IL FASCISMO IN MOSTRA: NASCITA DI UNA NUOVA FEDE Nella risposta a un lettore lei afferma «... che una grande mostra sul fascismo sia oggi possibile». Sarebbe indubbiamente un’occasione utile, aggiungo io, per comprendere le contraddizioni di un regime che trovo stolto considerare avulso dal divenire storico del nostro Paese. Ne approfitto, per chiederle se ha notizia di che cosa ne sia stato della documentazione e delle opere di un’altra mostra sul fascismo: quella del decennale del 1932. Seppur chiaramente elogiativa del regime, e quindi auto-celebrativa, ebbe all’epoca un enorme successo di pubblico. Soprattutto per le opere di autori futuristi che vi erano esposte. Sarei curioso di sapere che fine abbia fatto quel materiale, d’indubbia utilità anche per un’ipotetica, futura e possibilmente non partigiana mostra sul regime. A firma Italo Mariani Parma Caro Mariani, La mostra a cui lei si riferisce è quella della rivoluzione fascista, organizzata da Dino Alfieri e Luigi Fredi nel decimo anniversario della marcia su Roma, inaugurata da Mussolini nel palazzo delle Esposizioni di via Nazionale il 28 ottobre 1932. Costruito fra il 1880 e il 1883 in stile eclettico durante il primo boom edilizio post-unitario, il palazzo di via Nazionale ebbe per l’occasione una nuova facciata: quattro grandi fasci in metallo, stilizzati e alti 25 metri. Alla realizzazione della mostra parteciparono storici, architetti, pittori, scultori e quelli che chiameremmo oggi designer. Le tredici sale portano la firma o espongono opere di Mario Sironi, Giuseppe Terragni, Cipriano Efisio Oppo, Mino Maccari, Amerigo Bartoli. La sala dedicata a Mussolini e alla sua vita fu ideata e organizzata da Leo Longanesi. Buona parte del materiale esposto era effimero (grandi pannelli di cartone o compensato) e andò probabilmente distrutto o perduto quando la mostra, dopo qualche riedizione, chiuse definitivamente i battenti nel 1942. Ma vi erano quadri e sculture che sarebbe stato utile conservare e che andarono forse distrutte durante la guerra o seppellite in qualche deposito statale. Anch’io mi chiedo, per esempio, che cosa sia accaduto di un grande pannello murale del pittore e scenografo futuri- 14
sta Enrico Prampolini (1895-1956). S’intitola «15 aprile 1919» (il giorno d’una grande manifestazione fascista a Milano contro lo sciopero generale, proclamato due giorni prima in un clima che stava assumendo toni rivoluzionari) ed è probabilmente una delle opere più interessanti della esposizione. In un’eventuale mostra storica sul fascismo, tuttavia, quella del decennale potrebbe essere utile tutt’al più per una sala dedicata all’autorappresentazione del regime. I temi ideologici e politici sono presenti, ma hanno meno importanza di quelli «religiosi». Vi sono nella mostra tutti gli ingredienti di nuova fede: i precursori, i profeti, gli apostoli, i martiri (a cui è dedicato un «altare del sacrificio» circondato dai gagliardetti delle squadre d’azione e sormontato da una gigantesca croce), le reliquie, le sacre scritture e, beninteso, il salvatore, Benito Mussolini, oggetto ormai di uno sfrenato e retorico culto della personalità. Questa nuova fede viene raccontata e rappresentata, tuttavia, in uno stile che si vuole moderno, spregiudicato, anti-convenzionale. Mentre il nazismo condannò l’arte «degenerata» della Repubblica di Weimar e la seppellì sotto una coltre di realismo enfatico e pomposo, il fascismo, nel 1932, manteneva ancora stretti legami con le avanguardie degli inizi del secolo, dal futurismo al Bauhaus. Sergio Romano Corriere della Sera (13 settembre 2011) 15
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