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Sul piccolo Gambia le mani della Cina
che sta divorando le risorse della pesca
L’apertura di tre fabbriche di farina di pesce ha sconvolto il mercato. Una delle tre, a Gunjur,
aveva promesso 600 assunzioni, ma ne ha fatte una minima parte. Gli attivisti ambientali
protestano anche per l’inquinamento, che uccide tartarughe e delfini e allontana i turisti
Una delle due
tubazioni della
Golden Lead
factory
che sversano
rifiuti
industriali
direttamente
nell’Oceano
l Testo e foto di Davide Lemmi e Marco Simoncelli
Davide Lemmi e Marco Simoncelli
Sopra, Banjul, Le navi container riparano nella foce, mentre il
un cartellone
traghetto sovraffollato punta Banjul. Se lo
pubblicizza
si guarda dall’alto il Gambia, la più piccola
i successi della
nazione continentale africana, è una sorta
cooperazione
di incrocio stradale tra l’omonimo fiume
tra Gambia
e l’Oceano Atlantico. La vita del Paese
e Cina; a
scorre sull’acqua, dolce o salata che sia. Dopo aver
destra, migliaia zigzagato tra le barche dei pescatori e le enormi navi
di persone battenti bandiere maltesi, inglesi e greche, si giunge
attraversano al porto della capitale. Appena fuori, superata la parte
quotidianamente commerciale della città, un grande cartello pubblicizza
lo stretto e proficuo rapporto con i partner cinesi:
il fiume Gambia
con i traghetti “Promesse fatte, promesse mantenute” e, sotto questo
per svolgere slogan, l’immagine di un ponte in costruzione.
le loro attività
Cinquanta chilometri e una manciata di villaggi
più a sud si trova Gunjur, un villaggio di pescatori che
si affaccia sull’Oceano. E’ qui che opera una delle tre
fabbriche cinesi di farina di pesce presenti nel Paese:
“La Golden Lead è arrivata nel 2015 – dice Lamin
Jassey, attivista di Gambia environmental protection
group e cittadino di Gunjur – gli abitanti del villaggio
sono stati positivamente sorpresi dalla possibilità di
nuovi posti di lavoro. Ma poi si sono resi conto che le
promesse occupazionali erano illusorie”.
Prima della costruzione dello stabilimento, i
responsabili hanno dato vita a una trattativa con gli
anziani e le autorità della città. “Hanno garantito –
racconta ancora Lamin – la costruzione di una strada
che avrebbe unito il villaggio con Brikama, il principale
centro della provincia, e di un nuovo mercato del
pesce per le donne del paese. Sono state promesse 600
assunzioni, mentre oggi sappiamo che solo 82 persone
hanno trovato lavoro in fabbrica e di basso livello”.
Una tubatura nel mare
La popolazione del Gambia dipende fortemente
dalle risorse della pesca. Secondo i dati della Banca
Mondiale, circa 200mila persone sono occupate
direttamente nel settore ittico, mentre quasi la totalità
della popolazione lavora nell’indotto. Eppure il tasso
di povertà del Gambia, se leggiamo le stime del World
food programme, è del 48 per cento, mentre l’otto per
cento della popolazione soffre di insicurezza alimentare.
“Quando la fabbrica è partita, tutti erano entusiasti.
Pensavamo che il prezzo del pesce sarebbe
sceso – continua Lamin – ma immediatamente dopo
l’inizio delle operazioni, le persone hanno cominciato
a notare degli avvenimenti strani”. I primi ad essere
colpiti sono stati i lodge, gli hotel sul mare. “L’odore
era insostenibile, i turisti hanno abbandonato presto
il luogo”, ricorda l’attivista. E va detto che in Gambia
il settore turistico equivale a circa il 21 per cento del
Pil ed è in crescita. Per una piccola comunità come
quella di Gunjur l’esclusione dagli itinerari turistici è
stata una perdita grave, ma non la sola conseguenza
negativa.
Sulla spiaggia, davanti alla fabbrica, si vedeva
chiaramente una tubatura che si immetteva nel
mare. “Dapprima, per ben due anni, abbiamo provato
a incentivare il dialogo con i proprietari e le autorità
locali, ma loro ci hanno mentito continuamente –
racconta ancora il ventisettenne attivista di Gunjur
– ci hanno assicurato che non stavano sversando in
mare e che le tubature non erano attive. Ma una volta
che ci siamo accorti della menzogna, abbiamo deciso
di rimuovere il condotto”. A circa due anni dall’azione
dimostrativa, la due tubature che conducono
all’Oceano sono state rimesse nella loro posizione
originale, mentre per due volte gli attivisti sono stati
arrestati dalla polizia e dai paramilitari che proteggono
l’azienda. Che cosa veniva pompato in acqua è il
microbiologo Ahmed Manjang a chiarirlo: “Secondo
la versione ufficiale, giunta comunque troppo tardi,
venivano scaricati in mare i resti dei pesci lavorati per
produrre la farina. Si parla quindi principalmente
di sangue e lische, elementi proteici che contengono
fosfati e nitrati e che comunemente usiamo come fer-
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Davide Lemmi e Marco Simoncelli
tilizzanti”. Non solo: nella baia, così come nella vicina
laguna, con effetti ancora peggiori, è in atto un processo
di eutrofizzazione, termine usato per indicare un
eccessivo accrescimento degli organismi vegetali.
“In parole povere le alghe stanno ricoprendo
l’intera baia, com’è facilmente osservabile ad occhio
nudo, sottraendo ossigeno ad altri organismi viventi
e rendendo quindi sterile l’area”, dice ancora Ahmed,
che lavora a Ryad, ma torna spesso a casa per monitorare
la situazione, che è ancora più catastrofica
nella laguna antistante la fabbrica. Un tempo luogo
di vita, oggi il piccolo specchio d’acqua è un cimitero
di colore rosso a causa degli organismi anaerobici
che lo abitano. Granchi, gamberi, perfino alberi di
mango stanno morendo in prossimità della laguna.
“C’è un fiume che dalla laguna si immette nel mare
ed è da qua che abbiamo preso i campioni poi spediti
in due laboratori diversi in Germania”, dice ancora il
microbiologo, il quale spiega i risultati delle analisi: “I
fosfati sono del 4mila per cento più alti rispetto alla
media del fiume Gambia. Ma la cosa più strana che
abbiamo riscontrato è la concentrazione di arsenico
nell’acqua”.
Manjang è particolarmente preoccupato dalla
scoperta: “L’arsenico – sottolinea – è un elemento
altamente cancerogeno. Ma non sappiamo da dove
arrivi, non è una sostanza che trovi nei residui del
pesce”. In fondo al fiume, dove il corso d’acqua sbocca
con l’Oceano, si vedono una lunga fila di donne
che lavano i panni, bambini che giocano in acqua
e alcuni pescatori che scaricano a terra il risultato
della giornata di pesca. “Più volte abbiamo cercato
di presentare i risultati delle analisi a rappresentanti
e ministri del governo, ma non ci hanno mai voluto
ascoltare”, conclude Ahmed.
Ma il governo minimizza
Costantemente, ogni mese, come mostrano le immagini
dei gruppi di attivisti che informano gli abitanti,
la spiaggia di Gunjur si trasforma anch’essa in un
cimitero. Pesci, tartarughe e delfini vengono trovati
senza vita nella baia davanti al villaggio e nelle coste
circostanti. Ma nonostante l’allarme sia arrivato
a Banjul, le autorità hanno un punto di vista diametralmente
opposto. “La Golden Lead ha dato un
impulso al business della città”, sostiene Momodou
Gibba, un consigliere comunale di Gunjur dell’United
democratic party, lo schieramento del presidente
Adama Barrow. “Lo sversamento in mare pare sia un
problema, ma io non ne sono a conoscenza”, continua.
E conclude: “Dal mio punto di vista, le persone
che conoscono le cosiddette ‘pericolose conseguenze’
della presenza di questa fabbrica stanno imponendo
la loro visione alla comunità locale. Io, in quanto
politico, devo trovare un compromesso per il bene
comune”. Gli attivisti gridano allo scandalo, accusando
i rappresentanti politici locali di ricevere regali
durante le feste da parte degli imprenditori cinesi e,
allo stesso tempo, affermando che il governo centrale
gambiano è troppo compromesso per potersi interes-
A sinistra, la
baia di Gunjur
è spesso
testimone
del disastro
ambientale
provocato
dalla fabbrica.
Qui sopra,
pesce messo
ad essiccare,
un alimento
centrale per
i gambiani
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sare realmente al tema.
Oltre al danno ambientale, alla polemica politica
e all’aumento delle conflittualità sociale, espressa
anche negli arresti di dimostranti giovani e giovanissimi
durante la manifestazione di protesta del maggio
2018, c’è anche il fattore economico. Le lunghe
barche da pesca sono quelle da dépliant e da guida
turistica. Adornate di colori e disegni, aspettano sulla
spiaggia di essere usate. Solcano le acque, ma non
possono allontanarsi troppo, come fanno invece i
pescherecci accusati di pesca eccessiva e di utilizzare
reti a strascico che distruggono i fondali. Mentre nel
passato queste barche avrebbero rifornito il mercato
locale da cui dipende sostanzialmente la dieta della
maggioranza dei gambiani, oggi vendono alla Golden
Lead, che peraltro si approvvigiona anche dai pesche-
recci cinesi, che sono oltre il 70 per cento del totale.
Il prezzo più alto permette da una parte una resa
maggiore, ma dall’altra esclude tutta quella parte di
popolazione che prima poteva permettersi un’ottima
fonte proteica a basso prezzo dagli stessi pescatori
locali.
Mustapha è uno delle migliaia di pescatori che
vive e lavora a Gunjur. “Oggi se vai in acqua prendi
solo pesce bianco – assicura – nessuna ‘sardinella’.
Vai e prendi soltanto quel tipo di pesce”. Lavora su
una delle barche in attesa di essere portate in acqua.
Il proprietario è un suo amico. “La mia famiglia è di
Brikama, nell’interno – continua – dove mi aspettano
mia moglie e mio figlio. Sono venuto qua perché c’era
lavoro e potevo sostenerli”. La sua città è uno dei
centri principali del Gambia. Da Brikama ogni anno
decine di giovani scelgono la via del deserto, che dal
Burkina Faso e dal Niger porta alla Libia e all’Italia.
L’immigrazione interna, e quindi il settore ittico nelle
città costiere, è una delle pochissime alternative.
L’espansione di Pechino
In Mauritania, Senegal, Gambia, Uganda, nel lago
Vittoria, sono presenti o apriranno nei prossimi mesi
fabbriche di farina di pesce cinesi. Ciò che sta avvenendo
a Gunjur è parte di un fenomeno. Il calo del pescato
nelle acque, il mercato in rialzo, le conseguenze
sulla dieta, sui posti di lavoro, sull’inquinamento,
sono problemi comuni su una costa lunga più di
cinquemila chilometri. In Senegal, per esempio, il 70
per cento delle proteine consumate dalla popolazione
derivano dal pesce. Oltre il 15 per cento dei lavoratori
è impiegato nel settore ittico, di questi il 90 per cento
lavora su imbarcazioni artigianali. Il restante 10 per
cento lavora sui pescherecci a lungo raggio percependo
una paga media di 140 euro al mese, pescherecci
che riforniscono principalmente il mercato estero, un
mercato rappresentato – a seconda dei Paesi esportatori
– da Cina, Unione Europea, Turchia, Vietnam e
Tunisia.
E in ultima analisi c’è la vittima eccellente,
l’Oceano Atlantico. Decenni di intenso sfruttamento
dei mari dell’Africa Occidentale da parte di tutte le
nazioni che operano nell’area hanno determinato
il sovrasfruttamento, pari a oltre 50 per cento, delle
risorse di pesca, che in tre anni (l’analisi è stata
condotta dal 2014-2017) hanno registrato un calo
drammatico. L’intensificazione della pesca, l’overfishing,
ha comportato un danno enorme, e forse
irreversibile, all’habitat di questi cinquemila chilometri
di coste. In definitiva, la ragione che muove
molti attivisti a Gunjur, così come in altre cittadine
gambiane, è molto semplice. “Ci devono rispettare
in quanto esseri umani – conclude Lamin – quando
rileviamo qualcosa che non va, che mette in pericolo
la salute della nostra ente, devono consentirci di dire
stop”. Lamin spiega di aver cominciato questa lotta
per sentirsi parte della comunità. Finora più di venti
persone sono finite in carcere per aver sostenuto le
manifestazioni organizzate dal gruppo di ambientalisti.
La cauzione è stata fissata a mezzo milione di
dalasi, più di novemila euro.
Nella foto
grande,
un gruppo
di senegalesi:
il rapporto
commerciale
del Gambia
con il Senegal
è di stretta
dipendenza.
Sopra,
un battello
sul fiume
Gambia,
l’unico ponte
che attraversa
il fiume
Gambia dista
più di due ore
da Banjul
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