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FuoriAsse n21_HD

Officina della cultura

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ovvero, avendoli per le mani e anche percorrendoli con gli occhi, non ne penetriamo<br />

l’intimo spirito, sia per difetto di conoscenze complementari, sia per riluttanza<br />

nostra di temperamento, sia per momentanea nostra distrazione». La storia della<br />

pittura ellenica è sì una storia senza documentazioni, ma dei fatti, che ci sono<br />

stati tramandati e poi ricostruiti, si ritrovano riferimenti precisi. Testimonianze<br />

degli stessi nomi dei pittori che sono contornate da una serie di aneddoti biografici,<br />

alcuni dei quali assai particolareggiati nelle descrizioni. Questo per dire che<br />

ogni storia è storia viva se è pensata. La ricerca di Croce si basa sostanzialmente<br />

sul concetto di storia e sulla naturale differenziazione tra storia e cronaca. Ma è a<br />

allo stesso concetto di storia, inteso da Croce come storia viva, che occorre riallacciarsi,<br />

oggi più che mai, per mantenere fertile l’atto del pensiero: «la storia» - scrive<br />

difatti Croce - «è precipuamente un atto del pensiero», e se staccata dal pensiero,<br />

se resa cronaca, «non è più atto spirituale». Per questo sono necessarie nuove<br />

parole, alle quali dare un senso diverso rispetto a quello che generalmente esse<br />

hanno. Con l’idea di porsi davanti al linguaggio come di fronte a uno strumento,<br />

e non a parole vuote. Si pensi in tal caso alle parole vuote o alle “formule” a cui fa<br />

riferimento Gobetti e, prima ancora, lo stesso Croce: «Le vuote parole sono suoni,<br />

o segni grafici che li rappresentano, ed esse si tengono insieme e si mantengono,<br />

non per un atto di pensiero che le pensi (nel qual caso sarebbero tosto riempite),<br />

ma per un atto di volontà, che stima opportuno a certi suoi fini serbare quelle<br />

parole per vuote, o semivuote che siano» 3 .<br />

Una lezione fondamentale sull’importanza del linguaggio e della ricerca di significato<br />

in ogni singola parola viene impartita anche da un grande autore del ’900<br />

come Giuseppe Pontiggia. Ma ancora di più, Giuseppe Pontiggia è uno di quegli<br />

autori in grado di creare “vite immaginarie di personaggi immaginari”, di rievocare<br />

esperienze o eventi significativi dell’esistenza umana, che sono infine il frutto di<br />

una rete nascosta e sotterranea di sentimenti. Sono per esempio i personaggi<br />

inventati di Vite di uomini non illustri (Milano, Mondadori, 1993), le vicende dei<br />

quali sono determinate (e vissute) anche da una scoperta del linguaggio: è il caso,<br />

per esempio, di Lovati Massimo che, a sette anni, leggendo a scuola il Canto di<br />

Natale di Charles Dickens, apprende il significato della parola “avaro”. A partire<br />

da qui e dall’acquisizione, già in età precoce, di una serie di nuove parole –<br />

in questo caso aggettivi come «oculato, parco, previdente, cauto, parsimonioso,<br />

equilibrato» –, costruisce l’intera sua esistenza.<br />

C’è dunque una letteratura che aspira alla verità; una letteratura che possiede<br />

un’anima. L’intento è quello di rintracciare quest’anima percorrendo vie di letture<br />

alternative a quelle generalmente proposte dal mercato editoriale. Letture in<br />

grado di produrre un vasto e intenso scambio di conoscenze e relazioni e che implichino<br />

l’esercizio del fare, del produrre e del creare, in cui il lettore trova la sua<br />

geografia. Ed è esattamente questo ciò che colpisce in Margherita Rimi, poetessa<br />

ma anche medico e neuropsichiatra infantile, impegnata soprattutto nella tutela<br />

dell’infanzia, la cui ricerca formale mai si stacca da una estrema e attenta investigazione<br />

della parola, demitizzando il linguaggio approssimativo che porta a una<br />

falsificazione dell’infanzia, per restituirgli valore d’arte e di letteratura.<br />

3 Benedetto Croce, Teoria e Storia della Storiografia, Bari, Laterza, 1920, p. 9.<br />

FUOR ASSE<br />

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