La Toscana Nuova - gennaio 2018 (1) (1)

La Toscana nuova - Anno 1- Numero 1- Gennaio 2018- Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - E 1. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/F

Sommario gennaio 2018
Il 2018 saluta l’arrivo del mensile La Toscana
Nuova che mi vede tornare, dopo venticinque
anni, nel ruolo di editore. La testata avrà come
direttore responsabile la dottoressa Daniela
Pronestì, giornalista e nota critica e storica
dell’arte, che ha assolto brillantemente al mio
fianco il compito di vice direttore per molti anni
dando prova di una collaudata professionalità.
La affiancherà un’altrettanto sperimentata redazione
di giornalisti con interessi e competenze
che spaziano dal mondo dell’arte al turismo,
dalla fotografia al teatro, dalla musica all’antropologia,
dalla letteratura alla medicina.
La Toscana Nuova potrà essere ricevuta direttamente
al proprio domicilio associandosi a Toscana
Cultura (quota associativa annua di 20
euro che darà diritto, oltre a ricevere ogni mese
la rivista, di partecipare a tutte le manifestazioni
promosse nel 2018 dall’associazione); per
questo potrà essere utilizzato l’allegato bollettino
postale. In alternativa, la quota sociale potrà
essere versata presso la sede di via Valdichiana
42 a Firenze oppure tramite bonifico bancario.
Buona lettura...e buon 2018.
Fabrizio Borghini
6 Monica Giarrè: un ciclo di opere ispirate ai grandi della famiglia Medici
12 L’improvvisa scomparsa del maestro Giampaolo Talani
14 La mostra Pinocchio al Pinocchio a San Miniato Basso
20 Il restauro della pala d’altare di Giovanni della Robbia in Santa Croce
22 La Cina tra luci e ombre nell’opera prima di Lorenzo Borghini
23 Sfaccettature fiorentine: i corridoi segreti di Maria Maddalena de’ Medici
24 Da un’idea di Arkiwine nasce il polo Eno-Tecno-Art all’ICLAB di Firenze
26 Roberto Capucci: i disegni per il teatro del noto stilista in mostra a Palazzo Pitti
28 Omaggio al “menestrello” fiorentino Riccardo Marasco
32 Storie dal mondo: il tempio indiano di Saudatti
35 Anna Signorini: ritratti femminili tra realtà e fantasia
37 Domus Familiae Padre Daniele: a Padova una struttura di accoglienza per giovani
39 Istanti di vita in India negli scatti di Paolo Fontani
40 Il mondo dell’arte ricorda Domenico Pugliese, stimato critico d’arte
43 L’antologica di Maria Luisa Salvini al Consiglio regionale della Toscana
44 Alla Casa della Cornice di Firenze una mostra omaggio a Sergio Scatizzi
46 La personale del pittore Gianni Panciroli a San Casciano
48 Fabrizio Borghini: un premio per i trent’anni di carriera televisiva
50 Lo Spoleto Meeting Art all’Auditorium al Duomo di Firenze
54 Italo Bolano in mostra all’Accademia delle Arti del Disegno
56 Eccellenze toscane nell’evento Italian Night a Zhuhai in Cina
58 Vivo d’Orcia, un’oasi nel cuore verde della Toscana
59 Arte del vino: suggestioni ed emozioni in un calice
60 Hans-Joachim Staude: il pittore tedesco che amò Firenze
62 A Firenze un simposio medico su donazione e trapianto
La Toscana - Anno 6- Numero 1- Gennaio 2018- Registrazione Tribunale di Firenze n. 5905 del 6-2-2013 - Iscriz. Roc. 23227. E 1. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/F
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Gennaio 2018
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Giorgia Armellini
Paolo Bini
Fabrizio Borghini
Lorenzo Borghini
Maria Grazia Dainelli
Roberta Fiorini
Monica Giarrè
Amedeo Menci
Stefano Pensotti
Elena Maria Petrini
Daniela Pronestì
Lucia Pugliese
Alessandra Ricco
Andrea Russo
Barbara Santoro
Michele Taccetti
Anita Tosi
Foto:
Niccolo Cambi
Claudia Ceville
Lisa Ciardi
Maria Grazia Dainelli
Paolo Fontani
Francesco Guazzelli
Filippo Lotti
Maurizio Mattei
Roberto Menci
Carlo Midollini
Torquato Perissi
Elena Maria Petrini
Massimo Sestini
Francesco Sgherri
Anna Signorini
In copertina:
Monica Giarrè, Nobil moglie
(Eleonora di Toledo), olio su
tela. 2017
Foto di:
Torquato Perissi

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Firenze
Mostre
Monica Giarrè
Presentato lo scorso dicembre alla galleria Mirabili, il
ciclo pittorico Gente di casa: i Medici è un omaggio
dell’artista toscana all’illustre casata fiorentina
di Daniela Pronestì / foto Torquato Perissi e Claudia Ceville
Spaziando dai miti classici al tema
sacro, dalla psicologica del soggetto
all’astrazione impersonale
della forma, Monica Giarrè ha dimostrato
negli anni una coerenza stilistica
tutt’altro che consueta. Il ciclo dedicato
ai Medici rappresenta la naturale
evoluzione di un immaginario da sempre
sospeso tra verità dei sentimenti e
idealizzazione della realtà dipinta: un
equilibrio reso possibile dal colore, dal
suo essere insieme emozione e valore
compositivo. All’elegante sobrietà delle
figure, costruite con un segno grafico
tagliente ed inserite in uno spazio
concreto ed astratto al contempo, questi
ritratti aggiungono un’interpretazione
libera e mai retorica dell’iconografia
medicea, andando a comporre un ensemble
visivamente accattivante. Come
di consueto anche in questo caso
l’artista si “appropria” dei soggetti raffigurati,
calandoli nel suo mondo
intimo e segreto dove diventano
“gente di casa”, come recita
il titolo della mostra da poco
conclusasi alla galleria Mirabili.
Questi volti ritrovano così l’umanità
celata dietro i toni ridondanti
della ritrattistica celebrativa: le
ragioni del cuore prevalgono sulle
scelte politiche, la forza degli
affetti sulle questioni dinastiche.
Un sovvertimento reso possibile
dall’invenzione pittorica, che restituisce
a questi uomini e a queste
donne quanto negatogli dagli
obblighi familiari e dalla cultura
del tempo. Ieri attori ed attrici
sul palcoscenico della politica,
oggi interpreti di un dramma in
tre atti - così l’artista concepisce
l’intero ciclo pittorico - che vede
alternarsi sulla scena matrimoni
combinati e amori impossibili,
gioie familiari e dolori privati, gesti
eclatanti e rinunce silenziose. Un destino
ineluttabile scandisce le vicende
dell’illustre casata, riservando alle donne
il ruolo di protagoniste: le vediamo
mogli operose (Piccarda Bueri), amanti
appassionate (Bianca Cappello), compagne
discrete (Giovanna d’Austria) e
madri affettuose (Eleonora di Toledo).
E ancora: creature fragili (Lucrezia di
Cosimo), personalità ribelli (Maria Luisa
d’Orleans), valenti politiche (Caterina
de’ Medici) e brillanti diplomatiche
(Anna Maria Luisa). Al loro fianco personaggi
maschili altrettanto celebri, qui
visti nei panni di mariti distratti (Lorenzo
il Magnifico), padri amorevoli (Cosimo
I), uomini innamorati (Francesco I)
o sentimentalmente immaturi (Cosimo
III). Stagliandosi sul fondale nero della
scena, i volti conquistano una straordinaria
intensità ieratica, mostrandosi
talvolta alteri e distanti (Clarice Orsini),
talaltra sognanti e malinconici (Lucrezia
Donati). Originali anche alcune soluzioni
compositive, come il grande sipario
aperto sulle figure dei due capostipiti e
dei loro discendenti e i ritratti sfalsati
di Clarice e Lorenzo, inedita rilettura del
dittico di Piero della Francesca agli Uffizi.
Senza dimenticare le dime paterne,
applicate in modo da incorniciare i personaggi
o dividere lo spazio che li accomuna.
Pochi colori sapientemente
distribuiti illuminano la scena rendendola
sfaccettata come un cristallo.
Storie la cui varietà non si esaurisce
ma si concentra nella sfera familiare,
dove da sempre Monica Giarrè ambienta
presenze e simboli del quotidiano:
angeli, animali e miti ai quali
da oggi si affiancano, sempre nel ruolo
di divinità domestiche, le donne e
gli uomini di casa Medici.
Monica Giarrè (a destra) insieme ad alcuni ospiti intervenuti all’inaugurazione della sua mostra alla galleria
Mirabili: Paolo Becattini, capo gabinetto dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale della Toscana,
Marco Colangelo, consigliere del Comune di Firenze e Anna Ravoni, sindaco di Fiesole
6
MONICA GIARRÈ

Monica Giarrè e Daniela Pronestì durante la presentazione della mostra al pubblico
Uno scorcio dell’allestimento: alla parete l’opera intitolata Atto primo: silenzio in sala
L’artista intervistata da Fabrizio Borghini
di Monica Giarrè
C’era una volta... come nelle favole.
Ecco la storia a modo mio
di una famiglia che tutto il mondo
conosce e che ci ha lasciato monumenti,
dipinti, tesori, ricordi e leggende.
Ho provato a dipingerla dall’inizio della
dinastia, studiando a fondo la storia dei
singoli personaggi. Un percorso breve
ma lineare, un modo per entrare con discrezione
nella loro “casa”. Il mio racconto
si chiude con Anna Maria Luisa
de’ Medici, l’Elettrice Palatina, alla quale
dobbiamo il merito di aver salvato
Firenze dalla dispersione del suo straordinario
patrimonio artistico. Quel patrimonio
che ancora oggi incanta e fa
sognare, perpetuando nel tempo la memoria
di questa illustre famiglia.
Monica Giarrè
MONICA GIARRÈ
7

Firenze
Mostre
di Fabrizio Borghini
Monica Giarrè è un’artista che
ha raggiunto la piena maturità;
lo si evince dal dominio totale
che esercita sul suo lavoro riuscendo a
coniugarlo con le tematiche che affronta,
imponendo e amalgamando le sue
cromie, i suoi equilibri segnici, le familiari
dime paterne, le consuete icone pittoriche
(cani, gatti, papere,
angioletti) mantenendo una
cifra stilistica ormai consolidata.
Per questa mostra ha
lanciato una sfida a se stessa,
ha scelto un tema impegnativo
come quello di confrontarsi
con la ritrattistica medicea,
che vuol dire confrontarsi
con tre secoli di storia, con
personaggi entrati ormai
nell’immaginario collettivo in
virtù della ricca e consolidata
iconografia giunta fino a
noi, con un’introspezione psicologica
già indagata da molti
illustri suoi predecessori in
opere che ormai sono esposte
nei più importanti musei
del mondo. Monica non
si è sottratta all’impegno, ha
affrontato un lungo lavoro
propedeutico di ricerca storica
attingendo sopratutto
alla memorialistica per entrare
dentro ai personaggi, per
analizzare il loro carattere o
ricercare le stimmate del potere
che potessero emergere
dallo sguardo, dalla postura
o da un tratto rivelatore della
fisionomia. Ha lavorato per
sottrazione scremando dalla
ritrattistica d’epoca la prosopopea
agiografica, riconducendo
i personaggi evocati a
una dimensione quotidiana,
familiare per quanti sono fiorentini
come lei, togliendo la
regalità dagli sguardi imperiosi,
l’imponenza dalle dure
posture imposte dal rango,
riportandoli ad essere quello
che sono stati per Firenze e
la Toscana: gente di casa. Ha
traghettato la determinazione
inquietante verso la dolcezza
rassicurante, il cinismo altero
nella soavità di uno sguardo estatico, il
ghigno ambiguamente sarcastico in un
conciliante volto ieratico. Alla fine del
suo lungo, e ritengo anche tormentato,
percorso, è riuscita in maniera omogenea
a cucire il filo rosso della storia
della casata medicea facendo emergere
il senso della continuità della stirpe
Applausi (Anna Maria Luisa de’ Medici, Elettrice Palatina), olio su tela
che si è trasmessa il segno del comando
per centinaia di anni, attraverso gli occhi
che hanno una fissità metafisica. Sono,
per Monica, il segno distintivo di un dna
dicotomico che ha visto convivere grandezza
e efferatezza, splendori e cadute,
fasti di corte e trucidi misfatti.
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MONICA GIARRÈ

Destini segnati (Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini), olio su tela
Fiore senza sole (Lucrezia Donati), olio su tela
Io Re (Cosimo I), olio su tela
Nobil moglie (Eleonora di Toledo), olio su tela
MONICA GIARRÈ
9

Firenze
Mostre
di Anita Tosi
Monica Giarrè esprime la sapienzialità
artistica non solo
manifestando il suo talento
nell’alto valore figurativo, ma come
dono di sé. Aristotele parla dell’arte
quale strumento per riprodurre la
Natura, sede delle divinità animatrici
di quell’Oltre di cui
l’uomo può godere solo la qualità
dell’apparenza. Quindi Natura-Realtà,
essenze esterne alla
persona che, però, può percepirne
il palpito vitale. Platone
la definisce “catarsi” dell’umano
intelletto, non capace di riprodurre
il mondo delle “Idee”
in quanto essenti nell’Iperuranio.
Ecco, Monica Giarrè è la
“giara poetica” che contiene intelletto,
sensazioni e vibrazioni
modulate che riversa su tutti
coloro che si pongono davanti
alle sue opere, trasportandoli
sulla sua scia di luce. Nel momento
in cui l’artista comunica
la luce del suo essere spirituale,
proprio in quell’istante realizza
il suo talento comunionale.
Monica è fiorentina, la sua casa
si affaccia sui Lungarni, si muove
con curiosità per la città, ne
conosce l’arte, il pensiero filosofico
che si cela in ogni monumento.
Vivere, così, l’aspetto
artistico di Firenze equivale a
conoscere la famiglia Medici,
dal ramo principale al ramo cadetto.
Firenze, la divina Atene
di Lorenzo de’ Medici, dove nel
Cenacolo dei Magi si formarono
alla filosofia neo-platonica
Leonardo, Botticelli, Michelangelo.
Quando la sua conoscenza
si allarga alla comprensione
e all’empatia con alcuni dei personaggi
di tale famiglia, allora
Monica Giarrè manifesta la sua
alta qualità artistica, perché si
sente parte di questa straordinaria
famiglia, diviene lei stessa
Gente di casa Medici. Nel momento
in cui il lettore si pone
davanti alle figure dei personaggi
della famiglia Medici è come
catturato dai loro occhi, riconosce
il sentimento e il pensiero
Potere e Nostalgia (Caterina de’ Medici), olio su tela
della persona ritratta. Dagli occhi la luce
si espande alle altre parti del corpo,
illuminando anche gli abiti ben modellati.
Monica Giarrè presenta con la sua
pittura diversi personaggi fra cui Giovanna
d’Austria e Bianca Cappello, l’una
moglie e l’altra amante di Francesco
I, l’Elettrice Palatina ed Eleonora di Toledo,
dolce consorte di Cosimo I, osservando
la quale si ha l’impressione
di sentir palpitare il suo cuore e di essere
rapiti dalla sua dimensione vitale.
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MONICA GIARRÈ

Vita avvelenata (Francesco I), olio su tela
Penombra (Bianca Cappello), olio su tela
La straniera (Giovanna d’Austria), olio su tela
MONICA GIARRÈ
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Personaggi
Addio a Giampaolo Talani
L’artista di fama internazionale è deceduto improvvisamente
a soli sessantadue anni. Scompare con lui una delle
figure più rilevanti dell’arte contemporanea
di Fabrizio Borghini
Lo scorso 16 gennaio si è spento
all’ospedale di Pisa il maestro
Giampaolo Talani. Unanime
il cordoglio di quanti lo hanno conosciuto
e ne hanno apprezzato talento artistico
e doti umane. Pur avendo conquistato da
tempo la ribalta internazionale - basti ricordare
l’invito ricevuto dalla Città di Berlino
nel 2009 come unico artista italiano presente
con un’opera alle celebrazioni del
ventennale della caduta del Muro -, Talani
non lasciò mai, se non per brevi periodi,
il suo paese d’origine, San Vincenzo
(LI), dove era nato nel 1955 e da cui aveva
attinto, trasponendoli poi in pittura, colori,
atmosfere e spunti narrativi. Proprio al
suo paese dedicò nel 2010 un’opera oggi
divenutane simbolo: Il Marinaio, un colosso
bronzeo che domina il porto turistico di
San Vincenzo volgendo lo sguardo verso il
mare, come se stesse meditando di partire
o aspettando il ritorno di una persona cara.
Uno stato di malinconica sospensione
comune a tutti i protagonisti del mondo talaniano;
non solo i marinai, quindi, presenza
costante nel suo immaginario pittorico,
ma anche gli uomini con la valigia, i cercatori
di pesci, i musicisti e le donne dallo
sguardo vago e misterioso che spesso li
accompagnano. Sempre in bilico tra partire
e restare, questi personaggi attraversano
spazio e tempo senza mai raggiungere
una mèta: la vita - ci ricordano - è viaggio,
In ricordo di un caro amico
di Roberta Fiorini
Non avrei mai voluto trovarmi
a scrivere queste poche
righe “in ricordo” di Giampaolo
Talani. Eravamo tutti insieme
a quella indimenticabile serata che
Fabrizio (Borghini) creò nel febbraio
di sei anni fa all’ArtHotel: al tavolo
con me e Daniela (Pronestì) si unirono
gli “amici storici” che ho avuto la
scoperta e cambiamento. Aspetti, questi
ultimi, mirabilmente condensati in uno
più apprezzati capolavori del maestro: l’affresco
Partenze, ideato nel 2006 per la stazione
di Santa Maria Novella e inaugurato
lo stesso anno alla presenza del professor
Vittorio Sgarbi. All’antica tecnica dell’affresco
Talani si appassionò negli anni degli
studi accademici a Firenze, divenendone
in seguito uno dei massimi conoscitori
contemporanei. Lo confermano i cicli
affrescati tra il 1979 e il 1985 nella chiesa
di San Vincenzo, dove raffigurò, con uno
stile allora ancora imbevuto di drammaticità
espressionista, le Storie della Passione di
Cristo e I quattro Evangelisti. A questo primo
cantiere, che gli valse entusiastici tributi
di critica e di pubblico, seguirono altre
commissioni in ambito ecclesiastico: la
Madonna di Populonia (pala d’altare, 1981),
le opere per il santuario della Madonna del
Frassine (GR) - Resurrezione di San Lazzaro
(affresco, 1981) e L’Ultima Cena (olio
su tavola, 1992) - e la Predica di San Bernardino
(affresco, 1992) nel Palazzo Arcivescovile
di Massa Marittima. Vennero in
seguito altre importanti opere pubbliche,
come i dipinti L’ombra dell’eroe (Pinacoteca
del Quirinale) e Mille uomini (Museo
del Risorgimento, Roma) commissionatigli
nel 2008 dal comitato per le celebrazioni
del duecentenario della nascita di
Giuseppe Garibaldi, del quale realizzò nel
2013 anche un busto ritratto oggi collocato
in due copie al Palazzo del Quirinale
e al Senato. Seguirono l’imponente bronzo
Partenza (2015), installato nella Washingtonplatz
di Berlino, L’uomo che salva
il mare (2015), monumento dedicato agli
abitanti dell’isola del Giglio per il soccorso
prestato ai naufraghi della Costa Concordia,
e l’opera bronzea Fiorenza (2016),
oggi collocata in piazza San Jacopino a Firenze.
Sempre a Firenze, città cui fu profondamente
legato fin dagli esordi artistici,
tenne nel 2008 un’imponente antologica -
cinquantacinque dipinti provenienti da collezioni
pubbliche e private - allestita nella
Sala d’Arme di Palazzo Vecchio. Per l’occasione
fu ricreata in piazza della Signoria
una spiaggia sui generis con cinquantacinque
ombrelloni bianchi e blu, mentre sotto
il loggiato degli Uffizi venne collocata la
scultura in bronzo Rosa dei venti, una copia
della quale si trova dal 2014 alla stazione
Santa Lucia a Venezia. Presente alla
54° Biennale di Venezia (2011) con il dipinto
Due uomini con i pesci, affiancò all’arte
pubblica un’intensa produzione pittorica
con opere esposte in importanti mostre
personali sia in Italia che all’estero. Non
mancò di cimentarsi anche nella scrittura,
altra sua grande passione insieme alla musica,
pubblicando diverse raccolte di pensieri,
racconti e poesie.
fortuna e la ricchezza di ereditare da
Paolo Baracchi attraverso la cui rivista,
e casa editrice d’arte, molti dei
bei nomi fiorentini si erano forgiati
e comunque, anche i già noti, vi erano
“passati” condividendo negli anni
tanti itinerari. Giampaolo è stato
uno dei rari a ricordarselo sempre e
ogni volta che veniva a farci un saluto,
a renderci informati e partecipi dei
suoi numerosi e importanti eventi,
non perdeva occasione di sottolineare
che la sua prima piccola monografia
era stata curata e prodotta proprio
lì. Questo soprattutto mi piace far conoscere
di lui, che una carriera luminosa
e consapevole non l’ha mai
“inquinato” mantenendo la propria
autenticità e schiettezza nel conservare
con la medesima stima e affetto
i rapporti più sinceri di amicizia anche
con coloro che, nel corso del suo
mestiere d’artista, non avrebbe più
avuto “bisogno” di lusingare!
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GIAMPAOLO TALANI

Atelier Scaramuzzo Srl
Via del Parione 58/r
Tel. 055678424
atelierscaramuzzo@gmail.com
www.scaramuzzo.eu
Per Giuseppe Scaramuzzo estro e raffinatezza
sono le parole d’ordine.
Per lui ogni donna ha uno stile unico
ed esclusivo come un abito sartoriale
che sappia trasmettere eleganza, benessere
e naturalezza.
Oggi come un tempo le sue creazioni
moda rispecchiano il suo pensiero,
senza mai uniformarsi a schemi fissi,
ma cercando sempre di rielaborare,
interpretare ed esaltare la bellezza
femminile.
Oggi Direttore Artistico Barex Italiana
e titolare di Scaramuzzo Atelier, contribuisce
con le sue creazioni al successo
dell’azienda, portando il Made
in Italy in tutto il mondo. Scaramuzzo
collabora a stretto contatto con l’a-
zienda per tutto ciò che riguarda la
progettazione di rituali e servizi per il
salone, ma anche il lancio di nuovi tagli
e colori moda, una collaborazione
che sta portando grandi soddisfazioni
proponendo eventi, formazione professionale
e seminari tecnici su colore,
taglio e acconciature.
Il direttore artistico Giuseppe Scaramuzzo
ha sposato la sua filosofia con
l’azienda Barex creando seminari in
25 paesi in tutto il mondo per motivare
e stimolare il parrucchiere esplorando
temi come l’arte, la moda e la
pubblicità e creando insieme degli
shoothing progettati per dare forma
alla bellezza ma con una continua ricerca
del “particolare”.

Eventi in
Toscana
Pinocchio al Pinocchio
Alla Casa Culturale di San Miniato Basso una mostra permanente di
trentasei opere dedicate al celebre personaggio collodiano
di Fabrizio Borghini / foto Francesco Sgherri
Sabato 6 gennaio, alla Casa Culturale di
San Miniato Basso, è stata inaugurata
la mostra collettiva dal titolo Pinocchio
al Pinocchio. Ideata e curata da Filippo Lotti,
con il coordinamento di Gianluca Bertini e
Marino Gori e con il patrocinio di Comune di
San Miniato, Provincia di Pisa, Regione Toscana
e Fondazione Nazionale Carlo Collodi,
la mostra riunisce trentasei opere di noti pittori
toscani contemporanei - Antonio Biancalani,
Maurizio Bini, Vincenzo Calli, Fabio
Calvetti, Massimo Cantini, Claudio Cargiolli,
Elio De Luca, Fabio De Poli, Raffaele De
Rosa, Marco Dolfi, Franco Mauro Franchi,
Danilo Fusi, Gianfranco Giannoni, Giuliano
Giuggioli, Daniele Govi, Graziano Guiso,
Ilaria Leganza, Massimo Lomi, Remo
Lorenzetti, Riccardo Luchini, Mario Madiai,
Marco Manzella, Gianfalco Masini, Giancarlo
Montuschi, Elisa Nesi, Francesco Nesi,
Paolo Nuti, Armando Orfeo, Nico Paladini,
Cristina Palandri, Lisandro Rota, Riccardo
Ruberti, Francesco Sammicheli, Paolo Tesi,
Stefania Valentini, Angiolo Volpe - chiamati
ad illustrare gli altrettanti capitoli del libro
Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
di Carlo Collodi. Parlando della scelta di
ambientare questo evento espositivo a San
Miniato Basso, il curatore spiega: «Pochi
sanno che fino al 1924, prima di assumere
la denominazione attuale a seguito di un
referendum popolare, questo paese si chiamava
Pinocchio. Negli ultimi anni l’amministrazione
comunale e varie associazioni
del territorio hanno voluto riscoprire questo
vecchio toponimo promuovendo diverse
iniziative, come l’inaugurazione nel 2016
di una grande scultura di Marcello Scarselli
dedicata a Pinocchio ed installata in una rotatoria
del paese. In questo contesto è nato
il progetto Pinocchio al Pinocchio, il cui
intento è anche quello di contribuire alla
riscoperta di questo aspetto poco noto della
storia di San Miniato Basso». Le trentasei
opere, diverse nello stile e nella tecnica
ma tutte accomunate dallo stesso formato
(50x50), sono state donate dagli artisti alla
Casa Culturale di San Miniato Basso, dove
rimarranno esposte in permanenza. La
mostra è corredata da una brouchure recante
sul frontespizio l’opera di Samuel Rosi
(Muz) e all’interno tre testi introduttivi e la
riproduzione delle immagini. Per l’occasione
è stata pubblicata anche un’edizione del
capolavoro collodiano illustrata dalle trentasei
opere in mostra. Molti gli sponsor che
hanno supportato l’iniziativa e le associazioni
che hanno offerto la loro preziosa collaborazione
(Circolo ARCI San Miniato Basso,
Polisportiva Casa Culturale, CCN San Miniato
Basso, Consorzio Artigiani Sanminiatesi,
Associazione Culturale “Pinocchio a i’
Pinocchio”, FuoriLuogo – Servizi per l’Arte).
Particolarmente sentita anche la partecipazione
del pubblico e delle autorità intervenute
all’inaugurazione, come il presidente
del Consiglio regionale della Toscana Eugenio
Giani, il sindaco di San Miniato Vittorio
Gabbanini, Marino Gori, presidente della Casa
Culturale e Anna Gaetani, presidente del
Circolo ARCI.
Il giornalista Fabrizio Borghini intervista Filippo
Lotti (a sinistra), curatore della mostra, e Vittorio
Gabbanini, sindaco di San Miniato
Il taglio del nastro: da sinistra, Filippo Lotti, Marino Gori, presidente della Casa Culturale, Anna
Gaetani, presidente del Circolo ARCI e il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini
Il presidente del Consiglio regionale della
Toscana Eugenio Giani con Filippo Lotti
Foto di gruppo con alcuni degli artisti che hanno preso parte alla mostra
14 PINOCCHIO AL PINOCCHIO

di Daniela Pronestì
Trentasei modi di essere Pinocchio:
altrettanti i capitoli del capolavoro di
Collodi e gli artisti chiamati a darne
un’interpretazione in questa mostra. Una
galleria di ritratti da cui emerge la multiforme
personalità del burattino, sempre combattuto
tra situazioni e desideri contrastanti.
Immagine dopo immagine, scopriamo l’evolversi
di questo conflitto che riguarda non
solo il protagonista, ma coinvolge anche gli
spazi del racconto, a cominciare dalla casa
di Geppetto. Qui la vicenda inizia con la “creazione”
di Pinocchio, metafora di un evento a metà
tra divino ed umano. È Mastro Ciliegia, però,
il primo a “sperimentare” la natura vivente
del burattino, quando, apprestandosi a levarne
la scorza e a digrossarlo - così lo vediamo
nell’opera di Fabio Calvetti -, scopre, con non
poca sorpresa, che qualcosa di miracoloso
si nasconde in quel legno da catasta. Angiolo
Volpe si concentra, invece, sulla “nascita”
di Pinocchio, mostrandoci come, sotto i
colpi d’ascia di Geppetto, il pezzo di legno
diventi poco a poco forma viva. Una trasformazione
“prodigiosa”, i cui effetti si riverberano
su luoghi e cose. È quanto accade nel
dipinto di Remo Lorenzetti, che ambienta
l’episodio in una stanza dove, come il burattino,
anche gli oggetti intorno magicamente
si animano. L’incanto si rompe quando entra
in scena il Grillo parlante, con tanto di
cappello a punta e bacchetta magica: così lo
disegna Vincenzo Calli, immaginando che
l’insetto-mago ipnotizzi Pinocchio con le
sue prediche. Stecchito l’insopportabile
moralista con una martellata in testa, il burattino
può finalmente esplorare l’umile casa
paterna. Una stanza umida e poco
illuminata, come quella rappresentata da
Riccardo Luchini, dove, tra il grigio fumo
delle pareti e dei mobili, spicca il giallo oro
del pulcino che si alza in volo per non essere
mangiato. Delusa la speranza di sfamarsi,
Pinocchio si addormenta: non sa che i
suoi piedi, troppo vicini al fuoco, presto diventeranno
torce. Fabio De Poli racconta l’episodio
con una sintesi grafica e cromatica
che ben esprime l’urgenza del pericolo: una
sagoma nera si staglia sull’azzurro dello
sfondo, mostrando due fiamme al posto dei
piedi, testa all’insù e braccia alzate come per
chiedere aiuto. Tocca a Geppetto spegnere
l’incendio e dar da mangiare al malcapitato.
Claudio Cargiolli descrive entrambi i momenti:
mentre il fumo del rogo si dirada, Pinocchio
scorge l’agognato pasto in un
Fabio Calvetti, capitolo I
Remo Lorenzetti, capitolo III
Riccardo Luchini, capitolo V
Claudio Cargiolli, capitolo VII
Angiolo Volpe, capitolo II
Vincenzo Calli, capitolo IV
Fabio De Poli, capitolo VI
Ilaria Leganza, capitolo VIII
PINOCCHIO AL PINOCCHIO 15

Eventi in
Toscana
angolo della stanza. Una luce bianca illumina
la scena, avvolgendola di un silenzio irreale.
Quando Geppetto gli regala
l’abbecedario, il burattino conosce per la
prima volta doveri e regole. Nell’opera di Ilaria
Leganza appare raffigurato di profilo, in
posizione dominante rispetto alla scatola
prospettica visibile sullo sfondo. Sembra un
umanista ritratto nello studio, secondo un
modello della pittura quattrocentesca. Solo
che in questo caso l’effigiato non è un colto
intellettuale e la stanza alle sue spalle non è
un elegante studiolo. Ad attenderlo fuori di
casa c’è la strada, luogo dell’avventura e del
rischio, simbolo del cambiamento e della libertà;
tramite, soprattutto, di incontri sbagliati
e di seduzioni che lo allontanano dalla
via maestra. Per sviarlo dalla scuola bastano
poche note musicali dal teatro dei burattini.
Armando Orfeo pone l’accento sulla
volubilità del protagonista, immaginando
che la sua figura si sdoppi e si moltiplichi
mentre corre verso il baraccone di Mangiafoco.
Nell’opera di Paolo Tesi lo vediamo sfidare
la morte per la seconda volta: mentre le
marionette del teatro lo portano in trionfo,
Mangiafoco interrompe la festa minacciando
di includere lo sgradito ospite tra i legni
del suo falò. Ad un aspetto per niente rassicurante,
il burattinaio unisce un’intricata
chioma di fili, gli stessi usati per animare i
fantocci di legno. Di tutt’altro genere la figura
“infernale” immaginata da Raffaele De
Rosa: un demonio di memoria dantesca
chiamato a giudicare le azioni del burattino.
Quest’ultimo si prostra davanti al terribile
giudice, implorando pietà per il povero Arlecchino:
un gesto di altruismo che lo salva
da una morte certa. Vagabondando è facile
incappare in cattive compagnie, specie se si
è troppo ingenui per riconoscerle. Quando
incontra il Gatto e la Volpe, Pinocchio non
dubita della loro buonafede: nonostante l’aspetto
sinistro, crede siano due galantuomini.
Per Franco Mauro Franchi l’inganno si
compie davanti all’osteria del Gambero
Rosso: i due affabulatori lo irretiscono con
parole efficaci e gesti solenni, guidandolo a
sua insaputa verso la rovina. Entrati nell’osteria,
la subdola opera di persuasione prosegue
con effusioni e smancerie: in fondo,
segnala Giuliano Giuggioli, oltre che figure
simboliche, il Gatto e la Volpe sono anzitutto
animali, abituati l’uno a fare le fusa, l’altra
ad adescare la preda con l’inganno. In questa
fase del racconto Pinocchio si muove lesto
come un lampo: corre, salta, si
arrampica sugli alberi, tenta in ogni modo di
sottrarsi ai propri aguzzini. Nell’opera di Ric-
Armando Orfeo, capitolo IX
Raffaele De Rosa, capitolo XI
Giuliano Giuggioli, capitolo XIII
Nico Paladini, capitolo XV
Paolo Tesi, capitolo X
Franco Mauro Franchi, capitolo XII
Riccardo Ruberti, capitolo XIV
Graziano Guiso, capitolo XVI
16 PINOCCHIO AL PINOCCHIO

cardo Ruberti la sua frenesia si riflette nella
natura intorno: un vento impetuoso cancella
il confine tra cielo e terra, riportando gli
elementi al caos primordiale. L’ingiustizia
che sta per compiersi scuote il mondo fin
nelle fondamenta. Nico Paladini rappresenta
la scena dell’impiccagione come fosse
preludio di un’apocalisse: la grande quercia
si erge al centro di un paesaggio brullo e desolato,
quasi che, insieme a Pinocchio, ogni
altra forma vivente fosse stata estirpata. Un
cielo nero incombe sulla scena, spandendo
nell’aria un presagio di tempesta. Con volto
esangue e membra disarticolate - così lo vede
Graziano Guiso -, Pinocchio adesso è
l’ombra di se stesso. Poco resta, infatti,
dell’energia e del coraggio, misto ad una
buona dose di sconsideratezza, che lo hanno
condotto fino a qui. Ma la paura, come si
dice, fa novanta. Alla vista di quattro conigli
neri che avanzano verso di lui recando una
bara, il malato si sente improvvisamente riavere.
Per Elio De Luca l’episodio si svolge
in una notte stellata e silenziosa, interrotta
soltanto dall’urlo atterrito di Pinocchio. La
Fata, qui vista come una dea antica, offre
cure e consigli al piccolo ribelle per riportarlo
sulla buona strada. Un ravvedimento destinato
a durare ben poco, giusto il tempo
necessario per cacciarsi nei guai. Presa la
via del bosco, ritrova il Gatto e la Volpe che,
con racconti strappalacrime e nuove menzogne,
gli tendono l’ennesimo tranello. Arrivano
così nel campo dei miracoli: un
giardino delle delizie - come lo immagina
Gianfalco Masini - dove strane creature
convivono in un variopinto intreccio di forme
e colori. Scoperta la truffa delle monete,
Pinocchio denuncia i due malandrini. La
fortuna, però, non lo assiste: il tribunale più
vicino si trova, infatti, nella città di Acchiappacitrulli,
dove è legge che gli innocenti siano
considerati colpevoli e i criminali onesti
cittadini. Nell’opera di Mario Madiai la vittima,
stando ai piedi di un imponente scranno,
racconta l’accaduto con gesti da
consumato arringatore. Commosso dalla
narrazione del misfatto, il giudice gorilla
procede secondo giustizia, spedendo il povero
diavolo dritto in prigione. Tornato in
libertà, Pinocchio riprendere il viaggio verso
casa. Nuovi ostacoli lo attendono lungo il
cammino, come venti contrari che ne rallentano
la corsa. Un serpente con occhi di fuoco
e coda fumante gli blocca d’improvviso
la strada. Atterrito dalla paura, il piccolo girovago
diventa bianco in volto come un
cencio: così lo rappresenta Danilo Fusi, sottolineando
l’incombenza di un pericolo
Elio De Luca, capitolo XVII
Mario Madiai, capitolo XIX
Gianfranco Giannoni, capitolo XXI
Lisandro Rota, capitolo XXIII
Gianfalco Masini, capitolo XVIII
Danilo Fusi, capitolo XX
Marco Manzella, capitolo XXII
Paolo Nuti, capitolo XXIV
PINOCCHIO AL PINOCCHIO 17

Eventi in
Toscana
mortale. Superato l’ostacolo con non poca
difficoltà, eccolo imbattersi in un altro increscioso
impedimento: mentre ruba dell’uva
in un campo, rimane intrappolato in una tagliola.
Prendendo spunto da questo episodio,
Gianfranco Giannoni riconosce
Pinocchio in catene quale simbolo delle tante
diverse forme di schiavitù praticate nel
mondo moderno. Il proprietario del campo,
dopo averlo scoperto, lo punisce obbligandolo
a fare il cane da guardia. E proprio come
un cane fedele al padrone, Pinocchio
sorveglia il pollaio e cattura le faine pronte a
farne razzia. Marco Manzella ambienta l’episodio
in un paesaggio metafisico ed arcaicizzante,
dove la natura è testimone
dell’eterna lotta tra bene e male, giustizia e
compromesso. Lisandro Rota ci mostra il
momento in cui Pinocchio, ancora in volo,
scorge il padre sulla barca che sta per essere
inghiottita dal Pescecane. Mosso dal desiderio
di soccorrerlo, l’intrepido burattino
sfida il mare in tempesta. Dopo aver nuotato
un’intera notte, un’onda prepotente ed impetuosa
lo scaraventa sulla terra ferma. Un
colpo così forte che sente “crocchiare” costole
e congiunture: Paolo Nuti lo rappresenta
nell’atto di scrutare il proprio corpo,
quasi a controllare di essere ancora tutto intero.
Non sa dove si trovi né cosa lo attenda;
l’unica cosa certa è soddisfare il bisogno di
sfamarsi. Per farlo gli occorrono delle monete,
ma essendo un autentico scansafatiche,
preferisce chiedere l’elemosina anziché
lavorare. Fino a quando una vecchina incontrata
per strada gli promette un pasto abbondante
in cambio di aiuto. Pinocchio
accetta l’offerta, non immaginando quale sia
la vera identità della donna. Lo scopriamo
anche noi nell’opera di Elisa Nesi, dove la figura
femminile al centro della scena non è
altri che la Fata turchina. Credendola morta,
lo stupore del burattino è grande nel rivederla:
pianti, balbettii ed esclamazioni di meraviglia
scandiscono l’incontro con la sua
benefattrice, alla quale promette di mutar
vita. Nonostante i buoni propositi e i tentativi
per mantenerli, continua però a seguire i
cattivi consigli. Quando un branco di birboni
gli propone di marinare la scuola per andare
a vedere il Pescecane, la tentazione di seguirli
prevale su ogni altra remora. Daniele
Govi immagina il gruppo di monelli in riva al
mare, mentre aspettano - e noi con loro -
che l’orribile mostro si palesi: l’ultimo momento
di quiete prima che la situazione
precipiti in maniera rocambolesca. Avanti e
cammina spedito, gli intimano i due gendarmi
mentre lo trascinano via: con lunghi
Elisa Nesi, capitolo XXV
Massimo Lomi, capitolo XXVII
Massimo Cantini, capitolo XXIX
Stefania Valentini, capitolo XXXI
Daniele Govi, capitolo XXVI
Maurizio Bini, capitolo XXVIII
Francesco Nesi, capitolo XXX
Antonio Biancalani, capitolo XXXII
18 PINOCCHIO AL PINOCCHIO

pennacchi sul cappello e ampi mantelli -
così li dipinge Massimo Lomi -, incombono
sul poverino come ombre minacciose.
Scampato il rischio di finire in manette per la
seconda volta, dopo aver corso, nuotato e
compiuto altre acrobazie, cerca riparo in una
grotta. Nell’opera di Maurizio Bini lo vediamo
avvicinarsi a quello che crede essere un
rifugio, senza sapere di andare incontro, invece,
ad un altro pericolo: essere impanato,
fritto e mangiato da un pescatore mezzo uomo
e mezzo animale nascosto nella grotta.
Massimo Cantini rappresenta entrambe le
“anime” di Pinocchio, immaginando che nel
burattino di oggi sia già scritta la storia del
bambino di domani. La strada da percorrere,
tuttavia, è ancora lunga e densa di ostacoli.
Del resto, si sa, Pinocchio non può
proprio resistere alle tentazioni, specie se
queste promettono una vita fatta di solo divertimento.
Quando Lucignolo lo invita ad
andare in un paese dove si vive sempre in
vacanza, la sua buona coscienza vacilla davanti
ad una proposta così allettante. Per
Francesco Nesi l’accordo tra i due amici vede
la complicità di una notte serena e di uno
spicchio di luna splendente in cielo. Dopo
qualche esitazione, il burattino si unisce alla
carovana. Non essendoci posto sul carro,
viaggia in groppa ad un asino che, prima
con calci poi con parole, tenta di farlo desistere
dalla decisione di partire. Stefania Valentini
descrive lo stupore di Pinocchio
quando, avvicinatosi al muso del ciuchino,
vede scorrere delle lacrime. Una stranezza
che desta la sua curiosità, presto placata dal
conducente del carro, l’Omino di burro, con
bugie plausibili per un credulone di tal fatta.
Arrivati nel Paese dei balocchi, li accoglie
una baraonda di bambini festanti, intenti a
spassarsela con giochi di ogni tipo. Che bella
vita, pensa Pinocchio di fronte ad un tale
spettacolo. Non immagina quale inferno si
nasconda dietro questa visione all’apparenza
celestiale. E proprio come in un girone infernale,
dove i dannati subiscono
metamorfosi commisurate ai peccati commessi,
anche lui sconta la propria pena trasformandosi
in un ciuchino. Prima le
orecchie, poi il corpo e infine anche la voce:
insomma, un asino a tutti gli effetti, proprio
come quello rappresentato da Antonio Biancalani.
Ma il peggio deve ancora venire. Venduto
al direttore di una compagnia di
pagliacci, Pinocchio diventa, a suon di frustate,
la principale attrazione del circo.
Nell’opera di Francesco Sammicheli lo vediamo
esibirsi in uno scenario ludico e festoso.
La sua carriera “circense”
s’interrompe quando, ferito ad una zampa,
viene venduto al mercato come pellame da
concia. Il compratore tenta di annegarlo
mettendogli un sasso al collo: ancora una
volta, rischia di morire. E sarebbe morto di
certo se un branco di pesci non avesse
mangiato la buccia asinina che ne ricopriva
il corpo. Scampato così il pericolo di annegare,
sceglie la via del mare per sfuggire al
suo carnefice. È agile come un delfino ma
non altrettanto veloce; così quando il Pescecane
lo raggiunge, finisce per essere inghiottito.
Giancarlo Montuschi lo
rappresenta in bilico sulle fauci del mostro
marino, mentre la Fata, qui sotto le spoglie
di una capra turchina, assiste alla sciagura
dalla cima di uno scoglio. Quella che segue,
è una delle scene più toccanti dell’intero racconto.
Mai il burattino poteva immaginare
che proprio il pesce divoratore, questa specie
di tomba vivente, gli avrebbe restituito
l’adorato Geppetto. Nell’opera di Marco Dolfi
padre e figlio finalmente si ritrovano: il primo
spalanca le braccia per accogliere il bene
perduto, il secondo, ancora delirante dalla
gioia, si getta al collo dell’anziano genitore. A
questo punto della storia non c’è più traccia
del burattino testardo, svogliato e disubbidiente
fin qui incontrato. Resta soltanto la
sua dura scorza di legno che Pinocchio, ormai
divenuto bambino in carne ed ossa, osserva
con tenerezza. Eppure non tutto ciò
che è stato in passato merita di essere perduto:
l’anima “burattina”, sembra dirci Cristina
Palandri, sopravvive nel cuore
dell’uomo, con il suo fare scanzonato e ribelle.
Anche per questo Pinocchio appassiona
grandi e piccini. Sul suo lungo naso di legno,
come quello dipinto da Samuel Rosi
per la copertina del catalogo, l’umanità intera
si muove come un equilibrista che sfida il
vuoto e affronta le cadute senza rinunciare
alla propria libertà.
Pinocchio al Pinocchio
A cura di Filippo Lotti
Casa Culturale, Piazza Giulio Scali
San Miniato Basso (PI)
Orari e giorni di apertura:
lunedì 15:00 -19:00
martedì 15:00 -17:30
mercoledì 16:00 -18:30
giovedì 15:00 - 20:00
venerdì 15:00 -19:00
sabato 14:00 -16:00
info@casaculturale.it
+ 39 335 7420875
Francesco Sammicheli, capitolo XXXIII
Giancarlo Montuschi, capitolo XXXIV
Marco Dolfi, capitolo XXXV
Cristina Palandri, capitolo XXXVI
PINOCCHIO AL PINOCCHIO 19

Eventi in
Toscana
Il restauro della pala d’altare di Giovanni
della Robbia nella basilica di Santa Croce
di Barbara Santoro / foto courtesy Fondazione Friends of Florence
Dopo un attento restauro conservativo
la pala d’altare in terracotta
invetriata Madonna con Bambino
e Santi di Giovanni della Robbia torna
visibile nella cappella Pulci Berardi della
Basilica di Santa Croce. L’intervento, realizzato
con grande perizia da Mattia Mercante
e Filippo Tattini sotto la direzione
della Soprintendenza Archeologia Belle
Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana
di Firenze e le Province di Prato e Pistoia,
è stato finanziato dalla Fondazione Friends
of Florence grazie al contributo di Mary
Sauer e Robert Doris, una coppia californiana
la cui figlia, Annie, ha voluto questa
donazione come regalo per il suo compleanno.
Un eccezionale gesto di generosità
grazie al quale il capolavoro robbiano,
databile intorno agli anni 20 del ‘500 e
commissionato dal convento domenicano
di Santa Lucia di Camporeggi (ubicato
nei pressi di piazza San Marco e soppresso
nel 1808), è riapparso splendente nei
suoi magnifici colori. Dopo la collocazione
ottocentesca negli sguanci della cappella
Pulci Berardi in Santa Croce, la pala fu
spostata su un altare che ricevette in pieno
l’onda di acqua mista a fango nell’alluvione
del 1966. Ai danni subiti in questa
occasione si aggiungono i segni di molteplici
rimaneggiamenti e di traumi dovuti
ai numerosi smontaggi e rimontaggi
succedutisi nei secoli. Le cromie originali
erano in alcuni casi offuscate e celate da
vernici dorate e ridipinture. La Madonna in
trono è affiancata da angeli e santi: a sinistra
Giovanni Evangelista riconoscibile
per l’aquila, a destra Maria Maddalena
regge il vasetto di unguenti con il quale si
recò presso la tomba di Cristo la mattina
di Pasqua e il libro simbolo di conoscenza.
Gli angeli della parte superiore sostengono
una corona sopra la testa di Maria, in
alto si trova invece una colomba simbolo
dello Spirito Santo. I due piccoli angeli alle
spalle di Giovanni e della Maddalena recano
vasi in cui in origine probabilmente
venivano inseriti fiori in stoffa o candele.
Il testo alla base del trono riporta la prima
parte dell’antifona mariana del Regina
Coeli. Al centro della predella un vaso di
gigli unisce la Vergine annunciata e l’Angelo
annunciante, mentre a sinistra sono raffigurati
i santi Domenico e Lucia e a destra
Tommaso D’Aquino e Caterina d’Alessandria.
Giovanni della Robbia (Firenze 1469-
1529) era il pronipote di Luca della Robbia
(Firenze 1399-1482) e si differenziava dalla
tradizione familiare per la gamma più
amplia di colori. Smalti bianchi, azzurri,
verdi, bruni e gialli stesi dopo la prima
cottura dell’impasto ceramico (biscotto) e
cotti in un secondo fuoco. Inoltre l’uso della
pittura a freddo permetteva di caratterizzare
in modo più realistico gli incarnati.
Simonetta Brandolini d’Adda, presidente
di Friends of Florence, si è detta ancora
una volta soddisfatta di aver aggiunto
un tassello importante alla loro missione
di conservazione e valorizzazione del patrimonio
storico-artistico di Firenze e della
Toscana.
Nelle due foto un particolare dell’opera prima e dopo il restauro
20 GIOVANNI DELLA ROBBIA

La Madonna con Bambino e Santi di Giovanni della Robbia dopo il restauro finanziato dalla Fondazione Friends of Florence
GIOVANNI DELLA ROBBIA
21

I libri del
Mese
Diario di un viaggiatore sentimentale
La Cina tra luci e ombre nell’opera prima di Lorenzo Borghini
di Barbara Santoro
Un diario di viaggio divertente, giovane
e passionale, con accanto
al protagonista un misterioso
accompagnatore che qualche volta fa da
coscienza al protagonista (come il Grillo
parlante con Pinocchio) o ne esalta l’esuberanza
tipicamente giovanile alla ricerca
di quel mondo cinese così diverso dal nostro,
ma non per questo privo di fascino.
Lorenzo Borghini, giornalista innamorato
dell’Asia, direttore della rivista culturale il
Cartello, della web agency Garden Media
e del Florence Short Film Festival, descrive
questo viaggio di tre settimane in Cina,
alternando emozioni e sofferenze, sbornie
e fatiche, euforia e ribrezzo, descrivendo
usi, costumi e contrasti di quel Catai (così
si chiamava nel Medioevo) che si avvia ad
essere il paese più popoloso del mondo.
L’impatto con la prima città visitata - Shanghai
- è enorme. Agli occhi dei due ragazzi
appare subito inaccettabile il clima, con lo
smog che oscura e rende uniforme il cielo.
Seguendoli ci scontriamo, giorno dopo
giorno, con realtà diverse e contrastanti.
Accanto alla città opulenta e avveniristica
ci sono le baraccopoli in cui vivono uomini
e donne che si lavano per strada,
bambini scalzi e seminudi che si rincorrono
nella fanghiglia, mentre grattacieli
di cemento armato, acciaio e vetro sfidano
il cielo con la loro eleganza strutturale.
Nella zona del “Bund” cercano
di venderti di tutto sia di giorno che di
notte: droga, sesso, cellulari di ultima
generazione, orologi, cravatte, borse,
abiti e occhiali firmati. L’esperienza vissuta
in una delle discoteche più esclusive
della città traumatizza i due giovani
viaggiatori, tanto che neanche il “Label
5” (scotch e whisky di pessima marca)
bevuto in abbondanza reca loro alcun
conforto. Il magico treno Maglev ad
alta velocità (che supera i 500 km/h e
percorre in 7 minuti 20 km) li incuriosisce
e li turba allo stesso tempo. La visita
a Huaxi, piccolo villaggio popolato di
miliardari che vivono in un lusso sfrenato,
li diverte, ma quando comprendono
che non possono uscire dal villaggio
e che non si possono sposare con persone
estranee o andarsene o licenziarsi, si
rendono conto che questo paradiso dorato
ha un prezzo troppo alto. Si rifugiano allora
nel Tibet leggendario (nella parte nord
della catena dell’Himalaya) detto “il tetto
del mondo”. Per arrivare sulla sua cima a
4000 metri si sottopongono ad immani fatiche:
uno sforzo ricompensato dallo spettacolo
di una natura incontaminata che
comunica loro un profondo senso di rispetto
ed una religiosità inaspettata. Né la
grande quantità di escrementi lasciati dagli
Yak sul terreno né la precarietà di certi
ponticelli di legno bastano a fermarli. Lo
spirito d’avventura e il paesaggio sconosciuto
compensano tutto: malesseri fisici,
fame, sete e sbronze. Quel senso di infinito
e la spensieratezza della giovane età
permette loro di apprezzare questo paese
assurdo e nuovo. Il vecchietto che pratica
il “tai chin” per mantenersi in forma o
la vista del Buddha Gigante alto 71 metri e
scolpito nella roccia, con un biglietto d’ingresso
esagerato per poterlo osservare da
Un momento della presentazione del libro a Palazzo del
Pegaso, sede del Consiglio Regionale della Toscana. Da
sinistra, l’artista Luca Alinari, il giornalista Umberto Cecchi,
autore della prefazione, Eugenio Giani, presidente del
Consiglio Regionale, Lorenzo Borghini e l’attore Alessandro
Calonaci (ph. Maria Grazia Dainelli)
La copertina del libro
vicino, li ammalia, mentre le centinaia di
macchine fotografiche usate dai turisti per
immortalare la divinità li infastidisce. Così
pure quando vedono al Parco Chengd
Panda Base i famosi panda giganti
chiusi in ambienti angusti per salvarli
dall’estinzione rimangono frastornati e
non comprendono quel mondo curioso
così diverso dal nostro. In una nazione
in cui si lavora 24 ore su 24 con turni
massacranti ma che non possiede un
acquedotto e la popolazione è costretta
ad acquistare solo acqua in bottiglia, ti
viene il dubbio che qualcosa non torni.
Un racconto intrigante questo di Lorenzo
Borghini che regala sfaccettature e
contrasti senza giudicare. Pagine svelte
che corrono senza intoppi, con una genuinità
che arriva al cuore. Un diario arguto
e vero che può aiutare chi non ha
mai visto la Cina a farsene un’idea. Per
me che l’ho visitata è stata una riscoperta
piacevolissima, un rivivere insieme
a loro sensazioni ed emozioni che
credevo di aver dimenticato.
22 LORENZO BORGHINI

A cura di
Giorgia Armellini
Sfaccettature
Fiorentine
I segreti corridoi di Maria Maddalena de’ Medici
I
Medici nutrivano una vera passione
per i percorsi sopraelevati. Del resto
quei passaggi aerei erano molto funzionali,
poiché consentivano ai membri del
casato fiorentino di spostarsi liberamente
e in sicurezza in città. Se tutti conoscono
il famosissimo corridoio vasariano voluto
da Cosimo de’ Medici ed ideato da Giorgio
Vasari nel 1565 per collegare Palazzo
Vecchio con la Reggia di Pitti, pochi sanno
che a Firenze ci sono altri corridoi medicei
la cui costruzione è legata ad una triste
storia. Maria Maddalena de’ Medici, l’ottava
figlia del Granduca Ferdinando I e di
Cristina di Lorena, era nata con una grave
deformità che le creava grandi problemi
nell’affrontare la vita di tutti i giorni. La giovane,
per cui non si poteva progettare un
matrimonio nè instaurare alleanze dinastiche
nuove, fu tenuta lontana dallo sguardo
beffardo dei fiorentini e relegata nel palazzo
della Crocetta, voluto appositamente da
Ferdinando I de’ Medici per la figlia e realizzato
dall’architetto Giulio Parigi a partire
dal 1619. La sfortunata granduchessa,
nonostante tutto rimaneva pur
sempre la figlia del Granduca;
così questi, per garantirle
una certa libertà e autonomia,
commissionò al Parigi una serie
di camminamenti sopraelevati
che le avrebbero permesso
di aggirarsi nelle vicinanze del
palazzo senza essere vista da
sguardi inopportuni. Maria
Maddalena poteva così attraversare
via Capponi ed assistere
alla messa nella Basilica
della Santissima Annunziata,
dietro una grata in ferro battuto
e oro. Poteva arrivare nello
Spedale degli Innocenti tramite
via Colonna o scavalcavare via
Laura per arrivare al convento
della Crocetta, attiguo al suo
palazzo. Una triste storia che
ci rivela però come a Firenze
quando i Medici dovevano fare
di necessità virtù, l’estetica non
veniva mai sacrificata.
Epifania di sangue
La storia di Firenze è punteggiata
da clamorosi fatti di sangue,
omicidi destinati a cambiare
drasticamente il corso degli eventi e
quindi a essere ricordati dai posteri fino
a divenire leggendari. Esemplare in
questo senso è la morte avvenuta nella
notte tra il 5 e 6 gennaio del 1536, secondo
la datazione fiorentina, del primo
duca di Firenze Alessandro de’ Medici
ucciso dal cugino Lorenzino di Pierfrancesco
de’ Medici, un discendente
del ramo collaterale della famiglia dotato,
a differenza del vizioso e arrogante
duca, di notevoli doti intellettuali e
passione per la cultura classica. Quasi
coetaneo di Alessandro, Lorenzino riuscì
a carpirne l’intima amicizia facendogli
credere di essere nemico delle armi ed
amante delle lettere e delle belle donne.
Il loro era un rapporto strano e ambiguo
fondato sulla condivisione di avventure
perverse. Non sappiamo fino a
che punto Lorenzino fingesse e stesse
al gioco in funzione del suo piano scellerato.
Fatto sta che riuscì ad indurre
Alessandro ad abbandonare la sua
abituale prudenza. Conoscendo l’insaziabile
appetito sessuale del duca, gli
prospettò infatti una notte d’amore con
la bella quanto pudica Caterina Soderini.
Portato nella “casa vecchia” dei Medici,
il palazzo Ginori Conti, Alessandro
si spogliò e si mise a letto, sotto il quale
vennero nascoste le armi e l’armatura
“perché la giovane non le vedesse”,
in attesa della dama che suo cugino sarebbe
dovuto andare a prendere. Lorenzo,
invece, dopo essersi procurato
un permesso per poter scappare nottetempo
da Firenze, rientrò nel palazzo
accompagnato da un servitore soprannominato
Scoronconcolo, un bruto
omicida assiduo frequentatore di prigioni.
I due irruppero nella stanza che
ospitava il duca ed ebbe inizio una violenta
colluttazione nella quale l’inerme
Alessandro, pur difendendosi con tutte
le sue forze, ebbe la peggio, ucciso infine
da una pugnalata alla gola inferta da
Scoronconcolo. Il corpo di Alessandro,
avvolto frettolosamente in un tendaggio,
venne trafugato di notte, prima in
chiesa per una benedizione lampo, poi
nella Sagrestia Nuova, dentro il sarcofago
del ‘padre’. Era il 7 gennaio 1536
e del primo duca di Firenze scomparve
ogni traccia.
SFACCETTATURE FIORENTINE
23

A cura di
Elena Maria Petrini
Allo spazio ICLAB di Firenze nasce il polo Eno-Tecno-Art ideato
da Arkiwine in colloborazione con la Fondazione Romualdo Del
Bianco. Un luogo dove cultura enogastronomica ed arti visive
dialogano nel segno della tradizione italiana
di Elena Maria Petrini / foto Maurizio Mattei
Tutto nasce dopo l’incontro con lo
straordinario Gualtiero Marchesi,
avvenuto qualche anno fa a Ziano
Piacentino presso l’azienda Tenuta Fornello,
il cui titolare, Enrico Sgorbati, realizzò
con la sua “vigna delle arti” l’evento Gioielli
in fermento, rendendo così possibile questo
momento di vero scambio culturale
col padre dell’enogastronomia italiana.
Purtroppo, Marchesi è scomparso poche
settimane fa, proprio mentre stava riscrivendo
le sue geniali ricette e creazioni,
alcune delle quali ispirate a Lucio Fontana
e Jackson Pollock; le stesse creazioni
raggiunte anche da noi per strade diverse,
partendo dagli stimoli dei grandi maestri
dell’arte contemporanea. Era doveroso,
quindi, ricordare l’incontro con il grande
maestro della cucina italiana, il cui esempio
ha offerto lo spunto per far nascere
qualcosa di nuovo. Uno stimolo importante
concretizzatosi di recente con la creazione,
presso lo spazio ICLAB (Intercultural
Creativity LABoratory) in viale Guidoni a
Firenze, del polo Eno-Tecno-Art promosso
da Arkiwine in collaborazione con Paolo
del Bianco, presidente della Fondazione
Romualdo del Bianco e del Centro Congressi
al Duomo. L’intento è creare un
luogo d’incontro tra scienza ed eccellenza
enogastronomica italiana, dando spazio
a varie tematiche che cambieranno di volta
in volta, partendo dalla bellezza artistica
associata alla degustazione. L’evento di
apertura, intitolato Arte a tavola e inaugurato
lo scorso 15 dicembre, ha visto la partecipazione,
tra altre personalità ed esperti
del settore, del professor Roberto Barale,
docente di Genetica del Gusto presso il
Dipartimento di Biologia dell’Università di
Pisa, che intervistato dal giornalista Fabrizio
Borghini ha così messo in luce il valore
scientifico dell’iniziativa:«Le neuroscienze
indagano le aree del cervello che ricevono
e rielaborano le informazioni sensoriali, incluse
quelle olfattive-gustative e visive. Le
opere d’arte, oggetto della percezione visiva,
producono sul cervello sensazioni di
piacevolezza che vanno a finire nello stesso
centro che consente di percepire come
piacevoli anche alcuni cibi. Con questo
esperimento abbiamo voluto perciò verificare,
in anteprima mondiale, se esiste
una correlazione tra la piacevolezza gustativa
in questo caso dell’olio e la piacevolezza
visiva dell’opera d’arte e se queste
sensazioni coincidono». Per questa particolare
esperienza sensoriale sono stati
scelti tre autori d’indubbio valore artistico:
Sauro Cavallini, Monica Giarrè e Paolo
Butera, sui quali si è espresso con parole
di sincero apprezzamento il critico d’arte
Niccolò Lucarelli. Le loro opere sono state
associate a tre oli pluripremiati: quello
dell’azienda Matrix srl di Fiesole del notaio
Giovanni Donnini ed altri due delle colline
di Castelfidardo dell’azienda Olio Poldo di
Lorenzo Polacco, che ha guidato la degustazione
degli oli. Tra gli artisti ospiti della
manifestazione anche il maestro Loriano
Aiazzi, presente con cinque bronzi ed altre
sculture di notevole pregio artistico. Nel
corso della serata è stato presentato, inoltre,
il libro Viteliù. Il nome della Libertà
del giornalista Rai Nicola Mastronardi,
un’appassionante ricostruzione storica accompagnata
dalla degustazione di un vino
nato sotto la direzione dell’enologo Valentino
Cirulli, dell’azienda Cirulli Viticultori
di Orvieto, e ottenuto recuperando tre vitigni
delle antiche regioni italiche: l’Aglianico
della Campania, la Tintilia del Molise
e il Montepulciano d’Abruzzo. Tra le aziende
ospiti della manifestazione ricordiamo
Un’immagine dell’incontro con il grande chef Gualtiero Marchesi da poco scomparso e con Enrico Sgorbati, titolare dell’azienda Tenuta Fornello
24

e ringraziamo: Antonio Catania per l’azienda
di Cá Piadera di Nogarolo di Tarso, della
zona di DOCG Conegliano Valdobbiadene;
Francesco Mondini dell’azienda Rasenna
in Tuscany di Antrìa-Arezzo che dopo
anni di ricerca, con vari professionisti
tra cui il direttore didattico di Villa Giulia
a Roma, Maurizio Pellegrini, ha messo in
produzione un vino, oggi certificato Unesco,
che ricalca il sistema di vinificazione
degli antichi Etruschi. La stessa azienda
produce anche la prima bevanda nata al
mondo: l’aceto di miele. Gli abbinamenti
proposti con questi vini sono stati i salumi
dell’azienda Gerini di Pontassieve come
la finocchiona IGP, il lardo di maialino
nero d’Aspromonte ed il salame toscano,
per poi concludere con la torta al cioccolato
Pistocchi.
Il primo appuntamento del 2018, con
opere d’arte associate questa volta al
vino e ad altri prodotti, si terrà sabato
24 febbraio dalle ore 16.00 alle 22.00
presso lo spazio ICLAB in Viale Guidoni
103 a Firenze.
Per prenotazioni scrivere a:
arkiwine@gmail.com
arteatavola2018@gmail.com
Da sinistra, Paolo Butera, Elena Maria Petrini, Nicola Mastronardi, Francesco Mondini, Loriano
Aiazzi, Lorenzo Polacco, Teo Cavallini, Niccolò Lucarelli, Antonio Catania e Roberto Barale
I relatori durante l’inaugurazione del nuovo polo Eno-Tecno-Art Arkiwine; da sinistra l’assaggiatore
d’olio Lorenzo Polacco, la presidente Arkiwine Elena Maria Petrini, il critico d’arte Niccolò Lucarelli
ed il professore di Genetica del Gusto Roberto Barale
Il gastronomo Arkiwine racconta…
Il gusto dell’agro
di Andrea Russo
L’aceto è un alimento straordinario
dalle molteplici attitudini. In passato
era considerato un importante
conservante naturale, un tonico, come
prescriveva Ippocrate, e persino bevanda
rinfrescante per le classi più umili. Oggi
è un importante condimento, ingrediente
principale in alcune salse, ma può avere
anche un uso cosmetico e casalingo. Si
forma grazie ad una reazione chimica a carico
dell’alcol etilico. In altre parole, tutti i
mosti (uva, frutta, cereali e miele) che fermentando
diventano alcolici, possono essere
soggetti ad acidificazione. Nel mondo
ne troviamo moltissimi tipi: perché? E’ qui
che entra in gioco l’aspetto umano. Usi e
costumi dei popoli hanno determinato la
nascita di varie tipologie d’aceto. La bevanda
alcolica che più identifica il nostro paese
è il vino, perciò in Italia l’aceto più in uso è
quello di vino. Tuttavia, in un’aria ben delimitata,
più precisamente nelle province
di Modena e Reggio Emilia, è presente
un’altra tradizione antichissima: un aceto
ottenuto da solo mosto cotto che andrà
incontro a fermentazione alcolica e lungo
affinamento in botticelle di vari legni pregiati
e capacità decrescenti prendendo il
nome di balsamico tradizionale (affronteremo
l’argomento in una rubrica dedicata).
Le popolazioni dell’Arco alpino e dell’area
mitteleuropea essendo vocate alla produzione
di mele scoprirono ben presto che
fermentandone il succo si otteneva una
bevanda leggermente alcolica: il sidro. In
questi territori avremo perciò l’aceto di mele.
Nei paesi germanici, vocati alla produzione
di birra, troveremo invece quello di
malto d’orzo. La prima fase è identica a
quella della birra, poi si segue un’altra strada.
In questo caso l’aceto non deriva direttamente
dall’acidificazione della birra ma
dal malto. Nell’area conosciuta come celtica
(Francia, Regno Unito, Irlanda) troviamo
l’idromele, bevanda idroalcolica a base
di miele dalla cui acetificazione deriva l’aceto
di miele. In questo caso, i prodotti possono
diversificarsi l’uno dall’altro in base al
miele utilizzato. Anche se dal punto di vista
fermentativo non si hanno grandi differenze,
sul piano organolettico possono, invece,
esserci delle sfumature che rimandano
a sentori floreali, fruttati e persino odori
animali. Non possiamo tralasciare l’area
asiatica, vocata alla coltivazione del riso e
dei suoi derivati, come il vino di riso e il suo
aceto dal sapore sapido grazie all’aggiunta
di sale nella lavorazione.
contatta il gastronomo:
andrearusso.gastronomo@gmail.com
ARKIWINE
25

Firenze
Mostre
Capucci Dionisiaco
Fino al 14 febbraio Palazzo Pitti ospita la mostra del
noto stilista. Uno spettacolo visionario con oltre
settanta disegni per il teatro, dove protagonista è la
figura maschile
di Barbara Santoro / foto Francesco Guazzelli
Voluta fortemente dal direttore
delle Gallerie degli Uffizi Eike
Schmidt ed organizzata dall’Accademia
degli Infuocati in occasione
della novantatreesima edizione di Pitti
Uomo, quella di Roberto Capucci a Palazzo
Pitti è una mostra curiosa ed intrigante.
Settantadue disegni a pastello
e grafite su carta tappezzeranno, fino al
14 febbraio, le pareti delle cinque sale
dell’Andito degli Angiolini. Creati dal
noto stilista a partire dagli anni Novanta,
rappresentano manichini abbigliati
in maniera bizzarra, uomini misteriosi
ed ambigui, ballerini in pose plastiche
ed insolite che ripercorrono le soluzioni
sartoriali che lo hanno reso celebre
nel mondo dell’alta moda. Figure multiformi
spesso prive di piedi che si staccano
da terra come agili danzatori per
farci volare in un mondo fantastico, soprannaturale
ed allegorico, mostrando
una precisione calligrafica da cui s’intuiscono
doti di grande disegnatore.
Dalle sue matite colorate sgorgano Galli
d’oro ed Uccelli di fuoco, pappagalli
e farfalle svolazzanti che si posano in
punti impensabili del corpo. Turbanti e
gorgiere, pianeti e sfere, cappelli da fata
e boa sensuali, maschere e diavolerie,
fogliami e fiori di ogni dimensione,
ventagli e “tutù” drappeggiati, copricapo
da guerrieri e maharaja, cappelli e
cinture arabescati e ricchi di piume, elmi
e carapace, mantelle, calzari che rivestono
gambe affusolate: un raffinato
repertorio di costumi teatrali ed accessori
tutti dedicati all’universo maschile.
Capucci Dionisiaco, questo il titolo della
mostra, vuole essere un omaggio alle
tante figure - nani, saltimbanchi, giocolieri,
estrosi disegnatori e scultori come
Buontalenti - che con la loro inventiva
seppero rendere grande la corte medicea
meravigliando gli ospiti provenienti
da ogni parte d’Europa. Un momento di
svago per Capucci, che si diverte – dopo
una vita dedicata ad una moda rigorosa
e prettamente femminile – a vestire
manichini in maniera insolita e spiritosa.
Un camaleontico corteo scaturito dalla
genialità di questo sarto, che debuttò a
Firenze nel 1951 con cinque “tableaux di
abiti” presentati nella villa del marchese
Giambattista Giorgini. L’interesse suscitato
dalla sfilata fu tale che nel 1956
la stampa mondiale lo consacrò “leader
della moda italiana”. I suoi abiti sono
stati indossati da personaggi del jet set
internazionale, come Isa Miranda, Doris
Duranti, Esther Williams, Gloria Swanson,
Marilyn Monroe, Silvana Mangano,
Raina Kabaivanska, Carla Fracci, Katia
Ricciarelli, Rita Levi Montalcini e dal
fior fiore dell’aristocrazia italiana. Ancora
bello, a dispetto dei suoi ottantasette
Roberto Capucci con una sua opera
26 CAPUCCI DIONISIACO

anni, e sempre raffinato, con un’aureola
di capelli bianchissimi che ne incorniciano
il volto abbronzato, Roberto Capucci
offre ai fiorentini uno straordinario saggio
del suo estro creativo, confermando
ancora una volta l’abilità di grande artista
oltre che di grande sarto. Nel 2005 è
stata costituita la Fondazione Capucci e
nel 2007 è stato inaugurato a Villa Bardini
un museo a lui dedicato, il cui fondo
grafico si compone di ben 80.000 disegni,
comprese la raccolta di taccuini contenenti
studi e appunti. La mostra, curata
dallo stesso Roberto Capucci, si avvale
di un bel catalogo edito da Polistampa.
Capucci Dionisiaco
Disegni per il teatro
Palazzo Pitti (Andito degli Angiolini)
Firenze
9 gennaio - 14 febbraio 2018
www.uffizi.it
Uno scorcio dell’esposizione in corso fino al 14 febbraio nelle sale dell’Andito degli Angiolini a Palazzo Pitti
Due dei disegni in mostra
CAPUCCI DIONISIACO
27

Omaggi
Un ricordo di Riccardo Marasco,
il “menestrello” di Firenze scomparso nel 2015
di Barbara Santoro
Due anni fa, il 18 dicembre, ci lasciava
Riccardo Marasco, un
caro amico ed un personaggio
incredibile. Nato nel 1938, dimostrò fin
da piccolo di essere portato per la musica.
Di questo talento si accorse la sua
maestra di pianoforte, Bruna Venturini,
intuendo che dietro quei grandi occhi
e quel ciuffo di capelli neri c’era un
musicante “nato e sputato”. Dai primi
anni ’60 fino al 2015, Riccardo ha attraversato
le nostre vite con la sua attività
musicale. Conoscitore della tradizione
popolare non solo toscana e raffinato ricercatore,
si è dedicato ai canti religiosi
e alle laudi antiche dedicate alla Madonna,
recuperando con grande pazienza
anche le strofe di musica popolare
destinate altrimenti ad essere dimenticate
con il passare degli anni. Ha poi
frequentato i seminari di musica antica
che Andrea Von Ramm teneva a Roma,
dando vita ad un tipo di teatro musicale
che assemblava gli elementi più variegati
della musica italiana. Conoscitore
dell’opera di Odoardo Spadaro (1893-
1965), ne è stato l’erede naturale. Ed
alla paglietta del primo ha preferito la
mandola, chitarra ad ala d’aquila che
sempre lo ha accompagnato nelle sue
recite e trasferte in America, Australia
e Giappone. Cabarettista impertinente e
sfrontato, libero e non legato a nessun
partito, ha attraversato quasi mezzo secolo
portando sui palcoscenici e nelle
piazze quello spiritaccio fiorentino sempre
pronto a pungere chiunque la pensi
in maniera diversa. Così da Firenze
sboccata del 1969 si passa all’album Il
Porcellino che lo consacra chansonnier
fiorentino. Nel 1977 una musicassetta
legata al suo libro Chi cerca, trova. Vita
e canti della Toscana diventa il dono
più apprezzato dai fiorentini sia vecchi
che giovani. Del 1979 è Maledetti toscani,
titolo scelto da Marasco chiosando
il detto di Curzio Malaparte. Di
successo in successo, si arriva al canto
Datato 1969, è l’album d’esordio di Marasco nato dalle registrazioni dell’omonimo
spettacolo presentato al Teatro degli Artigianelli di Firenze lo
stesso anno
In questo disco del 2005 Riccardo Marasco reinterpreta tredici brani del
noto chansonnier fiorentino Odoardo Spadaro, al quale dedicò anche
diversi spettacoli teatrali
28
RICCARDO MARASCO

irriverente sulla Firenze medievale con
L’ammucchiata e nel 1982, amante da
sempre della Viola, omaggia la squadra
con Alè Viola, in cui descrive con molta
ironia la tifoseria fiorentina. E’ del 1989
il celebre inno Firenze bottegaia, preceduto
l’anno prima da una raccolta di
canti natalizi interpretati con il gruppo
Musici di Acanto dal titolo Pace non più
guerra. Indimenticabile lo spettacolo, al
teatro di Rifredi di Firenze, Dal Cupolone
si vede il Vesuvio, in cui si mescolano
le due culture musicali, quella
fiorentina e quella partenopea. Il suo
amore per Firenze era fortissimo almeno
quanto il legame con il fiume Arno,
da lui sbeffeggiato in quel capolavoro
scritto nel 1966: L’alluvione. Insieme
al fedele collaboratore, il maestro Silvio
Trotta, si esibisce su un antico barcone
dei renaioli con uno spettacolo dal titolo
L’Arno canta, richiamando frotte di
fiorentini e di turisti. Impossibile riassumere
in breve una vita piena ed appassionata
dedicata alla ricerca, all’identità
di un popolo ricco di cultura e poesia
ma anche di vernacolo e parolacce. Vale
la pena ricordare Una voce antica e
nuova di Firenze che gli ha fatto ottenere
nel 1974 il Perseo d’oro e nel 1994 il
Fiorino d’oro, oltre a vari premi ricevuti
e alle tante onorificenze. Nel 2005 al
Teatro Puccini di Firenze rappresenta il
suo ultimo lavoro Un bacione a Spadaro
e al Teatro Le Laudi nel dicembre del
2014 saluta il suo pubblico con tre serate
di grande spettacolo. Pochi giorni
prima del Natale 2017 è stata inaugurata
in piazza Poggi la terrazza sull’Arno
che porta il suo nome. Il sindaco Dario
Nardella, davanti ad un folto pubblico di
familiari ed amici, ha promesso che dalla
prossima estate prenderà il via sulla
Terrazza Marasco la Iª edizione di un festival
che si chiamerà Festival Marasco
ed avrà l’obiettivo principale di far partecipare
tanti giovani che nel suo nome
vogliono portare avanti questa bella tradizione
di canto popolare. Un modo per
mantenere viva la sua memoria artistica
e il ricordo di un uomo ironico e sagace.
Lo voglio immaginare nell’immensità
del cielo mentre canta La Teresina o
Sull’autobus di Fiesole, facendo sorridere
le schiere angeliche, mentre San
Pietro lo ammonisce di non far confusione…
Pubblicato nel 1997 in collaborazione con il
gruppo Musici di Acanto, Pace non più guerra
(Birba Edizioni) raccoglie i risultati della sua
trentennale ricerca sulle tradizioni popolari e
religiose della Toscana
Inciso dal vivo nel settembre del 1972 e pubblicato
nuovamente nel 1995 con il titolo Il Porcellino
(Birba Edizioni), questo disco è considerato
uno dei più significativi esempi della verve ironica
e disincantata del musicista fiorentino
L’artista nella sua casa di Bagno a Ripoli con l’inseparabile “chitarra-lira” di origine rinascimentale
(ph. Cambi - Sestini)
Barbara Santoro con Riccardo Marasco nel 1992
RICCARDO MARASCO
29

Mostra collettiva di arte contemporanea
31 gennaio - 20 febbraio 2018
A cura di Lucia Raveggi
LORENZO BONAMASSA
JOY STAFFORD BONCOMPAGNI
PIERO BIONDI
VANIA CALABRI
VINCENZO CIRILLO
GRAZIA DANTI
CRISTINA LANDI
WILMA MANGANI
LAURA ZANOBINI
Riprese televisive Toscana TV
per la rubrica Incontri con l’Arte
Inaugurazione 31 gennaio ore 17:00
AUDITORIUM AL DUOMO, Via Cerretani 54, FIRENZE
Per info: + 39 333 97 04 402

Storie dal
Mondo
Il tempio indiano di Saudatti
Dedicato al culto della dea Renuka Yellama, è il luogo
dove i fedeli si radunano il 2 gennaio, in occasione della
prima luna piena dell’anno
di Stefano Pensotti / foto Maria Grazia Dainelli e Carlo Midollini
Tra novembre e dicembre le notti
di plenilunio sono dedicate alla
celebrazione di Yellama, antica
dea della fertilità venerata nel Sud come
protettrice dei più umili, dei tribali, dei
contadini, come “Jagadamba” ovvero
Madre dell’Universo. La dea Yellama si
manifesta attraverso i corpi delle prostitute,
degli eunuchi e dei transessuali che
raggiungono il suo tempio camminando
in pellegrinaggio con umili famiglie.
La dea dei diversi riunisce, in un turbinio
di emozioni, suoni, colori e odori, le
persone desiderose di uscire dall’ombra.
Attorno al tempio sorge il campo
dei pellegrini, tra carri ed accampamenti
temporanei, in un tripudio di musiche,
canti, danze rituali e pratiche sciamaniche.
Un’esplosione di colori, tra sarees,
turbanti, visi dipinti con la curcuma gialla
e rossa; un momento di preghiera e ringraziamento
alla dea Renuka. Il culmine
si raggiunge nella notte del plenilunio,
quando le famiglie portano le bambine
al tempio per sposarle e votarle a questa
divinità. Divengono così devadasis e
yogini, in altre parole “serve” di Renuka
Yellama. Nella regione indiana di Karnataka
la tradizione delle devadasi è ancora
molto radicata pur essendo osteggiata
dal governo in quanto pratica religiosa
che sconfina in una vera e propria forma
di prostituzione.

ISTORANTE E PIZZERIA CON FORNO A LEGNA
Dal 2007 Paolo svolge ininterrottamente l’attività di
ristorazione affiancato dalla figlia Paola e coadiuvato
da validissimi collaboratori che con competenza,
serietà servono con un servizio impeccabile una
grande varietà di piatti sia di carne che di pesce,
antipasti vari e un’ ottima pizza.
Orari di apertura
Dal lunedì al venerdì
12.00 - 14 30 / 19.00 - 23.00
Sabato
19.00 - 23.00
Domenica chiuso
Viale Spartaco Lavagnini, 40 - 50129 FIRENZE
Tel 0554684536
Cell 3333077211
map.la.cima.srl@gmail.com

A cura di
Maria Grazia Dainelli
Obbiettivo
Fotografia
Anna Signorini
Una galleria di ritratti femminili tra realtà e fantasia
C’era una volta, tanto tempo fa, una
donna unica, fantasiosa, creativa,
segreta, enigmatica, capricciosa,
coraggiosa…Quello che potrebbe sembrare
l’incipit di una fiaba descrive invece
una raccolta di ritratti la cui protagonista è
una donna che ricorda, si trasforma, realizza
i suoi desideri. In lei ci sono mille
sfumature, caratteristiche e capacità:
l’eleganza e l’armonia, la forza trasmessa
dal colore, il fascino, la delicatezza,
l’eterna sfida tra piacere e piacersi. Io
ho voluto raccontarle così, forse con un
po’ di ironia, domandandomi se sia ancora
possibile credere alle favole…
Nata in provincia di Pisa nel 1961,
Anna Signorini coltiva fin da bambina
una grande passione per il
disegno, che l’ha vista passare ore ed ore
ad imbrattare fogli e a progettare qualsiasi
tipo di oggetto all’apparenza inutile. Dopo
aver studiato progettazione, lavora con
importanti studi di interior design per poi
approdare al mondo della nautica e delle
grosse imbarcazioni. Scopre il piacere
della fotografia grazie ad alcuni viaggi di
lavoro, prediligendo prima la street photography
e passando in seguito alle tecniche
di post - produzione che le consentono di
sovrapporre, colorare, tagliare, scomporre,
ricreare e raccontare le sensazioni dettate
dall’istinto.
designsignorini@tiscali.it
+ 39 349. 7100016
Mostre effettuate nell’ultimo anno presso:
Grand’Hotel e Rivieva del Lido di Camaiore,
The Club di Viareggio e l’Antica Drogheria di Lucca
Piccolo Principe , unica tra tante rose e poi...tutte le altre
Omaggio a Gastel: La Bella addormentata: mimetizzata in un paralume
dell’ambiente domestico in cui vive e di cui è la luce
ANNA SIGNORINI 35

CHI AMA
LA MODA
LA SEGUE
Da “News”
di Pratesi Silvana & C. S.n.c.
210/R, Via Pisana - Firenze - FI
Abbigliamento - vendita al dettaglio
Orari e giorni di apertura:
Dal lunedì al sabato
9:30 /13 e 15:30 / 20
Chiuso il lunedì mattina
e la domenica
055 713 5308

Domus Familiae Padre Daniele
Solidarietà
Nei pressi di Padova una struttura di accoglienza dove giovani
“feriti nell’amore” sono aiutati a ritrovare il senso della vita
Di Maria Grazia Dainelli
Questa storia nasce da una preghiera
della psicologa Cristina
Danieli, la quale, animata
da una profonda fede in Dio, ha voluto
porre rimedio alla crescente sofferenza
esistenziale degli adolescenti. Un disagio
giovanile che si esprime attraverso
la rabbia, il rifiuto dell’autorità genitoriale,
l’abbandono della scuola e varie
forme di dipendenza. Con la sua attività
ventennale, Domus Familiae è la dimostrazione
di come questi giovani abbiano
trovato risposta alla loro esigenza
di felicità incontrando Gesù nella vita
di tutti i giorni tramite le persone che
stanno loro accanto. Si respira un clima
familiare basato sulla condivisione
della quotidianità, dove assaporare la
bellezza del vivere e la possibilità di veder
realizzati i propri sogni. E’ stato così
per i giovani ospiti della casa che, accomunati
dalla passione per la musica,
hanno deciso di fondare il gruppo DeEsperanza
per testimoniare la loro esperienza
nelle scuole, nelle parrocchie,
nelle piazze d’Italia, scrivendo canzoni
ed incidendole su cd. Dall’amore per la
cucina è nato invece uno staff che ha
già creato diversi eventi, come catering
e cene di beneficenza. Fatto ancora
più straordinario è che nessuna delle
famiglie dei ragazzi paga una retta per
la loro permanenza. Ciò che consente a
questa realtà di andare avanti, infatti, è
solo la provvidenza, vale a dire l’azione
concreta di Dio che si prende cura dei
propri figli sia nello spirito che nei bisogni
materiali.
DONAZIONI
5 per MILLE: C.F. 03597210289
IBAN IT 68 C 01030 12159 000001501971
Domus Familiae Padre Daniele
Associazione privata di fedeli O.N.L.U.S.
Via Rolandino 2, 35030
Sarmeola di Rubano (PD)
info@domusfamiliae.it
+ 39 348. 3279570
Case dell’Associazione, unite ma divise da un grande giardino, come
erano state sognate nel 2000
Cena di beneficenza interamente preparata dai ragazzi
Coro della Domus Familiae
DOMUS FAMILIAE
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Baccarossa è un punto d’incontro per gli appassionati della buona cucina, situato
nel cuore del centro storico di Firenze.
Un locale accogliente con sfumature retrò che rendono l’ambiente intimo e rilassante,
adatto ad incontri di lavoro, momenti di convivialità tra amici, cene tête-àtête
e piccoli eventi per ricorrenze.
Al Baccarossa si possono degustare pietanze dal gusto sofisticato e al contempo
genuino che lo chef e patron Amerigo Capria realizza con passione e creatività,
combinando antiche ricette della tradizione con tecniche e gusti di oggi.
Il menù, diviso in tre percorsi - mare, terra e vegetariano -, segue sempre la stagionalità
dei prodotti, proponendo pesce rigorosamente pescato nei nostri mari,
piatti di carne della migliore qualità, pasta, gnocchi e dolci di produzione propria.
Lo chef dedica grande attenzione a cotture e accostamenti, creando un’alchimia
di fragranze e sapori mediterranei.
Ampia e ricercata la carta dei vini, ottenuti anche con uve da agricoltura biodinamica.
RISTORANTE BACCAROSSA - VIA GHIBELLINA, 46 ROSSO 58 NERO - FIRENZE
WWW.BACCAROSSA.IT | INFO@BACCAROSSA.IT
+39 055 24 06 20 | +39 392 68 44 063

A cura di
Maria Grazia Dainelli
Obbiettivo
Fotografia
Paolo Fontani
Istanti di vita in India: immagini di un paese ospitale ed accogliente
di Maria Grazia Dainelli / foto Paolo Fontani
Il primo viaggio di Paolo Fontani in
India risale al 1975, un’esperienza
seguita da altre occasioni che gli
hanno permesso di visitare questo paese
in lungo e in largo. Le sue fotografie
catturano istanti di vita, raccontando
con grande sensibilità il calore umano e
l’accoglienza del popolo indiano. Immagini
dense di emozioni che l’osservatore
avverte e condivide in un reciproco
scambio con l’autore.
FILATI RICCIO srl
Via I Maggio, 4
Montemurlo (Po) Italy
www.filatiriccio.it
(+39) 0574 680906
(+39) 0574 680907
info@filatiriccio.it
Immagini scattate in un zuccherificio indiano
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Personaggi
Omaggio al professor Domenico Pugliese,
stimato critico d’arte scomparso di recente:
ideatore di importanti eventi espositivi, ha
conosciuto illustri protagonisti dell’arte, unendo
alla critica militante l’attività di studioso
di Lucia Pugliese / foto courtesy archivio Pugliese
Il giorno dell’Epifania ci ha lasciati il
professor Domenico Pugliese, stimato
insegnante, apprezzato critico
e perito d’arte, con centinaia di recensioni
e prefazioni a cataloghi di mostre
da lui organizzate assieme al figlio Carlo,
titolare della galleria Pugliese Arte.
E’ stato direttore ed organizzatore
di esposizioni d’arte in varie città italiane
ed estere (Bruges, Montecarlo,
Doha in Qatar, San Paolo del Brasile),
spesso in collaborazione con ambasciate
straniere. Si ricordano, in particolare,
la mostra organizzata a Firenze
con il patrocinio dello stesso comune
e dell’ambasciata slovacca e l’esposizione
di artisti del Qatar allestita a Villa
Strozzi con il patrocinio dell’ambasciata
di questo paese orientale e la presenza
all’inaugurazione del principe Altani.
Di particolare importanza la mostra promossa
nei primi anni Duemila a Pietrasanta,
in collaborazione con il comune
e l’assessorato alla cultura, che ha visto
la partecipazione di artisti di fama
internazionale, tra cui Igor Mitoraj, Jean
Michel Folon, Michelangelo Pistoletto,
Fernando Botero e Luigi Ontani. Impossibile
riassumerne l’intensa attività,
i tanti incontri e scambi avvenuti negli
studi di artisti come Giorgio De Chirico,
Renato Guttuso, Ardengo Soffici, Ottone
Rosai, Pietro Annigoni, Renzo Vespignani,
Mario Schifano, i fratelli Antonio
e Xavier Bueno, Antonio Possenti, Tano
Festa, Franco Angeli, Luca Alinari, Enzo
Faraoni, Ennio Morlotti, Franz Borghese,
Remo Squillantini, Sergio Scatizzi,
Roberto Greco, Enrico Bandelli e Nino
Tirinnanzi. Senza dimenticare l’intenso
e genuino rapporto di amicizia che lo
unì allo stimato artista Mauro Capitani.
Una nota particolare anche al poliedrico
“artista del Cinquale”, Mino Maccari,
e all’amicizia che li ha visti insieme
per decine e decine di mostre. Il professore
viveva lunghi e intensi periodi
nella sua casa di Quercianella e lì s’incontrava
con i fecondi artisti post-macchiaioli.
A tale proposito meritevole
di menzione la splendida mostra sui
Macchiaioli nel Palazzo della Cultura a
Taranto, spostatasi poi a Bagno di Romagna,
Fossombrone e in tante altre
sedi istituzionali. Importante l’amicizia
che lo legò a Silvio Loffredo, grande
esponente della pittura italiana del
Novecento, con il quale ideò e seguì la
mostra di Oskar Kokoschka, sempre a
Pietrasanta. Autore di numerosi articoli
su importanti riviste e antologie e di
un vivace ed intenso volume dedicato ai
suoi amati artisti (Artisti amici miei), ha
redatto accurate biografie di personalità
illustri. La raffinata sensibilità verso
le arti visive, il rigore intellettuale e la
sottile capacità analitica ne hanno fatto
un critico ambito, dotato di una visione
attenta e rapida dei contesti estetici,
prevalentemente basata sulla razionalità
ma anche su bagliori emotivi che non
possono mancare nell’apprezzamento
dell’arte. L’alto senso di umanità che lo
ha contraddistinto rimarrà lungamente
impresso in chi lo ha conosciuto.
Da sinistra, Domenico Pugliese, il figlio Carlo, il giornalista Tommaso Paloscia e il gallerista Vittorio
Poleschi in un evento a Villa Guicciardini di Firenze
40 DOMENICO PUGLIESE

La galleria d’arte Il Quadrivio nasce da un’idea di Patrizia Zuccherini. Inaugurata di recente,
ospita mostre dedicate a vari linguaggi artistici - pittura, scultura, fotografia, grafica -
ed altri eventi culturali, come conferenze e presentazioni di libri
Il Quadrivio - Galleria d’Arte - Viale Sonnino 100 - Grosseto
www.galleriailquadrivio.it
info@galleriailquadrivio.it
patrizia.zuccherini@alice.it
+ 39 339. 2357824

42

Firenze
Mostre
Segno e colore: il linguaggio dell’anima
nelle opere di Maria Luisa Salvini riunite in
un’antologica al Consiglio regionale della Toscana
di Daniela Pronestì / foto courtesy dell’artista
Si è conclusa di recente la mostra
personale di Maria Luisa Salvini
a Palazzo del Pegaso, sede
del Consiglio regionale della Toscana.
Un’antologica con sedici opere che ripercorrono
i passaggi fondamentali
del suo percorso fino ad oggi. All’innato
senso del colore declinato in molteplici
sfaccettature emozionali, Maria
Luisa Salvini aggiunge da sempre la
forza comunicativa del gesto. Entrambi
gli aspetti convivono in una cifra stilistica
inconfondibile, raggiunta in tanti
anni di appassionata dedizione alla
pittura. Le opere riunite in quest’occasione
mettono in luce la continuità
dei valori espressivi caratteristici del
suo registro pittorico. Primo fra tutti il
colore, a cui spetta il compito di farsi
cifra del sentimento e insieme evocazione
di uno spazio lirico dove l’anima
liberamente si manifesta. Agli accenti
dei colori primari che risuonano come
note dominanti di una melodia, si
uniscono gli accordi di toni secondari
sapientemente distribuiti in una partitura
cromatica equilibrata ed armonica.
Seppure guidato dall’immediatezza
dell’istinto, il gesto risponde ad un ordine
compositivo mai casuale: basti a
confermarlo lo sviluppo calligrafico del
segno, che si dipana ritmicamente generando
un caleidoscopio di movimenti
ampi, avvolgenti e spesso circolari.
Quella di Maria Luisa Salvini è un’astrazione
che dialoga con la natura,
traendone suggestioni e spunti ispirativi
trasfigurati sul piano pittorico per
mezzo del colore. Nascono così i suoi
paesaggi dell’anima, luoghi lontani
nello spazio e nel tempo, dove l’emozione
conquista un afflato universale.
Una scrittura del colore che ha origine
nel profondo, nelle pieghe più nascoste
dell’interiorità, dando voce a quella
necessità espressiva che - sostiene
Kandinsky - è ragione fondante della
pittura.
Senza titolo, tempera su tela, cm 50x70
La presentazione della mostra nella Sala degli Affreschi di Palazzo del Pegaso. Da sinistra, Maria
Luisa Salvini, Alessandro Lo Presti, responsabile delle relazioni istituzionali, e la storica dell’arte
Daniela Pronestì
MARIA LUISA SALVINI
43

Firenze
Mostre
La storica Casa della Cornice di via Sant’Egidio
a Firenze rende omaggio al maestro Sergio
Scatizzi nel centenario della nascita con una
mostra di opere inedite
di Fabrizio Borghini / foto Maria Grazia Dainelli
Sergio Scatizzi, nato a Gragnano
in provincia di Lucca il 20 ottobre
1918, dopo aver trascorso l’adolescenza
in Valdinievole e nella campagna
lucchese, si trasferisce a Napoli – appena
tredicenne si interessa agli esiti della
scuola di Posillipo - e poi a Roma
dove conosce alcuni dei maggiori pittori
degli anni Trenta, rimanendo particolarmente
attratto da Mafai, Stradone,
Cavalli e Antonietta Raphaël. Dopo un
breve soggiorno a Parigi, dove familiarizza
con Colette, Maurice de Vlamink e
Paul Lèautaud, torna a Montecatini nel
1938 e comincia a dipingere i suoi primi
paesaggi, le nature morte e i ritratti
ad acquerello. Nel 1948 si reca nuovamente
a Parigi e diventa amico dello
scrittore Giovanni Comisso e dell’artista
Filippo De Pisis. Tiene la prima personale
nel 1949 alla libreria Ariel di Montecatini
e l’anno successivo espone alla
XXVª Biennale di Venezia. Nel 1951 frequenta
Rosai e stringe amicizia con Nino
Tirinnanzi, Marcucci, Capocchini,
Pregno, mentre nel 1955 si stabilisce
a Firenze ed entra a far parte del
vivace mondo intellettuale della città
frequentando critici d’arte come Raffaele
Monti, letterari come Luigi Baldacci,
scrittori come Piero Bigongiari
e seguendo appassionatamente le vicende
del mondo dell’arte, della musica
e della poesia. Dal 1956 instaura
un proficuo rapporto professionale
con la galleria L’Indiano di Firenze e
comincia a presentarsi annualmente
in mostre personali che si tengono
in varie città italiane, imponendosi
come una delle figure di maggior
spicco fra gli artisti della sua generazione.
Partecipa alla IXª Quadriennale
di Roma del 1965 e nel 1967 riceve
il Premio Internazionale del Fiorino
e della Città di Firenze in occasione
della XVIIIª edizione della prestigiosa
manifestazione. Nel 1969 tiene una
mostra antologica alla galleria San-
Sergio Scatizzi (foto di archivio)
44

ta Croce di Firenze come vincitore della
precedente edizione del Premio Biennale
del Fiorino: la mostra viene presentata
dal poeta Alfonso Gatto. Nel 1976 è
protagonista di una vasta antologica di
opere scelte all’Accademia di Belle Arti
di Carrara, a cura di Pier Carlo Santini.
E’ del 1982 la successiva antologica
in Palazzo Strozzi a Firenze, con duecento
opere che abbracciano gli anni compresi
tra il 1936 e il 1982, organizzata
da Raffaele Monti e Alfredo Righi e presentata
in catalogo dall’illustre storico
dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti che
ricostruisce criticamente il lungo percorso
dell’artista. Nel 1997-’98 un’altra prestigiosa
mostra presso la Galleria d’Arte
Moderna di Palazzo Pitti a Firenze: dedicata
al periodo informale, con lavori realizzati
a cavallo degli anni Settanta, viene
presentata in catalogo da Antonio Paolucci,
Carlo Sisi, Franco Zabagli, Raffaele
Monti e Carlo Falciani. Negli anni Ottanta
e Novanta espone nelle maggiori gallerie
italiane, a Los Angeles e in Canada.
Nel 2006 nel Salone delle Reali Poste nel
Piazzale degli Uffizi si tiene Sergio Scatizzi
– Immagini, con presentazione di Antonio
Paolucci, Ornella Casazza e Raffaele
Monti. A fine settembre del 2009 viene
inaugurata la mostra Il Barocco informale
di Sergio Scatizzi alla Galleria d’Arte
Moderna di Palazzo Pitti con opere datate
fra il 2000 e il 2009 e presentazione
di Cristina Acidini, Giuseppe Cantelli
e Simonella Condemi. A pochi giorni dalla
conclusione della mostra, il primo dicembre,
il maestro muore a novantuno
anni all’ospedale di Torregalli di Firenze.
Poeta e raffinato collezionista d’arte
e d’antiquariato - aveva scelto di
vivere in via Maggio, la via degli antiquari
- ha lasciato nell’amato rione di
Santo Spirito il ricordo di una presenza
discreta e riservata ma allo stesso
tempo partecipe della vivace e stimolante
quotidianità dello storico quartiere
fiorentino.
Omaggio a Sergio Scatizzi
12 gennaio- 28 febbraio
Casa della Cornice
Via Sant’Egidio 26 r - Firenze
Orario e giorni d’apertura:
Dal lunedì al venerdì
9:00 /13:00 e 15:30 / 19:30
sabato 9:00 / 13:00
CASA DELLA CORNICE
45

Eventi in
Toscana
Alla biblioteca comunale di San Casciano
il Percorso anomalo di Gianni Panciroli,
tra opere figurative, astratte ed informali
di Anita Norcini Tosi / foto courtesy dell’artista
Un percorso costellato di immagini,
forme, paesaggi, colori e
tanta luce: l’arte di Gianni Panciroli
si offre, così, carica di simboli che legano
il vissuto all’intuizione. Un passaggio
dall’idea all’esperienza che si compie proprio
per mezzo dell’atto creativo. Plotino
parla di un’arte dei molti, come la luce
delle diverse sfaccettature del Bello
che guidano all’Uno, all’Assoluto, in
quanto telos dell’animo umano. L’artista
Panciroli ha il talento di rendere il
proprio vissuto in forme comunionali,
tali da realizzare una circolarità con
il lettore. Infatti, chi si pone davanti
ai suoi quadri ne diviene protagonista
insieme all’autore, riconoscendosi
nell’immagine dipinta e facendo esperienza
di sé. Il tempo attuale è segnato
dal pensiero “debole”, come nota il filosofo
Gianni Vattimo, il quale usa questa
definizione per spiegare che la vita
degli uomini è essenza condivisibile e
contestabile, dato che la traccia del singolo
può esprimere un percorso di esistenza
possibile ai tanti. In fondo, l’arte
di oggi, non seguendo più una scuola
di pensiero, esprime un afflato di creatività
pura e libera da schemi. Nei suoi
dipinti Gianni Panciroli si lascia cullare
da ciò che vede e s’immerge nella
dimensione della fantasia: è pura atarassia
dal male del mondo, una ricerca
dell’autentico sé. Le opere più recenti
danno voce all’astrattismo, che non
vuole essere chiusura all’altro, ma un
modo per esprimere l’ansia del vivere
e uno sprone ad essere uniti nella cacofonia
dei tempi. Così Gianni Panciroli
invita l’osservatore a scegliere le opere
nelle quali l’armonia del sentire è musica
espressa con le note del pensiero e
della sensibilità.
L’attesa, acrilico su compensato, cm 60x83
46 GIANNI PANCIROLI

Versilia metafisica, olio su tela, cm 30x35
Il nulla delle parole, filo spinato, stoffa e colori acrilici su tela, cm 100x70
Sogno clandestino, acrilico su compensato, cm 40x40
Mare d’inverno, olio su tela, cm 35x30
Artista di origine emiliana, dagli
anni Sessanta Gianni Panciroli
vive in Toscana, dove ha iniziato
la sua attività artistica. Nel tempo
ha maturato una sempre maggiore conoscenza
dell’arte in tutte le sue forme,
esplorando diversi ambiti espressivi e
spaziando tra astrattismo, concettuale,
ritratti di figure e lavori sperimentali,
questi ultimi realizzati con spaghi e filo
spinato in una composizione di tipo
strutturalista. Alle soglie del 2000 torna
alla pittura, riprendendo il figurativo, il
fumetto, il paesaggio e l’astratto, come
se facesse un punto e a capo di sé attraverso
la memoria. La sua opera attuale
fa tesoro di questa doppia posizione tra
emozione e concetto e riesce comunque
a lasciarsi andare con libertà verso
la ricerca di una musicalità dei colori
e delle forme. Molte le mostre monografiche
e collettive realizzate dagli anni
Settanta ad oggi. Tra queste si ricordano
le personali: 1991, Sala Consiliare,
Comune di Bagnone (MS); 1994, mostra
itinerante (Galleria del Candelaio
e Caffè Sestriére a Firenze e Caffè La
Loggia a Greve in Chianti); 2014, Agriturismo
Montagna Verde, Apella (MS);
2016, Sala esposizioni, Castellina in
Chianti; 2017, Caffè Letterario Giubbe
Rosse, Firenze. Tra i premi si segnalano:
Premio Internazionale di Pittura di
Poppi - Arezzo; Premio Italia Arti Visive
- Firenze; Premio Manciano - Grosseto.
www.tuscanantiques.com
lorenza.guastalli@gmail.com
+39 338. 2191703
GIANNI PANCIROLI 47

Personaggi
Premio a Fabrizio Borghini per i
trent’anni di carriera televisiva
All’ICLAB l’iniziativa promossa dalla Fondazione Romualdo Del Bianco
di Alessandra Ricco / foto Lisa Ciardi
Tantissimi, domenica 15 ottobre,
i partecipanti all’iniziativa Gli Artisti
e gli Artigiani della Toscana
a Fabrizio Borghini, organizzata su
richiesta di tanti artisti e artigiani della
Toscana, per rendere omaggio alla voce
e al volto che da trent’anni presenta
e racconta nelle sue trasmissioni televisive
le loro storie anche delle località
meno note e meno accessibili. Proprio
per la sua capacità di aggregare talenti,
creando per loro opportunità di farsi conoscere,
il giornalista Fabrizio Borghini è
stato premiato dagli artisti e artigiani della
Toscana all’ICLAB Intercultural Creativity
Laboratory di Firenze (viale Guidoni
103), spazio espositivo promosso dalla
Fondazione Romualdo Del Bianco, da
sempre impegnata nel dialogo fra popoli
attraverso la cultura, l’arte e la conoscenza
reciproca. Alla presenza del
Comune di Firenze, nella persona della
presidente della V Commissione Cultura,
Maria Federica Giuliani, e del presidente
della Fondazione Romualdo
Del Bianco, Paolo Del Bianco, il premio
è stato consegnato dal presidente
del Consiglio regionale Eugenio Giani.
Il premio consiste in una medaglia
di bronzo argentato, realizzato dal maestro
orafo Paolo Penko: un bassorilievo
di 5 kg e 20 cm di diametro donata dalla
Fondazione Romualdo Del Bianco che
raffigura i giovani del mondo in gioiosa
armonia, con il patrimonio culturale che
riesce ad aggregarli favorendo il dialogo
e la pace nel mondo, esattamente come
lo stesso Borghini ha fatto e sta facendo
con il suo operato in Toscana. Molti
artisti hanno poi voluto consegnare a
Fabrizio Borghini regali e omaggi personali
per il lavoro svolto in questi anni,
oltre a portare le proprie testimonianze
di riconoscenza verso il giornalista e instancabile
promotore di iniziative culturali.
Con questa iniziativa la Fondazione
ha voluto dare forma ai sentimenti degli
artisti e artigiani della Toscana, organizzando
per loro questo riconoscimento
che di fatto è un ringraziamento all’uomo
Fabrizio Borghini, noto giornalista
televisivo, professionista nell’informazione,
oltre che persona generosa che
da trent’anni porta visibilità con la telecamera,
fiducia, ottimismo ad artisti,
artigiani, letterati, associazioni culturali
e fondazioni in tutta la Toscana. Per far
conoscere meglio il lavoro svolto fino a
oggi da Fabrizio Borghini è stata organizzata
anche una mostra con una selezione
delle sue pubblicazioni, filmati,
foto e locandine degli eventi da lui promossi.
L’evento è stato patrocinato da
Consiglio Regionale della Toscana, Comune
di Firenze, Accademia delle Arti
e del Disegno, Antica Compagnia del
Paiolo, CNA Toscana, Confartigianato
Toscana, Confartigianato Firenze, Confcommercio
Toscana, Esercizi Storici
Tradizionali e Tipici Fiorentini, Florence
Convention & Visitors Bureau, Fondazione
Balducci, Gruppo Donatello, Museo
Casa di Dante - Unione Fiorentina ,
OMA - Osservatorio dei Mestieri d’Arte,
UAI Firenze - Unione Artigiani Italiani,
Associazione Nazionale Lavoratori Anziani,
Associazione Noi Toscani, Associazione
Pittori Ambulanti.
Un momento della premiazione: da sinistra, Paolo del Bianco, presidente
della Fondazione Romualdo del Bianco, Maria Federica Giuliani, presidente
della Commissione cultura del Comune di Firenze, il giornalista Fabrizio Borghini,
Eugenio Giani, presidente del Consiglio regionale della Toscana e il
maestro orafo Paolo Penko, autore della medaglia
Uno scorcio della mostra che ha riunito pubblicazioni, filmati, foto e
locandine degli eventi promossi da Fabrizio Borghini
48 PREMIO A FABRIZIO BORGHINI

Una storia di passione e tradizione
nel cuore di Firenze
Sabato 10 febbraio
Inaugurazione della nuova sede in via delle Oche 20r
(traversa di via dei Calzaiuoli)
Un gioiello Paolo Penko è un’armoniosa unione tra passato e presente, tradizione e innovazione, creatività e saper
fare. Unico e riconoscibile, lo stile Penko intreccia bellezza e qualità della materia con il fascino dei richiami a
forme e simbologie della pittura e dell’architettura fiorentina. Senza dimenticare che in questa bottega si perpetua
ancora oggi la storia del fiorino d’oro. Una passione condivisa con la moglie Beatrice - esperta in gemmologia
- e i figli Alessandro e Riccardo, che affiancano il padre con ruoli diversi: il primo seguendolo in giro per il mondo,
suggerendo nuove idee ed occupandosi della pubblicità sui social, il secondo disegnando alcune linee di gioielli
in sintonia con la tradizione familiare. Un connubio di talenti e creatività che detta il successo della bottega Penko,
la cui nuova sede, ancora più grande ed elegante della precedente, si trova in via delle Oche 20r, a pochi passi dal
duomo di Santa Maria del Fiore e da via dei Calzaiuoli.
Contatti
www.paolopenko.it info@paolopenko.com + 39 055. 2052577

Firenze
Mostre
Lo Spoleto Meeting Art conquista Firenze
con una mostra in corso fino al 28 gennaio
all’Auditorium al Duomo
di Fabrizio Borghini / foto courtesy Spoleto Meeting Art
Un’importante mostra nel centro
storico di Firenze, a pochi passi
dal Duomo: un inizio d’anno in
grande stile per lo Spoleto Meeting Art,
che fino al 28 febbraio vede riunite le opere
di diciannove artisti nella prestigiosa sede
espositiva dell’Auditorium al Duomo.
Con la direzione artistica di Paola Biadetti,
questa manifestazione conferma l’alto
valore culturale ormai riconosciutole a livello
nazionale. Un successo così spiegato
dal presidente Luca Filipponi:«I nostri artisti
non sono dei marziani autocelebranti
calati sulla terra, quanto invece dei veri
attori della cultura e della comunicazione
che sanno ben interagire con l’ambiente
creando notevoli virtuosismi». Partecipano
alla mostra fiorentina artisti provenienti
da tutta Italia, con tante riconferme e diverse
new entry. Molti degli espositori, infatti,
sono legati allo Spoleto Art Festival,
come Annamaria Li Gotti, presente con
una personale di opere inedite, e Silvio
Craia, maceratese e grande amico dello
Spoleto Meeting Art. Ci sono anche Adele
Filomena e Silvio Amato, artisti campani
grandi protagonisti del festival Costiera
Arte, il romano Luca Cruciani, la pugliese
Vandagrazia De Giorgi, l’aretino Lucio
Gatteschi, la romana Iallussi Sevasti, Sabrina
Livi con le sue innovazioni, Lorenzo
Ludi, grande rivelazione dello Spoleto Art
Festival 2017, Andrea Natale, artista casertano
innamorato di Spoleto, Stefania Onidi,
new entry della kermesse, il perugino
Luigi Rossi, il campano Sergio Eccomi, la
musicista ed artista Mohan Testi, Giuseppe
Toscano, grande amico dello Spoleto
Meeting Art, il campano Antonio Tramontano,
Luciano Vetturini con le sue opere di
grande sperimentazione, Massimo Zavol,
incisore, professore ed artista. Tra gli ospiti
dell’inaugurazione, che si è svolta sabato
13 gennaio, il soprano Tania Di Giorgio,
già impegnata come direttore artistico dello
Spoleto Art Festival 2018 per quanto
riguarda la sezione musica. Presente al
vernissage anche Isabella Rondina, rappresentante
del gruppo Cairo Editore con
la quale si è parlato del Catalogo di Arte
Moderna (CAM, Editoriale Giorgio Mondadori),
libro miliare dell’arte contemporanea
con cui il professor Luca Filipponi
e lo Spoleto Art Festival hanno già confermato
la partnership. L’evento di apertura
è stato documentato dal canale televisivo
Toscana Tv nell’ambito della rubrica Incontri
con l’Arte.
Spoleto Meeting Art
13 - 28 gennaio 2018
Auditorium al Duomo
(Foyer e Sala Borselli)
Via dei Cerretani 54r - Firenze
Orario e giorni di apertura:
dal lunedì alla domenica
9:00-19:00
Il presidente di Spoleto Art Festival, Luca Filipponi, con Paola Biadetti, direttore artistico
di Spoleto Meeting Art
50 SPOLETO MEETING ART

L’artista Annamaria Li Gotti accanto ad alcune
sue opere
Un momento della performance canora del soprano Tania Di Giorgio
Il giornalista Fabrizio Borghini intervista alcuni degli ospiti intervenuti al vernissage
Un’altra immagine dell’inaugurazione
51

La Pragma srl, azienda di Prato,
opera nel settore dell’Outsourcing
Alberghiero e dei Servizi Fiduciari
La Pragma srl, fondata sull’esperienza
lavorativa acquisita dai soci nel corso
degli anni, opera nel settore dell’Outsourcing
Alberghiero e dei Servizi Fiduciari.
Il servizio base che l’azienda ha introdotto
sul mercato è la gestione di
appalti all’interno di Strutture Alberghiere,
Centri Commerciali, Cantieri
Edili e Strutture Pubbliche e Private,
attraverso accordi di Partnership che
tengano conto delle potenzialità recettive
del partner prescelto e della
volontà del cliente a voler sviluppare
il proprio core business, concentrandosi
su quest’ultimo e terziarizzando
il resto. L’Azienda è ormai una realtà
ben attestata sul territorio della Regione
Toscana, in particolar modo nelle
città di Firenze e Prato.
I soci Francesco Bellantuono e Marco Vignoli
La lunga esperienza maturata negli
anni, ha dato a PRAGMA l’opportunità
di servire importanti aziende leader
nel settore del turismo, riferendosi soprattutto
a strutture alberghiere a 3 e
4 stelle. La soddisfazione del Cliente è
massima quando riesce ad ottenere un
ottimo servizio; per il raggiungimento
di questo risultato PRAGMA è orientata
a una scrupolosa organizzazione e gestione
dei piani dell’Albergo, per permettere
al Cliente di mantenere sempre
alti gli standard di pulizia e qualità.
52 PRAGMA

PRAGMA s.r.l. opera specificamente
nel campo dei servizi di Vigilanza Non
Armata, di Guardianato e Sorveglianza,
di Portierato e Accoglienza Clienti.
Il punto di forza qualitativo di PRAG-
MA è nella sua capacità di essere
presente in modo capillare e radicato
sul territorio, del quale sviluppa una
conoscenza mirata, unita all’efficace
collaborazione con aziende che rappresentano
la storia e l’eccellenza della
vigilanza in Italia.
Lo scopo di PRAGMA è quello di fornire,
in ogni luogo e situazione in cui
c’è bisogno di ordine, organizzazione
e pulizia, un servizio completo ed efficace
mettendo insieme, procedure,
tecnologie e personale selezionato
e affidabile per soluzioni flessibili e
personalizzate.
Gioco della Pallagrossa, Prato
Pragma srl
Via Traversa Fiorentina 6
59100 Prato
tel. 0574-636564
fax 0574-635935
www.pragmasrl.eu
info@pragmasrl.eu
PRAGMA 53

Firenze
Mostre
Universo isole
Record di presenze per la grande mostra di Italo
Bolano a Firenze. Promossa dall’Accademia delle Arti
del Disegno, ha chiuso i battenti lo scorso 31 ottobre,
dopo aver incantato i visitatori con dipinti, acquerelli
e ceramiche del celebre artista elbano
di Fabrizio Borghini / foto courtesy dell’artista
Promossa dall’Accademia delle Arti
del Disegno, la mostra Universo isole
di Italo Bolano - allestita nella sala
esposizioni dell’accademia in piazza San
Marco a Firenze - si è conclusa lo scorso
31 ottobre con grande successo di pubblico
e di critica. Riunite per l’occasione
quaranta opere - oli, acquerelli e ceramiche
- con cui l’artista, originario dell’isola
d’Elba, ha voluto rendere omaggio alla
sua terra, catturandone colori, atmosfere,
aspetti simbolici e temi storici. Dal motivo
della “donna-isola”, forma maestosa e
opulenta vista come dea madre, si passa
all’astrazione lirica dei paesaggi, in un accostamento
armonico di cromie mediterranee.
Particolare interesse ha suscitato
l’elegante scultura in acciaio e vetro Dallas
collocata nel portico antistante la sala: una
monumentale installazione - tre metri di altezza
- dedicata a Cosimo I de’ Medici, fondatore
nel 1563 dell’Accademia delle Arti
del Disegno e della città fortificata di Cosmopoli,
l’odierna Portoferraio, paese natale
dell’artista. Scrivendo della pittura di
Bolano nel testo di presentazione della mostra,
Cristina Acidini, presidente dell’Accademia
delle Arti del Disegno, la definisce
impetuosa e corposa, percorsa da allusioni,
tagli informali e forti contrasti cromatici che
seppure astratti risultano pienamente leggibili.
E aggiunge: «Non potevano mancare
nell’immaginario di Bolano - saturo di mari,
di porti, di barche - le oscure e telluriche
miniere, attive nella vita elbana fin dall’epoca
della più antica antropizzazione, che si
propongono come templi d’una memoria
collettiva intessuta di durezze e di fatiche,
ma anche come scrigni di tesori minerali
dalle pigmentazioni fantasmagoriche».
Non meno illuminante l’interpretazione di
Francesco Gurrieri, presidente della Classe
di Architettura dell’Accademia delle Arti
del Disegno, che pone l’accento sulle tante
sfaccettature della creatività bolaniana,
definendo “romantica” la sua gestualità in
costante dialogo con la natura. Il tratto “elbano”
del suo immaginario artistico emerge
anche dalle parole di Mario Luzi, amico
dell’artista e fonte d’ispirazione di molte
sue opere: «Bolano - scrive il poeta fiorentino
- non ha mai cessato di parlarmi della
sua isola, dell’Elba, dalla quale, per quanto
il lavoro artistico e l’insegnamento lo tengano
a lungo lontano, non riesce a staccarsi
neppure fisicamente. La sua immaginazione
pittorica non può fare a meno di quella
risorsa generosa». Maestro dell’espressionismo
astratto contemporaneo, Bolano
torna a Firenze con le sue isole senza tempo,
a distanza di molti anni dalla mostra
in Santa Croce e dall’evento nella Loggia
Rucellai promosso dalla Regione Toscana.
Proprio nella città del giglio si trasferì
da giovane per frequentare il liceo e conseguire
l’abilitazione all’insegnamento. Nel
suo lungo percorso artistico ha progressivamente
combinato composizioni sempre
più astratte, padroneggiando con sicurezza
e maestria molteplici materiali e tecniche e
muovendosi con disinvoltura dalla pittura
alla scultura, dalla ceramica al ferro, dalla
grafica al vetro. Le sue opere si trovano
in numerosi musei e gallerie d’arte, pubbliche
e private, mentre le ceramiche monumentali
e le installazioni in mosaico di vetri
Dallas sono collocate in piazze pubbliche
in Italia e all’estero. Non va dimenticato il
progetto Elba Isola del mondo intrapreso
dall’artista nel 1970 e tutt’oggi in divenire:
circa sessanta opere monumentali in
ceramica, acciaio e vetro Dallas installate
negli otto comuni dell’isola.
L’inaugurazione della mostra: da sinistra, il professor Domenico Viggiano, Italo Bolano, Cristina
Acidini, presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno, e il professor Andrea Granchi
54 ITALO BOLANO

Tenerezza, acrilico su tela, cm 60x80, 2017
Paesaggio d’amore, tecnica mista su tela, cm 100x70, 2017
L’artista con l’installazione in acciaio e vetro Dallas dedicata a Cosimo I
de’ Medici
ITALO BOLANO 55

Eccellenze toscane
in Cina
A cura di
Michele Taccetti
Italian Night
Eccellenze toscane della gastronomia e dell’artigianato artistico
protagoniste di un evento sponsorizzato dalla società China 2000 al
Lakewood Golf Club di Zhuhai in Cina
Lo scorso 15 dicembre la società
China 2000 srl ha sponsorizzato
un evento intitolato Italian Night
che si è svolto al Lakewood Golf Club
di Zhuhai (Cina) ed è stato organizzato
dal Golf Club cinese in collaborazione con
un’azienda turistica tedesca ed un prestigioso
golf club toscano. E’ stata un’occasione
per presentare i prodotti di alcune
delle aziende italiane che la società China
2000 promuove sul mercato cinese tramite
proprie strutture permanenti. Alcune di
queste aziende sono già presenti da anni
con successo sul territorio. China 2000
ha sponsorizzato l’evento fornendo inoltre
i premi ai vincitori del torneo di golf. L’evento,
durato per l’intera giornata, è iniziato
la mattina con una curata cerimonia di
apertura. Successivamente, i partecipanti
alla gara di golf prevista nel pomeriggio, si
sono spostati nella lussuosa hall del club
per la procedura di registrazione. E proprio
lì hanno potuto degustare i prodotti
offerti dagli sponsor, fra cui le eccellenze
toscane promosse dalla società China
2000: dolci tipici senesi, panettone artigianale,
cantucci di Prato, caffè servito all’italiana,
cioccolata e tè. Insieme ai prodotti
alimentari i golfisti e soprattutto le signore
hanno potuto apprezzare anche alcuni
raffinati esempi di artigianato artistico toscano,
tra cui borse in pelle, tazze d’autore
e gioielli di alto livello e valore. Dopo la
gara di golf ed altre visite e degustazioni
nell’area espositiva, è iniziata la cena di gala
durante la quale sono stati assegnati ai
partecipanti, agli organizzatori e alle autorità
locali i premi e i riconoscimenti messi
a disposizione dagli sponsor, fra cui alcuni
prodotti delle aziende di China 2000. I premi
e prima ancora i prodotti hanno avuto
un riconoscimento ed un apprezzamento
importante dagli oltre duecento ospiti
dell’evento. I premi sono stati consegnati
sul palco allestito nell’area ristorante,
mentre alle spalle scorrevano le immagini
della Toscana e un presentatore introduceva
i dettagli del premio e dell’azienda o artista
produttore. Sono stati consegnati: una
borsa in pelle della azienda MFVP, il quadro
intitolato Il golfista dell’artista Fulvio
Taccini, una tazza in finissima porcellana
decorata dell’artista Stefano Favaretto unitamente
a confezioni di caffè della torrefazione
Caffè del Granducato, il girocollo
con pietra occhio di tigre della linea Sculture
da indossare dell’artista Angela Ta-
Alcuni dei prodotti presentati durante l’evento Italian Night e una panoramica (foto in alto) della sala che ha ospitato l’evento
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gani, gli anelli dell’ azienda Luce Gioielli, i
vini Chianti Classico della Fattoria Montecchio,
una confezione regalo di cofanetti
di tè dell’azienda La Via del Tè ed il
voucher per un soggiorno di due notti
offerto dall’Hotel Pitti Palace al Ponte
Vecchio. La cena a base di pesce preparata
da uno chef italiano e servita con vini
toscani, si è conclusa con i cantuccini del
Biscottificio Belli. L’impatto emotivo della
giornata è stato forte ed ha suscitato nei
presenti un forte interesse verso i prodotti
e le aziende. Non a caso, nei giorni successivi
all’evento, la società China 2000 è
stata invitata ad organizzare manifestazioni
simili in altre città della Cina e nei paesi
confinanti, ricevendo anche alcune richieste
sulla distribuzione dei prodotti. E’ la
conferma che il Made in Italy, se ben selezionato
nell’offerta e ben proposto, può
avere successo in Cina. La promozione,
seppur necessaria, non può tuttavia prescindere
da una presenza stabile sul territorio
e da un’impostazione commerciale
dell’approccio al mercato. China 2000 offre
alle eccellenze toscane i tre cardini per
l’internazionalizzazione e soprattutto per la
penetrazione nel mercato cinese, ovvero:
l’esperienza professionale di tre generazioni
in Cina, la presenza stabile sul territorio
con ufficio e showroom, la promozione
con eventi periodici e mirati che favoriscono
la vendita. L’evento del Golf Club di
Zhuhai ha rappresentato il primo di una
serie di appuntamenti previsti nei prossimi
mesi sia in Italia che in Cina e volti alla
promozione delle aziende che hanno aderito
alla proposta di China 2000, vale a dire
diffondere uno stile di vita italiano e in
particolare toscano che comprenda le eccellenze
tipiche del territorio come espressione
della tradizione storica e culturale
regionale e nazionale. Un gruppo, quindi,
di eccellenze artistiche, manifatturiere,
turistiche e tecnologiche che si aiutano in
modo vicendevole per uno sviluppo commerciale
e stabile in Cina.
Alcuni momenti della consegna dei premi offerti dalle aziende e dagli
artisti che hanno preso parte alla manifestazione
Michele
Taccetti
Laureato in Scienze Politiche con una tesi sugli scambi economici tra Italia
e Cina ed erede della propria famiglia, operante con il grande paese
asiatico fin dal 1946, assiste da oltre un ventennio le aziende italiane interessate
ad aprire il mercato cinese in vari settori merceologici e, in particolare,
alla promozione del Made in Toscana in Cina. Svolge attività di formazione in materia
di Marketing ed Internazionalizzazione ed è consulente per il Ministero dello
Sviluppo Economico.
Per info:
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
taccetti_dr_michele
Michele Taccetti
ECCELLENZE TOSCANE
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Un week-end
fuori città
Vivo d’Orcia
Un’oasi di pace e di bellezza nel cuore della Toscana
di Amedeo Menci / foto Roberto Menci
Vivo d’Orcia, frazione del comune
di Castiglione d’Orcia, è un piccolo
paese situato sul Monte Amiata ad
un’altitudine di circa 900 metri. E’ circondato
da una natura rigogliosa con boschi, cascate
e sorgenti naturali ed è attraversato
dal fiume Vivo, da cui prende il nome. Dopo
aver superato un vecchio ponte nella parte
bassa del paese, immerso nel verde sorge
l’Eremo, un tempo monastero camaldolese
fondato da San Romoaldo nel XI secolo;
oggi ne restano il borgo principale e la
chiesa di San Marcello. Sull’Eremo, nella
Contea, domina imponente Palazzo Cervini.
Papa Marcello II, nato Marcello Cervini
degli Spannocchi (il cui papato durò solo
dal 10 aprile al primo maggio 1555), ne ordinò
il rifacimento ad Antonio da Sangallo il
Giovane. Poco distante dal paese, dopo una
breve passeggiata fra boschi di faggi e castagni,
si trova l’Ermicciolo. Qui sgorgano
le sorgenti del fiume Vivo che forniscono
acqua ad un vasto territorio della provincia
di Siena. Nei pressi si erge una piccola chiesa
romanica con una sola navata ed abside
semicircolare che fu oratorio di San Benedetto.
L’Ermicciolo rappresenta un’autentica
meraviglia in quest’oasi di pace che ci
fornisce anche piccoli ricordi di vita quotidiana
del passato. Nelle vicinanze rimangono
intatti due essiccatoi per le castagne, la
cui farina era in passato preziosa per il sostentamento
della gente del posto. La vegetazione
rigogliosa nella quale Vivo d’Orcia è
immerso, ci regala lo spettacolo di un bosco
di abeti bianchi (uno dei pochi gruppi
autoctoni rimasti in Toscana) lungo il corso
del fiume Vivo, che si stagliano contro i meravigliosi
tramonti che, soprattutto in estate,
è possibile ammirare in questo piccolo
angolo di paradiso. Natura, storia e tradizione
si possono quindi trovare “al Vivo”, luogo
incantevole in ogni stagione: trascorrere
una fresca estate immersi in una silenziosa
tranquillità può essere un toccasana, così
come può esserlo concedersi un periodo
invernale sulla neve che spesso abbonda
sia in paese che sulla vetta del Monte Amiata,
raggiungibile in poco meno di mezz’ora
58 VIVO D’ORCIA
di macchina. Tante sono le “perle” da visitare
nascoste in Toscana e Vivo d’Orcia è
senza dubbio una delle più preziose.
La chiesa dell’Ermicciolo
Un angolo del bosco intorno a Vivo d’Orcia
Palazzo Cervini
www.prolocovivo.org
prolocovivo@libero.it

A cura di
Paolo Bini, relatore Associazione Italiana Sommelier
Arte del
Vino
Suggestioni ed emozioni in un calice
Ci troviamo spesso a fronteggiare la
domanda su quale sia il miglior vino
del mondo; a rischio di apparire
ostici preferiamo sempre rispondere
che ciò è indefinibile e fuorviante per i veri
amanti del prodotto. Avete mai sentito un
critico elogiare una pittura o una scultura
come la più bella e significativa in assoluto?
Come ogni altra forma di creazione nata
dalla capacità umana, anche il vino può
incontrare una valutazione oggettiva sulla
bontà delle sue caratteristiche ma deve
poi necessariamente essere apprezzato
e fruito in base alla situazione e allo stato
d’animo del momento. Lo spunto per la
rubrica di questo mese è nato proprio dalle
suggestioni ricevute nel contesto della
mostra “Pentachiari” che Carlo Frittelli ha
allestito per celebrare l’arte del musicista
e artista visivo Giuseppe Chiari. All’interno
degli spazi espositivi, il vernissage ha avuto
un momento di alta sensorialità quando
due vini dell’azienda Tenuta Moriano, grazie
all’idea di Arkiwine, sono stati degustati
cercando il trasporto emozionale concomitante
con quello delle opere esposte.
Tenuta Moriano, nell’area di Montespertoli,
è un’importante azienda che coniuga
la produzione ad ottima capacità ricettiva.
Nei 130 ettari di proprietà si coltivano
uve che diventano materia prima per vini
eterogenei, dal gusto tradizionale ma anche
innovativo tenendo costante l’attenzione
per la qualità. La gamma è ampia
ma è maggiormente sfizioso raccontarvi
dei due vini scelti per la mostra e che
pur non rappresentando l’apice qualitativo
della produzione aziendale, hanno saputo
regalare emozioni nell’ambito del contesto
scelto e faranno altrettanto in qualsiasi
altro momento, se selezionati con oculatezza
seguendo il loro differente carattere,
la loro diversa finalità e le loro dissimilitudini
a partire dai vitigni originari. La serietà
dell’uva Sangiovese, declinata nella
sua versione più delicata, è la base per il
Chianti DOCG Il Boscaccio 2016. Il suo colore
rubino chiaro e vivace invita il nostro
naso a respirare da subito vinosità e ciliegia;
petali di rosa rossa e scorza d’agrume
sono profumi a corredo di un bouquet
semplice ma ben scandito. Territoriale anche
all’assaggio con piacevole freschezza
e tannini composti, secco, con alcol ben
inserito in una struttura snella dal piacevole
sapore di ribes e retrogusto di arancia.
E’ un vino che matura in acciaio, senza
troppi fronzoli, sinceramente toscano e rigorosamente
ideale per conviviali aperitivi
o piatti d’entrata come crostini ai fegatini
e bruschetta calda con lardo. Più profondo,
dolce e caldo il rosso liquoroso
Incanto. Viene prodotto attraverso un affascinante
processo di infusione che unisce
i sapori delle amarene a quelli di un
vino da uva Merlot con tutta la sua morbidezza
e immediata piacevolezza quasi
antitetica se paragonata alla Sangiovese.
Ne esce un liquido avvolgente, corroborato
dall’aggiunta di brandy che, a differenza
del Chianti, regala emozioni se degustato
in momenti di riflessione alla ricerca di
una qualsiasi forma di ispirazione. Profumi
di viola macerata, cannella, caffè in grani
e marasca sotto spirito: sono l’incipit a
un sorso ricchissimo dove si ripropongono
persistenti sapori dai ricordi di frutta
scura, liquirizia dolce, cacao e alloro. Da
meditazione ma perfetto in abbinamento
con praline di cioccolato 70%. Così come
l’artista crea attraverso l’estro e l’ingegno
opere basate sulla tecnica, ecco che qualsiasi
tipologia di vino ben fatto nasce dalla
cultura del territorio per poi regalare sensazioni
e differenti sapori, pronti ad essere
fruiti in base al contesto e al nostro stato
d’animo e senza volerne inquadrare l’ottima
qualità attraverso la riduzione ad un
mero, numerico, valore assoluto.
Info e consulenza: wine@bini.eu
Chianti DOCG Il Boscaccio e liquore di vino
Incanto, Tenuta Moriano
Uno scorcio della mostra di Giuseppe Chiari alla galleria Fritelli di Firenze (ph. Elena Maria Petrini)
ARTE DEL VINO
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I libri del
Mese
Hans-Joachim Staude
Una monografia dedicata al pittore tedesco che scelse Firenze
come seconda patria
di Fabrizio Borghini
E’ stata pubblicata da poche
settimane dalle edizioni Centro
Di una interessantissima monografia
dedicata al pittore tedesco,
ma fiorentino di adozione, Hans-Joachim
Staude curata da Francesco
Poli, Elena Pontiggia e Jakob Staude,
figlio dell’artista. Esce a due anni
di distanza da una mostra retrospettiva
tenutasi nel 2015 all’Isola di San
Giorgio organizzata dalla Fondazione
Giorgio Cini di Venezia come compendio
di un parallelo convegno di
studi promosso in occasione dell’evento.
I numerosi contributi critici e
biografici aiutano il lettore ad inoltrarsi
nell’arte e nella variegata personalità
di questo colto artista, nato
a Tahiti nel 1904 da genitori tedeschi,
poi vissuto ad Amburgo e successivamente,
e definitivamente, approdato
a Firenze dove è morto nel 1973
venendo sepolto nel cimitero degli
Allori vicino all’amato rione di Porta
Romana dove era conosciuto come
Anzio e dove aveva casa in via delle
Campora e studio in via dei Serragli
dirimpetto allo storico cinema
teatro Goldoni. La città che lui aveva
intensamente amata e raffigurata,
già aveva regalato ai suoi estimatori
e collezionisti una mostra retrospettiva
che si tenne ad oltre venti anni
dalla sua scomparsa a Palazzo Pitti
nel 1996. Quella esposizione rappresentò
già un primo passo verso
la rivalutazione e la storicizzazione di
Staude che ha trovato nella successiva
mostra veneziana un momento
ancor più approfondito di analisi critica
che ci consente oggi di rilevare
le influenze che hanno avuto importanza
nella sua pittura: dall’espressionismo
tedesco, a cui si avvicinò
giovanissimo nel 1918 ad Amburgo,
all’impressionismo tedesco, che studiò
negli anni 1923/24 prima a Monaco
e poi ancora ad Amburgo, fino
all’impressionismo francese – in particolare
a Cèzanne, al quale si avvicinò
a Parigi nel 1928/29- e alla pittura
italiana del Novecento, mutuata dalla
vicinanza con Soffici e Carena. A Firenze
era giunto nel 1925 ma vi
ritornò stabilmente e definitivamente
nel 1929 e vi prese ad
esporre dal 1938 con una prima
mostra alla galleria Schacky,
bissata nel 1940 da quella del
Lyceum; a seguire, le personali
nel 1948 alla galleria Michelangelo
e alla Spinetti, nel 1951
e 1957 alla galleria Vigna Nuova,
nel 1963 all’Accademia delle
Arti del Disegno, nel 1965 alla
Saletta Gonnelli, nel 1969 alla
galleria Il Vaglio e nel 1971 al
Mirteto. Altre mostre le tenne a
Venezia, Roma, Padova, Milano,
Colonia e, postume, a Berlino e
Amburgo nel 2001. Personalità
ricca di cultura umanistica,
filosofica e letteraria, ma anche
musicale perché era un ottimo
pianista, si dedicò, fino alla sua
scomparsa, all’insegnamento.
Fra i suoi numerosi allievi, oltre
a Roberto Panichi e Paolo Vannini
che ancor oggi ne ricordano
riconoscenti lo spessore artistico
ed umano, c’è stato anche un
giovanissimo Lorenzo Milani destinato
a diventare il don Milani
che tutti conoscono. Aveva solo
diciassette anni quando, dopo
la maturità, prese la decisione
di diventare pittore e per questo
la famiglia, non entusiasta della
scelta, accettò obtorto collo la
sua volontà, decidendo però di
affidarlo ad un pittore non solo
di comprovate capacità artistiche
ma che potesse incarnare per il
giovane rampollo della famiglia
Milani Comparetti la figura di un
precettore in grado di affiancarlo
nella crescita culturale già
iniziata precocemente in ambito
familiare. Fu il professor Giorgio
Pasquali, amico del padre Albano, ad
accompagnarlo da Staude col quale,
fin da subito, si instaurò una compli-
Copertina della monografia
Hans-Joachim Staude dipinge in giardino (1971-72)
60 HANS-JOACHIM STAUDE

cità artistica, culturale e umana destinata
a durare nel tempo, nonostante
l’abbandono della pittura, da parte del
giovane allievo, per entrare in seminario
e farsi prete sorprendendo tutti e
in particolare il suo maestro Anzio. Di
questo complesso rapporto si parlerà
venerdì 2 febbraio alle 17.30 alla Biblioteca
delle Oblate di Firenze in occasione
della presentazione del libro
Lorenzo Milani. Gli anni del privilegio
che racconta, attraverso numerose testimonianze,
l’infanzia e l’adolescenza
del futuro priore di Barbiana.
Sant’Ilario in primavera (1938), olio su tela, cm 38x52
Via de’ Serragli (1948), olio su tela
61

Dimensione
Salute
All’Auditorium al Duomo di Firenze un simposio
medico su donazione e trapianto promosso dalla
società China2000
di Lorenzo Borghini / foto courtesy Centro Congressi Al Duomo
Lo scorso 18 gennaio, nella Sala
Borselli dell’Auditorium al Duomo
(via dei Cerretani 54 r) a Firenze,
si è svolto il convegno intitolato
Donazione e trapianto. Un percorso condiviso
tra Italia e Cina. Organizzato dalla
società China 2000, in collaborazione
con Moving Gallery, Centro Congressi Al
Duomo e Life Beyond Tourism, questo
convegno si propone di avvicinare Italia
e Cina nel segno della ricerca scientifica.
«L’idea di questo incontro - spiega
Michele Taccetti, amministratore unico
di China 2000 - nasce da un intenso legame
professionale tra la Cina e la mia
famiglia che esiste ormai da tre generazioni.
L’intento di questo simposio è andare
oltre la sfera economica, creando
un ponte valido non solo per il commercio
ma anche per la collaborazione culturale
e sociale. Nello specifico l’evento
rappresenta la seconda fase di un progetto
nato nel 2016, quando ero presidente
del Rotary Fiesole, in collaborazione
con il Rotary Club gemellato di Suzhou
China, con lo scopo di creare una collaborazione
continuativa fra l’ospedale
di Suzhou (capofila della Provincia cinese
del Jiangsu) e l’area ospedaliera
fiorentina». A novembre 2016 - continua
Taccetti - abbiamo ospitato a Firenze
l’urologo Hu per uno stage di quindici
giorni presso il reparto di Nefrologia di
Careggi, diretto dal professor Serni. La
crescita professionale e l’esperienza che
il dottor Hu ha acquisito e portato al suo
ospedale una volta rientrato in Cina, ha
determinato un cambio di gestione nel
settore dei trapianti, motivo per cui un
rapporto continuativo tra le nostre realtà
si rende quanto mai prezioso. Questo
simposio intende aprire la collaborazione
anche al settore pediatrico e ad altre
eventuali specializzazioni. Come recita
un proverbio cinese “Ogni lungo viaggio
è iniziato con un passo solo” e noi il
primo passo l’abbiamo già fatto». Il pomeriggio
di studi si è aperto con i saluti
di Eugenio Giani, presidente del Consiglio
regionale della Toscana, e Corinna
Del Bianco, direttrice dell’istituto internazionale
Life Beyond Tourism intervenuta
per portare i saluti di Paolo Del Bianco,
presidente della Fondazione Romualdo
Del Bianco, assente perché in Bahrein.
Il console generale della Cina Wang Fuguo
ha inviato un messaggio di saluti e
ringraziamenti essendo impossibilitato
a partecipare. A seguire gli interventi di:
Li Feng, dipartimento di Urologia dell’O-
Michele Taccetti, Eugenio Giani, presidente del Consiglio regionale della Toscana, Corinna Del Bianco direttrice dell’istituto internazionale Life
Veyond Tourism, Li Feng del dipartimento di Urologia dell’Ospedale Universitario di Suzhou e Massimo Pieraccini, rappresentante del Nucleo
Operativo Protezione Civile logistica dei trapianti
62 DIMENSIONE SALUTE

spedale Universitario di Suzhou, Sergio
Serni, ordinario di Medicina e Chirurgia
presso l’Università di Firenze, Paola Romagnani,
responsabile SOD Nefrologia e
Dialisi Pediatrica presso il Meyer, Alberto
Rosati, Struttura Complessa di Nefrologia
- Firenze USL Toscana Centro, Marilù
Bartiromo, nefrologa dei trapianti,
AOU Careggi, presidente AIDM Firenze,
Massimo Pieraccini, Nucleo Operativo
Protezione Civile logistica dei trapianti.
L’evento si è svolto sotto il patrocinio di:
Consiglio regionale della Toscana, Fondazione
Romualdo Del Bianco, Rotary
Club Fiesole, Rotary Club Suzhou, Toscana
Cultura, Fiorentini nel Mondo, Voa
Voa Onlus Amici di Sofia, Nucleo Operativo
Protezione Civile, Fondazione Santa
Maria Nuova e Radio Toscana come media
partner.
Il giornalista Fabrizio Borghini intervista Paola Romagnani, responsabile SOD Nefrologia e Dialisi
Pediatrica presso il Meyer
Alberto Rosati, medico della Struttura Complessa
di Nefrologia - Firenze USL Toscana Centro
Sergio Serni, ordinario di Medicina e Chirurgia presso
l’Università di Firenze
Marilù Bartiromo, nefrologa dei trapianti,
AOU Careggi e presidente AIDM Firenze
Foto di gruppo dei relatori del simposio
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