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2.0
Speciale:
acca edizioni Roma Srl
anno 10° - FeBBRaIO / MaRZO 2018
74° Bimestrale di arte & cultura - € 3,50
“HOKUSAI”
sulle orme del Maestro
di Marina Novelli
Gianmaria
Potenza
in mostra a Firenze
Art&Vip
intervista a
Anthony Peth
Marco Lodola
“The Beatles” - 2014 - tecnica: plexiglass e lampade - cm 200 x 70 x 15
Galleria Ess&rrE
Porto turistico di Roma
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capo Redattore: Roberto Sparaci
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S O M M a R I O
F e B B R a I O - M a R Z O 2 0 1 8
Impressionismo e avanguardie Pag. 11
di Silvana Gatti
Il pensiero simbolista attraverso i suoi artisti Pag. 20
di Francesco Buttarelli
OKUSaI Sulle orme del Maestro Pag. 35
di Marina Novelli
MeTa MORPHOSIS - L’omaggio di Bologna al genio... Pag. 46
a cura di Marilena Spataro
“arte ed esoterismo IX” Pag. 66
di Piercarlo Bormida
Due minuti...“Umberto Boccioni, l’artista che ha....” Pag 70
di Marco Lovisco
Gigino Falconi - Matrici filosofiche in un linguaggio... Pag 72
a cura della Galleria cinquantasei
“Nel segno..”-Ritratti d’artista- Marco Bravura Pag. 78
di Marilena Spataro
Le Mostre in Italia e Fuori confine Pag. 82
a cura di Silvana Gatti
Distribuzione a cura di:
acca eDIZIONI ROMa S.r.l.
Pubblicazioni:
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“artisti contemporanei”
RIVISTa: BIMeSTRaLe art& tra
Registrazione: Tribunale di Roma
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1ª di copertina: Gianmaria Potenza
courtesy: Gianmaria Potenza
2ª di copertina: Marco Lodola
courtesy: Galleria ess&rre (RM)
3ª di copertina: art& tra
4ª di copertina Giuseppe amadio
courtesy: Giuseppe amadio
copyright © 2013 acca edizioni Roma S.r.l.
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RUBRIcHe
“Gianmaria Potenza” in mostra a Firenze Pag. 6
catalogo a cura di Laura Villani
Intervista a eMRe YUSUFI Pag. 24
di Tulay Oktay Demir
La collezione Villani-Sgarbi Pag. 50
Silvana Gatti
art&Vip Pag. 58
a cura della Redazione
“Goodbye Perestrojka Pag. 61
di Paola Simona Tesio
Dimitra Milan - L’arte di sognare Pag. 100
di Valentina D’Ignazi
Ivan Meštrović, l’armonia delle forme Pag. 107
di Svjetlana Lipanovic
MUG - Nan Yar in mostra Pag. 115
di Vittorio Guidi
Le suggestive statuine Lenci.... Pag. 118
di Marilena Spataro
Lignano sabbiadoro. cellini e la performance.... Pag. 121
di Lara Petricig
I tesori del Borgo - Modigliana.... Pag. 121
di alba Maria continelli
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aggiornato sul mon do dell’arte con una moltitu dine di
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Deniarte
Arte Contemporanea - Roma
Fabrizio Campanella
“Senza titolo” - 2014 - acrilico su tela
cm 40 x 80
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“Les points de vie” - 1974-75 - olio su tela - cm 105 x 85
Sebastian M atta
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Antonio Nunziante
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IMPReSSIONISMO e
aVaNGUaRDIe
Capolavori dal Philadelphia Museum of Art
Milano, Palazzo Reale
dal 7 marzo al 2 settembre 2018
A cura di Silvana Gatti
Constantin Brancusi
Il bacio, 1916, pietra calcarea, 58.4 x 33.7 x 25.4 cm
Philadelphia Museum of Art, Collezione Louise e Walter
Arensberg, 1950
Ad inizio marzo, preannunciando
la primavera,
si apre a Milano, nella
splendida location del
Palazzo Reale, una mostra
con opere che arrivano
d’oltreoceano, precisamente dal
Museo d’Arte di Philadelphia. Cinquanta
opere fruibili per ben 180
giorni, un’occasione unica per ammirare
capolavori dei più grandi pittori a
cavallo tra Otto e Novecento nel loro
periodo di massima espressione artistica.
L’esposizione è promossa e prodotta
da Comune di Milano-Cultura,
Palazzo Reale e MondoMostreSkira.
Fondata nel 1681, Filadelfia nell’Ottocento
era la più grande città nordamericana,
in cui i commercianti erano
attivi nel settore navale e ferroviario,
con conseguente sviluppo del settore
bancario. La disponibilità di denaro
rese possibile l’abbellimento della
città, che nel 1876 ospitò la prima
Fiera mondiale ufficiale negli
Stati Uniti, contribuendo a
stimolare i ricchi americani a
spingersi sino in Europa per
acquistare opere d'arte. Ne è
nato il Philadelphia Museum
of Art, che è stato inaugurato
nel 1877 ed annovera nella
sua collezione oltre 240.000
opere, rappresentative di oltre
duemila anni di produzione
artistica.
Fiske Kimball, direttore del
museo per trent’anni dal 1925, dotò il
museo di arredi originali provenienti
da vari paesi, e le numerose donazioni
da parte di imprenditori e appassionati
collezionisti hanno arricchito negli
anni il museo.
Gli americani, ed in particolar modo
gli abitanti di Philadelphia, sono stati
tra i primi a collezionare le opere impressioniste,
che grazie alla loro tipica
atmosfera ben si adattavano all’arredamento
delle grandi residenze di questi
imprenditori. E’ stata soprattutto l’artista
Mary Cassatt, abitando a Parigi, a
facilitare i contatti e gli scambi d’arte
tra artisti e mercanti.
Aveva la propria sede a Filadelfia la
Pennsylvania Railroad, un'antica società
ferroviaria degli Stati Uniti
d'America, costituita nel 1846 e cessata
nel 1968 a causa della sua fusione con
la società New York Central Railroad
12
Marc Chagall - Nella notte, 1943 - olio su tela, 47 x 52.4 cm
Philadelphia Museum of Art, Collezione Louis E. Stern, 1963
Pablo Picasso - Donna e bambine, 1961
olio su tela, 146 x 113.7 cm - Philadelphia Museum of Art,
Donazione di Mrs. John - Wintersteen, 1964
(NYC). A capo della società, Alexander
Cassatt, fratello della pittrice Mary,
fu il primo ad acquistare i quadri di
Manet, Monet, Degas e Pissarro, influenzando
gli altri dirigenti della società
che fecero a gara nell’acquistare
opere d’arte francesi. Frank Graham
Thomson, successore di Cassatt, fu accompagnato
dalla stessa artista nella
galleria parigina di Paul Durand-Ruel,
il più importante mercante d’arte impressionista
dell’epoca. Thomson acquistò
ben dodici dipinti di Monet e
altre opere impressioniste.
I primi dipinti impressionisti entrarono
nella collezione del Philadelphia
Museum of Art nel 1921, quando il
W.P. Wilstach Fund approvò l’acquisto
di dieci opere dagli eredi di Alexander
Cassatt. Tra gli altri collezionisti che
contribuirono ad accrescere la collezione
del museo figura anche Samuel
Stockton White III, famoso culturista
che nel 1901 fece da modello a Rodin,
come documenta la bellissima scultura
“L’atleta” esposta in mostra, visivamente
legata al “Pensatore”, che documenta
l’originalità di un artista le cui
sculture, che sembravano non terminate,
rivoluzionarono completamente
gli standard dell’epoca. I visitatori della
mostra milanese potranno constatare
che è stata proprio quell’indefinitezza
a rendere le opere di Rodin così particolari,
in grado di trasmettere al fruitore
realismo, tensione e dinamismo.
White acquistò diversi dipinti impressionisti,
che la moglie Vera lasciò al
museo nel 1967. Altre donazioni furono
il frutto della filantropia di Henry
P. McIlhenny e della sorella Berenice
McIlhenny Wintersteen, che acquistarono
e poi donarono dipinti di Delacroix,
Degas, Renoir, Matisse e Picasso.
La donazione che diede formalmente
il via all’attuale collezione d’arte moderna
del museo fu quella di Albert Eugene
Gallatin, seguita da quella di
Louise e Walter Arensberg, la cui collezione
costituisce l’altra pietra miliare
dell’arte del Novecento a Philadelphia.
Gli Arensberg si affidarono a Duchamp
per l’acquisto delle opere d’arte di Picasso,
Matisse, Georges Braque e dello
stesso Duchamp. La raccolta di pittura
moderna del museo fu poi arricchita
dalla donazione, nel 1964, della collezione
Louis E. Stern, che si concentrò
sulla pittura francese del XIX e del XX
secolo, dai capolavori impressionisti e
postimpressionisti di Renoir, Cézanne
e Bonnard alle opere di Henri Rousseau,
Henri Matisse e di maestri della
Scuola di Parigi come Chagall e Soutine.
Pierre-Auguste Renoir - Ragazza che fa il merletto, ca. 1906
olio su tela, 56.5 x 46.7 cm - Philadelphia Museum of Art, Collezione Louis E. Stern, 1963
Per la mostra milanese sono state selezionate
cinquanta opere, in un percorso
di sicuro fascino. La luminosità
delle opere di Monet è documentata,
tra gli altri, da “Il sentiero riparato”
(1873), che raffigura un personaggio
che si incammina lungo un sentiero ai
bordi di un bosco. Non poteva mancare
un quadro che rappresenta una delle
vere ossessioni di Monet, “Il ponte
giapponese” (1895). Il soggetto è ispirato
al giardino in stile giapponese
della residenza del pittore a Giverny,
dove egli coltivava diverse piante esotiche
che decoravano un ponticello di
legno. Insieme alle ninfee, Monet dipinse
diverse versioni del ponte, inquadrato
nelle varie ore del giorno, al fine
di studiarne le variazioni cromatiche al
variare dell’ora e delle condizioni atmosferiche.
Molto bello il paesaggio di Sisley che
raffigura “Le rive del Loing” (1885),
mentre Pissarro, considerato dagli studiosi
il precursore degli impressionisti,
è presente con “Paesaggio (frutteto)”
(1892), quadro dai colori vibranti e delicati.
Inconfondibili le opere di Cézanne per
lo stile geometrico, evidente nelle o-
pere paesaggistiche quali “Le Quartier
du Four, à Auvers-sur-Oise” (ca.1873)
e “Paesaggio invernale, Giverny”
(1894). Altri paesaggi sono quelli di de
Vlaminck con “La Senna a Chatou”
(ca.1908), “Paesaggio, e Chemin des
Caucours, Cagnes-sur-Mer” (ca.1924)
di Soutine. La Costa Azzurra è immortalata
in una bellissima opera di Dufy,
“Finestra sulla Promenade des Anglais,
Nizza” (1938), che offre una bellissima
veduta del lungomare nizzardo visto da
una finestra. E imperdibili sono gli
scorci cittadini come “I grands Boulevards”
(1875) di Renoir, che ci ricorda
un’atmosfera d’altri tempi per via degli
abiti indossati dai passanti, e “Place du
Tertre a Montmartre” (ca.1912) di
Utrillo.
Riuniti quasi fossero “una mostra nella
mostra” sono una carrellata di stupendi
ritratti, genere pittorico con il quale si
sono cimentati artisti del calibro di
Manet, presente con “Ritratto di Isabelle
Lemonnier” (ca.1877). Tra i pittori
ritrattisti non poteva mancare
Pierre-Auguste Renoir (Limoges 1841,
Cagnes-sur-Mer 1919), che ha dipinto
le donne conosciute durante la sua
lunga carriera. Oltre alla moglie, ha dipinto
amanti, amiche, modelle professioniste
e giovani donne incontrate per
strada, attrici ed esponenti dell’alta
borghesia. Dai suoi esordi all’epoca
del Secondo Impero fino al periodo
dell’Impressionismo nella seconda me-
14
Mary Cassatt - Donna con collana di perle in un palchetto, 1879
olio su tela, 81.3 x 59.7 cm - Philadelphia Museum of Art, Lascito di Charlotte
Dorrance Wright, 1978
tà degli anni ’70 dell’Ottocento, dal ritorno
alla tradizione e ad Ingres, allo
stile rubensiano degli ultimi anni, la figura
femminile rappresentava la maggiore
fonte d’ispirazione dell’artista, al
punto da essere definito dalla critica il
più grande pittore delle donne tra i suoi
contemporanei: “È lui il vero pittore
delle giovani donne di cui sa rendere,
in quell’allegria di sole, il fiore dell’epidermide,
il velluto della carne, la
madreperla dell’occhio, l’eleganza della
pettinatura”, scrisse Huysmans, esponente
del mondo culturale parigino,
dopo aver visitato la mostra impressionista
del 1882. Era considerato come
“il maestro di tutti, il grande pittore di
nudo dei nostri tempi” (Arsène Alexandre)
grazie ad opere come “Bagnante”
(ca.1917-1918), esposta in questa mostra
insieme a “Ragazza che fa il merletto”
(ca.1906), e “Ragazza con gorgiera
rossa” (ca.1896).
In mostra sarà possibile confrontare,
accanto al “Ritratto di Madame Cézanne”
(1885-1887) di Cézanne, i diversi
linguaggi pittorici tra Van Gogh,
con “Ritratto di Madame Augustine
Roulin e la piccola Marcelle” (1888) e
“Ritratto di Camille Roulin” (1888) e
Picasso, dallo stile cubista riconoscibile
in “Nudo femminile seduto” (1908-
1909), “Uomo con violino” (1911-
1912), “Donna e bambine” (1961).
Non mancano le pittrici dell’epoca,
come Berthe Morisot presente con “Ritratto
di bambina” (1894) e Mary Stevenson
Cassatt, (Pittsburg 22 maggio
1844 – Château de Beaufresne, 14 giugno
1926), artista statunitense che
visse molto tempo in Francia dove, di-
Edgar Degas - La classe di danza, ca. 1880 - olio su tela, 82.2 x 76.8 cm
Philadelphia Museum of Art, Acquistato con il W. P. Wilstach Fund, 1937
ventando amica e allieva di Degas,
espose le proprie opere insieme agli
impressionisti. Cassatt ha realizzato
molti dipinti che ritraggono la vita sociale
e privata delle donne della sua
epoca, presente con “Donna con collana
di perle in un palchetto” (1879)
accanto a ritratti eseguiti da Metzinger,
Gleizes, Bonnard e Matisse.
Il genere della natura morta è presente
con importanti composizioni di frutta e
fiori di Gauguin e Van Gogh, Braque e
Matisse, mentre rapiscono lo sguardo
quadri come “Marina in Olanda” (1872)
di Manet e “La classe di danza” (ca.1880)
con le celeberrime ballerine di Degas.
La mostra documenta inoltre le cosiddette
avanguardie fiorite dopo l’impressionismo,
con opere quali “Una sera
di carnevale” (1886) di Rousseau,
“Cerchi in un cerchio” (1923) di Kandinsky,
“Carnevale al villaggio” (1926)
di Klee, “Simbolo agnostico (1932) di
Dalí, “Pierrot con rosa” (ca.1936) di
Rouault e “Nella notte” (1943) di Chagall,
opera catartica che celebra il sentimento
dell’amore.
E per finire, le sculture, da Rodin all’enigmatico
“Il giullare (1905)” di Picasso,
sino alla particolarissima scultura
in pietra “Il Bacio (1916)” di
Brancusi.
Tutti capolavori che un tempo arredavano
le case di industriali americani o
di illuminati collezionisti che, con
grande generosità, decisero di donarli
al Philadelphia Museum of Art. Un’anteprima
che invoglierà qualche visitatore
ad andare a Philadelphia per conoscere
le altre opere di questa imponente
collezione di fama internazionale,
come suggerisce Timothy Rub,
Direttore del museo, che entro il 2020
verrà ampliato da Frank O. Gehry.
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Roma
20
Il pensiero simbolista
attraverso i suoi artisti
di Francesco Buttarelli
“
Dīpingere fa parte della
poesia, e la felicità è data
dallo scoprire gradualmente
il mistero che costituisce
il simbolo,offrendoci la
possibilità di sognare”. Questo pensiero
appartiene a Stéphane Mallarmé,
poeta simbolista, innamorato
di questa nuova tendenza artistica
che possedeva un proprio stile ed un
particolare gusto, capace di affermarsi
e diffondersi in ogni nazione
d’Europa sul finire dell’ottocento. Il
Simbolismo rappresentò una visione
poetica e sognatrice che si pose in
antagonismo alla spettacolare narrativa
della pittura accademica, ma
anche alle tendenze naturalistiche
degli artisti realisti ed impressionisti.
I simbolisti intesero superare le mere
apparenze del reale per creare opere
che fossero in grado di toccare le
corde più profonde dell’animo umano,
attraverso l’unione della pittura
e della poesia. “Il poeta greco
Esiodo, nella sua Teogonia,racconta
che mentre era intento a pascolare le
sue greggi nelle campagne di Ascra,
un borgo della Beozia, gli apparvero
le muse che gli infusero il dono della
poesia”. Forse le vide attraverso un
sogno; il sogno che rappresenterà un
punto cardine nella pittura simbolista,
insieme alla
fugacità del
tempo, la riflessione
ed il mistero
dei grandi
miti. Sfogliando
le pagine della
storia, sembra
che i simbolisti
abbiano letto ed
assimilato le
teorie di Tommaso
Moro, che
nella sua
opera:”L’Utopia”,
propone la
visione di un
mondo diverso e
fa sognare all’uomo
una società
migliore.
Allo stesso modo ,Shakespeare è vicino
ai simbolisti nel suo capolavoro
“La Tempesta”, qui il Bardo lascia
un messaggio universale :”Il sogno è
l’elemento costante che ci accompagna
nella tempesta della vita”. Analizzando
gli artisti si scopre che
Gustav Klimt , nella sua opera “il
Fregio”, di alto contenuto simbolico,
dipinge una scena ove il bene e il
male si contrappongono evidenziando
un desiderio di liberazione attraverso
l’estasi che solo l’amore
può donare.
Nel dipinto, l’elemento maschile , il
cavaliere, si riflette su una figura
femminile che rappresenta la poesia
e attende il ritorno dell’uomo che
dovrà compiere un viaggio agli inferi
per sconfiggere le forze del male.
Diversa la concezione simbolica di
Pellizza Da Volpedo , che inserisce
nella sua arte la tematica sociale di
riscatto dei ceti più poveri.
La sua tela “il Quarto stato”, offre un
esempio di spiritualismo, simbolismo
ed idealismo tipico del suo
tempo. Il quadro è dominato dal contrasto
tra l’oscurità e la luce. La
massa dei lavoratori che avanza lascia
alle spalle la notte e si muove
verso un avvenire che cambierà la
storia del proletariato. Spicca la figura
femminile, somigliante ad una
statua greca, il suo incedere determinato
infonde fiducia e forza a tutti
gli uomini.
Con Pierre Puvis De Chavannes entriamo
in un simbolismo legato al
classicismo storico. Nell’opera “Le
fanciulle in riva al mare” predomina
un’atmosfera serena permeata in un
paesaggio bucolico.
Gli stupendi sensuali corpi delle tre
donne sono caratterizzati da alcune
linee rigide che sembrano dividere il
quadro in tre parti. La figura di
donna tagliata a metà sembra evidenziare
il cammino del tempo interrotto,
suggerendo l’idea di un
montaggio fotografico. La ricerca
cromatica e la profondità dell’orizzonte
pongono in rilievo l’idea dell’infinito
e quel sogno che gli antichi
greci definivano “Il respiro del
tempo”. Tra gli artisti di formazione
romantica approdati al simbolismo
spicca la figura di Gustave Moreau.
Nella sua opera “L’Apparizione”
egli riesce a rievocare ed interpretare
con originalità la storia biblica di
Salomè, la principessa che aveva
ammaliato il Re Erode eseguendo per
lui la danza de sette veli in cambio
della testa di Giovanni il Battista.
Dopo un’attenta lettura del testo
Sacro, Moreau dipinse Salomè come
una donna fatale, con il braccio sinistro
innalzato per additare ed ordinare
la morte. Un misterioso potere
sembra tenere la testa del Battista
sollevata, non posata su un vassoio
come ci viene tramandato. Il dipinto
è avvolto da una profonda luce dal
colore sanguigno che irradia la profondità
del luogo e lascia intravedere
sulla sinistra la figura del carnefice:
Erode sul trono. Osservando il quadro
sembra di addentrarsi in una dimensione
irreale, dominata da un
sogno simbolico, ove le forme sembrano
dissolversi e la tela assume un
contorno da “quinta” di teatro.
22
Tiziano Sgarbossa
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24
Intervista a
emre Yusufi
L'intervista è stata rilasciata da Emre Yusufi alla
giornalista Tulay Oktay Demir che lavora per il più
importante quotidiano turco, Hurriyet, per il quale
cura la pagina della cultura e spettacolo su cui è
stata pubblicata l'intervista il 19 dicembre 2017.
emre Yusufi, scultore, pittore,
graphic designer,
musicista vive e lavora
ad Istanbul, produce in
Turchia ed in Italia ha
esposto ad Istanbul,
Miami, Roma, New York, Parigi,
Parma, Reggio Emilia. Dal 16 al 18
marzo le sue opere saranno esposte a
Forlì nello stand di Neoartgallery nell'evento
EuroExpoArt a cura di Giorgio
Bertozzi e Ferdan Yusufi
Grazie a Contemporary Istanbul il
vento di Emre Yusufi soffia nei circoli
artistici da due anni. La statua di Ercole,
che Cem Yilmaz è un attore, comico,
sceneggiatore, regista e fumettista
turco, voleva comprare e che
ha rifiutato all'ultimo ha certamente
contribuito ad incrementare la popolarità
di Emre.. Cem Yllmaz inizia la carriera
cinematografica nel 1998, Dopo
vari successi come Yah~i Batl e Av
mevsimi, nel 2012 recita in “Magnifica
presenza” di Ferzan Òzpetek.
Nel 2014 recita nel film The Water Diviner,
diretto da Russell Crowe. Abbiamo
incontrato Yusufi di ritorno da
un viaggio di lavoro in Italia e abbiamo
parlato di tutto, dalla “transizione genetica”
che è alla base del suo talento
fino all'ultima decisione di Yilmaz.
Negli ultimi due anni in Turchia, nei
circoli artistici soffia il vento di Emre
Yusufi. Iniziamo dai risultati raggiunti
poi vorrei tornare alla tua infanzia in
cui già dimostravi questa tua fantastica
abilità artistica: qual è la ragione del
suo grande successo,
cosa la
rende così interessante?
Credo di
dover cominciare
con il dire che il
successo è un concetto
relativo. Definisco
la mia situazione
attuale come un successo che
va oltre il successo. Si, sono uno dei
nomi più popolari nei circoli artistici.
Ci può fare l'esempio di altri? Certo,
c'è çagatay Odaba~, che tra l'altro è
anche un mio caro amico. È popolare
ed allo stesso tempo è un collega di
prima linea. Anche Ali Eimaci è così.
Penso che negli ultimi due anni siano
stati, i nostri, i nomi più citati in Contemporary
Istanbul. È probabile che
questo abbia un effetto sulla popolarità.
Cosa ti rende diverso e il tuo nome è
più importante? A dire il vero, devo rifarmi
all'evento dello scorso anno.
L'anno scorso a Contemporary Istanbul
ero presente con il tema di Ercole e con
la guerra degli animali. Voglio dire, ho
presentato due collezioni in contemporanea,
Ercole era incredibilmente interessante.
Perché l'idea di un dio,
Ercole, nella vita quotidiana era originale;
mentre nuota, parla al telefono,
guida, o pattina. Le persone erano
molto interessate, ha avuto un impatto
significativo.
Che dire di quest'anno? Quest'anno
volevo continuare con lo sviluppo dell'idea.
Ma bisognerebbe evitare di ripetersi,
naturalmente. Cos'altro posso aggiungere,
quando ho pensato a come
avrei potuto andare oltre, ho deciso
questa volta di eseguire una scultura di
Ercole, che l'anno scorso avevo mostrato
come immagine.
Non avevi sculture l'anno scorso? No.
Ho realizzato la scultura di Ercole in
seguito. E i Guantoni d'oro ... Si, è
così. Ercole con i guantoni da boxe in
oro, una realizzazione interessante in
termini di dimensioni e volumi. Cem
Yilmaz ha rinunciato ad acquistare la
scultura perché l'ha trovata troppo costosa.
È uscita questa notizia.
C'è qualcosa di vero? No, non è successo
niente del genere. Vorrei correggere
questa inesattezza.
Non voleva prenderlo? Ho chiesto ma
non era un problema di soldi. Avevo
già parlato positivamente con lui che in
precedenza aveva già acquistato un
pezzo, una immagine sulla boxe. È
stato uno dei primi a cui ho mostrato il
mio nuovo lavoro legato al mondo del
pugilato. Gli è piaciuto molto ..
Qual'era il problema? Ha visto una fotografia
dell'opera. Non riuscendo a
Emre con Cem Yılmaz
L’artista con Elcin Sangu e un amico
prevedere le reali dimensioni. C'era
una differenza sostanziale tra la dimensione
reale della scultura e ciò che lui
aveva in mente. È venuto a vederla dal
vivo e ha detto "È troppo grande". Non
aveva valutato le reali dimensioni e la
differenza sostanziale tra la grandezza
naturale della scultura e ciò che lui
aveva in mente.
Qual è la dimensione della statua? Si
tratta di un mezzo busto da 140cm. Aggiungendo
le mie gambe raggiungiamo
un'altezza di 2 metri e 75 centimetri.
Dopo aver valutato attentamente se
aveva un posto dove posizionarlo Cem
ha dovuto desistere. Mi spiace non
avere trovato il collezionista in Turchia
Allora cosa è successo poi alla scultura?
Venduta, è stata venduta molto
rapidamente. Gran parte del merito è
della mia galleria. Lavoro con una galleria
straniera con sedi a Beirut, New
York e Parigi.
Chi l'ha acquistata? Un appassionato
del Kuwait. Un'altra versione è stata
acquisita da un importante collezionista
Belga.
Ti è dispiaciuto che non sia stata venduta
ai Turchi? Mi dispiace molto perché
ho lavorato su queste sculture
all'estero. Dopo averle finite le ho portate
in Turchia. Francamente mi auguravo
che restassero qui. Ma così non è
stato.
Credi che il valore dell'arte e degli artisti
all'estero sia molto più riconosciuto?
Non penso che lo sia.
Contemporary Istanbul è uno spazio
internazionale e si lavora con una galleria
internazionale in uno spazio internazionale.
Questo è un prezzo internazionale.
Ciò accade per via dell'euro,
la politica dei prezzi all'estero non permette
di trattenere le opere sempre qui.
Pensi che sia molto costoso? Sono
tante le opere a prezzi simili, questo è
dovuto all'investimento in termini di
duro lavoro ed anche al costo di produzione.
Volendo tornare alla domanda
precedente non c'è interesse nel sapere
il vero valore. La gente che visita Contemporay
Istanbul avrebbe voluto acquistarla,
ma quel prezzo, derivato dai
motivi che dicevo, è difficile da soddisfare.
Per Cem Ylmaz è stato il problema
principale? No, no. L'amico Cem ha
rinunciato non avendo dove collocarla,
non per i soldi.
A proposito, hai appena detto che hai
realizzato sculture all'estero. Dov'è il
tuo studio? In Italia. Uno a Bologna,
uno a Firenze. Lavoro in due studi diversi
con due tecniche diverse.
Perché l'Italia?
Il tema principale era l'anatomia. Il mio
obiettivo era quello di riprodurre una
vera anatomia rinascimentale. Quando
parli di vera anatomia rinascimentale,
la mente va inevitabilmente in Italia.
Com'è avvenuto questo processo? Ho
consultato i maestri italiani, e ho
creato una bella squadra con loro. Ho
presentato i miei progetti, abbiamo trascorso
molti giorni insieme come una
squadra e abbiamo creato. Questi non
sono progetti che si realizzano da soli,
si ha bisogno di una squadra. Ora
stiamo progredendo in modo molto
sano. Vorrei portare qualche altro lavoro
a Contemporary Istanbul.
Qual è l'obiettivo attuale? L'obiettivo
del 2018 è di poter realizzare delle mostre,
per competenti e appassionati, su
piattaforme internazionali. Organizzo
mostre personali a Parigi, Beirut e New
York. Ho già esposto, in passato, in una
personale a New York. Lo farò di
nuovo. Allo stesso tempo, ho partecipato
a fiere internazionali d'arte in tutto
il mondo. Sarà necessario avere idee
sempre originali per mantenere il successo.
Recentemente ho incontrato alcuni
studenti dell'accademia di Mimar
Sinan. I loro obiettivi sono troppo
grandi.
Che consiglio daresti a quei giovani tu
che hai camminato su queste strade
prima? La prima cosa è l'originalità
poi, dopo l'ideazione, l'applicazione.
Hai una buona idea, ma non riesci ad
applicarla bene. O viceversa, l'applicazione
è buona ma c'è un problema con
l'idea. Serve l'eccellenza nelle due
componenti. Non dovrebbero mai toglierselo
dalla mente.
Che dire della tecnica?
Senza tecnica nulla è possibile. L'applicazione
richiede una tecnica essa
stessa. Devi trovare la tecnica più appropriata
per quella applicazione e presentarla
nel miglior modo possibile. Se
tutte queste cose si incontrano, hai un
lavoro nelle tue mani. Ci sono molti
26
collezionisti e gallerie all'estero che
sono interessati all'arte. E sii certo che
queste persone sicuramente apprezzeranno
quando si trovano davanti ad una
buona idea.
Pensi che in Turchia, venga dato il
valore che merita all'arte? Francamente
... per un secondo, non volendo
dire niente di sbagliato, sorride. Penso
che ne valga la pena, ma immagino ci
sia un problema che riguarda il modo a
cui diamo valore. Ma c'è una trasformazione.
Anche l'interesse per l'arte e
il numero di giovani interessati all'arte
stanno aumentando come le iniziative
simili a Contemporary Istanbul. Dico
questo sulla base dell' interesse dimostrato,
ovviamente. Non ho idee circa
ciò che il Paese può fare. Posso dire
cosa può essere fatto in senso personale.
Ora che l'enorme mondo che
chiamiamo Internet è diventato così,
puoi mostrare il tuo port-folio e i milioni
di lavori che hai fatto in pochi secondi.
Devi usare bene Internet e i
social media. lo lo faccio.
L'amore per l'arte per i giovani è
come un vaccino per i bambini? C'è
una formula per questo? Questa è
un'interpretazione molto personale, ma
il mio approccio è: preferisco far sorridere
le persone. Lo penso, e non riporto
soggetti drammatici. Come ho
detto, è una mia scelta. Ne vedo i benefici.
Come? Mi rivolgo a persone di
tutte le età. Ancora una volta, il fatto
che i bambini amano qualcosa nelle
mie opere, significa che le famiglie le
adorano. Questo è molto importante.
Bisogna ci si ricordi l'opera non il
nome.
Per quante Sterline o Euro vengono
vendute in media?
(Sorride) C'è o no in Turchia la percezione
che l'arte sia stata monetizzata,
in effetti, ti sto chiedendo di confutare
un po' questa tesi. Capisco. Ovviamente
ci sono artisti che hanno guadagnato
molto denaro dall'arte. Il numero
di persone che preferiscono vivere la
propria vita facendo arte è molto più
numeroso in tutto il mondo.
Chi ti piace in Turchia, quali sono gli
artisti degni di nota in questo lavoro?
çagatay Odabas, Gazi Sansoy. Ma ci
sono un sacco di artisti dei quali non si
conosce il nome il cui lavoro è di prim'ordine.
Cosa succede non ti piace un lavoro
di uno di questi nomi?
Li ricordo per il lavoro, non per il
nome (sorridendo).
I bambini trovano idee originali per
giocare. Produrre idee originali, per
Emre Yusufi, portando alla luce opere
non testate è quasi un gioco da ragazzi.
Perché il potenziale è basato interamente
sul sogno e sulla realizzazione
dell'idea iniziale del suo sogno. D'altra
parte, la più grande distinzione tra
Emre Yusufi e gli altri è la capacità di
marketing. Immagina, realizzalo, rendilo
concreto e continua a commercializzarlo.
Se puoi immaginare un'apertura
al mercato quando sogni, così
puoi prevedere come andrà la tua attività
alla fine.
Elçin Sangu ha riconosciuto favorevolmente
il valore della tua arte dicendosi
una delle tue prime fan in
Turchia. Com'è andata? Vi eravate
già incontrati prima dell'acquisto di
quel dipinto? Ho ottenuto uno dei miei
migliori successi in Contemporary
Istanbul, la prima volta che ho partecipato.
Un quadro con Ercole che nuota
a le braccia aperte. È venuta, ha visto
l'opera, ma io non lo sapevo. Quando è
tornata per acquistare, aveva pianificato
dove avrebbero appeso il quadro
in casa. Non ci eravamo mai incontrati
prima.
Capiscono la tua arte? Non ha significato
che comprendano lo stato mentale
che ha pensato l'opera, so che hanno
collezioni molto importanti e belle.
Emre con
Ferzan Özpetek
Stanno davvero facendo una buona
scelta. È stato molto bello far parte
della loro collezione.
Quali sono le celebrità con cui si lavora
in Turchia? Elçin Sangu, Cem
Yllmaz, Ozan Guven. Non m viene in
mente altro al momento ...
Non pensi ad una mostra personale in
Turchia? Voglio, ma non so quando.
La fase di preparazione è molto importante
in questo settore. Soprattutto se il
soggetto è la scultura. Se si guarda alla
realizzazione del lavoro, ci vogliono
tre mesi.
Ti vedo come un artista che rappresenta
la Turchia all'estero. Grazie ...
credo che succederà presto.
Qual è stata la materia che preferivi
durante la scuola primaria? Pittura, la
mia materia preferita di sempre è stata
la pittura. Tutti i miei taccuini sono
pieni di disegni. Anche a lezione, lo facevo
continuamente. A proposito, ero
davvero pessimo in matematica (sorride).
Come è stato scoperto questo tuo talento
e come è arrivato fino a questo
punto? Grazie a mia Mamma. La
Mamma è il segreto dietro questo successo.
È una curatrice internazionale.
È nel mondo dell'arte da molti anni.
Hai intrapreso la tua vita direttamente
come artista, quindi. No, sono stato
nel mondo della pubblicità per molti
anni come designer. Ma certamente le
mie origini sono sempre state collegate
all'arte perché la mia educazione era
focalizzata sulle belle arti.
Fino a che punto tua madre ti ha guidato?
Come ho detto, quando sei sempre
connesso alle arti, giochi costantemente
con la carta. E quindi mia
madre me lo diceva. “Se continui così,
andrai avanti in questa direzione”, mi
diceva. Me lo ha detto, me lo ha detto,
e ...
E? Sono andato avanti e ho creato
qualcosa. I miei genitori hanno esposto
le mie collezioni anche in contesti internazionali.
Quali scuole hai frequentato? Sono
laureato alla Facoltà di Belle Arti dell'Università
di Marmara. Ma all'inizio
ho studiato arte a Firenze. Poi ho conseguito
il master presso la Yeditepe
University. Quindi, studio da sempre
arte e grafica.
Ti piace più la fotografia o la scultura?
La scultura è molto eccitante.
Sei un artista pieno di arte, pieno di
dipinti e musica. E hai anche un lato
da musicista. Hai persino inciso un
album. Si si (ride). L'album è uscito
ma quando lo dici si pensa ad un album
da solista, suono le tastiere in un
gruppo musicale in cui sono coinvolte
le persone che amo. Il nome del nostro
gruppo è Olive. Abbiamo realizzato un
album intitolato “Hello I am Human”.
È un progetto delizioso. Quando hai
iniziato a suonare la tastiera? Quando
ero molto giovane. C’era un organo, ho
dato un'occhiata alla tastiera e ho premuto
i tasti, bid bid (ride). A proposito,
il mio compianto padre suonava il
flauto traverso. Si era laureato presso
l'università che avrei poi frequentato
io. Era un importante pubblicitario. In
altre parole, c'è una situazione di transizione
genetica da parte di madre e di
padre. Ma non sappiamo da dove venisse.
Tuttavia, è certo che ogni essere
umano è creativo. Al cento per cento.
Solo che questa creatività emerge in
forme diverse. Chi riflette visivamente,
chi come idea.
Mi hai appena detto che non avevi
successo in matematica. Ero lo studente
più scarso della mia classe. A
proposito di successo, voglio dirtelo,
ora sei sulla buona strada per diventare
un artista e scultore di successo. I
Hope.
28
Carmelo CONSOLI
luce e magia del colore
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BARI
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presenta
G ler zcan
Bu kaçıncı tecevüz, Bu kaçıncı intihar
Bir arzu dürtüsünde kaybolan, yiten yaşamlardı.
Kadın kanlar içerisinde akıtırken göz yaşlarını
Bu ne son tecavüz, ne de son intihar.
Dönüp arkalarını giderlerken…
How many rapes… How many suicides…
Lives were lost and wasted In the impulse of passion.
Whilst the woman shed tears in a welter of blood
It was not the last rape, neither was the last suicide
That they turned back and went away…
Quanti stupri, quanti suicidi, quante vite perse
dietro una passione istintiva.
Mentre la donna coperta di sangue piangeva,
questa non era né il primo stupro né il primo suicidio.
Loro invece si giravano e se ne andavano….
Birsen Tankaya Dinç
Rape / abuse 1, Acrilic on Canvas, 100 x 80 2017
www.gulerozcan.com
L’artista sarà presente
all’edizione 2018
di Vernice Art Fair, Forlì
www.euroexpoart.com
34
HOKUSAI
sulle orme del Maestro…
tra le sue “immagini del Mondo Fluttuante”
di Marina Novelli
okusai […]
i suoi disegni;
le onde
sono come artigli che si
aggrappano alla nave e riesco
“
H
Katsushika Hokusai - La [grande] onda presso la costa di Kanagawa dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji, 1830 - 1832 circa
Silografia policroma - Kawasaki Isago no Sato Museum
quasi a sentirli…”, è quanto scri-
veva Van Gogh di Hokusai che deve infatti
la sua fama universale alla
“Grande Onda”, facente parte della
serie di Trentasei vedute del Monte
Fuji, che riprodotte ebbero infatti una
forte influenza sugli artisti parigini di
fine Ottocento, tra i quali Manet, Toulouse
Lautrec, Monet e lo stesso Van
Gogh appunto, i quali, tutti insieme,
furono i protagonisti del celebre movimento
Japonisme. Un maestro quindi
che ha avuto il grande ruolo di far nascere
correnti nuove migrando dall’oriente
verso l’Europa. L’opera di
Katsushika Hokusai (1760 – 1849) è
vastissima ed abbraccia, con il suo
ukiyoe (immagini del Mondo Fluttuante),
un periodo tra la fine del Settecento
e la prima metà dell’Ottocento.
La sua straordinaria diffusione nel
tempo è avvenuta anche grazie al copioso
numero dei suoi seguaci, tali da
divulgare un nuovo modo di rappresentare.
Roma, nelle prestigiose sale
dell’Ara Pacis, ha ospitato la sua suggestiva
mostra che, a partire dallo
scorso 12 ottobre 2017, ha registrato
un altissimo numero di visitatori e di
apprezzamenti…una mostra insolita
che si è articolata in due parti data
l’elevatissima delicatezza di alcune
opere. Tale mostra è stata promossa da
Roma Capitale, Assessorato alla Crescita
Culturale, Sovrintendenza ai Beni
Culturali con il supporto dell’Ambasciata
Giapponese, organizzata da
MondoMostre Skira e Zètema Progetto
36
Katsushika Hokusai - Giornata limpida col vento del sud (o Fuji Rosso), dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji, 1830-1832 circa
Silografia policroma - Kawasaki Isago no Sato Museum
Cultura. A dar conto dell’opera
e dell’eredità del
grande maestro invece è
stato il lavoro attento ed acculturato
di Rossella Menegazzo
che ha voluto sottolineare
quanto in passato
l’Italia venisse considerata
come “il bacino” della cultura
e il Giappone “il fruitore”.
Oggi invece possiamo
ben dire – ella specifica
– di essere alla pari, in
quanto già nel 2016 si sono
succeduti numerosi eventi
culturali atti a divulgare la
cultura giapponese, nei
suoi molteplici aspetti, che
vanno dalle arti tradizionali
allo sport, non ultimi l’architettura,
la fotografia e la
cultura culinaria. Esperimento
molto ben riuscito,
affermiamo noi in quanto le
opere dei maestri dell’ u-
kiyoe erano già state presentate
a Milano riscuotendo
un vastissimo consenso
di pubblico e di critica,
non ultimo pertanto,
vale la pena di citare, il
grande successo ottenuto
con la mostra del fotografo
giapponese Ken Domon nel
2016, sempre nelle sale
dell’Ara Pacis.
Ma vediamo chi è Hokusai!
Egli nasce nel 1760 a Edo
(odierna Tokio) e nel 1778
diventa allievo di Shunsho
di cui, alla sua morte, eredita
la conduzione del suo
atelier Tawaraya, mutando
la sua firma da “Shunro” a
“Sori” ed a questo periodo
appartengono infatti i suoi
ritratti di più alto livello
espressivo della beltà dal
viso allungato e nelle elaborazioni
prospettiche dei
paesaggi. Nel 1798 invece
lo vediamo adottare un linguaggio
figurativo più originale
ed indipendente da
ogni altro stile artistico
precedente, mutando contemporaneamente
il proprio
nome in “Hokusai”, tanto
bello quanto musicale, nome
di cui si servirà pertanto
Katsushika Hokusai - La cascata di Onō lungo la strada Kiso,
1830-1832 circa Silografia policroma - Kawasaki Isago no Sato Museum
Katsushika Hokusai - Veduta del tramonto presso il ponte Ryogoku dalla sponda del pontile di Onmaya, dalla serie Trentasei vedute del
monte Fuji, 1830-1832 - Silografia policroma - Kawasaki Isago no Sato Museum
fino al 1813. Indubbiamente l’eccentricità
delle sue creazioni pittoriche
contribuiscono ad accrescere la sua
fama e soprattutto la pubblicazione
dei Manga, una sorta di manuali di
disegno per pittori professionisti e dilettanti.
Dal 1820 invece, all’età di
sessant’anni, rinnova il suo linguaggio
firmandosi Hokusai Iitsu (“di
nuovo stile”). Sono questi gli anni
delle sue opere più note, tra cui le
Trentasei vedute del Monte Fuji, la
Grande Onda, la serie dei ponti e
delle cascate, nonché dei grandi e
piccoli fiori, facendo sì che il paesaggio
diventi un genere autonomo, ed è
proprio in questo momento che
l’espressione con la figura umana e
animale tocca il vertice della perfezione.
Lo vediamo, nel 1834, utilizzare
il nome di “Manji” (simbolo
buddista di buon auspicio) nel primo
volume della trilogia delle Cento vedute
del Monte Fuji…volume che
contiene inoltre il suo testamento spirituale.
Successivamente si trasferisce
nella città di Uraga e lavora alla
produzione di stampe storico-letterarie.
Fa ritorno ad Edo, sua città natale,
nel 1837 ma un incendio distrugge
totalmente la sua casa e tutte
le sue opere letterarie. Si dedica, subito
dopo, alla raffigurazione dei
leoni cinesi, una sorta di esorcismi
quotidiani, considerati dei veri e propri
talismani contro avversità, malattie
e disgrazie. Realizza poi
importanti dipinti a Obuse, dove si
reca nei suoi ultimi anni… dove
muore, nel 1849.
“Sin dall’età di sei anni ho amato dipingere
qualsiasi forma di cosa. All’età
di cinquanta ho disegnato
qualcosa di buono, ma fino a quel
che ho raffigurato a sessant’anni non
c’è nulla degno di considerazione. A
settantatré ho un po’ intuito l’essenza
della struttura della natura, uccelli,
pesci, animali, insetti, alberi, erbe. A
ottant’anni avrò sviluppato questa
capacità ancora oltre mentre a novanta
riuscirò a raggiungere il segreto
della pittura. A cento anni avrò
forse veramente raggiunto la dimensione
del divino. Quando ne avrò
centodieci, anche solo un punto o
una linea saranno dotati di vita propria.
Prego quelli tra lor signori che
godranno di lunga vita di controllare
se quanto sostengo si rivelerà infondato.
Scrivo questo in tarda età.
Usavo chiamarmi Hokusai, ma oggi
mi firmo “Manji il vecchio pazzo per
la pittura”. Manji il vecchio pazzo
per la pittura – 1834
Prefazione alle Cento vedute del Monte
Fuji.
Alla luce di quanto sopra, possiamo
quindi definire, in parole povere (…
ma ricchissime di significato!), il nostro
Hokusai uno “sperimentatore”
che variava formati e tecniche, che
proponeva dipinti a inchiostro e colore
su rotoli verticali ed orizzontali,
silografie policrome di varie misure
per il grande mercato, fino ai più raffinati
“Surimono”, usati come biglietti
augurali, inviti per eventi ed
incontri letterari, cerimonie del tè ed
inviti a teatro. I “Manga” invece,
sono una raccolta di volumi in cui si
possono ammirare centinai di schizzi
e disegni, stampati in solo inchiostro
nero, e qualche raro, nonché parsimonioso,
delicato tocco di vermiglio e
che rappresentano un compendio di
tanta eccentricità e genialità messa a
disposizione di giovani artisti e pittori
quali modelli per ogni genere di
soggetto.
38
Katsushika Hokusai - Il Monte Fuji al tramonto, 1843 Dipinto su rotolo,
Collezione privata
Tra i suoi allievi di maggiore spicco
non possiamo non notare la figura di
Keisai Eisen (1790 – 1848), che non fu
mai un allievo diretto di Hokusai ma
che ne venne fortemente influenzato, e
che determinò gli sviluppi delle stampe
di bellezze femminili e paesaggi tra gli
anni 1810-30. Proprio ad Eisen, presentato
in Italia in questa mostra, infatti
appartiene la bellissima ed
imponente figura di cortigiana rappresentata
nella silografia che Van Gogh
dipinge alle spalle di Père Tanguy e
che utilizza anche sulla copertina del
Paris Le Japon Illustré nel 1887.
Di notevole interesse ho trovato, ed è
una delle cose che più di ogni altra mi
ha emozionata in questa mostra, è stato
notare come, nel 1830 a seguito dell’introduzione
del blù di Prussia (uno
dei miei colori preferiti!), Eisen abbia
orientato la sua produzione pittorica
verso la realizzazione di stampe monocromatiche…con
solo inchiostro blu
(aizurie), notevoli per l’eccellenza
delle gradazioni tonali, realizzate nel
formato del trittico e del ventaglio rotondo.
“Quello che invidio ai giapponesi è
l’estrema limpidezza che ogni elemento
ha nelle loro opere […].Le loro opere
sono semplici come un respiro, e riescono
a creare una figura con pochi
ma decisi tratti, con la stessa facilità
con la quale ci abbottoniamo il gilet.
Ah, devo riuscire anche io a creare
delle figure con pochi tratti”.
Vincent Van Gogh a Theo Van Gogh
Arles, 23/24 Settembre 1888
Non possiamo che dar ragione a Van
Gogh in merito alla “estrema limpidezza
che ogni elemento ha nelle loro
opere”, un saggio delle quali è stato
possibile ammirare nella mostra all’Ara
Pacis, che è stata suddivisa in
cinque interessanti sezioni, concernenti
i temi più alla moda e richiesti dal mercato
dell’epoca. La prima sezione denominata
Meisho – mete da non
perdere, in cui sono state presentate le
serie più famose di Hokusai: le Trentasei
vedute del Monte Fuji, le otto di
ōmi, i tre volumi sulle cento vedute
del Monte Fuji, ed un dipinto su rotolo
del Monte Fuji presentato per la prima
volta in Italia in anteprima assoluta.
Erano queste infatti le mete di viaggio
e i luoghi celebri che un giapponese di
epoca Edo non doveva assolutamente
perdere: cascate, ponti e luoghi naturali
delle province più lontane, vedute del
Monte Fiji da luoghi famosi posti sulla
riva del Tōkaido che collegava Edo
(Tokio) a Kyoto. Figura di spicco è
stata la “Grande Onda” di Hokusai, che
si è potuta apprezzare e godere in ben
due versioni differenti che si sono alternate
suddividendo a metà il periodo
espositivo, decisione dovuta , come abbiamo
già visto, per ragioni conservative.
La prima proveniente dal Museo
d’Arte Orientale di Genova e la seconda
dalla collezione Kawasaki Isago
no Sato Museum, così come tante altre
importanti silografie, riguardanti il
Monte Fuji confrontabili in doppia versione.
La seconda sezione è stata dedicata
alla Beltà alla moda, una serie di dipinti
su rotolo e silografie policrome
dedicate al ritratto di beltà femminili e
cortigiane delle famose case da tè del
rinomato quartiere di piacere di Yoshiwara
e che mettono a confronto lo stile
del maestro Hokusai con quello di alcuni
tra i suoi allievi più famosi tra cui
Gessai Utamasa, Ryūryūkyo Shinsai,
Hokumei, Teisai Hokuba. Di notevole
rilievo è la novità di composizione di
Keisai Eisen, con la sua spiccata per-
Katsushika Hokusai - Il Fuji da Gotenyama presso Shinagawa sul Tōkaidō, dalla serie Trentasei vedute del monte
Fuji, 1830-1832 circa - Silografia policroma - Kawasaki Isago no Sato Museum
sonalità nel campo del ritratto femminile, in grado
di redigere un vero e proprio reportage di moda,
tale da evidenziare i Kimono e i tessuti raffinatissimi
dai ricercati motivi, coloratissimi e studiati fin
nei particolari più minuziosi. È stata adattata in
questo contesto anche una piccola ma raffinata raccolta
di immagini legate alla seduzione e al mondo
del piacere e dell’erotismo, mettendo a confronto
Hokusai ed Eisen attraverso silografie “pericolose”
(abunae), in cui si intuisce l’intenzione di scambio
amoroso senza mai svelarne palesemente l’aspetto
sessuale sublimato attraverso la bellezza di stoffe
ed abiti che coprono i corpi, conducendo al sogno.
Alla terza sezione è stato dedicato il tema della
Fortuna e buon augurio. Silografie ed una serie di
undici dipinti su rotolo di Hokusai, raffiguranti le
divinità popolari della fortuna, da cui si evince uno
dei soggetti in voga all’epoca come portafortuna,
protezione, augurio per occasioni speciali…davvero
suggestive immagini esposte per la prima
volta in Italia.
Catturare l’essenza della natura è stata invece la
quarta sezione, dove abbiamo visto Hokusai e allievi
a confronto attraverso una serie di dipinti su
rotolo provenienti dal Giappone, sul tema della natura
e degli animali, al fine di sottolineare i motivi
classici della pittura di “fiori e uccelli” e la valenza
simbolica di alcuni animali particolari quali il
drago, la tigre, la capra ed il gallo, riproposti nello
stile di ciascun artista.
I Manga – manuali per imparare – hanno rappresentato
la quinta ed ultima sezione. Attraverso la
serie completa dei 15 volumi di Manga di Hokusai
che ci hanno rimandato ai tratti ed alla forza che il
maestro ha dato ad ogni creatura che abbia deciso
di rappresentare, ma anche alla sua volontà di in-
Katsushika Hokusai - Sugoroku gioco da tavolo dei Luoghi famosi di Edo
Silografia policroma - Kawasaki Isago no Sato Museum
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Keisai Eisen - Yamashita in Shitaya e Kōriyama in ōshū dalla serie
Paragoni di luoghi famosi nelle province, 1818-1830 circa Silografia
policroma, 38,0 × 25,7 cm - Chiba City Museum of Art
Keisai Eisen - Totsuka: Masuyama di Matsubaya dalla serie: Gioco del
Tōkaidō con cortigiane: Cinquantatré coppie a Yoshiwara, 1825
Silografia policroma, 37,9 × 25,6 cm - Chiba City Museum of Art
Keisai Eisen - Hisaka: Michisode di Owariya dalla serie: Gioco del
Tōkaidō con cortigiane: Cinquantatré coppie a Yoshiwara, 1825
Silografia policroma, 38,5 × 25,6 cm - Chiba City Museum of Art
segnare le regole della pittura ad artisti
ed appassionati. Affiancato ai volumi
di Hokusai è stato possibile vedere un
album dell’allievo Shotei che ha ripercorso
i soggetti e le forme del maestro,
proponendo pagine fitte di disegni e
schizzi.
Data l’elevata divulgazione che ha
dato all’opera del Maestro Hokusai, è
doveroso dare un ultimo sguardo alla
figura di Eisen. Egli nasce a Edo, nel
1791, figlio di un samurai nonché dotato
calligrafo. La sua vita e la sua arte
sono ampiamente documentate dagli
“Scritti di un vecchio senza nome” del
1833, opera considerata la sua autobiografia.
All’età di vent’anni, a seguito
della perdita dei genitori, decide di dedicarsi
all’ukiyoe, ed in seguito compone
alcuni testi e disegna stampe
teatrali. Nelle sue prime opere vediamo
raffigurate la beltà femminile, da cui
però si distacca presto per cimentarsi
nella raffigurazione di donne dal fisico
corpulento, stabile, concreto e vitale,
prestando molta attenzione ai particolari,
all’abbigliamento, agli accessori,
al trucco ed alle espressioni facciali.
Eisen è stato, a ragione, fonte di ispirazione
per lo stesso Van Gogh. Interessante
notare come dal 1830, a
seguito dell’introduzione del blù di
Prussia, Eisen orienta la sua produzione
pittorica verso la realizzazione di
stampe monocromatiche …con solo inchiostro
blù (aizurie), notevoli per l’eccellenza
delle gradazioni tonali,
realizzate nel formato del trittico e del
ventaglio tondo. Nel 1835 disegna ventiquattro
stampe della serie “Sessantanove
stazioni del Kisokaidò…progetto
che però non sarà completato. La serie
dei paesaggi assumono una connotazione
di grande originalità, fondendo il
genere del paesaggio e quello dei ritratti
di beltà in una unica immagine.
Nel 1833 redige una nuova versione
delle biografie di artisti ukiyoe. Muore
il 22 luglio del 1848 e sepolto presso il
Fukujuin, tempio nel cuore di Edo.
Keisai Eisen - Momongawa dalla serie: Aspetti dello stile moderno,
1830 -1844 circa Silografia policroma, 37.3×24.4 cm
Chiba City Museum of Art
Un sentito ringraziamento ai promotori
ed organizzatori di questa importante
mostra, nonché alla minuziosa
cura della dott.ssa Rossella Menegazzo
per averci consentito, con il loro attento
lavoro di entrare, così capillarmente
in questo mondo di “immagini
del Mondo Fluttuante”, tra paesaggi,
cascate, scorci del Monte Fuji e tanto
altro ancora, il tutto espresso e descritto
con i suoi delicati equilibri cromatici,
portandoci spesso ed
inavvertitamente tra i “flutti”…sulla
sommità delle sue famosissime
“Onde”!
“Hokusai non era soltanto un pittore.
Aveva curiosità leonardesche si interessava
di architetture di macchine
strane di costumi si divertiva a fare
strabilianti caricature (io l’ho conosciuto
quando lui era già andato a curiosare
nell’altro mondo. Grazie caro
amico, grazie del tuo insegnamento allegro”.
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all’edizione 2018
di Vernice Art Fair, Forlì
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Dal 23 Marzo al 24 Giugno 2018 - Palazzo Fava - Bologna
MeTa-MORPHOSIS
L’omaggio di Bologna al genio dell'artista cinese
Zhang Dali, che in città ha vissuto e scoperto la
street art
a cura diM arilena Spataro
Sarà Bologna a ospitare,
nelle suggestive sale di
Palazzo Fava affrescate
dai Caracci, la più importante
antologica italiana dedicata a
Zhang Dali, uno dei più rappresentativi
artisti cinesi contemporanei sulla scena
internazionale. Intitolata Meta-Morphosis,
la grande esposizione, che i-
naugura il 23 Marzo e si conclude il 24
Giugno 2018, vedrà in mostra ben 220
opere, raggruppate in nove sezioni, tra
sculture, dipinti, fotografie e installazioni,
dell’imponente produzione artistica
di Zhang Dali. L'evento desidera
essere un omaggio da parte di Fondazione
Carisbo e Genus Bononiae -
Musei nella Città, all’artista che nella
città felsinea arrivò nel 1989, dopo i
drammatici fatti di Piazza Tienanmen,
rimanendovi fino al 1995. Il percorso
espositivo si apre con la serie di dipinti
Human World, che Zhang Dali dipinge
negli anni Ottanta, sul finire del periodo
di studi all’Accademia Centrale
di Arte e Design di Pechino: dipinti ad
olio su carta in rosso, nero e bianco in
cui dettagli figurativi si mescolano a
una rappresentazione onirica, frutto del
desidero di sperimentazione dell’artista
in un’ottica di contaminazione tra arte
orientale ed occidentale. La rapidità
dei cambiamenti urbanistici della Cina
contemporanea, le macerie che fanno
spazio alla modernità cancellando il
passato sono al centro del ciclo di fotografie
Dialogue and Demolition:
sulle rovine delle costruzioni abbattute
dalla furia della crescita urbana Zhang
Dali traccia per anni, a partire dal
1995, il profilo del suo volto, utilizzando
l’arma clandestina dei graffiti
appresa a Bologna: un tracciato che,
demolito, diventa finestra, rivelando il
disturbante contrasto tra la Cina tradizionale
e l’epoca contemporanea, e i
costi della modernizzazione sul patrimonio
storico e culturale. In mostra
anche il ciclo One Hundred Chinese,
realizzato tra il 2001 e il 2002, documentario
veritiero sulla condizione del
popolo cinese nel nuovo millennio, con
la rapida globalizzazione del paese: le
sculture, calchi di persone reali, diven-
tano specchio di esistenze solo apparentemente
ricche e privilegiate, in realtà
stritolate dai ritmi della modernizzazione.
E ancora i grandi dipinti
della serie AK-47e Slogan: nei primi la
sigla del kalashnikov, simbolo universale
di guerra e sopraffazione, compone
i ritratti di uomini e donne, svelando
impietosamente la violenza elemento
integrante e tessuto connettivodelle
esistenze. Nei secondi gli ideogrammi
che compongono gli slogan
della Repubblica Popolare rivelano,
grazie alle variazioni di scale cromatiche,
le foto-segnaletiche di uomini e
donne dai volti impassibili, privi di
qualsiasi segno di gioia o dolore. Volti
anonimi quanto gli slogan, appiattiti in
una massa umana indistinta.
La violenza lascia spazio al silenzio e
alla pace quasi metafisica nella serie
World’s Shadows, realizzata con l’antico
processo fotografico della cianotipia,
che disegna su tela di cotone o
carta di riso delicate ombre umane,
animali e vegetali; una scintilla di
eterno che si ritrova nelle grandi statue
antropomorfe in marmo bianco (hanbaiyu)
a grandezza naturale della serie
Permanence, in cui corpi di persone
comuni, lavoratori, migranti, scolpiti
nel materiale delle statue degli dei e
degli eroi, attingono al sublime che esiste
in ogni singola esistenza.
La storia torna prepotentemente nei
100 pannelli della grandiosa serie A
Second History, nei quali attraverso
materiali d’archivio collezionati in
sette anni, Zhang Dali rivela impietosamente
la sistematica manipolazione
delle immagini operata dal regime a
fini propagandistici degli anni dal 1950
al 1980. Il percorso si chiude con la
monumentale installazione Chinese
Offspring, serie di sculture colate in
vetroresina dei mingong, i lavoratori
strappati dalle campagne per diventare
parte del fagocitante meccanismo produttivo
della Cina post-maoista. Una
selva di sculture appese a testa in giù,
a significare la mancanza di controllo
che queste persone hanno sulla propria
vita: una riflessione di devastante impatto
sulla presente condizione di un
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popolo diventato ingranaggio di una
macchina sulla quale non ha controllo.
Oltre che pittore, scultore, performer,
fotografo, il maestro cinese è considerato
il padre della graffiti art in Cina,
meglio ancora, della street artist, in tal
senso per la sua irriducibile volontà di
cercare, attraverso l'arte, un dialogo
con tutti gli elementi, umani ed architettonici,
corporei ed incorporei, che
permeano lo spazio urbano.
I lavori di Zhang Dali, esposti nelle più
importanti gallerie e musei di tutto il
mondo – dal MoMa di New York alla
Saatchi Gallery di Londra allo Smart
Museum di Chicago - sono il frutto di
uno sguardo profondamente umano e
partecipe sulla Cina contemporanea e
le sue drammatiche contraddizioni, sui
rapidissimi cambiamenti che la crescita
esplosiva del capitalismo ha portato
con sé negli ultimi trent’anni, dalle
drammatiche condizioni di vita dei lavoratori
ridotti alla serialità, all’urbanizzazione
selvaggia che cementifica e
cancella la tradizione.
Il titolo Meta - Morphosis della mostra
di Palazzo Fava, non è altro che un
esplicito riferimento all’essenza stessa
dell’arte di Zhang Dali, un segno di riconoscimento
che lo distingue da tutti
gli altri artisti cinesi suoi contemporanei:
arte che tenta di rappresentare i
cambiamenti della Cina, facendone
emergere le laceranti contraddizioni, i
traumi e le ripercussioni che si riverberano
soprattutto sugli anelli deboli
della catena sociale, sui lavoratori che
hanno pagato il prezzo più alto della
transizione al capitalismo, sulla popolazione
investita dalla rapidità di una
trasformazione che tutto sovverte e
cancella a ritmi vertiginosi. “Realismo
estremo”, quello di Zhang Dali, in
quanto artista che “si fa interprete del
dovere dell’arte contemporanea di
esprimere il dubbio sulla brutalità che
permea la vita”.
La mostra è un progetto a cura di
Genus Bononiae, Musei nella città
Con il patrocinio di Comune di Bologna,
Città Metropolitana di Bologna,
Alma Mater Studiorum.
ERNARD AUbERTIN
“L'iMMAteRiALità deL ROssO fuOCO”
MOSTRA PERSONALE DAL 3 AL 17 MAGGIO 2018
PRESSO MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELAccIA
“Senza titolo” - tecnica m ista su tela bianca - cm .50 x 50
L’artista Bernard Aubertin, con i suoi “ Tableaux Feu”, quadri di fuoco, crea un equilibrio incessante tra la materialità
degli oggetti incendiati e l’immaterialità del fuoco rivelando uno stile formale incomparabile. Aubertin, dando fuoco a
fiammiferi, libri, strumenti musicali e vari oggetti, esprime un’ indagine concettuale del tutto autonoma attraverso la
quale l’essenza della cenere, che vive all’interno dell’opera in continua trasformazione, evidenzia un linguaggio suggestivo
ricco di pensiero e di profondo contenuto. I fiammiferi, che vengono disposti in fila e che seguono un ordine
ben definito e rigoroso nell’opera, comunicano costantemente tra di loro incendiandosi uno dopo l’altro in una sequenza
precisa dove il fuoco dirompente s’impone con immediatezza. La metamorfosi dei materiali, accesi di movimento
emotivo, il dinamismo strutturale e la funzione comunicativa rendono ogni sua creazione identificabile che si
traduce in uno spazio spirituale affascinante di personale ed interessante discorso. Egli, con una struttura stilistica
fatta di energia pura del rosso fuoco e con una stesura formale di evidente personalità, realizza opere scaturite da
un’ autentica resa interpretativa dove il gioco dei fiammiferi, di singolare sintesi, regala al fruitore un potere visivo
notevole di emozioni e di sensazioni.
Monia Malinpensa (Art Director- Giornalista)
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La cOLLeZIONe
caVaLLINI SGaRBI
Da NIccOLÒ DeLL'aRca a GaeTaNO PReVIaTI
TeSORI D'aRTe PeR FeRRaRa
a cura di Silvana Gatti
Gaetano Previati
(Ferrara, 1852 - Lavagna, 1920) - Una pia donzella ai tempi di Alarico (1879) - Olio su tela, 97x137 cm - Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
È
stata inaugurata sabato 3 febbraio,
nel Castello Estense di
Ferrara, la mostra “La collezione
Cavallini Sgarbi. Da Niccolò dell’Arca
a Gaetano Previati. Tesori
d’arte per Ferrara.”
L’esposizione è dedicata alla Collezione
Cavallini Sgarbi, 130 opere tra dipinti e
sculture raccolte in circa quarant’anni di
collezionismo appassionato da Vittorio
Sgarbi con la madre Caterina “Rina” Cavallini
e con la presenza silenziosa di Giuseppe
Sgarbi. Elisabetta Sgarbi, per il tramite
della propria Fondazione, ha voluto
che questa mostra raccontasse, nel luogo
più rappresentativo della città di Ferrara,
non solo la storia di una straordinaria impresa
culturale, ma anche quella della sua
famiglia che ha dedicato all’arte tutte le
energie.
La mostra è ideata e promossa dalla Fondazione
Elisabetta Sgarbi in collaborazione
con la Fondazione Cavallini Sgarbi, con il
Comune di Ferrara e sotto il patrocinio del
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
e del Turismo e della Regione Emilia-Romagna.
Le ricche sale dell’appartamento di
rappresentanza al piano nobile del Castello
Estense ed i “Camerini del principe” ospitano
opere che vanno dalla fine del Quattrocento
a metà Novecento, da Niccolò
dell’Arca a Niccolò Pisano, dal Garofalo a
Gaetano Previati, da Giovanni Boldini a
Giuseppe Mentessi.
L’amore di Vittorio Sgarbi per il collezionismo
è partito inizialmente dai libri. Dopo
aver acquisito, a partire dal 1976, 2800 titoli
delle 3500 fonti, trattati, guide e storie
locali, databili dal 1503 al 1898, elencati da
Julius von Schlosser nella sua “Letteratura
artistica”, cuore di una biblioteca con oltre
200.000 volumi, Vittorio Sgarbi ha cambiato
registro scoprendo il piacere di collezionare
quadri e sculture. Inizia così una
lunga avventura, a partire dal 1984, anno
in cui il noto critico si trova dinanzi al San
Domenico di Niccolò dell’Arca. Sgarbi, per
la sua collezione, non acquista le opere inflazionate
del mercato dell’arte, ma le o-
pere “introvabili e incercabili”, dando o-
rigine ad una collezione che rappresenta
Antonio Cicognara
(Cremona, documentato dal 1480 al 1500)
Madonna del latte tra sant’Agnese e santa Caterina d’Alessandria (1490)
Olio su tavola, 168 x 122 cm
Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
Niccolò dell’Arca
(Puglia 1435/1440 - Bologna 1494)
Aquila (circa 1478)
Terracotta, 54 x 53 x 53 cm
Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
una vera e propria panoramica dell’arte italiana,
tra pittura e scultura, dal XV secolo
ai giorni nostri.
La collezione comprende preziosi manufatti
creati in antiche botteghe delle quali si
hanno ancora poche notizie, basti citare la
fucina degli Embriachi, organizzata da un
certo Baldassarre fiorentino, al quale è stato
riconosciuto un ruolo di gestione imprenditoriale,
acquisito grazie a frequenti
viaggi in Inghilterra, Francia e Catalogna.
Il compito di dirigere la bottega degli Embriachi
fu sicuramente affidato da Baldassarre
allo scultore concittadino Giovanni di
Jacopo, entrambi scomparsi nell’anno 1406.
La cifra stilistica dei lavori di questa bottega
ricorda lo stile di un altro laboratorio
impegnato nella realizzazione di cofanetti
in osso e corno, la cosiddetta “Bottega a figure
inchiodate”, che prende il nome dalla
tecnica che permetteva di fissare le lamelle
con i rilievi figurativi al supporto ligneo
mediante l’uso di piccoli chiodi. Gli Embriachi,
inizialmente attivi a Firenze fra il
1370 e il 1380, operarono dal 1395 a Venezia.
La loro attività tramontò verso il 1430,
ma alcuni imitatori continuarono per decenni
la produzione di questi oggetti. Di
questa produzione sono importante testimonianza
le quattro opere presentate in mostra.
La prima di queste è una Cornice di
specchio da parete di forma ottagonale e
dal coronamento cuspidato, nel quale campeggia
una figura alata che posa la mano
destra su una colonna e stringe nella sinistra
uno scudo, al cospetto di due angeli,
La parte centrale con lo specchio circolare
è racchiusa entro la cornice composita,
dove due minute fasce intarsiate – realizzate
con pezzetti di legno e osso – inquadrano
le lamelle con le raffigurazioni di
creature angeliche su di uno sfondo a foglie
di rosa stilizzate. In questo tipo di oggetti
e nei Cofanetti, elaborati per celebrare
le nozze di due coniugi, sono spesso raffigurati
una coppia di scudi, ad indicare le
casate dei committenti. Gli altri tre testimoni
della produzione embriacesca in mostra
sono dei Cofanetti intarsiati con coppie
di figure, concepiti come portagioielli e nel
contempo per celebrare i matrimoni. Due
dei cofanetti esposti sono riferibili a una
bottega dell’Italia settentrionale attiva nel
primo trentennio del Quattrocento, prossima
a quella degli Embriachi. Il terzo manufatto
svela la matrice fiorentina, in quanto
nelle lamelle si può notare la tipica raffigurazione
dei pini a ombrello (su fondo
nero), mentre agli angoli sono raffigurate
delle figure maschili con la clava e scudo,
e lo sfondo naturalistico è caratterizzato da
ciuffi d’erba pitturati a tempera, elementi
presenti anche nel Cofanetto con la Storia
di Giasone attribuito alla Bottega di Baldassarre
degli Embriachi, datato alla fine
del XIV secolo e custodito al Louvre.
Importante elemento della mostra è un capolavoro
del Rinascimento italiano, il San
Domenico in terracotta modellato nel 1474
da Niccolò dell’Arca e posto inizialmente
sopra la porta “della vestiaria” nel convento
della chiesa di San Domenico a Bologna,
dove tra il 1469 e il 1473 l’artista attese
all’Arca del santo da cui deriva il suo pseudonimo.
Immagine forte e vigorosa, documenta
la capacità del maestro pugliese di
rendere vitali le sue figure. Si può ben dire
che Niccolò dell’Arca fu un grande scultore
del Quattrocento italiano, nonostante non
sia famoso come Donatello o Michelangelo.
Le fonti storiche sottolineano le sue
capacità nella riproduzione degli animali:
“Fe’ mosche che pareano vive, e altri animaliti
tute chose mirabele” (dalla Tuata
1494, ed. 2005, p. 368), “fece anco una
gabbia con un augelletto dentro di grandezza
quanto e una oncia di piede, et molti
altri simili capricci”(in Ghirardacci ante
1598, ed. 1933, p. 285). Vittorio Sgarbi ha
incluso nella sua collezione anche un’altra
opera di Niccolò dell’Arca, un’Aquila in
terracotta che appare un primo studio per
quella posta sul portale d’ingresso della
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Niccolò dell’Arca
(Puglia 1435/1440 - Bologna 1494)
San Domenico (1474)
Terracotta, 80 x 67 x 45 cm
Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
facciata della chiesa di San Giovanni in
Monte a Bologna. Le due sculture di Niccolò
furono trovate da Sgarbi in coincidenza
con la scomparsa delle persone a lui
più care: lo zio Bruno, nel 1984, e la madre
Rina, nel 2015.
Seguono i notevoli capitelli con sibille eseguiti
nel 1484 dal celebre scultore ticinese
Domenico Gagini per la confraternita di
Santa Maria dell’Annunziata di Palermo, le
terrecotte di Matteo Civitali e Agostino de
Fundulis, e una straordinaria raccolta di
preziosi dipinti, prevalentemente su tavola,
eseguiti tra la fine del Quattrocento e gli
inizi del Cinquecento. Ai pittori nati o attivi
a Ferrara – Antonio Cicognara, Giovanni
Battista Benvenuti detto l’Ortolano, Nicolò
Pisano, Benvenuto Tisi detto il Garofalo –
si affiancano autori rari come Liberale da
Verona, Jacopo da Valenza, Antonio da
Crevalcore, Giovanni Agostino da Lodi,
Nicola Filotesio detto Cola dell’Amatrice,
Johannes Hispanus, Bernardino da Tossignano,
Francesco Zaganelli, Bartolomeo di
David, Lambert Sustris.
Tra i numerosi quadri a soggetto religioso,
colpisce lo sguardo il grande trono marmoreo
con semicupola decorata a conchiglia
della “Madonna del latte tra sant’Agnese e
santa Caterina d’Alessandria”, con ai lati
dell’opera le imponenti figure delle due
sante, contraddistinte dalla palma del martirio
e dai rispettivi attributi, l’agnello e la
ruota, quasi occultati: l’uno ai piedi della
santa e di proporzioni ridotte, l’altro si nota
solo se si osserva il lembo della veste sorretto
dalla santa. Questa pala ripropone l’iconografia
antica della Vergine allattante,
dove l’erculeo Bambino Gesù, nudo e con
girocollo di corallo, volge la testa verso lo
spettatore, distraendosi dalle attenzioni materne.
Il punto focale della composizione è
il trono tridimensionale, a nicchia con calotta
a valva di conchiglia, che rimanda
chiaramente alla Pala di Brera di Piero
della Francesca ed all’altare Roverella di
Cosmé Tura, fino all’Incisione Previdari
del 1481 per l’architettura. La pala, datata
e firmata, è da attribuire ad Antonio Cicognara
– pittore e miniatore di origini forse
cremonesi.
Il focus sulla “scuola ferrarese” prosegue
agli inizi del XVII secolo con i dipinti di
Sebastiano Filippi detto il Bastianino, Gaspare
Venturini, Ippolito Scarsella detto lo
Scarsellino, Camillo Ricci, Giuseppe Caletti
e Carlo Bononi. Contestualmente si
possono ammirare diversi capolavori della
pittura italiana del Seicento, tra i quali la
Cleopatra di Artemisia Gentileschi, insieme
ai soggetti femminili che spiccano vistosamente
fra i dipinti della raccolta. La prima
notizia sulla Cleopatra di Artemisia risale
al 1945, quando Antonio Baldini (Roma,
1889-1962) la pubblicò sul settimanale
“L’Europeo” registrandone l’intervento di
restauro con il quale fu rimosso dalla tela
il velo che copriva la figura. Sgarbi individuò
l’opera in una casa romana nei primi
anni novanta. Offuscata da vernici ingiallite,
sembrò attribuibile a Cagnacci, finché
la pulitura non la riportò ai caratteri originari
di energia e di realismo tipici di Artemisia.
La donna, dalle forme abbondanti, è
elegantemente avvolta da un drappeggio
rosso contrastante con la figura, che risulta
appesantita ed abbandonata, anche nel
volto languido e lascivo. Solitamente il
corpo nudo e lascivo è, in Caravaggio, maschile,
come nell’Amore vincitore e nel
San Giovanni Battista. Artemisia traspone
quell’ispirazione al femminile, ribaltando i
canoni tradizionali con un realismo assoluto
che non ha alcuna concessione lirica o
intimistica. Le forme eccedenti del braccio
e della pancia sottolineano come Cleopatra
sia in quest’opera semplicemente una donna,
corpo prima che anima, esistenza prima
che essenza. Artemisia dipinge il suo manifesto
di libertà del corpo, libertà anche di
Nicolò Pisano
(Pisa, 1470 - post 1536)
Sacra famiglia (circa 1515)
Olio su tavola, 58,5 x 48,5 cm
Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
Antonio Cavallucci
(Sermoneta 1752 - Roma 1795)
Maddalena penitente (1787)
Olio su tela, 75,5 x 62 cm
Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
perdere l’armonia quando il pensiero è pesante,
in quanto la morte è prossima, i
sensi si abbandonano, la coscienza si attenua
e la donna non ha tempo di pensare all’eleganza
del suo corpo, a mostrarsi in
ordine. Il dolore è fisico, c’è forse una trasposizione
autobiografica in questo volto
che ne richiama altri nella pittura di Artemisia.
La bellezza di quel volto cede alla
smorfia, la lussuria del corpo all’abbandono
della carne. Non c’è incertezza, non
c’è esitazione nel gesto di questa Cleopatra
determinata, senza languori e coraggiosa.
Proprio in questa attribuzione a una
donna di nobili attitudini, solitamente riferite
al mondo maschile, consiste l’elemento
più nuovo del dipinto, un quadro
particolarmente libero di Artemisia Gentileschi,
una Cleopatra non priva di quella
forza fisica a cui Artemisia sembra abituata
essendo quasi sempre aggressiva. La
sua protagonista è qui ridotta all’essenziale,
remissiva, e senza l’aiuto retorico di
vesti roboanti. Anche Giusto Fiammingo
si muove sui personaggi interpretati da Arthemisia,
ed è notevole la sua Cleopatra,
comparsa nel 1994 in asta (Pandolfini, Firenze,
19 ottobre 1994, n. 624) e attribuita
inizialmente alla scuola di Guido Reni, ricondotta
da Gianni Papi a Giusto Fiammingo
sulla base della fotografia pubblicata
nel catalogo di tale vendita (Papi
2014a, pp. 60-67).
La mostra prosegue con la Maddalena assistita
dagli angeli di Pier Francesco Mazzucchelli
detto il Morazzone, il San Girolamo
di Jusepe Ribera, la Vita umana di
Guido Cagnacci e il Ritratto di Francesco
Righetti di Giovanni Francesco Barbieri
detto il Guercino. Quest’ultimo dipinto –
“rientrato a casa” nel 2004 dopo essere
stato esposto per anni al Kimbell Art Museum
di Fort Worth, in Texas – è il primo
di una eccezionale galleria di ritratti che
compendia lo sviluppo del genere dall’inizio
del Cinquecento alla fine dell’Ottocento,
tra pittura e scultura, da Lorenzo
Lotto a Francesco Hayez, con specialisti
quali Bartolomeo Passerotti, Nicolas Régnier,
Philippe de Champaigne, Giovan
Battista Gaulli detto il Baciccio, Enrico
Merengo, Ferdinand Voet, Giovanni Antonio
Cybei, Pietro Labruzzi, Lorenzo Bartolini,
Raimondo Trentanove e Vincenzo
Vela. Altrettanto avvincente è il percorso
tra dipinti di tema sacro, allegorico e mitologico
del Sei e del Settecento: una selezione
di sorprendente varietà, e di alta
qualità, che riflette gli interessi sconfinati
e la frenesia di ricerca del collezionista,
con maestri della scuola veneta (Marcantonio
Bassetti, Pietro Damini, Pietro Vecchia,
Johann Carl Loth, Giovanni Antonio
Fumiani), emiliana (Simone Cantarini,
Matteo Loves, Marcantonio Franceschini,
Ignaz Stern detto Ignazio Stella), lombarda
(Paolo Pagani, Agostino Santagostino),
romana (Giuseppe Cesari detto il
Cavalier d’Arpino, Angelo Caroselli,
Pseudo Caroselli, Giusto Fiammingo, Antonio
Cavallucci), toscana (Giacinto Gimignani,
Livio Mehus, Alessandro Rosi,
Pietro Paolini, Giovanni Domenico Lombardi).
Colpisce, di Pseudo Caroselli, Giuditta
con la testa di Oloferne qui esposta, per la
sua espressività che rimanda all’ambiente
del teatro con trucchi e costumi, inscenando
episodi storici, biblici o mitologici.
Tra le opere a tema mitologico, è catartico
il dipinto di Agostino Santagostino (Milano,
1633 – 1699) ”Polifemo scaglia un
macigno contro Aci”, un Olio su tela del
1669. L’episodio si riferisce alla tradizione
ovidiana (Metamorfosi, XIII, 750-
897) dell’amore del ciclope Polifemo per
la nereide Galatea, promessa sposa del pastore
Aci, figlio di Pan. Il dipinto raffigura
la tragica fine del mito, quando Polifemo,
sorpresi gli amanti abbracciati in riva al
54
Matteo Loves
(Colonia, ? - ?, ante 23 novembre 1647)- Maddalena in contemplazione
del crocefisso (circa 1630) - Olio su tela, 84,5 x 111 cm
Carlo Bononi
(1569? – Ferrara 1632) - Sacra famiglia (1615-18 circa)
Olio su tela, 41 x 47,3 cm
mare, si vendica uccidendo il giovane rivale con un
masso, mentre la ninfa fugge. Firmato e datato 1669, il
dipinto rappresenta una delle prove più antiche del pittore
milanese Agostino Santagostino, conosciuto per dipinti
di tema sacro distribuiti nelle chiese della sua città.
Non mancano le sculture, tra cui le delicate creazioni di
Giuseppe Mazza, Cesare Tiazzi, Petronio Tadolini e
Giovanni Putti che documentano la fortuna della plastica
in terracotta a Bologna e in Emilia. Il periodo a cavallo
tra Ottocento e Novecento è documentato dagli
artisti ferraresi: Gaetano Previati, con un bellissimo Cristo
crocefisso del 1881, Giovanni Boldini, con alcuni
disegni che rivelano una quotidianità distante dallo
sfarzo della Belle Epoque, Filippo de Pisis, Giuseppe
Mentessi, Adolfo Magrini, Giovanni Battista Crema,
Ugo Martelli, Augusto Tagliaferri, Carlo Parmeggiani,
Arrigo Minerbi, Ulderico Fabbri, tutti presenti con testimonianze
fondamentali. Molto bella la scultura in
maiolica di Andrea Parini(Caltagirone, 1906 – Gorizia,
1975), Ritratto della figlia del 1941, che riporta in basso
la scritta “Figlia, ti vorrei casalinga e scrittrice. Un
omaggio all’arte italiana, alla città di Ferrara e alla sua
storia attraverso i tesori d’arte custoditi nell’importante
collezione ferrarese. Il catalogo della mostra, a cura di
Pietro Di Natale, è pubblicato da La nave di Teseo editore.
Vittorio Sgarbi e Elisabetta Sgarbi, fondatori della
Fondazione Cavallini Sgarbi e, rispettivamente, Presidente
della Fondazione Cavallini Sgarbi e della Fondazione
Elisabetta Sgarbi dedicano la mostra a Giuseppe
Sgarbi e Caterina Cavallini.
Gaetano Previati
(Ferrara, 1852 - Lavagna, 1920) - Cristo Crocefisso (1881)
Olio su tela, 235 x 175 cm - Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
Orari di apertura
Tutti i giorni dalle 9.30 alle 17.30
Chiusura posticipata alle 18.30 nelle
seguenti date:
31 marzo; 1, 2, 25, 28, 29, 30 aprile; 1
maggio; 1, 2, 3 giugno.
La biglietteria chiude 45 minuti prima.
Biglietti
Intero € 12
Ridotto (dai 12 ai 18 anni, over 65) € 8
Scuole medie e superiori € 7
Bambini dai 6 ai 12 anni € 5
Gratuito sotto ai 6 anni
Family: per ogni adulto pagante, un
minore ha l'ingresso gratuito
Possessori MyFE Card € 3
Tariffe e agevolazioni
www.castelloestense.it
Informazioni
tel. +39 0532 299233
castelloestense@comune.fe.it
56
Giovanni Manzo
“Omaggio a Schiele” - acrilico su tela - cm. 80 x 80
Galleria Ess&rrE
Porto Turistico di Roma - 00121 - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - loc. 876
cell. 329 4681684 - www.accainarte.it - acca@accainarte.it
galleriaesserre@gmail.com
www.tornabuoniarte.it
“Bosco” - 1960 - olio su tavola - cm 70 x 100
Fausto Pirandello
Firenze 50125 - Lungarno Benvenuto C ellini,3 Tel.+39 055 6812697 / 6813360 -info@ tornabuoniarte.it
M ilano 20121 - V ia Fatebenefratelli,34/36 - Tel.+39 02 6554841 - m ilano@ tornabuoniarte.it
Forte dei M arm i55042 - Piazza M arconi,2 - Tel +39 0584 787030 - fortedeim arm i@ tornabuoniarte.it
Firenze 50125 - A ntichità - V ia M aggio,40/r - Tel.+39 055-2670260 - antichita@ tornabuoniarte.it
58
Art&Vip
a cura della redazione
Anthony Peth,
da pittore a conduttore
tv.
Grande successo
per la nuova
stagione di Gustibus, in onda
ogni domenica alle 10.45 su la
7 con il bel 32enne nelle vesti di
“Ambasciatore del Gusto”, ma
la sua vera passione è la pittura..
Grande successo di La7 per la
trasmissione settimanale Gustibus,
viaggi e sapori all’insegna
delle tradizioni del bel paese.
Anthony Peth, il noto anchorman
televisivo, vincitore di due
David, nel ruolo di inviato speciale
ogni domenica ci racconta
le storie che appassionano gli
italiani, quelle dei piccoli imprenditori
che con sacrificio e
dedizione portano avanti la loro
missione, ovvero quella di produrre
quelle che sono le nostre
eccellenze italiane. Roberta De
Matthaeis ogni domenica dalle
10.45 con Anthony Peth portano
i telespettatori alla scoperta
delle vere icone del Made in
Italy, fiore all’occhiello in tutto
il mondo. Ogni settimana una
storia nuova da raccontare in un
viaggio che attraverserà tutta la
penisola, un vero e proprio percorso
enogastronomico, ricco di
passione e originalità, essenza
del programma “Gustibus”.
«Sono davvero felice – ci racconta
Anthony Peth– quando ho
ricevuto questa proposta da
parte degli autori, ho accettato
subito e non vedo l’ora di affrontare
questa nuova edizione.
Essere riconfermati per il secondo
anno dimostra che qualcosa
di buono l’ho portato ai
Anthony Peth in visita alla galleria di Roberto Sparaci per l’intervista
telespettatori». Le storie che vengono raccontate
sono quelle che piacciono al pubblico
a casa e le aziende protagoniste dei
servizi hanno in comune la passione per il
proprio lavoro. «La tv generalista spesso
riporta quello che già gli italiani conoscono,
portare per la prima volta al grande
pubblico dei microcosmi con storie di discendenza
sono quelle che incuriosiscono
sempre più il telespettatore, attraverso luoghi
e sapori che la nostra bella Italia sa donarci».
Ma Anthony Peth nasce come pittore, ebbene
si la sua prima passione è dipingere,
e di mostre ne visita tante. «Ricordo addirittura
di aver vinto un concorso .. Avevo
circa 16 anni, periodo scolastico e spensierato
in Sardegna. Un giorno il preside ci
propose un concorso di pittura e scultura
che il comune di Sassari proponeva, con la
tematica dell’uguaglianza e della pace ..
Beh vinsi il primo premio. Ricordo una
grande gioia, il montepremi era di 1000
euro e con quei soldi ho fatto uno dei
viaggi più divertenti della mia adolescenza
..».
In questo speciale di Arte & Arte parte
questa rubrica dedicata ai personaggi del
mondo dello spettacolo e del loro rapporto
con l’arte… proprio lui, che segue e inaugura
tante esposizioni non poteva che essere
il primo intervistato dalla nostra
redazione. Il bel presentatore sardo tanto
amato al pubblico a casa che ogni Domenica
appassiona i telespettatori su La7 con
storie ricche di tradizione ha una grande
passione, la pittura.
«L’arte ha sempre fatto parte di me, la pittura
in particolar modo.. La casa dei miei
genitori in Sardegna è invasa dei miei quadri…
Ormai il tempo libero è poco, viaggio
molto per lavoro come ben sapete..
però nel mio piccolo attico alle spalle del
laghetto dell’Eur come posso, nel mio terrazzo
dipingo, soprattutto nei periodi
estivi, mi rilassa tanto e mi permette di
creare.. amo l’arte in tutte le sue forme, ma
d'altronde chi non la ama… Italia d’arte..
Italia più bella».
Pier Toffoletti
Face-Splash - 2017
cm. 160 x 110
tecnica mista su tela
Galleria Ess&rrE
Porto turistico di Roma
00121 Roma - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - Loc. 876
Cell. 329 4681684 - galleriaesserre@gmail.com
Goodbye
Perestrojka
di Paola Simona Tesio
Ci sono esposizioni che
fanno storia, intessute di
valori umani e pregnanti
di esistenza, che lasciano
un segno indelebile e
non vanno dimenticate neppure quando
finiscono. “Goodbye Perestrojka” è
una di queste, una porta dischiusa che
si è affacciata come inedito nel panorama
nazionale e non solo, e che si auspica
possa essere un impulso a continuare
a diffondere un’arte dai contenuti
non soltanto estetici ma vibrante
di pulsazioni emotive ed estremamente
significante.
La mostra, che si è tenuta dal 2 dicembre
2017 al 28 gennaio 2018 presso la
galleria Spazzapan di Gradisca di
Isonzo, ha svelato uno scrigno di 100
opere di artisti provenienti dall’ex U-
nione Sovietica e ha rappresentato una
prima esclusiva in Italia sull’argomento,
seguita in passato soltanto dall’esposizione
“Back in the URSS. Gli eredi
dell’arte non ufficiale”, dedicata alla
memoria di Leonid Talochkin, presentata
a Venezia nel 2009 presso lo spazio
Mondadori. Entrambi gli eventi
sono stati curati da Vladislav Shabalin,
che nel 1988 curò a Donetsk, nella regione
del Donbass, la prima esposizione
pubblica di arte non ufficiale in
Ucraina e diresse l’emblematico
esempio della
Galleria Avangard inaugurata
nello stesso anno.
Come ha specificato l’assessore
regionale alla cultura
Gianni Torrenti nel
suo testo introduttivo pubblicato
sul catalogo della
mostra “Goodbye Perestrojka”:
«Le rivoluzioni
nascono da un sogno e
ogni sogno viene infranto
dal tempo e dai suoi
mutamenti ineludibili».
Vladislav Shabalin, nella sua duplice
veste di curatore ed artista, è l’emblema
del cammino e di questo percorso
umano e visivo, nonché testimone
diretto di un’epoca travagliata
e repressiva: «Sono nato a Donetsk, mi
sono cimentato nella pittura surrealista,
mentre il mio carattere ribelle alimentato
dall’educazione ricevuta, mi ha
condotto verso gli ambienti hippy, che
esprimevano un colorato e pacifico dissenso
nei confronti di uno stato ostile
alla libertà di espressione. Non poteva
finire bene. All’epoca la repressione
del dissenso prevedeva il licenziamento,
la cacciata dalle università, l’arresto,
la privazione della cittadinanza e
la detenzione in gulag o in ospedale
psichiatrico, e proprio quest’ultimo è
diventato la mia prigione. Dopo un
mese di reclusione la commissione medica
dichiarò il fallimento delle “cure”
e mi fu timbrato un passaporto con la
diagnosi di schizofrenia. È paradossale
ma questo timbro permetteva di non
nascondersi più, di essere sé stessi, di
esprimere il proprio pensiero e coltivare
la propria arte. Per il regime, insomma
ero matto. E sono diventato una
specie di intoccabile. Il rovescio della
medaglia era che con quella diagnosi
era quasi impossibile trovare un lavoro
dignitoso». Durante il regime molti
dissidenti furono bollati con una particolare
forma di schizofrenia definita
62
Tatiana Lysenko - “Boy” - 1990 - olio su tela - cm 90 x 70 Vladimir Veltman - “Apparition” - 1990-1991
tecnica mista - cm 180 x 120
“Torpida”, latente, un’attribuzione ambigua
per reprimere qualsiasi tipo di
voce non allineata. Si tratta di diagnosi
fittizie non basate su alcun tipo di sintomi
che dovevano giustificare, con la
compiacenza della psichiatria assoggettata
al potere, la repressione della libertà
e l’intento del regime a sedare
qualsiasi atto ritenuto socialmente pericoloso
che poteva minare il controllo
della società.
Jean-Paul Sartre nella prefazione al
saggio “Ragione e Violenza” di Laing
e Cooper scrisse che la malattia mentale
poteva essere: «Una via d’uscita
che il libero organismo, nella sua unità
totale, inventa per potere vivere una situazione
invivibile»; un pensiero calzante
che descrive appieno il sentimento
di sopravvivenza a cui si aggrappavano
Vladislav Shabalin e molti
altri artisti reclusi e torturati negli
ospedali psichiatrici e che malgrado le
barbarie riuscivano a trovare nell’arte
quella via d’uscita che l’uomo libero
inventa per vivere una situazione invivibile.
Tra le opere esposte molte rivelano
nella loro espressività questa forza
oltre la sofferenza che si libra aldilà
dei soprusi e rimane irriducibile nonostante
le privazioni, perché l’arte è, per
sua natura, libera, in grado di descrivere
ciò che nessuna parola potrai mai
raccontare e capace di anticipare gli
eventi. C’è un’opera di Tatiana Lysenko
trasudante di umanità, che esprime
appieno la frustrazione ed il dolore
di chi rimase imprigionato tra le
mura dei manicomi dopo aver subito
“cure” forzate. È intitolata “Boy”, il ragazzo.
Ritrae un uomo ripiegato su se
stesso, con lo sguardo rivolto verso un
orizzonte oramai lontano, istituzionalizzato,
alienato dai farmaci, sofferente:
la parte inferiore del corpo è
nuda, ad evidenziare la spoliazione fisica
e morale a cui le persone vennero
sottoposte in quelle che Erving Goffman
aveva definito “Istituzioni Totali”;
luoghi segreganti che vennero eretti
circondati da mura concrete e immateriali,
non solo nei regimi ma in ogni
dove in cui viene messa a tacere la libertà.
Innumerevoli persone subirono
la violazione della propria dignità
umana, e chi non riuscì a sopportare le
atrocità vi trovò la morte. Un passato
non lontano che riecheggia ancor oggi,
basti pensare che proprio in tempi recenti,
nella moderna Russia di Putin, la
psichiatria per i dissidenti è stata “riabilitata”
sottoponendo a cure forzate
coloro che manifestano idee diverse rispetto
al governo, una pratica che sembrava
scomparsa dagli anni della
Perestrojka di Gorbaciov e con la fine
dell’Urss. Il quadro di Tatiana Lysenko,
estremamente attuale, racchiude
nel soggetto rappresentato le ferite laceranti
che non solo quell’uomo ma
un’intera umanità ha subito e subisce
tuttora nei contesti di restrizione qualsiasi
essi siano.
Le opere in esposizione, attraverso i
loro incisivi e stupefacenti linguaggi,
si fanno portatrici di una cultura che va
dai periodi bui dell’Unione Sovietica
ad oggi, passando per la Perestrojka,
traducibile con il termine “ristrutturazione”:
un periodo che veniva vissuto
come un vento del mutamento, dominato
dall’entusiasmo politico, dal fermento
creativo di coloro i quali avevano
vissuto sulla propria pelle, in primis
intellettuali ed artisti, oscurantismo
e tormento. Un’ondata di libertà,
a cui fa eco la parola “Glasnost” (“trasparenza”)
che indica l'insieme delle
riforme attuate da Gorbaciov a partire
dal 1986, con l'obiettivo di combattere
Vladimir Kharakoz - “Intrusion of the Wind” - 1991
olio su tela - cm. 100 x 100
la corruzione e i privilegi del sistema
politico sovietico. Ma come sottolinea
nel suo testo a corredo del catalogo
della mostra Yulia Lebedeva, storica
dell’arte nonché curatrice del museo
“Other Art” presso l’Università Statale
Russa degli Studi Umanistici di Mosca:
«La speranza di uscire dalla palude
della “Stagnazione Brezneviana” infondeva
nelle persone un ottimismo
quasi infantile […] Ciò che la Perestrojka
ha creato la Perestrojka ha distrutto.
Con la fine dell’Unione Sovietica
e il conseguente crollo dell’economia,
le speranze di un futuro più luminoso
non si sono materializzate. La
Russia e gli stati satelliti sono sprofondati
nella crisi e la democrazia tanto attesa
è diventata quasi anarchia».
C’è un’immagine che accompagna il
visitatore nell’intero percorso espositivo
ed è quella della porta possente e
ferrosa di un bunker: una presenza
reale nonché metafora di questi accadimenti,
ma anche una porta da dischiudere
sul mondo per chi la sa aprire. È
la porta di un rifugio bellico sotterraneo
costruito dopo la Seconda Guerra
Mondiale in cui Vladislav Shabalin nel
1988 ha creato un centro espositivo denominato
non a caso “Avangard” nella
sua città natale, a Donetsk, nella regione
del Donbass, magistralmente descritta
dal cinema di avanguardia di
Dziga Vertov in “Sinfonia del Donbass”
(Entusiasmo) del 1930
in cui il regista, attraverso il
linguaggio delle inquadrature
rivoluzionarie della macchina da presa,
ha saputo restituirne al mondo suoni,
espressività dei volti, scenari, emozioni
e momenti nei tragitti dei destini
umani che passano e si intrecciano
come vite tra i binari, dominate dallo
scorrere del tempo, dal lavoro dispiegato
tra sudore e polvere, dal farsi della
storia. Una terra di miniere, di lavoro
polveroso, di fatica, un luogo lacerato
da drammi umani e contrasti dove ancor
oggi gli operai nelle cave continuano
a morire durante le estrazioni e
che in seguito al crollo dell’Unione Sovietica
è divenuto scenario di tragici
conflitti segnato, dal 2014, da una
guerra civile ancora in corso che ha già
causato innumerevoli vittime fra i soldati
e la popolazione.
Sarebbe riduttivo tentare di descrivere
cosa è stato lo spazio espositivo “Avangard”
di Shabalin, ma è stato tutto
questo ed altro ancora. In quegli anni
vi fu l’incontro con Leonid Talochkin,
il più noto collezionista dell’arte non
convenzionale, che contribuì alla promozione
dell’arte contemporanea a
Donetsk. Un bunker crocevia di creatività
in cui si mescolavano reminiscenze
artistiche di varie correnti, le
avanguardie, il cubismo, il futurismo,
che permangono come voci nelle opere
Malkhaz Datukishvili “Dream of a Red Army Soldier”
1997 - cm. 70 x 50
esposte. Dopo gli anni di fermento
della galleria sotterranea arrivarono
altre difficoltà e Shabalin subì delle richieste
estorsive da parte della malavita
locale. Costretto ad abbandonare
la sua terra, si trasferisce in Italia portando
con sé esperienze e ricordi nonché
quell’amore per l’arte che in fondo
è anche Vita, sentimento indissolubile
che permane come trait d’union in ogni
sua sentita esposizione. Nel 2002,
quando ormai si era allontanato dalla
sua terra natale, morì Leonid Talochkin
che prima della scomparsa era tuttavia
riuscito ad inaugurare nella città di
Mosca, presso l’università Statale degli
Studi Umanistici, il sogno del museo
“Other Art”, “Arte altra”, non convenzionale,
che racchiude la vasta ed intensa
collezione di Talochkin abbracciante
il periodo storico dal 1950
al 1980.
“Dream of a Red Army Soldier” (“Sogno
di un soldato dell’armata rossa”),
di Malkhaz Datukishvili, ritrae un soldato
in primo piano con il volto bendato
per le ferite e la bocca che appare
saturata, serrata. Volti e opere di Alexander
Bondarenko rievocano le forme
del cubismo e si svelano nella potenza
espressiva della decostruzione; in
“Garbage”, (“Ciarpame”) la duplicità
64
Vitalij Manuilov - “A Life” - 1992
olio su tela - cm 100 x 100
dei volti, drammaticamente significativi,
rammentano, nella postura, la divinità
del Giano Bifronte e paiono
volgersi al passato e al futuro in una
corporeità infissa nel presente. Lo
sguardo dei soggetti è tuttavia proteso
verso il basso anziché all’altrove, quasi
ad identificarsi in una sommessa sofferenza
gravida di pathos. Altrettanto
drammatiche sono le posture umane di
Vitalij Manuilov, una pittura di carattere
esistenziale; in “A Life”, (“Una
Vita”) ritrae un uomo ignudo curvo su
sé stesso che si copre le orecchie nell’atto
angoscioso di proteggersi da minacce
fisiche e morali. Vladimir Kharakoz
sorprende per la “dinamicità sovrappositiva”
simile, per potenza espressiva,
a quella di Francis Bacon. Dinamismo
che si evince altresì nelle opere
Ludmila Etenko, in cui permangono
aneliti del futurismo. L’ermetica pittura
di Genadij Olimpiuk si lascia interpretare
tramite l’empatia, permea l’inconscio
e rimane velata, straordinariamente
misteriosa: occorre cercare le figure
celate nella potenza espressiva inglobante
dei colori. “Apparition” (“Apparizione”),
di Vladimir Veltman, rievoca,
nella poetica del volto, l’enigmaticità
della Gioconda, che si staglia
oltre la fissità della cornice in una contemporaneità
frammentata e acquisisce
tridimensionalità e attualità grazie alle
incursioni materiche. La “metamorfosi
ancestrale” dei corpi in Oleg Chernykh
trasmette una narrazione emozionale
istintiva che si dipana nel vissuto u-
mano in cui alberano inquietudini ed
emozioni. La “pitto-scrittura” di Serjei
Barannik è data da un incatenarsi di
segni a grafite che rimandano ad infinite
significazioni, in cui ogni singolo
tratto, quasi fosse un pittogramma, veicola
una realtà espressiva che da singola
diviene molteplice nella preziosa
totalità compositiva. Il suggestivo “surrealismo
simbolico” di Vladislav Shabalin
si configura come una metafora
esistenziale che, tra contrasti e visioni,
si fa leggere nel silenzio interiore
dell’anima. È in questa sospensione,
scevra da assordanti rumori, che occorre
soffermarsi per riguardare ogni
infinitesimale rimando a qualcosa di
altro in un continuum di linee tracciate
con elaborazione e perizia che si susseguono
senza quasi mai separarsi, stagliandosi
su campiture monocrome,
spesso dominate dal rosso o dal nero, e
narrano un universo reale ed al contempo
immaginifico che nonostante
tutto è ancora proteso ad un sentimento
di speranza, di attesa. Vladislav Shabalin
racchiude in sé “l’essenza della vita
di artista”, esteta, curatore ed intellettuale,
sempre in viaggio, non solo tra i
luoghi che ha fisicamente attraversato,
ma anche per quella sua straordinaria
capacità di proiettarsi verso l’altrove,
mantenendo, come frame di ricordi vissuti
che scorrono tra le pieghe del pensiero,
il legame indissolubile con l’esperienza
del trascorso, portando con
sè i volti e le persone che hanno fatto
parte di quel profondo cammino umano
ed esistenziale.
Il filosofo Martin Heidegger nel saggio
“L’origine dell’opera d’arte”, nella sua
personale e non sempre condivisa interpretazione
del quadro di van Gogh
raffigurante delle scarpe che egli attribuisce
ad una contadina, si sofferma
sulla verità dell’arte e sulla capacità di
trasportare un mondo: «Dallo scuro
dell’involto consumato delle scarpe, si
protende la fatica dei ritmi del lavoro.
Nella corposa ruvidità della calzatura
si rafferma la durezza dei passi tra i
solchi, tesi e sempre uguali, del campo
battuto da un vento tagliente. Sul cuoio
restano la freschezza e l’umidità del
terreno. Sotto le suole si fa incontro la
singolarità del sentiero campestre all’imbrunire.
Nelle scarpe vibra il richiamo
scabro della terra, il maturare
silenzioso delle sue messi e il suo impenetrabile
negarsi quando essa si mostra
nell’incoltezza del campo invernale.
In questo attrezzo, respirano l’apprensione,
senza lamenti, per la sicurezza
del pane, la gioia, senza parole,
per lo stato di bisogno nuovamente superato,
il trepidare nell’imminenza della
nascita e il tremare nell’avvolgente
minaccia della morte».
L’arte di questi artisti non lascia indenni
da emozioni, passa dalle corde
del cuore, le fa vibrare e richiama ad
osservare quel “mondo perduto” che
trattiene e trasporta con sé, in cui occorre
immergersi ed ascoltare.
www.tornabuoniarte.it
“Natura morta” - 1946 circa - tem pera su carta - cm 44 x 35
G ino Severini
Firenze 50125 - Lungarno Benvenuto C ellini,3 Tel.+39 055 6812697 / 6813360 -info@ tornabuoniarte.it
M ilano 20121 - V ia Fatebenefratelli,34/36 - Tel.+39 02 6554841 - m ilano@ tornabuoniarte.it
Forte dei M arm i55042 - Piazza M arconi,2 - Tel +39 0584 787030 - fortedeim arm i@ tornabuoniarte.it
Firenze 50125 - A ntichità - V ia M aggio,40/r - Tel.+39 055 2670260 - antichita@ tornabuoniarte.it
66
“aRTe eD eSOTeRISMO IX:
RaFFaeLe ROSSI”
piercarlobormida@gmail.com
Questa volta ’7’ vuole trasportarvi
nel mondo di un
artista contemporaneo, dopo
i suoi numerosi personaggi
del passato che hanno caratterizzato
il nostro viaggio
fra arte ed esoterismo.
Se mai si possa parlare di
tempo, teogonia orfica di
chronos, quando si ha a
che fare con l’irreale stato
dell’arte.
Raffaele Rossi nasce ad Alba
il 20 Maggio 1956. Dopo
aver frequentato il Liceo artistico
di Novara, affascinato
dalla Pittura antica
Veneziana soggiorna per alcuni anni a
Mogliano Veneto dove tiene la sua
prima mostra personale: è il 1978.
Segue i corsi di calcografia alla Scuola
Internazionale di Grafica e la Scuola
Libera del Nudo. Attratto da tecniche
pittoriche avite, si avvicina alla “bottega”
di due Pittori veneziani: Valeria
Rambelli e Ottone Marabini. Da loro
impara a macinare e mesticare i colori
con la tempera all’uovo e l’olio, apprende
la preparazione di tavole e tele
e si appassiona alla ricerca e al riuso
delle materie antiche. Sperimentando
l’affresco e gli intonaci prendono vita
superfici materiche che lo contraddistinguono
ancora oggi. Vive e lavora a
S. Ambrogio di Trebaseleghe, in provincia
di Padova. Sue opere sono conservate
in permanenza presso: Galleria
d’Arte Moderna di Palazzo Sarcinelli,
Conegliano (TV); Italy. Museo dello
Splendore, Giulianova (TE); Italy. Credit
Suisse, Hong Kong. Bank Julius
Baer, Hong Kong. Bank Sarasin&Cie
Ag, Hong Kong. Hotel Sheraton, Hong
Kong. Sala affrescata a “Son Apau”,
Azahar Jardineria y Riegos, Palma DE
Mallorca; Spain.
E’ un artista riservato, potente, fortemente
evocativo. Un iniziato. Avendo
noi a cuore il rapporto fra arte ed esoterismo,
è gioco forza lasciarci trasportare
dalla sua pittura, magari su una
delle sue immaginifiche imbarcazioni
apparse da un remoto passato, da
un’epoca in cui l’uomo navigava tra i
flutti del mare e gli spazi siderali.
Quando il microcosmo era il macrocosmo.
Nello stesso istante. Un mondo
fatto di continenti perduti, patria dimenticata
del nostro attimo di incarnazione
qui sulla madre Terra.
Cavalieri, Vincitori, Eroi, Apparizioni:
Esseri ed Entità di altre dimensioni da
lui evocate e rese manifeste nelle sue
opere sono da sempre sua fonte di ispirazione.
Ci ha confessato che “nei lavori più recenti
si è trovato a Evocare e Trascrivere
Segni e Simboli di un Idioma a lui
sconosciuto”. Spetta agli Spettatori interpretarli
ed affrontare un’ermeneutica
complessa benché istintuale e,
forse, alla portata di chiunque sappia
ascoltare con il cuore.
“È come se qualcuno mi indicasse la
via da percorrere verso un mondo superiore
di pace. Un viaggio da percorrere
in noi stessi come con la barca,
poiché la nostra anima è la barca che
intraprende questo viaggio introspettivo.”
Attraverso il mare, forse quello di Cervo
ligure dove hanno vissuto alcuni dei
suoi avi materni, eredi dei preistorici
Ingauni, pirati fieri di solcare le acque
e solo nel 180 a.C. sottomessi dagli invasori
Romani di Lucio Emilio Paolo
console. Suggestioni e ricordi che si
inalberano arrampicandosi alla struttura
elicoidale del DNA, memoria in
mutamento di ogni essere umano.
“Sono messaggi con segni e forme archetipiche,
come le aperture che sono
dei luoghi di uscita, dei fori, delle cavità
di comunicazione che ci conducono
ad un altro spazio, a un altro
mondo. Ascolto quanto urge manifestarsi
tramite me, segni di idiomi o
forme misteriose a cui dare un ordine.
L'uso dell'affresco mi permette di ottenere
graffi, segni, texture e di intervenire
con le dita e le mani nell'intonaco
fresco quasi ad essere un tutt'uno con
l'opera. Le forme sono individuate con
colori che in parte preparo personalmente
con pigmenti e olio di lino o a
tempera. Inserisco molte parti in piombo,
metallo docile e ubbidiente a prendere
varie forme.”
Una primordiale sacralità attraversa il
lavoro di Raffaele Rossi, in questo
senso un iniziato alle dimensioni superiori
dello Spirito.
Voglio citare Marco Goldin (curatore
di uno dei suoi cataloghi) quando afferma
che “la tavola sopra cui la pittura
si posa non ha da essere semplicemente
il supporto della pittura stessa, ma
molto di più: la sua casa, il suo luogo,
lo spazio in cui essa abita. E abitando
quello spazio possa replicare il miracolo
dell’eternità del tempo primo,
possa ricongiungersi a quanto, nella
contemplazione, la pittura che pensa se
stessa aveva intuito appartenere all’origine.”
Nascita e trasformazione sono legate
da un filo invisibile, ma così forte nella
pittura di Raffaele Rossi da lasciarci
immobili, implicitamente connessi ad
una rete neurale che definirei orgonica,
in cui la una forza invisibile guida il
tratto del pittore, solo apparentemente
libero: veicolo, in realtà, di una Sostanza
che proviene da altrove. Un ora-
68
colo che attraverso la materia viva ed i
contrasti del colore e dei pigmenti visualizza
per mezzo delle mani dell’artista
messaggi inconosciuti, forme misteriose,
archetipali. “Astronavi per
viaggiare nel cosmo, navicelle di abitazione”,
citando lo stesso Rossi. Un
altrove che è al contempo dentro di
noi, nel profondo della nostra anima,
creatore di emozioni.
Terra, aria, acqua e fuoco sottendono
all’opera del pittore, emergendo con la
commozione della Natura, musa ispiratrice
e nel contempo viatico sacro per
il pellegrino della vita, trascinato da
una mistica trasmutazione che attraversa
la materia per condurre l’osservatore
ad un ambiente in qualche modo
familiare. Il trasporto, quando prende
Forma, manifesta un ciclo stigmatizzato
da Simboli ultraterreni: una croce,
un altare, una nicchia, una cappella, un
reliquiario. Presenza fisica che si fa
sentire, toccare. La tela, dal suo canto,
si plasma talvolta con la forma di un
calice, talvolta con quella di un equide
cavalcato dal suo Parsifal, talvolta con
l’iconografia forte e maestosa di uomini
ieratici. I graffi, precisi, chirurgici,
assumono la vitalità di un atto
magico primitivo. L’artista però, sa
controllare le proprie emozioni, è suo
compito trasferirle compiendo un rituale
basato sì sull’istinto, ma che è
solo apparentemente anarchico.
Le opere di Rossi sono estremamente
coinvolgenti e denotano una grande
tecnica da cui traspare un sapiente uso
di materiali come la calce, la polvere
di marmo, il cocciopesto, le sabbie naturali.
L’ossidazione dei metalli, la
stratificazione, le scrostature ci portano
ad un’Alchimia dimenticata, ordinata
dalle leggi dell’Universo: dopotutto
l'arte e l'alchimia configurano entrambe
due aspetti dello stesso procedimento
di trasformazione simbolica
della materia. Non è forse questo un
Ordine superiore?
Ci riportano parimenti a suggestioni
canalizzate nel nostro mondo dall’artista
stesso, memore inconsapevole (o
forse consapevole) di migrazioni dimenticate
de
l’umanità, foriere
di verità preservate
dalle alte caste sacerdotali
di un
Egitto atlantideo,
prima del diluvio
universale attraverso
il quale le
imbarcazioni superstiti
ci hanno
trasportato reminiscenze
di una sapienza
perduta. Tra
i Faraoni, eredi di
quell’era, il blu era
considerato una
sorta di passaporto per il regno dell’oltretomba
E non è forse la barca uno
degli elementi rituali che contraddistingue
questo viaggio così importante?
Allora gli uomini erano veicolo
di energie pure e a noi sconosciute guidate
da una ghiandola pineale ancora
attiva, esseri dotati di poteri soprannaturali
e paranormali, provenienti da
centri di potere e sincronizzati a corpi
di potere che conferivano consapevolezza
e fratellanza.
I segni delle tele di Rossi, sussurrati
come delle antiche iscrizioni runiche,
schiudono porte verso questi mondi
lontani dominati dalla condivisione,
mondi in cui l’anima ritrova se stessa.
Raffaele Rossi
ROLANDO ROVATI
MOSTRA PERSONALE ALLA
MALINPENSA GALLERIA D’ARTE By LA TELACCIA
DAL 10 AL 21 FEBBRAIO 2018
“L’intiMA esPRessiOne di un siMbOLisMO Che nOn COnOsCe RegOLe”
“Senza titolo” - 2016 - tecnica m ista su tavola - cm .90 x 90
“Il percorso dell’artista Rolando Rovati è costantemente espresso con vero temperamento ed autentica maestria interpretativa,
egli realizza con un’irrefrenabile creatività, una magistrale ricerca intrisa di notevoli effetti estetici, costanti
simboli e di un’intima espressione geometrica. Le sue opere, che si arricchiscono di un movimento continuo e di una
caratterizzante sicurezza tecnica, evidenziano un preciso marchio segnico personalizzante di originalità e di riconoscibile
tratto. Egli imprime al suo iter una calibratura della luce ed un rigore formale di intensa vibrazione tanto da investire
l’osservatore di profonde riflessioni e ricorrenti emozioni. I colori, che rendono vivo ogni suo lavoro, ci
raccontano una fervida fantasia compositiva ed un’affascinante resa scenografica in cui l’elaborazione meticolosa,
che non conosce soste, vive mirabilmente nell’opera per segnare una tessitura grafica-cromatica di attento impianto
pittorico e di qualità. Il gioco dei colori caldi, la varietà delle forme di carattere decorativo e la perizia tecnica di precisa
stesura sviluppano nell’opera di Rovati un’interessante originalità e raggiungono risultati di sicura maturità artistica
e consapevolezza dei mezzi”.
Monia Malinpensa Art Director - Giornalista
MOSTRA, cATALOGO E PRESENTAzIONE A cURA DI MONIA MALINPENSA
REFERENzE E QUOTAzIONI PRESSO LA MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELAccIA
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel +39.011.5628220 - +39.347.2257267
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O RA RIO G A LLERIA :D A L M A RTED I A L SA BATO D A LLE 10,30 A LLE 12,30 -16,00 A LLE 19,30
70
“due minuti di arte”
In due minuti vi racconto la storia
di Umberto Boccioni,
l’artista che ha catturato il movimento,
per trasformarlo in capolavoro.
di Marco Lovisco
www.dueminutidiarte.com
L’
Italia, tra la fine dell’Ottocento
e l’inizio del Novecento è stata
la culla di pulsioni artistiche e
tendenze utopistiche e innovative
che hanno dato vita a
fenomeni fondamentali come il divisionismo,
il simbolismo e il futurismo. Dal
3 marzo al 10 giugno 2018 è possibile
ripercorrere questi anni grazie alla mostra
“Stati d'animo - Arte e psiche tra Previati e
Boccioni”. In mostra opere di Giovanni
Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe
Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli,
Medardo Rosso, Giacomo Balla, Giorgio
de Chirico, Carlo Carrà e Umberto Boccioni.
È di quest’ultimo che parlerò nel mio
articolo, interprete onesto delle pul- sioni e
delle tensioni che daranno vita al
futurismo, uno dei movimenti artistici che
ha portato l’Italia nel gotha dell’arte
mondiale. Vi racconterò la storia di un
artista passionale, impulsivo, incapace di
star fermo, che ha cercato di catturare il
movimento per trasformarlo in arte. E
forse, ci è riuscito.
1. Umberto Boccioni (Reggio Calabria
1882 – Verona 1916) è stato uno dei più
importanti pittori e scultori italiani del
Novecento. Viene considerato il più autorevole
esponente del Futurismo, per quanto
riguarda le arti visive. I suoi studi sul
“dinamismo plastico” influenzeranno per
lungo tempo l’arte del XX secolo.
2. Boccioni nasce a Reggio Calabria ma, a
causa del lavoro del padre (usciere di prefettura)
è costretto a spostarsi in molte città
diverse nel corso dell’infanzia: Forlì,
Genova, Padova, Catania. Non saranno le
uniche mete nella vita di questo “artista
viaggiatore”. Sarà proprio questo suo
intenso girovagare ad aiutarlo a sviluppare
quell’apertura mentale che renderà rivoluzionaria
la sua ricerca artistica.
3. La prima forma d’arte a cui Boccioni si
avvicina è però la letteratura: a diciotto
anni (1900) pubblica infatti il suo primo
romanzo, Pene dell’anima. Si avvicinerà
alla pittura a vent’anni, dopo essersi trasferito
a Roma nel 1901. Nella capitale
conosce infatti gli artisti Gino Severini,
Giacomo Balla (artista già affermato
all’epoca) e Mario Sironi, con cui stringerà
una decennale amicizia.
4. Neanche a Roma Boccioni riesce a stare
fermo. Grazie al sostegno della famiglia
intraprende un viaggio attraverso l’Europa,
per conoscere le Avanguardie artistiche. Si
reca a Parigi (1906), in Russia e a Monaco
di Baviera. Tra un viaggio e l’atro, nel 1907
trova anche il tempo per iscriversi alla
Scuola libera del Nudo del Regio Istituto di
Belle Arti di Venezia.
5. Sarà Milano la città che trasmetterà a
Boccioni quell’energia e quel dinamismo
che condurrà alla nascita di uno dei
movimenti artistici più importanti nella
storia dell’arte italiana. Nel capoluogo
lombardo comincia a frequentare il pittore
Previati, che lo avvicinerà all’arte simbolista,
ma conoscerà soprattutto Filip-po
Tommaso Marinetti e Carlo Carrà.
6. Con loro (e con gli artisti Luigi Russolo,
Giacomo Balla e Gino Severini) Boccioni
darà vita al Futurismo nelle arti figurative,
grazie alla pubblicazione del Manifesto dei
pittori futuristi nel 1909 a cui farà seguito
il Manifesto tecnico del movimento futurista
(1910).
7. Del resto la poetica artistica di Boccioni
trova nel Futurismo e nei suoi ideali il
naturale sbocco. La capacità di cogliere il
movimento e il dinamismo nel dipinto e
nella scultura è una delle chiavi di lettura
principali per comprendere la tecnica dell’artista
italiano. A Boccioni è attribuita
infatti la paternità del “dinamismo
plastico”, tecnica basata sulla
rappresentazione della simultaneità
del movimento nelle arti figurative.
Ne è un magnifico esempio l’opera
scultorea Forme uniche della continuità
nello spazio (1913). La trovate
raffigurata sulla moneta da
venti centesimi!
8. Oltre che artista di talento,
Umberto Boccioni era anche un
attento teorico dell’arte, a lui si
devono due testi fondamentali per
la comprensione dell’arte futurista:
Pittura Scultura Futuriste e Dinamismo
Plastico. Entrambe pubblicate
nel 1914.
9. Nel 1915 l’Italia prende parte
alla Prima Guerra Mondiale. I
futuristi sono favorevoli all’intervento
militare e Boccioni si
arruola volontario assieme ad un
gruppo di artisti nel Corpo nazionale
volontari ciclisti automobilisti.
Durante i mesi in trincea
tuttavia l’artista si ricrederà circa
l’eroismo guerriero e l’onore di
poter combattere per la propria
patria. Scriverà infatti all’amico
Marinetti: la guerra “quando si
attende di battersi, non è che
questo: insetti + noia = eroismo
oscuro….”.
10. Boccioni perderà la vita pochi
anni dopo cadendo da cavallo nel
1916, a soli trentatré anni. La dinamica
dell’incidente, banale nella
sua tragicità, segna un netto distacco
tra l’eroismo guerriero e le
casualità dell’esistenza. Il 17
agosto del 1916 la cavalla su cui
montava nel corso di un’esercitazione
militare, si imbizzarrisce
a causa del passaggio di un autocarro
e disarciona l’artista che cade
al suolo rovinosamente. L’impatto
col terreno sarà fatale. Nel luogo
dell’incidente, nella campagna di
Chievo, frazione di Verona, una
targa commemora ancora oggi
l’accaduto.
Gigino Falconi
Matrici filosofiche in un
linguaggio di seduzione
Autoritratto, 2015,
acrilico su tela,
cm 110 x 140
Gigino Falconi nasce a
Giulianova (Teramo) e
inizia a dipingere a sedici
anni, frequentando
contemporaneamente
l’Istituto Tecnico per
ragionieri, dove si diploma
nel 1952. Nel 1954 ottiene la maturità presso il Liceo
Artistico di Pescara. L’anno successivo, vincitore di concorso
per la Cattedra di Disegno, assume l’incarico della docenza
presso una scuola media di Giulianova, attività che abbandona
definitivamente nel 1975, per dedicarsi interamente alla
pittura. Alla sua prima mostra personale tenuta alla Galleria
Il Polittico di Teramo nel 1961, ne sono seguite numerosissime
sia in Italia che all’estero, presso accreditate gallerie e
prestigiose sedi pubbliche. Le sue opere sono conservate in
autorevoli collezioni museali pubbliche e private.
Il suo metodo di lavoro si è sviluppato per cicli pittorici così
distribuiti nel corso degli anni.
Non è facile ricapitolare
l’ormai lungo, e soprattutto
intenso, percorso di
Gigino Falconi, quando
si voglia darne una visione
panoramica, che unisca la varietà
e sfaccettatura delle formule
espressive all’ininterrotto filo delle
sue tematiche. E non è facile anche
perché la sua produzione è stata via
via commentata da testi critici di
grande sottigliezza, che ne hanno
dato interpretazioni insieme chiare e
profonde. Come dire che, essendo
Falconi un artista dalla forte matrice
intellettuale, resa evidente dai soggetti
stessi dei suoi quadri, e poiché
questa matrice non ha prodotto opere
sofisticate e cerebrali, ma, al contrario
di sensuale prepotenza, egli ha stimolato
a farsene interpreti commentatori
di ricca e complessa cultura,
insieme coinvolti dalle immagini
e coinvolti nelle loro ragioni di
pensiero.
Tenterò dunque di riassumere, sottolineandone
gli aspetti più significativi
e coinvolgenti, le matrici ed i caratteri
fondamentali nel percorso di Falconi;
che tra l’altro si riconoscono fin
dagli esordi della sua attività, ma si
fanno via via più evidenti. Intanto, un
sottofondo romantico, nel senso storico
del termine, cioè un’imagerie
ispirata alle suggestioni paesistiche
degli artisti tedeschi nel cuore del-
74
Nostalgia di Caravaggio - 2012 - acrilico su tela - cm 40 x 50
l’Ottocento, ma via via spostate in
un’atmosfera che non tanto si ispira
all’infinitezza misteriosa dello spazio,
quanto alle ambiguità delle presenze
poste nello spazio medesimo: dove
non esiste immediatezza di immagini,
ma ogni atteggiamento e gesto, sia
pure di esseri giovani e di intatta bellezza,
ci proietta verso il remoto.
Questo filone iconografico di forte
caratterizzazione simbolica è quello
dove la personalità creativa di Falconi
si è manifestata con maggiore pienezza,
e per il quale si è fatto riferimento
al clima interpretativo dei
preraffaelliti o, più estesamente, della
scuola inglese fine Ottocento, corrispettivo
della contemporanea letteratura.
È un tipo di cultura dove s’innesta
l’erotismo lesbico, tema dominante
dell’ultima produzione dell’artista:
i corpi nudi delle giovani donne,
limpidi e intatti, posti sullo sfondo di
distese marine o lacustri, paiono simboli
di un’equivoca purezza; non contaminati
dal dolore, ma appena dalla
malinconia; non estranei a riflessioni
religiose, ma estranei al pieno coinvolgimento
nella passione; e il tema
della musica, rappresentato in particolare
dalla presenza dei violini, isola
e insieme accompagna queste immagini.
Che dietro la produzione pittorica fin
dagli esordi fosse presente con intensità
in Falconi una riflessione filosofica
pessimistica, o meglio, amara e
desolata, sul senso della vita, appare
evidente. Ma negli anni Cinquanta, o
poco oltre, la sua formula espressiva
presentava tagli di tipo astratto, talora
con immagini convulse di matrice
espressionista, e qualche inclinazione
al surreale. A poco a poco il suo linguaggio
si estrapola dalle suggestioni
avanguardiste e si orienta verso
quello che, per intenderci, definiremo
il figurativo.
Ma ecco a questo punto l’impegno di
rappresentare con puntiglio la realtà
fisica dei personaggi, ripresi da modelli
vivi, si stacca da qualunque intonazione
veristica; anzi, punta su una
trasfigurazione da definirsi edonistica
sia per la bellezza fisica delle giovani
persone rese con una splendida padronanza
pittorica, sia per l’intonazione
aulica dell’insieme, con evidente ricorso
a matrici seicentesche o comunque
antiche, ma rivissute attraverso le
formule tardo-ottocentesche. I tratti
malinconici o, per meglio dire, percorsi
da amarezza esistenziale, si coniugano
con una tale forbitezza di
linguaggio e con un’esplicita seduzione
delle immagini, sia sotto il profilo
fisionomico, sia sotto quello
stilistico, da divenire una ritmica trasfigurazione.
Potremmo concludere che Falconi
traduce il suo pessimismo filosofico
in una coinvolgente bellezza espressiva.
L’arte non nega il male del
mondo; lo rende sogno.
Rossana Bassaglia
Gigino
Falconi
Per l'anniversario di
Gabriele D'annunzio
Eva - 2017
acrilico su tela
cm 200 x 100
Non è un tema d’occasione,
questo scelto da Gigino
Falconi: nel cuore di ogni
abruzzese respira la memoria
di D’Annunzio.
Caso mai, il problema è vedere in che
modo l’occasione si sposa con il passato
interiore, con quello che l’artista
si portava dietro dalla nascita. Quasi
si trattasse di riprendere un discorso
messo da parte tanto tempo fa e alla
fine dimenticato. Qui sta il punto
vero: non si può dimenticare, soprattutto
quando ciascuno dalla propria
parte, l’ispiratore e il traduttore, ha
lavorato per le stesse intenzioni. Così
dal confronto non voluto ma imposto
dalla più profonda coscienza salta
fuori una risposta che non è mai illustrativa
o riassuntiva, ma legata a
quanto c’era di più vero nell’ispirazione
del Falconi.
Potremmo dire anche
che si tratta di
un discorso doppio
o, meglio ancora,
di un confronto
sostenuto fra l’immaginazione
di ieri e ormai codificata e l’immaginazione
dello spettatore che è stato
sollecitato verso questo tipo di ricognizione.
In effetti c’è un filo conduttore
che passa attraverso queste immagini
ripetute nella più assoluta libertà,
quasi si fosse trattato di riscrivere
ciò che il D’Annunzio aveva
detto e fissato per sempre. Non per
nulla un’opera vive oltre i suoi confini
naturali e riesce a passare dal particolare
al generale, dal temporale
all’eterno. Di qui la scelta del Falconi:
restare nel suo tempo e insieme
ripetere le parole magiche del poeta.
Lo spettatore chiamato a dire le sue
impressioni non può fare altro che cedere
a un sentimento immediato di
ammirazione, alla giustificazione dell’operazione
così ben risolta. C’è poi
da mettere nel conto tutto quanto il
Falconi è riuscito a sottrarre alla speculazione
triviale della commemorazione.
Né dobbiamo considerare
questo capitolo nell’ambito della facilità
e della semplicità e questo perché
lo scartare, l’eliminare e l’evitare
suppongono una disposizione critica
di alto livello. Possiamo fare la prova
76
Nostalgia di Caravaggio - 2012 - acrilico su tela - cm 40 x 50
per contrari, immaginando il Falconi
disposto alla pura dilettazione fondata
sul già detto, sul già noto: non gli sarebbe
mai riuscito di restare al palo
della pura illustrazione. In realtà ha
lavorato in senso opposto, mettendo
nei margini tutto quanto sarebbe stato
naturale e spontaneo per lo spettatore
l’idea della restituzione dannunziana
(un tipo di operazione offerto a tutti)
e privilegiando quello che restava
chiuso e nascosto agli occhi di tutti.
Ecco dove l’allievo è riuscito a mettersi
in rapporto d’arte con il poeta, a
entrare in competizione. Falconi a
questo punto ha inseguito le sue chimere
e le sue ipotesi di vita e in tal
modo ha vinto la partita, diventando
non già uno dei tanti illustratori dell’opera
del D’Annunzio ma - e qui
stava veramente il grande salto - un
lettore, meglio ancora un’«anima» in
grado di accogliere la verità poetica.
Per servirci di un’immagine, un pittore
che ha saputo raccogliere il «testimone»
dalle mani prodigiose del
poeta, senza corromperne la voce,
senza alterarne i toni e gli echi.
Carlo Bo
78
Nel segno della Musa
Le interviste diM arilena Spataro
“Ritratti d’artista”
Maestri del ‘900
Marco Bravura:
quando l'arte musiva
incontra la scultura.
e l'opera diventa un
inno alla bellezza
marilena.spataro@gmail.com
Ardea per Ravenna, 2004, metri 9,50 x 200 x 200,
spazio pubblico, Piazza della Resistenza, Ravenna
Marco Bravura, artista affermato
a livello internazionale. Ravennate,
classe 1949, ormai da 10
anni vive e lavora, "ospite"
graditissimo, in Russia, dove risiede in
una cittadina vicino Mosca.
Maestro, ci parla di questa sua esperienza
moscovita. Come e quando è iniziata?
«Nel 2004 stavo realizzando con i miei
allievi di allora la fontana Ardea Purpurea
per Ravenna quando nel laboratorio ricevetti
la visita dell’imprenditore russo
Ismail Akhmetov. Per lui una “rivelazione”
(parole sue ): gli piaceva il modo
in cui il laboratorio era condotto e come
si stava procedendo col lavoro, dopodiché
fu un continuo invito a raggiungerlo
in Russia. I primi anni andavo e venivo
frequentemente in occasione di mostre,
brevi esperienze di lavoro, poi Akhmetov
mi chiese di organizzare un laboratorio e
gli spazi dove artisti e studenti da tutto il
mondo potessero venire in residenza.
Pian piano i tempi di permanenza in Russia
si allungavano, c’erano sempre nuovi
progetti e collaborazioni. Abbiamo portato
il mosaico e il suo linguaggio sulle
rive del Baikal, ad Ulan Ude, ad Almaty
in Kazakhistan, in Tatarstan, a Kazan, a
San Pietroburgo, a Sochi, a Minsk in Bielorussia
e ovviamente a Mosca, sempre
in eventi di alto livello, quali partecipazioni
alla Biennale d’Arte Contemporanea
di Mosca e in Musei. Ora la
Fondazione Akhmetov si è trasferita nella
cittadina di Tarusa, in spazi realizzati con
grande cura, immersi nella natura, siamo
in un bosco che si perde a vista d’occhio
e lungo le rive del fiume Oka. Sono trascorsi
più di dieci anni e l’energia, la voglia
di fare, mia e di Akhmetov non si
sono esaurite, anzi…».
Prima di approdare in Russia ha girato
il mondo: lei stesso si definisce da sempre
uno spirito libero e nomade, un cittadino
del mondo. Da cosa nasce questa sua esigenza
e cosa ne deriva artisticamente
parlando dal suo “nomadismo”?
«Proprio così: mi riconosco completamente
nella frase di Kipling “al mondo ci
sono solo due tipi di uomini, quelli che
stanno a casa e quelli che non ci stanno”
ovviamente sono quello che non sta a
casa. Non so darne una motivazione, è
così, è sempre stato così: adolescente frequentai
la Francia ( i primi gemellaggi tra
città europee) e dai 18 anni in poi, quando
mi trasferii a Venezia per studiare all’Accademia
di Belle Arti, non sono più tornato
in famiglia a Ravenna. Anche perchè
a 20 anni avevo già la mia famiglia e due
figli. Con loro ho viaggiato molto: gli inverni
alle Canarie, poi l’India, gli Stati
Uniti. L’influenza di tutto questo vedere,
osservare, assorbire si è poi manifestata
spontaneamente nelle opere che andavo
creando, ne è un esempio la serie degli
Arazzi, mutuati dai “poveri” arazzi raja-
The Head, 2011, cm 130 x 130 x 103, collezione Akhmetov
sthani, nella cui composizione patchwork
ho rivisto le tessere dei miei anni all’Istituto
d’Arte. Ma la valenza più
importante del viaggiare rimane a mio
avviso il percorso, che allarga gli orizzonti
fuori e dentro».
A un certo punto della sua carriera decide
di dedicarsi soprattutto all'arte del
mosaico, iniziando pionieristicamente ad
applicare questa antichissima tecnica
alla dimensione plastica. Perchè una simile
scelta?
«Il mosaico è un pò la mia “pace dei
sensi”. Una volta esaurito il dilemma
“avanguardia sì avanguardia no, l’arte è
morta…l’impeto dell’ego giovanile intellettual-puzzolente”,
mi è stato congeniale
riconsiderare una tecnica antica per
creare qualcosa di contemporaneo (sono
vivo, sono per forza contemporaneo). La
tecnica musiva mi permetteva di riconsiderare
il colore nella scultura, come sappiamo
fosse nell’antichità o come avevo
visto nell’arte orientale. Poi ci sono stati
incontri fortunati, come quello con Tonino
Guerra e la progettazione di alcune
fontane, appunto, piene di colore e realizzabili
solo a mosaico».
Quanto la decisione di esprimersi attraverso
il mosaico è stata influenzata dall'essere
lei nato e vissuto a Ravenna,
notoriamente fin dai Romani una delle
maggiori capitali mondiali dell'arte musiva?
«Beh, certamente il privilegio di frequentare
fin dall’infanzia basiliche e battisteri
che ti inondano di bellezza, ha avuto una
innegabile influenza. In seguito l’imprinting
della scuola ravennate è stato certo e
forte: ho avuto insegnanti straordinari,
quali Antonio Rocchi, Francesco Verlicchi,
Isotta Fiorentini Roncuzzi, Sergio Cicognani,
Giuseppe Ventura».
Quali le tappe salienti del suo percorso
artistico che l'hanno condotta alla fama
di oggi?
«Ringrazio la sua considerazione, personalmente
mi ritengo semplicemente fortunato,
perchè ho sempre potuto lavorare
e continuo a lavorare, anche 10 / 12 ore
al giorno, sempre. Comunque alcune
tappe salienti sono certamente le opere
pubbliche iniziate dapprima collaborando
con Guerra e proseguite su progetti e
ideazioni miei. Famoso non so, conosciuto
da istituzioni quali banche, Comuni
e privati che ti vengono a cercare,
questo sì, ed è stato così che ogni lavoro
aggiungeva credibilità e fiducia. Poi c’è
stata l’esperienza negli Stati Uniti, in seguito
in Libano. Akhmetov e la sua fondazione
per il sostegno all’istruzione e
alla cultura sono per ora la tappa ultima».
Lei ha realizzato sia in Italia che all'estero
alcune opere musive monumentali
che hanno contribuito alla sua fama.
Ci racconta come è andata?
«Creare Ardea Purpurea per Beirut,
primo monumento pubblico dopo la di-
80
Lampedusa, 2014, cm 200 x 250, collezione Ahmetov
99 Variations on a Theme, 1999, cm 80 x 140, collezione Akhmetov
Arazzo Oro, 1994, cm 95 x 154, collezione privata
Primordial Architecture, 2010, installazione,
diametro 4 x 4, collezione Akhmetov
struzione di 17 anni di guerra, ha rappresentato
davvero molto per me. Il Ravenna
Festival aveva portato a Beirut il concerto
“Le vie dell’Amicizia” nel 1998. Grande
entusiasmo per il Maestro Muti e il meraviglioso
momento che la musica aveva
regalato. Come dicevo prima, mi ero conquistato
la fiducia di alcune istituzioni e
così fui contattato per creare un’opera
pubblica a ricordo di quell’evento. Feci
una maquette di 40 cm, preparai il progetto.
Cristina Muti con la sua generosità
fu tra i primi a coglierne il potenziale, ci
fu un primo viaggio a Beirut per la presentazione
del progetto al Ministro della
Cultura e all’Associazione presieduta da
Raymond Nahas, che lo avrebbe finanziato.
Un anno di lavori e all’inaugurazione
erano presenti ambasciatori di 4
nazioni, il clima era di festa, si credeva
tanto nella pace appena riconquistata. La
soddisfazione era così grande che mi
chiesero di tornare e fondare una scuola
di mosaico che ancora oggi opera. Il Libano
e il popolo libanese sono meravigliosi,
ho tutt’ora amicizie che mi sono
molto care. Dopo il successo a Beirut, è
stata la volta delle istituzioni ravennati a
permettermi di realizzare Ardea Purpurea
per Ravenna, che nelle parole della signora
Muti, rappresenta “il secondo pilastro
di quell’ideale ponte di amicizia tra
le due sponde del Mediterraneo”».
Come s’inseriscono queste opere scultoree
nel più ampio discorso dell’organizzazione
dello spazio?
«Per alcune opere lo spazio era stabilito,
progettato in collaborazione con architetti
e la sfida era portare innovazione nel rispetto
di un contesto. Una esperienza
molto positiva. In altri casi si è cercato lo
spazio giusto per l’opera già realizzata,
operazione alquanto difficile, lo scontento
è dietro l’angolo, anzi, dietro la rotonda».
Quale è la sua visione del mondo e cosa
di essa desidera farci arrivare con i suoi
lavori?
«La mia natura è di vedere in positivo.
Attraverso la bellezza cerco di raccontare
il presente con lo spirito di speranza che
solo la bellezza può far arrivare. Se fin
qui si è creduto che la bellezza avrebbe
potuto salvare il mondo, penso sia tempo
che debba essere il mondo, cioè noi, a salvare
la bellezza rimasta».
Quale il ruolo che una forma espressiva
come il mosaico, in buona parte incentrata
su tecniche artigianali, può giocare
in futuro nell'ambito dell'arte contemporanea,
a sua volta sempre più incentrata
sulla sperimentazione di nuove tecnologie,
quali, ad esempio, arte digitale e videoarte?
RotoB, 2008, cm 200 diametro, profondità cm 130,
collezione Akhmetov
Fontana delle Farfalle, 2003, tappeto musivo cm 300 x 220, spazio pubblico,
Sogliano al Rubicone ( in collaborazione con Tonino Guerra)
Ardea per Beirut, 1999, 6 metri x 180 x 100,
spazio pubblico, Rue Verdun, Beirut
«La possibilità che il linguaggio musivo
possa trovare una collocazione nell’arte
contemporanea è una scommessa (vinta
o meno lo diranno i posteri). Un’opera
musiva richiede sì conoscenza tecnica e
applicazione manuale, ma è il processo
di dinamica creativa che rappresenta la
componente fondamentale come per
qualsiasi altra espressione artistica. L’incontro
con l’arte digitale è totalmente
possibile, nel mio caso la sperimentazione
è già iniziata. Con Giacomo Giannella,
artista digitale, abbiamo dato
l’avvio ad un progetto chiamato Remix,
dal mosaico al digitale e di nuovo al mosaico.
E’ nato un video immaginifico e
alcune visioni mi hanno ispirato nuove
opere in mosaico».
Lei ha una figlia che ha scelto di dedicarsi
come lei alla scultura in mosaico.
E che sta ottenendo parecchi riconoscimenti
a livello internazionale. Come
reagì a suo tempo da padre e da artista
a questa decisione. E come è stato e
come è oggi il vostro rapporto?
«Mia figlia Dusciana ha manifestato sin
da bambina la sua propensione alle arti
visive. Era un dato ovvio, inevitabile;
spero solo di averla lasciata libera abbastanza,
credo di sì dato che in una intervista
Dusciana ha detto: “mio padre ha
sempre tenuto molto a non insegnarmi
niente”…Il rapporto di collaborazione
c’è stato, mi ha affiancato nella creazione
di tutte le opere pubbliche, e mi
piacerebbe ci fosse in futuro. Ammiro
sinceramente la sua inesauribile spinta
creativa».
C'è ancora un sogno nel cassetto per
Marco Bravura che attende di realizzarsi?
«I cassetti sono più d’uno e sono pieni,
non di sogni ma di progetti. Un’opera
pubblica in terra di Russia non sarebbe
male».
82
MOSTRE D’ARTE in iT
A cura di Silvana Gatti
BA R D (A O )
FORTE DI BARD
Fino al 17 Giugno 2018
L U C I D E L N O R D .
IMPRESSIONISMO IN NORMANDIA
L’Associazione Forte di Bard, in collaborazione
con Ponte Organisation für kulturelles
Management GmbH di Vienna,
promuove questa mostra curata dallo
storico dell’arte Alain Tapié. Più di settanta
opere raccontano l’amore degli
impressionisti per la Normandia, terra
di vento, mare e nebbia. I dipinti provengono
dall’Association Peindre en
Normandie di Caen, dal Museo del Belvedere
di Vienna, dal Musée Marmottan
di Parigi e dal Musée Eugène Boudin di
Honfleur e recano la firma di autori
come Monet, Renoir, Bonnard, Boudin,
Corot, Courbet, Daubigny, ma anche –
e non solo – Delacroix, Dufy, Gericault.
La Normandia ha attratto gli artisti del
XIX secolo, a partire dagli artisti inglesi
che attraversarono la Manica per studiarne
il paesaggio, le rovine e i monumenti.
Paesi come Honfleur, Le Havre,
Rouen furono luoghi di incontro ed
ispirazione per pittori ‘parigini’ come
Corot, Courbet, Boudin. Qui nacquero
i principali movimenti d’avanguardia
del Novecento, dall’Impressionismo ai
Fauves. Il fermento artistico legato a
una visione più realistica e aderente alla
natura, che porta gli artisti a lavorare en
plein air – grazie anche all’uso della pittura
a olio in tubetti di metallo facili da
trasportare –, prende vita in Normandia,
una regione in cui la natura, come afferma
il curatore Alain Tapié, ha una
sua propria ‘fisicità’ vera e vibrante.
Una mostra che racconta l’impegno
degli artisti di raffigurare ciò che vedevano
in Normandia, teatro dei mutamenti
sociali e culturali che apriranno
le porte all’età moderna.
BO LO G N A
MAST
Dal 1 Febbraio 2018
Fino al: 1 Maggio 2018
P H O T O G R A P H Y G R A N T O N
I N D U S T R Y A T W O R K
Presso la sede della Fondazione MAST
è presentata la mostra dei finalisti del
concorso GD4PhotoArt che dal 2018
diventa MAST FOUNDATION FOR
PHOTOGRAPHY GRANT on Industry
and Work. La selezione biennale
di giovani fotografi, promossa dalla
Fondazione MAST, intende documentare
e sostenere l’attività di ricerca sull’immagine
dell’industria, documentando
le continue trasformazioni che
questa induce nella società e nel territorio,
il ruolo del lavoro per lo sviluppo
economico e produttivo. Questo concorso,
giunto quest’anno alla quinta
edizione, è nato con l’obiettivo di promuovere
l’attività fotografica delle
nuove generazioni di artisti. La rassegna
bolognese mette in mostra i progetti
realizzati appositamente per il
concorso dai quattro finalisti, provenienti
da diversi continenti: Mari Bastashevski
(Danimarca-Russia), Sara
Cwynar (Canada), Sohei Nishino
(Giappone) e Cristobal Olivares (Cile).
FERRA RA
PALAZZO DEI DIAMANTI
Dal: 3 marzo 2018
Fino al: 10 Giugno 2018
STATI D’ANIMO. ARTE E
PSICHE TRA PREVIATI E
BOCCIONI
Grazie a prestiti eccezionali, dalla Beata
Beatrix di Dante Gabriel Rossetti delle
National Galleries of Scotland al Fugit
Amor del Musée Rodin, dal pellizziano
Ricordo di un dolore della Carrara alla
Risata di Boccioni proveniente dal
MoMA, viene riletto da un punto di
vista inedito quel cruciale passaggio di
secolo. Il percorso segue gli artisti nella
ricerca di un linguaggio delle emozioni,
muovendo dal verismo psicologico
verso un processo di rarefazione formale
che approda alla sintesi astrattiva e dinamica
della pittura di stati d’animo futurista.
Opere chiave della scena italiana
e internazionale tra Otto e Novecento
dialogano con le “interferenze” offerte
dall’immaginario scientifico e culturale
del tempo in un racconto che attraversa
gli stati d’animo: dalla melanconia all’abbandono
fantastico nella rêverie, dall’abisso
della paura alla liberazione delle
pulsioni sessuali e degli istinti aggressivi,
fino all’estasi dell’amore e alla sublimazione
nei sentimenti di pace e
armonia universale, per chiudere sulle
note della città contemporanea.
AliA E fuORi cOnfinE
FO RLI’
MUSEI DI SAN DOMENICO
Dal 10 febbraio 2018
al 17 Giugno 2018
L’ETERNO E IL TEMPO TRA
MICHELANGELO E
CARAVAGGIO
Questa mostra documenta il periodo
che intercorre tra il Sacco di Roma
(1527) e la morte di Caravaggio (1610);
tra l’avvio della Riforma protestante
(1517-1520) e il Concilio di Trento
(1545-1563); tra il Giudizio universale
di Michelangelo (1541) e il Sidereus
Nuncius di Galileo (1610). Un secolo
che vide il tramonto del Rinascimento
e il sorgere del Manierismo. Nascono
scuole e orientamenti nuovi, dal tentativo
di dare vita a «un’arte senza tempo»
di Valeriano e Pulzone, in ambito
romano, al modellato di Tiziano, al naturalismo
dei Carracci. Distanziandosi
dai bagliori dell’estremo Rinascimento,
il Concilio tridentino crea una nuova
forma di pietà e di devozione, con l’esaltazione
della figura mariana, dei
primi martiri e dei nuovi santi, tra cui
Francesco d’Assisi. In Italia la battaglia
più importante per il dipingere è nella
pittura di commissione sacra, con Caravaggio.
Tra l’ultimo Michelangelo a
Caravaggio, passando attraverso Raffaello,
Rosso Fiorentino, Lorenzo Lotto,
Pontormo, Sebastiano del Piombo,
Correggio, Bronzino, Vasari, Parmigianino,
Daniele da Volterra, El Greco,
Pellegrino Tibaldi, i Carracci, Federico
Barocci, Veronese, Tiziano, Federico
Zuccari, Cavalier d’Arpino, Giuseppe
Valeriano e Scipione Pulzone, si sviluppa
un filo estetico che darà vita a
una età nuova. Comprese le forme alternative
di Rubens e Guido Reni..
G EN O V A
PALAZZO DUCALE
LOGGIA DEGLI ABATI
Dal 3 Marzo 2018
al 1 Luglio 2018
ANTONIO LIGABUE
Un’antologica ripercorre la vicenda
umana e creativa di Antonio
Ligabue, uno degli autori più geniali
e originali del Novecento italiano.
Il percorso espositivo si
snoda tra i due poli principali entro
i quali si sviluppa l’universo
creativo dell’artista: gli animali,
selvaggi e domestici, e gli autoritratti.
Tra gli animali abitatori
delle foreste e delle savane si trovano
alcuni dei maggiori capolavori
dell’artista, come Tigre reale,
realizzato nel 1941, nel periodo in
cui era ricoverato nell’Ospedale
psichiatrico San Lazzaro di Reggio
Emilia; tra quelli delle campagne,
le due versioni di Cani da caccia
con paesaggio; c’è poi la galleria di
autoritratti, come i dolenti Autoritratto
con berretto da motociclista
del 1954-55 e Autoritratto del
1957. Non mancano altri straordinari
dipinti, dai paesaggi bucolici,
alla Carrozzella con cavalli e paesaggio
svizzero ad alcune versioni
delle Lotta di galli, ad Aquila con
volpe della fine degli anni quaranta,
alla Vedova nera con volatile
e alla Testa di tigre della metà
degli anni cinquanta, fino alla Crocifissione.
Catalogo Skira
M ILA N O
FABBRICA DEL VAPORE
VIA PROCACCINI 4
Fino al 4 Aprile 2018
REVOLUTION, MUSICA E RIBELLI
1966-1970. DAI BEATLES A
WOODSTOCK
Questa Mostra, nata dalla collaborazione
tra comune di Milano, Fabbrica del Vapore
e Avatar - Gruppo MondoMostre
Skira, racconta gli anni dal 1966 al 1970.
Le sezioni sono cinque: “Swinging London”,
“Musica e controcultura”, “Voci
del dissenso”, “Costumi e consumi”,
“The Summer of love”, per raccontare la
moda della Londra beatlesiana del 1966;
la creatività musicale, da Dylan al blues
e al soul; le proteste che dagli Stati Uniti
sfociarono in Europa e le rivoluzioni nella
moda e nel costume. Protagonista è
l’arte musicale, da Simon and Garfunkel
fino a “Imagine” di John Lennon, corredata
dalle copertine dei vinili. Imperdibili
i Beatles, con i dischi “Revolver” (1966)
e Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band
(1967). Esposto il quaderno col testo a
matita di “Lucy in the sky with diamonds”
ed il vestito indossato da John
Lennon per la copertina del suo album.
Infine la stanza, dedicata a Woodstock
(15-17 agosto 1969), i vestiti degli artisti
– tra cui Joe Cocker –, la locandina originale
e tre chitarre di Jimi Hendrix. Nell’ultima
sala, uno schermo con alcuni
spezzoni del documentario ufficiale del
concerto di Woodstock.
84
MOSTRE D’ARTE in iT
M O D EN A
GALLERIA ESTENSE
Largo Porta Sant'A gostino,337
Fino al 13 Maggio 2018
DA CORREGGIO A GUERCINO.
CAPOLAVORI SU CARTA DELLA
COLLEZIONE DEI DUCHI D’ESTE
Questa mostra presenta una selezione
di disegni di autori quali Correggio, Nicolò
dell’Abate e Lelio Orsi, Ludovico,
Annibale e Agostino Carracci, lo Scarsellino,
Guido Reni, Guercino. Esposti
disegni e dipinti a confronto, per gettare
uno sguardo sullo stile, la tecnica e i segreti
del comporre di grandi maestri del
Cinque e Seicento. I disegni oggi in Galleria
Estense provengono da vicende
plurisecolari. Le fonti suggeriscono la
presenza di alcuni capolavori di grafica
già nei camerini di Alfonso I d’Este, nel
Castello di Ferrara. È soprattutto nel
corso del Seicento che i duchi d’Este,
trasferiti a Modena, danno vita a una
vera e propria raccolta moderna di disegni
che culmina negli anni di Alfonso
IV (1658-1662), quando il Palazzo Ducale
ospita una collezione grafica paragonabile
a quella fiorentina del cardinale
Leopoldo de’ Medici. Gli inventari
stimare più di 2.840 i fogli di cui si
componeva, e che contavano esemplari
dei maggiori maestri. Con il XVIII secolo
le progressive traversie e dispersioni
raggiungono il punto più critico
con le spoliazioni napoleoniche. Circa
1300 disegni trasferiti in Francia non
torneranno più a Modena e ancora oggi
costituiscono parte fondamentale delle
collezioni del Museo del Louvre.
O ST U N I
PALAZZO TANZARELLA
Dal 24 Aprile 2018
fino al 4 Novembre 2018
“L’ALTRA METÀ DEL CIELO”: LE
DONNE DI PICASSO IN MOSTRA
A MARTINA FRANCA,
MESAGNE E OSTUNI
Questa rassegna racconta Pablo
Picasso da una prospettiva nuova,
quella delle donne che sono state
al suo fianco e che hanno avuto
per l’artista un ruolo importante.
Le donne erano per Picasso fonte
di ispirazione e filo rosso tra arte
e vita, sia che siano state modelle,
compagne di vita o madri dei suoi
figli, Talvolta queste donne erano
artiste, come Dora Maar e Françoise
Gillot. Ben oltre 300 opere
saranno distribuite tra Palazzo
Ducale, il Castello e Palazzo Tanzarella,
rispettivamente nei tre comuni
di Martina Franca, Mesagne
e Ostuni. Una selezione di dipinti,
grafiche, ceramiche provenienti da
collezioni private, realizzate non
solo da Picasso, ma anche da queste
due grandi donne che per un
certo periodo hanno lavorato al
suo fianco. Completa il ritratto
dell’artista una “mostra nella mostra”,
composta da un nucleo di
fotografie di Robert Capa ed Edward
Quinn, l’amico e regista che
documentò il periodo in cui Picasso
si dedicò alle ceramiche.
PAV IA
SCUDERI E D EL CASTELLO
VISCO NTEO
Fino al 3 Giugno 2018
STEVE McCURRY. ICONS
L’esposizione presenta oltre 100
scatti in grado di ripercorrere quarant’anni
di carriera del fotografo
americano. L’esposizione condurrà
i visitatori in un viaggio simbolico
nel complesso universo di esperienze
e di emozioni che caratterizza
le sue immagini e che toccherà
paesi come l’India, l’Afghanistan,
la Birmania, il Giappone, il
Brasile. Non mancherà il ritratto di
Sharbat Gula, la ragazza afghana
che McCurry ha fotografato nel
campo profughi di Peshawar in Pakistan
e che, con i suoi grandi occhi
verdi e col suo sguardo triste, è diventata
un’icona assoluta della fotografia
mondiale. All’interno del
percorso espositivo sarà proiettato
un video, dal titolo “Le massime di
Steve McCurry”, in cui l’artista
americano racconta il suo modo di
intendere la fotografia e un altro filmato,
prodotto dal National Geographic,
dedicato alla lunga ricerca
che ha consentito di ritrovare, 17
anni dopo, “la ragazza afghana”
ormai adulta.
AliA E fuORi cOnfinE
R O M A
C OMPLES SO DEL VITTO RI ANO
ALA B RASI N I
Fino al 3 Giugno 2018
M O N E T
Questa mostra propone 60 opere del
padre dell’Impressionismo provenienti
dal Musée Marmottan Monet di
Parigi. Sono opere che l’artista conservava
nella dimora di Giverny, donate
dal figlio Michel al Museo.
Monet trasformò la pittura en plein
air in uno stile di vita, ossessionato
com’era nel cogliere le differenze cromatiche
di uno scorcio tra la luce abbagliante
e la pioggia fitta, nelle minime
variazioni atmosferiche nelle
ore del giorno. Il percorso spazia dalle
caricature della fine degli anni 50
dell’800 ai paesaggi rurali e urbani di
Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville - e
delle sue dimore; dai ritratti dei figli
alle tele dedicate al suo giardino, fino
ai salici piangenti e al ponte giapponese,
per passare alle Ninfee, che virano
verso l’astrattismo. Tra i capolavori
in mostra: Portrait de Michel
Monet bébé (1878), Ninfee
(1916-1919), Le Rose (1925-1926),
Londres. Le Parlement. Reflets sur la
Tamise (1905). Sotto l’egida dell’Istituto
per la storia del Risorgimento
italiano, la mostra Monet, curata da
Marianne Mathieu, è promossa dall’Assessorato
alla Crescita culturale -
Sovrintendenza Capitolina ai Beni
Culturali di Roma Capitale, col patrocinio
del Ministero dei beni e delle
attività culturali e del turismo e della
Regione Lazio ed è prodotta e organizzata
da Gruppo Arthemisia in collaborazione
con il Musée Marmottan
Monet di Parigi.
TO RIN O
K B A R T G A L L E R Y
V ia S.Secondo,14
Dal 3 Fino al 15 Marzo 2018
D al m ercoledì al sabato orario:16 - 19.30
A N N A C O M B A
Nel capoluogo piemontese una mostra
celebra l’artista torinese Anna
Comba, la cui arte ha incrociato il
mondo della celluloide. Dagli anni
Sessanta, con la tecnica del collage
ha creato lavori che ancora oggi ci
parlano della guerra del Vietnam,
delle conquiste sociali, della condizione
della donna e del consumismo.
Il suo sguardo, rivolto alla gente
comune, passava attraverso le immagini
di Rita Hayworth ed Ava
Gardner, Marilyn Monroe e Silvana
Mangano, di Hollywood e del Neorealismo.
Lavori di carta che coniugano
il cinema con la vita, rap- presentando
le dive come icone viste
dal lato umano, con le loro debolezze
e le loro glorie, metafore dell’universo
femminile. Col suo sguardo
incentrato sull’uomo, inoltre, ha
narrato le vicende della gente comune,
manipolando le immagini
del filone cinematografico come “Riso
amaro” e “Roma città aperta” e
creando “ritratti” umani che trasmettono
messaggi a sfondo sociale.
Citata tra i protagonisti della
Mec Art di Pierre Restany, ha poi
sovrapposto, inserito, accartocciato
e cosparso i ritagli di varie tonalità
di colore che avvolgono la tela e il
suo contenuto. Come una fotoreporter:
ha raccontato decenni di storia
cinematografica con poesia e solidità,
trasformando in materiale
artistico, un flusso di immagini fotografiche
.
T R EV ISO
MUSEO DI SANTA CATERINA
Dal 24 Febbraio 2018
Fino al 3 Giugno 2018
R O D I N Un grande scultore
al tempo di Monet
Treviso è stata scelta dal Musée Rodin
di Parigi per la mostra conclusiva delle
celebrazioni per il centenario della
scomparsa di Auguste Rodin (1840 –
1917), promossa dal Comune di Treviso
e da Linea d’ombra. In mostra
oltre una settantina di opere, tra cui
tutti i capolavori scultorei più noti dell’artista.
Dal Bacio al Pensatore, al Monumento
a Balzac, all’Uomo dal naso
rotto, all’Età del bronzo, sino alle maquette,
spesso di vasto formato, delle
opere monumentali. I Borghesi di Calais
e la Porta dell’Inferno, tra le tante.
Il percorso mette in luce l’interesse di
Rodin per Michelangelo e la scultura
rinascimentale italiana, evidenziando
la capacità di Rodin di trasformare la
materia, rendendo morbido, sensuale,
vibrante il marmo non meno che il
gesso, prima delle fusioni in bronzo.
Presente in mostra una grande tela di
Edvard Munch, del 1907, che ritrae la
statua del Pensatore nel giardino del
dottor Linde a Lubecca. Esposto anche
un quadro di Monet, presente nella
mostra Mo-net/Rodin di Parigi nell’estate
del 1889 nella galleria di Georges
Petit. La monografica su Rodin in
Santa Caterina è collegata a un “Omaggio
ad Arturo Martini” che coinvolge
il Museo “Luigi Bailo”, a cui appartengono
oltre cento opere di Martini:
molte sculture, ceramiche e incisioni.
Goldin ha inoltre organizzato
una mostra monografica sull’altro artista
trevigiano del Novecento europeo,
Gino Rossi.
86
MOSTRE D’ARTE in iT
T R EV ISO
M U S E O C I V I C O B A I L O
Fino al 3 Giugno 2018
ARTURO MARTINI
Molti i capolavori di Arturo Martini in
questa mostra al Bailo. Dalla Maternità
del 1910 alla stessa Fanciulla piena
d’amore, dal Pensieroso del 1927 alla Pisana
del 1928, dal magnifico Adamo ed
Eva del 1931 che Arturo Martini eseguì
in pietra e su commissione per il collezionista
Arturo Ottolenghi, alla Venere
dei Porti, terracotta del 1932. Una carrellata
di opere che seguono, passo
passo, il percorso martiniano. Dalle ceramiche
che in gioventù modella per la
manifattura Gregorj, alle testimonianze
degli anni in cui – tra il 1909 e il 1913 –
a Monaco e a Parigi, si confronta con il
“nuovo” in Europa. Nel dopoguerra,
l’adesione a “Valori Plastici”, la fascinazione
metafisica e l’attenzione al
classicismo. Dopo aver esposto alla
Biennale Romana, nel 1926 partecipa a
quella di Venezia e alla I e II Mostra del
Novecento Italiano alla Permanente. E’
del 1931 il Premio per la Scultura alla I
Quadriennale Romana ed è dell’anno
successivo la personale alla Biennale
veneziana. A fine decennio, le grandi
commissioni pubbliche. E’ del 1941-
1942 la Donna che nuota sott’acqua,
sempre nella collezione del Museo
Bailo, nel suo bozzetto in bronzo, mentre
il marmo originale venne esposto
nelle Biennali del 1942 e 1948. Questa
scultura tra l’altro rovescia di 360 gradi
una figura di Martire compresa nella
Porta dell’Inferno di Rodin. Poi la tensione
verso l’astrazione.
T R IEST E
MU SEO C IVICO REVO LTELLA
Fino 2 Settembre 2018
MONACO, VIENNA – TRI ESTE -
ROMA. Il Prim o Novecento al
Revoltella
La mostra documenta l’influenza di
Monaco di Baviera e Vienna su Trieste,
nel periodo in cui il capoluogo
giuliano apparteneva all’Impero d’Austria-Ungheria.
Si inizia con le opere
di inizio Novecento di artisti triestini
e giuliani tra cui Eugenio Scomparini
e Glauco Cambon. Una sezione monografica
è dedicata a Federico Pollack,
noto a Trieste come Gino Parin.
In seguito la sezione sull’arte italiana
degli anni Venti e Trenta, caratterizzata
dal ‘ritorno all’ordine’ di sarfattiana
memoria, con i capolavori patrimonio
del Museo: i dipinti di Felice
Casorati, Carlo Carrà, Mario Sironi,
Guido Cadorin, Giorgio de
Chirico, Alberto Savinio e Felice Carena,
in ambito nazionale. E, a livello
territoriale, opere tra gli altri di Piero
Marussig e Carlo Sbisà. La sezione
successiva indaga il legame tra i triestini
Arturo Nathan, Carlo Sbisà e
Leonor Fini. Segue la sezione sul goriziano
Vittorio Bolaffio, legato a
Trieste e ad Umberto Saba. Il percorso
termina con la Secessione romana,
con artisti italiani quali Armando
Spadini, Plinio Nomellini,
Giovanni Romagnoli, Felice Carena,
Lorenzo Viani, Alberto Martini affiancati
ad altri del territorio, quali
Teodoro Wolf-Ferrari, Virgilio Guidi,
lo scultore Ceconi di Montececon ed
il triestino Edgardo Sambo che nel dipinto
“Macchie di sole” del 1911 riecheggiò
il secessionismo italiano
V EN EZ IA
PALAZZO LOREDAN
Fino al 30 Giugno 2018
IL MONDO CHE N ON C’ERA.
L’ARTE PRECOL OM BI ANA NEL-
LA COLLEZIONE LIGABUE
Palazzo Loredan sede dell’Istituto
Veneto di Scienze Lettere ed Arti,
ospita questa straordinaria esposizione
dedicata alle diverse civiltà
precolombiane che avevano prosperato
per millenni nel continente a-
mericano prima della scoperta dell’incontro
con gli Europei. L’incontro
di due civiltà che sono parte
della medesima umanità.
Un’umanità fatta di comunanze e
differenze di cui ci si rende ben conto
grazie alle opere esposte nella mostra
promossa dalla Fondazione Giancarlo
Ligabue, con main sponsor Ligabue
Group, che racconta le antiche
culture della cosiddetta Mesoamerica
(gran parte del Messico,
Guatemala, Belize, una parte dell’-
Honduras e del Salvador), il territorio
di Panama, le Ande (Colombia,
Ecuador, Perù e Bolivia, no a Cile e
Argentina): dalla cultura Chavin a
Tiahuanaco e Moche, fino agli Inca.
Un corpus di capolavori straordinari
appartenenti una delle collezioni più
complete e importanti in quest’ambito
in Italia - la Collezione Ligabue
- esposti al pubblico per la prima
volta grazie a questo progetto.
AliA E fuORi cOnfinE
FR A N C IA - PA R IG I
MUSEO DELLE ARTI DECORATIVE
Dal 7 marzo 2018 all’8 luglio 2018
BIJOUX D’ARTISTES. DA
CALDER A KOONS
Grande mostra al Museo delle Arti Decorative
di Parigi dedicata al design di
gioielli realizzati da alcuni tra i più
grandi esponenti dell’arte moderna e
contemporanea. Perché l’arte non è
solo la pittura e la scultura, in quanto
i grandi artisti si sono cimentati anche
con l’arte da indossare, la gioielleria.
Diane Venet, collezionista di “bijoux
d’artistes” da oltre 30 anni, presenta
per l’occasione oltre 230 gioielli realizzati
da artisti del calibro di Alexander
Calder, Jeff Koons, Max Ernst, Pablo
Picasso, Niki de Saint Phalle e César.
Una mostra davvero imperdibile per le
signore parigine e le turiste che, tra un
monumento e l’altro, faranno la fila
per visitarla.
SPA G N A -M A D RID
F U N D A C I Ó N M A P F R E .
S A L A R E C O L E T O
Fino al 16 maggio 2018
D E R A I N , B A L T H U S ,
G I A C O M E T T I
Questa mostra, organizzata dal
Musée d’Art Moderne de la Ville de
Paris, Paris Musées e co-organizzata
con Fundación MAPFRE, ospita
una selezione di un centinaio
di dipinti, opere grafiche e sculture
dei tre artisti. La mostra, curata da
Jacqueline Munck, ripropone i momenti
più importanti dell'amicizia
artistica tra Derain, Balthaus e Giacometti.
In un contesto artistico in
cui dominavano i movimenti astratti
e il surrealismo, emerse un'alleanza
artistica tra i tre pittori per rivendicare
la pittura del passato e i
codici più tradizionali di questa
arte. Questa collezione di opere, soprattutto
dagli anni '20 agli anni
'60, scandaglia i momenti cruciali
dell'amicizia artistica di questi tre
artisti che cercavano di essere in
linea con le regole basilari dell’arte:
lo stile, il chiaroscuro, la chiarezza
formale del disegno e la geometria.
SV IZ Z ER A -BER N A
F O N D A Z I O N E B E Y E L E R
Fino al 29 Aprile 2018
G E O R G B A S E L I T Z
La Fondazione Beyeler e il Kunstmuseum
di Basilea celebrano il pittore
e scultore tedesco ? che a ventitré
anni adotta il nome d’arte Baselitz in
onore del suo Paese natale ? in occasione
dei suoi ottant’anni, con una
vasta retrospettiva di dipinti, sculture
(collocate anche all’esterno) e
una selezione di opere su carta che
ne ripercorrono l’intera carriera. A
partire dai primi Anni Sessanta, con
le sue figure “fatte a pezzi” e dai
tratti nervosi, fino al 2017, con una serie
di dipinti di media dimensione
inediti. L’ultima mostra monografica
di Baselitz in Svizzera, ospitata
dalla Kunsthaus di Zurigo, risale al
1990 e questa nuova retrospettiva, a
cura di Martin Schwander, approderà
all’Hirshhorn Museum and Sculpture
Garden di Washington quest’estate,
e sarà la prima in Nord
America dopo quella del 1995.
88
i piccolini di
Mario Esposito fa parte del gruppo dei trenta artisti della Galleria Wikiarte inserito nella collana
Sensazioni artistiche edita G. Mondadori
Mario Esposito
90
I piccolini di Mario Esposito
Mario Esposito
artista in permanenza presso:
Galleria Wikiarte di
Deborah Petroni
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www.wikiarte.com
INFO:
marioespo@gmail.com
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92
claudio alicandri
“Metropoli” - 2016 - Colori metallici acrilici su tela
Lo Studio ClaSil Vi ringrazia per seguirci con affetto......
Claudio & Silvio
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LE DONNE NELL’ARTE
DAL 23 FEBBRAIO AL 6 MARZO 2018
FER N A N D A C ER R IN A - M A R T IN A D I B ELLA -
ELEN A G H IR A R D ELLI - LO R ET T A B R U N A PA V A N I-LO LLY
TesticriticidiM onia M alinpensa
FER N A N D A C ER R IN A
“L’artista Fernanda
Cerrina, che dipinge
con un deciso
ed incisivo tratto del
disegno, plasma le
sue opere con una
matura stesura del
colore squillante denso
di forza espressionistica
e di suggestivo
aspetto simbolico.
Le sue visioni
di volti femminili,
di grande rispetto
e sentimento,
sono trattenute da
un palpito di vita e
da una luce interiore
assolutamente
unica, costantemente
pervase da emozioni
infinite che la-
“A rrivo dopo la tem pesta” -2017
olio su legno cm .105 x 95 -particolare dell’opera sciano il segno sull’opera
e che mostrano all’osservatore una pittura attenta ai valori
umani”.
ELEN A G H IR A R D ELLI
“L'interpretazione dell’artista
Elena Ghirardelli è arricchita
da una sua personalità
pittorica ben precisa;
il significato stesso del luogo
esprime grande libertà
di spirito e dà spazio ad
una descrittiva di profondo
impegno eseguita con conoscenza
del disegno e
concreto studio. Colori riposanti,
giocati con sapienza
e sensibilità, toni
poetici raffinati negli effetti
ed il rapporto prospettico -
formale di mirabile costruzione
testimoniano un linguaggio
maturo e di significato”.
“Blu” -2018 -acrilico,olio e garza su tela
cm .70 x 100
“Le opere di Martina Di
Bella, puramente astratte di
vitale cromicità e notevole
luminosità, rappresentano
un vero atto di sensibilità artistica
in cui la resa spaziale
e la struttura formale evidenziano
una tecnica pittorica
di profondo legame
espressivo. La materia dominante,
di incisiva e-laborazione,
accompagna le sue
composizioni di un’appassionata
dimensione liricaintimista
dove la natura,
sempre viva, è protagonista
assoluta di un percorso altamente
suggestivo e in continuo
movimento. Attraverso
l’impiego della tecnica ad
acrilici su legno, l’artista
Martina Di Bella trasfonde
alle opere stati d’animo”.
“Le onde diG iona” -2016 -natura/luce
riflessa sull’acqua acrilico
su legno -cm 79 x 65 x 2
LO R ET T A B R U N A PA V A N I-LO LLY
MOSTRA, cATALOGO E PRESENTAzIONE A cURA DI MONIA MALINPENSA
REFERENzE E QUOTAzIONI PRESSO LA MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELAccIA
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel/Fax +39.011.5628220 - +39.347.2257267
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M A R T IN A D I B ELLA
“L'anim a diA lzheim er” -2016 -poliuretano,
acrilico e m aterialivarisu tela -cm .100 x 80
“Attraverso una ricerca
fortemente creativa,
l’artista Loretta Bruna
Pavani Lollj realizza
opere con un’innata
fantasia inventiva e
con un impegno di costruzione
che le permette
di ottenere risultati
di rilievo. L’intensa
carica emotiva,
intrisa di potenza suggestiva,
evidenzia uno
stile di contemporaneità.
L’impegno costante
nell'elaborazione
di vari materiali e
la continua analisi trovano
un’armonia simbolica
di grande decorazione
e di profonda
carica emozionale”
O RA RIO G A LLERIA :D A L M A RTED I A L SA BATO D A LLE 10,30 A LLE 12,30 -16,00 A LLE 19,30
SARA PEzzONI
MOSTRA PERSONALE ALLA
MALINPENSA GALLERIA D’ARTE By LA TELACCIA
DAL 21 AL 31 MARzO 2018
“IN SCENA L’AFFASCINANTE GIOCO DELLA MATERIA CHE IMPREzIOSISCE
L’IMMAGINE FEMMINILE DI uNA POTENzA DECORATIvA ED ESPRESSIvA”
“A m iche disincantate” - 2017 - acrilici,m alta m icacea,foglia argento 925,glitter ed elem enti in rilievo - cm .100 x 100
La tecnica pittorica dell’artista Sara Pezzoni contiene una matericità assoluta che vive non solo di contrasti
tonali ma di forma, di volume e di intensa raffigurazione poetica-umana; ella riesce a dare corpo e anima ai
suoi soggetti femminili che si arricchiscono di profondi contenuti e di forti stati emozionali. Le sue rappresentazioni,
pregne di elementi materici e di impegno tecnico, fuoriescono continuamente dalla tela per via dei suoi
particolari fermenti creativi e valori espressivi. E’ una ricerca indipendente in costante crescita che si riveste di
coerenza e di un modulo artistico originale, seguita da profonda sensibilità, da attenta indagine e da capacità
di sintesi. Le titolazioni: “Cosmo” e “I colori dell’allegria” offrono all’osservatore una dinamica entusiasmante
ricca di un’elaborata estensione operativa e di una felice inventiva. Monia Malinpensa Art Director - Giornalista
MOSTRA, cATALOGO E PRESENTAzIONE A cURA DI MONIA MALINPENSA
REFERENzE E QUOTAzIONI PRESSO LA MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELAccIA
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
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MODULO DI
ABBONAMENTO
Regalati un abbonamento alla
rivista Art&trA
6 numeri € 13,00
12 numeri € 22,00
gli abbonati alla rivista avranno uno
sconto del 50 % sul
prezzo di copertina di € 120,00
dell’annuario d’arte moderna 2017
Silvio Sparaci
Conobbi Silvio Sparaci nel suo stand ad Arte Padova, una quindicina di
anni fa, e subito rimasi colpita dalla sua gentilezza e disponibilità. Da editore
si improvvisava barman che con fierezza offriva ai suoi amici il mitico
caffè della sua macchinetta, dal gusto forte e deciso quasi fosse lo specchio
del suo carattere forte, caparbio e gentile nel contempo. Dieci anni fa, sempre
in una fiera d’arte, con orgoglio mi mise tra le mani il numero zero
della rivista Art & Art, e l’odore della carta stampata mi catturò, trascinandomi
in un vortice che, portandomi a collaborare con la redazione, mi
diede modo di conoscere Silvio. Un uomo senza pregiudizi, che ha sempre
accolto tra le pagine della sua rivista e del suo annuario gli amanti dell’arte,
sia nomi affermati che stelle nascenti o meteore di passaggio. Un personaggio,
Silvio Sparaci, che sapeva ascoltare e nel contempo amava raccontare
la sua vita non sempre facile e talvolta dolorosa. Più volte mi parlò
della sua ultima moglie, passata a miglior vita troppo presto.
E, come nel caso di artisti del calibro di Van Gogh, il dolore sfociò nella
catarsi delle sue opere pittoriche. Mi vengono in mente gli scheletri da lui
dipinti in maniera stilizzata e surreale, posti su sfondi studiati sapientemente
al fine di porre in evidenza la fragilità della vita umana, analizzata
anche dal punto di vista religioso con opere come “L’ultima cena” dove il
colore predominante, il rosso, rappresenta la totalità dei sentimenti umani:
amore, passione, odio, e il colore del sangue, linfa vitale. Sono opere, queste,
che come un grido di dolore vogliono ricordare che noi umani siamo
qui, proiettati su questo percorso terreno, per lasciare un segno, una traccia,
un ricordo, un’eredità emozionale. Noi siamo quel ricordo che lasciamo
ai posteri, positivo o negativo, bianco o nero. Non mancano i paesaggi tra
le opere di Silvio, in particolare le panoramiche della città eterna, raffigurate
con colori scuri, panoramiche che fanno pensare a notti insonni trascorse
ad interrogarsi, davanti ad una finestra, per poi tracciare sulla tela
le sue emozioni.
E il ricordo che lascia Silvio non è limitato alle sue opere, ma al messaggio
secondo il quale l’arte è un modo di vivere e di essere, è scambio culturale,
è amicizia. E mentre i suoi scheletri sono come un urlo munchiano, le sue
nature morte ed i suoi paesaggi dai colori soffusi sono il riflesso dei suoi
momenti introspettivi, durante i quali si richiudeva nel suo guscio interrogandosi
sul futuro del mondo.
Silvio amava dipingere, ma nel contempo spesso ci rinunciava per dedicarsi
ai suoi amici pittori, al fine di dar loro la possibilità di farsi conoscere
attraverso le pagine della sua rivista e del suo annuario. Era sempre disponibile,
con una mano sulla tastiera del computer e l’altra sulla cornetta del
telefono, per ascoltare e soddisfare ogni richiesta d’arte, per un saluto, per
un sorriso. La sua mancanza lascia un vuoto incolmabile, ma il suo insegnamento
sarà seguito da tutti coloro che, come lui, credono nell’arte come
missione atta a lasciare un segno indelebile che, come un tappeto magico,
si srotola sul futuro.
A cura di Silvana Gatti
Desidero ricevere le copie della rivista al seguente indirizzo:
Nome_______________________
cognome____________________
Ciao Silvio!
cap.________città___________
Indirizzo____________________________________________
Tel_________________e-mail___________________________
il pagamento potrà avvenire mediante
bonifico bancario
Iban: IT 10 K 05387 03200 000002169513
intestato a Acca Edizioni Roma Srl
“Natura morta” - 2013 - olio su tela - cm. 80 x 120
www.accainarte.it - acca@accainarte.it
Attenta osservatrice
l’artista Daniela
Rosso, in
arte Prin, interpreta
la figura
umana con una
carica emozionale
intensa e
con vivo temperamento
tanto
da mettere in
evidenza una vibrante
e personale
contemplativa.
Ella trasforma
i suoi dipinti
in una felice sintesi
figurativa dove
l’elemento chiaroscurale
e i rapporti
tonali ci regalano
esaltanti
effetti di luce, movimento
e poesia.
LE DONNE NELL’ARTE
DALL’8 AL 17 MARZO 2018
R O SSA N A C H IA PPO R I - V A LEN T IN A M IA N I
D A N IELA R O SSO -PR IN - B IA N C A SA LLU ST IO
TesticriticidiM onia M alinpensa
R O SSA N A C H IA PPO R I
“Senza titolo” -2017
olio su tela cm .60 x 60
In un contesto
ricco di vitale
dinamismo e di
colori caldi e-
mergono incisivi
effetti e-
stetici e varianti
di forme originali,
caratterizzati
da un
segno deciso e
da una narrativa
scenografica
di alta qualità.
Con un senso
evidente del
lavoro materico
e gestuale,
che si distingue
e che si
impone mirabilmente
nel dipinto,
esplodono costantemente ritmi e dissolvenze, animati di
magistrale sintesi e di uno stimolo creativo intriso di valenze evocative.
D A N IELA R O SSO -PR IN
“H abia un trom bon” olio su tela -cm .50 x 50
La Prin ama comunicare attraverso la sua pittura stati d’animo e sensazioni.
V A LEN T IN A M IA N I
“Ilm are” -2015 -acrilico su tela naturale
dipalm a -cm 100 x 100
La pittura di
v a l e n t i n a
Miani si esprime
con una
e l a b o r a t a
l a vorazione
molto materica;
l’olio su
tela di lino a
spatola, denso
di cromatismo
e ampia
resa strutturale,
si pone con
una contemporaneità
evidente
carica di
vitalità. Ella, in
maniera del tutto
personale,
rende ogni soggetto
intriso di magia cromatica e di una visione compositiva intensa
per luminosità che dà spazio ad un’espressione armonica e ricca di
temperamento.
B IA N C A SA LLU ST IO
“Fiorideicapperi” -2016 -olio su tela -cm .60 x 50
MOSTRA, cATALOGO E PRESENTAzIONE A cURA DI MONIA MALINPENSA
REFERENzE E QUOTAzIONI PRESSO LA MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELAccIA
La stesura del
colorismo brillante
e lo sfondo
chiaroscurale
originale i-
dentificano il
segno con la
luce in un evidente
rapporto
stilistico molto
suggestivo di
notevole costruzione.
Ne risulta
una dialettica
contemporanea
assolutamente
personale
che si
sviluppa in una
ricerca figurativa
di qualità
estetica e di talento.
Attendibili
nella descrizione
le sue opere si rinnovano di ampie assonanze stilistiche e di un linguaggio
originalissimo.
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel/Fax +39.011.5628220 - +39.347.2257267
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Forte dei M arm i55042 - Piazza M arconi,2 - Tel +39 0584 787030 - fortedeim arm i@ tornabuoniarte.it
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100
Dimitra Milan:
di Valentina D’Ignazi
“Desidero che la mia
Arte sia una finestra su
un altro regno che
porta il paradiso sulla
terra. L’Arte cambia
tutto, ci trasforma dal
profondo…”
Il silenzio… l’anima che si abbandona
alla notte, il Sogno: nasce così una affascinante
realtà che si trasforma in
un’arte libera dagli schemi quotidiani,
viva nella selvaggia libertà dei sensi.
Queste sono le opere di Dimitra Milan,
figlia di una famiglia di artisti affermati,
Elli e John Millan, fondatori di
un noto istituto di arte in Arizona dove
lei sviluppa il suo stile e le sue capacità
artistiche fin da bambina. Inizia a dipingere
all’età di dodici anni e proprio
in quella scuola la giovane artista inizia
ad imparare le tecniche ad olio
classiche, il disegno, l’astrazione ed il
collage, mettendo in pratica tutta
quella curiosità che la porta a studiare
costantemente quel mondo che le
scorre nelle vene, figlio di una passione
condivisa dai suoi genitori.
“Pìù dipingevo, più miglioravo… mi
divertivo da impazzire. Non posso dire
di ricordare esattamente il momento in
cui ho pensato che sarei stata un artista.
Credo che la passione si sia sviluppata
sempre più nel tempo e più vendevo
“L’arte di sognare”
opere, più mi sentivo sicura del mio
stile”.
Attraverso un intenso programma di
studi Dimitra si diploma con due anni
di anticipo e questo le permetterà poi
di dedicarsi con maggiore dedizione
alla sua passione per la pittura. Nonostante
la sua giovane età di appena diciassette
anni, Dimitra è già nota nel
mondo dell’arte ed i suoi dipinti si trovano
in collezioni private in tutta Europa
e negli Stati Uniti,partecipando
attivamente anche nel sociale con donazioni
di beneficenza no profit che
contrastano il traffico di esseri umani
e con associazioni che si occupano di
assistenza alle famiglie di bambini malati
di cancro. Le sue opere trovano
ispirazione dai sogni della notte e proprio
da quei sogni genera mondi inesplorati,
facendo percepire soprattutto
l’amore per la madre terra e per il
mondo animale. Le sue opere raffigurano
affascinanti figure femminili in
contatto con la natura, con gli animali,
che sono generalmente predatori ritratti
in un momento di pace…il tutto circoscritto
in un paradisiaco vortice di colori
e spensieratezza che esalta quel
periodo incantato che definiamo “Adolescenza”.
I sogni acquistano così concretezza,
diventano vivi ed anche la più astratta
fantasia si trasforma in una meravigliosa
realtà. Tutto diventa materiale,
nulla è più impossibile e questo è il
102
messaggio che Dimitra vuole regalare
al mondo.
“Desidero che i miei lavori ispirino le
persone per far sentire loro che tutto né
possibile. Desidero che le persone
comprendano quale è la loro vera identità
e che credano nel loro destino”
La ragazza attualmente vive in Arizona
con la sua famiglia, e viaggia spesso
per conoscere il mondo e trarre da esso
nuove ispirazioni. Infatti tutti i paesaggi
rappresentati nelle sue opere
sono una combinazione di posti in cui
è stata o in cui ha sognato di andare. In
alcune delle sue opere è forte il contatto
con l’acqua mirato all’esplorazione
dei fondali, soprattutto quelli del
mare della Grecia,posto a lei molto
caro, oppure la rappresentazione delle
maestose onde delle Hawaii.
Dimitra usa per le sue creazioni i colori
ad olio a tecnica mista, dove sovrappone
direttamente sulla tela diversi tipi
di carta volti a contornare dei soggetti
realistici predefiniti, dando vita ad una
specie di collage, alimentando il tutto
con vernice spray ed elementi acrilici
che generano quel senso magico di
astrazione dell’inconscio.
Osservando le sue opere si rimane incantati
dalla sua magica fantasia che ci
fa tornare, anche solo per pochi
istanti,in quell’età dove la vita è un respiro
leggero... in quella parte di cuore
che conserva la spensieratezza dei nostri
anni più belli.
“Or che i sogni e le speranze
si fan veri come fiori,
sulla Luna e sulla Terra
fate largo ai sognatori!”
Gianni Rodari
A TUTTI GLI ARTISTI
SONO APERTE LE SELEzIONI ALLA 8 bIENNALE D’ARTE
INTERNAzIONALE A MONTEcARLO 2018, PITTURA, ScULTURA, GRAFIcA, AcQUERELLO,
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By LA TELACCIA, N° 5 - 6 FOTOGRAFIE DI OPERE DIvERSE (IN FORMATO JPG. O TIFF. CON uN D.P.I. 300 DI
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A
Ambasciata d’Italia
nel Principato di Monaco
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Silvana Gatti
“Un mare di nuvole” - Olio su tela - cm. 70 x 50 - 2018
S I LVA N A G AT T I - P I TT R I C E F I G U R AT I VA & S I M B O L I S TA - V I A L E C A R RU ’ N ° 2 - 1 0 0 9 8 - R I VO L I - (TO )
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“Verdi azzurro” - 1962 - tem pera alla caseina su carta intelata - cm 70 x 100
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106
IVaN MeŠTROVIĆ
L’armonia delle forme
tra realismo ed espressionismo
1883 – 1962
a cura di Svjetlana Lipanovic
Foto Zoran Alajbeg
La vestale - 1917 - Galleria Mestrovic Spalato
Lo scultore Ivan Meštrović si distingue
con la sua potente creatività
nella storia dell’arte
croata. Nasce nell’ agosto del
1883 a Vrpolje in Croazia da cui la famiglia
si trasferì presto all’originario
villaggio di Otavice, nell’entroterra
dalmata. Fin da bambino scoprì la vocazione
per la scultura. Iniziò a modellare
diverse forme nel legno e nella
pietra dimostrando un innato talento artistico.
Il straordinario percorso esistenziale
del giovane Meštrović ebbe
l’inizio a Spalato dove seguì, sotto la
guida di illustri insegnanti i corsi per
apprendere l’arte della scultura e del
disegno. Dal 1900 a Vienna frequentò
l’Accademia di Belle Arti e La scuola
pubblica della scultura. In seguito alla
laurea si iscrisse alla Facoltà di Architettura.
L’incontro con lo scultore francese
Auguste Rodin durante la sua
mostra nella capitale austriaca fu una
folgorazione che lasciò le tracce indelebili
nelle future opere / La testa del
bambino 1905, La bambina canta 1906,
La famiglia Katunarić 1906, ecc./. Vicino
alla Secessione viennese realizzò
vari capolavori dove ricercò simbolica
intensità di espressionismo / Cura materna,
Ultimo bacio, Il giovane, ecc./. I
suoi temi prediletti del periodo sono i
ritratti dei bambini o delle persone anziane
che rappresentano la contrapposizione
fra la giovinezza e la vecchiaia.
Spesso le figure femminili sono vestite
con gli abiti tradizionali croati e le
sculture maestose degli eroi sono ispirate
dai racconti popolari slavi. Nelle
sue originali opere realizzate in bronzo,
marmo, pietra, gesso, legno si intravvedono
le influenze arcaiche, egizie ed
elleniche che sono armoniosamente intrecciate
dal suo individualismo fortemente
espressivo e dal suo immenso
senso creativo dimostrato nei vari settori
d’arte. Nel 1902 lo scultore espone
alla Mostra annuale della Secessione a
Vienna e continuò a partecipare fino al
1910. Sotto l’influenza di Franz Metzner
e di Lederer si orientò verso le
forme più astratte che sostituiscono la
realtà /Timor Dei, La fontana della
vita, Il sorgente della vita/. Accompagnato
dalla moglie l’artista Ruža Klein,
si stabilì nel 1908 a Parigi. Incontrò di
nuovo Rodin e, comincio a lavorare all’Epopea
di Kosovo per il Tempio di
Vidovdan, creando le sculture monumentali
dedicate agli eroi descritti nei
canti popolari serbi. La sua incessante
attività si svolse a Parigi, Vienna, Zagabria,
Roma, Spalato, Belgrado. Dopo
il primo premio per la scultura alla Mostra
internazionale a Roma del 1911 si
fermò i successivi due anni nella Città
Eterna dove frequentò gli artisti nonché
vari personaggi importanti d’epoca.
All’inizio della Grande Guerra nel
1914 lo scultore modificò il suo percorso
creativo sentendo la tragedia immane
che stava per travolgere
La contemplazione - Zagabria - Galleria Mestrovic - Spalato
Il torso femminile con le mani - 1928 - Atelier Mestrovic - Zagabria
l’umanità. Le creazioni assumono una
nuova espressione altamente spirituale
con i motivi sacrali oppure dedicati
alla musica. Mentre la guerra infuriava
il maestro cominciò ad impegnarsi
sempre di più nell’attività politica. Abbracciò
l’idea molto in voga, dell’unità
tra il popolo croato e il popolo serbo
Ae, partecipò alla costituzione del Comitato
jugoslavo. I viaggi, una costante
presenza nella sua vita lo
portarono a Ginevra e, nella città elvetica
vide la luce un ciclo importante
dei bassorilievi in legno dedicati alla
vita di Gesù. Seguono le sculture
come: Madonna con bambino nel 1917
ed altre 23 opere sacre, create a Roma
nel 1918. La fine della guerra coincide
con le prime sculture Art Decò. I nudi
femminili di una bellezza assoluta
sono un altro grande tema che caratterizza
il periodo dal 1920 in poi. Divenne
sempre più conosciuto a livello
internazionale e le sue innumerevoli
mostre nelle capitali europee sono applaudite
dal pubblico e dai critici. Ancora
una volta, la sua vita cambiò la
direzione in seguito al ritorno a Zagabria
nel 1919 , dove visse per i successivi
vent’ anni. Si dedicò all’insegnamento
e, ai suoi studenti presso
l’Accademia di Belle Arti fece capire
l’importanza dell’ invenzione ma
anche, della padronanza necessaria del
mestiere. Il vento del cambiamento
scosse la sua vita sentimentale nel
1921 quando conobbe a Dubrovnik, la
farmacista Olga Kesterčanek la sua seconda
moglie con quale ebbe i quattro
figli. Durante la sua permanenza a Dubrovnik
progettò un monumentale
Mausoleo della famiglia Račić, ultimato
nel 1922, a Cavtat. Nel capolavoro
l’architettura e la scultura
diventano una combinazione dei simboli
e delle forme astratte. A Dubrovnik,
come la testimonianza del suo
soggiorno lasciò: La strada dei signori,
il bassorilievo dedicato al Re Petar I e
la statua di San Vlaho il patrono della
città. Manifestò la sua generosità
quando, eletto il Rettore presso l’Accademia
d’arte e dell’artigianato artistico,
a Zagabria diede il suo compenso
ai giovani, studenti bisognosi.
Nel periodo estremamente creativo
realizzò Il monumento al poeta Marko
Marulić nel 1924, progettò il monumento
di Josip Juraj Strossmayer e, il
Mausoleo di Petar Petrović Njegoš a
Lovćen in Monte Negro che sarà terminato
appena nel 1974. Negli anni
1924-1926 spesso soggiornò negli
Stati Uniti allestendo le mostre e realizzando
Il Monumento agli Indiani,
eretto a Grant Park a Chicago ed altre
magnifiche opere. La visita in Egitto
nel 1927 gli diede una nuova visione
dell’arte che si nota nelle successive
creazioni. Dal 1929 si può ammirare a
Spalato una maestosa scultura di
Grgur Ninski sita attualmente, nelle
108
La donna contratta - 1915 - Roma - Galleria Mestrovic - Spalato
vicinanze della Porta d’oro, del Palazzo
di Diocleziano. Alla fine degli anni 20,
la situazione politica peggiorò notevolmente
in seguito all’uccisione da parte
dei Serbi del politico croato Stjepan
Radić nel 1928. Il sogno dell’unità tra i
popoli slavi si infrange definitivamente.
Sono significative le parole di Meštrović
che affermò “di considerare quel
proiettile sparato non solo contro Radić
ma, contro tutto il popolo croato”. Il seguente
passo del re Aleksandar Karađorđević
fu la proclamazione della
dittatura il 26 gennaio 1929, con tutte le
conseguenze immaginabili. Anche se il
suo lavoro portò Meštrović dappertutto,
egli non ha mai dimenticato le sue radici
ed a Otavice aveva costruito prima, la
casa famigliare e dal 1926 al 1931 la
Chiesa del Santissimo Redentore insieme
con il Mausoleo. La stupenda costruzione
fu danneggiata dalle forze
armate serbe nella guerra 1991-1995 e
in seguito ristrutturata. Con un altro atto
di generosità lo scultore nel 1952 donò
tutte le sue opere, il Mausoleo, l’atelier
a Zagabria, la villa a Spalato ed altro,
allo Stato croato. Fu costituita la Fondazione
Ivan Meštrović che raccoglie la
sua enorme, preziosa eredità. La villa a
Spalato costruita dal 1931, immersa nel
parco con una vista mozzafiato sul mare
e le isole è la sede odierna della Galleria
di Ivan Meštrović inaugurata il 9 settembre
1952, dove si custodisce la più
grande collezione delle sue opere compresi
i disegni, mentre un'altra grande
raccolta è visibile nell’atelier dello scultore
a Zagabria, diventato un spazio
espositivo nel 1966 ed intitolato I Musei
di Ivan Meštrović. Tornando indietro
nel tempo, troviamo il maestro a Zagabria
nel 1932 impegnato a realizzare La
Pietà, La storia dei Croati, il monumento
di Andrija Medulić ed altri capolavori.
Spesso nelle sue opere si
riconosce il viso austero della madre
tanto amata, mentre una delle caratteristiche
evidenti delle sculture sono le
dita delle mani con la loro espressiva
bellezza. Il monumento al Milite Ignoto
sito sulla collina di Avala vicino a Belgrado
fu collocato nel 1938. Meštrović
divenne il membro dell’Accademia jugoslava
delle Scienze e delle Arti, a Zagabria.
Dal 1937 progettò: La casa delle
Arti figurative nella capitale croata, il
monumento a Ruđer Bošković, la chiesa
dedicata al re Zvonimir, la Chiesa della
Nostra Signora, ed altro. Restaurò le
ville rinascimentali acquistate a Spalato
dove ora si trova l’atrio e la Cappella di
Santa Croce chiamata anche Kaštelet-
Crikvine. La Cappella fu scelta per custodire
i bassorilievi con le scene della
vita di Gesù realizzati dal 1917 al 1954,
in legno. La Seconda Guerra mondiale
segnò l’inizio del periodo drammatico
per la famiglia Meštrović. Accusato di
collaborare con le forze straniere e nemiche,
lo scultore finì l’11 novembre
1941 nelle prigioni di ustascia a Zagabria.
Si salvò miracolosamente dall’esecuzione
e fu rilasciato il 13 gennaio
1942. In seguito, riuscì ad arrivare a Venezia
per partecipare alla XXIII Biennale.
Trovò l’ospitalità presso il
Pontificio Collegio Croato di San Girolamo
a Roma. Con le sue opere abbellì
il Collegio lavorando nell’atelier sito
nell’edificio. Nel Collegio sono conser-
La fontana della vita - 1905 - vienna - Atelier Mestrovic - zagabria
vate le preziose opere d’arte: La Pietà, i
bassorilievi di Sisto V e di San Girolamo
patrono dei Croati, il busto di Pio
XII, lo schizzo per il bassorilievo della
Madonna mediatrice di tutte le grazie,
insieme con le lettere dell’artista. Con
la famiglia lasciò Roma nel 1943 per
stabilirsi in Svizzera fino al 1946. Il difficile
periodo coincide con la grave malattia
del maestro che non riuscì a
spegnere la sua creatività. Dipinse le
tele a olio con i motivi sacri, ultimò i
bassorilievi in legno ispirati alla vita di
Gesù, scrisse il libro” Le conversazioni
natalizie” Il presidente della Jugoslavia
Josip Broz Tito lo invitò varie volte a
tornare in Patria ma, lo scultore sempre
rifiutò perché contrario ai metodi repressivi
del regime al potere. Nel 1947
Meštrović prese la decisione di trasferirsi
negli Stati Uniti a Syracusa, New
York, dove insegnò l’arte della scultura
presso l’Università. Le sue esposizioni
si inaugurano nelle città americane con
grande successo. L’Istituto per l’arte e
la letteratura dell’Accademia americana
lo accetta, tra i suoi membri. A Vienna
fu eletto come il membro onorario
dell’Accademia di Arte. Il romanzo autobiografico
“ Il fuoco e le ustioni” è
stato pubblicato nel 1953. Negli Stati
Uniti realizzò innumerevoli opere site
sul suolo americano oppure riportate in
Patria. Il presidente Dwight David Eisenhower
gli conferì personalmente la
cittadinanza americana nel 1954. La sua
ultima dimora fu dal 1955 a South
Bend, Indiana.. Negli anni successivi
insegnò la scultura religiosa presso
l’Università Notre Dame. Le onorificenze
come la Medaglia dell’Istituto
americano degli architetti, la Medaglia
d’oro per la scultura dell’ American Accademy
of Arts and Literature, il dottorato
onorario presso la Columbia
University a New York, consegnate all’artista
sono un meritato omaggio alla
sua invidiabile carriera. Nei mesi estivi
del 1959 visitò la Croazia accompagnato
dalla moglie Olga. Incontrò il
Maresciallo Tito a Brijuni e anche, nella
prigione il cardinale Alojzije Stepinac
prigioniero politico, in seguito proclamato
Beato dalla Chiesa cattolica. Un
altro capolavoro, la statua di Juraj Dalmatinac,
che costruì la cattedrale a Sebenico
fu eretta nel 1960 nella stessa
città. La vita di Meštrović lentamente ed
inesorabilmente si avviò verso la fine
che giunse il 16 gennaio 1962 a South
Bend. Nonostante i problemi con la salute,
il maestro rimasse sempre attivo
pubblicando anche un altro libro “ Le
memorie su uomini e avvenimenti politici”.
Ivan Meštrović riposa nel Mausoleo
della famiglia, ad Otavice Il cerchio
della sua eccezionale vita, dopo tanto
peregrinare si è chiuso nel punto di partenza,
un piccolo villaggio che ha visto
crescere un grande, geniale scultore. Le
sue splendide opere scultoree continuano
a vivere, ammirate nelle mostre
sparse nel mondo per non far dimenticare
il loro creatore che ha regalato ad
esse la vita eterna nel magico mondo
d’arte.
110
Galleria Ess&rrE
Porto Turistico di Roma - 00121 - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - loc. 876
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Logos Contemporary Art
dal 24 Marzo al 6 Aprile 2018
Lungomare Duca degli Abruzzi, 84
Lido di Ostia RM
(Porto turistico di Roma)
Vernice
Sabato 24 Marzo ore 16,00
Espongono:
Giuseppe Bedeschi, Dina Castagni Nascè, Mauro Malafronte, Elena Modelli,
Liscivia (Andrea Tabellini), Maurizio Pilò, Giovanni Scardovi,
Roberto Tomba, Guido Venturini, Mario Zanoni
La mostra è a cura di Marilena Spataro e di Alberto Gross
Giuseppe Bedeschi
Dina Castagni Nascè
Logos è parola infinita, eterna, terribile: infinita perché priva di
limiti, eterna perché continuamente mutando rinnova per sempre
il suo principio di autoaffermazione, terribile perché insondabilmente
oscura e indecifrabile. Una mostra d'arte che porti
questo titolo dovrà farsi carico di ogni ambivalenza, incontrollabile
contraddittorietà, di ogni continuato dissidio ed incoerente
ribaltamento di senso, conservando leggerezza di sguardo, maturità
percettiva e dolce mistero sognante.
Secondo le dottrine platoniche con il termine “logos” si definiva
infatti l'individuazione della differenza, del dettaglio, del
segno distintivo che definisce un oggetto nella sua identità, nella
sua realtà specifica.
Tra pittura e scultura la mostra si configura come un itinerario
a stazioni, a stasimi, molteplici e variegati stimoli in cui riconoscere
– di volta in volta – il carattere fondante ed imprescindibile
che informa il lavoro di ciascuno degli artisti selezionati.
Alberto Gross
Mauro Malafronte
Elena Modelli
Liscivia (Andrea Tabellini)
Maurizio Pilò
Giovanni Scardovi
Roberto Tomba
Guido venturini Mario zanoni
112
bIANcA SALLUSTIO
MOSTRA PERSONALE ALLA
MALINPENSA GALLERIA D’ARTE By LA TELACCIA
DAL 4 AL 14 APRILE 2018
“LA POTENzA vISIvA DELL’IMMAGINE RIvELA SENTIMENTO
DI COMuNICATIvA E STRAORDINARIA SENSIBILITà”
“U n oceano di plastica” - 2017 - O lio su tela - cm .100 x 70
Nelle opere dell’artista Bianca Sallustio coesistono meditazione, creazione ed uno slancio emozionale e spirituale
di potente umanità che effonde impegno ed un processo inventivo di precisa tematica e risonanza di contenuto.
Il filo creativo, la profonda sensibilità e le incessanti significazioni sull’essere umano risultano coerenti
di un tessuto pittorico immutabile di fascinosa liricità e di mirata scansione d’inventiva. La forza dirompente
delle sue iguane vive di un’atmosfera lirica sognante di notevole evoluzione, dinamica operazione estetica e di
una matrice autentica sia nell’aspetto esistenziale che di tensione vitale. La meditazione esistenziale è un punto
di forza nell’opera della Sallustio ed è capace di muovere l’animo del fruitore con un’autentica potenza visiva
in bilico tra fantasia e realtà. La Sallustio, che dipinge con un’intima essenza compositiva e con un mirabile risvolto
di schiettezza d’animo, trasfonde nel suo dipinto una continua linea descrittiva di precisa valenza simbolica
tanto da evidenziare un racconto di notevole qualità espressiva. La ricerca ampia e vibratile delle sue iguane
ottiene una cromaticità sapiente di assoluta padronanza dei propri mezzi ed impronta personale.
Monia Malinpensa Art Director - Giornalista
MOSTRA, cATALOGO E PRESENTAzIONE A cURA DI MONIA MALINPENSA
REFERENzE E QUOTAzIONI PRESSO LA MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELAccIA
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel +39.011.5628220 - +39.347.2257267
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MUG
Museo Ugo Guidi dal 4 al 27 Marzo 2018 in mostra
Nan Yar
e dall’8 aprile al 3 maggio
Dimitri Kuzmin
a cura di Vittorio Guidi
L ’
attività culturale ed espositiva
al Museo Ugo
Guidi di Forte dei Marmi
continua nella primavera
2018 con due importanti
mostre e l’appuntamento del FAI per
le Giornate di Primavera.
Dal 4 al 27 marzo 2018 sarà allestita
nelle sale del museo e al Logos Hotel
la mostra della pittrice belga Nan Yar.
La mostra sarà curata da Massimo Pasqualone
e Vittorio Guidi con la direzione
artistica di Rosaria Piccione.
Successivamente le opere di Nan Yar
saranno esposte in un tour italiano già
calendarizzato comprendente Roma,
Taranto e Civitella del Tronto, con il
patrocinio del MUG. Un breve stralcio
della presentazione del Prof. Massimo
Pasqualone evidenzia che: “La
cifra stilistica di Nan Yar risiede nella
capacità che l’artista belga ha di tirare
fuori dall’anima le emozioni e di trasformarle
in visioni, contemplazioni,
da un lato, lo scontro cromatico che
produce immagini finanche oniriche,
dall’altro un’attenzione alla figura
femminile che diventa simbolo, si fa
a volte bellezza, a volte storia, a volte
eternità, mai dimentica dell’approccio
gnoseologico e filosofico che ogni
opera d’arte deve avere.” Questo anno
Il FAI – Fondo Ambiente Italiano –
tramite la sezione della Versilia invita
alla visita guidata del Museo Ugo
Guidi di Forte dei Marmi, casa della
memoria della Regione Toscana e inserita
nelle Case Museo in Italia. Il
FAI per le Province di Lucca e
Massa-Carrara, promuovendo la figura
del letterato Mario Tobino, ha invitato
il MUG a trovare un riferimento
artistico, culturale e letterario
tra Viareggio e Forte dei Marmi a testimonianza
del periodo del secondo
'900 nel quale Mario Tobino (1910-
91) e Ugo Guidi (1912-77), coevi,
hanno vissuto. Nello spirito della promozione
espositiva di opere d’arte
portata avanti dal 2007 nel Museo per
l’occasione una sala è stata dedicata
all’artista fotografo Sergio Fortuna
che ha reinterpretato con la sua arte
gli ambienti dell’Ospedale psichiatrico
di Maggiano e per l’evento specifico
del FAI ha creato anche un
rapporto fotografico immaginifico tra
Mario Tobino e Ugo Guidi. Nella sala
si produce un duplice effetto sia letterario,
perché una vetrina testimonia
l’ambiente letterario del periodo, che
artistico in quanto pur non essendoci
collegamenti diretti tra le sofferenze
dei malati dell’Ospedale dei Pazzi e
le drammatiche opere dell’ultimo periodo
di Guidi si può osservare quale
trasformazione la sofferenza psichica
116
e fisica può generare in un uomo. Pertanto
l’esposizione favorisce la comprensione
di un periodo culturale e
letterario della costa viareggina e versiliese,
nella quale i due protagonisti
delle Giornate di Primavera FAI pur
viaggiando su linee parallele non hanno
avuto modo di conoscersi e apprezzarsi
reciprocamente ma restano
entrambi testimoni di quel periodo artistico.
Contemporaneamente nelle sale
di Maggiano saranno esposte alcune
tempere di Guidi in un drammatico
muto rapporto tra “Il Grido”, sue
opere dell’ultimo periodo, testimoni
della sue sofferenza fisica, e l’ambiente
dell’Ospedale Psichiatrico in
cui avevano riecheggiato gli strazianti
lamenti dei malati psichici: due a-
spetti delle sofferenze umane. La visita
guidata sarà effettuata sabato 24
marzo con orario 14:30 - 19 e domenica
25 marzo dalle 11 alle 19 con
spiegazione della sala Tobino/Guidi/
Fortuna e del Museo con la delegazione
FAI di Lucca e Massa - Carrara
unitamente all’Istituto Chini di Lido
di Camaiore e Liceo Michelangelo di
Forte dei Marmi sotto la direzione dei
volontari del FAI. Dall’8 aprile al 3
maggio 2018 il MUG presenterà la
137a mostra dell’artista russo Dimitri
Kuzmin, pittore, decoratore, argentiere
e restauratore. La mostra sarà introdotta
da Vittorio Guidi, curatore
del Museo e presentazione di Giuseppe
Joh Capozzolo del quale si riporta
un estratto:
“L'arte di Dimitri Kuzmin è diretta
espressione di un profondo senso di
spiritualità che permea l’attività creativa
come ogni altro aspetto della sua
quotidianità. Anche il modo di essere,
discreto, misurato, votato alla serafica
accettazione della Vita e del suo destino,
costituiscono indizio di una dimensione
mistica che riesce a sovrastare
persino la fisicità possente di
Dimitri. E’ una spiritualità che si e-
sprime sicuramente con le raffigurazioni
di Arte Sacra, in particolare le
icone di cui Dimitri Kuzmin è maestro
iconografo, ma anche con le diverse
rappresentazioni figurative che
l’artista affronta con un approccio
che, ricordando a tratti il Canaletto
per la resa atmosferica e per la scelta
delle particolari condizioni di luce
delle vedute veneziane, tende ad esaltare
cromie parimenti presenti nell’arte
religiosa orientale come in quella
medievale occidentale le quali svelano
simbologie direttamente riferite
ai colori dei pigmenti variamente impiegati.”
MUSEO UGO GUIDI - MUG
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Forte dei Marmi
tel. 348-3020538
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TIzIANA TREzzI
MOSTRA PERSONALE ALLA
MALINPENSA GALLERIA D’ARTE By LA TELACCIA
DAL 18 AL 28 APRILE 2018
“L’ESISTENzA uMANA IN vESTE SuRREALE”
“La stanza” - 2017 - acrilico su tela - cm .100 x 100
Quando alla realtà si accosta la fantasia si sprigiona un ritmo avvolgente per forma, struttura, sensazioni e continuo
sentimento, il tutto valorizzato da una sapiente ed equilibrata distribuzione degli spazi, colori e volumi di propria passione
e talento. un’ armonica ed autonoma interpretazione, proiettata verso il futuro, traduce così l’operare dell’artista
Tiziana Trezzi che, con una sincera ed acuta sensibilità, estrae dalla figura femminile una comunicativa immediata di
vivace dinamicità. Il gioco delle luci, che si crea sulla superficie della tela, assume un ruolo fondamentale nell’opera,
mentre la luminosa atmosfera chiaroscurale mette in risalto un profondo studio per una compositiva elegantemente
compiuta di chiara introspezione psicologica
Monia Malinpensa Art Director - Giornalista
MOSTRA, cATALOGO E PRESENTAzIONE A cURA DI MONIA MALINPENSA
REFERENzE E QUOTAzIONI PRESSO LA MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELAccIA
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118
Le suggestive
statuine Lenci al MIc di
Faenza
Dal 4 Marzo al 3 Giugno 2018
in mostra 150 sculture in ceramica
della storica manifattura torinese
provenienti dalla collezione
Gabriella e Giuseppe Ferrero
di Marilena Spataro
Un tuffo nel passato.
In quell'Italia del
primo Dopoguerra
che amava sognare
all'insegna della bellezza
e del buongusto. Una mostra,
quella in corso dallo scorso
4 Marzo al MIC di Faenza,
sulle sculture ceramiche della
famosa azienda Lenci di Torino,
dove la moda e il costume
di un tempo si coniugano a un
sapiente design e a una gradevole
estetica della forma.
Realizzata a cura di Valerio
Terraroli e di Claudia Casali,
con la collaborazione di Stefania
Cretella e Maria Grazia
Gargiulo, la rassegna faentina
mette in mostra ben 150 opere
provenienti dalla Collezione
Giuseppe e Gabriella Ferrero,
la più importante e ricca collezione
dedicata alla gloriosa manifattura
torinese, a cui si
aggiungono, per un confronto,
alcuni esemplari della Manifattura
Essevi (che ne imitava lo
stile, fondata nel 1934 da Sandro
Vacchetti, fuoriuscito dalla
Lenci).
La Manifattura Lenci nacque su
iniziativa di Enrico Scavini e
della moglie Elena König Scavini
nel 1919 per produrre bambole
e "giocattoli in genere,
mobili, arredi e corredi per
bambino", ma anche un particolare
tessuto per arredi, arazzi,
bambole conosciuto, appunto,
come “pannolenci”.
Nel 1927 l’azienda decise di
aggiungere a quella produzione
una linea di piccole figure e oggetti
in ceramica smaltata,
dando vita, a partire dal 1928,
ad un ricchissimo catalogo di
sculture d'arredo e oggetti,
quali vasi, scatole e soprammobili
in terraglia fatta a stampo e
dipinte che divennero immediatamente
di moda tra la piccola
e media borghesia italiana. Per
raggiungere lo scopo e conquistare
un largo mercato, la manifattura
Lenci si avvalse della
collaborazione creativa di importanti
artisti torinesi come
Sandro Vacchetti, Gigi Chessa,
Mario Sturani, Abele Jacopi,
Regime secco
Vaso concerto
La piccola italiana
Ai monti
Bimba e mastello
Ines e Giovanni Grande, Felice Tosalli, ma
anche la stessa proprietaria, Elena König
Scavini, alla quale si deve la fortunata serie
delle “Signorine”: fotografia al femminile
della piccola borghesia torinese dei pieni
anni Trenta.
Le sculture ceramiche di Lenci traevano
ispirazione dalle contemporanee riviste di
moda, tra scene di costume e figure di giovani
donne accattivanti e maliziose, raccontando
il gusto di un’epoca e di una società.
Donne sportive, attrici, ma anche scene galanti,
balli di coppia, temi rurali e mitologici,
favole, grotteschi e buffi bambini, nudi
femminili al limite del lezioso e donne giocosamente
provocanti, accanto a Madonne
con Bambino, delicate e rassicuranti, sono il
repertorio visivo di una collettività in bilico
tra le alterne vicende storiche del Ventennio,
status symbol immancabili nei salotti della
borghesia italiana. Allo stesso tempo Lenci
è stata un'importante realtà industriale ed
economica e una straordinaria avventura artistica
capace di guardare ad esempi europei,
come le Wiener Werkstätte di Vienna e le
porcellane tedesche e danesi, e di competere
a livello internazionale con le maggiori manifatture
ceramiche.
La mostra è realizzata con il contributo della
Regione Emilia Romagna e con il patrocinio
del Comune di Faenza.
Il catalogo è edito da Silvana editoriale in
italiano e in inglese.
INFO MOSTRA:
LENCI, collezione Giuseppe e
Gabriella Ferrero
Dal 4 marzo al 3 giugno 2018
MIC - Museo Internazionale delle
Ceramiche in Faenza, Viale Baccarini
19, Faenza (Ra)
Apertura: Fino al 31/03 dal martedì
al venerdì 10-16 e sabato, domenica e
festivi 10 – 17.30.
Chiuso il lunedì. Dal 1/04 dal martedì
alla domenica e festivi 10-19.
Lignano Sabbiadoro.
cellini e la performance
che apre l’autunno
a cura di Lara Petricig
25 Marzo 421 d.c. - 2017
Nelle sue performance c’è rievocazione, immaginazione e forse,
un modo per rimettere in moto i nostri sensi…
Ci sono sentimenti che prendono
in prestito una forma. Il risultato
finale si trova sulla tela
dove Daniele Cellini ricostruisce in
qualche modo la sua mappa emotiva.
Un esercizio complesso dove la forma
organica impanata di colore è lanciata
nell’aria e fatta vibrare dagli sguardi,
dalla musica e dallo scorrere del tempo.
Siamo nella splendida Lignano
Sabbiadoro, le vetrate del Beach Restaurant
trasmettono la forza del mare
e l’artista sta per iniziare la sua performance.
Cellini, qual è stato il tuo primo
quadro?
Tutto è cominciato per caso. Una notte
mi ero svegliato perché avevo fame
e aperto il frigo avevo trovato una
mortadella intera che forse era lì da
troppo tempo. Tagliandola a fette mentre
constatavo che non era commestibile,
osservavo le fette appoggiate sul
piatto: lasciavano un alone di grasso
sulla ceramica bianca... Ho preso qualche
tubetto di colore acrilico e una
vecchia tela 70x50 messa in piedi
sopra due sedie e ho cominciato a lanciare
le fette dall'alto verso il basso.
Tolte poi con uno stuzzicadenti, l'effetto
che volevo dare era riuscito perfettamente
ricreando un fiore stilizzato.
“Fiore di Mortadella” è stato
il primo quadro realizzato con una
tecnica divertente che nemmeno io
sapevo cosa fosse. Tutta l'evoluzione
122
Apoteoza - 2016 - acrilico su tela, tecnica mista
con bucce di banana -cm. 100 x 150
Dedalus - 2015 - tecnica mista
avuta successivamente mi ha portato
a mettere verticalmente le tele e a
lanciare il cibo avanzato che trovavo,
sempre ovviamente ricoperto di colore.
Parlami del cibo.
Innanzi tutto ha un significato simbolico,
è l’archetipo. Ed è la mia partenza.
Considera che lo spreco del
cibo non l'ho mai sopportato, quindi
il cibo che utilizzo è di scarto e di
cosa si tratta non lo decido mai. Ciò
che trovo è ciò che dovrò usare per
fare il quadro. Il macellaio sotto casa
e il pub degli amici diventano fornitori
di scarti alimentari, scarti di lavorazione
e cibo destinato ad essere
buttato: bucce di banana e di piselli,
reni e coda di maiale, testa di gallinella,
pelle e grasso di pollo. Materiale
organico di recupero con il quale
nel tempo ho sperimentato “lanci”,
“forme” e “quantità” per poter entrare
in simbiosi con tutta la tecnica. Anche
se nel tempo ho scoperto che spaghetti
e bavette si lasciano sedurre dal
gesto e sono ciò che di più spettacolare
posso utilizzare per ricostruire
sulla tela le mie sensazioni.
Parli di sensazioni e simbiosi e di
arte vissuta come esperienza. Sei all’interno
dell’intuito e della percezione
dei sensi, come vivi questa tua
performance, riesci a descriverla?
La mia esperienza si avvale di una superficie
rigida che faccia resistenza,
Daniele Cellini durante una performance nel 2015
Fratello Angelo - 2013 - acrilico su tela, tecnica mista
con reni di maiale, bucce di banana e bavette - cm 50x70
Suino, 2017, cm 100x100, acrilico su tela, tecnica
mista con grasso, pelle e coda di maiale
dove mettere la tela. La tela è
preparata precedentemente con
immersione in acqua. Il colore
che utilizzo è acrilico e lo coinvolgo
direttamente con la materia-cibo
mescolandoli con le
mani sui piatti. Il cibo viene lavorato
durante l’esperienza creativa
e a questo punto nasce
l’azione: il gesto accompagnato,
stimolato o ritmato dalla
musica. Il lavoro e la performance
stessa sono finiti quando
termina la musica che dura
venti o quaranta minuti.
Ho notato che il gesto del lancio
è esercitato sia con la
mano destra che con quella
sinistra. Cos’è il lancio e perché
il lancio e non il pennello?
Il lancio è un’espressione diretta,
il pennello indurrebbe ad
un’esperienza riflessiva, meno
124
Per Lara DC LP
immediata e meno fisica. La
tela non è più lo spazio dove
progetto l’opera bensì il luogo
dove agiscono le pulsioni.
E’ un modo per conoscere
me stesso.
Dove sta il confine tra consapevolezza
e automatismo?
L’opera nasce inizialmente
come manifestazione della
mia interiorità, del mio sentire,
ma dal momento del
lancio il risultato è poi casuale.
Il confine è netto perché
ogni volta che realizzo
un’opera non so mai il risultato.
Se sento di dover lanciare
il colore giallo non so
esattamente dove e non so la
grandezza della materia-cibo
che andrò ad utilizzare,
so solo che desidero mettere
“tanto o poco” in base all’emozione
del momento. E
poi il cibo scende dalla tela;
scivola e cade, rotola, si ferma
resta aderente, dipende.
Con la tela hai un dare e un
avere, il buon esito è l’armonia.
Eventi recenti a cui hai
partecipato.
L’Expo Venice di ottobre
2015, evento collaterale di
Expo Milano, dove dopo la
performance le opere sono
rimaste esposte nel padiglione
per sessanta giorni.
Nell’agosto 2016 ho presentato
la mia tecnica al Congresso
Internazionale di Filosofia
in lingua francese a
Iasi in Romania.
I Tesori del Borgo
Modigliana: nel cuore della Romagna,
tra arte, storia, antiche tradizioni,
leggende e bellezze naturali
di Alba Maria Continelli
Modigliana - Museo Civico "Casa di Don Giovanni Verità": Cimeli garibaldini.
Collocata in un'ampia
conca nella media Valle
del Tramazzo, fra le verdi
colline dell'Antiappennino
Romagnolo, attraversata
da tre torrenti, Modigliana
vede i primi insediamenti 3.000 anni
A.C.
Abitata dagli Umbri poi dai Celti, fu
la romana Castrum Mutilum, citata
da Tito Livio a proposito della grande
battaglia, in cui una legione romana
fu sconfitta dai Galli Boi; fu la medievale
Mutilgnano, che vide nascere
ed espandersi la potentissima dinastia
dei Conti Guidi, i cui membri sono
citati in diversi canti della Divina
Commedia. Con una insurrezione popolare,
i Modiglianesi cacciarono
l'ultimo dei Guidi nel 1377 e si costituirono
in Libero Comune, dandosi in
accomandigia a Firenze. Da quel momento,
e fino al 1922 (quando la cittadina
è passata alla provincia di
Forlì-Cesena), le vicende di Modigliana
si intrecciano con quelle della
città toscana, che per molti secoli ne
influenzò la cultura, le architetture ed
il paesaggio.
A partire dal 1200 per 4 secoli, Modigliana
ospitò, nonostante il divieto
della Diocesi di Faenza, un gruppo di
ebrei, che si erano insediati nell'odierna
via Silvestro Lega, un
ghetto di cui restano ancora tracce, e
dal quale derivano i cognomi di Modigliani
e Modiano (portati da uomini
illustri e Premi Nobel di origine
ebraica).
Nel 1800 la cittadina, eletta “città nobile”
dal Granduca di Toscana, vive
un periodo di intensa attività economica,
culturale, religiosa e patriottica.
Tra i personaggi nati a
Modigliana, in questo secolo spiccano,
Silvestro Lega e Don Giovanni
Verità.
Silvestro Lega, il famoso Maestro
della Macchia, nasce a Modigliana
nel 1826. Divenuto adolescente, insieme
con i suoi coetanei, vede nel
sacerdote patriota, don Giovanni Verità,
una sorta di padre putativo che li
affascina con i suoi ideali e le sue
azioni. S.Lega si dichiarerà sempre
“ateo e repubblicano” ma il suo legame
con Don Giovanni sarà sempre
indissolubile ed il ritratto del sacerdote,
eseguito poco prima della sua
morte nel 1885, è l'opera che il pittore
ebbe più cara e non volle mai
vendere (questo capolavoro è, insieme
ad altri, esposto nella Pinacoteca
Civica di Modigliana). Comunque
Modigliana e gli ideali repubblicani
nutrirono l'anima ed
anche l'arte di uno dei più famosi pittori
dell'800 italiano ed europeo.
Ogni anno, la terza domenica di settembre,
si svolgono le “Feste dell'800”,
dedicate al pittore Silvestro
Lega: l'aspetto più caratteristico e peculiare
di questo evento sono i Quadri
Viventi, riproduzioni straordinarie
di numerosi dipinti del famoso Maestro
della Macchia, realizzati da personaggi,
scelti per la incredibile
somiglianza con quelli rappresentati
nelle opere. Modigliana vede rivivere
la città ottocentesca: quasi tutti i pae-
126
Modigliana – Piazza Pretorio: Arco d'entrata
Modigliana - Museo Civico: Esterno
sani e molti visitatori si vestono con
abiti dell'800, si rappresentano eventi
significativi legati a quel particolare
momento della storia del paese, il
tutto accompagnato da musiche, intrattenimenti
ed assaggi della tipica
gastronomia modiglianese ottocentesca.
Don Giovanni Verità fu un discusso
sacerdote e coraggioso patriota risorgimentale
di Modigliana (a cui la sua
cittadina ha dedicato un monumento
ed il Museo Civico) che, nell'epoca
dell'insanabile conflitto fra il Papa
Re ed i Progressisti, fu insieme buon
sacerdote, non tradendo mai la sua
missione pastorale, e attivo patriota
contro il potere temporale dei Pontefici.
Don Verità fu legato da profonda
amicizia a Giuseppe Garibaldi cui
diede sostegno e ospitalità in varie
occasioni. Oggi la sua casa è visitabile:
c'è la camera da letto, dove Garibaldi
“per la prima ed unica volta
(come lui stesso ebbe a dire) dormì
nel letto di un prete”, c'é la cucina
con il pozzo, attraverso il quale i patrioti
in fuga passavano nella casa vicina,
al primo allarme di un'ispezione
da parte delle guardie, ci sono oggetti
appartenenti al sacerdote (come il
suo fucile, il suo cappello, la sua
pipa......), c'è lo scialle di Anita, lasciato
da Garibaldi in custodia al suo
salvatore. La storia di Modigliana
lunga e complessa, ricca di eventi
importanti e personaggi illustri, è testimoniata
anche da prestigiose architetture,
suggestivi paesaggi ed un
ricco patrimonio artistico e culturale.
Nel “borgo vecchio”, chiuso da mura
cinquecentesche, costruite dai Medici
di Firenze, con il torrione sormontato
dall'originale Tribuna (due campanili
laterali), si susseguono tre piazze,
dominate dall'alta visione della Rocca
dei Conti Guidi, e ricche di importanti
edifici civili e religiosi, risalenti
ai secoli XIV, XV, XVI, XVII come
Palazzo Boccine, Palazzo Papiani,
Chiesa di San Domenico, Chiesa di
San Sebastiano e Rocco Palazzo Borghi
e Palazzo Pretorio. Palazzo Pretorio
è un edificio di tipo toscano
trecentesco, che fu residenza dei Podestà
inviati da Firenze; oggi ospita
la Pinacoteca Civica di Arte Moderna
e l'Archivio Storico. Anche Palazzo
Borghi ha origini antiche (fu forse residenza
dei Conti Guidi) nonostante
la facciata 500esca. Entrambi questi
edifici sono legati ad una nota “leggenda”
che forse leggenda non è. Si
narra che nel 1773 il Conte Pompeo
Borghi ospitasse nel suo palazzo una
nobile coppia, che si faceva chiamare
Joinville, anche se i coniugi appartenevano
alla famiglia D'Orleans ed
erano Luigi Filippo Egalité e la consorte
incinta. Quasi di fronte, nel Palazzo
Pretorio, abitavano Lorenzo
Chiappini, carceriere, e la moglie anch'ella
incinta. Il 6 aprile la signora
D'Orleans partoriva una femmina e
quasi contemporaneamente la moglie
di Chiappini un maschio. Gli Orleans
erano pretendenti al trono di Francia
e comunque, anche per ragioni ereditarie,
avevano la necessità di un discendente
maschio, che non avevano
ancora avuto, per cui avvenne il “baratto”;
il bambino “scambiato”, nel
1830, salirà al trono di Francia con il
nome di Luigi Filippo. Maria Stella
Chiappini (la bambina scambiata), la
cui educazione ed i due matrimoni
principeschi, sembravano già comprovare
le sue origini, spese gran
parte della sua esistenza e tutto il suo
ricco patrimonio per vedere riconoscere
la sua vera nascita. Lo stesso
tribunale ecclesiastico di Faenza,
esaminate le prove e sentiti i testi-
Modigliana - Via Saffi: Casa natale del pittore Silvestro
Lega e del soprano Pia Tassinari
Modigliana - Parco naturale comunale: "Tenuta Montebello"
Modigliana: La Tribuna, sullo sfondo la Rocca
dei Conti Guidi
Modigliana - Parco naturale comunale: "Tenuta Montebello"
moni, sentenziò in suo favore. Ma
tutto fu messo a tacere quando il presunto
figlio di Chiappini divenne Re.
Tuttavia la storia di Maria Stella,
nella prima metà dell'800, riempì le
pagine dei giornali di tutta Europa e
fu anche rappresentata nei teatri. In
questa parte del paese, si possono
ammirare anche interessanti manufatti
in ferro battuto (di antica tradizione).
Anche il cosiddetto “borgo nuovo”
sorprende il visitatore con i suoi palazzi
(come Palazzo Calubani, la casa
di Silvestro Lega e la casa di Don
Giovanni Verità), le sue chiese (la barocca
chiesa delle Agostiniane, la seicentesca
chiesa della S.S. Trinità, la
cripta dell'antica Pieve con un inconsueto
compianto 400centesco in
legno nei territori della ceramica
ecc......), il suo corso ottocentesco di
epoca napoleonica che rievoca quelli
francesi e termina anch'esso con un
“parterie”. Restano anche le vecchie
filande ed il “pavaglione”, dove si
svolgeva il mercato della seta la cui
produzione, fiorente a Modigliana fin
dal 1210, vede nell'800 la prima filanda
a vapore della Romagna Toscana.
Interessante ancora l'area di San Donato,
che ospitò un antico convento
caro a S. Pier Damiani e che mantiene
ancora un ponte a schiena
d'asino di foggia medievale, ma ricostruito
nel 1700. Tanti angoli di pregio
sono stati rappresentati da S.
Lega nelle sue opere.
Modigliana ha due importanti sedi
museali:
Museo Civico “Don Giovanni Verità”-
Collocato nella casa dove nacque
e visse Don Giovanni Verità,
tipico esempio di abitazione borghese
dell'800, ospita una sezione dedicata
al Risorgimento, a don Giovanni ed
al suo stretto rapporto con Garibaldi;
un'altra è dedicata alla Resistenza nel
territorio, una terza contiene una raccolta
di armi ed una quarta i ricordi
del famoso soprano Pia Tassinari
(nata a Modigliana nel 1903 nella
stessa casa in cui venne alla luce Silvestro
Lega).Una sezione archeologica
raccoglie i numerosi reperti
trovati nel territorio modiglianese.
Pinacoteca Civica di Arte Moderna
“S. Lega” - nata nel 1999 per accogliere
il ricco patrimonio pittorico,
prima disperso in varie sedi, si trova
in Piazza Pretorio (che è stata definita
la più bella piazza medievale
della regione Emilia Romagna), nello
storico Palazzo Pretorio, ed espone
più di 150 opere di artisti importanti
che segnarono l'800 e il 900 fino ai
giorni nostri: da S. Lega a G. Alviani,
da A. Spadini a C. Pozzati, da F. Micheli
a E. Vedova; la Pinacoteca presenta
un ampio panorama ricco e
significativo, che sorprende sempre il
visitatore incredulo nel trovare opere
tanto importanti in una cittadina di
provincia. Le sedi museali sono
aperte la domenica da aprile a settembre
ma anche su appuntamento negli
altri giorni della settimana e in tutte
le stagioni. Nella stessa Piazza Pretorio,
si trova l'ex Chiesa di San Rocco
(sec. XVIII) dove officiava Don Giovanni
Verità; oggi Sala P. Alpi, durante
l'anno ospita mostre di
significativo spessore.
Modigliana offre ai visitatori anche
una “foresta didattica” di oltre 300 ha
di natura alle pendici dell'Appennino
Romagnolo; è una foresta con specie
arboree provenienti da tutti i continenti
ed oasi faunistica con 22 km di
percorsi attrezzati per escursioni a
piedi, a cavallo ed in mountain bike.
128
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