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Jolly Roger_01_04

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acconti<br />

racconti<br />

di un reale vaso da piante, una seggiola ottenuta<br />

incollando insieme segmenti di stuzzicadente era<br />

un vero e proprio scranno.<br />

Una moltitudine di persone gremiva il locale. Riconobbi<br />

i colleghi prestanti servizio nel palazzo<br />

in cui lavoravo, o piuttosto i loro doppi, appartenenti<br />

a quel mondo di “sogno” sulla cui natura<br />

iniziavo tuttavia a nutrire seri dubbi (come peraltro<br />

sulla mia sanità mentale).<br />

La folla si divise per far passare Otis. Procedeva<br />

eretto come un cazzo, i macropiedi sbatacchianti<br />

sul pavimento di piastrelle.<br />

Quindi alzai gli occhi e la vidi, la donna più grassa<br />

del mondo, una maledetta balena, una cloaca<br />

fottuta: Wendy Sue.<br />

A qualche metro dai questuanti, giaceva semisdraiata<br />

in un’alcova da casa di bambola dalle<br />

dimensioni titaniche. Anch’ella era più grande,<br />

lievitata a dismisura, rosea e nuda come una maialina<br />

da latte. Lungo le membra e il busto, lo<br />

sguardo si perdeva su rotoli e rotoli di carne.<br />

Prostratosi al suo cospetto, Otis ficcò tra le cosce<br />

impossibili di lei la zucca lustra, che inghiottita<br />

da tutto quel grasso svanì completamente. Ancora<br />

una volta, gli occhi dalle lunghe ciglia che<br />

aveva tatuati sulle natiche parvero ammiccare:<br />

ebbi la curiosa e affatto rassicurante sensazione<br />

che, tra i presenti, stessero guardando me.<br />

Dopo un breve lasso di tempo la testa del disgraziato<br />

ricomparve con un sonoro “PLOP!”<br />

Le iridi cerulee animate da una gioiosa scintilla<br />

di follia, Otis volse lo sguardo alla platea mentre<br />

una serie di spasmi violenti ne scuoteva l’addome<br />

a forma di melanzana.<br />

Vomitò.<br />

Una, due, tre per volta, rigettò una moltitudine di<br />

Jon Leka si muoveva silenzioso come un gatto<br />

nero in una notte senza luna.<br />

Scivolava liquido lungo la parete a bugnato della<br />

Quel che è fatto è reso<br />

di Tamara d’Onofrio<br />

palline di pelo, perfettamente sferiche, intrise di<br />

muco e succhi gastrici. Come fanno i gatti.<br />

COME FANNO I GATTI! Basta!<br />

Cercai di svegliarmi con tutto me stesso ma, indovinate<br />

un po’? Nisba!<br />

Wendy Sue, imperturbabile, s’infilò una mano<br />

tra le chiappe.<br />

Quando questa ricomparve, stringeva tra le dita<br />

paffute una fulva coda tigrata.<br />

Wendy Sue aveva la coda?<br />

No. Wendy Sue si cavò un gatto soriano dal culo.<br />

La bestia roteò le iridi giallastre e, mentre sua<br />

“madre” la sollevava alta sulla testa, cosicché<br />

ognuno potesse contemplarla, emise un acuto<br />

miagolio.<br />

«WENDY-SUE! WENDY-SUE!» salmodiavano<br />

i fedeli.<br />

Ma alle mie orecchie, ormai, suonava: «CTHUL-<br />

HU!»<br />

Mi svegliai coperto di sudore, corsi in bagno e,<br />

manco a dirlo, vomitai. Per fortuna, non palline<br />

di pelo.<br />

Ce ne volle per presentarmi al lavoro, la mattina<br />

dopo.<br />

Diretto al mio ufficio, passai, come ogni giorno,<br />

davanti a quello di Wendy Sue, la cui sagoma<br />

assisa spiccava in controluce innanzi alla finestra<br />

che dava sulla strada.<br />

Al solito, ci ignorammo a vicenda.<br />

Ma non appena fu al di là della mia visuale periferica,<br />

giurerei di averla sentita dire: «Meow.»<br />

Mi piacerebbe potervi dire che mi licenziai il<br />

giorno stesso, che ho aperto un bar alle Canarie e<br />

quel cazzo di ufficio non è che un lontano, sgradevole<br />

ricordo.<br />

Mi piacerebbe proprio.<br />

villetta circondata dal giardino ben tenuto, sulle<br />

colline che sovrastavano la città con un profilo<br />

dolce ed armonioso.<br />

Ricordava bene quel posto: lo aveva visto durante<br />

il giorno una mattina di sei mesi fa, ma da<br />

allora non ne aveva dimenticato nemmeno un<br />

particolare, anzi: più ritornava sul luogo con gli<br />

occhi della memoria e più il quadro si faceva dettagliato,<br />

includendo ogni volta qualche elemento<br />

in più.<br />

Ricordava la bella moglie dell’Architetto Boni<br />

mentre lo guardava con occhi pervasi di speranza,<br />

torcendosi nervosamente le dita affusolate<br />

davanti alla camicetta Versace che conteneva a<br />

stento un seno sodo e prorompente.<br />

Ricordava anche di come avrebbe voluto slacciare<br />

i piccoli bottoni di madreperla e affondare la<br />

faccia in quel bendidio scolpito da madre natura<br />

e cesellato ad arte da qualche costosissimo chirurgo<br />

estetico.<br />

Ma non si faceva illusioni: quella era la moglie<br />

dell’Architetto e lui era un albanese arrivato in<br />

Italia su un cazzo di gommone quasi sgonfio<br />

che rischiava di capovolgersi anche in mezzo<br />

all’Adriatico più piatto che ricordasse. E poi aveva<br />

addosso i vestiti da lavoro. E puzzava. Puzzava<br />

come una carriola di letame.<br />

No: lei non lo avrebbe mai degnato di uno sguardo<br />

se non fosse stato per il bisogno impellente<br />

del suo intervento professionale... e anche in quel<br />

caso la patina di disgusto che velava lo sguardo<br />

apprensivo della donna lasciava poco spazio<br />

all’immaginazione e alla speranza.<br />

«Troia!» sussurrò Jon mentre aggirava in silenzio<br />

assoluto il tubo di una grondaia posto sullo<br />

spigolo del muro in pietra.<br />

Scivolò lungo tutta la parete e raggiunse l’angolo<br />

successivo, quello che lo avrebbe portato alla<br />

parete est, dove si apriva la grande veranda posta<br />

davanti a cucina e sala da pranzo.<br />

Ricordava quegli ambienti.<br />

Li aveva visti solo dall’esterno, attraverso le<br />

grandi vetrate di cristallo antiproiettile, ammirando<br />

non senza una punta di invidia gli arredi<br />

essenziali e ben disposti.<br />

Non aveva osato entrare.<br />

Mobili costosi, molti dei quali realizzati sicuramente<br />

su misura.<br />

Dall’arredamento si capiva che Boni era un architetto<br />

abituato a lavorare per clienti molto ricchi.<br />

Dal pezzo di fica che aveva come moglie si capiva<br />

che anche lui, brutto, grasso e dai modi tutt’altro<br />

che gradevoli, non se la passava proprio male!<br />

Aveva delegato a lei la parte dei convenevoli, limitandosi<br />

a poche brusche indicazioni su come<br />

il lavoro andasse portato a termine, poi, mentre<br />

Jon lavorava sudando come un maiale e rendendosi<br />

sempre più impresentabile, l’Architetto gli<br />

era passato accanto con il telefono appiccicato<br />

all’orecchio, sbraitando come un pazzo, dirigendosi<br />

verso il garage e riemergendone subito dopo<br />

a bordo del Range Rover lanciato verso il grande<br />

cancello automatico che si stava dischiudendo<br />

come le Nebbie di Avalon.<br />

Era stata l’ultima volta che Jon Leka aveva visto<br />

l’Architetto Boni.<br />

Una volta portato a termine il lavoro, sempre più<br />

sporco, sudato e puzzolente, si era avvicinato<br />

alle grandi vetrate azzardando un «Signora?..»<br />

al quale era seguito un ritmato rumore di tacchi<br />

e l’apparizione della Signora Architetto sempre<br />

più desiderabile e sempre più schifata.<br />

«Io qui ha finito» aveva balbettato Jon vedendo<br />

crollare definitivamente il mito dell’operaio che<br />

nei film porno finiva sempre per trombare la bella<br />

padrona di casa come una trivella industriale,<br />

facendola venire un numero imprecisato di volte<br />

e glassandole il bel volto fresco di estetista come<br />

un bigné alla crema «Le fa conto adesso...»<br />

Ma lei aveva alzato una mano con alterigia troncando<br />

il suo italiano approssimato.<br />

«Parli con mio marito» aveva detto il troione «Io<br />

non mi occupo di soldi».<br />

“Già, tu li spendi e basta, baldracca di merda”<br />

aveva pensato Jon sfoderando l’umile sorriso<br />

che riservava a circostanze di quel genere.<br />

E adesso, dopo sei mesi di telefonate e di rifiuti<br />

da parte dell’Architetto che lo aveva sbeffeggiato<br />

con un «Mi faccia causa, se trova un avvocato<br />

scafista», Jon aveva deciso di abbandonare ogni<br />

velleità e di concludere il contenzioso annullando<br />

il conto e restituendo il materiale.<br />

Smontò silenziosamente la griglia di sfiato del<br />

metano posta sulla parete esterna della cucina e<br />

vi abboccò il tubo flessibile che aveva trascinato<br />

con sé fino ad allora, poi ripercorse i propri passi<br />

scavalcando il cancellino pedonale e posizionan-<br />

ANNO I • NUMERO IV • maggio 2<strong>01</strong>8 www.jollyrogerflag.it • facebook.com/gojollyroger<br />

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