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dal pubblico dei talk televisivi. Grazie a quella fortunata<br />
contaminazione transmediale, di cui abbiamo scritto altre<br />
volte, che fa perno su un perdurante coinvolgimento<br />
passionale sprigionato dall’agone politico, nonostante<br />
le disillusioni e i sussulti anti-establishment. Cerasa è<br />
incisivo, asciutto, diretto, pragmatico. Il nostro breve ma<br />
denso incontro, incastonato trai suoi mille impegni, ne<br />
è conferma.<br />
Il Foglio, fin dalla sua nascita, è stato un giornale sui<br />
generis. A cominciare dall’aspetto: caratteri minuti, interlinea<br />
stretta, colonne piene. Ecco, oggi che la disabitudine<br />
alla lettura va di pari passo con la contrazione<br />
dei tempi di attenzione tutto questo funziona ancora?<br />
Intanto, se parliamo di giornale cartaceo, i suoi articoli<br />
devono essere potenzialmente ritagliabili. Insomma<br />
devono indurti a conservarli, a metterli da parte. Se un<br />
giornale funziona devi sentire il bisogno di strapparne<br />
una pagina.<br />
Se me lo dici significa che in tanti ritagliano articoli<br />
del Foglio. Quindi non conta la lunghezza, quanto piuttosto<br />
il contenuto?<br />
Ma sì. Abbiamo la riprova sul web, dove vediamo che<br />
gli articoli lunghi sono letti esattamente come quelli<br />
corti. Sia sul telefonino sia sui computer. I formati restano<br />
essenzialmente due. Quelli più corti servono per<br />
darti un’idea, raccontarti un fatto, offrirti una rapida<br />
interpretazione del mondo. Ecco, sono un po’ come lo<br />
schiocco delle dita che richiama la tua attenzione. Poi ci<br />
sono quelli che invece ti accompagnano in una lettura<br />
necessariamente più lunga perché quel tema lo approfondiscono.<br />
E tu, lettore, vuoi sapere tutto di quel tema<br />
lì. E certo non ti lasci impaurire dal tempo necessario.<br />
<strong>La</strong> crisi dell’editoria tradizionale e dei giornali cartacei<br />
appare irreversibile. Quel modello di business non<br />
funziona più. Quali sono le alternative?<br />
Comprare un quotidiano in edicola è diventato per molti<br />
un lusso. Ma non è una questione da dirimere, è come<br />
la forza di gravità. A qualcuno capita di più, ad altri di<br />
meno, ma sta succedendo. Paradossalmente i grandi<br />
giornali possono solo calare, mentre i piccoli possono<br />
ancora crescere, e molto. Insomma, tutto questo non<br />
vuol dire che i giornali debbano sparire. Forse è il momento<br />
più eccitante per immaginarsi nuovi prodotti e<br />
nuovi contenuti, cercando di utilizzare questa fase di<br />
distruzione delle vecchie modalità di giornalismo per<br />
crearne di nuove. Ecco, siamo di fronte a una distruzione<br />
creatrice, come ci insegna il modello schumpeteriano.<br />
Ossia la cosiddetta burrasca di Schumpeter, dal nome<br />
dell’economista austriaco del secolo scorso, che comprende<br />
quei cambiamenti repentini introdotti dalla<br />
tecnologia. Come quando il vinile ha lasciato il posto<br />
alla musicassetta, che lo ha ceduto poi al cd, poi al<br />
lettore mp3 e dopo allo streaming…ma la musica comunque<br />
resta. Anche il giornalismo, quindi, resisterà.<br />
Ma in quali forme e modalità?<br />
Da qui in poi dobbiamo pensare a una testata giornalistica<br />
come a una specie di hub. Diciamo a una stazione,<br />
usando una metafora ferroviaria. Una stazione da<br />
cui partono tantissimi treni diversi che vanno in mille<br />
direzioni. <strong>La</strong> sfida è riuscire a inventarsi nuovi modi di<br />
creare contenuti, utili per essere poi acquistati nei modi<br />
più vari. Oggi anche la terminologia “il giornale” è quindi<br />
sbagliata. Perché il giornale è solo una parte del tutto,<br />
è un binario. Gli altri non sono stati ancora percorsi. E<br />
ce ne sono e saranno tanti. Dai podcast, per ascoltare il<br />
giornale senza sfogliarlo con le mani o senza muovere<br />
le dita su uno schermo, ai convegni e agli appuntamenti<br />
in cui le persone si possono vedere e confrontare. Dal<br />
personalizzare l’offerta facendo abbonamenti ad hoc,<br />
cuciti addosso alla singola persona, fino alla multimedialità<br />
video e radio con palinsesti diversificati.<br />
Mi sembra tu abbia le idee piuttosto chiare e un programma<br />
ben preciso. Stai forse parlando di un cantiere<br />
aperto al Foglio? Sbaglio?<br />
Non sbagli. È la sfida che abbiamo davanti nei prossimi<br />
mesi e anni, a cui stiamo lavorando: trasformare la<br />
nostra testata in un brand, in una specie di casa editrice,<br />
un hub, appunto. Diversificheremo l’offerta anche<br />
con produzioni settimanali e mensili, creando una sorta<br />
di galassia intorno al sole del Foglio. Nel fare questo<br />
abbiamo la possibilità e il vantaggio di essere molto<br />
veloci, perché siamo un piccolo giornale. E, soprattutto,<br />
con la nostra cooperativa, siamo di fatto l’editore di<br />
noi stessi. Questo ci garantisce indipendenza e libertà<br />
assoluta, che ci viene concessa, ovviamente, da chi ha<br />
in mano la testata. È proprio una questione di dna del<br />
giornale.<br />
Quindi il prossimo anno assisteremo all’inizio di questa<br />
burrasca creativa?<br />
Il Foglio, 5 luglio <strong>2019</strong><br />
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