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La Freccia Novembre 2019

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dal pubblico dei talk televisivi. Grazie a quella fortunata<br />

contaminazione transmediale, di cui abbiamo scritto altre<br />

volte, che fa perno su un perdurante coinvolgimento<br />

passionale sprigionato dall’agone politico, nonostante<br />

le disillusioni e i sussulti anti-establishment. Cerasa è<br />

incisivo, asciutto, diretto, pragmatico. Il nostro breve ma<br />

denso incontro, incastonato trai suoi mille impegni, ne<br />

è conferma.<br />

Il Foglio, fin dalla sua nascita, è stato un giornale sui<br />

generis. A cominciare dall’aspetto: caratteri minuti, interlinea<br />

stretta, colonne piene. Ecco, oggi che la disabitudine<br />

alla lettura va di pari passo con la contrazione<br />

dei tempi di attenzione tutto questo funziona ancora?<br />

Intanto, se parliamo di giornale cartaceo, i suoi articoli<br />

devono essere potenzialmente ritagliabili. Insomma<br />

devono indurti a conservarli, a metterli da parte. Se un<br />

giornale funziona devi sentire il bisogno di strapparne<br />

una pagina.<br />

Se me lo dici significa che in tanti ritagliano articoli<br />

del Foglio. Quindi non conta la lunghezza, quanto piuttosto<br />

il contenuto?<br />

Ma sì. Abbiamo la riprova sul web, dove vediamo che<br />

gli articoli lunghi sono letti esattamente come quelli<br />

corti. Sia sul telefonino sia sui computer. I formati restano<br />

essenzialmente due. Quelli più corti servono per<br />

darti un’idea, raccontarti un fatto, offrirti una rapida<br />

interpretazione del mondo. Ecco, sono un po’ come lo<br />

schiocco delle dita che richiama la tua attenzione. Poi ci<br />

sono quelli che invece ti accompagnano in una lettura<br />

necessariamente più lunga perché quel tema lo approfondiscono.<br />

E tu, lettore, vuoi sapere tutto di quel tema<br />

lì. E certo non ti lasci impaurire dal tempo necessario.<br />

<strong>La</strong> crisi dell’editoria tradizionale e dei giornali cartacei<br />

appare irreversibile. Quel modello di business non<br />

funziona più. Quali sono le alternative?<br />

Comprare un quotidiano in edicola è diventato per molti<br />

un lusso. Ma non è una questione da dirimere, è come<br />

la forza di gravità. A qualcuno capita di più, ad altri di<br />

meno, ma sta succedendo. Paradossalmente i grandi<br />

giornali possono solo calare, mentre i piccoli possono<br />

ancora crescere, e molto. Insomma, tutto questo non<br />

vuol dire che i giornali debbano sparire. Forse è il momento<br />

più eccitante per immaginarsi nuovi prodotti e<br />

nuovi contenuti, cercando di utilizzare questa fase di<br />

distruzione delle vecchie modalità di giornalismo per<br />

crearne di nuove. Ecco, siamo di fronte a una distruzione<br />

creatrice, come ci insegna il modello schumpeteriano.<br />

Ossia la cosiddetta burrasca di Schumpeter, dal nome<br />

dell’economista austriaco del secolo scorso, che comprende<br />

quei cambiamenti repentini introdotti dalla<br />

tecnologia. Come quando il vinile ha lasciato il posto<br />

alla musicassetta, che lo ha ceduto poi al cd, poi al<br />

lettore mp3 e dopo allo streaming…ma la musica comunque<br />

resta. Anche il giornalismo, quindi, resisterà.<br />

Ma in quali forme e modalità?<br />

Da qui in poi dobbiamo pensare a una testata giornalistica<br />

come a una specie di hub. Diciamo a una stazione,<br />

usando una metafora ferroviaria. Una stazione da<br />

cui partono tantissimi treni diversi che vanno in mille<br />

direzioni. <strong>La</strong> sfida è riuscire a inventarsi nuovi modi di<br />

creare contenuti, utili per essere poi acquistati nei modi<br />

più vari. Oggi anche la terminologia “il giornale” è quindi<br />

sbagliata. Perché il giornale è solo una parte del tutto,<br />

è un binario. Gli altri non sono stati ancora percorsi. E<br />

ce ne sono e saranno tanti. Dai podcast, per ascoltare il<br />

giornale senza sfogliarlo con le mani o senza muovere<br />

le dita su uno schermo, ai convegni e agli appuntamenti<br />

in cui le persone si possono vedere e confrontare. Dal<br />

personalizzare l’offerta facendo abbonamenti ad hoc,<br />

cuciti addosso alla singola persona, fino alla multimedialità<br />

video e radio con palinsesti diversificati.<br />

Mi sembra tu abbia le idee piuttosto chiare e un programma<br />

ben preciso. Stai forse parlando di un cantiere<br />

aperto al Foglio? Sbaglio?<br />

Non sbagli. È la sfida che abbiamo davanti nei prossimi<br />

mesi e anni, a cui stiamo lavorando: trasformare la<br />

nostra testata in un brand, in una specie di casa editrice,<br />

un hub, appunto. Diversificheremo l’offerta anche<br />

con produzioni settimanali e mensili, creando una sorta<br />

di galassia intorno al sole del Foglio. Nel fare questo<br />

abbiamo la possibilità e il vantaggio di essere molto<br />

veloci, perché siamo un piccolo giornale. E, soprattutto,<br />

con la nostra cooperativa, siamo di fatto l’editore di<br />

noi stessi. Questo ci garantisce indipendenza e libertà<br />

assoluta, che ci viene concessa, ovviamente, da chi ha<br />

in mano la testata. È proprio una questione di dna del<br />

giornale.<br />

Quindi il prossimo anno assisteremo all’inizio di questa<br />

burrasca creativa?<br />

Il Foglio, 5 luglio <strong>2019</strong><br />

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