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Il marchio della bestia
Rudyard Kipling
Ambrose Bierce
Robert William Chambers
Montague Rhodes James
Joseph Sheridan Le Fanu
Howard Phillips Lovecraft
Arthur Machen
traduzione di
Giuseppe e Pietro Pascarelli
EDIZIONI GRENELLE

indice
gli autori
introduzione
Il marchio della bestia
3 Il marchio della bestia
di Rudyard Kipling
19 La cosa maledetta
di Ambrose Bierce
29 La maschera
di Robert William Chambers
49 La morte di Halpin Frayser
di Ambrose Bierce
67 L’album del canonico Alberico
di Montague Rhodes James
81 Il sogno del bevitore
di Joseph Sheridan Le Fanu

97
Quella cosa sulla soglia
di Howard Phillips Lovecraft
129 Polaris
di Howard Phillips Lovecraft
135 La novella del sigillo nero
di Arthur Machen

Introduzione
di Pietro Pascarelli
Questo volume raccoglie nove fra i migliori racconti del terrore
e del soprannaturale che siano mai stati scritti nella letteratura
occidentale. Scandagli gettati nel mare dell’ignoto che ci
sta intorno, ne sono estratti grondanti di acque nere, cosparsi di
bagliori stellari che sono ammiccamenti maligni, segnali di
potenze ostili che irridono la miseria umana e ci fanno sentire
inermi al cospetto di un cosmo dove il male si compie nella più
agghiac-ciante indifferenza.
In Polaris, di Howard Phillips Lovecraft, parole lapidarie sanciscono
la transizione istantanea dalla “normalità” delle cose del
mondo al loro diventare figure e porte dell’orrore:
La Stella Polare, maligna e mostruosa, occhieggia verso il basso dalla
volta del cielo, ammiccando in modo terribile come un occhio
folle che si sforza di trasmettere uno strano messaggio, e tuttavia
non ricorda nulla salvo il fatto che una volta aveva un messaggio
da trasmettere.
Il bisogno di cercare la radice misteriosa delle cose, foss’anche
orrenda, si rispecchia nel bisogno di idealizzare le cose stesse, attraverso
i concetti di purezza, bellezza, santità. La natura viene
di solito raffigurata e trasfigurata dall’arte “classica” all’insegna
dell’innocenza, della soavità e della delicatezza di colori e forme,
spontanee o dovute all’opera dell’uomo. Viene quindi nascosto

VI
Il marchio della bestia
quel che può all’opposto presentarsi come tremendo e inumano
infinito. C’è perciò un rapporto fra la suggestione che su di noi
esercita l’orrendo e tale logica idealizzante – ivi compresa quella
riguardante la donna sublimata dell’amor cortese, come la intende
lo psicoanalista Jacques Lacan, nella sua essenza di privazione
e nella durezza con cui si pone rispetto all’amante, nella relazione
cui rimanda fra desiderio, godimento e morte.
Del romanzo cortese come autorappresentazione di un ceto e
di un ordine sociale che si fonda sul coraggio e sulla capacità di
affrontare il pericolo, il misterioso e l’irrazionale, e di organizzare
su questa base anche il rapporto con la donna e la vita sentimentale
– come lo descrive Erich Auerbach in Mimesis – sembra
una particolare riedizione, a tinte soffuse, e tuttavia inquietanti,
il racconto La Maschera di Robert William Chambers. Racconto
paradossale e ambiguo, in cui l’oggetto della massima idealizzazione,
la giovane donna, finisce per raggiungere una perfezione
senza tempo al di là della vita. In esso tre giovani di intelligenza e
passionalità ardenti cercano l’essenza della vita nella fascinazione
della bellezza, nell’esaltazione del sublime del femminile e della
purezza della giovane protagonista, mentre la potenza di Eros
crea tensioni violente e turba anch’essa in profondità ogni disegno
della ragione e gli equilibri fra la bella e i due cavalieri che se
la contendono con le diverse espressioni avventurose dei loro talenti.
In una Parigi surreale, fra marmi, acque incantate, profumi
inebrianti di fiori, e nel fiore dell’età dei protagonisti, si prepara il
trionfo della morte mascherato da promessa di immortalità.
Sebbene non sapessi nulla di chimica, ascoltavo affascinato. Prese
un giglio pasquale che Geneviève aveva portato quella mattina da
Notre Dame, e lo fece cadere nella bacinella. All’istante il liquido
perse la sua limpidezza cristallina. Per un secondo il giglio fu avvolto
in una schiuma bianco latte, che scomparve, lasciando il fluido
opalescente. Mutevoli colori arancio e cremisi giocavano in superficie,
e poi quel che sembrava un raggio di pura luce solare partì
dal fondo su cui il giglio riposava. In quello stesso momento affondò
una mano nella bacinella e ne riprese il fiore. «Non c’è nessun
pericolo», spiegò, «se cogli l’istante giusto. Quel raggio dorato è il

introduzione
VII
segnale». Mi porse il giglio, e io lo tenni in mano. Si era trasformato
in pietra, nel più puro marmo.
Una delle basi per la riuscita dell’evocazione del terrore dagli
abissi è dunque l’intensità della relazione fra persone, soprattutto
innamorati, amanti, amici, madri, o padri, e figli. Situazioni cioè
dove ci sono calore, desiderio, contraddizione e dismisura. Come
nel racconto succitato, ma anche in quel capolavoro dell’orrore
che è La morte di Halpin Frayser di Ambrose Bierce. Il racconto, in
flash back dopo un’apertura in cui siamo immediatamente confrontati
col terrore, si sviluppa sul terreno di un legame morboso
fra madre e figlio, e di una koiné culturale familiare che si allarga
a un marito insignificante e a un nonno materno defunto,
Myron Bayne, poeta dai versi lugubri con cui la nipote non cessa
di mantenersi costantemente in comunicazione. Questa claustrofilica
enclave è caratterizzata da una spiccata sensibilità per
i cattivi presagi, per i segnali inquietanti annidati negli anfratti
della quotidianità che all’occhio attento rivelano la labilità della
frontiera fra il nostro mondo comune e il soprannaturale spettrale,
per dirla con Lovecraft. È su questo terreno che germina il
triste destino del giovane uomo Halpin. Questi un giorno parte
da Nashville alla volta della California per un viaggio di lavoro
iniziatico, coincidente con il primo distacco dalla madre Catharine,
una donna giovane e bella, chiamata Katy dal figlio in una
simbiosi permeata di sottile sensualità. All’annuncio del distacco
imminente Kathy aveva espresso, con accenti di intenso rammarico
e con un sogno spaventoso in cui il figlio le compariva con
il volto ricoperto da un sudario bianco, i suoi sentimenti di abbandono
e dunque il suo desiderio, che sarebbe rimasto deluso,
di seguire il suo Halpin. Durante la sua assenza da casa il giovane
sarà dapprima rapito e imbarcato a forza su una nave, e poi, dopo
il ritorno a terra, per una singolare e fatale coincidenza, si smarrirà
in un bosco in cui si era spinto a caccia. Al culmine di una
terrificante odissea in una macabra foresta di alberi stillanti sangue,
si ritroverà a un certo punto senza accorgersene accanto alla
tomba della madre, stremato al cospetto del cadavere, o meglio
del corpo senz’anima della madre, che là si trova verosimilmente

VIII
Il marchio della bestia
in seguito alla sua partenza per raggiungere il figlio. Divenuta
una zombie − e questo racconto segna l’ingresso di tale sinistra figura
sulla scena del mondo − in un contesto che non sappiamo se
corrisponda a un incubo di Halpin o a un incontro reale, uccide il
figlio soffocandolo, portando a compimento la tetra profezia che
le si era presentata in sogno alla vigilia della partenza del figlio.
Si resta colpiti dalla capacità di Bierce di montare un apparato
narrativo in cui la suspense è legata molto a ciò che non viene
detto esplicitamente ma solo fatto immaginare, in una cupa atmosfera
psicologica in cui certe dinamiche inconsce sono pioneristicamente
indicate alla riflessione quando ancora, in Europa, la
psicoanalisi era ai suoi albori, risalendo questo racconto ad alcuni
anni prima del 1899, anno di pubblicazione dell’Interpretazione dei
sogni di Sigmund Freud.
Per restare centrati sull’ambito familiare, nell’agghiacciante
La cosa sulla soglia di Lovecraft troviamo la storia immonda di
Ephraim Waite, tenebroso personaggio su cui, sia quando era
vivo che dopo la sua morte, correvano strane voci, e di sua figlia
Asenath, ufficialmente originale e magnetica studentessa dell’università
Miskatonic di Arkham, dediti entrambi, col supporto
di sinistri e fedelissimi servitori, alla più infernale magia nera
nella ricerca dell’immortalità. Nel racconto è illustrato altresì il
legame infantilizzante stabilito con il figlio dai genitori – rappresentanti
di una assai agiata borghesia statunitense − di colui
che sarà marito e vittima di Asenath, Edward Pickman Derby, un
eterno ragazzo cresciuto sotto una campana di vetro, con scarsa
esperienza sociale, di carattere debole, facile a essere ammaliato
e sedotto. Un classico con colpi di scena al cardiopalmo e particolari
minimi da brivido, che a un certo punto ci mostra, durante
un drammatico viaggio in automobile, i paesaggi desolati della
sterminata provincia americana. Le luci ingannatrici di città in
cui la modernità e il progresso sono solo apparenti, e in realtà
legate a filo doppio alle ombre del passato, a un male misterioso
che sembra il naturale controcanto della ragione trionfante, e si
nasconde nelle viscere della terra e sempre incombe inestirpabile
sugli uomini ignari.

introduzione
IX
Si comprende come questi racconti soddisfino anche il bisogno
di estraneità, di sentirsi diversi, e al sicuro, attraverso la percezione
orribile dell’alieno entro una presa di distanza da esso,
che colloca dalla parte di ciò che si può apertamente essere, dire
e desiderare.
L’estraneità, o per meglio dire la differenziazione è peraltro
necessaria anche per sfuggire all’attrazione del mondo come
magma indifferenziato, che invita a confondersi e perdersi nella
vastità sua e di un universo non umano.
Sono la fissità e l’intensità dello sguardo sul mondo, la spinta
della curiosità, l’avidità della scoperta, che pescando nelle nostre
profondità psichiche possono annullare i confini nostri e della
ragione e generare in questi racconti la mostruosità del reale. Esse
evocano le forze e le creature dell’abisso, che danno espressione
ai pensieri e desideri malvagi rimossi nell’inconscio. Nella logica
che spalanca in questi racconti le porte del terrore, l’esistenza
stessa delle pulsioni, incessantemente pressanti e produttive, partendo
dalla dimensione della più profonda naturalità della vita,
apre all’innaturale e al soprannaturale, a quel che non si può dire
e non si può spiegare ma solo c’è e può comparire. Senza tanti
complimenti, senza camuffamenti e mediazioni, senza difese, e
soprattutto senza spiegazione.
La linea fra ragione e follia o sragione, fra la realtà abituale e
condivisa e la sorpresa dell’orrore e del reale, acquattata nelle pieghe
dell’esistenza, è un attrattore formidabile, nel senso letterale, e
cioè di ciò che può spaventare oltre che stupire. La sua forza motrice è
la tentazione del desiderio di conoscenza (la mela offerta dal serpente),
di superamento del limite implicito nella vita “normale”,
delle colonne d’Ercole del mondo come creazione e realtà umana.
L’ambizione è quella di guardare oltre la cortina azzurra stellata,
bucando la volta celeste, giungendo in spazi più ampi. Violando
il confine di ciò che il cielo (parola la cui etimologia riconduce al
celare, al nascondere) vuol coprire, sottrarre allo sguardo. Tale
linea è la stessa che separa detto e non detto (dicibile e indicibile,
sacro e profano) e si può anche dire che essa sia la stessa che
delinea la bellezza, come estremo camuffamento e negazione di

Nove racconti dei più grandi maestri del terrore. Nove
passi in un raffinato delirio della psiche. Nove percorsi nei
gorghi insondati del fantastico. Prodigiose scoperte, sogni
rivelatori e libri maledetti. Inquietanti segni celesti, feroci
predatori, marchi oscuri e “cose” diaboliche. Tutto il campionario
del genere horror raccolto nelle pagine di alcuni dei
maestri che lo hanno reso grande. Parola di H. P. Lovecraft,
Rudyard Kipling, Arthur Machen e molti altri.
R K Scrittore e poeta inglese, tra i più noti autori per
ragazzi. Cantore dell’imperialismo britannico, dei suoi conflittuali
ideali, è meno nota la sua attività di novellista dell’insolito, del
misterioso e del terrore.
A B Giornalista e reporter di guerra, deve la sua
fortuna al Dizionario del Diavolo. Maestro del racconto breve, di
guerra e di fantasmi. Inventore, per molti versi, del genere fantastico-grottesco.
R W C Newyorkese di Brooklyn, illustratore
di formazione, scrittore per vocazione matura. Il suo capolavoro, The
King in Yellow, è un’antologia di racconti brevi legati a un tema
fortunatissimo nella letteratura del terrore: il libro maledetto.
M R J Insigne medievista e rettore del King’s
College di Cambridge, la sua fama è legata ai racconti di fantasmi:
Ghost Stories of an Antiquary (1904), A Thin Ghost and Others (1919).
J S L F Raffinato inventore del soprannaturale,
dalla produzione letteraria vastissima. Le sue storie sono popolate da
“investigatori dell’occulto”, saghe folkloriche di gnomi fate e mostri.
H P L Indiscusso genio del terrore, poeta
del più atavico sentimento umano, fu un profondo studioso dello
scandalo prodotto dal presentarsi dell’ignoto.
A M Per Stephen King è in assoluto il miglior autore di
storie di fantasmi in lingua inglese. Alla sua più fortunata opera, Il
grande dio Pan, si affianca la narrativa breve legata alle tematiche della
follia, del paganesimo e dell’occultismo.
traduzione di Giuseppe e Pietro Pascarelli
€ 18,00