Fitainforma - febbraio 2020
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FOCUS<br />
Dario Fo (foto CarassioJoel)<br />
prattutto di destra, quando ancora il mondo si divideva in due fazioni<br />
di pensiero sociale) come anche di quella ecclesiastica. Con<br />
Morte accidentale di un anarchico del 1970, il dito venne puntato<br />
su un ancor oggi irrisolto fatto di cronaca nera che riguardò la<br />
caduta e la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli da una finestra<br />
della Questura di Milano nel 1969. Pinelli era in un momento di<br />
pausa durante l’interrogatorio voluto dal commissario Luigi Calabresi<br />
per accertamenti su un eventuale coinvolgimento nella strage<br />
di Piazza Fontana quando “precipitò” dalla finestra dell’ufficio,<br />
schiantandosi al suolo. A partire da questa vicenda Fo costruì una<br />
narrazione che sposta la storia nella New York degli Anni ’20 con<br />
protagonista l’anarchico Andrea Salsedo. La ricostruzione operata<br />
da Fo non fece che enfatizzare il clima di tensione in un’Italia già<br />
minata da fatti di terrore provenienti da ambo le fasce estreme<br />
del pensiero politico, una tensione culminata nell’uccisione dello<br />
stesso Calabresi nel maggio del ‘72.<br />
Alla luce di questo conclamato omicidio, le pesanti critiche mosse<br />
dall’intellighenzia di destra ai firmatari di una lettera aperta sul<br />
caso Pinelli pubblicata da L’Espresso nel giugno del 1971 (vi figuravano<br />
nomi come quello di Fo ma anche l’architetto Gae Aulenti,<br />
il regista Marco Bellocchio, il giornalista Giorgio Bocca e il critico<br />
d’arte Gillo Dorfles, ben 757 personaggi autorevoli) destarono<br />
nell’opinione pubblica la sensazione che il Paese fosse paralizzato<br />
a causa di una “guerra interna”. Bastarono pochi anni e, con<br />
l’avvento del nuovo decennio, le fabbriche e le scuole occupate,<br />
i prezzi “politici” per i biglietti delle rappresentazioni teatrali e dei<br />
concerti, i dibattiti pubblici e i chilometrici cortei di protesta parvero<br />
ricordi di un’epoca lontanissima. Il boom economico venne cavalcato<br />
al di sopra delle reali possibilità dello Stivale e ben presto<br />
le compagnie indipendenti finirono con lo “stanziare” nei Centri<br />
Sociali autogestiti, sorta di “riserve” culturali, precludendosi così<br />
un dialogo efficace anche con quel pubblico non ancora persuaso<br />
della necessità di una democratizzazione sociale.<br />
Nonostante il clima apparentemente sfavorevole non mancarono<br />
certo la nascita, la crescita e la definitiva consacrazione di talenti di<br />
prim’ordine, come nel caso dell’irriverente e provocatoria comicità<br />
di Paolo Rossi, degno continuatore della blasonata formula artistica<br />
Fo-Rame.<br />
Impossibilitati dal processo di burocratizzazione a rimanere “autogestiti”,<br />
i Centri Sociali andarono man mano mutando la propria<br />
identità in quella di spazi poli-culturale dove tenere concerti di<br />
punk rock o presentazioni di libri di case editrici a bassissimo budget<br />
dichiaratesi astutamente “alternative” e la cassa di risonanza<br />
del teatro politico si ridusse ulteriormente nell’ambito di Feste<br />
dell’Unità e manifestazioni simili. Negli Anni ’90 la satira politica<br />
trovò però un nuovo spazio grazie a una generazione di attori che<br />
seppero bucare il piccolo schermo televisivo e colmare i teatri: i<br />
fratelli Sabina e Corrado Guzzanti sono uno degli esempi illustri di<br />
quel nuovo periodo aureo, azzoppato però, nel corso degli anni,<br />
dalla censura operata da rappresentanti di partito presenti nei<br />
consigli di amministrazione della televisione di Stato. Più recentemente<br />
l’opzione della stand up comedy ha conferito a mordaci<br />
monologhisti in tutto il mondo la possibilità di esprimere opinioni<br />
precise rispetto a questo o quel personaggio politico, corroborando<br />
di risate e sarcasmo al vetriolo spettatori che, ci si augura, anche<br />
grazie all’arte del teatro e dei suoi generi sapranno diventare<br />
elettori consapevoli e avveduti.<br />
TESTIMONI<br />
Le Scoasse<br />
Se il “civile”<br />
sceglie<br />
di far ridere<br />
Le Scoasse in un momento di “Godersela con manco”<br />
A.A. Il primo obiettivo del loro impegno civile<br />
lo portano impresso nel nome: Le Scoasse. La<br />
compagnia di cabaret di San Vito di Leguzzano<br />
(Vicenza) nasce infatti nel 1990 come reazione<br />
ad un problema ambientale che all’epoca<br />
interessava il territorio. Nel 1998, dopo alcuni<br />
spettacoli presentati solo nel paese d’origine,<br />
la formazione decide di aprirsi ad argomenti<br />
più generali e di uscire dai confini locali. Lo<br />
fa con L’Otto Smarso: te la do io la mimosa,<br />
stigmatizzando quelle che, ancora oggi, sono<br />
due delle sue caratteristiche principali: l’essere<br />
un compagine prevalentemente al femminile;<br />
e l’usare il registro (intelligentemente) comico<br />
per parlare di cose serie. Ne abbiamo parlato<br />
con Lavinia Bortoli, co-fondatrice e autrice<br />
di questo gruppo “con un occhio attento<br />
alle incongruenze ed al ridicolo del mondo<br />
contemporaneo e del travagliato nord-est”.<br />
Fare teatro civile e farlo con la risata: da<br />
dove sono nate queste scelte?<br />
Non è che all’inizio pensassimo di fare una<br />
cosa del genere... Poi, però, la continua<br />
frequentazione di certi ambienti, la lettura di<br />
certi testi, l’impegno sociale e quello - breve -<br />
politico che ho avuto mi hanno portato a voler<br />
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