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2.0
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anno 10° - aPRILE / MaGGIO 2018
75° Bimestrale di arte & cultura - € 3,50
“CANALETTO 1697 - 1768”
in mostra a Palazzo Braschi
di Silvana Gatti
Intervista a
Emre
Yusufi
Art&Vip
intervista a
Elisabetta Pellini
Marco Lodola
“Me nnamoro de te” - 2018 - tecnica: plexiglass e lampade - h. cm 115
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Porto turistico di Roma
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“artisti contemporanei”
RIVISTa: BIMESTRaLE art&tra
Registrazione: Tribunale di Roma
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n. 1294817
1ª di copertina: Emre Yusufi
courtesy: Emre Yusufi
2ª di copertina: Marco Lodola
courtesy: Galleria Ess&rrE (RM)
3ª di copertina: art&tra
4ª di copertina Giuseppe amadio
courtesy: Giuseppe amadio
copyright © 2013 acca Edizioni Roma S.r.l.
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S O M M a R I O
RUBRIcHE
F E B B R a I O - M a R Z O 2 0 1 8
Mary cassatt - Un’Impressionista americana a Parigi Pag. 11
di Silvana Gatti
Il pensiero simbolista attraverso i suoi artisti Pag. 20
di Francesco Buttarelli
HIROSHIGE - Visioni dal Giappone Pag. 35
di Marina Novelli
La Fontana di Monte cavallo Pag. 39
di Marina Novelli
ceramics Now - L’arte ceramica contemporanea al Mic Pag. 46
Intervista a claudia casali a cura di Marilena Spataro
aRMONIE VERDI - paesaggi dalla Scapigliatura.... Pag. 50
a cura di Silvana Gatti
Il pensiero simbolista attraverso i suoi artisti Pag 66
di Francesco Buttarelli
Due minuti di arte “La storia di albrecht Dürer” Pag 70
di Marco Lovisco
canaletto - 1697 - 1768 Pag 73
a cura di Silvana Gatti
“Nel segno..”-Ritratti d’artista- Gianni Guidi Pag. 78
di Marilena Spataro
Le Mostre in Italia e Fuori confine Pag. 82
a cura di Silvana Gatti
“califarte” Pag. 8
a cura di Giorgio Barassi
La “Rinascenza” di ciro Palumbo Pag. 18
a cura di Riccardo Ferrucci
EMRE YUSUFI Pag. 24
Intervista rilasciata a Giorgio Bertozzi
DREaMERS. 1968: come eravamo, come saremo Pag. 44
a cura dell’Ufficio stampa (culturalia di N. Waltmann)
Milano secondo cerri Pag. 56
di carlos Vintem
art&Vip - Elisabetta Pellini, l’attrice che ama l’arte Pag. 58
a cura della Redazione
MaLE’ e il suo Mozambico Pag. 61
di Paola Simona Tesio
Il nuovo design “MaDE IN cHINa”.... Pag. 94
di Francesco Minerva
Giada Domenicone - La voce dell’anima Pag. 100
di Valentina D’Ignazi
a Milano la “Silicon Valley”.... Pag. 104
a cura della redazione
anna Romanello, il mondo di emozioni Pag. 106
di Svjetlana Lipanovic
Verba Manent Pag. 110
a cura di Marilena Spataro e alberto Gross
Stati d’animo. arte e psiche.... Pag. 115
di Marilena Spataro
Francesco Baracca - Un anno di iniziative Pag. 118
di Marilena Spataro
Espinasse 31 celebration Pag. 121
di annaida Mari
I tesori del Borgo - I monti Sibillini Pag. 124
di Marilena Spataro
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Art Vip
intervista a
Anthony Peth
Il sito vi permette di rimanere informati sulle nostre
attività ed è a disposizione di chiunque voglia tenersi
aggiornato sul mondo dell’arte con una moltitu dine di
notizie che verranno continuamente pubblicate.
4
Deniarte
Arte Contemporanea - Roma
Mario Schifano
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Milano 20121 - Via Fatebenefratelli, 34/36 - Tel. +39 02 6554841 - milano@tornabuoniarte.it
Forte dei Marmi 55042 - Piazza Marconi, 2 - Tel +39 0584 787030 - fortedeimarmi@tornabuoniarte.it
Firenze 50125 - Antichità - Via Maggio, 40/r - Tel. +39 055 2670260 - antichita@tornabuoniarte.it
8
gli artisti dipingono
le canzoni di Franco Califano
Galleria Ess&rrE
Porto Turistico di Roma - 00121 - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - loc. 876
cell. 329 4681684 - www.accainarte.it - acca@accainarte.it
galleriaesserre@gmail.com
Si inaugura
il prossimo
19 maggio
alla galleria
E s s & r r E
la mostra CalifArte, dedicata
alla figura di Franco
Califano, cantautore e
poeta.
L’ideatore dell’evento è Giorgio
Barassi, consulente d’arte, che ha
fatto esordire nella sua Puglia, nel
novembre 2017 la mostra per una
edizione ridotta con soli sette pittori
partecipanti. Ora gli artisti sono 16,
di diversa estrazione, espressione e
impegno artistico, uniti dall’ intento
di dipingere delle opere ad hoc sulla
traccia dei testi di alcune canzoni
scritte da Califano. Due dipinti per
ciascun artista, che saranno esposti
per una settimana ma rimarranno a
disposizione della galleria e dei visitatori
e collezionisti durante il periodo
estivo, ricco di eventi d’arte
organizzati dal manager Roberto
Sparaci.
CalifArte è una prova di vicinanza
tra le Arti, quella della scrittura per
la musica e quella della pittura, che
vede impegnati artisti del calibro di
Lodola, Dall’Olio, Gallingani, Sansavini,
Montuschi, Greco, Pellin,
Gost, Herika, Frà, Conte, Campanella,
Manzo, Kelly Bassani e
Manghi nell’impegno di interpretare
con l’arte del dipingere i successi
più noti e le canzoni meno
conosciute del Califfo, cioè l’autore
di “Minuetto”, “La musica è finita”,
“E la chiamano estate”, “Tutto il
resto è noia” e molti altri lavori rimasti
indelebili nel ricordo dei fans
e non solo. Califano, scomparso nel
2013, ha lasciato un patrimonio di
scrittura abbondante e ricco di sfumature
che variano dal tema preponderante
dell’amore e delle sue
più di- verse sfaccettature, a temi
sociali scottanti. Il suo impegno e la
sua schiettezza espressiva, pagata
sempre sulla propria pelle, ha fatto
di Califano un autore atipico ma
estremamente sensibile, romantico
e malinconico. Tutti dati che bene si
incrociano con i principi della creatività
nella pittura, laddove il contesto
circostante ha determinato sempre
le scelte creative dei grandi artisti.
E per quanto ogni pittore si
esprima con la propria arte, l’universalità
del tema affrontato è la
base da cui si dipana l’operazione
artistica.
CalifArte ha come obiettivo quello
di girare per l’Italia, magari sulle
piste dei luoghi amati da Califano,
tra i quali va messo al primo posto,
a pieno titolo, la sua Roma. L’ini-
10
gli artisti dipingono
le canzoni di Franco Califano
ziativa è vista con favore dalla Fondazione
Califano Trust Onlus, attiva
subito dopo la scomparsa del
Califfo nel 2013. Alcuni rappresentanti
della Fondazione e il nutrito
stuolo di fans del Maestro assicurano
la loro presenza. Si inizia alle
17.00 con la presentazione delle
opere, per rimanere in riva al bel
porto fin oltre il tramonto, con l’intervento
musicale del gruppo “Grazie
Califfo!” e la presenza di alcuni
dei pittori partecipanti all’iniziativa.
Da Roma e dal suo antico sbocco sul
mare parte l’avventura nazionale di
CalifArte, che Sparaci e il direttore
artistico Sabrina Tomei, insieme a
Barassi intendono far viaggiare come
in una tournée che porti la bella
pittura italiana e gli echi della musica
e delle parole di Califano a dare
una ventata di aria rinnovata nel
complesso panorama dell’ arte contemporanea.
INFO:
dal 19 maggio al 3 giugno 2018
dalle ore 17.00,
Porto Turistico di Roma.
Catalogo in galleria
testi di G. Barassi,
S. Tomei, R. Sparaci
Edito da
Acca Edizioni Roma.
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MaRY caSSaTT
Un’impressionista
americana a Parigi
Fino al 23 luglio 2018 al
Museo Jacquemart di Parigi
A cura di Silvana Gatti
Mary Cassatt, Estate , 1894-95, olio su tela,
Terra Foundation for American Art, Daniel J. Terra
Collection, 1988.25, photo © Terra
Foundation for American Art, Chicago
èstata presentata l'8 marzo,
giornata della donna, l'anteprima
di una mostra fuori
dagli schemi: “Un'impressionista
americana a Parigi”,
dedicata a Mary Cassatt (1844 –
1926), artista eccezionale a cavallo fra
Ottocento e Novecento, nata in Pennsylvania,
vissuta 60 anni in Francia e
morta vicino a Parigi, lasciando opere
che già in vita le regalarono grande popolarità.
L’esposizione è stata organizzata
da Culturespaces e dal Museo
Jacquemart. Apprezzata dai suoi contemporanei,
Cassatt è stata l’unica pittrice
americana ad aver esposto col
gruppo degli impressionisti a Parigi.
La mostra mette in luce la vita artistica
della donna che, scoperta da Degas al
Salon del 1874, ha esposto in seguito,
regolarmente, con il gruppo. Una mostra
monografica che permette ai visitatori
di riscoprire questa artista attraverso
una cinquantina di
opere, olii, pastelli, disegni e
incisioni, che corredati da una
ricca documentazione raccontano
la modernità del suo percorso.
Nata in una ricca famiglia
di americani d’origine
francese, suo padre, Robert
Simpson Cassatt, è un ricco
agente di cambio, nonché mediatore
di terreni, mentre sua
madre, Katherine Kelso Johnston,
proviene da una famiglia di banchieri.
Mary Cassatt ha vissuto qualche
anno in Francia durante l’infanzia, per
poi proseguire i suoi studi all’Accademia
delle Belle Arti in Pennsylvania,
prima di stabilirsi definitivamente a
Parigi, continuando tuttavia a spostarsi
tra i due continenti. Questo dualismo
culturale si rispecchia nello stile singolare
dell’artista che, creando un ponte
tra due continenti, ha saputo con il suo
“savoir-faire” ritagliarsi uno spazio nel
mondo prettamente maschile dell’arte
francese, riconciliando i due universi.
Allo stesso modo di Berthe Morisot,
Mary Cassatt è abile nella ritrattistica.
Influenzata dal movimento impressionista
che prediligeva dipingere la vita
quotidiana, Mary Cassatt amava dipingere
i personaggi della sua famiglia
all’interno delle mura domestiche. A
contatto con gli impressionisti, il suo
12
Mary Cassatt, La Toilette, 1890-1891, punta secca e acquaforte a colori, collezione private
© Courtesy Marc Rosen Fine Art and Adelson Galleries, New York
stile acquista spontaneità. Le sue abitudini
cambiano, in quanto non lavora
più soltanto in studio ma anche all'aria
aperta, ed a teatro abbozza le scene sul
suo quaderno degli schizzi. Il suo stile
è unico e la sua moderna interpretazione
di madri e figli le varranno un riconoscimento
internazionale. Grazie a
questa tematica, il pubblico riconoscerà
nei dipinti della Cassatt numerosi
volti familiari dell’impressionismo e
post-impressionismo, scoprendo un nuovo
linguaggio descrittivo che caratterizza
l’identità tipicamente americana
dell’artista.
La mostra riunisce una selezione di eccezionali
prestiti provenienti dai più
grandi musei americani, come la National
Gallery of Art de Washington, il
Metropolitan Museum of Art de New
York, il Museum of Fine Arts di Boston,
il Philadelphia Museum of Art, la
Terra Foundation di Chicago, e da prestigiosi
musei francesi quali il Musée
d’Orsay, il Petit Palais, INHA, BnF, ed
europei, quali il Musée des beaux-arts
de Bilbao, la Fondation Calouste Gulbenkian
di Lisbona, la Fondation Bührle
di Zurigo. Presenti anche numerose
opere provenienti da collezioni
private.
Il percorso della mostra inizia con le
prime opere impressioniste di Mary
Cassatt, unitamente ai suoi dipinti eseguiti
nel decennio precedente al suo incontro
con Degas. Opere in cui si percepisce
l’influenza dei suoi viaggi in
Europa, alla costante ricerca di uno
stile moderno. Esposti al Salone di Parigi
o in importanti mostre negli Stati
Uniti dal 1860 al 1870, queste opere
inseriscono la pittrice nell’ambiente artistico
e suscitano l’interesse di critici
e collezionisti. E’ intorno al 1877 che
l’artista attira l’attenzione di Degas,
che la invita ad aggiungersi al gruppo
impressionista. Degas esercita una forte
influenza su Mary, che diventa molto
abile nell'uso dei pastelli, realizzando
molti dei suoi lavori più importanti con
questa tecnica. Grazie a Degas realizza
le prime opere all'acquaforte, seguita
dal maestro. I due lavorano insieme per
un certo periodo, e la tecnica di disegno
di Mary migliora costantemente. Il
sofisticato ed elegante Degas, allora
quarantacinquenne, diventa ospite gradito
delle serate a casa Cassatt. Nella
prima sala sono esposte numerose incisioni
nate per un progetto del giornale
al quale Cassatt, Degas e Pissarro
hanno collaborato. Un giornale mai
pubblicato, ma le belle incisioni come
Scena di un interno (The Visitor) documentano
lo spirito di Cassatt.
Seguendo il metodo impressionista ten-
Mary Cassatt, Bébé in abito blu che guarda al di sopra della spalla materna,
1889 circa, olio su tela, Cincinnati Art Museum, John J. Emery Fund, 1928.222 © Cincinnati
Art Museum
dente a dipingere la vita quotidiana,
Mary Cassatt ha scelto i membri della
sua famiglia come soggetti prediletti. I
quadri presentati all’Esposizione impressionista
del 1881 raffigurano in linea
di massima i suoi familiari. Il pubblico
può ammirare le opere che raffigurano
la sorella di Mary, dal portamento
elegante, che è stata la modella
principale delle scene impressioniste a
soggetto femminile. Altre opere raffigurano
il fratello Alexander con suo figlio
Robert, la moglie Lois e la loro
figlia Katharine. La famiglia Cassatt,
d’origine protestante ugonotta francese,
si sentiva a proprio agio in Francia,
pur conservando le abitudini americane.
L’agiatezza della famiglia ha
dato a Mary Cassatt, sin dalla prima infanzia,
l’opportunità di conoscere l’Europa.
Nominato presidente della Pennsylvania
Railroad, società d’importanza
mondiale, il fratello Alexander
deteneva nel 1900 un notevole capitale,
e notevole era la sua influenza nella società.
Due fratelli, i Cassatt, conosciuti
ed apprezzati negli Stati Uniti.
Nel primo ventennio della sua carriera,
Mary Cassatt ha approfondito la sua ricerca
sulla raffigurazione delle scene
quotidiane. Dal 1880, suo soggetto prediletto
è stato quello della maternità e
della famiglia, come documentato da
numerosi dipinti ad olio ed a pastello e
non solo, madri e figli in diverse pose,
con un riguardo particolare al bimbo
seduto sulle ginocchia della madre.
Scene che ispirano tenerezza e che
conservano i colori chiari e la modernità
dell’impressionismo, pur tendendo
al simbolismo. Verso la fine del 1890,
Cassatt approfondì la sua ricerca su
questo motivo che Georges Lecompte
definisce, ne “L’Art impressionniste” ,
la «Santa Famiglia moderna», impiegando
dei procedimenti che tuttavia ricordavano
gli antichi maestri. Il decennio
che va dal 1890 al 1900 è il momento
più creativo della carriera di
Mary, e quello in cui lavora di più.
Anche dopo che il gruppo degli Impressionisti
si scioglie, Mary rimane in
contatto con alcuni di loro, tra cui Renoir,
Monet e Pissarro. Con l'avvento
del nuovo secolo diventa la consigliera
di importanti collezionisti d'arte, ponendo
come condizione che alla fine
questi donassero le loro acquisizioni ai
musei statunitensi. Grazie a lei, gli impressionisti
riescono a vendere le loro
opere oltreoceano, andando ad arricchire
le collezioni di musei come quello
di Philadelphia.
Visitando i musei, le esposizioni d’arte
moderna e gli studi di altri artisti, Mary
Cassatt si appropria dell’atmosfera
14
Mary Cassatt, Donna seduta con bambino in braccio, 1890 circa, Olio su tela,
Bilbao, Museo de Bellas Artes de Bilbao
© Bilboko Arte Ederren / Museoa-Museo de Bellas Artes de Bilbao
e dei colori tipici degli impressionisti,
unitamente al disegno poco dettagliato,
sinonimo di modernità.
Nonostante le sue composizioni fossero
spesso degli studi preliminari per
dei lavori monumentali, la maggior
parte sono stati esposti o venduti come
vere e proprie opere. Sia che le opere
siano olii o pastelli, il tratto e le pennellate
visibili rivelano il lavoro di
un’artista che cambia idea in corso
d’opera, eseguendo una composizione
che partendo dal centro si sviluppa
verso il bordo del quadro. L’interesse
di Cassatt per il processo creativo giustifica
il suo successo nel campo dell’incisione.
Nella serie di incisioni a
punta secca, tecnica nella quale debutta
nel 1890, si ispira all’aspetto incompiuto
dei suoi olii e dei suoi
pastelli, costruendo ogni punta secca
grazie a centinaia di linee sottili a dare
l’impressione di una composizione appena
abbozzata.
Nelle bellissime incisioni a colori
nell’anno successivo, Cassatt moltiplica
gli esperimenti ispirandosi alle incisioni
giapponesi.
Mary Cassatt appartiene ad una generazione
che ha conosciuto grandi progressi
per le donne del mondo intero.
Durante il periodo della sua giovinezza,
le donne avevano ottenuto più
diritti in Francia che negli Stati Uniti.
Dopo sessant’anni in Francia, quando
il suo primo viaggio si è trasformato
nel soggiorno di tutta una vita, lei riconosce
che la sua esperienza ne è la
testimonianza: «Dopotutto, datemi la
Francia», scrive nel 1894. «Qui le donne
non devono lottare per essere riconosciute,
purché lavorino seriamente».
Ma nonostante le grandi differenze
tra i sistemi di produzione artistica
tra Francia e Stati Uniti, ed il sostegno
dato dal governo francese alle artiste,
l’opera della Cassatt documenta la visione
profondamente americana della
modernità femminile.
In questa mostra sono esposte le opere
legate alla pittura murale “Modern
Mary Cassatt, Bambina seduta su una poltrona blu, 1878, Olio su tela,
National Gallery of Art, Washington D.C.,
Collection of Mr. And Mrs. Paul Mellon 1983.1.18
© Courtesy National Gallery of Art, Washington
Woman” che la Cassatt ha eseguito per
il Woman’s Building dell’Esposizione
universale di Chicago del 1893, che
mostra la sua interpretazione del tema
del padiglione : «Donne che raccolgono
i frutti dell’albero della conoscenza».
Per Cassatt, la donna moderna è
una donna intelligente, rappresentata in
uno stato di contemplazione e di armonia
con il mondo. Il frutto raccolto
deve essere condiviso con altre donne
e con coloro che considera come dei
ragazzi moderni. Dopo il 1900, i suoi
amici le chiedono spesso di dipingere
i loro figli, raffigurati con grandi cappelli
secondo la moda del periodo, riflettendo
anche il colore e la luce dei
pensieri di questi bimbi sognanti, considerati
come il futuro del mondo moderno.
Nel 1911 si ammala di diabete,
reumatismi ed è colpita da una forma
di cataratta, che la costringe a smettere
di di- pingere perché è diventata quasi
cieca. Ha comunque la forza di abbracciare
la causa del voto alle donne e, nel
1915, organizza a New York, con la sua
amica Louisine Havemeyer, una esposizione
delle sue opere accompagnata
da quelle di Degas e da una selezione
di opere di antichi maestri, a favore del
movimento per il diritto di voto delle
donne trainate da Havemeyer. Questa è
stata l’unica azione politica della Cassatt,
coronata da una vita intera di
azioni personali spese in favore della
causa femminile, determinando il suo
ruolo nella storia sia come artista che
come pioniera. Muore il 14 giugno
1926 a Chateau de Beaufresne, vicino
a Parigi. Questa mostra le rende omaggio,
testimoniando il suo impegno in
un ambiente non facile; l’artista ha
aperto la strada all’universo femminile
rappresentando nelle sue opere il microcosmo
delle donne, viste innanzitutto
come mogli e madri, ma anche
come frequentatrici di ambienti mondani
quali il teatro. Una mostra da non
perdere, che sottolinea come l’impegno
di una donna possa lasciare il segno
nella storia.
16
18
20
22
Tiziano Sgarbossa
estrusioni su tela
Galleria Ess&rrE
“Presenze” – 2016
estrusione su tela-acrilico
cm. 120 x 80
Galleria Ess&rrE Porto Turistico di Roma - 00121 - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - loc. 876
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Milano 20121 - Via Fatebenefratelli, 34/36 - Tel. +39 02 6554841 - milano@tornabuoniarte.it
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24
Emre Yusufi
Intervista rilasciata a Giorgio Bertozzi
Siamo nello studio di
Emre Yusufi che presenta
in esclusiva opere d’arte
eccezionali. Qui si ammirano
tante opere esposte, arrivano
molti visitatori e si ascolta
musica reagge.
Emre Yusufi è stato uno
dei nomi più citati a
Contemporary Istanbul
di settembre. La scultura
di Ercole con i
guantoni dorati in mostra
nello stand della Galleria Mack
Hachem è divenuta una delle opere più
ammirate e condivise su Instagram.
Yusufi ha studiato grafica presso la
Marmara University e arte all’Accademia
Italiana di Firenze ha poi lavorato
nel settore pubblicitario per diversi
anni. Negli ultimi tre si è concentrato
esclusivamente sull’arte e sulla musica.
Le opere che ha prodotto, sfruttando
tutte le possibilità che la tecnologia
offre, sono piuttosto inusitate.
Puoi parlarci delle tue tecniche di
produzione?
Provengo dalla tradizione dell’advertising,
per cui le mie tecniche derivano
sempre dalla grafica pubblicitaria. Ho
sempre sfruttato i vantaggi tecnologici
che derivano dalle tecnologie digitali
che vengono utilizzate relativamente
poco. Inizialmente producevo lavori
destinati al mercato pubblicitario, ma
dal momento in cui ho deciso di concentrarmi
sull’arte, la produzione artistica
è divenuta il cuore della mia
attività. Adesso spendo la maggior
parte del mio tempo facendo arte.
Anche le tecniche alle quali mi sono
affidato sono cambiate negli anni. All’inizio
usavo concetti che erano più
vicini al mondo della comunicazione
commerciale, poi mi sono allineato di
più all’arte vera e propria. I mezzi e i
materiali di cui mi servo sono variati
col passare degli anni. L’ultima espressione
artistica a cui sono giunto è la
scultura.
Come fai a dar vita a un’immagine
che hai modificato?
Ho bisogno di foto di riferimento. Ad
esempio, immaginiamo che ci sia una
scena. C’è anche una persona in questa
scena. Ho comprato i diritti di questa
foto, ho pagato il copyright. E adesso
sto manipolando il mio modello tridimensionale
all’interno della foto senza
cambiare lo stile generale e il bilanciamento
dei colori di questa scena. Ci
sono talmente tante cose che è necessario
sapere in una situazione come
questa. Bisogna conoscere il calore
della foto, I valori della temperatura
dei colori, e sapere la direzione da cui
arriva la luce. Sto parlando delle regole
base dell’educazione artistica appresa
in università. Quando intervieni in una
foto sapendo queste cose essa non sarà
un artificio.
Organizzi la tua produzione attraverso
titoli diversi?
Ho quattro collezioni. Una di queste è
Return to Innocence, il ritorno all’innocenza.
Si tratta di persone con grandi
occhi spalancati. Gli occhi sono l’unico
aspetto facciale che non cresce dal
momento in cui un essere umano
nasce. L’innocenza dei bambini è comunicata
dalla proporzione dei loro
occhi con il resto del viso. E se gli oc-
chi degli adulti crescessero come il
resto del loro corpo? Ho provato ad
ampliare gli occhi di persone adulte per
far sentire la loro innocenza. In realtà
il mio progetto iniziale era di utilizzare
dei prigionieri come soggetti. Avevo
progettato di mettere a confronto le
facce e gli sguardi dei prigionieri con
quelli dei bambini, ma non è stato possibile.
La collezione a cui ho lavorato
in seguito si chiama War Animals. Nel
mondo che stiamo distruggendo con le
nostre guerre gli animali non hanno
modo di agire o proferir parola. Possono
solo fuggire e morire. Non possono
neanche reagire per cui ho rappresentato
la guerra degli animali contro
gli esseri umani con la mia collezione.
Nelle mie opere, gli animali
possono difendersi da soli. Ho anche
una serie intitolata Hercules On Right
che espongo al fianco di quest’ultima.
La domanda a cui cerca di rispondere
è la seguente: “Come farebbe un dio
come Ercole a fingersi un essere umano?”
Cosa succederebbe se andasse al
cinema, facesse un giro in bici, praticasse
qualche sport?
Perché hai scelto Ercole?
Se un dio volesse svolgere un compito
umano, dovrebbe essere un dio che è
già in grado di provare emozioni u-
mane. Il padre di Ercole, Zeus, lo rende
un semidio, che si innamora sempre di
esseri umani e ha sempre voluto essere
un uomo. Ecco il perché di Ercole. Ovviamente
è stato difficile da realizzare
da un punto di vista tecnico. Se hai una
buona idea, ma non riesci a metterla in
pratica nel modo giusto, non funziona.
A volte non c’è un’idea buona, ma possiamo
comunque vedere che è stata
realizzata molto bene. È una cosa che
ha effetto solo momentaneamente, ma
non è sostenibile nel tempo. Io credevo
nella mia idea, avevo molta fiducia nel
risultato ma dovevo trovare il modo di
metterlo in pratica. Nel momento in cui
ho avuto questa idea, avevo bisogno di
qualcosa di cui non conoscevo la fattibilità
dal punto di vista digitale, ma sapevo
che sarebbe potuto essere possibile
in futuro. Infine sono riuscito a
risolverlo e adesso ho raggiunto un risultato
soddisfacente, ma so che posso
decisamente migliorare. Cresco ogni
giorno, perché il mio lavoro è artificiale,
ma lo pongo all’interno di un
mondo reale.
Con la collezione di Hercules sei passato
da un lavoro in due dimensioni
a una tridimensionalità. Come ti sei
avvicinato alla scultura?
Immediatamente dopo la scultura di
Hercules che fa boxe e che ho creato
per Contemporary Istanbul, ho ricevuto
reazioni molto positive. Adesso ho realizzato
una scultura erculea in bronzo.
La sensazione tattile suscitata dal bronzo
è molto bella. C’è chi dice che chi
ha lavorato in due dimensioni non
vuole tornare indietro una volta che ha
provato la tridimensionalità. È bello
sperimentare quello che oggi si può vedere
in due dimensioni facendolo di-
26
ventare tridimensionale.
Poterlo toccare, camminarci attorno…
E se non decidi di fare scultura c’è una
storia interessante che vi posso raccontare.
Sono stato alla Biennale di Venezia,
ed ho voluto vedere l’esposizione
di Damien Hirst, questa visita ha cambiato
tutta la mia percezione. Ho apprezzato
talmente tante cose stupende
che ho determinato di avere Damien
Hirst come mio concorrente. L’emozione
provata nel visitare quella mostra
è per me sempre viva. La realizzazione
di ciò che ho visto sarebbe un investimento
molto difficile da realizzare ma
io sogno comunque di poterlo fare non
tanto per il volume economico o per la
dimensione delle opere, ma per l’enormità
dell’idea stessa. Ogni mio pensiero
ed ogni mia azione mi spingono
in quella direzione.
C’è anche uno studio musicale nel
tuo laboratorio. Fai anche musica?
Ho trasformato parte del mio laboratorio
in uno studio musicale. C’è una ragione
molto semplice. Non mi piace
guidare per Istanbul, non voglio andare
da un luogo all’altro, quindi la mia casa,
il mio lavoro, il mio studio musicale
e il mio laboratorio si trovano tutti
nel raggio di due chilometri. Ho iniziato
a lavorare con un gruppo musicale.
Il mio gruppo si chiama Zeytin.
Suoniamo musica reggae. Abbiamo
prodotto un album intitolato “Merhaba
Ben İnsan” (ciao sono un uomo), siamo
felici di aver già superato i 100mila
ascolti su Spotify.
Su cosa ti sei concentrato quando hai
progettato lo studio?
Nel caso tu non lo abbia notato, i miei
lavori sono molto puliti, nitidi, lisci, rifiniti,
senza difetti materiali, per me la
presentazione é fondamentale, perché
solitamente produco lavori digitali.
Non produco sculture qui, quindi non
si vede polvere, pittura o altri materiali
di produzione. Ho provato a creare un
ambiente con linee minimali e chiare,
che riflettano la fluidità delle mie o-
pere. Solitamente tengo qui i miei lavori,
e ci sono anche alcune delle mie
collezioni. Impiego lo studio anche come
una piacevole area di attività.
Cambi mai la disposizione delle
opere?
Si, quando vendo uno dei lavori esposti,
modifico. Solitamente, però, i clienti
acquistano ciò che espongo su Instagram.
Per questo cambio poco la disposizione
dello studio.
28
Carmelo CONSOLI
luce e magia del colore
CERNOBBIO (CO)
BARI
gAllERIA
StEfANO SImmI
ROmA
PERugIA
Galleria Ess&rrE
Porto Turistico di Roma - 00121 - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - loc. 876
cell. 329 4681684 - www.accainarte.it - acca@accainarte.it
galleriaesserre@gmail.com
ROMA
Studio: via dello Scudo, 42 - 06132 - Pila (PG)
Tel. 075 774878 - Cell. 368 519066
www.carmeloconsoli.it - consolicarmelo@tin.it
30
Anna Maria Tani
“IDEA”
“La forma dell'acqua” - 2017- tecnica mista su tela - cm. 70 x 100
Personale alla Galleria Ess&rrE
dal 22 al 29 giugno 2018
Al Porto turistico di Roma
“Paesaggio giallo” - 2017 - olio e cera a freddo - cm. 60 x 60
“Paesaggio rosa” - 2017 - olio e cera a freddo - cm. 60 x 60
Studio: 00039 Zagarolo (Rm) Via Cancellata di Mezzo 78
Cell. 393 9912034 - tani.anna.maria@gmail.com
AnnaMariaTani-pittore/incisore
32
Giuseppe Amadio
“Isoma” - estroflessione su tela - cm. 100 x 100
Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - Roma
www.accainarte.it - galleriaesserre@gmail.com
34
Michele Angelo Riolo
“Serie ACT bianco 006” - 2017
applicazione a rilievo su legno - cm. 50 x 50
In mostra dal 4 all’11 marzo presso la Galleria Ess&rrE al Porto turistico di Roma
Studio: 00033 Cave (Roma) - Via Prenestina Vecchia, 19/A1
Cell. 333 2957049 - michelangeloriolo@gmail.com
HIROSHIGE
Visioni dal Giappone
…nelle sue quattro stagioni.
mento questo che è ricorrente nella sua
produzione pittorica e che ci ricorda il repentino
“volo d’uccello”. Inoltre le sue
campiture piatte, nonché il rincorrersi di
linee curve e spezzate, oltre alla serenità
che ne trapela, sono state fonte di notevole
ispirazione ed influenza per molti artisti
europei, quali Van Gogh, Monet,
Degas, Toulouse Lautrec e Manet che si
appassionavano dinanzi alla produzione
delle sue stampe e dipinti dando origine
alla corrente del “Japonism”. Verrebbe altresì
spontaneo, trovare delle analogie
con l’opera del maestro Hokusai, genio
fuori dalle righe e dalla personalità notevolmente
più tormentata, più cupo anche
nelle scelte cromatiche e da cui si differenzia
proprio per la serenità, la pacadi
Marina Novelli
Utagawa Hiroshige
Ritratto commemorativo (shinie)
di Hiroshige
1858, nono mese
silografia policroma
Museum of Fine Arts, Boston
William Sturgis Bigelow Collection
“
P
Utagawa
arto per un viaggio lasciando
il mio pennello ad
Azuma [Edo] per visitare
i luoghi celebri della Terra
d’Occidente” [il Paradiso
della Terra Pura].
…ed è anche ciò che accade ad un visitatore
che, entrando nelle ampie sale delle
Scuderie del Quirinale, si trova totalmente
immerso nelle “Visioni dal Giappone”…incantevoli
luoghi celebrati pittoricamente
dal maestro Hiroshige…sembra
proprio di partire per un viaggio alle
volte del Sol Levante. Un viaggio che inizia
nel 1812 quando Hiroshige, nato nel
1797, comincia a dipingere, e terminando
nel 1858 quando egli, forse vittima di
un’epidemia di colera, viene sepolto nel
giardino di Tōgakuji, tempio zen appartenente
alla sua famiglia. Possiamo annoverare
la figura di Hiroshige tra i più
influenti artisti giapponesi della metà
dell’800. La mostra in atto fino al prossimo
29 luglio, espone circa 230 tra le sue
mirabili opere, suddivise tra silografie
Hiroshige - Il mare di Satta nella
provincia di Suruga - 1858 Serie: Trentasei
vedute del Fuji, 1858, quarto mese
374 x 253 mm - silografia policroma
Museum of Fine Arts, Boston
William Sturgis Bigelow Collection
policrome e dipinti
su rotolo, coniugandole
in ben sette percorsi tematici. Di
grande suggestione sono le sue silografie
policrome del Mondo Fluttuante, e non a
caso infatti Hiroshige è conosciuto come
“il maestro delle pioggie e della neve”,
soggetti a cui deve la sua celebrità per le
illustrazioni di paesaggi e vedute giapponesi
nell’arco delle quattro stagioni
espresse nelle diverse condizioni atmosferiche.
Immagini queste molto determinanti
nella cultura dell’epoca perché
fonte di conoscenza nella divulgazione
del territorio nonché elemento fondamentale
nella connessione tra rapporti nazionali.
Hiroshige segna un cambio epocale
nella espressione pittorica del paesaggio,
egli infatti sfrutta l’asimmetria della composizione,
ponendo in primissimo piano
elementi di grandi dimensioni, tali da
sembrarci quasi tangibili…tattili, contrapponendoli
ad altri molto lontani e
molto piccoli sullo sfondo, ma che ci
coinvolgono nella loro “spazialità”, ele-
36
tezza…il silenzio che scaturisce dalla
sua espressione pittorica, nonché dalla
scelta dei colori…una tavolozza che ci
riporta al sentimento di riverenza e
amore per la natura nelle rarefatte sfumature
di nebbie, nel fitto scrosciare di
improvvise pioggie e dal candido silenzio
di interminabili paesaggi innevati.
Non a caso infatti il sottotitolo alla nostra
mostra recita la parola “Visioni” in
quanto con la sua opera Hiroshige ci
consente di immergerci nella rispettosa
bellezza del Sol Levante. Hiroshige è
annoverato come uno dei principali
esponenti del genere artistico noto come
ukiyoe (immagini del Mondo Fluttuante”)
che, nato all’inizio del Seicento,
sviluppa fino a tutto l’Ottocento
come espressione delle nuove tendenze
della emergente classe cittadina (chōnin).
Ma vediamo chi è Hiroshige! All’età
di soli quindici anni decide di
entrare nello studio del maestro Utagawa
Toyohiro (1773 – 1828) per apprendere
l’arte dell’ukiyoe, dimostrando
subito il suo innato talento
nell’affrontare temi legati alla beltà,
nonché teatrali e storici, realizzando silografie
policrome in cui riesce a definire
la ricca brillantezza del “broccato”(nishie),
mentre in due trittici dimostra
lo spettacolo privato di teatro
Kynōgen e, non ultimo, il ritratto di cortigiana
colta nella insolita posizione a
“schiena di gatto”, tema questo totalmente
al di fuori dei canoni della scuola
del suo maestro Toyohiro. Oltre ad
opere di grande distribuzione troviamo
i surimono (“cose stampate”) che altri
non sono che una serie di biglietti augurali
che fungono anche da invito per
pubblici incontri e di cui vediamo, ad
esempio, due opere: “La danza delle
gru” del 1821 dove possiamo notare
l’effetto rilievo dell’uso del goffrato (a
seguito dell’imprimitura della carta su
matrice a secco, seguito poi da una
spruzzata di polvere d’oro) e “Carte di
poesie in scatole laccate” del 1833. La
prima serie delle Cinquantatré stazioni
di posta del Tōkaidō, esce nel 1833 ed
è composta da ben 55 stampe in totale
perché comprende anche la stampa della
partenza dal ponte di Nihonbashi situato
nel cuore di Edi e l’arrivo al ponte Sanjo
di Kyoto. Grazie alla realizzazione pittorica
di quei luoghi di Hiroshige, una
volta diffusi è così che divengono celebri,
tanto da diventare mete da raggiungere,
nonché una sorta di “souvenir”.
Questo soggetto infatti segna la fortuna
di Hiroshige che trae ispirazione dai numerosi
schizzi fatti durante il suo viaggio,
nel 1832, ed in cui ha occasione di
accompagnare per una parte del viaggio,
la delegazione dello Shōgun, a cui era
Utagawa Hiroshige e
Utagawa Kunisada I
Veduta con la neve
Serie: Genji alla moda
1853, dodicesimo mese
trittico di ōban
357 x 722 mm
silografia policroma
Museum of Fine Arts, Boston
Gift of Miss Lucy T. Aldrich
Utagawa Hiroshige
ōhashi. Acquazzone ad Atake
Serie: Cento vedute di luoghi celebri di
Edo
1857, nono mese
360 x 240 mm
silografia policroma
Museum of Fine Arts, Boston - Nellie
Parney Carter Collection—Bequest of
Nellie Parney Carter
affidato il compito annuale dell’invio di
cavalli sacri in dono all’imperatore da
Edo a Kyoto, non ultimo quello di trovare
pertinenti riferimenti nelle guide
illustrate del periodo. Tra gli anni
Trenta e Cinquanta dell’Ottocento, Hiroshige
produce decine di serie di silografie
policrome dedicate ai luoghi
celebri (meisho) di tutta l’area geografica
nipponica, non escludendo pertanto
le province più lontane, sia realizzando
schizzi in loco che attenendosi, come
abbiamo già visto, alle guide di viaggio.
Nel 1834 dedica una serie di dieci
stampe alla capitale imperiale Kyoto e
nel 1834-35 realizza una serie di otto
vedute di ōmi (attuale Shiga), altre otto
a Kanazawa nel 1835-36 e poi ancora
alla suggestiva isola di Enoshima conosciuta
per la sua bellissima scogliera
sede del santuario dedicato alla dea
Benten e quindi meta di numerosi pellegrinaggi.
Non si può non notare inoltre,
che tra i formati più fantasiosi,
quello del ventaglio rotondo (uchiwa) è
quello di maggiore originalità, senza
trascurare però il trittico di cui Hiroshige
fa uso nella spettacolare serie di
panoramiche dedicate ai “Tre bianchi”,
riferiti ai fiori di ciliegio, alla luna e alla
neve; opera questa di grande fascino
dove il bianco dei fiori è sostituito dalla
schiuma bianca dei famosi vortici (o
mulinelli) di Naruto, la luna piena illumina
gli otto luoghi celebri di Kanazawa
affacciati sul mare, mentre la
coltre di neve abbraccia le montagne
come un grande elefante a riposo, lungo
il Kisokaidō. Nel 1858 lo vediamo cimentarsi
con il formato verticale (molto
caro a Hokusai!) replicandone il successo
nelle trentasei vedute del Fuji,
nonché della sua famosa “grande Onda”,
proponendo invece suggestive vedute
del mare di Satta. Una innovativa
impostazione espressiva quella di Hiroshige
che lascia presagire i prodomi
delle tecnologie di impostazioni europee
e che segnano il preludio all’avvento
della fotografia. Ciò che maggiormente
affascina e coinvolge in Hiroshige
è la natura calma che manifestandosi
lo rende unico nel suo genere,
rivoluzionando il modo classico di rappresentare
animali, fiori e uccelli. Nelle
sue immagini pittoriche sono elegantemente
evidenziati i versi dal ricercato
contenuto armoniosamente legate con i
soggetti rappresentati, tali da renderli
notevolmente apprezzati anche dal raffinato
mondo dei circoli letterari dell’epoca
e che, personalmente, trovo di
grande attualità. Le silografie dei “Grandi
pesci” pubblicate tra il 1832 e 1842,
ritraggono pesci, molluschi e crostacei
in un modo molto realistico. Vediamo
38
Utagawa Hiroshige
Uccello del paradiso e susino in fiore
1830-35 circa
383 x 172 mm
silografia policroma
Museum of Fine Arts, Boston - William
Sturgis Bigelow Collection
Utagawa Hiroshige
Pappagallo su un ramo di pino
1830-35 circa
383 x 171 mm
silografia policroma
Museum of Fine Arts, Boston
William Sturgis Bigelow Collection
Utagawa Hiroshige - Pagro e pepe nero giapponese
Serie: Grandi pesci - 1832-33 circa - 265 x 370 mm
silografia policroma
Museum of Fine Arts, Boston - William Sturgis Bigelow Collection
Utagawa Hiroshige -Peonie - 1853, secondo mese
219 x 270 mm - silografia policroma
Museum of Fine Arts, Boston - Asiatic Curator's Fund
composizioni di animali fluttuanti, guizzanti
come se galleggiassero nell’aria. Il
soggetto della carpa e di ayu è molto ricorrente
ed è significativamente espresso
nei loro movimenti, intensi nelle loro colorazioni
e dove è ricorrente il blu di
Prussia. Hiroshige per tali raffigurazioni
predilige il formato verticale, perché più
adatto alle sue composizioni asimmetriche
spesso scandite diagonalmente da
motivi floreali o da splendidi uccelli
dall’elegante piumaggio. Hiroshige inoltre
non disdegna la produzione di silografie
policrome con temi comici che trae da
parodie di eventi antichi e di racconti
classici; una selezione di opere che vediamo
presenti in mostra e che appartengono
al periodo tra il 1840 e 1854.
Concludendo possiamo considerare le
“Cento vedute di luoghi celebri di Edo”
del 1856, quale capolavoro assoluto di
Hiroshige ma che purtroppo segna anche
la fine della sua conclamata carriera artistica…egli
muore infatti, nel 1858. Un
sentito e doveroso ringraziamento a Rossella
Menegazzo che con Sarah E. Thompson
ha curato questo progetto, realizzando
una mostra davvero ricca di emozioni
oltre ad un indiscusso piacere dell’occhio,
nonché alla produzione di Ales
S.p.A. Arte e Mondo Mostre Skira in collaborazione
con il Museum of Fine Arts
di Boston e …last but not least, al patrocinio
dell’Agenzia per gli Affari Culturali
del Giappone, dell’Ambasciata del Giappone
in Italia e dell’Università degli Studi
di Milano.
“Studiando l’arte giapponese si vede un
uomo indiscutibilmente saggio, filosofo
e intelligente, che passa il suo tempo a far
che? A studiare la distanza fra la terra e
la luna? No. A studiare la politica di Bismarck?
No. A studiare un unico filo
d’erba e le grandi vie del paesaggio, e infine
gli animali, e poi la figura umana.
Così passa la sua vita e la sua è troppo
breve per arrivare a tutto. Ma insomma,
non è quasi una vera religione quella che
ci insegnano questi giapponesi così semplici
e che vivono in mezzo alla natura
come se fossero essi stessi dei fiori? E
non è possibile studiare l’arte giapponese,
credo, senza diventare molto più gai e felici,
e senza tornare alla nostra natura nonostante
la nostra educazione e il nostro
lavoro nel mondo della convenzione”.
Vincent Van Gogh
Lettera a Theo
La Fontana di
Monte Cavallo
…a Roma.
di Marina Novelli
Se si prova a chiedere ad alcuni
romani dove si trova la
Fontana di Monte Cavallo,
ben pochi sapranno rispondere
che è in Piazza del
Quirinale…e non per essere
irriducibilmente pessimisti ma molti non
sono neanche a conoscenza di un monte,
a Roma, chiamato “cavallo” che altri non
è che il Quirinale, uno dei famosi sette
colli: Campidoglio, Palatino, Aventino,
Celio, Colle Oppio, Esquilino, Viminale
e da ultimo il nostro Quirinale! “Monte
Cavallo” è infatti il nome che gli venne
attribuito nel Medioevo e ne vedremo le
ragioni. La Fontana di Monte Cavallo,
altri non è che la Fontana dei Dioscuri,
che rappresenta i gemelli Castore e Polluce,
i Dioscuri appunto, nell’atto di tenere
le redini dei loro cavalli, ed in cui
torreggia, alle loro spalle, un obelisco
proveniente dal Mausoleo di Augusto.
Piazza del Quirinale è splendidamente
delimitata dal Palazzo del Quirinale, residenza
del Presidente della Repubblica
Italiana. Il Palazzo della Consulta invece,
ora sede dal 1955 della Corte Costituzionale,
fa da quinta a questo ampio scenario
che vede, sul lato opposto a quello della
residenza presidenziale l’edificio, del
XVIII secolo, delle Scuderie del Quirinale,
che totalmente
restaurato
tra il
1997-1999,
viene utilizzato
a tutt’ oggi
come sede
per importanti
mostre
d’arte. Ma le
sorprese non finiscono qui dato che lo
stupore si concentra sul panorama mozzafiato
della capitale, che si può ammirare
da una marmorea balaustra posta di
lato alla residenza presidenziale. È questa
una delle più suggestive ed affascinanti
piazze romane e non solo per le bellezze
architettoniche e paesaggistiche ma anche
perché si respira un’aria sublime in
quanto l’immenso spazio si coniuga mirabilmente
con la raffinata eleganza irrorata
di un pizzico di solenne austerità. Nel
VIII secolo a.C., questo monte fu la roccaforte
dei Sabini e proprio su questa altura
avevano costruito un tempio dedicato
al Dio Quirino, dio dell’Agricoltura
e della Pace, ma nel III secolo a.C.
venne edificato invece un tempio dedicato
alla divinità egizia Serapide e solo
successivamente fu luogo deputato alla
costruzione di sontuose ville di poeti ed
intellettuali quali Pomponio, Virgilio ed
altri. L’Imperatore Costantino lo scelse
per edificare le sue famose Terme, tramutando
quindi il monte in un rilassante
luogo di divertimento e svago. Purtroppo
nel Medioevo cambiò il suo aspetto lussureggiante
divenendo un luogo abbandonato
e desolato, sebbene nella piazza
continuassero a troneggiare le due imponenti
statue dei Dioscuri con i loro cavalli,
ed è perciò a causa di questo aspetto
che il colle iniziò ad essere denominato
“il Monte Cavallo”. È doveroso anche ricordare
che, ai tempi della Roma antica,
sulla sommità del Colle Quirinale esisteva
il Tempio della Salute e che la salita
che conduceva alla Piazza del Quirinale
prendeva il nome di Clivus Salutis. Anticamente,
inoltre, il monte veniva chiamato
Quirinale, dal Tempio di Quirino,
eretto in onore di Romolo. Al giorno
d’oggi prende ancora l’appellativo di
Monte Cavallo, anche se pochi lo sanno,
in virtù dei due mastodontici cavalli scultorei
posti sulla sua sommità…cavalli
che, come abbiamo visto, si affiancano a
due maestose e colossali figure che sembra
siano state scolpite da Fidia e da Prassitele,
in base a quanto si legge nei
piedistalli a loro sottostanti: Opus Phidiae
e Opus Praxitelis. Straordinario! Due
scultori greci contraddistinti per il loro
geniale talento! Altre voci invece attestano
una diversa teoria attribuendo cioè
le due figure alla rappresentazione di
Carlo Magno nell’atto di dominare il mitico
Bucefalo, il suo cavallo preferito di
cui si servì durante la sua storica spedizione
in Asia, teoria che contrasta e quasi
annienta quella precedente in quanto la
vita di questi due scultori risale a molto
tempo prima della venuta del nostro Imperatore
Carlo Magno…un arcano questo,
molto difficile da spiegare e che
sicuramente resterà misterioso per sempre!
Sta di fatto però, e non v’e alcun
dubbio, che Costantino Magno li fece trasportare
da Alessandria al fine di adornare
le sue terme, situate come abbiamo
visto sulla sommità di questo colle, collocandole
dove ancor oggi alloggiano. Fu
40
poi il Regnante Sommo Pontefice Pio VI
coadiuvato dalla direzione del cav. Antinori,
a far posizionare i due gruppi marmorei,
uno a destra ed uno a sinistra e
collocando nel mezzo un Obelisco Egiziano
di granito di colore rosso che ne
slancia il ritmo sottolineandone la verticalità.
Scenografico ed estremamente
suggestivo l’effetto che ne scaturisce e
che trasforma il gruppo marmoreo anche
come punto focale tale da potersi ammirare
anche dalle strade circostanti. Ma
cerchiamo di focalizzare la nostra attenzione
sul motivo che può aver indotto a
pensare che fosse la rappresentazione
scultorea di Castore e Polluce. Vediamo
infatti che il termine Dioscuri, altri non
era che l’appellativo di Castore e Polluce,
i due gemelli figli dell’amore tra Leda e
Giove. La mitologia narra che Polluce
fosse immortale, a differenza di Castore
che invece era mortale ed alla sua morte,
Polluce decise di rinunciare alla metà
della propria immortalità, ottenendo così
di trascorrere un giorno agli inferi ed un
giorno presso suo padre Giove. Sia Castore
che Polluce erano divinità benefiche
tanto che il primo era rappresentato come
indomito ed appassionato domatore di cavalli,
mentre al secondo invece viene attribuita
l’invenzione e la pratica del
pugilato, e proprio a causa di questa loro
propensione al fare “del bene”, furono inclusi
nel tempio dedicato a tutti gli dei romani:
il Pantheon. Il tempio dei Dioscuri,
al tempo dell’antica Roma, sorgeva nel
Foro Romano, presso la Basilica Giulia
ed ancor oggi possiamo ammirare il nucleo
del podio e le tre inconfondibili colonne
con un elemento di trabeazione…
ma cos’è una trabeazione? È presto detto!
È una struttura che posa su colonne, composta
dall’architrave, dal fregio e dalla
cornice. E dal Foro Romano torniamo
alla nostra Fontana dei Dioscuri ed è doveroso
rammentare quanto i due gruppi
scultorei fossero, nel tempo, stati ricoperti
da velature biologiche che solo dopo
un delicato ed accurato lavoro di pulitura
ci abbia restituito il loro indiscusso splendore.
Stiamo parlando infatti dei lavori di
restauro terminati nel 2016…lavori di restauro
che hanno salvato il monumento
dall’azione di agenti atmosferici, nonché
a quella dell’acqua e del microclima. Sia
lo stato della tazza superiore (labrum) e
quello del piede di sostegno, entrambi in
granito del Foro (marmor Claudianum),
quanto il bacino inferiore in candido
marmo bianco erano interamente ricoperti
di strati di calcare e la loro rimozione
ha consentito di riportare alla luce
i raffinati e delicati contrasti cromatici
esistenti tra il granito grigio della tazza e
del piede ed il venato marmo bianco della
vasca inferiore. La Fontana di Monte Cavallo,
o dei Dioscuri, sia essa stata opera
dei maestri Fidia e Prassitele o no è uno
dei più visitati monumenti di Roma, che
collocata nel rione Trevi, è meta ogni
anno di migliaia e migliaia di visitatori
provenienti da tutte le parti del mondo
che si “incantano” dinanzi a tale scenario
e ci sembra doveroso ringraziare i nostri
antenati per averci donato tale magnificenza!…i
più romantici invece, non disdegnano
di ammirare l’incantevole spettacolo
che solo il panorama di Roma, con
le sue cupole, i suoi campanili, i suoi tetti,
con suoi variopinti e rarefatti tramonti sa
offrire.
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42
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44
al Museo di Roma in
Trastevere una
mostra fotografica e
multimediale in
occasione del
50° anniversario del 1968
“Dreamers. 1968: come
eravamo, come saremo”,
28 marzo1968 - AP ANSA- Il reverendo
Ralph Abernathy a destra,
il vescovo Julian Smith a
sinistra, con Martin Luther King
durante una marcia per i diritti
civili a Memphis
In occasione del 50° anniversario
del 1968, AGI Agenzia Italia
ricostruisce l’archivio storico di
quell’anno, recuperando il patrimonio
di tutte le storiche a-
genzie italiane e internazionali, organizzando
questa affascinante mostra
fotografica e multimediale che sarà allestita
al Museo di Roma in Trastevere
dal 5 maggio al 2 settembre 2018.
La mostra a cura di AGI Agenzia Italia,
promossa da Roma Capitale, Assessorato
alla Crescita culturale-Sovrintendenza
Capitolina ai Beni Culturali e
con il patrocinio del MIUR – Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca è resa possibile dalle numerose
fotografie provenienti dall’archivio
sto- rico di AGI e completata con gli
altrettanto numerosi prestiti messi a disposizione
da AAMOD-Archivio Audiovisivo
del Movimento Operaio e
Democratico, AFP Agence France-
Presse, AGF Agenzia Giornalistica Fotografica,
ANSA, AP Associated Press,
Marcello Geppetti Media Company,
Archivio Riccardi, Contrasto, Archivio
Storico della Biennale di Venezia,
LUZ, Associazione Archivio Storico
Olivetti, RAI-RAI TECHE, Corriere
della Sera, Il Messaggero, La Stampa,
l’Espresso. I servizi museali sono di
Zètema Progetto Cultura.
L’iniziativa nasce da un’idea di Riccardo
Luna, direttore AGI e curata a
quattro mani con Marco Pratellesi,
condirettore dell’agenzia, e intende delineare
un vero e proprio percorso
nell’Italia del periodo: un racconto per
1 febbraio1968 - AP ANSA - Un sospetto Viet-Cong viene giustiziato per strada da
Nguyen Ngoc Loan capo della Polizia Nazionale vietnamita a Saigon
1 ottobre1968 - AGI conferenza stampa
Adriano Celentano per il film Serafino con la moglie
Claudia Mori
immagini e video del Paese di quegli
anni per rivivere, ricordare e ristudiare
quella storia. Come scrive Riccardo
Luna nel testo del catalogo dell’esposizione:
“Questa non è una mostra sul
passato ma sul futuro. Sul futuro che
sognava l’ultima generazione che non
ha avuto paura di cambiare tutto per
rendere il mondo migliore. Che si è
emozionata e mobilitata per guerre lontane;
che ha sentito come proprie ingiustizie
subite da altri; che ha fatto
errori, certo, ha sbagliato, si è illusa, è
caduta, ma ha creduto, o meglio, ha capito
che la vera felicità non può essere
solo un fatto individuale ma collettivo,
perché se il tuo vicino soffre non puoi
non soffrire anche tu. Nessuno si salva
da solo.
25 maggio 1968 - AFP
Il leader studentesco francese
Daniel Cohn Bendt
e manifestanti tedeschi
tengono una protesta
al confine franco-tedesco
16 marzo1968 - Marcello
Geppetti Media
Company - Scontri
all’università tra studenti
e forze dell’ordine
Quello che ci ha colpito costruendo
questa mostra, sfogliando le migliaia di
foto che decine di agenzie e archivi ci
hanno messo a disposizione con una
generosità davvero stupefacente, come
se tutti sentissero il dovere di contribuire
alla ricostruzione di una storia
che riguarda i nostri figli molto più che
i nostri genitori; quello che ci ha colpito
sono gli sguardi dei protagonisti,
l’energia dei loro gesti, le parole nuove
che usavano”.
Da qui, AGI ha ricreato un archivio
storico quanto più completo del ’68 attraverso
le immagini simbolo dell’epoca.
Non solo occupazioni e
studenti, ma anche e soprattutto la
dolce vita, la vittoria dei campionati
europei di calcio e le altre imprese
sportive, il cinema, la vita quotidiana,
la musica, la tecnologia e la moda.
Un viaggio nel tempo fra 178 immagini,
tra le quali più di 60 inedite; 19
archivi setacciati in Italia e all’estero;
15 filmati originali che ricostruiscono
più di 210 minuti della nostra storia di
cui 12 minuti inediti; 40 prime pagine
di quotidiani e riviste riprese dalle più
importanti testate nazionali; e inoltre
una ricercata selezione di memorabilia:
un juke boxe, un ciclostile, una macchina
da scrivere Valentine, la Coppa
originale vinta dalla Nazionale italiana
ai Campionati Europei, la maglia della
nazionale italiana indossata da Tarcisio
Burgnich durante la finale con la Jugoslavia,
la fiaccola delle Olimpiadi di
Città del Messico.
Tutti questi temi verranno raccontati
attraverso la cronaca, gli usi, i costumi
e le tradizioni in diverse sezioni tematiche,
dando vita e facendo immergere
il pubblico in questo lungo e intenso
racconto nell’Italia del ’68.
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“ceramics Now”:
l’arte ceramica contemporanea
internazionale al MIc di Faenza
Intervista a Claudia Casali
a cura di Marilena Spataro
Dal 30 giugno al 7 ottobre
2018, il museo faentino
festeggia gli 80 anni del
concorso Internazionale
della Ceramica d’Arte
contemporanea 60° Premio Faenza con
una mostra particolare: 17 curatori internazionali
hanno scelto 60 artisti contemporanei
che lavorano con la ceramica.
La direttrice del prestigioso museo,
Claudia Casali, ci parla dell'evento
e ci anticipa le mosse future che prevede
di mettere in atto per consolidare
il nuovo progetto, accrescendo la fama
internazionale della realtà museale da
lei diretta.
Come nasce, direttrice, questo progetto
espositivo chiamato Biennale e
ideato per l'importante anniversario
del Premio Faenza?
«Il Premio Faenza è stato, fin dalle sue
origini, nel lontano 1938, una vetrina
importante delle novità legate al linguaggio
ceramico. Negli anni hanno
partecipato scultori come Fontana, Ceroli,
Leoncillo, figure di primo piano
nella poetica contemporanea e che hanno
fornito indicazioni preziose sul “fare”
ceramico in termini di innovazione,
ricerca e “attualità”. Con questo spirito
abbiamo affrontato il concept di questa
edizione speciale: 80 anni e 60 edizioni
sono un record assoluto. L’idea che ha
sostenuto la nostra scelta è stato innanzitutto
un progetto curatoriale, non una
competizione, quindi il coinvolgimento
di curatori e professionisti del settore,
internazionali, che potessero fornire una
rosa di nomi, di chiara fama, nella categoria
talenti e maestri».
Come e con quali criteri è avvenuta la
selezione degli artisti?
«I diciassette curatori hanno lavorato
per aree geografiche, indicando anche
protagonisti assoluti tra cui selezionare
la lista finale. L’obbiettivo erano 50
nomi che raccontassero oggi l’attualità
della scultura ceramica, l’innovazione
e la ricerca. La selezione è stata complessa
ma nell'insieme abbiamo definito
un percorso e uno spaccato rile-
Antonio Violetta - “Torso” - 2016 - terracotta e grafite
Bertozzi&Casoni - “Aperta”
vante, coinvolgendo artisti che normalmente
non partecipano a competizioni».
Quali le caratteristiche che contraddistinguono
i lavori e gli artisti presenti
a questa prima edizione della Biennale
che inaugura al Mic a fine giugno?
«Vi sono molte installazioni e molte
contaminazioni. Questo era l’obbiettivo
originale espresso da tutti i curatori.
Fotografia, video, suono, performance
dialogano assieme alla ceramica, ne
sono un tutt’uno poetico ed espressivo.
Investire in una nuova estetica contemporanea
e in nuovi codici espressivi per
la scultura ceramica questo è il risultato
che si vuole trasmettere».
Chi sono gli artisti italiani selezionati
della rassegna?
«Dire “artisti italiani” è un po' limitante
poiché abbiamo artisti italiani di
nascita, ma che vivono e lavorano all’estero
da decenni. Penso a Salvatore
Arancio, Arianna Carossa, Alessandro
Pessoli, Alessandro Gallo, Salvatore
Cuschera, ormai da considerarsi internazionali
più che italiani. Gli altri sono
Bertozzi&Casoni, Bruno Ceccobelli,
Giuseppe Ducrot, Luigi Mainolfi, Paolo
Polloniato, Scuotto, Alessio Tasca,
Antonio Violetta».
Qual è l'aspetto più evidente che li
rende rappresentativi della tradizione
artistica e ceramica Made in Italy?
«Non possiamo oggi definire l’arte
contemporanea e la scultura ceramica
con il termine Made in Italy. Sarebbe
una caratterizzazione impropria. A differenza
infatti di altre nazioni, come il
Giappone, con una tradizione ancora
molto forte e caratterizzante, l’Italia ha
saputo interpretare in maniera innovativa
e del tutto personale il background
fondamentale della tradizione, superandola
e trovando codici stilistici assolutamente
nuovi ed internazionali.
Pensiamo semplicemente agli stessi
Bertozzi&Casoni: qui la tradizione è
importante in termini di tecnica, Faenza
docet, ma si esaurisce lì, poiché il
loro messaggio è andato oltre, raccon-
48
Bruno Ceccobelli
Luigi Mainolfi - “Dune rossa” - 2005
Paolo Polloniato
Salvatore e Emanuele Scotto - “La torre di Babele”
tando l’attualità, in un percorso unico
ed innovativo assolutamente internazionale».
Quanto sarà importante per la città di
Faenza e per il Mic ospitare questa
nuova iniziativa di portata internazionale?
«Sarà fondamentale poiché riporterà
l’attenzione su questa rassegna internazionale,
sulla nostra città, sul nostro
territorio e sul nostro Museo, unico al
mondo per estensione e collezione. E
come sempre è accaduto negli anni
passati, mi auguro che dal Premio arrivino
nuovi stimoli per gli artisti locali,
nazionali e non solo, nuove prospettive
di lavoro, nuovi dialoghi. Il Premio Faenza
è sempre stato, come già detto, un
volano di novità anche per l’alto artigianato
artistico locale».
Come si configura oggi l'evento?
«Inaugureremo il 29 giugno ma già dal
28 ospiteremo una serie di incontri organizzati
da ICMEA (Associazione Internazionale
Editori d’Arte) sulle tematiche
della contemporaneità e dell’attualità
della proposta ceramica, della
formazione e della ricerca ceramica, a
cui parteciperanno i curatori ed esperti
di settore».
E in futuro?
«Il futuro è sempre incerto, come qualcuno
cantava tempo fa. Mi auguro che
ci sia la possibilità di poter proporre una
edizione open call con una competizione
alternata ad una edizione curatoriale.
Questo sarebbe il progetto che oggi io
vedo per Faenza, capitale indiscussa della
contemporaneità ceramica».
ATHOS FACCINCANI
MOSTRA PERSONALE DAL 21 GIUGNO AL 7 LUGLIO 2018
“UNA DIMENSIONE SOGNANTE TUTTA DA SCOPRIRE E DA VIVERE”
“Un sogno di peonie intorno a Positano” - olio su tela - cm. 70 x 80
La forza del colore che vive con totale passione ed armonia nell’opera dell’artista Athos Faccincani contiene una costruzione
compositiva decisamente incisiva densa di rigorosa e coerente espressiva. Le sue vedute di Portofino, di
Santorini e di altri soggetti di paesaggi e di figure, che egli realizza con notevole potenzialità pittorica, godono di una
magistrale sintesi di racconto e di una resa stilistica altamente personale. Costantemente ricca di stati d’animo e di
memoria l’opera si fa testimone di valori assoluti e di un’emotività profonda che si riconosce appieno. E’ un’arte di
singolare maestria che regala al fruitore una comunicativa impegnata sia per la resa formale unica che per il linguaggio
stilistico maturo. Egli illustra con autonoma personalità storie di vita, scene naturalistiche, luoghi, ricordi e pensieri
di sorprendente carica umana dove il dialogo continuo con l’opera stessa è supportato da una vibrante interiorità.
Sono immagini di immediata lettura che con sincerità e sentimento riescono a trasmetterci una narrativa di straordinario
lirismo e sensibilità assoluta e che sanno raggiungere l’animo di ognuno di noi. L’interpretativa inconfondibile,
le vivaci scansioni cromatiche e la gestualità del tratto denotano una ricerca contenutistica descrittiva suggestiva di
rara densità pittorica e rilevante verità poetica.
Monia Malinpensa (Art Director- Giornalista)
MOSTRA PERSONALE A CURA DI MONIA MALINPENSA
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel +39.011.5628220 - +39.347.2257267
w w w . l a t e l a c c i a . i t - i n f o @ l a t e l a c c i a . i t
ORARIO GALLERIA: DAL MARTEDI AL SABATO DALLE 10,30 ALLE 12,30 - 16,00 ALLE 19,00
50
aRMONIE VERDI.
Paesaggi dalla Scapigliatura
al “Novecento”
Opere d’arte della Fondazione cariplo
e del Museo del Paesaggio di Verbania
a cura di Silvana Gatti
Verbania,
Palazzo Viani Dugnani
dal 24 marzo al 30
settembre 2018
Mario Sironi
Il lago, 1926, olio su tela, cm 50 x 57,5
collezione privata
I
l Museo del Paesaggio di Verbania
annuncia la primavera con
una splendida mostra dedicata al
paesaggio, Armonie verdi.
Paesaggi dalla Scapigliatura al Novecento.
La rassegna, frutto della collaborazione
tra Fondazione Cariplo e Fondazione
Comunitaria del VCO, è la quinta tappa
dell’iniziativa Open, tour di eventi espositivi,
in collaborazione con le Fondazioni
di Comunità.
La mostra, curata dalla storica dell’arte
Elena Pontiggia e da Lucia Molino, responsabile
della Collezione Cariplo, si
articola in 3 sezioni: Scapigliature, divisionismo,
naturalismo; Artisti del Novecento
Italiano; Oltre il Novecento,
attraverso una cinquantina di opere –
tra cui dipinti di Daniele Ranzoni,
Francesco Gnecchi, Lorenzo Gignous,
Emilio Gola, Mosè Bianchi, Carlo Fornara,
Ottone Rosai, Filippo De Pisis,
Arturo Tosi, Umberto Lilloni - provenienti
dalle Raccolte d’arte della Fondazione
Cariplo, del Museo del Paesaggio
di Verbania e da collezioni private.
Un percorso suggestivo tra capolavori
d’arte che vanno dalla fine dell’Ottocento
alla prima metà del Novecento,
esaltando il legame che lega
l’uomo alla natura e conseguentemente
al paesaggio, attraverso un genere pittorico
messo al bando dopo l’avvento
della pittura futurista, ma non per questo
meno amato dal pubblico che, distante
dai commenti di storici e critici
dell’arte, lo apprezza costantemente.
La selezione delle opere scelte per questa
rassegna sottolinea le differenti interpretazioni
del paesaggio, partendo
dalla sua centralità nel romanticismo di
fine Ottocento, per passare alla rappresentazione
volumetrica degli anni Venti,
dove il paesaggio è tracciato seguendo
linee architettoniche a suggerire
un senso di solidità e di durata, per
giungere alla precarietà espressa a partire
dagli anni Trenta.
La mostra si apre con i paesaggi di Daniele
Ranzoni, maestro della Scapigliatura,
di cui sono esposte tre opere tra
cui lo “Studio di paesaggio fluviale”
(1872), un acquerello che raffigura una
veduta del fiume con dei ciottoli in
primo piano. L’acqua irradia luminosità
e movimento grazie al taglio diagonale
dell’impostazione, ma la stesura leggera
delle pennellate rende il paesaggio
evanescente, quasi una visione.
Segue Lorenzo Gignous con la bella
“Veduta del Lago Maggiore” (1885-
1890) ; l’opera raffigura la sponda piemontese
del lago, ripresa dalla riva
dell’isola dei Pescatori. La scena è arricchita
da dettagli che conducono il
Ottone Rosai
Paesaggio, 1922, olio su tela, cm 100 x 135, Fondazione Cariplo
Mario Tozzi
La passeggiata, 1915, olio su tela, cm 45x29, Museo del Paesaggio
fruitore dal primo piano, in cui sono
raffigurati i pescatori con le compagne
affaccendate attorno alle loro barche,
fino alla riva opposta, dove per contrasto
sono raffigurate le dimore signorili
e la città di Baveno dominata dalle cave
di marmo, seguita dal Montorfano. Le
fitte pennellate ed i filamenti di diverso
spessore rendono la consistenza del prato
in primo piano, mentre il cielo e la
distesa delle acque, resi con una pennellata
più fluida e trasparente, suggeriscono
l’atmosfera vibrante del lago.
Mosé Bianchi, con “Interno rustico”
(1889-1895), raffigura una giovane contadina
in un interno, colta di spalle
mentre si dedica alle mansioni domestiche,
attorniata da un gruppo di anatre
nel piccolo rustico. Qui il paesaggio
collinare si intravede appena, raffigurato
oltre la porta d’ingresso da cui proviene
la luce. Si prosegue con “Cascata
del Toce in Valle Formazza” (1890) di
Federico Ashton, opera in cui il dinamismo
dell’acqua è reso in maniera spettacolare,
e con il suggestivo “Le gelide
acque del lago di Märjelen“(1908 ca) di
Carlo Cressini. Molto bella, di Francesco
Gnecchi, la visione del lago nell’opera
“Fondo Toce (Lago Maggiore)”
(1884). L’opera raffigura la sponda occidentale
del lago tra Baveno e Pallanza
verso Fondo Toce, oggi riserva naturale.
Il punto di fuga della composizione
coincide con la foce del fiume, e
il paesaggio con il Sempione sullo sfondo
degrada in piani paralleli che acquistano
profondità grazie alle sfumature
del cielo che contrasta con la limpidezza
delle acque in primo piano. Alcune
barche, di cui una in primo piano,
regalano al fruitore una sensazione di
tranquillità.
Dalla fine dell’Ottocento a valorizzare
la pittura di paesaggio sono in particolar
modo i divisionisti. In particolare, la
presenza di Vittore Grubicy nel Verbano
ha influenzato positivamente la
storia del Museo del Paesaggio, che il
generoso artista e intellettuale ambrosiano
incoraggiò e di cui incrementò le
raccolte mediante il dono di un suo importante
dipinto, “Il cimitero di Ganna”
(1895), qui esposto. L’opera raffigura
un recinto immerso nel verde, circondato
da un basso muretto bianco a cui
si addossano alcune cappelle di famiglia,
che sembrano piccole casette a
suggerire un senso di pace, immerse
come sono nella valle varesina, accanto
all’omonimo lago. Il 30 novembre 1894
era scomparso a cinquantun anni, a Ganna
dove era nato, l’amico di Grubicy,
Giuseppe Grandi, scultore scapigliato
autore del Monumento alle Cinque Giornate
di Milano. Grubicy, che era legato
a lui fin dalla giovinezza, era giunto nel
paese per i funerali. Nonostante il titolo,
è la natura il vero soggetto del
quadro, colta al tramonto di una giornata
invernale, che diventa simbolo del
declinare della giornata terrena. La stri-
52
Anselmo Bucci
Il governo dei cavalli, 1916, olio su tela, cm 40 x 74, Fondazione Cariplo
Francesco Gnecchi - Fondo Toce (Lago Maggiore) o Il Sempione dal Lago Maggiore,
1884,olio su tela, cm 75,5 x 149, Gallerie d'Italia
scia azzurrognola del lago arriva sino
al primo piano, mentre il sole tramonta
dietro le colline. Il luogo solitario ed i
toni coloristici evocano un sentimento
malinconico ma non drammatico. Da
quest’opera nascerà il quadro Che pace
a Ganna, ora alla Galleria Nazionale
d’Arte Moderna di Roma, in cui l’artista
riprenderà lo stesso paesaggio, eliminando
l’immagine del cimitero.
Importanti le opere di Cesare Maggi
che, conquistato dalla pittura di Giovanni
Segantini, si recò in Svizzera
nella regione della Maloja (1899-1900)
per dedicarsi al divisionismo ritraendo
paesaggi alpini engadinesi e valdostani,
spesso arricchiti con personaggi ed a-
nimali. In mostra è possibile ammirare
il lirismo di opere quali il trittico “Neve”,
(1908), e “Nevicata”, (1908 e 1911).
La carrellata di opere prosegue con lo
scenario campestre de “I due noci”,
(1921), di Carlo Fornara, a cui si affiancano
Guido Cinotti con “Marina” (1910
-1915), paesaggio assolato reso con pennellate
filamentose a rappresentare cielo
e mare su cui troneggia una barca a
vela, in un’atmosfera evanescente. Clemente
Pugliese Levi è presente con
“Cave di Alzo”, (1920), opera che documenta
i lunghi soggiorni estivi sul
lago d’Orta - dove nel 1920 acquistò
una villa a Viganallo - soggetto predominante
nei suoi dipinti insieme alle
vedute alpine dovute alle villeggiature
a Macugnaga, Courmayeur, Zermatt e
Dolomiti. La sezione si conclude con i
paesaggi brianzoli di Emilio Gola e le
vedute di Pietro Fragiacomo, tra cui
“Armonie verdi” che dà il titolo alla
mostra, Teodoro Wolf Ferrari, Antonio
Pasinetti.
Il paesaggio, poco considerato dai futuristi
che amavano la città industriale e
la macchina, torna a riaffermarsi in pittura
col Ritorno all’ordine e col Novecento
Italiano, cui è dedicata la seconda
sezione della mostra. La sezione si vale
anche di due prestigiosi nuclei di opere
recentemente assicurati, con un deposito,
al Museo del Paesaggio: “Il lago”,
(1926), paesaggio dal taglio essenziale
di Sironi, e un’ importante serie di paesaggi
di Tosi.
Sono qui esposte cinque opere di Mario
Tozzi, emblematiche del passaggio dall’impressionismo
ai valori classici.
Giunto nel 1900 a Suna col padre medico
e la famiglia, Mario Tozzi riceve
da miss Prescott, amica di famiglia, la
prima scatola di colori, mentre il pittore
Alfonso Muzii gli insegna a dipingere.
L’ambiente circostante ispira le sue o-
pere. Tra queste, sono in mostra la poetica
“Casetta a Suna”, oggi Verbania,
del 1914; “Cimitero di Suna” e “La passeggiata”,
luminose opere di stampo
impressionista del 1915; “Neve a Lignorelles”,
(1921) e “Paesaggio di Bor-
Mario Tozzi
Paesaggio di Borgogna, 1922, olio su tela,
cm 30,5 x 38, Museo del Paesaggio
Ardengo Soffici
Veduta serale del Poggio, 1952,
olio su compensato, cm 42 x 52, Fondazione Cariplo
gogna”, (1922), entrambe ormai novecentiste,
dipinte con forme più dense e
volumi più definiti. Anche Anselmo
Bucci con “Il governo dei cavalli”,
(1916), documenta un momento di transizione.
Col Novecento Italiano la volatilità dei
paesaggi precedenti cede il passo ad
opere caratterizzate da un impianto costruttivo
che dà solidità all’insieme,
come “Paesaggio”, (1922), di Rosai;
“Ornavasso”, (1923) e “Guardando in
alto”, (1925), di Carpi; “Pioppi”,
(1930), di Michele Cascella. Stilizzati
sono i paesaggi urbani di Penagini, artista
che dal 1923, dopo essersi sposato,
si trasferisce a Solcio, sul lago Maggiore,
e partecipa alla prima e alla seconda
Mostra del Novecento Italiano,
condividendo solo alcuni aspetti di questo
movimento; egli è contrario allo
sfaldamento impressionista della forma
e delinea sulla tela un’architettura del
paesaggio, fatta di pesi e volumi. Opera
emblematica di questa sezione è “Il
lago”, 1926, di Sironi, che non ha nulla
di artistico e rende immobile e surreale
un angolo di un mondo senza tempo,
incastonato tra le montagne.
L’Associazione Arturo Tosi di Bergamo
ha lasciato in deposito al Museo del Paesaggio
di Verbania sei tele del grande
artista: “Cipresso a Zoagli“, “Le tre betulle“,
“Fuori dallo studio“, “Ulivi a
Montisola“, “Il piantone“ e “Lago di
Como“, dipinti tra il 1923 e il 1940,
esposti in questa mostra. Nel Novecento
Italiano Tosi rappresenta l’ala più
vicina alla tradizione lombarda ottocentesca.
La sua pennellata fluida e pastosa
si riallaccia a una scuola pittorica che
dal Fontanesi e dal Piccio giunge alla
Scapigliatura e a Gola. Con il Novecento
Tosi condivide però il senso della
sintesi e di una salda struttura architettonica,
mutuata soprattutto da Cézanne.
Con gli anni Trenta si abbandona lo
stile volumetrico e la pittura torna a
esprimere un senso di precarietà. Ne è
un esempio il Temporale (1933) di De
Pisis, in cui pochi tratti di colore sono
stesi sulla tavola preparata con un sottile
strato di vernice. Il legno del supporto
è visibile in più punti mentre,
nella parte centrale, il colore è eliminato
con graffiature eseguite con la
punta del pennello. Una composizione
in basse tonalità - dal grigio al bruno,
al verde scuro - che riflettono il senso
di inquietudine che precede l’arrivo del
temporale. Seguono lo stesso filone
Paesaggio di Lavagna (1934) di Lilloni,
ed opere del secondo dopoguerra di Dudreville
(Case a Feriolo, 1945) e Soffici
(Veduta serale del poggio,1952).
Una mostra imperdibile per gli amanti
del paesaggio, da abbinare ad una gita
nell’accogliente cittadina di Verbania.
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gli artisti dipingono
le canzoni di Franco Califano
MaRcO LODOLa
“Il campione”
GIaNcaRLO MONTUScHI
“Per una donna”
GIOVaNNa FRà
“Questo nostro grande amore”
cINZIa PELLIN
“Minuetto”
dal 19 maggio al 3 giugno 2018 al Porto turistico di Roma
Galleria Ess&rrE
Porto Turistico di Roma - 00121 - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - loc. 876
cell. 329 4681684 - www.accainarte.it - acca@accainarte.it
galleriaesserre@gmail.com
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Milano secondo cerri
di Carlos Vìntem
Giovanni Cerri “San Bartolomeo”
2017 - tecnica mista su tela - cm. 115x83
Giancarlo Cerri - “Sequenza verticale” - 2005 - olio su tela - cm. 80 x 60
Avolte accade. Non sempre,
ma a volte accade.
Milano rende omaggio alla
cultura lombarda e milanese
mettendo a confronto
la pittura di un padre
e quella del figlio, Giancarlo e Giovanni
Cerri, entrambi capaci di vivere appieno la
città e la cultura che li ha cresciuti, formati,
plasmati.
Due modalità di affrontare l’arte sulla tela,
e la ricerca sottesa, completamente differenti,
eppure capaci di fondersi l’una con
l’altra.
Artisticamente parlando nella famiglia Cerri
non c’è quel ricambio generazionale che
spesso significa “passaggio del testimone”
e negazione del passato. La scelta di Giovanni
di vivere con e di pittura è stata, così
come per il padre, naturale. Una solco già
tracciato da Giancarlo che Giovanni ha percorso
con libero arbitrio, senza cadervisi
dentro per sbaglio. Giovanni esprime esattamente
le stesse perplessità del padre, solo
che le racconta con altri occhi, altri segni,
altri colori. Senza strappi per intenderci.
Questo accade perché di fondo c’è una sottile
linea di continuità fra Giancarlo e Giovanni,
che è innanzitutto culturale.
“L’eredità nell’immagine dipinta”, al CMC
Centro Culturale di Milano in largo Corsia
dei Servi 4 dal 10 al 27 maggio, è dunque
un racconto di due versioni della stessa
anima.
Da una parte la sintesi astratta delle immagini
di Giancarlo, affascinanti nella purezza
di pochi colori, ma ugualmente efficaci.
Dall’altra la pittura del racconto di Giovanni,
figurativa sì ma astratta nel retroracconto.
Giancarlo Cerri, nato a Milano nel 1938,
presenta alcuni dipinti del ciclo “Sequenze”,
realizzati tra il 1995 e il 2005,
prima che gli occhi tradissero la sua vulcanica
voglia di andare avanti a dipingere.
Inoltre l’artista esporrà tre dipinti di arte
sacra: “Deposizione” (1993), “È sempre
l’ora della croce” (2005), “Nel segno della
Giovanni Cerri - “Per i tuoi occhi”
2017 - tecnica mista su tela - cm. 100x140
croce” (2005).
Giovanni Cerri, classe 1969, racconta la
città concentrandosi sulla cattedrale milanese
e la sua regina, la Madonnina: da Il
Duomo bianco, opera di grandi dimensioni
(cm. 180x260), realizzata nel 2016, a tele
che ridisegnano le guglie o le policrome
vetrate, sino al volto di San Bartolomeo,
che del Duomo di Milano è la scultura più
affascinante, realizzata nel 1562 circa da
Marco D’Agrate.
Il progetto espositivo “Giancarlo e Giovanni
Cerri. L’eredità nell’immagine dipinta”,
realizzato in collaborazione con
LTA Studio – Tax & Law Firm di Milano e
nato da un’idea di Giovanni Cerri e Stefano
de Angelis, prende spunto dal tema del
Meeting di Rimini 2017 “Quello che tu
erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per
possederlo”. La mostra è il quarto capitolo
di un confronto fra i due artisti milanesi iniziato
nel 2008 al Museo della Permanente
di Milano con l’esposizione “I Cerri, Giancarlo
e Giovanni. La pittura di generazione
in generazione”, e proseguito in Germania
con la mostra “Zwei Künstlergenerationen
aus Mailand”, alla storica Frankfurter Westend
Galerie nel 2013 e all’Istituto Italiano
di Cultura di Stoccarda l’anno successivo.
Durante la mostra verranno proiettati due
brevi video sull’attività dei due artisti: per
Giancarlo Cerri una video-intervista dal titolo
“La sintesi e l'astrazione” (produzione
TVN Media Group, intervista a cura di Stefano
Sbarbaro), per Giovanni Cerri il video
“North Milan” sulla realizzazione della
grande opera “Milano Porta Nuova” (cm.
180 x 360), ideale anteprima sull’esposizione
che l’artista avrà al Museo Italo
Americano di San Francisco nella stagione
2018-19, dove presenterà un nuovo ciclo
di quadri dedicati alla città di Milano.
ARTE E SOLIDARIETà
CBM Italia e Giovanni Cerri
ancora insieme
La mostra “L’eredità nell’immagine dipinta”
è anche l’occasione per riproporre
la felice collaborazione fra Giovanni Cerri
e CBM, l’organizzazione umanitaria internazionale
impegnata nella cura e prevenzione
della cecità nei Paesi del Sud del
mondo. Infatti, dopo la mostra “Spes contra
spem” allo Spazio Bigli dello scorso
anno, durante la mostra al Centro Culturale
di Milano sarà possibile acquistare alcune
opere realizzate ad hoc dall’artista il
cui ricavato andrà a favore di CBM Italia
Onlus, e in particolare a sostenere il progetto
del Sabatya Eye Hospital di CBM in
Kenya, per aiutare migliaia di bambini e
adulti a tornare a vedere. Giovanni Cerri
ha infatti dipinto una grande tela dal titolo
“Per i tuoi occhi” (cm. 100x140) e dieci
carte (cm. 50x60) che riprendono il tema
del volto della madonnina.
58
Art&Vip
la magica parola “ciak.. azione!”.
La vera differenza spesso
sta nel tempo, perché al cinema
generalmente hai più tempo per
girare la scena e quindi più possibilità
per capire meglio il personaggio
e farlo al meglio. In
ogni caso amo il cinema e lo sostengo
perché l’emozione che ti
da vedere un film al cinema è
unica.
Quale fra i personaggi che hai
interpretato ti ha divertita di
più?
Ho amato tutti i personaggi che
ho interpretato, perché son spesso
differenti e delle vere sfide.
Mi diverte molto fare la commedia,
che è la cosa più difficile
da fare, perché ci vogliono i
tempi comici.. un personaggio
che ho amato molto e che mi ha
tenuta compagnia per tre serie è
stato quello di Laura Sommariva
nella fiction “Le tre rose di
Eva”. I personaggi che interpreto
diventano mie amiche,
son talmente diversi da me, che
mi fanno anche crescere come
persona, perché imparo o vivo
situazioni che mai avrei immaa
cura della redazione
Elisabetta Pellini,
l’attrice che ama l’arte.
Tanto amata dal grande pubblico Elisabetta Pellini, protagonista di numerose Fiction e pellicole cinematografiche..
una vera artista, icona di bellezza e stile con l’arte nel sangue da sempre..
Ci racconta
Elisabetta
il suo periodo
lavorativo
fra fiction e
cinema.
Attualmente sto girando una
puntata della serie tv Allieva 2
per Rai 1. A maggio uscirà al cinema
il film STATO DI E-
BREZZA. Ora son in preparazione
del film che spero gireremo
prestissimo #SelfieMania,
che ho scritto io. Si parla
della mania dei selfie. 7 episodi,
girati da 7 registi e ogni episodio
è ispirato ai 7 vizi capitali.
Attualmente abbiamo creato un
sito web, che serve per raccogliere
selfie e story delle persone
che potranno esser Co-protagonisti
del film. Il link del sito
dove potete mandarci il materiale
che verrà selezionato per il
film è: www.selfiemania.tv.
Aspettiamo i vostri selfie e poi
ci vediamo al cinema!!
Preferisci la Tv o il Cinema?
La mia passione è recitare.
Quindi per un attore, non c’è
grande distinzione quando sente
ginato. Quindi è molto divertente.
Il tuo rapporto con l’arte..
Cinema è arte e cultura. Amo l’arte, amo
l’Italia che è un paese ricco di storia e arte.
Appena posso vado alle mostre. Da sempre
ho avuto la passione della pittura a olio,
cercavo di imparare a dipingere rifacendo
falsi d’autore. I miei preferiti son Van
Gogh, Munch, Frida Kahlo .
Amo la fotografia. Mi piace fissare non
solo la memoria, momenti, paesaggi che
mi suscitano emozioni. Sperimentare inquadrature
fotografiche particolari.
Amo la scultura, nella famiglia di mio
padre, ci son stati due famosissimi scultori:
Eugenio Pellini che ha fatto parte del periodo
della scapigliatura e suo figlio Eros
Pellini, che ho avuto opportunità di conoscere
e ogni volta che andavo con la mia
famiglia nel suo studio, guardavo le sue
opere estasiata...
Sei una donna tanto impegnata, viaggi
molto e ti piace viaggiare.. ma nei tuoi
spostamenti sei una donna d’avventura
oppure hai tutto in agenda sistematico e
preciso?
Amo viaggiare. Se potessi sarei sempre in
viaggio, alla conoscenza di culture e paesi
diversi. Ogni viaggio è un arricchimento
vitale, emozionale, culturale. Si torna sempre
con una storia e dei ricordi che restano
per sempre nella memoria. Non son molto
organizzata. Ho sempre o quasi fatto viaggi
all’avventura e all’ultimo minuto. Però
mi documento sul paese dove vado, perché
essendo curiosa, voglio sapere e vedere il
più possibile, cercando di vivere i posti,
non in modo turistico e ordinario.. ma cercando
di conoscere le tradizioni e abitudini
del popolo. Mi piace anche perdermi. Nei
posti.. quando ti perdi, ti godi di più il viaggio.
E ritengo l’avventura adrenalinica...
tanto l’imprevisto c’è sempre, quindi meglio
sapere la data di partenza e di ritorno,
poi il viaggio si fa giorno per giorno. In
Messico volevo fermarmi a San Cristobal
solo 2 giorni e mi son fermata 3 settimane.
Quando trovi un posto che ti cattura è difficile
andarsene. Quindi meglio farsi guidare
dal viaggio e dal cuore.. piuttosto che
aver tutto organizzato.
Visiti le mostre?
Si visito le mostre. Amando l’arte cerco di
vederne più possibili. Ogni volta mi perdo
guardando i quadri. Cerco di capire cosa
voleva esprimere l’artista, penso a cosa
l’ha portato a fare quell’opera.. mi concentro
sui particolari.
Il tuo artista preferito?
Amo gli impressionisti come Van Gogh.
Amo molto anche Frida Kahlo. Son stata
a Città del Messico nella sua casa (casa
Azul) la sua storia mi ha appassionato. Le
sue opere son molto forti e comunicano
bene il suo stato d’animo e arte. Ed è esattamente
questo che mi piace, leggere il
messaggio che ogni opera trasmette. Recentemente
a Parigi ho visto la mostra di
Delacroix che conoscevo poco. Una mostra
bellissima al Louvre e dei quadri che
mi hanno colpito molto. Vorrei poter avere
la stessa dote.. per ora i miei son scarabocchi
, però ogni volta che dipingo, mi estraneo
da tutto , e anche i pensieri brutti, le
ansie spariscono o si trasformano. Per me
è terapeutico. Amo anche i fumetti. Mi
piace Milo Manara. Ultimamente
ho fatto un trittico tratto da Storie
particolari di Manara con l’acquarello
.
Se ti dovessi descrivere in un
quadro… come lo raffigureresti?
Sarei un quadro con pittura a
olio, spatolata. Colori intensi. A
volte malinconici. Non sarei certo
una natura morta. A volte forse mi ritrovo
nel quadro “l’urlo” di Munch.. ma
questo capita a tutti credo. Penso che sarei
tanti quadri insieme, con rapprentati fiori,
mare, cielo, tramonti..che sia un mix di fragilità
e forza. Un pò come sono io.. a volte
molto fragile ed emotiva.. altre testarda,
passionale, istintiva .
Progetti futuri..
Lavorativamente Il film #SelfieMania ..
aspetto i vostri selfie mi raccomando! aiutatemi
a fare un bel film.. e come ho detto
prima, ci vediamo poi tutti al cinema!!
Nella vita.. quello di esser serena, con la
speranza che le persone che Amo siano felici.
Per me è più importante la felicità di
chi amo.. perché la mia è direttamente proporzionale
alla loro. Non saprei se è giusto
o sbagliato.. ma è così.. questa sono io.. Ely
e come scrivo spesso LovEly ..
Special Thanks Ph Pino Leone, outfit Nino Lettieri,
make up Martina Crugliano.
60
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“Sette rose” - 2016 - matita su tavola - cm 150 x 150
Omar Galliani
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Forte dei Marmi 55042 - Piazza Marconi, 2 - Tel +39 0584 787030 - fortedeimarmi@tornabuoniarte.it
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MaLÈ e IL SUO
MOZaMBIcO
di Paola Simona Tesio
In mostr a le oper e del l’ar ti st a
A nt onio Malendze (Malè)
d a l 5 m a g g i o a l 9 s e t t e m b r e 2 0 1 8
I n a u g u r a z i o n e s a b a t o 5 m a g g i o a l l e 1 7 . 3 0
M U S E O A F R I C A N O
( v i c o l o Poz z o 1 – Ve r o n a )
Antonio Alberto Malendze
(in arte Malè) è un promettente
artista mozambicano
che si inserisce
nel contesto contemporaneo
con opere dall’elevata
valenza umana ed espressiva,
legate ad un intimo significato esistenziale.
Le sue figure sono generate da
una straordinaria sensibilità e da una ricerca
stilistica connotata da autentici
valori i cui contenuti si caratterizzano
per le suggestive immagini simboliche,
che vanno ricercate ed interpretate nelle
anse della sua sorprendente pittura.
Il mondo di Malè racchiude l’universo
del suo Mozambico e non solo, perché
nella poetica narrazione, che trae linfa
dalle radici delle sue origini, si svelano
intessuti tra le trame del colore, i vissuti
umani universali, che trattengono il
senso metaforico dell’essenza dell’esistenza,
dei rapporti relazionali, dei richiami
alle tradizioni (che emergono
altresì nelle rievocazioni di feste e musica),
nel rispetto dell’altro, nell’elemento
dell’acqua come fonte vitale,
che racchiude il messaggio di buon auspicio
per la prosperità del villaggio, incarnato
nei peculiari “uomini goccia”.
Innumerevoli sono i simboli che si dipanano
tra forme e colori. L’otre, le cui
rotondità richiamano il ventre materno,
implica il concetto della fertilità e della
prosperità, il recipiente rivolto verso
l’alto ha il compito di ricevere un dono,
come quello della pioggia che rievoca
abbondanza: l’acqua è il bene prezioso
per il benessere della comunità.
Persone danzanti e suonatori rammentano
il profondo significato della musica
popolare. Leopold Stokowski nel
saggio “Musica per Tutti” ne descrisse
l’importanza in questi termini: «Ogni
nazione ha la sua musica popolare:
canti e danze che accompagnano le
feste, i riti, il lavoro. […] L’immenso
valore della musica folkloristica risiede
nella sua sincerità, semplicità e
profonda emozione. Spesso la sua origine
non può essere rintracciata, ma
62
noi sappiamo che essa è venuta direttamente
dal cuore e dall’anima di uomini
vicini alla natura e sensibili alla
realtà della vita. […] La musica e le
arti sono nutrimento della mente e
dell’anima». La melodia quindi è una
forma di cultura universale perché, come
suggeriva Stokowski: «Quando le
comunità e le nazioni comprenderanno
l’importanza[…]della musica in esse comincerà
una grande era di evoluzione
umana. Non si potranno forse eliminare
la cupidigia, lo sfruttamento, la concorrenza
spietata, ma la collaborazione tra
gli uomini, la semplicità, la generosità,
l’amore della cultura ne elimineranno i
nefasti effetti e permetteranno di attuare
quanto noi riteniamo giusto, vero e
bello». Questa “Magia della musica”
emerge dalle opere di Malè, dove canti,
suoni, tradizioni, diventano vibrante armonia,
che si esplica nelle note delle intense
pennellate.
Musica che in alcune tele rappresenta
la cura del corpo e dell’anima, la capacità
di accrescere la vitalità individuale
e collettiva, la celebrazione di una nascita
o l’accompagnamento nella morte,
l’impulso al risveglio interiore e la
possibilità di contribuire alla guarigione.
Spesso compare il disegno del piede,
dalle fattezze arcaiche, che indica stabilità
o precarietà a seconda della posizione
in cui è situato. Mentre il saluto,
evidente nelle mani protese verso
l’alto dei soggetti raffigurati, indica un
segno di gratitudine per gli eventi quotidiani
o per i momenti spirituali.
L’Anziano, a cui Malè dedica tutto il
suo rispetto, è la personificazione della
Saggezza in quanto per molte società
mozambicane è portatore di saperi antichi,
tramandati oralmente: un’enciclopedia
vivente. Le opere di Malè ritraggono
e trattengono un mondo: la famiglia,
la cultura, il folklore, la società,
le origini, ma anche il triste e drammatico
emigrare dal proprio amato paese.
L’emigrazione racchiude un sentimento
connotato da speranza e tristezza che
emerge nell’opera in cui sono ritratti
dei giovani in cammino, che si dirigono
verso un futuro ancora ignoto, fiduciosi
verso il domani ma consci dell’abbandono
della propria terra natia,
metaforizzata in lontananza dal profilo
di una casa del villaggio, dove sull’uscio
presenzia la madre con un figlio
piccolo. Lo sguardo della donna si dirige
amaramente lontano; la linea dell’orizzonte
si traduce in questo volgersi
altrove, mentre i colori della terra
brillano delle tonalità africane, rammentando
le origini e l’appartenenza
alle proprie radici.
In alcune scene l’artista focalizza la
sua attenzione sui valori comunitari,
che riguardano il concetto della famiglia
come centralità del nucleo umano
in cui si sviluppano i presupposti della
condivisione e del rispetto per l’altro.
La comprensione e l’ascolto sono aspetti
fondamentali della sua ricerca
estetica ed etica: emergono come rapporto
dialogico tra gli individui, nel
convivere della comunità, nelle persone
del villaggio che si riuniscono nel
rispettoso silenzio accanto all’anziano
portatore di saggezza che tramanda con
la sua voce gli insegnamenti non
scritti.
Il parto o la gravidanza compaiono con
straordinaria potenza espressiva nelle
raffigurazioni e sono connessi ai cicli
della natura e dell’esistenza che si rinnovano
perpetuamente: l’archetipo della
Vita/Morte/Vita.
L’estetica di Malè potrebbe definirsi
“surrealismo simbolico materico”, per
la sua peculiare capacità di strutturare
materiali di riciclo e pigmenti miscelati
alla terra, alla sabbia e agli scarti del
legno. Le ardue condizioni di vita, soprattutto
all’inizio della sua carriera,
l’hanno costretto a dipingere su tele di
qualsiasi tipo, cucite insieme con una
perizia sbalordiva, quasi fossero tasselli
di ricordi. Malè su questi supporti
poveri (cerate di ospedali, lenzuola lacerate,
stoffe e stracci consunti) fonde
i suoi cromatismi creando innovativi
elementi che si condensano come strati
di pensiero perché, come egli stesso
sottolinea: «La ricchezza nell’essere
povero sta nel poter dipingere valori
puri». Purezza che dona un’ulteriore
dimensione di spiritualità e diviene immanenza
nell’incontro con la tensione
umana ed emotiva. Una pittura carica
di potenza scultorea, svelata dalla corposità
e pienezza della materia che si
fa dialogo nella capacità di rievocare la
realtà terrena e nella finalità umana
64
del costruire, pigmento su pigmento,
quel mondo gravido di valori.
Malè è un uomo libero, che è stato capace,
nel suo intenso percorso, di svincolarsi
dalle scuole d’arte più diffuse a
Maputo, in Mozambico, definite rigide
e “filogovernative”, riuscendo a trovare
uno stile straordinariamente originale
ed unico. Nel 2009 stringe una
stretta e duratura amicizia e collaborazione
con i membri dell’associazione
di promozione interculturale “African
Art Gate” con sede a Brescia, che hanno
organizzato numerose esposizioni,
occupandosi della diffusione del suo
operato artistico. Come sottolinea il
fondatore Riccardo Del Barba: «Il nostro
compito è di diffondere l’arte africana
attraverso i valori e la cultura dei
popoli. Abbiamo iniziato a promuovere
l’artista Antonio Alberto Malendze,
detto Malè, realizzando esposizioni e
progetti con lo scopo di sensibilizzare
adulti e bambini ai temi trattati nelle
sue opere: l’acqua, la terra, la comunità
ed i valori africani. African Art Gate
non è fine a se stessa ma è arte come
sviluppo culturale, strumento per arrivare
ai valori umani, opportunità e progresso».
Un tempo il poeta e teorico André Breton
(a sua volta influenzato da Freud)
aveva dato impulso al movimento surrealista
sottolineando l’importanza del
sogno e dell’inconscio; Malè crea tele
ed ambienti carichi di speranza e ci
dice che la dimensione del sogno è un
orizzonte possibile, insegnando che si
possono ancora contemplare con stupore
l’uomo ed il suo mondo.
Info:
Museo africano
Missionari Comboniani
vicolo Pozzo 1, 37129 Verona
Tel. 045-8092199
info@museoafricano.org
Orari esposizione:
da martedì a venerdì 9-12.30, 14-17
sabato 9.30-12.30, I e III domenica
di ogni mese 15-18.
Chiuso il lunedì.
Associazione African Art Gate
Contatti: Riccardo Del Barba
Tel: 328 6345691
www.africanartgate.it
Artista Malè
www.antoniomalendze.it
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Firenze 50125 - Antichità - Via Maggio, 40/r - Tel. +39 055 2670260 - antichita@tornabuoniarte.it
66
Il pensiero simbolista
attraverso i suoi artisti
di Francesco Buttarelli
-
T
ra le grandi meraviglie dell’antichità,
pittoriche e scultoree,
un posto di rilievo
spetta necessariamente alle
due opere entrambe appartenenti
al patrimonio culturale etrusco: “Il
Sarcofago degli Sposi di Cerveteri
e la Tomba degli Auguri di Tarquinia”.
Visitare questi luoghi, suscita
in ogni estimatore di arte, stupore,
meraviglia e desiderio di intraprendere
un viaggio a ritroso nel tempo
per rivivere lo splendore ed il sogno
che gli etruschi ci hanno tramandato.
Il Sarcofago degli Sposi nel suo insieme
è oggi classificato come reperto
archeologico della civiltà e-
trusca databile tra il 520 ed il 510
a.C. Il capolavoro è conservato nel
Museo Nazionale Etrusco di Villa
Giulia a Roma ed è considerato come
una delle opere arcaiche etrusche più
celebrate e conosciute, sia per l’alta
qualità artistica e sia per il numero
esiguo delle sculture che la civiltà
etrusca ci ha lasciato. Il complesso
venne ritrovato, insieme ad un altro
manufatto molto somigliante conservato
nel Museo del Louvre, durante
gli scavi effettuati nella seconda
metà dell’Ottocento presso la necropoli
della “Banditaccia” a Cerveteri.
Il nome e l’aspetto possono trarre in
inganno il visitatore, poiché il sarcofago
non segue una linea tradizionale
come i sarcofagi dell’antico Egitto
ove le salme mummificate vi venivano
adagiate. Attraverso un’indagine
ravvicinata si evidenzia la presenza
di una grande urna cineraria
destinata a contenere i resti di due
persone. Evidenti tracce di pittura dimostrano
che in origine l’opera era
completamente colorata. Proseguendo
l’esame del complesso deduciamo
che i due coniugi sembrano intenti
ad un banchetto. Sdraiati e semidistesi
su un “Triclinio” elegante munito
di materasso coperta e cuscino.
L’uomo si presenta atletico, a busto
nudo e a piedi scalzi, i suoi capelli
sono lunghi e la sua barba ben curata.
Il braccio destro è poggiato affettuosamente
sulla spalla della moglie
che indossa una lunga veste ed
un mantello. La donna calza eleganti
scarpine a punta (le donne etrusche
attribuivano molta importanza ai
sandali ed alle calzature in genere, la
visione di un piede femminile curato
era alla base del concetto di eleganza);
i suoi capelli, divisi in trecce,
sono in parte coperti da un copricapo
particolare chiamato “Titulus”,
un berretto con orlo ripiegato.
Le mani degli sposi sono vuote, ma
sicuramente un tempo dovevano sorreggere
oggetti conviviali. La parte
inferiore dei corpi si presenta schiacciata
e rigida così da modificare e
sfalsare la simmetria nella sua composizione
che vede spostato tutto il
peso sulla parte destra interrompendo
l’equilibrio della scena. Gli
sposi sorridono ed hanno un atteggiamento
naturale, domestico, e sembrano
voler comunicare l’amore che
li unisce. Anche la gestualità mostra
un sentimento rispettoso di coppia
che si coglie dalla serenità dei volti,
dai gesti pacati e dal particolare intreccio
delle mani; tutto ciò grazie
all’immenso talento dell’artista, capace
di cogliere un intero scrigno di
sentimenti facendolo giungere sino a
noi.
La Tomba degli Auguri di Tarquinia
rappresenta un ciclo pittorico che
unisce il rituale funebre con giochi
sportivi. La decorazione parietale fu
realizzata attraverso un affresco da
un pittore di scuola greca tra il 540
ed il 530 a.C. Il complesso può essere
annoverato nell’ambito del pensiero
culturale che realizzò “La
Tomba dei Giocolieri e la Tomba
delle Olimpiadi”. Le pareti della
tomba illustrano scene tratte dalla
celebrazione di giochi funebri organizzati
secondo l’usanza etrusca in
onore del defunto.
L’autore dipinse le figure seguendo
la linea precisa dell’anatomia dei
corpi. Sulla parete di fondo è presente
la porta a due battenti, simbolo
del passaggio dal mondo dei vivi al
luogo dei morti. Sulla parete destra
è ritratto un uomo dalla veste purpurea,
in rappresentanza del mondo politico
e giuridico, il suo sguardo è
rivolto alla
porta dell’Ade
e sembra voler
salutare il viaggio
del defunto.
Nella stessa
parete è dipinto
un giudice
di gara impegnato
a controllare
due lottatori
che gareggiano.
L’ultimo affresco
è dominato
da una lotta tra
belve feroci ed un antesignano dei
gladiatori ; “Il Phersu”.
Un altro Phersu, sulla parete di sinistra
è intento a danzare, mentre altri
personaggi incappucciati risultano
non identificabili a causa dell’incuria
del tempo.
La tomba, nell’atmosfera magica che
avvolge il visitatore, sembra anticipare
temi di narrazione temporali
che saranno evidenziati nell’arte dei
secoli successivi.
68
Elvino Echeoni
D
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ANTONIO SALINARI
MOSTRA PERSONALE DAL 23 MAGGIO AL 5 GIUGNO 2018
“IL vIAGGIO”
“Il viaggio” - 2017 - vari legni certificati (uno per continente) - cm. 110 x 80 x 50
La mostra di Antonio Salinari rappresenta un itinerario cronologico fatto di diverse fasi evolutive, dall’approfondimento della
tecnica alla testimonianza, dai valori precari alle piccole utopie, e sottintende un progetto in continua trasformazione suddiviso
in tre categorie di ricerca: il valore culturale, l'innovazione estetica e la qualità. Il legno è il vero protagonista, elemento iconografico
nell’iter scultoreo dell’artista, evidenzia una manualità di notevole sapienza e una valenza simbolica non comune.
Le ultime creazioni intitolate “Le Muse dell’inconscio”, bassorilievi in multiessenza da cui egli trae linfa per una composizione
moderna, vivono di ricorrenti messaggi: ogni frammento di legno simboleggia un continente e assume valore di unità verso
popoli e culture. Idee, intuizioni, fantasie e stati d’animo permettono ad Antonio Salinari di realizzare opere che riassumono
vicende attuali, frammenti di memoria, utopie e simboli del nostro mondo interiore. Opere capaci di cogliere il legame profondo
tra l’arte e il significato dell’esistenza umana: ci fanno riflettere e sperare in un futuro sostenibile sia per l’ambiente
naturalistico che per l’apertura culturale che l’uomo rischia di perdere e di dimenticare.
Monia Malinpensa (Art Director- Giornalista)
MOSTRA PERSONALE A CURA DI MONIA MALINPENSA
REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELACCIA
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel +39.011.5628220 - +39.347.2257267
w w w . l a t e l a c c i a . i t - i n f o @ l a t e l a c c i a . i t
ORARIO GALLERIA: DAL MARTEDI AL SABATO DALLE 10,30 ALLE 12,30 - 16,00 ALLE 19,00
70
“due minuti di arte”
In due minuti vi racconto la storia
di albrecht Dürer,
il primo artista tedesco
di Marco Lovisco
www.dueminutidiarte.com
Albrecht Dürer
Il cavaliere, la-morte, il diavolo
Èuno degli eventi artistici più
importanti di questi primi mesi
del 2018. Al Palazzo Reale di
Milano, fino al 24 giugno in
mostra uno dei grandi dell’arte
europee, Albrecht Dürer, capace
di reinventare il rapporto tra creatore ed
opera d’arte, riunendo teoria e prassi in
capolavori di incontestabile valore.
Nelle sale del più importante palazzo espositivo
milanese, circa 130 opere tra cui 12
dipinti dell’artista fiammingo, in dialogo
con quelle di maestri tedeschi e italiani del
XVI secolo, come Giorgione, Leonardo da
Vinci, Mantegna o Lucas Cranach. Un
evento da non perdere. Per questo oggi vi
racconto la storia di Dürer e del perché, può
considerarsi il primo artista tedesco di
sempre.
1. Albrecht Dürer (Norimberga 1471 –
1528) è stato uno dei maggiori rappresentanti
del rinascimento nordeuropeo.
Incisore, disegnatore, pittore e letterato, è
considerato tra i più grandi artisti tedeschi
di sempre.
2. Terzo di otto figli dell’orefice Albrecht
Dürer “Il vecchio” e di sua moglie Barbara
Holper, mosse i primi passi nel mondo dell’arte
nella bottega paterna, dove apprese la
tecnica dell’incisione. La sua formazione
artistica vera e propria avvenne tra il 1490
e il 1494, lavorando in varie nazioni: dalla
Germania all’Olanda, fino alla Francia e
alla Svizzera. Quando rientrò a Norimberga,
a ventitré anni, sposò Agnes Frey,
discendente di una famiglia locale ricca e
potente. Subito dopo il matrimonio però,
Dürer partì da solo
alla volta di Venezia
per andare a studiare
i maestri dell’arte italiana.
Ritornò da Agnes
un anno dopo e, grazie
alla cospicua dote
dell’amata, aprì una
bottega di artista a
Norimberga.
3. Dürer subì a lungo
il fascino dell’arte
italiana. Nel suo primo
viaggio a Venezia
(a cui ne seguì un
secondo nel 1505) rimase affascinato dalle
opere di Giovanni Bellini, da cui riprese la
vivacità dei colori e l’attenzione al dettaglio,
evidenti nel dipinto I quattro a-
postoli. Altro punto di riferimento per
l’artista tedesco fu anche il grande Leonardo,
di cui Dürer pare amasse l’approccio
all’arte teorico e naturalistico e da
cui trasse la consapevolezza che l’artista è
molto più di un semplice artigiano, concetto
impensabile nel nord Europa del XVI
secolo.
4. Oltre che grande artista, Dürer fu anche
un lungimirante imprenditore. Quando si
rese conto che le sue stampe incontravano
il gusto del pubblico e che fossero facilmente
riproducibili, cominciò a lavorare
autonomamente (e non su commissione) su
soggetti che potessero piacere al suo pubblico
di riferimento, in modo da produrre
in serie opere d’arte che diventarono pregiati
complementi di arredo nelle case dei
ricchi borghesi. In pratica con lui mutò un
principio di base del mercato dell’arte dell’epoca:
l’artista studiava il mercato per
anticiparne le richieste. Aveva anticipato
con secoli di anticipo i principi del marketing.
Altro particolare: Dürer fu sempre
molto attento al “copyright” delle sue
opere, tanto da richiedere all’imperatore un
atto apposito che tutelasse la sua firma.
5. Personaggio influente del suo tempo,
Dürer fu attento alle vicende politiche e
sociali della sua epoca. Una delle sue opere
più famose infatti, Il cavaliere, la morte e
il diavolo, secondo alcuni critici evidenzia
la crisi del mondo cattolico (il cavaliere),
tentato dalle lusinghe della ricchezza e del
potere (il diavolo). L’opera è del 1513, nel
1517 Lutero affiggerà a Wittenberg le sue
tesi che daranno vita alla religione protestante.
6. Anche un’altra opera di Dürer assume un
importante valore simbolico: si tratta del-
Albrecht Dürer - Ritratto di giovane Veneziana
Albrecht Dürer - Melancholia
l’Autoritratto con pelliccia (realizzato nel
1500). Nel dipinto il volto dell’artista somiglia
a quello del Cristo. Il paragone poteva
apparire blasfemo, ma in realtà l’artista
precisò che con quella somiglianza voleva
dimostrare come tutti gli uomini fossero
stati creati ad immagine di Dio. A prescindere
dall’importanza simbolica del dipinto,
noi oggi possiamo ammirare il tratteggio
e l’ombreggiatura che, uniti all’attenzione
al dettaglio e alla riproduzione
della realtà sono tratti distintivi dell’arte di
Dürer.
7. La riproduzione fedele della natura del
resto, sarà uno dei tratti distintivi dell’arte
di Dürer. Una delle sue opere più celebre è
quella del Leprotto, tanto preciso da sembrare
una fotografia. Nel 1515 invece realizzò
una bellissima stampa di un rinoceronte,
nonostante l’artista non ne avesse
mai visto uno. Per realizzarlo si era infatti
basato su di una descrizione e un fugace
schizzo che un uomo di affari di Lisbona
aveva inviato a un amico di Norimberga.
Pare infatti che il re del Portogallo avesse
nel suo giardino un rinoceronte, dono del
sultano di Cambray. Questo aneddoto spiega
l’approccio all’arte di Dürer, rigoroso e
scientifico, eredità del maestro Leonardo,
probabilmente.
8. Negli ultimi anni di vita, Dürer mise per
iscritto le sue teorie legate all’arte in vari
trattati in cui affrontò temi come: la prospettiva,
le proporzioni del corpo umano,
l’astronomia e architettura. L’obiettivo era
quello di nobilitare la figura dell’artista
come uomo di pensiero oltre che di tecnica,
differenziandola così da quella del semplice
artigiano.
9. Nel 1520 Dürer si recò nei Paesi Bassi
per assistere all’incoronazione dell’imperatore
Carlo V. Nel corso del viaggio si
ammalò gravemente (forse di malaria). Tale
malore lo tormentò fino agli ultimi giorni
di vita, causandone la morte nel 1528, a soli
57 anni.
10. Dopo la sua morte Lutero scrisse “È
naturale e giusto piangere per un uomo così
illustre”. Riverito e apprezzato, nel XIX
Albrecht Dürer - Granchio di mare
secolo in tutta la Germania sorsero statue
dell’artista, la più famosa si trova nel
centro di Norimberga. Persino Hitler adorava
le opere del maestro tedesco, tanto da
avere nel suo studio una copia originale de
Il cavaliere, la morte e il diavolo. Pare che
l’artista nazista Hubert Lanzinger, per o-
maggiare il fürer avesse preso spunto
dall’opera per realizzarne una copia, a cui
aveva aggiunto un dettaglio: il cavaliere
aveva il volto di Hitler. Baffi compresi.
Canaletto
1697 – 1768
a cura di Silvana Gatti
Bernardo Canal (1673-1744) e Canaletto (1697-1768) Santa Maria d’Aracoeli e il Campidoglio, Roma 1720 ca. olio su tela, cm 146,5 x 200
Budapest, Szépmúvészeti Múzeum/Museum of Fine Arts, 53.483 © 2018. Szépművészeti Múzeum - Museum of Fine Arts Budapest
Dall’11 aprile al 19 agosto 2018 al museo di Roma, Palazzo
Braschi, si tiene la mostra “Canaletto 1697 – 1768” promossa
dall’assessorato alla cultura di Roma Capitale con
l’organizzazione dell’associazione culturale MetaMorfosi,
presieduta da Pietro Folena, in collaborazione con Zetema
progetto Cultura e a cura di Božena Anna Kowalczyk.
L’
esposizione, nella spettacolare
cornice delle sale di
Palazzo Braschi, celebra il
250° anniversario della morte
del pittore veneziano,
con sessantotto tra dipinti e disegni e
documenti, di cui alcuni fissati nella
memoria collettiva. Tutti ricordano
almeno un’immagine di Venezia, dipinta
dal Canaletto, riprodotta sui
vecchi sussidiari delle scuole elementari.
Le opere in mostra provengono
da alcuni tra i più importanti musei
del mondo, tra cui il Museo Pushkin
di Mosca, il Jacquemart-André di Parigi,
il Museo delle Belle Arti di Budapest,
la National Gallery di Londra
e il Kunsthistorisches Museum di
Vienna. Presenti anche alcune opere
conservate nelle collezioni britanniche
per le quali sono state appositamente
create, e altre provenienti dai
musei statunitensi di Boston, Kansas
City e Cincinnati. Tra le istituzioni
museali italiane hanno prestato le
loro opere: il Castello Sforzesco di
Milano; i Musei Reali di Torino; la
Fondazione Giorgio Cini. Istituto per
il Teatro e il Melodramma e le Gallerie
dell'Acca- demia di Venezia; la
Galleria Borghese e le Gallerie Nazionali
d'arte Antica Palazzo Barberini
di Roma.
Un evento di portata nazionale e internazionale,
confermato dall’interesse
di Sky Art, che sta producendo
74
Canaletto (1697-1768) Il Chelsea College, la Rotonda, casa Ranelagh e il Tamigi, Londra 1751 olio su tela, cm 95,5 x 127
La Habana (Cuba), Coleccion Museo Nacional de Bellas Artes, 92-289
un documentario su “Canaletto 1697
– 1768”, e di Vittorio Sgarbi, presente
all’inaugurazione della mostra.
Il percorso attraverso le sontuose sale
di palazzo Braschi, concepito come
un vero e proprio dossier sulla personalità
e la creatività di Canaletto, si
snoda attraverso otto sezioni che raccontano
il suo rapporto con il teatro,
il capriccio archeologico ispirato alle
rovine dell’antica Roma, i primi successi
a Venezia, gli anni d’oro, il rapporto
con i suoi collaboratori e l’atelier
e la presenza del nipote Bernardo
Bellotto (con alcuni precisi confronti
tra le versioni del maestro e dell’allievo
della stessa veduta), le vedute di
Roma e dell’Inghilterra, gli ultimi
fuochi d’artificio al ritorno a Venezia.
Completano il percorso espositivo alcuni
documenti dell’Archivio di Stato
di Venezia
Una mostra che svela al visitatore la
personalità creativa, sensibile e innovativa
di un artista che ha rivoluzionato
il genere della veduta, fino allora
ritenuto secondario, elevandolo al rango
di pittura di storia e di figura, emblema
degli ideali scientifici e artistici
del periodo dell’illuminismo.
Il racconto della sua vita artistica è interessante,
e parte dalla giovinezza tra
Venezia e Roma come uomo di teatro
e impetuoso pittore di rovine romane,
sino al successo ottenuto in seguito in
qualità di pittore delle vedute veneziane.
Decretano il successo internazionale
le commissioni degli ambasciatori
stranieri, con grandi tele che
raffigurano le feste della Serenissima
in loro onore. Molto bello a tal proposito
il magnifico “Bucintoro di ritorno
al Molo il giorno dell’Ascensione”
proveniente dal Museo Pushkin. Le
luminose vedute di Venezia, ricche di
dettagli architettonici e di scene di vita
quotidiana, accendono l’entusiasmo
dei turisti inglesi del Grand Tour
che li richiedono come souvenir del
viaggio. Non mancano, tuttavia, e-
venti imprevisti: a Londra il Canaletto
deve pubblicare annunci sui giornali
per contrastare alcune voci denigratorie
nei suoi confronti e, tornato a Venezia,
viene eletto accademico delle
Belle Arti con difficoltà. Infine, come
accade a molti geni, la morte lo coglie
Canaletto (1697-1768) Il ponte di Rialto da Nord, Venezia 1725 olio su tela, cm 90,5 x 134,6 Torino,
Pinacoteca del Lingotto Giovanni e Marella Agnelli © Pinacoteca del Lingotto Giovanni e Marella Agnelli, Torino
in povertà.
Tra i capolavori in mostra, oltre al dipinto
proveniente dal Museo Pushkin,
spiccano due opere della Pinacoteca
Gianni e Marella Agnelli di Torino:
“Il Canal Grande da nord, verso il
ponte di Rialto”, e “Il Canal Grande
con Santa Maria della Carità”, esposti
per la prima volta assieme al manoscritto
della Biblioteca Statale di Lucca
che ne illustra le circostanze della
commissione e della realizzazione.
Una sala ricca di prestiti eccezionali
- dal museo di Cincinnati e da collezioni
private - è dedicata alle vedute
di Roma che Canaletto realizza negli
anni della maturità, partendo dai propri
disegni preliminari o dalle stampe
di Desgodets, Falda, Specchi e Du Pérac,
alcune delle quali sono raccolte
negli album provenienti dal Museo di
Roma.
Tra i dipinti, vanno menzionate le due
parti di un’unica, ampia tela, raffigurante
Chelsea da Battersea Reach, tagliata
prima del 1802 e riunita in
questa mostra per la prima volta. La
parte sinistra proviene da Blickling
Hall, National Trust, Regno Unito,
quella destra dal Museo Nacional De
Bellas Artes de la Habana, eccezionalmente
concessa in prestito dal governo
cubano.
Accanto ai dipinti sono esposti 9 disegni,
dai piccoli studi preparatori a
grandi fogli accuratamente rifiniti e
destinati ai più raffinati collezionisti
o a essere incisi, come “L’incoronazione
del doge sulla Scala dei Giganti”,
della serie delle Solennità dogali,
concesso in prestito da Jean-Luc
Baroni Ltd. di Londra.
Viene presentata la sua intera parabola
come pittore e disegnatore per
definirne le diverse fasi tecniche e stilistiche:
dalla maniera libera e drammatica
delle prime opere - sulle quali
si è posto un accento particolare - alle
immagini più affascinanti di Venezia
e a quelle eleganti del soggiorno di
nove anni in Inghilterra. Si passa poi
ai suoi tardi, sofisticati capricci, tipico
genere della pittura veneziana
del XVIII secolo con architetture fantastiche
e creazioni prospettiche accostate
a elementi reali o, ancora, a
moderni edifici provenienti da diffe-
76
Canaletto (1697-1768) Il Canal Grande con Santa Maria della Carità, Venezia olio su tela, cm 89,5 x 131,4 Torino,
Pinacoteca del Lingotto Giovanni e Marella Agnelli © Pinacoteca del Lingotto Giovanni e Marella Agnelli, Torino
renti realtà urbane o diverse epoche
storiche. Il primo Capriccio del Canaletto,
del 1723, rappresenta la Piramide
Cestia di Roma accanto alla cinquecentesca
Basilica del Palladio di
Vicenza; il suo noto Capriccio palladiano
(seconda metà del ‘700) raffigura
storici edifici palladiani inseriti
in ambito veneziano. Sono quadri che
sembrano anticipare la suggestione
della pittura metafisica del XX secolo,
ben distanti, quindi, dal concetto stereotipato
del Canaletto fotografo, come
sostenevano frettolosamente alcuni
critici.
In occasione dell’esposizione viene pubblicato
un ricco ed esaustivo catalogo,
edito da Silvana Editoriale e a cura di
Bożena Anna Kowalczyk, che include
alcuni saggi sull'artista e la sua opera,
presentando al pubblico e agli studiosi
gli esiti delle più recenti ricerche storiche
e archivistiche, così come i risultati
degli studi sulla sua tecnica e il
suo metodo di lavoro. Un artista da riscoprire,
attraverso questa mostra e-
saustiva che soddisferà molte delle
curiosità dei visitatori.
Dal 11/04/2018 al 19/08/2018
Dal martedì alla domenica dalle
ore 10 – 19 (la biglietteria chiude
alle 18). Giorni di chiusura:
lunedì, 1 maggio
Prezzo:
Biglietto “solo mostra”: intero € 11;
ridotto € 9; Speciale Scuola € 4 ad
alunno (ingresso gratuito ad un docente
accompagnatore ogni 10
alunni); Speciale Famiglia: € 22
(2 adulti più figli al di sotto dei
18 anni) Biglietto integrato
Museo di Roma + Mostra (per
non residenti a Roma): intero
€ 17; ridotto: € 13 Biglietto integrato
Museo di Roma + Mostra
(per residenti a Roma): intero
€ 16; ridotto € 12 - Gratuito per
le categorie previste dalla
tariffazione vigente
gli artisti dipingono
le canzoni di Franco Califano
GIOVaNNI MaNZO
“Quattro regine e quattro re”
ERIca caMPaNELLa
“Roma nuda”
ELISaBETTa MaNGHI
“Alla faccia del tuo uomo”
“HERIka” Enrica Verdinelli
“Amazzone di ieri ”
dal 19 maggio al 3 giugno 2018 al Porto turistico di Roma
Galleria Ess&rrE
Porto Turistico di Roma - 00121 - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - loc. 876
cell. 329 4681684 - www.accainarte.it - acca@accainarte.it
galleriaesserre@gmail.com
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Nel segno della Musa
Le interviste di Marilena Spataro
“Ritratti d’artista”
Maestri del ‘900
GIaNNI GUIDI
Un mondo fantastico abitato
da simboli, immagini surreali,
archetipi. Tra pittura e scultura
alla ricerca del
senso dell'esistere
marilena.spataro@gmail.com
Il gioco della perla, 2007, terra refrattaria
Bolognese di nascita, ferrarese
d'adozione. Gianni Guidi, classe
1942, testimone e protagonista
dei fermenti artistici e culturali
che hanno attraversato l'Italia
negli ultimi 50 anni. Come era il
mondo dell'arte, maestro, agli esordi
della sua carriera artistica?
«Il mondo dell’arte negli anni della mia
giovinezza era carico di suggestioni e
molteplici sollecitazioni artistiche, poiché
le avanguardie del ‘900 avevano determinato
una fascinazione estetica e formale
di grande impatto. Intrecci culturali quali
psicanalisi, letteratura e archetipi dell’immaginario
erano entrati in forze nel pensiero
del tempo».
Quali sono i momenti, le situazioni e i
personaggi del tempo più rappresentativi
e che ricorda con maggiore emozione?
«Il grande dibattito del tempo verteva su
astrazione e figurazione. In questa dialettica
e nella molteplicità dei personaggi
prodotti dall’arte del ‘900 le figure che ricordo
con suggestione sono Paul Klee
nella sua regressione fantastica e favolistica,
Sebastian Matta per l’immaginazione
surreale narrata in termini naturalistici».
Gianni Guidi pittore e scultore. Che
rapporto intercorre tra queste due figure
nel suo modo di concepire e di
fare arte?
«Il rapporto che intercorre tra queste due
attitudini è un rapporto di complementarietà:
la fissità enigmatica nella suggestione
plastica e l’istanza paesaggistica
surreale nella pittura, dotata di libertà narrativa».
Dagli anni '80 la sua attenzione si è
concentrata soprattutto sulla scultura,
tuttavia negli ultimi tempi sembra esserci
un ritorno alla pittura. Quali i
motivi di queste scelte?
«Il ritorno alla pittura è nato dal desiderio
di ritrovare l’origine del mio percorso.
Una sorta di curiosità, dopo un arco di decenni,
in cui ho sperimentato l’arte della
scultura: cosa poteva aver determinato,
oltre al cambio epocale, quell’espe-
Diapason, 2003, terra refrattaria
rienza? Poteva aver dialogato tacitamente
con il mondo di colori e luci che vivevano
nella pittura?».
Qual è la visione del mondo che desidera
trasmettere con le sue opere?
«Il mondo, la vita, l'umanità costituiscono,
nella loro sostanza, un mistero a
cui quotidianamente siamo abituati, assuefatti,
ma non per questo smettono di
essere mistero. Perciò quello che trasmetto
è un mondo trasfigurato da simboli,
immagini surreali e archetipiche, nel
tentativo di rintracciare significati sempre
sfuggenti».
Quali le motivazioni esistenziali più
profonde da cui prende le mosse il suo
lavoro artistico?
«La scelta di intraprendere gli studi d'arte
è probabilmente molto lontana nel tempo.
Potrei azzardare che l'attitudine al segno
e all'immagine visiva ha avuto inizio nell'infanzia,
grazie a casualità fatali: una
scuola particolare, una maestra particolare
e attorno a me animali, insetti e
piante che amavo disegnare. Forse sono
proprio le casualità che rivelano attitudini
e segnano le svolte esistenziali. Cosa c'è
di più profondo?».
Pensa che l'arte oltre che una funzione
estetica abbia pure una funzione etica?
«Oggi con funzione estetica intendiamo
una sorta di riferimenti molto ampi sì, ma
delimitati alla forma e al “bello”; anche
le mode hanno un contenuto estetico.
Questo può generare confusione, sostituirei
l'aggettivo estetica con poetica, perchè
l'arte dovrebbe sempre rimandare a contenuti,
idee, soggetti significativi. Forse
non tutta l'arte oggi è capace di “pensiero”,
ma io lo ricerco. Questo pensiero
potrebbe condensarsi nell'etica, cioè in
ciò che è bene e male; per quanto mi riguarda
il bene è nella conoscenza».
Quali i principali valori di riferimento
per un artista nella contemporaneità?
«Se guardiamo alla contemporaneità
senza ipocrisie e ideologie - per loro natura
false - è evidente che i valori attuali
sono circoscritti all'economia, al denaro,
agli affari, al successo. Di fronte a questo
panorama di non valori, mi sento estra-
80
Lapis, 2011, terra cotta patinata
Metamorfosi, o puro trascendente?, 2012, terra cotta patinata
Campana, nota fa mattino, 2008, legno e gesso
Il salto, 2010, terra cotta patinata
neo, non so se in quanto o per indole».
A proposito di contemporaneità, lei
come vive il mondo delle arti visive di
oggi. Ci sono aspetti che si sente di condividere
di più e altri di meno?
«Sì, esistono aspetti non condivisibili nel
nostro mondo. Nella contemporaneità
molte opere fanno parte di un esibizionismo
effimero, che ha rinunciato alla tradizione,
cioè a quella continuità che è
l'unico appiglio per non abbandonare il
filo d'oro della conoscenza».
Per i suoi lavori scultorei quali sono i
materiali e le dimensioni che preferisce
adottare?
«Il materiale con cui lavoro è l'argilla, per
la sua duttilità e per l'attitudine mutante.
Mi piace pensare che la creta sia la metafora
stessa della creazione divina».
C'è un periodo storico, un ambiente
letterario, poetico, artistico del passato,
da cui si sente ispirato e di cui percepisce
la vicinanza?
«Prediligo la letteratura classica tra '800
e '900 prevalentemente straniera, per fare
qualche esempio autori come Honoré de
Balzac, Thomas Mann, Lous Fernand Céline.
Per quanto riguarda l'arte delle avanguardie
storiche, che sono state importanti
all'inizio della mia formazione,
sento ancora l'impronta. Ma oggi guardo
con ammirazione e interesse le opere e gli
autori del passato».
Nel presente ci sono figure e ambienti
artistici cui si sente identitariamente legato
e/o motivazionalmente affine?
«Non so se il destino ha scelto per me o
io ho selezionato persone e ambienti a cui
sento di appartenere. So che mi sono allontanato
da gallerie e gruppi non affini
alla mia visione poetica. Il mio ambiente
artistico è costituito da amici con cui condividere
idee e attività».
Come si è evoluta la sua arte nel tempo.
Se dovesse scegliere tra l'artista Gianni
Guidi di ieri e quello di oggi chi sceglierebbe?
«Senza dubbio scelgo l’artista che sono
oggi perché i principi estetici, forse posso
dire filosofici, si sono definiti, superando
gli influssi delle varie correnti artistiche.
Oggi sono più vicino alla mia unicità che
è uno dei significati importanti della ricerca».
gli artisti dipingono
le canzoni di Franco Califano
cONTE - Luigi colombi
“Non escludo il ritorno”
GIORGIO GOST
“Tutto il resto è noia”
aNDREa GREcO
“È la malinconia”
S. V. kELLY
“Un tempo piccolo”
dal 19 maggio al 3 giugno 2018 al Porto turistico di Roma
Galleria Ess&rrE
Porto Turistico di Roma - 00121 - Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - loc. 876
cell. 329 4681684 - www.accainarte.it - acca@accainarte.it
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82
MOSTRE D’ARTE in iT
A cura di Silvana Gatti
BERGAMO
GAMEC
Fino al 6 Maggio 2018
R A F F A E L L O
A Bergamo la mostra della Fondazione Carrara
dedicata a Raffaello, con quattordici
opere a confronto con lavori di Picasso, Giulio
Paolini e Vanessa Beecroft. La mostra
ruota attorno al San Sebastiano dal volto
dolce e adolescenziale, dipinto da Raffaello
appena diciottenne. L’esposizione, a cura di
Cristina Rodeschini, Emanuela Daffra e Giacinto
Di Pietrantonio, parte dal periodo di
formazione del maestro urbinate, con questo
dipinto, donato all’Accademia nel 1866 dal
conte Guglielmo Lochis. Il percorso inizia
con la sezione “Raffaello, giovane magister”
con la Madonna Diotiallevi di Berlino ed il
Ritratto di Elisabetta Gonzaga degli Uffizi.
Sono poi riunite tre componenti della Pala
Colonna (dal Metropolitan Museum of Art
di New York, dalla National Gallery di Londra
e dall’Isabella Stewart Gardner di Boston)
e tre componenti della Pala del beato Nicola
da Tolentino (dal Detroit Institute of Arts e
dal Museo Palazzo Reale di Pisa). Si prosegue
con opere di Perugino, Pintoricchio, Signorelli.
Infine, il racconto si sviluppa in due sezioni,
la prima ottocentesca e la seconda
dedicata al contemporaneo. Citazioni, rivisitazioni
iconografiche, tra gli altri di Giorgio
de Chirico e Picasso. Fino a documentare
l’influenza di Raffaello nella ricerca odierna
nei “d’après” di Luigi Ontani, Salvo, Christo,
Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft e di
Giulio Paolini che ha realizzato Studio per
Estasi di San Sebastiano, non in mostra alla
GAMeC, ma ospitato nello spazio occupato
solitamente nell’Accademia Carrara dall’originale,
punto d’arrivo della mostra.
BOLOGNA
P A L A Z Z O A L B E R G A T I
D a l 2 4 M A R Z O 2 0 1 8
Fino al: 9 Settembre 2018
G I A P P O N E – S T O R I E
D ’ A M O R E E D I G U E R R A
Geisha e samurai, belle donne
ed eroi leggendari, attori kabuki,
animali fantastici, mondi
visionari e paesaggi bizzarri sono
i protagonisti di questa mostra.
Attraverso una selezione
di oltre 200 opere, il Mondo
Fluttuante dell'Ukyo-e arriva a
Bologna a Palazzo Albergati, immerso
nella elegante e raffinata
atmosfera del periodo Edo (1603-
1868). Esposti i più grandi artisti
dell'Ottocento giapponese tra
cui Hiroshige, Utamaro, Hokusai,
Kuniyoshi, per un panorama
completo anche sulla vita dell'epoca
in Giappone, con vestiti
di samurai, kimono, ventagli e
fotografie. Il percorso si snoda
tra il mondo femminile delle
Geisha e delle Ōiran (le cortigiane
d'alto rango) e il fascino
dei guerrieri samurai, il racconto
della nascita dell'ukiyo-e
e le stampe Shunga ricche di
erotismo, le opere che ritraggono
gli attori del teatro Nō e
Kabuki accanto a quelle che raffigurano
il mondo della natura
fiori, uccelli e paesaggi. Con il
patrocinio del Comune di Bologna
la mostra è prodotta dal
Gruppo Arthemisia e curata da
Piet r o G o b b i .
CATANIA
PALAZZO DELLA CULTURA
Fino al: 3 Giugno 2018
TOULOUSE LAUTREC.
LA VILLE LUMIÈREI
Questa mostra celebra – attraverso 150
opere provenienti dall’Herakleidon Museum
di Atene – il percorso artistico di uno
dei maggiori esponenti della Belle Époque:
Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901),
che ha dipinto la Parigi di fine Ottocento:
la vita bohémienne, gli artisti di Montmartre,
il Moulin Rouge, i teatri, le riviste
umoristiche, le prostitute. Manifesti, litografie,
disegni, illustrazioni, acquerelli, insieme
a video, fotografie e arredi dell’epoca
raccontano la Parigi bohémienne. Tra le
opere in mostra, litografie a colori (come
Jane Avril, 1893), manifesti pubblicitari
(come La passeggera della cabina 54 del
1895 e Aristide Bruant nel suo cabaret del
1893), disegni a matita e a penna, grafiche
promozionali e illustrazioni per giornali
(come in La Revue blanche del 1895). Curata
da Stefano Zuffi e con il patrocinio dell’Assessorato
regionale dei Beni Culturali
e dell’Identità Siciliana, la mostra è promossa
dal Comune di Catania, prodotta e
organizzata dal Gruppo Arthemisia in coorganizzazione
col Comune di Catania e
in collaborazione con Herakleidon Museum
di Atene. Sponsor Generali Italia tramite
il programma Valore Cultura.
AliA E fuORi cOnfinE
FERRARA
PALAZZO DEI DIAMANTI
Fino al: 10 Giugno 2018
STATI D'ANIMO. ARTE E PSICHE
TRA PREVIATI E BOCCIONI
Questa mostra esplora le tendenze innovative
che, tra Otto e Novecento,
portarono nell’opera d’arte le emozioni
e i fantasmi che agitano la coscienza
moderna. Presenti capolavori dei più
originali interpreti tra divisionismo,
simbolismo e futurismo, come Giovanni
Segantini, Gaetano Previati, Giuseppe
Pellizza da Volpedo, Angelo
Morbelli, Medardo Rosso, Giacomo
Balla, Giorgio de Chirico, Umberto
Boccioni e Carlo Carrà. Alcune loro
opere sono a confronto con quelle di
grandi esponenti del simbolismo europeo,
per un viaggio nello spirito “fin de
siècle”. Il percorso inizia dai profondi
cambiamenti di fine Ottocento: la rivoluzione
darwiniana e le nuove “scienze
dell’anima” accendono negli artisti
l’interesse per l’introspezione psicologica
i sentimenti, da cui scaturiscono i
ritratti magnetici di Segantini e Pellizza
da Volpedo e le tele con cui Previati
e Morbelli rivisitano i temi cari ai
pittori preraffaelliti e ai “poeti maledetti”.
Il percorso si addentra in un itinerario
tematico, attraverso gli stati
d’animo a cui gli artisti hanno dato
forma visiva. La ricerca di un alfabeto
delle emozioni si affianca alla sperimentazione
di procedimenti tecnici,
sfociando nella rarefazione formale dei
capolavori maturi di Previati, Pellizza
e Medardo Rosso, che appaiono tessuti
della stessa materia della luce. L’epilogo
dell’esposizione ruota attorno al
capolavoro di Boccioni che dà il titolo
alla mostra, il trittico degli Stati
d’animo, icona della sensitività moderna
protesa verso forze invisibili.
FOLIGNO
CENTRO ITALIANO ARTE CONTEMPO-
RANEA CIAC
Dal: 24 marzo
al: 30 settembre 2018
UGO LA PIETRA – ISTRUZIONI PER
ABITARE LA CITTA’
Architetto ed artista, cineasta, editor,
musicista, fumettista, docente,
dal 1960 Ugo la Pietra è un
ricercatore nell’ambito della comunicazione
e delle arti visive. Lo
spazio urbano è considerato da La
Pietra come struttura organizzata
da cui nascono le sue pratiche progettuali
artistiche. Opere, strumenti
per decodificare i luoghi e le
strutture rigide della società fisicamente
espresse dalle regole che La
Pietra cerca di superare attraverso
letture, esercizi, disvelamenti; sollecitazioni
che formano un ampio
catalogo di Istruzioni per abitare la
città. Curata da Italo Tomassoni,
Giacinto Di Pietrantonio e Giancarlo
Partenzi, la mostra ripercorre
i molteplici ambiti di indagine di
La Pietra attraverso i suoi lavori
più significativi e i documenti correlati
all’interno dello spazio urbano.
Il percorso si snoda attraverso
opere bidimensionali, brani
video, oggetti tridimensionali e
un’installazione. Al centro della
mostra è installata una “Casa
Aperta”, una struttura in scala reale
con arredi realizzati attraverso
la pratica che l’autore definisce
“Riconversione progettuale”: elementi
di arredo urbano vengono riconvertiti
in elementi di arredo
domestico. Una sala dedicata alle
proiezioni presenta tre film di La
Pietra: “Per oggi basta” (1974), “La
riappropriazione della città”(1977),
“Interventi pubblici per la città di
Milano” (1979).
MILANO
GALLERIE ENRICO
VIA SENATO 45
Fino al: 26 Maggio 2018
ETTORE TITO TRA REALTÀ E SE-
DUZIONE
A novant’anni dall’ultima personale milanese,
allestita nel 1928 presso la Galleria
Pesaro, questa mostra, a cura di
Elisabetta Staudacher, presenta 20 opere
del pittore veneziano. La rassegna ripercorre
l’attività di Ettore Tito, a partire
dagli anni ottanta dell’Ottocento, con dipinti
ispirati alla vita veneziana, apprezzati
dal mercato inglese, con soggetti
simbolisti e intimisti. Durante questa
mostra viene presentato l’Archivio Ettore
Tito nato da un’iniziativa di Angelo
Enrico e di Francesco Luigi Maspes e impegnato
nell’archiviazione delle sue o-
pere pittoriche ai fini della realizzazione
del Catalogo ragionato. Tra i dipinti degli
anni ottanta, è esposto “La fa la modela”,
ispirato al dipinto con cui l’artista si affermò
all’esposizione di Belle Arti di Milano
nel 1884. Del 1892 è Raggi di sole,
con donne ritratte all’ombra di un pergolato.
Del 1893 è il Lago di Alleghe, proveniente
dalla collezione milanese di
Paolo Ingegnoli, esposto alla seconda
Triennale di Brera del 1894 e all’Esposizione
Universale di Parigi del 1900. In
mostra anche alcune significative riscoperte
tra cui Il convegno, tela presentata
alla Biennale di Venezia nel 1936.
84
MOSTRE D’ARTE in iT
MAMIANO DA TRAVERSE-
TOLO (PARMA)
FONDAZIONE MAGNANI-ROCCA
Fino al: 1 Luglio 2018
PASINI E L’ORIENTE
Con la diffusione delle Mille una Notte
in Europa, all’inizio del Settecento nasce
l’orientalismo, che vede in Alberto Pasini
(Busseto 1826 – Cavoretto 1899) il
suo principale interprete. È una pittura
che presenta usi, costumi, atmosfere di
una cultura altra. La sua attività di pittore
orientalista inizia quando, nel 1855,
viene chiamato per una missione diplomatica
francese, incaricata di venire a
patti con lo Shah di Persia, per sottrarlo
all’influenza russa. In Mostra i quaranta
disegni realizzati in Persia; le dodici incisioni
pubblicate su “l’Illustration,
Journal Universel” e accompagnate dagli
articoli di Barbier de Meynard e Paulin;
e i grandi dipinti. Tornato a Parigi nel
giugno del 1856, Pasini rielabora i disegni
e gli schizzi di viaggio e presenta al
Salon parigino una serie di dipinti. A
metà dell’Ottocento, sorge a Parigi un
centro di cultura e produzione artistica
a soggetto orientalista, che alimenta un
nuovo gusto collezionistico attento all’esotico,
grazie a Adolphe Goupil, con
cui Pasini stabilisce un contratto di
esclusiva. La seconda sezione è dedicata
alle opere realizzate a Istanbul, a partire
dalla veduta della Moschea di Yeni
Djami, fino alle Scene di Mercato. Si prosegue
con le opere raffiguranti usi e costumi
dell’Oriente, con alcune opere
affiancate dalle incisioni che Goupil ne
trasse. Un’ultima sezione è riservata ai
dipinti di atmosfera e di paesaggio, La
mostra inoltre presenta opere di grandi
dimensioni di musei internazionali.
PERUGIA
PALAZ ZO LIPPI E PALAZZO
BALDESCHI
fino al: 30 Settembre 2018
DA RAFFAELLO A CANOVA, DA
VALADIER A BALL a. Cento capolavori
dell’Accademia Nazionale
di San Luca
Cento opere dell’Accademia Nazionale
di San Luca di Roma a Perugia.
Raffaello, Bronzino, Pietro da Cortona,
Guercino, Rubens, Hayez,
Giambologna, Canova, Valadier, Balla,
a documentare l’arte tra il Quattrocento
e il Novecento. La mostra, a
cura di Vittorio Sgarbi, inizia da Palazzo
Baldeschi, col Putto di Raffaello
Sanzio, affresco staccato appartenuto
a Jean-Baptiste Wicar. Esposti dipinti
di Bronzino, Pietro da Cortona, Paris
Bordon, Jacopo da Ponte detto il Bassano,
e terrecotte di Vincenzo Danti e
Giambologna. Ancora per il Seicento,
opere del Cavalier d’Arpino, Peter
Paul Rubens, Anton Van Dyck e altri.
Nella sesta sala Amore e Venere del
Guercino, opere di Jan de Momper,
Pietro da Cortona, Maratti, sino al
Settecento europeista di Angelika
Kauffmann, Jan Frans Van bloemen,
Claude Joseph Vernet e i gessi del danese
Thorvaldsen e di Antonio Canova.
In una sala i disegni di
architettura. A Palazzo Lippi, artisti
quali Francesco Hayez, Jean Baptiste
Wicar, con il Ritratto di Giuseppe
Valadier, e Rinaldo Rinaldi
col ritratto in marmo di Domenico
Pellegrini. Del periodo della
Scapigliatura, Tranquillo Cremona
e di Federico Faruffini. Sono
del Novecento il Contadino di
Giacomo Balla e ritratti come
quello di Bianca in piedi. E ancora,
marmi di Antonio D’Este, Francesco
Nagni, Pietro Tenerani, Albino Candoni
e bronzi di Nicola D’Antino,
Francesco Coccia, Adolfo Apolloni,
Attilio Selva, Aroldo Bellini
e Alberto Viani
RIVOLI (TO)
CASTELLO
Dal:6 marzo
Fino al: 27 maggio 2018
GIORGIO DE CHIRICO. Capolavori
dalla Collezione di Francesco Federico
Cerruti
La mostra Giorgio de Chirico. a
cura di Carolyn Christov-Bakargiev
e Marcella Beccaria presenta al Castello
di Rivoli un selezionato nucleo
di capolavori di Giorgio de
Chirico provenienti dalla collezione
di Francesco Federico Cerruti. Per
ammissione dello stesso de Chirico,
Torino, luogo che vide l’esplosione
della pazzia di Nietzsche, è tra le
città italiane che ispirarono i primi
quadri metafisici con le loro atmosfere
malinconiche. Includendo opere
che spaziano dal 1916 al 1927, la
mostra presenta otto dipinti del
maestro della Metafisica. La rassegna
ne indaga la ricca eredità intellettuale
presentando i suoi quadri in
relazione con alcune tra le maggiori
opere di arte contemporanea della
collezione permanente del Museo,
tra cui installazioni di Giulio Paolini,
Michelangelo Pistoletto e Maurizio
Cattelan. Originale inventore
di un pensiero nel quale le memorie
personali dialogano con i miti classici
e la filosofia, nella sua continua
ricerca, che incluse la libertà di citare
se stesso e non fermarsi ad un
unico stile, de Chirico abbracciò più
metamorfosi artistiche per rispondere
alle pretese di progresso della
modernità, resistendone la razionalità
e la fascinazione per la tecnologia.
AliA E fuORi cOnfinE
ROMA
S CUD E RI E DEL Q UI RI N ALE
Fino al: 29Luglio 2018
H I R O S H I G E . V I S I O N I D A L G I A P -
P O N E
ROVIGO
P A L A Z Z O R O N C A L E
Dal 13 Aprile
Fino al 1 Luglio 2018
LE MUMMIE A ROVIGO
TORINO
GAM
Fino al 24 Giugno 2018
R E N A T O G U T T U S O
Utagawa Hiroshige, tra i più celebri artisti
del Mondo Fluttuante (ukiyoe),
portò il paesaggio e la natura al centro
della sua produzione. Le opere dell’artista
infondono armonia e serenità, da
esse hanno preso spunto i pittori impressionisti
e post-impressionisti europei,
primo tra tutti Vincent Van
Gogh che copiò ad olio il famoso Ponte
di Ohashi sotto l'acquazzone del maestro
giapponese. La mostra, con una
selezione di circa 230 opere appartenenti
a prestigiose collezioni che provengono
da Italia, Giappone e Stati
Uniti, permette di ammirare il tema
della natura declinato dallo stile affascinante
e raffinato di Hiroshige: dalle
più note serie di vedute quali Cento
vedute della Capitale di Edo e Cinquantatre
Stazioni di posta del Tokaido,
alle silografie policrome di fiori
insetti e animali tra le più ammirate,
fino ai disegni originali ancora intatti.
Il progetto, curato da Rossella Menegazzo
con Sarah E. Thompson, è una
produzione di Ales S.p.A. Arte Lavoro
e Servizi e MondoMostre Skira, con la
collaborazione del Museum of Fine
Arts di Boston e il Patrocinio dell’Agenzia
per gli Affari Culturali del
Giappone e dell’Ambasciata del Giappone
in Italia.
Due mummie, conservate all’Accademia
dei Concordi, in mostra in
Palazzo Roncale, accanto ai reperti
dell’intera Collezione Valsè Pantellini.
A Rovigo, nei depositi dell’Accademia
dei Concordi, si conserva
un’importante collezione di
reperti egizi, grazie a personaggi
come Giuseppe Valsè Pantellini
(Rovigo 1826 – Fiesole 1890). Rodigino
in esilio a causa della partecipazione
ai moti d’insurrezione del
Polesine nel 1848, trovò rifugio al
Cairo, meta di egittologi di grande
fama. Per i festeggiamenti dell’apertura
del Canale di Suez, Valsè
Pantellini fu scelto dal Vicerè d’Egitto
per alloggiare e assistere gli
ospiti internazionali. Nel 1877,
l’allora Presidente dell’Accademia
dei Concordi di Rovigo, Lorenzoni,
si rivolse al concittadino per la realizzazione
di un museo egizio nella
città natale, e Pantellini tra il 1878
e il 1879 inviò a Rovigo gli ambiti
reperti. In Accademia, alla donazione
Valsè Pantellini se ne aggiunsero
altre. Le due mummie, una di
giovane donna (“Meryt”) e l’altra di
un ragazzo (“Baby”), saranno oggetto
di una campagna diagnostica
che prevede la loro la datazione col
metodo del carbonio C14, la TAC,
la scansione con laser scanner 3D.
Il restauro avverrà in Palazzo Roncale
che diverrà il fulcro attivo di
una esposizione che presenterà ai
visitatori l’intera Collezione Egizia
rodigina.
A Torino una mostra su Renato Guttuso
(Bagheria, Palermo 1911 - Roma
1987), artista di rilievo del Novecento
legato alle tematiche sociali. Curata da
Pier Giovanni Castagnoli in collaborazione
con gli Archivi Guttuso, la
mostra presenta circa 60 opere, tra cui
spiccano quelle di soggetto politico e
civile dipinte tra la fine degli anni
Trenta e la metà degli anni Settanta.
Guttuso era convinto che l’arte dovesse
svolgere una funzione civile e
morale. A partire da un dipinto quale
Fucilazione in campagna del 1938,
ispirato alla fucilazione di Federico
Garcia Lorca, si giunge alla condanna
della violenza nazista, nei disegni urlati
del Gott mit uns (1944) e successivamente,
dopo i giorni tragici della
guerra e della tirannia, ad opere nuove
per stile e sentimento come: Marsigliese
contadina, 1947 o Lotta di minatori
francesi, 1948. Un racconto che
approda, negli anni Sessanta, a risultati
di partecipe testimonianza militante,
come in Vietnam (1965) o a espressioni
di vicinanza, come avviene evocando
le giornate del maggio parigino,
con Giovani innamorati (1969) e, per
finire, il Funerale di Togliatti (1972)
che sublima le lotte e le speranze di un
popolo e le ragioni della militanza di
un uomo e di un artista. Esposte anche
opere di differente soggetto: ritratti e
autoritratti, paesaggi, nature morte,
nudi, vedute di interno, scene di conversazione.
86
MOSTRE D’ARTE in iT
TREVISO
M U S E O C I V I C O L U I G I B A I L O D I
Fino al 3 Giugno 2018
ARTURO MARTINI
“Proporre una visita alle opere di Arturo
Martini, accanto alla grande mostra
su Rodin, è quanto di più naturale”,
afferma il curatore Marco Goldin. Il
Musée Rodin di Parigi, per la mostra finale
del Centenario dell’artista francese,
ha scelto Treviso, in relazione alla
collezione di opere di Martini presenti
nel museo della città. Così come per
Gino Rossi (cui, durante la Mostra su
Rodin, è dedicata una mostra al Bailo),
anche per Martini si è celebrato, nel
2017, il settantesimo della scomparsa. I
due artisti fecero dei viaggi di studio,
tra cui quello a Parigi nel 1912, quando
esposero al Salon d’Automne con Modigliani
e De Chirico. Martini presentò la
Fanciulla piena d’amore, Gino Rossi la
Fanciulla del fiore. Molti i capolavori di
Martini esposti. Dalla Maternità del
1910 alla stessa Fanciulla piena d’amore,
dal Pensieroso del 1927 alla Pisana
del 1928, dall’ Adamo ed Eva del
1931 alla Venere dei Porti, terracotta
del 1932. Dalle ceramiche modellate
per la manifattura Gregorj, alle opere
del periodo tra il 1909 e il 1913, in cui a
Monaco e a Parigi si confronta col
“nuovo” in Europa. E’ del 1941-1942 il
bozzetto in bronzo della Donna che
nuota sott’acqua, mentre il marmo originale
fu esposto nelle Biennali del 1942
e 1948. Questa scultura rovescia di 360
gradi una figura di Martire compresa
nella Porta dell’inferno di Rodin. Poi la
tensione verso l’astrazione.
VARALLO SESIA
PI N AC OT E CA E S ACR O MON T E
VERC ELLI, L’ ARCA
NOVARA, BROLETTO
Fino al: 1 Luglio 2018
IL RINASCIMENTO DI GAUDENZIO
FERRARI
Una mostra su Gaudenzio Ferrari,
artista che nel Cinquecento fu ritenuto
da Giovanni Paolo Lomazzo –
con Mantegna, Michelangelo, Polidoro
da Caravaggio, Leonardo, Raffaello
e Tiziano – uno dei sette
“Governatori” nel “Tempio della
Pittura”. La mostra coinvolge tre
città del Piemonte – Novara (Broletto),
Vercelli (L’Arca) e Varallo
Sesia (Pinacoteca e Sacro Monte) –
estendendosi in chiese ed edifici del
territorio, dove sono presenti affreschi
e altre opere del Maestro. Per
la sede di Varallo è prevista la proroga
fino al 16 settembre 2018.
Nelle tre sedi il pubblico può ammirare
un centinaio di dipinti, sculture
e disegni. In ciascuna sezione
sono presentate, in ordine cronologico,
le opere di Gaudenzio, dei suoi
contemporanei e dei suoi seguaci. A
Varallo è documentato il primo periodo
della carriera dell’artista, dalla
formazione alle prove del Sacro
Monte; a Vercelli la stagione della
maturità; a Novara gli anni estremi,
dove il pittore è attivo nel milanese
tra la marea montante del Manierismo.
Integrano il percorso le “opere
immobili” presenti nelle diverse
aree: i cicli di affreschi e le statue.
Il catalogo, edito da Officina Libraria,
è arricchito dalle immagini realizzate
da Mauro Magliani e completato
da un elenco ragionato, curato
da Roberto Cara, di tutti i
documenti noti su Gaudenzio.
VICENZA
MUSEO DEL GIOIELLO
BASILICA PALLADIANA
Fino al: 2 Settembre 2018
I GIOIELLI DI GIÒ POMODORO
Una rassegna dedicata al Maestro
marchigiano, orafo, incisore e scultore
tra i più grandi del XX Secolo.
Esposti molti gioielli provenienti da
collezioni private e alcuni esemplari
esposti al Guggenheim di New York
nel 1994. La mostra, curata da Paola
Stroppiana, presenta un’ampia selezione
della produzione artistica del
maestro. L’omaggio al Maestro Gio’
Pomodoro (Orciano di Pesaro, 1930
– Milano, 2002) avviene a 16 anni
dalla sua scomparsa. La mostra porta
all’attenzione del pubblico il contributo
del grande scultore alla moderna
concezione di “gioiello d’artista”
come opera d’arte, e alla codificazione
di tale fenomeno critico
nell’Italia del secondo dopoguerra. Il
percorso si snoda a partire dai primi
anni ‘50, documentando il passaggio
dal figurativo all’informale, sino ai
gioielli in lamina d’oro puro sbalzato
e fusione nell'osso di seppia. Si passa
al geometrismo degli anni ‘70, dove
all’elemento meccanico si affianca
l’uso di smalti colorati, per giungere
alla estrosità degli anni ’80, ai gioielli
seriali, ai prototipi e alle nuove
sperimentazioni degli anni ‘90 sulle
pietre dure.
AliA E fuORi cOnfinE
FRANCIA - PARIGI
MUSEO MARMOTTAN
Fino all’8 luglio 2018
COROT – IL PITTORE E LE SUE
MODELLE
Grande mostra al Museo Marmottan
di Parigi dedicata a Corot, pittore
francese impressionista di
inizio Ottocento. Esposti oltre 60
dipinti, in particolare ritratti di
donne che il pittore dipinse principalmente
per sé e che tenne segreti
per molto tempo. Oggi famoso
per i suoi paesaggi, Camille
Corot fu anche un grande pittore
di figure, stimato in particolare da
Dégas, che apprezzava la sua modernità.
Corot ritraeva ogni genere
di personaggi.
Contemporaneo di Ingres, di Courbet
e del giovane Manet, con cui
si confronta, Corot traccia un ponte
vero la modernità. Con una sessantina
di capolavori provenienti
da collezioni pubbliche e private,
la mostra evidenzia questo aspetto
originale della produzione di un
artista considerato il primo paesaggista
moderno.
SPAGNA - MADRID
M U S E O D E L P R A D O
Fino al 7 Agosto 2018
P I T T U R A S U P I E T R A
Questa esposizione, un po’ diversa
dalle solite che si occupano di pittura,
è frutto di uno studio approfondito di
storici dell’arte in collaborazione con
altre discipline come la Storia Naturale,
la Geologia e l'Archeologia, e
mostra numerosi dipinti rinascimentali
italiani realizzati su materiali insoliti
come l’ardesia e il marmo bianco.
Queste fragili opere di artisti come
Sebastiano del Piombo, Tiziano e i
Bassano, documentano la trasformazione
delle tecniche artistiche nei
primi decenni del XVI secolo. Inoltre,
materializzano concetti estetici e filosofici
rinascimentali, con l'apparizione
di nuovi effetti pittorici, la
percezione dell'ambiente naturale codificata
nei testi classici e il desiderio
di eternità tipico di ogni artista.
SVIZZERA - MENDRISIO
M U S E O D ’ A R T E
Dal:15 Aprile
Fino al 15 Luglio 2018
F R A N C A G H I T T I S C U L T R I C E
L’esposizione dedicata ai lavori scultorei
di Franca Ghitti (Erbanno, 1932
– Brescia, 2012) presenta i principali
capitoli espressivi di questa artista.
La mostra, a cura di Barbara Paltenghi
Malacrida ed Elena Pontiggia, in
collaborazione con la Fondazione Archivio
Franca Ghitti di Cellatica, si
avvale di opere significative del cammino
artistico di Ghitti, a partire
dalla produzione lignea, con opere
delle serie delle Mappe, le Vicinie, i
Tondi, le Edicole e le Madie, il Bosco,
per proseguire con le produzioni in
ferro (tra cui gli Alberi vela, le Meridiane,
la Pioggia e, nel chiostro del
Museo, la Cascata) nella quale l’artista
prosegue nel recupero di reperti
abbandonati nelle fucine per poi risaldarli
in nuove sagome e nuove
iconografie. Completa l’offerta artistica
primaverile del Museo l’esposizione
sino al 15 luglio, di circa 70
opere tra dipinti, sculture e opere su
carta, della Collezione Bolzani, un
importante lascito di oltre un centinaio
di opere di arte italiana del Novecento,
raccolte da Nene e Luciano
Bolzani, che i figli Lorenza e Giovanni
hanno deciso di donare al
Museo.
88
i piccolini di
Mario Esposito
INFO:
marioespo@gmail.com - www.marioesposito61.it
Facebook: me61 - cell. 339 6783907
92
claudio alicandri
“Essenza” - 2018 - Colori metallici acrilici su tela - cm. 120 x 80
Via Santa Rita da Cascia, 40 - 00133 Roma
Cell. 368 3148296 - c.alican@alice.it
94
Il nuovo design “MaDE IN
di Francesco Minerva
Da sx Yusaku Imamura - Kenji Kawasaki
Lin Cunzhen -Vittorio Sun Qun
La Cina che non avete mai
visto è arrivata a Milano.
In occasione del Fuorisalone
2018 il World Design
Weeks Asia ha invitato le
città di Pechino e Tokyo a
presentare presso la Triennale di Milano,
l’esposizione tematica “WORLD
DESIGN WEEKS ASIA IN MILAN”,
organizzata dalla Beijing Design Week
e dalla Tokyo Design Week, e sostenuta
dal Sino European Innovation
Institute.
Se Tokyo ha svelato il suo “World Flowers”,
un grande libro interattivo e
multimediale, Pechino ha stupito e meravigliato
il pubblico con “Harmony
with Nature”, vero e proprio “Manifesto”
della nuova Cina, capace di voltare
decisamente pagina e guardare allo sviluppo
con un’attenzione estrema al rispetto
dell’ambiente.
Curata dal Professore Xu Ping e dalla
Professoressa Lin Cunzhen, "Harmony
with Nature" e si è ispirata all’antica filosofia
cinese del Feng-Shui e all’idea
che l’uomo possa costruire “con il territorio”
e non “contro” il territorio.
In esposizione quasi cento articoli tra
moda, arredamento, ceramiche e gioielli,
realizzati da nove designer cinesi
che hanno esplorato le possibilità di applicazione
pratica del concept “In Armonia
con la natura” all’interno della
vita quotidiana: Hang Hai, He Yang,
Lin Cunzhen, Liu Xiaokang, Li Yingjun,
Peng Wenhui, Teng Fei, Yang
Mingjie, Zhong Song.
“Harmony with Nature” significa dunque
progettare per l’uomo ma anche per
l’ambiente alla ricerca di un tutto armonico,
accettando i cambiamenti naturali
e misurando l’equilibrio fra tecniche
costruttive, materiali e natura circostante.
Il nuovo designer non può prescindere
da una soluzione simmetrica tra interno
ed esterno, mentre il design del futuro
deve tornare ad essere un processo naturale
“primitivo”, capace di coniugare
qualità della vita e qualità dell’ambiente,
di indagare l’uso razionale ed
efficace delle risorse culturali così
come delle risorse high-tech.
Perché nell’eterna ricerca di bellezza e
raffinatezza sono solo gli schemi del
design a cambiare continuamente.
cHINa” in mostra a Milano
LIN CUNZHEN, co-curatrice insieme
al professore Xu Ping della mostra
“Harmony with Nature”, è una
delle artiste e designer più apprezzate
in Cina, in particolare a Pechino.
Associate Professor e Assistant Dean
della Design School dell'Accademia
centrale cinese di Belle arti di Pechino,
Lin Cunzhen ha disegnato il
logo per i XXIV Giochi Olimpici Invernali
di Beijing 2022: un simbolo
dai molteplici colori, che vede nel
giallo e nel rosso un richiamo alla
bandiera della Cina e alla passione
sportiva; mentre le sfumature di blu
fanno riferimento al mondo dei sogni,
delle aspirazioni, ma anche alla purezza
del ghiaccio e della neve. Intervistata
dal Corriere della Sera di
Milano in occasione del Fuorisalone
2018, Lin Cunzhen ha precisato:
“Abbiamo portato a Milano il volto
più innovativo della progettualità cinese
con particolare attenzione ai
temi della sostenibilità e dell’impatto
ambientale. Abbiamo voluto dare significato
agli oggetti quotidiani promuovendo
metodi artigianali in linea
con gli elementi naturali. Sono convinta
che la bravura di un designer risieda
innanzitutto nella capacità di
trasformare i materiali nel rispetto
dell’ambiente. Per noi cinesi è importante
far capire le tradizioni e le filosofie
che stanno dietro alle nostre
creazioni, perché il design esprime la
cultura di un intero paese. Milano è
per il design il principale palcoscenico
del mondo, e noi speriamo che anche
attraverso questa mostra Italia e
Cina possano sviluppare nuove idee e
creare nuovi scambi culturali”.
96
MODULO DI
ABBONAMENTO
gli artisti dipingono
le canzoni di Franco Califano
Per me Califano e i quadri sono sempre stati vicini. Mio padre era
un fan sfegatato del Califfo, e non era pensabile che nei viaggi di
avvicinamento alle fiere e alle mostre ci fosse musica diversa nel
suo lettore stereo 8, quel marchingegno infernale ed ingombrante
delle automobili anni 70. Non c’era verso di convincerlo ad ascoltare
la radio o quello che piaceva a me, ragazzino che si appassionava
al lavoro che oggi amo e svolgo. Ne avevo quasi la nausea,
ma le parole chiare e ruvide come quelle appassionate e delicate
del Maestro mi attraevano. E ripensare a Califano mi fa pensare a
papà ed alle mille avventure che ho affrontato insieme a lui, al
quale, senza dubbio, debbo la passione per un mestiere sempre più
complicato ma enormemente affascinante. Califano tracciava i percorsi
per Padova, per Bologna e Milano, verso gli studi dei pittori
o in giro per Roma, facendomi sentire allineato al suo modo sfrontato
e affascinante quando qualcuno ci tagliava la strada o faceva
il furbo al semaforo. La parola greve appena ascoltata dal Califfo
diventava una autorizzazione all’improperio, così come le dolcezze
delle sue canzoni romantiche mi aiutavano a sbirciare la ragazza
in motorino di fianco alla nostra auto. Califano e i quadri: uniti nel
mio ricordo e nei miei pensieri. Un artista che ha camminato sempre
a schiena dritta, che si è battuto con una coerenza ammirevole,
passando anche brutti guai ed ottenendo successi immortali ed innegabili.
Sentire “Minuetto”, “E la chiamano estate”, “Tutto il
resto è noia” è come rileggere mentalmente un capolavoro. Dentro
di me è una tempesta di ricordi e sensazioni. “Sò cose der còre“
diciamo a Roma. Quando Giorgio Barassi mi ha invitato al suo
paese per la prima di CalifArte ero curioso e ragionevolmente
scettico. Poi, in quel piccolo club della Capitanata, non ho solo
scoperto un amico che canta le canzoni di Califano con sentimento
e coinvolgimento, ma anche e soprattutto le intime connessioni tra
il fraseggiare del Maestro e il lavoro dei pittori che iniziarono questa
bella avventura. Le pennellate, i tocchi decisi o delicati che
cambiano la natura di un’opera e ne fanno un capolavoro, la struttura
armonica dell’andare di un segno, dell’insistere di un colore,
dello sbiadirsi di un riflesso cromatico sono come le parole che
Califano amava scrivere. Determinanti, decise. Imponenti senza
essere ridondanti. In questo modus leggero e concreto vedo il mio
pensare la pittura e le mostre che si susseguono alla Galleria
Ess&rrE. Nessuna esagerazione. L’ intuizione di quelle proposte
che siano mirate e garbate, con un occhio ai grandi nomi e la curiosità
di scoprire nuovi talenti. La curiosità, già. Se ci penso bene
fu solo quello a portarmi a capire cosa fosse il progetto CalifArte.
E ora che ne sono parte attiva e coinvolta, dico agli amici di sempre
e agli avventori della mia galleria davanti al mare che CalifArte è
una sintesi ma è anche uno stimolo ad essere più curiosi che mai,
cercando di trovare ancora altri artisti che si vogliano misurare con
la grandezza di un poeta e cantautore, mettendoci la loro grandezza,
quella di pittori e narratori di sentimenti. Così la scelta di
chi segue Galleria Ess&rrE diventa “in progress”, può facilmente
presentare sorprese positive e mettere ancora fianco a fianco la pittura
e la scrittura di canzoni, la melodia di un bel disco e le armonie
creative che un bravo collezionista cerca. Agli artisti che hanno accettato
l’invito a partecipare a questo evento dico grazie, aggiungendoci
un bel “non finisce qua, anzi…”. Ormai, preso dal
riascolto delle canzoni che sentivo con papà, penso a quale quadro
avvicinarle. E’ diventato un esercizio naturale. Finirò per sapere
ancor più a memoria le canzoni del Califfo, un grande dell’arte
della scrittura di canzoni come quei grandi della pittura che non
smetterò mai di celebrare. E per la prossima tappa di CalifArte,
sia chiaro, quadri in macchina e canzoni di Califano a ripetizione.
Giusto per mantenere la tradizione di famiglia
Roberto Sparaci,
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QUATTRO ARTISTI SI RACCONTANO
DALL’8 AL 19 GIUGNO 2018
SYLVIA LOEW - MARCO PALMA
ROBERTO SPACCAPANICCIA - ALESSANDRA TRISCHITTA
SYLVIA LOEW
L’artista Sylvia Loew, che usa
prevalentemente il marmo
per realizzare le sue opere
scultoree, esprime con una
significativa resa moderna e
atmosfera onirica, un proprio
stile di tecnica ed una riconoscibile
visione stilistica. Ella,
attraverso un percorso sereno
ed armonico, crea figure
stilizzate ricche di emozioni e
di spessore umano; esse, altamente
simboliche e suggestive,
si elevano dal peso
della materia per immettersi
in uno spazio senza confini.
E’ un linguaggio estremamente
personale, caratterizzato
da una valida ma- nualità.
Ella, usando magistralmente
e con estremo rigore
materiali diversi come il
“Ombra” - 2017 - Marmo bianco Statuario marmo nero del Belgio ed il
Carrara - Marmo Nero Belgio marmo bianco statuario di
cm. 17x13x53
Carrara, segna un gioco dinamico
delle forme in cui si intrecciano tecnica e fantasia.
ROBERTO SPACCAPANICCIA
Pittore e scultore,
con pieno
merito, Roberto
Spaccapaniccia,
interprete di un
movimento che
si chiama “Percezionismo”,
e-
voca orizzonti
nuovi e riassume
esperienza,
abilità e sentimenti
ricorrenti.
“La notte” - 2018 - acrilico su tela - cm. 60 x 80 E’ una dimensione
pittorica che
si evolve verso una ricerca impegnata ed una complessa stesura dal
richiamo surreale in cui si vivacizza una moltitudine di effetti cromatici
e un flusso energetico continuo. Le sue opere, legate all’ energia e ai
movimenti magnetici della vita e della natura, approdano ad uno scenario
del tutto unico ed irripetibile per affascinarci di luci e di ombre
sorprendenti. Forme astratte, visioni incantate e scansione del disegno
evidenziano uno stile ed una tecnica del tutto autonoma.
Gli accostamenti
dei materiali industriali
di scarto
con gli elementi
pittorici investono
la superficie
della tela con forme
animate dal
movimento gestuale
e dalla linearità
delle figure
geometriche.
L’artista Marco
Palma valorizza
le sue opere con
effetto plastico
spaziale assoluto
in cui si riflettono
MARCO PALMA
contenuti profondi e una libertà di invenzione in continua esecuzione.
La sua pitto-scultura, di notevole e particolare elaborazione materica,
diviene mezzo per trasmettere all’osservatore messaggi di vera evoluzione
e trasformazione della materia. Nel suo iter si raddoppia la forza
creativa con l’uso del led, effetti luminosi penetrano in una dimensione
di gioco della luce suggestiva in cui l’equilibrio del collage misto su tela
alimenta un’arte senza limiti.
L’ampiezza di sentimento,
la spiritualità
profonda ed il
costrutto grafico affiorano
magistralmente
dalle opere
di A l e s s a n d r a
Trischitta con un
aspetto socio-culturale
importante
che si estende significante
nell’opera.
Sono immagini
fotografiche che offrono
spunti di lettura
e che presentano
l’intervento di
un’espressione segnica
innovativa
che si carica di una
forte contemporaneità.
Esse, intrise
“Armonie in nero - Il grande assedio”- 2017
collage su tela - cm 60 x 80
ALESSANDRA TRISCHITTA
“Emily Dickinson “i miei fiori””- 2018
fotografia arte digitale (stampa giclèe su tela in
edizione limitata e numerata) cm. 60 x 60
di poetiche espressioni e di una tecnica originale, sempre animata
da una sapiente stesura del colore e da valori simbolici,
esternano un’interpretativa pregna di contenuto.
MOSTRA E PRESENTAZIONE A CURA DI MONIA MALINPENSA - (ART DIRECTOR - GIORNALISTA)
REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA MALINPENSA GALLERIA D’ARTE by LA TELACCIA
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
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“Untitled” - 2004 - pittura su legno - cm 46 x 143
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100
GIaDa DOMENIcONE:
La Voce dell’anima
di Valentina D’Ignazi
Trittico - 2011 - stampa su supporto
Determinazione,libertà…
contraddizioni che improvvisamente
si assestano
nell’Anima e mettono
ordine nella nostra incoscienza,
un piccolo grande mondo
che non sapevamo di possedere e
che improvvisamente si esterna
nella sua totale bellezza. Questa
è l’Arte di Giada Domenicone
(DOM), una donna che usa la sua
passione per smuovere la coscienza
del singolo essere umano facendo
uscire i pensieri dall immaginazione
dandole un corpo, una
forma, un colore… così quel pensiero
diventa un’emozione condivisa,
tangibile che si ferma in
quel tempo infinito che chiamiamo
“eternità”.
“L’Arte ci salva ,in primis, da noi
stessi… perché attraverso le emozioni,
attraverso la VERITA’ delle
emozioni, ritroviamo il senso di
appartenenza alla vita, ognuno
alla propria ovviamente…”
Giada nasce a Roma il 14 agosto
del 1983 e nel 2007 si laurea in
Arredamento e Architettura degli
Interni nella facoltà di Architettura
Vallegiulia di Roma. L’ osservazione
dello spazio, il propagarsi
della luce nei colori,l’esigenza
di esternare il suo pensiero
l’ hanno spinta fin da bambina ad
una ricerca interiore che è divenuta
negli anni più esplicita attraverso
la pittura e la fotografia.
“L’Arte mi da equilibrio, l’opportunità
di trovare il mio Dio, la
mia parte spirituale. Sono più che
convinta che l’Arte e la spiritua-
“Crocifisso” - 2012 - tecnica mista su tela
Autoritratto - tecnica mista su tela
lità non possano che convivere”
Attratta da sempre dalla forma
che fonda un concetto, Giada ha
sempre seguito un tipo di Arte
concettuale e materica mirata alla
conoscenza, all’ intima capacità
di mettersi a nudo ogni volta davanti
a se stessa concretizzando
la grande opportunità che abbiamo
di conoscerci fino in fondo,
sfumando i limiti imposti da una
società paradossalmente materialista.
Trova ispirazione nella lettura, nei
sentimenti… in quel vortice
emozionale che chiamiamo Vita,
in se stessa, nel suo piccolo
mondo condito semplicemente
di quotidianità. Le sue opere
sono composte da vecchi vinili,
fotografie,giornali, carta, legno
e stoffa miscelati fra acrilico,
olio smalto e carboncino dove
il soggetto esce fuori dalla tela
acquistando una tridimensionalità
prettamente personale. Unisce
l’arte grafica digitale e fotografica
a quella pittorica con-
102
Maternità - tecnica mista su tela
Hanno sparato alla musica - tecnica mista su tela
tornata a volte da pensieri crudi,
messaggi che racchiudono la voce
del suo giovane spirito complesso.
Utilizza spesso le parti del suo
corpo per dipingere mettendo in
ogni opera la sua inebriante ed
astratta corrente autobiografica.
Il colore rosso, bianco e nero sono
i più ricorrenti perché dietro
di loro si celano quei sentimenti
a cui tiene di più. Li usa in maniera
netta, senza nessuna sfumatura,
come farebbe un bambino
cercando di dipingere attraverso i
loro occhi.
“ I bambini vedono il sole giallo,
l’amore rosso ed il mare blu non
perché non conoscono le sfumature
ma perché sono puri ed arrivano
con estrema facilità all’essenza
delle cose. Noi grandi
con le nostre sovrastrutture abbiamo
bisogno delle sfumature”
Giada Domenicone vive e lavora
a Roma come Architetto, Designer
di Interni e Scenografa ed è
una delle più grandi artiste contemporanee
che grazie alla sua arte
rende eterne le emozioni dando
voce e libertà a quella parte intima
e silenziosa che rende immortale
il nostro nome: l’Anima.
“NON USCIRE DA TE STES-
SO, RIENTRA IN TE: NEL-
L’INTIMO DELL’UOMO RISIE-
DE LA VERITA”
Agostino D’Ippona.
Silvana Gatti
Il Centro Interculturale della Città di Torino organizza,
in occasione del Salone Off 2018, con il Patrocinio
della Circoscrizione 6, l’evento “Orme tra le Onde –
Marinette Pendola e Silvana Gatti: parole e colori raccontano
vite sospese”.
venerdì 11 Maggio 2018 ore 17.30 presso la Sala Conferenze
“Giovani di Utoya” del Centro Interculturale –
corso Taranto n. 160.
Le due artiste, nate entrambe a Tunisi, dialogano sul
tema attuale della migrazione tra le due sponde del
Mediterraneo. Partendo dai propri vissuti e ricordando
la vicenda degli italo-tunisini rimpatriati in Italia
negli anni ’60, si soffermeranno in particolare sui
tratti comuni di un’esperienza condivisa da tutti coloro
costretti a lasciare la propria terra natia.
Marinette Pendola, scrittrice, studiosa di storia, usi e
costumi della comunità italiana tunisina, ha al suo attivo
romanzi e saggi.
Silvana Gatti, pittrice figurativa e simbolista, insegnante
di pittura, espone in numerose mostre personali
e collettive.
Modera il giornalista Gianluca Gobbi di Radio Flash.
Incursioni musicali a cura del “Combo C.F.M.” diretto
dal Maestro Fulvio Chiara.
Il nuovo Ulisse - Olio su tela – 30 x 40 cm. – 2018
Opere di Silvana Gatti sono esposte in permanenza presso
S I LVA N A G AT T I - P I TT R I C E F I G U R AT I VA & S I M B O L I S TA - V I A L E C A R RU ’ N ° 2 - 1 0 0 9 8 - R I VO L I - (TO )
h t t p : / / d i g i l a n d e r. l i b e r o. i t / s i l v a n a g a t t i - e m a i l : s i l v a n a m a c @ l i b e r o. i t
104
A Milano la ‘Silicon Valley’
della creatività cinese
Inaugurazione mostra “Outside the Ivory Tower: creativity makes a better life”
Una possibilità di networking
per aziende, agenzie,
professionisti e università,
che ha già all’attivo
la nascita di numerosi
brand e progetti
di design su scala internazionale e che
guarda con crescente interesse ai talenti
dell’industria culturale italiana in un’ottica
di investimenti e partnership.
Durante il Fuorisalone 2018 il Laboratorio
Formentini per l’Editoria ha ospitato la
mostra/evento “Outside the Ivory Tower:
creativity makes a better life”, organizzata
dall’unione tra il Guangzhou National Advertising
Industrial Park e la Guangzhou
Academy of Fine Arts (GAFA), che insieme
formano una delle realtà più all’avanguardia
del sud della Cina nell’ambito
del design e dell’industria pubblicitaria,
dove si integrano perfettamente
sviluppo industriale, universitario e ricerca.
Curata dal designer e creativo Cao Xue,
responsabile del Guangzhou National Advertising
Industry Park, e patrocinata dalla
Fondazione Italia Cina, la kermesse milanese
è stata realizzata grazie alla fondamentale
collaborazione di TVN Media
Group, che ha dato la possibilità al pubblico
italiano e internazionale di conoscere
un “ecosistema” sinergico, riflesso di un
paese, la Cina, sempre più protagonista
all’interno del mercato globale, che ambisce
al ruolo di prima
potenza industriale entro
il 2049 (anno del
centesimo anniversario
della fondazione
della Repubblica Popolare
Cinese) e che,
sotto la spinta del
piano “Made in China
2025”, sta puntando
a un deciso ripensamentodella
propria
industria.
Nel cuore di Brera ha
trovato dunque spazio
una panoramica
innovativa su quella che, a tutti gli effetti,
può essere considerata come la “Silicon
Valley d’Oriente”, un hub leader nel campo
dell’arte, del design e dell’advertising,
in grado di sintetizzare l’essenza della filosofia
e della cultura cinese attraverso
concetti creativi unici.
“Come ha più volte sottolineato il presidente
Xi Jinping – ricorda Cao Xue - la
da sx il curatore Cao Xue con Mario Zanone Poma, Presidente onorario della
Camera di Commercio Italo Cinese, e Rino Moffa, EditoreTVN Media Group
Cina continuerà ad essere a-
perta e pronta a collaborare
con il mondo. Io stesso sono
convinto del fatto che il mercato
e l’economia cinese, oggi
sempre più fiorenti, abbiano
bisogno di coinvolgere design
e industrie occidentali. In questo
senso Guangzhou Advertising
Industry Park e Gafa sono
un canale diretto per la cooperazione.
La Cina, proprio come
l’Italia, vanta una lunga storia
di tradizione artigianale. Diversamente
dall’Italia, però, la
Cina deve soddisfare i bisogni
della più popolosa nazione al
mondo e per far questo deve
inevitabilmente ricorrere all’industria
moderna e al design
basati sulla produzione di massa.
L’Italia, per la Cina, rappresenta
un ottimo modello quanto
a capacità di coniugare le
antiche tradizioni con l’innovazione
tecnologica e le sfide
della globalizzazione”.
La Cina, dunque, come un mercato
in continuo sviluppo, che
punta deciso su qualità, innovazione
e industria creativa,
combinando la ricerca accademica
con lo sviluppo industriale.
“Il piano Made in China
2025 - ha precisato Flippo
Fasulo, Coordinatore Scientifico
Centro Studi per l'Impresa
della Fondazione Italia-Cina –
mira a rinnovare completamente
la produzione cinese
con inevitabili ripercussioni
sull'economia mondiale, e non
dovrebbe essere ignorato da
nessun imprenditore italiano”.
Guangzhou, da noi chiamata
Canton, è una delle regioni più
ricche per commercio e industria
di un Paese che si sta
evolvendo e trasformando con
una velocità incredibile. Le industrie
cinesi stanno vivendo
un momento di trasformazione
all’interno del quale assumono
un ruolo sempre maggiore la
ricerca, l’innovazione e la creatività,
a scapito delle dinamiche
commerciali più tradizionali.
Uno scenario che apre
molte possibilità di collaborazione,
soprattutto con l’Italia,
visto che da sempre la Cina apprezza
il valore della creatività
italiana. Come hanno precisato
Rino Moffa, Editore TVN Media
Group, e Andrea Crocioni,
Direttore di Pubblicità Italia,
ciò che sta accadendo in Cina
andrebbe seguito: “I cinesi riescono
a fare sistema, facendo
incontrare business, arte e accademia.
Questo aiuta moltissimo
l'industria. La Cina è il
secondo mercato dell'industria
pubblicitaria, in continua espansione,
ma soprattutto capace di
cogliere il cambiamento. Noi
in Italia invece siamo troppo
statici, poco propensi all'innovazione.
Guardare a Guangzhou
significa potersi migliorare.
Perché adattarsi al
cambiamento non significa
rinnegare la storia".
106
aNNa ROMaNELLO
Il mondo di emozioni
a cura di Svjetlana Lipanovic
La splendida doppia personale
“Luci nella Città” di Anna
Romanello - Domenico Pellegrino,
è stata inaugurata il 5
aprile 2018 presso la Galleria
“Borghini Arte Contemporanea” nel
centro storico di Roma. L’evento, di
rara suggestione artistica ha richiamato
un numeroso pubblico presente al vernissage.
Anna Romanello, artista performer
conosciuta a livello internazionale
per le sue mostre personali e
collettive, ha esposto dieci opere inedite
e due installazioni dedicate alla
bellezza di Roma. La Città Eterna è
fonte inesauribile di ispirazione, cosi
come i versi di Dante, Pasolini, Ungaretti
e Ivan Vazov. Le poesie fanno
parte dei quadri e sono visibili nelle
foto tra le macchie di colori e i tracciati
luminosi. Il percorso per realizzare le
scene, quasi magiche, inizia dalle stampe
fotografiche su acetato che immortalano
le vedute romane e l’attimo fug-
Tramonto su San Rocco
Ponte degli Angeli
Riflessi
Omaggio a Pasolini
gente dell’esistenza. Successivamente,
sono elaborate a strati con le diverse
tecniche dove predominano i segni luminosi,
che unendosi alle immagini diventano
un unico elaborato. Segni che
vengono attraversati dalla mano dell’artista
che lascia dietro di sé una
traccia che la completa senza nasconderla.
Il connubio riuscito delle immagini,
la lucentezza dei segni crea delle
realtà trasformate in modo innovativo.
Questi segni forti e violenti incidono
il plexiglass e l’acetato rielaborando le
scene, ma allo stesso tempo, non nascondono
il soggetto rappresentato. Il
raffinato senso del colore domina le
creazioni con le tonalità calde della
terra bruciata, dei colori naturali abbinati
alle sfumature del grigio, dell’azzurro
e del rosso. Stessi colori brillano
nei collages ad acquaforte, così detti
“strappi”, le macchie sparse illuminano
un mondo di emozioni disteso
sotto il cielo di Roma.
108
Promenade
Vagamente, alcune opere ricordano l’universo
artistico di Anselm Kiefer e il
suo formidabile senso del colore indissolubilmente
legato con la materia.
Le immagini fotografiche fanno parte di
un allestimento realizzato nel giugno
2008 sulle sponde del Tevere per “Mediterranea
- Festival della Letteratura e
delle Arti”, in cui erano presenti anche
testi poetici in diverse lingue e dedicati
al grande fiume.
Scrisse Pier Paolo Pasolini nella “Poesia
in forma di rosa”:
“Come un fiume, che - nel meraviglioso
stupefacente suo essere
quel fiume-contiene il fatale
non essere alcun altro fiume”.
Al poeta è dedicata una delle opere
esposte con i versi che emergono tra parole
e immagini. La Città Eterna, sempre
presente con le cupole delle chiese
Performance Romamor Topographie sentimentale di Lea Walter Tramonto su San Rocco - 2018 - cm 230 x 70
scure al tramonto infuocato, i ponti
lontani simili a ombre di architetture
romane, è un sogno poetico, simbolico,
luminoso, spettacolare. L’esposizione,
un vero omaggio a Roma, antica città
color ocra, illuminata dalle incisioni,
dipinta con le sfumature fiabesche,
reinterpretata e pronta a vivere una esistenza
nuova, colma di poesia, è un regalo
di Anna Romanello agli amanti
d’arte.
Nell’ambito della mostra Lea Walter ha
rielaborato con una performance alcune
delle poesie presenti nelle teche e
il testo di Jean Rony “Romamor” dal
titolo Topographie sentimentale. Durante
l’esibizione piena di sentimento,
ha tracciato le strade da percorrere in
una città immaginaria. È stato un affascinante
momento poetico ricco di
emozioni.
110
“VERBA MANENT”
Frammenti per voce sacra nel sembiante di un oracolo
dal 23 Giugno al 2 Settembre 2018
Loggiato Comunale - Via Roma
SARNANO
Vernice
SABATO 23 GIUGNO 2018
ORE 17'00
Sculture
di
Alberto Bambi, Gianni Guidi, Sergio Monari,
Giovanni Scardovi, Sergio Zanni, Mario Zanoni
Interventi critici di Alberto Gross, Francesca Tuscano
Curatori: Marilena Spataro, Alberto Gross
L'evento è promosso da:
Unione Montana dei Monti Azzurri
In collaborazione con Ass. Cult. LOGOS,
Museo Ugo Guidi di Forte dei Marmi, Acca Edizioni, Galleria d'arte Ess&rrE di Roma
Patrocinato dal Comune di Sarnano
La mostra di scultura “VERBA MANENT”. Frammenti
per voce sacra nel sembiante di un oracolo, si
svolge nell'ambito della manifestazione Sibilla: oracolo
appenninico, che coinvolge i cinque Comuni
“dell'Anello dei Crinali”: Sarnano-Monte San Martino-Penna
San Giovanni-Sant'Angelo in Pontano-
Gualdo. Dal 23 Giugno al 2 Settembre in queste località
l'Unione Montana dei Monti Azzurri promuove
una serie di eventi letterari, scientifici, musicali, dedicati
alla figura della Sibilla
Alberto Bambi, detto Balber
“L'accoglienza del tempo” - terracotta semirefrattaria
Gianni Guidi - “Scrigno ermetico” - terracotta patinata
Sergio Monari - “Arcana attesa” - plastoforma patina bronzo
Giovanni Scardovi - “Oracolo bifronte” - terracotta patinata
Sergio Zanni - “Paesaggio antropomorfo” - terracotta colorata
La Sibilla appenninica, genio del luogo
Il linguaggio moderno e contemporaneo, definisce “sibillino”
un responso oscuro dal tono oracolare. Profetessa di eventi che
vengono anticipati enigmaticamente, la Sibilla appenninica,
posseduta dal dio, trasmette rivelazioni in chiave simbolica e in
forma arcana.
Mario Zanoni - “Il dono degli Dei” - terracotta dipinta
Oggi noi celebriamo con queste sculture la magia e l'enigma
misterico di questo territorio, teatro delle profezie di questa figura
oracolare, abitante le grotte dei Monti Sibillini, a lei si attribuiscono
mitologie arcaiche prodotte dal vaticinio dei responsi.
Questa mostra è così una celebrazione di questo oracolo
diventato genio del luogo ed evocante antichi poteri femminili
tramandati nel tempo.
Giovanni Scardovi
112
Paolo Antonini
D
Dealer:
Luciano Cesareo
Via San Rocco, 14
00047 Marino (RM)
gli artisti dipingono
le canzoni di Franco Califano
LUca DaLL’OLIO
“Da molto lontano”
aNDREa BaSSaNI
“Amore sacro amor profano”
MaSSIMO SaNSaVINI
“Il cuore al chiodo”
Il percorso artistico di Franco Califano
è disseminato di successi e tribolazioni,
di passioni sfrenate e riflessioni
intimistiche, spesso di malinconia latente
e di una rudezza figlia di quello
che nella vita gli è toccato. Un duro, si,
ma dal cuore tenero. Da ragazza ascoltavo le
sue canzoni sperando di vedermelo passare a
bordo di una delle sue belle macchine, perché
negarlo? Il fascino dell’uomo, per noi donne,
ha battuto addirittura quello del cantautore.
Era proprio bello, va ammesso senza falsi pudori.
Il Califfo, il Maestro, quello delle canzoni
scritte per Mina, Mia Martini, Ornella
Vanoni, conosceva fin troppo bene l’animo
femminile, e perciò metteva quasi soggezione.
Pensavi e sognavi ma guai ad averlo troppo
vicino, ci si diceva tra un libro di scuola e la
gita domenicale. Invece, negli anni, la dolcezza
e il romantico andare dei suoi versi sono
diventati, a riascoltarli, differenti per intensità
ed interpretazione, e capita di voler sentire le
sue canzoni leggendole differentemente.
Colpa del- l’età, dicono.
Capita lo stesso con la pittura ed i suoi misteri,
quando un quadro ti prende più di un altro,
magari perché sai chi lo ha dipinto e la sua
storia ti affascina. Quando, per esempio, ne
scegli uno ma pensi che forse era meglio decidere
per quello attaccato di fianco. Se non ti
stanca, il tuo quadro sarà sempre più intenso
e significativo, capisci che non era l’innamoramento
di un attimo, e quel quadro avrà maggior
peso per te che lo hai scelto e te ne farai
un vanto. Non lo cambieresti mai. Colpa della
passione, dicono.
Allora la distanza fra la musica e la poesia, e
tra queste e la pittura si azzera. Messer Leonardo
da Vinci, scrivendo il Trattato della Pittura,
si poneva la questione relativa a quale
aLBERTO GaLLINGaNI
“E la chiamano estate”
delle Arti fosse la maggiore o la più importante,
risolvendo parte del problema e lasciando
alla singola sensibilità la risoluzione del
quesito. E’ per questo che CalifArte ha un
senso storico e logico, nella vicinanza di due
arti contigue ed erroneamente messe in contrapposizione.
A vedere l’ impegno dei pittori
per la mostra alla Galleria Ess&rrE pare proprio
che la pittura sia diretta conseguenza di
certe canzoni, ci sta dentro come quelle canzoni
potrebbero accompagnare in modo impeccabile
la visione delle composizioni pittoriche
di chi si è impegnato in questa bella
fatica. E con buona pace di Leonardo, musica
e pittura vanno a braccetto, in modo complice
e silenzioso. Esattamente come abbiamo sognato,
da ragazze, di passeggiare sul lungotevere
abbracciate al Califfo.
Sabrina Tomei, direttore artistico dell’evento
Stati d’animo. arte e psiche
tra Previati e Boccioni
Ferrara - Palazzo dei Diamanti
3 marzo – 10 giugno 2018
di Marilena Spataro
Umberto Boccioni, La risata, 1911
Chiara Vorrasi, insieme a Fernando
Mazzocca e Maria
Grazia Messina, curatrice della
mostra in corso a Palazzo
dei Diamanti, da noi intervistata ci guida
lungo il percorso espositivo. Spiega la
Vorrasi: «Stati d’animo. Arte e psiche
tra Previati e Boccioni è un evento che
nasce con l'intenzione di rileggere la
temperie artistica italiana tra Ottocento
e Novecento, ossia quel cruciale snodo
tra divisionismo, simbolismo e futurismo
che rappresenta uno dei principali
apporti italiani all’arte moderna». «La
finalità – prosegue la curatrice - è anche
quella di valorizzare il ruolo di un artista
di punta delle Gallerie d’Arte Moderna
e Contemporanea di Ferrara, quale Gaetano
Previati. L’artista è stato, infatti, tra
i pochi pionieri del cambiamento di fine
Ottocento che i futuristi, e in particolare
Umberto Boccioni, riconobbero come
precursori della loro visione dinamica,
proteiforme e corale della modernità.
Per questo abbiamo scelto il tema degli
“stati d’animo” che costituisce un ponte
tra la generazione che matura attraverso
l’esperienza divisionista e simbolista e i
giovani futuristi e ci ha permesso di riesaminare
da un punto di vista inedito
quel fondamentale passaggio del testimone».
Quanto tempo è passato dal momento
in cui questa mostra è stata ideata
fino alla sua realizzazione?
«Si tratta di una mostra di ricerca, ideata
oltre due anni fa, che si è concretizzata
grazie a un lavoro di scavo condotto
dagli studiosi chiamati a raccolta e coinvolti
nel progetto scientifico, a partire
da Fernando Mazzocca e Maria Grazia
Messina, con i quali ho avuto il piacere
di condividere la curatela della mostra.
Altrettanto fondamentale è stata la collaborazione
di istituzioni museali e collezioni
private che hanno appoggiato il
progetto e hanno scelto di accordare il
prestito di opere capitali, come ad esempio
Ave Maria a trasbordo di Segantini,
o il trittico degli Stati d’animo e la Risata
di Boccioni».
Quale il senso più profondo e quali le
valutazioni artistico e culturali che vi
hanno indotto a scegliere di trattare
questo spaccato di storia e di società
sul fronte delle arti figurative?
«Si tratta probabilmente di una scelta
obbligata nel momento in cui si intende
rileggere la nascita e lo sviluppo della
poetica degli stati d’animo, ossia di
quella che appare la via italiana alla mo-
116
Giovanni Segantini , Autoritratto, c. 1882
Giovanni Segantini, Ave Maria a trasbordo, seconda versione, 1886
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Ricordo di un dolore, 1889
Gaetano Previati, Il Sogno, 1912
dernità. Gli artisti che ne furono protagonisti
si impegnarono a sperimentare
un alfabeto visivo in grado di dare
forma alla materia mutevole e inafferrabile
dello spirito, traendo ispirazione diretta
o indiretta da quegli ambiti della
scienza e della cultura che stavano mettendo
a nudo la psiche umana e sovvertendo
il modo di concepire le forme e i
colori, lo spazio e il tempo.
Sul piano espositivo, l’opzione di mettere
le opere in dialogo con l’immaginario
scientifico e culturale del tempo
risponde alla duplice volontà di offrire
una lettura originale di quella temperie,
ma anche di permettere al visitatore di
sperimentare in prima persona le molteplici
suggestioni che hanno accompagnato
quella stagione e di crearsi un proprio
percorso di collegamenti all’interno
della mostra. Per questo lo Studio Ravalli
ha studiato un allestimento particolarmente
immersivo in cui immagini,
suoni e proiezioni giocano un ruolo determinante
nel racconto della mostra».
Quale il filo conduttore della mostra
e quali gli artisti, oltre a Previati, più
significativi di cui esponete le opere?
«La mostra traccia la parabola che parte
dall’istanza tardoromantica di coinvolgimento
emotivo dell’osservatore, per
approdare alla poetica futurista degli
stati d’animo che ha per obiettivo programmatico
porre “lo spettatore nel centro
del quadro”. Tra questi due poli si
sviluppa il racconto dell’esposizione attraverso
una successione di sezioni dedicate
ciascuna ad uno stato d’animo,
dalla malinconia all’entusiasmo. A testimoniare
questi snodi sono innanzitutto
capolavori giovanili di Previati e Morbelli
quali Paolo e Francesca e Asfissia,
che scardinano i codici accademici per
esercitare, per vie diverse, una più diretta
suggestione sull’osservatore. Il
percorso tematico sugli stati d’animo
parte dalla melanconia, incarnata da Ricordo
di un dolore di Pellizza da Volpedo,
passando poi per l’empatia e il
rispecchiamento nella natura, testimoniato
dalla ricordata Ave Maria a tra-
Dante Gabriele Rossetti, Beata Beatrix, 1880
Umberto Boccioni, Autoritratto, 1909
sbordo e da paesaggi interiorizzati di
Khnopff, Sartorio e Morbelli, fino alla
rêverie musicale affidata al Chiaro di
luna di Previati. Il centro ideale della
mostra è occupato da un’opera manifesto
del divisionismo e del simbolismo
italiano quale Maternità di Previati, il
primo tentativo di esprimere uno stato
d’animo attraverso le componenti formali
dell’opera, che viene fronteggiato
dall’Angelo della vita di Segantini. Seguono
poi le sezioni dedicate alle paure
e alle pulsioni inconsce, testimoniate dai
neri di Redon, Previati e Martini, e da
dipinti e opere su carta di Klinger,
Munch, Stuck e De Chirico, per sfociare
nelle sale sull’amore fusionale, incarnato
dagli amanti di Rodin, di Previati e
del giovane Boccioni, e infine nella solarità
che rifulge nel divisionismo radiante
di Pellizza da Volpedo e Previati.
Il percorso si chiude sulle note frenetiche
ed esaltanti della modernità, di cui
sono espressione autentici capolavori
del futurismo, il trittico degli Stati
d’animo e La risata di Boccioni affiancati
da opere di Balla e Carrà e di maestri
della generazione precedente, come
Previati e Medardo Rosso, per proporre
una visione del tutto inedita, corale e polifonica,
della vita contemporanea».
A chi si rivolge principalmente questo
evento espositivo e quali le aspettative
dei suoi curatori. Pensa che la vostra
scelta possa essere vincente e, quindi,
attirare una maggiore attenzione da
parte del pubblico che normalmente
visita le mostre?
«E’ una mostra che si presta a letture diversificate
e non ha una categoria di
pubblico definito. Il percorso fotografa
il passaggio dell’arte moderna dal verismo
all’avanguardia sullo sfondo delle
suggestioni che lo hanno nutrito. Per
questo le opere sono accompagnate da
molteplici suggestioni - dalla psicologia
alla fisica, dalla letteratura alla musica,
dalla cronaca alle tensioni socio-politiche
- che possono essere fruite in maniera
personalizzata, secondo gli interessi
di ciascuno. Abbiamo anche progettato,
assieme a esperti di comunicazione
ed educatori, percorsi per i più
piccoli e per gli adolescenti, e le scuole
potranno giovarsi del taglio interdisciplinare
della mostra. Ci auguriamo che
il pubblico apprezzi la possibilità di fare
un’esperienza coinvolgente, ad un tempo
intellettuale ed emotiva, così come
auspicavano i protagonisti di questa stagione».
STATI D’ANIMO Arte e psiche
tra Previati e Boccioni
Ferrara, Palazzo dei Diamanti 3
marzo – 10 giugno 2018
Organizzatori: Fondazione Ferrara
Arte e Gallerie d’Arte Moderna e
Contemporanea di Ferrara
Aperto tutti i giorni
dalle 9.00 alle 19.00
Aperto il 25 aprile, 1 maggio
e 2 giugno
118
Un anno di iniziative dedicate
a Francesco Baracca
Lugo di Romagna celebra l'illustre
concittadino nel centenario dalla
sua morte
di Marilena Spataro
Il 2018 è l'anno in cui si celebra la
morte dell'eroe dell'Aeronautica italiana
Francesco Baracca. E Lugo di
Romagna (RA), la cittadina che all'insuperabile
“Asso dei Cieli” diede
i natali, non può non essere al centro delle
celebrazioni dell'importante anniversario.
A tal fine è stato concepito un ricco e articolato
calendario di appuntamenti finalizzato
a valorizzare la storia e la figura di
un personaggio cruciale per la storia del
Novecento italiano e dell’aviazione. Le celebrazioni
sono, inoltre, l’occasione per far
conoscere Lugo a un pubblico di livello
nazionale e ad appassionati di aeronautica
di tutto il mondo.
Visto, poi, che il 2018 è l’ultimo anno di
celebrazioni per il centenario della fine
della Grande guerra, è prevista una serie di
iniziative condivise con altre città legate inscindibilmente
alla storia di Francesco Baracca,
come Nervesa della Battaglia (Tv),
città gemellata con Lugo, dove il pilota lughese
trovò la morte.
Le manifestazioni in programma, che si
svolgeranno lungo tutto l’arco dell'anno
coinvolgendo il tessuto associativo lughese,
culturale e sportivo, sono autorizzate
dal Comitato per le celebrazioni del
100esimo anniversario della morte di Francesco
Baracca, insediato nel luglio scorso.
Il Comitato è presieduto dal sindaco di
Lugo Davide Ranalli e diretto da Daniele
Serafini, direttore del Museo “Francesco
Baracca”. È composto dalle istituzioni e
dalle associazioni legate al mondo dell’aviazione
ed è stato creato in forte sinergia
con l’Aeronautica militare italiana.
Le celebrazioni a Lugo dell'illustre concittadino
hanno preso il via già dai primi mesi
del 2018. Il 24 febbraio Paolo Varriale ha
presentato nel Salone estense della Rocca
il suo volume dal titolo Seguendo il Cavallino
di Baracca. La 91ª Squadriglia nella
Grande Guerra di Paolo Varriale (2018,
Museo Baracca), sempre nel mese di marzo
e sempre nelle medesima sede si sono tenute,
prima la conferenza “Dagli assi francesi
della Prima Guerra Mondiale al futuro
dell’aviazione” con l’ingegnere Alexandre
Fournier e, qualche giorno dopo, si è avuta
la presentazione della graphic novel Baracca
e il Barone di Alberto Guarnieri, Paolo
Nurcis e Luca Vergerio (2017, Edizioni
Segni d’Autore). Ma l'elenco delle attività
dedicate per commemorare degnamente
l'Asso dell'Aeronautica non si ferma certo
qui: andrà avanti fino alla fine dell'anno
con molte altre, e variegate, sorprese, tra
cui non mancano avvenimenti di portata internazionale.
Venerdì 4 maggio dalle 15 alle 17 arriva il
Motogiro con visita al Museo Baracca in
compagnia del Motoclub Terni e in collaborazione
con Motor Valley e Ducati. Mercoledì
9 maggio alle 21 ci si sposta a Ravenna,
nel Circolo Ravennate e dei Forestieri
(via Corrado Ricci 22), con l’incontro
dal titolo “Scultura monumentale in Romagna:
dal Fante che dorme al Monumento a
Francesco Baracca” con lo storico e professore
dell’Università di Bologna Roberto
Balzani.
Giovedì 10 maggio il teatro Rossini ospita
alle 21 “Francesco Baracca. L’Ala che volava
incontro al sole”, lettura a due voci di
e con Gianni e Paolo Parmiani. Si esibiranno
anche Nicola Nieddu al violino e Antonio
Cortesi al violoncello. Sabato 12
maggio alle 10 spazio alla presentazione e
inaugurazione del riallestimento del museo
Il museo Francesco Baracca
Lugo di Romagna
Monumento dedicato a Francesco Baracca
Museo Francesco Baracca
“Francesco Baracca”, previsto nel Salone
estense e nel museo stesso. Sabato 12 e domenica
13 maggio all’aeroclub di Villa San
Martino ci sarà “Io volo come Baracca”, il
raduno di biplani. Sabato 19 maggio alle 18
Paolo Varriale torna nel Salone estense per
presentare la biografia aggiornata su Baracca,
scritta da lui (2018, Edizioni Ufficio
Storico Aeronautica Militare). Sabato 26
maggio alle 9 la Croce Rossa Italiana inaugura,
nella sua sede di Lugo in viale Orsini
17, la sala museale. Seguiranno una conferenza
sulla presenza a Lugo di ospedali
Croce Rossa e il concerto della Banda della
Croce Rossa.
Lunedì 28 maggio alle 20.30 al Teatro Rossini
Paolo Dirani e Mauro Landi faranno un
tributo al pianoforte a Claude Debussy nel
centenario della sua morte. Il Chiostro del
Carmine, inoltre, ospita le letture di E se
brucia anche il cielo di Davide Rondoni. A
giugno Piero Deggiovanni e Valeria Roncuzzi
presenteranno il loro libro Francesco
Baracca. Dal mito al logo (2018, Minerva
Edizioni), in collaborazione con Caffè Letterario.
Domenica 17 giugno a Nervesa
della Battaglia, ci sarà la cerimonia solenne
per Francesco Baracca con motoraduno.
Martedì 19 giugno, giorno della morte di
Baracca, dalle 9.30 alle 12 ci sarà la cerimonia
solenne alla presenza di autorità
dello Stato con visite guidate. Nello stesso
giorno via Baracca ospita la Festa gastronomica
a cura del Motoclub dalle 19 alle
23.
Le celebrazioni continuano poi sabato 23
giugno con alcune iniziative ciclistiche a
Lugo e Nervesa della Battaglia. Anche quest’anno,
inoltre, tornano le Frecce Tricolori
sul lungomare di Punta Marina con la manifestazione
“Valore Tricolore”, prevista
per sabato 30 giugno e domenica 1 luglio.
Tante anche le mostre in programma. Dal 9
maggio al 23 giugno la biblioteca “Fabrizio
Trisi” di Lugo ospita la mostra fotografica
e documentaria con catalogo “Inediti dal
Fondo Baracca” a cura di Laura Orlandini.
L’inaugurazione è mercoledì 9 maggio alle
17.30. Dall’1 al 24 giugno nelle Pescherie
della Rocca ci sarà la personale di Omar
Galliani “Omaggio al Volo e a Baracca”,
mentre dal 2 al 24 giugno l’oratorio di Sant’Onofrio
ospiterà l’esposizione del sarcofago
di Francesco Baracca e la mostra
fotografica sui funerali. Dal 20 al 30 settembre
spazio alla mostra sul tema del volo
a cura dell’associazione “Una Passione in
moto” in programma alle Pescherie della
Rocca, dove dal 3 al 18 novembre è invece
prevista la mostra della donazione Pezzi-
Siboni sulla Grande Guerra, a cura di Isrec
Ravenna. L’inaugurazione è sabato 3 novembre
alle 17.
Sono inoltre in corso contatti con la Ferrari
per definire le modalità di partecipazione
della scuderia di Maranello alle celebrazioni.
Il logo del centenario della morte di Francesco
Baracca è stato donato da Wap Agency
di Lugo e realizzato dalla designer grafica
Natascia Zoli.
INFO :
Museo Francesco Baracca
Via Francesco Baracca, 65,
Lugo RA
Tel. 0545 24821
Espinasse 31
celebration
Ar tists’ Exhibition
Opening 20 Aprile 2018 from 19,00 to 21,30
Preview from 13 to 16 April
Jenny Perez "The Morning After" (2016); acrylic, aerosol,
and ink on canvas; 91x122cm (35,49x47,58 in)
Espinasse 31 festeggia il suo
primo anno di attività, con
una mostra collettiva in residenza,
durante il Salone del
Mobile. La creatività, il talento,
l'innovazione e la passione per
l'arte sono i principali leitmotiv che
hanno guidato l'esposizione: “Espinasse
31 Celebration”.
Sicuramente una visione diversa del mondo
dell’arte, molto interattiva e multidisciplinare,
tra le diverse forme di espressione,
le varie culture e le mode, quella
di Antonio Castiglioni, proprietario e curatore
della residenza. La prima novitàha
riguardato infatti la preview: in occasione
del MiArt, Espinasse ha deciso di dedicare
ben tre giorni, a disposizione dei collezionisti
ed esperti del settore, per poter
ammirare il talento in mostra. Un'occasione
irripetibile per poter apprezzare in
un'unica location opere di pittura, scultura,
fotografia e design.
Come il Salone del Mobile rappresenta
un sistema di interconnessioni, capace di
creare sinergie tra varie realtà, Espinasse
31 si dipinge come una fucina di idee, un
percorso virtuoso dove poter condividere
esperienze, culture, ma soprattutto le proprie
creazioni.
Durante quest'anno sono stati molti i progetti
e gli eventi che hanno visto gli artisti
impegnarsi in prima linea con grandi nomi
della moda, dello spettacolo e dell'architettura:
l'artista cubana Jenny Perez ha
collaborato con Armani per la presentazione
della nuova capsule collection Armani
Exchange AX, intitolata “St_Art”,
https://www.youtube.com/watch?v=aCW
-X2Wiz7k , presentata durante Basel Art
Miami; Jotape annovera tra i suoi collezionisti
la Fondazione Ayrton Senna, il
pilota Emerson Fittipaldi ed il sindaco di
San Paolo, Paolo Ciabattini ha lavorato
con il famoso architetto Daniel Libeskind.
Recentemente, l’artista Flavio Rossi ha
creato un murales a San Paolo con Ronnie
Wood dei Rolling Stones e l'attivista
americana, Leonor Anthony, ha donato la
sua opera, realizzata in residenza, “Hope,
Faith and Charity” all'Associazione culturale
di Jo Squillo “Wall of Dolls”.
Anche nel campo fotografico, sono state
molte le connessioni tra i fotografi e i
maggiori esponenti del mondo del fashion:
Antonio Guccione e Alex Korolkovas
collaborano con le riviste di moda
più in voga degli ultimi anni e la brasiliana
Simone Monte è stata premiata dal
National Geographic Competition per un
suo scatto, in mostra al Museo di Fortalesa
e presso Espinasse31.
122
Jotape Abstract (red) 2016; mxed media, gold leaf
and resin on canvas; 120x80cm (46,8x31,2 in)
THE SAINT - Tecnica mista su tela, cm 60 x 50, 2018
Skott Marsi Untitled 2016 Acrylic and
Spray Paint on Canvas 180x120cm
(70,2 x46,8 in)
In anteprima, durante la serata, sono stati
presentati di 2 nuovi street artists: Marco
Mantovani, in arte KayOne, uno dei primi
writer a Milano, rimasto sempre fedele,
dal 1988, alla cultura del Graffiti
Writing e Scott Marsi, molto attivo e conosciuto
per i sui murales a Brooklyn e
Miami.
Nelle sue opere su tela, KayOne ha sempre
cercato di imprigionare l’energia della
strada e l’amore per il colore, ispirandosi
ai muri delle nostre città, grandi, colorati
e pieni di parole non scritte. I suoi
lavori sono piccoli “frame” rubati alle nostre
strade, restituiti dal tempo, con superfici
che fanno intuire la voglia di lasciare
un segno indelebile di sè.
Per tutti coloro che desideravano acquistare
alcune opere, Espinasse 31 omaggiava
i suoi collezionisti, ma anche i
nuovi clienti con un regalo esclusivo: uno
special sale su tutta la produzione in stock!
Un'occasione irrepetibile per tutti gli a-
manti dell'arte e del design.
Durante questa mostra si sono potuti ammirare
i pezzi più rappresentativi di tutti
i nostri artisti storici, come Adrian Avila,
Rodrigo Branco, Carlos Alves, Claudia
La Bianca, Leo Castaneda e Daniel Tumolillo.
Gran parte della produzione è stata visibile
anche in Piazza Cavour, al civico 1,
presso lo Studio Castiglioni & Partners.
Il divertimento è stato assicurato!
VERNISSAGE
Venerdì 20 Aprile ore 19,00-21,30
Preview: 13-16 Aprile
Apertura straordinaria durante Salone
del Mobile: 17- 19 Aprile
Contatti www.espinasse31.com |
info@espinasse31.com
Instagram: @espinasse31 | Facebook:
Espinasse31 | Youtube: Espinasse31
Viale Carlo Espinasse 31, Milano,
20156, orari: Mar - Sab, 10:30 – 18,30
Marina Novelli
Rosecat's yellow eyes - Olio su tela - cm.50 x 50
marinanovelli.it
marinanovelli@yahoo.it
Mob. 0039 333 56 01 781
124
I Tesori del Borgo
I Monti Sibillini
Viaggio nell'arte e nelle bellezze
dei paesi dell'anello dei crinali
a cura di Marilena Spataro
I Monti Sibillini visti da Gualdo
Sono tanti e di notevole pregio i “tesori”
custoditi nei borghi marchigiani.
Qui illustriamo alcune delle
bellezze artistiche, architettoniche e
paesaggistiche, dei cinque borghi
che formano l'Anello dei Crinali, un percoso,
appunto ad anello, che si snoda all'interno del
territorio del Sistema Turistico Locale “Monti
Sibillini. Terre di parchi e di incanti”, poeticamente
ribattezzati Monti Azzurri dal
sommo Leopardi. L'Anello dei Crinali identifica
un'area del Piceno in Provincia di Macerata,
al confine nord-est del Parco Nazionale
dei Monti Sibillini, caratterizzato da un paesaggio
naturale fantastico, acronimo dell'intera
regione. Il territorio è compreso tra i 400
metri sul livello del mare della zona collinare
fino a circa 2000 metri dell'area montana. Il
mare adriatico è raggiungibile in mezz'ora
d'auto. Cinque sono i Comuni che lo definiscono:
Gualdo, Monte San Martino, Penna
San Giovanni, Sant'Angelo in Pontano e Sarnano.
Cominciamo la nostra escursione da
quest'ultimo centro cittadino, il più vasto e più
popolato dei cinque paesi. Posto su un’altura
alle pendici dei Sibillini, Sarnano, è rinomato
come centro termale, di villeggiatura e di sport
invernali. L’abitato è composto da una parte
moderna che si trova a valle e da un borgo medievale
arroccato sul colle, tipico esempio di
castrum. Gli amanti della natura possono godere
della passeggiata che costeggia il fiume
Tennacola fin dentro il Parco dei Sibillini.
Diventata libero comune nel 1265, la cittadina
marchigiana, è caratterizzata architettonicamente
da piccoli edifici arroccati attorno ai
beni dei poteri di quell’epoca: la chiesa di
Santa Maria di Piazza, il palazzo del Popolo,
il palazzo del Podestà ed il palazzo dei Priori.
Si tratta di piccoli edifici, ma di grande importanza
storica tra cui la biblioteca francescana,
tramandata dai padri Filippini, assolutamente
di grande pregio per tutte le Marche, così
come la sede comunale (ex Convento di San
Francesco) con l’attigua chiesa dedicata proprio
a quel Santo che divise con i Sarnanesi,
nel 1214-15 circa, un breve periodo della sua
ascetica esistenza. Il cotto è l’elemento caratterizzante
e predominante delle costruzioni
del paese; con questo materiale fu edificato
l’antico borgo: dalle murature portanti alle coperture
con volte, dalle colonne ai pilastri, capitelli
e lesene, dalla pavimentazione esterna
dell’intero abitato a tutti quegli elementi decorativi
necessari per dare a questa architettura
la semplicità e la purezza del calore
umano. Della nostra epoca sono invece i sapienti
interventi di restauro e di conservazione,
in perfetta armonia con la bellezza delle
strutture esistenti. Tra le chiese sono d'interesse
artistico e architettonico anche: l'Abbadia
di Piobicco o San Biagio dell'XI secolo,
situata ai piedi della montagna di Sassotetto
in un avvallamento presso il punto di confluenza
di due corsi d'acqua; la chiesa di Santa
Maria Assunta edificata nella seconda metà
del secolo XIII, al suo interno si trovano diverse
opere di notevole pregio, l'Eremo di
Soffiano la cui realizzazione è datata al 1101
quando alcuni signori del luogo donarono al
“prete Alberto” ed ai suoi compagni un certo
territorio dove avrebbero dovuto edificare una
chiesa e condurre una vita eremitica. Sul fonte
“profano” di particolare interesse è il Museo
del Martello con la sua collezione “Sergio
Masini”. Nel Museo è documentata la storia
del martello nell'utilizzo quotidiano e nel lavoro
artigianale e industriale. Sono esposti
martelli in bronzo, cristallo, cuoio, pietra e
rame, pelle, acciaio e altri materiali. La collezione,
che è stata donata al Comune nel 1993,
consta di 500 pezzi provenienti da 40 paesi,
essa rappresenta oltre 100 mestieri; si va dalla
riproduzione del martello e della cazzuola dell'Anno
Santo del 1975, usata da Papa Paolo
VI per aprire la Porta Santa, sino ai martelli
usati dagli agricoltori, dai boscaioli, dai calzolai,
dagli esattori delle tasse, dagli speleologi,
dai gioiellieri, dai tipografi e quant'altri.
A questo curioso museo si aggiungono: il
Teatro Flora - Penna San Giovanni
Pala d'altare - Carlo e Vittore Crivelli-
Monte San Martino
Museo dell’Avifauna delle Marche collezione
“Brancadori”, che comprende circa 867 esemplari
di uccelli imbalsamati appartenenti a
specie ancora rinvenibili nell'area dei Sibillini
e in quella più vasta dell'Appennino centrale;
il Museo delle Armi, dove sono presenti armi
bianche di varie epoche e armi da fuoco, dai
primi archibugi a miccia del XVI secolo sino
alle armi moderne della prima metà del XX
secolo, per un totale di circa 900 pezzi. Veri e
propri tesori dell'arte sono custoditi nella Pinacoteca
Civica di Sarnano con opere pervenute
al Comune dal passaggio dei beni del
convento dei Francescani e di altri conventi,
per effetto della soppressione degli istituti religiosi
a seguito all'Unità d'Italia. Nella Pinacoteca
sono presenti la “Madonna Adorante il
Bambino con Angeli Musicanti” di Vittore
Crivelli (fine sec. XV), l' '”Ultima Cena” di
Simone De Magistris (1607), “Santa Lucia”
di Vincenzo Pagani del 1525 e due bellissime
tele di Ignaz Stern (inizi sec. XVIII), recentemente
scoperte. Dedicato a Mariano Gavasci,
artista sarnanese della prima metà del '900, è
l'omonimo museo che custodisce una importante
collezione di sue opere. Molti altri suoi
lavori figurano: alla Galleria d'Arte Moderna
del Comune di Roma, al Senato della Repubblica,
al Museo Coloniale, al Comune di Sabaudia,
alla “Pro Civitate Christiana” di
Assisi, al Comune di Sarnano, alla Collezione
Gualino, presso vari enti e privati estimatori.
Altro “gioiello” del territorio di Sarnano sono
le Terme di San Giacomo. La fortuna di poter
disporre di numerose sorgenti naturali di
acque minerali di diversa natura, ha, infatti,
determinato le condizioni ottimali perché Sarnano
si affermasse anche come centro termale,
oggi, strutturalmente, forse il più attrezzato
delle Marche. Altra cittadina dell'Anello
dei Crinali di grande bellezza paesaggistica
e ambientale, con tesori preziosi in
ambito artistico, è Monte San Martino. Di origine
romanica, questo suggestivo “borgo”
marchigiano, è posto in una posizione panoramica,
alquanto spettacolare, a
600 metri sul mare su un’altura
a strapiombo sulla valle del
fiume Tenna. Nelle sue chiese sono custodite
alcune pregevolissime testimonianze artistiche
che hanno reso il paese famoso tra gli studiosi
e gli appassionati dell'arte. Nell'antica
chiesa romanica, risalente al XIII secolo, di
San Martino, vescovo di Tour e patrono del
paese, sono presenti, infatti, opere basilari per
la storia dell'arte italiana, vi si trovano nientemeno
che tre polittici di Vittore Crivelli, su
uno dei quali è possibile riconoscere la mano
del fratello Carlo; le opere risalgono a un periodo
databile intorno al 1490. Vi è inoltre un
polittico di Girolamo di Giovanni da Camerino,
probabilmente del 1473. Nella chiesa è
custodito pure un organo molto antico, sul
quale ha lavorato Giovanni Fedeli. Pregevole
è poi l'altare, di scuola napoletana, alla cui
base sono state poste alcune maioliche, tra i
primi esemplari di maiolica su piastrelle. Altre
chiese interessanti sotto il profilo artistico e
architettonico sono: la Chiesa di Sant’Agostino,
di origini quattrocentesche, dove il restauro
del 2000 ha portato alla luce un
bell'affresco del Pagani di Monte Rubbiano;
la Chiesa Santa Maria del Pozzo, dove si trovano
due polittici quattrocenteschi; l'antica
Chiesa di Santa Maria delle Grazie, collocata
pittorescamente sotto un roccione alle porte
del paese e gradevolmente affrescata nelle
cappelline interne. In un recente restauro di
questa chiesa si è provveduto a staccare e a
spostare un affresco per metterne in luce un
altro, più antico e di maggior interesse artistico.
Seguendo un percorso antiorario, il terzo
paese dell'Anello dei Crinali che si incontra è
Penna San Giovanni. Situata sul crinale tra la
valle del Tennacola e quella del Salino a circa
700 metri sul mare, la piccola cittadina presenta
un centro storico ben conservato all’interno
dell’antica cortina muraria. Vi si possono
ammirare chiese, resti di fortificazioni,
ma anche il palazzo comunale ed il monastero:
sono molte le ricchezze artistiche, specie
architettoniche, che questo suggestivo
paese offre. Centro di notevole interesse per
le acque salso – bromo – iodiche – solforose
e per le caratteristiche paesistiche e climatiche,
Penna San Giovanni, fu patria del Beato
Giovanni da Penna, seguace di San Francesco,
ricordato nei “Fioretti”; dello storiografo Giovanni
Colucci (sec. XVIII), autore della monumentale
opera “Antichità picene”; altro
cittadino illustre da ricordare è il pittore Mario
Nuzzi meglio conosciuto come Mario dè Fiori
(sec. XVII). Sulla base di alcuni reperti archeologici,
l'origine di questo “borgo” risalirebbe
all’epoca romana. Il luogo fu fortificato
in epoca medievale e fu residenza di signori
locali. Nel 1259, al tempo dell’occupazione di
Manfredi, gli abitanti insorsero e distrussero
la Rocca sulla sommità del monte. La fortezza
fu poi ricostruita alla metà del ‘300 dai Varano
che avevano preso possesso del paese per
conto del Cardinale Albornoz che cercava di
mettere ordine nella Marca in nome del Pontefice;
nella metà del secolo XV fu conquistata
e tenuta per due decenni da Francesco
Sforza insieme con molti altri castelli vicini
per passare poi definitivamente sotto il dominio
della Chiesa. Del periodo medievale,
Penna conservava il tratto della primitiva cinta
muraria del secolo XIII, i rifacimenti del secolo
XV con torre quadrangolare aggettante e
le porte dei secolo XIII e XIV: Porta della
Pesa (sec. XIV), la Portarella (sec. XIII), Porta
del Forno (sec. XIV) e Porta Santa Maria del
Piano o Porta Marina (sec. XIV). Sulla cima
del colle, sono ancora visibili i resti di una
torre della originaria Rocca in cui si apre uno
stretto cunicolo, nel quale la leggenda dice si
nasconda una chioccia d’oro con i suoi pulcini.
Tra i monumenti più importanti del centro
cittadino abbiamo la Chiesa di San Fran-
126
Gualdo
Sarnano
cesco, costruita nel 1457 da Salino Lombardo,
ma rimaneggiata nel XVII e XVIII secolo, che
conserva il portale della primitiva costruzione
ed il pavimento in cotto. All’interno sono presenti
tele dei secoli XV e XVIII. L’antico convento
adiacente con il chiostro e il loggiato ha
subito varie trasformazioni nei secoli scorsi ed
è stato adibito a scuola. Nel palazzo Municipale,
edificato alla fine del secolo XVIII dall’architetto
Pietro Maggi, sono conservati
reperti di epoca romana ed una interessante tavola,
raffigurante la Madonna tra San Rocco,
San Sebastiano, Santa Apollonia e San Giovanni
da alcuni attribuita all’ambito dei Crivelli.
Sulla parte aggettante della facciata si
innesta la torre dell’orologio. Tra gli edifici
sacri antichi, merita attenzione la Pieve di San
Giovanni Battista, costruita tra il 1251 e il
1256 da Giorgio da Como, noto per la fabbrica
delle cattedrali di Fermo e di Iesi, a
croce latina e ad un’unica navata, riformata
nel 1736, conserva la statua in legno del Battista,
opera di notevole importanza artistica
(sec. XVI), forse di Desiderio Confini, ed un
interessante Crocifisso dello stesso periodo.
Quanto alla chiesa di San Antonio Abate dell'originale
resta il robusto campanile costruito,
probabilmente, sul basamento di un'antica
casa-torre medievale. Nel palazzo Priorale, risalente
al secolo XIII, ma molto rimaneggiato,
si trova un gioiellino di grande eleganza: il
Teatro comunale, una piccola bomboniera con
99 posti, costruito in legno e affrescato da Antonio
Liozzi (sec. XVIII), che sul soffitto ha
dipinto una suggestiva scena mitologica dove
una Musa gioca con Amorini. D’interesse è,
poi, ciò che resta del monastero di Santa Filomena:
la chiesa, ad unica navata, conserva il
matroneo, ormai murato e l’originale pavimento
in cotto recentemente restaurato, e all’interno
custodisce una Sacra Famiglia
attribuita al Sassoferrato (sec. XVII). Fuori
dal centro abitato, immerse nel verde, si possono
ammirare due piccole chiese, tra le più
antiche di Penna: la chiesa di San Bartolomeo
e quella romanica di San Biagio.
Sant'Angelo in Pontano è un altro dei cinque
paesi di cui ci occupiamo in questo nostro
viaggio tra i “tesori del borgo” marchigiani.
In epoca romana il suo territorio era probabilmente
un vicus o un pagus. Con l'arrivo del
Cristianesimo si diffuse il culto di San Michele
Arcangelo che, ancora oggi, compare
nel nome e nello stemma comunale. In epoca
longobarda la cittadina aveva raggiunto una
dimensione considerevole e faceva parte del
Ducato di Spoleto, più precisamente nel Gastaldato
di Ponte, da cui deriva “in Pontano”
aggiunto al nome di questa località per distinguerla
da altre omonime. Nel VII secolo fu costruito
il convento Santa Maria delle Rose da
parte dei benedettini e poco dopo il paese
passò sotto il controllo dell'abbazia di Farfa.
Nel X secolo prendono il potere nobili locali.
Nel dicembre 1263, Sant'Angelo in Pontano
diventa libero comune, ma dopo pochi anni si
sottomette alla città di Tolentino, e successivamente
a Fermo. Nella metà del XIV secolo,
in seguito al tentativo del cardinale Albornoz
di ridurre i castelli della Marca sotto il dominio
del Papa, Sant'Angelo subì l'assedio e la
conquista da parte delle truppe pontificie. Nel
1413 fu possesso dei Da Varano per poi tornare
a Fermo, vent'anni più tardi, a seguito
della campagna di Francesco Sforza. Ripreso
dai pontifici, fu messo a sacco e gravemente
danneggiato. Ben presto furono però riparati
i danni e ritornò a far parte del territorio di
Fermo di cui seguì le sorti sino al periodo napoleonico
quando fu compreso nel Dipartimento
del Tronto. Nel 1860, al momento della
soppressione della provincia fermana, entrò a
far parte di quella di Macerata. Tra i monumenti
e i luoghi di maggiore interesse di Sant'Angelo
in Pontano abbiamo la Collegiata del
Santissimo Salvatore, la chiesa, in stile romanico-gotico,
risale alla prima metà del XII secolo.
L'interno è diviso in tre navate, di cui
quella centrale ha il soffitto a capriate, mentre
quelle laterali sono a crociera. La pianta divenne
a croce greca con l'aggiunta di due cappelle
laterali nel 1700. La cripta, come il
campanile, è stata aggiunta nel XIV secolo ed
Sant'Angelo in Pontano
Penna San Giovanni
è vasta quanto la chiesa soprastante, con archi
in laterizio e volte a crociera. All'interno della
collegiata sono presenti alcune pregevoli acquasantiere
ricavate da antichi capitelli, mentre
sul quarto pilastro di destra c'è un interessante
affresco, da attribuire, molto probabilmente,
alla cerchia dei Salimbeni di Sanseverino,
raffigurante la Madonna con il Bambino.
Nella Chiesa di San Michele, dedicata a
San Michele arcangelo da cui il paese prende
il nome, prima dell'attuale costruzione, era
presente una cappella longobarda di cui un
bassorilievo all'esterno dell'edificio tiene traccia.
In un piazzale panoramico accanto al
Convento degli Agostiniani, sorge la Chiesa
di San Nicola, dedicata al patrono del paese.
Costruita nella seconda metà del XV secolo
sulla preesistente chiesa dedicata a Sant'Agostino
e ristrutturata alla fine del '700, l'edificio
sacro presenta all'interno la cappella di San
Nicola, affrescata elegantemente e dove si
possono ammirare pregevoli lavori di intaglio
in legno eseguiti nei primi decenni del XVII
secolo. Tra gli edifici laici suscitano interesse:
la torre civica detta dell'orologio, le cui prime
notizie risalgono al 1397; la Piazza Angeletti,
cuore pulsante delle vita cittadina, la Rocca di
San Filippo, risalente al XIII secolo ed in seguito
ampliata, che si trova fuori del centro
abitato e nelle cui vicinanza era presente una
chiesa (XVII secolo) dalla quale la rocca
prende il nome.
A chiudere il nostro viaggio tra gli affascinanti
territori dell'Anello dei Crinali è il bel paesino
di Gualdo. Borgo dall'aspetto medievale, con
resti delle numerosi torri appartenenti alle fortificazioni
antiche, Gualdo offre al visitatore
una suggestiva vista sui monti Sibillini che lo
circondano e la possibilità di piacevoli escursione
tra chiese di varie epoche storiche e un
interessante convento francescano. Le origini
di questa cittadina marchigiana si perdono in
tempi remoti. Con tutta probabilità fu edificata
dopo la rovina di Urbisaglia e Falerone,
quando i signori che dominavano su quelle località,
per sfuggire all’eccidio dei barbari, ripararono
nei vicini monti e cominciarono a
costruire i loro castelli in siti di una certa altitudine
per difendersi meglio dalle incursioni
dei nemici. Il nome Gualdo deriva dal longobardo
Wald, cioè bosco, di cui tutta la zona era
ricoperta. Probabilmente nel secolo X sorse
una piccola cinta fortificata che proteggeva le
poche case e la chiesa (ce ne sono ancora
tracce evidenti). Il Castello di Gualdo fu la
fortezza dell’antica e potente casa Brunforte,
che l’aveva avuto in possesso dai Bonifazi,
nobile famiglia di Monte San Martino, e che,
ormai in decadenza, nel 1319, lo vendette alla
Città di Fermo con dispiacere di San Ginesio,
che, nemica di Fermo, veniva ad avere troppo
vicino un popolo rivale. Infatti per questioni
di confine tra Gualdo e San Ginesio ci fu un
lungo periodo di contrasti, con furti, grassazioni
e omicidi, fino a quando, nel 1484, per
intervento del Pontefice Sisto IV gli arbitri
delle due Comunità firmarono una sentenza
che fissava i confini al fiume Salino. Sempre
per questioni di territorio, nel secolo XVI,
Gualdo fu in conflitto con Sant' Angelo in
Pontano e Sarnano, ma nel secolo seguente arbitrati
di pace posero fine alle discordie. L’importanza
del Castello di Gualdo fu anche
determinata dal fatto che nel suo territorio
passava il confine tra la diocesi di Camerino
e Fermo. La struttura di maggiore interesse
storico e architettonico di questo borgo marchigiano
è data dal Mulino Brunforte. Posto
sulla riva sinistra del Tennacola, il Mulino risale
al secolo XIII, nel secolo XVI, in un
clima di cattive relazioni tra Gualdo e Sarnano,
viene ulteriormente fortificato perché ritenuto
strategico per la difesa del territorio
comunale. La costruzione è realizzata in pietra
arenaria sbozzata tipica del luogo, si presenta
a forma di torre, con ponti levatoi, beccatelli,
piombatoi e bombardiere su tutti e quattro i
lati. La torre è a pianta rettangolare, di metri
11×9 circa, si compone di tre piani, per un’altezza
totale alla facciata nord-est di metri
11,50. Nella piazza centrale di Gualdo si può,
poi, ammirare la bella torre campanaria del
XIV secolo, dove fa bella mostra un orologio
meccanico del 1850 realizzato dal famoso mastro
orologiaio Pietro Mei. L’orologio è stato
recentemente restaurato ed è perfettamente
funzionante. A circa 700 metri dal centro abitato
della cittadina marchigiana si trova il “Lavatoio-Fontana”,
un manufatto che risale al
XVIII secolo e che costituisce una notevole
testimonianza della civiltà rurale del ‘700.
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