TRAKS INTERVIEW #6
Un nuovo, sontuoso numero di TRAKS INTERVIEW, il magazine online tutto interviste che in questo numero ha in copertina Oscar di Mondogemello, ma ha scambiato quattro chiacchiere anche con Panama, Jack Adamant, Malmö, Maione, Giacomo Toni, Marco Kron, Orson
Un nuovo, sontuoso numero di TRAKS INTERVIEW, il magazine online tutto interviste che in questo numero ha in copertina Oscar di Mondogemello, ma ha scambiato quattro chiacchiere anche con Panama, Jack Adamant, Malmö, Maione, Giacomo Toni, Marco Kron, Orson
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<strong>INTERVIEW</strong><br />
Numero 6 - ottobre 2017<br />
Oscar di Mondogemello<br />
canzoni per me<br />
Panama<br />
Malmö<br />
Giacomo Toni<br />
Orson<br />
Jack Adamant<br />
Maione<br />
Marco Kron
sommario<br />
4<br />
10<br />
16<br />
22<br />
26<br />
30<br />
34<br />
38<br />
Oscar di Mondogemello<br />
Panama<br />
Jack Adamant<br />
Malmö<br />
Maione<br />
Giacomo Toni<br />
Marco Kron<br />
Orson<br />
Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata<br />
senza alcuna periodicità. Non può pertanto<br />
considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge<br />
n. 62/2001. Qualora l’uso di un’immagine violasse<br />
diritti d’autore, lo si comunichi a info@musictraks.com<br />
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<strong>TRAKS</strong> <strong>INTERVIEW</strong><br />
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OSCAR DI MONDOGEMELLO<br />
Fotografie di Francesco Zeno Boni<br />
www.fboni.it<br />
ho cominciato a fare<br />
canzoni per me<br />
Ivan Borsariè un talentuoso cantautore modenese classe ’81 che, dopo oltre<br />
vent’anni da batterista per diverse formazioni locali decide di incarnare le<br />
vesti del songwriter e il risultato è un cantautorato italiano atipico, costruito<br />
con synth, chitarra e loopstation. Il suo ultimo album è “Nero”, in uscita<br />
per Tempura Dischi/Porcoggiuda Music File: composto da nove brani che<br />
rappresentano un’evoluzione sonora e stilistica molto distante dai precedenti<br />
due ep (Senza titolo e Miele). Caratterizzato da un suono distorto il disco<br />
porta con sé atmosfere cupe e molto intense. “Nero” è stato prodotto e mixato<br />
da Gabriele Riccioni.<br />
Sono passati un paio d’anni dall’ultimo<br />
tuo ep, ma musicalmente si sente<br />
uno stacco molto grande. Che cosa è<br />
successo e che cosa è cambiato per te<br />
da “Miele” a “Nero”?<br />
Ho semplicemente smesso di fare canzoni<br />
per altri e ho cominciato a farle<br />
per me. Il cambiamento di suono ne è<br />
la conseguenza. Effettivamente ci ho<br />
messo più del previsto, ma ho dedicato<br />
molto tempo alla scrittura e alla ricerca<br />
della giusta sonorità per ogni pezzo.<br />
Il disco suona molto acido e tirato,<br />
quasi carico di risentimento. Puoi descrivere<br />
le sensazioni che hanno ispirato<br />
le canzoni dell’album?<br />
Me lo dicono tutti quello che l’hanno<br />
ascoltato. In realtà sono molto ironico,<br />
e chi mi conosce lo sa. Le canzoni<br />
hanno tutte più livelli di lettura, e mi
piacerebbe che la gente si sforzasse<br />
di ascoltare e capire. In ogni caso,<br />
l’ispirazione arriva soprattutto da<br />
quello che mi succede, e da quello<br />
che vedo succedere. Io cerco di raccontarlo<br />
con una sorta di macabra<br />
ironia. Ecco.<br />
Per vent’anni hai fatto principalmente<br />
il batterista, perciò immagino<br />
che le tue canzoni abbiano una<br />
nascita e un’impostazione un po’<br />
diverse da quelle del cantautore<br />
classico. Hai un metodo di composizione<br />
standard oppure è variabile?<br />
Qual è la tua routine compositiva<br />
tipica?<br />
Ho da sempre suonato la chitarra,<br />
e in tutti gli anni durante i quali ho<br />
suonato la batteria ho sempre continuato<br />
a suonarla e a scrivere pezzi<br />
per me o per i gruppi in cui suonavo.<br />
La mia struttura compositiva è<br />
principalmente dettata dalla loop<br />
station, cioè qualsiasi riff io scriva<br />
per un pezzo, deve necessariamente<br />
incastrarsi melodicamente e ritmicamente<br />
con quello che c’è prima e<br />
quello che viene dopo. Idem per le<br />
batterie. Di base parto da un giro<br />
scritto improvvisando, e su quello<br />
lavoro. Altre volte invece parto dal<br />
testo e da una melodia vocale.<br />
Hai fatto la scelta di lavorare da solo<br />
anche in questo caso, fatta eccezione<br />
produzione e mix di Gabriele Riccioni.<br />
La tua scelta di “isolamento” è una<br />
scelta pratica oppure “ideologica”, per<br />
preservare le tue canzoni da interventi<br />
esterni?<br />
Per quanto riguarda la scrittura preferisco<br />
fare da solo, anche perché è un<br />
processo molto stratificato, in cui ogni<br />
parte resta a stagionare qualche tempo.<br />
Per quello che riguarda la produzione<br />
invece la mia è una scelta fondamentalmente<br />
economica. A me piacerebbe mol-<br />
6
to andare in studio per due mesi a registrare<br />
tutto come si deve, sperimentare<br />
suoni nuovi, e così via, ma non lo posso<br />
fare, quindi mi arrangio. La scelta di<br />
includere Gabriele è una sorta di eccezione,<br />
cioè è una cosa che avrei fatto<br />
solo con lui, perché siamo musicalmente<br />
sulla stessa lunghezza d’onda, e sapevo<br />
che avrebbe dato qualcosa in più<br />
al disco che io da solo non avrei saputo<br />
dare.<br />
Stesso quesito riguardo al live: anche<br />
dopo questo disco ti presenterai in<br />
concerto da solo oppure ti farai aiutare<br />
da qualche musicista?<br />
Per i live dovrei essere accompagnato<br />
da Gabriele al basso, ma è ancora tutto<br />
in costruzione.<br />
Come nasce “Canzone”?<br />
“Canzone” è nata in un momento di<br />
frustrazione pesante. Continuavo, e<br />
continuo, a vedere gruppi improponibili<br />
che suonavano ovunque, gruppi super<br />
pompati che visti dal vivo sembra che<br />
sia la seconda volta che prendono in<br />
mano uno strumento. Il ritornello spiega<br />
tutto.<br />
Un’altra canzone che mi colpisce molto<br />
e a proposito della quale vorrei sapere<br />
di più e “Ora”<br />
Ora, anche se non sembra, descrive la<br />
routine della mia giornata, in cui mi<br />
alzo, mi vesto, suono e faccio la spesa.<br />
Nel finale ho deciso di usare una parte<br />
di un radio dramma rai di un’opera<br />
di Sartre per descrivere la parte del<br />
giorno in cui lavoro. “A Porte Chiuse” è<br />
un’opera del ‘44 in cui il protagonista si<br />
risveglia all’inferno, che non è esattamente<br />
il posto che si immaginava, infatti<br />
è semplicemente una stanza in cui<br />
si trova costretto a passare l’eternità<br />
con 2 donne che odia. La sua conclusione<br />
è che i “l’inferno sono gli altri”.<br />
Puoi indicare tre brani che ti hanno<br />
influenzato particolarmente?<br />
Whores - I See You Are Also Wearing A<br />
Black T-Shirt<br />
Melt Yourself Down - Dot to Dot<br />
Maserati - Monoliths<br />
8 9
PANAMA<br />
spirito, filosofia, anfibi &<br />
sovrastrutture<br />
“Piramidi” è il suo primo album, dopo anni insieme al gruppo degli Entourage.<br />
Messinese, classe 1980, artista a 360 gradi: musicista, cantante e<br />
produttore, dall’animo rock ma con la testa sulle spalle, e il cuore rivolto al<br />
cantautorato italiano<br />
All’interno di “Piramidi” hai messo<br />
tutto te stesso, scrivendo, suonando, e<br />
registrando tutto in prima<br />
persona. Qual è stata la parte di cui<br />
ti sei occupato che ti ha emozionato<br />
di più, quella che ti ha reso un<br />
“genitore” orgoglioso di questa<br />
creatura discografica?<br />
Credo di aver sentito l’emozione più<br />
forte quando ho ascoltato tutto il disco<br />
completo, finito! Ed è stata la somma di<br />
tutte le sensazioni che ho avuto mentre<br />
lavoravo su ogni singolo pezzo,<br />
dalla scrittura iniziale al mix finale.
Quando fai un lavoro di questo tipo e<br />
non hai mai ascoltato e suonato prima<br />
con una band i brani, il risultato finale<br />
è davvero incerto. Ma questa condizione<br />
è una cosa che mi stimola molto e<br />
mi mette in gioco con più strumenti,<br />
da più punti di vista e quindi mi piace<br />
e credo che continuerò a farlo! Resta<br />
sempre il fatto che non condividere il<br />
lavoro con un produttore ti mette ogni<br />
giorno davanti a delle scelte importanti<br />
e le sensazioni, le emozioni, quello<br />
che senti è l’unica strada da seguire,<br />
quindi ogni momento di lavorazione ti<br />
dà delle emozioni che solcano un percorso<br />
che poi sarà il disco finale. Tutto<br />
è variabile, non sei legato a una band,<br />
sei libero, e lavorando nascono sempre<br />
nuove sfaccettature che variano in<br />
base a quello che senti e quello che vivi<br />
in quel momento. In questo disco ho<br />
comunque avuto il piacere di collaborare<br />
con Giovanni Alibrandi al violino in<br />
“L’osservatore”, “Come Aria” e “Messina<br />
Guerra e amore”, e Matteo Frisenna<br />
alla tromba in “Hey my (all’improvviso)”.<br />
Hai lavorato per parecchi anni con<br />
il tuo gruppo, gli Entourage, con cui<br />
avete ottenuto diverse soddisfazioni.<br />
Come è nato il desiderio di fare un<br />
album da solo?<br />
Direi che più che un mio desiderio di<br />
fare un disco solista sono stati tanti<br />
avvenimenti e circostanze per cui non è<br />
stato più possibile lavorare tutti insieme<br />
giornalmente, per vari impegni nostri<br />
personali. Inoltre crescendo avevamo<br />
idee diverse soprattutto sulla parte<br />
manageriale di Entourage, sulla promozione<br />
e sul progetto che da quel punto<br />
di vista non è mai stato ben chiaro.<br />
L’unica mia vera necessità personale è<br />
stata quella di continuare a coltivare<br />
questa mia passione e, perché no, questa<br />
mia virtù: suonare e scrivere canzoni,<br />
produrre musica. Poi se costretto<br />
a farlo da solo va bene lo stesso, non<br />
è stato il mio narcisismo ma più una<br />
necessità interiore, spirituale, intellettuale,<br />
sociale a cui non riesco a fare a<br />
meno.<br />
Parlando di una delle tracce del tuo<br />
nuovo album, “Hey My (All’Improvviso)”,<br />
hai dichiarato che “Fare rock<br />
‘n’roll è solo una questione di spirito<br />
e filosofia di vita”, mentre la cresta,<br />
il chiodo e gli anfibi sono solo sovrastrutture.<br />
Ma qual è la tua filosofia,<br />
cosa muove la tua essenza rock?<br />
Sinceramente credo che sia una cosa<br />
che sta ancora maturando dentro di<br />
me, non ha delle coordinate precise<br />
oggi. La mia onestà intellettuale, un<br />
percorso e l’arte come forma espressiva<br />
delle mie idee, come ricerca di un<br />
proprio linguaggio, sono alla base di<br />
questa filosofia e della mia essenza di<br />
uomo e di vita. Il Rock ‘n’ Roll è riuscire<br />
a essere liberi da qualsiasi costrizione<br />
che la società, o chiunque altra persona<br />
istituzione o cosa voglia importi,<br />
liberi da qualsiasi preconcetto ed è<br />
anche stato nel tempo la creazione di<br />
un’alternativa sociale. Se tutto ciò comporta<br />
un modo di vivere di apparire di<br />
vestire all’interno della società diverso,<br />
va bene, è ok, ma quello che conta<br />
poi in fondo è altro, e questo modo di<br />
rappresentarsi potrebbe essere solo un<br />
primo passo! Comunque la mia essenza<br />
deve concentrarsi nel contenuto e nella<br />
qualità di ciò che creo non nel genere<br />
musicale. È vero che i musicisti rock<br />
che piacciono a me sanno essere i più<br />
taglienti, crudi, poetici e capaci di sbatterti<br />
in faccia la verità come in pochi<br />
altri generi accade, però è vero che la<br />
musica deve essere anche un momento<br />
di assoluta goduria per l’animo, per<br />
le orecchie e per la mente, quindi può<br />
essere anche diversa dal rock, la sinfo-<br />
12<br />
13
nica ne è un grande esempio e anche lì<br />
c’è un aspetto poetico secondo me, nonostante<br />
non ci sia un testo narrativo.<br />
Quindi dal rock ho imparato tanto e ne<br />
avrò anche da imparare per sempre,<br />
ma oggi la mia essenza a livello musicale<br />
non è solo quella, è molto varia nel<br />
genere e nella rappresentazione.<br />
“Messina, Guerra e Amore” è il brano<br />
che chiude l’album, e che lascia una<br />
scia di emozioni e riflessioni. Che rapporto<br />
hai con la tua terra? Pensi che<br />
esista un legame tra la possibilità di<br />
fare musica e i luoghi di appartenenza<br />
degli artisti?<br />
Credo nel legame con la mia terra di<br />
origine e proprio attraverso questo<br />
brano me ne sono reso conto e ho chiarito<br />
questa cosa dentro me stesso, ma<br />
se penso alle sonorità mediterranee o<br />
siciliane, direi che sono veramente distante<br />
da quel tipo di idea di musica in<br />
generale, di produzione dei suoni, magari<br />
non nei contenuti ma sicuramente<br />
nella esteticità del progetto. Sono stato<br />
sempre attratto dalle sonorità del nord<br />
dell’ Europa, America e Italia, non so<br />
perché, ma le sento più vicine rispetto<br />
a quelle del sud del mondo, anche<br />
se, per esempio, nel disco e proprio in<br />
Mes”sina Guerra e Amore” c’è anche<br />
una parte che mi ricorda l’Africa e il<br />
blues che proviene dagli afro-americani.<br />
Quindi credo sia un equilibrio<br />
strano, poi ti vivi la vita e se la vivi a<br />
Messina si sente e si deve sentire. Il<br />
territorio sicuramente gioca un ruolo<br />
importante, anche perché la vita che tu<br />
vivi entra nelle canzoni, e a oggi per me<br />
la cosa importante è raccontare la vita<br />
che si vive e trovare la forma giusta per<br />
rappresentare questo tipo di esperienza<br />
attraverso la musica. Per quanto<br />
riguarda la parte testuale vorrei sottolineare<br />
che tutto nasce soltanto dal mio<br />
istinto di sopravvivenza, che spesso per<br />
scuotermi va a toccare dei punti dolenti<br />
inducendomi a scrivere, e questa<br />
volta è toccato alla mia città, Messina.<br />
Non vuole essere né una provocazione<br />
né una paternale. La conclusione a cui<br />
sono arrivato dopo diversi mesi dalla<br />
scrittura del testo è che il motivo inconscio<br />
per cui ho scritto questo brano sta<br />
nel fatto che Messina non “sa” di me,<br />
non ha il sapore di quello che piace a<br />
me, e ciò che mi rimprovero di più è che<br />
io non sia riuscito sino a ora a trasferire<br />
anche un po’ della mia identità in<br />
questa città. Ho preso una grossa responsabilità<br />
scrivendo questa canzone,<br />
ma la musica è anche responsabilità e<br />
cultura!<br />
Alcune delle tue influenze musicali<br />
sono piuttosto riconoscibili ed evidenti,<br />
ma curiosando nel tuo passato ho<br />
trovato alcune cover di grandi cantautori<br />
italiani che mi hanno in parte, sorpresa.<br />
Tenco, De Gregori, De André…<br />
Se dovessi scegliere un artista, su tutti,<br />
che ti ha toccato più profondamente,<br />
chi sceglieresti? E nel panorama<br />
musicale attuale c’è qualche artista<br />
che segui particolarmente?<br />
Negli ultimi anni direi che l’artista che<br />
mi ha più toccato è sicuramente Luigi<br />
Tenco. Credo che attraverso le sue canzoni<br />
lui abbia trovato una sua poetica<br />
molto intensa ed espressiva che a oggi<br />
è ancora attuale, ma anche la sua storia<br />
mi ha colpito in modo importante.<br />
Durante la mia adolescenza e prima<br />
gioventù ciò che invece mi piaceva, mi<br />
attraeva, interessava era altro perché<br />
avevo bisogno del rock allo stato puro:<br />
Led Zeppelin, Black Sabbath, Nirvana,<br />
Sonic Youth, Karate, Radiohead,<br />
Jesus Lizard, Bauhaus, Joy Division,<br />
The Smiths, eccetera… Nel panorama<br />
musicale italiano odierno quelli che<br />
vedo più vicini a me in questo periodo<br />
della mia vita, anche se soltanto in linea<br />
generale, credo siano Maroccolo,<br />
Battiato, Basile, Conte e Canali; a livello<br />
internazionale Nick Cave, Mark<br />
Lanegan, Neil Young, Paul McCartney,<br />
Tom Waits, Roger Waters, Steve Albini,<br />
Leonard Cohen, Jimi Hendrix, Lou<br />
Reed, Brams, Bottesini, Berio, ma anche<br />
altri.<br />
Chiara Orsetti<br />
14<br />
15
JACK ADAMANT<br />
una chitarra cambia le cose<br />
E’ partito da una scatola di latta, è passato dalla Svezia, ha sentito l’esigenza<br />
di tornare a casa e alla fine ha pubblicato “Lunch at 12 since ‘82”,<br />
partendo dallo spunto della sicurezza che regalano le buone abitudini<br />
Puoi raccontare la tua storia fin qui?<br />
Da piccolo volevo costruire una chitarra<br />
utilizzando scatole di biscotti, quelle<br />
dove le nostre madri mettono tutto ció<br />
che serve per cucire. Le avevo perforate<br />
per poterci far passare i fili di nylon.<br />
Come primo tentativo fu un totale fallimento.<br />
Mi serviva una chitarra, l’unico<br />
problema era come chiederlo ai miei<br />
genitori. Alla fine, un po’ con la scusa di<br />
andare da un insegnante di musica, un<br />
po’ facendo perno su qualche falsa promessa,<br />
si convinsero che forse una chitarra<br />
avrebbe cambiato alcune cose.<br />
Avevo una marea di testi, versi e melodie<br />
che potevo sviluppare soltanto<br />
con l’aiuto di uno strumento musicale.<br />
Dopo vari tentativi, giunsi a conclusione<br />
che mi serviva qualcuno che mi<br />
insegnasse almeno le basi, i famosi<br />
quattro accordi. Da qui conobbi Sandro<br />
(l’attuale batterista dei Valerihana) e<br />
ci trovammo nella sua mansarda a suonare.<br />
Nel 2006 avevo rotto da poco con<br />
la band in cui cantavo prevalentemente<br />
cover degli Oasis, Travis, REM, Stereophonics,<br />
The Verve, mentre Sandro<br />
aveva messo su una band grunge. Mi<br />
fu offerto di fare una prova con loro:<br />
aggiungemmo una cover di Ramones,<br />
Placebo e Green Day e cominciammo<br />
a suonare in giro. I Valerihana stavano<br />
prendendo forma, tanto da arrivare<br />
finalmente a comporre pezzi propri.<br />
C’era un problema: il nostro chitarrista<br />
abitava in Svezia, quindi perché<br />
non spostarsi lì? La mia passione per la<br />
musica e l’inglese furono sicuramente<br />
da stimolo a lasciare l’Italia per almeno<br />
un paio di anni. Già ero stato in Svezia<br />
in passato e, ogni volta che trascorrevo<br />
un po’ di tempo li, la voglia di scrivere<br />
e raccontare quello che vivevo e sentivo<br />
dentro di me si potenziava sempre di<br />
più. Nel 2014 esce “Out of regulation”,<br />
il nostro primo album autoprodotto e<br />
registrato a Stoccolma. Seguirono concerti,<br />
viaggi, contest, giornate spese<br />
in sala prove per la rifinitura di nuovi<br />
pezzi e tante idee messe in cantiere.<br />
L’idea del progetto solista nasce dal<br />
fatto che una buona parte delle canzoni<br />
che scrivevo avevano un’impronta<br />
differente. Con la band abbiamo avuto<br />
sempre l’imbarazzo della scelta riguardo<br />
ai pezzi da suonare, ma alcune delle<br />
canzoni che scrivevo non erano molto<br />
adatte a ciò che facevamo. Quindi<br />
pensai che forse con un po’ di lavoro in<br />
più sarebbe stato possibile iniziare un<br />
progetto parallelo a quello della band.<br />
Non volevo lasciare nel dimenticatoio<br />
canzoni che significavano molto per me,<br />
soprattutto nel momento in cui i sono<br />
ritrovato single nell’arco di un giorno e<br />
mezzo, per di più senza un lavoro. Ave-<br />
16<br />
17
vo bisogno di pensare più a me stesso,<br />
mangiavo cibo di merda, non dormivo<br />
la notte e pensavo a come non pensare.<br />
Non ero più convinto di quello che<br />
stavo facendo e lamentarsi non certo<br />
avrebbe aiutato a risolvere tutto questo.<br />
Dopo l’ultimo incontro con i Valerihana<br />
mi resi conto che era arrivato il<br />
momento, dopo quasi sei anni, di tornare<br />
a casa. Erano anni che non passavo<br />
più di una settimana con la mia famiglia.<br />
La situazione era perfetta, nella<br />
mia mente prendeva già forma lo scenario<br />
dell’esordio solista. Avevo bisogno<br />
soltanto di uno studio per registrare e<br />
un’etichetta che mi potesse seguire. In<br />
poco tempo trasformai la mia camera<br />
in un mini studio di registrazione e in<br />
paio di settimane avevo già un’idea abbastanza<br />
chiara di quello che sarebbe<br />
stato “Lunch at 12 since ‘82”. Appena<br />
le prime registrazioni presero forma,<br />
contattai qualche etichetta. Fui molto<br />
sorpreso quando la prima chiamata<br />
arrivò: “Ciao sono Sfefano quello di ARrecordings,<br />
ho sentito i pezzi che mi hai<br />
inviato e sono bellissimi”.<br />
Hai dedicato il disco all’abitudine di<br />
pranzare alla stessa ora ogni giorno<br />
dei tuoi genitori, e in genere ai capisaldi<br />
che tengono unite le persone. Come<br />
ti è venuta questa illuminazione e quali<br />
sono gli altri spunti su cui hai costruito<br />
il disco?<br />
Vivere lontani da casa, a volte, fa dimenticare<br />
da dove veniamo e spinge<br />
spesso a cambiare abitudini. Prende<br />
il sopravvento il posto a sedere<br />
in metropolitana, le corse sulle scale<br />
mobili, l’ultimo del mese e i costi<br />
dell’affitto. Quando torni a casa tutto<br />
questo ti scivola via di dosso, sembra<br />
non appartenerti. Non mi ero mai<br />
soffermato così minuziosamente su<br />
tutto ciò che accadeva ai miei genitori.<br />
Qualche volta me li ero immaginati<br />
seduti a tavola, ma averli visti<br />
in carne e ossa ha avuto tutto un<br />
altro effetto. Quello che ho fatto per<br />
prendere spunto per le mie canzoni è<br />
stato osservare e fotografare per poi<br />
descrivere e spiegare. L’esigenza di<br />
pranzare alle 12 in punto è dettata<br />
un po’ dal fatto che mio padre sia un<br />
operaio, un po’ dalla cultura che sceglie<br />
quell’orario preciso per fare un<br />
punto della situazione su ciò che ci<br />
accade o dovrà accadere. Le aziende lo<br />
chiamano meeting, io lo chiamo “lunch<br />
at 12”, mia madre lo chiama “a tavola<br />
che è pronto”. A parte analizzare quello<br />
che accadeva in quel piccolo mondo<br />
familiare, il tema principale del disco<br />
trova spunto anche in molti episodi vissuti<br />
a Stoccolma, tra tutte quelle bozze<br />
di canzoni che avevo per trovare quelle<br />
che rispecchiassero il tema di “Lunch<br />
at 12 since ’82” pur senza fare direttamente<br />
riferimento a mio padre e mia<br />
madre. Episodi come la fiducia verso<br />
chi ti circonda, l’adattarsi a un tipo di<br />
cultura praticamente nuova, il trasloco,<br />
la voglia di scappare via. È come se<br />
lo stesso istante venisse vissuto in due<br />
posti diversi.<br />
Hai iniziato a scrivere canzoni in italiano<br />
ma poi hai scelto l’inglese:<br />
perché?<br />
All’inizio, un po’ la musica che ascoltavo<br />
- prevalentemente in inglese - un po’<br />
il fatto che tutto ciò che scrivevo suonava<br />
troppo melodico e terribilmente<br />
18<br />
19
sdolcinato mi ha portato a cambiare<br />
qualcosa. Alla fine l´80% del repertorio<br />
che cantavo nelle varie band in cui<br />
suonavo era in inglese, quindi il passaggio<br />
non è stato poi cosi difficile. Ho<br />
vissuto molto tempo all’estero dove la<br />
maggior parte del tempo ho parlato (e<br />
parlo ancora) inglese, oltre allo svedese<br />
e a quella sorta di dialetto avellinese<br />
che uso quelle due volte al mese in cui<br />
chiamo a casa. Quando scrivo qualcosa<br />
lo faccio sempre in inglese perché mi risulta<br />
più pratico, l’italiano è una lingua<br />
troppo complicata. Della lingua inglese<br />
mi piace il suono delle parole e il fatto<br />
che anche un concetto complesso lo si<br />
possa spiegare con parole relativamente<br />
semplici.<br />
Dal punto di vista sonoro hai cercato<br />
di andare un po’ oltre la classica matrice<br />
da songwriter di estrazione folk.<br />
Quali erano i tuoi obiettivi, da questo<br />
punto di vista, scrivendo l’ep? Ritieni<br />
di averli raggiunti tutti?<br />
La mia passione principale è la musica<br />
alternativa. Con i Valerihana mi risulta<br />
più facile sperimentare anche per il<br />
solo fatto di trovarmi in una band, ma<br />
quando si è da soli con una chitarra la<br />
creatività e la fantasia fanno da guida.<br />
Devi fare davvero le scelte giuste altrimenti<br />
sei scontato. Spesso e volentieri<br />
accordo la chitarra in modo differente,<br />
uso molto il capotasto e vado alla ricerca<br />
di accordi che non avevo utilizzato<br />
prima. L’idea, inizialmente, era quella<br />
di dare alle mie canzoni un indirizzo<br />
folk, un po’ alla Neil Young, per intenderci,<br />
senza trascurare l’irruenza delle<br />
chitarre elettriche e del basso. È venuto<br />
fuori, invece, il prevalere degli archi<br />
su tutto, cosa che non mi ha sorpreso<br />
più di tanto e ha semplicemente posticipato<br />
quello che volevo fare in questo<br />
album. Riguardo agli obiettivi, quello<br />
principale era cercare di stare meglio.<br />
La musica mi tiene compagnia quando<br />
sono solo e mi suggerisce cosa dire<br />
quando mi trovo davanti ad altre persone.<br />
Quindi se la domanda è se sono<br />
soddisfatto e felice di questo progetto,<br />
la risposta è sì.<br />
Quali sono i tuoi punti fermi musicali?<br />
Mi piacciono molto i Lemonheads, i Dinosaur<br />
Jr., Bob Mould e i Superchunck.<br />
Queste band sono il fondamento di<br />
quello che faccio, li ascolto in continuazione<br />
e sento che ho sempre molto da<br />
imparare da loro. Nel periodo che ha<br />
preceduto “Lunch at 12 since ‘82” ho<br />
ascoltato molto i Neutral Milk Hotel,<br />
J Mascis e The Cure, che di sicuro mi<br />
hanno dato la giusta spinta nel buttare<br />
giù queste cinque canzoni. Quanto alla<br />
musica italiana, mi piacciono molto Lucio<br />
Battisti, Bruno Lauzi e Pierangelo<br />
Bertoli. L’aver vissuto in Italia di sicuro<br />
mi ha influenzato in ambito di cantautorato<br />
per quanto riguarda la parte<br />
musicale. Una buona ispirazione, però,<br />
viene dall’Inghilterra e dagli USA anni<br />
90’.<br />
Vivi a Stoccolma: che tipo di accoglienza<br />
c’è per il tuo tipo di musica?<br />
Vivo ancora a Stoccolma e devo dire<br />
che apprezzo molto il fatto che qui non<br />
ci si spaventa dinanzi alla novità. Vuoi<br />
farli arrabbiare? Suonagli le cover. Ci<br />
si annoia facilmente nel vedere le cose<br />
ripetersi e il fatto che ci sia un’apertura<br />
cosi forte verso le nuove culture ti fa<br />
capire quanta curiosità c’è nell’aria. La<br />
città cambia velocemente, si riempie<br />
di nuovi luoghi e persone, non passano<br />
un paio di mesi che ti ritrovi in un posto<br />
tutto nuovo. Non è difficile trovare<br />
occasioni per suonare. In tutti questi<br />
anni ho conosciuto molti musicisti e<br />
condiviso tante cose insieme a loro. Ho<br />
aiutato spesso una organizzazione che<br />
si chiama Stockholms Groove, che sostiene<br />
e aiuta gli artisti emergenti. È<br />
davvero motivante poter essere di supporto<br />
a chi come me non desidera altro<br />
che essere ascoltato. Per il momento mi<br />
trovo bene qui, anche se nulla esclude<br />
la possibilità di tornare a casa. Non mi<br />
dispiacerebbe registrare un altro paio<br />
di canzoni nel posto in cui sono nato.<br />
La gran parte del supporto è sicuramente<br />
venuta dalla mia famiglia, i miei<br />
amici e Stefano di AR Recordings che<br />
subisce costantemente i miei discorsi<br />
spesso senza un filo logico.<br />
20 21
MALMÖ geografie post rock<br />
La band campana pubblica il debutto su lp “Manifesto della chimica romantica”<br />
e racconta di atmosfere che richiamano il tema del viaggio e del movimento<br />
perpetuo, con una meta mai raggiunta come obiettivo<br />
Arrivate al primo album forti dei buoni<br />
riscontri del vostro demo e dei numerosi<br />
concerti in cui vi siete esibiti.<br />
Con quali obiettivi e premesse vi siete<br />
accostati al lavoro su “Manifesto della<br />
chimica romantica”?<br />
Per ogni artista arriva il momento di<br />
volersi mettere in gioco sul serio e capire<br />
se quel sogno tanto inseguito possa<br />
diventare qualcosa di più. Il percorso<br />
non è sempre lineare e ognuno ci arriva<br />
o prova ad arrivarci in modi diversi.<br />
Il fattore che più di altri ci ha spinti<br />
a registrare un disco è stata la necessità<br />
di riuscire a suonare in posti che<br />
permettevano alla nostra ingombrante<br />
strumentazione e alle nostre dinamiche<br />
a volte fortissime, di esprimersi al<br />
meglio e per suonare in quei posti, per<br />
fare quel salto di qualità, hai bisogno di<br />
un “prodotto” importante, fatto a regola<br />
d’arte.<br />
Parliamo della scelta dei collaboratori:<br />
che cosa vi ha portato a scegliere<br />
Massimo De Vita (Blindur) per la produzione,<br />
e a spingervi verso i ghiacci<br />
islandesi di Birgir Jon Birgisson dei<br />
Sigur Ros per il master?<br />
La scelta di lavorare con Massimo è<br />
maturata in modo naturale. C’è un<br />
rapporto umano molto intenso prima<br />
di quello professionale. Ha la stessa<br />
nostra sensiblità e lo stesso gusto per i<br />
particolari, per quel tipo di ambienti e<br />
suoni che siamo riusciti a rievocare in<br />
questo disco. Crediamo che sia uno dei<br />
produttori emergenti più bravi in Italia<br />
e il fatto che abitiamo a pochi chilometri<br />
di distanza è una coincidenza fortunata.<br />
Massimo aveva già collaborato<br />
con Biggi per i missaggi e il mastering<br />
del disco dei Blindur e trasferire anche<br />
nel nostro lavoro quei colori e quelle sonorità<br />
tipiche dei posti e dei dischi che<br />
ci hanno ispirato è stata un’opportunità<br />
preziosa.<br />
Praticamente ogni canzone dell’album<br />
parte piano per poi alzare il volume<br />
e terminare con un “fortissimo”:<br />
una scelta programmatica o una situazione<br />
che emerge spontanea dalla<br />
composizione delle vostre canzoni?<br />
I cambi dinamici, i continui crescendo,<br />
i fortissimi e i pianissimi sono caratteristiche<br />
del nostro modo di fare musica<br />
e del post rock in generale. Difficilmente<br />
ci approcciamo alla composizione in<br />
maniera ragionata. Il più delle volte<br />
per noi è molto naturale passare da<br />
momenti di intimità e parole sussurate<br />
a esplosioni di suoni.<br />
Dalle note che accompagnano l’album<br />
è piuttosto evidente che avete lavorato<br />
sulle canzoni con già in mente<br />
l’esecuzione dal vivo, e anzi le avete<br />
già testate in concerto. Come potete<br />
descrivere i vostri live a chi non vi ha<br />
ancora sentito?<br />
Per quanto la produzione di “manifesto<br />
della chimica romantica” sia molto<br />
curata, ci sono davvero pochissime sovraincisioni<br />
o parti che non riusciamo a<br />
riprodurre fedelmente dal vivo. Questo<br />
concetto di avere un disco “veritiero” è<br />
22<br />
23
stato uno dei presupposti con cui, insieme<br />
a Massimo, ci siamo approcciati alle<br />
registrazioni. Durante i nostri concerti<br />
cerchiamo sempre di condurre il pubblico<br />
a un’esperienza che va oltre quella<br />
puramente musicale, il nostro obiettivo<br />
è quello di portare chi ci ascolta nel<br />
nostro mondo, nel nostro immaginario.<br />
Dichiarate che “Jules Verne” è la canzone<br />
alla quale siete più affezionati:<br />
perché e come nasce?<br />
“Jules Verne” è la canzone che racchiude<br />
meglio l’immaginario dei Malmö.<br />
Indubbiamente i libri di Verne hanno<br />
ispirato i nostri<br />
concetti<br />
di viaggio e<br />
di avventura,<br />
la visione<br />
scientifica<br />
delle vita che<br />
è però allo<br />
stesso tempo<br />
romantica<br />
e imprevedibile.<br />
Nel<br />
libro “Viaggio<br />
al centro<br />
della terra”<br />
i protagonisti<br />
si calano<br />
nel vulcano<br />
Sneffels in<br />
Islanda e riemergono<br />
a<br />
Stromboli,<br />
quasi come<br />
se Verne ci<br />
avesse teso<br />
questo filo<br />
tra i Mari del<br />
Nord e il Mediterraneo.<br />
Quali sono i vostri punti fermi, le vostre<br />
band di riferimento?<br />
Ognuno di noi ha un background diverso<br />
che ci ha permesso di arrivare<br />
al sound dei Malmö. Sicuramente le<br />
band storiche del post rock come gli<br />
Explosions in the sky, i Mogwai e i Sigur<br />
Ros sono tra le nostri fonti di isparazione.<br />
Ma anche gruppi quali i Tool,<br />
Radiohead, Cure, U2, passando dal<br />
grunge degli anni ‘90 ai cantautori.<br />
24 25
MAIONE<br />
la speranza del disco immortale<br />
Da solo oppure in svariate combinazioni, il cantautore vanta collaborazioni<br />
eccellenti (Michele Serra, Antonella Ruggiero, Antonio Albanese, Moni Ovadia)<br />
un disco uscito da un anno e un altro in arrivo, con molti sogni a bordo<br />
Dalla nostra ultima chiacchierata<br />
sono passati 6 mesi. Puoi raccontare<br />
che cosa hai fatto dall’uscita del tuo<br />
esordio da solista “Assassini si nasce”<br />
fino a oggi?<br />
Be’ ho fatto diverse interviste radiofoniche<br />
e per la carta stampata, ho avuto<br />
parecchie recensioni, ho fatto concerti,<br />
ho girato alcuni video, e ho fatto anche<br />
performance poetiche, per non tralasciare<br />
questo altro settore a cui sono<br />
molto interessato. Ho tessuto nuove<br />
amicizie e mi sono esibito in piccoli<br />
club, in qualche posto anche solo chitarra<br />
e voce. Però io non amo molto esibirmi<br />
da solo, anche se in parte mi fa<br />
sentire più libero, meno vincolato alle<br />
stesure. Ma quando scrivo un brano lo<br />
penso già come eseguito da una band.<br />
E poi francamente, la presenza di altri<br />
musicisti sul palco mi dà più energia e<br />
gioia. Soprattutto quando ti trovi con<br />
persone che, oltre a essere bravi musicisti,<br />
sono anche amici. Amo molto la<br />
presenza dei tamburi che mi “percuotono”<br />
l’anima e il corpo (adoro la batteria)<br />
e il basso che mi prende allo stomaco.<br />
Per non parlare della tromba, sia quando<br />
barrisce che quando sogna…<br />
Sei sempre attivo con il Rhapsodija<br />
Trio?<br />
Certo, il Rhapsòdija Trio è un punto<br />
fermo. Abbiamo sempre diversi concerti,<br />
adesso stiamo preparando un nuovo<br />
spettacolo, molto particolare, con la<br />
cantante lirica inglese Rachel ‘O Brien.<br />
Con lei, che è bravissima, abbiamo già<br />
collaborato tante volte, ad esempio nello<br />
spettacolo “Luci Taglienti a Nordest”,<br />
di Musicamorfosi, e “EST IS BEST”, di<br />
Equivoci Musicali. Il prossimo spettacolo<br />
sarà tutto incentrato su un mix tra<br />
musica irlandese e gipsy. E’ un’idea di<br />
Rachel, molto fantasiosa e accattivante.<br />
E poi, molto importante, stiamo cominciando<br />
a pensare a un nuovo cd del<br />
trio, sarebbe l’ottavo. Maurizio Dehò io<br />
e Nadio Marenco (ovviamente indipendentemente<br />
dai miei progetti personali)<br />
So che stai lavorando a un disco nuovo.<br />
Puoi anticipare qualcosa?<br />
Si, il prossimo cd è già in cantiere. I<br />
pezzi ci sono, e anche alcune preproduzioni<br />
sono già pronte. Di pezzi ne ho fin<br />
troppi, per un cd, quindi mi toccherà<br />
fare una dolorosa cernita. Scherzo ovviamente.<br />
Ma i brani sono tutti figli e<br />
i figli so’ piezz’ ‘e core, si sa. Per questo<br />
stesso motivo, spero che faccia ancora<br />
un po’ di strada il mio primo cd, AS-<br />
SASSINI SI NASCE. In fondo, è passato<br />
solo un anno dalla pubblicazione!<br />
Sì lo so, siamo nell’era dell’usa e getta,<br />
e i tempi corrono velocemente. Ogni<br />
musicista spera sempre di creare il disco<br />
immortale, ma questo oggi non credo<br />
sia possibile, c’è troppa carne al fuoco,<br />
troppa offerta (se mai questa possa<br />
essere troppa), e troppa frammentazione…<br />
i fenomeni a cui eravamo abituati,<br />
quelli degli anni ‘60 o ‘70, che tutti<br />
ma proprio tutti conoscevano, quasi<br />
senza distinzione di età, gusti, estrazione<br />
sociale… Be’, forse non potranno<br />
più ripetersi. Poi, per quanto riguarda<br />
me, sai, non sono né Roger Waters, né<br />
Morricone. Sono un semplice canzonettaro<br />
e già sarebbe abbastanza riuscire<br />
a vivere di live. Per quanto riguarda il<br />
prossimo cd, ci sarà sicuramente una<br />
continuità nello stile, intendo dire il<br />
mio stile originario, il marchio, quel<br />
non so che che ti fa riconoscere, e che<br />
io credo di avere. Ma le sonorità saranno<br />
un po’ diverse. Ho dato a Giuseppe<br />
Rotondi, il mio carissimo co-arrangia-<br />
26 27
tore, molta più libertà… o forse se l’è<br />
presa da solo? Non l’ho ancora capito<br />
bene, ma va bene. Ha già cominciato a<br />
massacrarmi. Sì, ci amiamo! Nessuno<br />
riesce a starci attorno in quei momenti,<br />
neanche mogli o fidanzate. Volano<br />
i coltelli, figurati gli epiteti. E lui è un<br />
grande tagliatore. Di teste? Forse. Sicuramente<br />
di stesure, e ti ricordo che<br />
è un batterista. Ha una visione più<br />
generale della mia. È uno che ascolta<br />
molto, fiuta tutto quello che c’è in giro,<br />
osa, sperimenta... L’organico principale<br />
sarà sempre basso, batteria e chitarre,<br />
diverse chitarre, che nel cd suonerò io,<br />
poi dal vivo si vedrà. Credo che sicuramente<br />
continuerò a servirmi anche della<br />
tromba. Ci saranno ancora dell’urbano<br />
e del mediterraneo, riff, melodie<br />
strumentali e chitarre distorte, a volte<br />
un po’ cattivelle. Saranno prevalentemente<br />
canzoni, con testi molto curati,<br />
anche se qualche volta devo sacrificare<br />
le parole alla musica. Soprattutto storie<br />
di personaggi. Situazioni di alienazione,<br />
rabbia, contestazione, ma anche<br />
di ironia e divertimento. Anche tematiche<br />
sociali, ma soprattutto storie di tipi<br />
un po’ strambi, per i quali ho una certa<br />
affezione. Amo molto spaziare tra il riso<br />
e il pianto. La malinconia è un elemento<br />
sempre presente nelle mie composizioni,<br />
ma poi mi piace rappresentarla<br />
in maniera coraggiosa, di lotta, di non<br />
rassegnazione. Continuerà a prevalere<br />
l’impostazione rock, forse un po’ più<br />
pop. Ci saranno brani con ritmiche serrate<br />
e aggressive, ma anche momenti<br />
di lirismo, più distesi. Il titolo l’ho già<br />
deciso ma non lo svelo. Non per tirarmela,<br />
ma perché il giorno prima posso<br />
anche cambiare idea… Mi piacciono<br />
molto le armonie melodiche, nel senso<br />
dell’uso di note singole che creino appunto<br />
una sorta di armonie orizzontali.<br />
Ci saranno temi strumentali alternati<br />
a parti cantate. E poi… come ti dicevo,<br />
alla fine la difficoltà sarà proprio nella<br />
scelta dei brani. Sto mettendo lo stesso<br />
impegno per tutti quelli che ho scritto.<br />
Saranno l’orecchio, e naturalmente anche<br />
il cuore, a decidere. E anche la fortuna:<br />
a volte parti in quarta, pensando<br />
che il brano migliore possa essere uno,<br />
e poi alla fine ti accorgi che un altro sul<br />
quale non avevi puntato, invece spacca,<br />
è riuscito il migliore. So già che non<br />
sarà facile. Ma ci proverò.<br />
Hai collaborato in passato con nomi<br />
molto prestigiosi della musica e<br />
dello spettacolo italiano. Quale artista<br />
vorresti che partecipasse al tuo<br />
prossimo album?<br />
Bella domanda. Be’, se mi provochi e<br />
mi assicuri che davvero posso scegliere,<br />
mi piacerebbe la partecipazione di<br />
Adrian Belew. Lo so, esagero, ma per<br />
esagerare ancora di più, in fase di arrangiamento,<br />
in alcuni brani in particolare,<br />
mi sarebbe piaciuta la mano di<br />
Ennio Morricone, e perché non Nino<br />
Rota? Ma di quest’ultimo mi basta la<br />
sua anima e quello che ci ha lasciato.<br />
Non so ancora se ci sarà qualche brano<br />
in lingua napoletana. Sono stato<br />
sempre molto sensibile alle musiche<br />
di autori italiani tra cui appunto<br />
Rota, Morricone, Fiorenzo Carpi, ma<br />
anche Jannacci e altri. Quello che hai<br />
dentro è tuo. Quello che c’è fuori di te<br />
e in cui ti ci ritrovi, lo acquisisci e lo<br />
mescoli... Se vuoi che esageri ancora,<br />
un altro personaggio che vorrei volentieri<br />
nel cd è Marc Ribot, che ho sempre<br />
sentito molto vicino. Comunque<br />
mi dovrò accontentare di me stesso e<br />
fortunatamente del grande Giuseppe<br />
Rotondi,co-arrangiatore, nonché<br />
batterista e fonico. Dal vivo spero di<br />
collaborare ancora con Alex Mandelli,<br />
Marco Parano, eccetera... Intanto il<br />
nastro trasportatore gira…<br />
Clicca e guarda il videoclip di<br />
“Nastro trasportatore”<br />
28 29
GIACOMO TONI tenere la<br />
canzone in officina<br />
“Senso di inadeguatezza verso un ambiente musicale che produce paccottaglie<br />
di sentimentalismi e piagnistei generazionali”: questo il punto di<br />
partenza di “Nafta”, nuovo, notevole e stralunato lavoro del cantautore<br />
romagnolo, tra storie di rallisti, gite a Chinatown, varie ed eventuali<br />
I tuoi primi dischi sono usciti in successione<br />
piuttosto rapida, mentre per<br />
questo è stato necessario più tempo.<br />
Una pausa voluta o semplicemente gli<br />
impegni con live e altri progetti?<br />
Tra un live e l’altro, e la partecipazione<br />
a qualche altro progetto discografico,<br />
mi sono detto che avrei pubblicato soltanto<br />
nel momento in cui avessi trovato<br />
un gruppo di canzoni in grado di esprimere<br />
una nostra proposta di “controcultura”<br />
rispetto alle produzioni indipendenti.<br />
Diciamo che mi sono preso il<br />
tempo per nutrire il mio senso di inadeguatezza<br />
verso un ambiente musicale<br />
che produce paccottaglie di sentimentalismi<br />
e piagnistei generazionali.<br />
C’è un contrasto di fondo nelle canzo-<br />
ni di questo disco, secondo me: suonano<br />
estremamente fluide e sembrano<br />
sgorgare quasi d’impeto. Poi leggo le<br />
note di realizzazione e vedo che invece<br />
arrivano da percorsi mentali spesso<br />
estremamente tortuosi... Mi racconti<br />
come componi e quanto lavori su ogni<br />
composizione?<br />
Mi sono sempre sentito una persona<br />
di scarsa immaginazione, almeno<br />
rispetto ad altri cantautori. Credo<br />
di aver bisogno, per chiudere<br />
una canzone, di molto più tempo<br />
rispetto ai miei amici “colleghi”.<br />
Così quando inizio la stesura di un<br />
testo che in genere nasce sempre<br />
da una libera scrittura, devo dare<br />
una giustificazione letteraria al<br />
prosieguo, perché possa avere un<br />
valore per me e in seguito per un<br />
eventuale ascoltatore. Vorrei che<br />
un testo fosse un’esperienza di dettagli<br />
poetici nascosti in una storia<br />
fluida, all’interno di un paesaggio<br />
e raccontata da un personaggio con<br />
un profilo psicologico definito. Fare<br />
ricerca in letteratura è il miglior<br />
strumento di lavoro per questo scopo,<br />
e tenere la canzone in officina<br />
per almeno un anno secondo me<br />
aiuta a trovare soluzioni impensate<br />
all’inizio.<br />
Molte delle storie che racconti nel<br />
disco sono vere o verosimili. Posto<br />
che sei evidentemente dotato<br />
di un occhio attento per storie curiose,<br />
pensi anche di essere immerso in<br />
un ambiente piuttosto ricco di spunti<br />
“particolari”? La Romagna (e il resto<br />
d’Italia, tipo la Chinatown milanese)<br />
che racconti sembra molto più romanzesca<br />
di quello che appare a un<br />
visitatore medio…<br />
Certe storie bisogna andarsele a cer-<br />
30<br />
31
care. Scrivere soltanto pezzi autobiografici<br />
è una cosa pericolosa perché si<br />
rischia una carriera monotematica e<br />
autoreferenziale. Ho una predisposizione<br />
naturale ad andare in cerca di guai<br />
che spesso mi porta ad accompagnarmi<br />
a persone che hanno storie da raccontare.<br />
Il fatto di non averle vissute in<br />
prima persona mi aiuta a fantasticare.<br />
Direi che la Romagna è un buon punto<br />
di partenza per raccogliere storie di balordi,<br />
con una certa esuberanza festaiola,<br />
propria della nostra gente. Come<br />
dice l’amico Antonio Grammentieri è<br />
“l’inesausto scintillio della provincia”.<br />
E’ il sotto testo di questo disco, un paesaggio<br />
di entroterra nebbioso, novembrino,<br />
anarchico e tragicomico.<br />
Mi incuriosisce anche la scelta di<br />
Franco Naddei come produttore: avevate<br />
già lavorato insieme o era un primo<br />
incontro?<br />
E’ stato lui a registrare le mie vecchie e<br />
acerbissime canzoni, spero dimenticate,<br />
nei primi anni Duemila. Avevo bisogno<br />
di un produttore che conoscesse bene<br />
il mio impatto live. Lo spirito “punk”<br />
che ci accomuna era una garanzia per<br />
fare un disco in controtendenza sonora,<br />
sporco e incendiario, come volevo.<br />
Avevo bisogno di un produttore che non<br />
lavorasse solo per se stesso, che fosse<br />
preparato, con una dose di cuore e una<br />
buona dose di cattiveria. Aggiungo il<br />
fatto che il suo ultimo disco “Radici”, è<br />
un lavoro straordinario che si avvicina<br />
all’idea che mi è cara di “altruismo”<br />
nella canzone.<br />
Mi pare di capire che la canzone in certo<br />
modo più “sofferta” e personale sia<br />
“Il porco venduto che sono”<br />
E’ un pezzo più divertito che sofferto, di<br />
certo è personale. Una scrittura quasi<br />
di getto, colloquiale, dove ho potuto inserire<br />
una serie di cinismi espressivi<br />
che mi sono cari. E’ nata così,<br />
un po’ per sfogo. Son tempi in cui<br />
molti sono ossessionati dal senso<br />
della cosiddetta giustizia, e cercano<br />
negli altri qualcosa di punibile,<br />
qualche macchia, per autodefinirsi<br />
dalla parte dei giusti. Volevo irridere<br />
questo modo di pensare partendo<br />
da una specie di “dichiarazione<br />
di colpevolezza”. Volevo fare<br />
un elogio della disonestà e farlo<br />
mi ha dato un certo gusto.<br />
Quando si parla della tua musica<br />
saltano fuori automatici paragoni<br />
che vanno dal quartetto<br />
“sacro” della musica sghemba<br />
italiana (Jannacci-Gaber-Conte-Capossela)<br />
ai jazzisti alla Dr.<br />
John o Fats Waller che tu stesso<br />
citi, e personalmente ci ho buttato<br />
dentro anche un Tom Waits,<br />
che male non fa mai. Quale paragone<br />
ti onora di più e quale trovi<br />
meno azzeccato?<br />
Sono un amante del repertorio di Jannacci<br />
che per certi versi considero<br />
inarrivabile, la sua poetica è senza precedenti,<br />
e naturalmente è un paragone<br />
che mi onora e mi ridimensiona. Forse<br />
quello che sento più lontano oggi, nonostante<br />
sia stato un amore di gioventù, è<br />
Giorgio Gaber, ma probabilmente perché<br />
non ho particolare nostalgia per la<br />
canzone ideologica.<br />
32 33
MARCO KRON<br />
matematica<br />
della<br />
creatività<br />
Milanese, 34 anni e due grandi passioni: la musica e la matematica.<br />
Dopo diverse esperienze in ambito musicale pubblica “Sfere”, il suo primo<br />
ep, che si muove tra cantautorato ed elettronica<br />
La prima domanda non può che far<br />
riferimento alla tua doppia anima: sei<br />
un cantautore e musicista, ma sei anche<br />
un matematico. Due poli opposti,<br />
che si attraggono e che confluiscono<br />
in “Sfere”, il tuo primo ep. Si fa fatica<br />
a far convivere queste attitudini o hai<br />
trovato il giusto equilibrio?<br />
Nessuna fatica, si tratta di una convivenza<br />
stabile, duratura e perfettamente<br />
armoniosa! La matematica è<br />
alla base di tantissime cose che ci circondano,<br />
dalla natura alla tecnologia,<br />
passando indubbiamente per la musica.<br />
Non esisterebbe una composizione<br />
basata su metrica e intonazione se non<br />
ci fosse la matematica. Detto ciò, ovviamente,<br />
questa non basta a fare di una<br />
persona un cantautore. Ci vogliono creatività,<br />
poesia e una bella dose di fantasia<br />
per riuscire a trovare la formula<br />
adatta a trasferire le proprie emozioni<br />
in musica. E naturalmente a trasmetterle<br />
all’esterno.<br />
I testi delle tracce di “Sfere” trattano<br />
argomenti diversi tra loro: società,<br />
amicizia, morte, infelicità, spiritualità…<br />
Il filo conduttore sembra essere<br />
l’elettronica, che accompagna ogni<br />
pezzo crea atmosfere sospese nel tempo.<br />
Quali sono gli artisti che ti hanno<br />
influenzato maggiormente e spinto a<br />
decidere di renderla così protagonista<br />
nei tuoi brani?<br />
Sarò sincero, mi sono avvicinato piuttosto<br />
tardi all’elettronica in senso stretto.<br />
Per esempio mi piacciono molto<br />
gli Enigma, gli Infected Mushrooms, i<br />
VNV Nation. Ma in realtà da sempre<br />
ascolto molti generi diversi, dai Queen<br />
a Battiato, dai Metallica a De André.<br />
E persino un po’ di classica. Tutti questi<br />
artisti hanno lasciato sicuramente<br />
un’impronta nel mio modo di comporre,<br />
tuttavia credo che abbiano influenzato<br />
la mia musica solo indirettamente.<br />
Con “Sfere” ho trovato un sound che mi<br />
caratterizza per ciò che sono oggi, è stata<br />
una naturale evoluzione alla fine di<br />
un lungo percorso che mi ha portato fin<br />
qui e che a mio parere calza a pennello<br />
con i testi dell’album.<br />
Il processo creativo di un artista matematico<br />
potrebbe essere interessante<br />
da raccontare: come nascono le tue<br />
canzoni? Sei preciso e rigoroso o appunti<br />
dove capita l’idea che arriva?<br />
Al contrario della matematica, le mie<br />
composizioni non nascono grazie a una<br />
“regola”. L’ispirazione nasce da un’osservazione,<br />
da un evento emotivamente<br />
importante, da una sensazione difficilmente<br />
descrivibile attraverso il linguaggio<br />
comune. Mi capita di comporre<br />
34 35
nella mia testa mentre cammino, mentre<br />
sono in metropolitana, mentre viaggio.<br />
In sostanza in quei momenti in cui<br />
i pensieri sono liberi di fare il loro percorso<br />
senza impedimenti o costrizioni.<br />
Per questo motivo, in tutta la mia vita<br />
non ho praticamente mai scritto un<br />
pezzo “a tavolino”. La precisione e il rigore<br />
in ogni caso mi appartengono, ma<br />
preferisco farne uso quando un<br />
brano ha già preso la sua forma<br />
e devo per esempio curarne<br />
l’arrangiamento o trovarne il<br />
suono giusto.<br />
“Flashmob” è uno dei due singoli<br />
che hai scelto di estrarre<br />
dall’ep. Una frase mi ha colpita<br />
particolarmente: “moto di<br />
mediocrità nell’eterno ritorno<br />
all’uguale”. Una visione piuttosto<br />
pessimista del mondo<br />
in cui viviamo, sempre più<br />
distratto e inumano. In che<br />
modo le arti possono aiutare a<br />
svegliare le coscienze dal torpore<br />
in cui sono avvolte?<br />
In realtà non mi ritengo pessimista,<br />
tutt’altro. Se ci fai caso,<br />
in tutte le mie canzoni, anche<br />
quelle che nascono da qualcosa<br />
di triste o deludente, cerco<br />
sempre di trovare un risvolto<br />
positivo. “Flashmob” descrive il<br />
moto omologato delle persone<br />
che sembrano correre tutte nella<br />
stessa direzione e senza una<br />
meta. Ma quello che parla è<br />
l’occhio di un osservatore esterno che si<br />
astrae per un attimo dalla realtà, non<br />
conoscendo quello che passa nell’anima<br />
di ogni singolo individuo, spesso costretta<br />
a muoversi in quel modo senza<br />
volerlo o, peggio, senza farci caso.<br />
Il messaggio che vuole trasmettere il<br />
brano è proprio quello di fermarsi ogni<br />
tanto a guardare dove ci si trova, chi<br />
si ha intorno. Ma soprattutto a uscire<br />
dagli schemi che ci vengono imposti,<br />
perché non saranno quelli a diventare i<br />
nostri ricordi.<br />
Prima di essere l’autore di “Sfere” ti<br />
sei messo alla prova in diversi ambiti:<br />
ho letto che hai fatto parte di un coro<br />
gospel, che hai realizzato cortometraggi<br />
e spot pubblicitari, e hai suonato e<br />
cantato in diverse band in giro per l’Italia.<br />
Che cosa hai imparato da ognuna<br />
di queste esperienze? A quale sei maggiormente<br />
legato?<br />
Sì, è vero, ho avuto la fortuna<br />
di provare tante e diverse<br />
esperienze a livello musicale,<br />
alcune volutamente, altre un<br />
po’ più per caso. Purtroppo non<br />
ho studiato musica come si fa<br />
al Conservatorio, ma la curiosità<br />
e la passione mi hanno<br />
portato a imparare tanto sia<br />
da me stesso sia dalle persone<br />
che ho incontrato. E’ come<br />
quando si fa un bel viaggio<br />
itinerante e si vedono paesi<br />
diversi e tanti volti nuovi.<br />
Al ritorno è difficile dire che<br />
cosa è piaciuto maggiormente,<br />
proprio perché ogni situazione<br />
ha arricchito a suo modo il<br />
bagaglio che ci si porta dietro.<br />
Per esempio i lavori da studio,<br />
come le musiche per cortometraggi<br />
o spot, mi hanno permesso<br />
di valorizzare e affinare la parte<br />
più tecnica da utilizzare per le mie<br />
produzioni. Mentre le esperienze più<br />
“rock” mi hanno aiutato a tirare fuori<br />
la grinta, a superare le paure da palco<br />
e allo stesso tempo a imparare a lavorare<br />
in coesione con altri musicisti dotati<br />
di qualità molto diverse dalle mie.<br />
Forse potrei risultare banale in questo<br />
frangente, ma per motivi diversi mi<br />
sento legato a ogni singola esperienza<br />
che ho vissuto in ambito musicale.<br />
Chiara Orsetti<br />
36
ORSON<br />
una dedica all’acustica<br />
Si autodefinisce “non electric songwriter” e ha pubblicato un ep, “Here”<br />
che mantiene esattamente quello che promette: canzoni dirette e semplici,<br />
voce e chitarra, emozioni e intensità a livelli molto alti<br />
Suonavi nella dream pop band dei<br />
Barbados, ora ti presenti con un disco<br />
da songwriter “non-elettrico”: puoi<br />
spiegare com’è maturata la scelta?<br />
Suono ancora nei Barbados. La band è<br />
viva e impegnata nella scrittura del<br />
primo LP. Orsonè nato perchéavevo<br />
dei pezzi scritti durante gli anni che mi<br />
sembravano adatti alla dimensione<br />
voce e chitarra, a un’ambientazione più<br />
intima e personale. Pezzi che dovevano<br />
essere filtrati soltanto da me e dal mio<br />
strumento. Ho sempre avuto un feeling<br />
particolare con l’acustica, è la chitarra<br />
su cui compongo tutte le canzonie che<br />
mi ha seguito in tutti questi anni da<br />
una città all’altra fino al ritorno alla<br />
base, in Puglia, a Corato. Orson nasce<br />
come una dedica alla dimensione acustica,<br />
a quello che ho fatto nelle mie<br />
camerette sparse per l’Italia in tutti<br />
questi anni. Ma c’è di più. Avevo bisogno<br />
di confrontarmi con ilpalco da solo.<br />
Di salire, imbracciare la chitarra, guardare<br />
in faccia le persone che avevo davanti<br />
e suonare. Perché ho sempre<br />
avuto timore e una certa ansia nell’affrontare<br />
un pubblico. Che siano 100<br />
persone o 3, amici o volti sconosciuti, la<br />
sensazione è sempre quella. Mani di<br />
legno e voce rotta. Ho pensato che Orson<br />
potesse essere anche un progetto<br />
terapeutico da questo punto di vista.<br />
Devo dire che la terapia funziona anche<br />
se si può sempre migliorare.<br />
Un disco nato “in cucina”, con l’aiuto<br />
di qualche amico e di un po’ di vino<br />
rosso: puoi raccontarci qualche altro<br />
particolare delle lavorazioni?<br />
Versione breve: è una storia di amicizia,<br />
questo è l’unico particolare che serve<br />
raccontare. Versione lunga:<br />
Wolfman Bob - aka Roberto Colella -<br />
doveva tornare per un weekend a Corato,<br />
il nostro paese a 40 km a nord di<br />
Bari. Siamo amici da una vita, mi aveva<br />
confessato che avrebbe portato con<br />
sé un paio di microfoni, di quelli buoni,<br />
un registratore da field recordingprofessionalee<br />
che gli sarebbe piaciuto<br />
registrare un paio di pezzi. Così l’ho<br />
invitato a cena: focaccia, latticinie una<br />
bottiglia di Nobile di Montepulciano<br />
rubata dalla cantina di mio padre. Poi<br />
è arrivato anche Gino, anche lui di base<br />
altrove, a Bologna,anche lui amico da<br />
una vita, anche lui a Coratoperquel<br />
weekend. Cosìci ha fatto compagnia,<br />
dato qualche consiglio, ascoltato attentamente.<br />
Faceva molto freddo e invece<br />
di andarcene in giro, di pezzi ne abbiamo<br />
registrati cinque e non due. Il resto<br />
è tutto dentro quelle cinquetracce.<br />
La title track “Here” sembra frutto di<br />
una malinconia “dolce”: da quali sentimenti<br />
nasce e perché hai scelto il suo<br />
titolo per definire l’ep?<br />
Anche qui ti racconto una storia. Il pezzo<br />
originariamente doveva chiamarsi<br />
“Where”, il titolo doveva fare da contrappunto<br />
alla ripetizione ossessiva di<br />
“Here” durante tutta la canzone, doveva<br />
porre una domanda la cui risposta<br />
poteva essere (ma anche no) trovata<br />
nelle liriche. Poi sono andato a suonare<br />
al circolo Arci La Mescla a Civitavecchia,<br />
il primo live di Orson in assoluto,<br />
e i ragazzidi là il giorno dopo mi hanno<br />
girato un paio di video. Uno di questi<br />
era quello di “Where”. In fase di montaggio<br />
quando lo hanno pubblicato, ho<br />
visto cheera stato<br />
ribattezzato “Here”,<br />
perché vallo a capire,<br />
a loro veniva più<br />
naturale così. O forse<br />
perché la dimensione<br />
spaziale è proprio<br />
lì (e qui), nel testo. Allora mi son<br />
detto,ok ragazzi, avete ragione voi,<br />
sarà “Here” il nome. Tutto questo è accaduto<br />
molto prima che registrassi o<br />
che avessi un’idea più precisa di quello<br />
che doveva essere il disco.<br />
38 39
Devo dire che la scelta dei ragazzi è<br />
stata molto fortunata perché mi ha<br />
dato la possibilità di legare tutti icomponimenti,<br />
che sono fattidipiccole storie<br />
di provinciae “Here” si è rivelata<br />
essere la breve parola che racchiudeva<br />
il senso della memoria e dell’appartenenza.<br />
Sulla canzone è proprio come<br />
dici tu, è una malinconia dolce. “Here”<br />
racconta di una rincorsa, quella che ti<br />
fa fare l’inquietudine, che ti spinge ad<br />
andare, a osare, a costruire e distruggere.<br />
E’ il senso del tragico che ne davano<br />
i greci, è una domanda che dentro di<br />
sé ha già la risposta: c’è questa roba<br />
che non riesci a governare ma che ti<br />
muove, in tutto e per tutto. Volevo provare<br />
a raccontarla ed eccola qua, in forma<br />
di canzone.<br />
In alcune canzoni, per esempio “Better<br />
than this” si incontrano passaggi<br />
da un umore all’altro, come se ci fossero<br />
cambiamenti interni. Quali sono le<br />
tue emozioni mentre componi?<br />
Più che passaggi umorali<br />
sono passaggi dinamici. Mi<br />
piace nelle canzoni caricare<br />
un certo pathos, di farle crescere<br />
per poi chetarle, e poi<br />
farle crescere ancora. Vorrei<br />
dargli la spinta dell’emozione<br />
non solo con le parole ma anche<br />
e soprattutto con la musica.<br />
Scrivo di pancia e quella<br />
pancia, oltre che fisicamente,<br />
voglio riversarla tutta nelle canzoni<br />
cercando di creare un legame forte tra<br />
chi cantae chi ascolta.<br />
Per le influenze su canzoni come<br />
“Into Those Nights” ho citato nella<br />
recensione personaggi storici come<br />
Cat Stevens, mentre in altri brani si<br />
può trovare affinità con produzioni<br />
più recenti, come Bon Iver. Quali sono<br />
i tuoi capisaldi e ti piacciono di più gli<br />
“antichi” o i “moderni”?<br />
Sono innanzitutto un appassionato di<br />
musica, e in quanto appassionato non<br />
so darti valori di giudizio rispetto al<br />
tempo. Ho un’inclinazione esterofila,<br />
questo è vero, ascolto davvero poca<br />
musica italianacantata in italiano,<br />
probabilmente è solo una questione di<br />
gusti. Dylan e Bon Iver per me vanno a<br />
braccetto, forse perché entrambi hanno<br />
rivoluzionato il concetto di folk, una<br />
musica molto dura da scalfire, ma il<br />
passato e il presente mi affascinano<br />
entrambi, non saprei scegliere.<br />
Per farti un altro esempio, prendi “The<br />
Hitchhiker” di Neil Young: è uscito<br />
quest’anno ma le registrazioni sono del<br />
1976, lo ha registrato in una notte, presa<br />
diretta, voce e chitarra, con l’aiuto di<br />
cocaina, alcol e sigarette e il fido David<br />
Briggs dietro il mixer. Con le dovute<br />
differenze (e sono tante), è un album<br />
molto simile al mio come approccio, e<br />
suona incredibilmente contemporaneo,<br />
dando nuova vita a canzoni che poi<br />
sono finite in vario modo nella produzione<br />
successiva di Young. Oggi le riscopriamo<br />
così, dirette, senza filtri se non<br />
quello di un paio di microfoni. Chi sono<br />
i miei capisaldi? Oltre a quelli citati<br />
sicuramente gli Okkervil River, Sufjan<br />
Stevens, Arcade Fire (non l’ultimo),<br />
Beatles, Velvet Underground, Neutral<br />
Milk Hotel, Jason Molina, Bill Fay,<br />
Real Estate, Clientele, Grizzly Bear,<br />
Fleet Foxes ma ce ne sono davvero<br />
troppi. Da tenere d’occhio invece: Big<br />
Thief, Andy Shauf, LA Salami, Aldous<br />
Harding hanno tirato fuori roba davvero<br />
molto, molto bella.<br />
Una domanda sulla copertina, contemporaneamente<br />
“psichedelica” e<br />
familiare. Come nasce l’idea?<br />
In realtà l’idea originaria non doveva<br />
essere questa. Avevo intenzione di costruire<br />
una copertina molto calda per<br />
saldare il tema della memoria e così<br />
una mattina sono andato a casa di mia<br />
Zia e ho aperto lo scatolone delle foto<br />
ricordo. Ho trovato molto materiale interessante,<br />
e l’ho raccolto. Poi a casa le<br />
ho sparpagliate sul tavolo della cucina<br />
e mi son detto: però, bello. Ho fatto una<br />
foto, questa qui (vedi foto a pag. 40),<br />
e l’ho mandata a Ivan, il grafico che poi<br />
ha curato l’artwork del disco, sicuro che<br />
sarebbe stata la copertina del disco.<br />
Mi ha fatto cambiare idea, ha preteso<br />
tutte le foto, soprattutto quelle che avevo<br />
scelto per i “video” insieme ad Aldo<br />
Dith, un altro amico e fotografo, e ha<br />
rielaborato il tema in maniera perfetta.<br />
La foto ritrae alcuni parenti e amici<br />
tanti anni fa, in campagna, quando<br />
eravamo piccoli e giocavamo nella pineta<br />
antistante la casa. Quello è il centro<br />
della foto, il ricordo, ed è proprio il qui<br />
di cui parlo; la composizione psichedelica<br />
invece rappresenta molto bene<br />
il filtro della memoria e il focus sul momento.<br />
Per quanto ti sforzi di fare le<br />
cose da solo, alla fine c’è sempre una<br />
dimensione collettiva dell’opera d’arte.<br />
Ho citato vari nomi di amici, ma non<br />
sono abbastanza, ce ne sono molti di<br />
più, tutti quelli che hanno ascoltato in<br />
anteprima, che mi hanno consigliato,<br />
che hanno creduto e che poi hanno<br />
avuto un ruolo nella creazione di<br />
questo ep fatto in casa. Per questo<br />
volevo ringraziare in particolar modo<br />
More Letters Records e Spore Soc<br />
Coop che alla fine il disco lo hanno<br />
fatto uscire e lo hanno reso oggetto<br />
concreto.<br />
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