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Fitainforma - febbraio 2020

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FOCUS<br />

sviluppata tra il ’77 e l’81 e che comprendeva<br />

Classici come I due gemelli veneziani di Goldoni<br />

e il Macbett di Ionesco arrivando a lavori quali<br />

Il Bertoldo a corte di Massimo Dursi e Presa di<br />

potere di Antonio Porta.<br />

Pur trattandosi di lavori drammatici e spesso<br />

dolenti non mancava una componente ironica<br />

e divertente, che riusciva a stemperare agli<br />

occhi e orecchie del pubblico gli aspetti più<br />

claustrofobici della “macchina del Potere”.<br />

Negli Anni ’80 approfondimmo il rapporto tra<br />

cittadino e società attraverso un filo conduttore<br />

arrivato ai giorni nostri grazie a lavori come<br />

Donne in guerra della vicentina Sonia Residori.<br />

Esistono però delle differenze innegabili tra<br />

gli Anni ’70 e il secondo decennio del nuovo<br />

millennio: allora ci guidava una speranza<br />

di libertà molto forte e, mediante il teatro,<br />

sentivamo un grande senso di liberazione<br />

rispetto al decennio precedente; attualmente<br />

avverto un’atmosfera di commercializzazione<br />

poiché il teatro, anche l’amatoriale, deve fare<br />

i conti con ferree dinamiche economiche. Il<br />

senso di rivendicazione e di denuncia c’è ancora<br />

in alcune compagnie, in alcuni testi, in alcuni<br />

attori, ma non sento quell’anelito di libertà.<br />

Oggi è senso di denuncia e rivendicazione, ma<br />

non di libertà. Si è perso quel gusto di scovare<br />

nuovi linguaggi e anche gli esperimenti più arditi<br />

in poco tempo si fanno “maniera” venendo<br />

assorbiti dal sistema. Però un teatro politico o<br />

comunque impegnato ha ancora senso: ognuno<br />

di noi può avere una precisa funzione sociale,<br />

attirando a teatro persone diverse tra loro e<br />

lanciando il seme di una riflessione, un dibattito<br />

per rileggere determinati fatti storici del<br />

passato e, così, capire meglio anche il presente.<br />

Toni<br />

Andreetta<br />

Cooperative<br />

importanti<br />

Dall’impegno, il talento e talvolta il genio di<br />

alcuni protagonisti del teatro sono derivati<br />

sottogeneri oggi sdoganati al grande pubblico<br />

che pure tende a ignorarne le classificazioni.<br />

Sviluppando la modalità del monologo, ad<br />

esempio, è nato negli Anni ’80 il Teatro di<br />

Narrazione, formula che prevede, con la<br />

sola parola e rinunciando all’impiego attivo<br />

di scenografie, luci e costumi, il rivolgersi<br />

direttamente agli spettatori raccontando una<br />

storia. Quando la storia è realmente accaduta<br />

e concerne un fatto d’interesse pubblico,<br />

magari dimenticato ma che contiene in nuce<br />

un significato dal quale derivare una precisa<br />

coscienza morale, si parla solitamente di Teatro<br />

Civile. L’elevazione di un teatro eticamente<br />

impegnato ha assurto l’appellativo di Terzo<br />

Teatro, con nomi consegnati alla Storia come<br />

Jerzy Grotowski e Peter Brook. Con il Teatro<br />

Sociale s’intendono invece pratiche teatrali con<br />

metodologie attraverso le quali professionisti<br />

coinvolgono cittadini specifici (carcerati, ragazzi<br />

Toni Andreetta<br />

con famiglie difficili, portatori di handicap ecc.).<br />

Tante modalità per intendere una missione<br />

che non si limiti a intrattenere le persone ma<br />

ad ampliarne la consapevolezza e, con essa, le<br />

relazioni con gli altri esseri umani. E oggi che<br />

accade? Ne abbiamo parlato con Toni Andreetta,<br />

regista, attore e docente universitario padovano<br />

attivo già a partire dalla prima metà degli Anni<br />

’70 con Cooperativa Teatro Ora Zero.<br />

Le figure si sovrapponevano...<br />

Dal punto di vista teatrale il periodo che va dalla<br />

fine degli Anni ’70 a buona parte del decennio<br />

successivo si caratterizzò per un’organizzazione<br />

di tipo cooperativo; magari non c’erano veri<br />

e propri scritturati ma ognuno era allo stesso<br />

tempo capocomico, attore e altro. Attraverso<br />

il distaccamento padovano della compagnia<br />

Cooperativa Teatro Ora Zero, nata in realtà<br />

a Udine per volontà dell’attore friulano Luigi<br />

Candoli, potei sperimentare alcune opere che<br />

ebbero un’ampia eco nazionale come il Sigfrido<br />

a Stalingrado, basato sulla grande recitazione<br />

di Angela Cavo e Luigi Sportelli. Si trattava di<br />

una drammaturgia che, riprendendo l’estetica<br />

dell’assurdo portata ai massimi livelli da<br />

Ionesco, Arrabal come anche dal nostro Achille<br />

Campanile, veniva addirittura premiata anche<br />

a livello istituzionale dal Ministero del Turismo<br />

e della Cultura. La mia seconda esperienza di<br />

quegli anni iniziò nel 1977 a nome Teatro Citet,<br />

altra forma di cooperativa nella quale affrontai<br />

i lavori più entusiasmanti sotto il profilo della<br />

regia e produzione con titoli come Dieci giorni<br />

senza fare niente di Roberto Mazzucco (il padre<br />

della scrittrice Melania Mazzucco).<br />

Recentemente con Il male oscuro della<br />

democrazia lei ha attinto ad alcuni scritti<br />

di Giuseppe Berto nei quali si prevedeva<br />

il crollo della partitocrazia con 30 anni di<br />

anticipo.<br />

Fermo restando che ogni opera teatrale o<br />

letteraria è sempre stata ideata, da Dante a<br />

Shakespeare, tenendo l’impegno civile come<br />

perno centrale, ancora oggi possiamo vantare<br />

in Italia alcuni nomi dirompenti che pure sono<br />

il traslato degli Anni Settanta: basti pensare a<br />

realtà come Societas Raffaello Sanzio, Babilonia<br />

Teatri, Motus e Anagoor, compagnia trevigiana<br />

ormai celebre in tutto il mondo. Eppure non<br />

credo che oggi sia possibile operare una<br />

rivoluzione culturale mediante il teatro poiché<br />

lo spettatore si nutre da altri sportelli, sia per<br />

catarsi che per contenuti. In questo senso il<br />

teatro amatoriale potrebbe incarnare l’idea non<br />

di copiare/scimmiottare i professionisti ma di<br />

fare della sana sperimentazione. Non scordiamo<br />

che gente come Artaud e Stanislavskij erano<br />

dilettanti che divennero professionisti poiché<br />

non avevano la testa ingombrata di accademia<br />

ed espressività manierata.

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