Lev Tolstoj - Due Ussari

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<strong>Lev</strong> <strong>Tolstoj</strong><br />

<strong>Due</strong> ussari<br />

Nota introduttiva di Italo Calvino<br />

Traduzione di Agostino Villa


INDICE<br />

Nota introduttiva ________________________________ 4<br />

Nota bio-bibliografica ____________________________ 8<br />

<strong>Due</strong> ussari ______________________________________ 12<br />

I. ______________________________________________ 15<br />

II. _____________________________________________ 22<br />

III. ____________________________________________ 28<br />

IV. ____________________________________________ 33<br />

V. _____________________________________________ 41<br />

VI. ____________________________________________ 45<br />

VII. ____________________________________________ 50<br />

VIII. ___________________________________________ 55<br />

IX. ____________________________________________ 59<br />

X. _____________________________________________ 67<br />

XI. ____________________________________________ 74<br />

XII. ____________________________________________ 80<br />

XIII. ___________________________________________ 82<br />

XIV. ___________________________________________ 90<br />

XV. ____________________________________________ 97<br />

XVI. __________________________________________ 101


Nota introduttiva<br />

Capire come <strong>Tolstoj</strong> costruisce la sua narrazione non è facile.<br />

Quel che tanti narratori tengono allo scoperto, - schemi<br />

simmetrici, travi portanti, contrappesi, cerniere rotanti, - in lui<br />

resta nascosto. Nascosto non vuol dire che non ci sia:<br />

l’impressione che <strong>Tolstoj</strong> dà di portare pari pari sulla pagina<br />

scritta «la vita» (questa misteriosa entità per definire la quale<br />

siamo obbligati a partire dalla pagina scritta) non è che un<br />

risultato d’arte, cioè d’un artificio più sapiente e complesso di<br />

tanti altri.<br />

Uno dei testi in cui la «costruzione» tolstojana è meglio<br />

visibile è <strong>Due</strong> ussari, e siccome questo è uno dei racconti più<br />

tipici suoi, - del primo e pili diretto <strong>Tolstoj</strong>, - e dei più belli,<br />

osservando com’è fatto possiamo imparare qualcosa sul modo<br />

di lavorare dell’autore.<br />

Scritto e pubblicato nel 1856, Dva gusara si presenta come<br />

rievocazione d’un’epoca ormai remota, gli inizi dell’Ottocento,<br />

e il tema è quello della vitalità, prorompente e senza freno, una<br />

vitalità vista come già lontana, perduta, mitica. Gli alberghi<br />

dove gli ufficiali in trasferta attendono il cambio dei cavalli per<br />

le slitte e si spennano giocando a carte, i balli della nobiltà di<br />

provincia, le notti di baldoria «dagli zigani»: è nella classe alta<br />

che <strong>Tolstoj</strong> rappresenta e mitizza questa violenta energia vitale,<br />

quasi un fondamento naturale (perduto) del feudalesimo<br />

militare russo.<br />

Tutto il racconto fa perno su un eroe per cui la vitalità è<br />

ragione sufficiente di successo e di simpatia e di dominio, e<br />

trova in se stessa, nella propria indifferenza verso le regole e nei<br />

propri eccessi, una sua morale e una sua armonia. Il<br />

personaggio del conte Turbin, ufficiale degli ussari, gran<br />

bevitore e giocatore e donnaiolo e duellante, non fa che<br />

concentrare in sé la forza vitale diffusa nella società. I suoi


poteri d'eroe mitico consistono nel dare esiti positivi a questa<br />

forza che nella società palesa le sue potenzialità distruttive: un<br />

mondo di bari, dilapidatori del pubblico denaro, ubriaconi,<br />

millantatori, scrocconi, libertini, ma in cui una calorosa<br />

indulgenza reciproca trasforma tutti i conflitti in gioco e in<br />

festa. La civiltà gentilizia maschera appena una brutalità d’orda<br />

di barbari; per il <strong>Tolstoj</strong> dei <strong>Due</strong> ussari la barbarie è l’immediato<br />

ieri della Russia aristocratica, e in questa barbarie stava la sua<br />

verità e la sua salute. Basti pensare all’apprensione con cui, al<br />

ballo della nobiltà di K., l’ingresso del conte Turbin è visto dalla<br />

padrona di casa.<br />

Invece Turbin unisce in sé violenza e leggerezza; <strong>Tolstoj</strong> gli<br />

fa fare sempre le cose che non si dovrebbero fare, ma dà ai suoi<br />

movimenti il dono d’una miracolosa giustezza. Turbin è capace<br />

di farsi prestare soldi da uno snob e di non sognarsi di<br />

renderglieli, anzi, d’insultarlo e malmenarlo; di sedurre<br />

fulmineamente una vedovella (sorella del suo creditore)<br />

nascondendosi nella carrozza di lei e di non curarsi di<br />

comprometterla mostrandosi in giro indossando la pelliccia del<br />

suo defunto marito; ma è anche capace di gesti di disinteressata<br />

galanteria, come il tornare indietro nel suo viaggio in slitta per<br />

darle un bacio nel sonno e ripartire. Turbin è capace di dire in<br />

faccia a ciascuno quel che si merita; dà del baro a un baro, poi<br />

gli porta via di forza i soldi mal vinti per rimborsare il<br />

sempliciotto che s’era lasciato defraudare, e della somma che<br />

ancora avanza fa un regalo alle zigane.<br />

Ma questa è solo metà del racconto, i primi otto capitoli su<br />

sedici. Al capitolo nono c’è un salto di vent’anni: siamo nel<br />

1848, Turbin è morto da un pezzo in un duello, e suo figlio è<br />

ufficiale degli ussari a sua volta. Anche lui arriva a K., in marcia<br />

verso il fronte, e incontra alcuni dei personaggi della prima<br />

storia: il cavallerizzo fatuo, la vedovella diventata una<br />

rassegnata matrona; più una figlia giovinetta, per rendere<br />

simmetrica la nuova generazione alla vecchia. La seconda parte<br />

del racconto — ci accorgiamo subito — ripete specularmente la


prima, ma tutto all’incontrario: a un inverno di neve e slitte e<br />

vodka risponde una mite primavera di giardini al chiar di luna,<br />

al primo Ottocento selvaggio delle orge nei caravanserragli<br />

delle stazioni di tappa risponde un pieno Ottocento assestato di<br />

lavori a maglia e noia tranquilla nella calma familiare. (La<br />

contemporaneità, questa, per <strong>Tolstoj</strong>: difficile oggi per noi<br />

riuscire a situarci nella sua prospettiva).<br />

Il nuovo Turbin fa parte d’un mondo più civile, e si vergogna<br />

della fama di scavezzacollo lasciata dal padre. Mentre il padre<br />

picchiava e strapazzava il servo ma stabiliva con lui una sorta di<br />

complementarità e confidenza, il figlio col servo non fa che<br />

brontolare e lamentarsi, vessatorio anche lui, ma stridulo e<br />

molle. C’è una partita a carte anche qui, una partita in famiglia,<br />

da pochi rubli, e il giovane Turbin coi suoi piccoli calcoli non si<br />

trattiene dallo spennare la padrona di casa che lo ospita,<br />

mentre intanto fa il piedino alla figlia. Quanto suo padre era<br />

prepotente e generoso, tanto lui è meschino; ma è soprattutto<br />

un approssimativo, un maldestro. Il flirt è un seguito d’equivoci;<br />

una seduzione notturna si riduce a un tentativo goffo, a una<br />

brutta figura; anche il duello che stava per venirne fuori si<br />

smorza nel tran-tran.<br />

In questo racconto di costumi militari, opera del più grande<br />

scrittore di guerra «en plein air», si direbbe che la grande<br />

assente sia proprio la guerra. Eppure è un racconto di guerra: le<br />

due generazioni (aristocratico-militari) dei Turbin sono<br />

rispettivamente quella che ha sconfitto Napoleone e quella che<br />

ha represso la rivoluzione in Polonia e in Ungheria. I versi che<br />

<strong>Tolstoj</strong> mette in epigrafe al racconto assumono un significato<br />

polemico verso la Storia con l’esse maiuscolo, che tiene conto<br />

solo delle battaglie e dei piani strategici e non della sostanza di<br />

cui sono fatte le esistenze umane. È già la polemica che <strong>Tolstoj</strong><br />

svilupperà una decina d’anni dopo in Guerra e pace: anche se<br />

qui non ci si distacca dai costumi degli ufficiali, sarà lo sviluppo<br />

di questo stesso discorso che porterà <strong>Tolstoj</strong> a contrapporre ai<br />

grandi condottieri la massa contadina dei soldati semplici come


veri protagonisti storici.<br />

Non è dunque tanto l’esaltare la Russia d’Alessandro I in<br />

contrapposizione a quella di Nicola I che sta a cuore a <strong>Tolstoj</strong>,<br />

quanto il ricercare la vodka della storia (vedi l’epigrafe), il<br />

combustibile umano. L’apertura della seconda parte (capitolo<br />

IX) - che fa pendant all’introduzione, ai suoi flashes nostalgici<br />

un po’ di repertorio - non è ispirata a un generico rimpianto del<br />

passato, ma a una complessa filosofia della storia, a un bilancio<br />

dei costi del progresso. «...Molto di bello e molto di brutto, fra<br />

quanto era vecchio, era sparito, molto di bello, fra quanto era<br />

nuovo, s’era sviluppato, e molto, anzi, molto di più - fra quanto<br />

era nuovo - incapace di sviluppo, mostruoso, aveva fatto la sua<br />

comparsa sotto il sole».<br />

La pienezza di vita tanto lodata dai commentatori di <strong>Tolstoj</strong><br />

è - in questo racconto come nel resto dell’opera - la<br />

constatazione d’un’assenza. Come nel narratore più astratto, ciò<br />

che conta in <strong>Tolstoj</strong> è ciò che non si vede, ciò che non è detto,<br />

ciò che potrebbe esserci e non c’è.<br />

ITALO CALVINO


Nota bio-bibliografica<br />

<strong>Lev</strong> Nikolaevič <strong>Tolstoj</strong> nacque il 28 agosto (9 settembre) 1828 a Jasnaja<br />

Poljana presso Tuia dal conte Nikolaj Il'ic e dalla principessa Marija<br />

Nikolaevna Volkonskaja. La madre mori quando T. non aveva ancora due<br />

armi. Nel 1837 mori improvvisamente anche il padre. Dell’educazione di Т.,<br />

dei suoi tre fratelli maggiori e della sorella minore si occupò una loro lontana<br />

parente, T. A. Ergol'skaja, cui T. fu sempre legato da particolare affetto.<br />

Trasferitosi con la famiglia a Kazan' nel 1841 e ammesso in quella università<br />

nel 1844 (dapprima alla sezione orientale della facoltà di filosofia, poi alla<br />

facoltà di giurisprudenza), nel 1847 T. lascia l’ateneo senza avervi ultimato gli<br />

studi e fa ritorno nella tenuta di Jasnaja Poljana, dove nel 1849 apre una scuola<br />

per i figli dei contadini. Nel maggio 1851 parte per il Caucaso dove rimane fino<br />

al 1854, partecipando alle azioni militari contro le popolazioni locali. Nel<br />

Caucaso scrive Detstvo (Infanzia), che aveva cominciato nel 1851, Otročestvo<br />

(Adolescenza), alcuni racconti e il romanzo Kazaki (I cosacchi). Nel settembre<br />

1852 nella rivista «Sovremennik» (Il Contemporaneo), allora diretta dal poeta<br />

N. A. Nekrasov, esce il primo scritto di Т., Infanzia, accolto dalla critica con<br />

molto favore.<br />

Di ritorno dal Caucaso Т., dietro sua richiesta, fu trasferito nell’Armata<br />

danubiana che combatteva contro i Turchi e, nel novembre 1854, fu inviato a<br />

Sebastopoli, dove prese parte alla guerra di Crimea e alla difesa della città. Di<br />

questa esperienza furono frutto i Sevastopol'skie rasskazy (Racconti di<br />

Sebastopoli). Animato già in quegli anni da un profondo sentimento religioso<br />

(che nel 1854 gli faceva scrivere nel diario di essere dominato da un’«idea<br />

grande, enorme»: «la fondazione di una nuova religione corrispondente allo<br />

sviluppo dell’umanità, la religione di Cristo, ma purificata dalla fede e dal<br />

mistero, una religione pratica che non prometta una beatitudine futura bensì<br />

che dia la beatitudine sulla terra»), T. si stanca della carriera militare e nel<br />

novembre 1856 va in congedo col grado di sottotenente.<br />

T. entrò nella vita letteraria russa negli anni sessanta, che erano dominati<br />

dalla lotta ideologica tra i rappresentanti della critica democratica e<br />

rivoluzionaria (N. G. Černyševskij, N. A. Dobroljubov) e della critica liberale e<br />

moderata (Р. V. Annenkov, A. V. Družinin). Entrato nel gruppo che faceva<br />

capo alla rivista progressista «Sovremennik» (in cui avveniva proprio allora un<br />

processo di differenziazione tra gli elementi più politicamente avanzati,<br />

sostenuti da Nekrasov, e quelli più moderati о incerti, tra cui Turgenev), T.<br />

ben presto si trovò isolato e deluso in quell’ambiente di intellettuali e<br />

ideologi, e per un breve tempo si avvicinò all’ala liberale e estetizzante, pur


essendo intimamente estraneo anche ad essa.<br />

Nel 1856 T. porta a termine Junost' (Giovinezza), l’ultima parte della sua<br />

trilogia autobiografica, e pubblica alcuni racconti. Al principio del 1857 lascia<br />

la Russia e compie il suo primo viaggio nell’Europa occidentale (Germania,<br />

Francia, Italia settentrionale e Svizzera). Nel 1857 pubblica il racconto Ljucern<br />

(Lucerna), in cui dà sfogo alle tendenze «anarchiche», come T. stesso le<br />

chiama, rafforzateglisi nel soggiorno europeo-occidentale, e negli anni<br />

immediatamente successivi dà alle stampe altri racconti. Nel giugno 1860<br />

parte per l’estero allo scopo di vedere il fratello Nikolaj ammalato di<br />

tubercolosi, e la sua morte, avvenuta nell’ottobre dello stesso anno, lo colpisce<br />

profondamente. Durante questo soggiorno europeo T. s’incontrò, tra l’altro,<br />

con Herzen e Proudhon.<br />

Tornato in patria, oltre a ricoprire la carica di giudice di pace, T. inizia la<br />

pubblicazione della rivista «Jasnaja Poljana», di cui uscirono in tutto (nel<br />

1862) dodici numeri. La rivista era divisa in due fascicoli distinti: l’uno portava<br />

il sottotitolo «Scuola. Rivista pedagogica» e l’altro quello di «Libretti per<br />

bambini». «Jasnaja Poljana» fu l’organo dell’esperienza didattica di T. ispirata<br />

alla «libera educazione». Caratteristico è il titolo di uno degli articoli che T. vi<br />

pubblicò: Коти и kogo učit’sja pisat', krest'janskim rebjatatm и nas ili пат и<br />

krest’janskich rebjat? (Da chi si deve imparare a scrivere: i bambini dei<br />

contadini da noi о noi da loro?). La risposta è che lo scrittore, dovendo vedere<br />

il mondo nella sua realtà, deve apprendere questa capacità dai piccoli<br />

contadini che contemplano le cose con occhi puri e chiari.<br />

Nel settembre 1862 T. sposa Sof'ja Andreevna Bers, figlia del medico di<br />

corte. Da principio egli si senti marito felice e non meno felice padre di una<br />

famiglia sempre più numerosa. Se in seguito la vita coniugale di T. si turbò,<br />

ciò avvenne non per una particolare cattiva disposizione d’animo della<br />

moglie, ma al contrario per il suo naturale desiderio di vivere una vita<br />

«normale», conforme alle consuetudini e ai pregiudizi del loro ambiente. Cosa<br />

che con T. a un certo punto divenne chiaramente impossibile.<br />

Dal 1863 al 1869 T. lavorò a Vojna i mir (Guerra e pace). Originariamente<br />

egli pensava di scrivere un romanzo sui decabristi ai quali nel 1856 era stato<br />

concesso di fare ritorno dalla Siberia. Il romanzo doveva cominciare appunto<br />

da quell’anno. Poi T. spostò la data dell’inizio al 1825, l’anno stesso della<br />

rivolta decabrista. Ma anche questo inizio fu ritenuto insoddisfacente perché<br />

non permetteva di illuminare la formazione del carattere del protagonista. T.<br />

retrocesse allora al 1812, epoca dell’invasione napoleonica. Il romanzo, intanto<br />

era diventato diverso da quello progettato, e l’inizio suo definitivo divenne il<br />

1805.<br />

Anna Karenina fu scritta negli anni 1873-77 e come già Guerra e pace, la<br />

sua creazione attraversò vari e complessi momenti. Matura intanto in T.


quello stato di sentimenti e di idee che si è soliti denominare «crisi», ma che è<br />

semplicemente l’organico e regolare coronamento di quella ininterrotta serie<br />

di «crisi» che forma il tessuto di tutta la sua vita morale e intellettuale. Nel<br />

1879-80 compone la sua Ispoved' (Confessione), cui seguono altri scritti di<br />

carattere religioso. Sul piano pròpriamente letterario gli anni ottanta segnano<br />

una straordinaria fioritura di opere originali come Smert' Ivana Il'iča (La morte<br />

di Ivan Il'ič), Krejcerova sonata (La sonata a Kreutzer), Chozjain i rabotnik<br />

(Padrone e lavorante), Otec Sergij (Padre Sergij) e altre. Nel 1889 T. comincia a<br />

lavorare a Voskresenie (Resurrezione), che, dopo essere apparso nella rivista<br />

«Niva» (Il campo), nel 1900 venne pubblicato in volume in un’edizione<br />

fortemente mutilata dalla censura zarista. L’edizione integrale del romanzo<br />

apparve allora solo in Inghilterra.<br />

Nel febbraio 1901 la chiesa russa con una Decisione del sinodo scomunicò<br />

solennemente T. perché, vi si diceva, egli dedicava «la sua attività letteraria e<br />

il talento donatogli dal Signore alla diffusione tra il popolo di dottrine<br />

contrarie a Cristo e alla Chiesa». La critica sociale di T. investiva non solo la<br />

chiesa ortodossa e lo stato zarista e le loro varianti europeo-occidentali, ma si<br />

risolveva in un’invettiva contro tutta la civiltà moderna, ispirandosi a un<br />

«comunismo» anarchico-cristiano di tipo patriarcale-contadino. Nell’articolo<br />

Rabstvo našego vremeni (La schiavitù del nostro tempo) (1900) T. scrive:<br />

«Sono cose magnifiche l’illuminazione elettrica, i telefoni, le mostre e tutti i<br />

giardini d’Arcadia con i loro concerti e spettacoli, e tutti i sigari e i<br />

portafiammiferi e le bretelle e i motori; ma vadano tutte in malora e non solo<br />

loro, ma le strade ferrate e tutti i panni e le stoffe del mondo, se per la loro<br />

produzione è necessario che il 99 per cento degli uomini siano in schiavitù e<br />

periscano a migliaia nelle fabbriche necessarie per la produzione di questi<br />

oggetti». Per combattere contro questo mondo T. faceva appello a tutte le<br />

forze della «ragione» e dell'«amore», ma non alla violenza perché, come dirà<br />

in Tri pritči (Tre parabole), «ogni resistenza al male con la violenza non fa che<br />

aumentare il male» e «gli uomini continuano tranquillamente a produrre e<br />

aumentare il male credendo di distruggerlo».<br />

Gli ultimi anni della vita di T. furono densi d’attività. Tra le sue opere di<br />

questo periodo sono da ricordare l’importante trattato Čto takoe iskusstvo?<br />

(Che cos’è l’arte?) (1897) e l’ultimo suo capolavoro narrativo Chadži-Murat<br />

(1896-1904). Intanto andava maturando l’ultima crisi morale di Т., quella che<br />

lo costrinse a lasciare Jasnaja Poljana e che precedette di poco la sua morte.<br />

Ammalatosi durante il breve viaggio che segui la sua fuga, il 7 (20) novembre<br />

1910 T. mori nella piccola stazione di Astapovo, dove aveva trovato rifugio.<br />

Seguirono i funerali civili che riuscirono solenni nonostante gli impedimenti<br />

del governo zarista. T. fu sepolto nel parco di Jasnaja Poljana, secondo il suo<br />

desiderio.


<strong>Due</strong> ussari


... Jomini, sempre Jomini,<br />

ma della vodka neanche una parola<br />

D. DAVYDOV 1<br />

Intorno al 1800, a quei tempi in cui non c’erano ancora<br />

strade ferrate né massicciate, lumi a gas né candele steariche,<br />

né bassi divani con le molle, né mobilia che non fosse laccata,<br />

né delusi giovinotti con l’occhialino, né liberaleggianti<br />

filosofesse, né leggiadre signore delle camelie, che si sono tanto<br />

moltiplicate all’epoca nostra; a quegl’ingenui tempi in cui, chi<br />

da Mosca partiva per Pietroburgo, in vettura da viaggio о in<br />

landau, si portava dietro una cucina intera di roba preparata in<br />

casa, stava in viaggio otto giorni di seguito per quelle strade a<br />

fondo naturale, tra il polverone о il fango, e aveva una<br />

reverenziale fiducia nelle fettine di carne arrostite ai ferri, nelle<br />

sonagliere del Valdàj, e nei croccantini; quando, nelle lunghe<br />

serate autunnali, ardevano le candele di sego, facendo luce a<br />

crocchi familiari di venti о trenta persone, e ai balli, sui<br />

candelabri, s’infilavano candele di cera vergine о di bianco di<br />

balena; quando i mobili si disponevano in bella simmetria,<br />

quando i nostri padri eran giovani ancora, non solo perché non<br />

avevano rughe о capelli brizzolati, ma perché eran pronti a<br />

prendersi a pistolettate per le donne, e dall’altro capo della<br />

stanza si slanciavano a raccattare i fazzolettini casualmente e<br />

non casualmente scivolati in terra; quando le nostre mamme<br />

portavano corti corti i vitini ed enormi le maniche, e<br />

decidevano degli affari di famiglia con l’estrazione di biglietti a<br />

sorte; quando le seducenti signore delle camelie si tenevan<br />

1 [Il generale svizzero barone de Jomini, trapiantatosi in Russia e nominato precettore<br />

del futuro Alessandro II, scrisse per quest’ultimo il celebre Précis de l’ Art de la Guerre<br />

(1837). Appunto a questo manuale allude il Davydov nei versi posti qui da <strong>Tolstoj</strong>, come<br />

argomento di continue conversazioni tra i militari, a contrasto della vodka molto usata<br />

ma sempre sottaciuta].


lontane dalla luce del sole; all’epoca ingenua delle logge<br />

massoniche, dei martinisti, del tunghendbund, all’epoca dei<br />

Miloràdovič, dei Davýdov, dei Pùškin, — nella città di K.,<br />

capoluogo di governatorato, i proprietari di terre s’erano riuniti<br />

a congresso, e si era al termine delle elezioni per le cariche<br />

inerenti alla nobiltà.


I.<br />

-Bah, non fa nulla: dovessi anche adattarmi in sala di<br />

soggiorno, - diceva un giovane ufficiale in pelliccia e berretto da<br />

ussaro, sceso appena da una slitta da viaggio alla porta del<br />

miglior albergo della città di K.<br />

-C’è un concorso di gente, Eccellenza cara, proprio<br />

tremendo! — rispondeva il servitore addetto alle camere, che<br />

già dall’attendente aveva avuto modo di sapere come il<br />

cognome dell’ussaro fosse conte Turbìn, e quindi lo aveva<br />

onorato di quell’Eccellenza. – La proprietaria di Affermo, e<br />

figliuole, hanno promesso di partir prima di sera: sicché potrete<br />

occupare, non appena si libera, il numero undici, —<br />

continuava, inoltrandosi con passo molle dinanzi al conte pel<br />

corridoio, e rigirandosi indietro ogni momento.<br />

In sala di soggiorno, intorno a una piccola tavola, sotto un<br />

annerito ritratto in piedi dell’imperatore Alessandro, stavano a<br />

bere champagne parecchie persone, nobili locali senza dubbio, e<br />

in disparte alcuni mercanti di passaggio, con le pellicce dalla<br />

fodera turchina.<br />

Entrato nella stanza e chiamatovi dentro Blücher – un<br />

enorme, grigio molosso, arrivato in slitta con lui — il conte<br />

gettò via il mantello, che ancora, sul bavero, era incrostato di<br />

ghiaccio, chiese dell’acquavite, e, cosi in archalŭk 2 di raso<br />

azzurro, com’era rimasto, andò a sedersi alla tavola e attaccò<br />

discorso coi signori che vi si trovavano, i quali, subito<br />

favorevolmente disposti verso il forestiero dalla sua bella e.<br />

aperta presenza, gli offrirono un calice di champagne. Il conte,<br />

che aveva bevuto da principio un bicchierino d’acquavite, ne<br />

chiese poi addirittura una bottiglia, da offrire ai nuovi<br />

2 [Il corto giaccone caucasico]


conoscenti. Entrò, in quel punto, il vetturale, a chieder la<br />

mancia per bere.<br />

-Sàška, - diede voce il conte, - pensa a dargli tu!<br />

Il vetturale s’allontanò con Sàška e ricomparve di nuovo,<br />

tenendo in mano il danaro.<br />

-E che, Voscenza? Eppure, se non sbaglio, mi son dato da<br />

fare per meritarmi la grazia vostra! Mezzo rublo m’avevate<br />

promesso, e questo qua m’ha messo in mano una monetina da<br />

un quarto.<br />

-Sàška! Dagli il mezzo rublo!<br />

Sàška, a testa bassa, diede un’occhiata ai piedi del vetturale.<br />

-Ha già avuto abbastanza, costui, - disse in chiave di basso: -<br />

eppoi, io, non ho neanche più soldi.<br />

Allora il conte tirò fuori dal portafoglio gli unici due<br />

bigliettini azzurri 3 che c’erano dentro, e ne diede uno al<br />

vetturale, che gli baciò la mano e se ne andò.<br />

-Guarda un po’ a che m’ha ridotto! – esclamò il conte. – Ecco<br />

gli ultimi cinque rubli che mi restano.<br />

-Alla ussara, conte! - sorridendo gli disse uno dei nobili, che<br />

ai baffi, alla voce, e a una certa energica scioltezza di gambe,<br />

dava a vedere d’esser stato ufficiale di cavalleria. - Avete<br />

intenzione di fermarvi a lungo, conte, qui da noi?<br />

-C’è questo danaro, che debbo procurarmi: altrimenti, non<br />

mi sarei fermato. Ma poi, neppur le camere ci sono (che il<br />

diavolo se li straporti!) in questa maledetta locanda.<br />

Permettete, conte, — ribattè il vecchio cavallerizzo, — non<br />

vi farebbe comodo favorir da me? Io sto qui, al numero sette. Se<br />

non vi spiacesse, potreste passar così, intanto, stanotte. Ma<br />

fermatevi con noi, addirittura, tre giornatelle: oggi stesso ci sarà<br />

un ballo in casa del maresciallo della nobiltà. Come ne sarebbe<br />

felice, anche lui!<br />

3 [Da cinque rubli].


-Davvero, conte, siate ospite nostro! — incalzò un altro dei<br />

presenti, bel giovanotto. — Che scopo, affrettarvi tanto?<br />

Questa, sapete, è una cosa che ricorre ogni tre anni, le elezioni!<br />

Almeno dareste un’occhiata alle nostre signorine, conte!<br />

-Sàška, portami la biancheria: vado a fare il bagno, - esclamò<br />

il conte, levandosi in piedi. – E poi, vedremo un po’: chissà che<br />

non mi salti sul serio l’estro d’andar là dal maresciallo.<br />

Quindi chiamò a sé il cameriere, e gli disse qualcosa, a cui il<br />

cameriere, con un risolino, rispose che «tutto si può fare a<br />

questo mondo». E s’avviò di là.<br />

-Allora, io, caro amico, in camera vostra faccio portare il<br />

bagaglio! – gridò ancora di là dalla porta.<br />

Fatemi senz’altro quest’onore: felicissimo! – rispose il<br />

cavallerizzo, accorrendo verso la porta. – Al numero sette, non<br />

vi scordate.<br />

Quando il passo del conte non si sentì più, il cavallerizzo<br />

tornò al posto suo e, sedendosi più accosto a un funzionario,<br />

con occhi sorridenti lo guardò diritto in faccia, dicendo:<br />

-Ma non c’è dubbio, è proprio lui in persona.<br />

-Cosa c’è?<br />

- Ti sto dicendo ch’è proprio lui in persona, quell’ussaro gran<br />

duellista... il famoso Turbin, insomma. M’ha riconosciuto di<br />

certo: ci farei qualunque scommessa, che m’ha riconosciuto. E<br />

come no: a Lebedjàn, noi due, abbiam fatto baldoria tre<br />

settimane di seguito senza mai riposarci, una volta che ci andai<br />

per la rimonta. Ci fu, in quell’occasione, uno di quegli<br />

scherzetti... lo combinammo d’intesa noi due. Ma è un uomo in<br />

gamba, eh?<br />

- Un uomo in gamba. E che squisitezza di modi! Non si nota<br />

nulla di quel che dite, - rispondeva il bel giovanotto. — Come<br />

abbiam fatto presto ad affiatarci... Che cosa avrà, un<br />

venticinqu’anni, non più?<br />

-Macché: così dimostra, ma ne ha di più. Ma bisogna sapere,<br />

perbacco, che tipo è! La Migunòv, chi l’ha rapita? Lui! Sàblin, lui<br />

l’ha freddato; Màtnjev, lui l’ha preso pei piedi e scaraventato


dalla finestra; il principe Njèsterov, lui l’ha pelato di<br />

trecentomila rubli. Eh sì, che razza di caposcarico è quello lì,<br />

bisogna saperlo! Giuocatore, duellista, dongiovanni: anima di<br />

ussaro, però, vera anima di ussaro. Giacché, di noialtri, se ne<br />

dicono tante, ma ci fosse qualcuno che capisse cosa significa<br />

essere un vero ussaro! Ah, che bei tempi erano quelli...<br />

E il cavallerizzo raccontò al suo interlocutore un’orgia<br />

siffatta, là a Lebedjàn, col conte, che la simile, non solo non era<br />

mai accaduta, ma non sarebbe potuta accadere. E non sarebbe<br />

potuta accadere anzitutto perché il conte, prima d’oggi, egli<br />

non lo aveva mai veduto, ed era andato in congedo due anni<br />

avanti che il conte entrasse in servizio; secondariamente, poi,<br />

perché il cavallerizzo non aveva mai neppur prestato servizio in<br />

cavalleria, e aveva semplicemente, per quattr’anni, fatto parte,<br />

da modestissimo allievo ufficiale, del reggimento Bjelèvskij, di<br />

dove, non appena promosso al grado d’alfiere, era andato in<br />

congedo. Senonché, dieci anni fa, dopo aver ricevuto una certa<br />

eredità, s’era davvero recato a Lebedjàn, ci aveva scialacquato,<br />

in compagnia degli ufficiali addetti alla rimonta – settecento<br />

rubli, e s’era già fatto cucire un’uniforme da ulano con tanto di<br />

risvolti arancione, per poter entrare nel corpo degli ulani. Il<br />

desiderio d’entrare in cavalleria, e le tre settimane trascorse con<br />

quegli ufficiali là in Lebedjàn, gli erano rimasti nella mente<br />

come il più luminoso, più beato periodo della sua vita, per<br />

modo che quel desiderio era stato da lui tramutato dapprima in<br />

realtà, quindi in ricordo, e lui stesso, ormai, s’era ridotto a<br />

credere fermamente nel suo passato di cavallerizzo: ciò che non<br />

gl’impediva d’essere, per dolcezza di cuore e per onestà,<br />

veramente una degnissima persona.<br />

-Sì, chi non ha prestato servizio in cavalleria, non potrà mai<br />

comprenderci, noialtri! - Qui si sedette a cavallo della sedia, e,<br />

sporgendo la mascella inferiore, incominciò, in chiave di basso:<br />

— Cavalcavi, per esempio, alla testa dello squadrone; avevi,<br />

sotto, un demonio, non un cavallo: tutto scatti; ci stavi sopra,<br />

magari, così alla diavola. S’avvicina il comandante di squadrone


per la rivista. «Sottotenente (ti dice), per favore... se non vi ci<br />

mettete voi, non se ne fa niente... fate sfilar lo squadrone in<br />

ordine di cerimonia». Bene, perché no? E allora, lì, ci siamo: ti<br />

dài un’occhiata dietro, gridi il comando, nevvero?, a quei tuoi<br />

bravi baffoni... Ah, porco diavolo, quelli erano tempi!<br />

Fu di ritorno - tutto arrossato e coi capelli umidi - il conte<br />

dal bagno, e se ne andò diritto alla camera numero sette, dove<br />

già il cavallerizzo sedeva in vestaglia, con la pipa in bocca,<br />

intento a riflettere con voluttà, e con un’ombra di spavento, a<br />

questa beatitudine che gli capitava in sorte: dividere una<br />

medesima camera con il famoso Turbin. «Hm, che farei, — gli<br />

balenava alla mente, — se tutt’a un tratto pigliasse e mi<br />

spogliasse nudo, mi portasse alla barriera e mi piantasse fra la<br />

neve, oppure... mi spalmasse di catrame, о semplicemente... No,<br />

da buon compagno d’armi, non lo farà...» tranquillava se stesso.<br />

-Blücher va governato, Sàška! – diede voce il conte.<br />

S’affacciò Sàška, che per ristoro del viaggio aveva scolato un<br />

bicchiere d’acquavite, ed era brillo alquanto.<br />

-Non hai perduto tempo, eh? Ti sei ubriacato, canaglia!...<br />

Bada a governare Blücher.<br />

-Non c’è pericolo, no, che crepi: guarda qua, com’è liscio! —<br />

rispose Sàška, e allisciava il cane.<br />

-Via, poche chiacchiere! Cammina, governalo.<br />

-A voi, basta che il cane sia sazio: ma se un cristiano ha<br />

bevuto un bicchierino, subito lo rimproverate.<br />

-Ehi, ti picchio! — gridò il conte con tale una voce, che i<br />

vetri si misero a tremare alle finestre, e al cavallerizzo venne<br />

perfino un po’ di paura.<br />

-Vi foste neppur curato di chiedere se ha mangiato ancora<br />

nulla, oggi, il vostro Sàška... Eh sì, picchiatemi pure, se a voi un<br />

cane v’è più caro d’un uomo! — esclamò Sàška. Ma, a questo<br />

punto, ricevette un così tremendo colpo di pugno sul viso, che<br />

cadde a terra, batté con la testa contro il tramezzo, e, tenendosi<br />

il naso con la mano, saltò alla porta e andò a buttarsi sulla cassa<br />

lì in corridoio.


-M’ha sfracassato i denti, - mugolava Sàška, tergendosi con<br />

una mano il naso insanguinato, mentre con l’altra grattava la<br />

schiena a Blücher, che lo veniva leccando: — m’ha sfracassato i<br />

denti, caro Bljùška; ma pure è sempre il conte mio, e io, per lui,<br />

sono capace d’andar dentro al fuoco, ecco com’è! Perché lui è il<br />

conte mio, tu m’intendi, Bljùška? Ma di’: di mangiare, ne hai<br />

voglia?<br />

Rimasto ancora un po’ là coricato, si rizzò, governò il cane, e<br />

ormai quasi sfumata la sbornia, tornò di qua pronto ai vari<br />

servizi, proponendo al suo conte di prendere il tè.<br />

-Voi, addirittura, m’offendete, - stava dicendo timidamente<br />

il cavallerizzo, ritto in piedi di fronte al conte, il quale, coi piedi<br />

all’aria contro il tramezzo, se ne stava allungato sul letto di lui.<br />

– Anch’io, vedete, sono un vecchio militare, e vi son collega,<br />

potrei dire. Piuttosto che andar a fare un prestito da chissà chi,<br />

ci son io che molto volentieri sarei pronto a favorirvi duecento<br />

rubli. In questo momento io non li ho, ne ho soltanto cento: ma<br />

oggi stesso li procurerò. Voi m’offendete addirittura, conte!<br />

-Grazie, amico, - disse il conte, che di colpo aveva intuito<br />

quale genere di rapporti fosse destinato a stabilirsi fra loro, e<br />

con la mano tamburellava sulla spalla del cavallerizzo. - Grazie<br />

a voi! E allora, rechiamoci pure a questo ballo, se è così. Intanto,<br />

però, che cosa vogliamo fare? Raccontatemi un po’ che c’è di<br />

buono, in questa vostra città: le belle donne, chi sono? far<br />

baldoria, a chi piace? giuocatore, chi è?<br />

Il cavallerizzo spiegò che di belle donne ce ne sarebbe stato<br />

un subisso, là al ballo; che a far baldoria primeggiava fra tutti il<br />

capo della polizia, Kòlkov, di recente nominato, anche se in lui<br />

non c’era mica quell’impeto genuino, da ussaro, ma era così,<br />

semplicemente un bravo ragazzo; che il coro zigano d’Iljùška<br />

era qui dal principio dell’elezioni a cantare, che Stjòška 4 era la<br />

prima voce, e che stasera là da loro si sarebbero radunati tutti<br />

quanti, dopo il ricevimento dal maresciallo della nobiltà.<br />

4 [Vezzeggiativo di Stjepanida],


-E anche a carte si giuoca non c’è male, - veniva riferendo. –<br />

Lùchnov, un tale ch’è qui di passaggio, giuoca a danari e Ilín,<br />

che sta qui alla camera numero otto, un cornetta degli ulani,<br />

perde gran somme dal canto suo. Li da lui, hanno già<br />

incominciato. Non passa sera che non giuochino: e se vedeste<br />

che ragazzo eccellente (potete credermi, conte), è codesto Ilín!<br />

Non sa che cosa sia avarizia: darebbe via l’ultima camicia.<br />

-Dunque andiamo da lui. Vediamo un po’ di che gente si<br />

tratta, - esclamò il conte.<br />

-Andiamo, andiamo senz’altro! Loro ne saranno felicissimi.


II.<br />

Il cornetta degli ulani, Ilín, s’era da poco svegliato. Egli, il<br />

giorno innanzi, s’era seduto a giuocare alle otto della sera, e<br />

aveva continuato a perdere per quindici ore filate, fino alle<br />

undici del mattino. Aveva perduto qualcosa di grosso, ma<br />

quanto esattamente, non lo sapeva, giacché si trovava ad avere<br />

tremila rubli del suo e quindicimila del Governo, che già da<br />

gran tempo aveva mescolati coi suoi; e aveva paura a contarli,<br />

per non acquistar la sicurezza di ciò che presentiva: che ormai,<br />

anche di quelli del Governo, ne mancavano parecchi. S’era<br />

addormentato ch’era quasi mezzogiorno, e aveva dormito di<br />

quel greve sonno senza sogni, come si dorme soltanto quando<br />

si è molto giovani, e si è fatta una perdita molto forte.<br />

Svegliatosi аllе sei della sera, proprio all’ora che il conte Turbin<br />

arrivava all’albergo, e viste intorno a sé, H sul piancito, carte da<br />

giuoco e pezzi di gesso, e quei tavoli schiccherati in mezzo alla<br />

stanza, s’era risovvenuto con orrore del giuoco della vigilia, e di<br />

quell’ultima carta, quel fante che gli avevan soffiato per<br />

cinquecento rubli; ma, non credendo ancora in tutto e per tutto<br />

alla realtà, cavò fuori di sotto il guanciale il danaro, e si mise a<br />

contarlo. Riconobbe, allora, certi biglietti di banca, che con<br />

tanto di punte piegate 5 e di riporti, erano passati più volte da<br />

una mano all’altra, e si rammentò di tutto l’andamento del<br />

giuoco. I suoi tremila, non c’erano più; e, di quelli del Governo,<br />

ne mancavano già duemila e cinquecento.<br />

Erano quattro notti di seguito che l’ulano giuocava.<br />

Egli era partito da Mosca, con quella somma che gli era stata<br />

consegnata dai superiori. Qui a K., lo aveva trattenuto il capo<br />

della stazione di posta, col pretesto di non disporre di cavalli,<br />

5 [In segno del raddoppio della posta].


ma in realtà per un’intesa che da un pezzo aveva fatta con<br />

l’albergatore, di trattener per un giorno tutte le persone di<br />

passaggio. L’ulano, giovanissimo, allegro ragazzo, che or ora, a<br />

Mosca, aveva avuto dai genitori tremila rubli per le spese<br />

inerenti alla vita di reggimento, era stato contentissimo di<br />

fermarsi, così in tempo d’elezioni, nella città di K., e aveva<br />

sperato di spassarsela gloriosamente. C’era qui un proprietario<br />

di terre, con famiglia, che era suo conoscente: ed egli stava<br />

appunto per recarvisi, a far un po’ di corte alle figliuole, quando<br />

era spuntato fuori il cavallerizzo, che aveva fatto amicizia con<br />

lui, e che la stessa sera, senz’alcun pensiero di male, lo aveva<br />

presentato agli amici suoi, Lùchnov e altri giuocatori del<br />

genere, cosi in sala di soggiorno. Da quella sera, l’ulano s’era<br />

seduto al tavolo da giuoco, e non solo non s’era più recato dal<br />

proprietario di sua conoscenza, ma non domandava più nulla<br />

neppur dei cavalli, e già da quattro giorni non usciva di camera.<br />

Quando si fu vestito, ed ebbe preso il tè, s’accostò alla<br />

finestra. Fu preso da un desiderio di fare una passeggiata, per<br />

scacciar via gli ossessionanti ricordi di giuoco. Indossò la<br />

pelliccia e uscì in istrada. Il sole s’era già nascosto dietro le<br />

bianche case dai tetti rossi; già scendeva il crepuscolo. L’aria era<br />

tiepida. Per le vie fangose, cadeva calma, a fiocchi, un’umida<br />

neve. D’improvviso, un’intollerabile tristezza lo invase, al<br />

pensiero d’aver passato dormendo tutta questa giornata, che<br />

ormai volgeva alla fine.<br />

«Questa giornata, che ormai è scorsa via, non ritornerà più»,<br />

rifletté.<br />

«Ho rovinato la mia giovinezza!» disse a un tratto a se<br />

stesso, non perché effettivamente pensasse d’aver rovinato la<br />

sua giovinezza (egli, a questo, non ci pensava neppur da<br />

lontano), ma cosi, perché gli s’era affacciata questa frase alla<br />

mente.<br />

«E ora, che mi resta da fare? - pensò. - Chiedere un prestito a<br />

qualcuno, e partirmene...» Una signora delle tante venne a<br />

passare per il marciapiede. «Che oca, questa signora! - gli venne


detto fra sé. — Ma un prestito, non c’è nessuno a cui chiederlo.<br />

Ho rovinato la mia giovinezza». Era giunto dov’erano certi<br />

negozi. Un mercante, in pelliccia di volpe, stava ritto sulla porta<br />

di bottega e invitava ad accostarsi. «Se non avessi levato<br />

quell’otto, avrei riguadagnato tutto!» Una vecchia mendicante,<br />

intanto, piagnucolava venendogli dietro. «Un prestito, non c’è<br />

nessuno a cui chiederlo». Passò in carrozza un signore in<br />

pelliccia d’orso; una guardia municipale stava là su due piedi.<br />

«Che cosa si potrebbe fare, d’insolito? Sparar loro addosso? No,<br />

sarebbe stupido! Ho rovinato la mia giovinezza... Ah, che<br />

pettorali magnifici, tempestati di borchie, stanno appesi li!<br />

Ecco, sarebbe bello montare in troica. Ehi, su, palombelle!...<br />

Voglio andare a casa. Lùchnov tra poco verrà, ci metteremo a<br />

giuocare».<br />

Tornò a casa, e ancora una volta contò i danari. No, non s’era<br />

sbagliato, la prima volta: di nuovo, di quelli del Governo,<br />

risultarono mancanti duemilacinquecento rubli. «Ne punterò<br />

sulla prima 25, sulla seconda raddoppierò... sette volte la posta,<br />

quindici volte, trenta, sessanta... e saranno tremila. Comprerò<br />

quei pettorali, e partenza! Macché, non me lo permette, quel<br />

mascalzone! Ho rovinato la mia giovinezza...»<br />

Ecco che cosa s’andava svolgendo nella testa dell’ulano,<br />

mentre Lùchnov, realmente, entrava in camera sua.<br />

-Ebbene, è un pezzo che vi siete alzato, Michàjlo Vasìlič? –<br />

domandò Lùchnov, lentamente togliendosi dal naso ossuto gli<br />

occhiali d’oro, e accuratamente nettandoli col fazzoletto di seta<br />

rossa.<br />

-No, proprio adesso. Ho fatto un’eccellente dormita.<br />

-È arrivato un ussaro, non so chi sia: s’è sistemato in camera<br />

di Zavalšèvskij... non lo avete sentito?<br />

-No, non ho sentito nulla... Ma dite: non c’è ancora nessuno?<br />

-Sono passati, se non sbaglio, da Prjàchin. Or ora saranno<br />

qui.<br />

E infatti, di li a poco, entravano nella camera un ufficiale di<br />

guarnigione, inseparabile compagno di Lùchnov, un certo


mercante greco, con un enorme naso a becco di color cannella e<br />

due infossati occhi neri, un tarchiato, bolso proprietario di<br />

terre, fabbricante d’acquavite, il quale per intere nottate<br />

giuocava sempre a simples con una posta di mezzo rublo. Tutti<br />

quanti avevano gran voglia d’incominciare a giuocare; ma i più<br />

forti giuocatori non facevano parola di quest’argomento, e<br />

soprattutto Lùchnov badava a raccontare, con straordinaria<br />

placidità, i tiri della camorra a Mosca.<br />

-Figuratevi un po’, — diceva, — Mosca è città di primissimo<br />

rango, vera e propria metropoli... e di notte vanno in giro con<br />

bastoni uncinati, mascherati da diavoli, a spaventare il<br />

popolino, a grassare i passanti, e via! A cosa guarda, la polizia? È<br />

questo che non si riesce a comprendere.<br />

L’ulano stette a sentire con attenzione il racconto dei<br />

camorristi, ma verso la fine s’alzò, e ordinò a bassa voce che<br />

portassero le carte. Il tarchiato proprietario fu il primo a<br />

esprimere il proprio pensiero.<br />

-Perché, signori miei, star a perder cosi il tempo, ch’è oro? Se<br />

dobbiamo metterci all’opera, all’opera senz’altro!<br />

-Voi, però, a forza di mezzi rubletti, avete sprecato, ieri, tutta<br />

la serata: pare che ci troviate gusto, - disse il greco.<br />

-Sul serio, sarebbe ora, — esclamò l’ufficiale di guarnigione.<br />

Ilín diede un’occhiata a Lùchnov. Lùchnov continuava<br />

placidamente, fissandolo negli occhi, la storiella dei camorristi<br />

mascherati da diavoli coi raffi.<br />

-Lo tenete voi, il banco? – domandò l’ulano.<br />

-Non è troppo presto?<br />

-Bjèlov! – chiamò l’ulano, che qualcosa aveva fatto arrossire.<br />

– Portami da pranzo... io ancora non ho mangiato nulla,<br />

signori... porta dello champagne, e da’ qua le carte!<br />

In quel momento, fecero ingresso nella camera il conte e<br />

Zavalšèvskij. Venne a risultare che Turbin e Ilín erano della<br />

stessa divisione. Subito essi s’affiatarono insieme; urtando i<br />

calici, bevvero lo champagne; e in capo a cinque minuti, si<br />

davano già del tu. A quanto pareva, Ilín era riuscito molto


simpatico al conte. Continuava a sorridere, il conte,<br />

guardandolo fisso; e motteggiava sulla sua giovinezza.<br />

-Oh che giovinottone d’un ulano! — diceva. - E che baffoni,<br />

che baffoni!<br />

Ilìn, quel po’ di lanugine che aveva sul labbro, l’aveva per<br />

giunta completamente bianca.<br />

-Ma voi state per giuocare, se non sbaglio? — esclamò il<br />

conte. - Bene, a te auguro di vincere, Ilìn! Tu, credo, sarai un<br />

maestro! - soggiunse, sorridendo.<br />

-Già, questa gente smania di giuocare, — rispose Lùchnov,<br />

strappando una dozzina di carte. – E voi, conte, non ci degnate?<br />

-No, oggi non giuoco. Altrimenti, vi avrei tutti ridotti al<br />

verde. Quando incomincio a far orecchie alle carte, con me<br />

qualsiasi banco scricchiola! Mi manca il conquibus. Ho subito<br />

una perdita nel passare da Volocjòk, alla stazione di posta. M’è<br />

capitato, là, un ufficialuzzo di fanteria, un tale con tanto<br />

d’anelli, che di certo era un baro, e m’ha spennato fino<br />

all’ultimo centesimo.<br />

-Dunque ti ci sei fermato a lungo, a quella stazione di posta?<br />

— domandò Ilìn.<br />

-Ventiquattr’ore, ci son rimasto fermo. Me ne ricorderò<br />

sempre di quella stazione, maledetta! E anche quel<br />

capostazione non mi uscirà di mente.<br />

-О che t’ha fatto?<br />

-Arrivo lì, sai: salta fuori il capo, una grinta da birbante, da<br />

truffaldino: cavalli non ce n’è, mi dice... Ora, bisogna che te lo<br />

dica, io ho questa regola: quando «cavalli non ce n’è», non mi<br />

tolgo la pelliccia, mi dirigo alla stanza del capo (non a quella<br />

dell’ufficio, ma a quella dove abita), e ordino di spalancare tutte<br />

le porte e gli sportelli: sai, come ci fosse pericolo d’asfissia... Be’,<br />

anche lì faccio lo stesso. E i geli che ci sono stati il mese scorso,<br />

te ne ricorderai: si stava venti gradi sotto zero. Il capo ha<br />

provato a dir qualche cosa: allora io, una manata sui denti.<br />

Subito una vecchietta ch’era lì, e altre ragazzette e donne,<br />

alzarono un passerete di strilli, agguantarono le loro carabattole


e via, cercando di fuggirsene al villaggio... Io lesto alla porta<br />

d’uscita: datemi i cavalli, dico, altrimenti non vi lascio andare,<br />

vi faccio morir tutti assiderati!<br />

-Questa si ch’è una trovata eccellente! – esclamò quel<br />

proprietario bolso, sciogliendosi tutto dal ridere. – È il modo<br />

che s’adopra per far morire gelati gli scarafaggi!<br />

-Senonché, io non feci la guardia come si deve, uscii di fuori,<br />

e mi sgusciò via il capostazione con tutte quelle donne.<br />

Soltanto la vecchietta m’era restata lì in ostaggio, sopra la stufa:<br />

seguitava a starnutare e a biascicar preghiere. Poi si finì con<br />

l’intavolare delle trattative: il capo tornò e, da lontano, insisteva<br />

a esigere che liberassi la vecchia, mentre io, dal canto mio, gli<br />

aizzavo contro Blücher: li fa filar diritti a meraviglia i<br />

capistazione, il mio Blücher! Insomma, tanto fece, il<br />

mascalzone, che non mi diede i cavalli fino al mattino seguente.<br />

Ma ecco, proprio in quel punto, arrivare quell’ufficialettaccio di<br />

fanteria. Io passai nell’altra stanza, e ci mettemmo a giuocare.<br />

Lo avete visto, voi, Blücher?... Blücher!... passa qui!<br />

Irruppe dentro Blücher. I giuocatori, per condiscendenza, si<br />

dedicarono a osservarlo, sebbene fosse evidente che essi<br />

avevano voglia di dedicarsi a tutt’altra occupazione.<br />

-Ma perché dunque, signori miei, voi non giuocate? Purché<br />

non sia stato io a disturbarvi! Cosa volete, io sono un<br />

chiacchierone, — esclamò Turbin:<br />

-gingillarsi con le parole, è un lavoretto che costa poco!


III.<br />

Lùchnov si tirò accanto due candele, cavò fuori – ben gonfio<br />

di danari – un enorme portafoglio color cannella, poi<br />

lentamente, come se stesse celebrando un rito sacro, lo aprì<br />

sulla tavola, ne estrasse due biglietti da cento rubli, e li pose<br />

sotto le carte.<br />

-Allo stesso modo di iersera: il banco è di duecento, -<br />

esclamò, rassestandosi gli occhiali e dissuggellando il mazzo.<br />

-Va bene, - disse (senza guardarlo) Ilìn, mentre badava a<br />

conversare con Turbin.<br />

Il giuoco s’avviò. Lùchnov distribuiva le carte con la<br />

precisione duna macchina, tratto tratto soffermandosi e<br />

annotando con calma, о severamente fissando lo sguardo di<br />

sopra agli occhiali e dicendo con voce spenta: - Fate il vostro<br />

giuoco -. Il possidente massiccio alzava la voce più di tutti,<br />

pronunciando forte le varie congetture che faceva tra sé, e si<br />

insalivava le boffici dita, per piegar le punte alle carte.<br />

L’ufficiale di guarnigione, a bocca chiusa, segnava le carte con<br />

bella calligrafia, e sotto al tavolo ci veniva facendo delle<br />

orecchie piccine piccine. Il greco sedeva di fianco al croupier, e<br />

seguiva attento, con gl’infossati occhi neri, le vicende del<br />

giuoco, aspettando qualche cosa. Zavalšèvskij, ritto presso il<br />

tavolo, entrava d’improvviso in agitazione, si cavava di tasca ai<br />

calzoni alla zuava un biglietto di quelli rossi о di quelli<br />

turchini 6 , ci collocava sopra la carta, batteva più volte su questa<br />

col palmo, esortava: — Riesci a bene, sette mio! - si<br />

mordicchiava i baffi, si puntellava ora su un piede ora sull’altro,<br />

6 [Da dieci o da cinque rubli]


arrossiva e smaniava tutto fino a quando la carta non usciva.<br />

Ilín mangiava il lesso di vitello, con contorno di cetrioli, che si<br />

teneva posato accanto sul divano di crine, e, strofinandosi<br />

rapido le mani alla giacca, metteva in tavola una carta dopo<br />

l’altra. Turbin, che aveva cominciato col sedersi lì sul divano,<br />

s’era subito avveduto di come andavano le cose. Lùchnov non<br />

alzava mai gli occhi all’ulano, e non gli diceva parola; solo di<br />

rado i suoi occhiali, per un attimo, si dirigevano verso le mani<br />

dell’ulano: eppure, quasi ogni volta, le carte di quest’ultimo<br />

perdevano.<br />

-Ecco, mi bisognerebbe di battere quella carta li!<br />

-commentava Lùchnov, indicando la carta del grosso<br />

possidente, che non giuocava più di mezzo rublo.<br />

-Cercate di battere quelle d’Ilín: le mie, che valore hanno! –<br />

faceva notare il possidente.<br />

Ed effettivamente, le carte d’Ilín erano battute più spesso<br />

dell’altre. Nervosamente egli stracciava sotto la tavola la carta<br />

che aveva perduto, e con mani tremanti si faceva a sceglierne<br />

un’altra. Turbin, a questo punto, si rizzò su dal divano, e pregò<br />

il greco di lasciarlo sedere accanto al croupier. Il greco mutò di<br />

posto, e il conte, occupata la sedia di lui, senza distogliere un<br />

attimo gli occhi, cominciò a guardar fisso le mani di Lùchnov.<br />

-Ilín! - esclamò d’improvviso con la sua voce consueta, che,<br />

del tutto involontariamente, soffocava tutte le altre. - A che<br />

scopo tieni in serbo i fanti? Tu non sei capace di giuocare.<br />

-Eh, qui, comunque giuochi, va sempre lo stesso!<br />

-A codesto modo, perderai di sicuro. Lascia che provi io a<br />

puntare per te.<br />

-No, scusa, sai: sono avvezzo a far sempre da solo. Giuoca<br />

per conto tuo, se ti va.<br />

-Per conto mio, già l’ho detto, non son disposto a giuocare:<br />

ma per te, proprio m’andrebbe. Mi fa dispiacere, vederti perder<br />

così.<br />

-Eh, si vede ch’è destino!<br />

Il conte non insistette, e, appoggiandosi lì con tutt’e due i


gomiti, daccapo, con la stessa intensità, tornò a fissare le mani<br />

del croupier.<br />

-È una porcheria! – bruscamente proruppe, con voce sonora<br />

e cadenzata.<br />

Lùchnov gli girò un’occhiata.<br />

-È una porcheria, una porcheria bell’e buona! — proruppe<br />

ancora più forte, fissando apertamente Lùchnov negli occhi.<br />

Il giuoco non fu interrotto.<br />

-Così, non può andare! — tornò a dire Turbin, non appena<br />

Lùchnov ebbe battuto una grossa carta d’Ilìn.<br />

-Cosa c’è che non vi piace, conte? — cortesemente e con<br />

indifferenza domandò il croupier.<br />

-C’è che voi, a Ilìn, date un simple, e intanto piegate gli<br />

angoli. Ecco dov’è, la porcheria!<br />

Lùchnov fece, con le spalle e con le sopracciglia, un cenno<br />

che esprimeva il consiglio di arrendersi in tutto al destino: e<br />

continuò a giuocare.<br />

-Blücher! Passa qui! — chiamò il conte, alzandosi in piedi. –<br />

Fatti sotto! — soggiunse rapidamente.<br />

Blücher, dando un urtone con la groppa al divano, e per<br />

poco non facendo stramazzare l’ufficiale di guarnigione, balzò<br />

di là in fondo, accorse presso il padrone, e si mise a ringhiare,<br />

facendo la spola con gli occhi da uno all’altro e dimenando la<br />

coda, con l’aria di domandare: «Chi è, qui, che fa il prepotente?<br />

Eh?»<br />

Lùchnov depose le carte e, con la sedia, si scostò in là.<br />

-In questo modo non è possibile giuocare: io ho, per i cani,<br />

scarsissima simpatia. Che giuoco volete che si faccia, quando vi<br />

portano nella stanza un canile intero?<br />

-Specialmente, poi, questi cani qui: li chiamano sanguisughe,<br />

salvo errore! - incalzò l’ufficiale di guarnigione.<br />

-E allora, che si fa? vogliamo giuocare, Michàjlo Vasìlič, о<br />

no? - domandò Lùchnov al padron di casa.<br />

-Non ci disturbare, conte: ti prego! — Ilín si rivolse a Turbin.<br />

-Vieni di qua un minutino, - rispose Turbin, prendendo Ilín


per il braccio: e uscì con lui di fuori al tramezzo.<br />

Di là, si percepivano con perfetta chiarezza le parole del<br />

conte, il quale discorreva con la sua voce consueta. Ed era tale,<br />

questa sua voce, che lo si udiva sempre a tre camere di distanza.<br />

-Ma di’ un po’, sei impazzito, tu? Possibile che non t’accorgi<br />

che quel signore in occhiali è un baro di prima forza?<br />

-Via, basta! che stai dicendo!<br />

-Altro che basta: smettila tu, ti dico! A me non ne viene<br />

nulla. In un’occasione diversa, sarei stato il primo io a pelarti<br />

ben bene; ma chissà, sento come un rammarico, ora, a veder<br />

che ti rovini così. Eppoi, non hai forse, con te, danaro del<br />

Governo...?<br />

-No! О da che cosa hai potuto pensarlo?<br />

-Fratello, anch’io ci son corso, per questa strada, sicché tutte<br />

l’arti dei bari le conosco a menadito: ti ripeto che quel tale in<br />

occhiali, quello è un baro! Smettila, fa’ il favore. Te lo chiedo<br />

come a un compagno d’armi.<br />

-Be’, ecco: ancora un’alzata, una sola, e finisco.<br />

-So già che vuol dire, una sola; bah, ma stiamo un po’ a<br />

vedere.<br />

Rientrarono nella stanza. In una sola alzata, Ilìn puntò su<br />

tante carte, e tante gliene batterono, che ne riportò una perdita<br />

ingente.<br />

Turbin pose le mani nel mezzo del tavolo.<br />

-Via, basta! Andiamo al ballo.<br />

-No, ormai io non posso: lasciami stare, ti prego, -esclamò<br />

Ilìn contrariato, mischiando insieme le carte piegate, senza<br />

levar gli occhi in faccia a Turbin.<br />

-Ebbene, al diavolo, dunque! Perdi pure a colpo sicuro, se ci<br />

hai gusto: io, però, è tempo che vada. Zavalšèvskij, andiamo a<br />

trovare il maresciallo della nobiltà.<br />

E uscirono insieme.<br />

Tutti erano rimasti in silenzio; e Lùchnov non fece banco fin<br />

quando il suono dei loro passi, e dell’unghie di Blücher, non fu<br />

dileguato pel corridoio.


-Gran caposcarico! — esclamò il possidente ridendo.<br />

-Bah, adesso non ci disturberà più, - commentò<br />

frettolosamente, e ancora a bassa voce, l’ufficiale di<br />

guarnigione.<br />

E il giuoco ricominciò.


IV.<br />

I musicanti (ch’erano domestici del maresciallo della<br />

nobiltà), installati nel locale del buffet, sgomberato in occasione<br />

del ballo, avevano ormai — rimboccate le maniche delle<br />

giacche — attaccato a suonare, al segnale dato, l’antica<br />

polonaise Alessandro, Elisabetta, e al chiaro e mite lume delle<br />

candele di cera, per la gran sala dal piancito di legno, avevano<br />

preso a scivolar mollemente il governatore, generale del tempo<br />

di Caterina, con tanto di stella, sottobraccio alla magra<br />

marescialla, il maresciallo sottobraccio alla governatoressa, e<br />

via via tutte le autorità del governatorato in vari accoppiamenti<br />

e incroci, quando Zavalšèvskij in frac turchino dall’enorme<br />

colletto e con sboffi alle spalle, in polpe e scarpine,<br />

diffondendosi intorno un profumo d’essenza di gelsomino, di<br />

cui s’era abbondantemente spruzzati i baffi, i risvolti e il<br />

fazzoletto, e insieme con lui un bellissimo ussaro in attillati<br />

calzoni azzurri da cavallerizzo e giubba rossa ricamata d’oro, su<br />

cui stavano appese una croce di Vladimir e una medaglia<br />

dell’820, fecero il loro ingresso nella sala. Era, il conte, di<br />

statura non alta, ma di giusta, armoniosa complessione. Il<br />

chiaro celeste e la singolare lucentezza degli occhi, e i capelli<br />

piuttosto lunghi, che gli s’arricciolavano in fitti anelli d’un<br />

biondo cupo, davano alla sua bellezza un carattere non<br />

comune. La venuta del conte, qui al ballo, era attesa: quel bel<br />

giovanotto che lo aveva veduto all’albergo, ne aveva già messo a<br />

parte il maresciallo. E l’impressione, che l’annuncio aveva<br />

prodotta, era stata varia, ma, nell’insieme, non troppo<br />

favorevole. «Vedrai se non ci piglierà in giro, questo<br />

monellaccio!» era stato il pensiero delle vecchiotte e degli<br />

uomini. «Sarebbe bella che mi rapisse?» era stato, più о meno,<br />

il pensiero delle donne giovani e delle signorine.<br />

Non appena la polonaise fu finita, e le coppie si riverirono<br />

reciprocamente, tornando le donne a riunirsi alle donne e gli


uomini agli uomini, Zavalšèvskij, felice e orgoglioso, condusse il<br />

conte dalla padrona di casa. La marescialla, sentendo<br />

nell’intimo una certa trepidazione che quest’ussaro non avesse<br />

a combinarle, alla presenza di tutti, un qualche scandalo,<br />

superbamente e sprezzantemente si girò in qua, esclamò:<br />

-Felicissima, spero che danzerete, — e con diffidenza gli<br />

allungò in faccia un’occhiata, che voleva dire: «Se tu sei ancora<br />

capace di mancar di rispetto a una donna, dopo che t’ho accolto<br />

cosi, sei un perfetto vigliacco!»<br />

Ma ci pensò il conte a vincer ben presto tanta prevenzione<br />

con la sua amabilità, le sue attenzioni, l’aspetto simpaticissimo<br />

e giulivo: cosicché, di li a cinque minuti, il viso della marescialla<br />

diceva già, a tutti gli astanti: «So io come si trattano questi<br />

signori: egli ha capito subito con chi ha a che fare. Ed ecco,<br />

starà qui con me tutta la serata a fare il galante!» Senonché,<br />

proprio in quel punto, s’accostò al conte il governatore, il quale<br />

aveva conosciuto suo padre, e con grandissima benevolenza lo<br />

trasse in disparte con sé e ci si mise a conversare, cosa che<br />

tranquillò più che mai il pubblico del capoluogo di<br />

governatorato, ed elevò, nell’opinione di questo, il conte. Poi<br />

Zavalsèvskij lo condusse a far la conoscenza di sua sorella, una<br />

giovane, grassoccia vedovella, che fin da quando il conte era<br />

entrato, era rimasta appesa a lui coi suoi neri, grandissimi<br />

occhi. Il conte invitò la vedovella a ballare il valzer, che i<br />

musicanti stavano intonando in quel momento: e allora<br />

definitivamente, con l’arte che aveva di ballare, egli trionfò<br />

d’ogni prevenzione a suo riguardo.<br />

-Ma è un ballerino provetto! — diceva una massiccia<br />

possidente, intenta a quelle due gambe in calzoni azzurri da<br />

cavallerizzo, balenanti qua e là per la sala; e mentalmente<br />

scandiva: uno, due, tre; uno, due, tre... – Ah, veramente<br />

provetto!<br />

-Pare proprio che ricami, pare proprio che ricami! - diceva<br />

un’altra, pure dei dintorni, ch’era considerata poco fine nella<br />

società del capoluogo. — Come farà a non imbrogliarsi, con


quegli sproni! È fantastico: come si destreggia!<br />

Il conte oscurò, con la sua bravura, i tre migliori ballerini del<br />

governatorato: sia l’alto, biondissimo aiutante del governatore,<br />

che eccelleva per velocità nel danzare e per tener la dama assai<br />

stretta, sia l’ufficiale di cavalleria, che eccelleva per l’aggraziato<br />

dondolarsi nei valzer e pel frequente, ma lieve batter del tacco,<br />

e così pure il terzo, un funzionario di cui tutti dicevano che,<br />

benché non fosse un’aquila d’intelligenza, era però ballerino<br />

eminente e anima di tutti i ricevimenti danzanti.<br />

Effettivamente, questo funzionario, dal principio del ballo alla<br />

fine, trovò modo d’invitar tutte quante le dame, nell’ordine in<br />

cui sedevano, senza smettere di ballare neanche un minuto, e<br />

solo ogni tanto sostava un pochino per tergersi con un<br />

fazzolettino di batista, divenuto completamente molle, il viso<br />

estenuato, ma lieto. Il conte oscurò tutti costoro, e ballò con tre<br />

dame di rilievo: con una alta — ch’era ricca, bella e stupida; con<br />

una mezzana — ch’era magrolina, non troppo bella, ma<br />

elegantissima nel vestire; e con una bassina - che non era bella<br />

affatto, ma molto intelligente. E ballò anche con altre, con<br />

quante ce n’erano di carine: e, di carine, ce n’erano molte. Ma<br />

quella vedovella, sorella di Zavalšèvskij, più di tutte fini col<br />

piacere al conte: che, insieme con lei, ballò e la quadriglia, e<br />

l'écossaise, e la mazurca. Egli aveva cominciato col dirle, mentre<br />

si mettevano in figura nella quadriglia, un sacco di<br />

complimenti, paragonandola a Venere e a Diana, e poi a una<br />

pianta di rose, e poi ancora a non so qual altro fiore. A tutte<br />

queste galanterie, la vedovella si limitava a piegar appena il bel<br />

collo bianco, chinava gli occhiolini, guardandosi il bianco<br />

vestitino di mussolina, о si passava da una mano all’altra il<br />

ventaglio. Quando poi si faceva a dire: - Via, conte, voi state<br />

scherzando!<br />

-о altre cose del genere, la sua voce, un pochino di gola,<br />

vibrava d’un tale ingenuo candore e d’una tale ridicola<br />

stupidità, da venir per davvero in mente, guardandola, che<br />

questa non fosse mica una donna, ma un fiore, e non un fiore di


osa, ma chissà che selvaggio, bianco-rosato, lussureggiante<br />

fiore senza profumo, spuntato solitario da un vergine cumulo di<br />

neve in chissà quale lontanissima terra.<br />

Talmente strana era l’impressione prodotta sul conte da<br />

questa fusione di candore e di assenza d’ogni artificio con<br />

quella fresca bellezza, che a più riprese, negl’intervalli della<br />

conversazione, mentre in silenzio le guardava gli occhi о i<br />

bellissimi contorni delle braccia e del collo, fu assalito da un<br />

desiderio improvviso di pigliarsela fra le braccia e di<br />

tempestarla di baci, con tanta intensità da dover sul serio<br />

frenarsi. La vedovella osservava con piacere l’impressione che<br />

veniva producendo: ma qualcosa incominciava a turbarla e a<br />

spaventarla nelle maniere del conte, nonostante il fatto che il<br />

giovane ussaro conciliasse l’intraprendente galanteria con una<br />

rispettosità, che ai gusti d’oggi parrebbe smaccata. Correva, egli,<br />

a prenderle l’orzata, le raccattava il fazzoletto, strappava la<br />

sedia di mano a un giovane possidente scrofoloso, che aveva<br />

l’uzzo di farle anche lui il cavalier servente, per esser più lesto a<br />

offrirgliela: e via di questo passo.<br />

Accorgendosi che la galanteria mondana, propria dell’epoca,<br />

poco effetto sortiva sulla sua dama, egli si provò a farla ridere,<br />

raccontandole aneddoti divertenti; le assicurava che, se lei<br />

glielo avesse ordinato, era pronto subito subito a mettersi a<br />

gambe per aria, a far il verso del gallo, a saltar dalla finestra, о a<br />

tuffarsi in un pozzo tra il ghiaccio. La prova riuscì a perfezione:<br />

la vedovella si rallegrò tutta, e crosciava in risa trillanti,<br />

mostrando gli stupendi, bianchissimi dentini, soddisfatta ormai<br />

completamente del suo cavaliere. Al conte, d’altronde, di<br />

minuto in minuto essa piaceva di più, tanto che, sul finire della<br />

quadriglia, se ne era sinceramente innamorato.<br />

Quando, dopo la quadriglia, venne ad avvicinarsi alla<br />

vedovella il suo solito adoratore diciottenne, figliuolo<br />

senz’impiego d’un ricchissimo proprietario di terre (quel<br />

giovane scrofoloso, per l’appunto, a cui Turbin aveva strappato<br />

di mano la sedia), essa lo accolse con eccezionale freddezza,


senza tradire neanche la decima parte di quel turbamento, che<br />

la agitava di fronte al conte.<br />

-Ma bravo, - gli disse, e intanto teneva lo sguardo alla<br />

schiena di Turbin, e inconsciamente almanaccava quante<br />

spanne di cordoncino d’oro dovevano esserci volute per tutta<br />

quella divisa, - ma bravo davvero! M’avevate promesso di passar<br />

a prendermi per una scarrozzata, e di portarmi un po’ di<br />

bonbons...<br />

-E io ci son venuto, Anna Fjòdorovna: ma voi eravate già<br />

uscita, e i bonbons, della migliore qualità, ve li ho lasciati in<br />

casa, - diceva il giovanotto, che, a contrasto dell’alta statura,<br />

aveva una vocetta sottile sottile.<br />

-Voi trovate sempre delle scuse! Non ho bisogno, io, dei<br />

vostri bonbons. Fate il favore di non pensare...<br />

-Eh, vedo bene, Anna Fjòdorovna, quanto siete mutata con<br />

me, e ne so la ragione. Non è mica, però, una bella cosa... –<br />

soggiunse, ma evidentemente restò in tronco, a causa d’una<br />

violenta commozione interiore, che gli provocava un<br />

rapidissimo e strano tremito alle labbra.<br />

Anna Fjòdorovna, senza dargli ascolto, continuava a star con<br />

gli occhi dietro a Turbin.<br />

A questo punto, il maresciallo di cui erano ospiti – vecchio<br />

d’imponente grossezza, senza più denti – venne ad avvicinare il<br />

conte, e, presolo sottobraccio, lo invitò nel suo gabinetto a fare<br />

una fumata e a bere un sorso, se lo avesse gradito. Non appena<br />

Turbin si fu allontanato, Anna Fjòdorovna ebbe l’impressione<br />

che in questa sala non ci fosse più nulla da fare: e, prendendo<br />

sottobraccio un’anziana, risecchita signorina, amica sua, se<br />

n’andò con lei nella stanza di toilette.<br />

-Ebbene, com’è? simpatico? - domandò la signorina.<br />

-Si, ma tremendamente insistente, - rispose Anna<br />

Fjòdorovna, accostandosi allo specchio e guardando visi dentro.<br />

Il viso le s’irradiò tutto, gli occhi le risero, arrossì perfino: e<br />

improvvisamente, imitando certe danzatrici d’un balletto, che<br />

aveva visto in occasione di queste elezioni, fece una piroetta su


un piede solo, poi ruppe a ridere col suo riso ingoiato, ma<br />

grazioso, e spiccò addirittura un piccolo salto, con le ginocchia<br />

rattratte.<br />

-Che tipo! Mi ha chiesto un souvenir, - si rivolse all’amica. —<br />

Ma non otterrà un bel nu-u-ulla, — tirò in lungo, cantilenando,<br />

l’ultima parola, e alzò in aria un dito, nel guanto glacé che le<br />

arrivava al gomito...<br />

Nel gabinetto, dove intanto il maresciallo aveva condotto<br />

Turbin, facevano bella mostra acquaviti di varie specie, liquori<br />

dolci, ghiottumi e champagne. Tra il fumo del tabacco sedevano<br />

e passeggiavano alcuni dei nobili, chiacchierando delle elezioni.<br />

-Una volta che tutta quanta la distinta nobiltà del nostro<br />

distretto gli aveva fatto l’onore di eleggerlo, - diceva il neoquestore,<br />

già sensibilmente brillo, - egli non doveva mancare<br />

così di fronte a tutta la società, non doveva assolutamente...<br />

Il sopravvenire del conte interruppe la conversazione. Tutti<br />

s’alzarono a farne la conoscenza, e il questore, particolarmente,<br />

con tutt’e due le mani gli strinse a lungo la mano, e a più<br />

riprese lo pregò che non ricusasse d’andar con loro, dopo il<br />

ballo, in comitiva, a una trattoria nuova, dove egli aveva<br />

invitato i nobili, e dove gli zigani avrebbero cantato. Il conte<br />

promise d’esser presente a ogni costo, e svuotò con loro,<br />

intanto, parecchi calici di champagne.<br />

-Ma come mai voi non ballate, signori miei? – domandò, in<br />

procinto di lasciare la stanza.<br />

-Non siamo, noialtri, ballerini, — rispose il questore ridendo:<br />

- noialtri siamo propensi, piuttosto, al cicchetto, caro conte! Io<br />

però, certe volte, faccio anche conte, un giro d’écossaise... mi<br />

riesce benissimo, conte...<br />

-О dunque andiamo, adesso, a far un giro! — esclamò<br />

Turbin. - Un po’ di moto, prima d’andare dagli zigani.<br />

-Suvvia, andiamo, signori! Faremo divertire il padron di casa.<br />

E tre di quei nobili, che fin dal principio del ballo non avevan<br />

fatto che bere li nel gabinetto, affocati in faccia, calzarono i<br />

guanti, chi neri, chi di seta a maglia, e insieme col conte già


s’avviavano verso la sala, quando furono trattenuti dal giovane<br />

scrofoloso, che pallido come un cencio, a stento frenando le<br />

lacrime, s’appressò a Turbin.<br />

-Voi credete che, perché siete un conte, vi sia lecito urtar la<br />

gente come al mercato? — disse, traendo a fatica il respiro. —<br />

Siccome questa è maleducazione...<br />

Ancora una volta, quel ballonzolo delle labbra, più forte<br />

della sua volontà, gli fermò il torrente delle parole.<br />

-Cosa? – gridò Turbin, improvvisamente aggrottando gli<br />

occhi. – Cosa?... Ragazzino! — gridò, acchiappandolo per le<br />

braccia e stringendolo in modo, che al giovanotto il sangue<br />

montò in testa, non tanto dal disappunto, quanto dalla paura. –<br />

Dite su: avete voglia di fare un duello? In tal caso, eccomi ai<br />

vostri ordini.<br />

A malapena Turbin aveva lasciato quelle braccia, che aveva<br />

strette con tanta forza, e già due dei nobili avevano preso il<br />

giovane sotto le ascelle, e lo trascinavano verso la porta di<br />

servizio.<br />

-Ma che, siete impazzito? Avete bevuto, di certo! Or ora lo<br />

diciamo a papà. Cosa vi succede? - gli dicevano.<br />

-No, non ho bevuto: è lui che prende a spinte, e non chiede<br />

scusa! Quello è un maiale! Ecco chi è! – pigolava il giovanotto,<br />

sciogliendosi ormai tutto in lacrime.<br />

Non gli diedero retta, però, e lo portarono a casa.<br />

-Basta, basta, conte! - raccomandavano a Turbin, dal canto<br />

loro, il questore e Zavalšèvskij. - È un bambino, nevvero?<br />

Ancora lo picchiano, ha in tutto sedici anni! E cosa diavolo gli<br />

sia successo, non si riesce a capire. Che razza di mosca lo avrà<br />

pinzato? Eppure, suo padre è una persona cosi a modo, è uno<br />

dei candidati nostri...<br />

-Bah, vada al diavolo! Se non vuole...<br />

E il conte rientrò in sala, e con lo stesso identico brio di prima si<br />

mise a ballar l’écossaise con la graziosa vedovella, e di gran<br />

cuore rideva a osservare i pas eseguiti dai signori venuti con lui<br />

dal gabinetto; e sghignazzò sonoramente, da farne rimbombar


tutta la sala, quando il questore fece uno sdrucciolone,<br />

tonfando giù – quant’era lungo – nel bel mezzo dei danzanti.


V.<br />

Anna Fjòdorovna, nell’intervallo che il conte era stato<br />

assente, aveva avvicinato il fratello; e, ritenendo conveniente<br />

(sapeva lei perché) finger d’avere un mediocrissimo interesse<br />

per il conte, gli domandava:<br />

-Che ussaro è mai, quello che ha ballato con me? Spiegatemi<br />

un po’, fratello Il cavallerizzo spiegò alla sorellina, per quanto<br />

gli fu possibile, che specie di grand’uomo fosse codesto ussaro;<br />

e, di parola in parola, riferì che il conte s’era fermato in città<br />

soltanto pel fatto che in viaggio era stato derubato del danaro, e<br />

che lui stesso gli aveva dato cento rubli in prestito: ma questo<br />

non poteva bastare, e quindi, non avrebbe potuto la sorellina<br />

prestargli un altro paio di centinaia di rubli? Qui però<br />

Zavalšèvskij le aveva raccomandato di non farne assolutamente<br />

parola a nessuno, e tanto meno al conte.<br />

Anna Fjòdorovna aveva promesso di fargli avere il danaro<br />

stasera stessa, e di tener la cosa segreta; ma, chissà come,<br />

durante l'écossaise, fu assalita da una voglia tremenda di offrire<br />

lei stessa, al conte, quanto danaro gli bisognasse. Per un pezzo<br />

stette lì a tentar approcci e ad arrossire; e alla fine, forzandosi,<br />

affrontò così la questione:<br />

-Mio fratello m’ha detto che in viaggio, conte, voi avete<br />

avuto un incidente, e ora vi trovate senza danaro. Se ve ne<br />

occorresse, avreste difficoltà ad accettarne da me? Io ne sarei<br />

veramente felice.<br />

Ma, detto così, Anna Fjòdorovna, di soprassalto, si spaventò<br />

di qualche cosa e si fece rossa. Tutto il buonumore era<br />

istantaneamente scomparso dal viso del conte.<br />

-Vostro fratello è un idiota! — esclamò con bruschezza. –<br />

Voi sapete bene che, quando un uomo offende un uomo, ci si<br />

sfida a duello: ma, quand’è una donna che offende un uomo,<br />

allora che si fa? Lo sapete?<br />

Alla povera Anna Fjòdorovna s’era sparso il rossore fino al


collo e alle orecchie, dalla confusione. Teneva fissi gli occhi a<br />

terra, e non rispondeva.<br />

-La donna si bacia dinanzi a tutti, - disse piano il conte,<br />

curvandosi all’orecchio di lei. — A me permetterete, almeno, di<br />

dare un bacio alla vostra manina, - soggiunse, sempre così a<br />

bassa voce, dopo una lunga pausa di silenzio, impietosito dalla<br />

confusione della sua dama.<br />

-Ah, però, non adesso... — fu la risposta che Anna<br />

Fjòdorovna formulò, profondamente sospirando.<br />

-E allora, quando? Domattina presto io riparto... E questo è<br />

un debito, ormai, che voi avete con me.<br />

-Be’, allora vuol dire ch’è una cosa impossibile, — disse Anna<br />

Fjòdorovna, sorridendo.<br />

-Voi dovete permettermi, unicamente, di trovar l’occasione<br />

di vedervi stasera, in modo che io possa baciarvi la mano.<br />

L’occasione, la troverò io.<br />

-Ma come farete, dunque, a trovarla?<br />

-Questo non è affar vostro. Pur di vedervi, per me ogni cosa<br />

è possibile... Sicché, d’accordo?<br />

-D’accordo.<br />

L’écossaise ebbe termine; poi si continuò a ballare la<br />

mazurca, nella quale il conte fece prodigi, afferrando a volo i<br />

fazzoletti, puntellandosi su un solo ginocchio, facendo batter<br />

insieme gli sproni in un certo modo particolare, alla maniera di<br />

Varsavia, tanto che tutti i vecchi abbandonarono il boston per<br />

venir a guardare qua in sala, e l’ufficiale di cavalleria, ch’era il<br />

migliore dei ballerini, si riconobbe superato. Cenarono,<br />

ballarono ancora il grossfater, e infine incominciarono a<br />

ritirarsi. Il conte, nel frattempo, non staccava gli occhi un<br />

istante dalla vedovella. Non fingeva, egli, dicendo che per lei era<br />

pronto a tuffarsi in un pozzo tra il ghiaccio. Fosse capriccio,<br />

fosse amore, fosse ostinatezza, certo è che stasera tutte le sue<br />

energie spirituali erano ormai concentrate in un unico<br />

desiderio: veder lei, amar lei. Non appena s’avvide che Anna<br />

Fjòdorovna si faceva a congedarsi dalla padrona di casa, lui


corse via in anticamera, e di là, senza pelliccia, fuori all’aperto,<br />

verso il luogo dove sostavano le carrozze.<br />

-La vettura d’Anna Fjòdorovna Zàjtsova! – chiamò.<br />

Un’alta carrozza a quattro posti, coi fanali accesi, si mise in<br />

moto e s’avvicinò all’ingresso.<br />

-Ferma! - gridò lui al cocchiere, accorrendo, tra la neve fino<br />

ai ginocchi, verso la carrozza.<br />

-Che vi serve? — ribatte il cocchiere.<br />

-Mi serve di montare in carrozza, - rispose il conte, così in<br />

moto aprendo lo sportello e cercando di saltar dentro. - Ferma<br />

dunque, diavolo! Pezzo di cretino!<br />

-Vàska, ferma! — il cocchiere diede voce al postiglione, e<br />

arrestò i cavalli. — Ma che v’intrufolate a fare, voi, in una<br />

carrozza che non è la vostra? È della signora Anna Fjòdorovna,<br />

questa carrozza; non è mica la carrozza di vostra signoria.<br />

-Su, basta con le chiacchiere, ciabone! Eccoti mezzo rublo,<br />

ma smonta, e richiudi lo sportello, - disse il conte. E siccome il<br />

cocchiere non si moveva di pezzo, lui stesso tirò su il<br />

montatoio, e, aprendo il finestrino, riuscì a far chiudere, con<br />

una sbatacchiata, lo sportello.<br />

Nell’interno della carrozza, come in tutte le vecchie<br />

carrozze, specialmente se tappezzate di quei passamani gialli,<br />

c’era un tanfetto di mucido e di setole bruciacchiate. Le gambe<br />

del conte erano state fino al ginocchio nella neve sciolta, e<br />

s’erano tutte intirizzite nelle calzature sottili e nei calzoni da<br />

cavallerizzo; non solo, ma in tutte le membra lo veniva<br />

sopraffacendo il freddo invernale. Il cocchiere mugolava a<br />

cassetta e – salvo errore — si accingeva a calar giù. Ma non<br />

udiva nulla, il conte, e di nulla si accorgeva. La faccia gli andava<br />

a fuoco, il cuore gli martellava con violenza. Convulsamente<br />

s’era afferrato alla cinghia gialla, sporgendo il capo dal<br />

finestrino laterale, e tutta la sua vita s’era concentrata<br />

nell’attesa.<br />

Quest’attesa non fu di lunga durata. Là dall’ingresso risonò il<br />

richiamo: - Carrozza della signora Zàjtsova —; il cocchiere agitò


le redini, la cassa della carrozza ondeggiò sull’alte molle, le<br />

finestre illuminate della casa vennero a scorrere una dopo l’altra<br />

di fuori ai finestrini.<br />

-Bada che se tu, canaglia, dici al lacchè che io sto qui, -<br />

esclamò il conte, protendendosi al finestrino anteriore, verso il<br />

cocchiere, — ti gonfio di botte; ma se non dirai nulla, altri dieci<br />

rubli!<br />

Aveva appena fatto in tempo a riabbassare il finestrino, che<br />

la cassa della carrozza tornò, più forte che mai, a traballare, e la<br />

carrozza si fermò. Lui si rannicchiò in un angolo, sospese il<br />

respiro, contrasse perfino la faccia: tanto era il timore che, per<br />

un motivo о l’altro, non riuscisse a nulla la sua spasimante<br />

attesa. Lo sportello fu aperto, caddero giù uno dopo l’altro,<br />

rumorosamente, i gradini del montatoio, si sentì il fruscio d’un<br />

abito femminile, nello stantio della carrozza irruppe un<br />

profumo d’essenza di gelsomino, due rapidi piedini corsero su<br />

per il montatoio: e Anna Fjòdorovna, facendo ricadere il lembo<br />

della mantella aperta sulla gamba del conte, silenziosa, ma<br />

ansante, s’abbandonò sul sedile a fianco di lui.<br />

Si fosse avveduta di lui, oppure no, è una cosa che nessuno<br />

potrebbe dir con certezza, neanche la stessa Anna Fjòdorovna;<br />

ma, quando egli le prese la mano e le disse: — Be’, ormai la<br />

bacerò a onta di tutto, la vostra manina! - essa con molta grazia<br />

si mostrò spaventata, e non rispose nulla, ma gli concesse la<br />

mano, che egli tempestò di baci fin su, molto più in su del<br />

guanto. La carrozza si mosse.<br />

-Dimmi qualcosa, dunque. Non sarai mica inquieta? — le<br />

disse lui.<br />

Essa, in silenzio, si rannicchiò nel suo angolo; ma tutt’a un<br />

tratto, per qualche ragione, scoppiò in lacrime, e venne lei<br />

stessa ad abbandonarglisi col capo sul petto.


VI.<br />

Il neo-questore con la sua brigata, il cavallerizzo e gli altri<br />

nobili stavano già da un pezzo ad ascoltar gli zigani e a bere<br />

nella trattoria nuova, quando il conte, con una pelliccia d’orso<br />

coperta di panno turchino, che era appartenuta al defunto<br />

consorte di Anna Fjòdorovna, fece ritorno alla comitiva.<br />

-Oh, Eccellenza carissima! Ci sapeva proprio mill’anni! —<br />

esclamò un nero zigano dagli occhi loschi e dai denti che gli<br />

splendevano così scoperti, andandogli incontro fin nel vestibolo<br />

e precipitandosi a togliergli la pelliccia. – È da Lebedjàn, che vi<br />

dobbiamo rivedere! La nostra Stjòša è diventata tisica, per voi...<br />

Stjòša, una ben proporzionata, giovanissima zigana<br />

dall’incarnato d’un rosso mattone sul bronzeo del viso, con certi<br />

splendenti, profondi occhi neri ombreggiati da lunghe ciglia,<br />

s’affrettò anche lei a farglisi incontro.<br />

-Ah! conte bello! tesoruccio d’oro! guarda che felicità! —<br />

incominciò a dire, di traverso ai denti, con un sorriso lieto.<br />

Iljùška in persona gli venne incontro senza perder tempo,<br />

facendo finta d’esser contentissimo. E vecchie, donne,<br />

giovinette, tutte balzarono su dai loro posti e circondarono<br />

l’ospite. Chi si vantava d’essergli comare, chi fratello di croce 7 .<br />

A tutte le zigane giovani, Turbin dava giù baci sulle labbra; le<br />

vecchie e gli uomini, erano loro a dargli il bacio sulla spalla о<br />

sulla mano. I nobili si rallegrarono anch’essi vivamente<br />

dell’arrivo dell’ospite, tanto più che la baldoria, giunta ormai al<br />

suo apogeo, stava già sul raffreddarsi: ognuno incominciava a<br />

provare un senso di sazietà: e il vino, perduto l’effetto d’eccitare<br />

i nervi, non faceva più che aggravare lo stomaco. Ognuno aveva<br />

ormai sparato tutta la sua carica di brio, ed era stufo di guardar<br />

7 [Fratelli di croce si diveniva scambiando la croce di battesimo].


in faccia il compagno; tutte le canzoni erano state cantate e<br />

ricantate, e si mischiavano insieme nel cervello d’ognuno,<br />

lasciandovi un’impressione di frastuono e di dissolvimento.<br />

Qualunque cosa si tentasse ancora di fare, per quanto bizzarra<br />

ed estrosa, alla mente di tutti s’affacciava il pensiero che non<br />

avesse nulla di piacevole e di buffo. Il questore, coricato<br />

scompostamente per terra ai piedi d’una di quelle vecchie,<br />

annaspava con le gambe e gridava:<br />

-Sciampagna!... È arrivato il conte!... Sciampagna!... È<br />

arrivato!... Su, forza, sciampagna!... Una vasca voglio riempirne,<br />

di sciampagna, e voglio farci il bagno... Signori nobili! mi piace<br />

assai la distinta società dei nobili... Stjòška! cantami Lo<br />

stradello.<br />

Anche il cavallerizzo era in cimbali, ma in modo diverso. Se<br />

ne stava seduto sul divano, in un angolo, stretto stretto al fianco<br />

dell’alta, bella zigana Ljubàsa, e, sentendo che i fumi del vino gli<br />

annebbiavano gli occhi, batteva le palpebre, tentennava la testa,<br />

e a bassa voce, ripetendo sempre le medesime parole, cercava di<br />

persuader la zigana a fuggir con lui non so dove. Ljubàsa,<br />

sorridendo, stava a sentirlo, come se ciò che egli le diceva fosse<br />

molto divertente e, nello stesso tempo, un po’ malinconico;<br />

gettava ogni tanto un’occhiata al marito, il losco Sàška, ritto di<br />

fronte a lei alla spalliera d’una sedia; e, per tutta risposta alle<br />

dichiarazioni d’amore del cavallerizzo, gli si piegava all’orecchio<br />

e lo pregava di comperarle di nascosto (che le altre non lo<br />

sapessero) profumi e nastri.<br />

-Urrà! — gridò il cavallerizzo, all’entrare del conte.<br />

Il giovane bello, con aria meditabonda, misurava con passi<br />

volutamente sicuri, innanzi e indietro, la stanza, e canticchiava<br />

motivetti dalla Rivolta nel serraglio.<br />

Intanto, un vecchio padre di famiglia, trascinato qui dagli<br />

zigani dalle insistenti preghiere dei signori nobili, i quali gli<br />

avevano detto che, se non c’era lui, tutto andava a monte, ed<br />

era meglio non venirci affatto, rimaneva giù lungo su un<br />

divano, dove s’era gettato appena entrato, e nessuno gli badava


più che tanto. E un impiegato, capitato anche lui qui,<br />

sbarazzatosi del frac, s’era seduto coi piedi sul tavolo, s’era data<br />

una scaruffata ai capelli, e cosi s’ingegnava a dimostrare che<br />

stava facendo un’orgia in grande. All’entrare del conte, costui si<br />

sbottonò subito il collo della camicia, e spinse ancora più alte le<br />

gambe sul tavolo. In complesso, con la venuta del conte, la<br />

baldoria si ravvivò.<br />

Le zigane, che già avevano incominciato a girovagare qua e<br />

là per il locale, tornarono ad accomodarsi in circolo. Il conte si<br />

fece sedere Stjòša – la prima voce – sulle ginocchia, e ordinò che<br />

portassero dell’altro champagne.<br />

Allora Iljùška, con la chitarra, si piantò dinanzi alla prima<br />

voce, ed ebbe inizio la «danza», l’esecuzione cioè di canzoni<br />

zigane: «Me ne vado per la via», «Ohi voi, ussari...», «Ascolti,<br />

intendi...» e via dicendo, nell’ordine stabilito. Stjòška cantava<br />

magnificamente. La sua morbida, sonora voce di contralto, che<br />

le sgorgava proprio dal fondo del petto; i sorrisi che faceva tra il<br />

canto; il riso, la passione dei begli occhi, il piedino che le si<br />

moveva d’istinto a tempo con la canzone, e la sfrenatezza del<br />

grido che lanciava all’entrata del coro, eran tutte cose che<br />

toccavano l’anima su una corda squillante, ma rara a vibrare.<br />

Riusciva evidente che la ragazza viveva tutta, senza riserve,<br />

nella canzone che si trovava a cantare. Iljŭška, col sorriso, con<br />

la schiena, coi piedi, con tutto l’essere, esprimeva la sua<br />

adesione alla canzone, mentre la accompagnava con la chitarra:<br />

e, sospeso a lei con gli occhi, quasi che per la prima volta la<br />

canzone gli giungesse all’orecchio, a tempo con questa –<br />

intento, meditabondo – chinava e sollevava la testa. Poi<br />

d’improvviso egli si raddrizzava su all’ultima nota del canto, e,<br />

come se si sentisse al di sopra di tutti gli uomini di questo<br />

mondo, superbamente, decisamente sbalzava in alto con la<br />

gamba la chitarra, la faceva rotear su se stessa, trepestava coi<br />

tacchi, scrollava indietro i capelli, e — aggrottando il viso —<br />

abbracciava con un’occhiata il coro. Tutta la sua persona, dal<br />

collo ai calcagni, incominciava a danzare in ogni fibra... E venti


energiche, robuste voci, ciascuna delle quali cercava col<br />

massimo impegno di accordarsi con l’altre nel modo più strano<br />

e più originale, venivano a spandersi nell’atmosfera. Le vecchie<br />

sobbalzavano sulle sedie, agitando i fazzoletti e digrignando i<br />

denti, e lanciavano grida all’unisono e in cadenza, una più a<br />

squarciagola dell’altra. I bassi, piegando la testa di lato e<br />

inturgidendo il collo, rombavano, ritti alle spalliere delle sedie.<br />

Quando Stjòša prendeva gli acuti, Iljùška le accostava più<br />

vicino la chitarra, quasi in un desiderio di venirle in aiuto; e il<br />

giovane bello prorompeva, esultante, che ora venivano i<br />

bemolli.<br />

Allorché fu intonata una canzone di danza, e, con un fremito<br />

delle spalle e del petto, s’avanzò Dunjàša, compì un’evoluzione<br />

dinanzi al conte, e scivolò oltre, Turbin balzò in piedi, gettò via<br />

la giubba, e così in camicia rossa, com’era rimasto, bravamente<br />

entrò ad accompagnarla al momento preciso e con tempo<br />

perfetto, eseguendo coi piedi certi virtuosismi, che gli zigani,<br />

con sorrisi d’approvazione, si scambiavano occhiate l’un l’altro.<br />

Il questore, che s’era seduto alla turca, si picchiò col pugno<br />

contro il petto, e si mise a gridare: — Evviva! — Quindi,<br />

agguantato il conte per una gamba, incominciò a raccontargli<br />

ch’era venuto qui con duemila rubli, mentre adesso gliene<br />

restavano in tutto cinquecento, e che poteva, lui, far tutto ciò<br />

che gli andasse a genio, purché il conte glielo permettesse. Il<br />

vecchio padre di famiglia, svegliatosi, voleva ritirarsi: ma non lo<br />

lasciarono andare. Il giovane bello insisteva a pregare una<br />

zigana che ballasse un valzer con lui. Il cavallerizzo, smanioso<br />

di pavoneggiarsi della sua amicizia col conte, si levò dal suo<br />

angoletto e abbracciò Turbin.<br />

-Ah, tesoro mio! — gli disse. — Perché, però, ti sei<br />

allontanato da noi? Eh? — E mentre il conte restava in silenzio,<br />

pensando evidentemente ad altro: — Dove te ne sei andato?<br />

Ah, tu sei un birbante, conte mio: io lo so benissimo, dove te ne<br />

sei andato!<br />

A Turbin, per qualche ragione, dispiacque tanta familiarità.


Senza sorridere, posò in silenzio lo sguardo sul viso del<br />

cavallerizzo: e, tutt’a un tratto, gli lanciò a bruciapelo una così<br />

tremenda e grossolana bestemmia, che l’altro ne restò ferito, e<br />

per un pezzo stette lì senza sapere come dovesse prendere<br />

questa offesa: in ischerzo, о sul serio. Finalmente, decise in<br />

ischerzo: fece un sorriso, e se ne tornò dalla sua zigana,<br />

assicurandole che si sarebbe assolutamente sposato con lei<br />

dopo Pasqua. Fu intonata un’altra canzone, un’altra ancora;<br />

ancora una volta le zigane danzarono, poi magnificarono gli<br />

ospiti; e a tutti il trattenimento continuava a parer divertente.<br />

Lo champagne era inesauribile. E il conte, da parte sua, beveva<br />

molto. Gli occhi gli s’erano come soffusi d’un velo umido, ma<br />

egli non vacillava, danzava anzi meglio di prima, parlava con<br />

sicurezza, e univa addirittura anche lui, con ottimo effetto, la<br />

sua voce al coro, e fece bordone a Stjòša, quando questa cantò<br />

«D’amore il tenero affanno». Nel bel mezzo delle canzoni, il<br />

mercante che gestiva la trattoria venne a pregare i clienti di<br />

volersi ritirare, giacché erano ormai le tre del mattino.<br />

Subito il conte afferrò il mercante pel bavero, e gli ingiunse<br />

di ballare sui ginocchi rattratti. Il mercante si rifiutò. Il conte,<br />

allora, agguantò una bottiglia di champagne-, e, rivoltato il<br />

mercante con le gambe all’aria, ordinò che lo tenessero a quel<br />

modo, mentre lui, fra le risa generali, lentamente gli mesceva in<br />

gola tutta la bottiglia.<br />

Già chiariva il giorno. Tutti erano pallidi e sfiniti, ad<br />

eccezione del conte.<br />

-Ma adesso è tempo che parta per Mosca, - disse egli<br />

improvvisamente, alzandosi. - Venite tutti a casa mia, ragazzi.<br />

Fatemi l’accompagnamento... e piglieremo insieme il tè!<br />

Tutti acconsentirono, tranne il possidente che s’era<br />

addormentato, e che lì restò; s’accalcarono stretti stretti nelle<br />

tre slitte, che sostavano all’ingresso: e via verso l’albergo.


VII.<br />

-Attaccate i cavalli! — gridò il conte, entrando nella sala di<br />

soggiorno dell’albergo col suo codazzo d’invitati e di zigani. -<br />

Sàška! Non dico lo zigano Sàška, ma quello mio: di’ al capo della<br />

stazione di posta che lo pesto ben bene, se i cavalli non saranno<br />

in gamba. E portaci qua il tè! Zavalšèvskij, tu organizza il tè, e<br />

intanto io andrò da Ilín, voglio veder cosa fa, - soggiunse<br />

Turbìn: e, avviandosi al corridoio, si diresse alla stanza<br />

dell’ulano.<br />

Ilín aveva appena terminato di giuocare; e, avendo perduto<br />

tutto fino all’ultimo centesimo, stava a faccia sotto allungato sul<br />

divano di lacero crino, strappandosi uno dopo l’altro i capelli,<br />

mettendoseli in bocca, mordicchiandoli e risputandoli fuori.<br />

<strong>Due</strong> candele di sego - di cui una era bruciata ormai fino al<br />

bocciuolo - ritte sul tavolo da giuoco ingombro di carte,<br />

lottavano fiaccamente con la luce del mattino, che filtrava dalle<br />

finestre. Pensieri, nel cervello dell’ulano, non ce n’erano affatto:<br />

la spessa nebbia della passione del giuoco era venuta a stendersi<br />

su tutte le sue facoltà spirituali; neanche più rimorso c’era in<br />

lui. S’era provato a pensare, una volta, che cosa gli restasse a<br />

fare, come partire senza un centesimo in tasca, come pagare i<br />

quindicimila rubli che aveva perduti del danaro del Governo,<br />

che cosa avrebbe detto il comandante del reggimento, che cosa<br />

avrebbe detto sua madre, suoi colleghi: e tale era stato l’orrore,<br />

tale il disgusto di se stesso, che lo avevano sopraffatto, da<br />

doversi tirar su, in un bisogno di dimenticarsi, mettendosi a<br />

camminare per la stanza, attento soltanto a porre i piedi lungo<br />

le fessure tra le assi; ma di nuovo, mentre faceva così, aveva<br />

ricominciato a rievocarsi tutti i minimi particolari del giuoco<br />

appena trascorso: s’immaginava al vivo che ecco, stava<br />

prendendo la rivincita: scarta un nove, punta sul re di picche<br />

duemila rubli, a destra sta disposta una regina, a sinistra un<br />

asso, a destra il re di quadri - e tutto va a rovescio; ma se a


destra ci fosse un sei, e a sinistra il re di quadri, allora si<br />

rifarebbe completamente: tornerebbe a puntare tutto per la<br />

bella, e vincerebbe quindicimila rubli netti netti: allora si<br />

sarebbe comprato quel buon portante dal comandante del<br />

reggimento, un altro paio di cavalli, un phaéton... E poi che<br />

cosa, ancora? Sì, insomma sarebbe stato proprio un gran bel<br />

tiro.<br />

S’era di nuovo coricato sul divano, e aveva ricominciato a<br />

rosicchiarsi i capelli.<br />

«Come sarà che cantano delle canzoni, al numero sette? —<br />

rifletté. - Si vede che là da Turbin stanno facendo allegria. Non<br />

sarebbe male andarci, e fare una buona bevuta».<br />

In quel momento, entrò il conte.<br />

-Be’, sei rimasto al verde, eh fratello? - gridò.<br />

«Voglio far finta di dormire, — pensò Ilìn, — sennò mi tocca<br />

di discorrer con lui, mentre ormai ho sonno».<br />

Turbin, tuttavia, gli venne accosto, e gli accarezzò con la<br />

mano la testa.<br />

-Suvvia, amico mio: sei rimasto al verde? hai perduto? parla!<br />

Ilìn non rispondeva.<br />

Il conte lo tirò per un braccio.<br />

-Ho perduto. E a te, che importa? — borbottò Ilín con voce<br />

assonnata, fra indifferente e stizzosa, senza mutar positura.<br />

-Tutto quanto?<br />

-E sì! Ti pare un gran guaio? Tutto! Che importa, a te?<br />

-Ascolta, dimmi la verità, come a un tuo compagno d’armi,<br />

— esclamò il conte, che sotto l’effetto del vino bevuto era<br />

incline alla tenerezza, e continuava a carezzarlo sui capelli. –<br />

Sul serio, io mi ti sono affezionato. Dimmi la verità: se hai<br />

perduto roba del Governo, ci penso io a trarti d’impaccio; ma<br />

non c’è da perder tempo... Danaro del Governo, ne avevi?<br />

Ilìn saltò su dal divano.<br />

-Se tu vuoi proprio che te lo dica, ebbene, non parlare con<br />

me, perché... fammi il favore, non parlar con me... una<br />

pallottola in fronte, ecco quel che mi resta, e nient’altro! —


proruppe con schietta disperazione, sorreggendosi la testa fra le<br />

mani e sciogliendosi in lacrime, sebbene ancora un minuto fa,<br />

con la più gran calma, avesse il pensiero ai buoni portanti.<br />

-Eh, mi sembri una verginella! Via, son cose che capitano a<br />

tutti! Non è mica la fine del mondo: chissà che ancora non<br />

riusciamo a rimediarci. Aspettami un momento qui.<br />

E il conte uscì dalla stanza.<br />

-Dove sta Lùchnov, il possidente? - domandò al cameriere, lì<br />

nel corridoio.<br />

Il cameriere s’offrì a condurre il conte. Il conte, sebbene il<br />

servitore di Lùchnov facesse presente che il padrone era<br />

rientrato allora allora, e s’era svestito, entrò nella camera.<br />

Lùchnov, in vestaglia, stava là seduto al tavolino, intento a<br />

contare parecchi pacchi di banconote, che aveva disposti<br />

innanzi. Sul tavolino c’era una bottiglia di vino del Reno, che<br />

egli prediligeva: con la vincita che aveva avuto, s’era permesso<br />

questa voluttà. Freddamente, severamente, di sopra agli<br />

occhiali, con l’aria di non ravvisarlo, Lùchnov diede un’occhiata<br />

al conte.<br />

-Voi, a quanto pare, non mi ravvisate? — disse il conte, con<br />

passo risoluto avvicinandosi al tavolo.<br />

Lùchnov ravvisò il conte, e domandò:<br />

-Che cosa desiderate?<br />

-Vorrei giuocare un po’ con voi, - disse Turbin, e s’accomodò<br />

lì sul divano.<br />

-Adesso?<br />

-Già.<br />

-Un’altra volta, con mio gran piacere, conte! Ma adesso, io<br />

sono stanco, e ho intenzione di schiacciare un sonnellino. Non<br />

vi andrebbe un sorso di vino? È davvero un buon vinetto.<br />

-Ma io, adesso, vorrei fare una giuocatina.<br />

-Non ho intenzione di giuocar ancora. Forse, qualcuno di<br />

quegli altri signori ci si metterà, ma io, conte, non me la sento!<br />

Voi vorrete scusarmi, spero.<br />

-Sicché, non giuocate?


Lùchnov fece con le spalle un gesto che esprimeva<br />

rammarico per l’impossibilità, in cui era, di soddisfare il<br />

desiderio del conte.<br />

-Non giuocate a nessun costo?<br />

Quel medesimo gesto si ripetè.<br />

-Ma io ve ne prego vivamente... Su dunque, giuocherete?<br />

Nessuna risposta.<br />

-Giuocherete? – per la seconda volta domandò il conte. —<br />

Fate attenzione!<br />

Il medesimo silenzio di prima, e un rapido sguardo, di sopra<br />

agli occhiali, al corruccio che veniva affiorando sul viso del<br />

conte.<br />

-Giuocherete? — ad alta voce proruppe il conte, picchiando<br />

con la mano sul tavolo con tanta violenza, che la bottiglia di<br />

vino del Reno ribaltò, e il contenuto se ne sparse. — Sapete<br />

bene che avete vinto in modo poco pulito! Giuocherete? È la<br />

terza volta che ve lo domando.<br />

-Vi ho detto di no... Questo è davvero uno strano modo<br />

d’agire, conte! Ed è sconveniente, addirittura, incalzare cosi una<br />

persona col coltello alla gola! – ribatte Lùchnov, senz’alzare gli<br />

occhi.<br />

Segui, non troppo lungo, un intervallo di silenzio, durante il<br />

quale il viso del conte s’andava sempre più spallidendo.<br />

D’improvviso, un tremendo colpo in testa sbalordì Lùchnov.<br />

Egli cadde giù sul divano, tentando d’agguantare il danaro, e<br />

cacciò un grido cosi acuto e disperato, come non ci si sarebbe<br />

mai aspettati da una persona sempre tanto calma e ben<br />

composta. Turbin raccolse di sul tavolo tutto il danaro che c’era<br />

rimasto, respinse con un urtone il servitore, che faceva per<br />

accorrere in aiuto del padrone, e con rapidi passi usci dalla<br />

stanza.<br />

-Se volete soddisfazione, ai vostri ordini: mi tratterrò ancora<br />

nella mia stanza per una mezz’ora, - soggiunse il conte,<br />

tornando indietro, fin sulla porta di Lùchnov.<br />

-Teppista! Rapinatore! — si udì di là dentro. – Vi porterò


dinanzi al tribunale criminale!<br />

Ilìn intanto, che non aveva dato alcun peso alle promesse del<br />

conte di cavarlo d’impaccio, se ne stava sempre a quel modo<br />

coricato nella sua stanza sopra al divano, e un pianto disperato<br />

lo soffocava. La coscienza della realtà, che attraverso lo strano<br />

guazzabuglio di sentimenti, d’idee e di ricordi, traboccanti<br />

nell’intimo, gli era stata destata dall’affettuosità, dalla simpatia<br />

del conte, non lo aveva lasciato più. La giovinezza ricca di<br />

speranze, l’onore, la stima della società, i sogni d’amore e<br />

d’amicizia, tutto era perduto per sempre. La fonte delle lacrime<br />

incominciava a inaridire; un senso – troppo calmo – di<br />

disperazione s’impossessava sempre più a fondo di lui; e il<br />

pensiero del suicidio, senza ormai provocargli avversione né<br />

orrore, sempre più spesso veniva a fermar la sua mente.<br />

Quand’ecco risonare il passo sicuro del conte.<br />

Sul viso di Turbin erano ancora visibili le tracce dell’ira; le<br />

mani gli tremavano un pochino; ma dagli occhi raggiavano una<br />

lietezza buona e una soddisfazione di se stesso.<br />

-Te’! ho rivinto ogni cosa! — esclamò, gettando sul tavolo<br />

parecchi pacchi di banconote. - Conta su: sono tutti? E poi,<br />

lesto a venire in sala di soggiorno, ché or ora io parto, -<br />

soggiunse, come se non s’avvedesse neppure della profonda<br />

commozione, piena di gioia e di gratitudine, apparsa sul viso<br />

dell’ulano. E, fischiettando una canzone zigana, uscì dalla<br />

stanza.


VIII.<br />

Sàška, già avvoltolato stretto nella cintura, riferì che i cavalli<br />

eran pronti, ma chiese il permesso d’andar a prendere, prima, il<br />

mantello del conte, che secondo lui, a calcolarci il bavero,<br />

valeva trecento rubli, restituendo la miserabile pelliccia<br />

turchina a quel delinquente che l’aveva scambiata col mantello,<br />

là in casa del maresciallo. Turbin rispose però che non era il<br />

caso di ricercare il mantello, e s’avviò in camera sua a mutar<br />

vestito.<br />

Il cavallerizzo rompeva di continuo in colpi di singhiozzo,<br />

seduto in silenzio al fianco della sua zigana.<br />

Il questore chiedeva altra acquavite, e invitava tutti i signori<br />

lì presenti a recarsi subito a colazione in casa sua, promettendo<br />

che sua moglie in persona, senz’alcun dubbio, si sarebbe messa<br />

a danzar con le zigane.<br />

Il bel giovanotto, con aria profonda, andava spiegando a<br />

Iljùška come, sul pianoforte, si possa suonar con più anima, e<br />

come, sulla chitarra, i bemolli non si possano prendere. Il<br />

funzionario, mesto mesto, beveva il tè in un cantone, e si<br />

sarebbe detto che così, alla luce del giorno, sentisse vergogna<br />

del disordine che aveva fatto. Gli zigani discutevano fra loro<br />

nella loro lingua, e insistevano nel voler «magnificare» un’altra<br />

volta i clienti, al che Stjòša s’opponeva dicendo che il barorà)<br />

(in zigano, il conte о il principe, о più esattamente, un gran<br />

signore 8 ) si sarebbe arrabbiato. Insomma, in tutti, stava ormai<br />

per estinguersi l’estrema scintilla del bagordo.<br />

-Orsù: come addio, un’altra canzone, e poi mar se ognuno a<br />

casa sua! - esclamò il conte, fresco, allegro, più leggiadro che<br />

mai, cosi vestito da viaggio com’era entrato in sala.<br />

8 [In russo, bàrin].


Gli zigani tornarono a disporsi in circolo: e stavano proprio<br />

per attaccare a cantare, quando sopravvenne Ilìn con un pacco<br />

di banconote in mano, e chiamò in disparte il conte.<br />

-Io avevo, in tutto, quindicimila rubli del Governo, e invece<br />

tu me n’hai dati sedicimilatrecento, — gli disse; — ce n’è dei<br />

tuoi, si vede.<br />

-Ottima cosa! Da’ qua.<br />

Ilìn gli consegnò la differenza, timidamente guardando il<br />

conte; fece per aprir bocca, in un desiderio di dir qualche cosa;<br />

ma non seppe che arrossire, tanto che gliene spuntarono<br />

perfino le lacrime: poi afferrò al conte la mano, e si diede a<br />

stringergliela.<br />

-<strong>Lev</strong>ati di torno! Iljùška... ascoltami: eccoti del danaro;<br />

purché mi facciate l’accompagnamento, cantando, fino alla<br />

barriera! - E gli gettò là sulla chitarra quei milletrecento rubli,<br />

che Ilìn gli aveva riportati. Ma, al cavallerizzo, il conte si scordò<br />

senz’altro di restituire i cento rubli, che ne aveva presi in<br />

prestito iersera.<br />

Erano già le dieci del mattino. Il solicello s’era levato più alto<br />

dei tetti; per le strade c’era un andirivieni di gente; da un pezzo<br />

i mercanti avevano aperto bottega; possidenti e impiegati<br />

passavano in carrozza; le signore, a piedi, giravano per il bazar:<br />

quando l’orda degli zigani, il questore, il cavallerizzo, il bel<br />

giovanotto, Ilín e il conte - che aveva indosso la pelliccia d’orso<br />

turchina - uscirono sul pianerottolo dell’albergo. Era una<br />

giornata di sole e di disgelo. Tre troiche postali, coi cavalli che<br />

avevan le code legate a corto, e facevano schioccar con le zampe<br />

la liquida melmetta, vennero ad accostarsi alla scala, e tutta<br />

l’allegra compagnia s’accinse a sistemarcisi sopra. Il conte, Ilín,<br />

Stjòša, Iljùška e Sàška l’attendente, montarono sulla prima<br />

slitta. Blücher non stava più nella pelle, e, scodinzolando,<br />

abbaiava al cavallo di centro. Sulle altre due slitte<br />

s’accomodarono i rimanenti, comprese le zigane e gli zigani.<br />

Appena partite dall’albergo, le slitte s’allinearono insieme, e gli<br />

zigani intonarono una canzone in coro.


Fra canzoni e scampanellio di sonagliere, costringendo ad<br />

addossarsi ai marciapiedi quanti veicoli incontravano per via, le<br />

troiche percorsero tutta la città fino alla barriera.<br />

E non poco si meravigliarono bottegai e passanti - tanto<br />

quelli che non sapevano chi fossero, quanto soprattutto quelli<br />

che lo sapevano — a vedere quei nobili possidenti che<br />

scarrozzavano così in pieno giorno per le vie della città fra<br />

canzoni, donne zigane e zigani ubriachi.<br />

Quand’ebbero oltrepassato la barriera, le troiche si<br />

fermarono, e tutti si fecero ad accomiatarsi dal conte.<br />

Ilìn, che aveva bevuto piuttosto forte per l’addio, e che fin<br />

qui aveva sempre guidato di sua mano i cavalli, d’improvviso<br />

divenne tutt’afflitto, e si mise a persuadere il conte che<br />

rimanesse un’altra giornatina: ma quando si fu convinto che<br />

questa era una cosa impossibile, di punto in bianco, rompendo<br />

in lacrime, si slanciò a baciare il suo nuovo amico, e garantiva<br />

che, appena rientrato al reggimento, avrebbe chiesto d’esser<br />

trasferito negli ussari, in quel medesimo reggimento in cui<br />

prestava servizio Turbin. Il conte, dal canto suo, era pieno<br />

d’allegria: al cavallerizzo — che stamattina gli dava ormai<br />

definitivamente del tu -diede una spinta da farlo cadere in un<br />

mucchio di neve; al questore, gli aizzò contro Blücher; Stjòška,<br />

se la sollevò tra le braccia, e voleva portarsela a Mosca; e<br />

finalmente, saltato sulla slitta, si fece accomodare a fianco<br />

Blücher, il quale voleva sempre star ritto nel mezzo. Allora<br />

Sàška, dopo avere ancora una volta pregato il cavallerizzo di<br />

toglier da quelle mani il mantello del conte, e di spedirlo, saltò<br />

anche lui a cassetta. Il conte gli gridò: — Avanti! – sventolò il<br />

berretto alto sul capo, e, al modo dei vetturali, fece un fischio ai<br />

cavalli. E le troiche presero ognuna per la propria strada.<br />

Ben lontano, innanzi, si scopriva alla vista l’uniforme distesa<br />

nevosa, per la quale serpeggiava, giallastra di fango, la striscia<br />

della strada. Il sole vivido, svariando, riluceva sulla neve in<br />

dimoia, che aveva una diafana crosta di ghiaccio, e<br />

gradevolmente veniva a scaldare il viso e la schiena. Dai cavalli


sudati s’alzava a sbuffi il vapore. La sonagliera mandava il suo<br />

squillo .Un contadino che trasportava un carico su una piccola<br />

slitta sconquassata, s’affrettò, con una stratta alle redini di<br />

corda, a farsi da parte, diguazzando di corsa con le povere cioce<br />

inzuppate fra il disgelo della strada; mentre una massiccia,<br />

sanguigna contadina col figliuoletto in grembo, infilato nella<br />

pelliccia di pecora, se ne stava seduta su un secondo carico,<br />

stimolando con le estremità delle redini una brenna bianca<br />

dalla coda spelacchiata. Al conte, di soprassalto, si riaffacciò alla<br />

mente Anna Fjòdorovna.<br />

-Indietro! — diede voce.<br />

Il vetturale non capì sul momento.<br />

-Volta indietro! Torna in città! Alla svelta!<br />

La troica varcò di nuovo la barriera e, velocemente, rotolò fin<br />

sull’assito dinanzi alla casa della signora Zàjtsova. Rapido il<br />

conte corse su per la scala interna, s’inoltrò in anticamera, in<br />

salotto, e, trovata la vedovella che ancora dormiva, se la prese<br />

fra le braccia, la sollevò di sul letto, le posò un bacio sugli<br />

occhietti sonnolenti, e alla svelta corse via. Anna Fjòdorovna,<br />

tra veglia e sonno, non seppe che leccarsi le labbra, e<br />

domandare: — Che è successo? — Il conte era già saltato sulla<br />

slitta: diede voce al vetturale, e, senza fare altre soste, senza<br />

neanche ricordarsi più né di Lùchnov, né della vedovella, né di<br />

Stjòška, col pensiero rivolto unicamente a ciò che lo aspettava a<br />

Mosca, partì per sempre dalla città di K.


IX.<br />

Erano passati vent’anni. Molt’acqua era corsa sotto i ponti,<br />

dal tempo di quegli avvenimenti; molta gente era morta, molta<br />

ne era nata, molta se n’era fatta adulta e vecchia; e ancor più<br />

nascite e morti c’erano state nel mondo delle idee: molto di<br />

bello e molto di brutto, fra quanto era vecchio, era sparito,<br />

molto di bello, fra quanto era nuovo, s’era sviluppato, e molto,<br />

anzi molto di più — fra quanto era nuovo — incapace di<br />

sviluppo, mostruoso, aveva fatto la sua comparsa sotto il sole.<br />

Il conte Fjòdor Turbìn già da un pezzo era rimasto ucciso, in<br />

un duello con non so quale straniero, che aveva preso a frustate<br />

per la via; il figliuolo, che gli rassomigliava come si<br />

rassomigliano due gocce d’acqua, era ormai un magnifico<br />

giovane di ventitré anni, e prestava servizio nella cavalleria<br />

della guardia. Il giovane conte Turbìn, moralmente, non<br />

rassomigliava però affatto a suo padre. Non c’era in lui neppur<br />

l’ombra di quelle tempestose, passionali e - diciamo la verità —<br />

dissolute tendenze del secolo scorso. Insieme con l’ingegno,<br />

con l’istruzione e con l’ereditaria ricchezza della natura, un<br />

amore per le maniere educate e per le comodità della vita, una<br />

comprensione realistica degli uomini e delle circostanze,<br />

assennatezza e preveggenza, erano le doti che lo distinguevano.<br />

In quanto a carriera, il giovane conte andava a gonfie vele: a<br />

ventitré anni, era già sottotenente... All'aprirsi delle operazioni<br />

di guerra, egli aveva pensato subito che gli avrebbe giovato, per<br />

esser promosso di grado, fare il passaggio nell’armata operante:<br />

ed era passato a un reggimento d’ussari come capitano,<br />

ricevendo in breve - effettivamente — il comando d’uno<br />

squadrone.<br />

Nel maggio del 1848, il reggimento degli ussari di S. si<br />

trovava a traversare, in marcia verso il fronte, il governatorato<br />

di K., e per l’appunto quello squadrone, ch’era al comando del<br />

giovane conte Turbin, fu costretto a pernottare alla Moròzovka,


campagna di proprietà d’Anna Fjòdorovna. Anna Fjòdorovna<br />

era ancora viva, ma ormai così lontana dalla gioventù, che lei<br />

stessa non si considerava più giovane, cosa che vuol dir molto<br />

per una donna. S’era molto ingrossata, e questo — a quanto si<br />

dice - ringiovanisce le donne: ma, anche su quella bianca<br />

pienezza di carni, si tradivano fonde, flaccide grinze. Essa non<br />

si recava più in città, e stentava perfino a montare in carrozza;<br />

ma era sempre bonaria a quel modo, e sciocchina pur sempre,<br />

come si poteva dire francamente adesso, che non c’era più la<br />

seduzione della sua bellezza. Insieme con lei vivevano sua figlia<br />

Lìza, ventitreenne beltà russa di campagna, e il fratello, il<br />

cavallerizzo che noi ben conosciamo, il quale aveva ormai<br />

mandato in fumo, per troppa bonomia, tutto il suo piccolo<br />

avere, e s’era rifugiato, così in vecchiaia, presso Anna<br />

Fjòdorovna. I capelli, sulla sua testa, s’erano completamente<br />

incanutiti; il labbro superiore gli era calato giù: ma i baffi,<br />

sopra, erano accuratamente tinti in nero. Le grinze gli<br />

tempestavano non solo la fronte e le guance, ma anche il naso e<br />

il collo; la schiena gli s’era ingobbita; eppure, nelle deboli<br />

gambe incurvate, si ravvisavano le maniere dell’antico<br />

cavallerizzo.<br />

Nel piccolo salotto della vecchia villetta, che aveva aperte le<br />

finestre e la porta del balcone sul giardino di tigli all’antica,<br />

disposto a foggia di stella, stava raccolta tutta la famiglia e la<br />

gente di casa d’Anna Fjòdorovna. Anna Fjòdorovna, con la testa<br />

canuta in una cuffietta viola, seduta sul divano dinanzi a un<br />

tavolo rotondo di mogano, ci andava schierando le carte da<br />

giuoco. Il fratello, ch’era maggiore di lei, installato presso la<br />

finestra con certi pantaloncini bianchi ben lindi, e la redingote<br />

blu, badava a intrecciare intorno a un cornetto dei cordoncini<br />

di cotone grezzo, occupazione che gli era stata insegnata dalla<br />

nipote, e a cui lui s’era molto affezionato, giacché altro non<br />

poteva più fare, e per leggere il giornale (che sarebbe stata la<br />

sua occupazione preferita) gli occhi erano ormai troppo deboli.<br />

Pìmočka, ragazzetta di campagna che Anna Fjòdorovna aveva


presa sotto la sua protezione, stava là accanto a lui a imparar la<br />

lezione sotto la guida di Lìza, la quale faceva<br />

contemporaneamente, con gli uncinetti di legno, delle calze di<br />

lana di capra per lo zio. Gli ultimi raggi del sole al tramonto,<br />

come sempre avveniva a quest’ora, gettavano attraverso i tigli<br />

del viale, obliquamente, rotti bagliori sulla finestra da quella<br />

parte, e sull'étagère che ci stava accanto. Nel giardino e nella<br />

stanza il silenzio era così profondo, che si percepiva, di fuori<br />

alla finestra, il rapido frullar d’ali d’una rondine, о nella stanza<br />

un lieve sospiro d’Anna Fjòdorovna, о il vecchio che dava un<br />

gemito, ogni volta che accavallava una gamba sull’altra.<br />

-Come si debbono mettere? Lìzanka, fammi un po’ vedere. Io<br />

me ne scordo sempre, - esclamò Anna Fjòdorovna, che s’era<br />

impuntata nel disporre le carte del solitario.<br />

Lìza, senza cessar di lavorare, s’avvicinò alla madre e, data<br />

un’occhiata alle carte:<br />

-Ah, che confusione avete fatto, mammina mia bella! – disse,<br />

e mutava ordine alle carte. – Così, ecco, bisognava fare. Ma<br />

verrà fuori lo stesso come voi avevate in mente, — soggiunse, e<br />

senza farsene accorgere, aveva sottratto una carta.<br />

-Eh, tu ogni volta mi imbrogli! Dici sempre che è riuscito.<br />

-No, sul serio, vedrai che vien bene... È riuscito!<br />

-Hm, sì, sì, birichina! Ma non sarebbe tempo di prendere il<br />

tè?<br />

-Io ho già ordinato che scaldassero il samovar. Vado subito a<br />

vedere. Volete che ve lo servano di qua?... Su, lesta, Pìmočka, a<br />

finir di studiare, che poi andremo a fare un po’ di corse.<br />

E Lìza s’avviò a uscir dalla porta.<br />

-Lìzocka! Lìzanka! — intervenne lo zio, tutt’intento a<br />

scrutare il suo cornetto. – Daccapo, se non sbaglio, m’è sfuggita<br />

una maglia. Riprendimela tu, tesoro!<br />

-Subito, subito! Consegno lo zucchero da tritare, e torno.<br />

Ed effettivamente, di lì a non più che tre minuti, di corsa<br />

rientrava nella stanza, s’avvicinava allo zio, e lo prese per un<br />

orecchio.


-A voi, perché non vi lasciate più sfuggir le maglie! —<br />

esclamò, ridendo. — E non avete neppure eseguito quanto vi<br />

avevo dato per compito!<br />

-Via, basta, basta: rimediaci un po’, c’era qualche nodino, si<br />

vede!<br />

Lìza tolse su il cornetto; si sfilò la spilla dal fisciù, che così<br />

libero le si aprì un pochino alla brezza della finestra: e alla<br />

meglio, con la spilla, agganciò la maglia, la trasse due volte, e<br />

ridiede il cornetto allo zio.<br />

-Ebbene, datemi un bacio ora in compenso, — esclamò,<br />

porgendogli la gota accerita, e riappuntandosi il fisciù. — Ve lo<br />

daremo col rum, oggi, il tè. Oggi, come sapete, è venerdì.<br />

E di nuovo era andata di là, nella stanza pel tè.<br />

-Oh, zietto: venite a guardare: ecco gli ussari che arrivano da<br />

noi! — risonò, di là dentro, una vocina squillante.<br />

Anna Fjòdorovna e suo fratello passarono insieme nella<br />

stanza pel tè – di dove le finestre rispondevano sul villaggio – a<br />

vedere un po’ questi ussari. Qui dalla finestra si scorgeva ben<br />

poco: si distingueva soltanto, fra il polverone, una moltitudine<br />

in movimento.<br />

-Gran peccato però, sorellina mia, - commentò lo zio, rivolto<br />

ad Anna Fjòdorovna, - gran peccato che si stia così stretti, e che<br />

il padiglione non sia ancora terminato: avremmo potuto offrire<br />

ospitalità agli ufficiali. Gli ufficiali degli ussari, non è vero?, son<br />

tutti giovani così in gamba, così perbene, così allegroni: mi<br />

sarebbe piaciuto rivederli, almeno.<br />

-Cosa vuoi, anch’io ne sarei stata felicissima; ma siete voi il<br />

primo a saperlo, fratello caro, che posto non ce n’è mica: la<br />

camera mia da letto, la stanza di Lìza, il salotto, ed ecco, questa<br />

cameretta vostra, sono tutto quello che abbiamo. Dove si<br />

potrebbe, in questa casa, sistemar costoro, giudicatene voi<br />

stesso. Per loro ci ha pensato Michàjlo Matvjèjev a sgomberare<br />

l’isba del sindaco: dice che anche là sia ben pulito.<br />

-E pensare che per te, Lìzocka, avremmo scelto fra loro un<br />

fidanzato, un magnifico ussaro! — esclamò lo zio.


-No, io non lo voglio un ussaro; io voglio un ulano: negli<br />

ulani, infatti, voi avete prestato servizio, non è vero, zio?... Ma<br />

di costoro non voglio saperne. Son tutte teste sventate, ho<br />

sentito dire.<br />

E Lìza era un pochino arrossita, ma rise di nuovo col suo riso<br />

squillante.<br />

-Giusto, ecco Ùstjuška che viene di corsa: bisogna<br />

domandare a lei che cosa ha visto, — soggiunse.<br />

Anna Fjòdorovna fece chiamare Ùstjuška.<br />

-Non potete star ferme, eh, intorno al vostro lavoro? C’era<br />

proprio bisogno di correre a guardare i soldati! – le disse Anna<br />

Fjòdorovna. — Ebbene, di’ dunque: dove si sono sistemati gli<br />

ufficiali?<br />

-Dagli Jerjòmkin, padrona. Ce ne stanno due, certi bei<br />

giovanotti... uno è un conte, stavano a dire.<br />

-E di cognome, come fa?<br />

-Non so se Kazàrov; о Turbìnov... non m’è rimasto in mente,<br />

abbiate pazienza.<br />

-Guarda che stupida: non sa proprio ridirti un bel nulla.<br />

Almeno ti fossi informata come fa di cognome!<br />

-Vuol dire che ci fo subito una scappata.<br />

-Eh, lo so già, che per questo sei maestra! No, che ci vada<br />

Danilo: dite a lui, fratello caro, che vada là e domandi se non<br />

occorre nulla a quegli ufficiali; bisogna che tutto sia fatto con<br />

cortesia, in modo da far intendere ch’è la padrona che ha<br />

mandato a chiederlo.<br />

I vecchi tornarono a sedere nella stanza pel tè, e Lìza andò<br />

nel locale delle cameriere a mettere nel recipiente lo zucchero<br />

tritato. Ùstjuška, là, stava raccontando degli ussari.<br />

-Signorina mia bella, se vedeste che giovanotto, quel conte!<br />

— disse la ragazza. — Proprio un cherubino, con certe ciglia<br />

more... Vi ci vorrebbe un fidanzato come quello: così, almeno,<br />

fareste davvero una bella coppietta.<br />

Le altre cameriere approvarono con un sorriso; la vecchia<br />

governante, seduta presso la finestra a far la calza, emise un


sospiro e continuò – mentre pure faceva provvista di fiato – a<br />

recitare una sua preghiera.<br />

-Senti un po’ come ti son piaciuti, questi ussari!<br />

-esclamò Lìza. — Ma già tu sei maestra, a raccontare<br />

frottole. Porta di là, per favore, quel succo di frutta, Ùstjuška:<br />

bisogna dissetarli, gli ussari, con qualcosa d’agretto.<br />

E Lìza, ridendo, uscì con la zuccheriera dalla stanza.<br />

«Mi piacerebbe vederlo, però, che tipo d’ussaro sarà, —<br />

pensava tra sé, — un brunetto о un biondino? E anche lui<br />

sarebbe felicissimo, credo, di far conoscenza con noi. Invece<br />

ripartirà, e non avrà neppur saputo che qua c’ero io, e che<br />

pensavo a lui. E già quanti, così, me ne sono passati vicino,<br />

senz’accorgersene! Non c’è nessuno che mi veda, tranne lo zio e<br />

Ùstjuška. In qualunque modo io mi pettini, qualsiasi foggia di<br />

maniche adotti, nessuno mi può ammirare, -rifletté con un<br />

sospiro, guardandosi la mano bianca e pienotta. – Dev’essere<br />

alto di statura, costui; gli occhi grandi; dei piccoli baffetti neri...<br />

No, ecco che ormai ventidue anni mi son corsi via, e nessuno s’è<br />

innamorato di me, eccetto quel butterato d’Ivàn Ipàtyč; e,<br />

quattr’anni fa, io ero ancora più bella: dunque cosi,<br />

insipidamente, è già passata la mia gioventù di ragazza! Ah, non<br />

sono che una disgraziata, disgraziatissima signorina di<br />

campagna!»<br />

La voce della madre, che la chiamava a mescere il tè, ridestò<br />

la signorina di campagna da quella momentanea meditazione.<br />

Scrollò la testolina, ed entrò nella stanza pel tè.<br />

Le cose migliori riescono sempre quelle fatte senza pensarci; e,<br />

viceversa, quanto più ti ci affanni, tanto peggio riescono. In<br />

campagna, ben di rado ci si affanna intorno all’educazione da<br />

dare: e perciò, senza pensarci, si dà per lo più un’educazione<br />

eccellente. Così era avvenuto, in modo particolare, nel caso di<br />

Lìza. Anna Fjòdorovna, data la sua mente ristretta e l’indole<br />

spensierata, non aveva dato nessuna educazione a Lìza: non le<br />

aveva fatto imparar né la musica, né quella tanto utile lingua


francese; aveva, senza pensarci, messo al mondo (dal defunto<br />

marito) una robusta, graziosa bimbetta, la aveva affidata alla<br />

balia e alla governante, aveva badato a nutrirla, le aveva fatto<br />

indossare abitucci d’indiana e scarpette di pelle di capra, la<br />

aveva mandata a far passeggiate e a raccoglier funghi e bacche,<br />

le aveva preso un seminarista in casa per iniziarla alle lettere e<br />

alla matematica, e così, senza pensarci, in termine di sedici<br />

anni, aveva visto spuntarsi accanto, in Lìza, una compagna della<br />

vita, un’anima benevola e sempre allegra, e un’abile massaia per<br />

le faccende di casa. Non mancava mai presso Anna Fjòdorovna,<br />

col buon cuore che aveva, qualche ragazza che essa prendeva<br />

sotto la sua protezione, о tra le figlie dei dipendenti, о fra le<br />

trovatelle. Fin da quando aveva dieci anni, Lìza aveva<br />

incominciato a curarsi di loro: a istruirle, a vestirle, a condurle<br />

in chiesa, a moderarle quando si sfrenavano troppo. Poi era<br />

apparso all’orizzonte quel decrepito buon uomo dello zio, a cui<br />

bisognava accudire come a un bambino. Poi c’erano stati<br />

domestici e contadini, che venivano a rivolgersi alla giovane<br />

signorina con qualche supplica, о per qualche infermità, che lei<br />

curava a forza di sambuco, menta e spirito canforato. Poi<br />

l’azienda domestica, che insensibilmente era passata tutta nelle<br />

mani di lei. Poi l’insoddisfatta esigenza di amore, che trovava<br />

sfogo soltanto nella natura e nella religione. E da Lìza era<br />

venuta fuori, così, senza che nessuno ci pensasse, una donna<br />

attiva, piena di bonaria lietezza, indipendente, pura e<br />

profondamente religiosa. Certo, v’erano pure le piccole<br />

sofferenze di vanità alla vista delle vicine coi cappellini di moda,<br />

comperati a K., quando le stavano a fianco in chiesa; v’erano le<br />

contrarietà da piangere con la vecchia madre borbottona, per i<br />

suoi capricci; v’erano, anche, le fantasticherie amorose nelle<br />

forme più insulse e magari grossolane; ma l’utile attività


quotidiana, divenuta ormai una necessità, valeva a dissiparle, e,<br />

in ventidue anni, non una macchia, non un rimorso erano<br />

venuti a intaccare la calma, luminosa anima della ragazza in<br />

sviluppo, riboccante di bellezza fisica e morale. Era, Lìza, di<br />

media statura, piuttosto piena che scarna; aveva gli occhi<br />

castani, non grandi, con una lieve ombratura sulla palpebra<br />

inferiore; lunga e bionda la treccia. La sua camminata era sciolta<br />

e non priva d’abbandono (da ochetta, come si dice).<br />

L’espressione del suo viso, quand’era in faccende e nulla di<br />

particolare la agitava, diceva senz’altro, a chiunque la<br />

osservasse: è bello e lieto vivere a questo mondo, per chi ha<br />

qualcuno da amare e la coscienza pulita. E perfino in quei<br />

minuti di contrarietà, di turbamento, di affanno о di tristezza,<br />

attraverso le lacrime, attraverso il sottile sopracciglio sinistro<br />

aggrottato, attraverso le labbra serrate, si vedeva senz’altro<br />

risplendere, quasi a dispetto della sua volontà, dalle fossette<br />

delle gote, agli angoli delle labbra, nei begli occhi lucenti,<br />

avvezzi a sorridere e a gioire della vita, si vedeva senz’altro<br />

risplendere un cuore non guasto dal ragionamento, buono e<br />

diritto.


X.<br />

C’era ancora gran caldo nell’aria, sebbene il sole stesse ormai<br />

tramontando, mentre lo squadrone faceva il suo ingresso nella<br />

tenuta di Moròzovka. Innanzi innanzi, per la polverosa strada<br />

del villaggio, rigirandosi a sbirciare indietro e con un muglio<br />

sostando ogni tanto, andava fuggendo una vacca pezzata<br />

staccatasi dal branco, senza riuscire in alcun modo a indovinare<br />

che doveva, semplicemente, svoltar di lato. Vecchi, donne e<br />

bambini dei contadini, e dipendenti della casa padronale,<br />

guardavano avidi gli ussari, accalcandosi di qua e di là della<br />

strada. In un fitto nuvolone di polvere, sui loro cavalli morelli<br />

che avevano il morso alla bocca, e davano tratto tratto uno<br />

sbruffo, s’inoltravano trepestando gli ussari. Sul fianco destro<br />

dello squadrone, seduti negligentemente su due bei morelli,<br />

cavalcavano due ufficiali. Uno era il comandante, conte Turbin;<br />

l’altro – giovanissimo, di recente promosso da allievo ufficiale<br />

— un certo Pòlozov.<br />

Dalla migliore delle isbe era uscito un ussaro in divisa bianca<br />

d’estate, e, togliendosi il berretto, venne incontro agli ufficiali.<br />

-Dov’è l’alloggiamento preparato per noialtri? — gli<br />

domandò il conte.<br />

-Per Vostra Eccellenza? – rispose l’addetto agli<br />

alloggiamenti, con un sussulto di tutta la persona.<br />

Qui, dal sindaco: vi ha sgomberato l’isba. Avevo provato a<br />

chiedere in casa dei padroni, ma m’hanno detto che non c’è<br />

posto. La proprietaria di qui è una di quelle vipere...<br />

-Bene, non fa niente, - disse il conte, smontando e<br />

sgranchendo le gambe lì dinanzi all’isba del sindaco. — E di’: il<br />

calesse mio è arrivato?


-S’è degnato 9 di arrivare, Eccellenza! — rispose l’addetto agli<br />

alloggiamenti, indicando col berretto il calesse ricoperto di<br />

cuoio, che s’intravedeva dal cancello, e precipitandosi innanzi<br />

nel locale d’entrata dell’isba, affollato dalla famiglia dei<br />

contadini radunati a guardar gli ufficiali. Una vecchietta, anzi,<br />

fu da lui, pari pari, gettata per terra, nell’aprir vivamente la<br />

porta che metteva nella stanza sgombrata, e nel cedere il passo<br />

al conte.<br />

La stanza era abbastanza grande e spaziosa, ma non<br />

perfettamente pulita. Il servitore tedesco del conte, vestito<br />

come un signore, s’era già installato là dentro, e, piazzato il<br />

lettuccio di ferro e rifattolo, andava tirando fuori della<br />

biancheria dal baule.<br />

-Puah! Che porcheria d’alloggiamento! — esclamò il conte,<br />

con disappunto. – Dadino! Che proprio non fosse possibile<br />

trovar qualcosa di meglio dai proprietari, in qualunque posto?<br />

-Se Vostra Eccellenza me lo comanda, io posso andare alla<br />

casa padronale, — rispose Djadènko, — ma è una casupola che<br />

non promette nulla di buono, non ha l’aspetto migliore<br />

d’un’isba.<br />

-Ormai, non serve più. Va’ pure.<br />

E il conte si coricò sul letto, ripiegando le braccia dietro la<br />

testa.<br />

-Johann! — diede voce al cameriere. — Di nuovo mi ci hai<br />

fatto una montagnola nel mezzo! Come mai non riesci a far il<br />

letto perbene?<br />

Johann accennò ad accomodare meglio.<br />

-No, non serve più, ormai... E la vestaglia, dov’è? – riprese<br />

con tono scontento.<br />

Il servitore gli portò la vestaglia.<br />

9 [Trattandosi di un oggetto del conte, il subalterno adopera la circonlocuzione<br />

ossequiosa che i servi applicavano alle azioni dei padroni].


Il conte, prima di infilarsela addosso, diede un’occhiata al<br />

piancito.<br />

-Non c’è che dire: ci hai lasciato tutte le macchie. Insomma,<br />

peggio di te, non so come si possano sbrigare i servizi! —<br />

commentò, strappandogli di mano la vestaglia e indossandola. -<br />

Ma tu, di’ un po’, lo fai apposta?... È pronto il tè?...<br />

-Non ho potuto far in tempo, — rispondeva Johann.<br />

-Imbecille!<br />

Dopo di che, il conte tolse su – già preparato lì – un<br />

romanzo francese, e per un buon tratto di tempo, in silenzio, lo<br />

lesse; mentre Johann era uscito nel locale d’ingresso ad<br />

accendere il samovar. Era chiaro che il conte stava di<br />

malumore, probabilmente sotto l’influsso della stanchezza,<br />

della polvere che gli copriva la faccia, degl’indumenti attillati e<br />

dello stomaco affamato.<br />

-Johann! — chiamò un’altra volta. — Portami qua il<br />

conticino di quei dieci rubli. Che hai comperato, in città?<br />

E qui sbirciò il conticino, che subito gli era stato portato, e<br />

fece, insoddisfatto, i suoi rilievi sul prezzo troppo alto delle<br />

compere.<br />

-Col tè, dammici il rum!<br />

-Il rum non l’ho comperato, - disse Johann.<br />

-Di bene in meglio! Quante volte t’ho detto di non farmi<br />

mancare il rum?<br />

-I soldi non mi sono bastati.<br />

-О perché, allora, Pòlozov non ne ha comperato? Avresti<br />

potuto farti imprestar qualcosa dall’attendente suo.<br />

-Il cornetta Pòlozov? Non so. Loro hanno comperato del tè e<br />

dello zucchero.<br />

-Animale!... Vattene!... Ci sei soltanto tu, che hai quest’arte<br />

di farmi uscir dai gangheri... Eppure sai bene che sempre, in<br />

viaggio, il tè io lo prendo col rum!<br />

-Ecco due lettere dallo stato maggiore per voi, - disse il<br />

cameriere.<br />

Il conte, coricato come stava, dissuggellò le lettere e


incominciò a leggerle. Entrò, allegro in viso, il cornetta, che<br />

aveva acquartierato lo squadrone.<br />

-Be’, come va, Turbin? Qui si sta bene, a quanto pare. Ma io<br />

sono stanco, lo confesso. Faceva un gran caldo.<br />

-Oh, altro se si sta bene! Una schifosa, puzzolente capanna, e<br />

di rum neanche un sorso, in grazia tua: quel tuo balordone non<br />

ne ha comperato, e costui neppure. Me lo avresti potuto dire!<br />

E riprese a leggere.<br />

Quand’ebbe letto fino in fondo la lettera, la appallottolò e la<br />

scagliò per terra.<br />

-Perché, di’, non hai comprato il rum? – domandava intanto,<br />

nel locale d’entrata, il cornetta, sottovoce, al suo attendente. –<br />

Eppure, tu, il danaro lo avevi!<br />

-State a vedere che solo noi compreremo tutto! Non dubitate<br />

che son sempre io a restare in credito: e intanto quel suo<br />

tedescaccio non fa che fumar la pipa, e basta.<br />

La seconda lettera non era, evidentemente, spiacevole,<br />

giacché il conte sorrideva leggendola.<br />

-Di chi è? – domandò Pòlozov, rientrando nella stanza e<br />

accomodandosi da dormire per la notte sul tavolato accanto alla<br />

stufa.<br />

-È di Mina, — di buonumore rispose il conte, porgendogli la<br />

lettera. - La vuoi leggere? Che incanto di donna, quella!... Via,<br />

siamo franchi, è migliore delle nostre signorine... Guarda qui,<br />

quanto sentimento e quanta intelligenza, in questa lettera! C’è<br />

una sola cosa che non va: chiede danari.<br />

-Già, questo non va, — commentò il cornetta.<br />

-Io, veramente, gliene avevo promessi: ma un po’ che adesso<br />

ci troviamo in marcia, un po’ anche... Del resto, però, se<br />

continuo ad avere per altri tre mesi il comando dello<br />

squadrone, glieli manderò. Non dispiace mica, siamo franchi: è<br />

un tale incanto!... Eh?<br />

-disse sorridendo, e seguiva cogli occhi l’espressione del viso<br />

di Pòlozov, che stava leggendo la lettera.<br />

-È sgrammaticata tremendamente, ma simpatica, e si


direbbe che per davvero ti voglia bene, - fu la risposta del<br />

cornetta.<br />

-Hm! Sfido io! Son queste le uniche donne che vogliono bene<br />

sinceramente, quando vogliono bene.<br />

-E l’altra lettera di chi è? – domandò il cornetta, restituendo<br />

quella che aveva letta.<br />

-Mah... si tratta d’un certo signore, un miserabile dei primi,<br />

con cui io son rimasto in debito giuocando a carte, e già per la<br />

terza volta viene a rammentarmelo... Non posso mica, io,<br />

sdebitarmi adesso... Stupida lettera! — rispose il conte,<br />

amareggiato evidentemente da questo ricordo.<br />

Per un buon tratto di tempo, dopo tale conversazione, tutt’e<br />

due gli ufficiali serbarono il silenzio. Il cornetta, che<br />

evidentemente subiva l’influenza del conte, sorbiva in silenzio il<br />

tè, tratto tratto allungando un’occhiata al bel viso rabbuiato di<br />

Turbin, il quale fissava intensamente verso la finestra: e non si<br />

risolveva a ricominciare il discorso.<br />

-Ma sai che le cose potrebbero avere una conclusione<br />

eccellente? — di punto in bianco voltandosi a Pòlozov, e<br />

lietamente scotendo la testa, esclamò il conte. — Se da noialtri,<br />

al fronte, ci saranno quest’anno stesso le promozioni, e se per<br />

giunta ci capitasse di prender parte a qualche combattimento,<br />

io potrei benissimo passar innanzi ai miei colleghi capitani della<br />

guardia.<br />

E il discorso, anche durante il secondo bicchiere di tè,<br />

s’andava prolungando su quest’argomento, quando entrò il<br />

vecchio Danilo, e riferì l’ordine d’Anna Fjòdorovna.<br />

-Eppoi manda a domandare se voi, signore, non foste alle<br />

volte figliuolo del conte Fjòdor Ivànovic Turbin, - soggiunse<br />

Danilo di sua iniziativa, giacché aveva saputo il cognome<br />

dell’ufficiale, e ricordava ancora quando il conte buonanima era<br />

arrivato alla città di K. – La padrona nostra, Anna Fjòdorovna,<br />

era sua intima conoscente.<br />

-Sì, era mio padre; ma tu riporta alla signora che la ringrazio<br />

tanto, non mi occorre nulla; soltanto (le dirai), mandano a


chiedere se fosse possibile avere una cameretta un po’ più<br />

pulita, in casa sua о dovunque fosse.<br />

-Che siete andato a dirgli? — esclamò Pòlozov, quando<br />

Danilo fu uscito. – Tanto, che importa? Una notte sola, non fa<br />

lo stesso anche qui? Per loro, invece, sarà un sacrificio...<br />

-О senti un po’! Se non sbaglio, ne abbiamo girate<br />

abbastanza, delle isbe affumicate... Si vede subito che tu non sei<br />

un uomo pratico: che ragione ci sarebbe di non approfittarne,<br />

quando, sia pure per una notte, ci si presenta la possibilità di<br />

allogarci da cristiani? E loro, anzi, ne saranno chissà quanto<br />

felici!<br />

-Una cosa sola sarebbe antipatica: se questa signora avesse<br />

effettivamente conosciuto mio padre, - riprese il conte<br />

scoprendo in un sorriso i suoi bianchi denti splendenti. – In un<br />

modo о nell’altro, c’è sempre un po’ da vergognarsi, per quella<br />

buonanima del mio papà: sempre qualche storia di scandali, о<br />

qualche debito. Perciò non posso soffrire d’aver a che fare con<br />

questi amici paterni... Del resto, era l’epoca, allora, fatta così, —<br />

soggiunse, in tono ormai serio.<br />

-Ah, io non te l’ho mai detto, — esclamò Pòlozov; -ho avuto<br />

occasione d’incontrare un comandante di brigata degli ulani,<br />

Ilín. Egli ha espresso un gran desiderio di vederti, e ha un<br />

affetto profondissimo per tuo padre.<br />

-È, se non sbaglio, un formidabile mammalucco, codesto<br />

Ilín! Ma il peggio è che tutti questi signori i quali assicurano<br />

d’aver conosciuto mio padre, con l’intenzione d’entrar nelle mie<br />

grazie, e come se si trattasse di cosette proprio carine, vengono<br />

a raccontarmi, di lui, certe di quelle scappate, che a sentirle ci si<br />

diventa rossi. La verità è questa (io non mi lascio influenzar da<br />

nulla, e guardo alle cose spassionatamente): era troppo<br />

impulsivo, quell’uomo lì, e non erano del tutto corrette, le<br />

scappatelle che faceva. Del resto, ripeto, è tutta colpa<br />

dell’epoca. Ai tempi nostri, chissà, egli sarebbe potuto riuscire<br />

magari una persona assennatissima, giacché, di doti, ne aveva<br />

immense, bisogna pur rendergli giustizia.


Un quarto d’ora dopo, era di ritorno il servitore, e comunicava<br />

la preghiera della proprietaria di favorire a passar la notte in<br />

casa sua.


XI.<br />

Appena aveva saputo che l’ufficiale degli ussari era figlio del<br />

conte Fjòdor Turbin, Anna Fjòdorovna s’era messa in<br />

agitazione.<br />

-Oh, santi del cielo! cuore mio benedetto!... Danilo, lesto a<br />

correre là, a dirgli: la padrona v’invita a casa sua, - aveva<br />

esclamato, balzando su e a passi rapidi avviandosi verso il locale<br />

delle cameriere. - Lìzanka! Ustjùška! Bisognerà preparare la<br />

camera tua, Lìza: tu andrai in quella dello zio; e voi, fratello...<br />

fratello caro! vi adatterete a passar la notte in salotto. Per una<br />

notte sola, non fa niente.<br />

-Non fa niente, sorellina! Io mi stendo giù in terra.<br />

-Sarà un bel giovanotto (mi sa), se rassomiglia al padre.<br />

M’accontento di vederlo un momento, cuore mio... Attenta a<br />

guardarlo tu, Lìza! Eh, il padre era proprio un bell’uomo... Dove<br />

trascini quel tavolo? Lascialo qui, — s’affannava Anna<br />

Fjòdorovna, - e in più, porta due letti (uno lo prenderai dal<br />

fattore), e poi, là sull 'étagère, va’ a prendere il candelabro di<br />

cristallo, quello che mio fratello m’ha regalato per l’onomastico,<br />

e infilaci una candela di quelle speciali...<br />

Finalmente, tutto era stato messo in ordine. Lìza, nonostante<br />

le inframmettenze della madre, aveva sistemato a modo suo la<br />

sua cameretta per i due ufficiali. Aveva tirato fuori della<br />

biancheria da letto ben pulita, profumata di reseda, e aveva<br />

rifatto i due letti; aveva ordinato che si ponesse una caraffa<br />

d’acqua e delle candele sul comodino; aveva bruciato della carta<br />

odorosa nel locale delle cameriere: e s’era, dal canto suo,<br />

trasferita, col suo lettuccio, nella stanza dello zio. Anna<br />

Fjòdorovna s’era calmata un pochino, era tornata a installarsi al<br />

suo posto, e aveva accennato perfino a prender tra mano le<br />

carte da giuoco: ma, senza schierarle sul tavolo, vi s’era<br />

appoggiata col soffice gomito a sostegno del capo, e s’era<br />

immersa in pensieri. «Ah il bel tempo, il bel tempo, come vola!


-ripeteva a se stessa in un bisbiglio. — È accaduto da tanto,<br />

si direbbe? Come adesso, me lo vedo dinanzi! Oh, gran<br />

birichino che era! — E qui le lacrime le erano salite agli occhi.<br />

— Adesso c’è Lizanka... ma pure non è la stessa che ero io<br />

quando avevo l’età sua... Un amore di ragazza, sì, ma non è la<br />

stessa cosa...»<br />

-Lizanka, dovresti metterti il vestitino di mousse- line-delaine<br />

per stasera.<br />

-Ma forse voi avete intenzione d’invitarli di qua, mammina?<br />

Sarebbe meglio di no, — era stata la risposta di Lìza, la quale<br />

andava provando un’incontenibile agitazione al pensiero di<br />

veder gli ufficiali, — sarebbe meglio di no, mammina!<br />

In realtà, più forte, in lei, del desiderio di veder costoro, era<br />

un timore di non so quale sconvolgente felicità, che le pareva<br />

fosse lì ad aspettarla.<br />

-Forse, saranno loro i primi a voler far conoscenza, Lìzocka!<br />

— aveva esclamato Anna Fjòdorovna, fissandola sui capelli e<br />

pensando in quell’atto: «Macché, altri capelli, questi, da quelli<br />

che avevo io all’età sua... No, Lìzocka, quanto vorrei<br />

augurarti...» E qualcosa, effettivamente, augurava di cuore alla<br />

figliuola: senonché, d’un matrimonio col conte non poteva<br />

nemmeno far l’ipotesi, e rapporti come quelli che aveva avuti<br />

col padre di lui, non poteva augurarglieli; eppure c’era qualcosa<br />

di simile che, proprio dal fondo del cuore, augurava a sua figlia.<br />

Era forse un desiderio di vivere una seconda volta, nell’anima<br />

della figlia, quella vita che aveva vissuta con lo scomparso?<br />

Il vecchietto ex cavallerizzo era stato anche lui sconcertato<br />

alquanto dalla venuta del conte. S’era ritirato nella sua stanza e<br />

vi s’era rinchiuso dentro. Un quarto d’ora dopo, ne riapparve in<br />

giubba ungherese e calzoni azzurri; e, con quell’espressione<br />

confusa e contenta con cui una giovinetta porta indosso per la<br />

prima volta un abito da ballo, s’avviò verso la stanza assegnata<br />

agli ospiti.<br />

-Vado a dare un’occhiata agli ussari d’oggi, sorellina! Il<br />

povero conte, effettivamente, era un vero ussaro. Voglio vedere


un po’, voglio vedere un po’.<br />

Gli ufficiali erano già sopravvenuti dall’ingresso posteriore, e<br />

si trovavano nella stanza loro assegnata.<br />

-Be’, lo vedi о no? – diceva il conte, mentre così come si<br />

trovava, cogli stivaloni polverosi, si stendeva sul letto ben<br />

accomodato. — Vorresti dire che qui non si sta meglio che in<br />

una catapecchia piena di scarafaggi?<br />

-Per star meglio, si sta meglio: ma si dà un po’ d’impaccio ai<br />

padron di casa...<br />

-Senti che assurdità! Bisogna essere in tutto persone<br />

pratiche. Questa gente sarà arcicontenta, molto<br />

probabilmente... Cameriere! — gridò. — Fatti dar qualche cosa<br />

da impannar quella finestra, altrimenti stanotte sentirai che<br />

spiffero!<br />

In quel momento, entrò il vecchietto, che voleva far<br />

conoscenza cogli ufficiali. Egli, pur arrossendo un po’, non<br />

tralasciò, ben s’intende, di raccontare ch’era stato collega del<br />

povero conte, che aveva goduto della sua benevolenza, e anzi<br />

disse che più d’una volta era stato beneficato dallo scomparso.<br />

Intendesse, tra i benefici dello scomparso, il fatto che<br />

quest’ultimo non gli avesse punto restituito i cento rubli che gli<br />

aveva presi in prestito, о che lo avesse scaraventato in mezzo a<br />

un mucchio di neve, о che lo avesse coperto di male parole, il<br />

vecchietto non stette davvero a chiarire. Il conte fu cortesissimo<br />

col vecchio cavallerizzo, e lo ringraziò dell’alloggio approntato.<br />

-Vogliate scusare il poco lusso, conte! — e il vecchietto era<br />

stato lì lì per dire: Eccellenza, tanto s’era disavvezzo ormai a<br />

trattare con persone di riguardo.<br />

-Questa casetta di mia sorella è piccolina... Quanto a quella<br />

finestra, provvediamo subito a impannarla in qualche modo, e<br />

tutto sarà in ordine, — soggiunse; e col pretesto dell’impannata<br />

da cercare, ma in realtà per non tardar più ad andar a parlare, di<br />

là, degli ufficiali, strisciò tanto di riverenza, e uscì dalla camera.<br />

Fu la graziosa Ústjuša a venire, con uno scialle della<br />

padrona, a impannar la finestra. Recava inoltre, da parte della


padrona, l’ordine di domandare se ai signori facesse comodo<br />

prendere il tè.<br />

Il buon alloggio aveva avuto, evidentemente, l’effetto di<br />

rasserenare gli umori del conte: sorridendo allegramente, egli si<br />

mise a scherzar con Ústjuša, tanto che Ústjuša arrivò<br />

addirittura a dargli del birichino; le domandò se fosse carina la<br />

signorina loro; e alla ragazza, che chiedeva se non volessero<br />

prendere il tè, rispose che il tè, grazie, sì, potevano portarlo, ma<br />

c’era un fatto più importante, ed era che essi, la cena, non la<br />

avevano ancora pronta: non si sarebbe potuto, quindi, aver<br />

subito un po’ d’acquavite, qualcosina da fermar lo stomaco, e<br />

dello Xeres, se ce ne fosse stato?<br />

Lo zio, intanto, andava in estasi per la gran cortesia del<br />

giovane conte, e portava alle stelle gli ufficiali della nuova<br />

generazione, affermando che gli uomini d’oggi erano senza<br />

confronti superiori a quelli di ieri.<br />

Anna Fjòdorovna non gliela menava buona (migliore del<br />

conte Fjòdor Ivànovic non c’era nessuno): e finì, a un certo<br />

punto, con lo stizzirsi sul serio, limitandosi a rilevar seccamente<br />

che «per voi, fratello caro, chi per ultimo v’ha fatto le moine,<br />

quello è il migliore. Beninteso, adesso la gente ha di certo<br />

affinato il cervello, ma resta vero che il conte Fjòdor Ivànovic<br />

ballava così bene l’écossaise, ed era così garbato, che a quei<br />

tempi tutti, si può dire, andavano pazzi per lui: lui, però, di<br />

nessuno si curava, tranne che di me... Ciò dimostra che anche<br />

in passato c’erano, sì, delle persone come si deve!»<br />

Mentre diceva così, fu recata la notizia che di là richiedevano<br />

acquavite, antipasti e Xeres.<br />

-Ecco, che modo di procedere è il vostro, fratello caro! Non<br />

fate mai le cose in regola! Bisognava ordinare che si preparasse<br />

da cena, — cominciò a dire Anna Fjòdorovna. – Lìza, provvedi<br />

tu, angelo mio.<br />

Lìza corse in dispensa in cerca di funghi e di panna montata,<br />

mentre al cuoco venivano ordinate delle costolette di bue.<br />

-Con lo Xeres, però, come si fa? A voi ne è avanzato, fratello?


-Macché, sorellina mia! Io non ne ho mai avuto.<br />

-Come, macché! eppure qualche cosa bevete, voi, col tè.<br />

-Quello è rum, Anna Fjòdorovna.<br />

-E forse non vien buono lo stesso? Fatelo servire senz’altro,<br />

vien buono lo stesso, il rum! Ma piuttosto, non sarebbe meglio<br />

invitarli di qua, fratello caro? Voi siete pratico di tutte queste<br />

cose. Non si offenderanno mica, nevvero?<br />

Il cavallerizzo dichiarò d’essere in grado di garantire che il<br />

conte, con la benevolenza che lo distingueva, non avrebbe<br />

ricusato l’invito, e che lui lo avrebbe condotto qui senza fallo.<br />

Anna Fjòdorovna, allora, andò a indossare, chissà perché,<br />

l’abito di gros-gros e una cuffietta nuova; mentre Lìza era tanto<br />

affaccendata, che le mancò il tempo di togliersi il vestito di<br />

guingan rosa, dalle larghe maniche, che si trovava indosso.<br />

Eppoi, una profonda agitazione la teneva sossopra: aveva<br />

l’impressione che stesse lì ad aspettarla qualcosa di<br />

sconcertante, quasi che una bassa, nera nube le incombesse<br />

sull’anima. Questo ussaro-conte, bel giovane, le faceva<br />

l’impressione d’un essere completamente nuovo,<br />

incomprensibile per lei, ma meraviglioso. Il suo carattere, le sue<br />

abitudini, i suoi discorsi – tutto doveva eccedere talmente la<br />

norma, da non esserle mai capitato di veder nulla di simile.<br />

Tutto ciò ch’egli pensa e dice, dev’essere ingegnoso e vero; tutto<br />

ciò ch’egli fa, dev’essere virtuoso; tutto il suo aspetto esteriore,<br />

dev’essere magnifico. Non c’era, per lei, alcun dubbio in<br />

proposito. Se egli avesse chiesto, non soltanto uno spuntino e<br />

dello Xeres, ma un bagno d’acqua di salvia con profumi, essa<br />

non se ne sarebbe stupita, non lo avrebbe giudicato male, e<br />

sarebbe rimasta fermamente convinta che si trattava d’una cosa<br />

giusta e doverosa.<br />

Il conte non esitò ad acconsentire, quando il cavallerizzo gli<br />

ebbe comunicato il desiderio di sua sorella; si ravviò i capelli,<br />

indossò il mantello e prese il portasigari.<br />

-Su, andiamo, — disse a Pòlozov.<br />

-Credimi, sarebbe meglio non andare, — rispose il cornetta,


— ils feront des frais pour nous recevoir.<br />

-Che assurdità! Ne saranno felici. Eppoi io ho già fatto le mie<br />

indagini: c’è la figlia ch’è una bella ragazzetta... Andiamo, - disse<br />

il conte in francese.<br />

-Je vous en prie, messieurs! — esclamò il cavallerizzo, con<br />

l’unico scopo di dar a sentire che anche lui sapeva il francese, e<br />

aveva capito quel che avevano detto gli ufficiali.


XII.<br />

Lìza si fece rossa e, abbassando gli occhi, si mostrò intenta a<br />

riempir la teiera, timorosa com’era di guardar in faccia gli<br />

ufficiali, che stavano entrando nella stanza. Anna Fjòdorovna, al<br />

contrario, si tirò su in fretta, fece un inchino, e, senza staccar lo<br />

sguardo dal viso del conte, incominciò a parlargli, ora rilevando<br />

la sua straordinaria somiglianza col padre, ora presentandogli la<br />

figliuola, ora offrendogli tè, marmellata, о una di quelle<br />

tavolette di gelatina di frutta fatta in campagna. Al cornetta,<br />

grazie al suo aspetto timido e modesto, nessuno faceva<br />

attenzione: cosa di cui egli si rallegrava moltissimo, giacché gli<br />

rendeva possibile, nei limiti della convenienza, contemplare e<br />

minutamente osservare la bellezza di Lìza, la quale – com’era<br />

evidente – lo aveva bruscamente colpito. Lo zio, ascoltando il<br />

dialogo fra la sorella e il conte, aspettava, col discorso pronto<br />

sulle labbra, l’occasione di sciorinare i suoi ricordi di cavalleria.<br />

Mentre venivano così prendendo il tè, il conte, fumando il<br />

suo sigaro forte — all’odore del quale Lìza stentava a trattenere<br />

la tosse – era molto loquace e affabile, e se, da principio,<br />

soltanto nelle pause dell’ininterrotto chiacchierio d’Anna<br />

Fjòdorovna inseriva i suoi interventi, verso la fine aveva ormai il<br />

dominio della conversazione. Non c’era che una cosa, che<br />

facesse un effetto un po’ strano ai suoi uditori: spesso, nel<br />

discorrere, egli diceva certe parole, che, mentre non erano<br />

considerate compromettenti nella società a cui era abituato, qui<br />

suonavano alquanto audaci, tanto che Anna Fjòdorovna ne<br />

restava un po’ spaurita, e Lìza arrossiva fino alle orecchie; ma il<br />

conte non se ne dava per inteso, e conservava imperturbabile la<br />

sua semplicità e affabilità di maniere. In silenzio Lìza veniva<br />

riempiendo i bicchieri; senza metterli fra le mani degli ospiti, li<br />

collocava loro accosto: e, non riuscendo ancora a riprendersi<br />

dall’agitazione, tendeva avida l’orecchio ai discorsi del conte. I<br />

suoi ragionamenti tutt’altro che ricercati, l’impuntarsi che


faceva a metà d’una frase, a poco a poco valevano a calmarla.<br />

Non gli sentiva dire, come s’era immaginata, cose molto<br />

intelligenti; non gli vedeva quella forbitezza in ogni particolare,<br />

che vagamente s’aspettava di trovare in lui. E anzi, al terzo<br />

bicchiere di tè — dopo che gli occhi, pieni di timidezza, le si<br />

furono incrociati una volta con gli occhi di lui, e lui non li<br />

abbassò, ma con una tranquillità un po’ eccessiva continuava,<br />

sorridendo appena, a fissarla – essa sentì perfino, nell’intimo,<br />

una punta di ostilità verso di lui, e in breve concluse che non<br />

solo costui non aveva proprio niente di speciale, ma non si<br />

distingueva affatto da tutti quelli che aveva visti finora, e<br />

dunque non metteva conto averne tanto timore: giusto le<br />

unghie portava pulite e lunghe, altrimenti non aveva neanche<br />

nessuna speciale bellezza.<br />

Qui Lìza, bruscamente — non senza un’ombra di segreta<br />

malinconia dato addio a quanto aveva vagheggiato — ritrovò la<br />

calma; e solo lo sguardo del taciturno cornetta, che si sentiva<br />

puntato addosso, le turbava quella calma. «Forse, chissà, non<br />

sarà quello, ma questo...», pensava tra sé.


XIII.<br />

Dopo il tè, la vecchia invitò gli ospiti a passare nella stanza<br />

attigua, e tornò a installarsi nel posto suo abituale.<br />

-Ma d’andare a riposarvi non avete voglia, conte?<br />

-domandò. – E allora, come farvi passare il tempo, ospiti<br />

cari? – riprese, alla risposta negativa. – Giuocate a carte voi,<br />

conte? Ecco, fratello, potreste intrattenerli voi così, mettendo<br />

su una partita a qualche cosa...<br />

-Ma anche voi giuocate a préférence, - le ribattè il<br />

cavallerizzo, - dunque facciamoci tutti insieme! Siete disposto,<br />

conte? e voi, siete disposto?<br />

I due ufficiali si dichiararono pronti a far tutto ciò che<br />

potesse piacere ai gentili padroni di casa.<br />

Lìza portò qua, da camera sua, le sue vecchie carte, con le<br />

quali era solita indovinare se sarebbe finito presto il raffreddore<br />

ad Anna Fjòdorovna, se sarebbe ritornato in giornata lo zio<br />

dalla città, quand’era fuori di casa, se sarebbe venuta oggi<br />

quella tal vicina, e altre cose del genere. Carte che, sebbene<br />

fossero in uso già da due mesi, erano più pulitine di quelle con<br />

cui indovinava Anna Fjòdorovna.<br />

-Voialtri, però, non ci starete mica, vero, a giuocar delle<br />

sciocchezzuole? – domandò lo zio. — Io ed Anna Fjòdorovna<br />

siamo avvezzi a poste di mezza copeca... Ciò non toglie che essa<br />

ci riduca sempre, tutti quanti, al verde.<br />

-Ah, come stabilite voi, sarò felicissimo, — rispondeva il<br />

conte.<br />

-Be’, allora vada per una copeca in cartamoneta! Già si<br />

giuoca per ospiti egregi: lascia pure che mi riducano al verde,<br />

povera vecchia! — esclamò Anna Fjòdorovna, sistemandosi più<br />

comodamente nella poltrona a lei riservata, e drappeggiandosi<br />

indosso la sua mantiglia.<br />

«Chissà invece che non vinca loro un rublo d’argento»,<br />

pensò Anna Fjòdorovna, la quale, invecchiando, aveva


contratto un po’ di passioncella per le carte.<br />

-Volete che v’insegni a giuocar con la «tabella», -disse il<br />

conte, — e con le misères? È una cosa assai divertente.<br />

A tutti, infatti, piacque assai la nuova voga pietroburghese.<br />

Lo zio assicurò addirittura che lui già la conosceva, e che si<br />

trattava né più né meno di quel che si faceva al boston: se n’era,<br />

soltanto, dimenticato un pochino. Quanto ad Anna Fjòdorovna,<br />

non ci capi un bel niente, e tanto a lungo durò a non capirci,<br />

che si trovò costretta — sorridendo e tentennando il capo in<br />

segno affermativo — a protestare che ormai aveva inteso e che<br />

tutto le riusciva chiaro. Non furono poche le risa allorché, nel<br />

mezzo del giuoco, Anna Fjòdorovna, con un asso e un re in<br />

bianco, fece misere, e rimase con un sei. Essa incominciava<br />

perfino a smarrirsi, a sorrider di soggezione, e ad assicurare in<br />

fretta che ancora non s’era ben assuefatta al nuovo modo di<br />

giuocare. A carico di lei, tuttavia, continuavano a segnare, e<br />

molto: tanto più che il conte, per l’abitudine che aveva al<br />

giuoco commerciale, in grande, giuocava con prudenza, era<br />

abilissimo a mettere in posizione difficile, e non intendeva né<br />

punto né poco gli urti che sotto il tavolo, col piede, gli dava il<br />

cornetta, e i madornali errori che quest’ultimo commetteva nel<br />

fare a whist.<br />

Lìza portò altre tavolette di gelatina di frutta, tre qualità di<br />

marmellata, e delle arance candite in una confettura speciale; e<br />

si trattenne lì, alle spalle della madre, fissando lo sguardo al<br />

giuoco e di rado allungandolo agli ufficiali, soprattutto alle<br />

mani bianche del conte, dalle rosee unghie ben curate, che con<br />

tanta esperienza, misura e bel garbo gettavano le carte e<br />

raccoglievano le levate.<br />

Di nuovo Anna Fjòdorovna — dopo avere abbastanza<br />

arrischiatamente bluffato gli avversari, ed essere arrivata coi<br />

suoi acquisti fino a un sette – fece la rimessa senza tre, e,<br />

formulata cosi a vanvera, a richiesta del fratello, non so che<br />

cifra, finì con lo smarrirsi del tutto, e incominciò ad anfanare.<br />

-Non è nulla, mammina: avrete tempo di rifarvi!


-sorridendo, allora, esclamò Lìza, desiderosa di trarre la<br />

madre dal suo ridicolo stato. – Verrà il momento che farete fare<br />

la rimessa allo zio, e allora sarà lui a cader in trappola.<br />

-Se m’aiutassi un po’ tu, Lìzočka mia! — esclamò Anna<br />

Fjòdorovna, e spaventata guardò in faccia la figlia. - Io non so<br />

proprio come si fa...<br />

-Ma neanch’io, a questo modo, so giuocare... – le rispondeva<br />

Lìza, calcolando intanto, fra sé, le rimesse della madre. – Voi<br />

però, di questo passo, perderete molto, mammina! Neppure per<br />

l’abitino di Pìmočka ci avanzerà più nulla, - soggiunse<br />

scherzosamente.<br />

-Sì, di questo passo, è facilissimo perdere fino a dieci rubli<br />

d’argento, - esclamò il cornetta, e fissava Lìza negli occhi,<br />

desideroso d’attaccar discorso con lei.<br />

-Ma dunque, noi non stiamo giuocando in carta moneta? —<br />

girando su tutti lo sguardo, domandò Anna Fjòdorovna.<br />

-Io non lo so: certo è che non son capace di calcolare in<br />

cartamoneta, — disse il conte. — Come si fa? Voglio dire, che<br />

roba è, questa cartamoneta?<br />

-Eh, ormai non c’è più nessuno che calcoli in cartamoneta!<br />

— fece eco lo zio, il quale puntava semplicemente dei sassolini,<br />

e si trovava a vincere.<br />

La vecchia fece portare dello spumante, ne bevve lei stessa<br />

due calici, divenne tutta accerita, e parve che si gettasse ogni<br />

cosa dietro le spalle. Perfino una ciocca dei suoi capelli bianchi<br />

le era sfuggita di sotto alla cuffietta, e non se la rassettava.<br />

Doveva aver l’impressione d’aver perduto milioni, e d'esser<br />

rovinata a fondo. Sempre più spesso il cornetta urtava col piede<br />

il conte. Il conte badava a segnare le rimesse della vecchia.<br />

Finalmente la partita terminò. Per quanto s’arrabattasse<br />

Anna Fjòdorovna, contro coscienza, ad aumentar le sue vincite,<br />

e a fingere di sbagliarsi nel conteggio, e di non riuscire a<br />

venirne a capo; per quanto sgomento la sopraffacesse alla<br />

grandezza della sua perdita; risultò, alla fine dei conti, che essa<br />

aveva perduto novecentoventi gettoni. - Questo, in


cartamoneta, importerebbe nove rubli? - più volte Anna<br />

Fjòdorovna insistette a domandare; e durò a non comprendere<br />

tutta l’enormità della sua perdita fin quando il fratello, con suo<br />

gran terrore, non le ebbe spiegato che aveva perduto trentadue<br />

rubli e mezzo in cartamoneta, e che bisognava assolutamente<br />

sborsarli. Il conte non stette nemmeno a calcolare la propria<br />

vincita: appena finito il giuoco, s’era alzato e s’era fatto alla<br />

finestra, presso la quale Lìza apparecchiava intanto lo spuntino,<br />

e stava disponendo, su un piatto, dei funghi che estraeva da un<br />

boccale. E lì, con perfetta calma e semplicità, egli aveva<br />

ottenuto senz’altro ciò che dal principio della serata il cornetta<br />

desiderava tanto, e non riusciva a ottenere: aveva attaccato<br />

discorso con lei sul tempo che faceva.<br />

Dal canto suo il cornetta, in quei momenti, si trovava in una<br />

situazione assai poco piacevole. E Anna Fjòdorovna, ora che<br />

s’erano scostati da lei il conte e soprattutto Lìza, la quale sapeva<br />

tenerle alto lo spirito, s’era dichiaratamente stizzita.<br />

-Quanto mi dispiace, però, che vi abbiamo fatto perder<br />

tanto! – esclamò Pòlozov, giusto per dir qualche cosa. – Non c’è<br />

proprio coscienza.<br />

-Eh, ci mancava che andaste a inventare non so che «tabelle»<br />

e «misères»! Io non ci capisco niente: ma in cartamoneta,<br />

insomma, quanto importerebbe in tutto? — domandava ancora.<br />

-Trentadue rubli, trentadue e mezzo, - ripetè il cavallerizzo,<br />

che, sotto l’influsso della vincita, era d’umore festoso. — Su,<br />

cacciate fuori questi soldarelli, sorellina... cacciateli fuori.<br />

-Benissimo, ve li darò tutti: ma d’ora in avanti, non mi ci<br />

piglierete più, no! Si tratta che neppure finché vivo riuscirò a<br />

rifarmene!<br />

E Anna Fjòdorovna si recò in camera sua; tornò —<br />

dondolandosi in fretta – di qua, e portò nove rubli in<br />

cartamoneta. Ci vollero le insistenti pressioni del vecchietto,<br />

perché essa sborsasse l’intera somma.<br />

Allora Pòlozov fu invaso da una certa paura che Anna<br />

Fjòdorovna non avesse a sgridarlo, se lui avesse ricominciato a


discorrer con lei. In silenzio, di soppiatto, se ne allontanò, e si<br />

unì al conte e a Lìza, che stavano conversando presso la finestra<br />

aperta.<br />

Nella stanza, sulla tavola apparecchiata per la cena, erano<br />

accese due candele di sego. La loro luce, tratto tratto, vacillava<br />

alla refrigerante, tiepida brezzolina della notte di maggio. Nel<br />

vano della finestra, aperta sul giardino, c’era pure luce, ma<br />

tutt’altra da quella nell’interno della stanza. La luna quasi piena,<br />

perdendo ormai la sua sfumatura dorata, veniva a galleggiare di<br />

sopra all’alte vette dei tigli, e soffondeva di luce sempre più viva<br />

le bianche, sottili nuvolette, che ogni tanto andavano a passarci<br />

innanzi. Dallo stagno — la cui superficie, inargentata in un<br />

punto dalla luna, traspariva fra gli alberi dei viali – cantavano<br />

sfogatamente le rane. Proprio qua sotto alla finestra,<br />

nell’odoroso cespuglio di lillà, che tratto tratto lentamente<br />

dondolava i fiori inumiditi, si percepiva appena un saltellar tra i<br />

rami e uno scrollarsi di piccoli uccelli.<br />

-Che tempo stupendo! — aveva esclamato il conte,<br />

appressandosi a Lìza e sedendosi sul basso davanzale.<br />

-Io credo che voi farete molte passeggiate?<br />

-Sì, - aveva risposto Lìza, non sentendo - chissà come — il<br />

minimo turbamento a conversare col conte; -ogni mattina,<br />

verso le sette, mi metto in moto per le faccende dell’azienda, e<br />

così passeggio anche un pochino insieme con Pìmočka, una<br />

ragazzetta adottata dalla mamma.<br />

-È piacevole, vivere in campagna! — aveva detto il conte<br />

applicandosi all’occhio il monocolo, e guardando ora al<br />

giardino, ora a Lìza. – E così di notte, col lume di luna, non ci<br />

andate mai a passeggiare?<br />

-No... Cioè ecco, due anni fa, insieme con lo zio, ogni notte si<br />

passeggiava, quando c’era la luna. Gli era venuta, allora, una<br />

malattia così strana: l’insonnia. Com’era luna piena, lui non<br />

poteva dormire. Eppoi, la cameretta sua, è proprio quella lì in<br />

faccia al giardino, e ha la finestrina bassa bassa: la luna veniva<br />

diretta diretta a battergli contro.


-Strano, - aveva obiettato il conte, - ma quella lì è la<br />

cameretta vostra, se non sbaglio?<br />

-No, per stasera soltanto io ci passo la notte. La camera mia,<br />

la occupate voi.<br />

-Che mi dite?... Ah, Dio mio! Non potrò mai perdonarmi un<br />

simile disturbo, - e il conte, per denotare la sincerità del suo<br />

sentimento, s’era strappato il monocolo dall’occhio. — Se avessi<br />

saputo che davo noia a voi...<br />

-Che disturbo volete che sia! Al contrario, io ne son<br />

felicissima: la cameretta dello zio è così deliziosa, così serena,<br />

con quella finestrina bassa bassa, che potrò starmene seduta lì<br />

finché non ho sonno, oppure, con un salto, scendermene in<br />

giardino, e fare ancora una passeggiata di notte.<br />

«Amore di ragazza! – aveva pensato il conte inalberando di<br />

nuovo il monocolo; e mentre la guardava, in atto di<br />

accomodarsi meglio sulla finestra, cercava col piede di sfiorarle<br />

il piedino. – E con quanta scaltrezza m’ha dato a intendere che<br />

potrei vederla in giardino accanto alla finestra, se ne avessi<br />

intenzione!» Tanto che Lìza aveva perfino perduto, ai suoi<br />

occhi, la maggior parte del fascino: così facile era venuta a<br />

sembrargli la conquista di lei.<br />

-Ah, che voluttà dovrebb'essere, — aveva esclamato,<br />

rimirando con aria pensosa verso l’ombre dei viali — passare<br />

una notte come questa in un giardino con una creatura che<br />

s’ama!<br />

Lìza s’era un pochino turbata a queste parole, e al ripetuto<br />

sfioramento di quel piede, che voleva parer casuale. Aveva<br />

detto, senza rifletterci, qualche parola con l’unico scopo di non<br />

tradire il suo turbamento.<br />

-Sì, - aveva detto, - è tanto bello passeggiare le notti di luna<br />

Un senso di vago fastidio la aveva punta. Aveva ricoperchiato il<br />

boccale, da cui era venuta estraendo i funghi, e si faceva a<br />

lasciar la finestra, quand’ecco avvicinarsi a loro il cornetta: e fu<br />

presa dalla curiosità di sapere che tipo d’uomo fosse.<br />

-Che nottata incantevole! – esclamò il cornetta.


«Ma solo del tempo, costoro, discorrono sempre!» pensò<br />

Lìza.<br />

-Che veduta stupenda! — riprese quello. — A voi, però,<br />

suppongo che ormai sarà venuta a noia... - soggiunse, per una<br />

curiosa tendenza, che gli era propria, di dir cose alquanto<br />

sgradevoli alle persone che gli piacevano di più.<br />

-Come mai supponete questo? Mangiare, sì, è sempre una<br />

storia, vestire viene a noia, ma un bel giardino non viene mai a<br />

noia, se piace passeggiare, soprattutto quando la luna si fa<br />

ancora più alta. Là dalla camera dello zio tutto lo stagno resta<br />

scoperto. Ecco, fra poco mi metterò a guardarlo.<br />

-Ma usignoli, qui, non ne avete, a quanto pare? – domandò il<br />

conte, profondamente scontento che fosse sopravvenuto<br />

Pòlozov a impedirgli di prendere informazioni più positive sulle<br />

modalità del convegno.<br />

-No, ne abbiamo avuti sempre, ma l’anno scorso certi<br />

cacciatori ne hanno acchiappato uno; e anche adesso, l’altra<br />

settimana, avevano già incominciato a cantare ch’era una<br />

meraviglia: è arrivato il commissario con quella sonagliera, e li<br />

ha spaventati... Tante volte, due anni fa, noi ci appiattavamo, io<br />

e lo zio, in un viale a galleria, e stavamo lì perfino un paio d’ore<br />

in ascolto.<br />

-Si può sapere, questa chiacchierina, che cosa vi racconta? —<br />

disse lo zio, avvicinandosi ai tre in conversazione. – Mangiare<br />

un boccone, non vi farebbe comodo?<br />

Quando fu terminata la cena – durante la quale il conte, a<br />

forza di lodar le vivande e di farci onore, riuscì a dissipare alla<br />

meglio l’umore piuttosto nero della padrona di casa — gli<br />

ufficiali si congedarono e si ritirarono nella loro stanza. Il conte<br />

strinse la mano al lo zio; con stupore d’Anna Fjòdorovna, anche<br />

a lei, senza baciargliela, strinse semplicemente la mano; strinse<br />

la mano perfino a Lìza, e, in quell’atto, la guardò ben a fondo<br />

negli occhi, e le accennò un sorriso col suo piacevole modo di<br />

sorridere. Quell’occhiata diede di nuovo un turbamento alla<br />

ragazza.


«È molto a posto, - pensò questa fra sé, - ha solo il difetto di<br />

darsi troppa importanza».


XIV.<br />

-Via, come non ti vergogni? - esclamò Pòlozov quando i due<br />

ufficiali furono rientrati in camera loro.<br />

-Io ho fatto di tutto per perdere apposta, seguitavo a urtarti<br />

col piede sotto il tavolo... Via, come non senti rimorso? Quella<br />

povera vecchia è rimasta male davvero.<br />

Il conte scoppiò in una formidabile risata.<br />

-Grottesca, la mia madama! Oh come s’è offesa!<br />

E qui daccapo si mise a ridere, con tanta giocondità, che<br />

perfino Johann, piantato lì dinanzi a lui, chinò gli occhi e<br />

accennò, così di lato, un sorriso.<br />

-Eccovelo qua, il figlio dell’amico di famiglia!... Hah, hah,<br />

hah! – continuava a ridere il conte.<br />

-No, sul serio: non è stata mica una bella cosa. A me, quella<br />

donna, ha finito col farmi compassione, — disse il cornetta.<br />

-Senti che assurdità! Quanto sei ancora giovane, tu! E che<br />

cosa pretendevi, che io perdessi? A che scopo avrei dovuto<br />

perdere? Anch’io, tante volte, ho perduto, quando non sapevo<br />

giuocare. Dieci rubli, fratello, fanno comodo. Bisogna guardare<br />

con praticità alla vita: altrimenti, sarai sempre lo zimbello di<br />

tutti.<br />

Pòlozov non ribatte parola; eppoi egli desiderava di restar<br />

solo con se stesso, a pensare a Lìza, che gli era sembrata una<br />

creatura di purezza straordinaria, perfetta in tutto. Si svesti, e si<br />

coricò nel morbido letto di bucato, che avevano preparato per<br />

lui.<br />

«Che assurdità tutti questi onori, questa gloria della vita<br />

militare! — pensava, con gli occhi sospesi a quella finestra<br />

impannata con lo scialle, attraverso la quale s’insinuavano<br />

pallidi i raggi della luna. – Eccola, la felicità: vivere in un<br />

angoletto tranquillo, con un’affettuosa, intelligente, semplice<br />

moglietta: questa sì ch’è una solida, genuina felicità!»<br />

Ma c’era qualcosa che lo tratteneva dal comunicare questi


vagheggiamenti al suo amico, e sia pure dal mentovargli<br />

semplicemente la signorina di campagna, sebbene fosse<br />

convinto che anche il conte stesse pensando a lei.<br />

-Com’è che tu non ti spogli? — domandò al conte, che<br />

passeggiava per la stanza.<br />

-Chissà, non mi viene ancora voglia di dormire. Spegni la<br />

candela, se vuoi: io mi corico lo stesso.<br />

E continuava a passeggiare su e giù.<br />

-Chissà, non mi viene ancora voglia di dormire, - ripetè a sua<br />

volta Pòlozov, il quale si sentiva, dopo questa serata, più che<br />

mai scontento dell’ascendente del conte, e incline a ribellarglisi<br />

contro. «Mi figuro benissimo, - commentò fra sé, rivolto a<br />

Turbin, - quali pensieri ti stanno passando per codesta testa<br />

pettinata a puntino! Ho visto, sì, quanto t’è piaciuta. Ma non sei<br />

in grado, tu, di comprendere questa semplice, onesta creatura:<br />

ci vuol Mina per te, ci vogliono le spalline di colonnello... A<br />

proposito, voglio domandargli quanto gli è piaciuta!»<br />

E già Pòlozov s’era voltato da quella parte, per fargli la<br />

domanda, ma ci ripensò: sentiva che non soltanto non sarebbe<br />

stato capace di leticarci, se l’opinione che il conte aveva di Lìza<br />

fosse stata quella che presupponeva, ma non avrebbe neppure<br />

avuto la forza di non convenire con lui: talmente, ormai, s’era<br />

abituato ad assoggettarsi a questo ascendente, che gli si veniva<br />

facendo di giorno in giorno più gravoso e più ingiustificabile.<br />

-Dove vai? — fu la sua domanda, quando il conte si mise il<br />

berretto e s’accostò alla porta.<br />

-Voglio andare in scuderia: voglio dar un’occhiata se tutto è<br />

in ordine.<br />

«Strano!» pensò il cornetta; ma soffiò sulla candela, e,<br />

cercando di scacciare i pensieri d’aberrante gelosia e d’ostilità<br />

verso l’amico d’un tempo, che gli facevano capolino nel<br />

cervello, si rivoltò sull’altro fianco.<br />

Anna Fjòdorovna, nel frattempo, segnati ben bene di croce e<br />

baciati teneramente — secondo l’abitudine — il fratello, la figlia<br />

e la piccola protetta, s’era anch’essa ritirata in camera sua. Da


un pezzo, in un sol giorno, la vecchietta non aveva più avuto a<br />

sperimentare tante violente impressioni, cosicché neppure le<br />

preghiere potè recitare tranquillamente: di continuo — vivo e<br />

malinconico — il ricordo del conte scomparso, e quello del<br />

giovane elegantone, che con tanto poco scrupolo le aveva<br />

svuotato le tasche, le giravano e le rigiravano nella mente.<br />

Tuttavia — secondo l’abitudine — si svestì, bevve il mezzo<br />

bicchiere di kvas, preparato sul comodino lì accanto al letto, e si<br />

coricò. La sua gattina preferita, silenziosamente, era scivolata<br />

nella stanza. Anna Fjòdorovna se la chiamò vicino e incominciò<br />

ad allisciarla, ascoltando come faceva le fusa: ma pur sempre<br />

non riusciva a prender sonno.<br />

«È la gatta che me lo impedisce», disse fra sé, e la scacciò via.<br />

Morbidamente la gatta tonfò in terra, inarcò a suo comodo la<br />

folta coda, e balzò sulla stufa bassa: ma in quel punto la<br />

cameriera, che dormiva qui in camera per terra, venne a<br />

stendere il suo giaciglio, a spegner la candela e ad accender la<br />

lampadetta. Finalmente, anche la cameriera incominciò a<br />

russare; ma il sonno continuava a star lontano da Anna<br />

Fjòdorovna, e non veniva a sopirle la fantasia sconvolta. Il viso<br />

dell’ussaro le si presentava subito dinanzi, quando si faceva a<br />

chiudere gli occhi; e le appariva (avrebbe detto) in varie, strane<br />

forme per la stanza, quando con gli occhi spalancati, alla fievole<br />

luce della lampadetta, guardava la commode, il tavolino da<br />

notte, l’abito bianco pendente. Ora le pareva gran caldo sotto il<br />

piumino, ora era insoffribile il battito dell’orologio lì sul<br />

tavolino da notte, о intollerabilmente ronfava col naso la<br />

cameriera. La svegliò, e le ordinò che smettesse di ronfare. Poi<br />

di nuovo quei pensieri sulla figlia, sul vecchio conte e sul<br />

giovane, sulla préférencè, insistettero a mescolatesi stranamente<br />

nel cervello. Ecco che si vedeva nell’atto di ballare il valzer col<br />

conte vecchio, vedeva — piene e bianche – le sue proprie spalle,<br />

ci si sentiva sopra i baci di non so chi: e poi vedeva la sua<br />

figliuola tra le braccia del conte giovane. E di nuovo il ronfare<br />

d’Ústjuška era ricominciato...


«No, c’è qualcosa che non va, al giorno d’oggi; la gente non è<br />

più quella. Dentro al fuoco, per me, quello era pronto a<br />

buttarsi! E ce n’era, del resto, ben donde... Costui, invece, non<br />

aver paura che se la dorme come un marmottone, contento e<br />

soddisfatto dei quattrini che ha vinti: non c’è pericolo, no, che<br />

faccia la corte alle ragazze. E pensare, quello là, come veniva a<br />

dirti, in ginocchio: cosa vuoi che faccia, per te: che mi uccida<br />

all’istante? О cosa vuoi d’altro? E si sarebbe ucciso davvero,<br />

purché io gliel’avessi detto».<br />

Improvvisamente, un passo scalzo risonò per il corridoio, e<br />

Lìza, con nient’altro indosso che l’abituccio gettato sulle spalle,<br />

tutta pallida e tremante, irruppe nella stanza e si lasciò quasi<br />

cadere contro la madre sul letto...<br />

Quand’ebbe preso commiato dalla madre, s’avviò sola, Lìza,<br />

nella stanza che apparteneva allo zio. Infilato il giubbetto<br />

bianco, e avvolta nel fazzoletto da capo la pesante, lunga<br />

treccia, essa spense la candela, sollevò la finestra, e coi piedi<br />

s’arrampicò su una sedia, puntando pensosa lo sguardo verso lo<br />

stagno, che a quest’ora lustrava già tutto d’un ribrillio argenteo.<br />

Tutte le sue occupazioni, tutti i suoi interessi abituali,<br />

vennero d’un tratto ad apparirle dinanzi sotto una luce<br />

completamente nuova: la vecchia madre bisbetica (l’affetto<br />

indiscriminato per la quale era diventato parte dell’anima sua);<br />

il decrepito, ma simpatico zio; la gente di servizio, i contadini<br />

che adoravano la «signorina», le vacche da mungere e i vitellini;<br />

tutta questa natura che sempre, attraverso il suo ripetuto<br />

morire e rinnovarsi, rimaneva la stessa, e in mezzo alla quale,<br />

amando gli altri e riamata, lei s’era fatta grande; tutto ciò ch’era<br />

solito darle quel così fresco, così piacevole ristoro spirituale:<br />

vennero a sembrarle d’un tratto tutte cose fuor di posto,<br />

vennero a sembrarle tutte cose piene di tedio, inutili. Era come<br />

se una voce le avesse detto: «Sciocchina, sciocchina! Per<br />

vent’anni ti sei trascinata fra le insulsaggini, ti sei prestata a<br />

servir l’uno e l’altro, senza saper chiaramente perché, e non hai<br />

mai conosciuto che cosa sia la vita e la felicità!» In questi


momenti, fissa con lo sguardo in fondo all’immobile, luminoso<br />

giardino, pensava così con più forza, con molta più forza, di<br />

quanto altre volte avesse potuto pensarci in passato. E che cosa<br />

la aveva condotta a quest’ordine d’idee? Non era davvero un<br />

repentino amore pel conte, come facilmente si potrebbe<br />

supporre. Al contrario, quell’uomo non le era piaciuto. Sarebbe<br />

stato più facile che la attraesse il cornetta: ma questi era<br />

stordito, povero, così stranamente taciturno! Involontaria- |<br />

mente, le veniva fatto di dimenticarsene, mentre con rancore e<br />

disappunto continuava a suscitarsi nella fantasia l’immagine del<br />

conte. «No, non è quel che voglio io», diceva a se stessa.<br />

L’ideale che aveva lei, era così affascinante! Era un ideale che in<br />

mezzo a questa nottata, a questa natura, senza distruggerne la<br />

bellezza, avrebbe potuto esser amato; un ideale a cui non era<br />

mai stato imposto il menomo taglio, per ridurlo a combaciare<br />

con una qualsiasi grossolana realtà.<br />

Fin da principio, infatti, la solitudine, e la mancanza di<br />

persone che potessero interessarla, avevano fatto sì che tutta<br />

quella capacità d’amore, che nell’animo di ciascuno di noi è<br />

stata posta in misura uguale dalla Provvidenza, si mantenesse<br />

intatta e imperturbata nel suo cuore; e ormai, già da troppo<br />

viveva della malinconica felicità di sentire in se stessa la<br />

presenza di questo qualcosa, e di godere – schiudendo<br />

qualche volta la segreta valvola del cuore – la contemplazione<br />

delle ricchezze ivi riposte, da troppo viveva di questo perché<br />

potesse, senza ponderazione, riversare su qualcuno tutto ciò<br />

che serbava là dentro. E Dio volesse che fino alla tomba essa<br />

continuasse a compiacersi di questa sua avara felicità! Chissà<br />

che non sia questa la migliore e la più forte? E che non sia<br />

questa l’unica vera e l’unica possibile?<br />

«Signore Iddio mio! – pensava intanto. – Che davvero così,<br />

vanamente, mi sia andata perduta la felicità e la giovinezza, e<br />

che io non debba più averla... non debba averla mai più?<br />

Possibile che sia questa, la verità?» E sospendeva lo sguardo<br />

lassù, all’alto cielo luminoso intorno alla luna, sparso di


ianche nubi a onda, che passando dinanzi alle fievoli stelline,<br />

movevano verso il disco della luna. «Se quella nuvoletta<br />

bianca, più a sopra, va a toccare la luna, vuol dire ch’è la<br />

verità», si disse a un tratto. E già la nebbiosa, fumosa<br />

strisciolina era venuta a scorrere sulla metà inferiore del disco<br />

luminoso, e a poco a poco la luce s’affievolì sull’erba, sulle<br />

vette dei tigli, sullo stagno: le nere ombre degli alberi<br />

perdettero il loro spicco. E, come accordandosi a quella cupa<br />

ombria, che aduggiava la natura, una leggera ventata corse tra<br />

il fogliame, e portò fin qua alla finestra un guazzoso sentore di<br />

foglie, di terra umida e di lillà in fiore.<br />

«No, non è la verità, - si fece cuore la ragazza. — Ma ecco,<br />

piuttosto: se l’usignolo canterà stanotte, allora vuol dire ch’è<br />

tutta un’assurdità, quel che sto pensando, e che non bisogna<br />

disperare...» Così si disse; e a lungo, ancora, rimase lì seduta in<br />

silenzio, in attesa di qualche cosa, benché di nuovo tutto si<br />

fosse illuminato e ravvivato, e di nuovo – a più riprese – fossero<br />

andate a sovrapporsi alla luna le piccole nubi, e tutto si fosse<br />

oscurato. Il sonno ormai la aveva sopraffatta, così seduta alla<br />

finestra, quando l’usignolo la destò con un fitto trillio, che si<br />

spandeva squillante laggiù sullo stagno.<br />

La signorina di campagna aprì gli occhi. Ancora una volta,<br />

con un piacere nuovo, tutta l’anima le si rinnovellò in una<br />

misteriosa fusione con la natura, che così calma e luminosa si<br />

spiegava dinanzi a lei. Aveva puntellato a sostegno del capo<br />

tutt’e due le braccia. Non so quale sfibrante, soave senso di<br />

tristezza le opprimeva il petto; e lacrime d’un puro, ampio<br />

amore, che bramava d’esser appagato – buone, consolanti<br />

lacrime – le riempivano gli occhi. Abbandonò le braccia sul<br />

davanzale, e ci pose sopra la testa. La sua preghiera prediletta,<br />

istintivamente, le venne nell’anima; e così, con gli occhi<br />

bagnati, s’assopì.<br />

Il contatto d’una mano la riscosse. Essa si risentì. Ma era, quel<br />

contatto, leggero e gradevole. La mano stringeva più forte, a<br />

poco a poco, la sua mano. D’improvviso, si rese conto della


ealtà: diede un grido, balzò su, e, dando a credere a se stessa di<br />

non aver riconosciuto il conte, che stava ritto sotto la finestra<br />

tutto soffuso di luce lunare, si slanciò di corsa fuor dalla<br />

stanza...


XV.<br />

Realmente, quello, era il conte. Al grido della ragazza, e al<br />

raschio di gola con cui il guardiano, di là dal recinto, rispose a<br />

quel grido, precipitosamente, sentendosi come un ladro<br />

sorpreso, egli si mise a correre tra l’umida erba guazzosa, verso<br />

il fondo del giardino. «Ah, sono proprio uno stupido! –<br />

mormorò incoscientemente. – Le ho fatto paura. Più piano, con<br />

qualche parola, bisognava svegliarla. Ah, sono una bestiaccia<br />

sgraziata!»<br />

Si fermò, e tese l’orecchio: il guardiano, dal cancelletto, era<br />

entrato in giardino, e strascicava il bastone per la sabbia della<br />

viottola. Era necessario nascondersi. Egli calò giù verso lo<br />

stagno. Le rane, facendolo via via trasalire, s’affrettavano, di<br />

sotto ai suoi piedi, a tuffarsi nell’acqua. Laggiù, senza badare al<br />

fradicio che gli entrava nei piedi, si accucciò su se stesso, e<br />

incominciò a richiamarsi alla mente tutto ciò che aveva fatto:<br />

come aveva scavalcato il recinto, aveva cercato la finestra di lei,<br />

e infine aveva visto quell’ombra bianca; come parecchie volte,<br />

tendendo l’orecchio al minimo fruscio, s’era accostato e<br />

scostato dalla finestra; come a momenti aveva l’impressione che<br />

lei lo aspettasse irritata dei suoi indugi, a momenti che fosse<br />

impossibile che così facilmente gli accordasse un convegno;<br />

come, infine, supponendo che soltanto per timidezza di<br />

signorina di campagna fingesse a quel modo di dormire, s’era<br />

risolutamente riaccostato, e aveva potuto veder con chiarezza<br />

come stavano le cose: ma qui, d’improvviso, qualcosa lo aveva<br />

spinto a ritrarsi indietro a precipizio, e unicamente la vergogna<br />

— che lo aveva invaso – della propria vigliaccheria, lo aveva<br />

fatto tornar arditamente là accanto a lei, fino a sfiorarle la<br />

mano... Il guardiano scaracchiò un’altra volta, e, facendo<br />

cigolare il cancelletto, usci dal giardino. La finestra della camera<br />

della signorina sbatacchiò, e dall’interno fu sbarrata con<br />

l’imposta.


Al conte, quella vista, riuscì tremendamente penosa.<br />

Avrebbe pagato chissà quanto, pur che fosse possibile<br />

ricominciare tutto da principio: ora, non avrebbe mica più agito<br />

così da sciocco... «Pensare ch’è un tale incanto di signorina! Un<br />

tale botton di rosa! Proprio una meraviglia! E me la son fatta<br />

scappare così... Uno stupido animalaccio, ecco che sono!» Eppoi<br />

ormai, di dormire, non ne aveva più voglia: cosicché, col passo<br />

risoluto dell’uomo irritato fin sopra ai capelli, s’avviò innanzi,<br />

alla ventura, per la viottola a galleria lungo il viale dei tigli.<br />

E qui anche a lui questa nottata venne a portare i suoi doni<br />

pacificatori di una certa racquetante mestizia e d’un’aspirazione<br />

ad amare. Argillosa, con qualche filo d’erba che spuntava qua e<br />

là e qualche fuscello secco, la stradella era illuminata a<br />

cerchiolini — attraverso il folto fogliame dei tigli – dai pallidi<br />

raggi a piombo della luna. Ogni tanto un ramo aggrondato, che<br />

pareva rivestito d’un musco bianco, spiccava in luce ai margini.<br />

Le foglie, inargentandosi, sfrusciavano tratto tratto. Alla casa<br />

s’erano spente le luci, era cessato ogni rumore: soltanto<br />

l’usignolo riempiva di sé (si sarebbe detto) l’immensa, taciturna,<br />

luminosa estensione tutt’intorno. «Dio, che nottata! Che<br />

nottata stupenda! — pensava il conte, aspirando a pieni<br />

polmoni l’odorosa frescura del giardino. – Si sente una specie di<br />

rimpianto. Quasi un’insoddisfazione di se stessi e degli altri,<br />

un’insoddisfazione della vita intera... Gran brava, gran cara<br />

ragazza! Forse davvero sarà rimasta ferita...»<br />

A questo punto, nelle sue fantasticherie, avvenne un<br />

rimescolamento, e immaginò se stesso in questo giardino<br />

insieme con la signorina di provincia nelle più varie e strane<br />

situazioni; finché il posto della signorina fu preso dall’adorabile<br />

Mina. «Che razza d’imbecille sono io! Bisognava,<br />

semplicemente, afferrarla per la vita e baciarla». E con questo<br />

rammarico, il conte fece ritorno alla camera.<br />

Il cornetta non dormiva ancora. Egli subito si voltolò nel<br />

letto, con la faccia al conte.<br />

-Non dormi? - domandò il conte.


-No.<br />

-Ti debbo raccontare quel che m’è accaduto?<br />

-E che t’è accaduto?<br />

-No, è meglio non mettersi a raccontarlo... oppure sì, te lo<br />

racconto. Ritira un po’ le gambe.<br />

E il conte, che s’era ormai dato pace della piccola avventura<br />

mancata, sorridendo rianimato si sedette sul letto del<br />

compagno.<br />

-Figurati un po’ che... sai, la signorina di qui... mi aveva<br />

fissato un rendez-vous!<br />

-Ma che dici? – proruppe Pòlozov, scattando su dal letto.<br />

-Stammi a sentire.<br />

-Ma come avrebbe potuto? Quando? Non può essere.<br />

-Ecco come: mentre voi facevate i conti della préférence, lei è<br />

venuta a dirmi che sarebbe restata, stanotte, in finestra, e che<br />

quella finestra poteva essere scavalcata. Lo senti che cosa<br />

significa, essere una persona pratica? Intanto che voi, li con la<br />

vecchia, stavate a fare i conti, io in quattro e quattr’otto ho<br />

combinato tutto l'affaruccio. Eppoi l’hai sentita anche tu: l’ha<br />

detto anche in presenza tua, che voleva restarsene lì in finestra,<br />

a guardar lo stagno.<br />

-Ma questo l’ha detto cosi, senz’altri fini.<br />

-Oh, qui sta il busilli, se l’abbia detto a casaccio о no. Chissà,<br />

potrebbe darsi realmente che, così di colpo, non volesse ancora:<br />

ma certo le apparenze stavano per il sì. Ne è venuto fuori un<br />

pasticcio tremendo. Mi sono comportato da perfetto imbecille!<br />

— soggiunse il conte, con un sorriso di scherno per se stesso.<br />

-Ma di che si tratta, insomma? Dove sei stato?<br />

Il conte, omettendo soltanto le ripetute titubanze dei suoi<br />

approcci, raccontò tutto com’era andato.<br />

-Sono stato io a guastar le cose: bisognava essere più arditi.<br />

Ha dato un grido, ed è scappata via dalla finestra.<br />

-Sicché, ha dato un grido ed è scappata via, - disse il cornetta<br />

con un sorriso forzato, di rimando al sorriso del conte, a quel<br />

sorriso che aveva avuto su lui, per tanto tempo, un ascendente


tanto forte.<br />

-Già... Bah, ma adesso è ora di dormire.<br />

Il cornetta si voltolò di nuovo dall’altra parte, e così, con la<br />

schiena alla porta, in silenzio, rimase coricato una diecina di<br />

minuti. Iddio solo sa che cosa gli avvenisse nell’intimo; certo è<br />

che, quando tornò a voltarsi di qua, sul viso aveva<br />

un’espressione di sofferenza e di risolutezza.<br />

-Conte Turbini – esclamò con voce rotta.<br />

-О che hai: stai vagellando? - tranquillamente ribattè il<br />

conte. - Cosa c’è, cornetta Pòlozov?<br />

-Conte Turbin! Voi siete un mascalzone! - gridò Pòlozov, e<br />

balzò giù dal letto.


XVI.<br />

L’indomani, lo squadrone riparti. Gli ufficiali non rividero i<br />

padroni del posto, e non ne presero commiato. I due, fra loro,<br />

non scambiavano parola. Al primo luogo di sosta a cui<br />

sarebbero arrivati, c’era l’intesa di battersi in duello.<br />

Ma il capitano della guardia Schultz, buon compagnone,<br />

eccellente cavallerizzo, che tutti amavano al reggimento, e che<br />

il conte aveva scelto per suo padrino, riuscì ad accomodare così<br />

bene la faccenda, che non solo il duello non ci fu, ma nessuno -<br />

lì al reggimento - venne a sapere nulla di quell’incidente; e anzi<br />

gli stessi Turbin e Pòlozov, seppure non più nei rapporti<br />

amichevoli d’un tempo, durarono tuttavia a darsi del tu e a star<br />

accanto in pranzi e partite.<br />

(1856).

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