Archeomatica_3_2018
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ivista trimestrale, Anno IX - Numero 3 settembre <strong>2018</strong><br />
ArcheomaticA<br />
Tecnologie per i Beni Culturali<br />
Beni Culturali Sommersi<br />
Archeologia subacquea e geomatica<br />
Rov e strumentazione a basso costo per rilievi fotogrammetrici di siti archeologici sommersi<br />
Restauro e conservazione di beni culturali in ambiente sommerso<br />
BLUMED, IMARECULTURE, LAB4DIVE
“Professore, abbiamo organizzato un numero di <strong>Archeomatica</strong> dedicato<br />
all’archeologia subacquea. Scriverà qualcosa per noi?”. “Certamente, ma<br />
ho bisogno di tempo. E mi fa molto piacere”. Con queste parole Claudio<br />
Mocchegiani Carpano aveva accettato di scrivere per questo numero di<br />
<strong>Archeomatica</strong> una sua memoria. Gli avevo chiesto un articolo introduttivo,<br />
di inquadramento al tema della archeologia subacquea e dato il suo<br />
entusiasmo mi aspettavo una specie di piccola lectio magistralis che<br />
avrebbe fatto onore ad <strong>Archeomatica</strong>.<br />
Purtroppo ci ha lasciato improvvisamente di recente e forse non sapremo<br />
mai se aveva iniziato a scrivere qualcosa per noi.<br />
È stato uno dei primi archeologi subacquei italiani. Nel 1976 aveva creato il Servizio Tecnico<br />
Archeologico Subacqueo nel Ministero per i Beni Culturali e Ambientali ove ha prestato servizio<br />
anche come Soprintendente.<br />
Aveva avviato nel 2004 il progetto Archeomar per realizzare un Sistema Informativo Geografico<br />
dell’archeologia marina localizzando anche imbarcazioni antiche ancora presenti nel fondo del<br />
mare, che tanto amava. Un progetto per censire, posizionare e documentare i beni archeologici<br />
presenti nei fondali marini delle regioni del meridione del Paese (Basilicata, Calabria, Campania<br />
e Puglia). Il sito web archeomar.it rende conto della pubblicazione di manuali, atlanti, supporti<br />
informatici e di un'enciclopedia in cinque volumi sull'archeologia marina delle regioni interessate.<br />
Inoltre, la creazione di un GIS completo e interattivo, di supporto alla gestione, valorizzazione<br />
e protezione del patrimonio archeologico subacqueo e la distribuzione alle Forze di Polizia di<br />
supporti magnetici di archivio.<br />
Famoso anche per la ricerca del 1974 quando esplorando i collettori allagati negli ipogei del<br />
Colosseo fece scavare un collettore ostruito dalla antica “spazzatura” prodotta dagli spettatori.<br />
Trovò di tutto, dagli ossi di animali feroci ai noccioli di pesca e altri residui vegetali, iniziando<br />
così una ricerca interdisciplinare attraverso la “spazzatura” del monumento per documentare<br />
realmente la vita e le attività che vi si svolgevano.<br />
Troveremo in questo numero molti articoli che basandosi sulle nuove tecnologie ci portano<br />
nuovi strumenti di indagine come Il tablet subacqueo per la documentazione e la fruizione<br />
dei siti archeologici sommersi, di Fabio Bruno, Barbara Davidde Petriaggi, Marino Mangeruga e<br />
Marco Cozza. Ma anche Tecniche di Data Fusion nell’archeologia subacquea e geomatica per la<br />
ricostruzione del paesaggio fluviale tardoantico del Po antico, di Giovanna Bucci. Per i Rilievi<br />
fotogrammetrici a basso costo di siti archeologici sommersi tramite ROV, un articolo di Elisa<br />
Costa, Francesco Guerra e Paolo Vernier. Sul come utilizzare la Tecnica Robotica per salvare i beni<br />
culturali sommersi un articolo di Ramiro Dell’Erba, Claudio Moriconi e Alfredo Trocciola.<br />
Il degrado dei materiali lapidei in ambienti sommersi è il tema dell’articolo di Mauro Francesco<br />
La Russa e Michela Ricca, come risulta dalle campagne di ricerca condotte su manufattie resti<br />
archeologici sommersi.<br />
Chiude questo numero una Guest Paper sulla Characterization and treatment study of ahandcraft<br />
brass trumpet from Dhamar Museum, Yemen di Megahed M. e Abdelbar M., che sarebbe stata<br />
destinata al prossimo numero dello speciale <strong>Archeomatica</strong> International <strong>2018</strong> ma che colma il<br />
vuoto lasciatoci da Claudio Mocchegiani Carpano al quale dedichiamo questa rassegna di articoli<br />
sul suo affascinante mondo.<br />
EDITORIALE<br />
L’archeologia subacquea nei mari,<br />
laghi, fiumi, lagune, ipogei<br />
Buona lettura,<br />
Renzo Carlucci
IN QUESTO NUMERO<br />
DOCUMENTAZIONE<br />
6 Un tablet subacqueo per la<br />
documentazione e la fruizione<br />
dei siti archeologici sommersi<br />
di Fabio Bruno, Barbara Davidde Petriaggi,<br />
Marino Mangeruga, Marco Cozza<br />
In copertina un'immagine di un archeologo<br />
subacqueo alle prese con il test del tablet<br />
sottomarino presso l'isola di Poros. (Crediti:<br />
iMareculture, Lab4dive).<br />
10 Archeologia subacquea e<br />
geomatica per la ricostruzione<br />
del paesaggio fluviale<br />
ferrarese nella Tarda<br />
Antichità: tecniche data<br />
fusion, indagini dirette e<br />
indirette di Giovanna Bucci<br />
3D Target 2<br />
Geogrà 34<br />
Geomax 47<br />
GEOmedia 40<br />
Geospatial World Forum 15<br />
Gter 20<br />
Stonex 27<br />
Teorema 46<br />
16 ROV e Strumentazione a basso<br />
costo per rilievi fotogrammetrici<br />
di siti archeologici sommersi<br />
di Elisa Costa, Francesco Guerra, Paolo Vernier<br />
Testo 21<br />
Topcon 43<br />
Vector 48<br />
ArcheomaticA<br />
Tecnologie per i Beni Culturali<br />
Anno IX, N° 3 - settembre <strong>2018</strong><br />
<strong>Archeomatica</strong>, trimestrale pubblicata dal 2009, è la prima rivista<br />
italiana interamente dedicata alla divulgazione, promozione<br />
e interscambio di conoscenze sulle tecnologie per la tutela,<br />
la conservazione, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio<br />
culturale italiano ed internazionale. Pubblica argomenti su<br />
tecnologie per il rilievo e la documentazione, per l'analisi e la<br />
diagnosi, per l'intervento di restauro o per la manutenzione e,<br />
in ultimo, per la fruizione legata all'indotto dei musei e dei<br />
parchi archeologici, senza tralasciare le modalità di fruizione<br />
avanzata del web con il suo social networking e le periferiche<br />
"smart". Collabora con tutti i riferimenti del settore sia italiani<br />
che stranieri, tra i quali professionisti, istituzioni, accademia,<br />
enti di ricerca e pubbliche amministrazioni.<br />
Direttore<br />
Renzo Carlucci<br />
dir@archeomatica.it<br />
Direttore Responsabile<br />
Michele Fasolo<br />
michele.fasolo@archeomatica.it<br />
Comitato scientifico<br />
Annalisa Cipriani, Maurizio Forte,<br />
Bernard Frischer, Giovanni Ettore Gigante,<br />
Sandro Massa, Mario Micheli, Stefano Monti,<br />
Francesco Prosperetti, Marco Ramazzotti,<br />
Antonino Saggio, Francesca Salvemini,<br />
Rodolfo Maria Strollo<br />
Redazione<br />
redazione@archeomatica.it<br />
Giovanna Castelli<br />
giovanna.castelli@archeomatica.it<br />
Elena Latini<br />
elena.latini@archeomatica.it<br />
Valerio Carlucci<br />
valerio.carlucci@archeomatica.it<br />
Domenico Santarsiero<br />
domenico.santarsiero@archeomatica.it<br />
Luca Papi<br />
luca.papi@archeomatica.it
22 La tecnologia robotica<br />
può salvare i beni culturali<br />
sommersi? di Ramiro Dell’Erba,<br />
Claudio Moriconi, Alfredo Trocciola<br />
RUBRICHE<br />
34 AGORÀ<br />
Notizie dal mondo delle<br />
Tecnologie dei Beni<br />
Culturali<br />
RESTAURO<br />
28 Il degrado dei materiali<br />
lapidei in ambiente sommerso<br />
di Mauro Francesco La Russa, Michela Ricca<br />
44 AZIENDE E<br />
PRODOTTI<br />
Soluzioni allo Stato<br />
dell'Arte<br />
46 EVENTI<br />
GUEST PAPER<br />
36 Characterization and Treatment Study<br />
of a Handcraft Brass Trumpet From<br />
Dhamar Museum, Yemen<br />
By Mohamed M. Megahed, Mohamed M. Abdelbar<br />
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<strong>Archeomatica</strong> è una testata registrata al<br />
Tribunale di Roma con il numero 395/2009<br />
del 19 novembre 2009<br />
ISSN 2037-2485<br />
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Data chiusura in redazione: 30 luglio <strong>2018</strong>
DOCUMENTAZIONE<br />
Un tablet subacqueo per la<br />
documentazione e la fruizione<br />
dei siti archeologici sommersi<br />
di Fabio Bruno, Barbara Davidde Petriaggi, Marino Mangeruga, Marco Cozza<br />
Fig. 1 - Il tablet viene utilizzato per visualizzare l’ipotesi ricostruttiva<br />
durante un’immersione nella “Villa con ingresso a protiro”.<br />
Grazie ai progetti iMARECulture<br />
e Lab4Dive, due partenariati<br />
internazionali stanno sviluppando<br />
un tablet subacqueo dedicato ai<br />
siti archeologici sommersi che è in<br />
grado sia di arricchire l’esperienza<br />
di visita da parte dei turisti che di<br />
supportare il lavoro di ispezione<br />
e documentazione condotto dagli<br />
archeologi subacquei.<br />
I<br />
siti archeologici subacquei, sia nel caso dei relitti che di strutture o città sommerse, esercitano un<br />
notevole fascino sul pubblico, sia per l’alone di mistero che li ricopre, sia per la simbiosi che si crea<br />
fra il manufatto e le creature che popolano l’ambiente marino. Tuttavia, spesso è difficile per i visitatori<br />
meno esperti riuscire ad orientarsi sott’acqua e comprendere cosa effettivamente rappresentino<br />
i resti che stanno ammirando. I visitatori seguono una guida subacquea ma, spesso, trovano difficoltà a<br />
comprendere la topografia del sito a causa della visibilità ridotta che si può avere sott’acqua oltre che<br />
per via del degrado che progressivamente i materiali subiscono. Inoltre, le informazioni su tutto ciò che<br />
potranno vedere durante l’immersione vengono fornite dalla guida durante il briefing, ovvero prima di<br />
entrare in acqua. Talvolta non è semplice ricordare quanto si è ascoltato ed associarlo a quello che si<br />
sta vedendo durante l’immersione. Inoltre, non tutti hanno la fortuna di poter visitare di persona un sito<br />
archeologico subacqueo. L’immersione subacquea, infatti, è un’attività divertente, ma anche impegnativa<br />
e richiede l’acquisizione di alcune conoscenze di base e di un vero e proprio brevetto per poterla<br />
svolgere in totale sicurezza e nel rispetto delle regole. Alla luce di queste considerazioni, nell’ambito<br />
del progetto i-MareCulture sono state sviluppate delle soluzioni tecnologiche atte a sopperire a tutte<br />
queste diverse esigenze. Da un lato, è stato sviluppato un sistema di esplorazione aumentata rivolto<br />
ai subacquei che effettuano la visita in immersione di un sito archeologico e che consenta loro di avere<br />
a disposizione una guida virtuale che fornisca informazioni contestualizzate in base alla specifica<br />
6 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 7<br />
area che si sta visitando. Dall’altro lato, è stato realizzato<br />
un sistema virtuale di immersione subacquea in modo da<br />
permettere a tutti, dai più piccoli ai più grandi, di poter<br />
ammirare il patrimonio culturale sommerso, senza la<br />
necessità di effettuare un’immersione subacquea e senza<br />
bagnare nemmeno un capello.<br />
i-MareCulture (Immersive serious games and augmented<br />
reality as tools to raise awareness and access to european<br />
underwater culture) è un progetto di ricerca finanziato<br />
dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma<br />
Horizon2020 ed è sviluppato da un partenariato, coordinato<br />
dalla Cyprus University of Technology, in cui per l’Italia<br />
partecipano l’Istituto Superiore per la Conservazione<br />
e il Restauro e la 3D Research s.r.l.. Lo scopo principale<br />
del progetto è quello di riconnettere tra loro i Paesi del<br />
Mediterraneo, promuovendo un senso comune di identità<br />
Europea, attraverso la conoscenza, la valorizzazione e la<br />
salvaguardia del patrimonio archeologico sommerso, simbolo<br />
per eccellenza dello scambio culturale e commerciale<br />
da sempre in atto nel Mare Mediterraneo. Ed è proprio<br />
per favorire tale obiettivo che diventa ancora più importante<br />
rendere accessibile al grande pubblico il patrimonio<br />
sommerso, attraverso l’uso di tecnologie interattive,<br />
realtà virtuale e realtà aumentata subacquea. Sono state<br />
esattamente queste le motivazioni che hanno spinto alla<br />
realizzazione delle soluzioni tecnologiche citate prima.<br />
Il sistema di realtà aumentata e navigazione 3D è basato<br />
sull’uso di uno speciale tablet subacqueo provvisto di<br />
un sistema di localizzazione che permette ai subacquei di<br />
conoscere la propria posizione all’interno del sito, di ricevere<br />
informazioni sui punti di interesse, sulla profondità<br />
e sul tempo di immersione. Una prima versione del tablet<br />
subacqueo era stata realizzata (dal 2014 al 2016) nell’ambito<br />
del progetto VISAS (Valorizzazione integrata dei Siti<br />
Archeologici Sommersi) per migliorare la fruibilità dei siti<br />
archeologici sommersi. Una delle sfide per realizzare un<br />
sistema di questo tipo è legata al fatto che nell’ambiente<br />
subacqueo i classici sistemi di posizionamento terrestri,<br />
come ad esempio il GPS, non funzionano poiché il segnale<br />
proveniente dai satelliti viene attenuato dall’acqua al<br />
punto che riesce a penetrare solo per pochi centimetri al<br />
di sotto della superficie del mare. In natura esistono diverse<br />
specie che utilizzano segnali acustici per orientarsi,<br />
come ad esempio i delfini, il cui senso principale è proprio<br />
l’udito e la cui più importante forma di comunicazione è<br />
appunto quella sonora. Le onde acustiche infatti, a differenza<br />
di quelle elettromagnetiche, si propagano benissimo<br />
sott’acqua. Il sistema di posizionamento subacqueo<br />
utilizzato nei progetti i-MareCulture e Lab4Dive è in grado<br />
quindi di sopperire all’assenza del segnale GPS in ambiente<br />
sottomarino attraverso un sistema di comunicazione<br />
acustica, basato su emettitori ad ultrasuoni, che operano<br />
su frequenze non udibili dagli esseri umani. Grazie a<br />
tale sistema di posizionamento acustico, il tablet fornisce<br />
ai sommozzatori le informazioni sulla propria posizione<br />
all’interno del sito, profondità alla quale si trovano,<br />
direzione e percorso da seguire per raggiungere i diversi<br />
manufatti e punti di interessi.<br />
L’interfaccia grafica del tablet (Figura 1) è in grado di fornire<br />
molte informazioni utili all’utente, come ad esempio<br />
il tempo di immersione, la profondità e la temperatura<br />
dell’acqua, la qualità del segnale acustico, le informazioni<br />
sul percorso e sui punti di interesse già visitati e quelli<br />
da visitare, migliorando l'esperienza di visita del sito sia<br />
per i subacquei ricreativi che per quelli tecnico-scientifici.<br />
Il tablet permette inoltre, durante una visita ad un sito<br />
Fig. 2 - Interfaccia utente visualizzata sul tablet subacqueo.<br />
archeologico subacqueo, di scattare foto geo-localizzate<br />
dei momenti più emozionanti dell’immersione. Questa<br />
funzionalità risulta utile non solo dal punto di vista ricreativo<br />
ma anche da quello professionale. Infatti, durante<br />
un’immersione di tipo tecnico il sub, oltre ad avere una<br />
maggiore cognizione della sua posizione all’interno del<br />
sito, può documentare in maniera più accurata e semplice<br />
rispetto al passato, le attività svolte attraverso la scrittura<br />
di note, l’acquisizione di foto e video, con il vantaggio di<br />
poter conoscere il punto preciso dove ognuna di queste è<br />
stata prodotta. Ma le novità che questo particolare tablet<br />
porta nel mondo sottomarino non sono finite. Anzi, quella<br />
di cui dobbiamo ancora parlare è forse l’applicazione più<br />
innovativa in ambito subacqueo fra quelle che abbiamo<br />
descritto. Attraverso il tablet, infatti, è anche possibile visualizzare<br />
in realtà aumentata le ipotesi ricostruttive delle<br />
strutture sommerse. Per capire meglio di cosa si tratta<br />
possiamo vedere l’esempio mostrato in Figura 2, nel quale<br />
un sub si trova in un sito archeologico e sta visitando i<br />
resti di un’antica villa. Attivando la funzionalità di realtà<br />
Fig. 3 - Visualizzazione sul tablet subacqueo dell’ipotesi ricostruttiva<br />
della stanza del mosaico.
Fig. 4 - Test del sistema presso l'isola di Poros.<br />
aumentata sul tablet, il sub è in grado di visualizzare l’ipotesi<br />
ricostruttiva della villa e di comprendere più a fondo<br />
le antiche rovine che sta visitando, osservando non solo<br />
quello che “è” ma anche quello che probabilmente “era”.<br />
Le ipotesi ricostruttive vengono realizzate attraverso un<br />
preciso flusso di lavoro che parte dal rilievo 3D del sito,<br />
realizzato attraverso la combinazione di tecniche ottiche<br />
e acustiche, per arrivare fino alla modellazione delle ipotesi<br />
ricostruttive. Tutti i passaggi vengono realizzati grazie<br />
alla stretta collaborazione fra archeologi, modellatori e<br />
sviluppatori.<br />
Il sistema sarà completato entro l’estate del 2019 e fino ad<br />
allora verranno effettuati numerosi test prima del rilascio,<br />
per migliorare il più possibile l’esperienza dell’utente. Attualmente,<br />
grazie alla collaborazione attivata con il Parco<br />
Archeologico dei Campi Flegrei, un primo test ufficiale è già<br />
stato effettuato nel sito pilota del Parco Sommerso di Baia,<br />
nel comune di Bacoli (NA). In particolare l’area scelta per<br />
la sperimentazione ricade all’interno della cosiddetta “Villa<br />
con ingresso a protiro”, una delle tante lussuose residenze<br />
private che furono erette da aristocratici e facoltosi romani<br />
lungo l’amena costa di Baia con l'intento di villeggiarvi<br />
all'insegna dell'otium. Nell’atrio di questa villa, era un vano<br />
che probabilmente è da ritenersi una stanza da letto. Il pavimento<br />
di questo vano è impreziosito da uno splendido mosaico<br />
a tessere bianche e nere con una decorazione a pelte,<br />
tuttora visibile, che possiamo vedere in Figura 3.<br />
Un sub in immersione nella villa può così visualizzare in<br />
realtà aumentata l’ipotesi ricostruttiva di alcune aree tramite<br />
il tablet (Figura 3).<br />
Questo sistema basato sul tablet subacqueo, grazie al progetto<br />
Lab4Dive (Mobile Smart Lab for augmented archaeological<br />
dives), finanziato nell’ambito del programma EMFF<br />
dell’Unione Europea, diventa un vero e proprio laboratorio<br />
portatile low cost che aiuta gli archeologi subacquei durante<br />
le attività di rilievo, documentazione e conservazione<br />
del patrimonio archeologico sommerso. Il progetto,<br />
partito nel marzo 2017, vanta diversi partner, quali: 3D<br />
Research s.r.l., l’Università Politecnica delle Marche, la<br />
società greca Atlantis Consulting e l’Hellenic Institute of<br />
Marine Archaeology (H.I.M.A.). Gli archeologici subacquei<br />
possono esplorare relitti e siti archeologici sommersi utilizzando<br />
il tablet per orientarsi anche in condizioni di scarsa<br />
visibilità, grazie alle funzionalità di navigazione aumentata<br />
e alla possibilità di pianificare, attraverso un apposito<br />
software, le attività prima di effettuare l’immersione. Il<br />
sistema consente inoltre di annotare aree di interesse direttamente<br />
durante l’immersione, memorizzando il punto<br />
esatto in cui è stata scattata la foto o è stata scritta la<br />
nota. A fine immersione, tutti i dati acquisiti tramite il tablet<br />
sono memorizzati su un sistema cloud per poter essere<br />
visualizzati ed elaborati successivamente. Il tablet, inoltre,<br />
si interfaccia ad una camera ad alta risoluzione per<br />
acquisire automaticamente un set di foto che possono essere<br />
utilizzate per produrre una mappa 3D del sito o di una<br />
porzione di esso. Le caratteristiche del sistema Lab4Dive<br />
consentono di velocizzare e semplificare le attività di documentazione<br />
dei siti archeologici sommersi. Attualmente<br />
è in corso la sperimentazione e la validazione del sistema<br />
attraverso attività di documentazione e rilievo da parte<br />
degli archeologi dell’H.I.M.A. su un relitto risalente all’età<br />
del bronzo presso l’isolotto di Modi, a sud est dell’isola di<br />
Poros, nel Golfo Saronico in Grecia (Figura 4).<br />
Tornando al progetto i-MareCulture, per quanto riguarda<br />
il sistema di realtà virtuale, è stata sviluppata un’applicazione<br />
che permette di effettuare un’immersione virtuale<br />
in alcuni siti archeologici subacquei del Mar Mediterraneo.<br />
L’immersione virtuale può essere effettuata utilizzando diversi<br />
tipi di Head Mounted Display (HMD) quali l’HTC Vive,<br />
il Samsung Gear VR o il Google Daydream sfruttando le<br />
potenzialità di questi dispositivi che consentono una piena<br />
libertà di movimento e di interazione con l’ambiente<br />
virtuale. La visita virtuale può avvenire in due differenti<br />
modalità, una con l’acqua ed una senza (Figura 5). La prima<br />
modalità è una rappresentazione realistica del sito e<br />
Fig. 5 - Le due diverse modalità di immersione virtuale. (sx) Con acqua: Visibilità ridotta e colori alterati. (dx) Senza acqua: Visibilità buona e colori reali.<br />
8 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 9<br />
dell’ambiente subacqueo, ottenuta attraverso tecniche di<br />
computer grafica per riprodurre le condizioni ambientali<br />
tipiche di una scena subacquea (Figura 5a). Gli effetti grafici<br />
riproducono quindi la torbidità dell’acqua, l’assorbimento<br />
della componente rossa dello spettro luminoso che<br />
aumenta con la profondità di immersione, la rifrazione e<br />
la riflessione della luce causate dalle particelle sospese<br />
nell’acqua. La seconda modalità di visualizzazione, invece,<br />
permette di osservare il sito in maniera più chiara e<br />
nitida senza alcun effetto grafico volto a simulare la limitata<br />
visibilità dell’ambiente subacqueo (Figura 5b). L’utente<br />
in questa modalità ha l’impressione che l’acqua sia<br />
stata rimossa e può visualizzare i resti archeologici con il<br />
loro colore naturale. Inoltre, così come avviene sul tablet<br />
attraverso la realtà aumentata, è possibile visualizzare<br />
anche in questo sistema di realtà virtuale l’ipotesi ricostruttiva<br />
dei resti archeologici che si stanno osservando<br />
(Figura 6). In questo caso naturalmente l’impatto visivo<br />
ed emotivo è maggiore perché è un’esperienza di tipo immersivo<br />
con una qualità di visualizzazione più alta rispetto<br />
ad un’osservazione del modello ricostruito sul più piccolo<br />
schermo del tablet. Durante la visita al sito si possono visualizzare<br />
delle schede informative di approfondimento e<br />
dei video che, seguendo l’approccio tipico dello storytelling,<br />
forniscono all’utente i contenuti didattici attraverso<br />
la narrazione effettuata da attori reali che vestono i panni<br />
di personaggi dell’epoca di riferimento e accompagnano<br />
l’utente nel suo viaggio recitando un ruolo coerente con<br />
la storia del luogo che si sta visitando. I video, realizzati<br />
dall’Università di Sarajevo, sono fruibili sempre attraverso<br />
gli HMD e, pertanto, sono stati realizzati con un campo<br />
visivo di 360 gradi. L’utente potrà dunque, durante l’esplorazione,<br />
attivare in sequenza i video a 360 gradi disposti<br />
nell’ambiente virtuale per “entrare nel vivo della storia”.<br />
In Figura 6 è possibile vedere un esempio dei video a 360<br />
gradi, nel quale il padrone della “Villa con ingresso a Protiro”<br />
sta accompagnando un ragazzo attraverso le varie<br />
stanze, raccontando dettagli e curiosità riguardo la sua<br />
residenza estiva.<br />
Fig. 6 - Esplorazione virtuale dell’ipotesi ricostruttiva della villa.<br />
Abstract<br />
Within the i-MareCulture and Lab4Dive projects, an international partnership<br />
is developing different technologies for both in-situ and virtual underwater<br />
exploration. In particular, an underwater tablet dedicated to the archaeological<br />
sites is being developed to improve the recreational diving experience<br />
and support the research activities conducted by the archaeological divers.<br />
This tablet allows the diver to recognize his position in the underwater site,<br />
to acquire geo-localized photos and notes and to visualize the hypothetical<br />
reconstruction of the underwater remains through the augmented reality. In<br />
addition, it has been realized a virtual diving application that enables every<br />
user to explore some different underwater archaeological sites of the Mediterranean<br />
Sea without the need to conduct a proper dive. This virtual visit can<br />
be enjoyed by means of different Head Mounted Displays (HMDs), such as the<br />
HTC Vive, the Samsung Gear VR or the Google Daydream, exploiting the features<br />
of these devices to interact with the virtual environment. During the visit,<br />
additional information can be obtained playing some videos realized with the<br />
typical approach of the storytelling and a 360° field of view.<br />
Parole chiave<br />
Archeologia subacquea; documentazione; fruizione; tablet subacqueo;<br />
realtà virtuale; realtà aumentata; geolocalizzazione<br />
Autore<br />
Fabio Bruno<br />
fabio.bruno@unical.it<br />
Università della Calabria, Rende (CS)<br />
Marino Mangeruga<br />
marino.mangeruga@unical.it<br />
Università della Calabria, Rende (CS)<br />
Barbara Davidde Petriaggi<br />
barbara.davidde@beniculturali.it<br />
Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro, Roma<br />
Marco Cozza<br />
info@3dresearch<br />
3D Research s.r.l. , Rende (CS)<br />
Fig. 7 - Visuale a 360 gradi della narrazione virtuale all'interno della "Villa con ingresso a protiro".
DOCUMENTAZIONE<br />
Archeologia subacquea e geomatica per la ricostruzione<br />
del paesaggio fluviale ferrarese nella Tarda Antichità:<br />
tecniche data fusion, indagini dirette e indirette<br />
di Giovanna Bucci<br />
Il Progetto ASAI – Archeologia<br />
Subacquea delle Acque Interne,<br />
coordinato dalla scrivente, è<br />
incentrato sulla sperimentazione<br />
metodologica scientifica<br />
multidisciplinare per lo studio,<br />
la ricerca e la ricostruzione del<br />
paesaggio fluviale antico. Il sito<br />
della prima sperimentazione<br />
completa si colloca presso il<br />
Lago Tramonto, Gambulaga –<br />
Portomaggiore (FE – Figg. 1-2).<br />
Fig. 1 – Immagine satellitare Google Earth della provincia di Ferrara: al centro, indicato da picchetto rosso il sito<br />
oggetto di studio (accesso Google Earth 13/09/<strong>2018</strong>)<br />
Il programma, nato nel 2009, procede ora nell’ambito<br />
del LAS – Laboratorio di Archeologia Subacquea del<br />
Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di<br />
Padova (in collaborazione con Federazione ITA F07 CMAS<br />
Diving Center Italia – Confédération Mondiale des Activités<br />
Subaquatiques, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e<br />
Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province<br />
di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, settore Archeologia,<br />
Comune di Portomaggiore, Agriturismo ai due Laghi del<br />
Verginese).<br />
Alla luce di una approfondita indagine bibliografica e<br />
delle fonti, dopo aver riesaminato foto aeree e satellitari<br />
(già oggetto di studio in lavori precedenti – Bucci <strong>2018</strong>),<br />
stiamo elaborando la sommatoria dei dati raccolti per la<br />
ricostruzione del paesaggio antico ai fini della valorizzazione<br />
del patrimonio culturale locale, ancora poco noto.<br />
La scarsa visibilità e la morfologia delle sponde del lago<br />
Tramonto non consentendo agile osservazione autoptica<br />
delle emergenze archeologiche e hanno portato all’uso di<br />
tecniche remote sensing per topografia e rilevamenti in<br />
immersione, con particolare riferimento al posizionamento<br />
di strutture e reperti e relativa misurazione. In tal senso le<br />
tecniche di geomatica hanno dato un importante contributo<br />
alla comprensione del sito.<br />
CONTESTO DELLA RICERCA<br />
Il contesto idrografico tardoantico e medievale del Delta<br />
ferrarese è caratterizzato dalla presenza di assi idroviari<br />
che si sviluppano attraverso meandri e settori rettilinei.<br />
Questi ultimi sono il risultato della regimazione degli alvei,<br />
certamente frequentati sin dalla fase etrusca. Il Po “grande”<br />
si diramava in direzione Est – Sudest separandosi in Po di<br />
Volano - Olana, Po di Spina – Eridanus e, successivamente, a<br />
Sud, in Po di Primaro.<br />
Il c.d. Po di Spina, noto dalle fonti (cfr. Calzolari 2004),<br />
attraversa nella fase romana e medievale, i centri di<br />
Voghiera – Voghenza, un vicus (http://www.archeobologna.<br />
beniculturali.it/Ferrara/area.htm#Necropoli_Romana_di_<br />
Voghenza), di Gambulaga, le aree boschive di Rovereto<br />
(già Roburetum), il territorio di Ostellato per giungere a<br />
Comacchio, il Castrum Cumiacli, nei pressi della Chiesa<br />
di Santa Maria in Padovetere (Fabbri 1987, Patitucci<br />
Uggeri 2002b, Corti 2007), recentemente oggetto di<br />
indagini archeologiche da parte della Soprintendenza in<br />
collaborazione con il Comune di Comacchio; tali ricerche<br />
hanno messo in luce anch’esse un settore del margine<br />
spondale settentrionale del ramo fluviale oggetto di studio,<br />
facendo emergere uno scafo ligneo cucito e alcune piroghe<br />
monossili (http://www.archeobologna.beniculturali.it/fe_<br />
comacchio/imbarcazioni_2014.htm).<br />
In corrispondenza del settore centrale del paleoalveo del<br />
Po di Spina, Eridanus, il fiume si suddivide in direzione del<br />
Reno, parallelamente al Sandalo, per deviare verso una<br />
piccola frazione del Comune di Portomaggiore, Gambulaga<br />
10 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 11<br />
(cfr. Bondesan, Masè 1984; Calabrese, Centineo & Cibin<br />
2009; Luetti, Veronese & Brunaldi 2005; Stefani 2006), zona<br />
interessata da poli estrattivi di sedimenti fini attivi negli<br />
Anni Novanta, ora dismessi e convertiti in oasi naturalistiche<br />
lacustri. Il Lago Tramonto è un bacino artificiale in falda<br />
che si sviluppa all’interno di un paleoalveo con meandro<br />
orientato verso Nordest (Fig. 3) e margine spondale<br />
settentrionale caratterizzato da un alto dosso parafluviale<br />
(m +2 - 5,00 slm). Il contesto stratigrafico è caratterizzato<br />
da alternanze di argille, limi, sabbie; le acque sono<br />
verdi e prevalentemente opache a causa del sedimento<br />
fine in sospensione insieme alle alghe. Il fiume storico è<br />
riconoscibile nelle foto aeree e satellitari.<br />
La scoperta occasionale della necropoli dei Fadieni nel<br />
2002 (Berti 2006), durante lavori agricoli presso l’adiacente<br />
Podere Santa Caterina a Nord del Lago, e i successivi studi<br />
nell’ambito archeologico subacqueo, hanno messo in luce<br />
la frequentazione del sito dall’Epoca Imperiale all’Alto<br />
Medioevo (Bucci 2010a, 2010b, 2015, <strong>2018</strong>a, <strong>2018</strong>b). Dopo<br />
gli scavi archeologici dell’area funeraria, è stato portato<br />
a termine un progetto di ricognizioni archeologiche in<br />
immersione e studi degli antichi settori fluviali al fine<br />
di ricostruire il sistema idrografico antico del territorio<br />
ferrarese caratterizzato da forme di insediamento sparso.<br />
Lo sviluppo del fiume influenza la distribuzione del sistema<br />
insediativo, degli sviluppi commerciali e dei trasporti<br />
attraverso le acque interne (Patitucci Uggeri 2002a, 2002b,<br />
2016).<br />
Le ricognizioni subacquee condotte fra 2009 e <strong>2018</strong>, fino<br />
alla profondità -12m, insieme a indagini strumentali<br />
effettuate su tutto il lago, hanno fatto emergere nuovi<br />
dati circa la realtà insediativa del paleoalveo di Po. La<br />
presenza di laterizi con marchio di fabbrica Pansiana (a<br />
proposito della produzione Pansiana v. Pellicioni 2012),<br />
reperti ceramici (contenitori, quali anfore, vasellame da<br />
cucina, tegami per la cottura) romani e medievali hanno<br />
consentito di documentare la continuità di uso del territorio<br />
attraverso i secoli (Bucci <strong>2018</strong>a). L’antropizzazione si<br />
attesta sulla sponda settentrionale del fiume, oggi circa in<br />
corrispondenza del limite Nord del lago.<br />
METODOLOGIA E TECNICA DELLA RICERCA<br />
ARCHEOLOGICA DEL PROGETTO ASAI<br />
Sul sito sono state condotte indagini dirette e indirette<br />
riconducibili a quattro attività sul campo fondamentali:<br />
survey a terra nei pressi del lago, carotaggi geo-archeologici,<br />
ricognizioni subacquee, survey idrografico (ricerche<br />
corredate da rilievi, foto, video). A ciò si aggiungono esame<br />
delle foto aeree e satellitari, rilettura da software dedicato<br />
dei dati da echo side scan sonar, geomatica applicata<br />
all’archeologica con analisi della cartografia storica,<br />
delle fonti e della bibliografia, inventario e catalogazione<br />
dei reperti e ripartizione percentuale degli stessi, analisi<br />
archeometriche di manufatti fittili (Rambaldi 2013) e<br />
analisi petrografiche di campioni prelevati dalla stratigrafia<br />
(Facchini 2017).<br />
Nella prima fase dei lavori ci siamo posti il quesito di come<br />
effettuare e con quali mezzi le ricognizioni in ambiente di<br />
scarsa visibilità: uno dei principali problemi è stato come<br />
misurare ciò che non si riusciva a vedere in immersione.<br />
Era necessario, una volta compreso dove effettivamente<br />
si trovasse l’area ai di maggiore interesse archeologico,<br />
effettuare una ricognizione con lo scopo di ottenere dati<br />
di misura e corretta posizione dei rinvenimenti al fine di<br />
correlarli e stabilire rapporti tra strutture e oggetti. Il survey<br />
autoptico aveva diversi limiti. L’ambiente fluviale/lacustre<br />
Fig. 2 – Lago Tramonto, Gambulaga – Portomaggiore (FE): sponda settentrionale<br />
(foto Autore <strong>2018</strong>).<br />
è caratterizzato da scarsa visibilità (sospensione argillosa)<br />
e superfici discontinue (canyon, buche, frane, tronchi<br />
d’albero); le foto leggibili possono essere solo ravvicinate<br />
o macro; i sistemi fotogrammetrici non si confanno a<br />
questo tipo di superfici e visibilità; in questo caso il video<br />
mapping è gestibile solo a corto raggio, non consentendo<br />
la panoramica di insieme per correlare i rinvenimenti e a<br />
causa della discontinuità morfologica del fondale, unita al<br />
sedimento soffice che entra in sospensione obnubilando la<br />
prospettiva di indagine (il sito subacqueo è lungo circa m<br />
200,00). Ci siamo quindi dotati di echo side scan sonar con<br />
software di lettura dati, per verificare a computer i dati<br />
delle scansioni.<br />
Il survey indiretto è stato effettuato mediante strumento<br />
integrato GPS-ecoscandaglio side scan sonar Humminbird<br />
1198c SI Combo. Sono state rilevate 7 planimetrie 3D, 2<br />
sezioni cumulative 3D (Nord-Sud ed Est-Ovest) elaborate<br />
con software dedicato Drdepth.se (v. Bucci 2015 e <strong>2018</strong>);<br />
sono stati selezionati 25 snapshot, ciascuno dei quali con<br />
visone DI (down image) e SI (side image), grazie al software<br />
Humviewer, per un totale di 25 rilievi di anomalie.<br />
Gli step dell’applicazione geomatica proposta hanno visto<br />
innanzitutto la collocazione di punti georeferenziati su<br />
bordo e fondo lago, suddivisione sistematica dell’area<br />
di indagine in swath / transetti con modulo geometrico<br />
ripetibile, agganciato alle coordinate geografiche, survey<br />
idrografico, schematizzazione su livelli sovrapposti di<br />
Fig. 3 – Gambulaga – Portomaggiore (FE). Tracciato dei principali paleoalvei a Nord di Portomaggiore:<br />
in alto il tratto dell’Eridanus con regimazione artificiale antica (rettilineo), in basso<br />
il corso del Sandalo (elaborazione G. Bucci su immagine satellitare Google Earth <strong>2018</strong>).
Fig. 4 - Lago Tramonto, Gambulaga – Portomaggiore (FE): rilievo 3D<br />
con georeferenziazione satellitare nel sistema Google Earth (elaborazione<br />
di G. Zuffi – Hydrosynergy).<br />
Fig. 5 – Lago Tramonto, Gambulaga (FE). Immagine da echo-side scan sonar aperta<br />
con Humviewer e 4 immagini relative al margine spondale: strati di argilla compatta,<br />
palo infisso verticale, tronco orizzontale in piano, tronco in seconda giacitura (Foto<br />
Autore 2016-<strong>2018</strong>).<br />
morfologia e rinvenimenti, misurazione indiretta. La fase<br />
di data fusion ha contemplato il susseguirsi di proiezioni di<br />
visualizzazioni side image e down image confrontate con<br />
proiezioni di video subacquei realizzati direttamente in<br />
immersione da chi scrive.<br />
Considerando le diverse tecniche di rilevamento e analisi<br />
dei parametri metrici e fisici dell’ambiente, per la<br />
topografia abbiamo provveduto a inserire il rilievo 3D con<br />
georeferenziazione satellitare nel sistema Google Earth,<br />
posizionando la planimetria a sua volta connessa con<br />
riferimenti di profondità geolocalizzati (Fig. 4).<br />
Grazie a un accurato esame della documentazione con<br />
software dedicato è stato portato a termine il rilevamento<br />
di anomalie di fondale con misurazione e registrazione dei<br />
dati metrici anche per poter organizzare nuove ricognizioni<br />
subacquee specifiche.<br />
La strumentazione ha consentito di verificare presenza,<br />
iso-orientamento e dati metrici di lunghi tronchi adoperati<br />
per rinforzare i margini spondali del fiume, ha ampliato<br />
la conoscenza del sito, le prospettive di indagine e<br />
dilatato la cronologia della frequentazione, a seguito del<br />
riconoscimento deduttivo di anomalie di fondale. Grazie<br />
al posizionamento di questi punti, ci siamo immersi per<br />
completare la documentazione del sito subacqueo e<br />
verificare quanto riscontrato dal remote sensing (Fig. 5).<br />
DATI ARCHEOLOGICI E PRINCIPALI SCOPERTE 2016-<strong>2018</strong><br />
L’analisi stratigrafica dell’area si presenta con una sequenza<br />
di tre paleosuoli intervallati da strati alluvionali depositati<br />
dalle esondazioni fluviali. Il carotaggio geo-archeologico<br />
portato a termine nel 2017 sintetizza l’evoluzione della<br />
sponda Nord del ramo di Po (Bucci <strong>2018</strong>a). Il piano di<br />
calpestio più antico si trova a m -7,00 circa (argilla limosa<br />
violacea con tracce vegetali), coperto da uno strato di limo<br />
grigio con malacofauna di acqua dolce; a m -5,50 si attesta il<br />
paleosuolo romano con micro frammenti di laterizi; una serie<br />
di strati di sabbia, limo e argilla grigi coprono la fase protoimperiale;<br />
a m -3,20 di profondità circa si trova il piano di<br />
calpestio tardoantico-medievale, successivamente coperto<br />
da alluvioni di limo beige. La stratigrafia trova riscontro con<br />
le prime sezioni rilevate in immersione nel 2009 (Bucci 2010a,<br />
2010b). Proprio dallo strato argilloso compatto del periodo<br />
tardo sono state trovate nelle ricognizioni subacquee <strong>2018</strong><br />
anfore Late Roman ascrivibili al V sec. d.C.<br />
Fig. 6 – Lago Tramonto, Gambulaga (FE), palo infisso e palo lavorato orizzontale con tracce di legatura (foto Autore 2016).<br />
12 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 13<br />
Fig. 7 – Lago Tramonto, Gambulaga (FE), frammenti di travi e pali su dosso limoso (foto Autore 2016).<br />
Di straordinario interesse i ritrovamenti in legno: undici<br />
pali allineati con diametro compreso tra cm 10,00 e<br />
20,00, infissi in uno strato di argilla grigio scuro compatto,<br />
coperto da uno strato di argilla limosa marrone chiaro<br />
sterile; a Ovest della struttura si trovano quattro pali<br />
con diametro pari a cm 25,00, forse la fondazione di una<br />
torretta di guardia (Fig. 6). Una trave con scasse lunga m<br />
6,00, una trave con fori insieme ad altri pezzi sparsi in<br />
crollo giacciono su un dosso limoso (Fig. 7). Due lunghi e<br />
grossi tronchi (diametro m 1,00) dall’estremità biforcuta,<br />
giacciono isorientati in direzione Nordovest (Fig. 8).<br />
Tronchi tagliati con criteri di utilità si riscontrano in tutto<br />
il contesto di frequentazione: pali rastremati, lisci, con<br />
e senza tagli insieme a tronchi con diametro di cm 10-<br />
15,00 recanti tracce di legatura. Si tratta forse di elementi<br />
costruttivi di zattere, anticamente fissati gli uni agli altri<br />
da fibre vegetali o animali. Nel settore Est del margine<br />
spondale, ben ravvisabile dalle immagini ricavate dalla<br />
lettura dei dati da echo side scan sonar, si trovano tre<br />
lunghi tronchi dislocati secondo l’asse idroviario, forse<br />
parte della struttura della banchina, evidentemente<br />
progettata con elementi verticali di fissaggio e margini<br />
rinforzati con lunghe barre contenitive.<br />
I reperti lignei riconducibili a imbarcazioni monossili (frr di<br />
prua/poppa e di carena), un tronco scavato internamente<br />
in modo parziale, elementi lignei con tracce di lavorazione<br />
e legatura, inducono a formulare l’ipotesi della presenza<br />
in sito di un piccolo cantiere per la costruzione di piroghe e<br />
zattere attivo presso la banchina fluviale. Il confronto con<br />
imbarcazioni simili scoperte nel ferrarese, la compresenza<br />
di ceramica tardoantica – medievale portano, anche grazie<br />
al confronto bibliografico, a collocare le scoperte più<br />
recenti al V-VI sec. d.C.; grandi alluvioni con esondazioni<br />
fluviali hanno successivamente distrutto il quartiere<br />
abitato.<br />
PERIODIZZAZIONE E IPOTESI DI RICOSTRUZIONE STORICA<br />
La tecnica data fusion proveniente dalla sinergia tra le<br />
differenti discipline (in particolare archeologia, geologia,<br />
idrologia, archeometria) ha permesso di individuare<br />
una periodizzazione suddivisa in sei momenti principali:<br />
Periodo I I-II sec. d.C. (romano imperiale), documentato<br />
principalmente dalla necropoli dei Fadieni, forse con una<br />
prima fase di regimazione fluviale; Periodo II, III-IV sec.<br />
d.C., alluvione; Periodo III, IV-V sec. d.C. Tarda Antichità,<br />
torretta e cantiere delle piroghe; Periodo IV, VI-XV sec. d.C.,<br />
alluvione medievale, impaludamento del fiume; Periodo V,<br />
XVI-XVIII, Rinascimento e fase post rinascimentale: riduzione<br />
del fiume a Canale del Verginese, costruzione della Delizia;<br />
Periodo VI, XIX-XXI, dall’Età Moderna alla contemporaneità:<br />
Fase1, sec. aziende agricole, Fase 2, cave, Fase 3 oasi<br />
naturalistica.<br />
Fig. 8 – Lago Tramonto, Gambulaga (FE), zona Nord: tronco gigante<br />
Est (foto Archivio CDCI).
Fig. 9 - Lago Tramonto, Gambulaga (FE): a sinistra due probabili frammenti di poppa<br />
di piroghe monossili tardoantiche (foto Autore <strong>2018</strong>), a destra i rilievi di M. Bonino<br />
delle imbarcazioni di Valle Isola – Comacchio (FE) (da Bonino 1978).<br />
CONCLUSIONI<br />
Allo stato attuale degli studi, leggendo la sequenza di<br />
contesto attraverso dati stratigrafici e lacerti di strutture,<br />
associando la cronologia indicata dai reperti fittili, è<br />
possibile ipotizzare la ricostruzione storica del margine<br />
spondale settentrionale del nel periodo tardoantico.<br />
Il dosso parafluviale era certamente abitato. Nonostante<br />
non si sia ancora in possesso di dati specifici per strutture<br />
abitative, la frequentazione del margine spondale doveva<br />
essere legata a un insediamento locale caratterizzato<br />
da costruzioni in materiali poveri (laterizi di reimpiego,<br />
argilla, legno, canne e paglia), con un settore produttivo<br />
connesso con i trasporti idroviarii. Sussistono forse i pali<br />
della porzione inferiore di una torre di osservazione<br />
(seguendo anche la possibile indicazione topografica<br />
della vicinissima località La vedetta); a Est della torretta<br />
si trova la sponda con pali infissi, affiancata da materiali<br />
in dispersione relativi a imbarcazioni: piroghe e zattere<br />
(Fig. 9). Il confronto nautico più diretto si riscontra negli<br />
gli esemplari di piroga rinvenuti in Valle Isola (Comacchio<br />
– FE), monossile A e B, e Massafiscaglia - FE) (Berti 1983,<br />
1987; Bonino 1978), cronologicamente collocabili tra IV e<br />
VI sec. d.C. Il prosieguo degli studi anche con l’ausilio di<br />
indagini archeobotaniche potrà contribuire a formulare una<br />
datazione più precisa.<br />
Il progetto di valorizzazione integrata dell’Oasi ai Due<br />
Laghi del Verginese appena iniziato vedrà l’allestimento<br />
sulla sponda del lago di un percorso didattico corredato<br />
di pannelli illustrativi, in prossimità del sito archeologico<br />
subacqueo. Sul fondo del bacino, seguendo l’andamento<br />
del margine antico (tra m -3 e -8,00 di profondità) verrà<br />
tracciato un itinerario per immersioni scientifiche con<br />
didascalie esplicative dei reperti.<br />
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Abstract<br />
In the ambit of ASAI Project – Archeologia Subacquea delle Acque Interne we are<br />
involved on reconstruction of a Late Roman Fluvial Bank, on the palaeo-watercourse<br />
of the River Po in the Southern Delta (Ferrara District). The prototype<br />
site investigated is the artificial basin called Lago Tramonto, Gambulaga – Portomaggiore<br />
(FE), ex sand quarry. After historical, archaeological, ancient sources<br />
studies, we begun direct surveys on land and underwater, detecting structures<br />
and pieces of boat, collecting more than 200 findings; thanks to some geomatic<br />
applications with echo side scan sonar and dedicated software, we performed 3D<br />
plan-views and sections of the ex river; we detected important wood archaeological<br />
evidences, related to Roman and Late Roman life. A great session of underwater<br />
video allowed us to comprehend the ancient contest: a structured river bank<br />
with fragments of pyrogae and pieces of rafts. Archaeological findings, presence<br />
of structures, boats, geomorphological evidences with anthropic layers offer the<br />
bases for a waterscape site reconstruction. The hypothesis of reconstruction will<br />
be displayed on panels at the cultural center on the Northern Bank of the River,<br />
in the ambit of cultural heritage integrated valorization. Here we are going to<br />
introduce an updating synthesis of our work, with peculiar attention to methodology<br />
of the research (geomatic sector) and hypothesis of reconstruction of the<br />
main wood Late Roman Structures, with some notes about nautical archaeology.<br />
Parole chiave<br />
archeologia subacquea; geomatica; paleoalveo; Po; Ferrara; banchina<br />
fluviale; piroga monossile; tardoantico<br />
Autore<br />
Giovanna Bucci<br />
giovanna.bucci@unipd.it<br />
Responsabile del LAS - Laboratorio di Archeologia Subacquea<br />
Dipartimento dei Beni Culturali, Università di PadovaFederazione ITA F07 A.CDCI.<br />
CMAS Diving Center Italia<br />
Confédération Mondiale des Activités Subaquatiques<br />
14 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 15<br />
2-4 APRIL 2019 AMSTERDAM<br />
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30 October <strong>2018</strong>
DOCUMENTAZIONE<br />
ROV e Strumentazione a basso costo per<br />
rilievi fotogrammetrici di siti archeologici sommersi<br />
di Elisa Costa, Francesco Guerra,<br />
Paolo Vernier<br />
I ROV svolgono un<br />
ruolo importante per la<br />
documentazione di siti sommersi,<br />
supportando una richiesta di<br />
metodi più sicuri ed efficienti per<br />
la ricerca archeologica.<br />
Il rilievo fotogrammetrico<br />
realizzato con una camera GoPro<br />
viene confrontato con quello<br />
realizzato con una camera reflex<br />
professionale per valutare la<br />
precisione di tecniche low cost.<br />
Fig. 1 - Una delle fasi di assemblaggio del ROV.<br />
I<br />
ROV, chiamati anche UROV, Underwater Remote Operated Vehicle, sono stati ampiamente utilizzati<br />
negli ultimi tempi dai ricercatori per esplorare ambienti sottomarini, sia in acque basse che in acque<br />
profonde, per diversi tipi di studi come la biologia marina e l’archeologia subacquea, svolgendo<br />
un ruolo importante per la documentazione e le indagini scientifiche (Bruno et al., 2015; Nornes at al.,<br />
2015; Ødegård et al., 2016). Le tecnologie più innovative degli ultimi anni hanno portato a migliorare<br />
la qualità delle indagini subacquee e a supportare il lavoro degli archeologi attraverso l’utilizzo dei<br />
ROV, specialmente in contesti di difficile accessibilità come i relitti a profondità maggiori (Scaradozzi<br />
et al., 2013). Anche a profondità in cui i subacquei possono lavorare facilmente ma con tempi di immersione<br />
ridotti, questi, se assemblati con fotocamere, potrebbero realizzare un rilievo fotogrammetrico<br />
in una singola immersione grazie all’autonomia della batteria di circa 3 ore.<br />
Solitamente, le operazioni di documentazione e rappresentazione di un sito archeologico richiedono<br />
un considerevole sforzo e una grande risorsa economica. La possibilità di ampliare la strumentazione<br />
per la documentazione subacquea potrebbe risultare molto vantaggiosa sia in aggiunta agli operatori<br />
subacquei su fondali a profondità inferiori o in loro sostituzione in acque profonde, senza la necessità<br />
di richiedere la presenza di professionisti altofondalisti.<br />
Il nostro studio mira a fornire alcune indicazioni ai ricercatori, archeologi o biologi, che lavorano<br />
nell’ambiente sottomarino e le cui analisi necessitano di informazioni provenienti dalla documentazione<br />
e dal rilievo. Gli obiettivi della nostra ricerca partono dalla necessità di comprendere i vantaggi<br />
e le limitazioni dell’uso di un ROV piccolo ed a basso costo, confrontandolo con le esperienze e le<br />
conoscenze acquisite dagli autori nel rilevamento subacqueo negli ultimi 10 anni. Quali sono i vantaggi<br />
e gli svantaggi di un piccolo ROV? Cosa potrebbe aggiungere alla qualità di un sondaggio realizzato da<br />
un operatore subacqueo?<br />
16 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 17<br />
Il ROV<br />
“Un interesse primario dell’indagine archeologica è quello<br />
di estrarre, in modo non invasivo, quante più informazioni<br />
possibili con il minimo dispendio di tempo e di costose risorse”<br />
(Scaradozzi et al., 2013). Tradizionalmente, i ROV<br />
sono dispositivi di alto valore e quindi ad accesso limitato<br />
per piccoli gruppi di ricercatori, ma recentemente molte<br />
industrie stanno producendo ROV a basso costo che potrebbero<br />
essere presentati ad un pubblico più vasto (Teague et<br />
al., 2017). Tra differenti possibilità esistenti sul mercato,<br />
il Laboratorio di Fotogrammetria dell’Università Iuav di<br />
Venezia ha deciso di acquistare un’OpenRov, un economico<br />
ROV open source che può essere assemblato in maniera indipendente<br />
e modificabile liberamente per usi personalizzati<br />
(Heisinger et al., 2017).<br />
È piccolo e leggero, ma allo stesso tempo può raggiungere i<br />
100 m di profondità. La struttura esterna è tagliata a laser<br />
da pannelli acrilici e contiene un cilindro trasparente per<br />
la webcam HD interna, le luci a LED e le parti elettroniche<br />
(Figura 1). Queste sono collegate ad una serie di batterie<br />
al litio, sigillate all’interno di due tubi laterali trasparenti<br />
che conferiscono potenza e stabilità al veicolo. Tre motori<br />
compongono le parti elettroniche relative alla propulsione:<br />
due orizzontali per i movimenti laterali e uno verticale per<br />
l’assetto e la profondità. Il ROV è controllato tramite un<br />
cavo Ethernet collegato ad un computer portatile per dare<br />
la possibilità di guidare facilmente il veicolo direttamente<br />
dalla barca o dalla riva attraverso un gamepad. Una piattaforma<br />
IMU (Inertial Measurement Unit) è stata applicata<br />
per controllare precisamente la profondità, l’orientamento,<br />
l’inclinazione (rollio e beccheggio), aiutando l’operatore<br />
negli spostamenti, ma non può calcolare la posizione nello<br />
spazio; questo sensore è ampiamente utilizzato nei veicoli<br />
subacquei a causa del suo basso costo, nonostante sia<br />
meno preciso di quelli costosi e soggetto a possibili errori<br />
(Martínez Carvajal, Sierra Bueno & Villamizar Mejía, 2013).<br />
Il conducente non ha in questo caso la possibilità di impostare<br />
una rotta di navigazione, ma deve guidare manualmente<br />
il veicolo; di conseguenza, le strisciate del ROV risultano<br />
meno regolari e parallele rispetto a quelle effettuate<br />
dal subacqueo, a causa della difficoltà di mantenere le linee<br />
corrette per la corrente presente in acqua. In questo primo<br />
Fig. 2 - L’OpenRov con le due camere GoPro montate sui lati.<br />
test sul campo si è notato come il cavo della cima di collegamento<br />
del ROV avesse una spinta negativa e rimanesse<br />
incastrato sulle colonne, fermandone il movimento. Nei test<br />
successivi, è stato modificato l’assetto del cavo attraverso<br />
l’inserimento di alcuni piccoli galleggianti da pesca ogni 5<br />
m, che lo hanno portato in posizione neutra.<br />
Gli OpenRov hanno una fotocamera interna frontale che viene<br />
impiegata per guidare e controllare il veicolo, quindi si<br />
è deciso di alloggiare sui lati esterni della struttura due fotocamere<br />
scafandrate per la documentazione archeologica<br />
(Figura 2). L’utilizzo della GoPro Hero4 Session, una fotocamera<br />
ricreativa, è principalmente dovuto al basso costo e<br />
alle dimensioni ridotte, ma anche al peso neutro sott’acqua<br />
della macchina. L’assetto del ROV viene solo leggermente<br />
compromesso con una inclinazione verso il basso, ma questo<br />
problema è stato ovviato grazie alla possibilità di modificare<br />
alcuni componenti data dall’assemblaggio manuale dei<br />
materiali che compongono la struttura: due piccoli pesi posizionati<br />
sulla prua sono stati arretrati al fine di consentire<br />
il movimento corretto in avanti. Con queste telecamere, gli<br />
autori hanno avuto la possibilità di registrare sia immagini<br />
che video ad alta risoluzione per eseguire rilievi fotogrammetrici<br />
e per costruire un modello virtuale texturizzato.<br />
Fig. 3 - Il ROV mentre effettua la strisciata fotogrammetrica sulle colonne del relitto.
Fig. 4 - Confronto tra le nuvole di punti del rilievo fotogrammetrico ottenute dalle immagini realizzate dalla camera GoPro Hero4 Session e dalla<br />
Nikon D610.<br />
IL RILIEVO<br />
Queste tecnologie vengono utilizzate per la mappatura e<br />
il monitoraggio del patrimonio culturale e naturale o per<br />
documentare le fasi del lavoro dell’archeologo durante lo<br />
scavo, ma l’applicazione principale dei ROV è legata al rilievo<br />
fotogrammetrico per la documentazione di ambienti subacquei<br />
(Drap et al., 2015; Sedlazeck, Köser & Koch, 2009,<br />
Teague et al., 2017).<br />
Per testare il ROV e applicare il rilievo fotogrammetrico si<br />
è deciso di indagare un relitto facile e accessibile vicino a<br />
Torre Chianca, in Puglia, a circa cento metri dalla costa,<br />
dove sono affondate cinque colonne allineate su un fondale<br />
sabbioso a 5 metri di profondità.<br />
Innanzitutto, 6 target a scacchiera sono stati posizionati<br />
alle estremità degli elementi e sono stati misurati con un rilievo<br />
per trilaterazione, attraverso il quale sono state ottenute<br />
delle coordinate 3D per georeferenziare gli elementi in<br />
un sistema di riferimento locale e controllare l’accuratezza<br />
metrica dei modelli fotogrammetrici.<br />
I rilievi sono stati realizzati attraverso strisciate nadirali effettuate<br />
sia dal ROV (Figura 3) che dal subacqueo, mentre<br />
esclusivamente quest’ultimo può scattare delle immagini<br />
radiali attorno alle colonne al fine di documentare precisamente<br />
anche la parete verticale a ridosso del fondale.<br />
Il blocco fotogrammetrico con la camera reflex è stato realizzato<br />
manualmente dal subacqueo, ottenendo circa 400<br />
immagini da 6016 x 4016 pixel e una risoluzione di 300 dpi,<br />
suddivise in strisce parallele e regolari con una sovrapposizione<br />
del 60% circa tra le immagini e del 20% circa tra le<br />
strisce.<br />
La camera GoPro ha acquisito immagini di dimensioni inferiori,<br />
2720 x 2040 pixel, e con una risoluzione di 72 dpi ed è<br />
stata impostata automaticamente per registrare un’immagine<br />
ogni 0,5 secondi e garantire la massima sovrapposizione,<br />
ottenendo circa 550 immagini.<br />
Terminate le operazioni di rilievo sono stati ottenuti tre diversi<br />
modelli virtuali:<br />
Fig. 5 - Confronto tra le nuvole di punti del rilievo fotogrammetrico ottenuto dalle immagini e dai frame del video della camera GoPro Hero4<br />
Session.<br />
18 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 19<br />
4allineando le immagini della fotocamera Nikon D610<br />
4allineando le immagini della camera GoPro Hero4 Session<br />
4allineando i frame del video della camera GoPro Hero4<br />
Session.<br />
L’uso della camera stereo, con una distanza nota del punto<br />
centrale sulle lenti degli obiettivi, (Negahdaripour &<br />
Firoozfam, 2005, Schmidt & Rzhanov, 2012) consente di ottenere<br />
un modello fotogrammetrico in scala. Questa tecnica<br />
risulta utile durante campagne di monitoraggio e sondaggio<br />
e soprattutto nel casi di lavori a profondità elevate dove<br />
non è possibile posizionare target sul soggetto e realizzare<br />
un rilievo topografico manuale.<br />
IL CONFRONTO TRA LE NUVOLE DI PUNTI<br />
Il confronto tra le nuvole di punti prodotte dall’indagine<br />
fotogrammetrica è stato realizzato dal software<br />
CloudCompare; queste sono state orientate nello stesso sistema<br />
di riferimento attraverso i 6 target posizionati sulle<br />
colonne (Ground Control Point) al fine di effettuare l’analisi<br />
della distanza e mostrare la differenza metrica tra le<br />
nuvole. Il software fotogrammetrico e quindi l’algoritmo<br />
impiegato per l’allineamento delle immagini è lo stesso per<br />
ogni progetto, al fine di ottenere lo stesso tracciamento dei<br />
raggi, le stesse impostazioni nell’allineamento e nella creazione<br />
delle nuvole dense. Il confronto ha dato buoni risultati<br />
con un’elevata conformità tra i punti, con un errore medio<br />
e una deviazione standard inferiore a 1 cm, al di sotto delle<br />
nostre aspettative se si considera la mancanza di un processo<br />
di calibrazione conosciuto delle camere in ambiente<br />
sottomarino, soprattutto nel caso della GoPro. Tre diversi<br />
confronti sono stati realizzati sulla base delle immagini realizzate<br />
e dei modelli ottenuti, con un intervallo di scala<br />
impostato da 0 a 3 cm con una colorazione variabile da blu<br />
a rosso:<br />
4confronto tra il modelli ottenuti dalle strisciate nadirali<br />
della camera reflex Nikon D610 e dalla camera GoPro<br />
Hero4 Session<br />
4confronto tra i modelli ottenuti dalle strisciate nadirali<br />
e dalle immagini radiali della camera reflex Nikon D610<br />
4confronto tra i modelli ottenuti dalle immagini e dal video<br />
della camera GoPro Hero4 Session.<br />
Il primo confronto ha rilevato un errore massimo di 0,011 m<br />
mostrato in verde nel modello di Figura 4 e un errore medio<br />
di 0,0015 m osservando la curva di Gauss delle deviazioni<br />
standard e l’istogramma delle distanze assolute tra i punti,<br />
comportando una maggioranza di punti di colore blu. È<br />
evidente la corrispondenza metrica tra i due modelli e le<br />
piccole differenze sono dovute al blocco fotogrammetrico<br />
e alle diverse distorsioni degli obiettivi della fotocamera a<br />
causa dell’assenza di un calibrazione diretta in situ.<br />
Le parti rosse esterne non rappresentano un errore, ma<br />
un’assenza di dati attorno alle colonne poiché l’area documentata<br />
con le due fotocamere è diversa; le parti rosse<br />
interne alle colonne, invece, sono relative all’assenza delle<br />
immagini fotogrammetriche radiali sul rilievo realizzato attraverso<br />
il ROV.<br />
Il secondo confronto tra il modello realizzato con le immagini<br />
fotogrammetriche complete (strisciate nadirali e radiali)<br />
della Nikon D610 e il modello realizzato solo con le immagini<br />
nadirali ha evidenziato la necessità di una copertura<br />
totale delle immagini per ottenere un modello ben definito.<br />
Per riuscire ad effettuare un’indagine accurata attraverso<br />
il ROV, i ricercatori devono organizzare due diverse sessioni<br />
di rilievo:<br />
4un primo rilievo fotogrammetrico con la camera impostata<br />
nadiralmente al sito<br />
4un secondo con la camera ruotata e posizionata a 45°<br />
rispetto alle colonne per meglio rappresentarne la porzione<br />
laterale.<br />
Il terzo confronto è stato realizzato tra i due modelli fotogrammetrici<br />
ottenuti con le immagini e con il video realizzato<br />
dalla GoPro Hero4 Session. Una prima differenza<br />
è stata osservata nelle immagini, in cui il valore RGB e la<br />
dimensione delle immagini sono differenti; la regolazione<br />
automatica del tono del colore in base alle condizioni ambientali<br />
lavora su diversi valori di bilanciamento del bianco.<br />
Le immagini originali della GoPro hanno una dimensione di<br />
2720 x 2040 pixel e sono caratterizzate da una dominante<br />
di colore verde, mentre i fotogrammi estrapolati dal video<br />
hanno invece una dimensione di 1920 x 1080 pixel e sono<br />
caratterizzati da un dominante di colore blu.<br />
Il processo fotogrammetrico del video è stato elaborato<br />
dal software Photoscan nell’ultima versione 1.4.0 che è<br />
in grado di estrarre automaticamente i fotogrammi dal video<br />
secondo diverse impostazioni; estrapolando un frame<br />
ogni 0,6 secondi si raggiunge un totale di 2160 immagini<br />
che viene ridotto a 1390 dopo un’accurata pulizia. Le immagini<br />
ottenute con la GoPro erano circa lo stesso numero<br />
con un tempo di scatto ogni 0,5 secondi. L’ottenimento<br />
di un modello fotogrammetrico completo dai fotogrammi<br />
estrapolati dal video è risultato più complesso: è stato necessario<br />
suddividere l’allineamento dei frame in due fasi<br />
distinte che sono stata unite in un secondo procedimento<br />
attraverso l’inserimento di punti di controllo direttamente<br />
sulle colonne. Inoltre, il confronto tra le nuvole di punti<br />
non è risultato preciso come i precedenti; al centro del modello<br />
il software CloudCompare ha calcolato un errore di<br />
0,03 m. Posizionando un Ground Control Point al centro del<br />
modello e confrontando gli errori ottenuti sulle coordinate<br />
x y z, l’errore risulta esclusivamente lungo l’asse verticale<br />
confermando una differenza sulla distanza tra le nuvole di<br />
punti solo nella profondità. Il modello ottenuto dal video<br />
sembra avere una distorsione centrale che è assente sugli<br />
altri modelli, a causa probabilmente della difficoltà del software<br />
Photoscan di calcolare in maniera precisa l’orientamento<br />
interno dei frame (Figura 5).<br />
CONCLUSIONI<br />
Le attività umane nell’ambiente subacqueo sono state supportate<br />
e sostituite ove possibile da strumenti a controllo<br />
remoto che consentono di ottenere risultati scientifici con<br />
meno rischi per la salute umana. Tra le varie possibilità attualmente<br />
disponibili, i ROV offrono non solo sicurezza per i<br />
loro operatori, ma sono anche un’alternativa relativamente<br />
a basso costo. L’impiego di un veicolo a basso costo adattato<br />
alle necessità del rilievo supporta una richiesta di metodi<br />
più sicuri, più economici e più efficienti per esplorare<br />
ambienti subacquei senza l’alto costo dei ROV professionali<br />
riducendo significativamente il costo delle operazioni archeologiche.<br />
Sulla base della nostra esperienza e di alcuni<br />
test ancora in corso possiamo osservare che il ROV ha alcuni<br />
vantaggi come strumento per il rilievo e la documentazione.<br />
Contrariamente a un subacqueo però può supportare<br />
solo fotocamere non professionali con limiti metrici che<br />
possono essere ridotti attraverso l’uso di calibrazioni che<br />
vengono studiate dal team di ricerca del Laboratorio di<br />
Fotogrammetria dello Iuav.<br />
Un secondo vantaggio è relativo all’utilizzo del ROV in profondità,<br />
consentendo un primo monitoraggio e un primo rilievo<br />
del sito archeologico, permettendo di ridurre il tempo
TELERILEVAMENTO<br />
di immersione sott’acqua e limitando i rischi fisici dei subacquei.<br />
Uno degli svantaggi è, invece, relativo alle piccole dimensioni<br />
in caso di condizioni meteorologiche avverse; in una<br />
situazione di forte corrente, l’OpenROV difficilmente riesce<br />
a mantenere un perfetto assetto e un movimento regolare<br />
per la realizzazione di corrette strisciate fotogrammetriche.<br />
Inoltre, come riscontrato in un sito archeologico a più<br />
alte profondità e in mare aperto, l’assenza di un sistema<br />
di posizionamento o un punto di riferimento in acqua non<br />
permettono di raggiungere facilmente il sito archeologico.<br />
Nel complesso, l’impiego di questo tipo di strumentazione<br />
low cost è sicuramente di grande supporto al lavoro degli<br />
archeologi, nonostante non sia ancora professionalizzante<br />
in maniera tale da sostituirli.<br />
Bibliografia<br />
Bruno, F., Muzzupappa, M., Lagudi, A., Gallo, A., Spadafora, G.,<br />
Ritacco, G., Angilica, A., Barbieri, L., Di Lecce, N., Saviozzi, G., Laschi,<br />
C., Guida, R., Di Stefano, G. (2015). A ROV for supporting the planned<br />
maintenance in underwater archaeological sites. In Oceans 2015,<br />
[online] Genova, pp.1-7.<br />
Drap, P., Seinturier, J., Hijazi, B., Merad, D., Boi, J-M. (2015). The<br />
ROV 3D Project: Deep-Sea Underwater Survey Using Photogrammetry.<br />
Applications for Underwater Archaeology. In Journal on Computing and<br />
Cultural Heritage 8(4), pp. 1-24.<br />
Heisinger, B.E., Holm, W., Fuller, C., -AAIR, Quigg, G.F. (2017). The<br />
Hester Lake B-24 Crash: A Case Study for Small, Low-Cost ROVs. doi.<br />
org/10.13140/rg.2.2.10440.52488.<br />
Martínez Carvajal, B. V., Sierra Bueno, D. A., Villamizar Mejía, R. (2013).<br />
Recent advances in navigation of underwater remotely operated vehicles.<br />
In Rev. Fac. Ing. Univ. Antioquia N. º69, pp. 167-180.<br />
Negahdaripour, S., Firoozfam, P. (2005). An ROV Stereovision System for<br />
Ship Hull Inspection. In Journal of Oceanic engineering.<br />
Nornes, S.M., Ludvigsen, M., Ødegȧrd, Ø., Sørensen, A. J. (2015).<br />
Underwater Photogrammetric Mapping of an Intact Standing Steel Wreck<br />
with ROV. In IFAC-PapersOnLine 48-2, pp. 206-211.<br />
Ødegård, Ø., Sørensen, A. J., Hansen, R. E., Ludvigsen, M. (2016). A<br />
new method for underwater archaeological surveying using sensors and<br />
unmanned platforms. In IFAC-PapersOnLine 49-23, pp. 486-493.<br />
Scaradozzi, D., Sorbi, L., Zoppini, F., Gambogi P. (2013). Tools and<br />
techniques for underwater archaeological sites documentation. In Oceans<br />
2013, [online] San Diego.<br />
Schmidt, V., Rzhanov, Y. (2012). Measurement of micro-bathymetry with<br />
a GOPRO underwater stereo camera pair. In Oceans 2012.<br />
Sedlazeck, A., Köser, K., Koch, R. (2009). 3D Reconstruction Based on<br />
Underwater Video from ROV Kielk 6000 Considering Underwater Imaging<br />
Conditions. In Europe, pp. 1-10.<br />
Teague, J., Miles, J., Connor, D., Priest, E., Scott, T.B., Naden, J.,<br />
Nomikou, P. (2017). Exploring offshore hydrothermal venting using lowcost<br />
ROV and photogrammetric techniques: a case study from Milos<br />
Island, Greece. doi: 10.20944/preprints201710.0014.v1.<br />
Abstract<br />
ROVs have been employed to explore underwater environments and have<br />
played an important role for documentation and surveys in different fields<br />
of scientific application. The employment of a low-cost vehicle support a<br />
request for safer, cheaper and efficient methods for exploring underwater<br />
environments.<br />
The paper is related to photogrammetric surveys for the documentation of<br />
underwater environments and to comparison between different solutions:<br />
two GoPro Hero4 Session -images and videos- and a Nikon D610. Some targets<br />
have been used to connect in the same reference system the different<br />
models, allowing the comparisons of the point clouds.<br />
Parole chiave<br />
Archeologia subacquea; fotogrammetria; nuvole di punti; Remote Operated<br />
Vehicle<br />
Autore<br />
Elisa Costa<br />
ecosta@iuav.it<br />
Francesco Guerra<br />
guerra2@iuav.it<br />
Paolo Vernier<br />
vernier@iuav.it<br />
Laboratorio di Fotogrammetria,<br />
Università Iuav di Venezia,<br />
S. Croce 191, 30135 Venezia<br />
MONITORAGGIO 3D<br />
GIS E WEBGIS<br />
www.gter.it info@gter.it<br />
GNSS<br />
FORMAZIONE<br />
20 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong><br />
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DOCUMENTAZIONE<br />
La tecnologia robotica può salvare<br />
I beni culturali sommersi?<br />
Di Ramiro Dell’Erba, Claudio Moriconi, Alfredo Trocciola<br />
Fig. 1 – Prototipo in sperimentazione nel lago di Bracciano.<br />
I beni culturali possono trarre un grande beneficio dalle<br />
tecnologie recentemente sviluppate nell'ambito della<br />
robotica sottomarina. In quest’articolo focalizzeremo su<br />
come la robotica, e le relative tecnologie, possono essere<br />
usate per migliorare l'economia, l’esperienza, il controllo,<br />
la protezione e l’impatto sociale dei beni culturali. I<br />
robot permettono la fruizione online, da località remote,<br />
realizzando il concetto di museo remoto, estensione del<br />
concetto di museo virtuale. Queste soluzioni, eliminando<br />
i costi di viaggio, migliorano e superano gli attuali limiti<br />
dei siti, quali il numero di simultaneo di visitatori o la<br />
loro posizione in luoghi pericolosi permettendo un salto di<br />
qualità nel godimento del bene culturale.<br />
La Robotica, con le tecnologie ad essa legate, è stata<br />
applicata con successo per diagnosi, ricerca, manutenzione,<br />
sorveglianza e fruizione del patrimonio culturale<br />
(Fantoni et al., 2013a). Uno dei principali vantaggi offerti è<br />
legato alla capacità dei robot di lavorare in ambienti ostili<br />
all’uomo, quali i fondali marini, o là dove la presenza umana<br />
potrebbe pregiudicare il Bene Culturale. Le stesse tecnologie<br />
sono utili strumenti per aumentare la fruizione del<br />
bene sia quantitativamente, come aumento della platea,<br />
sia qualitativamente per il flusso informativo multimediale<br />
e multilivello fornito all’utente, sia esso un esperto o meno.<br />
Il concetto di Museo Remoto (European Conference on Research<br />
for Protection, Kolar and Strlič, 2010), estensione<br />
del concetto di Museo Virtuale, consente una reale presenza<br />
dell’osservatore, tramite robot, sul luogo ove si trovi il manufatto;<br />
tale concetto di telepresenza deriva direttamente<br />
dall’ esperienza ENEA sui telemanipolatori per impianti nucleari<br />
ove l’operatore, che lavora sugli oggetti del reattore,<br />
si trova a distanza di sicurezza ma come se fosse realmente<br />
sul posto. A seconda che si operi in ambiente strutturato o<br />
meno e in presenza di altre macchine e/o uomini, i robot al<br />
lavoro presso il bene culturale devono avere adeguati livelli<br />
di autonomia e intelligenza per condividere o meno uno<br />
spazio comune, svolgendo compiti cooperando o in antitesi<br />
tra i vari attori della scena. In quest’articolo descriveremo<br />
l’idea di robotica di sciame sottomarina, una tecnologia che<br />
stiamo sviluppando presso il laboratorio di Robotica dell’Enea<br />
in collaborazione con team internazionali, ed i vantaggi<br />
che può offrire .<br />
LA ROBOTICA NEI BENI CULTURALI<br />
In sintesi la robotica può essere utile nelle seguenti tre tematiche:<br />
4Il concetto di Museo remoto, estensione del museo virtuale.<br />
4Supporto alla restaurazione del bene (Diagnostica e immagini<br />
iper realistiche).<br />
4Scoperta di nuovi manufatti.<br />
Molti siti archeologici sono inaccessibili all’uomo o poiché<br />
ambienti lontani e/o ostili o per proteggere il bene dalla<br />
contaminazione ambientale. Uno o più robot sul posto permettono<br />
una visita remota personalizzata, diversa dalla visita<br />
virtuale in cui vengono forniti contenuti preformati. Il<br />
concetto va oltre la guida turistica del museo sulla quale ci<br />
sono state diverse proposte (Burgard et al., 1999) ,(Germak<br />
et al., 2015), (Trahanias et al., 2000)<br />
Già alcuni anni fa il concetto è stato introdotto, (European<br />
Conference on Research for Protection, Kolar and Strlič,<br />
2010); le tecnologie attuali possono condurre a una visita<br />
remota il cui feeling può essere reso imersivo e quindi<br />
molto simile a quello di una visita reale anche con costi<br />
relativamente limitati e comunque facilmente sostenibili<br />
da una struttura museale. Il visitatore del museo remoto,<br />
a differenza di quello virtuale, è parte attiva della scena e<br />
può interagire per una maggiore fruizione cognitiva e interattiva<br />
del bene. Ancora prima della Conferenza del 2010 il<br />
concetto è stato sviluppato nel progetto TECSIS (Diagnostic<br />
technologies and intelligent systems for the south Italy ar-<br />
22 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 23<br />
chaeological sites) (dell’Erba & al., 2006) usando strumentazioni<br />
ottiche, analisi ai raggi X, Remote Operated Vehicles<br />
(ROV), Underwater Autonomous Vehicles (AUV) e tecniche<br />
di realtà aumentata, il progetto comprendeva anche campagne<br />
marine effettuate nel Mediterraneo presso siti archeologici<br />
sommersi. In particolare si è lavorato presso la<br />
città sommersa di Baia (Napoli), la villa di Agrippa Postumo<br />
(Sorrento) e un relitto al largo di Punta Imperatore (Ischia).<br />
Punti di forza del progetto sono stati l’integrazione di tecnologie<br />
provenienti da diversi campi in un corpo omogeneo<br />
unitamente allo sviluppo di tecniche, allora totalmente<br />
nuove, quali LIBS (Laser induced breakdown spectroscopy)<br />
in ambiente sottomarino, l’ablazione laser sottomarina<br />
e lo sviluppo di alcune tecniche di controllo dei robot. Il<br />
progetto ha prodotto 4 brevetti, 6 campagne di misura, 3<br />
Copyrights di software e più di 100 pubblicazioni. I robot<br />
sono in grado di costruire mappe digitali dei siti archeologici<br />
e dargli una struttura utilizzando non solo immagini visive<br />
ma combinandole con dati di altri strumenti, quali LIF ((laser<br />
induced fluorescence), ultraacoustical devices etc. per<br />
generare immagini iper realistiche di realtà aumentata che<br />
forniscono all’osservatore diversi livelli di lettura contemporaneamente.<br />
In particolare, fu eseguita una integrazione<br />
di immagini visive con immagini acustiche, prese in contemporanea<br />
da strumenti acustici quali Side Scan Sonar (SSS).<br />
Inoltre, considerando l’interazione del sistema complessivorobot<br />
e pubblico, come nel caso di robot guide, abbiamo<br />
anche studiato le abilità sociali dei robot agenti nella vita<br />
giornaliera (dell’Erba et al. 2008).<br />
Tecniche di realtà aumentata possono essere di supporto<br />
per fornire al restauratore più livelli di visione con analisi<br />
(Fantoni et al., 2013b). Unitamente a tecnologie di diagnostica<br />
automatica, per il riconoscimento di danni o attacchi<br />
ambientali al manufatto, tecniche di identificazione e classificazione<br />
intelligente del danno su affreschi, a distanza<br />
di 30 metri dal dipinto, sono state utilizzate con successo<br />
(Fantoni et al., 2013). Lo scopo era di aiutare il restauratore<br />
in un primo riconoscimento dell’esistenza e classificazione<br />
del danno, quali ritocchi, restauri precedenti ignoti, e identificazione<br />
di componenti chimici (cere, consolidanti, etc..)<br />
non precedentemente documentati. Questo è stato effettuato<br />
mediante un nuovo tipo di LIF (Laser Induced Fluorescence),<br />
tecnica non invasiva capace di distinguere (e poi<br />
classificare) la firma spettrale delle sostanze chimiche; un<br />
ulteriore vantaggio sta nel fatto di poter operare anche a<br />
distanze di 30 metri, evitando di dover essere vicini all’affresco,<br />
spesso posto molto in alto.<br />
Il riconoscimento di nuovi manufatti passa attraverso le<br />
tecniche di big data processing. L’utilizzo, contemporaneo,<br />
di più sensori in uno stesso volume e la loro correlazione<br />
richiede calcoli intensi unitamente all’utilizzo di tecniche<br />
di Deep Learning e comprensione del contesto (Conte et<br />
al., 2009), (Conte et al., 2010). Questo permette la realizzazione<br />
di mappe dinamiche multilivello sulle quali si può<br />
inserire un lavoro di contestualizzazione semantica per la<br />
classificazione intelligente. Il riconoscimento degli oggetti è<br />
quindi facilitato utilizzando isomorfismi tra sub mappe di diverso<br />
livello gerarchico. Un’altra applicazione di tecnologia<br />
robotica utile è il “ritorno di forza sulla mano” della persona<br />
che controlla il robot, tecnica indispensabile per i robot che<br />
operano, sotto il diretto controllo dell’uomo, negli impianti<br />
nucleari e che nel caso della fruizione delle opere d’arte,<br />
unitamente a telecamere tridimensionali, permette all’uomo<br />
una migliore percezione, anche tattile del manufatto,<br />
(Scaradozzi et al., 2014).<br />
I robot impiegabili in ambiente subacqueo sono di diverso<br />
tipo dai ROV, AUV, Glider etc…ognuno di essi presenta dei<br />
Fig. 2 - Prototipi di MAUV.<br />
vantaggi e degli svantaggi. Ad esempio, un ROV presenta<br />
il vantaggio di poter trasmettere una grande quantità di<br />
dati, attraverso il cavo di collegamento, e un’interazione in<br />
tempo reale con l’operatore. D’altra parte, lo stesso cavo<br />
richiede una nave appoggio con costi e logistiche superiori a<br />
quelle di un AUV, che ha nelle comunicazioni il suo principale<br />
punto debole. Interessanti sono gli ibridi, che mediante<br />
l’uso di uno scafo robotizzato che si muove sulla superficie<br />
marina, mantengono il contatto (tipicamente mediante modem<br />
acustico) con un AUV in immersione e via radio con<br />
l’operatore umano a terra.<br />
Tra le diverse opzioni possibili il nostro laboratorio ha scelto<br />
di considerare strategica la robotica di sciame<br />
LA ROBOTICA DI SCIAME E LE SUE MOTIVAZIONI<br />
Un nuovo modo di proteggere e fruire dei Beni Culturali siti<br />
in ambienti sottomarini, di cui il nostro Paese è ricchissimo,<br />
riguarda la Robotica di Sciame. In essa un gruppo organizzato<br />
(dell’Erba et al. 2008) di AUV economici, di piccole<br />
dimensioni (MAUV) ed equipaggiati con una sensoristica minima<br />
e videocamere sono in grado di esplorare grandi aree<br />
marine simultaneamente, aumentando la probabilità di scoperta.<br />
Gli sciami però intervengono anche nel monitoraggio<br />
Fig. 3 - Prototipo di modem ottico realizzato dal Laboratorio di<br />
Robotica dell’ ENEA.
Fig. 4 – Mosaicatura dei sonogrammi con il Side Scan Sonar (immagine<br />
ripresa dalla copertina del IVnumero) del 2013 di <strong>Archeomatica</strong>.<br />
continuo del Bene, nella sua protezione contro le modifiche<br />
ambientali, nella sua difesa contro il saccheggio operato da<br />
organizzazioni criminali e, come detto, nella sua fruizione.<br />
I vantaggi di lavorare con uno sciame, rispetto al singolo<br />
robot sono i seguenti [5]:<br />
1) Parallelismo delle operazioni, quindi maggiore velocità;<br />
2) Robustezza del sistema e salvaguardia della missione<br />
in caso di perdita di uno o più elementi;<br />
3) Possibilità di avere più “punti di vista” (nella sua<br />
più larga accezione, non solo visiva) contemporaneamente;<br />
4) Possibilità di concentrare l’esplorazione dove serve<br />
(Ad esempio in caso di scoperta di un manufatto);<br />
5) Possibilità di realizzare un network sottomarino di<br />
comunicazione.<br />
6) possibilità per l’uomo di controllare un sistema<br />
complesso interfacciandosi con un’unica creatura:<br />
L’operatore assegna il compito ed poi è lo sciame<br />
a effettuare il “job sharing” tra i vari elementi;<br />
Gli svantaggi invece sono:<br />
7) Una relativa maggiore sofisticazione del sistema<br />
di controllo che impone ancora un certo livello di<br />
ricerca e sviluppo<br />
8) Necessità di realizzare protocolli di comunicazione<br />
avanzati affinché sia garantita una comunicazione<br />
in grado di assicurare l’integrità dello sciame<br />
Fig. 5 – Mosaicatura dei sonogrammi con indicazione dei<br />
target ispezionati con immersioni dirette<br />
La semplicità del singolo veicolo, indispensabile per contenere<br />
i costi, è largamente recuperata grazie alla molteplicità<br />
dei sistemi sensoriali che possono integrarsi tra loro<br />
per fornire misure ambientali più precise e dettagliate. L’operatore<br />
umano comunica con lo sciame come se fosse una<br />
creatura unica e poi sarà il sistema di controllo distribuito<br />
che controlla la configurazione e la navigazione a regolare il<br />
comportamento dei singoli elementi dello sciame. Non esistono,<br />
al momento in cui si scrive, soluzioni commerciali di<br />
questo tipo. L’impiego di sciami di robot è la frontiera verso<br />
la quale si stanno indirizzando alcuni dei principali laboratori<br />
che lavorano nella robotica sottomarina.<br />
Già nel 2008, il Laboratorio di Robotica dell’Enea (IDRA) ha<br />
lanciato l’innovativo concetto delle “self-organising complex<br />
creatures” nell’ambito del progetto Harness, finanziato<br />
dall’IIT. Harness si basava sul paradigma di sciame e ha<br />
provato a superare uno dei problemi più gravi di un AUV che<br />
lavori da solo: la limitata capacità di comunicazione con un<br />
supervisore umano, in ambito sottomarino. IDRA ha sviluppato<br />
un modello di AUV molto economico (15 Keuro come<br />
prezzo base per il prototipo), ottimizzando ogni dettaglio,<br />
la cui caratteristica principale è di poter lavorare in sciame;<br />
lo sciame ha un innovativo sistema di controllo per gestire<br />
sia la sua configurazione geometrica che il flusso dati del<br />
canale di comunicazione opto acustico. Tale lavoro ha prodotto<br />
anche un brevetto legato alla capacità del sistema di<br />
robot di avere una costante consapevolezza della sua dislocazione<br />
rispetto all’ambiente.Si realizza in pratica una vera<br />
e propria internet sottomarina. Un’altra caratteristica del<br />
mezzo è di avere un solo motore e diverse coppie di pinne,<br />
un’anteriore e due posteriori, per attuare i cambiamenti di<br />
quota e direzione. La presenza di due coppie permette al<br />
robot manovre particolarmente agili e perfino qualcosa di<br />
molto simile all’hovering, ovvero di rimanere stazionario su<br />
una zona. Questo avviene mettendo in contrasto la spinta<br />
delle pinne e provocando uno stallo del veicolo, con il vantaggio<br />
di averlo anche inclinato rispetto al fondo per una<br />
migliore visuale. Questa manovra di volo in altri robot è realizzata,<br />
tipicamente, mediante l’uso di almeno altri quattro<br />
motori ausiliari con un consistente incremento dei costi.<br />
L’operatore può essere a terra se uno degli AUV sta in superficie<br />
e funge da anello di collegamento tra il network<br />
sottomarino e la base. Questo riduce drasticamente i costi<br />
logistici, facendo a meno della nave appoggio.<br />
Il punto più forte a favore dello sciame è di certo la creazione<br />
di un network sottomarino che superi i problemi di<br />
comunicazione. Si tratta essenzialmente di una rete multihop<br />
a geometria variabile. L’operatore “visualizza” (le virgolette<br />
stanno poiché il dato non è necessariamente visivo,<br />
ma dipende dal sensore) le scene provenienti da differenti<br />
MAUV. La configurazione dello sciame si adatta a seconda<br />
delle esigenze per cui se è necessario esplorare un grande<br />
volume di mare acquisirà una configurazione ellissoidale,<br />
se una superficie gli elementi si spanderanno su un quadrato<br />
mentre se è necessario comunicare con una banda<br />
larga assumeranno una configurazione a tubo. In caso di<br />
area sospetta la concentrazione degli elementi aumenterà.<br />
E’ molto importante porre l’accento su come la filosofia<br />
dello sciame sia molto diversa da quella del singolo AUV; è<br />
la cooperazione che permette una raccolta dati qualitativamente<br />
e quantitativamente superiore a quella del singolo<br />
AUV pur usando una sensoristica meno sofisticata sul singolo<br />
elemento, rispetto ai singoli AUV di più grande complessità<br />
e sofisticazione, in grado di operare da soli.<br />
Il laboratorio IDRA sta lavorando da diversi anni su questo.<br />
L’operatore umano vede lo sciame come se fosse un unico<br />
oggetto e come tale si interfaccia con esso superando la<br />
24 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 25<br />
difficoltà di comunicare ordini a diversi elementi. La percezione<br />
distribuita dello sciame, unitamente a tecniche di<br />
comunicazione e calcolo dedicate, permette una maggiore<br />
comprensione del contesto ambientale. Va sottolineato che<br />
anche gli operatori subacquei professionali hanno difficoltà<br />
a comprendere la natura di certi oggetti se prima non li vedono<br />
da diversi punti di vista. In Figura 2 e Figura 1 sono mostrati<br />
alcuni prototipi, realizzati dal laboratorio ed in via di<br />
sperimentazione presso il lago di Bracciano. Le loro caratteristiche<br />
sono le seguenti: profondità massima 100 m, velocità<br />
massima 2 nodi, peso circa 20Kg, dimensioni 1,30x0,25<br />
m. L’Equipaggiamento standard prevede una camera stereoscopica,<br />
sonar, accelerometri, bussola e profondimetro.<br />
Lo sciame si avvale, per le comunicazioni subacquee, di un<br />
sistema ibrido ottico-acustico (Figura 3) realizzato e brevettato<br />
in ENEA presso il Laboratorio IDRA. La comunicazione<br />
sottomarina è oggi largamente affidata a sistemi modem di<br />
tipo acustico, che usano boe o navi appoggio di notevoli<br />
dimensioni, e basse velocità di comunicazione ed è molto<br />
influenzata dalle caratteristiche dell’area di operazione. La<br />
trasmissione di foto e l’interazione con l’operatore umano<br />
sono spesso impossibili; l’impiego di sciami di robot dotati<br />
di sistemi di trasmissione ottica rende queste applicazioni<br />
fattibili, se le condizioni ambientali lo permettono. Il Laboratorio<br />
ENEA lavora in collaborazione con il Dipartimento di<br />
Ingegneria Elettronica dell’Università di Tor Vergata per la<br />
parte specificamente legata ai protocolli di comunicazione;<br />
occorre infatti un protocollo dedicato che utilizzi i due canali,<br />
ottico e acustico, alternativamente o in cooperazione<br />
e che determini la configurazione geometrica dello sciame<br />
ottimizzando la trasmissione compatibilmente con le richieste<br />
di esplorazione. Lo scambio dati tra gli elementi dello<br />
sciame, e la successiva elaborazione a bordo, è indispensabile<br />
affinché si possa considerarlo un unico oggetto.<br />
L’ESPERIENZA DI SINUESSA E SUA<br />
POSSIBILE ROBOTIZZAZIONE<br />
Un esempio concreto di come la tecnologia robotica può<br />
contribuire a salvare i beni culturali sommersi è fornita<br />
dall’esperienza ENEA acquisita in Campania sul sito archeologico<br />
di Sinuessa. L’Enea a partire dal 2012 è stata coinvolta<br />
dai comuni di Sessa Aurunca e, in seguito, di Mondragone<br />
per una valorizzazione dell’area costiera mediante il turismo<br />
sostenibile. Per tale motivo sono state effettuate delle<br />
ricerche marine nel golfo di Gaeta dove era probabile l’esistenza<br />
di un approdo sommerso della colonia romana di Sinuessa<br />
risalente al III secolo a.C. (Pennetta et al., 2016,201,<br />
Trocciola et. al., 2013) ed esattamente dove erano i resti<br />
di strutture portuali (pilae): ad una distanza di circa 650 m<br />
dalla costa e ad una profondità di -8 m, all’interno di una<br />
depressione del fondale marino. Le acque marine di Sinuessa<br />
sono molto torbide per la sospensione dei sedimenti ed il<br />
consistente apporto dei nutrienti dai corsi d’acqua fluviali<br />
del Garigliano e Volturno, che hanno scoraggiato l’esplorazione<br />
subacquea, ma anche preservato il sito dalla diffusa<br />
attività clandestina.<br />
In considerazione di ciò, già nel 2013 l’ENEA ha effettuato in<br />
questo sito una prima applicazione di tecnologie robotiche<br />
con l’impiego del Side Scan Sonar. Il Sonar a scansione laterale<br />
impiegato, mod. 3900 della L3 KLEIN Associates, con<br />
una frequenza acustica ad alta risoluzione (450 kHz), è stato<br />
pilotato con tecniche innovative per un rilievo subacqueo<br />
sotto costa a basse profondità. L’indagine elettroacustica<br />
ha consentito di acquisire la mappatura dei fondali marini<br />
(mosaicatura dei sonogrammi, fig.4) in modo da ricostruire<br />
un assetto geomorfologico di un tratto costiero significativo<br />
di forma rettangolare di dimensioni pari a 1,2 x 1,5 km<br />
del territorio comunale di Sessa Aurunca e di interpretare le<br />
strutture geomorfologiche e geoarcheologiche evidenziate<br />
dal Side Scan Sonar durante il rilievo geofisico con dei rilievi<br />
di dettaglio in immersione per la verifica dei target (fig.5,<br />
Trocciola et. al.,2017) .<br />
Il rilievo con il Side scan Sonar è stato scelto per l’area<br />
archeologica sommersa di Sinuessa perchè fornisce una accurata<br />
indagine non invasiva (preserva l’integrità dei resti<br />
archeologici), si effettua in tempi rapidi ed è relativamente<br />
economica. Le esplorazioni geofisiche eseguite con questa<br />
tecnologia riducono i costi di indagine soprattutto quando<br />
si esplorano ambienti ostili e/o inaccessibili, in questo caso<br />
vengono limitate le ulteriori perlustrazioni dirette previste<br />
per il controllo da parte degli operatori subacquei.<br />
La scelta di elaborare un itinerario subacqueo (Trocciola,<br />
2017), in linea con la Convenzione UNESCO del 2001 per la<br />
protezione del patrimonio culturale subacqueo, è stata fatta<br />
per una maggiore fruizione dei beni culturali subacquei e<br />
la loro preservazione in situ, evitando con l’installazione di<br />
sistemi di controllo e di monitoraggio una migliore fruizione<br />
e l’uso indiscriminato e distruttivo arrecato dal prelievo di<br />
reperti dai fondali. Il braccio di mare antistante il litorale di<br />
Sessa Aurunca e Mondragone, potrà divenire con questa soluzione<br />
ipotizzata un grande museo diffuso sommerso, dove<br />
le testimonianze dell’uomo del passato convivono senza alterare<br />
il contesto originario della giacitura geologica insieme<br />
ai reperti archeologici<br />
I reperti ne sono la testimonianza. Inoltre, tale iniziativa incentiva<br />
l’offerta culturale delle amministrazione locali e stimola<br />
dei comportamenti corretti ed azioni consapevoli per<br />
una valorizzazione partecipativa e sostenibile del turismo.<br />
Il prossimo passo da parte dell’ENEA nell’approccio scientifico<br />
del patrimonio culturale sommerso di Sinuessa è di applicare<br />
la Robotica di Sciame sia nella fase di indagine sui<br />
fondali di Sinuessa che nella fase di tutela. In particolare, la<br />
rapida evoluzione tecnologica nelle prospezioni sottomarine<br />
con la moltiplicazione di sonar a basso costo aumenta la probabilità<br />
di individuare altri ritrovamenti archeologici in mare<br />
ed in tempi estremamente ridotti<br />
Inoltre, il patrimonio archeologico subacqueo di Sinuessa si<br />
può tutelare nel tempo con gli stessi sciami di robot utilizzati<br />
nei musei remoti. La musealizzazione remota, con la<br />
visione tridimensionale della realtà virtuale impiegando dei<br />
robot telecomandati, sul fondale marino di Sinuessa permettono<br />
l’osservazione delle sue peculiarità archeologiche e<br />
naturalistiche. Così adoperando gli stessi robot sarà possibile<br />
effettuare a costi contenuti anche un efficace sistema di<br />
monitoraggio remoto e di controllo di continuo per la salvaguardia<br />
del patrimonio culturale subacqueo.<br />
CONCLUSIONI E LAVORO FUTURO<br />
Il nostro Paese dispone del più grande museo aperto nel<br />
Mediterraneo lungo le coste italiane sui beni archeologici<br />
sommersi e, se utilizzeremo al meglio, le ultime tecnologie<br />
robotiche di sciame sviluppate ed in via di perfezionamento<br />
all’ENEA per i beni culturali, potremo contribuire alla sua<br />
valorizzazione, fruizione e tutela. La robotica di sciame, insieme<br />
alle tecnologie ad essa correlate, può costituire un<br />
punto di svolta per un rilancio e un nuovo tipo di fruizione<br />
dei Beni Culturali situati sui fondali marini. Le tecnologie e<br />
i costi ad esse relativi sono ormai maturi per applicazioni in<br />
siti marini già documentati e possono costituire anche un<br />
motivo di rilancio per le economie locali, che hanno già mostrato<br />
interesse per questo tipo di attività.
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di Sinuessa. <strong>Archeomatica</strong>, 4, 26-29, Roma<br />
Abstract<br />
Cultural Heritage can largely profit from the set of technologies that have<br />
recently been developed in Submarine Robotics. In this paper we focus on how<br />
underwater robotics and related technologies can be used to enhance economical<br />
fruition, control, protection and social impact of the cultural heritage.<br />
Robots allow on-line experience, in remote locations, realizing the remote<br />
museum concept as extension and enhancement of the virtual museum. These<br />
solutionspush the cultural tourism beyond actual limits of the sites like the<br />
number of simultaneous visitors, the travelling costs, , the difficulties to<br />
access dangerous locations coimng to a true, advanced fruition of the Cultural<br />
Heritage goods.<br />
Parole chiave<br />
Mobile robotics; Cultural heritage; Remote museum<br />
Autore<br />
Ramiro dell’Erba<br />
ramiro.dellerba@enea.it<br />
Claudio Moriconi<br />
Claudio.moriconi@enea.it<br />
ENEA Technical Unit technologies for energy and industry - Robotics<br />
Laboratory<br />
Via Anguillarese 301, Roma 00123<br />
Alfredo Trocciola<br />
alfredo.trocciola@enea.it<br />
ENEA Technical Unit Technology – Biogeochemistry Laboratory<br />
Piazzale E. Fermi, 1, 80055 Po<br />
26 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 27<br />
S800A<br />
Ricevitore GNSS con 394 canali e<br />
alte prestazioni
RESTAURO<br />
Il degrado dei materiali lapidei<br />
in ambiente sommerso<br />
di Mauro Francesco La Russa, Michela Ricca<br />
Nelle campagne di ricerca condotte su manufatti<br />
e resti archeologici sommersi, l’attitudine e<br />
la propensione di dare dati scientificamente<br />
attendibili rappresenta una fase imprescindibile<br />
della ricerca, subordinata a metodiche, a<br />
strumentazioni e alla pianificazione dell’attività<br />
stessa, tenendo sempre in prima linea i limiti<br />
fisici e spesso ambientali che un progetto espone,<br />
soprattutto operando in un contesto ampio e<br />
diversificato rappresentato dal mondo sottomarino<br />
(Volpe, 1998; Davidde et al., 2002). Un’area<br />
archeologica sommersa rappresenta un bene<br />
Fig. 1 – Immagini su sezioni sottili e stratigrafiche mediante microscopio<br />
ottico polarizzatore. Osservazione a polarizzatori incrociati. Forme di<br />
alterazione/degrado su materiali lapidei artificiali (a-b) e naturali (c-d) di<br />
rilevanza archeologica, provenienti da ambiente marino; evidenza di patine<br />
superficiali di natura carbonatica, ad azione incrostante (a-b) e perforazioni<br />
da attività endolitica (c-d).<br />
che, nella definizione di un piano diagnostico e<br />
di un futuro intervento di restauro, deve essere<br />
indagato, conservato e valorizzato.<br />
Da sempre la ricerca archeologica subacquea manifesta<br />
un’evidente inclinazione allo sviluppo, dovuta<br />
principalmente alla scoperta e alla sperimentazione<br />
di nuove tecniche e a studi mirati, grazie ai quali è possibile<br />
ampliare e confrontare le conoscenze negli anni<br />
acquisite. Subentra nel tempo una maggiore cognizione,<br />
nella comunità scientifica internazionale, dell’importanza<br />
dell’archeologia subacquea volta ad indagare su resti e manufatti<br />
sommersi. A fronte di tale circostanza si moltiplicano<br />
repentinamente le attività di ricerca e le iniziative di<br />
indagine sottomarina, potendo ormai usufruire di strumenti<br />
di lavoro pienamente affidabili, di nuove strategie e di consolidate<br />
esperienze nell’organizzazione tecnica, nonché di<br />
specialisti del settore. Il dibattito sui metodi, sulle procedure<br />
e sulle attività di ricerca subacquea arriva a coinvolgere<br />
negli anni l’intera comunità scientifica (archeologi, geologi,<br />
biologi, fisici, chimici, conservatori, ingegneri, ecc.)<br />
che ha manifestato un crescente interesse per il recupero<br />
e la valorizzazione del patrimonio storico e archeologico<br />
ubicato in ambiente subacqueo, soprattutto in seguito all’istituzione<br />
della Convenzione UNESCO 2001 sulla protezione<br />
del patrimonio culturale sommerso. In questa prospettiva<br />
assume rilevante importanza la conservazione in situ, cioè<br />
nell’attuale collocazione del bene sul fondale, e l’indagine<br />
diagnostica volta all’aspetto conoscitivo dei processi e delle<br />
forme di degrado in ambiente acquatico. Si definisce negli<br />
anni un’attenta, seppur ancor esigua, letteratura scientifica<br />
che descrive evidenze di studio sui materiali provenienti da<br />
ambiente subacqueo.<br />
In questo capitolo si tratterà dell’influenza notevole dell’approccio<br />
diagnostico applicato alle problematiche inerenti<br />
all’alterazione e al degrado di materiali lapidei sommersi,<br />
illustrando metodi di studio ed aspetti applicativi su beni di<br />
provenienza marina che hanno permesso il raggiungimento<br />
di risultati notevoli; la ricerca scientifica e le campagne diagnostiche<br />
non possono, infatti, essere disgiunte dalla diffusione<br />
delle metodiche consolidate nel campo.<br />
MATERIALI LAPIDEI PROVENIENTI DA AMBIENTE<br />
SUBACQUEO E FORME DI BIODETERIORAMENTO<br />
Negli ultimi decenni incentrare la ricerca scientifica nello<br />
studio di forme di alterazione e/o degrado di strutture<br />
sommerse ha fornito basi e strumenti per la conoscenza, la<br />
tutela e la valorizzazione di manufatti e siti archeologici individuati<br />
nei fondali marini, che altrimenti avrebbero subito<br />
un processo di degrado irreversibile, rischiando di andare<br />
28 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 29<br />
distrutti. Diversi sono i tratti costieri, lungo la nostra penisola,<br />
in cui la concentrazione di relitti e aree archeologiche<br />
sommerse risulta particolarmente elevata, sia per ragioni<br />
geologiche che storico-geografiche: perché crocevia di passaggi<br />
e rotte commerciali, perché più esposte alle intemperie,<br />
perché densamente popolate in epoca antica o altresì<br />
perché continui teatri di battaglie. Indipendentemente dalle<br />
zone di rinvenimento e dalle epoche di appartenenza, i<br />
reperti (o siti archeologici) manifestano stati conservativi<br />
e forme di deterioramento variabili, che si diversificano in<br />
relazione alle diverse e mutuabili condizioni di esposizione<br />
e che sono spesso correlate alle proprietà costitutive dei<br />
materiali. Quest’attenzione ai rapporti bene-ambiente è<br />
suffragata dagli esperti di settore, per cui la valutazione<br />
dell’ambiente e delle sue interazioni con le proprietà costitutive<br />
del bene, è operazione necessaria nella pianificazione<br />
di un progetto di diagnosi e conservazione rivolto a<br />
manufatti di provenienza subacquea.<br />
Nell’ambito della conservazione di beni culturali subacquei,<br />
si possono distinguere due aspetti fondamentali: a) il primo<br />
implica lo studio dei processi/meccanismi di degrado e dei<br />
biodeteriogeni, valutando l’interazione tra agenti di danno<br />
e materiali costitutivi dei beni; b) il secondo è lo studio e<br />
la sperimentazione di metodi preventivi e di controllo del<br />
degrado, con l’obiettivo di limitare il danno e mettere a<br />
punto strategie conservative.<br />
Lo studio dei processi e meccanismi di degrado di materiali<br />
lapidei sommersi implica la vasta conoscenza dell’habitat<br />
marino, che ritrae un vero contesto di vita naturale, in cui<br />
i materiali stessi trovano un nuovo e peculiare sito di giacitura.<br />
A contatto con l’ambiente acquatico sono anch’essi<br />
utilizzati dagli organismi come substrati di crescita e risultano<br />
colonizzati da comunità biotiche diversificate in funzione<br />
delle caratteristiche del sito e delle loro proprietà<br />
strutturali e composizionali. Organismi che svolgono il ruolo<br />
di biodeteriogeni di materiali lapidei, appartengono alla categoria<br />
delle forme bentoniche che vivono in stretto contatto<br />
ad un substrato rigido o all’interno di esso. Rientrano<br />
in questa categoria forme vegetali e animali, spesso resistenti<br />
ai domini più estremi con una versatilità metabolica<br />
estremamente ampia e diversificata. Sono proprio le loro<br />
attività vitali tra le principali cause che concorrono al deterioramento<br />
di manufatti ubicati sui fondali. La presenza<br />
sui materiali di tali forme è considerata del tutto normale<br />
e, in proporzioni limitate, il fenomeno non è sempre dannoso.<br />
Sussistono casi in cui, laddove le condizioni esterne,<br />
siano ampiamente favorevoli alla loro proliferazione, divengono<br />
l’elemento chiave per l’insorgere del danno, arrecando<br />
talvolta danni estesi ed irreversibili (Caneva & Ceschin,<br />
2009). Il manifestarsi di organismi bentonici può pertanto<br />
compromette, in sinergia con i fattori ambientali, la funzionalità,<br />
l’integrità e la leggibilità dei medesimi (Caneva<br />
et al., 2005).<br />
La crescita di organismi bentonici determina la formazione<br />
di biofouling, che si manifesta come incrostazione, più o<br />
meno spessa e stratificata, sulla superficie dei materiali.<br />
La loro distribuzione è sempre dipendente dalle combinazioni<br />
dei fattori ambientali del sito di esposizione; sussiste,<br />
sempre, uno stretto sistema d’interrelazioni fra organismo<br />
– substrato – ambiente. Tale associazione non essendo definibile<br />
dal punto di vista biocenotico come entità univoca<br />
e distinta, varia con il mutare delle molteplici situazioni<br />
ambientali cui i substrati sono sottoposti (Relini, 1977; Relini,<br />
1987; Relini et al., 1998; Relini, 2003). Di conseguenza<br />
saranno numerose le strategie di controllo, tante quante<br />
sono le diverse situazioni in cui esso si forma. Sulla base<br />
delle dimensioni degli organismi pionieri, si distingue ulteriormente<br />
tra macrofouling, ossia l’adesione di organismi<br />
marini di grandi dimensioni (es. policheti, briozoi, alghe,<br />
ecc.) e microfouling o biofilm, ovvero un’aggregazione<br />
complessa di microrganismi. La formazione di biofilm favorisce<br />
l’adesione e l’ancoraggio dei primi microrganismi al<br />
substrato. Si tratta di un raggruppamento complesso, contraddistinta<br />
dalla secrezione di una matrice adesiva, gelatinosa<br />
e allo stesso tempo protettiva (Relini, 2003). Le fasi<br />
di sviluppo del biofilm oscillano temporalmente in funzione<br />
dei diversi fattori biologici, fisico-chimici e ambientali; in<br />
habitat marino la sua formazione racchiude le fasi di adesione,<br />
colonizzazione, crescita e maturazione. Solitamente<br />
la prima fase, che è quella di adesione, è designata come<br />
sticking efficiency; essa dipende sostanzialmente dalle proprietà<br />
della superficie del materiale colonizzato, dallo stato<br />
fisiologico dei microrganismi e dalle condizioni idrodinamiche<br />
dell’ambiente in prossimità dell’area sottomessa. Ha<br />
inizio con l’ancoraggio, sul substrato, dei microrganismi liberamente<br />
fluttuanti, che agiscono inizialmente mediante<br />
forze deboli. Questa fase implica la deposizione, nel giro<br />
di pochissimo tempo (1-3 giorni), di un biofilm macromolecolare<br />
costituito in prevalenza da polisaccaridi e proteine.<br />
Il processo di formazione di questo primo involucro è seguito<br />
dall’attecchimento di batteri e altri organismi unicellulari<br />
fotosintetici. La successiva duplicazione cellulare e<br />
la produzione di sostanze polimeriche extracellulari (EPS)<br />
consentono la successiva colonizzazione del substrato con<br />
aumento dell’aderenza cellulare (accumulo), fino al conseguimento<br />
di una condizione di stabilità strutturale. L’EPS<br />
rappresenta l’insieme delle differenti classi di macromolecole<br />
(polisaccaridi, proteine, acidi nucleici e fosfolipidi)<br />
rilevate negli spazi intracellulari dei complessi microbici.<br />
Queste molecole sono responsabili delle forze coesive che<br />
permettono alla matrice del biofilm la tipica architettura<br />
tridimensionale dentro la quale i microrganismi si sviluppano<br />
(Wingender et al., 1999). L’incremento del biofilm<br />
microbico è comunemente accompagnato da formazioni di<br />
vere e proprie appendici filamentose che agevolano la cattura<br />
e l’adesione di spore, funghi, protozoi, microalghe e,<br />
ovviamente, corpuscoli inorganici. In altre parole, quando<br />
la colonizzazione ha avuto inizio, il biofilm cresce smisuratamente<br />
tramite divisioni cellulari e integrazioni di batteri<br />
esterni. A questo stadio (6-7 giorni), inizia la colonizzazione<br />
da parte di organismi pluricellulari, sia produttori che<br />
degradatori (Davis & Williamson, 1995). L’ultimo stadio di<br />
sviluppo denota l’attecchimento e la crescita di organismi<br />
più complessi, come macroalghe e invertebrati marini. Un<br />
biofilm maturo contiene quindi una popolazione variegata<br />
di organismi (Keevil & Walker, 1992) che genera, solitamente,<br />
le condizioni favorevoli per l’insediamento del macrofouling<br />
che continua così il processo di colonizzazione della<br />
superficie. Lo sviluppo di biofilm si rivela per lo più su substrati<br />
solidi sommersi o esposti a soluzioni acquose, sebbene<br />
possa manifestarsi anche come tappeti o masse galleggianti<br />
su superfici liquide.<br />
Gli effetti negativi della sua formazione possono coinvolgere<br />
le molteplici strutture sommerse di interesse archeologico,<br />
manufatti di varia natura, relitti marini nonché mezzi<br />
navali.<br />
Le diverse casistiche hanno sollevato maggiore attenzione<br />
da parte dei gruppi di ricerca che, incentrando gli studi<br />
sull’evoluzione di un biofilm, hanno messo in luce molti dei<br />
meccanismi con i quali i microrganismi modificano e alterano<br />
le proprietà chimico-fisiche della superficie dei materiali<br />
colonizzati immersi nell’ambiente acquatico, proponendo
criteri di prevenzione e sperimentando tecniche e sostanze<br />
di rimozione (Costerton et al., 1995).<br />
Lo sviluppo di comunità e popolamenti marini non è solo<br />
superficiale; in alcuni casi gli organismi possono insediarsi<br />
all’interno dei materiali; è il caso degli organismi endolitici.<br />
La colonizzazione, tuttavia, non è universalmente nociva;<br />
sussistono casi in cui la presenza di biomassa sui manufatti<br />
volge a potenziarne la conservazione (effetto bioprotettivo)<br />
(Aloise et al., 2013; La Russa et al., 2015). Il fenomeno<br />
del degrado in ambiente acquatico, dove le variabili che<br />
concorrono sono plurime e mutevoli (tipologia di substrato,<br />
torbidità delle acque, luce, temperatura, disponibilità<br />
di ossigeno, ecc.) costituisce un’argomentazione tutt’oggi<br />
alquanto complessa, ricca di contenuti che abbracciano le<br />
disparate forme di danno cui un materiale è inevitabilmente<br />
soggetto durante la sua permanenza in ambiente marino<br />
(Caneva et al., 2005; Petriaggi & Mancinelli, 2004; Petriaggi,<br />
2005; Petriaggi & Davidde, 2007).<br />
SUBSTRATI CARBONATICI IN AMBIENTE SOMMERSO, FORME<br />
DI BIOEROSIONE E METODI D’INDAGINE<br />
Nell’accezione più comune il termine bioerosione (Neumann,<br />
1966) si riferisce ad un processo di distruzione e<br />
impoverimento parziale o totale di un substrato, attivato<br />
da una varietà di organismi mediante meccanismi biologici<br />
come lo scavo, la perforazione, l’abrasione, ecc. (Carreiro-Silva<br />
et al., 2009; Golubic et al., 1970; Golubic et al.,<br />
1975; Golubic et al., 1980; Golubic et al., 1984; Golubic et<br />
al., 2003; Golubic et al., 2005; Kleemann, 2001; Davidde et<br />
al., 2002; Davidde et al., 2010; Ricci et al., 2004; Ricci et<br />
al., 2007; Ricci et al., 2009; Ricci & Davidde, 2012; Ricci et<br />
al., 2015; Sacco Perasso et al., 2015). Rientrano in questa<br />
categoria sia organismi microperforatori (alghe, batteri e<br />
funghi) che macroperforatori (bivalvi e spugne).<br />
Tale fenomeno, che nel caso di beni provenienti da ambiente<br />
marino, interessa in prima linea i materiali di natura<br />
carbonatica, può manifestarsi superficialmente o spingersi<br />
dentro il substrato, producendo cavità interne. Il fenomeno<br />
esterno è generato principalmente dall’attività dei grazers,<br />
Fig. 2 – Immagini su campioni archeologici mediante microscopio elettronico a<br />
scansione. Forme di alterazione/degrado su materiali lapidei di natura carbonatica<br />
provenienti da ambiente marino; evidenza di perforazioni da attività endolitica.<br />
organismi erbivori come echinodermi, molluschi gasteropodi<br />
e alcuni pesci che pascolano sul substrato rimuovendone<br />
notevoli porzioni. Il substrato può essere demolito anche in<br />
profondità grazie all’azione di perforatori endolitici, come<br />
poriferi e molluschi. Forti testimonianze in merito, si hanno<br />
negli studi del biologo croato Stjepko Golubic - tra i primi a<br />
cimentarsi nei fenomeni di bioerosione su superfici carbonatiche<br />
- dai cui studi emerge chiaramente che gli organismi,<br />
particolarmente quelli che svolgono attività endolitica, penetrano<br />
nella roccia scavando cavità e/o tunnel attraverso<br />
processi chimico-fisici e biologici e dunque, sono essi stessi<br />
gli artefici degli spazi in cui giacciono e si riproducono. Questi<br />
processi, che si instaurano analogamente sui substrati<br />
biogenici di natura carbonatica (Posidonia oceanica, fondi<br />
a Maerl, coralligeno, tegnùe, coralli profondi, ecc.) e sui<br />
substrati rocciosi calcarei che plasmano i fondali marini naturali<br />
(Golubic et al., 1970; Golubic et al., 1984; Tribollet &<br />
Golubic, 2005), lasciano desumere che la bioerosione è tra<br />
le forme più aggressive e devastanti di deterioramento su<br />
materiali lapidei sommersi di suddetta natura (Camara et<br />
al., 2017; Calcinai et al., 2003a; Calcinai et al., 2003b; Casoli<br />
et al., 2009; Casoli et al., 2013; La Russa et al., 2010;<br />
La Russa et al., 2015; (Ricca et al., 2014; Ricca et al., 2015;<br />
Ricca et al., 2016; Ricci et al., 2008a; Ricci et al., 2008b;<br />
Ricci et al., 2009; Aloise et al., 2013; Ricci et al., 2013;<br />
Ricci et al., 2015).<br />
La crescita di forme bentoniche su materiali carbonatici può<br />
causare tipologie di danno riconducibili a tre classi distinte:<br />
danno strutturale, funzionale ed estetico. Il più delle volte<br />
queste si sviluppano simultaneamente nonostante possa<br />
sussistere la prevalenza dell’uno rispetto agli altri. Tale variabilità<br />
deve sempre essere correlata ai fattori ambientali<br />
estremamente diversificati (luce, temperatura, profondità<br />
e topografia del fondale, acqua, salinità, ecc) che entrano<br />
in gioco nel rendere un ambiente conforme a sostenere<br />
dei processi di crescita biologica, verso cui le singole specie<br />
possono manifestare spettri di tolleranza più o meno ampia.<br />
Indagare su tali parametri e condurre quindi uno studio<br />
sistematico-ecologico di un dato habitat, rappresenta l’approccio<br />
metodologico più consono, in grado di fornire indicazioni<br />
sulle cause che possono aver favorito l’insorgere di<br />
una determinata specie piuttosto che un’altra su un materiale,<br />
nonché metodi efficaci per monitorarne crescita e sviluppo<br />
(Caneva et al., 2005; Caneva and Ceschin, 2009; Crispim<br />
& Gaylarde, 2005; Crisci et al., 2010; Ortega-Calvo et<br />
al., 1995; Petriaggi & Davidde, 2007; McNamara & Mitchell,<br />
2005; Naylor et al., 2011; Naylor & Viles; 2002; Pohl and<br />
Schneider, 2002; Tomaselli et al., 2000; Viles, 1995; Viles,<br />
2013; Walker & Pace, 2007; Warscheid and Braams, 2000;).<br />
Partendo da tali presupposti è evidente che, volendo indagare<br />
sui fenomeni di bioerosione in ambiente acquatico, è<br />
fondamentale conoscere le relazioni che gli organismi instaurano<br />
con un substrato sommerso e valutarne l’intrinseco<br />
rapporto.<br />
Come peculiare metodica d’indagine per lo studio delle forme<br />
di degrado su materiali di natura carbonatica si ricorre<br />
a ricognizioni macroscopiche che consentono preliminarmente<br />
di mappare il bene, possibilmente in situ, definendo<br />
distribuzione e frequenza degli organismi, identificazione<br />
dei gruppi sistematici presenti, inquadramento ecologico<br />
del sito di giacitura, definizione dei livelli di pericolosità e<br />
indici di danno. In tale fase ci si avvale di schede di raccolta<br />
dati, appositamente elaborate dall’ISCR (Istituto Centrale<br />
per il Restauro, Roma) per la definizione dello stato di conservazione<br />
di manufatti sommersi; parliamo del sistema di<br />
schedatura SAMAS e SAMAS BIO di I e II livello.<br />
30 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 31<br />
Fig. 3 - Immagini su sezioni sottili e stratigrafiche di campioni archeologici, mediante microscopio elettronico a scansione. Forme di alterazione/degrado su materiali<br />
lapidei di natura carbonatica provenienti da ambiente marino con evidenza dell’interazione substrato-alterato/materiale lapideo e concrezioni superficiali.<br />
Questo tipo di indagine implica il riferimento a campioni<br />
sia di materiale biologico che di materiale costitutivo, prelevati<br />
ai fini di specifiche indagini di laboratorio necessarie<br />
per il riconoscimento degli organismi e lo studio dei litotipi<br />
colonizzati, con relative forme di danno. Il passo successivo<br />
è comunemente l’osservazione dei campioni prelevati mediante<br />
tecniche microscopiche.<br />
Lo stereomicroscopio consente di ispezionare gli aspetti<br />
morfologici più superficiali, focalizzando maggior interesse<br />
sulle incrostazioni presenti (es. layers superficiali, anche<br />
plurimi, contraddistinti da concrezioni e patine, riconducibili<br />
a resti scheletrici di forme bentoniche) e di quantificare<br />
approssimativamente l’entità di danni irreversibili (es.<br />
perforazioni, perdita di materiale), spesso visibili – laddove<br />
estesi – anche ad occhio nudo. Nel primo caso ci troviamo<br />
dinanzi ad un danno che, sulla base di un’indagine<br />
preliminare, può essere considerato essenzialmente di tipo<br />
estetico, dove il manufatto perde di leggibilità e ne risulta<br />
ampiamente deturpato; nel secondo caso riscontriamo un<br />
deterioramento a livello fisico-meccanico che, nelle forme<br />
più avanzate, implica la totale perdita del bene archeologico.<br />
Queste forme di danno, ampiamente indagate, possono<br />
essere attribuite a gruppi sistematici vegetali e animali<br />
mediante il riconoscimento di elementi diagnostici peculiari,<br />
come ad esempio le strutture di organismi incrostanti o<br />
la morfologia di alcuni residui di biocenosi molli. Inoltre,<br />
l’eventuale presenza di perforazioni lascia presupporre<br />
all’azione di forme endolitiche; per una più corretta identificazione<br />
si rimanda necessariamente ad uno studio di dettaglio<br />
mediante metodi di indagine microscopici ad elevata<br />
risoluzione come ad esempio la microscopia elettronica a<br />
scansione (SEM) coadiuvata da microanalisi EDS.<br />
Le indagini SEM-EDS incoraggiano un’analisi morfologica di<br />
dettaglio, valutando più approfonditamente il danno. La<br />
metodica è in alcuni casi utile per l’inquadramento sistematico<br />
di forme bentoniche spesso in concomitanza a resti<br />
inorganici e tracce caratteristiche di taluni organismi marini.<br />
È il caso, ad esempio, dell’osservazione dell’ultrastruttura<br />
di spicole, formanti l’endoscheletro delle spugne; in<br />
funzione della morfologia e della loro composizione se ne<br />
favorisce la corretta identificazione. Altresì si può indagare<br />
sulle cavità, micro-gallerie e impronte lasciate sul substrato.<br />
Studi dimostrano che l’eterogeneità dimensionale delle<br />
perforazioni e la loro varia distribuzione spaziale sono da<br />
associare allo stadio di accrescimento di gruppi, sia di fauna<br />
che flora marina, nel substrato colonizzato. Un’altra manifestazione<br />
di interesse per lo studio dei fenomeni di alterazione<br />
sui materiali lapidei è quella operata da organismi<br />
incrostanti che portano alla formazione si spesse e dense<br />
concrezioni calcaree, la cui azione non è universalmente<br />
nociva. Si sviluppano layers superficiali che deturpano il<br />
manufatto, inducendone la perdita di leggibilità e funzionalità.<br />
Di conseguenza, il risultato è un forte danno di tipo<br />
estetico.<br />
Al fine di valutare i fenomeni di degrado da un punto di vista<br />
più propriamente legato all’aspetto minero-petrografico, si<br />
predispongono sezioni sottili e stratigrafiche con spessori di<br />
~ 30 μm per osservazioni al microscopio ottico a luce polarizzata.<br />
Il fine è di valutare come il degrado, di entità biologica,<br />
possa variare in relazione ai caratteri strutturali e tessiturali<br />
dei litotipi colonizzati. Studi su campioni di marmo<br />
hanno evidenziato come il danno possa variare in funzione<br />
del range granulometrico e del grado di interconnessione tra<br />
i cristalli calcitici/dolomitici; marmi a grana molto fine sono<br />
meno suscettibili all’attività biologica destata da gruppi con<br />
capacità perforanti rispetto a marmi a grana medio-grossa,<br />
probabilmente per via del maggiore grado di compattezza<br />
del materiale, dovuto all’elevato grado di interconnessione<br />
tra i grani e, conseguentemente, alla maggiore difficoltà<br />
da parte dei perforatori di penetrare tra i cristalli, in particolar<br />
modo a livello dei punti di giunzione e contatto dei<br />
grani. Il microscopio ottico polarizzatore avvantaggia anche<br />
lo studio dell’alterazione superficiale, esaminando il profilo<br />
esterno di patine e concrezioni.<br />
Infine, studi di tipo mineralogico-molecolare mediante<br />
spettroscopia in trasformata di Fourier (FT-IR) con modalità<br />
di acquisizione in Riflettanza Totale Attenuata (ATR) possono<br />
ulteriormente guidare nell’identificazione della natura<br />
inorganica delle concrezioni superficiali.<br />
STRATEGIE CONSERVATIVE<br />
Nell’ultimo decennio, nello scenario della ricerca e dello<br />
sviluppo tecnologico mondiale, le nanotecnologie hanno<br />
acquisito una posizione di prestigio, tanto da parlare di<br />
un nuovo settore del sapere. Si pensa alle nanotecnologie<br />
come metodi di manipolazione della materia su cui in futuro<br />
fonderanno le basi molte aree settoriali e tecnologiche;<br />
una vera ondata rivoluzionaria indirizzata non unicamente<br />
al mondo della ricerca e dell’industria ma anche alla vita<br />
umana (Boeing, 2006). Uno dei settori scientifici in cui le<br />
nanotecnologie hanno consolidato il loro metodo è quello<br />
della Conservazione dei Beni Culturali in cui l’approccio alla<br />
dimensione nanometrica è alla base di tecniche e prodotti<br />
innovativi che sono testati sui diversi materiali con fini consolidanti<br />
e/o protettivi e, allo stesso tempo, atti ad unire<br />
elevate prestazioni senza gravare sull’ambiente, favorendo<br />
inibizione di prodotti d’alterazione ad es. attraverso azione<br />
fotocatalitica (Fujishima& Honda, 1972). Prima di operare
sul bene culturale, il metodo prevede un’iniziale fase di<br />
sperimentazione finalizzata ad individuare le potenzialità di<br />
miglioramento prestazionale e di affidabilità nel tempo dei<br />
nanomateriali; dopodiché si prosegue con l’intervento vero<br />
e proprio. Negli ultimi anni, sui substrati culturali di diversa<br />
natura, si è rafforzato l’impiego di resine polimeriche e<br />
binders, addizionati a nanomateriali (es. nanoparticelle di<br />
biossido di titanio, argento, ossido zinco ecc.); tali applicazioni<br />
rappresentano una tecnica leggera ed eco-sostenibile<br />
per la conservazione attiva del patrimonio storico-artistico,<br />
giacché consentono di evitare lo smontaggio della struttura<br />
esistente (operando in situ) e favoriscono evidenti vantaggi<br />
di ordine economico ed anche dal punto di vista dei tempi di<br />
realizzazione dell’intervento (Gomez-Villaba et al., 2010;<br />
Ruffolo et al., 2010; Ruffolo et al., 2013).<br />
Nello specifico, volendo citare le proprietà più eloquenti<br />
per le quali i materiali nanostrutturati, trovano riscontro nei<br />
Beni Culturali, diremmo che essi sono implicati come agenti<br />
disinquinanti, antimicrobici, idrorepellenti e autopulenti<br />
delle superfici trattate; inoltre, oltre che nella rimozione di<br />
depositi organici e particelle di sporco depositate sui substrati<br />
alcuni di questi mostrano un forte potere idrofilo. La<br />
loro azione è spesso combinata a quella della radiazione<br />
solare. Infatti, l’azione ultravioletta crea una modificazione<br />
della struttura superficiale del prodotto “nano” utilizzato,<br />
e di conseguenza si assiste alla significativa riduzione<br />
dell’angolo di contatto sul materiale; per cui la bagnabilità<br />
completa della superficie trattata e la capacità di ossidoriduzione<br />
indotta dalla luce producono entrambi un effetto<br />
autopulente, inibendo depositi e crescita di organismi o di<br />
altro materiale. Rilevante si configura pertanto l’uso di tali<br />
prodotti per procedure di pulitura, consolidamento e protezione<br />
di materiali lapidei, naturali e artificiali, di interesse<br />
archeologico. Ovvio è che, per manifestare efficacia, i<br />
prodotti stessi devono essere opportunamente preparati e<br />
possedere peculiari caratteristiche, come ad esempio: a)<br />
dimensioni delle polveri dell’ordine dei nanometri; b) particolari<br />
morfologie; c) specifiche fasi cristalline e proprietà<br />
fisico-chimiche. Tali caratteristiche devono essere vagliate<br />
in funzione delle proprietà intrinseche del materiale da proteggere,<br />
delle problematiche di alterazione e degrado a cui<br />
sono soggetti e della compatibilità sia con l’ambiente in cui<br />
è prevista l’applicazione sia con il substrato da conservare.<br />
Per la protezione di strutture ubicate in ambiente marino,<br />
si sta rafforzando l’utilizzo di binders e principi attivi nanometrici<br />
che limitano lo sviluppo di biofouling. Per quanto<br />
riguarda i binders, si tratta di prodotti che manifestano un<br />
potere più o meno consolidante a seconda della compattezza<br />
del film che andranno a formare e alla loro penetrazione<br />
all’interno del substrato. L’aggiunta ai binders (es. SiO 2<br />
) di<br />
sostanze attive nell’inibizione del biofouling marino (es.<br />
nano TiO 2<br />
, ZnO, Ag, ecc.), permette di ottenere dei formulati<br />
che uniscono proprietà consolidanti a quelle protettive<br />
(Ruffolo et al., 2010; Ruffolo et al., 2013). Dovendo operare<br />
in ambiente acquatico, la problematica maggiore riscontrata<br />
risulta l’applicabilità in situ dei prodotti; a tal proposito<br />
recenti studi sono stati indirizzati a trovare un mezzo di<br />
dispersione dei principi attivi che non si dissolvesse, a contatto<br />
con l’acqua, e che rimanesse aderente alle superfici<br />
da trattare (Bruno et al., 2016; Ruffolo et al, 2017).<br />
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />
L’utilizzo di un approccio multidisciplinare permette di ottenere<br />
importanti informazioni sulla variabilità delle forme<br />
di danno apportate da gruppi di organismi bentonici che<br />
operano su resti e manufatti di interesse storico e archeologico,<br />
di natura lapidea, in ambiente subacqueo. Tali informazioni<br />
sono di basilare importanza qualora si voglia intervenire<br />
su un bene e programmare un corretto intervento di<br />
conservazione e restauro.<br />
Si dimostra che la variabilità del danno è correlabile oltre<br />
che al tipo di colonizzazione biologica, anche ai caratteri<br />
intrinseci dei materiali e alle loro condizioni di esposizione<br />
nel contesto di giacitura. Questi aspetti rendono palese che<br />
la documentazione dello stato di conservazione e una corretta<br />
indagine diagnostica sono azioni indispensabili per la<br />
pianificazione di qualsiasi intervento conservativo e, più in<br />
generale, per una corretta gestione, valorizzazione e fruizione<br />
del bene.<br />
Sulla base di questi dati si potrà giungere alla definizione di<br />
mirati interventi da effettuare sulle strutture in situ.<br />
Abstract<br />
The paper presents an overview of the main causes of decay affecting archaeological<br />
stone materials in underwater environments. It is a complex phenomenon<br />
so far quite investigated, where a multitude of factors is involved. Degradation<br />
forms in seawater imply not only a variation in the physico-mechanical and geochemical<br />
properties of materials, but also an aesthetic damage, due to superficial<br />
deposits, which can determine to the illegibility of the artefacts. In this context,<br />
it is crucial to determine to what extent these decay factors, mainly attributable<br />
to biological growth, could affect the durability of materials and what are the<br />
effects of new and suitable procedures for their maintenance and protection.<br />
Keywords<br />
archeologia subacquea; biofouling; degrado; materiali lapidei; nanomateriali<br />
Autore<br />
Mauro Francesco La Russa<br />
mlarussa@unical.it<br />
Michela Ricca<br />
michela.ricca@unical.it<br />
Università della Calabria<br />
Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra (DiBEST)<br />
Via P. Bucci, 87036 – Rende (CS), Italy<br />
32 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 33<br />
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AGORÀ<br />
I droni per l'archeologia subacquea al Sea<br />
Drone Tech Summit <strong>2018</strong> di Gallipoli -<br />
Una flotta di droni subacquei si prepara ad<br />
esplorare le profondità di mari ed oceani. Si<br />
moltiplicano in Italia e nel mondo, infatti, i<br />
progetti per la costruzione di sofisticati robot<br />
marini, in grado di raggiungere fondali<br />
inesplorati e di documentare con telecamere<br />
e sensori l’ambiente sommerso, come<br />
anche relitti affondati o testimonianze di<br />
antiche civiltà.<br />
Rover marini telecomandati, ad esempio,<br />
sono stati utilizzati recentemente da una<br />
nave della Marina Militare per ritrovare il<br />
sommergibile “Guglielmotti”, affondato<br />
durante la Prima Guerra Mondiale a largo<br />
dell’isola di Capraia, o dal CNR per misurare<br />
i parametri ambientali sottomarini<br />
nelle isole Svalbard nell’Artico norvegese.<br />
Tutte le più recenti innovazioni in questo<br />
settore saranno presentate al “Sea Drone<br />
Tech Summit <strong>2018</strong>”, il primo congresso in<br />
Italia dedicato ai droni e ai robot per impiego<br />
marino e subacqueo, che si svolgerà<br />
nei giorni 16 e 17 novembre prossimi a Gallipoli<br />
(Lecce). “Queste macchine stanno rivoluzionando<br />
le ricerche negli abissi marini<br />
e oceanici”, spiega l’organizzatore Luciano<br />
Castro. “Basti pensare che solo l’Italia possiede<br />
oltre 7mila chilometri di coste e oltre<br />
mille siti archeologici sommersi conosciuti.<br />
Un patrimonio che andrà esplorato, studiato<br />
e tutelato anche grazie a droni e robot<br />
capaci di immergersi ed operare a lungo a<br />
profondità inaccessibili all’uomo”.<br />
L’impiego in mare di sistemi autonomi o teleguidati<br />
si sta diffondendo rapidamente.<br />
Possono essere utilizzati, infatti, per il controllo<br />
di tubature o strutture sottomarine,<br />
per il monitoraggio dell’ecosistema sommerso,<br />
per la mappatura dettagliata delle<br />
aree portuali e dei fondali e per l’esplorazione<br />
di siti archeologici, come imbarcazioni<br />
affondate o vestigia di antichi porti o<br />
città. Non mancano poi le applicazioni nel<br />
settore della sicurezza e del soccorso, ad<br />
esempio per fornire dati in caso di naufragi<br />
(furono molto utilizzati anche nella tragica<br />
vicenda della Costa Concordia), o in campo<br />
militare. Oltre che in mare, questi droni<br />
e robot posso naturalmente operare pure<br />
in altri generi di bacini, ad esempio per il<br />
controllo dell’inquinamento dei fiumi, per<br />
le verifiche strutturali delle dighe e addirittura<br />
per individuare le perdite all’interno di<br />
grandi tubature sotterranee per la distribuzione<br />
dell’acqua. “Al nostro evento parteciperanno<br />
i maggiori esperti italiani in questo<br />
settore, tra cui rappresentanti di Forze Armate,<br />
Corpi Armati dello Stato, Università,<br />
ENEA, CNR e anche molte aziende specializzate”,<br />
conferma Castro. “Sarà un vero e<br />
proprio summit nazionale, che consentirà di<br />
fare il punto su questa nuova tecnologia, di<br />
creare nuove partnership e di dare visibilità<br />
ad un comparto tecnologico d’eccellenza<br />
finora poco conosciuto dalla collettività”.<br />
Il “Sea Drone Tech Summit <strong>2018</strong>” è promosso<br />
dall’associazione Ifimedia ed organizzato<br />
dalla società Mediarkè, in collaborazione<br />
con “Roma Drone Campus”. Il congresso ha<br />
già ricevuto i patrocini dei ministeri della<br />
Difesa e dello Sviluppo Economico, di Regione<br />
Puglia, Comune di Gallipoli, CNR,<br />
ENEA, Università del Salento e Link Campus<br />
University. Il programma prevede venerdì<br />
16 novembre una cerimonia inaugurale con<br />
la presenza di istituzioni locali e nazionali,<br />
a cui seguiranno tre sessioni: la prima sarà<br />
dedicata a droni e robot sottomarini, la seconda<br />
ai droni navali di superficie, mentre<br />
la terza ai droni aerei per impieghi marini.<br />
Si svolgeranno anche dimostrazioni operative<br />
dei vari mezzi in vasca e in mare,<br />
quest’ultime sabato 17 presso il Circolo della<br />
Vela di Gallipoli. Per la parte congressuale,<br />
relatori e partecipanti saranno ospitati<br />
presso l’Ecoresort Le Sirenè e l’hotel Bellavista<br />
Club, prestigiose strutture alberghiere<br />
gallipoline del gruppo Caroli Hotels, official<br />
supplier dell’evento.<br />
www.seadrone.it<br />
Via Indipendenza, 106<br />
46028 Sermide - Mantova - Italy<br />
Phone +39.0386.62628<br />
info@geogra.it<br />
www.geogra.it<br />
34 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali<br />
35<br />
Le attività scientifiche e tecnologiche del<br />
Laboratorio di Robotica IDRA - Il Laboratorio<br />
di Robotica svolge attività di ricerca in<br />
diversi campi della robotica avanzata. Le<br />
attività scientifiche e tecnologiche del Laboratorio<br />
si possono raggruppare in quattro<br />
aree, le cui caratteristiche sono riassunte di<br />
seguito.<br />
Robotica mobile terrestre<br />
In questo campo sono stati sviluppati molti<br />
progetti riguardanti sistemi robotici autonomi<br />
per applicazioni di sorveglianza e sicurezza,<br />
conservazione del patrimonio culturale<br />
e assistenza agli anziani ed ai diversamente<br />
abili. In quest’ambito sono stati sviluppati<br />
algoritmi per la navigazione autonoma, visione<br />
a artificiale, il riconoscimento di pattern<br />
nonché di cooperazione tra robot.<br />
Interfaccia uomo-macchina, teleoperazione<br />
e telemanipolazione<br />
Accanto alla teleoperazione, da sempre<br />
tema del laboratorio nato per sviluppare telemanipolatori<br />
per impianti nucleari, è stata<br />
studiata la progettazione meccanica ed<br />
elettro-termica di interfacce neurali invasive<br />
micro attuate basate su smart materials<br />
per la connessione tessuto vivente-attuatore<br />
meccanico. Attività collaterali sono state lo<br />
studio e analisi dei segnali neurali registrati<br />
in-vivo tramite tecniche avanzate di signal<br />
processing e lo sviluppo di interfacce neurali<br />
a film sottile di nuova generazione. La<br />
robotica contribuisce anche alla fruizione<br />
avanzata dei beni culturali mediante la realtà<br />
aumentata e tecniche di analisi e classificazione.<br />
Sistemi sensoriali<br />
Il Laboratorio ha sviluppato una sensoristica<br />
innovativa che usa la radiazione elettromagnetica<br />
nella banda dell’infrarosso e dispositivi<br />
wireless allo scopo di fornire elementi<br />
cognitivi per la modellazione del contesto da<br />
parte dei non vedenti. Nel settore automotive<br />
è stato realizzato un ausilio per le persone<br />
presbiacusiche.<br />
Robotica mobile subacquea e aerea<br />
Il Laboratorio è, nel periodo corrente, principalmente<br />
impegnato nello sviluppo di uno<br />
“sciame” di robot sottomarini autonomi finalizzato<br />
alle comunicazioni e alla “security”<br />
ma di interesse anche per la ricerca e lo<br />
studio di Beni Culturali sommersi. I sistemi<br />
robotici autonomi costituiscono uno strumento<br />
potente per la ricerca e la localizzazione<br />
di reperti archeologici sottomarini. I<br />
sistemi VENUS, elementi dello sciame, disegnati<br />
dall'ENEA e tutt'ora in fase di sviluppo,<br />
lavorano con il concetto di swarm, offrendo<br />
maggiore robustezza e velocità di esplorazione<br />
rispetto ad un singolo robot per quanto<br />
sofisticato. I punti chiave sono: un sistema<br />
di controllo distribuito, nuove strategie di<br />
comunicazione subacquea e lo sviluppo di<br />
un prototipo sottomarino economico. I robot<br />
sono in grado di costruire mappe digitali dei<br />
siti archeologici e dargli una struttura utilizzando<br />
non solo immagini visive ma combinandole<br />
con dati di altri strumenti, quali LIF<br />
(laser induced fluorescence), ultraacoustical<br />
devices etc. per generare immagini iper realistiche<br />
di realtà aumentata che forniscono<br />
all’osservatore diversi livelli di lettura contemporaneamente<br />
e migliorano il livello di<br />
fruizione, con l’ausilio tecniche di analisi e<br />
classificazione automatica delle caratteristiche<br />
rilevate.<br />
Le attività scientifiche e tecnologiche del<br />
Laboratorio di Robotica IDRA - Il L’App accessibile<br />
del Museo Sannitico di Campobasso.<br />
Nell’ambito del progetto “SMART CUL-<br />
TURAL HERITAGE 4 ALL”, la nuova App che<br />
propone due percorsi immersivi sensoriali<br />
concepiti per fare “vedere” il museo ai portatori<br />
di disabilità visiva.<br />
Dopo aver realizzato e lanciato al Museo<br />
Sannitico di Campobasso il primo percorso<br />
immersivo “smart touch” per non vedenti<br />
“Sanniti Experience”, Heritage concepisce<br />
e realizza un nuovo percorso e lancia per<br />
iOs e Android l’App accessibile “Museo Sannitico”<br />
che offre agli utenti due percorsi<br />
emozionali all’interno del Museo oltre a una<br />
serie di contenuti scientifici di approfondimento<br />
elaborati con gli archeologi del Polo<br />
Museale del Molise.<br />
Museo Sannitico è un App mobile, gratuitamente<br />
scaricabile da App Store o Google<br />
Play, concepita e sviluppata per migliorare<br />
l’accessibilità ai contenuti culturali delle<br />
principali sale del Museo Sannitico di Campobasso,<br />
in particolare alle persone portatrici<br />
di disabilità visive. Con l’App si possono<br />
esplorare gli ambienti del Museo attraverso<br />
due percorsi immersivi sensoriali.<br />
Il primo percorso è Sanniti Experience, che<br />
guida i visitatori all’interno delle sale del<br />
settore sannitico, un viaggio che porta indietro<br />
nel tempo - a più 2000 anni fa - nel<br />
cuore della storia sannita e della sua eroica<br />
lotta contro la Repubblica Romana. Il secondo<br />
percorso, appena realizzato, è In viaggio<br />
con Asparukh, dedicato al settore medievale<br />
e ai celebri ritrovamenti archeologici<br />
delle necropoli di Campochiaro. In Sanniti<br />
Experience il racconto emozionale è basato<br />
su uno storytelling che mette a confronto<br />
due personaggi, un guerriero sannita e un<br />
soldato romano. In In viaggio con Asparukh,<br />
lo storytelling è costruito su più voci tenute<br />
insieme dal piccolo Asparukh, un bambino<br />
figlio di cavalieri, che fa immergere il visitatore<br />
nelle vicende storiche del VII sec.<br />
quando i Bulgari di Alzecone arrivarono in<br />
Italia al servizio dei Longobardi, come narrato<br />
dallo storico Paolo Diacono.<br />
I due racconti immersivi sono integrati,<br />
anche dal punto di vista tecnologico, con<br />
esperienze sensoriali: il visitatore trova<br />
lungo il percorso la riproduzione in 3D di<br />
alcuni manufatti, così da poterli esplorare<br />
tattilmente e completare l’esperienza conoscitiva.<br />
Grazie alla tecnologia Beacon (sensori geolocalizzati<br />
all’interno delle sale), l’App riconosce<br />
la posizione del visitatore e lo guida<br />
lungo i percorsi, attivando automaticamente<br />
le tappe della storia mentre l’utente<br />
cammina. Infine, alcuni degli oggetti sensoriali<br />
sono realizzati per dialogare direttamente<br />
con l’App attraverso il bluetooth:<br />
questa tecnologia “smart touch” permette<br />
all’utente di attivare l’audio nel momento<br />
stesso della fruizione tattile.<br />
L’App e i percorsi immersivi multisensoriali,<br />
pur concepiti in particolare per non-vedenti<br />
e ipo-vedenti, sono un tipo di esperienza<br />
rivolta a tutti coloro che vogliono sperimentare<br />
una visita educativa, coinvolgente<br />
e ispirata ai principi dell’accessibilità universale.<br />
L’App “Museo Sannitico” è parte del progetto<br />
Smart Cultural Heritage 4 All, un format<br />
per la fruizione innovativa di musei, mostre<br />
e siti archeologici, concepito e sviluppato<br />
per migliorare l’accessibilità alle persone<br />
con disabilità e limitazioni funzionali.<br />
Il progetto è condotto all’interno di un protocollo<br />
d’intesa tra Università degli Studi<br />
del Molise, Polo Museale del Molise, Heritage<br />
Srl e Centro Orientamento Ausili Tecnologici<br />
Onlus, e con la collaborazione della<br />
Associazione Italiana Ciechi e Ipovedenti.<br />
Download: heritage-srl.it/museo-sannitico/<br />
www.heritage-srl.it/
GUEST PAPER<br />
Characterization and Treatment Study of a<br />
Handcraft Brass Trumpet From Dhamar Museum, Yemen<br />
by Mohamed M. Megahed, Mohamed M. Abdelbar<br />
The goal of this paper is to present an<br />
analytical and conservation study of<br />
a Brass Trumpet from the handcrafts<br />
collection of the Dhamar Museum<br />
(Yemen). Metallographic examination<br />
and scanning electron microscope<br />
were performed to identify the<br />
microstructure of the alloy.<br />
Fig. 1 - Show both sides of the trumpet surface (a, b).<br />
Brass alloys are mainly composed of copper and zinc,<br />
copper is the main component, while zinc is about 10<br />
and 45% (Lanord F. A. 1980; Scott D.A. 1991; Shreir L.L<br />
et alii 1994).<br />
Brass alloys in early times were equally binary alloys consisting<br />
of 90-70% copper and 10-30% zinc, the colour of the<br />
alloy becomes yellower as the proportion of zinc increased<br />
(Hodges H.,1964). The colour ranges from a red similar<br />
to pure copper through a pleasing yellow to white, above<br />
about 45% zinc (Selwyn L., 2004).<br />
In order to make brass, calamine was melted with copper,<br />
it is a compound of zinc carbonate and zinc silicate, which<br />
was the main ore from which the zinc was, extracted (Van<br />
der Heide G. J., 1991). Great caution should be taken when<br />
making an alloy of copper and zinc, because the boiling<br />
point of zinc (917ºC) is below the melting point of copper<br />
(1083ºC) (Craddock P.T., 1995). For this reason, zinc was not<br />
smelted in antiquity, but calamine ore was added to the<br />
molten copper in a crucible, the carbon and oxygen being<br />
then given off as gaseous carbon dioxide while the other<br />
impurities formed, in addition to silica, a slag that could be<br />
skimmed off the surface of the molten metal (Hodges H.,<br />
1964, p.69).<br />
This process was used into the 19 th century until it was replaced<br />
by the melting together of zinc and copper metals<br />
(Selwyn L., 2004, p.53). It is well known that the addition<br />
of can cause a significant change in the color of the alloy<br />
and its chemical prosperities as well as its ability to resist<br />
corrosion (Scott A. D., 2002).<br />
Brass alloys have been used in making wind instruments<br />
since the 16th century, and became an essential part of the<br />
orchestra during the 18th century, mainly due to its good<br />
properties like malleability, durability, solderablity, the<br />
ease of manufacturing of the instruments and its good corrosion<br />
resistance. This is also due to the sound produced by<br />
a brass instrument could not be compared by that of any<br />
other alloy (Baines A., 1993; Leencwadi L., 2011; Deck C.,<br />
2016).<br />
The first brass instrument is a trumpet found in a drawing<br />
in King Tutankhamen’s tomb in Egypt dating to 1500 BCE.<br />
In this drawing, two trumpets were found, one was made<br />
of bronze (or possibly copper) and the other of silver; both<br />
were made by means of flattening the metal with a hammer<br />
((Van der Heide G. J., 1991, p. 126).<br />
The main instruments of the brass family include the trumpet,<br />
horn, trombone and tuba. The trumpet is the highestsounding<br />
member of the brass instruments whereas the<br />
tuba is the lowest sounding. The trombone is larger than<br />
36 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 37<br />
the trumpet, and has a softer sound (Leencwadi L., 2011).<br />
The processes of flattening and hammering brass were the<br />
most important techniques used in the making of trumpets,<br />
horns, and trombones until about 1820. By using the appropriate<br />
hammers, anvils, and working procedures, the manufacturers<br />
were able to form the required bell shape (Van der<br />
Heide G. J., 1991, p. 130).<br />
It is well known that brasses are copper zinc alloys which are<br />
extensively used in many fields and they combine many of<br />
the favorable features of both copper and zinc. Since zinc<br />
is the active component of brass, it has a tendency to corrode<br />
leaving its surface enriched in copper. The corrosion of<br />
a metal is often considered as an inconvenience because it<br />
implies a change of the objects in the course of time, this<br />
damage caused to a metal by chemical, electrochemical or<br />
even biological reactions between metal and the surrounding<br />
medium (Hammouch H. et al., 2007).<br />
The exhibition of an old object is accompanied by a change<br />
depending on the environmental conditions, which can<br />
sometimes accelerated objects degradation [Wadsak M. et<br />
al. 2000; Organ R. M., 1963; Tylecate R.T., 1979; Cronyn J.<br />
M., 1990; ).<br />
The study of the causes of corrosion is essential to develop<br />
a control technology and to improve the means of protection.<br />
It is anticipated that a thin oxide film (patina) is immediately<br />
formed on Brass artifacts surface, when it is exposed<br />
to an Oxygen- containing environment. The thickness<br />
of this passive oxide film is about a few nanometers and<br />
acts as a protective barrier in the corrosive media (Kannan<br />
S.et al., 2005). However, the film isn’t sufficient during<br />
long- term implantation procedures as they are susceptible<br />
to corrosion- related problems and lack of biocompatibility<br />
to ensure new bone formation at the implant site. A metallic<br />
surface, which quite passive due to protective oxide layer<br />
may still allow a significant release of ions or atoms into<br />
the surrounding tissue under certain conditions. Hence, the<br />
development of Brass coatings on a passivated surface tends<br />
to ensure bioactivity and resists the metal leach from the<br />
surface.<br />
The aim of this work is to represent an analytical and conservation<br />
study of brass Trumpet from the handcrafts collection<br />
of Dhamar museum in Yemen.<br />
To achieve that Metallographic examination and scanning<br />
electron microscope were performed to identify the microstructure<br />
of the alloy. Energy dispersive spectroscopy EDS<br />
and x-ray fluorescence (XRF) were used to identify the alloy<br />
composition used for manufacturing the musical instruments<br />
and the solder joints. X-ray diffraction (XRD) was used for<br />
the identification of the crystalline corrosion products. Finally<br />
exploited the previous info., in a systemic treatment<br />
and conservation for the selected object.<br />
Fig. 2 - Shows the trumpet components.<br />
EXAMINATIONS AND ANALYSIS<br />
Metallographic and Scanning Electron Microscope were used<br />
to study the surface morphology and microstructure of trumpet,<br />
corrosion products were analyzed by X-Ray Diffraction<br />
and X-Ray Florescence was used to identify the chemical<br />
composition of the trumpet. The examinations and analyses<br />
were performed as the following:<br />
Metallographic Examination (ME)<br />
A ZEISS, AXIO Scope partorus was used to examine two<br />
samples from the selected object,<br />
the metallographic examination results are given in (Figures<br />
4. a, b).<br />
Scanning Electron Microscope Examination and Energy Dispersive<br />
Spectrometry (SEM&EDS)<br />
Fig.5 a, b show SEM&EDS examination which detects the<br />
microstructure, the appearance of deterioration spots and<br />
Figs. 6 &7 show the quantitative chemical composition of<br />
the trumpet analyzed using an Inspect S50 (FEI).<br />
MATERIALS AND METHODS: DESCRIPTION AND CONDITION<br />
The investigations and treatment were conducted on a<br />
trumpet from the collection of traditional handcrafts in<br />
Dhamar museum, Yemen. This trumpet dates back to 1850<br />
A.D, made of brass alloy, it consists of a long oval tube,<br />
with two curves, a mouthpiece at one end and a wide bell<br />
at the other. The dimensions of the trumpet are 41 cm<br />
length, 12 x 11 cm diameter of the front part and 2.2 cm<br />
diameter of the back port (Figures 1a, b &2). The trumpet<br />
suffered from deterioration aspects such as a thin black<br />
layer of corrosion products, calcareous spots, missed<br />
parts, micro cracks and wrapped parts (Figure 3 a, b).<br />
Fig. 3 - Show the deterioration aspects of the trumpet such as a<br />
thin black layer of corrosion products, missed parts, micro cracks,<br />
wrapped parts and the soldering material (a, b).
Fig. 4 - Metallographic examinations of the trumpet show: the grains of the alloy filled with<br />
pitting corrosion (a). The microstructure of the alloy, selective corrosion and the distortion of the edge (b).<br />
X-ray Fluorescence analysis (XRF)<br />
X-Ray Fluorescence is a non-destructive, powerful and easy<br />
to use technique for the elemental analysis of a wide variety<br />
of materials; two small samples from the trumpet and<br />
the solder joint were analyzed by this technique to determine<br />
its composition, by using: NITON/XL8138 (USA), driven<br />
with software version 4.2E. The results are shown in Table<br />
(1).<br />
X-ray Diffraction analysis (XRD)<br />
Sample from corrosion products of the trumpet was analyzed<br />
by using a Philips X-ray Diffractometer with Cu Kα<br />
radiation. The aim of this analysis is identification the<br />
corrosion compounds in order to decide whether it is authentic,<br />
stable and suited to certain kinds of conservation<br />
treatment. This information can assist in choosing the best<br />
environment of display or storage for the trumpet. The obtained<br />
diffraction-scan given in Figure (8) and the identified<br />
compounds represented in Table (2).<br />
TREATMENT AND CONSERVATION<br />
Brass tends to oxidize (tarnish) quickly when exposed to<br />
air, which is a major reason why most brass is given a clear<br />
coating to prevent future tarnishing (Deck C., 2016). The<br />
trumpet was subjected to mechanical cleaning with tooth<br />
brushes to remove dry dust and dirt. After that, a paste of<br />
precipitated chalk and water was used by a soft cloth to remove<br />
the residual rouge of corrosion products. The trumpet<br />
was washed carefully by distilled water and dried by immersion<br />
in acetone, finally it was isolated with 3% Paralaid<br />
B-72 dissolved in Ethanol, figure (9. a, b).<br />
RESULTS AND DISCUSSION<br />
Metallographic examination of the trumpet showed: a) the<br />
grains of the alloy filled with pitting corrosion, b) Shows the<br />
microstructure of the alloy, selective corrosion and the distortion<br />
of the edge (Fig.4 a, b). These deterioration aspects<br />
due to the manufacture process, the brittleness therefore,<br />
might be due to the chemical composition and micro-chemical<br />
structure as well as to the ageing process, inducing<br />
a drastic change in the metallurgical and micro-chemical<br />
structure of the object. An electrical potential between the<br />
copper and zinc, in the presence of water, oxygen and other<br />
impurities, causes an exchange of electrons resulting in intergranular<br />
corrosion, which weakens the brass and makes<br />
it especially susceptible to stress damage. Any attempt to<br />
reshape brass, such as dent removal or straightening, without<br />
prior heat treatment will result in distortion and damage,<br />
especially if corrosion-related micro-fissures already<br />
exist. Because brass must be heat-treated before working,<br />
any specific orientation in the material due to original manufacturing<br />
techniques will be obliterated (Barclay B., 1989).<br />
In the selective corrosion, corrosion processes cause removal<br />
of one component of alloy. A typical example of this form<br />
of corrosion is dezincification of brass, when part of the<br />
original material, alloy of zinc and copper, turns to spongy<br />
copper. Dezincification plays its role in the formation of corrosion<br />
cracking of brass. All brasses having Zn content higher<br />
than 15 wt. % incline to dezincification, the mechanism of<br />
dezincification lies in dissolution of Cu and Zn, and Cu subsequently<br />
re-deposits. The dezincification often happens in<br />
waters containing chlorides and is a frequent cause of fail-<br />
Fig. 5 (a, b) - SEM scan of the alloy shows the white block of zinc dispersed in the alloy and stress corrosion (a). A crossed section shows the<br />
stress corrosion caused micro cracks dispersed in the alloy (b).<br />
38 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 39<br />
Samples Cu Zn Sn Pb Total<br />
The trumpet 61.14 32.68 5.90 0.28 100%<br />
The solder 0.47 0.53 8.61 90.39 100%<br />
Tab. 1 - Shows XRF analysis results of the trumpet and the solder join.<br />
ing of the brass fittings in water circuits (Novák P., 2007).<br />
Localized atmospheric corrosion can also be observed on<br />
the surface of brass and copper-zinc alloys due to the reaction<br />
of the distinct alloying metals in contact with the<br />
environment. In this case, the corrosion is referred to as<br />
selective corrosion.<br />
SEM examination showed the white globules of zinc dispersed<br />
in the alloy and stress corrosion, which caused micro<br />
cracks dispersed in the alloy (Fig.5 a, b). Stress corrosion<br />
cracking (SCC) is typical especially for brass, but is less for<br />
other copper alloys. The effect appears under tension stress<br />
above a certain limit in a polluted (industrial) atmospheric<br />
environment, especially when it contains ammonium compounds.<br />
SCC affects copper alloys containing 20%or more<br />
zinc, but only rarely the other alloys (Knotkova D. & K. Kreislova,<br />
2007). The EDS qualitative analyses proved the trumpet<br />
was manufactured from brass alloy (Figs. 6, 7).<br />
XRF analysis was carried out to determine the alloy composition<br />
and the solder joints of the trumpet component. The<br />
results revealed that the trumpet was manufactured from<br />
a yellow brass alloy containing 61.14% Cu, 32.68% Zn, 5.90%<br />
Sn and 0.28% Pb (Table no 1).<br />
Yellow Brasses (containing 23 - 41 % of zinc) as the major<br />
alloying element and may contain up to 3 % of lead and up<br />
to 1.5 % of tin as additional alloying elements. The brasses<br />
are generally divided into three categories depending on<br />
the phase type: alpha brasses with up to about 35% zinc;<br />
alpha + beta brasses with between 35% and 46.6% zinc; and<br />
beta brasses with between 46.6% and 50.6% zinc. As zinc<br />
content increases the brittle d phase begins to appear and<br />
thus alloys with more than 50% zinc are generally avoided.<br />
Beta phase brasses are very much harder than the alpha<br />
and can withstand very little cold-working. The beta phase<br />
begins to soften at about 470 °C (as the lattice changes<br />
from an ordered to a disordered state), and at about 800 °C<br />
it becomes much easier to work. Based on the Cu–Zn phase<br />
diagram, the solubility of Zn in Cu can be as high as approximately<br />
32.5 wt. % , brass alloys in this range (α-brass) are<br />
ductile, easily cold-worked, can be rolled into thin sheets,<br />
and have good corrosion resistance in a salt-water atmosphere<br />
(Ashkenazi D. et al., 2014).<br />
The alpha brasses, which include most of the ancient specimens,<br />
are much better when they are cold-worked and annealed<br />
rather than hot-worked because, if hot-worked, impurities<br />
tend to segregate at the grain boundaries and make<br />
the brass very weak (Scott D.A., 1991, pp. 19-20).<br />
Fig. 6 - Shows SEM image shows the white globules of<br />
zinc dispersed in the alloy.<br />
The presence of lead in a small amount about 0.28% as purities<br />
may be affects the mechanical properties of the material<br />
to a considerable degree. Sixteenth-century brass is<br />
a characteristically inhomogeneous material that includes<br />
several trace elements. Among these, lead (Pb) is the most<br />
significant one, as it affects the mechanical properties of<br />
the material to a considerable degree. Different raw materials<br />
as well as different production processes were employed<br />
in the manufacture of early brass. Modern manufacturers<br />
use the direct process, melting the two principal<br />
elements of copper and zinc directly into each other, but<br />
early craftsmen used the cementation method (Vereecke<br />
H.W. et al., 2012).<br />
Fig. 7 - Shows the corresponding EDS analysis of the<br />
trumpet.<br />
Samples<br />
Trumpet Corrosion<br />
products<br />
Compounds<br />
Major Minor Traces<br />
Covellite<br />
Cu S (33.57%)<br />
Paratacamite<br />
Cu 2<br />
(OH) 3<br />
Cl<br />
(32.98%)<br />
Massicate Pb O<br />
(16.74%)<br />
Cuprite Cu 2<br />
O<br />
(9.26%)<br />
Calcite CaCO 3<br />
(7.44%)<br />
Tab. 2 - Shows XRD analysis results of corrosion products of the trumpet.
Fig. 8 - Shows XRD scan for the corrosion products of the trumpet.<br />
In general, copper and brass alloys are highly resistant to<br />
atmospheric corrosion due to the formation of protective<br />
layers of corrosion products, which reduce the rate of attack.<br />
Thickness and composition of the corrosion product<br />
layer formed are governed by the relative humidity and pollution<br />
of the environment. Inside the instruments that are<br />
regularly played, a very thin film of water at the surface can<br />
be present for quite a long time and damage of the artifacts<br />
(brass instruments) might occur on long-term (Elsener B.<br />
et al. 2016).<br />
The interior corrosion in brass wind instruments dues to the<br />
effects of moisture and saliva inside the instruments, which<br />
consequently increases the risk of metal corrosion inside<br />
the instruments.<br />
Measurements have shown that after 5 min playing the relative<br />
humidity (RH) inside the instruments exceeds 90% and<br />
it takes several days to reach ambient RH again (Scott A.<br />
D., 2002, p.6).<br />
Thus conditions for atmospheric corrosion, the formation of<br />
a very thin film of liquid water at the surface [Craddock P.T.,<br />
1995, p. 295; Hodges H., 1964, p.69; Selwyn L. 2004, p.53.)<br />
are in principle present for quite a long time when the instruments<br />
are regularly played and damage of the artifacts<br />
(brass instruments) could be possible on long-term (Elsener<br />
B. et al., 2016).<br />
The solder joints of the trumpet are a soft soldering assembled<br />
totally with tin-lead solder containing 90.39%% Pb<br />
and 8.61% Sn, 0.47% Cu and 0.35% Zn (Table no.1). Soft solders<br />
have been used to join pieces of metal together at low<br />
temperatures (below 300°C), and produce joints in copper,<br />
bronze, brass, and silver objects (Maryon H., 1941; Ashkenazi<br />
D. et al., 2014 ).<br />
It is generally composed of lead and tin mixed in proportions<br />
that vary from as little as 30% lead (and 70% tin), to as<br />
much as 98% lead (and only 2% tin) ((Maryon H., 1971; Goffer<br />
Z., 2007). The flux is zinc chloride, resin, tallow, or some<br />
other oily substance was used to prevent film formation and<br />
then burn off (Cronyn J. M., 1990, p. 162).<br />
This technique of soldering was used to attach a very small<br />
piece of metal to an under layer of the same metal (Ashkenazi<br />
D. et al., 2014, p. 51). In the trumpet, all connections<br />
between tubes were made by means of a lap joint, in which<br />
usually each tube fits into the next tube, moving toward the<br />
bell (Van der Heide G. J. , 1991, pp. 122-150). But in the<br />
trumpet the soft soldering process may be performed in a<br />
later time to fix the disjointed tubes.<br />
As a consequence of the joining of different metals, the behavior<br />
and the rate of corrosion are remarkably influenced<br />
by the intimate contact between metals with different<br />
electrochemical potential. This contact induces the more<br />
reactive and less noble metal to become anodic in a couple<br />
strongly conductive to corrosion.<br />
X-Ray diffraction analysis of the corrosion products of the<br />
trumpet revealed the presence of different minerals includ-<br />
ing Covellite Cu S, Paratacamite Cu2(OH)3Cl, Massicate PbO<br />
and traces from Cuprite Cu2O, Calcite CaCO3 ( Fig. no.<br />
8&Table no.2 ).<br />
The formation of sulfates and chlorides (Covellite Cu S,<br />
Paratacamite Cu2(OH)3Cl), resulted from the interaction<br />
between surrounding environment and the trumpet. The<br />
impact of sulfides on the corrosion of copper alloys has received<br />
considerable attention, including published reports<br />
documenting localized corrosion of copper alloys by Sulfate-reducing<br />
bacteria (SRB), a diverse group of anaerobic<br />
bacteria isolated from a variety of sulfur-containing. A porous<br />
layer of cuprous sulfide with the general stoichiometry<br />
forms in the presence of sulfide ions. Copper ions migrate<br />
through the layer, react with more sulfides, and produce a<br />
thick, black scale, which can be altered by oxygen from the<br />
environment to a complex sulfide-oxide scale. The sulfide<br />
scale does not confer much protection against further attack,<br />
but the sulfide-oxide scale provides even less. Corrosion<br />
products on copper alloys were more adherent and in<br />
some cases difficult to scrape from the surface. In all cases,<br />
bacteria were closely associated with sulfur-rich deposits.<br />
There is one class of conditions under which biofilms appear<br />
not to produce sulfide minerals.<br />
The presence of basic copper chloride (paratacamite) is<br />
related to the saline nature of the surrounding medium,<br />
whereas the trumpet was preserved. Paratacamite always<br />
found as a powdery, light green secondary corrosion layer on<br />
the patina surface, while the compound of Atacamite occurs<br />
as a sugary-looking coating of dark green glistering crystals<br />
(Scott D.A., 2002, p.124). Often this dark green crystalline<br />
Atacamite is altered to a paler green powdery product of<br />
paratacamite (Gettens R.J., 1963; Frondel C. 1950).<br />
The existence of lead in the soldering alloy as globules or<br />
independent islands causes a non-homogenous structure. In<br />
this case a galvanic corrosion tendency when the alloy is<br />
exposed to moist air or soil. As a result of this reaction lead<br />
corrosion products such as Massicate (PbO) was deposited<br />
on the object surface.<br />
The presence of Cuprite (Cu2O) as a trace in the corrosion<br />
products due to the selective corrosion of the main alloying<br />
element, which is re-deposited after dissolution onto the<br />
surface of the objects, thus forming a copper enriched layer,<br />
Cuprite is the most widely occurring alteration mineral<br />
Fig. 9 (a, b) shows the both sides of the trumpet after treatment<br />
and Conservation.<br />
40 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 41<br />
of ancient copper and its alloys. Most of it was concealed<br />
beneath overlying green basic salts of copper. It is formed as<br />
a result of reaction between the metal and oxygen that present<br />
in every environment but in different proportions. Rust<br />
layer on ancient brass is constituted by Cu2O (Cuprite) and<br />
Cu O (Tenorite). The metal/ oxide interface is relative irregular<br />
and some intergranular penetration can be detected.<br />
The presence of Calcite [CaCO3] crystals as an identified<br />
compound on the trumpet surface, which is most probably<br />
formed by the reaction of soluble calcium bicarbonate with<br />
hydroxide ions produced in the Cathodic reduction of Oxygen<br />
(North N. A. & I.D. Macleod, 1987), indicated that the<br />
surrounding medium of the trumpet was a calcareous aerobic<br />
medium. Such medium usually has high carbon dioxide<br />
and may be chemically very aggressive because the carbon<br />
dioxide may react with water to form carbonic acid, which<br />
may attack metals directly and prevent the formation of a<br />
protective film on the metal surface.<br />
Cleaning is one of the most common operations in conservation.<br />
The choice of method for cleaning depends on what is<br />
required from the object, what is made of, and what condition<br />
it is in. It is known that the mechanical cleaning of metals<br />
is preferred method for removing disfiguring corrosion. It<br />
allows more control and has less effect on the metal alloy.<br />
The Mechanical cleaning carried out for removing the external<br />
crust corrosion products; the trumpet was subjected<br />
to mechanical cleaning with tooth brushes to remove dry<br />
dust and dirt. After that, a paste of precipitated chalk<br />
and water was used by a soft cloth to remove the residual<br />
rouge of corrosion products. The trumpet was washed<br />
carefully by distilled water and dried by immersion in acetone,<br />
finally it was isolated with 3% Paralaid B-72 dissolved<br />
in Ethanol (Fig. no. 9 a, b).<br />
CONCLUSIONS<br />
ME, SEM and XRD results show the occurrence of selective<br />
localized or general chlorine corrosion phenomena induced<br />
also by the separation of the alloying elements, which creates<br />
reactive electrochemical areas.<br />
The chemical composition, the micro-chemical structures<br />
and metallurgical feature of the object have been determined<br />
and can be used to identify some technological aspects<br />
of the ancient manufacturing processes.<br />
The morphology of the surfaces and the elemental compositions<br />
of the corrosion products depend strongly on the<br />
chemical composition of the alloys.<br />
Abstract<br />
Brass is more malleable and has better acoustic properties than pure copper<br />
or zinc; consequently, it is used in a variety of musical instruments, including<br />
trumpets, trombones, bells, and cymbals. The overall goal of this<br />
work is to represent an analytical and conservation study of brass Trumpet<br />
from the handcrafts collection of Dhamar museum in Yemen. Metallographic<br />
examination and scanning electron microscope were performed to identify<br />
the microstructure of the alloy. Energy dispersive spectroscopy EDS and x-ray<br />
fluorescence (XRF) were used to identify the alloy composition used for manufacturing<br />
the musical instruments and the solder joints. X-ray diffraction<br />
(XRD) was used for the identification of the crystalline corrosion products. Finally,<br />
exploited the previous info., in a systemic treatment and conservation<br />
for the selected object.<br />
Parole chiave<br />
Brass; Handcrafts; Trumpet; Characterization; ME; SEM&EDS; XRF;<br />
XRD; Conservation<br />
Autore<br />
Mohamed M. Megahed<br />
mmm03@fayoum.edu.eg<br />
Mohamed M. Abdelbar<br />
Conservation Department, Faculty of Archaeology, Fayoum University, Egypt<br />
Bibliografia<br />
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objects from the Akko 1 shipwreck, Israel, Materials Characterization<br />
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in Acta 133, Austria, pp.159-164.
42 ArcheomaticA N°3 settembre <strong>2018</strong>
Tecnologie per i Beni Culturali 43<br />
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MULTIBEAM PER IL RILIEVO 3D IN TEMPO REALE<br />
Echoscope è il sonar multibeam 3D in tempo reale con la<br />
più alta definizione al mondo.<br />
Mediante un generazione di oltre 16.000 segnali per trasmissione<br />
acustica e un frame superiore ai 10 ping al secondo,<br />
i sonar Echoscope forniscono modelli 3D subacquei<br />
veramente unici. La visualizzazione in tempo reale che<br />
impiega tecniche brevettate di rendering 3D consente di<br />
prendere decisioni immediate durante i progetti di posizionamento<br />
subacqueo, mantenendo un dataset misurabile<br />
per scopi di mappatura.<br />
DRONE ECHOBOAT: LA SOLUZIONE IDEALE<br />
PER IL RILIEVO SUBACQUEO<br />
Echoboat è il più versatile drone acquatico per indagini<br />
idrografiche idrografico: ideato e realizzato da<br />
Codevintec consente il rilievo subacqueo con estrema<br />
facilità.<br />
Si tratta di una piattaforma con grande capacità di<br />
carico utile, lungo solo 1,7 metri e con 32 kg di peso,<br />
il piccolo drone idrografico Echoboat è la soluzione<br />
ideale per rilievi in porti, fiumi, laghi, bacini idroelettrici,<br />
cave, lagune.<br />
Specifico per rilievi in porti o acque interne, dove le<br />
convenzionali imbarcazioni con equipaggio sono difficili<br />
da usare e dispendiose. Dove l'uso di imbarcazioni<br />
tradizionali è problematico, antieconomico o addirittura<br />
impossibile.<br />
Il veicolo e la sua strumentazione di bordo sono monitorati<br />
e comandati da remoto, oppure operano in<br />
modalità completamente autonoma.<br />
EchoBoat viene equipaggiato con i sistemi adatti alle<br />
diverse applicazioni, oppure interfacciato con la strumentazione<br />
di fornitura del Cliente:<br />
Utilizzato in una serie di applicazioni che vanno dalla sicurezza<br />
dei porti all’inspezione, riparazione e manutenzione<br />
di questi sino al rilievo dei Beni Cutlurali; l'Echoscope ha<br />
dimostrato di far risparmiare tempo e aumentare la produttività<br />
anche in condizioni di visibilità zero.<br />
Compatto e portatile e con possibilità di scegliere il sistema<br />
di frequenza (singola o doppia), l'Echoscope può essere<br />
rapidamente installato su piccole o grandi imbarcazioni<br />
con supporti particolari o in alternativa integrato su ROV<br />
o AUV.<br />
Ciascun sonar Echoscope 3D viene fornito con il pacchetto<br />
software topside CodaOctopus Underwater Explorer (USE)<br />
modulare che consente l’integrazione del sonar con numerosi<br />
sensori ausiliari come i sistemi di movimento, direzione<br />
e posizionamento.<br />
La combinazione di Echoscope e del software USE con le<br />
loro capacità uniche e brevettate sta cambiando la modalità<br />
di effetuare operazioni sottomarine in tutto il mondo.<br />
http://www.codaoctopus.com<br />
4Ecoscandaglio Single Beam<br />
4Ecoscandaglio Multibeam<br />
4SSS- SideScan Sonar<br />
4SBP - SubBottom Profiler<br />
4ADCP - Profilatore di Corrente a effetto Doppler<br />
4CTD e sonde multiparametriche<br />
4Sistema di posizionamento GNSS<br />
4Piattaforma inerziale<br />
EchoBoat è disponibile anche a noleggio, già equipaggiato<br />
con:<br />
4 Ecoscandaglio Multibeam Pico120: 337kHz, 256<br />
beam da 1.4°x1.4°, 120° di swath.<br />
4 Sistema di posizionamento Applanix WaveMaster2:<br />
Pitch&Roll
Tecnologie per i Beni Culturali 45<br />
IL DRONE IDROGRAFICO PROFESSIONALE<br />
DI AERROBOTIX PER TUTTE LE TASCHE<br />
L’esperienza di aerRobotix nello sviluppo di droni acquatici<br />
si è espressa nuovamente con il varo dell’ultimo<br />
nato.<br />
Il nuovo prodotto è concepito sia per gli operatori tradizionali<br />
del rilievo batimetrico che per professionisti<br />
del rilievo topografico terrestre che si affacciano al<br />
mondo dell’idrografia e sono in cerca di una soluzione<br />
chiavi in mano con un occhio al portafoglio.<br />
La proposta di aerRobotix include oltre al natante anche<br />
un ecoscandaglio professionale allo stato dell’arte,<br />
perfettamente integrato nello scafo e interfacciabile<br />
con GPS di qualunque produttore ed il software idrografico<br />
per l’acquisizione e la restituzione del rilievo.<br />
L’architettura di trasmissione dei dati consente di visualizzare<br />
a terra l’avanzamento del rilievo, utilizzando<br />
qualsiasi dispositivo dotato di WIFI.<br />
Il natante è ideato per essere estremamente stabile in<br />
acqua ferma, ma è in grado di fronteggiare corrente<br />
anche sostenuta in fiumi, canali e torrenti, risultando<br />
adatto ad effettuare, in aggiunta al classico rilievo<br />
batimetrico e monitoraggio ambientale, anche misure<br />
correntometriche su fiumi e canali con profilatori acustici<br />
Doppler.<br />
Naturalmente, come per tutti i prodotti aerRobotix,<br />
la capacità di navigazione autonoma fa parte del pacchetto,<br />
e per gli amanti dell’Open Source è anche disponibile<br />
una versione del natante equipaggiata col popolare<br />
autopilota PIXHAWK e compatibile con Mission<br />
Planner ed APM.<br />
Leggero e molto facilmente trasportabile con una normale<br />
autovettura può essere gestito anche da un solo<br />
operatore.<br />
Come gli altri natanti brevettati di aerRobotix presenta<br />
la importante peculiarità di una propulsione elettrica<br />
basata su ventola aeree. Si tratta di una scelta ben<br />
ponderata e suffragata da numerose esperienze acquisite<br />
negli anni. Infatti gli ambiti in cui tali mezzi sono<br />
chiamati ad operare, quali bacini idroelettrici, cave,<br />
laghi, fiumi e canali, sono caratterizzati dalla frequente<br />
presenza di vegetazione galleggiante, detriti<br />
affioranti e formazioni algali che possono facilmente<br />
intrappolare le eliche marine, costringendo non solo<br />
all’ interruzione del rilievo, ma esponendo al rischio di<br />
perdere il natante e la strumentazione istallata.<br />
www.aerrobotix.it<br />
ECCO COME LA STAMPA 3D<br />
RIPORTA IN VITA LE ANTI-<br />
CHITÀ<br />
Le potenzialità della stampa<br />
3D si applicano con successo<br />
in Italia ad un nuovo<br />
settore: la Conservazione<br />
dei Beni Culturali. La storia<br />
che vi raccontiamo ha<br />
come protagonista la stampante 3D Formlabs Form<br />
2, una macchina divenuta famosa per l’eccezionale<br />
resa dei dettagli nella produzione di piccole parti.<br />
La storia in questione illustra come la tecnologia<br />
possa essere applicata al restauro di opere d'arte<br />
secolari presenti nei Musei, in modo da permettere<br />
ai visitatori di vederle fisicamente nel loro antico<br />
splendore e non solo immaginarle.<br />
Mattia Mercante è un restauratore di beni culturali<br />
che collabora con molti musei, tra cui l'Istituto Opificio<br />
delle Pietre Dure di Firenze. Recentemente ha<br />
utilizzato strumenti digitali come scanner 3d, software<br />
3D CAD e la stampante 3D Formlabs Form 2 per<br />
restaurare capolavori di scultori e artisti del Rinascimento,<br />
tra cui Michelangelo e Leonardo Da Vinci.<br />
Questa applicazione della stampa 3d nella conservazione<br />
dei beni culturali e artistici ha permesso<br />
al restauratore di poter portare a termine progetti<br />
che altrimenti avrebbe dovuto abbandonare.<br />
“Ho iniziato a servirmi di tecnologie quali la scansione<br />
e la stampa 3D per necessità di tipo pratico,<br />
come la risoluzione di alcune problematiche<br />
nell'ambito della documentazione, valorizzazione<br />
e preservazione del patrimonio culturale. Abbiamo<br />
iniziato a usare scanner 3D per la valutazione di<br />
opere d’arte, successivamente i software di modellazione<br />
digitale sono entrati a far parte del nostro<br />
metodo di lavoro, che ora è stato completato dalla<br />
stampa 3D,” dice Mercante. “Fin dai miei primi<br />
anni di studio, il mio obiettivo è stato dimostrare<br />
come i soggetti coinvolti nel restauro del patrimonio<br />
culturale possono aggiungere in modo diretto<br />
e autonomo al loro metodo di lavoro gli strumenti<br />
digitali oggi disponibili, senza doversi affidare a<br />
servizi professionali esterni.”<br />
Tra i lavori di restauro ultimati con successo da<br />
Mercante troviamo la ricostruzione di dita mancanti<br />
di una scultura funeraria a partire dalla scansione<br />
3d di una mano rotta; la ricreazione di sottili decorazioni<br />
mancanti alla cornice di un reliquiario, la<br />
cui stampa 3d è stata possibile grazie alla resa del<br />
dettaglio della Formlabs Form 2; il completamento<br />
di un intaglio ligneo dell’artista Gringling Gibbons;<br />
la ricostruzione di<br />
conchiglie decorative come<br />
sostituzione delle originali<br />
andate perse in una grotta<br />
artificiale risalente al XVII<br />
Secolo.<br />
3DItaly - FormLabs
EVENTI<br />
12-15 NOVEMBRE <strong>2018</strong><br />
Visual Heritage CHNT 23<br />
Vienna (Austria)<br />
https://www.chnt.at/<br />
12-15 NOVEMBRE <strong>2018</strong><br />
16th Eurographics<br />
Vienna (Austria)<br />
http://<strong>2018</strong>.visualheritage.<br />
org/<br />
15-16 NOVEMBRE <strong>2018</strong><br />
The Fair of European<br />
innovators in Cultural<br />
Heritage<br />
Brussels (Belgio)<br />
https://bit.ly/2SQnYOY<br />
15-18 NOVEMBRE <strong>2018</strong><br />
Archeovirtual <strong>2018</strong><br />
Archeologia e digitale: lo<br />
stato dell’arte<br />
Paestum (Italia)<br />
http://www.archeovirtual.it<br />
21-24 NOVEMBRE <strong>2018</strong><br />
15a Conferenza<br />
Internazionale Image and<br />
Research<br />
Girona (Spagna)<br />
http://www.girona.cat/<br />
sgdap/cat/jornades_<br />
properes-ENG.php<br />
29 NOVEMBRE <strong>2018</strong><br />
SmartCommuntiesTech<br />
Torino (Italia)<br />
http://www.<br />
smartcommunitiestech.it/<br />
21-22 GENNAIO 219<br />
ICHTCHP 21st International<br />
Conference on Heritage<br />
Tourism, Cultural Heritage<br />
and Preservation<br />
Amsterdam (Olanda)<br />
https://bit.ly/2qtZzSh<br />
22-24 FEBBRAIO 2019<br />
Tourisma<br />
Firenze (Italia)<br />
http://www.tourisma.it<br />
1-5 SETTEMBRE 2019<br />
27h International CYPA<br />
Simposium<br />
Avila (Spagna)<br />
http://www.cipa2019.org<br />
30 SETTEMBRE – 2 OTTOBRE 2019<br />
Heritage Middle East: securing<br />
the future for the past<br />
Abu Dabi (UAE)<br />
https://bit.ly/2OshGBK<br />
18-19 NOVEMBRE 2019<br />
21st International<br />
Conference on Digital<br />
Heritage<br />
Londra (Regno Unito)<br />
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