzoli, per i quali era stato istituito<br />
sin dal 1900 un ammasso sociale che sottrasse gli agricoltori<br />
alle pretese degli speculatori e degli ammassatori privati,<br />
promuovendo nel medesimo tempo un’azione di pressione<br />
per la revisione del medio dei bozzoli di Brescia, apparso<br />
inquinato da contrattazioni fittizie e da manovre tendenti a<br />
mantenere basso il prezzo dei bozzoli con grave danno dei<br />
produttori 51 .<br />
L’ammasso dei bozzoli incontrò subito il favore dei coltivatori,<br />
ma non poté sottrarsi alle difficoltà a cui era esposto<br />
il mercato nazionale, anche se, consolidatosi nel corso degli<br />
anni contribuì in maniera determinante a garantire tranquillità<br />
al mercato locale della produzione bacologica.<br />
Tuttavia “la tutela degli interessi materiali degli agricoltori<br />
è certo utilissima cosa, ma è ancora più utile mettere<br />
in grado gli agricoltori di comprendere i benefici che loro<br />
50. "Il Risorgimento Agricolo", anno I, n.8 del 15 settembre 1900, Anno II<br />
n. 7 dal 15 aprile 1901, anno VI n. 12 del 30 giugno 1905<br />
51. Razzetti Carlo, Un poco di storia, in "Il risorgimento Agricolo", anno II<br />
n. 11-12 del 1 luglio 1901
63<br />
arrecano le istituzioni cooperative, e di avvalersi con cognizione<br />
di causa di tutto quel materiale che la scienza agraria<br />
moderna pone oggi a loro disposizione.<br />
Ciò che manca altrove e qui è l’istruzione agraria che<br />
centuplica i vantaggi delle moderne scoperte relative all’agricoltura.<br />
In altre parti d’Italia fanno ottima prova e danno<br />
splendidi ri<strong>sul</strong>tati le Cattedre Ambulanti d’<strong>Agricoltura</strong> che<br />
hanno lo scopo di portare l’istruzione agricola in mezzo ai<br />
proprietari ed ai contadini (la prima esperienza in Lombardia<br />
nell'anno 1900). Compreso dell’immensa utilità di tale<br />
istituzione, il consiglio del Consorzio si è posto all’opera e<br />
colla autorevole ed efficacissima cooperazione del comm.<br />
avv. Marco Leonesio è riuscito a raccogliere per sottoscrizioni<br />
private più di £ 4.000 annue e per cinque anni consecutivi”.<br />
“Tutti dicono: i nostri contadini sono ignoranti,<br />
sono immersi nei pregiudizi, sono schiavi di pratiche false<br />
e dannose; e sta bene, ma chi pensa a redimerli da questa<br />
ignoranza, a trarli dai pregiudizi, a convincerli che le loro<br />
pratiche sono false e dannose? [...] Avessimo almeno i maestri<br />
ambulanti come in Germania, che girano per le campagne<br />
a tener informati gli agricoltori dei nuovi trovati, dei<br />
nuovi metodi di coltivazione, ma nulla di questo” 52 .<br />
Anche la Cattedra, come già il Consorzio da cui essa<br />
emanava, nacque per l’impegno e l’iniziativa dei privati<br />
che preoccupati delle condizioni in cui versava l’agricoltura<br />
gardesana decisero di promuoverne la creazione, così che<br />
le nuove tecniche, le nuove macchine agricole, i concimi,<br />
gli zolfi e i fosfati che l’agricoltore e il colono acquistavano<br />
presso i magazzini del Consorzio o delle unioni rurali e delle<br />
casse rurali, potessero essere utilizzati correttamente e<br />
largamente e la produzione agricola della zona ne fosse au-<br />
52. Zucchini Mario, Le cattedre ambulanti di agricoltura (1886 - 1935) in<br />
"Rivista di storia dell’agricoltura", 1970, pag. 221 e seguenti
64<br />
mentata e migliorata 53 . “Il Consorzio agrario è un elemento<br />
di lotta degli agricoltori, perciò è vitale e la vita sua sarà lunga<br />
e feconda. Non basta che il Consorzio venda zolfo, zolfati,<br />
concimi, attrezzi, ma deve pensare alla conservazione e<br />
allo smercio dei prodotti agrari degli agricoltori, deve porre<br />
allo studio tutti i problemi di economia agraria nei rapporti<br />
tra proprietari e contadini in materia di tributi. Deve preparare<br />
il terreno adatto ad altre associazioni che si occupino<br />
esclusivamente della lavorazione e dello smercio dei singoli<br />
prodotti agrari come latterie, oleifici, cantine sociali ecc.<br />
Le cattedre non possono e non debbono vivere all’infuori<br />
di questo intenso movimento economico, anzi se vorranno<br />
essere durature, efficaci, se vorranno partecipare dell’entusiasmo<br />
professato nei Consorzi, debbono unire, amalgamare<br />
l’operato puramente agrario con quello ben più difficile<br />
e interessante dei consorzi. E chi meglio del direttore della<br />
Cattedra, che consacra la sua vita all’insegnamento agrario<br />
può con maggiore competenza e costanza dedicarsi allo<br />
studio e allo sviluppo dell’opera dei Consorzi”.<br />
In ossequio ai suoi compiti istituzionali le Cattedra iniziò<br />
la sua attività concentrando la sua attenzione su quello che<br />
era il maggior problema del momento e <strong>sul</strong> quale era più<br />
che mai necessario richiamare l’attenzione di proprietari e<br />
contadini.<br />
<strong>La</strong> viticoltura era infatti colpita dalla filossera e la Cattedra<br />
istituì dei corsi settimanali d’innesto in quasi tutti i comuni<br />
viticoli della zona, accompagnandoli con conferenze<br />
<strong>sul</strong>la fillossera ed ispezioni ai vigneti, sia compiute spontaneamente<br />
dal direttore della cattedra, sia su richiesta degli<br />
agricoltori o delle pubbliche amministrazioni preoccupate<br />
che la nuova malattia si propagasse devastando le coltivazioni.<br />
In tali interventi la Cattedra dapprima sostituì e poi<br />
53. Razzetti Carlo, Cattedra Ambulante e Consorzio Agrario, in "Il Risorgimento<br />
Agricolo", Anno I, n. 6, 1 agosto 1900
65<br />
coadiuvò l’azione del Consorzio antifilosserico bresciano<br />
a cui venne demandato il compito di tutelare la viticoltura<br />
provinciale, intervenendo sia per prevenire, sia per isolare i<br />
casi di infezione che si manifestavano, così da arginare l’avanzata<br />
della malattia, sia per selezionare nuovi ceppi di viti<br />
e predisporre vivai con cui ricostituire i vigneti fillosserati 54 .<br />
“I sottoscrittori sono tutti proprietari di terreni viticoli e<br />
devono di conseguenza rivolgere speciali cure alla viticoltura<br />
della regione collinare. Per rispondere a questo importantissimo<br />
compito, la Cattedra si occupò delle istruzioni<br />
pratiche <strong>sul</strong>la fillossera <strong>sul</strong>l’innesto delle viti americane [...]<br />
in un mese e mezzo la Cattedra ha impartito l’istruzione<br />
<strong>sul</strong>l’innesto in 19 comuni, in una settimana a 463 alunni dei<br />
quali 55 si meritarono il premio e 122 si distinsero”.<br />
Supporto e strumento di diffusione dei principi di agricoltura<br />
moderna propugnati dalla Cattedra e informatore <strong>sul</strong>le<br />
iniziative sociali ed attività promosse dal Consorzio Agrario<br />
fu “Il Risorgimento agricolo” che uscì regolarmente a partire<br />
dal 14 aprile 1900 55 . Organo ufficiale della Cattedra Ambulante<br />
e del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera<br />
Bresciana del lago di <strong>Garda</strong>, esso divenne anche la voce<br />
ufficiale dell’associazione “Pro Montibus” del circondario<br />
di Salò e della Società dei viticoltori della Riviera bresciana<br />
del <strong>Garda</strong>. Notizie pratiche di agricoltura, consigli per l’oleificazione<br />
e la vinificazione, suggerimenti per la conservazione<br />
delle derrate agricole, consigli su come combattere<br />
la fillossera o la diaspis pentagona o l’afta epizootica si accompagnavano<br />
alle notizie sui mercati e sui prezzi, alle relazioni<br />
<strong>sul</strong>l’attività della Cattedra e del Consorzio, ai bilanci<br />
54. "Il Risorgimento Agricolo", Relazione <strong>sul</strong>l’operato della Cattedra Ambulante<br />
d’agricoltura in Salò per l’anno 1902, anno III, n. 1-2 del 31 gennaio<br />
55. "Il Risorgimento Agricolo", A chi riceve il Giornale, anno I n. 1 del 14<br />
aprile 1900
66<br />
delle associazioni cooperative a loro collegate, agli studi<br />
<strong>sul</strong>le varie zone agricole, ai ri<strong>sul</strong>tati dei campi sperimentali,<br />
alle informazioni <strong>sul</strong>le operazioni, sugli acquisti e le vendite<br />
di merci presso i magazzini del consorzio, o ancora <strong>sul</strong>la<br />
necessità di modificare il patto colonico, o l’abolizione del<br />
dazio <strong>sul</strong> grano.<br />
Dove non arrivava la presenza diretta della Cattedra<br />
giungeva la voce dei suoi insegnamenti attraverso le pagine<br />
del bollettino che significativamente era stato chiamato “Il<br />
Risorgimento agricolo”. Intanto, grazie all’azione concorde<br />
di cattedra e consorzio, la riviera gardesana aveva visto sorgere<br />
nuove cooperative e nuove iniziative <strong>sul</strong>l’esempio delle<br />
istituzioni sociali nate nell’ultimo decennio del 1800 ma<br />
che rispetto a quelle si proponevano di esercitare la propria<br />
attività in ambiti territoriali notevolmente più vasti di quelli<br />
ristretti in cui quelle erano sorte e si erano sviluppate.<br />
“A Vesio per cura e virtù di Don Giacomo Zanini socio<br />
del nostro Consorzio fioriva e fiorisce tuttora una latteria<br />
sociale. Perché non trasportare i benefici di tale ottima istituzione<br />
cooperativa anche in Riviera? Dopo diverse difficoltà<br />
si riuscì a far funzionare la latteria sociale dei comuni<br />
di Gardone Riviera, Maderno e Toscolano, la quale oggi è<br />
floridissima e smercia panna, latte e burro agli Hotels che<br />
per la Riviera sorgono numerosi”. <strong>La</strong> nuova latteria sociale<br />
incominciò a funzionare nell’ottobre del 1899 e riunì un<br />
gran numero di piccoli proprietari in difficoltà nel commercializzare<br />
il loro latte e derivati nei periodi in cui <strong>sul</strong> mercato<br />
la domanda diminuiva 56 .<br />
Interessante fu anche il cammino dell’Oleificio Sociale<br />
Benacense di Toscolano anch’esso nato per iniziativa del<br />
Consorzio agrario che si proponeva in questo modo di migliorare<br />
la qualità dell’olio, aumentare il rendimento delle<br />
56. <strong>La</strong>tteria Sociale dei Comuni di Gardone Riv. Maderno, Toscolano, in "Il<br />
Risorgimento Agricolo", anno I, n. 10, 15 novembre 1900
67<br />
olive e migliorare l’utilizzazione delle sanse, in una parola di<br />
immettere <strong>sul</strong> mercato un prodotto di qualità superiore e<br />
garantire ai produttori un maggiore utile dalla lavorazione<br />
delle olive. “Già nel 1899 venne diramata ai soci una circolare<br />
nella quale si proponeva la creazione d’un oleificio in<br />
Valtènesi a Manerba e uno in Riviera che avessero per il momento<br />
intenti modesti. Più che altro si tendeva a fare delle<br />
esperienze <strong>sul</strong>la resa e <strong>sul</strong>la qualità dell’olio.<br />
I ri<strong>sul</strong>tati che si sarebbero ottenuti in alcuni anni d’esercizio<br />
dovevano dare gli elementi per poter proporre la creazione<br />
di un grande oleificio. Le adesioni furono numerose e<br />
gli studi compiuti si risolsero nel concetto che per la Riviera<br />
propriamente detta la località adatta per l’impianto dello<br />
stabilimento era in Toscolano, centro della produzione delle<br />
olive.<br />
A Toscolano potevano facilmente affluire tutte le olive<br />
del lago come già vi affluivano tutte le sanse prodotte dagli<br />
oleifici delle due sponde” 57 . I moderni impianti dell’oleificio<br />
permisero di conseguire, rispetto alla lavorazione tradizionale<br />
un maggior rendimento d’olio per ogni quintale di oliva<br />
che andava da un minimo di 800 grammi ad un massimo<br />
di tre kg e mezzo, a seconda delle partite. L’oliva di ciascun<br />
socio veniva lavorata a parte per stabilire la resa in olio e le<br />
olive venivano pagate in base all’olio ottenuto, mediante<br />
acconti immediati e successivamente si procedeva al saldo.<br />
L’oleificio pagava pure i trasporti per le olive provenienti da<br />
località distanti secondo le norme stabilite dal regolamento<br />
interno che dava disposizioni anche in merito alla consegna<br />
delle olive. Ai soci veniva garantito un interesse del 5% su<br />
ogni azione sottoscritta. L’oleificio provvedeva direttamente<br />
alla vendita dell’olio che veniva retribuito ai soci tenendo<br />
conto della qualità dell’olio ricavato dalle loro olive, così da<br />
57. Razzetti Carlo, L’oleificio sociale benacense, in "Il Risorgimento Agricolo",<br />
n. 17, 5 settembre 1902
68<br />
corrispondere loro il valore reale della loro produzione 58 .<br />
<strong>La</strong> rete di vendita che puntava a privilegiare la vendita al<br />
minuto, e solo in un secondo momento si orientò anche sui<br />
negozianti, si concentrò essenzialmente <strong>sul</strong> mercato interno,<br />
non tralasciando però di cercare sbocchi <strong>sul</strong> mercato internazionale,<br />
particolarmente nel nord Europa. Sul mercato<br />
interno, oltre che servirsi, come era naturale, della rete distributiva<br />
del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera,<br />
organizzò la vendita del proprio prodotto confezionato in<br />
fiaschi, dapprima a Brescia, affidando la propria rappresentanza<br />
alla Premiata <strong>La</strong>tteria di Borgosatollo che vendeva il<br />
latte a domicilio a oltre 1.600 famiglie, e poi a Milano, dove<br />
la rappresentanza fu affidata ad una impresa di fornitura di<br />
ghiaccio a domicilio, approfittando così, come a Brescia, di<br />
una clientela già formata.<br />
Minore fortuna ebbero, stranamente, due iniziative legate<br />
alla produzione vinicola. <strong>Cantine</strong> sociali erano sorte a<br />
Limone San Giovanni, a Tremosine, a Prandaglio ed a Manerba.<br />
“Parrà inverosimile che a Manerba siasi costituita una<br />
cantina sociale, senza nessun lavoro preparatorio, senza<br />
statuti, senza discussioni. Eppure una cantina sociale c’è<br />
e ne parliamo di proposito, perché la sua istituzione torna<br />
a grande onore dei promotori. Ma poiché tutte le cose<br />
hanno il loro principio tornerà utile spiegare la genesi della<br />
improvvisata cantina sociale. Prima che incominciasse la<br />
vendemmia, gli agricoltori della Valtènesi, esaltati un po’<br />
dalle notizie tristi <strong>sul</strong> raccolto delle uve dell’Italia meridionale,<br />
pretesero dalle loro uve prezzi elevatissimi, eccessivi.<br />
E come succede sempre che agli eccessi succedono gli eccessi<br />
opposti, avvenne che i compratori di uve, spaventati<br />
dalle domande esagerate, decisero di non comprare uva.<br />
58. Razzetti C., <strong>La</strong> rendita delle olive, in "Il Risorgimento Agricolo", n. 12,<br />
31 gennaio 1903
69<br />
Il raccolto abbondantissimo del Piemonte dava ragione ai<br />
compratori e per vari giorni, durante la vendemmia, i nostri<br />
paesi non videro, come si suol dire, un cane che cercasse di<br />
acquistare un po’ d’uva. Alle grandi speranze subentrarono<br />
la riflessione prima, il panico poi e i prezzi precipitarono di<br />
sette o otto lire al quintale. Ma non bastava questo ribasso;<br />
molta uva rimaneva ancora invenduta, massime a Manerba.<br />
Come potevano fare quei poveri proprietari che sono senza<br />
botti. O vendere quasi per nulla l’uva, o trovare una via d’uscita<br />
più conveniente. Quale? A Manerba esiste una cassa<br />
rurale che esercita il credito tra i piccoli proprietari e che<br />
ha loro portato molti benefici al paese facendo diminuire<br />
la piccola usura. E poiché l’uva è il principale prodotto del<br />
paese bisognava salvare da una mezza rovina una parte di<br />
questi piccoli proprietari. <strong>La</strong> Cassa poi era direttamente interessata<br />
ad impedire la crisi. Gli amministratori della cassa<br />
rurale ebbero la felice idea di pensare alla costituzione di<br />
una cantina sociale. Per fortuna in Manerba esiste una cantina<br />
ricca di botti ma che non viene usata dalla proprietaria<br />
Signora Lucia Vitalini. In questa cantina i soci della Cassa<br />
portarono la loro uva, che venne intanto pagata Lit. 15 al<br />
quintale” 59 .I tempi per la costituzione di una grande cantina<br />
sociale che potesse coinvolgere gran parte del territorio<br />
della riviera vennero però considerati prematuri dal<br />
Consorzio Agrario Cooperativo che ritenne invece maturi i<br />
tempi per la creazione di una distilleria cooperativa da collocarsi<br />
a Manerba.<br />
“Per le distillerie si può fare questo ragionamento semplicissimo<br />
– dichiarava il prof. Carlo Razzetti in una conferenza<br />
tenuta a Manerba il 19 aprile 1903 – ove le vinacce<br />
provengano da vini molto alcoolici l’industria della distillazione<br />
è indubbiamente remunerativa [...] <strong>La</strong> nostra regione<br />
produce vini da 10 a 13 gradi d’alcool e perciò ci troviamo<br />
59. Cavalleri O., Il movimento operaio..., cit., pagg. 349-350
70<br />
L'ammasso del grano ai magazzini del Consorzio
71
72<br />
nelle condizioni favorevoli alla distillazione[...] Una distilleria<br />
capace di lavorare 5.000 q.li di vinacce non è certamente<br />
troppo grande per noi che nei soli comuni di Padenghe,<br />
Moniga, Manerba, Soiano, Polpenazze, Puegnago, Portese,<br />
San Felice e Raffa abbiamo 2.800 ettari di vigneto. Ora<br />
calcolando appena una produzione di q.li 10 di uva per ettaro<br />
abbiamo una produzione di 28 mila q.li di uva, cioè<br />
di q.li 7.000 di vinaccia. E non tengo conto di Lonato e di<br />
Desenzano che fanno complessivamente oltre 1.500 ettari<br />
di vigneto e di Salò, Volciano e Caccavero che ne fanno<br />
oltre 800 ettari. Ma badate che sono stato assai basso nella<br />
produzione dell’uva poiché si potrebbe portarla intorno a<br />
q.li 15 per ettaro. L’impianto della distilleria porterebbe una<br />
spesa di £ 11.000” 60 .<br />
Il momento sembrava propizio, anche perché “la nuova<br />
legge sugli spiriti ha voluto lievemente favorire la costituzione<br />
delle distillerie cooperative [...]”. Inoltre il governo per<br />
favorire la costituzione delle distillerie cooperative mise a<br />
disposizione, a titolo di prestito gli apparecchi perfezionati<br />
di distilleria che deteneva nei suoi magazzini di macchine<br />
agricole. Ma l’entusiasmo non bastò e di fronte ad una più<br />
attenta disamina dei costi, dell’effettivo beneficio ch’essa<br />
avrebbe dovuto portare e il modo con cui da parte di alcuno<br />
dei promotori si intese condurre in porto l’operazione, il<br />
Consorzio abbandonò l’iniziativa e pur non osteggiandola<br />
apertamente accentuò il suo disimpegno. Non così il Consorzio<br />
Antifilloserico <strong>Bresciano</strong> che proprio in quel periodo<br />
era impegnato a promuovere in altre zone viticole bresciane<br />
ben quattro distillerie cooperative 61 .<br />
60. Per una distilleria cooperativa in Valtenesi, (conferenza tenuta a Manerba<br />
dal direttore del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera Bresciana del<br />
<strong>Garda</strong>), in "Il Risorgimento agricolo", n. 18, 30 aprile 1903<br />
61. Distillerie infatti furono create in quel tempo a Muscoline, in Franciacorta<br />
e <strong>sul</strong> lago d’Iseo
73<br />
<strong>La</strong> distilleria cooperativa della Valtènesi e Riviera del<br />
<strong>Garda</strong> vide la luce nei primi mesi del 1906 e fu legalmente<br />
costituita con l’emissione di azioni da lire 10 ciascuna da<br />
sottoscriversi da parte dei soci ed iniziò a predisporre le<br />
sue attrezzature in Cunettone. Ma poiché la preparazione<br />
dell’iniziativa era stata “più semplicistica di quella che preludiò<br />
la primitiva proposta del 1903 del Consorzio Agrario<br />
di Manerba, e per cause che certo non erano state attentamente<br />
studiate e previste nella fase costitutiva come pure<br />
per il sovradimensionamento del progetto con conseguente<br />
maggiore onere per i soci, onere tanto esagerato da non<br />
rendere più remunerativa per i soci la partecipazione all’impresa,<br />
essa non sopravvisse per più di due anni e nel 1908<br />
l’esperienza poteva considerarsi conclusa” 62 con la conseguenza<br />
di aver ingenerato ulteriore diffidenza verso la cooperazione<br />
in chi vi si accostava con non poche incertezze e<br />
titubanze, e sconforto in chi della cooperazione agricola si<br />
era fatto promotore e propagatore.<br />
Sollecitato dalle difficoltà del mercato che o non assorbiva<br />
l’eccedenza di produzione vinicola della Riviera gardesana,<br />
oppure smerciava vini dalle provenienze più disparate<br />
spacciandoli come vini della riviera, si levava, nell’agosto<br />
del 1907, l’invito ai produttori vinicoli a costituirsi in sindacato<br />
vinicolo per tutelare i loro interessi e garantire maggiore<br />
serietà al mercato.<br />
“Anche oggi s’accentua un rinvilìo impressionante dei<br />
prezzi del vino; (eppure l’anno scorso non se n’è prodotto<br />
granché!) e quel che è di peggio in vista della sperabile<br />
abbondanza del prossimo raccolto, pare vada delineandosi<br />
una corrente ribassista anche per l’anno venturo! Quali<br />
le cause? Quali i rimedi? Dirò subito che il prezzo attuale<br />
del vino non è tale da sgomentare il coltivatore della vite;<br />
62. <strong>La</strong> Distilleria Cooperativa di Manerba, in "Il Risorgimento Agricolo", n.<br />
10, ottobre 1906
74<br />
Cantina in Valtènesi negli anni Trenta
75
76<br />
<strong>La</strong>voratrici agricole in cascina negli anni Quaranta
77
78<br />
tutt’altro, non dirò neppure, restringendo le mie osservazioni<br />
alla Riviera del <strong>Garda</strong> che qui la superproduzione dell’uva<br />
possa essere causa di rinvilìo dei prezzi del vino, poiché,<br />
dato il sistema estensivo di coltivazione della vite adottato<br />
in quasi tutta la Riviera e la finezza del nostro prodotto, qui<br />
da noi certamente non si può parlare di superproduzione<br />
[...] la disponibilità del commercio del vino è dunque per<br />
noi della Valtènesi quello che determina l’attuale crisi ed<br />
è di tale natura da rendere vano ogni nostro sforzo individuale<br />
per eliminarla, per essa si rende necessario il sindacato<br />
vinicolo della Riviera del <strong>Garda</strong>. Si dice che alcuni<br />
negozianti sparsi per la Riviera ed altrove vendano del vino<br />
che della Riviera non ha che il nome, perché proviene e da<br />
Brescia e da Mantova e da Trani; difatti ognuno che sia stato<br />
anche solo a Brescia, o a Milano, o anche in centri minori<br />
della nostra stessa provincia e sia entrato in uno di quegli<br />
spacci che portano la scritta ‘Vino di Riviera’ avrà sentito<br />
che razza di broda che rivolta lo stomaco viene presentato<br />
molte volte sotto la speciosa etichetta di vino di Riviera, e<br />
intanto il negoziante che paga poche lire d’imposta, che<br />
non patisce la grandine ma riposando all’ombra, dorme<br />
tranquillo i suoi sonni, intasca illeciti guadagni, mentre il<br />
vignaiuolo che trema ad ogni rumor di tuono, che si rompe<br />
tutto l’anno le braccia alla fatica e paga forti imposte e zolfi<br />
e fosfati, vede le sue cantine ingombre di vero vino di Riviera<br />
e non ‘c’è verso di poterlo smerciare” 63 . Pochi incontri<br />
preparatori e la nuova Società dei viticoltori della Riviera<br />
Bresciana del <strong>Garda</strong> e Comuni limitrofi si costituì e fissò la<br />
sua sede in Salò, iniziando la promozione di una serie di<br />
iniziative che purtroppo lo scarso numero dei soci ed il conseguente<br />
ridotto potere contrattuale fece inesorabilmente<br />
naufragare. Nel settembre 1909, preso atto della situazione<br />
63. Silvioli Enrico, Il sindacato vinicolo della Riviera del <strong>Garda</strong>, in "Il<br />
Risorgimento Agricolo", n. 15, 31 agosto 1907
79<br />
sfavorevole, delusa per la cancellazione da parte del Maic<br />
del contributo che in precedenza le era stato assegnato,<br />
deliberò la sospensione di ogni attività 64 .<br />
“I soci della Società dei Viticultori della riviera Bresciana<br />
del <strong>Garda</strong> presa visione della relazione e del bilancio presentati<br />
dal Consiglio d’Amministrazione dichiararono: di<br />
approvare l’opera dispiegata dal proprio Consiglio d’Amministrazione<br />
per quanto essa non abbia corrisposto agli<br />
sforzi fatti per dar vita rigogliosa ed attiva al proprio sodalizio<br />
e di approvare ancora la relazione ed il bilancio presentati,<br />
in pari tempo ritenuto: che non vi ha nessuna ragione<br />
di sciogliere la Società in quantoché tutti gli scopi che la<br />
medesima si era prefissa e che sono elencati nello Statuto<br />
Sociale, rappresentando vitali questioni la cui risoluzione è<br />
di evidente attualità e che solo per mancanza di mezzi non<br />
è stato possibile dare esecuzione ad alcune delle iniziative<br />
proposte, e che d’altro lato la liquidazione non apporterebbe<br />
nessun beneficio e non farebbe che aumentare la<br />
sfiducia e il discredito alle Istituzioni Agrarie locali esistenti:<br />
delibera che la Società dei Viticoltori della Riviera Bresciana<br />
del <strong>Garda</strong>:1 ) si mantenga costituita continuando ad<br />
esistere sì da poter essere in ogni momento chiamata alla<br />
realizzazione e al compimento di nuovi benefici o alla soluzione<br />
di nuovi problemi imposti dall’accolta degli interessi<br />
dei viticultori; sospendendo pel momento ogni e qualsiasi<br />
dovere od obbligo legale o corresponsione pecuniaria annuale<br />
o vitalizia dei propri soci; 2 ) che sia affidato il fondo<br />
di cassa e tutto il materiale esistente alla Direzione della<br />
Cattedra Ambulante d’<strong>Agricoltura</strong> di Salò, perché essa se<br />
ne valga nel miglior modo che crede per aiutare i viticultori<br />
e promuovere o dar corso al programma fissato dallo<br />
64. Relazione della Società dei viticultori della Riviera Bresciana del <strong>Garda</strong><br />
e Comuni limitrofi con sede in Salò, in "Il Risorgimento Agricolo", n. 16 e n.<br />
17, 1909
80<br />
Statuto, come pure dandole facoltà di invitare nuovamente<br />
a raccolta sotto l’egida della Società già costituita tutti i<br />
viticultori, appena le necessità locali impongano a suo avviso<br />
la riorganizzazione delle varie forze individuali sparse ed<br />
inattive”.
Manifesto di una delle prime edizioni della “Festa del Vino” di Polpenazze del<br />
<strong>Garda</strong><br />
81
82
83<br />
LA LUNGA BATTAGLIA<br />
PER LA DIFESA<br />
DELLA QUALITÀ
84
85<br />
LA LUNGA BATTAGLIA<br />
PER LA DIFESA<br />
DELLA QUALITÀ<br />
Così mentre si combatteva la battaglia per la ricostituzione<br />
dei vigneti prendeva forma e consistenza la lunga battaglia<br />
per la difesa della qualità. Il primo tentativo compiuto,<br />
a livello di Parlamento nazionale, di disciplinare la denominazione<br />
d’origine dei vini risale al 1904; nel 1914 venne<br />
approvato un ordine del giorno, proposto dall’onorevole<br />
Ottavi, con il quale si sosteneva la necessità di “tutela delle<br />
marche di origine e delle denominazioni dei vini tipici”. Ma<br />
solo nel 1920, dopo la fine del primo conflitto mondiale,<br />
il parlamento riprese in esame quella proposta, più rivolta<br />
alla tutela della tipicità di un vino piuttosto che al suo stretto<br />
legame territoriale e viticolo.<br />
Un passo avanti fu compiuto con l’approvazione della<br />
proposta recante ‘Disposizioni per la difesa dei vini tipici’<br />
formulata dall’onorevole Arturo Marescalchi nel 1924,<br />
trasformata in legge nel 1926 con un iter attuativo che si<br />
concluse solo nel 1930. Tuttavia né questa legge né la successiva<br />
del 1937 avente come titolo ‘Provvedimenti per la<br />
viticoltura e la produzione vinicola’ che aboliva ogni dispo-
86<br />
Moniga nel 1930 in una panoramica da Soiano<br />
sizione precedente e tentava di porre rimedio alle carenze<br />
della normativa precedente riuscirono nell’intento di tutelare<br />
e valorizzare viticoltura e vini tipici. Ottorino Milesi nel<br />
suo “Il vino e i vini bresciani” scrive:”... Ai buoni propositi<br />
peraltro non fecero seguito i necessari regolamenti di applicazione......Infatti<br />
quelle denominazioni riconosciute ad<br />
alcuni vini di pregio, non controllate nel territorio e nella<br />
paternità viticola, furono più dannose che utili in quanto<br />
dilatarono le produzioni di ‘quei vini’ in modo del tutto abnorme<br />
appropriandosi spesso della dizione di alcune denominazioni<br />
geografiche originalmente destinate a modeste<br />
quantità”. Per mettere ordine nel settore con una filosofia<br />
nuova e chiaramente territoriale, sia viticola che enologica<br />
si dovrà arrivare al 1963 65 . A livello locale l’entrata in guerra<br />
dell’Italia nel maggio 1915 colse i vignaioli ed i viticoltori<br />
65. Milesi Ottorino, Difesa dell’identità e tipicità del vino, in Il vino e i vini<br />
bresciani, pagg. 55-57, Brescia, CCIAA, s.d.
87<br />
gardesani nel pieno della crisi provocata dalla filossera ed<br />
alle prese con una ricostituzione dei vigneti destinata a durare<br />
fino agli anni trenta del novecento.<br />
Ma la battaglia per la viticoltura si combatteva di pari<br />
passo anche <strong>sul</strong> fronte della trasformazione delle uve e il 16<br />
settembre del 1939 (il XVII dell’era fascista) la sezione vitivinicoltura<br />
del consorzio provinciale tra i produttori dell’agricoltura<br />
prese l’iniziativa di istituire “un Enopolio di fortuna<br />
al quale si potranno conferire uve da vinificare in locali<br />
adibiti a questo scopo dall’enopolio ed anche da vinificare<br />
sotto la guida di provetti tecnici nelle cantine stesse degli<br />
aderenti” 66<br />
Tuttavia neppure l’impegno della lavorazione comune<br />
delle uve riuscì ad ottenere per il vino della Valtènesi un<br />
riconoscimento di qualità superiore per cui protestarono i<br />
podestà della Valtènesi: i vini locali avrebbero potuto essere<br />
classificati, se non proprio di prima categoria, almeno<br />
di seconda. Invece no, nessuna distinzione di merito, ed<br />
anche i vini della Valtènesi finirono tra i vini di terza categoria,<br />
dove erano compresi, come scriveva il 9 marzo del<br />
1942 (XX) il prefetto di Brescia rispondendo all’esposto dei<br />
podestà, “la maggior parte dei buoni vini italiani”. Tuttavia,<br />
proseguiva rassicurante, si stia tranquilli, perché il comitato<br />
“ha riconosciuto che il valore di pregio delle singole<br />
produzioni dovrà essere riesaminato prima della prossima<br />
campagna vinicola”. Intanto i produttori si accontentino di<br />
vedersi pagato il loro vino come vino di terza categoria.<br />
I produttori però non furono per niente soddisfatti ed<br />
in attesa che le autorità competenti decidessero di riesaminare<br />
la questione, il 12 settembre 1942 parteciparono<br />
a Brescia ad una riunione presso l’ispettorato provinciale<br />
dell’agricoltura per esaminare e discutere uno Statuto del<br />
“Consorzio volontario produttori vino rosso della Valtènesi<br />
66. Pasini Pier Giuseppe, Dai campi al campeggio, in Manerba 900, pagg.<br />
66-67, <strong>Garda</strong>, Centro Studi per il territorio benacense, 1987
88<br />
Veduta aerea del territorio di Moniga: nel 1938 (in alto) e dieci anni dopo
89<br />
(Riviera Bresciana <strong>Garda</strong>)”. Recitava l’articolo uno dello statuto<br />
(che è composto di 39 articoli): “Tra i produttori di vino<br />
rosso della Valtènesi (Riviera Bresciana <strong>Garda</strong>) è costituito<br />
senza limiti di durata il consorzio volontario per la difesa di<br />
detto vino e del suo marchio d’origine, cosicché sotto la<br />
denominazione di cui sopra venga commerciato solamente<br />
il vino che dai vitigni della suindicata plaga viene prodotto.<br />
<strong>La</strong> sede del Consorzio è in Brescia presso l’Unione provinciale<br />
fascista degli agricoltori con ufficio di amministrazione<br />
a Manerba”. Per Manerba, che aveva visto nascere la prima<br />
cantina sociale ed il Consorzio Agrario Cooperativo della<br />
Riviera agli inizi del secolo, era l’occasione per tornare ad<br />
essere la capitale della viticoltura rivierasca.<br />
“<strong>La</strong> zona di produzione del vino rosso della Valtènesi<br />
comprende oltre i territori comunali di S. Felice del Benaco,<br />
Puegnago, Manerba, Polpenazze, Padenghe, anche quelli<br />
limitrofi di Salò e Volciano.<br />
Dal territorio di Salò sono esclusi i vigneti promiscui ad<br />
ortaggi ed i terreni irrigui, quelli delle frazioni di S. Bartolomeo<br />
e Serniga e comunque posti a oltre 250m. s.l.m.”<br />
(art.3)<br />
Questa la definizione del vino rosso della Valtènesi:<br />
“Concorrono alla produzione di tale vino i seguenti vitigni:<br />
il groppello che è il vino di base la cui percentuale va dal 45<br />
al 60% ed oltre; mentre il restante è costituito da un misto<br />
in proporzione varia oltre che di vecchi vitigni locali: schiava,<br />
berzamino nostrano, corva, trebbiano ecc., di vari vitigni<br />
forestieri, principalmente: Barbera, Nebbiolo, Sangiovese.<br />
Il vino della Valtènesi è di solito governato con uve all’uopo<br />
conservate di Groppello, Corva, Berzamino nostrano e Trebbiano.<br />
Esso di norma non viene invecchiato ma è consumato<br />
nell’annata di produzione. I suoi caratteri organolettici<br />
sono i seguenti: colore rosso rubino, trasparente, profumo<br />
delicato, sapido, asciutto, armonico con sapore amarognolo<br />
di mandorla. Se giovane è frizzante. Invecchiando il suo
90<br />
colore tende al rosso mattone. L’alcole in volume si aggira<br />
fra i 10,5 e 12% ed oltre; l’acidità totale tra 6-7,5” 67 .<br />
Intanto, accanto ai non indifferenti sforzi di possidenti e<br />
piccoli coltivatori nella ricostituzione dei vigneti, non mancavano<br />
le iniziative volte a far conoscere oltre i confini locali<br />
la vitivinicoltura della Valtènesi. Nel settembre del 1921, il<br />
sindaco di Puegnago Domenico Tebaldini guidava in Valtènesi<br />
i partecipanti al Congresso enologico nazionale svoltosi<br />
a Brescia.<br />
Ma la Valtènesi non era solo vino rosso. Nella sua opera<br />
del 1924 “I vini tipici d’Italia”, Arturo Marescalchi, uomo politico<br />
e appassionato studioso di enologia scriveva a proposito<br />
dei vini gardesani: “... le uve a vino rosso coltivate maggiormente<br />
sono il groppello, vitigno longevo e di prodotto<br />
abbondante, uva ricca di zucchero e tannino, ben colorata.<br />
Talora si usa come a Moniga vinificarla da sola levando il<br />
mosto dalle vinacce dopo 42/48 ore per ottenere il chiaretto.”<br />
Già, il chiaretto. Premiato all’Esposizione bresciana del<br />
1904 con medaglia d’oro, a soli otto anni dalla sua invenzione.<br />
Era infatti il 1896 quando a Moniga, Pompeo Molmenti<br />
storico e studioso di storia dell’arte, giunto qui dalla natìa<br />
Venezia per sposare Amalia Brunati, discendente d’una nobile<br />
e ricca famiglia di Salò, appassionatosi alla coltivazione<br />
delle terre portategli in dote dalla moglie, vinificò per la<br />
prima volta in riviera il “chiaretto”. Durante i suoi numerosi<br />
viaggi in Francia aveva apprezzato i vini rosé, specialmente<br />
quelli della Loira e di essi si era fatto spiegare il metodo di<br />
vinificazione.<br />
Tornato a Moniga, applicò la vinificazione in rosato delle<br />
rosse uve locali e – si dice – “inventò” il chiaretto: un vino<br />
rosa chiaro tendente al cerasuolo, dal profumo equilibrato<br />
di fiori e frutta, dal sapore asciutto, armonico e sapido<br />
destinato ad avere un’affermazione tale che a lungo i pro-<br />
67. Statuto del Consorzio Volontario produttori Vino Rosso della Valtenesi<br />
(Riviera Bresciana <strong>Garda</strong>) 1942, in A.C.M. categoria XI agricoltura 1942
91<br />
duttori di Moniga e della Valtènesi dovettero combattere<br />
per difenderne nome e qualità dall’avidità di commercianti<br />
che spacciavano per “chiaretto di Moniga” vini di tutt’altra<br />
natura e tutt’altra provenienza. Negli anni del fascismo la<br />
cooperazione, inquadrata ed irreggimentata aveva anche<br />
localmente subito non poche battute d’arresto, e le priorità<br />
in agricoltura erano andate alla battaglia del grano<br />
ed al perseguimento dell’autarchico soddisfacimento del<br />
fabbisogno alimentare italiano. I già ridotti capitali a disposizione<br />
dell’agricoltura subirono un’ulteriore contrazione e<br />
solo le casse rurali, riuscirono in qualche modo a sovvenire<br />
alle necessità dei coltivatori e dei produttori agricoli. L’economia<br />
di guerra, il difficile periodo della repubblica sociale<br />
e l’immediato dopoguerra, il venir meno della spinta<br />
propulsiva della cooperazione, tradottasi in alcuni casi nel<br />
fallimento di esperienze cooperative che ingenerarono un<br />
clima di sfiducia e di prostrazione furono per l’agricoltura il<br />
suggello di una crisi economica legata alle negative annate<br />
agricole che colpirono duramente la viticoltura e soprattutto<br />
il commercio vinicolo. Ogni anno, nel corso degli anni<br />
cinquanta, dagli amministratori locali della Valtènesi si invocava<br />
l’autorità del Prefetto di Brescia perché intervenisse a<br />
determinare il mercato delle uve tra produttori e commercianti,<br />
senza ottenere però grandi ri<strong>sul</strong>tati 68 .<br />
Era il febbraio del 1952 quando il sindaco di Moniga Pietro<br />
Ghirardi nel corso di un’assemblea dei rappresentanti<br />
dei proprietari terrieri, dei capi famiglia mezzadri e dei<br />
piccoli proprietari convocata in municipio dichiarava: “...<br />
premesso che nel territorio del Comune si produce una<br />
quantità di vino pregiato denominato ‘Rosato’ o più comunemente<br />
‘Chiaretto di Moniga’ e che tale produzione si<br />
aggira sui 10.000 quintali annui di uva, pari a 7.000 quintali<br />
di vino, premesso inoltre che in sito esistono stabilimenti<br />
68. Pasini Pier Giuseppe, Moniga. Storia di una comunità tra Ottocento e<br />
Novecento, pagg. 85- 87, Grafo, 1997
92<br />
Pigiatura dell'uva nel 1962
93
94<br />
<strong>La</strong>vaggio trucioli a lago per filtrare il vino (1950)
95
96<br />
<strong>La</strong>vaggio trucioli a lago per filtrare il vino (1950)
97
98<br />
di produzione vini per una capacità media di 60 – 70 mila<br />
ettolitri annui tutti esitati col nome di ‘Chiaretto di Moniga’;<br />
fatto presente che da qualche anno i produttori locali trovano<br />
serie ed insormontabili difficoltà per collocare all’atto<br />
della vendemmia il prodotto; che nella passata raccolta solamente<br />
1/3 della produzione totale è stata comprata dai<br />
grossisti di Moniga e anche questa quantità ad un prezzo<br />
inferiore a volte a quello delle uve prodotte nei comuni<br />
contermini, rilevato il fatto che nessun produttore ha la<br />
possibilità di lavorare, per mancanza di attrezzatura e di<br />
locali la propria uva, e che perciò stesso è obbligato a vendere<br />
a qualsiasi prezzo pur di non veder deperire un prodotto<br />
così delicato; richiamata nuovamente l’attenzione <strong>sul</strong><br />
divario esistente fra l’uva comperata in luogo dai grossisti<br />
locali che è quella che dà il nome al pregiato ‘Chiaretto di<br />
Moniga’ e la impressionante quantità di vino venduto sotto<br />
tale nome, l’assemblea, espressione genuina e completa<br />
dei precipui interessi della popolazione... di fronte alla resistenza<br />
constatata nella categoria dei commercianti vinicoli<br />
che usando il nome di un prodotto ben definito, esportano<br />
<strong>sul</strong> mercato nazionale, prodotto non propriamente locale;<br />
fa voti... ecc. ecc.”. A loro rispondeva, in maniera non troppo<br />
rassicurante, l’ispettorato agrario di Brescia, indicando<br />
però quale poteva essere la via d’uscita:<br />
“... Lo stato di disagio della viticoltura è generale ed<br />
è determinato da cause specifiche concomitanti e bene<br />
identificate e per ben attenuarla occorrono le invocate disposizioni<br />
di legge e soprattutto quella per la difesa della<br />
denominazione di origine dei vini genuini ed accreditati<br />
commercialmente, quale ad esempio ‘Chiaretto di Moniga’.<br />
L’ispettorato agrario ha promosso tempo addietro attraverso<br />
la stampa una campagna per denunciare le notevoli<br />
moltiplicazioni fraudolente di questo vino pregiato, e<br />
tale campagna ha avuto risonanza nazionale richiamando<br />
l’attenzione degli organi governativi competenti”.
99<br />
Ma bisogna dire che fu una attenzione dagli esiti assai<br />
scarsi se ancora nel ’56 il sindaco di Moniga era costretto a<br />
scrivere al prefetto di Brescia una lettera alquanto preoccupata.<br />
Nel 1957 produttori e commercianti sembravano vicini<br />
ad un accordo; i commercianti si impegnarono all’acquisto<br />
di tutte le uve prodotte localmente definendo il prezzo<br />
in base al grado zuccherino; nello stesso tempo riprese ad<br />
operare l’Enopolio della Valtènesi, divenuto proprietà dei<br />
produttori, così pure le cantine del Consorzio Agrario. Ma<br />
il problema stentava a trovare stabile soluzione. E intanto<br />
l’attenzione <strong>sul</strong> Chiaretto di Moniga, nel bene e nel male<br />
era sempre intensa.<br />
“<strong>La</strong> nostra clientela francese desidera, a pasto, del vino<br />
chiaretto di Moniga – scriveva un ristoratore di Ventimiglia<br />
rivolgendosi al sindaco del paese – Non si rivolga a negozianti<br />
perché non nutriamo eccessiva fiducia e poiché si<br />
tratta di fare affermare qui un vino diremo tipico è necessario<br />
che non interferiscano i negozianti con prodotti simili...”<br />
Ma il Chiaretto continuò per anni a scorrere a fiumi anche<br />
negli anni successivi, così che non furono pochi gli interventi<br />
tesi ad arginare il fenomeno. “...Questo comune è<br />
a conoscenza che codesta ditta mette in vendita del vino<br />
da pasto con la seguente impressione su bottiglie di vetro:<br />
‘<strong>Cantine</strong> di Maguzzano – Vino superiore da pasto – S.A. Immobiliare<br />
del <strong>Garda</strong>-Maguzzano di Moniga’. Poiché, fino a<br />
prova contraria Maguzzano è frazione del comune di Lonato<br />
e dista da Moniga ben km. 5, prima di procedere per altre<br />
vie a tutela del prodotto di Moniga, si prega....ecc ecc..”<br />
O ancora: “Questo Comune è a conoscenza che codesta<br />
ditta mette in vendita vino delle proprie <strong>Cantine</strong> con la seguente<br />
etichetta ‘Boni – Chiaretto di Moniga – <strong>Cantine</strong> f.lli<br />
Boni – Moniga del <strong>Garda</strong>. Poiché non ri<strong>sul</strong>ta che codesta<br />
ditta abbia mai avuto in questo comune stabilimento alcuno<br />
di lavorazione e produzione e tanto meno un deposito<br />
o quant’altro di simile, si prega...”
100<br />
<strong>La</strong> difesa della qualità e della tipicità era ancora lontana,<br />
nonostante da tempo i viticoltori della Valtènesi si stessero<br />
battendo per ottenere la costituzione di un consorzio di<br />
tutela. Il mondo della viticoltura e della cooperazione nel<br />
mondo agrario locale era destinato a procedere ancora per<br />
anni tra delusioni e battute d’arresto, seppure non mancasse<br />
qualche significativa iniziativa. Alcuni convegni, come<br />
quello dell’Accademia Italiana della Vite del 1953 ebbero il<br />
merito di proporre in modo nuovo i problemi della viticoltura<br />
che in quegli anni andò incontro alle delusioni della cooperazione<br />
con il fallimento dell’Enopolio di Manerba e di<br />
lì a poco alla chiusura di quello di Puegnago, promosso dal<br />
capo dell’Ispettorato Agrario di Salò, Vittorio Di Martino.<br />
<strong>La</strong> spinta propositiva si era oramai andata affievolendo, il<br />
desiderio di cimentarsi con nuovi progetti sembrava essere<br />
un capitolo chiuso e le numerose riunioni tra agricoltori non<br />
Panoramica di Moniga presa dalla strada statale (1954) nei pressi della <strong>Pergola</strong>
101<br />
servivano spesso ad altro che ad esprimere lamentele 69 .<br />
Nel 1959 si tenne il primo Convegno sui vini bresciani,<br />
nell’ambito dell’Esposizione Industriale Bresciana e si parlò<br />
di vini più che di vite. Nel luglio del 1960, a Moniga, nel<br />
corso di un incontro promosso dal direttore dell’ ispettorato<br />
agrario di Salò e del sindaco della cittadina, i produttori<br />
vinicoli della zona vararono un Consorzio per la tutela<br />
dei vini della Valtènesi. Ne dava conto il Giornale di Brescia<br />
nell’edizione del 30 luglio. “Il vino, sin dai tempi di Noè, ha<br />
sempre dovuto esibire un suo ‘certificato di residenza’, unico<br />
elemento valido per renderlo bene accetto <strong>sul</strong>la mensa<br />
dei buongustai. Per questo si tende, sempre con maggior<br />
frequenza, a falsificare l’origine di certi vini, assegnando<br />
loro, per valorizzarli, i nomi di zone notoriamente famose<br />
per i loro vigneti pregiati, dai quali si ricavano vini altrettanto<br />
fini e di alta qualità. Fra queste zone, vi è anche il lago<br />
di <strong>Garda</strong>, patria del famoso ‘Lugana’, del ‘Chiaretto’, del<br />
‘Rosso riviera’, del ‘S. Sivino’ e di altri tipi che sono tuttora<br />
l’oggetto di una spietata ed illecita concorrenza da parte di<br />
prodotti che sappiamo bene come, hanno tentato di confondere<br />
le idee dei consumatori con denominazioni sibilline<br />
ed assolutamente fuori dalla realtà. Da qui le ragioni<br />
per cui i produttori locali si sono riuniti per discutere ed<br />
approvare la costituzione di un consorzio che tuteli il nome<br />
e l’origine dei vini gardesani”. Con l’intensificarsi di queste<br />
iniziative si gettavano le basi per la costituzione, nel 1962,<br />
del Consorzio volontario per la difesa dei vini tipici e pregiati<br />
della provincia di Brescia. Il neonato consorzio impostò<br />
i problemi vitivinicoli locali su basi rigorosamente scientifiche,<br />
sia per quanto riguardava il settore agricolo della<br />
produzione, sia per quanto riguardava l’altrettanto importante<br />
e non disgiunto problema della commercializzazio-<br />
69. Vescia Michele, I vini bresciani, relazione all’Accademia Italiana della<br />
vite e del vino, Brescia, 1974, dattiloscritto
102<br />
Attesa per la consegna delle uve<br />
ne e della vendita 70 . Unitamente a questo si impostò uno<br />
studio scientifico <strong>sul</strong> problema tecnico della vinificazione,<br />
produzione, stabilizzazione e conservazione del prodotto.<br />
“Questo ente - affermava Michele Vescia nel corso di un<br />
convegno promosso nel 1967 dalla Comunità del <strong>Garda</strong> su<br />
“Lo sviluppo economico della regione del <strong>Garda</strong>”- che per<br />
la prima volta, come strumento modernissimo, ha chiamato<br />
a raccolta tutti i produttori per discutere sui propri problemi<br />
onde uscire da un paternalismo tradizionale per acquistare<br />
una moderna veste di democratica discussione e di difesa<br />
dei propri interessi, presentò agli enti competenti, fra<br />
i primissimi in Italia, i Disciplinari di produzione che permettevamo<br />
agli agricoltori interessati di usufruire di quanto<br />
previsto nella legge del 12 luglio 1963, al fine di ottenere il<br />
riconoscimento e la tutela dei propri vini. Ora i produttori<br />
possono con soddisfazione vedere approvati, con decreto<br />
presidenziale, i disciplinari di produzione dei vini della ‘Ri-<br />
70. Mazza Attilio, Cento anni di vita contadina, in Vecchia Valtenesi, Confraternita<br />
del Groppello, Edizioni del Moretto, 1985
103<br />
Manerba, attesa consegna delle uve negli anni Cinquanta<br />
viera del <strong>Garda</strong>’ e del ‘Lugana’...ecc” 71 .<br />
Fu dunque negli anni sessanta del secolo scorso che la<br />
viticoltura della Valtènesi per i suoi vini prese l’unico indirizzo<br />
possibile per garantirsi una sopravvivenza remunerativa,<br />
cioè quello di una produzione di pregio altamente qualificata.<br />
Era infatti impossibile immaginare una produzione<br />
tale da garantire una massa critica capace di sostenersi attraverso<br />
la quantità, in un ambiente naturale quale quello<br />
della Valtènesi o più in generale del <strong>Garda</strong>, sia per la giacitura<br />
dei terreni sia per l’ambiente climatico. “Stabilito perciò<br />
che il nostro avvenire è nella produzione di pregio, - dichiarava<br />
ancora Michele Vescia nel 1967 –è necessario che<br />
alla legge per la tutela delle denominazioni di origine dei<br />
vini vengano affiancati quei seri consorzi volontari fra i produttori,<br />
i quali sono gli unici che appaiono in grado di po-<br />
71. Vescia Michele, Lo sviluppo e le prospettive della viticoltura gardesana<br />
e della produzione vinicola con particolare riferimento ai recenti provvedimenti<br />
delle comunità europee, in Lo sviluppo economico della regione del <strong>Garda</strong>, vol.I,<br />
pagg. 57-61
104<br />
<strong>La</strong>voratori agricoli in posa
105
106<br />
terla far rispettare e di completarne il controllo soprattutto<br />
qualitativo...Bisogna però considerare, che il desiderio di riorganizzazione<br />
e di riassettamento della nostra viticoltura si<br />
è scosso da pochi anni e solamente in alcuni produttori avveduti<br />
ha trionfato quella coscienza vitivinicola, che molto<br />
spesso, per varie cause, è venuta a mancare nella generalità<br />
dei nostri viticoltori. È chiaro che se problemi annosi hanno<br />
trovato, per volontà di alcuni, il modo di essere impostati<br />
su sagge direttive, è necessario che le autorità responsabili<br />
diano a questi, che già da soli hanno saputo trovare la forza<br />
dii risorgere <strong>sul</strong>la strada giusta, tutto quell’aiuto che possa<br />
essere necessario a completare l’opera.”<br />
Per la viticoltura della Valtènesi era il tempo della rinascita,<br />
dopo aver conosciuto anni di crisi profonda, ed era<br />
anche giunto il momento di vincere la diffidenza che il fallimento<br />
delle tante e significative esperienze cooperative<br />
aveva ingenerato nel mondo agricolo locale alimentando<br />
un rigurgito di individualismi. Era il tempo di tornare alla<br />
cooperazione, perché la qualità aveva bisogno di unità e di<br />
capacità produttive ed imprenditoriali in grado di mettere<br />
anche i piccoli e medi coltivatori nella condizione di trarre<br />
profitto dalle opportunità che la normativa italiana ed europea<br />
<strong>sul</strong>la tutela delle produzioni tipiche di qualità offriva<br />
ed offre.
Giovani e agricoltori, soci fondatori di Agri-Coop Alto <strong>Garda</strong> Verde,<br />
a fine anni Settanta.<br />
107
108
109<br />
CANTINE<br />
LA PERGOLA
110
CANTINE<br />
LA PERGOLA<br />
111<br />
A metà degli anni Settanta del secolo scorso, l’agricoltura<br />
locale gardesana si ritrovò nuovamente in crisi e, per<br />
molte delle cantine che si limitavano alla sola commercializzazione,<br />
giunse il tempo della chiusura. In poco più di un<br />
decennio, tra il 1970 e il 1990, chiusero a Moniga varie cantine<br />
storiche (basti citare Bonomini, Colosio, Frassine-Bolla,<br />
Chiappini, Simoni), e la capacità di produzione e stoccaggio<br />
dei vini calò da oltre 150mila ettolitri di vino a soli 15mila.<br />
Occorreva affrontare la situazione da nuovi punti di vista.<br />
Così, il 6 maggio 1982, per iniziativa di un gruppo di piccoli<br />
viticoltori, veniva costituita a Moniga del <strong>Garda</strong> la Cantina<br />
Sociale Valtènesi, con l'obiettivo di ottenere per i produttori<br />
soci un'equa remunerazione dell'uva, mediante la vinificazione<br />
e l'imbottigliamento diretto del vino. Al termine<br />
del primo esercizio, i soci erano 20.
112<br />
<strong>La</strong> costituzione della Cantina sociale era la logica prosecuzione,<br />
nonché lo sbocco in ambito vinicolo, dell'attività<br />
di una piccola cooperativa di giovani ed esperti viticoltori<br />
che pochi anni prima, nel 1979, avevano dato vita alla<br />
cooperativa Valtènesi Verde. Una realtà che attraverso la<br />
coltivazione di terre incolte o mal coltivate -in quel periodo<br />
presenti anche in Valtènesi- procurò lavoro a giovani desiderosi<br />
di dedicarsi al lavoro associato e non subordinato in<br />
agricoltura, praticando –da pionieri- il metodo della agricoltura<br />
biologica, all'epoca non ancora codificato in norme<br />
di legge.<br />
Si partì con ri<strong>sul</strong>tati brillanti nonostante la congiuntura<br />
economica sfavorevole, e si confermò definitivamente<br />
l'idea, nuova e unica nel suo genere, di operare anche in<br />
favore di piccole cantine, la cui barriera al mercato era rappresentata<br />
dalla mancanza di impianti idonei al confezionamento<br />
e dalla conseguente vendita del vino a prezzi poco<br />
remunerativi, spesso in damigiane. Venne così "inventato"<br />
l'imbottigliamento su impianti mobili scarrabili: sale di imbottigliamento<br />
e confezionamento che venivano trasportate<br />
nelle piccole cantine per procedere alle operazioni di<br />
imbottigliamento.<br />
<strong>La</strong> Cantina aveva preso avvio nell’azienda di uno dei soci,<br />
un coltivatore diretto che mise a disposizione le proprie<br />
strutture ed attrezzature fino al 1987, quando dalle <strong>Cantine</strong><br />
<strong>La</strong>mberti di Verona venne acquisita la sede attuale in località<br />
<strong>Pergola</strong> a Moniga, inizialmente in affitto, e successivamente<br />
acquistata nel 1990. L’immobile era stato costruito<br />
dal produttore valtellinese Nino Negri negli anni tra il 1920<br />
e il 1930 per la vinificazione del Chiaretto di Moniga e del<br />
Rosso Riviera, destinati soprattutto al mercato regionale.<br />
Oltre alla Cantina, Nino Negri costruì lì a fianco la locanda<br />
<strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> (detta "<strong>La</strong> Pergolina"), punto d’incontro di
113<br />
produttori, mediatori e commercianti di uve e di vino del<br />
territorio. Così la ricorda il Professor Michele Vescia: ”Il baricentro<br />
della zona era la trattoria la Pergolina, stretta fra<br />
l’attuale Cantina Sociale, allora Cantina Negri, e la Cantina<br />
Frassine, [...] facilmente raggiungibile e dove, o per incontrarsi<br />
o per mangiare, tra una visita e un’altra ai vigneti, avvenivano<br />
gli incontri con lo scambio di vedute che formavano<br />
il mercato” (in Groppello e Dintorni, 2013, Confraternita<br />
del Groppello, pag. 70).<br />
Dopo i primi esercizi sociali, brillanti per la remunerazione<br />
delle uve, si ebbero non poche difficoltà di sviluppo.<br />
E infatti, tra il 1987 ed il 1990, la cantina fu <strong>sul</strong>l’orlo di<br />
chiudere per difficoltà gestionali e finanziarie. Ne conseguì<br />
un'azione convinta di capitalizzazione e di investimenti da<br />
parte dei soci: nel 1991 l’azienda fu ricapitalizzata portando<br />
il capitale sociale da poche migliaia a 360milioni di lire, con<br />
una quota minima di 20milioni a socio, e con il passaggio<br />
da una mentalità prettamente solidaristica a quella di una<br />
cooperativa che, pur non rinunciando alla mutualità, si inseriva<br />
nelle regole competitive del mercato puntando alla<br />
solidità patrimoniale. Questo passaggio fu marcato dalla<br />
nascita della nuova denominazione sociale <strong>Cantine</strong> della<br />
Valtènesi e della Lugana, a segnalare lo stretto legame della<br />
Cantina con le due aree viticole di provenienza delle uve,<br />
rispettivamente ad est –la Valtènesi- e a sud –la Lugana- del<br />
<strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong>.<br />
Negli anni successivi si accompagnarono, agli investimenti<br />
immobiliari e tecnologici, svariate azioni di comunicazione<br />
per avvicinare i prodotti ai consumatori: ne sono<br />
esempio le iniziative di degustazione sui battelli che attraversano<br />
il <strong>Garda</strong> e i convegni su viticoltura e territorio.<br />
<strong>La</strong> consapevolezza della necessità di far conoscere i vini<br />
locali, via via paradossalmente diventati sempre più scono-
114<br />
<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> (già <strong>Cantine</strong> Negri nel secondo dopoguerra) cartolina d’epoca
115
116<br />
<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> (già <strong>Cantine</strong> Negri nel secondo dopoguerra) cartolina d’epoca
117
118<br />
Interno di <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> (già <strong>Cantine</strong> Negri nel secondo dopoguerra)<br />
cartolina d’epoca
119
120<br />
sciuti al mercato, portò all'invenzione da parte della Cantina,<br />
il 21 marzo 1996, di <strong>Garda</strong>&Vino, la prima enoteca locale<br />
dedita alla degustazione e alla commercializzazione dei vini<br />
prodotti in Valtènesi e Lugana, nella cui sala si svolgeranno<br />
per anni iniziative culturali, informative ed enogastronomiche<br />
di altissimo livello.<br />
L'anno successivo, per ancor meglio rispondere alle esigenze<br />
dei più piccoli produttori di uva, la Cantina promuoverà<br />
la costituzione di una nuova cooperativa: Viticoltori<br />
del <strong>Garda</strong> -conta oggi 65 soci- a cui verrà affidata l’attività<br />
di raccolta e vinificazione, e il cui prodotto verrà conferito<br />
a <strong>Cantine</strong> della Valtènesi e della Lugana per il confezionamento<br />
e la commercializzazione.<br />
Nel 1998, sempre per iniziativa della Cantina, è la volta<br />
della costituzione del Centro Servizi Agroalimentari, con<br />
l’obiettivo di migliorare l’efficienza e la qualità delle aziende<br />
agricole e vitivinicole, l’innovazione e la divulgazione<br />
delle nuove tecnologie e delle conoscenze scientifiche, le<br />
certificazioni di qualità e la promozione di iniziative per lo<br />
sviluppo e la commercializzazione dei prodotti tipici in Italia<br />
e all’Estero.<br />
Da allora in Cooperativa è un susseguirsi di azioni di crescita<br />
e consolidamento: ampliamento dell’immobile, nuovi<br />
impianti, azioni di promozione dei prodotti in Italia e all’estero<br />
in vista di nuovi e più impegnativi progetti.<br />
In questo periodo i vini raggiungono l'eccellenza come<br />
documentano la quantità e qualità dei riconoscimenti che<br />
la cooperativa riceve, a partire da Moniga con la conquista<br />
del Trofeo Pompeo Molmenti, ad Asti con l'Oscar della<br />
Douja d'Or, la medaglia d'oro al Mondiale di Bruxelles, e<br />
decine di altri premi che "tappezzano" le pareti della sede<br />
sociale.<br />
A fine 2011 la crisi finanziaria impone alla Cooperativa
121<br />
una battuta d’arresto forzata: è l’occasione per fermarsi e<br />
riflettere <strong>sul</strong> significato del proprio esistere e <strong>sul</strong>le prospettive<br />
future. I soci non si perdono d’animo e capitalizzano la<br />
Cooperativa con oltre 1milione di euro; la Cooperativa si<br />
riorganizza e torna ad investire sia in impianti, sia in azioni<br />
per la crescita delle vendite sui mercati internazionali, e a<br />
immaginare nuove prospettive.<br />
È in questo contesto che, riflettendo <strong>sul</strong> legame con la<br />
terra e con la propria storia, e immaginando di volerla comunicare<br />
al pubblico di estimatori dei suoi prodotti, maturerà<br />
la decisione - sancita con l'assemblea straordinaria dei<br />
soci del 10 febbraio <strong>2016</strong> - di ampliare la denominazione<br />
sociale, con l'inserimento del nome <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>, e con la<br />
creazione del nuovo brand <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>.<br />
Oggi, <strong>Cantine</strong> della Valtènesi e della Lugana <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong><br />
(abbreviato in <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong>) è una società agricola<br />
cooperativa a mutualità prevalente con una base sociale di<br />
14 soci ordinari (tra cui le cooperative agricole Viticoltori<br />
del <strong>Garda</strong>, Valtènesi Verde e Agri-coop Alto <strong>Garda</strong> Verde<br />
e alcuni soci lavoratori) e 25 soci sovventori. Rappresenta<br />
inoltre 35 aziende vitivinicole.<br />
I vigneti coltivati dai soci della Cooperativa coprono<br />
una superficie di 80 ettari circa, distribuiti su tutte le DOC<br />
gardesane: Valtènesi - Riviera del <strong>Garda</strong> Classico, Lugana e<br />
San Martino della Battaglia. Vengono coltivati direttamente<br />
30 ettari di terreni, di cui 17 a vigneto e il rimanente a oliveto<br />
e seminativi: sono gli appezzamenti che i soci affidano<br />
alla gestione della Cooperativa e dove la Cooperativa ha<br />
realizzato il primo vigneto sperimentale a Groppello, i cui<br />
ri<strong>sul</strong>tati sono stati pubblicati nel 2010 da parte del Consorzio<br />
<strong>Garda</strong> Classico e dal Centro Vitivinicolo Provinciale di<br />
Brescia in Groppello, l’autoctono della Valtènesi.<br />
Dall’impegno nella valorizzazione del terroir, che ha visto
122<br />
<strong>La</strong> Cantina Cremisan di Betlemme-1885
123
124<br />
la Cooperativa impegnata in prima linea, è nata poi la denominazione<br />
d’origine controllata Valtènesi.<br />
Ciò che più conta nella cooperativa, dunque, non sono<br />
i numeri o la dimensione (anche se i prodotti confezionati<br />
superano il numero non insignificante di 4milioni di bottiglie),<br />
ma gli obiettivi e il significato nel territorio e nel settore<br />
vitivinicolo. L’attenzione per l'ambiente è massima e ha<br />
portato fin dagli inizi all'adozione del metodo dell’agricoltura<br />
biologica <strong>sul</strong> cento per cento dei terreni in conduzione<br />
diretta, esteso progressivamente a tutti i terreni dei soci.<br />
Anche la sensibilità per i meno fortunati è da sempre<br />
presente nella Cooperativa. Per i non vedenti la Cooperativa<br />
produce dal 1996 la linea di vini Bacco di Homerus, a<br />
sostegno del progetto internazionale di vela autonoma per<br />
non vedenti ideato <strong>sul</strong> lago di <strong>Garda</strong> dal campione mon-<br />
Il Trofeo Pompeo Molmenti premia il miglior Chiaretto dell'anno a Moniga del<br />
<strong>Garda</strong>
125<br />
diale di vela Alessandro Gaoso, con l’obiettivo ambizioso<br />
di consentire ai non vedenti di veleggiare autonomamente.<br />
Nei suoi vent'anni di storia il progetto ha dimostrato la<br />
propria validità nel mondo con eventi realizzati in Europa,<br />
Americhe, Medio Oriente e Oceania, come l’attraversamento<br />
delle Colonne d’ Ercole con la scorta del veliero italiano<br />
Amerigo Vespucci e l’approdo in Terra Santa durante<br />
l’intifada 2003 a bordo del veliero Bamboo. Da quest'ultima<br />
iniziativa è scaturito il progetto di sviluppo e riqualificazione<br />
dei vini prodotti dalla storica e prestigiosa cantina vinicola<br />
salesiana di Cremisan, in Terrasanta, i cui nuovi vini, nati<br />
da vitigni autoctoni, e distribuiti in Italia dalla Cooperativa,<br />
sono recensiti da prestigiose guide internazionali come<br />
Wine Spectator. L’intento del progetto è quello di creare<br />
relazioni che permettano di contribuire al diffondersi della<br />
cultura della pace, in un territorio che da sempre versa<br />
in condizioni socio-politiche<br />
estreme.<br />
<strong>La</strong> sensibilità che ha portato<br />
la Cooperativa a impegnarsi<br />
in queste particolari<br />
esperienze internazionali, ha<br />
altresì stimolato la voglia di<br />
commercializzare i vini del<br />
proprio territorio in ogni continente,<br />
come avviene oggi,<br />
anche in vista di nuovi progetti<br />
di sviluppo della propria<br />
capacità produttiva, necessari<br />
e richiesti <strong>sul</strong> territorio e in<br />
attesa di essere realizzati.<br />
Pubblicazione realizzata con i dati provenienti dal primo vigneto sperimentale di<br />
<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> 2007 - 2010.
126
127<br />
LE COOPERATIVE<br />
VERSO IL FUTURO
128
LE COOPERATIVE<br />
VERSO IL FUTURO<br />
129<br />
È radicandosi nel territorio che la <strong>Cooperazione</strong> agricola<br />
ha trovato e ancora oggi trova la motivazione alla propria<br />
esistenza e l’indubbia motivazione al continuo migliorarsi,<br />
sia essa impegnata nell’olivicoltura o nell'allevamento, nella<br />
viticoltura o nella produzione di latte, nella floricoltura o<br />
nella gestione del verde forestale o pubblico, o in qualsiasi<br />
altro campo cada sotto il grande cappello dell’<strong>Agricoltura</strong>.<br />
Nel territorio gardesano sono molte le realtà cooperative<br />
tuttora operanti in agricoltura: ne citiamo alcune, tra le<br />
più significative per tradizione e attività.<br />
<strong>La</strong> <strong>La</strong>tteria Turnaria di Tignale, nata nel 1904 come latteria<br />
sociale, ha avviato la trasformazione delle olive a partire<br />
dalla metà degli anni Novanta, arrivando a produrre, oggi,<br />
una linea di prodotti interamente biologici.<br />
Sempre parlando di olio, a San Felice del Benaco è operativa<br />
la Cooperativa agricola San Felice, sorta nel 1946,
130<br />
quando l’ansia della ricostruzione e della ripresa economica<br />
si fece stimolo all’iniziativa sociale. Le innovazioni tecnologiche<br />
in frantoio, la continua attenzione alla qualità delle<br />
olive, ai tempi e alla modalità di raccolta, alla frangitura in<br />
tempi brevissimi e alle analisi effettuate immediatamente<br />
su ogni singola partita di olio ottenuto, han fatto sì che il<br />
prodotto sia di qualità superiore, certificata anche dalla denominazione<br />
di origine protetta <strong>Garda</strong> <strong>Bresciano</strong> D.O.P. e<br />
in grado di soddisfare i gusti dei consumatori più esigenti.<br />
A Tremosine, opera l’Alpe del <strong>Garda</strong>, nata nel 1980 per<br />
mano di un gruppo di allevatori e montanari che, una volta<br />
costituita la cooperativa, costruì un caseificio, allo scopo di<br />
trasformare il latte prodotto negli allevamenti di bovini esistenti<br />
<strong>sul</strong> territorio dell'Alto <strong>Garda</strong>. <strong>La</strong> decisione di allevare<br />
esclusivamente capi di razza Bruna Alpina, per la produzione<br />
di latte e quindi formaggi di estrema qualità, è stata una<br />
scelta coraggiosa dell’Azienda Agricola della cooperativa,<br />
che tuttora qualifica Alpe del <strong>Garda</strong> sui mercati.<br />
Nel basso <strong>Garda</strong> è operativa <strong>Garda</strong> <strong>La</strong>tte dal 1965, con<br />
produzioni di grana padano e provolone DOP e allevamento<br />
suinicolo.<br />
A Gargnano va citata l'Agri-coop Alto <strong>Garda</strong> Verde s.a.<br />
onlus. Costituita da giovani agricoltori il 26 maggio 1978, la<br />
cooperativa si è progressivamente specializzata nell’offerta<br />
di servizi di manutenzione ad alta specializzazione per il<br />
verde forestale, pubblico, privato e sportivo, con macchinari<br />
all’avanguardia che le consentono di effettuare ogni tipo<br />
di potatura, idro-semina e lavori di ingegneria naturalistica.<br />
Punto di riferimento per il territorio, la cooperativa realizza<br />
e gestisce anche limonaie ed è in grado di produrre piante<br />
di olivo da varietà autoctone dell’area del <strong>Garda</strong>. Fiore<br />
all’occhiello della Cooperativa l’inserimento nel mercato<br />
del lavoro di decine di persone svantaggiate.
131<br />
A Limone troviamo la Cooperativa agricola possidenti<br />
oliveti, costituita nel 1919 da ventotto piccoli proprietari<br />
guidati dal parroco don Giovanni Morandi. <strong>La</strong> cooperativa<br />
è tutt’ora attiva, con ben 450 piccoli produttori soci olivicoltori.<br />
Per la floricoltura citiamo Valtènesi Verde Società Agricola<br />
Cooperativa, a Lonato del <strong>Garda</strong>, costituita nel 1979<br />
da giovani appassionati di agricoltura ed esperti contadini.<br />
Su una superficie di oltre 10mila m2 di serre in vetro completamente<br />
automatizzate coltiva, in primavera, coloratissime<br />
gerbere, cascanti surfinie, verbene, composizioni multicolore<br />
di varie essenze, portulache, annuali per bordure e<br />
aiuole e gerani in grande varietà e colori. I mesi estivi sono<br />
destinati alla produzione di piante verdi da interno come i<br />
ficus, le sanseverie, le beaucarnee e le dracene. In autunno<br />
le serre si colorano in modo spettacolare con la fioritura<br />
delle migliaia di ciclamini e stelle di Natale.<br />
Per concludere, abbiamo Antica Qualità Benacense, una<br />
cooperativa di recente costituzione, nata a Manerba dalla<br />
volontà di alcuni storici produttori della Valtènesi, allo scopo<br />
di valorizzare la produzione vitivinicola e olivicola del<br />
<strong>Garda</strong>, cercando di coniugare tradizione e sviluppo, attraverso<br />
la salvaguardia del territorio. <strong>La</strong> cooperativa valorizza<br />
l’agricoltura d’eccellenza e sostiene la commercializzazione<br />
della produzione olearia e vitivinicola, ma soprattutto trasforma<br />
l’uva e l’oliva che una quindicina di soci conferitori<br />
coltivano su circa 30 ettari di vigneto e 20 di oliveto.<br />
Ecco dunque che la cooperazione, con multiformi attività,<br />
evoca messaggi che superano le caratteristiche dei prodotti<br />
e coinvolgono ed evocano storie di uomini e donne<br />
che rendono viva, attiva e importante ancor oggi la cooperazione<br />
nelle aree rurali del <strong>Garda</strong>.
132
133<br />
GLOSSARIO
134<br />
Circondario<br />
Il circondario amministrativo del Regno d’Italia è stato<br />
un ente intermedio tra la provincia e il mandamento. Fu<br />
istituito nel 1859 con la legge Rattazzi, come nuova denominazione<br />
della “provincia” del Regno di Sardegna, che<br />
corrispondeva all’arrondissement francese. In seguito alla<br />
graduale annessione allo stato sabaudo degli altri territori<br />
della penisola, l’istituto del circondario fu esteso alle nuove<br />
province, sostituendo, nello specifico, l’istituto del distretto<br />
del Regno delle Due Sicilie. I circondari vennero soppressi<br />
nel 1927. Le città capoluogo dei circondari erano sede<br />
di sottoprefettura, di tribunale, di catasto e uffici finanziari.<br />
Il circondario era a sua volta suddiviso in mandamenti. Il<br />
circondario di Salò e di Brescia furono aboliti, come tutti i<br />
circondari italiani, nel 1927, nell’ambito della riorganizzazione<br />
della struttura statale voluta dal regime fascista, la quale<br />
portò anche all’accorpamento di diversi piccoli comuni:<br />
Comizio agrario circondariale (1866 – 1923)<br />
Pochi anni dopo l’unificazione nazionale, <strong>sul</strong>la falsariga<br />
delle Camere di commercio e arti il governo istituì in ogni<br />
capoluogo di circondario (decreto 23 dicembre 1866) i Comizi<br />
agrari, con lo scopo di promuovere le attività utili alla<br />
valorizzazione ed all’avanzamento tecnologico dell’agricoltura.<br />
Gli antecedenti dei Comizi agrari vanno cercati in<br />
organismi con funzioni analoghe attivati fino dalla seconda<br />
metà del secolo XVIII nei maggiori stati europei e nella<br />
prima metà del secolo successivo nel regno di Sardegna. I<br />
comizi, che non dipendevano dal Ministero dell’agricoltura,<br />
ma rappresentavano enti pubblici territoriali (anche in ciò ri-
135<br />
calcando l’ordinamento delle camere di commercio), avevano<br />
il compito di consigliare al governo le misure necessarie<br />
per il miglioramento del rendimento agricolo circondariale,<br />
fornendo altresì i dati e le analisi necessarie ad una più avvertita<br />
politica ed amministrazione del settore agricolo, che<br />
peraltro in quel periodo era ancora la prima fonte di produzione<br />
della ricchezza nazionale.<br />
I Comizi agrari suggerivano al governo le “provvidenze<br />
generali e locali atte a migliorare le condizioni dell’agricoltura”<br />
(art. 2), raccoglievano ed offrivano al governo ed alla Deputazione<br />
provinciale le notizie che fossero richieste nell’interesse<br />
del settore agricolo, “adoperandosi a far conoscere<br />
e adottare le migliori colture, le pratiche agrarie convenienti,<br />
i concimi vantaggiosi, gli strumenti rurali perfezionati”<br />
(art. 4). Infine, i Comizi agrari erano deputati a studiare “le<br />
industrie affini all’agricoltura di utile e possibile introduzione<br />
nel paese”. Tra i vari compiti loro assegnati figura anche<br />
la promozione di concorsi, sperimentazioni ed esposizioni<br />
di prodotti e macchine agricole, e la messa a punto regolamenti<br />
igienici e contro la diffusione delle epizoozie. Tra i<br />
compiti assegnati ai Comizi agrari dalla commissione governativa<br />
che nel 1865 promuove la loro istituzione è prevista<br />
anche la formazione della Camera provinciale dell’agricoltura,<br />
ente rappresentativo degli interessi degli agricoltori, che<br />
avrebbe esteso al settore agricolo istituzioni modellate su<br />
quelle già attivate o in via di consolidamento negli altri settori<br />
produttivi. L'organo amministrativo del comizio agrario<br />
era la direzione, composta da un presidente, da un vicepresidente,<br />
da un segretario e da quattro consiglieri delegati<br />
eletti ogni anno. Costituivano il Comizio agrario tutti coloro<br />
che, interessandosi al progresso dell’agricoltura, facessero<br />
richiesta di iscrizione. Ai Comizi agrari partecipava anche ad
136<br />
un rappresentante per ogni comune del circondario (eletto<br />
dal consiglio comunale relativo). Spettava al prefetto indire<br />
la riunione costitutiva e mantenere i contatti tra i Comizi<br />
della provincia e il Ministero. Dal punto di vista finanziario, i<br />
comizi funzionavano grazie ad un fondo comune costituito<br />
col concorso dei propri membri e grazie ai sussidi concessi<br />
dallo Stato, dalla Provincia e dai comuni del circondario. <strong>La</strong><br />
scarsa efficienza di questa organizzazione con<strong>sul</strong>tiva indusse<br />
dunque il governo a studiare una profonda riforma del<br />
settore, che si concretizzò nel regio decreto 30 dicembre<br />
1923, n. 3229 (decreto 30 dicembre 1923 b). Tale decreto<br />
provvide ad istituire, nelle province il cui Consiglio provinciale<br />
ne avesse fatto richiesta, i Consigli agrari provinciali<br />
Deputazione Provinciale<br />
Nel 1865 la prima legge comunale e provinciale dello stato<br />
unitario italiano (legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato<br />
A) istituì quale organo esecutivo della provincia la deputazione<br />
provinciale (e deputati provinciali erano detti i suoi<br />
membri), eletta dal consiglio provinciale ma presieduta dal<br />
prefetto, investita anche di funzioni di controllo <strong>sul</strong>le amministrazioni<br />
comunali. Con la legge 30 dicembre 1888 n. 5865<br />
la “tutela”, ossia il controllo di merito sugli atti delle amministrazioni<br />
locali, fu trasferito dalla deputazione provinciale<br />
a un organo di nuova istituzione, la giunta provinciale amministrativa<br />
(da non confondersi con quella che in seguito si<br />
chiamerà giunta provinciale), presieduta dal prefetto e composta<br />
da due consiglieri di prefettura e da quattro membri<br />
effettivi (più due supplenti) eletti dal consiglio provinciale.<br />
Con il testo unico comunale e provinciale del 1889 fu introdotta<br />
la figura del presidente della deputazione provincia-
137<br />
le, eletto dalla stessa e diverso dal presidente del consiglio<br />
provinciale. Nel 1922, con l’avvento del fascismo, gli organi<br />
democratici provinciali furono soppressi e sostituiti da organi<br />
di nomina governativa (secondo la legge comunale e<br />
provinciale del 1928 un preside in luogo della deputazione<br />
e un rettorato, composto da 4 a 8 rettori, in luogo del consiglio).<br />
In seguito alla caduta del fascismo, l’amministrazione<br />
provvisoria delle province fu disciplinata con R.D.L. 4 aprile<br />
1944, n. 11 che la affidò, in attesa del ripristino del sistema<br />
elettivo, a un presidente e a una deputazione provinciale,<br />
nominati dal prefetto. Con la legge 8 marzo 1951, n. 122 fu<br />
ripristinato il sistema elettivo e la deputazione provinciale<br />
assunse l’attuale nome di giunta provinciale.<br />
Cattedra ambulante di agricoltura<br />
Le cattedre ambulanti di agricoltura furono per quasi<br />
un secolo la più importante istituzione di istruzione agraria,<br />
rivolta in particolare ai piccoli agricoltori, con l’apporto<br />
delle istanze più avanzate degli ambienti intellettuali e dal<br />
mondo della docenza, prima libera, poi di ruolo, proveniente<br />
dalle scuole e dagli istituti tecnici. Nel 1907, un primo<br />
provvedimento venne a disciplinare la vita delle cattedre e<br />
il reclutamento del personale. <strong>La</strong> materia fu regolamentata<br />
nuovamente nel 1928 con un decreto e nel 1935 le cattedre<br />
furono trasformate in ispettorati provinciali dell’agricoltura,<br />
cessando di essere emanazione delle iniziative locali e diventando<br />
uffici esecutivi del Ministero dell’agricoltura e delle<br />
foreste. Alla novità data dall’istituzione delle cattedre ambulanti<br />
si affiancò, progressivamente, la sempre maggiore<br />
specializzazione dei docenti, che impartivano insegnamenti<br />
tecnico-pratici itineranti.
138<br />
Consorzio agrario<br />
I Consorzi Agrari nacquero in forma di società cooperative<br />
<strong>sul</strong> finire del ‘800, per svolgere principalmente la funzione<br />
di gruppi di acquisto (soprattutto concimi chimici e<br />
macchine agricole) a favore degli agricoltori. Assorbirono<br />
negli anni molte delle funzioni che erano prima assunte da<br />
altre istituzioni create a favore degli agricoltori, in particolare<br />
dei Comizi agrari, che erano regolati dal R.D. 3452 del<br />
23 dicembre 1866, e della Società degli Agricoltori Italiani,<br />
ma che avevano fatto fatica a decollare. Dal 1926 i vari Consorzi<br />
agrari divennero “l’organo commerciale della Federazione<br />
Provinciale degli Agricoltori”: essi offrivano infatti un<br />
credito agrario senza interessi nei confronti degli acquisti di<br />
sementi, concimi, macchine agricole, bestiame e tutto ciò<br />
che era necessario all’attività produttiva agricola: in questo<br />
modo venivano abbattute l’usura bancaria e la speculazione<br />
realizzata dai grandi distributori privati. I Consorzi agrari,<br />
perfettamente inseriti nella politica agraria del fascismo (appoggiando<br />
bonifica integrale, Battaglia del grano, ecc.), organizzarono<br />
anche la gestione ammassi. Si trattava in questo<br />
caso di “ammassare” appunto tutti i prodotti primari per<br />
l’alimentazione nei Consorzi agrari per favorire una maggiore<br />
razionalizzazione ed efficienza nel settore e mantenere<br />
la nazione pronta in caso di necessità, trasformando più facilmente<br />
l’economia civile in economia di guerra. Nel 1935<br />
si verificò il primo ammasso volontario del grano, quando i<br />
Consorzi agrari ammassarono 12 milioni di quintali di grano,<br />
mentre nel 1938 ne vennero ammassati 40 milioni di quintali<br />
per le esigenze autarchiche. Il 30 maggio 1932, con legge<br />
n.752, venne costituito l’Ente Finanziario dei Consorzi Agrari,<br />
per agevolare l’assetto finanziario dei Consorzi stessi;<br />
mentre con il regio decreto legge del 5 settembre 1938 e
139<br />
la legge del 2 febbraio 1939 vennero costituiti di Consorzi<br />
Agrari Provinciali, che univano i compiti e le funzioni di Consorzi<br />
agrari e della Federazione, subendo una razionalizzazione<br />
che li riduceva da 196 a 94 (uno a provincia).<br />
<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong> imbottiglia i propri vini anche in versione<br />
Bacco di Homerus, a sostegno del Progetto Homerus ideato<br />
da Alessandro Gaoso, che ama chiamare queste bottiglie<br />
"contenitori di solidarietà".
140
141<br />
FONTI ARCHIVISTICHE<br />
E A STAMPA
142<br />
FONTI ARCHIVISTICHE E A STAMPA<br />
Archivio Comunale Manerba del <strong>Garda</strong>.<br />
Archivio Comunale Moniga del <strong>Garda</strong>.<br />
Archivio Privato Bettoni Bogliaco.<br />
Biblioteca del Senato della Repubblica, Archivio Maic.<br />
Archivio di Stato Brescia.<br />
Archivio Camera di Commercio di Brescia.<br />
AA.VV, Cooperative ed economia sociale a 150 anni da Rochdale, Bologna<br />
1996.<br />
AA.VV, Mezzo secolo di ricerca storica <strong>sul</strong>la cooperazione bianca.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e prospettive, a cura di Sergio Zaninelli, vol. I, Società<br />
Cattolica di Assicurazione, Verona 1996.<br />
Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e <strong>sul</strong>le condizioni della classe<br />
agricola, vol. VI Tomo 1°, Forzani e C. Tipografi del Senato,<br />
Roma 1882.<br />
Bettoni Lodovico, L’agricoltura nei contorni del lago di <strong>Garda</strong>,<br />
(estratto dal giornale "L’Italia agricola") Bernardoni, Milano 1877.<br />
Bettoni Lodovico, Relazione <strong>sul</strong>la condizione economica dei possessori<br />
d’immobili della Provincia di Brescia, Tip. del giornale <strong>La</strong> Sentinella<br />
Bresciana, Brescia 1862.<br />
Bettoni Lodovico, Della proprietà immobile nella provincia di Brescia,<br />
in Commentari dell’Ateneo di Brescia per gli anni 1862 – 1864,<br />
Apollonio, Brescia 1864.<br />
Bianchedi Carlo Alberto, L’olivicoltura e l’oleificazione nel circondario<br />
di Salò, Tip. Pavoni Brescia 1877.<br />
Bocchio Giovanni, Vino e vigneti nella riviera bresciana del lago di
143<br />
<strong>Garda</strong>, Tip. Codignola, Brescia 1898.<br />
Braga Emilio, L’agricoltura bresciana dalla crisi allo sviluppo (1880<br />
-1913), in Dalla Famiglia contadina all’impresa moderna, Grafo,<br />
Brescia 1984.<br />
Cafaro Pietro, Per una storia della cooperazione di credito: le casse<br />
rurali lombarde (1883-1963), F. Angeli, Milano 1985.<br />
Catasto Agrario del Regno d’Italia, Lombardia, zone 40 e 43.<br />
Cavalleri Ottavio, Il movimento operaio e contadino nel bresciano<br />
(1878-1903), ed. Cinque lune, Roma 1972.<br />
Cavalleri Ottavio, Iniziative sociali dei cattolici bresciani tra il 1896<br />
e il 1902, in "Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento<br />
sociale cattolico in Italia", 1968.<br />
Cavalleri Ottavio, Iniziative socioeconomiche dei cattolici bresciani<br />
tra il 1878 ed il 1903 con dati statistici, in "Brixia Sacra", 1969.<br />
Comizio Agrario Circondariale di Salò, Relazione della direzione del<br />
Comizio Agrario Circondariale di Salò per gli anni 1887,1889,1897,<br />
Brescia, Tip. Istituto Pavoni, Brescia 1888 -1890 - 1898.<br />
Consorzio Agrario Cooperativo del <strong>Garda</strong>, Statuto, Tip. Pirlo e Veludari,<br />
Salò 1898.<br />
Consorzio Agrario Cooperativo del <strong>Garda</strong>, Relazione all’assemblea<br />
generale dei soci, Tip. Devoti, 1899.<br />
Consorzio Antifillosserico <strong>Bresciano</strong>, Relazione sui lavori compiuti<br />
dal consorzio nell’anno 1902, Tip. Apollonio, Brescia 1903.<br />
Consorzio Antifillosserico <strong>Bresciano</strong>, Il territorio di Portese e San<br />
Felice di Scovolo sotto l’aspetto geologico viticolo, Lenghi e C., Brescia<br />
1911.<br />
Cova Alberto, Cattolici e questione agraria nell’Italia unita, Studium,<br />
Roma 1993.
144<br />
De Maddalena Aldo, L’economia bresciana nei secoli XIX e XX, in<br />
Storia di Brescia, vol. IV.<br />
Erculiani Giuseppe, <strong>La</strong> Società lago di <strong>Garda</strong>. Sue origini, scopi e<br />
sviluppo dal 1840 al 1940, Tip. Codignola, Brescia 1940.<br />
Fabbri Fabio, Il movimento cooperativo nella storia d’Italia 1854-<br />
1975, Milano 1979.<br />
Fagoboli Luigi, Del credito agricolo considerato come una delle forme<br />
di credito popolare, in Commentari dell’Ateneo di Brescia per<br />
l’anno 1867, Apollonio, Brescia 1867.<br />
Fappani Antonio, Le società opraie cattoliche nel bresciano, in "Bollettino<br />
dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico in<br />
Italia 1869-70".<br />
Fappani Antonio, Il prete e la montagna, Grafo, Brescia 1987.<br />
Galetti Vincenzo, <strong>La</strong> cooperazione in Italia. 90 anni di storia, Roma<br />
1976.<br />
Leali Giuliana, Manerba Ottocento, Comune di Manerba del <strong>Garda</strong>,<br />
1997.<br />
Lechi Francesco, L’agricoltura nella provincia di Brescia, in Storia<br />
di Brescia, vol. IV.<br />
Leonardi Andrea, <strong>La</strong> Federazione dei consorzi cooperativi dalle origini<br />
alla prima guerra mondiale (1895 -1914), in Per una storia<br />
della cooperazione trentina, vol. I, F. Angeli, Milano 1982.<br />
Leonesio Marco, Programma per la costituzione di una società anonima<br />
cooperativa di credito e sindacato agricolo a capitale illimitato<br />
fra gli agricoltori dei mandamenti di Salò e Gargnano, Tip.<br />
Devoti e Conter, Salò 1892.<br />
Marchiori Pietro, Le principali coltivazioni della provincia di Brescia<br />
con 10 carte illustrative, Tip. Queriniana, Brescia 1884.
145<br />
Marchiori Pietro, <strong>La</strong> diversa intensità delle principali nostre coltivazioni<br />
agrarie, in Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno1881,<br />
Apollonio, Brescia 1881.<br />
Mazza Attilio, Vecchia Valtenesi, Edizioni del Moretto- Confraternita<br />
del Groppello, Brescia 1995.<br />
Mazza Attilio ( a cura di), <strong>La</strong> Valtenesi e il groppello, Edizioni del<br />
Moretto - Confraternita del Groppello, Brescia 1980.<br />
Milesi Ottorino, Il vino e i vini bresciani, CCIAA Brescia, s.d.<br />
Omodeo Salè Carlo, Avvicendamenti e consociazioni colturali della<br />
Riviera bresciana del <strong>Garda</strong> nel quadro della evoluzione agricola<br />
nell’ultimo cinquantennio, in Memorie dell’Ateneo di Salò, Tip. Giovanelli,<br />
Toscolano 1940.<br />
Pasini Pier Giuseppe, <strong>La</strong> specializzazione delle colture, in Atlante<br />
del <strong>Garda</strong>, vol III, Grafo, Brescia 1992.<br />
Pasini Pier Giuseppe Dai campi al campeggio, in Manerba 900, ed.<br />
Centro studi per il territorio benacense, <strong>Garda</strong> 1987.<br />
Pasini Pier Giuseppe, Moniga. Storia di una comunità tra Ottocento<br />
e Novecento, Grafo, Brescia 1997.<br />
Romani Mario, Un secolo di vita agricola in Lombardia (1861-<br />
1961), Giuffrè, Milano 1963.<br />
Rossetti Giuseppe, Floridezza, decadenza e risorgimento di un podere<br />
di tipo arabile nella zona collinare dell’anfiteatro morenico benacense.<br />
Un terzo di secolo di agricoltura pratica, Tip.Longhi e C.,<br />
Brescia 1911.<br />
Samuelli Tomaso, Origine della società <strong>La</strong>go di <strong>Garda</strong> ed operazioni<br />
da essa compite durante un quarantennio, Tip. Conter, Salò 1883.<br />
Sapelli Giulio (a cura di), Il movimento cooperativo in Italia. Storia<br />
e problemi, Torino 1981.
146<br />
Società Operaia Agricola Cattolica Federativa di Mutuo Soccorso<br />
di Salò e paesi limitrofi, Statuto, Queriniana, Brescia 1890.<br />
Società Operaia e Agricola di Mutuo Soccorso in Manerba, Statuto,<br />
Pirlo, Salò 1889.<br />
Società Operaia di Lonato, Statuto, Bignotti, Castiglione 1894.<br />
Società operaia di Moniga del lago, Statuto, Apollonio, Brescia<br />
1889.<br />
Solitro Giuseppe, Benaco, Devoti, Salò 1897 (ristampa anastatica<br />
1997).<br />
Vescia Michele, Sviluppo e prospettiva della viticoltura gardesana e<br />
della produzione vinicola con particolare riferimento ai recenti provvedimenti<br />
della Comunità Europea, in Lo sviluppo economico della<br />
regione del <strong>Garda</strong>, vol. I, Contardi - Comunità del <strong>Garda</strong>, Verona1973.<br />
Zane Marcello, Banca di Bedizzole e Turano Valvestino 1895 -2005,<br />
Grafiche Tagliani per Banca di Bedizzole e Turano Valvestino, Calcinato<br />
2005.<br />
Zane Marcello, BCC del <strong>Garda</strong> Banca di Credito Cooperativo Colli<br />
Morenici del <strong>Garda</strong> –una cooperazione di comunità 1895-2005,<br />
Edizioni del Credito Cooperativo, Roma 2005.<br />
Zangheri R., Galasso G., Castronovo V., Storia del movimento cooperativo<br />
in Italia 1886-1986, Torino 1986.<br />
Zucchini Mario, L’agricoltura bresciana nel centennio 1871 -1970,<br />
in "Rivista di Storia dell’agricoltura", 1972.<br />
Zucchini Mario, Le cattedre ambulanti di agricoltura (1886- 1935)<br />
in "Rivista di Storia dell’agricoltura", 1970.
147<br />
PERIODICI<br />
"<strong>Agricoltura</strong> (l’) bresciana". Periodico del Comizio Agrario di Brescia,<br />
1890 -1894.<br />
"<strong>Agricoltura</strong> (l’) bresciana". Organo settimanale del Comizio e delle<br />
Istituzioni agrarie bresciane, 1913 – 1915.<br />
"Atti del Consiglio Provinciale di Brescia dal 1860 al 1914", Brescia,<br />
Apollonio.<br />
"Brescia Agricola". Giornale agricolo commerciale, 1884- 1889."<br />
"<strong>Garda</strong> (Il). Gazzetta settimanale del Circondario di Salò", 1889<br />
-1891.<br />
"Giornale delle istituzioni agrarie bresciane", 1902 -1905.<br />
"Risorgimento (Il) agricolo". Organo ufficiale della Cattedra Ambulante<br />
e del Consorzio Agrario Cooperativo della Riviera Bresciana<br />
del <strong>Garda</strong>, Tip. Gio Devoti, Salò, 1900 -1917.
148<br />
Relazione per l'inchiesta agraria Jacini
149
INDICE<br />
7 Introduzione<br />
13 Le caratteristiche dell'agricoltura gardesana<br />
43 Le iniziative di solidarietà sociale<br />
83 <strong>La</strong> lunga battaglia per la difesa della qualità<br />
109 <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong><br />
127 Le cooperative verso il futuro<br />
133 Glossario<br />
141 Fonti archivistiche e a stampa
Finito di stampare nel novembre <strong>2016</strong><br />
per conto di <strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong><br />
Progetto grafico e stampa: Premier Padenghe <strong>sul</strong> <strong>Garda</strong> (BS)<br />
Fotografie: Archivio Pier Giuseppe Pasini<br />
<strong>Cantine</strong> <strong>La</strong> <strong>Pergola</strong><br />
Coordinamento: Max Bocchio, Liliana Baronio<br />
Simboli grafici: Marta Andreoni
15€