syndicom rivista N. 6 - Se è gratis le merce sei tu
Il periodico syndicom offre informazioni dal sindacato e dalla politica: la nostra rivista fa luce sui retroscena, mette ordine e offre spazio anche per la cultura e l’intrattenimento. La rivista cura il dialogo sui social media e informa riguardo ai più importanti eventi, servizi e offerte di formazione del sindacato e di organizzazioni vicine.
Il periodico syndicom offre informazioni dal sindacato e dalla politica: la nostra rivista fa luce sui retroscena, mette ordine e offre spazio anche per la cultura e l’intrattenimento. La rivista cura il dialogo sui social media e informa riguardo ai più importanti eventi, servizi e offerte di formazione del sindacato e di organizzazioni vicine.
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syndicom
N. 6 Luglio–Agosto 2018
rivista
Se è gratis
la merce
sei tu
Pubblicità
Segna in rosso
la data del 22 settembre
nella tua agenda!
Partecipa anche tu alla manifestazione nazionale
del 22 settembre a Berna!
Salari equi per tutti – in favore
della parità salariale e contro
ogni forma di discriminazione!
Un’alleanza composta da sindacati e organizzazioni di donne
invita tutte e tutti a Berna.
Mettiamo pressione affinché le cose cambino.
13.30 Punto d’incontro: Schützenmatte
15.00 Manifestazione sulla Piazza federale
con musica e discorsi brevi
I soci di syndicom viaggiano gratuitamente.
Iscrizione online e maggiori dettagli:
my.syndicom.ch ∕ manifestazione18
Sommario
4 Team vincenti
5 Brevi ma utili
6 Dalla parte degli altri
7 L’ospite
8 Dossier: Gratis
16 Dalle professioni
18 Swiss Maid
22 Politica
25 Diritto e diritti
26 Idee
27 Mille parole
28 Eventi
30 Un lavoro, una vita
31 Cruciverba
32 Inter-attivi
Care lettrici, cari lettori,
le multinazionali costringono i propri clienti a
svolgere sempre più lavori da soli con l’aiuto
delle tecniche digitali. Altri servizi che richiedevano
una grosse mole di lavoro sono stati eliminati.
Queste nuove strategie apportano a questi
gruppi enormi incrementi di produttività. Esempi
sono la Powerhouse digitale di PostFinance
(che nome fantasioso per nascondere una mera
esternalizzazione!), la chat di autosostegno
presso Swisscom o il medico online della tua
cassa malati.
Processi del genere, che oggi stanno subendo
un’intensa accelerazione in molti campi, distruggono
il lavoro vivo e regalano alle aziende
un immenso aumento di utili. E questi profitti,
acquisiti attraverso lavori gratuiti occulti, finiscono
nelle tasche degli azionisti fino al punto
in cui l’azienda non si sarà trasformata in una
piattaforma digitale priva di qualsiasi responsabilità
sociale, dove il rischio imprenditoriale
viene trasferito sui lavoratori. E ovviamente
anche la sede fiscale viene scelta con cura al
fine di pagare meno imposte possibili.
Di fronte a questo abbandono della società da
parte delle aziende, noi proponiamo il nostro
modello di digitalizzazione sociale, una versione
migliore di questa trasformazione. Dobbiamo
riuscire a far sì che questi guadagni di produttività
vengano distribuiti e investiti in un servizio
pubblico potenziato. Perché nell’era della digitalizzazione
quest’ultimo sarà al centro della società.
E dovrà ssere gratuito!
4
8
22
Daniel Münger, presidente syndicom
4
Team vincenti
Lottare insieme conviene sempre
Dominic Steinmann (30 anni)
Cresciuto a Ried-Brig VS, lavora come
fotografo freelance a Zurigo e da marzo
2017 nel Vallese. Ha studiato Press &
Editorial Photography in Inghilterra.
Prima aveva svolto attività di volontariato
per Keystone e NZZ. È iscritto a
syndicom dal settembre 2017.
www.dominicsteinmann.com
Markus Forte (40 anni)
Ha frequentato il corso di fotogiornalismo
al MAZ di Lucerna.
Dal 2005 lavora come fotografo
freelance per clienti del settore del
Media and Corporate Publishing.
Vive a Zurigo e fotografa ovunque.
È iscritto a syndicom dal 2004.
www.markusforte.com
Miriam Künzli (41 anni)
Ha studiato fotografia a Monaco di
Baviera e a Lucerna e lavora come
free lance per diversi giornali e aziende
in Germania e in Svizzera. Vive con la
famiglia a Zurigo. Dal 2008 è iscritta
a syndicom ed è impegnata nella
commissione Freelance.
www.miriamkuenzli.com
Testo: Nina Scheu
Foto: Tom Kawara
«Abbiamo ottenuto
un importante
miglioramento dei
contratti»
«All’inizio è stato uno choc: a ottobre
2017 abbiamo saputo che Ringier
Axel Springer (RASCH) invia ai fotografi
freelance dei contratti in cui si
pretenderebbe un ‹full buyout›,
ovvero la totale cessione del diritto
d’autore. Questo significa che la casa
editrice può utilizzare le nostre immagini
non solo in modo illimitato
nelle sue pubblicazioni, ma potrebbe
anche rivenderle ad altri clienti, gratis
e senza chiedercelo. Ancor peggio:
avremmo perso il diritto di sfruttare
economicamente le nostre immagini
in altro modo. La tariffa stampa è
bassa proprio perché le foto possono
essere utilizzate una sola volta, e
qualsiasi ulteriore utilizzo dovrebbe
essere compensato. Con il supporto
dei sindacati e delle associazioni di
fotografi si è formato un gruppo piuttosto
numeroso di fotografi che è
riuscito a incontrarsi a una «tavola
rotonda» presso il segretariato regionale
di syndicom. Abbiamo ottenuto
supporto giuridico per le ulteriori
azioni e assistenza nella formulazione
di una controproposta che intendiamo
negoziare con RASCH. Un
gruppo Facebook ci ha aiutato a interconnetterci
reciprocamente tanto
che abbiamo avviato una petizione
sottoscritta da oltre 800 persone. Il
gruppo ha inviato innumerevoli lettere
e noi abbiamo contattato i nostri
colleghi anche per telefono. Abbiamo
consigliato loro di rispedire indietro
la loro controproposta anziché
i contratti forfettari – anche solo in
segno di protesta. Ma in alcuni il timore
di non ricevere più incarichi
era troppo forte. Ciononostante la
pressione sul management di RASCH
è stata talmente forte che siamo stati
invitati a un colloquio. A febbraio
siamo riusciti a ottenere un importante
miglioramento dei contratti
impedendo così il ‹full buyout›. Tuttavia
siamo riusciti a far passare solo
una parte della nostra controproposta.
Un gran lavoro. Ma ci ha mostrato
che insieme possiamo portare a
casa dei risultati – e questo sarebbe
stato molto più possibile se tutti
avessero fatto la loro parte. Nella vita
professionale di tutti i giorni siamo
(troppo) spesso lavoratori solitari.
I contatti creati ora sono un inizio
per cambiare tutto questo».
Brevi ma utili
Tre alternative per Le Matin \ PostFinance, un segnale chiaro \
Negoziati CCL industria grafica \ Capriasca diventa Fair Trade \
Sciopero, un secolo dopo \ Festival di Internazionale \ Contatti
5
Tre alternative per Le Matin
La delegazione del personale del quotidiano
romando Le Matin ha proposto alla
direzione di Tamedia tre alternative che
permetterebbero di evitare la sparizione
della testata cartacea e che aiuterebbero
a ridurre significativamente i licenziamenti.
Si tratta: 1) di mantenere la
versione cartacea di Le Matin senza
sopprimere posti di lavoro, con degli aggiustamenti
nella politica commerciale e
degli introiti; 2) del rilevamento del giornale
da parte di nuovi investitori; 3) dello
sviluppo del sito internet matin.ch.
PostFinance, un segnale chiaro
A metà giugno, una trentina di dipendenti
PostFinance in Ticino si è riunita in
assemblea per chiedere soluzioni alternative
ai licenziamenti annunciati e
maggiore trasparenza nella comunicazione.
I dipendenti invitano inoltre Post-
Finance ad assumersi la sua responsabilità
sociale nel perseguire una politica
del personale adeguata per un’azienda
appartenente alla Confederazione.
Dopo il periodo di consultazione, syndicom
organizzerà una nuova assemblea
per decidere insieme ai dipendenti quali
ulteriore passi intraprendere.
Negoziati CCL industria grafica
Il 13 giugno la delegazione alle trattative
di syndicom e syna ha incontrato la delegazione
di viscom per la prima tornata
di trattative sul nuovo Contratto collettivo
di lavoro dell’industria grafica.
syndicom e syna hanno affrontato i negoziati
convinti che il nuovo CCL dovrà
dare un segnale positivo al settore. I
partner sociali credono in una divisione
grafica attrattiva e vogliono contribuire
a questo suo sviluppo.
La via per il congresso USS
Dal 30 novembre al 1° dicembre prossimi,
i delegati dell’Unione sindacale svizzera
(USS) si incontreranno a Berna per
il loro 56esimo congresso. Per questioni
organizzative, l’USS raccomanda di inviare
le proposte entro il 15 agosto, anche
se il termine ultimo resta quello del
30 agosto, tre mesi prima del congresso,
come da statuti. Per informazioni:
kommunikation@syndicom.ch.
Capriasca diventa Fair Trade
Il comune di Capriasca è il primo nella
Svizzera italiana a ricevere il titolo di
Fair Trade Town, riconoscimento conferito
per il sostegno a favore del commercio
equo e del consumo sostenibile.
Tra i criteri per diventare Fair Trade
Town, c’è anche il riconoscimento di un
salario adeguato per le persone che
esercitano attività agricole o artigianali
nel Sud del mondo. Per informazioni:
www.fairtradetown.ch/it
Sciopero, un secolo dopo
Sono passati cent’anni dallo storico
sciopero generale del 12 novembre
1918. Accanto all’USS, al PS e alla Fondazione
Robert Grimm, syndicom sarà
presente all’evento celebrativo di sabato
10 novembre alla stazione di
Olten, a partire dalle 14. Il tutto si svolgerà
in un luogo simbolico come le ex
officine FFS, dove sono previsti interventi
della Consigliera federale Simonetta
Sommaruga e del presidente USS
Paul Rechsteiner. Iscrizioni presso
http://iscrizione.scioperogenerale.ch.
Informazioni a http://generalstreik.ch
Festival di Internazionale
Da più di un decennio, il festival organizzato
dal settimanale Internazionale
a Ferrara è un appuntamento imperdibile.
Dal 5 al 7 ottobre, si susseguono
dibattiti, interviste, proiezioni e atelier
con ospiti di tutto il mondo. Anche
quest’anno, syndicom Ticino e Moesano
offre ai suoi iscritti la possibilità di
parteciparvi per tutto il periodo, con
viaggio in pulmino e pernottamento a
Ferrara, a un prezzo particolarmente
interessante. Per informazioni e iscrizioni:
nicola.morellato@syndicom.ch
Contatti
Segretariato syndicom Ticino e Moesano,
e-mail: ticino@syndicom.ch
via Genzana 2, 6900 Massagno
Orari: lu e gio 8.00-12.00
ma-me-ve 13.30-17.30
Tel. 058 817 19 61
Fax 058 817 19 66
Gruppo Pensionati Ticino e Moesano
http://ig.syndicom.ch/it/pensionati/
gruppo-regionale.
e-mail: ernesto.fenner@bluewin.ch
Agenda
Luglio
4
Swiss Press Photo 18
Fino al 2 settembre, LAC, Hall
Le migliori fotografie giornalistiche
del 2017 selezionate da una giuria
internazionale. Ingresso gratuito.
www.luganolac.ch
11
Storyworlds / Movie Critics
in the Era of the Web 2.0
Ore 14.00, Théâtre du Passage 2,
Neuchâtel. Critici cinematografici,
youtuber e web-editor si interrogano
sulle possibilità offerte dalle nuove
tecnologie.
www.nifff.ch
Agosto
1-11
Locarno Festival
La sezione Open Doors è dedicata a
film del Sud del mondo.
www.pardo.ch
Settembre
11
Visita a Campione d’Italia
Gruppo d’Interesse Pensionati Ticino e
Moesano. Iscrizioni entro il 31 agosto a
info@syndicom.ch
22
#ENOUGH18
Manifestazione nazionale per la parità
salariale e contro le discriminazioni
Berna, ore 13.30: ritrovo alla Schützenmatte,
segue corteo diretto verso
Piazza Federale.
Treni speciali dal Ticino.
syndicom.ch/agenda
6 Dalla parte
Hans-Jürg Schürch, laurea in economia aziendale e master
degli altri
in Human Resource Management, dal 2007 è alla T-Systems.
Da quest’anno, è direttore delle Risorse umane T-System
Svizzera e Austria e membro di entrambi i comitati direttori.
1
Com’è la situazione nel suo settore?
Più le attività della nostra clientela si
basano sulla tecnologia, più hanno
bisogno di un sostegno informatico.
Sempre più spesso le aziende questo
aiuto non se lo prendono più attraverso
l’outsourcing classico ma attingono
le loro applicazioni e i servizi
dalla Cloud. Qui siamo di fronte a
una domanda in continua crescita.
E questo cambia i modelli di prezzo:
oggi coesistono modelli a prezzo fisso,
modelli dove viene messo in conto
soltanto l’uso effettivo o una combinazione
dei due.
2
Come valuta gli investimenti dei suoi
clienti nell’Information Technology?
Oggigiorno nessun’azienda si può
permettere di non investire nella digitalizzazione.
La novità però è che
adesso non è più solo il reparto IT a
decidere sulle nuove acquisizioni,
ma vengono coinvolti sempre maggiormente
anche i vari reparti specializzati,
come per esempio il marketing,
le risorse umane, le finanze o le
vendite al fine di implementare gli
strumenti. Questo snellisce le procedure
e copre meglio le esigenze dei
clienti.
3
Che cosa significa per lei la
digitalizzazione?
Secondo me, la digitalizzazione va
ben oltre l’IT e la tecnologia. Qui
siamo davanti a un approccio completamente
nuovo: concepire al meglio
le esigenze dei clienti e rendere
le proprie procedure più dinamiche e
innovarle grazie alla tecnologia, rendendole
più confortevoli verso
l’esterno e più efficienti internamente.
Con ciò l’automazione assume un
ruolo centrale.
4
Offrite servizi nell’ambito
dell’intelligenza artificiale?
Algoritmi autoapprendenti e Big
Data, internet delle cose o la Cloud
sono potenti strumenti per l’innovazione
e la concorrenzialità. Nel nostro
portafoglio offriamo anche servizi
d’intelligenza artificiale, perché la
nostra ricerca non si limita al collegamento
in auto ma anche nella sanità,
nella smart city e nella smart factory.
Allo stesso tempo siamo consapevoli
dei rischi. Ecco perché Deutsche Telekom
proprio di recente si è data un
codice etico per la gestione dell’IA.
5
Quali sono le sfide nel settore?
Quando ci sono sempre più dati che
devono essere raccolti, valutati ed elaborati,
aumentano anche le richieste
nei confronti della protezione dei
dati, sicurezza dei dati e in generale
la consapevolezza dei rischi provenienti
da internet. I servizi della cybersicurezza
dunque devono essere
sempre ultramoderni e riferirsi sempre
in modo unitario all’intera catena
del valore, in quanto già la più piccola
falla può significare un grosso danno
finanziario ma anche d’immagine.
6
Come valuta il livello dei salari?
Il nostro settore crea molto valore.
Ciò nonostante non è il classico settore
dai salari alti, come si potrebbe
pensare. Ci sono grosse differenze
salariali: basta consultare il Libro paghe
2018, pubblicato annualmente
dall’Ufficio zurighese dell’economia
e del lavoro. Ma i dati vanno presi con
le pinze: un compito avvincente, una
buona cultura aziendale, prestazioni
supplementari o una partecipazione
alle spese di formazione e perfezionamento
sono elementi importanti che
possono aumentare l’attrattività.
Testo: Sina Bühler
Foto: Yoshiko Kusano
L’ospite
La signora Maria lavora a tempo
parziale, ma deve essere sempre a disposizione
per rispondere a un’eventuale chiamata al lavoro.
Questa disponibilità anche nel tempo di non
lavoro rappresenta una forma di lavoro gratuito
che si sta affermando con l’aumento dell’incidenza
dei tempi parziali. Teoricamente liberi di
beneficiare del proprio tempo fuori dell’orario di
lavoro contrattualizzato, ma di fatto legati a
una forma di disponibilità a tornare al lavoro che
come tale non viene remunerata. Una condizione
di massima flessibilità che impedisce di fruire
liberamente del proprio tempo libero o di cercarsi
un altro lavoro part-time per integrare il reddito
ricavato dal primo. La gratuità (intesa come
non pagamento di una prestazione) non rimanda
esclusivamente al lavoro domestico o al volontariato,
dunque. Nelle sue varie forme, essa è
contraddistinta dalla disponibilità a dedicare
sempre più tempo di vita alle attività produttive,
rendendosi disponibili nel tempo libero per le
esigenze di un datore di lavoro o di un potenziale
committente, come nel caso della signora Maria,
lavorando di più a parità di remunerazione, svolgendo
attività online dalle quali le grandi imprese
traggono profitto. La gratuità è sempre più
contraddistinta anche dagli stage svolti nella
speranza di poter far valere l’esperienza acquisita
sul mercato del lavoro. A questo proposito,
è utile richiamare un dato della statistica ufficiale:
in Svizzera, tra i salariati nella fascia d’età
dai 15 ai 24 anni (apprendisti esclusi), un quarto
dei contratti di lavoro sono a tempo determinato
e di questi il 41% sono rappresentati da stage.
Queste trasformazioni del lavoro non possono
che condizionare il funzionamento dello Stato
sociale e costringere ad affrontare il modo in cui
esso è concepito. La sfida consiste nel garantire
nuovi diritti sociali alle forme di lavoro flessibile,
intermittente, contingente che accompagnano
la rivoluzione industriale 4.0 in divenire.
Quando il tempo
parziale diventa totale
Spartaco Greppi, PhD in scienze economiche
e sociali all’Università di Friburgo,
è professore di sicurezza sociale presso
la Scuola universitaria professionale
della Svizzera italiana dove è anche responsabile
dell’unità di ricerca in lavoro
sociale. Come ricercatore ha partecipato
a diverse ricerche sul funzionamento
del mercato del lavoro, sulla politica familiare
e sullo Stato sociale. Attualmente
sta lavorando a uno studio esplorativo
finanziato da Innosuisse (Agenzia
svizzera per la promozione dell’innovazione)
in collaborazione con USS Ticino
e Moesa intitolato «Riconoscere il “free
work”: dalla tassonomia all’analisi dei
bisogni sociali».
7
Ecco come funziona davvero l’economia nell’era digitale
I media gratuiti distruggono la stampa. Un’agonia senza fine?
I trucchi e le leve dei grandi gruppi di Internet
Dossier 9
Se è gratis
la merce
sei tu
10 Dossier
Ecco come funziona davvero l’economia
nell’era digitale
Noi adoriamo internet e i social media come
Facebook, perché (quasi sempre) sono gratis.
Ma dietro tutto questo si nasconde la violenta
trasformazione della società da parte delle
multinazionali californiane.
Testo: Oliver Fahrni
Foto: Alexander Egger
Che strano. Faccio una videochiamata con il figlio di un’amica
a Tokyo e non pago nulla. Ricerco, su diversi archivi,
2.867.894 testi, immagini e filmati sulla situazione politica
negli USA. Mi vengono forniti in pochi secondi, ma nessuno
mi chiede dei soldi. Il concerto di pianoforte di Khatia
Buniatishvili a Tolosa è gratuito, proprio come la mia
playlist con musica underground su YouTube. Utilizzo –
totalmente gratis – gps, tecniche di codificazione, tecniche
satellitari e guardo la casa che forse voglio affittare in
Sicilia sul mio schermo. La visualizzo dall’alto e da tutti i
lati.
No, non è uno spot pubblicitario per Google, ma una
domanda: com’è possibile? Come può essere gratuito tutto
questo e molto altro? La produzione di queste informazioni,
della musica e della loro trasmissione, costa delle
somme immense. Google impiega 60mila persone, che
gestiscono 900mila server e consumano l’elettricità di un
intero Paese. Nel frattempo, internet è il terzo mangiatore
di corrente dopo la Cina e gli USA. E nonostante Google
non addebiti mai nulla alla mia carta di credito, il gruppo
cresce alla velocità della luce: l’anno scorso ha fatto 110
miliardi di dollari di fatturato (bilancio pubblico della
Svizzera: 70 miliardi) e 15 miliardi di utili. Google/Alphabet
si è ufficialmente posto l’obiettivo di «organizzare tutta
l’informazione del mondo». Con ciò, il gruppo presto
potrebbe essere quotato un «bilione» (ovvero, un milione
di milioni) di dollari in borsa. Contro un valore del genere,
le multinazionali della chimica o del petrolio spariscono.
Che succede al capitalismo?
Questo sistema economico e sociale, teoricamente, non
prevede cose gratuite. Tutto è merce, tutto viene venduto,
tutto ha un prezzo, incluse le emozioni e i sentimenti. Anche
la distruzione del pianeta è speculativa (pensiamo ai
certificati CO2) e addirittura il crollo del sistema è un valore
trattabile sotto forma di «prodotti strutturati». Ecco la
quintessenza dell’economia capitalista.
Da qui intuiamo che la gratuità è una truffa. Nel migliore
dei casi un’illusione ottica. I proprietari del gruppo
Google non darebbero mai informazioni o competenze
preziose senza un pagamento in cambio. Perché Facebook
dovrebbe spostare qua e in là miliardi di messaggi, immagini,
film, attualità senza farci il suo bel guadagno? In
effetti non lo fa; nel primo trimestre di quest’anno ha registrato
«soltanto» 5,5 miliardi di utili.
Ricchissima grazie a ingenti perdite
E cosa dovremmo pensare del servizio gratuito di brevi notizie
Twitter? Il gruppo, attraverso cui il presidente americano
Donald Trump con i suoi 13 milioni di follower fa la
sua politica mondiale, probabilmente non guadagnerà
mai un centesimo. In teoria è costantemente in rosso,
straindebitato e in bancarotta. Tuttavia, i suoi azionisti
con queste immense perdite sono diventati ricchissimi:
attualmente il gruppo Twitter in borsa vale 33 miliardi di
dollari.
Assurdo? No, ma una nuova logica: evidentemente
questa economia costruita su internet segue regole diverse
rispetto a quella vecchia tradizionale tripartita: prodotto,
prezzo, profitto. Come sindacalisti, siamo in grado di
capirlo.
Facebook: 2,2 miliardi di collaboratori
Da tempo, nella Silicon Valley gira un detto: se qualcosa è
gratis, sei tu la merce. Questo è un primo aspetto.
Come già scrisse il ricercatore canadese Dallas Smythe
nel secolo scorso: «I media fanno affari con la merce del
pubblico». Ancora di più i social media. I dati che noi (di
continuo, taluni in modo compulsivo) riveliamo a Facebook
sono la materia prima di quest’economia. Gli algoritmi
i loro mezzi produttivi. E l’informazione la loro merce.
Dunque la storia del gratis non regge. Intanto paghiamo
fornendo a questi gruppi la loro materia prima. Tra
l’altro non la devono estrarre dalla miniera come i metalli.
A loro basta attaccarci in rete. In gergo tecnico, questo infatti
si chiama, non a caso, «data-mining».
Degli algoritmi smistano queste montagne di dati in
modo da rendere economicamente sfruttabili le nostre
abitudini e preferenze, il nostro reddito, il nostro consumo
e la nostra affidabilità creditizia, ma anche le nostre
malattie e patologie segrete. Google poi vende spazi pubblicitari
su centinaia di migliaia di pagine internet. E non
solo. Questo oro, che sono i dati, viene anche commerciato
a tariffe molto care. A livello globale. Per questo Facebook
nel 2014 ha pagato 20 miliardi di dollari per acquisire
il servizio di messaggeria WhatsApp, molto amato
soprattutto tra i giovani.
Alcuni pensano che tutto questo sia innocuo. «È solo
pubblicità mirata», afferma un collega. Che però è legger-
I servizi
gratuiti
li paghiamo
con i nostri
dati e tanto
volontariato
mente irritato dal fatto che Amazon sappia prima di noi
cosa compreremo tra alcune ore o tra un paio di giorni.
Ancora c’è nell’aria il vecchio capitalismo delle merci.
Perché i soldi per la pubblicità provengono dalla produzione
classica, dunque dal plusvalore che gli azionisti si
ritagliano dal lavoro dei loro dipendenti.
Ma gli strateghi dei colossi californiani mondiali GAFA
(Google, Amazon, Facebook, Apple) & Co. mirano molto
più in alto. Loro sono interessati a un pilotaggio del comportamento
individuale. Nel consumo ma anche oltre. E
sono sulla buona strada, come ha mostrato lo scandalo attorno
a Facebook, Cambridge Analytica e l’elezione di
Trump. Il fatto che i dati Facebook elaborati siano finiti in
mano agli «opinion makers» non è stato un intoppo, bensì
un modello commerciale. Proprio di recente in diverse
battaglie elettorali (per ultimo in Irlanda) sulle normale
pagine di internet apparivano brevemente (e con una corrispondenza
esatta per la categoria interessata) finestre di
propaganda, le cosiddette «dark ads». Dunque è davvero
ingenuo chi regala generosamente i propri dati a dei gruppi
che se li accaparrano con la promessa della «gratuità».
Ma noi facciamo molto di più. Paghiamo i servizi apparentemente
gratuiti, lavorando intensamente per i GAFA
& Co. tutti i giorni, senza stipendio, e spesso senza saperlo.
Così, per esempio, creiamo i contenuti di Facebook.
Non importa quanto siano rilevanti. L’importante è che
forniamo la «materia» che serve agli offerenti. Siamo noi a
produrne il valore. In cicli infiniti di feedback alleniamo
gli algoritmi degli operatori e la loro intelligenza artificiale.
Impariamo i bots linguistici dei call center. Chi ordina
presso i fornitori online, esegue già anche la contabilità,
gestisce la merce, il design e le mansioni di marketing. E
diverse cose ancora. Insomma, siamo noi che teniamo accesa
la macchina.
Siamo il prolungamento del braccio delle multinazionali
Condividere sarebbe
una bella cosa. Ma la
Sharing Economy
è l’esatto contrario
In questo, come scrive l’analista tedesco Timo Daum nel
suo libro «Das Kapital sind wir», veniamo assoldati dai
produttori di software come «prolungamento del braccio».
Si evidenzia già, a grandi linee, la nuova logica dell’economia
digitale.
A chi sta a cuore il proprio tempo noterà che questo lavoro
volontario mangia sempre più tempo di vita. Ciò nonostante,
molti forniscono di propria spontaneità questi
«clickworking» perché i GAFA sono riusciti a mascherare i
social media con un pizzico di nuove forme di vita e libertà
californiana in stile surfer. «Colleziona momenti, non
cose» è uno dei loro slogan pubblicitari per i «millenials»
di questa terra. Possedere sembra passato di moda, condividere
invece è trendy. L’importante è farlo in rete. «Sharing
is caring», un altro motto dei reparti di marketing.
Giusto. E allora perché non dovremmo viaggiare con il
car-sharing? O mettere a disposizione la nostra casa mentre
andiamo in vacanza? Oppure aiutare il vicino quando
il lavandino perde? Così si sfruttano meglio le risorse e si
nega la logica della valorizzazione dove tutto ha un prezzo.
Perfetto!
Peccato che la realtà sia tutta un’altra. Le piattaforme
di pubblica utilità vengono messe sotto pressione. Airbnb,
EBay e altri nuovi colossi invece accumulano miliardi
con la nostra disponibilità a condividere. Hanno commercializzato
e capitalizzato la pubblica utilità. Sono stati proprio
i giudici californiani a regolare severamente il servizio
di trasporto di Uber. Non solo hanno riconosciuto la
perversione della bella idea del car-sharing, ma hanno anche
sollevato la domanda su quanto sia legittima l’uberizzazione
come modello economico.
12
Dossier
Perché dietro al principio di essere trasportati a pochi
soldi e di aver mediato la prestazione gratuitamente attraverso
una piattaforma (che cool!) si cela una rottura sociale:
questo lavoro, cioè questo valore, adesso lo creano degli
occupati precari senza garanzie sociali. Lavorano a
chiamata, con ore di lavoro illimitate, e non sono assicurati.
E devono svolgere vari lavori per assicurarsi un reddito
con cui sopravvivere. Infatti spesso lavorano anche
come corrieri, idraulici e prestatori di vari servizi.
Questo è il modello essenziale della nuova economia
che si nasconde dietro a «playlabour», «micro-imprenditori»,
impostazione libera del tempo e altre chiacchiere da
lifestyle. Non c’è quasi ambito che non venga uberizzato.
Sempre più spesso le multinazionali rubano idee su prodotti,
ricambi per veicoli, software, piani di costruzione,
design, e così via, da qualche parte mettendo all’asta la richiesta
su queste piattaforme mondiali. L’importante è
che la prestazione costi poco.
Il mondo come terreno di gioco delle multinazionali
Questa trasformazione radicale non è pilotata dalla tecnologia
ma segue precisi interessi economici: essa porta agli
estremi la ripartizione del lavoro. Abbassa il prezzo del lavoro
(ma solo il lavoro crea il valore) e sconfina gli orari di
lavoro. Diminuisce i costi produttivi delocalizzando il lavoro
verso l’«home office». Distrugge le garanzie sociali,
dunque crea ancora più lavoro presunto «volontario» gratuito
e conveniente. E accelera l’accentramento del capitale.
Uber respinge nell’angolo più remoto del mondo l’industria
dei taxi e ora attacca globalmente l’affitto delle
macchine, il trasporto e la logistica. Nel frattempo Amazon
offre (quasi) tutto ciò che è acquistabile e così facendo
sta distruggendo tutto il commercio al dettaglio. Facebook,
Google e pochi altri controllano e commercializzano
In realtà, né Facebook
né Google sono gratis.
Solo il nostro lavoro
deve essere gratuito
o costare
il meno possibile
parti sempre più grandi della produzione di notizie, sapere
e cultura dell’umanità. Le multinazionali stanno prendendo
il potere. Dai social media trasformano sempre più
spazi e servizi pubblici in terreni da gioco commerciali in
mano a privati.
I manager GAFA (come per esempio, il fondatore di
Facebook Mark Zuckerberg) non ne fanno un mistero nelle
loro interviste. Si vedono come prosecutori della rivoluzione
neoliberale degli Anni Ottanta. Soltanto, più agguerriti
e radicali.
Quello che ci offrono non è però gratuito. Gratis, o
meno caro possibile, deve essere il nostro lavoro.
Per saperne di più sul libro di Timo Daum «Das Kapital sind wir» (in
tedesco): edition-nautilus.de
Dossier
I media gratuiti distruggono la
stampa. Un’agonia senza fine?
13
L’ultima copia cartacea del quotidiano romando
Le Matin uscirà il prossimo 22 luglio.
Si tratta dell’ultima vittima di una lunga serie.
In vent’anni in Svizzera la tiratura dei giornali a
pagamento è diminuita di 1,15 milioni di copie.
Testo: syndicom
Foto: Alexander Egger
La situazione attuale in gran parte è da attribuire alla scelta
degli editori di lanciare e mantenere dei quotidiani gratuiti,
tra cui 20 Minuti, che con oltre 2,7 milioni di lettori
in tedesco, francese e italiano è il giornale più letto in
Svizzera. Oltre un milione di lettori lo leggono online. A
questi si aggiungono, in Svizzera tedesca, i circa 534mila
lettori del Blick am Abend, che inoltre conta anche 119mila
lettori sul web. Risultato: la generazione attuale non vede
più un interesse a pagare oltre 500 franchi l’anno per un
quotidiano quando l’informazione viene offerta gratuitamente
(e poco importa se si tratta di pagine con foto di
poca sostanza scattate dai lettori). Il gratuito «è una banalità
assoluta. La futilità eretta a sistema», commenta il celebre
creatore di giornali romandi Jacques Pilet sul sito
informativo Bon pour la tête. «Zero ricerche, niente idee,
nessuna emozione forte, nessuna critica e nessun consiglio.
Una massa di notizie d’agenzia e di gossip, un’accozzaglia
di diversi minuscoli fatti sterili. Nota bene: tre quarti
delle informazioni su personaggi famosi sono
nordamericane, fornite precotte dalle agenzie», ecco le
sue parole di condanna.
Solo il 12% paga la stampa online
Ma il lettore ci ha fatto l’abitudine. Tant’è che la Svizzera
si caratterizza per il basso tasso di persone paganti per accedere
alle notizie online: solo il 12% lo fa, che è una percentuale
bassa rispetto a quella di molti altri dei 36 paesi
che hanno partecipato al Reuters Institute Digital News
Report 2018, rileva Linards Udris del Forschungsinstitut
Öffentlichkeit und Gesellschaft (fög) dell’Università di Zurigo,
uno degli autori del rapporto sul nostro paese. «La
Svizzera si distingue mettendo i giornali gratuiti al primo
posto dell’audience della stampa (print e online), quando
invece parecchi sono già spariti nel resto del mondo. Oltre
il 50% degli intervistati consulta ogni settimana le edizioni
di 20 Minuti», constata il ricercatore.
La stampa pagante non può concorrere con una tale
audience. Le Matin contava 218mila lettori, ma a sentire
Tamedia l’anno scorso ha registrato un risultato negativo
di 6,3 milioni di franchi, una perdita di quasi 34 milioni in
dieci anni. Sparito a inizio 2017, l’Hebdo ha anch’esso accumulato
perdite da 15 anni, secondo il suo editore Ringier
Axel Springer Suisse, comportando il taglio di 37 impieghi
in una ristrutturazione che ha toccato anche la
redazione di Le Temps. Ma sono sofferenti anche i giornali
di qualità, come la NZZ che ha perso quasi 30mila lettori
su carta in un anno, guadagnandone poco più della
metà (16mila) online.
Tuttavia non è soltanto colpa dei lettori. Gli editori
hanno indebolito la qualità dei giornali, diminuendo il
numero dei corrispondenti all’estero e dei redattori specializzati,
tagliando i budget redazionali a favore del marketing,
abbandonando il CCL per poter abbassare i salari,
accorpando e uniformando le redazioni e dunque gli argomenti
trattati.
La stampa gratuita leva alle testate anche la pubblicità,
che attualmente raggiunge solo 1,117 miliardi di franchi,
ovvero l’11,7% in meno che nel 2016. Allo stesso tempo la
pubblicità online esplode e le sue entrate raggiungono ormai
2,1 miliardi, registrando un aumento del 5,9%, senza
contare la pubblicità visualizzata sui motori di ricerca.
Si muove infine la COMCO
La concentrazione delle testate detenute da Tamedia e
Ringier, che rappresentano l’80% della tiratura in Svizzera,
e il fatto che il primo costituisse azionista di maggioranza
dell’Agenzia telegrafica svizzera (ats), hanno pesato
molto sulle attese di profitto nei confronti dell’agenzia da
Il modello
di finanziamento
deve comunque
prevedere un pubblico
disposto a pagare
14
Dossier
parte del suo azionista principale APA (dopo la fusione
con Keystone). Con 36 impieghi soppressi fino al 2019,
l’ats è un’altra vittima della crisi di questo inizio anno.
D’altronde meraviglia che questo accentramento, rafforzato
ancora dal dominio di Tamedia sulla Basler Zeitung,
come anche l’acquisizione, da parte di Christoph Blocher,
di cinque testate supplementari arrivando a 30 giornali
gratuiti in suo possesso, non abbia minimamente spinto
la Commissione della concorrenza (COMCO) ad agire.
Soltanto a inizio maggio ha dato la sua approvazione per
eseguire un esame approfondito di un’eventuale posizione
dominante nel caso dell’acquisizione di Goldbach (media
elettronici e spazi pubblicitari) da parte di Tamedia.
Calo di iscritti ai sindacati
Il numero dei giornalisti iscritti al sindacato e pronti a battersi
davanti alla sparizione di tanti posti di lavoro è, purtroppo,
anch’esso in diminuzione. «Questa evoluzione»,
constata Stephanie Vonarburg, responsabile del settore a
syndicom, «è dovuta alla diminuzione delle persone che
esercitano questo mestiere e al tasso di sindacalizzazione
che si è ridotto dal 70% a circa il 50% in vent’anni. Ma il
settore comincia a impegnarsi nelle lotte sindacali, come
ha dimostrato lo sciopero all’ats o i movimenti nelle redazioni
di Tamedia».
Meno giornali stampati causano anche un calo degli
impieghi nel settore della stampa, che in vent’anni (dal
1995 al 2015) secondo l’Ufficio federale di statistica ha
perso due terzi dei posti di lavoro (da 34.987 nel 1995 a
13.097 nel 2015). Il numero di tipografie in Svizzera, che
nel 1995 era ancora di 2.537, nel 2015 ammontava soltanto
a 1.060.
Dal 23 luglio prossimo dunque Le Matin diventerà il
primo quotidiano svizzero interamente digitale. Potrà offrire
un contenuto di qualità con una redazione di sole
15 persone, anche se collaborerà con Sport-Center et Newsexpress
di Tamedia e con la rete di 20 Minuti? «Generalmente
una redazione ridotta pone dei problemi nei media
stampati - riconosce Linards Udris - Inoltre, la redazione
di 20 Minutes è più piccola di quella di 20 Minuten, e fornisce
meno analisi sulle votazioni o testi originali. Dunque
la sua qualità è più bassa. È diverso per le radio e tv
regionali, dove Léman bleu, per esempio, nonostante sia
più piccolo, fornisce un lavoro migliore rispetto a Tele M1,
una catena privata di televisione che diffonde nella regione
dell’Argovia e di Soletta. Dipende tutto dalla strategia
editoriale ed, essendo Le Matin imperniato sulla stampa
popolare, esso potrà scambiare informazioni soltanto con
20 Minutes», questa la sua valutazione. Se Le Matin rinuncerà
al suo punto forte, le informazioni sportive esclusive,
prendendole dalle agenzie, allora si può già dubitare della
sua sopravvivenza.
Siti dei giornali meno cliccati
In Svizzera, la ricerca Annales Qualité des médias 2017 del
fög rileva che circa il 40% dei lettori da 18 a 24 anni s’informa
cercando un argomento sui motori di ricerca o attraverso
i social media. I siti dei giornali sono sempre meno
cercati direttamente. Gran parte degli introiti pubblicitari
va nelle tasche degli intermediari tecnologici mondiali,
indebolendo il finanziamento già precario dei media svizzeri.
Il progetto di legge
presentato
non risolve le difficoltà
della stampa scritta
Il finanziamento della stampa va reinventato. A Montréal,
La Presse, testata digitale, a maggio è diventato un
organismo a fini non lucrativi, che chiede l’aiuto del governo,
delle grandi aziende, delle fondazioni e dei privati.
In Svizzera, il Consiglio federale prevede di proteggere la
stampa nell’ambito della nuova legge sui media, versando
una parte del canone ai media online che soddisfano un
mandato di prestazione. Ma il progetto presentato, che
prevede che una parte del canone vada al video e online e
un’altra alle agenzie di stampa, non compensa certo le risorse
perse dalla stampa scritta. Qualunque sarà il modello
scelto, esso esigerà dei lettori pronti a pagare per ottenere
un contenuto originale, delle ricerche fatte sul
campo, un lavoro diverso da quello che forniscono le
agenzie e redazioni aggruppate in «pools». Diciamolo una
volta per tutte: gli articoli di qualità non potranno mai essere
gratuiti.
Reuters Institute Digital News Report 2018 (in inglese)
https://bit.ly/2t9aene
Fotoreportage
La foto di copertina è stata scattata a Derborence dal fotografo
bernese Alexander Egger. Quest’ultimo è anche l’autore
delle immagini di pagina 8 e 14 (a Berna) e della piccola foto
che figura nel sommario. Egger ha costruito il reportage a
partire dal tema «vita e morte di un giornale gratuito», un
modello di stampa assai diffuso, che solitamente si getta
una volta letto e che costituisce un tipo di rifiuti che costella
gli spazi pubblici.
Alexander Egger sta conducendo un’interessante ricerca
sul movimento, i riflessi e gli effetti del colore nella fotografia
naturalistica. Per saperne di più: www.alexanderegger.ch
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Il gratuito è caro
Fatturato 2017* in miliardi di dollari US
2,5 41
110
Fonte: dati delle aziende *Fatturato Twitter 2016
Il gratuito è speculativo
Perdite in miliardi di dollari US
–2,53
Twitter
(2016)
Valore di borsa
33 miliardi dollari
–3,44
Snapchat
(2017)
Valore di borsa
27 miliardi dollari
Valori di mercato a confronto in miliardi di dollari US
Google
Facebook
ExxonMobil
la multinazionale più cara
di petrolio
JP Morgan Chase
la banca più cara
340
314
528
739
Fonti: dati delle aziende, borse
Il gratuito è sporco
Il web nel 2017
ha consumato
l‘8 percento
dell’energia elettrica
mondiale.
1,5 x
L’industria internet oggi
emette 1,5 volte più gas
serra del traffico aereo
mondiale.
Se è gratis, sei tu la merce
Stato nel 2017 in dollari US
Ogni membro LinkedIn
vale 550 dollari
Ogni iscritto a Facebook
vale 280 dollari
550
280
Fonti: Planetoscope, Greenpeace France, Climatecare
Fonte: calcolo autonomo in base ai dati delle aziende
L’online sbanca tutto
Fatturati pubblicitari netti Svizzera 2013 e 2017
in milioni di franchi
Fatturato
pubblicitario
Stampa
TV
Radio
Online
749
774
157
151
1117
845
1615
2100
Fonte: Fondazione Statistica Svizzera della pubblicità
Tipografie
Dipendenti
– 31%
4157
+149%
Ecatombe d’impieghi nell’industria grafica
Numero dei posti di lavoro e delle tipografie in Svizzera
35000
30000
25000
20000
15000
10000
5000
0
Fonte: UST, censimento delle aziende
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
2010
2012
2014
6839
3500
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
I trucchi e le leve dell’economia digitale
Solo pochissime persone scorrazzerebbero su Facebook se
per farlo dovessero anche pagare. Già rivelano i loro dati e
creano – con i loro commenti, clip e foto – i contenuti di
Facebook.
La prima regola dell’economia digitale è: chi vuole affermarsi,
necessita di una massa. La leva per raggiungere
questa massa è gratuita. Nel caso di Facebook si tratta
oggi di 2,2 miliardi di utenti. Ma la regola vale per tutti i
gruppi Internet simili.
In questo dossier vi dimostriamo che Facebook & Co. sono
tutt’altro che gratis. Noi paghiamo con i nostri dati e contenuti
(ovvero a suon di clic). Non sappiamo che fine fanno.
Noi li inseriamo in una black box. La mancanza di trasparenza
è la seconda regola di ferro dei grandi gruppi
digitali. I loro logaritmi ordinano e controllano sempre di
più tutta la nostra vita tramite big data, ma non ci è dato
sapere come sono costruiti e cosa provocano. Chi vuole
domare gruppi giganteschi come Facebook o Google, prima
che prendano il dominio da soli, deve affrontare tre cose.
I logaritmi devono essere resi trasparenti. La proprietà dei
dati deve essere attribuita dai gruppi agli utenti. E i metadati
anonimizzati devono essere a disposizione della comunità.
La terza regola base dell’economia digitale, dopo
la massa e la mancanza di trasparenza, è rimozione e distruzione.
I gruppi Internet creano sì nuovo valore, ma in
sostanza ridistribuiscono il valore esistente a loro favore:
a tal fine abbattono strutture economiche e sociali acquisite.
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Dalle
professioni
L’unione fa la forza
Senza alcuna pietà, Tamedia forza
l’accentramento mediatico. Altrettanto
impietoso è il trattamento riservato
ai dipendenti. Non facciamoci imbrogliare
dalla retorica delle loro Public
Relations. Ecco l’ultimo tragico capitolo
di questa triste sceneggiatura:
siccome sono pochi i dipendenti che
si licenziano spontaneamente, adesso
vengono «invitati» a farlo dietro offerte
di indennità di buonuscita, per aggirare
giuridicamente il licenziamento in
massa. Il nuovo motto sembra essere:
guai ad avere un piano sociale. Questo
modo di fare è davvero al limite. Ma i
limiti non sono un problema per Tamedia.
Infatti vengono superati dalla
sua strategia di accentramento dei
media. Perdita d’impieghi, qualità
giornalistica in declino e un brodo
mediatico uniforme per tutto il Paese:
tutte cose che è disposta ad accettare.
Dal punto di vista sindacale esiste una
sola risposta: anche la resistenza deve
oltrepassare i limiti. Tutte le redazioni
Tamedia stanno combattendo la stessa
guerra per difendere redazioni forti,
media di qualità e di sostanza, buone
condizioni di lavoro. Contro il principio
del «divide et impera» funziona
solo la solidarietà redazionale trasversale.
(Christian Capacoel)
La solidarietà redazionale in campo: un momento delle proteste a Losanna nel 2014. (© Yves Sancey)
https://bit.ly/2I18yRn
Verso un servizio
pubblico digitale
Lo scorso 25 maggio è entrata in vigore
la nuova regolamentazione UE sulla
protezione dei dati (GDPR). I dati potranno
essere utilizzati soltanto con
l’approvazione dei diretti interessati,
come prevede la Carta dei diritti
fondamentali UE. Come conseguenza
dell’effetto extraterritoriale del GDPR,
potrebbero esserne colpite anche
ditte e autorità in Svizzera. In futuro
le aziende dovranno essere più responsabili
nella gestione di informazioni
personali. Per esempio dovranno
garantire di rispettare i principi
del GDPR nel trattamento dati di
dipendenti o clienti. Questo riguarda
soprattutto la legittimità e la limitazione
delle finalità, ma anche la minimizzazione
dei dati. Se non lo faranno,
rischieranno una multa fino a 20 milioni
di Euro. Lo scandalo Facebook,
dove i dati di oltre 100 milioni di persone
sono stati manipolati per le elezioni
americane e inglesi, è stato uno
choc per l’opinione pubblica. Impedire
l’abuso dei dati è un requisito fondamentale
affinché la trasformazione
digitale apporti benessere alla società
intera. E questo è un elemento che va
considerato anche quando si va a sviluppare
il servizio pubblico digitale.
Giorgio Pardini è responsabile del settore ITC
«La Curia ha di fatto impedito l’avvio di ogni piano sociale.
Ciò da parte di un datore di lavoro che dovrebbe essere etico»
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Cronaca di una morte annunciata
Chiude il Giornale del Popolo, quotidiano cattolico della Svizzera
italiana. Colpa del calo pubblicitario, in un settore sì in crisi ma
anche senza regole. A farne le spese, una trentina di dipendenti,
in una vicenda che nasconde parecchie zone d’ombra.
Defunto il Giornale del Popolo. Il
5 giugno la Pretura di Lugano ha ufficializzato
il fallimento della Nuova
Società Giornale del Popolo S.A., di
proprietà della Curia luganese. Dopo
92 anni si chiude così la storia dell’ultimo
quotidiano cattolico a livello elvetico.
La crisi della carta stampata e
dell’informazione in generale non è
certo una novità (basti guardare cosa
sta accadendo nella Svizzera romanda).
Il crollo del mercato pubblicitario,
la diminuzione degli abbonati e
l’avidità degli editori hanno portato
alla scomparsa di diverse testate. In
Ticino poi le dimensioni del mercato
(360mila abitanti) non giustificano la
presenza di tre quotidiani. Se quella
del GdP sembrava una morte annunciata,
nella vicenda ci sono ancora diverse
zone d’ombra. Eccole.
Tempi
L’annuncio della chiusura è stato dato
con un comunicato della Curia il
17 maggio. «A seguito delle vicissitudini
dell’agenzia di raccolta pubblicitaria
Publicitas AG, la situazione venutasi
a creare per il Giornale del Popolo,
sostenuto per una parte determinante
dai proventi pubblicitari raccolti dalla
medesima e ora venuti a mancare, ha
posto l’editore di fronte alla necessità
del deposito dei bilanci presso la
Pretura di Lugano avvenuto in data
odierna. Tale provvedimento provocherà
la cessazione della pubblicazione
del quotidiano a partire dal sabato
19 maggio 2018». Un fulmine sì, perché
la decisione è stata davvero fulminea:
ci si attendeva, piuttosto (calcolando
anche che il budget dei primi
mesi del 2018 avrebbe dovuto essere
garantito dai settemila abbonamenti)
l’annuncio di una ristrutturazione entro
la fine dell’anno. Ciò avrebbe dato
la possibilità di trovare soluzioni per il
futuro (formato tabloid, periodicità
settimanale, ricerca investitori) e per
il personale (piano sociale). Ma il cielo
non era affatto sereno.
Modi
Da anni il giornale della Curia era in
perdita. La fine della collaborazione
con il Corriere del Ticino aveva posto
parecchie domande. Già a luglio 2017
syndicom aveva espresso le sue perplessità
e chiesto un progetto editoriale
a lungo termine per la salvaguardia
del personale. Il fallimento di Publicitas
non è stato soltanto la goccia che
ha fatto traboccare il vaso (di debiti),
ma una «scusa» per ridurre le responsabilità
della Curia nei confronti dei
lavoratori. «In questo difficile momento
– continuava il comunicato - il Vescovo
desidera manifestare a tutte le
collaboratrici e i collaboratori, chiamati
ad affrontare una situazione di
grande fatica, la sua profonda gratitudine
per l’impegno generoso e perseverante
profuso in tanti anni. Sono
allo studio modalità per rendere possibilmente
meno gravose le conseguenze
di questa forzata chiusura».
Tuttavia, con il deposito dei bilanci
presso la Pretura la Curia ha di fatto
impedito l’avvio di qualsiasi piano
sociale. E questo da parte di un datore
di lavoro che dovrebbe essere, per
sua natura, responsabile, etico, sociale,
appunto.
Regole
Certo che se pure la Chiesa opera al
pari di una holding, dichiarando il fallimento
di una sua società e accollando
gli oneri allo Stato, allora quest’ultimo
dovrebbe correre ai ripari. Non si
possono far ricadere le scelte manageriali
(che «in nome della crisi» tagliano
il personale) sulla collettività. Ci vorrebbero
leggi che accollino alle aziende
le loro responsabilità. Nel caso del
Giornale del Popolo, è stato aperto un
fondo di solidarietà per la trentina di
dipendenti, in disoccupazione dal 1°
giugno. I calcoli per la ripartizione di
questo fondo hanno rivelato situazioni
contrattuali poco chiare (disparità
di trattamento, cinque pensionati a
busta paga con stipendi da fame, salari
ben sotto il minimo del vecchio CCL
del 2004) che impongono più che mai
la richiesta di un contratto collettivo,
che nel settore manca da 14 anni. Forse
un CCL per la stampa non avrebbe
salvato il Giornale del Popolo, ma una
regolamentazione avrebbe limitato le
disparità e sicuramente migliorato il
dialogo fra editore e direzione. E
avrebbe pure generato una cultura sindacale
interna.
Futuro
Nel ridotto mercato ticinese, è già iniziata
la battaglia per accaparrarsi i settemila
abbonati del quotidiano. syndicom
ha chiesto all’Ufficio esecuzione
e fallimenti che la banca dati degli abbonati
venga valutata e considerata
nella massa fallimentare. Intanto, due
ex redattori-pensionati del GdP hanno
annunciato la nascita di un giornale
online. Al 20 giugno, una tipografia ha
confermato la sua disponibilità a
stampare un settimanale cattolico. La
Curia, invece, vuol riflettere sulle modalità
con cui far sentire la propria
voce. Anche senza una rivista cartacea.
(Giovanni Valerio)
La redazione del Giornale del Popolo così come appare sull’ultimo numero online. (© Ruben Rossello)
www.gdp.ch
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Dalle
professioni
«Si dovrebbe misurare la prosperità svizzera senza
dimenticare l’importante contributo delle donne» Margrit Zinggeler
Servizi gratuiti,
una scusa per
esternalizzare
I servizi gratuiti sono la porta di entrata
per i servizi a pagamento «prime».
Dopo aver creato la domanda e una
certa assuefazione per il gratuito, si
possono/devono aggiungere servizi a
pagamento per aumentare i margini
di guadagno. Così, la struttura logistica
è sempre più sotto pressione. Come
sindacato, ci interessiamo da tempo
sulle conseguenze del gratuito sulle
condizioni lavorative. Nella logistica
delle spedizioni gratuite (modello Zalando)
la «return logistics» strutturale
(milioni di pacchetti nella sola Svizzera)
è un fenomeno in crescita che deve
essere tenuto sott’occhio perché richiede
parecchio lavoro manuale, con
costi molto alti. La «return logistics» di
massa cresce, dunque deve essere codificata.
Come in ogni settore, anche
nella logistica la pressione sui margini
di guadagno, creata dai servizi gratuiti,
è il motore di fenomeni ben noti:
esternalizzazione di servizi, subappalto
e appalto del subappalto. Non a
caso, i prodotti meno redditizi sono
spesso affidati a terzi e quindi la catena
logistica si frammenta sempre di
più. L’esigenza di contratti collettivi di
settore resta dunque una priorità per i
servizi logistici, confrontati a una crescita
del numero di attori in un mercato
sempre più competitivo. Attraverso
il contratto collettivo dei corrieri, syndicom
cerca di dare un segnale forte al
settore: sì, insieme si può!
Matteo Antonini è membro del Comitato direttivo
e responsabile del Settore Logistica
Swiss Maid: la storia non scritta
del miracolo economico elvetico
Senza il lavoro delle donne e il loro impegno per la collettività, il
successo economico della Svizzera non sarebbe stato possibile.
«Swiss Made» o «Swiss Maid»? La pronuncia
è uguale ed è facile non notare
l’errore nel leggere la parola. Maid in
inglese significa serva o anche giovane
donna. Questo gioco di parole ha ispirato
il titolo dell’ultimo libro di
Margrit Zinggeler, docente di Tedesco
presso la Eastern Michigan University,
nel quale illustra come il miracolo
economico svizzero non sarebbe mai
stato possibile senza il lavoro delle
donne e il loro grande impegno a favore
della collettività.
Soltanto alcuni incorreggibili nostalgici
metterebbero seriamente in
dubbio che le donne abbiano dato un
contributo significativo al successo
economico della Svizzera. E allora
come mai Margrit Zinggeler ha sacrificato
il suo anno sabbatico per mettere
nero su bianco questa ovvietà su
300 pagine?
Non vogliamo una storia al maschile
La storiografia del successo economico
della Svizzera è unilaterale. «Mi ha
irritato vedere che qui è stata scritta
una storia dagli uomini per gli uomini,
che tratta soprattutto di battaglie,
guerre e alleanze», spiega la Zinggeler.
Questa ingiustizia l’ha spinta a rettificare
le cose.
Dopo dodici capitoli di analisi dettagliata
si nota che nonostante l’industrializzazione,
i movimenti del Sessantotto
e #metoo, in fondo è
cambiato davvero poco.
Le donne mandano avanti l’economia
ma gli uomini ci guadagnano
Fino a oggi le donne hanno accesso soprattutto
alle professioni del terziario,
socialmente poco valorizzate e retribuite
di conseguenza. Tuttavia, secondo
la Zinggeler, sono proprio queste
attività che rendono possibile il successo
economico. Ciò nonostante
sono poco analizzate in quanto per
misurare il benessere generalmente si
fa riferimento al prodotto interno lordo.
Per questo la Zinggeler chiede una
misurazione alternativa del benessere,
che faccia emergere il contributo
delle donne alla creazione del valore
aggiunto lordo. Un contributo che
spesso si perde nell’ambito informale
e non retribuito e che dunque non risulta
o emerge solo indirettamente
nelle statistiche ufficiali.
(Christian Capacoel)
Zinggeler, Margrit V. «Swiss Maid. The
Untold Story of Women’s Contributions
to Switzerland’s Success». Peter
Lang International Publisher, New
York, 2017
Il volume è stato pubblicato soltanto
in inglese, ma è prevista la traduzione
in tedesco.
Margrit Zinggeler fa notare che le donne svizzere hanno diritto di voto soltanto dal 1971. (© Capacoel)
https://www.margritzinggeler.com
«La digitalizzazione non deve diventare uno strumento
per sfruttare i lavoratori» David Roth
19
Relazioni pericolose con Uber
FFS e AutoPostale subito beccati
L’anno scorso, le Ferrovie federali svizzere e AutoPostale hanno
tentato di avviare una collaborazione col servizio taxi Uber.
Ma l’azione dei sindacati ha scongiurato questi accordi deleteri.
Già un anno fa, syndicom, Unia e SEV chiedevano la fine di questa collaborazione. (© Manu Friederich)
Nell’applicazione Internet per il trasporto
pubblico sarebbero stati proposti
servizi di Uber in alternativa o come
possibilità di collegamento integrative.
Allarmati dall’energico intervento
dei sindacati, questa collaborazione è
già stata interrotta.
La fine di questa collaborazione è
un chiaro segnale che la digitalizzazione
non può essere utilizzata come strumento
di sfruttamento. Poiché, nel
mondo del lavoro digitalizzato, lo
spezzettamento di grandi mandati in
molti piccoli lavori è più facile da coordinare.
E proprio le piattaforme
sfruttano tutto ciò per far venire meno
le condizioni di lavoro contrattuali e
trattare i lavoratori come imprenditori
autonomi.
Pagare perfino la carta igienica
Ciò ha spesso delle dure conseguenze,
come si evince da un recente esempio
proveniente dagli Stati Uniti. I conducenti
di camion dovevano pagare per il
rispettivo automezzo e la relativa manutenzione,
e persino per la carta igienica
presso le aree destinate alle pause.
La loro retribuzione non viene
calcolata sulla base delle ore di lavoro
eseguite, bensì dei quantitativi trasportati.
Con la conseguenza che, per
alcuni camionisti, anche dopo una
settimana di lavoro di 100 ore, i costi
erano maggiori dei loro guadagni.
Abbattimento dei salari
I costi totali per i dipendenti presso le
aziende tradizionali possono toccare
una cifra anche doppia rispetto al salario
corrisposto. Nel modello che si rifà
a Uber, occorre subentrare in prima
persona nei contributi per assicurazioni
sociali, amministrazione, locali
di lavoro, veicoli, ferie e spese di quelli
che sono solo autonomi di facciata. Di
conseguenza, anche i salari, e quindi
gli onorari per gli autonomi, dovrebbero
essere quasi doppi. Le aziende
che commissionano tali mandati non
hanno alcuna intenzione di adeguarsi
in questo senso.
Prime regolamentazioni cantonali
Inoltre le aziende, per la maggior parte
multinazionali, pensano bene di
sottrarsi alle leggi e alle imposte nazionali.
In questo senso va controcorrente
una regolamentazione per le società
che offrono servizi taxi a Ginevra.
Quest’ultime devono avere la sede legale
in Svizzera per poter ottenere una
licenza. Gli autisti di taxi di Losanna
chiedono ora proprio tutto questo.
Tuttavia, degli sforzi isolati a livello
cantonale non possono sostituire regolamentazioni
nazionali.
Intanto il Consiglio federale festeggia
L’anno scorso il Consiglio federale ha
festeggiato la giornata della digitalizzazione,
deliziandosi delle novità del
fantastico mondo digitale. Ma si è dimenticato
di fare i compiti a casa. Se la
Svizzera vuole sfruttare le opportunità
della digitalizzazione deve disporre
anche di leggi moderne. Altrimenti
sono già da mettere in conto il dumping
salariale e le successive azioni di
lotta sindacale. (David Roth)
ge.ch/legislation/rsg/f/rsg_h1_31.html
Niente è gratuito
Il modello dei media stampati sta tramontando.
Per lungo tempo i giornali
sono stati delle galline dalle uova d’oro:
finanziavano il giornalismo con gli
annunci e il denaro fluiva che era una
gioia. Invece oggi la pubblicità fa guadagnare
tanti soldi solo a Tamedia e
Ringier e ai giganti globali della tecnologia
(Google, Facebook, Amazon &
Co.). Noi tutti contribuiamo a questi
fantastici profitti quando consumiamo
i giornali gratuiti o riveliamo (quasi)
tutto di noi sui social media. Con i
nostri dati utente regaliamo informazioni
preziose su tutto ciò che c’interessa,
su quello che ordiniamo, leggiamo
e consumiamo. E in cambio cosa
riceviamo? Ancora più pubblicità e il
pilotaggio dei nostri interessi. Ma, si
sa, niente è gratuito. Un lavoro di qualità
costa. Per fare buone ricerche,
impostare e stampare bene servono
tempo, stipendi decenti e buone condizioni
di lavoro. Vogliamo essere informati
in modo esatto, ampio e onesto:
sapere è potere e quest’ultimo in
una democrazia va ripartito e controllato.
Ma funziona solo se i media continueranno
ad avere un valore per noi.
Ecco perché come sindacato ci battiamo
per trovare nuovi modelli per finanziare
una stampa indipendente di
qualità.
Stephanie Vonarburg è vicepresidente di syndicom
e responsabile settore Stampa e media elettronici
20
Dalle
professioni
«La direzione di Tamedia continua ad arricchirsi,
mentre i nostri salari sono fermi» Un lavoratore
Industria grafica,
il salario mediano
si abbassa ancora
Nonostante il numero degli apprendisti
rimanga tendenzialmente costante
attorno alle 2mila unità, i giovani non
accorrono di certo in massa nel nostro
settore. Oppure, come capita ai poligrafi,
concludono gli studi ma poi si
orientano altrove. Non per nulla la fascia
di personale «over 50» è fortemente
presente nel settore. Ecco quindi
che il NO di viscom del 2015 al modello
di pensionamento anticipato rimane
tutt’oggi incomprensibile. Constatiamo
inoltre che chi perde il lavoro,
sempre più frequentemente ne cerca
uno nuovo fuori settore. E non da ultimo,
l’Ufficio federale di statistica, che
ha pubblicato in maggio i salari mediani
dei vari settori, ci dice che quello
dell’industria grafica (senza funzione
di quadro) dal 2010 al 2016 non solo
non è aumentato ma è addirittura diminuito
del 5,1%.
La delegazione di syndicom e Syna
andrà perciò al tavolo delle trattative
con il compito sì di impedire un peggioramento
dell’attuale CCL ma pure
con l’obiettivo di rendere le condizioni
di lavoro attrattive, dal punto di vista
economico e non solo. I negoziati
entreranno nel vivo il prossimo 20 settembre.
(Angelo Zanetti)
https://bit.ly/2J2mgc7
Senza contratto, sono guai
I collaboratori dei tre centri stampa di Tamedia intraprendono
nuove forme di lotta per rientrare nel contratto collettivo.
Ore 23.00: i collaboratori del turno di
notte dei centri stampa di Tamedia
prendono posto ai macchinari. Un collega
del gruppo d’azione si alza e consegna
a tutti un cappellino rosso e alcuni
adesivi. «Senza il CCL sono guai»,
vi si legge. Le colleghe e i colleghi si infilano
i cappellini. Più del 90% del personale
dei centri di stampa e della prestampa
di Berna e Zurigo lavora nelle
32 ore successive indossando il cappellino
rosso. A Bussigny, l’azione si è
svolta dal 30 al 31 maggio. Insieme, i
lavoratori di Tamedia lanciano un segnale
forte. Sono preoccupati. Vogliono
rientrare nel CCL.
Condizioni di lavoro, sempre peggio
Diamo uno sguardo al passato: alla
fine del 2015 Tamedia è uscita dall’associazione
padronale viscom e pertanto
dal CCL dell’industria grafica. La direzione
aziendale tenta da allora di
nascondere la vera ragione: il graduale
peggioramento delle condizioni di lavoro.
Per prima cosa, nei tre centri di
stampa di Bussigny, Berna e Zurigo l’orario
di lavoro è stato aumentato di 2 e
1.25 ore e l’indennità per i pasti è stata
parzialmente soppressa. Per i collaboratori
della tipografia con turno notturno,
significa che nel turno di mattina
devono iniziare a lavorare prima
anche di sabato togliendo loro quasi
totalmente il già scarso tempo libero
con la famiglia e gli amici. «Il sabato
mattina torno a casa dal turno del mattino
e mi serve del tempo riprendermi»,
dice un lavoratore. Pertanto ai turnisti
non resta che la domenica per
fare qualcosa in famiglia. Il problema
cruciale è che la riduzione dei fine settimana
è stata introdotta senza prevedere
alcuna retribuzione. Facendo una
stima, per un salario basso si tratterebbe
di ben 2700 franchi che ogni lavoratrice
e ogni lavoratore regala ogni anno
a Tamedia. «Le alte sfere di Tamedia si
arricchiscono sempre più a fronte dei
nostri salari che invece ristagnano», afferma
un tipografo di Berna. Anche le
indennità di turno sono da tempo una
spina nel fianco per la direzione di Tamedia.
Oppure come scrive Andreas
Schaffner, responsabile delle prestazioni
contrattuali, in una lettera indirizzata
ai presidenti delle commissioni
aziendali: «Abbiamo bisogno di un
margine di manovra per poter affrontare
le sfide della categoria».
Un cappellino rosso
indossato sul posto di
lavoro per affermare la
necessità del contratto
collettivo nell’industria
grafica. (© DR)
La nuova associazione «print and
communications» creata da viscom
consente ai datori di lavoro di seguire
l’esempio di Tamedia. Con
conseguenze devastanti per il personale.
Lo stesso avviene anche
presso la tipografia di banconote
Orell Füssli, dove il personale si oppone
anch’esso all’uscita dal CCL.
Qui la lotta ha già assunto la forma
di una pausa di protesta. Finora la
direzione resta però ferma sulla sua
posizione, ma il personale è pronto
a lottare. Stämpfli percorre un’altra
strada. Hanno scoperto la tattica di
viscom e si dichiarano chiaramente
a favore del partenariato sociale. Il
19 maggio si è tenuto un primo colloquio
per un CCL aziendale tra
syndicom e Stämpfli.
Una petizione per tornare al CCL
Per respingere gli attacchi alle condizioni
di lavoro, ad aprile i collaboratori
dei tre centri di stampa hanno rivendicato
con una petizione il rientro di
Tamedia in viscom e pertanto il riconoscimento
del CCL dell’industria
grafica. La rappresentanza del personale
è riuscita a raccogliere nel giro di
poche settimane ben 280 firme. I collaboratori
dei centri di stampa prestano
un lavoro serio e di alta qualità ed
esigono per contro solo la garanzia
delle condizioni di lavoro esistenti.
Ma la direzione non ne vuole sapere.
32 ore dopo: sono le 5.30 di mattina,
l’ultimo turno indossa ancora il cappellino
rosso. «Dimostriamo che restiamo
uniti e che questa richiesta ha
il sostegno di tutti noi», dice un collaboratore
della tipografia di Zurigo. «E
questo è solo l’inizio!».
(Miriam Berger)
syndicom.ch/it/divisioni/industriagrafica-e-stampa-di-imballaggi/ccl2019/
«La Posta ha un futuro se riceverà il chiaro mandato di
tornare a un ampio servizio pubblico per tutto il Paese» David Roth
21
La cura dei familiari
ci riguarda tutti
Lavoro assistenziale: la maggior parte
di noi vi associa le professioni sanitarie.
A fronte di una inadeguata retribuzione
e pessime condizioni di lavoro,
sono spesso donne provenienti
dall’Europa dell’est o dall’Asia a occuparsi
dei nostri congiunti in Svizzera.
VPOD/SSP e Unia si schierano al fianco
di queste donne.
La maggior parte delle persone è
invece meno consapevole del lavoro
assistenziale non retribuito. Ad esempio,
quando ci prendiamo cura dei
nostri genitori e del nostro partner a
casa. Sono le donne a prestare la maggior
parte di questo lavoro non retribuito.
Affinché con questo gravoso
compito non raggiungano i propri limiti
di resistenza, affinché possano
individuare eventuali segnali d’allarme
e confrontarsi con altre persone,
syndicom offre il corso «Lavorare e
prendersi cura dei propri familiari:
com’è possibile?». Spesso queste donne
ultracinquantenni hanno un’attività
lavorativa e si trovano di fronte a un
nuovo o supplementare conflitto di
conciliabilità. Saranno quindi illustrate
anche le normative in materia di
diritto del lavoro – anche il CCL Posta
e Swisscom – e saranno presentate diverse
offerte di aiuto. Questo corso si
terrà il 1° settembre a Zurigo in collaborazione
con VPOD/SSP e avrà luogo
inizialmente solo in tedesco.
Patrizia Mordini è responsabile per le pari
opportunità e membro del Comitato direttivo
La corsa ai profitti ha portato la
Posta sul baratro: serve uno stop
La caduta di Susanne Ruoff è soltanto il sintomo di un declino
annunciato, se la Posta non ritornerà al servizio pubblico.
Lo scandalo di AutoPostale è stato fatale
per Susanne Ruoff. Con lei è caduta
l’intera direzione di AutoPostale ed
è molto probabile che cadranno ancora
altre teste. Ha dovuto dimettersi anche
il capo della banca cantonale argoviese
Pascal Konradi, ex capo delle
finanze del gruppo Posta. Adesso il
CEO ad interim è Ueli Hurni, la cui carriera
è iniziata a PostFinance. Lo scandalo
è iniziato con le truffe attuate per
soddisfare le eccessive pretese di profitto
di AutoPostale. Ma la corsa agli
utili a sua volta è dipesa dalle attese di
profitto che il Consiglio federale e il
Parlamento hanno nei confronti di
tutto il gruppo Posta. La gestione
Ruoff ha rispecchiato questo mix insostenibile:
da una parte ancora un po’
di servizio pubblico, dall’altra un management
brutale per ottenere il massimo
profitto. Questo conduce a un
continuo peggioramento delle condizioni
di lavoro e mette a rischio il servizio
universale. È in contrasto con la
politica economica che non vuole rafforzare
solo i centri urbani. I risultati
di questa gestione sono licenziamenti,
chiusure degli uffici postali, delocalizzazioni,
elusione del CCL, tagli al
servizio di recapito e molto altro. Tutto
questo a spese dell’intera popolazione.
Gli indennizzi astronomici che
la Ruoff ha percepito per anni attutiscono
la sua caduta. La Posta invece è
sul baratro. Continua a smantellare
servizi, addirittura presso la prima
della classe, PostFinance. Sono mille
le persone che stanno temendo per il
proprio impiego. Nell’ambito del progetto
di smantellamento «Victoria
2020» la direzione vuole cancellare
500 impieghi a tempo pieno, soprattutto
nella consulenza dei clienti commerciali.
È previsto che in futuro sarà
assistito direttamente soltanto ancora
La Ruoff cade sul morbido, mentre migliaia di
dipendenti atterrano sul duro. (© Keystone)
un quinto dei clienti commerciali,
mentre il resto sarà trasferito ai
call-center e ai servizi di messaggeria
già sovraccarichi. Inoltre temono di
perdere il posto anche moltissimi addetti
degli operation center.
PostFinance è in debito verso i suoi
dipendenti, alcuni al servizio dell’azienda
da decenni. Vanno trovate delle
nuove soluzioni. syndicom s’impegnerà
affinché vengano conservati più
impieghi possibili e affinché i lavoratori
licenziati ottengano nuove chance
sul mercato del lavoro. Inoltre dovranno
ricevere un sostegno maggiore di
quanto previsto dal piano sociale.
La soluzione: più servizio pubblico
I manager di PostFinance amano lamentarsi
di fattori esterni come il limite
al quale sottostanno nelle operazioni
ipotecarie. Tuttavia questo dato
di fatto non si può cambiare. A livello
politico un ingresso di PostFinance
nel mercato ipotecario è impensabile,
in quanto i cantoni non vogliono che
le loro banche cantonali subiscano
una concorrenza. Può essere giusto o
sbagliato, ma così è. Se PostFinance,
AutoPostale e l’intero gruppo Posta
usciranno indenni da questo pasticcio,
ci sarà un’unica strada da seguire:
dobbiamo costringere la politica a
porre fine alla sua strategia del profitto
a ogni costo nei confronti della Posta.
Infatti questa è frutto delle intenzioni
segrete del Consiglio federale di
privatizzare la Posta in sordina. Tutto
questo deve finire. La Posta ha un futuro
se riceverà il chiaro mandato di ritornare
a un ampio servizio pubblico
per tutto il Paese. (David Roth)
https://bit.ly/2tdC3uz
22 Politica
Servizio pubblico 2.0
gestire la digitalizzazione
Allarme! Se il settore pubblico
non regolerà la trasformazione
digitale e non svilupperà
un servizio pubblico
digitale, la Svizzera perderà
la sua sovranità a favore di
aziende globalizzate come
Facebook. E sarà a rischio la
pace sociale. La formula magica
si chiama sovranità dei
dati.
Testo: Giorgio Pardini
Foto: alphaspirit
Se il servizio pubblico verrà smantellato,
si dissolveranno anche la democrazia
e la pace sociale. Perché il
servizio pubblico garantisce a tutti
l’approvvigionamento di prestazioni
e infrastrutture elementari necessarie.
Esso consente e garantisce l’accesso
alla formazione, la sicurezza
fisica, le chances di sopravvivenza,
la legalità e la sicurezza sociale. E
soprattutto in quanto contrappeso
al capitale e al mercato esso cerca di
uguagliare un po’ le opportunità in
una società sempre più ingiusta.
Siccome la Svizzera sta cambiando,
lo deve fare anche il servizio
pubblico adeguandosi alle diverse
esigenze. Una volta installava ovunque
cabine telefoniche, oggi deve
predisporre reti per i cellulari e gli
hotspot wi-fi. Ma per essere davvero
degno del suo ruolo, dovrà fare molto
di più.
Sospinti dalla trasformazione
digitale nascono nuovi modelli commerciali
come l’economia della
piattaforme. In meno di due decenni
sono stati creati dei colossi mondiali
giganteschi, Alphabet/Google,
Amazon, Facebook, Apple (GAFA) e
altri. Tutti loro seguono lo stesso
principio aziendale: l’impronta digitale
della loro clientela online. Si
raccolgono miliardi di dati clienti
24 ore su 24 (Big Data), li si incrocia,
poi li si struttura con l’aiuto di algoritmi
sempre più raffinati per poi
commercializzarli a livello economico
ma anche politico – con conseguenze
sociopolitiche radicali.
I GAFA assumono il comando
Nel primo trimestre di quest’anno,
Facebook ha registrato 2,2 miliardi
Politica
Per compiere il suo ruolo, il servizio pubblico dovrebbe fare ben altro che le reti di telefonia
mobile e i punti di accesso wi-fi. Soltanto lo Stato può garantire che i dati restino in possesso
degli utenti. Un servizio pubblico digitale regolamentato non avrebbe ora alcuna possibilità
in Parlamento. Perciò potrebbe essere decisiva la proposta di un’iniziativa popolare.
23
di utenti attivi, e nel 2017 ha fatto
un fatturato di quasi 41 miliardi di
dollari e miliardi di utili. Grazie al
loro dominio sul mercato globalizzato,
queste super-aziende dispongono
di più capitale della maggior
parte degli Stati. Si sono accaparrate
il comando in ambiti come la sicurezza,
la sorveglianza, la formazione
dell’opinione pubblica, le pari opportunità
e molti altri. Tutto questo
grazie all’utilizzo dei Big Data. Le
elezioni US hanno insegnato a tutti
noi cosa può succedere con i nostri
dati. Con il trattamento e utilizzo di
87 milioni di profili Facebook è stato
pilotato il comportamento elettorale
a favore di Donald Trump.
I GAFA, vero e proprio oligopolio,
esercitano un’influenza mondiale
su Stati e autorità, senza alcun
controllo e con soli obblighi verso
gli azionisti. Questa logica azionaria
non favorisce né la coesione sociale
né adempie obblighi di servizio pubblico.
Al contrario invece del service
public, che mette a disposizione dei
cittadini i propri servizi, che sottostà
al controllo democratico e che fa
confluire eventuali profitti verso la
collettività.
Come per ogni sviluppo tecnologico
ad alto rischio, anche qui lo
Stato deve porre regole e paletti
nell’interesse del bene comune. Sostanzialmente
qui il nocciolo centrale
è sul chi detenga la sovranità
sui dati degli utenti. Solo lo Stato
può far sì che la sovranità rimanga
in mano agli utenti, o meglio che vi
ritorni. Per questo dobbiamo riflettere
su come possiamo estendere
alla dimensione digitale il mandato
del servizio pubblico. Questo è indispensabile
se vogliamo evitare che
la trasformazione digitale conduca a
ripercussioni sociali negative.
Tuttavia anche la miglior regolamentazione
possibile rimarrà
vana se il settore pubblico non prenderà
in mano attivamente la digitalizzazione
istituendo un servizio
pubblico digitale. E questo deve succedere
molto presto se lo Stato non
vuole perdere completamente la sua
sovranità e la sua capacità d’azione
a favore di queste imprese globalizzate,
già nei prossimi anni.
Un’iniziativa
popolare
potrebbe
aprire la strada
Servizio pubblico come unico attore
Alcune mansioni centrali di questo
servizio pubblico possono essere
fornite, per praticità, da aziende
pubbliche come la Swisscom o la
Posta. A questo fine hanno però
bisogno di un incarico vincolante,
con tanto di margine e mezzi per i
necessari investimenti. Va urgentemente
fermata la privatizzazione silenziosa
di queste aziende. Proprio
perché la digitalizzazione deregolamenta
le condizioni di lavoro e di
vita, queste aziende pubbliche devono
rimanere in mano alla collettività.
Ed è fuori discussione che le
potenti lobby faranno di tutto per
impedire la creazione di un tale servizio
pubblico. Nonostante sia di
fondamentale importanza per tutti
noi, ad oggi in Parlamento non
avrebbe nessuna chance. Per riuscire
nell’impresa saremo costretti ad
attivare gli strumenti della democrazia
diretta. Come per esempio quello
dell’iniziativa popolare.
https://syndicom.ch/it/tematiche/dossier/
digitalizzazione-del-posto-di-lavoro/
Un servizio
pubblico forte
Lo chiede una risoluzione
dei delegati dell’USS
A fine maggio i delegati dell’Unione
sindacale svizzera (USS) hanno
dibattuto dei recenti attacchi al
servizio pubblico e delle sfide da
affrontare. È stata anche approvata
una risoluzione a riguardo.
La politica fiscale deve orientarsi
ai bisogni del servizio pubblico.
Invece dei devastanti progetti
a bassa imposizione fiscale nei
cantoni e nei comuni, serve
un’imposizione minima per evitare
che i cantoni si facciano la
guerra fiscale. Noi rifiutiamo le
misure di austerità che toccano i
dipendenti pubblici, soprattutto
quelli della Confederazione, di
cantoni e comuni, così come gli
assurdi sperimenti e la logica del
mercato che distruggono il servizio
pubblico: no a una politica dei
trasporti che applica prezzi e salari
da dumping, no alla soppressione
del divieto di cabotaggio, no
alla liberalizzazione del trasporto
nazionale e internazionale dei
viaggiatori!
La digitalizzazione costituisce
un’opportunità per il servizio
pubblico se le aziende garantiscono
una formazione di base e un
perfezionamento al loro personale.
Nella digitalizzazione delle prestazioni
di servizio bisogna sviluppare,
non smantellare. Data la
pressione sui salari nel settore dei
trasporti, alla Posta e nelle attività
di corriere e visto il violento degrado
nel ramo dei media e della
sanità, i delegati dell’USS chiedono
che tutte le persone impiegate
nel servizio pubblico siano sottomesse
a dei contratti collettivi di
lavoro esemplari. Nelle aziende
pubbliche come le FFS, Swisscom
e Posta, i salari dei quadri non devono
superare i 500mila franchi.
24 Politica
L’Unione sindacale svizzera insorge contro il progetto di revisione della legge sul
contratto d’assicurazione (LCA) che vuole conferire più poteri alle assicurazioni
per farle agire secondo la loro volontà.
Una legge su
misura per le
assicurazioni
L’assicuratore potrebbe
cambiare il contratto
in modo unilaterale
Il Consiglio federale prevede una revisione
della legge sul contratto
d’assicurazione (LCA) che rappresenterebbe
un netto degrado della
situazione per gli assicurati in Svizzera
nei confronti delle compagnie
assicurative. Ecco perché l’Unione
sindacale svizzera (USS) rigetta questo
progetto. Il progetto del Consiglio
federale causerà dei danni e
darà più poteri alle assicurazioni affinché
possano agire come vogliono.
• Uno dei principali punti negativi
è la possibilità per l’assicuratore
di modificare unilateralmente il
contratto. Questo permetterebbe
alle assicurazioni di adeguare da un
giorno all’altro le condizioni di contratto
senza il consenso della persona
assicurata!
• I lavoratori più anziani potrebbero
essere esclusi dall’assicurazione
d’indennità giornaliera in caso di
malattia.
• In seguito a un licenziamento o
se il contratto di assicurazione d’indennità
giornaliera in caso di malattia
è rescisso, le assicurazioni in futuro
avrebbero il diritto di sopprimere
o sospendere a posteriori delle
prestazioni previste per dei sinistri
verificatisi.
In Svizzera, i lavoratori sono
poco protetti contro la malattia.
Non esiste un’assicurazione obbligatoria
che tuteli contro una perdita
di guadagno non causata da un’invalidità,
ma solo un’assicurazione
facoltativa, spesso sottomessa alla
LCA. Dunque sarebbe importante
che il legislatore risolvesse i problemi
legati al calcolo dei premi, poco
trasparenti e spesso incomprensibili
per l’assicurato. Il titolare dell’assicurazione
(datore di lavoro) e la
compagnia assicurativa possono
convenire che le prestazioni siano
sospese quando termina il rapporto
di lavoro. Il malato licenziato così
perde il suo diritto a un reddito di
sostituzione. Questo progetto scandaloso
crea nuovi problemi senza
regolare la situazione. (Luca Cirigliano,
segretario centrale USS)
www.uss.ch/publications/articles
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Con la valuta Reka i
soci syndicom possono
concedersi di più.
Come socio ottiene presso la syndicom
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i 9’000 punti d‘accettazione in tutta la
Svizzera trovate su guidareka.ch
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Diritto e diritti
25
Secondo il diritto, quali sono i miei diritti?
Lo scorso autunno ho ultimato la mia formazione professionale
e, fino a oggi, non ho trovato lavoro. Nei dinieghi veniva
fatto presente che si era alla ricerca di qualcuno con
un’esperienza lavorativa. Ora ho ricevuto un’offerta per
un praticantato non retribuito della durata di un anno.
So che alcuni che hanno ultimato la formazione con me
hanno accettato posizioni di praticantato di questo tipo.
Se non accetto, ci sarà sicuramente qualcun altro. Qual è la
vostra raccomandazione?
Sarei anche disposto a effettuare un praticantato non
retribuito. Però, per me, sarebbe troppo lungo trascorrere
un anno senza salario e senza ferie. Dopo la formazione non
ho più soldi e mi trovo costretto a guadagnare qualcosa.
Inoltre, la mia formazione mi ha permesso di ottenere un
bagaglio notevole di conoscenze. Devo effettivamente lavorare
gratuitamente per così tanto tempo?
Se accetto ora questo praticantato della durata di un anno
e non retribuito e successivamente non ottengo un posto di
lavoro fisso, ricevo un’indennità di disoccupazione? Dovrei
aver almeno corrisposto 12 mesi di contributi. Così vengo
punito doppiamente.
Risponde il servizio giuridico
Il praticantato non è regolamentato
ai sensi di legge. Pertanto è importante
che venga stipulato un contratto
scritto che dovrebbe indicare
durata, finalità, regolamentazione in
caso di malattia e salario (compresi i
contributi AVS, AD ed eventuali contributi
ai sensi della LAINF). Può essere
già concordata anche una successiva
assunzione fissa. La finalità
consiste nell’approfondire le conoscenze
teoriche acquisite, facendosi
seguire da un esperto nella pratica al
fine di rendere più agevole l’ingresso
nel mondo del lavoro. Se, nel corso
del praticantato, effettua gli stessi lavori
delle persone impiegate in pianta
stabile e non viene affiancato, si
tratta di lavoro a tempo determinato.
In tal caso sussiste anche un regolare
diritto al salario.
Un praticantato, fondamentalmente,
non dovrebbe durare più di un anno.
Poi ha anche diritto ad almeno quattro
settimane di ferie. Nel caso di
prati cantati di durata inferiore, le ferie
devono essere garantite proporzionalmente.
I praticantati non retribuiti,
invece, dovrebbero essere solo di
breve durata, vale a dire al massimo
di un mese. Un esempio è rappresentato
dai praticantati che prevedono
brevi stage di alcuni giorni o di una o
due settimane. Qualora durasse di
più, dev’essere versato un salario,
anche se inferiore a un impiego fisso.
Inoltre diversi praticantati uno dietro
l’altro, seppur di breve durata, non
sono consentiti presso lo stesso datore
di lavoro e nello stesso settore
professionale.
La cassa di disoccupazione verifica se
il praticantato sia necessario per la
qualifica professionale e quindi se
rientra o meno nella formazione. Se
lo approva, sarà esonerato dal pagamento
dei contributi e avrà diritto a
90 indennità giornaliere. Pertanto è
importante che, nel corso di un praticantato,
si impari qualcosa e non solo
che si lavori gratuitamente.
syndicom.ch/it/diritto/dirittoediritti
26
Rubriche
Idee
FRANCESCO LEPORI
IL TICINO
DEI COLLETTI
SPORCHI
I processi bancari
dagli Anni Settanta a oggi
Legatoria, fra tecnica e arte
La legatoria, ovvero la tecnica di rilegare
i libri, è un’arte antichissima.
In Occidente ne parlava già anche il
poeta latino Marziale, ma si suppone
che questa tecnica sia nata in India
e in Cina, più di duemila anni fa.
Nonostante la diffusione del digitale,
la lettura su dispositivi mobili e
la crisi dell’editoria tradizionale, la
legatoria sta vivendo una riscoperta
di nicchia, un po’ come accade per i
vecchi vinili nel mondo della musica.
Moltissimi appassionati, gente
comune, si stanno avvicinando a
questa tecnica, tra arte e artigianato.
Per questo motivo, i corsi Helias
propongono il 29 settembre un corso
di legatoria (iscrizioni entro l’undici
settembre). «Creare un libro con
le proprie mani è e rimarrà una magia!»,
afferma il docente, Mattia Speroni.
«Sapere di avere piegato, cucito,
incollato e infine preparato la
copertina e saperlo fare è una ricchezza.
Il segreto delle parole costudito
da una rilegatura porta un tesoro
da trasmettere di generazione in
generazione. Ormai la tecnologia
sta a poco a poco cancellando il libro
o meglio gli stampati, ma l’odore
della stampa, della carta rimarrà
un supporto di scrittura indelebile.
Il libro è cultura, sia nel testo che
porta sia nella sua confezionatura!».
In particolare, il corso (aperto a tutti,
massimo sei iscritti) permetterà
di creare una scatola su misura, rivestita
di carta marmorizzata, e una
mappetta per presentare il proprio
dossier. Il tutto a partire da un foglio
di cartone piano. Ricordiamo
che per i soci syndicom e Syna impiegati
presso aziende Viscom o
aziende che rispettano il contratto
collettivo di lavoro, un corso Helias
all’anno è gratuito.
(Giovanni Valerio)
La lista completa e i formulari dei corsi
Helias si trovano sul sito helias.ch
ARMANDO DADÒ EDITORE
Quando la finanza è malata
«Il Ticino dei colletti sporchi» di
Francesco Lepori (Dadò Editore)
racchiude in modo esaustivo e sistematico
la storia di una trentina di
scandali finanziari in Ticino dal
boom della piazza finanziaria di
Lugano negli Anni Settanta fino alle
più recenti storie di riciclaggio di
denaro. Alla cronaca degli scandali
si affianca il resoconto dell’evoluzione
delle norme in risposta alla
«finanza malata», nel Cantone, in
Svizzera e a livello internazionale.
Lepori offre un quadro molto chiaro
circa tipologie d’illeciti e fattori responsabili
delle malversazioni. In
causa viene chiamata la corruzione
individuale ma anche l’operato degli
istituti, poco inclini a denunciare
irregolarità, e le risposte normative
tardive e di facciata. In questo senso,
«Il Ticino dei colletti sporchi»
può definirsi come un manuale di
tecniche delinquenziali, strategie
processuali e dinamiche umane,
certamente utile agli addetti ai lavori
(procuratori pubblici, avvocati,
banche), ma non solo! Il libro parla
alla società civile in generale. Se è
indubbio che sul fronte legislativo
siano stati fatti progressi notevoli,
«margini di miglioramento restano
invece nella volontà di applicare le
norme», scrive Lepori. Ecco allora
che i richiami alle norme emanate
nel corso degli anni per contrastare
la criminalità finanziaria fanno del
libro un testo di civica, per la partecipazione
civica: informato su diritti/doveri
e disposizioni sottostanti
le relazioni tra istituzioni e istituti
bancari, il cittadino(-lettore) viene
incalzato e abilitato («empowered»)
a prendere posizione contro la finanza
malata. (Valeria Camia)
Francesco Lepori, Il Ticino dei colletti
sporchi, Dadò Editore, www.editore.ch
© DR © DR
Manifesti di protesta
In italiano, la parola «manifesto» indica
sia il foglio stampato che viene
affisso sugli spazi pubblici che il
documento programmatico di un
movimento, di un partito, di una
corrente artistica. Non è un caso,
quindi, se i manifesti (i poster, le
affiche, chiamateli come volete)
hanno rappresentato una parte importante
nella propaganda politica
dell’ultimo secolo, un mezzo per
avvicinarsi alla popolazione e per oltrepassare
la censura. Slogan come
«Make Love Not War» o «Soyez réalistes,
demandez l’impossible» o ancora
immagini-simbolo come il pugno
alzato sono diventati famosi
proprio perché affissi sui muri delle
città. Per questo motivo, il Museum
für Gestaltung di Zurigo, il più importante
museo svizzero di design e
comunicazione visiva, celebra la
forza comunicativa dei manifesti di
propaganda con una mostra intitolata
«Protest! Widerstand im Plakat».
A partire dal celebre «Mai più
guerra!» dell’artista tedesca Käthe
Kollwitz, l’esposizione riunisce
300 poster da tutto il mondo, fino
agli esempi contemporanei che parlano
di globalizzazione e diritti delle
donne, fino all’immancabile Donald
Trump. Nella ricorrenza dei 50 anni
dal 1968, non mancano i manifesti a
favore dell’occupazione de l’Ecole
des Beaux-Arts parigina nel maggio
francese. Il percorso espositivo
(aperto fino al 2 settembre nella
sede Toni-Areal del museo) è accompagnato
da canti di lotta, video e
immagini, e dall’esaustivo catalogo
«Protest. The Aesthetics of Resistance»
(disponibile in lingua inglese e
tedesca). (GioVi)
Museum für Gestaltung, Toni-Areal, Zurigo
https://museum-gestaltung.ch/fr/
1000 parole
La matita di Ruedi Widmer
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28 Eventi Ecco per cosa ci siamo battuti a giugno!
La presenza di syndicom per il ritorno alla tutela del Contratto collettivo
nell’industria grafica, nella giornata nazionale delle donne del 14 giugno,
a fianco dei ferrovieri per protestare contro le misure di risparmio delle FFS.
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1, 2 Indossando un berrettino rosso al lavoro, i dipendenti dell’industria grafica chiedono di beneficiare di nuovo di un CCL
(qui nei centri stampa di Bussigny e Zurigo) (© DR)
3 A Berna, come in altre città svizzere, i ferrovieri hanno protestato il 18 giugno contro le misure di risparmio previste alle FFS. (© DR)
4, 5 Con lo slogan «facciamo pressione» alle manifestazioni del 14 giugno si poteva degustare la birra dell’uguaglianza. A Bellinzona, è stato servito
un aperitivo della parità, alla presenza della neo-presidente del Gran Consiglio ticinese Pelin Kandemir Bordoli. (© Dominik Fitze e Lorena Gianolli)
6, 7, 8, 9 A Berna, il 9 giugno si è tenuta la seconda parte del congresso syndicom iniziato a novembre 2017 ma che non era riuscito a trattare tutte le
proposte. Adesso sono stati evasi tutti i punti e prese le decisioni (syndicom.ch/kongress17). (© Sam Buchli)
10 Il congresso ha espresso il suo appoggio alla battaglia dei conducenti di AutoPostale contro il lavoro gratuito. (© Sam Buchli)
11 Il gruppo d’interesse Migrazione ha festeggiato i 40 anni di attività della nostra iscritta Gerda Kern. (© Sam Buchli)
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Un lavoro,
una vita
Il tempo retribuito non basta
Nato nel 1966, Lionel Beuret è cresciuto
a Breuleux (JU). Ha imparato sul campo
la professione di meccanico, poi è partito
per il Vallese a lavorare sulle piste
da sci. Quando si è sposato, nel 1988,
ha cominciato il suo lavoro al garage
postale come operaio specializzato e
magazziniere. Dieci anni più tardi, a
causa della ristrutturazione e chiusura,
ha sfruttato l’occasione per diventare
conducente e ha assolto la formazione
come autista di camion e di
autopostale. Dall’allora riorientamento
professionale prosegue con questa
attività presso la regia di Locle.
È affiliato al sindacato da ben trent’anni,
prima all’Unione PTT poi a syndicom.
Dal 1° gennaio 2018 presiede la commissione
aziendale di AutoPostale.
Testo: Sylvie Fischer
Foto: Yves Leresche
Amo il mio mestiere
e quindi faccio tutto
il necessario
Da sempre le mansioni da svolgere
da quando si entra in servizio come
autisti di autopostale sono tante e il
tempo previsto per realizzarle non
basta mai. Venti anni fa c’era ancora
del personale in officina per il controllo
sui veicoli, e tra colleghi ci si
aiutava sempre. Oggi ci troviamo
quasi sempre soli. Come altre 1300
persone, anch’io ho firmato la petizione
«No al lavoro gratuito presso
AutoPostale», la quale chiede che tutti
i lavori svolti (ivi compresi quelli
che non figurano sul piano di servizio)
siano registrati come tempo di
lavoro e non eseguiti nel tempo libero.
Noi rivendichiamo anche che le
prestazioni di lavoro figurino chiaramente
e in maniera trasparente nei
conteggi delle ore lavorate. La notizia
buona è che AutoPostale sta entrando
nel merito al fine di negoziare
questi punti delicati.
Abbiamo sempre più materiale
elettronico da installare a inizio servizio.
Le istruzioni per il turno ci arrivano
via tablet. Devono essere predisposte
le nuove casse ISA per la
vendita dei biglietti elettronici come
anche le PA 700 per scannerizzare i
titoli di trasporto, il tachigrafo elettronico
richiesto dalla Legge sulla
circolazione stradale (LCStr). Esso
serve a controllare la velocità, il tempo
di lavoro e fornisce i dati necessari
in caso d’incidente. Poi bisogna
controllare l’acqua, l’olio, eseguire
il controllo tecnico del veicolo, sia
all’interno sia all’esterno.
Il tempo calcolato è troppo stretto,
non basta per svolgere tutti i compiti,
e ci costringe a venire a lavorare
prima. Il mio capo è cosciente di
queste difficoltà, ma ci sono differenze
regionali scioccanti riguardo al
tempo calcolato per eseguire questi
lavori.
A fine turno bisogna fare il pieno,
aggiungere l’additivo, spazzare l’autopostale,
scollegare tutti i dispositivi
elettronici, pulire il parabrezza e
la carrozzeria, riordinare la cassa.
Anche in questo caso il tempo calcolato
è troppo poco e spesso lavoriamo
già nel nostro tempo libero.
Non viene poi conteggiato il tempo
che a noi serve per fare la contabilità
di fine mese e i versamenti ad
AutoPostale. Io lo faccio durante le
mie pause. Amo il mio mestiere, dunque
per mia coscienza professionale
svolgo tutto il necessario.
È chiaro che a volte siamo bloccati
nel traffico che ci fa ritardare, o
dalla neve, e non possiamo rientrare
subito in garage. Se lavoro oltre quindici
minuti in più, lo segnalo, altrimenti
lascio perdere: mi costerebbe
troppo tempo.
Per me AutoPostale non è un’azienda
come le altre. Noi ci teniamo,
come un caro ricordo d’infanzia,
quando il «postale» ci portava a scuola
tutti i giorni. Spero tanto che i negoziati
abbiano successo.
La petizione di syndicom al sito
https://bit.ly/2JMnJm9
Impressum
Redazione: Sylvie Fischer, Giovanni Valerio,
Marc Rezzonico, Marie Chevalley
Tel. 058 817 18 18, redazione@syndicom.ch
Traduzioni: Barbara Iori, Alleva-Translations
Illustrazioni: Katja Leudolph
Foto senza copyright: © zVg
Layout e correzione: Stämpfli SA, Berna
Stampa: Stämpfli SA, Wölflistrasse 1, 3001 Berna
Notifica cambi di indirizzo: syndicom, Adressverwaltung,
Monbijoustrasse 33, CP, 3001 Berna
Tel. 058 817 18 18, Fax 058 817 18 17
Inserzioni: priska.zuercher@syndicom.ch
Abbonamenti: info@syndicom.com
Gratis per i soci. Per gli altri: Fr. 50.– (estero: 70.–)
Editore: syndicom – sindacato dei media
e della comunicazione, Monbijoustrasse 33,
CP, 3001 Berna
La rivista syndicom esce sei volte l’anno.
Il prossimo numero uscirà il 30 settembre 2018
Chiusura redazionale: 30 luglio 2018
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Il cruciverba di syndicom
In palio un buono di 40 Franchi offerto
dal nostro partner Coop. La soluzione
sarà pubblicata sul prossimo numero insieme
al nome del vincitore. Non è previsto
alcuno scambio di corrispondenza
sul concorso. Sono escluse le vie legali.
Inviare la soluzione entro il 14 agosto a
syndicom, via Genzana 2, 6900 Massagno.
La soluzione del cruciverba dello scorso
numero è FORMAZIONE. I vincitori sono
Silva e Pio Thürler di Bellinzona, a cui va
il premio di un buono REKA di 50 franchi.
Congratulazioni!
Pubblicità
32 Interattivi
syndicom social
Le Matin digitale:
segno dei tempi? 07.06.2018
L’esistenza del quotidiano arancione,
nella sua forma cartacea, terminerà il
22 luglio 2018. Sono previsti una quarantina
di licenziamenti, di cui 24 giornalisti.
Giustificata come un segno dei tempi,
la decisione di Tamedia si spiega unicamente
con la perdita da parte della testata
di 6,3 milioni di franchi nel 2017.
Inside SDA/ATS @inside_sda 10.06.2018
Qualche esempio: il personale diminuisce, ma ora all’ats
ci sono anche un responsabile per le risorse umane, un
segretario generale e un Head Executive Sales.
#ENOUGH 18 15.06.2018
Riservati già la data del 22 settembre 2018! Quel giorno si
terrà a Berna una grande manifestazione per rivendicare
la parità salariale attesa da un’eternità! Se sei nostro
iscritto il trasporto pubblico te lo paghiamo noi!
UNI Global Union 10.06.2018
Il nuovo rapporto di UNI Global Union,
steso da Christina Colclough, si concentra
sulle piattaforme dei talenti online e sugli
intermediari del mercato del lavoro.
È disponibile in francese e inglese su
http://www.thefutureworld ofwork.org
syndicom si prepara alle nuove
sfide della nostra epoca 09.06.2018
La digitalizzazione e il miglior modo per
affrontarla come sindacato al centro
della seconda parte del congresso.
Firmato il CCL Swisscom 2018 04.06.2018
L’accordo contiene importanti miglioramenti
per far fronte alla digitalizzazione.
Tra questi il diritto alla nonreperibilità
durante il tempo libero, 5 giorni di perfezionamento
pagati all’anno e protezione
dei dati sul luogo di lavoro.
Adèle Thorens @adelethorens 07.06.2018
@Lematinch morirà, il giornale che tutti leggevano al bar.
Ma, per il Consiglio federale, in risposta alla mia domanda
della settimana scorsa, non c’è (quasi) nulla che si possa
fare per preservare la pluralità dell’informazione.
www.syndicom.ch/salario18 19.06.2018
Da quando abbiamo messo online il nostro calcolatore
salariale relativo alla Posta nel 2018 lo avete già
sperimentato in 10 mila sul nostro sito! Grazie per la
vostra fiducia!
Vevey: 500 posti a rischio 29.05.2018
Nestlé ha annunciato la ristrutturazione
del suo servizio delle tecnologie informatiche
e la delocalizzazione verso il suo hub
tecnologico in Spagna. Potrebbero essere
tagliati 500 posti di lavoro. Ma davvero
manca il personale qualificato in Svizzera?
O magari è solo una questione di grosse
cifre?
Google diventa vegan 06.06.2018
È cambiato un piccolo dettaglio negli emoji (le faccine)
della vostra tastiera. L’avete visto? L’insalata? Da inizio
giugno non ci sono più le uova! Questo perché a Google
sta a cuore rispettare tutte le sensibilità, tra cui anche il
veganismo.
Intelligenza artificiale e mondiali 13.06.2018
Non poteva mancare un piccolo sguardo ai
mondiali di calcio! La Goldman Sachs ha
utilizzato l’intelligenza artificiale, insieme al
Machine Learning, per prevedere chi vincerà
la Coppa del mondo 2018. Il vincitore –
spoiler alert – sarà il... Brasile!