Lev Tolstoj - Due Ussari
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<strong>Lev</strong> <strong>Tolstoj</strong><br />
<strong>Due</strong> ussari<br />
Nota introduttiva di Italo Calvino<br />
Traduzione di Agostino Villa
INDICE<br />
Nota introduttiva ________________________________ 4<br />
Nota bio-bibliografica ____________________________ 8<br />
<strong>Due</strong> ussari ______________________________________ 12<br />
I. ______________________________________________ 15<br />
II. _____________________________________________ 22<br />
III. ____________________________________________ 28<br />
IV. ____________________________________________ 33<br />
V. _____________________________________________ 41<br />
VI. ____________________________________________ 45<br />
VII. ____________________________________________ 50<br />
VIII. ___________________________________________ 55<br />
IX. ____________________________________________ 59<br />
X. _____________________________________________ 67<br />
XI. ____________________________________________ 74<br />
XII. ____________________________________________ 80<br />
XIII. ___________________________________________ 82<br />
XIV. ___________________________________________ 90<br />
XV. ____________________________________________ 97<br />
XVI. __________________________________________ 101
Nota introduttiva<br />
Capire come <strong>Tolstoj</strong> costruisce la sua narrazione non è facile.<br />
Quel che tanti narratori tengono allo scoperto, - schemi<br />
simmetrici, travi portanti, contrappesi, cerniere rotanti, - in lui<br />
resta nascosto. Nascosto non vuol dire che non ci sia:<br />
l’impressione che <strong>Tolstoj</strong> dà di portare pari pari sulla pagina<br />
scritta «la vita» (questa misteriosa entità per definire la quale<br />
siamo obbligati a partire dalla pagina scritta) non è che un<br />
risultato d’arte, cioè d’un artificio più sapiente e complesso di<br />
tanti altri.<br />
Uno dei testi in cui la «costruzione» tolstojana è meglio<br />
visibile è <strong>Due</strong> ussari, e siccome questo è uno dei racconti più<br />
tipici suoi, - del primo e pili diretto <strong>Tolstoj</strong>, - e dei più belli,<br />
osservando com’è fatto possiamo imparare qualcosa sul modo<br />
di lavorare dell’autore.<br />
Scritto e pubblicato nel 1856, Dva gusara si presenta come<br />
rievocazione d’un’epoca ormai remota, gli inizi dell’Ottocento,<br />
e il tema è quello della vitalità, prorompente e senza freno, una<br />
vitalità vista come già lontana, perduta, mitica. Gli alberghi<br />
dove gli ufficiali in trasferta attendono il cambio dei cavalli per<br />
le slitte e si spennano giocando a carte, i balli della nobiltà di<br />
provincia, le notti di baldoria «dagli zigani»: è nella classe alta<br />
che <strong>Tolstoj</strong> rappresenta e mitizza questa violenta energia vitale,<br />
quasi un fondamento naturale (perduto) del feudalesimo<br />
militare russo.<br />
Tutto il racconto fa perno su un eroe per cui la vitalità è<br />
ragione sufficiente di successo e di simpatia e di dominio, e<br />
trova in se stessa, nella propria indifferenza verso le regole e nei<br />
propri eccessi, una sua morale e una sua armonia. Il<br />
personaggio del conte Turbin, ufficiale degli ussari, gran<br />
bevitore e giocatore e donnaiolo e duellante, non fa che<br />
concentrare in sé la forza vitale diffusa nella società. I suoi
poteri d'eroe mitico consistono nel dare esiti positivi a questa<br />
forza che nella società palesa le sue potenzialità distruttive: un<br />
mondo di bari, dilapidatori del pubblico denaro, ubriaconi,<br />
millantatori, scrocconi, libertini, ma in cui una calorosa<br />
indulgenza reciproca trasforma tutti i conflitti in gioco e in<br />
festa. La civiltà gentilizia maschera appena una brutalità d’orda<br />
di barbari; per il <strong>Tolstoj</strong> dei <strong>Due</strong> ussari la barbarie è l’immediato<br />
ieri della Russia aristocratica, e in questa barbarie stava la sua<br />
verità e la sua salute. Basti pensare all’apprensione con cui, al<br />
ballo della nobiltà di K., l’ingresso del conte Turbin è visto dalla<br />
padrona di casa.<br />
Invece Turbin unisce in sé violenza e leggerezza; <strong>Tolstoj</strong> gli<br />
fa fare sempre le cose che non si dovrebbero fare, ma dà ai suoi<br />
movimenti il dono d’una miracolosa giustezza. Turbin è capace<br />
di farsi prestare soldi da uno snob e di non sognarsi di<br />
renderglieli, anzi, d’insultarlo e malmenarlo; di sedurre<br />
fulmineamente una vedovella (sorella del suo creditore)<br />
nascondendosi nella carrozza di lei e di non curarsi di<br />
comprometterla mostrandosi in giro indossando la pelliccia del<br />
suo defunto marito; ma è anche capace di gesti di disinteressata<br />
galanteria, come il tornare indietro nel suo viaggio in slitta per<br />
darle un bacio nel sonno e ripartire. Turbin è capace di dire in<br />
faccia a ciascuno quel che si merita; dà del baro a un baro, poi<br />
gli porta via di forza i soldi mal vinti per rimborsare il<br />
sempliciotto che s’era lasciato defraudare, e della somma che<br />
ancora avanza fa un regalo alle zigane.<br />
Ma questa è solo metà del racconto, i primi otto capitoli su<br />
sedici. Al capitolo nono c’è un salto di vent’anni: siamo nel<br />
1848, Turbin è morto da un pezzo in un duello, e suo figlio è<br />
ufficiale degli ussari a sua volta. Anche lui arriva a K., in marcia<br />
verso il fronte, e incontra alcuni dei personaggi della prima<br />
storia: il cavallerizzo fatuo, la vedovella diventata una<br />
rassegnata matrona; più una figlia giovinetta, per rendere<br />
simmetrica la nuova generazione alla vecchia. La seconda parte<br />
del racconto — ci accorgiamo subito — ripete specularmente la
prima, ma tutto all’incontrario: a un inverno di neve e slitte e<br />
vodka risponde una mite primavera di giardini al chiar di luna,<br />
al primo Ottocento selvaggio delle orge nei caravanserragli<br />
delle stazioni di tappa risponde un pieno Ottocento assestato di<br />
lavori a maglia e noia tranquilla nella calma familiare. (La<br />
contemporaneità, questa, per <strong>Tolstoj</strong>: difficile oggi per noi<br />
riuscire a situarci nella sua prospettiva).<br />
Il nuovo Turbin fa parte d’un mondo più civile, e si vergogna<br />
della fama di scavezzacollo lasciata dal padre. Mentre il padre<br />
picchiava e strapazzava il servo ma stabiliva con lui una sorta di<br />
complementarità e confidenza, il figlio col servo non fa che<br />
brontolare e lamentarsi, vessatorio anche lui, ma stridulo e<br />
molle. C’è una partita a carte anche qui, una partita in famiglia,<br />
da pochi rubli, e il giovane Turbin coi suoi piccoli calcoli non si<br />
trattiene dallo spennare la padrona di casa che lo ospita,<br />
mentre intanto fa il piedino alla figlia. Quanto suo padre era<br />
prepotente e generoso, tanto lui è meschino; ma è soprattutto<br />
un approssimativo, un maldestro. Il flirt è un seguito d’equivoci;<br />
una seduzione notturna si riduce a un tentativo goffo, a una<br />
brutta figura; anche il duello che stava per venirne fuori si<br />
smorza nel tran-tran.<br />
In questo racconto di costumi militari, opera del più grande<br />
scrittore di guerra «en plein air», si direbbe che la grande<br />
assente sia proprio la guerra. Eppure è un racconto di guerra: le<br />
due generazioni (aristocratico-militari) dei Turbin sono<br />
rispettivamente quella che ha sconfitto Napoleone e quella che<br />
ha represso la rivoluzione in Polonia e in Ungheria. I versi che<br />
<strong>Tolstoj</strong> mette in epigrafe al racconto assumono un significato<br />
polemico verso la Storia con l’esse maiuscolo, che tiene conto<br />
solo delle battaglie e dei piani strategici e non della sostanza di<br />
cui sono fatte le esistenze umane. È già la polemica che <strong>Tolstoj</strong><br />
svilupperà una decina d’anni dopo in Guerra e pace: anche se<br />
qui non ci si distacca dai costumi degli ufficiali, sarà lo sviluppo<br />
di questo stesso discorso che porterà <strong>Tolstoj</strong> a contrapporre ai<br />
grandi condottieri la massa contadina dei soldati semplici come
veri protagonisti storici.<br />
Non è dunque tanto l’esaltare la Russia d’Alessandro I in<br />
contrapposizione a quella di Nicola I che sta a cuore a <strong>Tolstoj</strong>,<br />
quanto il ricercare la vodka della storia (vedi l’epigrafe), il<br />
combustibile umano. L’apertura della seconda parte (capitolo<br />
IX) - che fa pendant all’introduzione, ai suoi flashes nostalgici<br />
un po’ di repertorio - non è ispirata a un generico rimpianto del<br />
passato, ma a una complessa filosofia della storia, a un bilancio<br />
dei costi del progresso. «...Molto di bello e molto di brutto, fra<br />
quanto era vecchio, era sparito, molto di bello, fra quanto era<br />
nuovo, s’era sviluppato, e molto, anzi, molto di più - fra quanto<br />
era nuovo - incapace di sviluppo, mostruoso, aveva fatto la sua<br />
comparsa sotto il sole».<br />
La pienezza di vita tanto lodata dai commentatori di <strong>Tolstoj</strong><br />
è - in questo racconto come nel resto dell’opera - la<br />
constatazione d’un’assenza. Come nel narratore più astratto, ciò<br />
che conta in <strong>Tolstoj</strong> è ciò che non si vede, ciò che non è detto,<br />
ciò che potrebbe esserci e non c’è.<br />
ITALO CALVINO
Nota bio-bibliografica<br />
<strong>Lev</strong> Nikolaevič <strong>Tolstoj</strong> nacque il 28 agosto (9 settembre) 1828 a Jasnaja<br />
Poljana presso Tuia dal conte Nikolaj Il'ic e dalla principessa Marija<br />
Nikolaevna Volkonskaja. La madre mori quando T. non aveva ancora due<br />
armi. Nel 1837 mori improvvisamente anche il padre. Dell’educazione di Т.,<br />
dei suoi tre fratelli maggiori e della sorella minore si occupò una loro lontana<br />
parente, T. A. Ergol'skaja, cui T. fu sempre legato da particolare affetto.<br />
Trasferitosi con la famiglia a Kazan' nel 1841 e ammesso in quella università<br />
nel 1844 (dapprima alla sezione orientale della facoltà di filosofia, poi alla<br />
facoltà di giurisprudenza), nel 1847 T. lascia l’ateneo senza avervi ultimato gli<br />
studi e fa ritorno nella tenuta di Jasnaja Poljana, dove nel 1849 apre una scuola<br />
per i figli dei contadini. Nel maggio 1851 parte per il Caucaso dove rimane fino<br />
al 1854, partecipando alle azioni militari contro le popolazioni locali. Nel<br />
Caucaso scrive Detstvo (Infanzia), che aveva cominciato nel 1851, Otročestvo<br />
(Adolescenza), alcuni racconti e il romanzo Kazaki (I cosacchi). Nel settembre<br />
1852 nella rivista «Sovremennik» (Il Contemporaneo), allora diretta dal poeta<br />
N. A. Nekrasov, esce il primo scritto di Т., Infanzia, accolto dalla critica con<br />
molto favore.<br />
Di ritorno dal Caucaso Т., dietro sua richiesta, fu trasferito nell’Armata<br />
danubiana che combatteva contro i Turchi e, nel novembre 1854, fu inviato a<br />
Sebastopoli, dove prese parte alla guerra di Crimea e alla difesa della città. Di<br />
questa esperienza furono frutto i Sevastopol'skie rasskazy (Racconti di<br />
Sebastopoli). Animato già in quegli anni da un profondo sentimento religioso<br />
(che nel 1854 gli faceva scrivere nel diario di essere dominato da un’«idea<br />
grande, enorme»: «la fondazione di una nuova religione corrispondente allo<br />
sviluppo dell’umanità, la religione di Cristo, ma purificata dalla fede e dal<br />
mistero, una religione pratica che non prometta una beatitudine futura bensì<br />
che dia la beatitudine sulla terra»), T. si stanca della carriera militare e nel<br />
novembre 1856 va in congedo col grado di sottotenente.<br />
T. entrò nella vita letteraria russa negli anni sessanta, che erano dominati<br />
dalla lotta ideologica tra i rappresentanti della critica democratica e<br />
rivoluzionaria (N. G. Černyševskij, N. A. Dobroljubov) e della critica liberale e<br />
moderata (Р. V. Annenkov, A. V. Družinin). Entrato nel gruppo che faceva<br />
capo alla rivista progressista «Sovremennik» (in cui avveniva proprio allora un<br />
processo di differenziazione tra gli elementi più politicamente avanzati,<br />
sostenuti da Nekrasov, e quelli più moderati о incerti, tra cui Turgenev), T.<br />
ben presto si trovò isolato e deluso in quell’ambiente di intellettuali e<br />
ideologi, e per un breve tempo si avvicinò all’ala liberale e estetizzante, pur
essendo intimamente estraneo anche ad essa.<br />
Nel 1856 T. porta a termine Junost' (Giovinezza), l’ultima parte della sua<br />
trilogia autobiografica, e pubblica alcuni racconti. Al principio del 1857 lascia<br />
la Russia e compie il suo primo viaggio nell’Europa occidentale (Germania,<br />
Francia, Italia settentrionale e Svizzera). Nel 1857 pubblica il racconto Ljucern<br />
(Lucerna), in cui dà sfogo alle tendenze «anarchiche», come T. stesso le<br />
chiama, rafforzateglisi nel soggiorno europeo-occidentale, e negli anni<br />
immediatamente successivi dà alle stampe altri racconti. Nel giugno 1860<br />
parte per l’estero allo scopo di vedere il fratello Nikolaj ammalato di<br />
tubercolosi, e la sua morte, avvenuta nell’ottobre dello stesso anno, lo colpisce<br />
profondamente. Durante questo soggiorno europeo T. s’incontrò, tra l’altro,<br />
con Herzen e Proudhon.<br />
Tornato in patria, oltre a ricoprire la carica di giudice di pace, T. inizia la<br />
pubblicazione della rivista «Jasnaja Poljana», di cui uscirono in tutto (nel<br />
1862) dodici numeri. La rivista era divisa in due fascicoli distinti: l’uno portava<br />
il sottotitolo «Scuola. Rivista pedagogica» e l’altro quello di «Libretti per<br />
bambini». «Jasnaja Poljana» fu l’organo dell’esperienza didattica di T. ispirata<br />
alla «libera educazione». Caratteristico è il titolo di uno degli articoli che T. vi<br />
pubblicò: Коти и kogo učit’sja pisat', krest'janskim rebjatatm и nas ili пат и<br />
krest’janskich rebjat? (Da chi si deve imparare a scrivere: i bambini dei<br />
contadini da noi о noi da loro?). La risposta è che lo scrittore, dovendo vedere<br />
il mondo nella sua realtà, deve apprendere questa capacità dai piccoli<br />
contadini che contemplano le cose con occhi puri e chiari.<br />
Nel settembre 1862 T. sposa Sof'ja Andreevna Bers, figlia del medico di<br />
corte. Da principio egli si senti marito felice e non meno felice padre di una<br />
famiglia sempre più numerosa. Se in seguito la vita coniugale di T. si turbò,<br />
ciò avvenne non per una particolare cattiva disposizione d’animo della<br />
moglie, ma al contrario per il suo naturale desiderio di vivere una vita<br />
«normale», conforme alle consuetudini e ai pregiudizi del loro ambiente. Cosa<br />
che con T. a un certo punto divenne chiaramente impossibile.<br />
Dal 1863 al 1869 T. lavorò a Vojna i mir (Guerra e pace). Originariamente<br />
egli pensava di scrivere un romanzo sui decabristi ai quali nel 1856 era stato<br />
concesso di fare ritorno dalla Siberia. Il romanzo doveva cominciare appunto<br />
da quell’anno. Poi T. spostò la data dell’inizio al 1825, l’anno stesso della<br />
rivolta decabrista. Ma anche questo inizio fu ritenuto insoddisfacente perché<br />
non permetteva di illuminare la formazione del carattere del protagonista. T.<br />
retrocesse allora al 1812, epoca dell’invasione napoleonica. Il romanzo, intanto<br />
era diventato diverso da quello progettato, e l’inizio suo definitivo divenne il<br />
1805.<br />
Anna Karenina fu scritta negli anni 1873-77 e come già Guerra e pace, la<br />
sua creazione attraversò vari e complessi momenti. Matura intanto in T.
quello stato di sentimenti e di idee che si è soliti denominare «crisi», ma che è<br />
semplicemente l’organico e regolare coronamento di quella ininterrotta serie<br />
di «crisi» che forma il tessuto di tutta la sua vita morale e intellettuale. Nel<br />
1879-80 compone la sua Ispoved' (Confessione), cui seguono altri scritti di<br />
carattere religioso. Sul piano pròpriamente letterario gli anni ottanta segnano<br />
una straordinaria fioritura di opere originali come Smert' Ivana Il'iča (La morte<br />
di Ivan Il'ič), Krejcerova sonata (La sonata a Kreutzer), Chozjain i rabotnik<br />
(Padrone e lavorante), Otec Sergij (Padre Sergij) e altre. Nel 1889 T. comincia a<br />
lavorare a Voskresenie (Resurrezione), che, dopo essere apparso nella rivista<br />
«Niva» (Il campo), nel 1900 venne pubblicato in volume in un’edizione<br />
fortemente mutilata dalla censura zarista. L’edizione integrale del romanzo<br />
apparve allora solo in Inghilterra.<br />
Nel febbraio 1901 la chiesa russa con una Decisione del sinodo scomunicò<br />
solennemente T. perché, vi si diceva, egli dedicava «la sua attività letteraria e<br />
il talento donatogli dal Signore alla diffusione tra il popolo di dottrine<br />
contrarie a Cristo e alla Chiesa». La critica sociale di T. investiva non solo la<br />
chiesa ortodossa e lo stato zarista e le loro varianti europeo-occidentali, ma si<br />
risolveva in un’invettiva contro tutta la civiltà moderna, ispirandosi a un<br />
«comunismo» anarchico-cristiano di tipo patriarcale-contadino. Nell’articolo<br />
Rabstvo našego vremeni (La schiavitù del nostro tempo) (1900) T. scrive:<br />
«Sono cose magnifiche l’illuminazione elettrica, i telefoni, le mostre e tutti i<br />
giardini d’Arcadia con i loro concerti e spettacoli, e tutti i sigari e i<br />
portafiammiferi e le bretelle e i motori; ma vadano tutte in malora e non solo<br />
loro, ma le strade ferrate e tutti i panni e le stoffe del mondo, se per la loro<br />
produzione è necessario che il 99 per cento degli uomini siano in schiavitù e<br />
periscano a migliaia nelle fabbriche necessarie per la produzione di questi<br />
oggetti». Per combattere contro questo mondo T. faceva appello a tutte le<br />
forze della «ragione» e dell'«amore», ma non alla violenza perché, come dirà<br />
in Tri pritči (Tre parabole), «ogni resistenza al male con la violenza non fa che<br />
aumentare il male» e «gli uomini continuano tranquillamente a produrre e<br />
aumentare il male credendo di distruggerlo».<br />
Gli ultimi anni della vita di T. furono densi d’attività. Tra le sue opere di<br />
questo periodo sono da ricordare l’importante trattato Čto takoe iskusstvo?<br />
(Che cos’è l’arte?) (1897) e l’ultimo suo capolavoro narrativo Chadži-Murat<br />
(1896-1904). Intanto andava maturando l’ultima crisi morale di Т., quella che<br />
lo costrinse a lasciare Jasnaja Poljana e che precedette di poco la sua morte.<br />
Ammalatosi durante il breve viaggio che segui la sua fuga, il 7 (20) novembre<br />
1910 T. mori nella piccola stazione di Astapovo, dove aveva trovato rifugio.<br />
Seguirono i funerali civili che riuscirono solenni nonostante gli impedimenti<br />
del governo zarista. T. fu sepolto nel parco di Jasnaja Poljana, secondo il suo<br />
desiderio.
<strong>Due</strong> ussari
... Jomini, sempre Jomini,<br />
ma della vodka neanche una parola<br />
D. DAVYDOV 1<br />
Intorno al 1800, a quei tempi in cui non c’erano ancora<br />
strade ferrate né massicciate, lumi a gas né candele steariche,<br />
né bassi divani con le molle, né mobilia che non fosse laccata,<br />
né delusi giovinotti con l’occhialino, né liberaleggianti<br />
filosofesse, né leggiadre signore delle camelie, che si sono tanto<br />
moltiplicate all’epoca nostra; a quegl’ingenui tempi in cui, chi<br />
da Mosca partiva per Pietroburgo, in vettura da viaggio о in<br />
landau, si portava dietro una cucina intera di roba preparata in<br />
casa, stava in viaggio otto giorni di seguito per quelle strade a<br />
fondo naturale, tra il polverone о il fango, e aveva una<br />
reverenziale fiducia nelle fettine di carne arrostite ai ferri, nelle<br />
sonagliere del Valdàj, e nei croccantini; quando, nelle lunghe<br />
serate autunnali, ardevano le candele di sego, facendo luce a<br />
crocchi familiari di venti о trenta persone, e ai balli, sui<br />
candelabri, s’infilavano candele di cera vergine о di bianco di<br />
balena; quando i mobili si disponevano in bella simmetria,<br />
quando i nostri padri eran giovani ancora, non solo perché non<br />
avevano rughe о capelli brizzolati, ma perché eran pronti a<br />
prendersi a pistolettate per le donne, e dall’altro capo della<br />
stanza si slanciavano a raccattare i fazzolettini casualmente e<br />
non casualmente scivolati in terra; quando le nostre mamme<br />
portavano corti corti i vitini ed enormi le maniche, e<br />
decidevano degli affari di famiglia con l’estrazione di biglietti a<br />
sorte; quando le seducenti signore delle camelie si tenevan<br />
1 [Il generale svizzero barone de Jomini, trapiantatosi in Russia e nominato precettore<br />
del futuro Alessandro II, scrisse per quest’ultimo il celebre Précis de l’ Art de la Guerre<br />
(1837). Appunto a questo manuale allude il Davydov nei versi posti qui da <strong>Tolstoj</strong>, come<br />
argomento di continue conversazioni tra i militari, a contrasto della vodka molto usata<br />
ma sempre sottaciuta].
lontane dalla luce del sole; all’epoca ingenua delle logge<br />
massoniche, dei martinisti, del tunghendbund, all’epoca dei<br />
Miloràdovič, dei Davýdov, dei Pùškin, — nella città di K.,<br />
capoluogo di governatorato, i proprietari di terre s’erano riuniti<br />
a congresso, e si era al termine delle elezioni per le cariche<br />
inerenti alla nobiltà.
I.<br />
-Bah, non fa nulla: dovessi anche adattarmi in sala di<br />
soggiorno, - diceva un giovane ufficiale in pelliccia e berretto da<br />
ussaro, sceso appena da una slitta da viaggio alla porta del<br />
miglior albergo della città di K.<br />
-C’è un concorso di gente, Eccellenza cara, proprio<br />
tremendo! — rispondeva il servitore addetto alle camere, che<br />
già dall’attendente aveva avuto modo di sapere come il<br />
cognome dell’ussaro fosse conte Turbìn, e quindi lo aveva<br />
onorato di quell’Eccellenza. – La proprietaria di Affermo, e<br />
figliuole, hanno promesso di partir prima di sera: sicché potrete<br />
occupare, non appena si libera, il numero undici, —<br />
continuava, inoltrandosi con passo molle dinanzi al conte pel<br />
corridoio, e rigirandosi indietro ogni momento.<br />
In sala di soggiorno, intorno a una piccola tavola, sotto un<br />
annerito ritratto in piedi dell’imperatore Alessandro, stavano a<br />
bere champagne parecchie persone, nobili locali senza dubbio, e<br />
in disparte alcuni mercanti di passaggio, con le pellicce dalla<br />
fodera turchina.<br />
Entrato nella stanza e chiamatovi dentro Blücher – un<br />
enorme, grigio molosso, arrivato in slitta con lui — il conte<br />
gettò via il mantello, che ancora, sul bavero, era incrostato di<br />
ghiaccio, chiese dell’acquavite, e, cosi in archalŭk 2 di raso<br />
azzurro, com’era rimasto, andò a sedersi alla tavola e attaccò<br />
discorso coi signori che vi si trovavano, i quali, subito<br />
favorevolmente disposti verso il forestiero dalla sua bella e.<br />
aperta presenza, gli offrirono un calice di champagne. Il conte,<br />
che aveva bevuto da principio un bicchierino d’acquavite, ne<br />
chiese poi addirittura una bottiglia, da offrire ai nuovi<br />
2 [Il corto giaccone caucasico]
conoscenti. Entrò, in quel punto, il vetturale, a chieder la<br />
mancia per bere.<br />
-Sàška, - diede voce il conte, - pensa a dargli tu!<br />
Il vetturale s’allontanò con Sàška e ricomparve di nuovo,<br />
tenendo in mano il danaro.<br />
-E che, Voscenza? Eppure, se non sbaglio, mi son dato da<br />
fare per meritarmi la grazia vostra! Mezzo rublo m’avevate<br />
promesso, e questo qua m’ha messo in mano una monetina da<br />
un quarto.<br />
-Sàška! Dagli il mezzo rublo!<br />
Sàška, a testa bassa, diede un’occhiata ai piedi del vetturale.<br />
-Ha già avuto abbastanza, costui, - disse in chiave di basso: -<br />
eppoi, io, non ho neanche più soldi.<br />
Allora il conte tirò fuori dal portafoglio gli unici due<br />
bigliettini azzurri 3 che c’erano dentro, e ne diede uno al<br />
vetturale, che gli baciò la mano e se ne andò.<br />
-Guarda un po’ a che m’ha ridotto! – esclamò il conte. – Ecco<br />
gli ultimi cinque rubli che mi restano.<br />
-Alla ussara, conte! - sorridendo gli disse uno dei nobili, che<br />
ai baffi, alla voce, e a una certa energica scioltezza di gambe,<br />
dava a vedere d’esser stato ufficiale di cavalleria. - Avete<br />
intenzione di fermarvi a lungo, conte, qui da noi?<br />
-C’è questo danaro, che debbo procurarmi: altrimenti, non<br />
mi sarei fermato. Ma poi, neppur le camere ci sono (che il<br />
diavolo se li straporti!) in questa maledetta locanda.<br />
Permettete, conte, — ribattè il vecchio cavallerizzo, — non<br />
vi farebbe comodo favorir da me? Io sto qui, al numero sette. Se<br />
non vi spiacesse, potreste passar così, intanto, stanotte. Ma<br />
fermatevi con noi, addirittura, tre giornatelle: oggi stesso ci sarà<br />
un ballo in casa del maresciallo della nobiltà. Come ne sarebbe<br />
felice, anche lui!<br />
3 [Da cinque rubli].
-Davvero, conte, siate ospite nostro! — incalzò un altro dei<br />
presenti, bel giovanotto. — Che scopo, affrettarvi tanto?<br />
Questa, sapete, è una cosa che ricorre ogni tre anni, le elezioni!<br />
Almeno dareste un’occhiata alle nostre signorine, conte!<br />
-Sàška, portami la biancheria: vado a fare il bagno, - esclamò<br />
il conte, levandosi in piedi. – E poi, vedremo un po’: chissà che<br />
non mi salti sul serio l’estro d’andar là dal maresciallo.<br />
Quindi chiamò a sé il cameriere, e gli disse qualcosa, a cui il<br />
cameriere, con un risolino, rispose che «tutto si può fare a<br />
questo mondo». E s’avviò di là.<br />
-Allora, io, caro amico, in camera vostra faccio portare il<br />
bagaglio! – gridò ancora di là dalla porta.<br />
Fatemi senz’altro quest’onore: felicissimo! – rispose il<br />
cavallerizzo, accorrendo verso la porta. – Al numero sette, non<br />
vi scordate.<br />
Quando il passo del conte non si sentì più, il cavallerizzo<br />
tornò al posto suo e, sedendosi più accosto a un funzionario,<br />
con occhi sorridenti lo guardò diritto in faccia, dicendo:<br />
-Ma non c’è dubbio, è proprio lui in persona.<br />
-Cosa c’è?<br />
- Ti sto dicendo ch’è proprio lui in persona, quell’ussaro gran<br />
duellista... il famoso Turbin, insomma. M’ha riconosciuto di<br />
certo: ci farei qualunque scommessa, che m’ha riconosciuto. E<br />
come no: a Lebedjàn, noi due, abbiam fatto baldoria tre<br />
settimane di seguito senza mai riposarci, una volta che ci andai<br />
per la rimonta. Ci fu, in quell’occasione, uno di quegli<br />
scherzetti... lo combinammo d’intesa noi due. Ma è un uomo in<br />
gamba, eh?<br />
- Un uomo in gamba. E che squisitezza di modi! Non si nota<br />
nulla di quel che dite, - rispondeva il bel giovanotto. — Come<br />
abbiam fatto presto ad affiatarci... Che cosa avrà, un<br />
venticinqu’anni, non più?<br />
-Macché: così dimostra, ma ne ha di più. Ma bisogna sapere,<br />
perbacco, che tipo è! La Migunòv, chi l’ha rapita? Lui! Sàblin, lui<br />
l’ha freddato; Màtnjev, lui l’ha preso pei piedi e scaraventato
dalla finestra; il principe Njèsterov, lui l’ha pelato di<br />
trecentomila rubli. Eh sì, che razza di caposcarico è quello lì,<br />
bisogna saperlo! Giuocatore, duellista, dongiovanni: anima di<br />
ussaro, però, vera anima di ussaro. Giacché, di noialtri, se ne<br />
dicono tante, ma ci fosse qualcuno che capisse cosa significa<br />
essere un vero ussaro! Ah, che bei tempi erano quelli...<br />
E il cavallerizzo raccontò al suo interlocutore un’orgia<br />
siffatta, là a Lebedjàn, col conte, che la simile, non solo non era<br />
mai accaduta, ma non sarebbe potuta accadere. E non sarebbe<br />
potuta accadere anzitutto perché il conte, prima d’oggi, egli<br />
non lo aveva mai veduto, ed era andato in congedo due anni<br />
avanti che il conte entrasse in servizio; secondariamente, poi,<br />
perché il cavallerizzo non aveva mai neppur prestato servizio in<br />
cavalleria, e aveva semplicemente, per quattr’anni, fatto parte,<br />
da modestissimo allievo ufficiale, del reggimento Bjelèvskij, di<br />
dove, non appena promosso al grado d’alfiere, era andato in<br />
congedo. Senonché, dieci anni fa, dopo aver ricevuto una certa<br />
eredità, s’era davvero recato a Lebedjàn, ci aveva scialacquato,<br />
in compagnia degli ufficiali addetti alla rimonta – settecento<br />
rubli, e s’era già fatto cucire un’uniforme da ulano con tanto di<br />
risvolti arancione, per poter entrare nel corpo degli ulani. Il<br />
desiderio d’entrare in cavalleria, e le tre settimane trascorse con<br />
quegli ufficiali là in Lebedjàn, gli erano rimasti nella mente<br />
come il più luminoso, più beato periodo della sua vita, per<br />
modo che quel desiderio era stato da lui tramutato dapprima in<br />
realtà, quindi in ricordo, e lui stesso, ormai, s’era ridotto a<br />
credere fermamente nel suo passato di cavallerizzo: ciò che non<br />
gl’impediva d’essere, per dolcezza di cuore e per onestà,<br />
veramente una degnissima persona.<br />
-Sì, chi non ha prestato servizio in cavalleria, non potrà mai<br />
comprenderci, noialtri! - Qui si sedette a cavallo della sedia, e,<br />
sporgendo la mascella inferiore, incominciò, in chiave di basso:<br />
— Cavalcavi, per esempio, alla testa dello squadrone; avevi,<br />
sotto, un demonio, non un cavallo: tutto scatti; ci stavi sopra,<br />
magari, così alla diavola. S’avvicina il comandante di squadrone
per la rivista. «Sottotenente (ti dice), per favore... se non vi ci<br />
mettete voi, non se ne fa niente... fate sfilar lo squadrone in<br />
ordine di cerimonia». Bene, perché no? E allora, lì, ci siamo: ti<br />
dài un’occhiata dietro, gridi il comando, nevvero?, a quei tuoi<br />
bravi baffoni... Ah, porco diavolo, quelli erano tempi!<br />
Fu di ritorno - tutto arrossato e coi capelli umidi - il conte<br />
dal bagno, e se ne andò diritto alla camera numero sette, dove<br />
già il cavallerizzo sedeva in vestaglia, con la pipa in bocca,<br />
intento a riflettere con voluttà, e con un’ombra di spavento, a<br />
questa beatitudine che gli capitava in sorte: dividere una<br />
medesima camera con il famoso Turbin. «Hm, che farei, — gli<br />
balenava alla mente, — se tutt’a un tratto pigliasse e mi<br />
spogliasse nudo, mi portasse alla barriera e mi piantasse fra la<br />
neve, oppure... mi spalmasse di catrame, о semplicemente... No,<br />
da buon compagno d’armi, non lo farà...» tranquillava se stesso.<br />
-Blücher va governato, Sàška! – diede voce il conte.<br />
S’affacciò Sàška, che per ristoro del viaggio aveva scolato un<br />
bicchiere d’acquavite, ed era brillo alquanto.<br />
-Non hai perduto tempo, eh? Ti sei ubriacato, canaglia!...<br />
Bada a governare Blücher.<br />
-Non c’è pericolo, no, che crepi: guarda qua, com’è liscio! —<br />
rispose Sàška, e allisciava il cane.<br />
-Via, poche chiacchiere! Cammina, governalo.<br />
-A voi, basta che il cane sia sazio: ma se un cristiano ha<br />
bevuto un bicchierino, subito lo rimproverate.<br />
-Ehi, ti picchio! — gridò il conte con tale una voce, che i<br />
vetri si misero a tremare alle finestre, e al cavallerizzo venne<br />
perfino un po’ di paura.<br />
-Vi foste neppur curato di chiedere se ha mangiato ancora<br />
nulla, oggi, il vostro Sàška... Eh sì, picchiatemi pure, se a voi un<br />
cane v’è più caro d’un uomo! — esclamò Sàška. Ma, a questo<br />
punto, ricevette un così tremendo colpo di pugno sul viso, che<br />
cadde a terra, batté con la testa contro il tramezzo, e, tenendosi<br />
il naso con la mano, saltò alla porta e andò a buttarsi sulla cassa<br />
lì in corridoio.
-M’ha sfracassato i denti, - mugolava Sàška, tergendosi con<br />
una mano il naso insanguinato, mentre con l’altra grattava la<br />
schiena a Blücher, che lo veniva leccando: — m’ha sfracassato i<br />
denti, caro Bljùška; ma pure è sempre il conte mio, e io, per lui,<br />
sono capace d’andar dentro al fuoco, ecco com’è! Perché lui è il<br />
conte mio, tu m’intendi, Bljùška? Ma di’: di mangiare, ne hai<br />
voglia?<br />
Rimasto ancora un po’ là coricato, si rizzò, governò il cane, e<br />
ormai quasi sfumata la sbornia, tornò di qua pronto ai vari<br />
servizi, proponendo al suo conte di prendere il tè.<br />
-Voi, addirittura, m’offendete, - stava dicendo timidamente<br />
il cavallerizzo, ritto in piedi di fronte al conte, il quale, coi piedi<br />
all’aria contro il tramezzo, se ne stava allungato sul letto di lui.<br />
– Anch’io, vedete, sono un vecchio militare, e vi son collega,<br />
potrei dire. Piuttosto che andar a fare un prestito da chissà chi,<br />
ci son io che molto volentieri sarei pronto a favorirvi duecento<br />
rubli. In questo momento io non li ho, ne ho soltanto cento: ma<br />
oggi stesso li procurerò. Voi m’offendete addirittura, conte!<br />
-Grazie, amico, - disse il conte, che di colpo aveva intuito<br />
quale genere di rapporti fosse destinato a stabilirsi fra loro, e<br />
con la mano tamburellava sulla spalla del cavallerizzo. - Grazie<br />
a voi! E allora, rechiamoci pure a questo ballo, se è così. Intanto,<br />
però, che cosa vogliamo fare? Raccontatemi un po’ che c’è di<br />
buono, in questa vostra città: le belle donne, chi sono? far<br />
baldoria, a chi piace? giuocatore, chi è?<br />
Il cavallerizzo spiegò che di belle donne ce ne sarebbe stato<br />
un subisso, là al ballo; che a far baldoria primeggiava fra tutti il<br />
capo della polizia, Kòlkov, di recente nominato, anche se in lui<br />
non c’era mica quell’impeto genuino, da ussaro, ma era così,<br />
semplicemente un bravo ragazzo; che il coro zigano d’Iljùška<br />
era qui dal principio dell’elezioni a cantare, che Stjòška 4 era la<br />
prima voce, e che stasera là da loro si sarebbero radunati tutti<br />
quanti, dopo il ricevimento dal maresciallo della nobiltà.<br />
4 [Vezzeggiativo di Stjepanida],
-E anche a carte si giuoca non c’è male, - veniva riferendo. –<br />
Lùchnov, un tale ch’è qui di passaggio, giuoca a danari e Ilín,<br />
che sta qui alla camera numero otto, un cornetta degli ulani,<br />
perde gran somme dal canto suo. Li da lui, hanno già<br />
incominciato. Non passa sera che non giuochino: e se vedeste<br />
che ragazzo eccellente (potete credermi, conte), è codesto Ilín!<br />
Non sa che cosa sia avarizia: darebbe via l’ultima camicia.<br />
-Dunque andiamo da lui. Vediamo un po’ di che gente si<br />
tratta, - esclamò il conte.<br />
-Andiamo, andiamo senz’altro! Loro ne saranno felicissimi.
II.<br />
Il cornetta degli ulani, Ilín, s’era da poco svegliato. Egli, il<br />
giorno innanzi, s’era seduto a giuocare alle otto della sera, e<br />
aveva continuato a perdere per quindici ore filate, fino alle<br />
undici del mattino. Aveva perduto qualcosa di grosso, ma<br />
quanto esattamente, non lo sapeva, giacché si trovava ad avere<br />
tremila rubli del suo e quindicimila del Governo, che già da<br />
gran tempo aveva mescolati coi suoi; e aveva paura a contarli,<br />
per non acquistar la sicurezza di ciò che presentiva: che ormai,<br />
anche di quelli del Governo, ne mancavano parecchi. S’era<br />
addormentato ch’era quasi mezzogiorno, e aveva dormito di<br />
quel greve sonno senza sogni, come si dorme soltanto quando<br />
si è molto giovani, e si è fatta una perdita molto forte.<br />
Svegliatosi аllе sei della sera, proprio all’ora che il conte Turbin<br />
arrivava all’albergo, e viste intorno a sé, H sul piancito, carte da<br />
giuoco e pezzi di gesso, e quei tavoli schiccherati in mezzo alla<br />
stanza, s’era risovvenuto con orrore del giuoco della vigilia, e di<br />
quell’ultima carta, quel fante che gli avevan soffiato per<br />
cinquecento rubli; ma, non credendo ancora in tutto e per tutto<br />
alla realtà, cavò fuori di sotto il guanciale il danaro, e si mise a<br />
contarlo. Riconobbe, allora, certi biglietti di banca, che con<br />
tanto di punte piegate 5 e di riporti, erano passati più volte da<br />
una mano all’altra, e si rammentò di tutto l’andamento del<br />
giuoco. I suoi tremila, non c’erano più; e, di quelli del Governo,<br />
ne mancavano già duemila e cinquecento.<br />
Erano quattro notti di seguito che l’ulano giuocava.<br />
Egli era partito da Mosca, con quella somma che gli era stata<br />
consegnata dai superiori. Qui a K., lo aveva trattenuto il capo<br />
della stazione di posta, col pretesto di non disporre di cavalli,<br />
5 [In segno del raddoppio della posta].
ma in realtà per un’intesa che da un pezzo aveva fatta con<br />
l’albergatore, di trattener per un giorno tutte le persone di<br />
passaggio. L’ulano, giovanissimo, allegro ragazzo, che or ora, a<br />
Mosca, aveva avuto dai genitori tremila rubli per le spese<br />
inerenti alla vita di reggimento, era stato contentissimo di<br />
fermarsi, così in tempo d’elezioni, nella città di K., e aveva<br />
sperato di spassarsela gloriosamente. C’era qui un proprietario<br />
di terre, con famiglia, che era suo conoscente: ed egli stava<br />
appunto per recarvisi, a far un po’ di corte alle figliuole, quando<br />
era spuntato fuori il cavallerizzo, che aveva fatto amicizia con<br />
lui, e che la stessa sera, senz’alcun pensiero di male, lo aveva<br />
presentato agli amici suoi, Lùchnov e altri giuocatori del<br />
genere, cosi in sala di soggiorno. Da quella sera, l’ulano s’era<br />
seduto al tavolo da giuoco, e non solo non s’era più recato dal<br />
proprietario di sua conoscenza, ma non domandava più nulla<br />
neppur dei cavalli, e già da quattro giorni non usciva di camera.<br />
Quando si fu vestito, ed ebbe preso il tè, s’accostò alla<br />
finestra. Fu preso da un desiderio di fare una passeggiata, per<br />
scacciar via gli ossessionanti ricordi di giuoco. Indossò la<br />
pelliccia e uscì in istrada. Il sole s’era già nascosto dietro le<br />
bianche case dai tetti rossi; già scendeva il crepuscolo. L’aria era<br />
tiepida. Per le vie fangose, cadeva calma, a fiocchi, un’umida<br />
neve. D’improvviso, un’intollerabile tristezza lo invase, al<br />
pensiero d’aver passato dormendo tutta questa giornata, che<br />
ormai volgeva alla fine.<br />
«Questa giornata, che ormai è scorsa via, non ritornerà più»,<br />
rifletté.<br />
«Ho rovinato la mia giovinezza!» disse a un tratto a se<br />
stesso, non perché effettivamente pensasse d’aver rovinato la<br />
sua giovinezza (egli, a questo, non ci pensava neppur da<br />
lontano), ma cosi, perché gli s’era affacciata questa frase alla<br />
mente.<br />
«E ora, che mi resta da fare? - pensò. - Chiedere un prestito a<br />
qualcuno, e partirmene...» Una signora delle tante venne a<br />
passare per il marciapiede. «Che oca, questa signora! - gli venne
detto fra sé. — Ma un prestito, non c’è nessuno a cui chiederlo.<br />
Ho rovinato la mia giovinezza». Era giunto dov’erano certi<br />
negozi. Un mercante, in pelliccia di volpe, stava ritto sulla porta<br />
di bottega e invitava ad accostarsi. «Se non avessi levato<br />
quell’otto, avrei riguadagnato tutto!» Una vecchia mendicante,<br />
intanto, piagnucolava venendogli dietro. «Un prestito, non c’è<br />
nessuno a cui chiederlo». Passò in carrozza un signore in<br />
pelliccia d’orso; una guardia municipale stava là su due piedi.<br />
«Che cosa si potrebbe fare, d’insolito? Sparar loro addosso? No,<br />
sarebbe stupido! Ho rovinato la mia giovinezza... Ah, che<br />
pettorali magnifici, tempestati di borchie, stanno appesi li!<br />
Ecco, sarebbe bello montare in troica. Ehi, su, palombelle!...<br />
Voglio andare a casa. Lùchnov tra poco verrà, ci metteremo a<br />
giuocare».<br />
Tornò a casa, e ancora una volta contò i danari. No, non s’era<br />
sbagliato, la prima volta: di nuovo, di quelli del Governo,<br />
risultarono mancanti duemilacinquecento rubli. «Ne punterò<br />
sulla prima 25, sulla seconda raddoppierò... sette volte la posta,<br />
quindici volte, trenta, sessanta... e saranno tremila. Comprerò<br />
quei pettorali, e partenza! Macché, non me lo permette, quel<br />
mascalzone! Ho rovinato la mia giovinezza...»<br />
Ecco che cosa s’andava svolgendo nella testa dell’ulano,<br />
mentre Lùchnov, realmente, entrava in camera sua.<br />
-Ebbene, è un pezzo che vi siete alzato, Michàjlo Vasìlič? –<br />
domandò Lùchnov, lentamente togliendosi dal naso ossuto gli<br />
occhiali d’oro, e accuratamente nettandoli col fazzoletto di seta<br />
rossa.<br />
-No, proprio adesso. Ho fatto un’eccellente dormita.<br />
-È arrivato un ussaro, non so chi sia: s’è sistemato in camera<br />
di Zavalšèvskij... non lo avete sentito?<br />
-No, non ho sentito nulla... Ma dite: non c’è ancora nessuno?<br />
-Sono passati, se non sbaglio, da Prjàchin. Or ora saranno<br />
qui.<br />
E infatti, di li a poco, entravano nella camera un ufficiale di<br />
guarnigione, inseparabile compagno di Lùchnov, un certo
mercante greco, con un enorme naso a becco di color cannella e<br />
due infossati occhi neri, un tarchiato, bolso proprietario di<br />
terre, fabbricante d’acquavite, il quale per intere nottate<br />
giuocava sempre a simples con una posta di mezzo rublo. Tutti<br />
quanti avevano gran voglia d’incominciare a giuocare; ma i più<br />
forti giuocatori non facevano parola di quest’argomento, e<br />
soprattutto Lùchnov badava a raccontare, con straordinaria<br />
placidità, i tiri della camorra a Mosca.<br />
-Figuratevi un po’, — diceva, — Mosca è città di primissimo<br />
rango, vera e propria metropoli... e di notte vanno in giro con<br />
bastoni uncinati, mascherati da diavoli, a spaventare il<br />
popolino, a grassare i passanti, e via! A cosa guarda, la polizia? È<br />
questo che non si riesce a comprendere.<br />
L’ulano stette a sentire con attenzione il racconto dei<br />
camorristi, ma verso la fine s’alzò, e ordinò a bassa voce che<br />
portassero le carte. Il tarchiato proprietario fu il primo a<br />
esprimere il proprio pensiero.<br />
-Perché, signori miei, star a perder cosi il tempo, ch’è oro? Se<br />
dobbiamo metterci all’opera, all’opera senz’altro!<br />
-Voi, però, a forza di mezzi rubletti, avete sprecato, ieri, tutta<br />
la serata: pare che ci troviate gusto, - disse il greco.<br />
-Sul serio, sarebbe ora, — esclamò l’ufficiale di guarnigione.<br />
Ilín diede un’occhiata a Lùchnov. Lùchnov continuava<br />
placidamente, fissandolo negli occhi, la storiella dei camorristi<br />
mascherati da diavoli coi raffi.<br />
-Lo tenete voi, il banco? – domandò l’ulano.<br />
-Non è troppo presto?<br />
-Bjèlov! – chiamò l’ulano, che qualcosa aveva fatto arrossire.<br />
– Portami da pranzo... io ancora non ho mangiato nulla,<br />
signori... porta dello champagne, e da’ qua le carte!<br />
In quel momento, fecero ingresso nella camera il conte e<br />
Zavalšèvskij. Venne a risultare che Turbin e Ilín erano della<br />
stessa divisione. Subito essi s’affiatarono insieme; urtando i<br />
calici, bevvero lo champagne; e in capo a cinque minuti, si<br />
davano già del tu. A quanto pareva, Ilín era riuscito molto
simpatico al conte. Continuava a sorridere, il conte,<br />
guardandolo fisso; e motteggiava sulla sua giovinezza.<br />
-Oh che giovinottone d’un ulano! — diceva. - E che baffoni,<br />
che baffoni!<br />
Ilìn, quel po’ di lanugine che aveva sul labbro, l’aveva per<br />
giunta completamente bianca.<br />
-Ma voi state per giuocare, se non sbaglio? — esclamò il<br />
conte. - Bene, a te auguro di vincere, Ilìn! Tu, credo, sarai un<br />
maestro! - soggiunse, sorridendo.<br />
-Già, questa gente smania di giuocare, — rispose Lùchnov,<br />
strappando una dozzina di carte. – E voi, conte, non ci degnate?<br />
-No, oggi non giuoco. Altrimenti, vi avrei tutti ridotti al<br />
verde. Quando incomincio a far orecchie alle carte, con me<br />
qualsiasi banco scricchiola! Mi manca il conquibus. Ho subito<br />
una perdita nel passare da Volocjòk, alla stazione di posta. M’è<br />
capitato, là, un ufficialuzzo di fanteria, un tale con tanto<br />
d’anelli, che di certo era un baro, e m’ha spennato fino<br />
all’ultimo centesimo.<br />
-Dunque ti ci sei fermato a lungo, a quella stazione di posta?<br />
— domandò Ilìn.<br />
-Ventiquattr’ore, ci son rimasto fermo. Me ne ricorderò<br />
sempre di quella stazione, maledetta! E anche quel<br />
capostazione non mi uscirà di mente.<br />
-О che t’ha fatto?<br />
-Arrivo lì, sai: salta fuori il capo, una grinta da birbante, da<br />
truffaldino: cavalli non ce n’è, mi dice... Ora, bisogna che te lo<br />
dica, io ho questa regola: quando «cavalli non ce n’è», non mi<br />
tolgo la pelliccia, mi dirigo alla stanza del capo (non a quella<br />
dell’ufficio, ma a quella dove abita), e ordino di spalancare tutte<br />
le porte e gli sportelli: sai, come ci fosse pericolo d’asfissia... Be’,<br />
anche lì faccio lo stesso. E i geli che ci sono stati il mese scorso,<br />
te ne ricorderai: si stava venti gradi sotto zero. Il capo ha<br />
provato a dir qualche cosa: allora io, una manata sui denti.<br />
Subito una vecchietta ch’era lì, e altre ragazzette e donne,<br />
alzarono un passerete di strilli, agguantarono le loro carabattole
e via, cercando di fuggirsene al villaggio... Io lesto alla porta<br />
d’uscita: datemi i cavalli, dico, altrimenti non vi lascio andare,<br />
vi faccio morir tutti assiderati!<br />
-Questa si ch’è una trovata eccellente! – esclamò quel<br />
proprietario bolso, sciogliendosi tutto dal ridere. – È il modo<br />
che s’adopra per far morire gelati gli scarafaggi!<br />
-Senonché, io non feci la guardia come si deve, uscii di fuori,<br />
e mi sgusciò via il capostazione con tutte quelle donne.<br />
Soltanto la vecchietta m’era restata lì in ostaggio, sopra la stufa:<br />
seguitava a starnutare e a biascicar preghiere. Poi si finì con<br />
l’intavolare delle trattative: il capo tornò e, da lontano, insisteva<br />
a esigere che liberassi la vecchia, mentre io, dal canto mio, gli<br />
aizzavo contro Blücher: li fa filar diritti a meraviglia i<br />
capistazione, il mio Blücher! Insomma, tanto fece, il<br />
mascalzone, che non mi diede i cavalli fino al mattino seguente.<br />
Ma ecco, proprio in quel punto, arrivare quell’ufficialettaccio di<br />
fanteria. Io passai nell’altra stanza, e ci mettemmo a giuocare.<br />
Lo avete visto, voi, Blücher?... Blücher!... passa qui!<br />
Irruppe dentro Blücher. I giuocatori, per condiscendenza, si<br />
dedicarono a osservarlo, sebbene fosse evidente che essi<br />
avevano voglia di dedicarsi a tutt’altra occupazione.<br />
-Ma perché dunque, signori miei, voi non giuocate? Purché<br />
non sia stato io a disturbarvi! Cosa volete, io sono un<br />
chiacchierone, — esclamò Turbin:<br />
-gingillarsi con le parole, è un lavoretto che costa poco!
III.<br />
Lùchnov si tirò accanto due candele, cavò fuori – ben gonfio<br />
di danari – un enorme portafoglio color cannella, poi<br />
lentamente, come se stesse celebrando un rito sacro, lo aprì<br />
sulla tavola, ne estrasse due biglietti da cento rubli, e li pose<br />
sotto le carte.<br />
-Allo stesso modo di iersera: il banco è di duecento, -<br />
esclamò, rassestandosi gli occhiali e dissuggellando il mazzo.<br />
-Va bene, - disse (senza guardarlo) Ilìn, mentre badava a<br />
conversare con Turbin.<br />
Il giuoco s’avviò. Lùchnov distribuiva le carte con la<br />
precisione duna macchina, tratto tratto soffermandosi e<br />
annotando con calma, о severamente fissando lo sguardo di<br />
sopra agli occhiali e dicendo con voce spenta: - Fate il vostro<br />
giuoco -. Il possidente massiccio alzava la voce più di tutti,<br />
pronunciando forte le varie congetture che faceva tra sé, e si<br />
insalivava le boffici dita, per piegar le punte alle carte.<br />
L’ufficiale di guarnigione, a bocca chiusa, segnava le carte con<br />
bella calligrafia, e sotto al tavolo ci veniva facendo delle<br />
orecchie piccine piccine. Il greco sedeva di fianco al croupier, e<br />
seguiva attento, con gl’infossati occhi neri, le vicende del<br />
giuoco, aspettando qualche cosa. Zavalšèvskij, ritto presso il<br />
tavolo, entrava d’improvviso in agitazione, si cavava di tasca ai<br />
calzoni alla zuava un biglietto di quelli rossi о di quelli<br />
turchini 6 , ci collocava sopra la carta, batteva più volte su questa<br />
col palmo, esortava: — Riesci a bene, sette mio! - si<br />
mordicchiava i baffi, si puntellava ora su un piede ora sull’altro,<br />
6 [Da dieci o da cinque rubli]
arrossiva e smaniava tutto fino a quando la carta non usciva.<br />
Ilín mangiava il lesso di vitello, con contorno di cetrioli, che si<br />
teneva posato accanto sul divano di crine, e, strofinandosi<br />
rapido le mani alla giacca, metteva in tavola una carta dopo<br />
l’altra. Turbin, che aveva cominciato col sedersi lì sul divano,<br />
s’era subito avveduto di come andavano le cose. Lùchnov non<br />
alzava mai gli occhi all’ulano, e non gli diceva parola; solo di<br />
rado i suoi occhiali, per un attimo, si dirigevano verso le mani<br />
dell’ulano: eppure, quasi ogni volta, le carte di quest’ultimo<br />
perdevano.<br />
-Ecco, mi bisognerebbe di battere quella carta li!<br />
-commentava Lùchnov, indicando la carta del grosso<br />
possidente, che non giuocava più di mezzo rublo.<br />
-Cercate di battere quelle d’Ilín: le mie, che valore hanno! –<br />
faceva notare il possidente.<br />
Ed effettivamente, le carte d’Ilín erano battute più spesso<br />
dell’altre. Nervosamente egli stracciava sotto la tavola la carta<br />
che aveva perduto, e con mani tremanti si faceva a sceglierne<br />
un’altra. Turbin, a questo punto, si rizzò su dal divano, e pregò<br />
il greco di lasciarlo sedere accanto al croupier. Il greco mutò di<br />
posto, e il conte, occupata la sedia di lui, senza distogliere un<br />
attimo gli occhi, cominciò a guardar fisso le mani di Lùchnov.<br />
-Ilín! - esclamò d’improvviso con la sua voce consueta, che,<br />
del tutto involontariamente, soffocava tutte le altre. - A che<br />
scopo tieni in serbo i fanti? Tu non sei capace di giuocare.<br />
-Eh, qui, comunque giuochi, va sempre lo stesso!<br />
-A codesto modo, perderai di sicuro. Lascia che provi io a<br />
puntare per te.<br />
-No, scusa, sai: sono avvezzo a far sempre da solo. Giuoca<br />
per conto tuo, se ti va.<br />
-Per conto mio, già l’ho detto, non son disposto a giuocare:<br />
ma per te, proprio m’andrebbe. Mi fa dispiacere, vederti perder<br />
così.<br />
-Eh, si vede ch’è destino!<br />
Il conte non insistette, e, appoggiandosi lì con tutt’e due i
gomiti, daccapo, con la stessa intensità, tornò a fissare le mani<br />
del croupier.<br />
-È una porcheria! – bruscamente proruppe, con voce sonora<br />
e cadenzata.<br />
Lùchnov gli girò un’occhiata.<br />
-È una porcheria, una porcheria bell’e buona! — proruppe<br />
ancora più forte, fissando apertamente Lùchnov negli occhi.<br />
Il giuoco non fu interrotto.<br />
-Così, non può andare! — tornò a dire Turbin, non appena<br />
Lùchnov ebbe battuto una grossa carta d’Ilìn.<br />
-Cosa c’è che non vi piace, conte? — cortesemente e con<br />
indifferenza domandò il croupier.<br />
-C’è che voi, a Ilìn, date un simple, e intanto piegate gli<br />
angoli. Ecco dov’è, la porcheria!<br />
Lùchnov fece, con le spalle e con le sopracciglia, un cenno<br />
che esprimeva il consiglio di arrendersi in tutto al destino: e<br />
continuò a giuocare.<br />
-Blücher! Passa qui! — chiamò il conte, alzandosi in piedi. –<br />
Fatti sotto! — soggiunse rapidamente.<br />
Blücher, dando un urtone con la groppa al divano, e per<br />
poco non facendo stramazzare l’ufficiale di guarnigione, balzò<br />
di là in fondo, accorse presso il padrone, e si mise a ringhiare,<br />
facendo la spola con gli occhi da uno all’altro e dimenando la<br />
coda, con l’aria di domandare: «Chi è, qui, che fa il prepotente?<br />
Eh?»<br />
Lùchnov depose le carte e, con la sedia, si scostò in là.<br />
-In questo modo non è possibile giuocare: io ho, per i cani,<br />
scarsissima simpatia. Che giuoco volete che si faccia, quando vi<br />
portano nella stanza un canile intero?<br />
-Specialmente, poi, questi cani qui: li chiamano sanguisughe,<br />
salvo errore! - incalzò l’ufficiale di guarnigione.<br />
-E allora, che si fa? vogliamo giuocare, Michàjlo Vasìlič, о<br />
no? - domandò Lùchnov al padron di casa.<br />
-Non ci disturbare, conte: ti prego! — Ilín si rivolse a Turbin.<br />
-Vieni di qua un minutino, - rispose Turbin, prendendo Ilín
per il braccio: e uscì con lui di fuori al tramezzo.<br />
Di là, si percepivano con perfetta chiarezza le parole del<br />
conte, il quale discorreva con la sua voce consueta. Ed era tale,<br />
questa sua voce, che lo si udiva sempre a tre camere di distanza.<br />
-Ma di’ un po’, sei impazzito, tu? Possibile che non t’accorgi<br />
che quel signore in occhiali è un baro di prima forza?<br />
-Via, basta! che stai dicendo!<br />
-Altro che basta: smettila tu, ti dico! A me non ne viene<br />
nulla. In un’occasione diversa, sarei stato il primo io a pelarti<br />
ben bene; ma chissà, sento come un rammarico, ora, a veder<br />
che ti rovini così. Eppoi, non hai forse, con te, danaro del<br />
Governo...?<br />
-No! О da che cosa hai potuto pensarlo?<br />
-Fratello, anch’io ci son corso, per questa strada, sicché tutte<br />
l’arti dei bari le conosco a menadito: ti ripeto che quel tale in<br />
occhiali, quello è un baro! Smettila, fa’ il favore. Te lo chiedo<br />
come a un compagno d’armi.<br />
-Be’, ecco: ancora un’alzata, una sola, e finisco.<br />
-So già che vuol dire, una sola; bah, ma stiamo un po’ a<br />
vedere.<br />
Rientrarono nella stanza. In una sola alzata, Ilìn puntò su<br />
tante carte, e tante gliene batterono, che ne riportò una perdita<br />
ingente.<br />
Turbin pose le mani nel mezzo del tavolo.<br />
-Via, basta! Andiamo al ballo.<br />
-No, ormai io non posso: lasciami stare, ti prego, -esclamò<br />
Ilìn contrariato, mischiando insieme le carte piegate, senza<br />
levar gli occhi in faccia a Turbin.<br />
-Ebbene, al diavolo, dunque! Perdi pure a colpo sicuro, se ci<br />
hai gusto: io, però, è tempo che vada. Zavalšèvskij, andiamo a<br />
trovare il maresciallo della nobiltà.<br />
E uscirono insieme.<br />
Tutti erano rimasti in silenzio; e Lùchnov non fece banco fin<br />
quando il suono dei loro passi, e dell’unghie di Blücher, non fu<br />
dileguato pel corridoio.
-Gran caposcarico! — esclamò il possidente ridendo.<br />
-Bah, adesso non ci disturberà più, - commentò<br />
frettolosamente, e ancora a bassa voce, l’ufficiale di<br />
guarnigione.<br />
E il giuoco ricominciò.
IV.<br />
I musicanti (ch’erano domestici del maresciallo della<br />
nobiltà), installati nel locale del buffet, sgomberato in occasione<br />
del ballo, avevano ormai — rimboccate le maniche delle<br />
giacche — attaccato a suonare, al segnale dato, l’antica<br />
polonaise Alessandro, Elisabetta, e al chiaro e mite lume delle<br />
candele di cera, per la gran sala dal piancito di legno, avevano<br />
preso a scivolar mollemente il governatore, generale del tempo<br />
di Caterina, con tanto di stella, sottobraccio alla magra<br />
marescialla, il maresciallo sottobraccio alla governatoressa, e<br />
via via tutte le autorità del governatorato in vari accoppiamenti<br />
e incroci, quando Zavalšèvskij in frac turchino dall’enorme<br />
colletto e con sboffi alle spalle, in polpe e scarpine,<br />
diffondendosi intorno un profumo d’essenza di gelsomino, di<br />
cui s’era abbondantemente spruzzati i baffi, i risvolti e il<br />
fazzoletto, e insieme con lui un bellissimo ussaro in attillati<br />
calzoni azzurri da cavallerizzo e giubba rossa ricamata d’oro, su<br />
cui stavano appese una croce di Vladimir e una medaglia<br />
dell’820, fecero il loro ingresso nella sala. Era, il conte, di<br />
statura non alta, ma di giusta, armoniosa complessione. Il<br />
chiaro celeste e la singolare lucentezza degli occhi, e i capelli<br />
piuttosto lunghi, che gli s’arricciolavano in fitti anelli d’un<br />
biondo cupo, davano alla sua bellezza un carattere non<br />
comune. La venuta del conte, qui al ballo, era attesa: quel bel<br />
giovanotto che lo aveva veduto all’albergo, ne aveva già messo a<br />
parte il maresciallo. E l’impressione, che l’annuncio aveva<br />
prodotta, era stata varia, ma, nell’insieme, non troppo<br />
favorevole. «Vedrai se non ci piglierà in giro, questo<br />
monellaccio!» era stato il pensiero delle vecchiotte e degli<br />
uomini. «Sarebbe bella che mi rapisse?» era stato, più о meno,<br />
il pensiero delle donne giovani e delle signorine.<br />
Non appena la polonaise fu finita, e le coppie si riverirono<br />
reciprocamente, tornando le donne a riunirsi alle donne e gli
uomini agli uomini, Zavalšèvskij, felice e orgoglioso, condusse il<br />
conte dalla padrona di casa. La marescialla, sentendo<br />
nell’intimo una certa trepidazione che quest’ussaro non avesse<br />
a combinarle, alla presenza di tutti, un qualche scandalo,<br />
superbamente e sprezzantemente si girò in qua, esclamò:<br />
-Felicissima, spero che danzerete, — e con diffidenza gli<br />
allungò in faccia un’occhiata, che voleva dire: «Se tu sei ancora<br />
capace di mancar di rispetto a una donna, dopo che t’ho accolto<br />
cosi, sei un perfetto vigliacco!»<br />
Ma ci pensò il conte a vincer ben presto tanta prevenzione<br />
con la sua amabilità, le sue attenzioni, l’aspetto simpaticissimo<br />
e giulivo: cosicché, di li a cinque minuti, il viso della marescialla<br />
diceva già, a tutti gli astanti: «So io come si trattano questi<br />
signori: egli ha capito subito con chi ha a che fare. Ed ecco,<br />
starà qui con me tutta la serata a fare il galante!» Senonché,<br />
proprio in quel punto, s’accostò al conte il governatore, il quale<br />
aveva conosciuto suo padre, e con grandissima benevolenza lo<br />
trasse in disparte con sé e ci si mise a conversare, cosa che<br />
tranquillò più che mai il pubblico del capoluogo di<br />
governatorato, ed elevò, nell’opinione di questo, il conte. Poi<br />
Zavalsèvskij lo condusse a far la conoscenza di sua sorella, una<br />
giovane, grassoccia vedovella, che fin da quando il conte era<br />
entrato, era rimasta appesa a lui coi suoi neri, grandissimi<br />
occhi. Il conte invitò la vedovella a ballare il valzer, che i<br />
musicanti stavano intonando in quel momento: e allora<br />
definitivamente, con l’arte che aveva di ballare, egli trionfò<br />
d’ogni prevenzione a suo riguardo.<br />
-Ma è un ballerino provetto! — diceva una massiccia<br />
possidente, intenta a quelle due gambe in calzoni azzurri da<br />
cavallerizzo, balenanti qua e là per la sala; e mentalmente<br />
scandiva: uno, due, tre; uno, due, tre... – Ah, veramente<br />
provetto!<br />
-Pare proprio che ricami, pare proprio che ricami! - diceva<br />
un’altra, pure dei dintorni, ch’era considerata poco fine nella<br />
società del capoluogo. — Come farà a non imbrogliarsi, con
quegli sproni! È fantastico: come si destreggia!<br />
Il conte oscurò, con la sua bravura, i tre migliori ballerini del<br />
governatorato: sia l’alto, biondissimo aiutante del governatore,<br />
che eccelleva per velocità nel danzare e per tener la dama assai<br />
stretta, sia l’ufficiale di cavalleria, che eccelleva per l’aggraziato<br />
dondolarsi nei valzer e pel frequente, ma lieve batter del tacco,<br />
e così pure il terzo, un funzionario di cui tutti dicevano che,<br />
benché non fosse un’aquila d’intelligenza, era però ballerino<br />
eminente e anima di tutti i ricevimenti danzanti.<br />
Effettivamente, questo funzionario, dal principio del ballo alla<br />
fine, trovò modo d’invitar tutte quante le dame, nell’ordine in<br />
cui sedevano, senza smettere di ballare neanche un minuto, e<br />
solo ogni tanto sostava un pochino per tergersi con un<br />
fazzolettino di batista, divenuto completamente molle, il viso<br />
estenuato, ma lieto. Il conte oscurò tutti costoro, e ballò con tre<br />
dame di rilievo: con una alta — ch’era ricca, bella e stupida; con<br />
una mezzana — ch’era magrolina, non troppo bella, ma<br />
elegantissima nel vestire; e con una bassina - che non era bella<br />
affatto, ma molto intelligente. E ballò anche con altre, con<br />
quante ce n’erano di carine: e, di carine, ce n’erano molte. Ma<br />
quella vedovella, sorella di Zavalšèvskij, più di tutte fini col<br />
piacere al conte: che, insieme con lei, ballò e la quadriglia, e<br />
l'écossaise, e la mazurca. Egli aveva cominciato col dirle, mentre<br />
si mettevano in figura nella quadriglia, un sacco di<br />
complimenti, paragonandola a Venere e a Diana, e poi a una<br />
pianta di rose, e poi ancora a non so qual altro fiore. A tutte<br />
queste galanterie, la vedovella si limitava a piegar appena il bel<br />
collo bianco, chinava gli occhiolini, guardandosi il bianco<br />
vestitino di mussolina, о si passava da una mano all’altra il<br />
ventaglio. Quando poi si faceva a dire: - Via, conte, voi state<br />
scherzando!<br />
-о altre cose del genere, la sua voce, un pochino di gola,<br />
vibrava d’un tale ingenuo candore e d’una tale ridicola<br />
stupidità, da venir per davvero in mente, guardandola, che<br />
questa non fosse mica una donna, ma un fiore, e non un fiore di
osa, ma chissà che selvaggio, bianco-rosato, lussureggiante<br />
fiore senza profumo, spuntato solitario da un vergine cumulo di<br />
neve in chissà quale lontanissima terra.<br />
Talmente strana era l’impressione prodotta sul conte da<br />
questa fusione di candore e di assenza d’ogni artificio con<br />
quella fresca bellezza, che a più riprese, negl’intervalli della<br />
conversazione, mentre in silenzio le guardava gli occhi о i<br />
bellissimi contorni delle braccia e del collo, fu assalito da un<br />
desiderio improvviso di pigliarsela fra le braccia e di<br />
tempestarla di baci, con tanta intensità da dover sul serio<br />
frenarsi. La vedovella osservava con piacere l’impressione che<br />
veniva producendo: ma qualcosa incominciava a turbarla e a<br />
spaventarla nelle maniere del conte, nonostante il fatto che il<br />
giovane ussaro conciliasse l’intraprendente galanteria con una<br />
rispettosità, che ai gusti d’oggi parrebbe smaccata. Correva, egli,<br />
a prenderle l’orzata, le raccattava il fazzoletto, strappava la<br />
sedia di mano a un giovane possidente scrofoloso, che aveva<br />
l’uzzo di farle anche lui il cavalier servente, per esser più lesto a<br />
offrirgliela: e via di questo passo.<br />
Accorgendosi che la galanteria mondana, propria dell’epoca,<br />
poco effetto sortiva sulla sua dama, egli si provò a farla ridere,<br />
raccontandole aneddoti divertenti; le assicurava che, se lei<br />
glielo avesse ordinato, era pronto subito subito a mettersi a<br />
gambe per aria, a far il verso del gallo, a saltar dalla finestra, о a<br />
tuffarsi in un pozzo tra il ghiaccio. La prova riuscì a perfezione:<br />
la vedovella si rallegrò tutta, e crosciava in risa trillanti,<br />
mostrando gli stupendi, bianchissimi dentini, soddisfatta ormai<br />
completamente del suo cavaliere. Al conte, d’altronde, di<br />
minuto in minuto essa piaceva di più, tanto che, sul finire della<br />
quadriglia, se ne era sinceramente innamorato.<br />
Quando, dopo la quadriglia, venne ad avvicinarsi alla<br />
vedovella il suo solito adoratore diciottenne, figliuolo<br />
senz’impiego d’un ricchissimo proprietario di terre (quel<br />
giovane scrofoloso, per l’appunto, a cui Turbin aveva strappato<br />
di mano la sedia), essa lo accolse con eccezionale freddezza,
senza tradire neanche la decima parte di quel turbamento, che<br />
la agitava di fronte al conte.<br />
-Ma bravo, - gli disse, e intanto teneva lo sguardo alla<br />
schiena di Turbin, e inconsciamente almanaccava quante<br />
spanne di cordoncino d’oro dovevano esserci volute per tutta<br />
quella divisa, - ma bravo davvero! M’avevate promesso di passar<br />
a prendermi per una scarrozzata, e di portarmi un po’ di<br />
bonbons...<br />
-E io ci son venuto, Anna Fjòdorovna: ma voi eravate già<br />
uscita, e i bonbons, della migliore qualità, ve li ho lasciati in<br />
casa, - diceva il giovanotto, che, a contrasto dell’alta statura,<br />
aveva una vocetta sottile sottile.<br />
-Voi trovate sempre delle scuse! Non ho bisogno, io, dei<br />
vostri bonbons. Fate il favore di non pensare...<br />
-Eh, vedo bene, Anna Fjòdorovna, quanto siete mutata con<br />
me, e ne so la ragione. Non è mica, però, una bella cosa... –<br />
soggiunse, ma evidentemente restò in tronco, a causa d’una<br />
violenta commozione interiore, che gli provocava un<br />
rapidissimo e strano tremito alle labbra.<br />
Anna Fjòdorovna, senza dargli ascolto, continuava a star con<br />
gli occhi dietro a Turbin.<br />
A questo punto, il maresciallo di cui erano ospiti – vecchio<br />
d’imponente grossezza, senza più denti – venne ad avvicinare il<br />
conte, e, presolo sottobraccio, lo invitò nel suo gabinetto a fare<br />
una fumata e a bere un sorso, se lo avesse gradito. Non appena<br />
Turbin si fu allontanato, Anna Fjòdorovna ebbe l’impressione<br />
che in questa sala non ci fosse più nulla da fare: e, prendendo<br />
sottobraccio un’anziana, risecchita signorina, amica sua, se<br />
n’andò con lei nella stanza di toilette.<br />
-Ebbene, com’è? simpatico? - domandò la signorina.<br />
-Si, ma tremendamente insistente, - rispose Anna<br />
Fjòdorovna, accostandosi allo specchio e guardando visi dentro.<br />
Il viso le s’irradiò tutto, gli occhi le risero, arrossì perfino: e<br />
improvvisamente, imitando certe danzatrici d’un balletto, che<br />
aveva visto in occasione di queste elezioni, fece una piroetta su
un piede solo, poi ruppe a ridere col suo riso ingoiato, ma<br />
grazioso, e spiccò addirittura un piccolo salto, con le ginocchia<br />
rattratte.<br />
-Che tipo! Mi ha chiesto un souvenir, - si rivolse all’amica. —<br />
Ma non otterrà un bel nu-u-ulla, — tirò in lungo, cantilenando,<br />
l’ultima parola, e alzò in aria un dito, nel guanto glacé che le<br />
arrivava al gomito...<br />
Nel gabinetto, dove intanto il maresciallo aveva condotto<br />
Turbin, facevano bella mostra acquaviti di varie specie, liquori<br />
dolci, ghiottumi e champagne. Tra il fumo del tabacco sedevano<br />
e passeggiavano alcuni dei nobili, chiacchierando delle elezioni.<br />
-Una volta che tutta quanta la distinta nobiltà del nostro<br />
distretto gli aveva fatto l’onore di eleggerlo, - diceva il neoquestore,<br />
già sensibilmente brillo, - egli non doveva mancare<br />
così di fronte a tutta la società, non doveva assolutamente...<br />
Il sopravvenire del conte interruppe la conversazione. Tutti<br />
s’alzarono a farne la conoscenza, e il questore, particolarmente,<br />
con tutt’e due le mani gli strinse a lungo la mano, e a più<br />
riprese lo pregò che non ricusasse d’andar con loro, dopo il<br />
ballo, in comitiva, a una trattoria nuova, dove egli aveva<br />
invitato i nobili, e dove gli zigani avrebbero cantato. Il conte<br />
promise d’esser presente a ogni costo, e svuotò con loro,<br />
intanto, parecchi calici di champagne.<br />
-Ma come mai voi non ballate, signori miei? – domandò, in<br />
procinto di lasciare la stanza.<br />
-Non siamo, noialtri, ballerini, — rispose il questore ridendo:<br />
- noialtri siamo propensi, piuttosto, al cicchetto, caro conte! Io<br />
però, certe volte, faccio anche conte, un giro d’écossaise... mi<br />
riesce benissimo, conte...<br />
-О dunque andiamo, adesso, a far un giro! — esclamò<br />
Turbin. - Un po’ di moto, prima d’andare dagli zigani.<br />
-Suvvia, andiamo, signori! Faremo divertire il padron di casa.<br />
E tre di quei nobili, che fin dal principio del ballo non avevan<br />
fatto che bere li nel gabinetto, affocati in faccia, calzarono i<br />
guanti, chi neri, chi di seta a maglia, e insieme col conte già
s’avviavano verso la sala, quando furono trattenuti dal giovane<br />
scrofoloso, che pallido come un cencio, a stento frenando le<br />
lacrime, s’appressò a Turbin.<br />
-Voi credete che, perché siete un conte, vi sia lecito urtar la<br />
gente come al mercato? — disse, traendo a fatica il respiro. —<br />
Siccome questa è maleducazione...<br />
Ancora una volta, quel ballonzolo delle labbra, più forte<br />
della sua volontà, gli fermò il torrente delle parole.<br />
-Cosa? – gridò Turbin, improvvisamente aggrottando gli<br />
occhi. – Cosa?... Ragazzino! — gridò, acchiappandolo per le<br />
braccia e stringendolo in modo, che al giovanotto il sangue<br />
montò in testa, non tanto dal disappunto, quanto dalla paura. –<br />
Dite su: avete voglia di fare un duello? In tal caso, eccomi ai<br />
vostri ordini.<br />
A malapena Turbin aveva lasciato quelle braccia, che aveva<br />
strette con tanta forza, e già due dei nobili avevano preso il<br />
giovane sotto le ascelle, e lo trascinavano verso la porta di<br />
servizio.<br />
-Ma che, siete impazzito? Avete bevuto, di certo! Or ora lo<br />
diciamo a papà. Cosa vi succede? - gli dicevano.<br />
-No, non ho bevuto: è lui che prende a spinte, e non chiede<br />
scusa! Quello è un maiale! Ecco chi è! – pigolava il giovanotto,<br />
sciogliendosi ormai tutto in lacrime.<br />
Non gli diedero retta, però, e lo portarono a casa.<br />
-Basta, basta, conte! - raccomandavano a Turbin, dal canto<br />
loro, il questore e Zavalšèvskij. - È un bambino, nevvero?<br />
Ancora lo picchiano, ha in tutto sedici anni! E cosa diavolo gli<br />
sia successo, non si riesce a capire. Che razza di mosca lo avrà<br />
pinzato? Eppure, suo padre è una persona cosi a modo, è uno<br />
dei candidati nostri...<br />
-Bah, vada al diavolo! Se non vuole...<br />
E il conte rientrò in sala, e con lo stesso identico brio di prima si<br />
mise a ballar l’écossaise con la graziosa vedovella, e di gran<br />
cuore rideva a osservare i pas eseguiti dai signori venuti con lui<br />
dal gabinetto; e sghignazzò sonoramente, da farne rimbombar
tutta la sala, quando il questore fece uno sdrucciolone,<br />
tonfando giù – quant’era lungo – nel bel mezzo dei danzanti.
V.<br />
Anna Fjòdorovna, nell’intervallo che il conte era stato<br />
assente, aveva avvicinato il fratello; e, ritenendo conveniente<br />
(sapeva lei perché) finger d’avere un mediocrissimo interesse<br />
per il conte, gli domandava:<br />
-Che ussaro è mai, quello che ha ballato con me? Spiegatemi<br />
un po’, fratello Il cavallerizzo spiegò alla sorellina, per quanto<br />
gli fu possibile, che specie di grand’uomo fosse codesto ussaro;<br />
e, di parola in parola, riferì che il conte s’era fermato in città<br />
soltanto pel fatto che in viaggio era stato derubato del danaro, e<br />
che lui stesso gli aveva dato cento rubli in prestito: ma questo<br />
non poteva bastare, e quindi, non avrebbe potuto la sorellina<br />
prestargli un altro paio di centinaia di rubli? Qui però<br />
Zavalšèvskij le aveva raccomandato di non farne assolutamente<br />
parola a nessuno, e tanto meno al conte.<br />
Anna Fjòdorovna aveva promesso di fargli avere il danaro<br />
stasera stessa, e di tener la cosa segreta; ma, chissà come,<br />
durante l'écossaise, fu assalita da una voglia tremenda di offrire<br />
lei stessa, al conte, quanto danaro gli bisognasse. Per un pezzo<br />
stette lì a tentar approcci e ad arrossire; e alla fine, forzandosi,<br />
affrontò così la questione:<br />
-Mio fratello m’ha detto che in viaggio, conte, voi avete<br />
avuto un incidente, e ora vi trovate senza danaro. Se ve ne<br />
occorresse, avreste difficoltà ad accettarne da me? Io ne sarei<br />
veramente felice.<br />
Ma, detto così, Anna Fjòdorovna, di soprassalto, si spaventò<br />
di qualche cosa e si fece rossa. Tutto il buonumore era<br />
istantaneamente scomparso dal viso del conte.<br />
-Vostro fratello è un idiota! — esclamò con bruschezza. –<br />
Voi sapete bene che, quando un uomo offende un uomo, ci si<br />
sfida a duello: ma, quand’è una donna che offende un uomo,<br />
allora che si fa? Lo sapete?<br />
Alla povera Anna Fjòdorovna s’era sparso il rossore fino al
collo e alle orecchie, dalla confusione. Teneva fissi gli occhi a<br />
terra, e non rispondeva.<br />
-La donna si bacia dinanzi a tutti, - disse piano il conte,<br />
curvandosi all’orecchio di lei. — A me permetterete, almeno, di<br />
dare un bacio alla vostra manina, - soggiunse, sempre così a<br />
bassa voce, dopo una lunga pausa di silenzio, impietosito dalla<br />
confusione della sua dama.<br />
-Ah, però, non adesso... — fu la risposta che Anna<br />
Fjòdorovna formulò, profondamente sospirando.<br />
-E allora, quando? Domattina presto io riparto... E questo è<br />
un debito, ormai, che voi avete con me.<br />
-Be’, allora vuol dire ch’è una cosa impossibile, — disse Anna<br />
Fjòdorovna, sorridendo.<br />
-Voi dovete permettermi, unicamente, di trovar l’occasione<br />
di vedervi stasera, in modo che io possa baciarvi la mano.<br />
L’occasione, la troverò io.<br />
-Ma come farete, dunque, a trovarla?<br />
-Questo non è affar vostro. Pur di vedervi, per me ogni cosa<br />
è possibile... Sicché, d’accordo?<br />
-D’accordo.<br />
L’écossaise ebbe termine; poi si continuò a ballare la<br />
mazurca, nella quale il conte fece prodigi, afferrando a volo i<br />
fazzoletti, puntellandosi su un solo ginocchio, facendo batter<br />
insieme gli sproni in un certo modo particolare, alla maniera di<br />
Varsavia, tanto che tutti i vecchi abbandonarono il boston per<br />
venir a guardare qua in sala, e l’ufficiale di cavalleria, ch’era il<br />
migliore dei ballerini, si riconobbe superato. Cenarono,<br />
ballarono ancora il grossfater, e infine incominciarono a<br />
ritirarsi. Il conte, nel frattempo, non staccava gli occhi un<br />
istante dalla vedovella. Non fingeva, egli, dicendo che per lei era<br />
pronto a tuffarsi in un pozzo tra il ghiaccio. Fosse capriccio,<br />
fosse amore, fosse ostinatezza, certo è che stasera tutte le sue<br />
energie spirituali erano ormai concentrate in un unico<br />
desiderio: veder lei, amar lei. Non appena s’avvide che Anna<br />
Fjòdorovna si faceva a congedarsi dalla padrona di casa, lui
corse via in anticamera, e di là, senza pelliccia, fuori all’aperto,<br />
verso il luogo dove sostavano le carrozze.<br />
-La vettura d’Anna Fjòdorovna Zàjtsova! – chiamò.<br />
Un’alta carrozza a quattro posti, coi fanali accesi, si mise in<br />
moto e s’avvicinò all’ingresso.<br />
-Ferma! - gridò lui al cocchiere, accorrendo, tra la neve fino<br />
ai ginocchi, verso la carrozza.<br />
-Che vi serve? — ribatte il cocchiere.<br />
-Mi serve di montare in carrozza, - rispose il conte, così in<br />
moto aprendo lo sportello e cercando di saltar dentro. - Ferma<br />
dunque, diavolo! Pezzo di cretino!<br />
-Vàska, ferma! — il cocchiere diede voce al postiglione, e<br />
arrestò i cavalli. — Ma che v’intrufolate a fare, voi, in una<br />
carrozza che non è la vostra? È della signora Anna Fjòdorovna,<br />
questa carrozza; non è mica la carrozza di vostra signoria.<br />
-Su, basta con le chiacchiere, ciabone! Eccoti mezzo rublo,<br />
ma smonta, e richiudi lo sportello, - disse il conte. E siccome il<br />
cocchiere non si moveva di pezzo, lui stesso tirò su il<br />
montatoio, e, aprendo il finestrino, riuscì a far chiudere, con<br />
una sbatacchiata, lo sportello.<br />
Nell’interno della carrozza, come in tutte le vecchie<br />
carrozze, specialmente se tappezzate di quei passamani gialli,<br />
c’era un tanfetto di mucido e di setole bruciacchiate. Le gambe<br />
del conte erano state fino al ginocchio nella neve sciolta, e<br />
s’erano tutte intirizzite nelle calzature sottili e nei calzoni da<br />
cavallerizzo; non solo, ma in tutte le membra lo veniva<br />
sopraffacendo il freddo invernale. Il cocchiere mugolava a<br />
cassetta e – salvo errore — si accingeva a calar giù. Ma non<br />
udiva nulla, il conte, e di nulla si accorgeva. La faccia gli andava<br />
a fuoco, il cuore gli martellava con violenza. Convulsamente<br />
s’era afferrato alla cinghia gialla, sporgendo il capo dal<br />
finestrino laterale, e tutta la sua vita s’era concentrata<br />
nell’attesa.<br />
Quest’attesa non fu di lunga durata. Là dall’ingresso risonò il<br />
richiamo: - Carrozza della signora Zàjtsova —; il cocchiere agitò
le redini, la cassa della carrozza ondeggiò sull’alte molle, le<br />
finestre illuminate della casa vennero a scorrere una dopo l’altra<br />
di fuori ai finestrini.<br />
-Bada che se tu, canaglia, dici al lacchè che io sto qui, -<br />
esclamò il conte, protendendosi al finestrino anteriore, verso il<br />
cocchiere, — ti gonfio di botte; ma se non dirai nulla, altri dieci<br />
rubli!<br />
Aveva appena fatto in tempo a riabbassare il finestrino, che<br />
la cassa della carrozza tornò, più forte che mai, a traballare, e la<br />
carrozza si fermò. Lui si rannicchiò in un angolo, sospese il<br />
respiro, contrasse perfino la faccia: tanto era il timore che, per<br />
un motivo о l’altro, non riuscisse a nulla la sua spasimante<br />
attesa. Lo sportello fu aperto, caddero giù uno dopo l’altro,<br />
rumorosamente, i gradini del montatoio, si sentì il fruscio d’un<br />
abito femminile, nello stantio della carrozza irruppe un<br />
profumo d’essenza di gelsomino, due rapidi piedini corsero su<br />
per il montatoio: e Anna Fjòdorovna, facendo ricadere il lembo<br />
della mantella aperta sulla gamba del conte, silenziosa, ma<br />
ansante, s’abbandonò sul sedile a fianco di lui.<br />
Si fosse avveduta di lui, oppure no, è una cosa che nessuno<br />
potrebbe dir con certezza, neanche la stessa Anna Fjòdorovna;<br />
ma, quando egli le prese la mano e le disse: — Be’, ormai la<br />
bacerò a onta di tutto, la vostra manina! - essa con molta grazia<br />
si mostrò spaventata, e non rispose nulla, ma gli concesse la<br />
mano, che egli tempestò di baci fin su, molto più in su del<br />
guanto. La carrozza si mosse.<br />
-Dimmi qualcosa, dunque. Non sarai mica inquieta? — le<br />
disse lui.<br />
Essa, in silenzio, si rannicchiò nel suo angolo; ma tutt’a un<br />
tratto, per qualche ragione, scoppiò in lacrime, e venne lei<br />
stessa ad abbandonarglisi col capo sul petto.
VI.<br />
Il neo-questore con la sua brigata, il cavallerizzo e gli altri<br />
nobili stavano già da un pezzo ad ascoltar gli zigani e a bere<br />
nella trattoria nuova, quando il conte, con una pelliccia d’orso<br />
coperta di panno turchino, che era appartenuta al defunto<br />
consorte di Anna Fjòdorovna, fece ritorno alla comitiva.<br />
-Oh, Eccellenza carissima! Ci sapeva proprio mill’anni! —<br />
esclamò un nero zigano dagli occhi loschi e dai denti che gli<br />
splendevano così scoperti, andandogli incontro fin nel vestibolo<br />
e precipitandosi a togliergli la pelliccia. – È da Lebedjàn, che vi<br />
dobbiamo rivedere! La nostra Stjòša è diventata tisica, per voi...<br />
Stjòša, una ben proporzionata, giovanissima zigana<br />
dall’incarnato d’un rosso mattone sul bronzeo del viso, con certi<br />
splendenti, profondi occhi neri ombreggiati da lunghe ciglia,<br />
s’affrettò anche lei a farglisi incontro.<br />
-Ah! conte bello! tesoruccio d’oro! guarda che felicità! —<br />
incominciò a dire, di traverso ai denti, con un sorriso lieto.<br />
Iljùška in persona gli venne incontro senza perder tempo,<br />
facendo finta d’esser contentissimo. E vecchie, donne,<br />
giovinette, tutte balzarono su dai loro posti e circondarono<br />
l’ospite. Chi si vantava d’essergli comare, chi fratello di croce 7 .<br />
A tutte le zigane giovani, Turbin dava giù baci sulle labbra; le<br />
vecchie e gli uomini, erano loro a dargli il bacio sulla spalla о<br />
sulla mano. I nobili si rallegrarono anch’essi vivamente<br />
dell’arrivo dell’ospite, tanto più che la baldoria, giunta ormai al<br />
suo apogeo, stava già sul raffreddarsi: ognuno incominciava a<br />
provare un senso di sazietà: e il vino, perduto l’effetto d’eccitare<br />
i nervi, non faceva più che aggravare lo stomaco. Ognuno aveva<br />
ormai sparato tutta la sua carica di brio, ed era stufo di guardar<br />
7 [Fratelli di croce si diveniva scambiando la croce di battesimo].
in faccia il compagno; tutte le canzoni erano state cantate e<br />
ricantate, e si mischiavano insieme nel cervello d’ognuno,<br />
lasciandovi un’impressione di frastuono e di dissolvimento.<br />
Qualunque cosa si tentasse ancora di fare, per quanto bizzarra<br />
ed estrosa, alla mente di tutti s’affacciava il pensiero che non<br />
avesse nulla di piacevole e di buffo. Il questore, coricato<br />
scompostamente per terra ai piedi d’una di quelle vecchie,<br />
annaspava con le gambe e gridava:<br />
-Sciampagna!... È arrivato il conte!... Sciampagna!... È<br />
arrivato!... Su, forza, sciampagna!... Una vasca voglio riempirne,<br />
di sciampagna, e voglio farci il bagno... Signori nobili! mi piace<br />
assai la distinta società dei nobili... Stjòška! cantami Lo<br />
stradello.<br />
Anche il cavallerizzo era in cimbali, ma in modo diverso. Se<br />
ne stava seduto sul divano, in un angolo, stretto stretto al fianco<br />
dell’alta, bella zigana Ljubàsa, e, sentendo che i fumi del vino gli<br />
annebbiavano gli occhi, batteva le palpebre, tentennava la testa,<br />
e a bassa voce, ripetendo sempre le medesime parole, cercava di<br />
persuader la zigana a fuggir con lui non so dove. Ljubàsa,<br />
sorridendo, stava a sentirlo, come se ciò che egli le diceva fosse<br />
molto divertente e, nello stesso tempo, un po’ malinconico;<br />
gettava ogni tanto un’occhiata al marito, il losco Sàška, ritto di<br />
fronte a lei alla spalliera d’una sedia; e, per tutta risposta alle<br />
dichiarazioni d’amore del cavallerizzo, gli si piegava all’orecchio<br />
e lo pregava di comperarle di nascosto (che le altre non lo<br />
sapessero) profumi e nastri.<br />
-Urrà! — gridò il cavallerizzo, all’entrare del conte.<br />
Il giovane bello, con aria meditabonda, misurava con passi<br />
volutamente sicuri, innanzi e indietro, la stanza, e canticchiava<br />
motivetti dalla Rivolta nel serraglio.<br />
Intanto, un vecchio padre di famiglia, trascinato qui dagli<br />
zigani dalle insistenti preghiere dei signori nobili, i quali gli<br />
avevano detto che, se non c’era lui, tutto andava a monte, ed<br />
era meglio non venirci affatto, rimaneva giù lungo su un<br />
divano, dove s’era gettato appena entrato, e nessuno gli badava
più che tanto. E un impiegato, capitato anche lui qui,<br />
sbarazzatosi del frac, s’era seduto coi piedi sul tavolo, s’era data<br />
una scaruffata ai capelli, e cosi s’ingegnava a dimostrare che<br />
stava facendo un’orgia in grande. All’entrare del conte, costui si<br />
sbottonò subito il collo della camicia, e spinse ancora più alte le<br />
gambe sul tavolo. In complesso, con la venuta del conte, la<br />
baldoria si ravvivò.<br />
Le zigane, che già avevano incominciato a girovagare qua e<br />
là per il locale, tornarono ad accomodarsi in circolo. Il conte si<br />
fece sedere Stjòša – la prima voce – sulle ginocchia, e ordinò che<br />
portassero dell’altro champagne.<br />
Allora Iljùška, con la chitarra, si piantò dinanzi alla prima<br />
voce, ed ebbe inizio la «danza», l’esecuzione cioè di canzoni<br />
zigane: «Me ne vado per la via», «Ohi voi, ussari...», «Ascolti,<br />
intendi...» e via dicendo, nell’ordine stabilito. Stjòška cantava<br />
magnificamente. La sua morbida, sonora voce di contralto, che<br />
le sgorgava proprio dal fondo del petto; i sorrisi che faceva tra il<br />
canto; il riso, la passione dei begli occhi, il piedino che le si<br />
moveva d’istinto a tempo con la canzone, e la sfrenatezza del<br />
grido che lanciava all’entrata del coro, eran tutte cose che<br />
toccavano l’anima su una corda squillante, ma rara a vibrare.<br />
Riusciva evidente che la ragazza viveva tutta, senza riserve,<br />
nella canzone che si trovava a cantare. Iljŭška, col sorriso, con<br />
la schiena, coi piedi, con tutto l’essere, esprimeva la sua<br />
adesione alla canzone, mentre la accompagnava con la chitarra:<br />
e, sospeso a lei con gli occhi, quasi che per la prima volta la<br />
canzone gli giungesse all’orecchio, a tempo con questa –<br />
intento, meditabondo – chinava e sollevava la testa. Poi<br />
d’improvviso egli si raddrizzava su all’ultima nota del canto, e,<br />
come se si sentisse al di sopra di tutti gli uomini di questo<br />
mondo, superbamente, decisamente sbalzava in alto con la<br />
gamba la chitarra, la faceva rotear su se stessa, trepestava coi<br />
tacchi, scrollava indietro i capelli, e — aggrottando il viso —<br />
abbracciava con un’occhiata il coro. Tutta la sua persona, dal<br />
collo ai calcagni, incominciava a danzare in ogni fibra... E venti
energiche, robuste voci, ciascuna delle quali cercava col<br />
massimo impegno di accordarsi con l’altre nel modo più strano<br />
e più originale, venivano a spandersi nell’atmosfera. Le vecchie<br />
sobbalzavano sulle sedie, agitando i fazzoletti e digrignando i<br />
denti, e lanciavano grida all’unisono e in cadenza, una più a<br />
squarciagola dell’altra. I bassi, piegando la testa di lato e<br />
inturgidendo il collo, rombavano, ritti alle spalliere delle sedie.<br />
Quando Stjòša prendeva gli acuti, Iljùška le accostava più<br />
vicino la chitarra, quasi in un desiderio di venirle in aiuto; e il<br />
giovane bello prorompeva, esultante, che ora venivano i<br />
bemolli.<br />
Allorché fu intonata una canzone di danza, e, con un fremito<br />
delle spalle e del petto, s’avanzò Dunjàša, compì un’evoluzione<br />
dinanzi al conte, e scivolò oltre, Turbin balzò in piedi, gettò via<br />
la giubba, e così in camicia rossa, com’era rimasto, bravamente<br />
entrò ad accompagnarla al momento preciso e con tempo<br />
perfetto, eseguendo coi piedi certi virtuosismi, che gli zigani,<br />
con sorrisi d’approvazione, si scambiavano occhiate l’un l’altro.<br />
Il questore, che s’era seduto alla turca, si picchiò col pugno<br />
contro il petto, e si mise a gridare: — Evviva! — Quindi,<br />
agguantato il conte per una gamba, incominciò a raccontargli<br />
ch’era venuto qui con duemila rubli, mentre adesso gliene<br />
restavano in tutto cinquecento, e che poteva, lui, far tutto ciò<br />
che gli andasse a genio, purché il conte glielo permettesse. Il<br />
vecchio padre di famiglia, svegliatosi, voleva ritirarsi: ma non lo<br />
lasciarono andare. Il giovane bello insisteva a pregare una<br />
zigana che ballasse un valzer con lui. Il cavallerizzo, smanioso<br />
di pavoneggiarsi della sua amicizia col conte, si levò dal suo<br />
angoletto e abbracciò Turbin.<br />
-Ah, tesoro mio! — gli disse. — Perché, però, ti sei<br />
allontanato da noi? Eh? — E mentre il conte restava in silenzio,<br />
pensando evidentemente ad altro: — Dove te ne sei andato?<br />
Ah, tu sei un birbante, conte mio: io lo so benissimo, dove te ne<br />
sei andato!<br />
A Turbin, per qualche ragione, dispiacque tanta familiarità.
Senza sorridere, posò in silenzio lo sguardo sul viso del<br />
cavallerizzo: e, tutt’a un tratto, gli lanciò a bruciapelo una così<br />
tremenda e grossolana bestemmia, che l’altro ne restò ferito, e<br />
per un pezzo stette lì senza sapere come dovesse prendere<br />
questa offesa: in ischerzo, о sul serio. Finalmente, decise in<br />
ischerzo: fece un sorriso, e se ne tornò dalla sua zigana,<br />
assicurandole che si sarebbe assolutamente sposato con lei<br />
dopo Pasqua. Fu intonata un’altra canzone, un’altra ancora;<br />
ancora una volta le zigane danzarono, poi magnificarono gli<br />
ospiti; e a tutti il trattenimento continuava a parer divertente.<br />
Lo champagne era inesauribile. E il conte, da parte sua, beveva<br />
molto. Gli occhi gli s’erano come soffusi d’un velo umido, ma<br />
egli non vacillava, danzava anzi meglio di prima, parlava con<br />
sicurezza, e univa addirittura anche lui, con ottimo effetto, la<br />
sua voce al coro, e fece bordone a Stjòša, quando questa cantò<br />
«D’amore il tenero affanno». Nel bel mezzo delle canzoni, il<br />
mercante che gestiva la trattoria venne a pregare i clienti di<br />
volersi ritirare, giacché erano ormai le tre del mattino.<br />
Subito il conte afferrò il mercante pel bavero, e gli ingiunse<br />
di ballare sui ginocchi rattratti. Il mercante si rifiutò. Il conte,<br />
allora, agguantò una bottiglia di champagne-, e, rivoltato il<br />
mercante con le gambe all’aria, ordinò che lo tenessero a quel<br />
modo, mentre lui, fra le risa generali, lentamente gli mesceva in<br />
gola tutta la bottiglia.<br />
Già chiariva il giorno. Tutti erano pallidi e sfiniti, ad<br />
eccezione del conte.<br />
-Ma adesso è tempo che parta per Mosca, - disse egli<br />
improvvisamente, alzandosi. - Venite tutti a casa mia, ragazzi.<br />
Fatemi l’accompagnamento... e piglieremo insieme il tè!<br />
Tutti acconsentirono, tranne il possidente che s’era<br />
addormentato, e che lì restò; s’accalcarono stretti stretti nelle<br />
tre slitte, che sostavano all’ingresso: e via verso l’albergo.
VII.<br />
-Attaccate i cavalli! — gridò il conte, entrando nella sala di<br />
soggiorno dell’albergo col suo codazzo d’invitati e di zigani. -<br />
Sàška! Non dico lo zigano Sàška, ma quello mio: di’ al capo della<br />
stazione di posta che lo pesto ben bene, se i cavalli non saranno<br />
in gamba. E portaci qua il tè! Zavalšèvskij, tu organizza il tè, e<br />
intanto io andrò da Ilín, voglio veder cosa fa, - soggiunse<br />
Turbìn: e, avviandosi al corridoio, si diresse alla stanza<br />
dell’ulano.<br />
Ilín aveva appena terminato di giuocare; e, avendo perduto<br />
tutto fino all’ultimo centesimo, stava a faccia sotto allungato sul<br />
divano di lacero crino, strappandosi uno dopo l’altro i capelli,<br />
mettendoseli in bocca, mordicchiandoli e risputandoli fuori.<br />
<strong>Due</strong> candele di sego - di cui una era bruciata ormai fino al<br />
bocciuolo - ritte sul tavolo da giuoco ingombro di carte,<br />
lottavano fiaccamente con la luce del mattino, che filtrava dalle<br />
finestre. Pensieri, nel cervello dell’ulano, non ce n’erano affatto:<br />
la spessa nebbia della passione del giuoco era venuta a stendersi<br />
su tutte le sue facoltà spirituali; neanche più rimorso c’era in<br />
lui. S’era provato a pensare, una volta, che cosa gli restasse a<br />
fare, come partire senza un centesimo in tasca, come pagare i<br />
quindicimila rubli che aveva perduti del danaro del Governo,<br />
che cosa avrebbe detto il comandante del reggimento, che cosa<br />
avrebbe detto sua madre, suoi colleghi: e tale era stato l’orrore,<br />
tale il disgusto di se stesso, che lo avevano sopraffatto, da<br />
doversi tirar su, in un bisogno di dimenticarsi, mettendosi a<br />
camminare per la stanza, attento soltanto a porre i piedi lungo<br />
le fessure tra le assi; ma di nuovo, mentre faceva così, aveva<br />
ricominciato a rievocarsi tutti i minimi particolari del giuoco<br />
appena trascorso: s’immaginava al vivo che ecco, stava<br />
prendendo la rivincita: scarta un nove, punta sul re di picche<br />
duemila rubli, a destra sta disposta una regina, a sinistra un<br />
asso, a destra il re di quadri - e tutto va a rovescio; ma se a
destra ci fosse un sei, e a sinistra il re di quadri, allora si<br />
rifarebbe completamente: tornerebbe a puntare tutto per la<br />
bella, e vincerebbe quindicimila rubli netti netti: allora si<br />
sarebbe comprato quel buon portante dal comandante del<br />
reggimento, un altro paio di cavalli, un phaéton... E poi che<br />
cosa, ancora? Sì, insomma sarebbe stato proprio un gran bel<br />
tiro.<br />
S’era di nuovo coricato sul divano, e aveva ricominciato a<br />
rosicchiarsi i capelli.<br />
«Come sarà che cantano delle canzoni, al numero sette? —<br />
rifletté. - Si vede che là da Turbin stanno facendo allegria. Non<br />
sarebbe male andarci, e fare una buona bevuta».<br />
In quel momento, entrò il conte.<br />
-Be’, sei rimasto al verde, eh fratello? - gridò.<br />
«Voglio far finta di dormire, — pensò Ilìn, — sennò mi tocca<br />
di discorrer con lui, mentre ormai ho sonno».<br />
Turbin, tuttavia, gli venne accosto, e gli accarezzò con la<br />
mano la testa.<br />
-Suvvia, amico mio: sei rimasto al verde? hai perduto? parla!<br />
Ilìn non rispondeva.<br />
Il conte lo tirò per un braccio.<br />
-Ho perduto. E a te, che importa? — borbottò Ilín con voce<br />
assonnata, fra indifferente e stizzosa, senza mutar positura.<br />
-Tutto quanto?<br />
-E sì! Ti pare un gran guaio? Tutto! Che importa, a te?<br />
-Ascolta, dimmi la verità, come a un tuo compagno d’armi,<br />
— esclamò il conte, che sotto l’effetto del vino bevuto era<br />
incline alla tenerezza, e continuava a carezzarlo sui capelli. –<br />
Sul serio, io mi ti sono affezionato. Dimmi la verità: se hai<br />
perduto roba del Governo, ci penso io a trarti d’impaccio; ma<br />
non c’è da perder tempo... Danaro del Governo, ne avevi?<br />
Ilìn saltò su dal divano.<br />
-Se tu vuoi proprio che te lo dica, ebbene, non parlare con<br />
me, perché... fammi il favore, non parlar con me... una<br />
pallottola in fronte, ecco quel che mi resta, e nient’altro! —
proruppe con schietta disperazione, sorreggendosi la testa fra le<br />
mani e sciogliendosi in lacrime, sebbene ancora un minuto fa,<br />
con la più gran calma, avesse il pensiero ai buoni portanti.<br />
-Eh, mi sembri una verginella! Via, son cose che capitano a<br />
tutti! Non è mica la fine del mondo: chissà che ancora non<br />
riusciamo a rimediarci. Aspettami un momento qui.<br />
E il conte uscì dalla stanza.<br />
-Dove sta Lùchnov, il possidente? - domandò al cameriere, lì<br />
nel corridoio.<br />
Il cameriere s’offrì a condurre il conte. Il conte, sebbene il<br />
servitore di Lùchnov facesse presente che il padrone era<br />
rientrato allora allora, e s’era svestito, entrò nella camera.<br />
Lùchnov, in vestaglia, stava là seduto al tavolino, intento a<br />
contare parecchi pacchi di banconote, che aveva disposti<br />
innanzi. Sul tavolino c’era una bottiglia di vino del Reno, che<br />
egli prediligeva: con la vincita che aveva avuto, s’era permesso<br />
questa voluttà. Freddamente, severamente, di sopra agli<br />
occhiali, con l’aria di non ravvisarlo, Lùchnov diede un’occhiata<br />
al conte.<br />
-Voi, a quanto pare, non mi ravvisate? — disse il conte, con<br />
passo risoluto avvicinandosi al tavolo.<br />
Lùchnov ravvisò il conte, e domandò:<br />
-Che cosa desiderate?<br />
-Vorrei giuocare un po’ con voi, - disse Turbin, e s’accomodò<br />
lì sul divano.<br />
-Adesso?<br />
-Già.<br />
-Un’altra volta, con mio gran piacere, conte! Ma adesso, io<br />
sono stanco, e ho intenzione di schiacciare un sonnellino. Non<br />
vi andrebbe un sorso di vino? È davvero un buon vinetto.<br />
-Ma io, adesso, vorrei fare una giuocatina.<br />
-Non ho intenzione di giuocar ancora. Forse, qualcuno di<br />
quegli altri signori ci si metterà, ma io, conte, non me la sento!<br />
Voi vorrete scusarmi, spero.<br />
-Sicché, non giuocate?
Lùchnov fece con le spalle un gesto che esprimeva<br />
rammarico per l’impossibilità, in cui era, di soddisfare il<br />
desiderio del conte.<br />
-Non giuocate a nessun costo?<br />
Quel medesimo gesto si ripetè.<br />
-Ma io ve ne prego vivamente... Su dunque, giuocherete?<br />
Nessuna risposta.<br />
-Giuocherete? – per la seconda volta domandò il conte. —<br />
Fate attenzione!<br />
Il medesimo silenzio di prima, e un rapido sguardo, di sopra<br />
agli occhiali, al corruccio che veniva affiorando sul viso del<br />
conte.<br />
-Giuocherete? — ad alta voce proruppe il conte, picchiando<br />
con la mano sul tavolo con tanta violenza, che la bottiglia di<br />
vino del Reno ribaltò, e il contenuto se ne sparse. — Sapete<br />
bene che avete vinto in modo poco pulito! Giuocherete? È la<br />
terza volta che ve lo domando.<br />
-Vi ho detto di no... Questo è davvero uno strano modo<br />
d’agire, conte! Ed è sconveniente, addirittura, incalzare cosi una<br />
persona col coltello alla gola! – ribatte Lùchnov, senz’alzare gli<br />
occhi.<br />
Segui, non troppo lungo, un intervallo di silenzio, durante il<br />
quale il viso del conte s’andava sempre più spallidendo.<br />
D’improvviso, un tremendo colpo in testa sbalordì Lùchnov.<br />
Egli cadde giù sul divano, tentando d’agguantare il danaro, e<br />
cacciò un grido cosi acuto e disperato, come non ci si sarebbe<br />
mai aspettati da una persona sempre tanto calma e ben<br />
composta. Turbin raccolse di sul tavolo tutto il danaro che c’era<br />
rimasto, respinse con un urtone il servitore, che faceva per<br />
accorrere in aiuto del padrone, e con rapidi passi usci dalla<br />
stanza.<br />
-Se volete soddisfazione, ai vostri ordini: mi tratterrò ancora<br />
nella mia stanza per una mezz’ora, - soggiunse il conte,<br />
tornando indietro, fin sulla porta di Lùchnov.<br />
-Teppista! Rapinatore! — si udì di là dentro. – Vi porterò
dinanzi al tribunale criminale!<br />
Ilìn intanto, che non aveva dato alcun peso alle promesse del<br />
conte di cavarlo d’impaccio, se ne stava sempre a quel modo<br />
coricato nella sua stanza sopra al divano, e un pianto disperato<br />
lo soffocava. La coscienza della realtà, che attraverso lo strano<br />
guazzabuglio di sentimenti, d’idee e di ricordi, traboccanti<br />
nell’intimo, gli era stata destata dall’affettuosità, dalla simpatia<br />
del conte, non lo aveva lasciato più. La giovinezza ricca di<br />
speranze, l’onore, la stima della società, i sogni d’amore e<br />
d’amicizia, tutto era perduto per sempre. La fonte delle lacrime<br />
incominciava a inaridire; un senso – troppo calmo – di<br />
disperazione s’impossessava sempre più a fondo di lui; e il<br />
pensiero del suicidio, senza ormai provocargli avversione né<br />
orrore, sempre più spesso veniva a fermar la sua mente.<br />
Quand’ecco risonare il passo sicuro del conte.<br />
Sul viso di Turbin erano ancora visibili le tracce dell’ira; le<br />
mani gli tremavano un pochino; ma dagli occhi raggiavano una<br />
lietezza buona e una soddisfazione di se stesso.<br />
-Te’! ho rivinto ogni cosa! — esclamò, gettando sul tavolo<br />
parecchi pacchi di banconote. - Conta su: sono tutti? E poi,<br />
lesto a venire in sala di soggiorno, ché or ora io parto, -<br />
soggiunse, come se non s’avvedesse neppure della profonda<br />
commozione, piena di gioia e di gratitudine, apparsa sul viso<br />
dell’ulano. E, fischiettando una canzone zigana, uscì dalla<br />
stanza.
VIII.<br />
Sàška, già avvoltolato stretto nella cintura, riferì che i cavalli<br />
eran pronti, ma chiese il permesso d’andar a prendere, prima, il<br />
mantello del conte, che secondo lui, a calcolarci il bavero,<br />
valeva trecento rubli, restituendo la miserabile pelliccia<br />
turchina a quel delinquente che l’aveva scambiata col mantello,<br />
là in casa del maresciallo. Turbin rispose però che non era il<br />
caso di ricercare il mantello, e s’avviò in camera sua a mutar<br />
vestito.<br />
Il cavallerizzo rompeva di continuo in colpi di singhiozzo,<br />
seduto in silenzio al fianco della sua zigana.<br />
Il questore chiedeva altra acquavite, e invitava tutti i signori<br />
lì presenti a recarsi subito a colazione in casa sua, promettendo<br />
che sua moglie in persona, senz’alcun dubbio, si sarebbe messa<br />
a danzar con le zigane.<br />
Il bel giovanotto, con aria profonda, andava spiegando a<br />
Iljùška come, sul pianoforte, si possa suonar con più anima, e<br />
come, sulla chitarra, i bemolli non si possano prendere. Il<br />
funzionario, mesto mesto, beveva il tè in un cantone, e si<br />
sarebbe detto che così, alla luce del giorno, sentisse vergogna<br />
del disordine che aveva fatto. Gli zigani discutevano fra loro<br />
nella loro lingua, e insistevano nel voler «magnificare» un’altra<br />
volta i clienti, al che Stjòša s’opponeva dicendo che il barorà)<br />
(in zigano, il conte о il principe, о più esattamente, un gran<br />
signore 8 ) si sarebbe arrabbiato. Insomma, in tutti, stava ormai<br />
per estinguersi l’estrema scintilla del bagordo.<br />
-Orsù: come addio, un’altra canzone, e poi mar se ognuno a<br />
casa sua! - esclamò il conte, fresco, allegro, più leggiadro che<br />
mai, cosi vestito da viaggio com’era entrato in sala.<br />
8 [In russo, bàrin].
Gli zigani tornarono a disporsi in circolo: e stavano proprio<br />
per attaccare a cantare, quando sopravvenne Ilìn con un pacco<br />
di banconote in mano, e chiamò in disparte il conte.<br />
-Io avevo, in tutto, quindicimila rubli del Governo, e invece<br />
tu me n’hai dati sedicimilatrecento, — gli disse; — ce n’è dei<br />
tuoi, si vede.<br />
-Ottima cosa! Da’ qua.<br />
Ilìn gli consegnò la differenza, timidamente guardando il<br />
conte; fece per aprir bocca, in un desiderio di dir qualche cosa;<br />
ma non seppe che arrossire, tanto che gliene spuntarono<br />
perfino le lacrime: poi afferrò al conte la mano, e si diede a<br />
stringergliela.<br />
-<strong>Lev</strong>ati di torno! Iljùška... ascoltami: eccoti del danaro;<br />
purché mi facciate l’accompagnamento, cantando, fino alla<br />
barriera! - E gli gettò là sulla chitarra quei milletrecento rubli,<br />
che Ilìn gli aveva riportati. Ma, al cavallerizzo, il conte si scordò<br />
senz’altro di restituire i cento rubli, che ne aveva presi in<br />
prestito iersera.<br />
Erano già le dieci del mattino. Il solicello s’era levato più alto<br />
dei tetti; per le strade c’era un andirivieni di gente; da un pezzo<br />
i mercanti avevano aperto bottega; possidenti e impiegati<br />
passavano in carrozza; le signore, a piedi, giravano per il bazar:<br />
quando l’orda degli zigani, il questore, il cavallerizzo, il bel<br />
giovanotto, Ilín e il conte - che aveva indosso la pelliccia d’orso<br />
turchina - uscirono sul pianerottolo dell’albergo. Era una<br />
giornata di sole e di disgelo. Tre troiche postali, coi cavalli che<br />
avevan le code legate a corto, e facevano schioccar con le zampe<br />
la liquida melmetta, vennero ad accostarsi alla scala, e tutta<br />
l’allegra compagnia s’accinse a sistemarcisi sopra. Il conte, Ilín,<br />
Stjòša, Iljùška e Sàška l’attendente, montarono sulla prima<br />
slitta. Blücher non stava più nella pelle, e, scodinzolando,<br />
abbaiava al cavallo di centro. Sulle altre due slitte<br />
s’accomodarono i rimanenti, comprese le zigane e gli zigani.<br />
Appena partite dall’albergo, le slitte s’allinearono insieme, e gli<br />
zigani intonarono una canzone in coro.
Fra canzoni e scampanellio di sonagliere, costringendo ad<br />
addossarsi ai marciapiedi quanti veicoli incontravano per via, le<br />
troiche percorsero tutta la città fino alla barriera.<br />
E non poco si meravigliarono bottegai e passanti - tanto<br />
quelli che non sapevano chi fossero, quanto soprattutto quelli<br />
che lo sapevano — a vedere quei nobili possidenti che<br />
scarrozzavano così in pieno giorno per le vie della città fra<br />
canzoni, donne zigane e zigani ubriachi.<br />
Quand’ebbero oltrepassato la barriera, le troiche si<br />
fermarono, e tutti si fecero ad accomiatarsi dal conte.<br />
Ilìn, che aveva bevuto piuttosto forte per l’addio, e che fin<br />
qui aveva sempre guidato di sua mano i cavalli, d’improvviso<br />
divenne tutt’afflitto, e si mise a persuadere il conte che<br />
rimanesse un’altra giornatina: ma quando si fu convinto che<br />
questa era una cosa impossibile, di punto in bianco, rompendo<br />
in lacrime, si slanciò a baciare il suo nuovo amico, e garantiva<br />
che, appena rientrato al reggimento, avrebbe chiesto d’esser<br />
trasferito negli ussari, in quel medesimo reggimento in cui<br />
prestava servizio Turbin. Il conte, dal canto suo, era pieno<br />
d’allegria: al cavallerizzo — che stamattina gli dava ormai<br />
definitivamente del tu -diede una spinta da farlo cadere in un<br />
mucchio di neve; al questore, gli aizzò contro Blücher; Stjòška,<br />
se la sollevò tra le braccia, e voleva portarsela a Mosca; e<br />
finalmente, saltato sulla slitta, si fece accomodare a fianco<br />
Blücher, il quale voleva sempre star ritto nel mezzo. Allora<br />
Sàška, dopo avere ancora una volta pregato il cavallerizzo di<br />
toglier da quelle mani il mantello del conte, e di spedirlo, saltò<br />
anche lui a cassetta. Il conte gli gridò: — Avanti! – sventolò il<br />
berretto alto sul capo, e, al modo dei vetturali, fece un fischio ai<br />
cavalli. E le troiche presero ognuna per la propria strada.<br />
Ben lontano, innanzi, si scopriva alla vista l’uniforme distesa<br />
nevosa, per la quale serpeggiava, giallastra di fango, la striscia<br />
della strada. Il sole vivido, svariando, riluceva sulla neve in<br />
dimoia, che aveva una diafana crosta di ghiaccio, e<br />
gradevolmente veniva a scaldare il viso e la schiena. Dai cavalli
sudati s’alzava a sbuffi il vapore. La sonagliera mandava il suo<br />
squillo .Un contadino che trasportava un carico su una piccola<br />
slitta sconquassata, s’affrettò, con una stratta alle redini di<br />
corda, a farsi da parte, diguazzando di corsa con le povere cioce<br />
inzuppate fra il disgelo della strada; mentre una massiccia,<br />
sanguigna contadina col figliuoletto in grembo, infilato nella<br />
pelliccia di pecora, se ne stava seduta su un secondo carico,<br />
stimolando con le estremità delle redini una brenna bianca<br />
dalla coda spelacchiata. Al conte, di soprassalto, si riaffacciò alla<br />
mente Anna Fjòdorovna.<br />
-Indietro! — diede voce.<br />
Il vetturale non capì sul momento.<br />
-Volta indietro! Torna in città! Alla svelta!<br />
La troica varcò di nuovo la barriera e, velocemente, rotolò fin<br />
sull’assito dinanzi alla casa della signora Zàjtsova. Rapido il<br />
conte corse su per la scala interna, s’inoltrò in anticamera, in<br />
salotto, e, trovata la vedovella che ancora dormiva, se la prese<br />
fra le braccia, la sollevò di sul letto, le posò un bacio sugli<br />
occhietti sonnolenti, e alla svelta corse via. Anna Fjòdorovna,<br />
tra veglia e sonno, non seppe che leccarsi le labbra, e<br />
domandare: — Che è successo? — Il conte era già saltato sulla<br />
slitta: diede voce al vetturale, e, senza fare altre soste, senza<br />
neanche ricordarsi più né di Lùchnov, né della vedovella, né di<br />
Stjòška, col pensiero rivolto unicamente a ciò che lo aspettava a<br />
Mosca, partì per sempre dalla città di K.
IX.<br />
Erano passati vent’anni. Molt’acqua era corsa sotto i ponti,<br />
dal tempo di quegli avvenimenti; molta gente era morta, molta<br />
ne era nata, molta se n’era fatta adulta e vecchia; e ancor più<br />
nascite e morti c’erano state nel mondo delle idee: molto di<br />
bello e molto di brutto, fra quanto era vecchio, era sparito,<br />
molto di bello, fra quanto era nuovo, s’era sviluppato, e molto,<br />
anzi molto di più — fra quanto era nuovo — incapace di<br />
sviluppo, mostruoso, aveva fatto la sua comparsa sotto il sole.<br />
Il conte Fjòdor Turbìn già da un pezzo era rimasto ucciso, in<br />
un duello con non so quale straniero, che aveva preso a frustate<br />
per la via; il figliuolo, che gli rassomigliava come si<br />
rassomigliano due gocce d’acqua, era ormai un magnifico<br />
giovane di ventitré anni, e prestava servizio nella cavalleria<br />
della guardia. Il giovane conte Turbìn, moralmente, non<br />
rassomigliava però affatto a suo padre. Non c’era in lui neppur<br />
l’ombra di quelle tempestose, passionali e - diciamo la verità —<br />
dissolute tendenze del secolo scorso. Insieme con l’ingegno,<br />
con l’istruzione e con l’ereditaria ricchezza della natura, un<br />
amore per le maniere educate e per le comodità della vita, una<br />
comprensione realistica degli uomini e delle circostanze,<br />
assennatezza e preveggenza, erano le doti che lo distinguevano.<br />
In quanto a carriera, il giovane conte andava a gonfie vele: a<br />
ventitré anni, era già sottotenente... All'aprirsi delle operazioni<br />
di guerra, egli aveva pensato subito che gli avrebbe giovato, per<br />
esser promosso di grado, fare il passaggio nell’armata operante:<br />
ed era passato a un reggimento d’ussari come capitano,<br />
ricevendo in breve - effettivamente — il comando d’uno<br />
squadrone.<br />
Nel maggio del 1848, il reggimento degli ussari di S. si<br />
trovava a traversare, in marcia verso il fronte, il governatorato<br />
di K., e per l’appunto quello squadrone, ch’era al comando del<br />
giovane conte Turbin, fu costretto a pernottare alla Moròzovka,
campagna di proprietà d’Anna Fjòdorovna. Anna Fjòdorovna<br />
era ancora viva, ma ormai così lontana dalla gioventù, che lei<br />
stessa non si considerava più giovane, cosa che vuol dir molto<br />
per una donna. S’era molto ingrossata, e questo — a quanto si<br />
dice - ringiovanisce le donne: ma, anche su quella bianca<br />
pienezza di carni, si tradivano fonde, flaccide grinze. Essa non<br />
si recava più in città, e stentava perfino a montare in carrozza;<br />
ma era sempre bonaria a quel modo, e sciocchina pur sempre,<br />
come si poteva dire francamente adesso, che non c’era più la<br />
seduzione della sua bellezza. Insieme con lei vivevano sua figlia<br />
Lìza, ventitreenne beltà russa di campagna, e il fratello, il<br />
cavallerizzo che noi ben conosciamo, il quale aveva ormai<br />
mandato in fumo, per troppa bonomia, tutto il suo piccolo<br />
avere, e s’era rifugiato, così in vecchiaia, presso Anna<br />
Fjòdorovna. I capelli, sulla sua testa, s’erano completamente<br />
incanutiti; il labbro superiore gli era calato giù: ma i baffi,<br />
sopra, erano accuratamente tinti in nero. Le grinze gli<br />
tempestavano non solo la fronte e le guance, ma anche il naso e<br />
il collo; la schiena gli s’era ingobbita; eppure, nelle deboli<br />
gambe incurvate, si ravvisavano le maniere dell’antico<br />
cavallerizzo.<br />
Nel piccolo salotto della vecchia villetta, che aveva aperte le<br />
finestre e la porta del balcone sul giardino di tigli all’antica,<br />
disposto a foggia di stella, stava raccolta tutta la famiglia e la<br />
gente di casa d’Anna Fjòdorovna. Anna Fjòdorovna, con la testa<br />
canuta in una cuffietta viola, seduta sul divano dinanzi a un<br />
tavolo rotondo di mogano, ci andava schierando le carte da<br />
giuoco. Il fratello, ch’era maggiore di lei, installato presso la<br />
finestra con certi pantaloncini bianchi ben lindi, e la redingote<br />
blu, badava a intrecciare intorno a un cornetto dei cordoncini<br />
di cotone grezzo, occupazione che gli era stata insegnata dalla<br />
nipote, e a cui lui s’era molto affezionato, giacché altro non<br />
poteva più fare, e per leggere il giornale (che sarebbe stata la<br />
sua occupazione preferita) gli occhi erano ormai troppo deboli.<br />
Pìmočka, ragazzetta di campagna che Anna Fjòdorovna aveva
presa sotto la sua protezione, stava là accanto a lui a imparar la<br />
lezione sotto la guida di Lìza, la quale faceva<br />
contemporaneamente, con gli uncinetti di legno, delle calze di<br />
lana di capra per lo zio. Gli ultimi raggi del sole al tramonto,<br />
come sempre avveniva a quest’ora, gettavano attraverso i tigli<br />
del viale, obliquamente, rotti bagliori sulla finestra da quella<br />
parte, e sull'étagère che ci stava accanto. Nel giardino e nella<br />
stanza il silenzio era così profondo, che si percepiva, di fuori<br />
alla finestra, il rapido frullar d’ali d’una rondine, о nella stanza<br />
un lieve sospiro d’Anna Fjòdorovna, о il vecchio che dava un<br />
gemito, ogni volta che accavallava una gamba sull’altra.<br />
-Come si debbono mettere? Lìzanka, fammi un po’ vedere. Io<br />
me ne scordo sempre, - esclamò Anna Fjòdorovna, che s’era<br />
impuntata nel disporre le carte del solitario.<br />
Lìza, senza cessar di lavorare, s’avvicinò alla madre e, data<br />
un’occhiata alle carte:<br />
-Ah, che confusione avete fatto, mammina mia bella! – disse,<br />
e mutava ordine alle carte. – Così, ecco, bisognava fare. Ma<br />
verrà fuori lo stesso come voi avevate in mente, — soggiunse, e<br />
senza farsene accorgere, aveva sottratto una carta.<br />
-Eh, tu ogni volta mi imbrogli! Dici sempre che è riuscito.<br />
-No, sul serio, vedrai che vien bene... È riuscito!<br />
-Hm, sì, sì, birichina! Ma non sarebbe tempo di prendere il<br />
tè?<br />
-Io ho già ordinato che scaldassero il samovar. Vado subito a<br />
vedere. Volete che ve lo servano di qua?... Su, lesta, Pìmočka, a<br />
finir di studiare, che poi andremo a fare un po’ di corse.<br />
E Lìza s’avviò a uscir dalla porta.<br />
-Lìzocka! Lìzanka! — intervenne lo zio, tutt’intento a<br />
scrutare il suo cornetto. – Daccapo, se non sbaglio, m’è sfuggita<br />
una maglia. Riprendimela tu, tesoro!<br />
-Subito, subito! Consegno lo zucchero da tritare, e torno.<br />
Ed effettivamente, di lì a non più che tre minuti, di corsa<br />
rientrava nella stanza, s’avvicinava allo zio, e lo prese per un<br />
orecchio.
-A voi, perché non vi lasciate più sfuggir le maglie! —<br />
esclamò, ridendo. — E non avete neppure eseguito quanto vi<br />
avevo dato per compito!<br />
-Via, basta, basta: rimediaci un po’, c’era qualche nodino, si<br />
vede!<br />
Lìza tolse su il cornetto; si sfilò la spilla dal fisciù, che così<br />
libero le si aprì un pochino alla brezza della finestra: e alla<br />
meglio, con la spilla, agganciò la maglia, la trasse due volte, e<br />
ridiede il cornetto allo zio.<br />
-Ebbene, datemi un bacio ora in compenso, — esclamò,<br />
porgendogli la gota accerita, e riappuntandosi il fisciù. — Ve lo<br />
daremo col rum, oggi, il tè. Oggi, come sapete, è venerdì.<br />
E di nuovo era andata di là, nella stanza pel tè.<br />
-Oh, zietto: venite a guardare: ecco gli ussari che arrivano da<br />
noi! — risonò, di là dentro, una vocina squillante.<br />
Anna Fjòdorovna e suo fratello passarono insieme nella<br />
stanza pel tè – di dove le finestre rispondevano sul villaggio – a<br />
vedere un po’ questi ussari. Qui dalla finestra si scorgeva ben<br />
poco: si distingueva soltanto, fra il polverone, una moltitudine<br />
in movimento.<br />
-Gran peccato però, sorellina mia, - commentò lo zio, rivolto<br />
ad Anna Fjòdorovna, - gran peccato che si stia così stretti, e che<br />
il padiglione non sia ancora terminato: avremmo potuto offrire<br />
ospitalità agli ufficiali. Gli ufficiali degli ussari, non è vero?, son<br />
tutti giovani così in gamba, così perbene, così allegroni: mi<br />
sarebbe piaciuto rivederli, almeno.<br />
-Cosa vuoi, anch’io ne sarei stata felicissima; ma siete voi il<br />
primo a saperlo, fratello caro, che posto non ce n’è mica: la<br />
camera mia da letto, la stanza di Lìza, il salotto, ed ecco, questa<br />
cameretta vostra, sono tutto quello che abbiamo. Dove si<br />
potrebbe, in questa casa, sistemar costoro, giudicatene voi<br />
stesso. Per loro ci ha pensato Michàjlo Matvjèjev a sgomberare<br />
l’isba del sindaco: dice che anche là sia ben pulito.<br />
-E pensare che per te, Lìzocka, avremmo scelto fra loro un<br />
fidanzato, un magnifico ussaro! — esclamò lo zio.
-No, io non lo voglio un ussaro; io voglio un ulano: negli<br />
ulani, infatti, voi avete prestato servizio, non è vero, zio?... Ma<br />
di costoro non voglio saperne. Son tutte teste sventate, ho<br />
sentito dire.<br />
E Lìza era un pochino arrossita, ma rise di nuovo col suo riso<br />
squillante.<br />
-Giusto, ecco Ùstjuška che viene di corsa: bisogna<br />
domandare a lei che cosa ha visto, — soggiunse.<br />
Anna Fjòdorovna fece chiamare Ùstjuška.<br />
-Non potete star ferme, eh, intorno al vostro lavoro? C’era<br />
proprio bisogno di correre a guardare i soldati! – le disse Anna<br />
Fjòdorovna. — Ebbene, di’ dunque: dove si sono sistemati gli<br />
ufficiali?<br />
-Dagli Jerjòmkin, padrona. Ce ne stanno due, certi bei<br />
giovanotti... uno è un conte, stavano a dire.<br />
-E di cognome, come fa?<br />
-Non so se Kazàrov; о Turbìnov... non m’è rimasto in mente,<br />
abbiate pazienza.<br />
-Guarda che stupida: non sa proprio ridirti un bel nulla.<br />
Almeno ti fossi informata come fa di cognome!<br />
-Vuol dire che ci fo subito una scappata.<br />
-Eh, lo so già, che per questo sei maestra! No, che ci vada<br />
Danilo: dite a lui, fratello caro, che vada là e domandi se non<br />
occorre nulla a quegli ufficiali; bisogna che tutto sia fatto con<br />
cortesia, in modo da far intendere ch’è la padrona che ha<br />
mandato a chiederlo.<br />
I vecchi tornarono a sedere nella stanza pel tè, e Lìza andò<br />
nel locale delle cameriere a mettere nel recipiente lo zucchero<br />
tritato. Ùstjuška, là, stava raccontando degli ussari.<br />
-Signorina mia bella, se vedeste che giovanotto, quel conte!<br />
— disse la ragazza. — Proprio un cherubino, con certe ciglia<br />
more... Vi ci vorrebbe un fidanzato come quello: così, almeno,<br />
fareste davvero una bella coppietta.<br />
Le altre cameriere approvarono con un sorriso; la vecchia<br />
governante, seduta presso la finestra a far la calza, emise un
sospiro e continuò – mentre pure faceva provvista di fiato – a<br />
recitare una sua preghiera.<br />
-Senti un po’ come ti son piaciuti, questi ussari!<br />
-esclamò Lìza. — Ma già tu sei maestra, a raccontare<br />
frottole. Porta di là, per favore, quel succo di frutta, Ùstjuška:<br />
bisogna dissetarli, gli ussari, con qualcosa d’agretto.<br />
E Lìza, ridendo, uscì con la zuccheriera dalla stanza.<br />
«Mi piacerebbe vederlo, però, che tipo d’ussaro sarà, —<br />
pensava tra sé, — un brunetto о un biondino? E anche lui<br />
sarebbe felicissimo, credo, di far conoscenza con noi. Invece<br />
ripartirà, e non avrà neppur saputo che qua c’ero io, e che<br />
pensavo a lui. E già quanti, così, me ne sono passati vicino,<br />
senz’accorgersene! Non c’è nessuno che mi veda, tranne lo zio e<br />
Ùstjuška. In qualunque modo io mi pettini, qualsiasi foggia di<br />
maniche adotti, nessuno mi può ammirare, -rifletté con un<br />
sospiro, guardandosi la mano bianca e pienotta. – Dev’essere<br />
alto di statura, costui; gli occhi grandi; dei piccoli baffetti neri...<br />
No, ecco che ormai ventidue anni mi son corsi via, e nessuno s’è<br />
innamorato di me, eccetto quel butterato d’Ivàn Ipàtyč; e,<br />
quattr’anni fa, io ero ancora più bella: dunque cosi,<br />
insipidamente, è già passata la mia gioventù di ragazza! Ah, non<br />
sono che una disgraziata, disgraziatissima signorina di<br />
campagna!»<br />
La voce della madre, che la chiamava a mescere il tè, ridestò<br />
la signorina di campagna da quella momentanea meditazione.<br />
Scrollò la testolina, ed entrò nella stanza pel tè.<br />
Le cose migliori riescono sempre quelle fatte senza pensarci; e,<br />
viceversa, quanto più ti ci affanni, tanto peggio riescono. In<br />
campagna, ben di rado ci si affanna intorno all’educazione da<br />
dare: e perciò, senza pensarci, si dà per lo più un’educazione<br />
eccellente. Così era avvenuto, in modo particolare, nel caso di<br />
Lìza. Anna Fjòdorovna, data la sua mente ristretta e l’indole<br />
spensierata, non aveva dato nessuna educazione a Lìza: non le<br />
aveva fatto imparar né la musica, né quella tanto utile lingua
francese; aveva, senza pensarci, messo al mondo (dal defunto<br />
marito) una robusta, graziosa bimbetta, la aveva affidata alla<br />
balia e alla governante, aveva badato a nutrirla, le aveva fatto<br />
indossare abitucci d’indiana e scarpette di pelle di capra, la<br />
aveva mandata a far passeggiate e a raccoglier funghi e bacche,<br />
le aveva preso un seminarista in casa per iniziarla alle lettere e<br />
alla matematica, e così, senza pensarci, in termine di sedici<br />
anni, aveva visto spuntarsi accanto, in Lìza, una compagna della<br />
vita, un’anima benevola e sempre allegra, e un’abile massaia per<br />
le faccende di casa. Non mancava mai presso Anna Fjòdorovna,<br />
col buon cuore che aveva, qualche ragazza che essa prendeva<br />
sotto la sua protezione, о tra le figlie dei dipendenti, о fra le<br />
trovatelle. Fin da quando aveva dieci anni, Lìza aveva<br />
incominciato a curarsi di loro: a istruirle, a vestirle, a condurle<br />
in chiesa, a moderarle quando si sfrenavano troppo. Poi era<br />
apparso all’orizzonte quel decrepito buon uomo dello zio, a cui<br />
bisognava accudire come a un bambino. Poi c’erano stati<br />
domestici e contadini, che venivano a rivolgersi alla giovane<br />
signorina con qualche supplica, о per qualche infermità, che lei<br />
curava a forza di sambuco, menta e spirito canforato. Poi<br />
l’azienda domestica, che insensibilmente era passata tutta nelle<br />
mani di lei. Poi l’insoddisfatta esigenza di amore, che trovava<br />
sfogo soltanto nella natura e nella religione. E da Lìza era<br />
venuta fuori, così, senza che nessuno ci pensasse, una donna<br />
attiva, piena di bonaria lietezza, indipendente, pura e<br />
profondamente religiosa. Certo, v’erano pure le piccole<br />
sofferenze di vanità alla vista delle vicine coi cappellini di moda,<br />
comperati a K., quando le stavano a fianco in chiesa; v’erano le<br />
contrarietà da piangere con la vecchia madre borbottona, per i<br />
suoi capricci; v’erano, anche, le fantasticherie amorose nelle<br />
forme più insulse e magari grossolane; ma l’utile attività
quotidiana, divenuta ormai una necessità, valeva a dissiparle, e,<br />
in ventidue anni, non una macchia, non un rimorso erano<br />
venuti a intaccare la calma, luminosa anima della ragazza in<br />
sviluppo, riboccante di bellezza fisica e morale. Era, Lìza, di<br />
media statura, piuttosto piena che scarna; aveva gli occhi<br />
castani, non grandi, con una lieve ombratura sulla palpebra<br />
inferiore; lunga e bionda la treccia. La sua camminata era sciolta<br />
e non priva d’abbandono (da ochetta, come si dice).<br />
L’espressione del suo viso, quand’era in faccende e nulla di<br />
particolare la agitava, diceva senz’altro, a chiunque la<br />
osservasse: è bello e lieto vivere a questo mondo, per chi ha<br />
qualcuno da amare e la coscienza pulita. E perfino in quei<br />
minuti di contrarietà, di turbamento, di affanno о di tristezza,<br />
attraverso le lacrime, attraverso il sottile sopracciglio sinistro<br />
aggrottato, attraverso le labbra serrate, si vedeva senz’altro<br />
risplendere, quasi a dispetto della sua volontà, dalle fossette<br />
delle gote, agli angoli delle labbra, nei begli occhi lucenti,<br />
avvezzi a sorridere e a gioire della vita, si vedeva senz’altro<br />
risplendere un cuore non guasto dal ragionamento, buono e<br />
diritto.
X.<br />
C’era ancora gran caldo nell’aria, sebbene il sole stesse ormai<br />
tramontando, mentre lo squadrone faceva il suo ingresso nella<br />
tenuta di Moròzovka. Innanzi innanzi, per la polverosa strada<br />
del villaggio, rigirandosi a sbirciare indietro e con un muglio<br />
sostando ogni tanto, andava fuggendo una vacca pezzata<br />
staccatasi dal branco, senza riuscire in alcun modo a indovinare<br />
che doveva, semplicemente, svoltar di lato. Vecchi, donne e<br />
bambini dei contadini, e dipendenti della casa padronale,<br />
guardavano avidi gli ussari, accalcandosi di qua e di là della<br />
strada. In un fitto nuvolone di polvere, sui loro cavalli morelli<br />
che avevano il morso alla bocca, e davano tratto tratto uno<br />
sbruffo, s’inoltravano trepestando gli ussari. Sul fianco destro<br />
dello squadrone, seduti negligentemente su due bei morelli,<br />
cavalcavano due ufficiali. Uno era il comandante, conte Turbin;<br />
l’altro – giovanissimo, di recente promosso da allievo ufficiale<br />
— un certo Pòlozov.<br />
Dalla migliore delle isbe era uscito un ussaro in divisa bianca<br />
d’estate, e, togliendosi il berretto, venne incontro agli ufficiali.<br />
-Dov’è l’alloggiamento preparato per noialtri? — gli<br />
domandò il conte.<br />
-Per Vostra Eccellenza? – rispose l’addetto agli<br />
alloggiamenti, con un sussulto di tutta la persona.<br />
Qui, dal sindaco: vi ha sgomberato l’isba. Avevo provato a<br />
chiedere in casa dei padroni, ma m’hanno detto che non c’è<br />
posto. La proprietaria di qui è una di quelle vipere...<br />
-Bene, non fa niente, - disse il conte, smontando e<br />
sgranchendo le gambe lì dinanzi all’isba del sindaco. — E di’: il<br />
calesse mio è arrivato?
-S’è degnato 9 di arrivare, Eccellenza! — rispose l’addetto agli<br />
alloggiamenti, indicando col berretto il calesse ricoperto di<br />
cuoio, che s’intravedeva dal cancello, e precipitandosi innanzi<br />
nel locale d’entrata dell’isba, affollato dalla famiglia dei<br />
contadini radunati a guardar gli ufficiali. Una vecchietta, anzi,<br />
fu da lui, pari pari, gettata per terra, nell’aprir vivamente la<br />
porta che metteva nella stanza sgombrata, e nel cedere il passo<br />
al conte.<br />
La stanza era abbastanza grande e spaziosa, ma non<br />
perfettamente pulita. Il servitore tedesco del conte, vestito<br />
come un signore, s’era già installato là dentro, e, piazzato il<br />
lettuccio di ferro e rifattolo, andava tirando fuori della<br />
biancheria dal baule.<br />
-Puah! Che porcheria d’alloggiamento! — esclamò il conte,<br />
con disappunto. – Dadino! Che proprio non fosse possibile<br />
trovar qualcosa di meglio dai proprietari, in qualunque posto?<br />
-Se Vostra Eccellenza me lo comanda, io posso andare alla<br />
casa padronale, — rispose Djadènko, — ma è una casupola che<br />
non promette nulla di buono, non ha l’aspetto migliore<br />
d’un’isba.<br />
-Ormai, non serve più. Va’ pure.<br />
E il conte si coricò sul letto, ripiegando le braccia dietro la<br />
testa.<br />
-Johann! — diede voce al cameriere. — Di nuovo mi ci hai<br />
fatto una montagnola nel mezzo! Come mai non riesci a far il<br />
letto perbene?<br />
Johann accennò ad accomodare meglio.<br />
-No, non serve più, ormai... E la vestaglia, dov’è? – riprese<br />
con tono scontento.<br />
Il servitore gli portò la vestaglia.<br />
9 [Trattandosi di un oggetto del conte, il subalterno adopera la circonlocuzione<br />
ossequiosa che i servi applicavano alle azioni dei padroni].
Il conte, prima di infilarsela addosso, diede un’occhiata al<br />
piancito.<br />
-Non c’è che dire: ci hai lasciato tutte le macchie. Insomma,<br />
peggio di te, non so come si possano sbrigare i servizi! —<br />
commentò, strappandogli di mano la vestaglia e indossandola. -<br />
Ma tu, di’ un po’, lo fai apposta?... È pronto il tè?...<br />
-Non ho potuto far in tempo, — rispondeva Johann.<br />
-Imbecille!<br />
Dopo di che, il conte tolse su – già preparato lì – un<br />
romanzo francese, e per un buon tratto di tempo, in silenzio, lo<br />
lesse; mentre Johann era uscito nel locale d’ingresso ad<br />
accendere il samovar. Era chiaro che il conte stava di<br />
malumore, probabilmente sotto l’influsso della stanchezza,<br />
della polvere che gli copriva la faccia, degl’indumenti attillati e<br />
dello stomaco affamato.<br />
-Johann! — chiamò un’altra volta. — Portami qua il<br />
conticino di quei dieci rubli. Che hai comperato, in città?<br />
E qui sbirciò il conticino, che subito gli era stato portato, e<br />
fece, insoddisfatto, i suoi rilievi sul prezzo troppo alto delle<br />
compere.<br />
-Col tè, dammici il rum!<br />
-Il rum non l’ho comperato, - disse Johann.<br />
-Di bene in meglio! Quante volte t’ho detto di non farmi<br />
mancare il rum?<br />
-I soldi non mi sono bastati.<br />
-О perché, allora, Pòlozov non ne ha comperato? Avresti<br />
potuto farti imprestar qualcosa dall’attendente suo.<br />
-Il cornetta Pòlozov? Non so. Loro hanno comperato del tè e<br />
dello zucchero.<br />
-Animale!... Vattene!... Ci sei soltanto tu, che hai quest’arte<br />
di farmi uscir dai gangheri... Eppure sai bene che sempre, in<br />
viaggio, il tè io lo prendo col rum!<br />
-Ecco due lettere dallo stato maggiore per voi, - disse il<br />
cameriere.<br />
Il conte, coricato come stava, dissuggellò le lettere e
incominciò a leggerle. Entrò, allegro in viso, il cornetta, che<br />
aveva acquartierato lo squadrone.<br />
-Be’, come va, Turbin? Qui si sta bene, a quanto pare. Ma io<br />
sono stanco, lo confesso. Faceva un gran caldo.<br />
-Oh, altro se si sta bene! Una schifosa, puzzolente capanna, e<br />
di rum neanche un sorso, in grazia tua: quel tuo balordone non<br />
ne ha comperato, e costui neppure. Me lo avresti potuto dire!<br />
E riprese a leggere.<br />
Quand’ebbe letto fino in fondo la lettera, la appallottolò e la<br />
scagliò per terra.<br />
-Perché, di’, non hai comprato il rum? – domandava intanto,<br />
nel locale d’entrata, il cornetta, sottovoce, al suo attendente. –<br />
Eppure, tu, il danaro lo avevi!<br />
-State a vedere che solo noi compreremo tutto! Non dubitate<br />
che son sempre io a restare in credito: e intanto quel suo<br />
tedescaccio non fa che fumar la pipa, e basta.<br />
La seconda lettera non era, evidentemente, spiacevole,<br />
giacché il conte sorrideva leggendola.<br />
-Di chi è? – domandò Pòlozov, rientrando nella stanza e<br />
accomodandosi da dormire per la notte sul tavolato accanto alla<br />
stufa.<br />
-È di Mina, — di buonumore rispose il conte, porgendogli la<br />
lettera. - La vuoi leggere? Che incanto di donna, quella!... Via,<br />
siamo franchi, è migliore delle nostre signorine... Guarda qui,<br />
quanto sentimento e quanta intelligenza, in questa lettera! C’è<br />
una sola cosa che non va: chiede danari.<br />
-Già, questo non va, — commentò il cornetta.<br />
-Io, veramente, gliene avevo promessi: ma un po’ che adesso<br />
ci troviamo in marcia, un po’ anche... Del resto, però, se<br />
continuo ad avere per altri tre mesi il comando dello<br />
squadrone, glieli manderò. Non dispiace mica, siamo franchi: è<br />
un tale incanto!... Eh?<br />
-disse sorridendo, e seguiva cogli occhi l’espressione del viso<br />
di Pòlozov, che stava leggendo la lettera.<br />
-È sgrammaticata tremendamente, ma simpatica, e si
direbbe che per davvero ti voglia bene, - fu la risposta del<br />
cornetta.<br />
-Hm! Sfido io! Son queste le uniche donne che vogliono bene<br />
sinceramente, quando vogliono bene.<br />
-E l’altra lettera di chi è? – domandò il cornetta, restituendo<br />
quella che aveva letta.<br />
-Mah... si tratta d’un certo signore, un miserabile dei primi,<br />
con cui io son rimasto in debito giuocando a carte, e già per la<br />
terza volta viene a rammentarmelo... Non posso mica, io,<br />
sdebitarmi adesso... Stupida lettera! — rispose il conte,<br />
amareggiato evidentemente da questo ricordo.<br />
Per un buon tratto di tempo, dopo tale conversazione, tutt’e<br />
due gli ufficiali serbarono il silenzio. Il cornetta, che<br />
evidentemente subiva l’influenza del conte, sorbiva in silenzio il<br />
tè, tratto tratto allungando un’occhiata al bel viso rabbuiato di<br />
Turbin, il quale fissava intensamente verso la finestra: e non si<br />
risolveva a ricominciare il discorso.<br />
-Ma sai che le cose potrebbero avere una conclusione<br />
eccellente? — di punto in bianco voltandosi a Pòlozov, e<br />
lietamente scotendo la testa, esclamò il conte. — Se da noialtri,<br />
al fronte, ci saranno quest’anno stesso le promozioni, e se per<br />
giunta ci capitasse di prender parte a qualche combattimento,<br />
io potrei benissimo passar innanzi ai miei colleghi capitani della<br />
guardia.<br />
E il discorso, anche durante il secondo bicchiere di tè,<br />
s’andava prolungando su quest’argomento, quando entrò il<br />
vecchio Danilo, e riferì l’ordine d’Anna Fjòdorovna.<br />
-Eppoi manda a domandare se voi, signore, non foste alle<br />
volte figliuolo del conte Fjòdor Ivànovic Turbin, - soggiunse<br />
Danilo di sua iniziativa, giacché aveva saputo il cognome<br />
dell’ufficiale, e ricordava ancora quando il conte buonanima era<br />
arrivato alla città di K. – La padrona nostra, Anna Fjòdorovna,<br />
era sua intima conoscente.<br />
-Sì, era mio padre; ma tu riporta alla signora che la ringrazio<br />
tanto, non mi occorre nulla; soltanto (le dirai), mandano a
chiedere se fosse possibile avere una cameretta un po’ più<br />
pulita, in casa sua о dovunque fosse.<br />
-Che siete andato a dirgli? — esclamò Pòlozov, quando<br />
Danilo fu uscito. – Tanto, che importa? Una notte sola, non fa<br />
lo stesso anche qui? Per loro, invece, sarà un sacrificio...<br />
-О senti un po’! Se non sbaglio, ne abbiamo girate<br />
abbastanza, delle isbe affumicate... Si vede subito che tu non sei<br />
un uomo pratico: che ragione ci sarebbe di non approfittarne,<br />
quando, sia pure per una notte, ci si presenta la possibilità di<br />
allogarci da cristiani? E loro, anzi, ne saranno chissà quanto<br />
felici!<br />
-Una cosa sola sarebbe antipatica: se questa signora avesse<br />
effettivamente conosciuto mio padre, - riprese il conte<br />
scoprendo in un sorriso i suoi bianchi denti splendenti. – In un<br />
modo о nell’altro, c’è sempre un po’ da vergognarsi, per quella<br />
buonanima del mio papà: sempre qualche storia di scandali, о<br />
qualche debito. Perciò non posso soffrire d’aver a che fare con<br />
questi amici paterni... Del resto, era l’epoca, allora, fatta così, —<br />
soggiunse, in tono ormai serio.<br />
-Ah, io non te l’ho mai detto, — esclamò Pòlozov; -ho avuto<br />
occasione d’incontrare un comandante di brigata degli ulani,<br />
Ilín. Egli ha espresso un gran desiderio di vederti, e ha un<br />
affetto profondissimo per tuo padre.<br />
-È, se non sbaglio, un formidabile mammalucco, codesto<br />
Ilín! Ma il peggio è che tutti questi signori i quali assicurano<br />
d’aver conosciuto mio padre, con l’intenzione d’entrar nelle mie<br />
grazie, e come se si trattasse di cosette proprio carine, vengono<br />
a raccontarmi, di lui, certe di quelle scappate, che a sentirle ci si<br />
diventa rossi. La verità è questa (io non mi lascio influenzar da<br />
nulla, e guardo alle cose spassionatamente): era troppo<br />
impulsivo, quell’uomo lì, e non erano del tutto corrette, le<br />
scappatelle che faceva. Del resto, ripeto, è tutta colpa<br />
dell’epoca. Ai tempi nostri, chissà, egli sarebbe potuto riuscire<br />
magari una persona assennatissima, giacché, di doti, ne aveva<br />
immense, bisogna pur rendergli giustizia.
Un quarto d’ora dopo, era di ritorno il servitore, e comunicava<br />
la preghiera della proprietaria di favorire a passar la notte in<br />
casa sua.
XI.<br />
Appena aveva saputo che l’ufficiale degli ussari era figlio del<br />
conte Fjòdor Turbin, Anna Fjòdorovna s’era messa in<br />
agitazione.<br />
-Oh, santi del cielo! cuore mio benedetto!... Danilo, lesto a<br />
correre là, a dirgli: la padrona v’invita a casa sua, - aveva<br />
esclamato, balzando su e a passi rapidi avviandosi verso il locale<br />
delle cameriere. - Lìzanka! Ustjùška! Bisognerà preparare la<br />
camera tua, Lìza: tu andrai in quella dello zio; e voi, fratello...<br />
fratello caro! vi adatterete a passar la notte in salotto. Per una<br />
notte sola, non fa niente.<br />
-Non fa niente, sorellina! Io mi stendo giù in terra.<br />
-Sarà un bel giovanotto (mi sa), se rassomiglia al padre.<br />
M’accontento di vederlo un momento, cuore mio... Attenta a<br />
guardarlo tu, Lìza! Eh, il padre era proprio un bell’uomo... Dove<br />
trascini quel tavolo? Lascialo qui, — s’affannava Anna<br />
Fjòdorovna, - e in più, porta due letti (uno lo prenderai dal<br />
fattore), e poi, là sull 'étagère, va’ a prendere il candelabro di<br />
cristallo, quello che mio fratello m’ha regalato per l’onomastico,<br />
e infilaci una candela di quelle speciali...<br />
Finalmente, tutto era stato messo in ordine. Lìza, nonostante<br />
le inframmettenze della madre, aveva sistemato a modo suo la<br />
sua cameretta per i due ufficiali. Aveva tirato fuori della<br />
biancheria da letto ben pulita, profumata di reseda, e aveva<br />
rifatto i due letti; aveva ordinato che si ponesse una caraffa<br />
d’acqua e delle candele sul comodino; aveva bruciato della carta<br />
odorosa nel locale delle cameriere: e s’era, dal canto suo,<br />
trasferita, col suo lettuccio, nella stanza dello zio. Anna<br />
Fjòdorovna s’era calmata un pochino, era tornata a installarsi al<br />
suo posto, e aveva accennato perfino a prender tra mano le<br />
carte da giuoco: ma, senza schierarle sul tavolo, vi s’era<br />
appoggiata col soffice gomito a sostegno del capo, e s’era<br />
immersa in pensieri. «Ah il bel tempo, il bel tempo, come vola!
-ripeteva a se stessa in un bisbiglio. — È accaduto da tanto,<br />
si direbbe? Come adesso, me lo vedo dinanzi! Oh, gran<br />
birichino che era! — E qui le lacrime le erano salite agli occhi.<br />
— Adesso c’è Lizanka... ma pure non è la stessa che ero io<br />
quando avevo l’età sua... Un amore di ragazza, sì, ma non è la<br />
stessa cosa...»<br />
-Lizanka, dovresti metterti il vestitino di mousse- line-delaine<br />
per stasera.<br />
-Ma forse voi avete intenzione d’invitarli di qua, mammina?<br />
Sarebbe meglio di no, — era stata la risposta di Lìza, la quale<br />
andava provando un’incontenibile agitazione al pensiero di<br />
veder gli ufficiali, — sarebbe meglio di no, mammina!<br />
In realtà, più forte, in lei, del desiderio di veder costoro, era<br />
un timore di non so quale sconvolgente felicità, che le pareva<br />
fosse lì ad aspettarla.<br />
-Forse, saranno loro i primi a voler far conoscenza, Lìzocka!<br />
— aveva esclamato Anna Fjòdorovna, fissandola sui capelli e<br />
pensando in quell’atto: «Macché, altri capelli, questi, da quelli<br />
che avevo io all’età sua... No, Lìzocka, quanto vorrei<br />
augurarti...» E qualcosa, effettivamente, augurava di cuore alla<br />
figliuola: senonché, d’un matrimonio col conte non poteva<br />
nemmeno far l’ipotesi, e rapporti come quelli che aveva avuti<br />
col padre di lui, non poteva augurarglieli; eppure c’era qualcosa<br />
di simile che, proprio dal fondo del cuore, augurava a sua figlia.<br />
Era forse un desiderio di vivere una seconda volta, nell’anima<br />
della figlia, quella vita che aveva vissuta con lo scomparso?<br />
Il vecchietto ex cavallerizzo era stato anche lui sconcertato<br />
alquanto dalla venuta del conte. S’era ritirato nella sua stanza e<br />
vi s’era rinchiuso dentro. Un quarto d’ora dopo, ne riapparve in<br />
giubba ungherese e calzoni azzurri; e, con quell’espressione<br />
confusa e contenta con cui una giovinetta porta indosso per la<br />
prima volta un abito da ballo, s’avviò verso la stanza assegnata<br />
agli ospiti.<br />
-Vado a dare un’occhiata agli ussari d’oggi, sorellina! Il<br />
povero conte, effettivamente, era un vero ussaro. Voglio vedere
un po’, voglio vedere un po’.<br />
Gli ufficiali erano già sopravvenuti dall’ingresso posteriore, e<br />
si trovavano nella stanza loro assegnata.<br />
-Be’, lo vedi о no? – diceva il conte, mentre così come si<br />
trovava, cogli stivaloni polverosi, si stendeva sul letto ben<br />
accomodato. — Vorresti dire che qui non si sta meglio che in<br />
una catapecchia piena di scarafaggi?<br />
-Per star meglio, si sta meglio: ma si dà un po’ d’impaccio ai<br />
padron di casa...<br />
-Senti che assurdità! Bisogna essere in tutto persone<br />
pratiche. Questa gente sarà arcicontenta, molto<br />
probabilmente... Cameriere! — gridò. — Fatti dar qualche cosa<br />
da impannar quella finestra, altrimenti stanotte sentirai che<br />
spiffero!<br />
In quel momento, entrò il vecchietto, che voleva far<br />
conoscenza cogli ufficiali. Egli, pur arrossendo un po’, non<br />
tralasciò, ben s’intende, di raccontare ch’era stato collega del<br />
povero conte, che aveva goduto della sua benevolenza, e anzi<br />
disse che più d’una volta era stato beneficato dallo scomparso.<br />
Intendesse, tra i benefici dello scomparso, il fatto che<br />
quest’ultimo non gli avesse punto restituito i cento rubli che gli<br />
aveva presi in prestito, о che lo avesse scaraventato in mezzo a<br />
un mucchio di neve, о che lo avesse coperto di male parole, il<br />
vecchietto non stette davvero a chiarire. Il conte fu cortesissimo<br />
col vecchio cavallerizzo, e lo ringraziò dell’alloggio approntato.<br />
-Vogliate scusare il poco lusso, conte! — e il vecchietto era<br />
stato lì lì per dire: Eccellenza, tanto s’era disavvezzo ormai a<br />
trattare con persone di riguardo.<br />
-Questa casetta di mia sorella è piccolina... Quanto a quella<br />
finestra, provvediamo subito a impannarla in qualche modo, e<br />
tutto sarà in ordine, — soggiunse; e col pretesto dell’impannata<br />
da cercare, ma in realtà per non tardar più ad andar a parlare, di<br />
là, degli ufficiali, strisciò tanto di riverenza, e uscì dalla camera.<br />
Fu la graziosa Ústjuša a venire, con uno scialle della<br />
padrona, a impannar la finestra. Recava inoltre, da parte della
padrona, l’ordine di domandare se ai signori facesse comodo<br />
prendere il tè.<br />
Il buon alloggio aveva avuto, evidentemente, l’effetto di<br />
rasserenare gli umori del conte: sorridendo allegramente, egli si<br />
mise a scherzar con Ústjuša, tanto che Ústjuša arrivò<br />
addirittura a dargli del birichino; le domandò se fosse carina la<br />
signorina loro; e alla ragazza, che chiedeva se non volessero<br />
prendere il tè, rispose che il tè, grazie, sì, potevano portarlo, ma<br />
c’era un fatto più importante, ed era che essi, la cena, non la<br />
avevano ancora pronta: non si sarebbe potuto, quindi, aver<br />
subito un po’ d’acquavite, qualcosina da fermar lo stomaco, e<br />
dello Xeres, se ce ne fosse stato?<br />
Lo zio, intanto, andava in estasi per la gran cortesia del<br />
giovane conte, e portava alle stelle gli ufficiali della nuova<br />
generazione, affermando che gli uomini d’oggi erano senza<br />
confronti superiori a quelli di ieri.<br />
Anna Fjòdorovna non gliela menava buona (migliore del<br />
conte Fjòdor Ivànovic non c’era nessuno): e finì, a un certo<br />
punto, con lo stizzirsi sul serio, limitandosi a rilevar seccamente<br />
che «per voi, fratello caro, chi per ultimo v’ha fatto le moine,<br />
quello è il migliore. Beninteso, adesso la gente ha di certo<br />
affinato il cervello, ma resta vero che il conte Fjòdor Ivànovic<br />
ballava così bene l’écossaise, ed era così garbato, che a quei<br />
tempi tutti, si può dire, andavano pazzi per lui: lui, però, di<br />
nessuno si curava, tranne che di me... Ciò dimostra che anche<br />
in passato c’erano, sì, delle persone come si deve!»<br />
Mentre diceva così, fu recata la notizia che di là richiedevano<br />
acquavite, antipasti e Xeres.<br />
-Ecco, che modo di procedere è il vostro, fratello caro! Non<br />
fate mai le cose in regola! Bisognava ordinare che si preparasse<br />
da cena, — cominciò a dire Anna Fjòdorovna. – Lìza, provvedi<br />
tu, angelo mio.<br />
Lìza corse in dispensa in cerca di funghi e di panna montata,<br />
mentre al cuoco venivano ordinate delle costolette di bue.<br />
-Con lo Xeres, però, come si fa? A voi ne è avanzato, fratello?
-Macché, sorellina mia! Io non ne ho mai avuto.<br />
-Come, macché! eppure qualche cosa bevete, voi, col tè.<br />
-Quello è rum, Anna Fjòdorovna.<br />
-E forse non vien buono lo stesso? Fatelo servire senz’altro,<br />
vien buono lo stesso, il rum! Ma piuttosto, non sarebbe meglio<br />
invitarli di qua, fratello caro? Voi siete pratico di tutte queste<br />
cose. Non si offenderanno mica, nevvero?<br />
Il cavallerizzo dichiarò d’essere in grado di garantire che il<br />
conte, con la benevolenza che lo distingueva, non avrebbe<br />
ricusato l’invito, e che lui lo avrebbe condotto qui senza fallo.<br />
Anna Fjòdorovna, allora, andò a indossare, chissà perché,<br />
l’abito di gros-gros e una cuffietta nuova; mentre Lìza era tanto<br />
affaccendata, che le mancò il tempo di togliersi il vestito di<br />
guingan rosa, dalle larghe maniche, che si trovava indosso.<br />
Eppoi, una profonda agitazione la teneva sossopra: aveva<br />
l’impressione che stesse lì ad aspettarla qualcosa di<br />
sconcertante, quasi che una bassa, nera nube le incombesse<br />
sull’anima. Questo ussaro-conte, bel giovane, le faceva<br />
l’impressione d’un essere completamente nuovo,<br />
incomprensibile per lei, ma meraviglioso. Il suo carattere, le sue<br />
abitudini, i suoi discorsi – tutto doveva eccedere talmente la<br />
norma, da non esserle mai capitato di veder nulla di simile.<br />
Tutto ciò ch’egli pensa e dice, dev’essere ingegnoso e vero; tutto<br />
ciò ch’egli fa, dev’essere virtuoso; tutto il suo aspetto esteriore,<br />
dev’essere magnifico. Non c’era, per lei, alcun dubbio in<br />
proposito. Se egli avesse chiesto, non soltanto uno spuntino e<br />
dello Xeres, ma un bagno d’acqua di salvia con profumi, essa<br />
non se ne sarebbe stupita, non lo avrebbe giudicato male, e<br />
sarebbe rimasta fermamente convinta che si trattava d’una cosa<br />
giusta e doverosa.<br />
Il conte non esitò ad acconsentire, quando il cavallerizzo gli<br />
ebbe comunicato il desiderio di sua sorella; si ravviò i capelli,<br />
indossò il mantello e prese il portasigari.<br />
-Su, andiamo, — disse a Pòlozov.<br />
-Credimi, sarebbe meglio non andare, — rispose il cornetta,
— ils feront des frais pour nous recevoir.<br />
-Che assurdità! Ne saranno felici. Eppoi io ho già fatto le mie<br />
indagini: c’è la figlia ch’è una bella ragazzetta... Andiamo, - disse<br />
il conte in francese.<br />
-Je vous en prie, messieurs! — esclamò il cavallerizzo, con<br />
l’unico scopo di dar a sentire che anche lui sapeva il francese, e<br />
aveva capito quel che avevano detto gli ufficiali.
XII.<br />
Lìza si fece rossa e, abbassando gli occhi, si mostrò intenta a<br />
riempir la teiera, timorosa com’era di guardar in faccia gli<br />
ufficiali, che stavano entrando nella stanza. Anna Fjòdorovna, al<br />
contrario, si tirò su in fretta, fece un inchino, e, senza staccar lo<br />
sguardo dal viso del conte, incominciò a parlargli, ora rilevando<br />
la sua straordinaria somiglianza col padre, ora presentandogli la<br />
figliuola, ora offrendogli tè, marmellata, о una di quelle<br />
tavolette di gelatina di frutta fatta in campagna. Al cornetta,<br />
grazie al suo aspetto timido e modesto, nessuno faceva<br />
attenzione: cosa di cui egli si rallegrava moltissimo, giacché gli<br />
rendeva possibile, nei limiti della convenienza, contemplare e<br />
minutamente osservare la bellezza di Lìza, la quale – com’era<br />
evidente – lo aveva bruscamente colpito. Lo zio, ascoltando il<br />
dialogo fra la sorella e il conte, aspettava, col discorso pronto<br />
sulle labbra, l’occasione di sciorinare i suoi ricordi di cavalleria.<br />
Mentre venivano così prendendo il tè, il conte, fumando il<br />
suo sigaro forte — all’odore del quale Lìza stentava a trattenere<br />
la tosse – era molto loquace e affabile, e se, da principio,<br />
soltanto nelle pause dell’ininterrotto chiacchierio d’Anna<br />
Fjòdorovna inseriva i suoi interventi, verso la fine aveva ormai il<br />
dominio della conversazione. Non c’era che una cosa, che<br />
facesse un effetto un po’ strano ai suoi uditori: spesso, nel<br />
discorrere, egli diceva certe parole, che, mentre non erano<br />
considerate compromettenti nella società a cui era abituato, qui<br />
suonavano alquanto audaci, tanto che Anna Fjòdorovna ne<br />
restava un po’ spaurita, e Lìza arrossiva fino alle orecchie; ma il<br />
conte non se ne dava per inteso, e conservava imperturbabile la<br />
sua semplicità e affabilità di maniere. In silenzio Lìza veniva<br />
riempiendo i bicchieri; senza metterli fra le mani degli ospiti, li<br />
collocava loro accosto: e, non riuscendo ancora a riprendersi<br />
dall’agitazione, tendeva avida l’orecchio ai discorsi del conte. I<br />
suoi ragionamenti tutt’altro che ricercati, l’impuntarsi che
faceva a metà d’una frase, a poco a poco valevano a calmarla.<br />
Non gli sentiva dire, come s’era immaginata, cose molto<br />
intelligenti; non gli vedeva quella forbitezza in ogni particolare,<br />
che vagamente s’aspettava di trovare in lui. E anzi, al terzo<br />
bicchiere di tè — dopo che gli occhi, pieni di timidezza, le si<br />
furono incrociati una volta con gli occhi di lui, e lui non li<br />
abbassò, ma con una tranquillità un po’ eccessiva continuava,<br />
sorridendo appena, a fissarla – essa sentì perfino, nell’intimo,<br />
una punta di ostilità verso di lui, e in breve concluse che non<br />
solo costui non aveva proprio niente di speciale, ma non si<br />
distingueva affatto da tutti quelli che aveva visti finora, e<br />
dunque non metteva conto averne tanto timore: giusto le<br />
unghie portava pulite e lunghe, altrimenti non aveva neanche<br />
nessuna speciale bellezza.<br />
Qui Lìza, bruscamente — non senza un’ombra di segreta<br />
malinconia dato addio a quanto aveva vagheggiato — ritrovò la<br />
calma; e solo lo sguardo del taciturno cornetta, che si sentiva<br />
puntato addosso, le turbava quella calma. «Forse, chissà, non<br />
sarà quello, ma questo...», pensava tra sé.
XIII.<br />
Dopo il tè, la vecchia invitò gli ospiti a passare nella stanza<br />
attigua, e tornò a installarsi nel posto suo abituale.<br />
-Ma d’andare a riposarvi non avete voglia, conte?<br />
-domandò. – E allora, come farvi passare il tempo, ospiti<br />
cari? – riprese, alla risposta negativa. – Giuocate a carte voi,<br />
conte? Ecco, fratello, potreste intrattenerli voi così, mettendo<br />
su una partita a qualche cosa...<br />
-Ma anche voi giuocate a préférence, - le ribattè il<br />
cavallerizzo, - dunque facciamoci tutti insieme! Siete disposto,<br />
conte? e voi, siete disposto?<br />
I due ufficiali si dichiararono pronti a far tutto ciò che<br />
potesse piacere ai gentili padroni di casa.<br />
Lìza portò qua, da camera sua, le sue vecchie carte, con le<br />
quali era solita indovinare se sarebbe finito presto il raffreddore<br />
ad Anna Fjòdorovna, se sarebbe ritornato in giornata lo zio<br />
dalla città, quand’era fuori di casa, se sarebbe venuta oggi<br />
quella tal vicina, e altre cose del genere. Carte che, sebbene<br />
fossero in uso già da due mesi, erano più pulitine di quelle con<br />
cui indovinava Anna Fjòdorovna.<br />
-Voialtri, però, non ci starete mica, vero, a giuocar delle<br />
sciocchezzuole? – domandò lo zio. — Io ed Anna Fjòdorovna<br />
siamo avvezzi a poste di mezza copeca... Ciò non toglie che essa<br />
ci riduca sempre, tutti quanti, al verde.<br />
-Ah, come stabilite voi, sarò felicissimo, — rispondeva il<br />
conte.<br />
-Be’, allora vada per una copeca in cartamoneta! Già si<br />
giuoca per ospiti egregi: lascia pure che mi riducano al verde,<br />
povera vecchia! — esclamò Anna Fjòdorovna, sistemandosi più<br />
comodamente nella poltrona a lei riservata, e drappeggiandosi<br />
indosso la sua mantiglia.<br />
«Chissà invece che non vinca loro un rublo d’argento»,<br />
pensò Anna Fjòdorovna, la quale, invecchiando, aveva
contratto un po’ di passioncella per le carte.<br />
-Volete che v’insegni a giuocar con la «tabella», -disse il<br />
conte, — e con le misères? È una cosa assai divertente.<br />
A tutti, infatti, piacque assai la nuova voga pietroburghese.<br />
Lo zio assicurò addirittura che lui già la conosceva, e che si<br />
trattava né più né meno di quel che si faceva al boston: se n’era,<br />
soltanto, dimenticato un pochino. Quanto ad Anna Fjòdorovna,<br />
non ci capi un bel niente, e tanto a lungo durò a non capirci,<br />
che si trovò costretta — sorridendo e tentennando il capo in<br />
segno affermativo — a protestare che ormai aveva inteso e che<br />
tutto le riusciva chiaro. Non furono poche le risa allorché, nel<br />
mezzo del giuoco, Anna Fjòdorovna, con un asso e un re in<br />
bianco, fece misere, e rimase con un sei. Essa incominciava<br />
perfino a smarrirsi, a sorrider di soggezione, e ad assicurare in<br />
fretta che ancora non s’era ben assuefatta al nuovo modo di<br />
giuocare. A carico di lei, tuttavia, continuavano a segnare, e<br />
molto: tanto più che il conte, per l’abitudine che aveva al<br />
giuoco commerciale, in grande, giuocava con prudenza, era<br />
abilissimo a mettere in posizione difficile, e non intendeva né<br />
punto né poco gli urti che sotto il tavolo, col piede, gli dava il<br />
cornetta, e i madornali errori che quest’ultimo commetteva nel<br />
fare a whist.<br />
Lìza portò altre tavolette di gelatina di frutta, tre qualità di<br />
marmellata, e delle arance candite in una confettura speciale; e<br />
si trattenne lì, alle spalle della madre, fissando lo sguardo al<br />
giuoco e di rado allungandolo agli ufficiali, soprattutto alle<br />
mani bianche del conte, dalle rosee unghie ben curate, che con<br />
tanta esperienza, misura e bel garbo gettavano le carte e<br />
raccoglievano le levate.<br />
Di nuovo Anna Fjòdorovna — dopo avere abbastanza<br />
arrischiatamente bluffato gli avversari, ed essere arrivata coi<br />
suoi acquisti fino a un sette – fece la rimessa senza tre, e,<br />
formulata cosi a vanvera, a richiesta del fratello, non so che<br />
cifra, finì con lo smarrirsi del tutto, e incominciò ad anfanare.<br />
-Non è nulla, mammina: avrete tempo di rifarvi!
-sorridendo, allora, esclamò Lìza, desiderosa di trarre la<br />
madre dal suo ridicolo stato. – Verrà il momento che farete fare<br />
la rimessa allo zio, e allora sarà lui a cader in trappola.<br />
-Se m’aiutassi un po’ tu, Lìzočka mia! — esclamò Anna<br />
Fjòdorovna, e spaventata guardò in faccia la figlia. - Io non so<br />
proprio come si fa...<br />
-Ma neanch’io, a questo modo, so giuocare... – le rispondeva<br />
Lìza, calcolando intanto, fra sé, le rimesse della madre. – Voi<br />
però, di questo passo, perderete molto, mammina! Neppure per<br />
l’abitino di Pìmočka ci avanzerà più nulla, - soggiunse<br />
scherzosamente.<br />
-Sì, di questo passo, è facilissimo perdere fino a dieci rubli<br />
d’argento, - esclamò il cornetta, e fissava Lìza negli occhi,<br />
desideroso d’attaccar discorso con lei.<br />
-Ma dunque, noi non stiamo giuocando in carta moneta? —<br />
girando su tutti lo sguardo, domandò Anna Fjòdorovna.<br />
-Io non lo so: certo è che non son capace di calcolare in<br />
cartamoneta, — disse il conte. — Come si fa? Voglio dire, che<br />
roba è, questa cartamoneta?<br />
-Eh, ormai non c’è più nessuno che calcoli in cartamoneta!<br />
— fece eco lo zio, il quale puntava semplicemente dei sassolini,<br />
e si trovava a vincere.<br />
La vecchia fece portare dello spumante, ne bevve lei stessa<br />
due calici, divenne tutta accerita, e parve che si gettasse ogni<br />
cosa dietro le spalle. Perfino una ciocca dei suoi capelli bianchi<br />
le era sfuggita di sotto alla cuffietta, e non se la rassettava.<br />
Doveva aver l’impressione d’aver perduto milioni, e d'esser<br />
rovinata a fondo. Sempre più spesso il cornetta urtava col piede<br />
il conte. Il conte badava a segnare le rimesse della vecchia.<br />
Finalmente la partita terminò. Per quanto s’arrabattasse<br />
Anna Fjòdorovna, contro coscienza, ad aumentar le sue vincite,<br />
e a fingere di sbagliarsi nel conteggio, e di non riuscire a<br />
venirne a capo; per quanto sgomento la sopraffacesse alla<br />
grandezza della sua perdita; risultò, alla fine dei conti, che essa<br />
aveva perduto novecentoventi gettoni. - Questo, in
cartamoneta, importerebbe nove rubli? - più volte Anna<br />
Fjòdorovna insistette a domandare; e durò a non comprendere<br />
tutta l’enormità della sua perdita fin quando il fratello, con suo<br />
gran terrore, non le ebbe spiegato che aveva perduto trentadue<br />
rubli e mezzo in cartamoneta, e che bisognava assolutamente<br />
sborsarli. Il conte non stette nemmeno a calcolare la propria<br />
vincita: appena finito il giuoco, s’era alzato e s’era fatto alla<br />
finestra, presso la quale Lìza apparecchiava intanto lo spuntino,<br />
e stava disponendo, su un piatto, dei funghi che estraeva da un<br />
boccale. E lì, con perfetta calma e semplicità, egli aveva<br />
ottenuto senz’altro ciò che dal principio della serata il cornetta<br />
desiderava tanto, e non riusciva a ottenere: aveva attaccato<br />
discorso con lei sul tempo che faceva.<br />
Dal canto suo il cornetta, in quei momenti, si trovava in una<br />
situazione assai poco piacevole. E Anna Fjòdorovna, ora che<br />
s’erano scostati da lei il conte e soprattutto Lìza, la quale sapeva<br />
tenerle alto lo spirito, s’era dichiaratamente stizzita.<br />
-Quanto mi dispiace, però, che vi abbiamo fatto perder<br />
tanto! – esclamò Pòlozov, giusto per dir qualche cosa. – Non c’è<br />
proprio coscienza.<br />
-Eh, ci mancava che andaste a inventare non so che «tabelle»<br />
e «misères»! Io non ci capisco niente: ma in cartamoneta,<br />
insomma, quanto importerebbe in tutto? — domandava ancora.<br />
-Trentadue rubli, trentadue e mezzo, - ripetè il cavallerizzo,<br />
che, sotto l’influsso della vincita, era d’umore festoso. — Su,<br />
cacciate fuori questi soldarelli, sorellina... cacciateli fuori.<br />
-Benissimo, ve li darò tutti: ma d’ora in avanti, non mi ci<br />
piglierete più, no! Si tratta che neppure finché vivo riuscirò a<br />
rifarmene!<br />
E Anna Fjòdorovna si recò in camera sua; tornò —<br />
dondolandosi in fretta – di qua, e portò nove rubli in<br />
cartamoneta. Ci vollero le insistenti pressioni del vecchietto,<br />
perché essa sborsasse l’intera somma.<br />
Allora Pòlozov fu invaso da una certa paura che Anna<br />
Fjòdorovna non avesse a sgridarlo, se lui avesse ricominciato a
discorrer con lei. In silenzio, di soppiatto, se ne allontanò, e si<br />
unì al conte e a Lìza, che stavano conversando presso la finestra<br />
aperta.<br />
Nella stanza, sulla tavola apparecchiata per la cena, erano<br />
accese due candele di sego. La loro luce, tratto tratto, vacillava<br />
alla refrigerante, tiepida brezzolina della notte di maggio. Nel<br />
vano della finestra, aperta sul giardino, c’era pure luce, ma<br />
tutt’altra da quella nell’interno della stanza. La luna quasi piena,<br />
perdendo ormai la sua sfumatura dorata, veniva a galleggiare di<br />
sopra all’alte vette dei tigli, e soffondeva di luce sempre più viva<br />
le bianche, sottili nuvolette, che ogni tanto andavano a passarci<br />
innanzi. Dallo stagno — la cui superficie, inargentata in un<br />
punto dalla luna, traspariva fra gli alberi dei viali – cantavano<br />
sfogatamente le rane. Proprio qua sotto alla finestra,<br />
nell’odoroso cespuglio di lillà, che tratto tratto lentamente<br />
dondolava i fiori inumiditi, si percepiva appena un saltellar tra i<br />
rami e uno scrollarsi di piccoli uccelli.<br />
-Che tempo stupendo! — aveva esclamato il conte,<br />
appressandosi a Lìza e sedendosi sul basso davanzale.<br />
-Io credo che voi farete molte passeggiate?<br />
-Sì, - aveva risposto Lìza, non sentendo - chissà come — il<br />
minimo turbamento a conversare col conte; -ogni mattina,<br />
verso le sette, mi metto in moto per le faccende dell’azienda, e<br />
così passeggio anche un pochino insieme con Pìmočka, una<br />
ragazzetta adottata dalla mamma.<br />
-È piacevole, vivere in campagna! — aveva detto il conte<br />
applicandosi all’occhio il monocolo, e guardando ora al<br />
giardino, ora a Lìza. – E così di notte, col lume di luna, non ci<br />
andate mai a passeggiare?<br />
-No... Cioè ecco, due anni fa, insieme con lo zio, ogni notte si<br />
passeggiava, quando c’era la luna. Gli era venuta, allora, una<br />
malattia così strana: l’insonnia. Com’era luna piena, lui non<br />
poteva dormire. Eppoi, la cameretta sua, è proprio quella lì in<br />
faccia al giardino, e ha la finestrina bassa bassa: la luna veniva<br />
diretta diretta a battergli contro.
-Strano, - aveva obiettato il conte, - ma quella lì è la<br />
cameretta vostra, se non sbaglio?<br />
-No, per stasera soltanto io ci passo la notte. La camera mia,<br />
la occupate voi.<br />
-Che mi dite?... Ah, Dio mio! Non potrò mai perdonarmi un<br />
simile disturbo, - e il conte, per denotare la sincerità del suo<br />
sentimento, s’era strappato il monocolo dall’occhio. — Se avessi<br />
saputo che davo noia a voi...<br />
-Che disturbo volete che sia! Al contrario, io ne son<br />
felicissima: la cameretta dello zio è così deliziosa, così serena,<br />
con quella finestrina bassa bassa, che potrò starmene seduta lì<br />
finché non ho sonno, oppure, con un salto, scendermene in<br />
giardino, e fare ancora una passeggiata di notte.<br />
«Amore di ragazza! – aveva pensato il conte inalberando di<br />
nuovo il monocolo; e mentre la guardava, in atto di<br />
accomodarsi meglio sulla finestra, cercava col piede di sfiorarle<br />
il piedino. – E con quanta scaltrezza m’ha dato a intendere che<br />
potrei vederla in giardino accanto alla finestra, se ne avessi<br />
intenzione!» Tanto che Lìza aveva perfino perduto, ai suoi<br />
occhi, la maggior parte del fascino: così facile era venuta a<br />
sembrargli la conquista di lei.<br />
-Ah, che voluttà dovrebb'essere, — aveva esclamato,<br />
rimirando con aria pensosa verso l’ombre dei viali — passare<br />
una notte come questa in un giardino con una creatura che<br />
s’ama!<br />
Lìza s’era un pochino turbata a queste parole, e al ripetuto<br />
sfioramento di quel piede, che voleva parer casuale. Aveva<br />
detto, senza rifletterci, qualche parola con l’unico scopo di non<br />
tradire il suo turbamento.<br />
-Sì, - aveva detto, - è tanto bello passeggiare le notti di luna<br />
Un senso di vago fastidio la aveva punta. Aveva ricoperchiato il<br />
boccale, da cui era venuta estraendo i funghi, e si faceva a<br />
lasciar la finestra, quand’ecco avvicinarsi a loro il cornetta: e fu<br />
presa dalla curiosità di sapere che tipo d’uomo fosse.<br />
-Che nottata incantevole! – esclamò il cornetta.
«Ma solo del tempo, costoro, discorrono sempre!» pensò<br />
Lìza.<br />
-Che veduta stupenda! — riprese quello. — A voi, però,<br />
suppongo che ormai sarà venuta a noia... - soggiunse, per una<br />
curiosa tendenza, che gli era propria, di dir cose alquanto<br />
sgradevoli alle persone che gli piacevano di più.<br />
-Come mai supponete questo? Mangiare, sì, è sempre una<br />
storia, vestire viene a noia, ma un bel giardino non viene mai a<br />
noia, se piace passeggiare, soprattutto quando la luna si fa<br />
ancora più alta. Là dalla camera dello zio tutto lo stagno resta<br />
scoperto. Ecco, fra poco mi metterò a guardarlo.<br />
-Ma usignoli, qui, non ne avete, a quanto pare? – domandò il<br />
conte, profondamente scontento che fosse sopravvenuto<br />
Pòlozov a impedirgli di prendere informazioni più positive sulle<br />
modalità del convegno.<br />
-No, ne abbiamo avuti sempre, ma l’anno scorso certi<br />
cacciatori ne hanno acchiappato uno; e anche adesso, l’altra<br />
settimana, avevano già incominciato a cantare ch’era una<br />
meraviglia: è arrivato il commissario con quella sonagliera, e li<br />
ha spaventati... Tante volte, due anni fa, noi ci appiattavamo, io<br />
e lo zio, in un viale a galleria, e stavamo lì perfino un paio d’ore<br />
in ascolto.<br />
-Si può sapere, questa chiacchierina, che cosa vi racconta? —<br />
disse lo zio, avvicinandosi ai tre in conversazione. – Mangiare<br />
un boccone, non vi farebbe comodo?<br />
Quando fu terminata la cena – durante la quale il conte, a<br />
forza di lodar le vivande e di farci onore, riuscì a dissipare alla<br />
meglio l’umore piuttosto nero della padrona di casa — gli<br />
ufficiali si congedarono e si ritirarono nella loro stanza. Il conte<br />
strinse la mano al lo zio; con stupore d’Anna Fjòdorovna, anche<br />
a lei, senza baciargliela, strinse semplicemente la mano; strinse<br />
la mano perfino a Lìza, e, in quell’atto, la guardò ben a fondo<br />
negli occhi, e le accennò un sorriso col suo piacevole modo di<br />
sorridere. Quell’occhiata diede di nuovo un turbamento alla<br />
ragazza.
«È molto a posto, - pensò questa fra sé, - ha solo il difetto di<br />
darsi troppa importanza».
XIV.<br />
-Via, come non ti vergogni? - esclamò Pòlozov quando i due<br />
ufficiali furono rientrati in camera loro.<br />
-Io ho fatto di tutto per perdere apposta, seguitavo a urtarti<br />
col piede sotto il tavolo... Via, come non senti rimorso? Quella<br />
povera vecchia è rimasta male davvero.<br />
Il conte scoppiò in una formidabile risata.<br />
-Grottesca, la mia madama! Oh come s’è offesa!<br />
E qui daccapo si mise a ridere, con tanta giocondità, che<br />
perfino Johann, piantato lì dinanzi a lui, chinò gli occhi e<br />
accennò, così di lato, un sorriso.<br />
-Eccovelo qua, il figlio dell’amico di famiglia!... Hah, hah,<br />
hah! – continuava a ridere il conte.<br />
-No, sul serio: non è stata mica una bella cosa. A me, quella<br />
donna, ha finito col farmi compassione, — disse il cornetta.<br />
-Senti che assurdità! Quanto sei ancora giovane, tu! E che<br />
cosa pretendevi, che io perdessi? A che scopo avrei dovuto<br />
perdere? Anch’io, tante volte, ho perduto, quando non sapevo<br />
giuocare. Dieci rubli, fratello, fanno comodo. Bisogna guardare<br />
con praticità alla vita: altrimenti, sarai sempre lo zimbello di<br />
tutti.<br />
Pòlozov non ribatte parola; eppoi egli desiderava di restar<br />
solo con se stesso, a pensare a Lìza, che gli era sembrata una<br />
creatura di purezza straordinaria, perfetta in tutto. Si svesti, e si<br />
coricò nel morbido letto di bucato, che avevano preparato per<br />
lui.<br />
«Che assurdità tutti questi onori, questa gloria della vita<br />
militare! — pensava, con gli occhi sospesi a quella finestra<br />
impannata con lo scialle, attraverso la quale s’insinuavano<br />
pallidi i raggi della luna. – Eccola, la felicità: vivere in un<br />
angoletto tranquillo, con un’affettuosa, intelligente, semplice<br />
moglietta: questa sì ch’è una solida, genuina felicità!»<br />
Ma c’era qualcosa che lo tratteneva dal comunicare questi
vagheggiamenti al suo amico, e sia pure dal mentovargli<br />
semplicemente la signorina di campagna, sebbene fosse<br />
convinto che anche il conte stesse pensando a lei.<br />
-Com’è che tu non ti spogli? — domandò al conte, che<br />
passeggiava per la stanza.<br />
-Chissà, non mi viene ancora voglia di dormire. Spegni la<br />
candela, se vuoi: io mi corico lo stesso.<br />
E continuava a passeggiare su e giù.<br />
-Chissà, non mi viene ancora voglia di dormire, - ripetè a sua<br />
volta Pòlozov, il quale si sentiva, dopo questa serata, più che<br />
mai scontento dell’ascendente del conte, e incline a ribellarglisi<br />
contro. «Mi figuro benissimo, - commentò fra sé, rivolto a<br />
Turbin, - quali pensieri ti stanno passando per codesta testa<br />
pettinata a puntino! Ho visto, sì, quanto t’è piaciuta. Ma non sei<br />
in grado, tu, di comprendere questa semplice, onesta creatura:<br />
ci vuol Mina per te, ci vogliono le spalline di colonnello... A<br />
proposito, voglio domandargli quanto gli è piaciuta!»<br />
E già Pòlozov s’era voltato da quella parte, per fargli la<br />
domanda, ma ci ripensò: sentiva che non soltanto non sarebbe<br />
stato capace di leticarci, se l’opinione che il conte aveva di Lìza<br />
fosse stata quella che presupponeva, ma non avrebbe neppure<br />
avuto la forza di non convenire con lui: talmente, ormai, s’era<br />
abituato ad assoggettarsi a questo ascendente, che gli si veniva<br />
facendo di giorno in giorno più gravoso e più ingiustificabile.<br />
-Dove vai? — fu la sua domanda, quando il conte si mise il<br />
berretto e s’accostò alla porta.<br />
-Voglio andare in scuderia: voglio dar un’occhiata se tutto è<br />
in ordine.<br />
«Strano!» pensò il cornetta; ma soffiò sulla candela, e,<br />
cercando di scacciare i pensieri d’aberrante gelosia e d’ostilità<br />
verso l’amico d’un tempo, che gli facevano capolino nel<br />
cervello, si rivoltò sull’altro fianco.<br />
Anna Fjòdorovna, nel frattempo, segnati ben bene di croce e<br />
baciati teneramente — secondo l’abitudine — il fratello, la figlia<br />
e la piccola protetta, s’era anch’essa ritirata in camera sua. Da
un pezzo, in un sol giorno, la vecchietta non aveva più avuto a<br />
sperimentare tante violente impressioni, cosicché neppure le<br />
preghiere potè recitare tranquillamente: di continuo — vivo e<br />
malinconico — il ricordo del conte scomparso, e quello del<br />
giovane elegantone, che con tanto poco scrupolo le aveva<br />
svuotato le tasche, le giravano e le rigiravano nella mente.<br />
Tuttavia — secondo l’abitudine — si svestì, bevve il mezzo<br />
bicchiere di kvas, preparato sul comodino lì accanto al letto, e si<br />
coricò. La sua gattina preferita, silenziosamente, era scivolata<br />
nella stanza. Anna Fjòdorovna se la chiamò vicino e incominciò<br />
ad allisciarla, ascoltando come faceva le fusa: ma pur sempre<br />
non riusciva a prender sonno.<br />
«È la gatta che me lo impedisce», disse fra sé, e la scacciò via.<br />
Morbidamente la gatta tonfò in terra, inarcò a suo comodo la<br />
folta coda, e balzò sulla stufa bassa: ma in quel punto la<br />
cameriera, che dormiva qui in camera per terra, venne a<br />
stendere il suo giaciglio, a spegner la candela e ad accender la<br />
lampadetta. Finalmente, anche la cameriera incominciò a<br />
russare; ma il sonno continuava a star lontano da Anna<br />
Fjòdorovna, e non veniva a sopirle la fantasia sconvolta. Il viso<br />
dell’ussaro le si presentava subito dinanzi, quando si faceva a<br />
chiudere gli occhi; e le appariva (avrebbe detto) in varie, strane<br />
forme per la stanza, quando con gli occhi spalancati, alla fievole<br />
luce della lampadetta, guardava la commode, il tavolino da<br />
notte, l’abito bianco pendente. Ora le pareva gran caldo sotto il<br />
piumino, ora era insoffribile il battito dell’orologio lì sul<br />
tavolino da notte, о intollerabilmente ronfava col naso la<br />
cameriera. La svegliò, e le ordinò che smettesse di ronfare. Poi<br />
di nuovo quei pensieri sulla figlia, sul vecchio conte e sul<br />
giovane, sulla préférencè, insistettero a mescolatesi stranamente<br />
nel cervello. Ecco che si vedeva nell’atto di ballare il valzer col<br />
conte vecchio, vedeva — piene e bianche – le sue proprie spalle,<br />
ci si sentiva sopra i baci di non so chi: e poi vedeva la sua<br />
figliuola tra le braccia del conte giovane. E di nuovo il ronfare<br />
d’Ústjuška era ricominciato...
«No, c’è qualcosa che non va, al giorno d’oggi; la gente non è<br />
più quella. Dentro al fuoco, per me, quello era pronto a<br />
buttarsi! E ce n’era, del resto, ben donde... Costui, invece, non<br />
aver paura che se la dorme come un marmottone, contento e<br />
soddisfatto dei quattrini che ha vinti: non c’è pericolo, no, che<br />
faccia la corte alle ragazze. E pensare, quello là, come veniva a<br />
dirti, in ginocchio: cosa vuoi che faccia, per te: che mi uccida<br />
all’istante? О cosa vuoi d’altro? E si sarebbe ucciso davvero,<br />
purché io gliel’avessi detto».<br />
Improvvisamente, un passo scalzo risonò per il corridoio, e<br />
Lìza, con nient’altro indosso che l’abituccio gettato sulle spalle,<br />
tutta pallida e tremante, irruppe nella stanza e si lasciò quasi<br />
cadere contro la madre sul letto...<br />
Quand’ebbe preso commiato dalla madre, s’avviò sola, Lìza,<br />
nella stanza che apparteneva allo zio. Infilato il giubbetto<br />
bianco, e avvolta nel fazzoletto da capo la pesante, lunga<br />
treccia, essa spense la candela, sollevò la finestra, e coi piedi<br />
s’arrampicò su una sedia, puntando pensosa lo sguardo verso lo<br />
stagno, che a quest’ora lustrava già tutto d’un ribrillio argenteo.<br />
Tutte le sue occupazioni, tutti i suoi interessi abituali,<br />
vennero d’un tratto ad apparirle dinanzi sotto una luce<br />
completamente nuova: la vecchia madre bisbetica (l’affetto<br />
indiscriminato per la quale era diventato parte dell’anima sua);<br />
il decrepito, ma simpatico zio; la gente di servizio, i contadini<br />
che adoravano la «signorina», le vacche da mungere e i vitellini;<br />
tutta questa natura che sempre, attraverso il suo ripetuto<br />
morire e rinnovarsi, rimaneva la stessa, e in mezzo alla quale,<br />
amando gli altri e riamata, lei s’era fatta grande; tutto ciò ch’era<br />
solito darle quel così fresco, così piacevole ristoro spirituale:<br />
vennero a sembrarle d’un tratto tutte cose fuor di posto,<br />
vennero a sembrarle tutte cose piene di tedio, inutili. Era come<br />
se una voce le avesse detto: «Sciocchina, sciocchina! Per<br />
vent’anni ti sei trascinata fra le insulsaggini, ti sei prestata a<br />
servir l’uno e l’altro, senza saper chiaramente perché, e non hai<br />
mai conosciuto che cosa sia la vita e la felicità!» In questi
momenti, fissa con lo sguardo in fondo all’immobile, luminoso<br />
giardino, pensava così con più forza, con molta più forza, di<br />
quanto altre volte avesse potuto pensarci in passato. E che cosa<br />
la aveva condotta a quest’ordine d’idee? Non era davvero un<br />
repentino amore pel conte, come facilmente si potrebbe<br />
supporre. Al contrario, quell’uomo non le era piaciuto. Sarebbe<br />
stato più facile che la attraesse il cornetta: ma questi era<br />
stordito, povero, così stranamente taciturno! Involontaria- |<br />
mente, le veniva fatto di dimenticarsene, mentre con rancore e<br />
disappunto continuava a suscitarsi nella fantasia l’immagine del<br />
conte. «No, non è quel che voglio io», diceva a se stessa.<br />
L’ideale che aveva lei, era così affascinante! Era un ideale che in<br />
mezzo a questa nottata, a questa natura, senza distruggerne la<br />
bellezza, avrebbe potuto esser amato; un ideale a cui non era<br />
mai stato imposto il menomo taglio, per ridurlo a combaciare<br />
con una qualsiasi grossolana realtà.<br />
Fin da principio, infatti, la solitudine, e la mancanza di<br />
persone che potessero interessarla, avevano fatto sì che tutta<br />
quella capacità d’amore, che nell’animo di ciascuno di noi è<br />
stata posta in misura uguale dalla Provvidenza, si mantenesse<br />
intatta e imperturbata nel suo cuore; e ormai, già da troppo<br />
viveva della malinconica felicità di sentire in se stessa la<br />
presenza di questo qualcosa, e di godere – schiudendo<br />
qualche volta la segreta valvola del cuore – la contemplazione<br />
delle ricchezze ivi riposte, da troppo viveva di questo perché<br />
potesse, senza ponderazione, riversare su qualcuno tutto ciò<br />
che serbava là dentro. E Dio volesse che fino alla tomba essa<br />
continuasse a compiacersi di questa sua avara felicità! Chissà<br />
che non sia questa la migliore e la più forte? E che non sia<br />
questa l’unica vera e l’unica possibile?<br />
«Signore Iddio mio! – pensava intanto. – Che davvero così,<br />
vanamente, mi sia andata perduta la felicità e la giovinezza, e<br />
che io non debba più averla... non debba averla mai più?<br />
Possibile che sia questa, la verità?» E sospendeva lo sguardo<br />
lassù, all’alto cielo luminoso intorno alla luna, sparso di
ianche nubi a onda, che passando dinanzi alle fievoli stelline,<br />
movevano verso il disco della luna. «Se quella nuvoletta<br />
bianca, più a sopra, va a toccare la luna, vuol dire ch’è la<br />
verità», si disse a un tratto. E già la nebbiosa, fumosa<br />
strisciolina era venuta a scorrere sulla metà inferiore del disco<br />
luminoso, e a poco a poco la luce s’affievolì sull’erba, sulle<br />
vette dei tigli, sullo stagno: le nere ombre degli alberi<br />
perdettero il loro spicco. E, come accordandosi a quella cupa<br />
ombria, che aduggiava la natura, una leggera ventata corse tra<br />
il fogliame, e portò fin qua alla finestra un guazzoso sentore di<br />
foglie, di terra umida e di lillà in fiore.<br />
«No, non è la verità, - si fece cuore la ragazza. — Ma ecco,<br />
piuttosto: se l’usignolo canterà stanotte, allora vuol dire ch’è<br />
tutta un’assurdità, quel che sto pensando, e che non bisogna<br />
disperare...» Così si disse; e a lungo, ancora, rimase lì seduta in<br />
silenzio, in attesa di qualche cosa, benché di nuovo tutto si<br />
fosse illuminato e ravvivato, e di nuovo – a più riprese – fossero<br />
andate a sovrapporsi alla luna le piccole nubi, e tutto si fosse<br />
oscurato. Il sonno ormai la aveva sopraffatta, così seduta alla<br />
finestra, quando l’usignolo la destò con un fitto trillio, che si<br />
spandeva squillante laggiù sullo stagno.<br />
La signorina di campagna aprì gli occhi. Ancora una volta,<br />
con un piacere nuovo, tutta l’anima le si rinnovellò in una<br />
misteriosa fusione con la natura, che così calma e luminosa si<br />
spiegava dinanzi a lei. Aveva puntellato a sostegno del capo<br />
tutt’e due le braccia. Non so quale sfibrante, soave senso di<br />
tristezza le opprimeva il petto; e lacrime d’un puro, ampio<br />
amore, che bramava d’esser appagato – buone, consolanti<br />
lacrime – le riempivano gli occhi. Abbandonò le braccia sul<br />
davanzale, e ci pose sopra la testa. La sua preghiera prediletta,<br />
istintivamente, le venne nell’anima; e così, con gli occhi<br />
bagnati, s’assopì.<br />
Il contatto d’una mano la riscosse. Essa si risentì. Ma era, quel<br />
contatto, leggero e gradevole. La mano stringeva più forte, a<br />
poco a poco, la sua mano. D’improvviso, si rese conto della
ealtà: diede un grido, balzò su, e, dando a credere a se stessa di<br />
non aver riconosciuto il conte, che stava ritto sotto la finestra<br />
tutto soffuso di luce lunare, si slanciò di corsa fuor dalla<br />
stanza...
XV.<br />
Realmente, quello, era il conte. Al grido della ragazza, e al<br />
raschio di gola con cui il guardiano, di là dal recinto, rispose a<br />
quel grido, precipitosamente, sentendosi come un ladro<br />
sorpreso, egli si mise a correre tra l’umida erba guazzosa, verso<br />
il fondo del giardino. «Ah, sono proprio uno stupido! –<br />
mormorò incoscientemente. – Le ho fatto paura. Più piano, con<br />
qualche parola, bisognava svegliarla. Ah, sono una bestiaccia<br />
sgraziata!»<br />
Si fermò, e tese l’orecchio: il guardiano, dal cancelletto, era<br />
entrato in giardino, e strascicava il bastone per la sabbia della<br />
viottola. Era necessario nascondersi. Egli calò giù verso lo<br />
stagno. Le rane, facendolo via via trasalire, s’affrettavano, di<br />
sotto ai suoi piedi, a tuffarsi nell’acqua. Laggiù, senza badare al<br />
fradicio che gli entrava nei piedi, si accucciò su se stesso, e<br />
incominciò a richiamarsi alla mente tutto ciò che aveva fatto:<br />
come aveva scavalcato il recinto, aveva cercato la finestra di lei,<br />
e infine aveva visto quell’ombra bianca; come parecchie volte,<br />
tendendo l’orecchio al minimo fruscio, s’era accostato e<br />
scostato dalla finestra; come a momenti aveva l’impressione che<br />
lei lo aspettasse irritata dei suoi indugi, a momenti che fosse<br />
impossibile che così facilmente gli accordasse un convegno;<br />
come, infine, supponendo che soltanto per timidezza di<br />
signorina di campagna fingesse a quel modo di dormire, s’era<br />
risolutamente riaccostato, e aveva potuto veder con chiarezza<br />
come stavano le cose: ma qui, d’improvviso, qualcosa lo aveva<br />
spinto a ritrarsi indietro a precipizio, e unicamente la vergogna<br />
— che lo aveva invaso – della propria vigliaccheria, lo aveva<br />
fatto tornar arditamente là accanto a lei, fino a sfiorarle la<br />
mano... Il guardiano scaracchiò un’altra volta, e, facendo<br />
cigolare il cancelletto, usci dal giardino. La finestra della camera<br />
della signorina sbatacchiò, e dall’interno fu sbarrata con<br />
l’imposta.
Al conte, quella vista, riuscì tremendamente penosa.<br />
Avrebbe pagato chissà quanto, pur che fosse possibile<br />
ricominciare tutto da principio: ora, non avrebbe mica più agito<br />
così da sciocco... «Pensare ch’è un tale incanto di signorina! Un<br />
tale botton di rosa! Proprio una meraviglia! E me la son fatta<br />
scappare così... Uno stupido animalaccio, ecco che sono!» Eppoi<br />
ormai, di dormire, non ne aveva più voglia: cosicché, col passo<br />
risoluto dell’uomo irritato fin sopra ai capelli, s’avviò innanzi,<br />
alla ventura, per la viottola a galleria lungo il viale dei tigli.<br />
E qui anche a lui questa nottata venne a portare i suoi doni<br />
pacificatori di una certa racquetante mestizia e d’un’aspirazione<br />
ad amare. Argillosa, con qualche filo d’erba che spuntava qua e<br />
là e qualche fuscello secco, la stradella era illuminata a<br />
cerchiolini — attraverso il folto fogliame dei tigli – dai pallidi<br />
raggi a piombo della luna. Ogni tanto un ramo aggrondato, che<br />
pareva rivestito d’un musco bianco, spiccava in luce ai margini.<br />
Le foglie, inargentandosi, sfrusciavano tratto tratto. Alla casa<br />
s’erano spente le luci, era cessato ogni rumore: soltanto<br />
l’usignolo riempiva di sé (si sarebbe detto) l’immensa, taciturna,<br />
luminosa estensione tutt’intorno. «Dio, che nottata! Che<br />
nottata stupenda! — pensava il conte, aspirando a pieni<br />
polmoni l’odorosa frescura del giardino. – Si sente una specie di<br />
rimpianto. Quasi un’insoddisfazione di se stessi e degli altri,<br />
un’insoddisfazione della vita intera... Gran brava, gran cara<br />
ragazza! Forse davvero sarà rimasta ferita...»<br />
A questo punto, nelle sue fantasticherie, avvenne un<br />
rimescolamento, e immaginò se stesso in questo giardino<br />
insieme con la signorina di provincia nelle più varie e strane<br />
situazioni; finché il posto della signorina fu preso dall’adorabile<br />
Mina. «Che razza d’imbecille sono io! Bisognava,<br />
semplicemente, afferrarla per la vita e baciarla». E con questo<br />
rammarico, il conte fece ritorno alla camera.<br />
Il cornetta non dormiva ancora. Egli subito si voltolò nel<br />
letto, con la faccia al conte.<br />
-Non dormi? - domandò il conte.
-No.<br />
-Ti debbo raccontare quel che m’è accaduto?<br />
-E che t’è accaduto?<br />
-No, è meglio non mettersi a raccontarlo... oppure sì, te lo<br />
racconto. Ritira un po’ le gambe.<br />
E il conte, che s’era ormai dato pace della piccola avventura<br />
mancata, sorridendo rianimato si sedette sul letto del<br />
compagno.<br />
-Figurati un po’ che... sai, la signorina di qui... mi aveva<br />
fissato un rendez-vous!<br />
-Ma che dici? – proruppe Pòlozov, scattando su dal letto.<br />
-Stammi a sentire.<br />
-Ma come avrebbe potuto? Quando? Non può essere.<br />
-Ecco come: mentre voi facevate i conti della préférence, lei è<br />
venuta a dirmi che sarebbe restata, stanotte, in finestra, e che<br />
quella finestra poteva essere scavalcata. Lo senti che cosa<br />
significa, essere una persona pratica? Intanto che voi, li con la<br />
vecchia, stavate a fare i conti, io in quattro e quattr’otto ho<br />
combinato tutto l'affaruccio. Eppoi l’hai sentita anche tu: l’ha<br />
detto anche in presenza tua, che voleva restarsene lì in finestra,<br />
a guardar lo stagno.<br />
-Ma questo l’ha detto cosi, senz’altri fini.<br />
-Oh, qui sta il busilli, se l’abbia detto a casaccio о no. Chissà,<br />
potrebbe darsi realmente che, così di colpo, non volesse ancora:<br />
ma certo le apparenze stavano per il sì. Ne è venuto fuori un<br />
pasticcio tremendo. Mi sono comportato da perfetto imbecille!<br />
— soggiunse il conte, con un sorriso di scherno per se stesso.<br />
-Ma di che si tratta, insomma? Dove sei stato?<br />
Il conte, omettendo soltanto le ripetute titubanze dei suoi<br />
approcci, raccontò tutto com’era andato.<br />
-Sono stato io a guastar le cose: bisognava essere più arditi.<br />
Ha dato un grido, ed è scappata via dalla finestra.<br />
-Sicché, ha dato un grido ed è scappata via, - disse il cornetta<br />
con un sorriso forzato, di rimando al sorriso del conte, a quel<br />
sorriso che aveva avuto su lui, per tanto tempo, un ascendente
tanto forte.<br />
-Già... Bah, ma adesso è ora di dormire.<br />
Il cornetta si voltolò di nuovo dall’altra parte, e così, con la<br />
schiena alla porta, in silenzio, rimase coricato una diecina di<br />
minuti. Iddio solo sa che cosa gli avvenisse nell’intimo; certo è<br />
che, quando tornò a voltarsi di qua, sul viso aveva<br />
un’espressione di sofferenza e di risolutezza.<br />
-Conte Turbini – esclamò con voce rotta.<br />
-О che hai: stai vagellando? - tranquillamente ribattè il<br />
conte. - Cosa c’è, cornetta Pòlozov?<br />
-Conte Turbin! Voi siete un mascalzone! - gridò Pòlozov, e<br />
balzò giù dal letto.
XVI.<br />
L’indomani, lo squadrone riparti. Gli ufficiali non rividero i<br />
padroni del posto, e non ne presero commiato. I due, fra loro,<br />
non scambiavano parola. Al primo luogo di sosta a cui<br />
sarebbero arrivati, c’era l’intesa di battersi in duello.<br />
Ma il capitano della guardia Schultz, buon compagnone,<br />
eccellente cavallerizzo, che tutti amavano al reggimento, e che<br />
il conte aveva scelto per suo padrino, riuscì ad accomodare così<br />
bene la faccenda, che non solo il duello non ci fu, ma nessuno -<br />
lì al reggimento - venne a sapere nulla di quell’incidente; e anzi<br />
gli stessi Turbin e Pòlozov, seppure non più nei rapporti<br />
amichevoli d’un tempo, durarono tuttavia a darsi del tu e a star<br />
accanto in pranzi e partite.<br />
(1856).