Art&trA Rivista Feb/Mar 2020
Rivista d’arte, cultura e informazione
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2.0
Speciale:
U l i s s e
L’arte e il mito
a cura di Marilena Spataro
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Anno 12° - FEBBRAIO / MARZO 2020
86° Bimestrale di Arte & cultura - € 3,50
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Intervista doppia
Mario Maellaro
Maria Raffaella Napolitano
FEARLESS
Pier Toffoletti
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Pubblicazioni:
ANNUARIO D’ARTE MODERNA
“artisti contemporanei”
RIVISTA: BIMESTRALE Art&trA
Registrazione: Tribunale di Roma
Iscrizione camera di commercio di Roma
n. 1294817
1ª di copertina: Pier Toffoletti
2ª di copertina: Massimo Pennacchini
courtesy: Laboratorio AccA
3ª di copertina: Antonio Murgia
courtesy: Arte Investimenti - Milano
4ª di copertina Massimo Pennacchini
courtesy: Galleria Ess&rrE
copyright © 2013 AccA Edizioni Roma S.r.l.
riproduzione vietata
S O M M A R I O
RUBRIcHE
Art Vip
Intervista doppia
Mario Maellaro
Maria Raffaella Napolitano
F E B B R A I O - M A R Z O 2 0 2 0
Esiste un limite alla pittura? Fearless, Pier Toffoletti a Pisa Pag. 8
di Roberto Milani
Giovanni lomabrdini, Lipotimia del colore Pag. 12
a cura di Massimo Pulini
Laboratorio AccA prosegue il suo cammino in TV Pag. 28
di Giorgio Barassi
Andrè Derain. Sperimentatore controcorrente Pag 36
a cura di Giorgio Barassi
La geometria segreta di raffaello Sanzio, il “Divin pittore” Pag. 45
di Marina Novelli
ULISSE. L’arte e il mito Pag. 50
di Marilena Spataro
“Due minuti di arte” - La storia di Paul cézanne Pag 68
di Marco Lovisco
Le Mostre in Italia e Fuori confine Pag. 82
a cura di Silvana Gatti
Nel segno della musa “Ritratti d’artista” Girolamo ciulla Pag. 88
di Marilena Spataro
Les fleurs et les raisins - Il Grillo parlante... (Vini ad Arte) Pag. 18
di Alberto Gross
La moda della Belle époque nei quadri di Henri Pag. 25
de Toulouse-Lautrec
di Svjetlana Lipanović
Trentacoste, Hearns, il sacco e la boxe Pag. 30
di Giorgio Barassi
Pittura nel Paleolitico: Le grotte di Lascaux Pag. 40
a cura di Francesco Buttarelli
3ODy cONFIGURATIONS Pag. 54
a cura di Delos
Art&Vip - a tu per tu con Mario Maellaro
e Maria Raffaella Napolitano Pag. 58
a cura della redazione
Bianco su nero Pag. 66
a cura della redazione
Art&Event Pag. 78
a cura della redazione
Il cuore nell’arte a Mompeo Pag. 74
di Francesco Buttarelli
Biografie d’artista (Grazia Barbieri) Pag. 96
a cura di Marilena Spataro
I Tesori del Borgo - Bertinoro Pag. 100
di Marilena Spataro
Massimo Pennacchini e gli Idoli. Una storia più attuale che mai Pag. 109
di Giorgio Barassi
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attività ed è a disposizione di chiunque voglia tenersi
aggiornato sul mondo dell’arte con una moltitu dine di
notizie che verranno continuamente pubblicate.
GIANMARIA
PO
POTENZA
Nel 2018 Gianmaria Potenza si aggiudica il concorso pubblico per la re
ealizzazione di una scultura da ubicare
davanti all’ingresso
della nuovissima Scuola dei Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri di Firenze.
L’opera
in bronzo,
fusione a cera, completata e montata in loco lo scorso Settembre,
supera i sette te metri di altezza
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Esiste un limite
alla pittura?
FEARLESS, Pier Toffoletti a Pisa
di Roberto Milani
Esiste un limite alla pittura?
Direi proprio di no. Questa
affermazione la si può condividere
una volta vista una
qualsiasi mostra personale
dell’artista friulano Pier Toffoletti.
Forse per lo scrivente questa riflessione
può essere facilitata dal fatto che seguo e
curo il lavoro di questo artista oramai da
25 anni ma, confrontandomi anche con
chi scopre Toffoletti per la prima volta,
sono convinto che l’autore possa essere
tranquillamente definito “artista senza limiti”.
Affermazione ambiziosa ma confortata
da alcuni elementi oggettivi.
Le tecniche che utilizza sono le più varie:
dalla fotografia all’affresco, dal disegno
al video. Anche se negli ultimi anni è la
pittura la sua espressione più congeniale.
Per quanto riguarda le tematiche indagate
in questi anni si è cimentato affrontando
temi differenti. E tutti, nessuno escluso,
sono stati trattati e risolti, senza nessuna
discriminante, passando con disinvoltura
dall’informale all’astrazione, dal paesaggio
alla figura.
Oggi, artista maturo e affermato, richiesto
dai collezionisti più attenti sia in Italia che
all’estero, approda ad un’arte “sociale”.
Lo fa con un nuovo ciclo pittorico denominato
FEARLESS, che lo ha già visto
protagonista nel giugno scorso, al PAN di
Napoli, con una mostra personale di eccezionale
successo, curata da Marina Guida,
che approda ora a Pisa, nelle preziose
ed antiche navate della splendida Chiesa
di Santa Maria della Spina.
Una mostra come sempre organizzata
dalla sua galleria di riferimento, Casa
d’Arte San Lorenzo, in collaborazione
con il C.R.A. di San Miniato ed il contributo
di FL FuoriLuogo servizi per l’arte,
curata da Riccardo Ferrucci che firma
anche il testo critico che accompagnerà
l’evento.
Ma perché “arte sociale”? Perché da vero
artista quale è, non rimane certo impassibile
a ciò lo circonda. Ed analizzando
la nostra quotidianità realizza opere che
invitano lo spettatore ad una riflessione
più profonda sul reale. Denuncia così una
società orami stanca, crudele e troppo
spesso indifferente a quello che accade.
Affronta temi a volte anche scomodi. Lo
fa facendo dei ritratti, tutti di grandi dimensioni,
a quello che a suo dire sono le
“eroine della nostra epoca”, mantenendo
ben salda quella tecnica che oramai possiamo
definire suo “marchio di fabbrica”,
o come direbbe uno storico dell’arte la
propria “cifra stilistica”, dove un gesto libero,
lirico ed informale fa da scenografia
a figure perfettamente realizzate, realistiche
e vere, tanto da far sorgere il dubbio
allo spettatore di confrontarsi con uno
scatto fotografico.
Volti noti e meno, di donne che si sono
distinte per coraggio e gesta, con grande
impegno nel difendere il proprio pensiero
o perché vittime di violenze inaudite, perché
la vita non le ha sorriso o semplicemente
perché in questa società troppo
poco spesso, c’è spazio per le donne.
Allora ecco il ritratto a Yusra Mardini,
campionessa di nuoto siriana che nel
drammatico viaggio, da profuga in uno
dei tanti “barconi della speranza”, riesce
a mettere in salvo i suoi compagni di disavventura
trainando a nuoto il natante
oramai in panne alla deriva, o il volto
della nostra Lidia Vivoli, una delle 20'000
donne che ogni anno in Italia denunciano
il proprio “amore” per le violenze subite.
O ancora il grande volto di Anna Muzychuk,
ucraina e campionessa di scacchi
internazionale, che si vede togliere il titolo
perché non accetta di partecipare al
campionato mondiale che si sarebbe tenuto
in Arabia Saudita dove, se avesse
voluto partecipare lo avrebbe dovuto fare
con il viso coperto. O per esempio, il
grande volto di Balkissa Chaibou, sposa
bambina nigeriana che le è stato proibito
di proseguire gli studi in quanto promessa
sposa ad un cugino, sopravvissuta a questo
destino solamente perché, grazie alla
sua tenacia si è ribellata e rivolta an una
ONG che si occupa di questioni di questo
genere. Oggi testimone presso l’ONU di
realtà spesso, a noi sconosciute.
A Pisa, in un contesto completamente differente
dagli ampi spazi museali, l’artista
decide di portare solo due grandi tele.
Una sorta di installazione site specific,
dove offre allo sguardo del visitatore i
grandi volti della Senatrice Lilliana Segre
e Gessica Notaro.
10
Chiesa di Santa Maria della Spina, Pisa
La prima, testimone vivente della tragedia
dell’olocausto, oggi impegnata in differenti
campagne di sensibilizzazione,
volte al ricordo di una memoria drammatica
e vergognosa che ha segnato l’intera
storia dell’umanità. La seconda, vittima
ancora una volta di un amore malato.
Candidata al concorso di Miss Italia, il 10
gennaio 2017, viene sfregiata con l’acido
dal suo ex fidanzato, infrangendo così
ogni sogno e speranza di una ragazza di
rara bellezza, oggi simbolo delle tante ma
insufficienti campagne di sensibilizzazione
contro ogni tipo di violenza nei
confronti delle donne.
Già in passato, nel 2014, in occasione
della mostra personale FACE SPLASH,
allestita al Lu.C.C.A (Lucca Center of
Contemporary Art), diretto magistralmente
dall’amico Maurizio Vanni, ebbi
l’occasione di definire le donne “raccontate”
sulle tele da Toffoletti figure femminili
“non più oggetto ma soggetto”.
Mai affermazione fu più calzante. Quella
mostra fu la germinazione di quello che
oggi è diventato questo pittore: un artista
capace di mantenere ben salda la tradizione
attraverso la tecnica, capace di declinare
la bellezza quotidiana attraverso
il gesto, capace di invitare alla riflessione
rivolta ai fatti della società come mai nessuno
prima. Non esiste un limite alla pittura,
purtroppo neanche alla stupidità,
alla violenza e alla follia umana.
Una mostra evento, patrocinata dalla Regione
Toscana e dal Comune di Pisa,
aperta al pubblico dal 15 febbraio al 15
marzo 2020, che ancora una volta vedrà,
dopo le grandi ed innumerevoli partecipazioni
di Pier Toffoletti a kermesse internazionali,
l’artista friulano protagonista
di un grande momento di arte e di cultura.
12
Giovanni Lombardini
Lipotimia Del Colore
Saranno esposte 50 opere prodotte dal 1980 al 2019
A cura di Massimo Pulini
Da sabato 22 febbraio al 30 aprile 2020
Ogni pittura è fatta di materie
governate da leggi universali
che, innestando la
chimica con la fisica, le
trasformano da una condizione
fluida a uno stato solido. A monte ci
stanno strumenti gestiti dall’esperienza,
mentre senso e sentimento indicano in o-
gni istante la strada, si prendono cura di
tutto quel che il terreno fa incontrare nel
percorso e sono le prime due attitudini dell’autore
a giudicare la riuscita del viaggio.
L’atelier di ogni pittore è abitato da una
grande varietà di attrezzi e utensili, talvolta
indispensabili per agevolare l’atto
del dipingere. Sono fatti di materie le superfici
sulle quali il colore viene depositato
e la preparazione dei supporti è una
fase fondamentale e diversa per ogni artista,
ma da secoli implica un lavoro d’officina
e di falegnameria. Anche per questa
ragione un capitale libro di Roberto Longhi
sulla pittura estense del Quattrocento
si intitolava Officina ferrarese e in quel
testo si comprende quanto il pensiero degli
artisti sia sempre fuso a un industrioso mestiere,
a una sapienza materiale.
La materia principale resta comunque quella
cromatica, le polveri, le cosiddette terre,
vengono al solito chiamate ‘materie prime’
come certi numeri indivisibili, ma provengono
talvolta da luoghi remoti del
mondo e hanno molta storia alle spalle e
vite precedenti. Si può dire che in origine
appartenessero a tutti e tre i regni del nostro
pianeta: regno vegetale, regno animale
e regno minerale si danno appuntamento
nei contenitori farinosi dell’atelier.
Vi sono colori che per tradizione millenaria
derivano dalle piante, dalla loro essicazione
o da processi di carbonizzazione, altri
vengono estratti da componenti animali,
come vesciche od ossa e molti pigmenti
sono scavati dal sottosuolo, dalle viscere
della terra, dalla macinazione di pietre, oppure
da processi di ossidazione dei metalli.
Questa diramata provenienza ha, di per sé,
un carico di senso cosmico ed esistenziale,
che viene messo a dimora nei dipinti, nel
letargo simbolico che le materie conducono
e ci offrono segretamente.
Ma è l’azione della pittura che porta a una
trasformazione del pensiero, alla sua incarnazione,
come una sublimazione rovesciata
che parte dallo stato impalpabile
dell’idea e che, cercando un impasto con
la materia, ne viene da quella trattenuto,
attraverso il gesto della mano che dispone
la sostanza cromatica con intenzione e fine,
aggiungendo, a quel fluido vitale, ulteriori
e aperti significati.
L’accordo tra il pensiero e la materia si
manifesta maggiormente nel momento in
cui il gesto dell’autore dirige lo strumento
imponendogli un indirizzo e un certo grado
di pressione, una inclinazione e una
estensione al suo percorso, lungo quel tratto
di strada nel quale il colore entra in contatto
con la superficie del dipinto rilasciandone
particelle e memoria. Tutto ciò coincide,
in qualche misura, con l’azione di
dare un senso alla forma. Allora le trasparenze
o le ottusità della materia saranno
soggette a scelte di insistenza o di sospensione,
di velocità d’azione o di forza, che
restituiranno espressioni diverse su quell’epidermide
cromatica in via di gestazione
e di sviluppo.
La fusione concreta tra pensiero e sostanza
porta al concepimento della pittura e lo
stile non è che l’eco o la coerenza dei caratteri
individuali di quell’unione, attraverso
cui la materia, arricchita e temprata,
finisce per rappresentare le vocazioni sentimentali
e intellettuali dell’autore. Proprio
quando quella particolare superficie pensata
si ritrova analoga in altre opere dello
stesso autore, allora si parla dello stile e
della sua possibile individuazione.
Vaghezza o puntiglio, rapidità o lentezza,
gravità o leggerezza, ritmo o dispersione,
opacità o trasparenza, queste ed altre antinomie,
che sono proprie sia della mestica
che dell’animo umano, danno intonazione
individuale al racconto visivo della pittura.
Questa premessa, che apparirà di ambito
14
generale, in realtà è stata scritta pensando
al lavoro di Giovanni Lombardini, al suo
dipingere estremo, senza l’uso dei pennelli,
una tecnica che vuole risalire alla sorgente
chimica del colore e alla fisica delle
materie. Il procedere di Giovanni trova,
già nella sua singolarità, gli elementi di
una distinzione e i caratteri del suo stile.
Il crogiolo nel quale prepara la miscela
cromatica è spesso calibrato su forze contrastanti,
un patto da stabilire tra solventi
e catalizzatori, tra essenze che diluiscono
e agenti che solidificano, per riuscire a
controllare le proprietà attive di quell’impasto
e per condurlo verso la giusta destinazione,
verso l’approdo dell’opera.
Si potrebbe giungere a dire che il quadro
viene dipinto quando ancora si trova nella
conca del crogiolo, la pratica e l’esperienza
portano l’autore a immaginarlo già prima
di venir depositato sul supporto, senza
che si precluda l’epifania dell’imprevisto.
La forza di gravità è amica in questa gestione
e si unisce alla scorrevolezza delle
superfici scelte da Lombardini, levigate e
luminose quanto servono per rispondere
alla giusta disposizione e per ottenere la
migliore livrea del fluido colorato. Trasparenza
e ottusità stipulano un altro armistizio
che fa somigliare queste opere a vetrate
trafitte dal sole. L’impressione di una
irradiazione di luce, interna ai laminati, è
suggerita dalla eccezionale saturazione cromatica,
che giunge a impensabili timbri,
squillanti come trombe, di contro a insondabili
profondità delle tinte più oscure.
Quel colore, un attimo dopo essersi depositato,
è così sensibile da reagire al soffio
dell’autore, fissandosi in forme ora biologiche
e ora geometriche. Produce risacche
e sovrapposizioni non troppo distanti dagli
effetti delle croccanti lacche usate cinque
secoli fa da Paolo Veronese o da Tiziano
Vecellio. Allora il timbro diventa vitreo
come un lago di montagna e davvero incantato,
come quando da bambini bastava
una cartina di caramella sugli occhi per
farci vedere un mondo favoloso.
A volte il precipitare del colore evoca cascate,
ampie lamine di caduta che mi hanno
fatto pensare al video di Bill Viola,
Oceano senza una riva (Ocean without a
shore, 2009), nel quale un diaframma d’acqua
sancisce la soglia di percezione tra la
vita terrena e l’aldilà.
In altri casi il colore di Giovanni sembra
svenire, quasi che il corpo di cui è composto
potesse giungere a una perdita dei
sensi, a un languore del pigmento o, come
scrive Valerio Magrelli sul tema delle lacrime:
un minerale sconforto della materia.
Altrove manifesta tutta la sua vita e in
qualche misura anche la propria alterità.
La specchiante e smaltata superficie stabilisce
infatti un distacco da noi, dall’osservatore,
sicché quella lipotimia pittorica,
quel deliquio del colore, sembra svolgersi
aldilà di un diaframma temporale, che rende
inaccessibile quell’incanto cromatico,
offrendolo alla pura contemplazione.
Una distanza che colloca la pittura e le sue
forme più atmosferiche, in una dimensione
siderale, che è quasi una corrispondenza
visiva della musica delle sfere.
Massimo Pulini
Sede mostra:
Galleria d’Arte Cinquantasei, Bologna
Via Mascarella 59/b
In collaborazione con
Zamagni Galleria d’Arte
e cornici, Rimini
16
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18
LES FLEURS
ET LES RAISINS
Trasversali allegagioni d'arte
Dove non solo il Bursòn è... Famoso
Alberto Gross
Burson selezione
Fare vino è una cosa seria,
naturalmente. Tra le espressioni
dell'ingegno artistico
dell'uomo è forse quella che
più tende ad esprimere una
sincerità, una identità nell'onestà del lavoro
e nel cuore dello spirito, trasformando
una ricchezza naturale in qualcosa
di unico e non replicabile da altri
interpreti, ad altre latitudini. Per questo
l'Italia custodisce gelosamente le innumerevoli
varietà di vitigni autoctoni che
sono il sangue puro dei territori che abitano
e vivificano.
La Romagna non si sottrae di certo a
questa felice prosperità, così abbiamo
deciso di dedicare la rubrica di questo
numero a due vini tanto rappresentativi
quanto, forse, troppo poco noti al di
fuori della loro area d'elezione, le cui
uve conservano una storia curiosa e peculiare.
I vini portano i nomi dialettali di Rambéla
e Bursòn, l'interpretazione che raccontiamo
quella della Cantina Randi,
una delle più convincenti ed intriganti
in assoluto e che sarà protagonista, a
fine primavera, di un concorso che vedrà
artisti di diversa estrazione partecipare
alla realizzazione di una speciale
etichetta per una selezione di bottiglie a
tiratura limitata.
L'azienda è in provincia di Ravenna, divisa
tra i comuni di Fusignano ed Alfonsine,
conta circa quaranta ettari vitati
che privilegiano e valorizzano le caratteristiche
delle uve locali. Fondata nel
1951 è oggi condotta da Massimo Randi
e dal fratello Denis, assieme all'esperienza
del padre Luigi. I terreni sono
quelli del cuore della pianura romagnola,
non facili da gestire quando le
Luigi Russolo - “Dinamismo di un treno” - 1911 - olio su tela
estati sono troppo calde, le brezze arrivano
a stento e le nebbie della stagione
fredda insistono. L'arte di chi produce
vino sta anche in questo: capire ed assecondare
terreno e clima, senza forzature
o ricatti, gestendo in maniera educata,
rispettosa e consapevole.
La Rambéla è prodotta interamente con
l'uva “Famoso”, un vitigno antichissimo,
noto alla fine dell'800 con il nome
di “Biancone”, abbandonato per decenni
perché considerato troppo rustico e
vigoroso, solo ultimamente recuperato
e valorizzato (la registrazione del nome
del vino è del 2009). Prodotto in versione
ferma e spumante, si caratterizza
per le spiccate note di muschio, l'ampio
spettro floreale, tiglio, biancospino, a-
rancia, in bocca la conferma delle sensazioni
agrumate equilibra l'ottima acidità
e sapidità, per terminare con un
finale piacevolmente balsamico.
Antonio Longanesi è invece l'eponimo
del vino Bursòn, poiché a lui si deve la
salvaguardia e la rinnovata diffusione di
questo altrettanto antico vitigno. Longanesi
si invaghì di questa vite selvatica
che si arrampicava ad una quercia nel
suo podere nei pressi di Bagnacavallo,
notandone la dolcezza del frutto e la capacità
di rimanere sana fino ad autunno
inoltrato. Negli anni '50 decise così di
rinnovarne gli impianti, moltiplicandola
e garantendone la sopravvivenza. Nel
2000 il vitigno viene iscritto al registro
delle varietà come “Uva Longanesi”,
mentre nel 1999 nasce il “Consorzio il
Bagnacavallo” che ne cura la valorizzazione
e la diffusione. L'etichetta Nera di
Bursòn è un vino austero in gioventù
che acquista eleganza e raffinatezza
negli anni: le note di mirtillo e cassis si
20
Gaetano Previati - “La danza delle Ore” - 1899 - olio e tempera su tela
Carlo Carrà - “Il cavaliere rosso” - 1913
trasformano via via in profumi di confettura,
frutta sotto spirito, poi il fascino
dei terziari di caffè, cacao amaro, liquirizia,
tabacco; i tannini, dono della buccia
spessa e pruinosa dell'acino, si levigano
lasciando al sorso il suo lato nervoso,
costruito da morbide spigolosità,
graffiante di una dinamica progressione
che lo rinnova all'assaggio successivo.
La mente vola così, in principio, alle
immagini di Russolo, Caviglioni, Carrà,
dove l'occhio è sempre in ritardo rispetto
alla figura che sfugge e si ricompone,
ancora più vigorosa e potente. Poi
l'incedere progressivo diviene armonia,
danza di luce, spazio turbinoso continuamente
diverso e rinnovato: ascolto
Ponchielli e le punteggiature, i filamenti
di bagliori che si ricompongono, ad
occhi chiusi, sono quelli della “Danza
delle Ore” di Previati.
Il vino vive nel tempo che armonizza e
distende l'orizzonte degli eventi, collega
passato e futuro in un cerchio di luce:
inebriate dalla vita dell'etere, le Ore sono
pura vibrazione, fosforo, armonia
sottile, indefinibile sensazione di conoscenza.
E' qui che si abita il proprio tempo.
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22
LA MODA DELLA
BELLE éPOQUE NEI QUADRI DI
HENRI DE TOULOUSE-LAUTREc
di Svjetlana Lipanović
Cover for L’Estampe originale
Il celebre pittore francese Henri de
Toulouse Lautrec nato nel 1864, da
nobili origini, rappresentò un caso
unico nel mondo parigino dell’arte,
alla fine dell’Ottocento. La sua breve,
tormentata vita fu pesantemente segnata
dal destino crudele. In seguito alle
due rovinose cadute e, a causa di una malattia
genetica, le sue gambe rimasero
corte, condizionando per sempre il suo
aspetto fisico. La pittura fu per lui la via
della salvezza e percorrendola con passione,
riuscì a esprimere l’innato talento
pittorico e la rara sensibilità, resa più
acuta dalle sofferenze patite. La sua vita
sregolata, bohèmien svoltasi nel periodo
della Belle époque, si rispecchia nei quadri
con le scene dei locali notturni a Montmartre.
Contemporaneo con il movimento
Impressionista Lautrec si avvicina
molto di più all’espressionismo. Dopo un
breve contatto con i Simbolisti, egli scelse
l’analisi accurata dei personaggi, ritratti
con le linee decise e l’abbinamento
dei colori contrastanti. L’artista segnato
dal dolore fisico e, anche morale, fu un
grande osservatore capace da fine psicologo
a comprendere le miserie umane e le
vicende spesso drammatiche o, addirittura
grottesche. Mentre gli Impressionisti
cercavano la luce, il suo mondo viveva
nell’ombra. Nascosto nel rassicurante buio
egli scrutava lo scorrere della vita, i
passanti, le situazioni quotidiane, introducendo
un nuovo, reale senso dell’umanità
nelle sue opere. Eseguì numerose
creazioni velate d’ironia, con svariate tecniche:
acquarello, pastello, gesso, olio,
riuscendo a ottenere le più strane combi-
La Goulue
L’inglese al Moulin Rouge
Al Moulin Rouge La Goulue e sua sorella
The Large Theatre Box
nazioni cromatiche. Si dimostrò un eccelso
grafico, specialmente nell’Arte della
litografia. Le sue idee innovative, applicate
nella pubblicità risultano tuttora
attuali. Sopranominato “il visionario della
realtà” Toulouse-Lautrec si immergeva
volentieri nella vita notturna parigina fin
de siècle, che gli forniva sempre nuove
visioni sorprendenti da dipingere. Il conte
Lautrec fu l’assiduo frequentatore del
“Moulin Rouge” il famoso locale in cui
imperversava il Can-Can con i grandi
balli molto trasgressivi per l’epoca apparentemente
puritana. Egli amava le donne,
anche se fu spesso respinto per l’aspetto
poco avvenente. I suoi dipinti parlano
dell’universo femminile esistente
nella Belle Epoque prima che la Grande
Guerra del 1914, portasse via un mondo
scintillante, fatuo con le feste grandiose
rallegrate dalle ballerine di Can-Can. Esse
furono i segreti oggetti del desiderio
maschile di una società ipocrita, mentre
per Lautrec rappresentavano le modelle
ideali che posavano senza veli. Nelle sale
da ballo immortalate dal pittore, la moda
dell’epoca dettava l’abbigliamento femminile
molto seducente caratterizzato dalle
profonde scolature degli abiti attillati
con la vita di vespa ottenuta con l’aiuto
di terribili corsetti. Le ampie gonne con
le vaporose sottogonne lasciavano vedere,
durante le scatenate danze, le coprenti
calze nere. I vezzosi copri spalle
con le maniche gonfie, completavano gli
abiti insieme con i lunghi guanti e le boa,
spesso di struzzo. I capelli fantasiosi furono
un trionfo di fiori piuttosto che di
nastri o di piume. Le signore della buona
24
The Seated Clowness (Mademoiselle Cha-U-Kao)
La Revue blanche
Jane Avril
Divan Japonais
borghesia vestivano gli abiti scuri con il
collo alto, a volte resi più femminili dai
colori pastello o dai morbidi colli di pelliccia.
Molto in voga furono le candide
camicie bianche dal colletto rigorosamente
alto, con maniche voluminose e
numerose rouches. Nei quadri di Lautrec
si notano gli uomini che ostentano un’
eleganza ricercata con gli abiti scuri, lunghe
giacche abbinate ai gilet della stessa
oppure diversa tinta. La sciarpa di seta, il
cilindro insieme con il bastone da passeggio
furono gli accessori indispensabili del
raffinato dandy. Toulouse-Lautrec ci ha
lasciato le preziose testimonianze del costume
che riescono a evocare uno stile di
vita, spazzato via dallo scorrere del tempo.
I quadri magnifici in cui si nota la
moda della Belle Epoque sono: “Al Salon
di Rue des Moulines” in cui è rappresentato
l’interno di una casa di appuntamenti.
Le donnine allegre con il loro vestiario
audace fatto degli abiti leggeri, le
sottovesti trasparenti, le calze nere ben in
vista tentano di sedurre i potenziali clienti.
Il dipinto “Ballo al Moulin Rouge”
mette in evidenza la diversità dei vestiti
tra le ballerine provocanti e le signore
borghesi molto eleganti che osservano
divertite e probabilmente, scandalizzate
la scena. Lo scatenato ballo si vede sulla
litografia “La Goulue” il primo manifesto
pubblicitario del Moulin Rouge nel quale
la famosa ballerina di Can-Can, la Goulue
amata dal pittore, esibisce con noncuranza
la biancheria intima. Lautrec, il
grande artista che lasciò ai posteri le
scene della vita e, anche dei piaceri proibiti
nella Parigi fine 800, si spense a soli
37 anni, nel 1901. Il suo tempo era giunto
al termine con l’inizio di un nuovo secolo
ma, l’arte che creò sopravive nell’autentica,
viva, commovente bellezza espressa
nelle sue immortali opere.
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Roberto Pinetta
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28
Laboratorio AccA prosegue il
suo cammino in TV.
a cura della redazione
‘
Lobiettivo potrebbe dirsi raggiunto
ma, a detta dei conduttori
del fortunato programma
in onda sui canali di Arte
Investimenti TV, dovrà succede ancora
molto. Di fatto gli artisti che partecipano
alle trasmissioni domenicali con le loro
opere hanno una maggiore visibilità e vedono
i loro lavori diffusi e raccontati
dalle dieci di sera a mezzanotte e mezza,
ottenendo un seguito notevole.
Non poteva essere diversa la sorte di un
progetto televisivo nuovo ed esclusivo, a
cui gli artisti accedono superando una selezione
che permette a Giorgio Barassi e
Roberto Sparaci, in video ad illustrare le
opere dei talentuosi e non sconosciuti artisti,
di allinearsi ai principi editoriali della
Tv dell’ arte che ogni giorno porta in
casa di un vasto pubblico le opere dei
maggiori artisti italiani e mondiali. Laboratorio
AccA è farcita da gag, spot, idee
nuove di diffondere l’arte, ospitando in
studio, uno ad uno, i pittori, gli scultori
ed i performer che fanno parte della squadra.
Nelle puntate più recenti è stato possibile
conoscere meglio il lavoro di alcuni
artisti dai loro stessi racconti e, dopo la
pubblicazione delle loro opere e dei loro
riferimenti sullo storico Annuario Acca
2020, la Galleria Ess&errE del Porto Turistico
di Roma comincia ad ospitare le
“quadripersonali” dedicate ai componenti
del gruppo artistico di Laboratorio AccA.
Un progetto ambizioso e in continua evoluzione,
che disgela i cliché delle TV che
propongono arte ai quali siamo abituati
da decenni. In questo ha visto giusto Arte
Investimenti, sempre al passo coi tempi e
lo sguardo nel futuro.
Cosa ci riserverà Laboratorio AccA per le
prossime puntate non è dato saperlo. Bocche
cucite sui prossimi passi, ma di sicuro
novità ed attenzione massima allo scopo
primario dei progetti in atto: diffondere
meglio il lavoro degli artisti che lo meritano.
L’unica cosa che ci ripete lo staff di
Laboratorio AccA è di invitare gli artisti
interessati ai due progetti tv a prendere
visione dei termini e delle condizioni di
partecipazione visitando il sito www.arteinvestimenti.it
nella sezione “laboratorio
acca” e di inviare una mail a:
giorgio.barassi@arteinvestimenti.it
oppure galleriaesserre@gmail.com. Fatto.
Per rivedere tutte le puntate di Laboratorio
AccA basta cercare il canale “Laboratorio
Acca” su YouTube o visitare il sito
www.accainarte.it . tutte le domeniche,
alle 22.00 c’è una ragione in più per guardare
la tivù. Canale 868 sky o 123 digitale
terrestre.
30
TRENTAcOSTE, HEARNS,
IL SAccO E LA BOXE
di Giorgio Barassi
“Love Is king” - mista su tela piegata - cm 60x60
Ho capito perché Tommy
Hearns è il pugile preferito
da Giuseppe Trentacoste.
Hearns non si è mai risparmiato,
ha combattuto sempre
senza timori riverenziali di sorta e
quando era il momento di sferrare il colpo
del KO lo faceva con una strana naturalezza.
Colpiva con fisiologica regolarità
ad eseguire un movimento difficile. Sereno,
pur se in applicazione delle ferree
regole del pugilato, Hearns guardava il
destinatario dei suoi diretti e dei suoi
ganci come il San Giorgio delle antiche
icone guarda il drago incattivito e ferito,
con una fermezza che gli arrivava dalla
forza della sua fede in sé stesso e nel
Cielo. Quasi distaccato, oggettivamente
preso dalla sola certezza di arrivare al
bersaglio, cercando gli unici punti di debolezza
in tanta forza. La superbia, la tracotanza,
il fondo atletico, la tecnica stessa,
nulla possono contro l’acume tattico
e lo studio dell’avversario compiuto in
pochi secondi. Nulla vale quanto lo scoprire
il vulnus di chi hai di fronte nel
minor tempo possibile. E vale in molte
cose della vita. Peccato che sulla sua strada
abbia trovato un certo Marvin Hagler
detto “The Marvellous” (che guarda caso
è il mio preferito), il quale avrebbe mandato
al tappeto chiunque. Ma quest’ ultimo
era di un altro pianeta, aveva fattezze
perfette, una scaltrezza da faina e
una tecnica superiore in ogni senso.
Trentacoste ha praticato a lungo il pugilato,
ed oggi allena ragazzi volenterosi
che lo ascoltano specialmente nella parte
più chiara a chi prende le cose sul serio
ed evitata da chi crede di diventare una
star: il sacrificio, l’impegno, la sofferenza
e la ricerca della miglior condizione, sempre.
Da qui si capisce perché Hearns e
non Hagler o Mohammed Alì. Trentacoste
conosce i suoi limiti e non si impegna
nella impossibile avventura di superare
gli ostacoli eccessivi, non chiede la ribalta
né reclama le effimere gioie di cronache
temporanee. A lui interessa, e qua
prendiamo a parlare della sua propria capacità
di artista, fare bene il suo lavoro.
Incuriosire chi osserva le sue opere mostrando
tecnica, inventiva e impegno. Vive
la sua avventura artistica con la consapevolezza
del capace e dell’ ordinato
mentalmente. Ricerca e sperimenta senza
mai mollare, certo della riuscita e del valore
della sua caparbietà creativa, che un
giorno gli ha fatto incontrare la juta, il
materiale dei sacchi che solcano i mari a
bordo delle navi, pieni di caffè o di cacao,
di storia e di vicende che transitavano
sulle spalle dei facchini e oggi viaggiano
ordinati in camion moderni, giacendo nei
magazzini per poi esaurire il proprio compito,
svuotati ed abbandonati senza avere
più l’utilità per cui furono creati.
Ma il sacco è stato troppo a lungo nelle
elaborazioni altrui, ha vissuto l’epopea di
“Art” - mista su tela piegata - cm 60x60
“Monkey” -mista su tela piegata - cm 80x90
“Io, lui, loro” - mista su tela piegata - cm 50x50
“Nettuno” - mista su tela piegata - cm 78x85
Burri e di quanti lo hanno spesso usato
come complemento e povero decoro. Insomma,
ha fatto, nelle operazioni artistiche,
il suo tempo. Mancava però un ruolo
a cui il povero sacco non era avvezzo :
farla da protagonista nella sua rude crudezza.
“…Il corpus delle mie opere è il
sacco. Il vero protagonista è lui…” dice
Trentacoste. Dunque non una funzione
legata al suo utilizzo come materiale, ma
il nucleo stesso della sua opera. Nudo e
crudo si, ma rinforzato e modellato grazie
agli interventi di una materia duttile, simile
alle paste che usavamo a scuola per
inventarci corpi o cose da colorare. Quel
morbido e grigio materiale viene steso su
un piano, lavorando orizzontalmente, come
facevano gli antichi iconografi, e ricoperto
dalla tela del sacco. Quindi manipolato
perché prenda le fattezze degli
stati d’animo, dei sogni, delle angosce e
delle gioie di un artista talentuoso e silenzioso
che inventa volti e oggetti con la disinvoltura
di chi ama avvicinare le sue
opere solo alla sua esperienza e non intende,
a ben ragione, scivolare nelle ovvietà
dei paragoni con altri ed altro.
Così il sacco, e la sua conseguente declinazione
in struttura e centro dell’ opera,
torna ad essere messaggero e trasportatore
di una storia, ma chiude le sue ali che
non lo portano su una nave sconosciuta,
sbatacchiato dalle onde. Entra nelle case
dei collezionisti con una nuova e più
densa veste di opera d’arte. Vive una vita
nuova, più nobile, meno faticosa e più
degna. Finalmente un compito adatto ad
un lavoratore indefesso, a un contenitore
silenzioso che non chiede nulla e dà tutto.
Della sua Toscana, Trentacoste ha la dolcezza
serena delle espressioni, la pungente
apposizione di termini adeguati
quando ci si esprime ma non la baldanza
di un protagonista guascone di novelle
medievali né la giustificabile vanterìa di
chi vive in uno dei luoghi più belli al
mondo. Quando parla, con la discrezione
e la voglia chetata di dirne tante, cerca il
giusto aggettivo, sistema le parole perché
siano brevi e ficcanti. Cerca lo spazio tra
i guantoni dell’ avversa e diffusa ignoranza
per affondare il colpo. Intervistato durante
una puntata di Laboratorio AccA si
è espresso con molto garbo, e chi ascoltava
ha capito che questo ragazzone ha
tanto da dire e dare ma non fa passi avventati.
Preferisce chiudersi nella palestra
del suo studio a sperimentare, confortato
dalla saggezza degli anni e dal sostegno
delle spalle sopportatrici di pesi esistenziali
che hanno lasciato un segno come
una cicatrice sanguinante dopo un brutto
match.
Potrebbe, ma la sua discrezione glielo
vieta, appoggiarsi al suo cognome e vantare
la parentela con Domenico Trentacoste,
docente di scultura alla Accademia
delle Belle Arti di Firenze all’inizio del
secolo ventesimo, quando era appena co-
32
minciato quel periodo che comprese due
guerre e tanta frenetica attività artistica.
Domenico Trentacoste fu uno scultore
dalle forme perfette ed ineccepibili, un
maestro di bellezza e di armonia. Uno di
quegli artisti ai quali dovremmo inchinarci
in segno di gratitudine perché il passare
in sottordine nella folla di artisti
italiani di quella bella epoca gli ha dato
men che la metà di quel che avrebbe meritato.
Ma il Professor Trentacoste era
preso dalla passione per l’insegnamento
più che dalla fame di notorietà. E il suo
discendente Giuseppe, il nostro “gran
saccàio”, scandisce i ritmi della sua ricerca
andando a trovare nuovi stimoli e
nuovi temi nel suo mondo, prima ancora
che in quello circostante. “…Quelle facce
che vengono fuori dal piano delle mie
opere, sono le mie. Ho la fragilità degli
uomini e allora rido, piango, mi appassiono,
mi arrabbio. Le mie espressioni finiscono
dentro le mie opere…”. E allora
se lo spazio dell’opera è composto da
pezzi di tela di juta cuciti fra loro si tratta
di momenti di intima riflessione, di medicamenti
all’anima. Più lineari e narrativi
sono invece quei pezzi di tela ordinati
ed aderenti al supporto di legno leggero :
lì Beppe è più ordinato e razionale, racconta
con maggiore chiarezza, affonda il
colpi senza subire le interdizioni, mirando
ad una esecuzione perfetta ed architettando
un degno sfondo a volti mitologici,
storici o grotteschi che siano comunque
figli del suo sentire contemporaneo
e passionale.
In queste varianti, poche ma significative,
è l’essenza della sua operazione artistica.
E non si creda che le sorprese siano eluse.
Un pugile che vuol vincere non si limita
alle teorie rispettabilissime secondo cui,
ad esempio, il brevilineo preferisce i
colpi circolari. Essendo longilineo e saldo
sul ring come il suo Tommy Hearns, Trentacoste
può sfoderare sia un improvviso
montante che un ricamato crochet, come
ha fatto, ad esempio, quando ha sovrapposto
ad una sua “Tela piegata” (la definizione
che lui predilige) una tela bianca
squarciata al centro da una mano armata
di pugnale che emergeva dal bassorilievo,
per omaggiare Lucio Fontana e la sua intuizione
geniale. Trentacoste conosce bene
l’ arte a lui precedente, e ne rispetta
l’intimo significato. Ama la sua terra e le
cittadine piene di richiami agli altissimi
momenti del costruire italiano di un tempo.
Ma ha gli occhi piantati verso il futuro,
e le sue tele di juta sono un inno agli
oceani, alle merci che hanno viaggiato,
agli uomini che le hanno trasportate. Tutta
roba di cui potersi vantare perfino eccedendo
la misura. Se vi aspettate di vederlo
ringhiare dall’angolo, sarà vana
attesa. Lo troverete a guantoni incrociati,
tranquillo e riflessivo, seduto su una soglia
di pietra serena della sua Toscana,
mentre pensa a come piegherà la prossima
tela ed a quale espressione gli verrà
fuori dopo aver modellato, incollato, applicato
le resine ed atteso pazientemente.
Lui ha il passo dell’ atleta ma la pazienza
di un filosofo.
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36
André Derain
Sperimentatore controcorrente
a cura di Silvana Gatti
“L’Estaque” - 1906 - olio su tela - cm 38x55
Musée des beaux-arts, La Chaux-de-Fonds, Collection René et Madeleine Junod, inv. 1303.06
© 2020, ProLitteris, Zurich
Il Museo d’arte di Mendrisio organizza
una retrospettiva di ampio
respiro sull’opera del pittore francese
Derain: 70 dipinti, 30 opere
su carta, 20 sculture, 25 progetti
per costumi e scene teatrali, illustrazioni
di libri e alcune ceramiche per documentare
la creatività e l’attività poliedrica di
questo protagonista dell’arte moderna. La
mostra, a cura di Simone Soldini, Francesco
Poli e Barbara Paltenghi Malacrida,
è nata grazie alla collaborazione degli Archivi
André Derain e ai prestiti di alcuni
prestigiosi musei francesi.
André Derain nacque a Chatou (Parigi)
nel 1880 e nel 1898 si iscrisse all'Accademia
Julian, nonostante il padre lo a-
vesse avviato agli studi di ingegneria. In
quel periodo entra in contatto con Henri
Matisse e Maurice de Vlaminck, con il
quale condivide uno studio a Chatou. Impara
a conoscere le opere di Vincent Van
Gogh, di Paul Cézanne e di Henri De
Toulouse-Lautrec, maestri fondamentali
nel suo percorso artistico. Nel 1905 espone
al Salon d’Automne e al Salon des Indépendants,
collocandosi tra i Fauves.
Erano i primissimi anni del Novecento,
in cui una manciata di artisti apportò all’arte
profondi cambiamenti. Tra i massimi
innovatori ci furono Derain e Matisse,
che trascorsero vari anni a dipingere
insieme le marine di Collioure, nel Sud
della Francia. I due diedero vita tra il 19-
05 e il 1910 al movimento per il quale si
coniò il termine Fauve, cioè il gruppo dei
“Selvaggi”, a causa dei vivacissimi, infuocati
colori che caratterizzavano le loro
opere. I primi quadri del giovane Derain,
come “L’Estaque” (Olio su tela, cm. 129x195,
Houston Museo delle Belle Arti), esposto
in questa mostra, non aderiscono del tutto
ai dettami del movimento avanguardista
francese: l’artista, pur utilizzando i colori
forti alla maniera fauvista, li ingloba armonicamente
nel rispetto dei vari elementi
che rendono la composizione del
paesaggio. In questo quadro le forme degli
alberi sono distorte ma riconoscibili,
contrariamente alle opere dei pittori fauves.
Sia le forme che i colori, in prevalenza
blu e verde, in quest’opera risentono
fortemente l’influenza di Cézanne,
come “Il vecchio albero” (olio su tela,
cm. 41x33, 1904, Acquisto del 1951, Centre
Pompidou, Paris. Musée national d'art
moderne-Centre de création industrielle),
qui esposto. Sono molteplici le correnti
artistiche che influenzano Derain, in particolar
modo nel primo decennio del No-
“Nature morte au pichet et verre de vin” - 1938 - olio su tela - cm 43.5x55
Collezione privata
© 2020, ProLitteris, Zurich
“Femme au long cou” - dopo 1938 - bronzo - cm 32x19.5x4
Collezione privata, Montagnola
© 2020, ProLitteris, Zurich
vecento, periodo in cui speri- menta e si
accosta alla pittura. Si può dire che Derain
è stato l’erede dell’Impressionismo,
l’iniziatore della pittura Fauve e uno dei
padri del Cubismo, nonché il precursore
del Ritorno al Classicismo.
Alcune opere di Derain sono influenzate
dal puntinismo di Paul Signac, altre dalla
luminosità di Claude Monet, grazie al periodo
trascorso a Londra nel 1906, mentre
le opere influenzate da Paul Gauguin hanno
colori più tenui. Amico del poeta A-
pollinaire, nel 1909 illustra un volume del
poeta e, tre anni più tardi, arricchisce con
i suoi preziosi disegni una raccolta di
Max Jacob. L’attività di illustratore prosegue
per il primo libro di Andrè Breton,
nel 1916, per le favole di Jean de La Fontaine
e per un’edizione del Satyricon di
Petronio. Nel contempo continua a dipingere
avvicinandosi al cubismo di Braque
e di Pablo Picasso, senza giungere alla
scomposizione della forma in quanto riscopre
presto la pittura classica tradizionale,
tornando ad usare la prospettiva e il
chiaroscuro. Un “ritorno all'ordine” ed un
ritorno alle “forme classiche” in parallelo
a quello intrapreso in quel periodo da
molti altri artisti europei, tra cui Gino Severini,
Pablo Picasso dopo il suo viaggio
in Italia, Giorgio De Chirico con la sua
neonata metafisica, i movimenti Valori
plastici e Novecento in Italia e Nuova oggettività
in Germania.
Nel 1911 si accosta alla scultura africana
e ai primitivi francesi, dipingendo nature
morte e scolpendo figure rigide e stilizzate.
Fu Derain a introdurre Picasso nel
mondo dell’arte africana e con Derain Picasso
fece i primi passi verso il Cubismo.
Entrambi furono amanti della mondanità,
uomini di grande successo, celebrità del
mondo artistico del XX secolo. Ma se la
fortuna di Picasso crebbe per tutto il secolo,
quella di Derain ebbe un brusco,
momentaneo declino dopo la seconda guerra
mondiale, complice il mondo delle gallerie
d’arte e del mercato. Terminata la
Prima Guerra Mondiale, l’artista pren- de
decisamente le distanze dal Cubismo e
dal Surrealismo, ritenendoli movimenti
antiartistici. Rimasto suggestionato dalle
bellezze della città di Roma e dai pittori
italiani del Rinascimento, viene rapito dal
classicismo. Nel 1928 riceve il prestigioso
premio “Carnegie”, e nello stesso periodo
espone a Londra, Berlino, New York,
Francoforte, Duesseldorf e Cincinnati.
Rimane a Parigi durante l’occupazione
tedesca della Francia, in seguito al Se-
38
“La clairière, ou le déjeuner sur l’herbe” - 1938 - olio su tela - cm 138x250
Association des Amis du Petit Palais, Genève
© 2020, ProLitteris, Zurich
condo Conflitto Mondiale, e nel 1941 rifiuta
la direzione della Scuola Nazionale
delle Belle Arti di Parigi. Durante un soggiorno
a Berlino partecipa ad una mostra
nazista dell’artista Arno Breker, e di conseguenza
viene additato come collaborazionista
della propaganda nazista e abbandonato
da molti artisti. Muore nel
1954 investito da un automobile, a Garches.
Amico di Picasso, Matisse, Braque,
Giacometti, André Derain è uno dei protagonisti
della rivoluzione artistica dell’inizio
del XX secolo, sia pittorica sia
scultorea, un’icona dell’arte del Novecento.
Picasso nutrì grande ammirazione
per Derain, con cui dal 1910, per diversi
anni, collaborò grazie ad un’amicizia che
durò fino agli anni Trenta. Il Cubismo,
corrente artistica che trasformò l’arte ad
inizio del ‘900, ebbe origine da Georges
Braque, oltre che da Derain e Picasso.
Nel periodo in cui Braque e Derain dipinsero
insieme nel quartiere parigino della
Ruche, Braque apprezzò molto il Primitivismo
di Derain e quest’ultimo guardò
molto al moderno classicismo di Braque.
Anche Alberto Giacometti apprezzò l’opera
di Derain, in particolar modo la sua capacità
di cambiare stile rifacendosi alla
tradizione dell’arte antica. Dalla metà degli
anni Dieci, la ricerca artistica di Derain
vira in direzione opposta rispetto allo
spirito avanguardistico che aveva caratterizzato
la sua prima fase. Negli anni
Venti e Trenta raggiunge un grande successo
internazionale, ma a causa di questo
cambiamento di rotta viene criticato
dall’ambiente dell’avanguardia. André
Breton, che era stato un suo grande ammiratore,
lo accusa (al pari di Giorgio de
Chirico) di aver esaurito la sua autentica
vena creativa e di essersi rifugiato nella
dimensione nostalgica della tradizione,
inaridendo il suo incontestabile talento.
Dei suoi vecchi amici, Braque fu l’unico
ad aiutare Derain nei momenti di difficoltà,
subito dopo la seconda Guerra Mondiale.
La mostra intende esplorare tutti i
principali aspetti della ricerca di Derain,
e in particolare si focalizza sulle qualità
della sua complessa e articolata produzione
fra le due guerre e fino alla sua
morte. Questa mostra documenta come
Derain rimase sempre fedele alla pittura
“Geneviève à la pomme” - 1936-37 o 1937-38 - olio su tela - cm 92x73
Collezione Geneviève Taillade
© 2020, ProLitteris, Zurich
“Portrait de Geneviève en bleu” - 1938 - olio su tela - cm 35x28
Collezione privata
© 2020, ProLitteris, Zurich
figurativa – il ritratto, il paesaggio, le nature
morte – trovando ispirazione nell’arte
greca e romana e nei grandi maestri
dell’Ottocento. Chi ha forse compreso meglio
di tutti il senso autentico della sua
arte è Alberto Giacometti, che diventa
suo grande amico, dal 1936 in poi. Giacometti
dedicò un lungo articolo alla sua
straordinaria capacità di raccogliere idee
da tutta la storia dell’arte, trasformandola
in qualcosa di personale. Alla morte del
maestro, fu Giacometti ad aiutare i famigliari
a salvare decine di sculture di Derain.
Nell’ultimo periodo della sua vita
Derain si isola sempre di più, e neanche
la mostra postuma al Musée National
d’Art Moderne di Parigi nel 1954 (anno
della sua scomparsa) riporta l’attenzione
della critica dominante sulla sua opera, di
cui è apprezzato solo il primo periodo
avanguardista. Per l’avvio di una vera rivalutazione
dell’artista bisognerà attendere
la grande retrospettiva al Musée
d’Art Moderne de la Ville de Paris (1994-
95). La rassegna di Mendrisio analizza
l’evoluzione e le sperimentazioni stilistiche
e tematiche della pittura di Derain,
oltre ai numerosi collegamenti nei più diversi
territori dell’arte di tutte le epoche.
E questo nei vari generi: il paesaggio, la
natura morta, il ritratto, il nudo femminile,
le composizioni più articolate. Non
poteva mancare la produzione scultorea,
che viene documentata con un gruppo interessante
di lavori tra cui Femme au long
cou, (dopo 1938 - bronzo, 32x19.5x4 cm).
Appassionato di teatro, l’artista collabora
a molte scenografie di spettacoli e balletti.
Una sezione mette in luce questo
aspetto meno noto ma molto rilevante
dell’attività dell’artista attraverso una selezione
di disegni, bozzetti e documenti
fotografici. Un catalogo di circa 230 pagine,
edito dal Museo d’arte Mendrisio,
documenta con fotografie storiche e schede
tutte le opere in mostra, introdotte dai
contributi di studiosi e curatori e seguite
dai consueti apparati riportanti una bibliografia
scelta e una selezione delle e-
sposizioni. Vengono inoltre pubblicati alcuni
testi teorici esemplari dell’artista,
tradotti per la prima volta in italiano.
40
Pittura nel Paleolitico:
Le grotte di Lascaux
di Francesco Buttarelli
La preistoria ha conservato tracce
significative riguardo al
tempo in cui l’uomo ha iniziato
a dedicarsi all’arte. Circa
trentaseimila anni fa, durante la fase
finale del paleolitico, gli uomini che sapevano
esprimersi soltanto attraverso un
linguaggio rudimentale, già conoscevano
il valore delle immagini e delle raffigurazioni.
Tutto è rappresentato dalle antichissime
testimonianze di pittura rupestre
(così chiamata poiché realizzata sulle
pareti rocciose di alcune grotte come
quelle di Lascaux in Francia e di Altamira
in Spagna). I soggetti più comunemente
realizzati sono animali, molti dei quali
oramai estinti. Veniamo colpiti dalla precisione
dei dettagli. Gli “artisti” preistorici,
seppero sfruttare l’essenza naturale
delle cose ed il movimento anatomico
di tutto ciò che veniva rappresentato.
Un luogo ove è possibile tornare
indietro nel tempo attraverso una visione
di insieme spazio-temporale sono le grotte
di Lascaux, un insieme di caverne comunicanti
che si trovano nella Francia
sud-occidentale presso il villaggio di
Mantignac. Le grotte furono scoperte casualmente
nel 1940 da alcuni ragazzi che
inseguivano un cane smarrito. Situate in
un massiccio calcareo le grotte presentano
una serie di lunghi cunicoli che improvvisamente
sfociano in grandi ambienti
chiamati “sale”. Le pareti sono
completamente ricoperte di immagini disegnate
con le dita o con pennelli rudimentali,
i colori maggiormente usati
sono ocra, rosso e nero. Tutte le figure
sono rappresentate in movimento. Qual-
siasi asperità rocciosa è stata sfruttata
dagli artisti per conferire maggiore rilievo
agli animali dipinti. Tutti i soggetti
risultano rappresentati di profilo. Per lungo
tempo gli studiosi si sono domandati
quale sia stato il significato di queste immagini
e quali ragioni abbiano spinto gli
uomini primitivi (sempre impegnati nella
ricerca del cibo e nella sopravvivenza) ad
impegnarsi per raffigurare scene di caccia
e di vita quotidiana. Ne è scaturita un’ipotesi
probabile: l’arte legata a riti propiziatori.
Le grotte di Lascaux hanno ospitato
molte generazioni di cacciatori, in
quel luogo non era agevole dipingere alla
luce di torce rudimentali. Affrontare così
tante difficoltà in un luogo ove abitualmente
non si viveva, presupponeva una
volontà forte che poteva dimostrarsi utile
a tutta la comunità. Appare quindi verosimile,
che le grotte di Lascaux costituissero
un vero e proprio santuario in cui
si svolgevano riti importanti per le comunità
primitive. I cacciatori paleolitici
credevano infatti che rappresentare l’animale
volesse significare possederlo attraverso
i loro dipinti e grafiti si mettevano
in contatto con le forze della natura che
veneravano: la terra, il sole, la luna, il
vento, la pioggia, le tempeste, il giorno e
la notte. Dal 1979 le grotte di Lascaux
sono state inserite dall’Unesco nella lista
dei patrimoni dell’umanità. Attualmente
le grotte sono visibili sfruttando sistemi
di osservazioni moderni che invitano o-
gnuno di noi a percorrere la galleria dell’immaginario
tornando a ritroso nel tempo.
Nicola Morea
“Flow Art 4.0 - S. T.” - 2019 - acrilici su tela - cm. 50 x 60
opera selezionata per il Progetto Tv Laboratorio AccA
Porto turistico di Roma - Loc. 876- Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - 00121 Roma
galleriaesserre@gmail.com
44
Giornalista: Oggi nel mese
di Febbraio 2020, successivamente
alla Mostra collettiva
d’Arte “Contemporary
Winter” conclusasi con
enorme successo negli spazi della Life
Art Gallery di Battipaglia siamo in
compagnia dell’artista Anna Ciufo, come
reputa quest’ esperienza?
Artista: il mio scopo principale è quello
di fare Arte, di dipingere e di trasmettere
emozioni tramite le mie opere, ed
è una soddisfazione poter fare qualcosa
in merito tramite manifestazioni e mostre.
Giornalista: Cosa vuole comunicare attraverso
la sua arte?
Artista: Di solito mi riferisco a temi sociali,
mi capita di denunciare alcune tematiche,
come la violenza sulle donne,
la mia arte ha un’identità stilistica abbastanza
criptica, nelle mie opere utilizzo
l’acrilico, il più delle volte su tela,
ma anche su supporti rigidi quali masonite
e il compensato sui quali stendo
uno strato materico che rende il supporto
scabroso, disomogeneo, a volte
sconnesso.
Giornalista: Tramite la sua arte può essere
definita l’artista dell’introspezione?
Artista: Mi posso definire così, perché
con la mia pittura non del tutto esplicita
mi riferisco a temi che riguardano
l’introspezione e riflessione su tematiche
esistenziali.
Giornalista: Nel tempo la sua pittura è
andata perdendo i contorni del figurativo
concedendosi maggiore libertà e-
spressiva ed aprendosi all’informale,
come mai?
Artista: sono in continua evoluzione e
ricerca, sperimento varie tecniche dipingendo
immagini e situazioni non
puramente tradizionali, colori dai toni
scuri, violacei, o aranciati e rossi, di
estrema efficacia visiva, in cui nelle mie
opere si possono intravedere occhi di
donne che scrutano, interrogano, denunciando
stati d'animo personali o, in
alcuni casi, malesseri sociali.
Giornalista: In questa atmosfera di angoscia
esistenziale, emerge però un barlume
di speranza?
Artista: Si, un’irrequietudine interiore
mista a desiderio di cambiamento, miglioramento
e trasformazione.
Giornalista: lei si è affidata alla Life
Art Gallery, cosa le ha colpito di più?
Artista: mi ha colpito il nuovo modo di
intendere l’arte, attraverso le Fiere Nazionali
ed Internazionali, le Mostre,
collettive d’arte, le varie pubblicazioni
di Arte tra cui il Catalogo dell’arte Moderna
e Arte Mondadori. E’ un percorso
di valorizzazione e visibilità dell’artista
ma è ancora molto lungo, per
ora abbiamo iniziato insieme questo
progetto ambizioso e lungimirante.
V.Brodolini 9
84091 Battipaglia (SA)
www.lifeartgallery.it
info@lifeartgallery.it
tel. 0828/300013
LA GEOMETRIA SEGRETA
DI RAFFAELLO SANZIO,
Il "DIVIN" PITTORE
Biografia di Raffaello Sanzio
a cura di Rita Lombardi
... Segue da numero precedente
Trasporto di Cristo morto,
pala Baglioni
La pala, terminata nel 1507 e destinata ad
una chiesa di Prato, viene commissionata
a Raffaello da Atalanta Baglioni in memoria
del figlio Grifone Baglioni, assassinato
nel 1500. La pala si trova ora nella
Galleria Borghese (Roma).
Il centro è occupato dal portatore con
l’abito rosso e verde. L’imperiosità e la
forza del suo gesto sono sottolineati dal
fatto che il suo braccio, la sua spalla e la
testa si collocano sulla diagonale principale,
la stessa che conduce lo sguardo
verso il Golgota, dove si innalzano le tre
croci. Su una parallela a questa diagonale
Raffaello ha posto lo svenimento della
Madonna. Il perno dello sforzo del portatore
è la sua gamba sinistra, collocata
lungo la mediana verticale. Questa mediana
continua nell’albero esile ed altissimo,
la cui chioma si staglia contro un
Trasporto di Cristo morto, pala Baglioni
cielo chiaro e luminoso.
Sull’altra diagonale, i tre volti che esprimono,
in modo diverso, la pietà e il dolore,
e questa diagonale è sottolineata in
alto dal profilo della montagna e in basso
dalle pieghe dell’abito del portatore e
dalla gamba del Cristo.
Sulla parallela a questa diagonale è collocato
il braccio dell’uomo con il turbante,
all’estrema sinistra della pala.
Il profilo del corpo di Cristo segue una
semicirconferenza che parte da questo
turbante e termina sulla nuca del portatore:
questi due punti sono situati a 1/3
dal bordo superiore della pala. Il portatore
si rivela quindi il vero protagonista
dell’opera e si pensa che sia il ritratto del
giovane Grifone Baglioni, mentre nella
Madonna Raffaello avrebbe raffigurato la
madre di questi, Atalanta Baglioni.
Disputa del Sacramento
Nell’affresco “Disputa del Sacramento”
della Stanza della Segnatura (Palazzi Vaticani,
Città del Vaticano), terminato nel
1509, la verità rivelata da Cristo è celebrata
da teologi, filosofi, dottori della
Chiesa e Santi. Raffaello dispone le figure
in semicerchio in due zone sovrapposte
e sostituisce la parata statica dei
suoi predecessori con gruppi di uomini
che gesticolano e parlano, creando un
movimento armonioso e ben orchestrato,
sia in cielo che in terra.
La parte “celeste” è costruita su due
grandi archi di cerchio aventi il centro in
alto, fuori della superficie affrescata; è
una disposizione, questa, originale, che fa
tendere tutta la composizione verso l’alto.
Il perno di tutto l’affresco è ovviamente
il Cristo, posto all’interno di un cerchio
sull’asse verticale centrale, che parte da
Dio, passa per la colomba dello Spirito
Santo e arriva fino all’Ostia sull’altare.
Il punto d’intersezione di questo asse con
la retta orizzontale a 1/4 dal basso è il
punto di fuga della prospettiva, punto
coincidente con l’Ostia.
Tutti i personaggi “terrestri” sono raggruppati
nella terza parte inferiore dell’affresco.
46
Disputa del Sacramento
L’esito lasciò sbalordito il Papa Giulio II,
che l’8 ottobre 1509 lo insignì del titolo
di scriptor brevium, che gli conferiva un
incarico permanente e uno stipendio fisso
alla corte papale.
Madonna della Seggiola
L’opera, si trova a Palazzo Pitti (Firenze).
Databile tra il 1513 e il 1514 trae il suo
nome dal ricco sedile sul quale siede
Maria, impreziosito dalla spalliera tornita
e dallo schienale con lunghe frange e decorazioni
in oro. è un tondo, cioè, il supporto
è una tavola di forma rotonda.
Questo formato si diffonde nella Toscana
del ‘400 come “desco da parto”, dono tipico
alle puerpere alla nascita del loro
primogenito e vi viene sempre rappresentato
un soggetto religioso, che è connesso
con la Vergine e Gesù Bambino.
Qui la Madonna non è rappresentata nel
suo costume tipico, cioè vestito rosso,
manto azzurro e capelli semplicemente
raccolti, ma con un ricco scialle di seta
tramata d’oro e una sciarpa preziosa che
le raccoglie i capelli. Questo ricco turbante
compare anche nel ritratto della
“For- narina” di Palazzo Barberini, quasi
sicuramente la modella è la stessa, cioè la
donna amata da Raffaello.
Il Bambino Gesù è vestito, non nudo (la
nudità di Gesù testimonia che è uomo
oltre che Dio) e non è in primo piano,
presentato e offerto, come si conviene al
Figlio di Dio, al Salvatore, all’Agnello.
Raffaello ha raffigurato una mamma del
tempo, terrena e di una bellezza sfolgorante
e tutta la scena è pervasa da un tono
intimo, domestico, accentuato dal gesto
protettivo e colmo di affetto della donna,
che stringe tra le braccia il suo bambino,
il quale si rannicchia appagato tra le sue
braccia.
Raffaello stabilizza il tondo tracciando
due corde di uguale lunghezza perpendicolari
tra loro. Su quella verticale colloca
la spalliera del sedile e, su quella orizzontale,
la coscia di Maria coperta di stoffa
azzurra. Contemporaneamente, sfrutta il
formato rotondo tracciando all’interno
archi di circonferenza.
Su una grande semicirconferenza che
corre a sinistra, parallelamente al bordo,
pone il profilo posteriore di Maria, fino
ai piedini di Gesù. Crea poi un movimento
oscillante, con altri due archi di
circonferenza. Il primo, dal profilo della
spalla e del braccio della donna fino alla
Madonna della Seggiola
sua mano, crea un movimento verso l’interno,
dove è San Giovannino orante.
L’altro, sul quale colloca il dorso di Gesù
fino ai Suoi piedini irrequieti e pronti a
portarlo nel mondo, porta dall’interno
verso l’esterno e verso l’osservatore.
Questo moto oscillante è fermato dalla
spalliera del sedile. Nel centro del tondo
Raffaello pone il punto di contatto del gomito
di Maria e del gomito di Gesù, ma
il rosso acceso della manica attira l’attenzione
e sposta il fulcro verso il basso, proiettandolo
in avanti e comunicandoci
l’esclusività e l’isolamento del binomio
madre-figlio.
Trasfigurazione
L’ultima grande pala dipinta da Raffaello,
terminata poco prima della sua morte, si
trova ora nella Pinacoteca Vaticana (Città
del Vaticano).
è un’opera molto complessa, in cui tutti
i dettagli vengono sviluppati a partire da
una rigorosa geometria in una coreografia
perfettamente orchestrata. Essa presenta
due eventi distinti. Uno drammatico sulla
terra, l’episodio concitato della guarigione
del ragazzo indemoniato, caratterizzato
da colori accesi e forti chiaroscuri.
L’altro, in cielo, sereno ed armonioso, disposto
attorno a Gesù, tra Mosè ed Elia,
con i discepoli, testimoni della Trasfigurazione
sulla rupe che separa le due
scene. Nella parte inferiore, “terrena”,
Raffaello predispone due quadrati che
formano un ottagono (l’ottagono rappresenta
un ponte tra il quadrato, terra, e il
cerchio, cielo).
Il primo quadrato, disposto a rombo, ha
due vertici sui lati del dipinto, a 1/4 dalla
base della pala, gli altri due sulla mediana
verticale, il primo sulla base e l’altro nel
centro, dove è il piede destro di Gesù.
Sono evidenti di questo quadrato i due
lati a sinistra, dove sono collocate le braccia
e le dita puntate verso l’alto di due uomini
e la gamba di un terzo uomo in
basso. Il piede di quest’ultimo e la gamba
della donna in primo piano sono sulla
base dell’altro quadrato, che continua a
destra lun- go le braccia allargate del ragazzo
indemoniato e la mano aperta
dell’uomo con il vestito rosso. Sul terzo
lato, parallelo alla base della pala, è collocata
la rupe, che separa ed unisce, contemporaneamente,
le due scene.
Anche nella parte “celeste” Raffaello predispone
più figure geometriche sovrap-
48
Trasfigurazione
poste. Il Cristo è inscritto in un triangolo
isoscele, con il vertice in basso, cosicché
Egli sembra trascinato verso l’alto, e questo
triangolo è inscritto in un cerchio
chiaro e luminoso, la “nube” dalla quale
viene la voce che lo dichiara Figlio di
Dio. Il cerchio è, a sua volta, inscritto in
un pentagono, con il vertice nel centro del
bordo superiore della pala. Il pentagono,
con la sezione aurea, è una scelta obbligata
per una scena celeste, perché considerato
divino fin dal Medioevo. Su due
suoi lati sono collocati Mosè ed Elia,
mentre la base, che poggia sulla rupe, è il
sostegno di tre discepoli.
La pala, completamente autografa, costituirà
una fonte d’ispirazione per gli artisti
della Controriforma.
Nota: rapporti armonici
Nel capitolo sesto del “De re aedificatoria”
Leon Battista Alberti spiega che gli
intervalli piacevoli per l’orecchio, l’ottava,
la quinta e la quarta, che corrispondono
alla divisione di una corda in 2, 3 o
4 parti, rispettivamente, danno luogo a
proporzioni che possono essere usate
nelle arti plastiche. Sono identificate con
le parole greche diapason (1/2), diapente
(2/3) e diatesseron (3/4).
Secondo l’Alberti, per ottenere una superficie
da dipingere armoniosa è meglio
scegliere un quadrato oppure un rettangolo.
Il rettangolo dovrà essere o un doppio
quadrato (diapason) oppure dovrà
avere il lato corto e il lato lungo in un rapporto
diapente o diatesseron. Nel caso di
rettangoli più lunghi come un 40x90 o
90x160 è opportuno dividere idealmente
il lato lun-go con due verticali in modo da
ottenere un quadrato e un diapente, nel
primo caso, (quindi a 40 e 60) e un quadrato
e un diatesseron, nel secondo caso
(quindi a 90 e 120).
Su queste superfici gli assi centrali e le
diagonali, con le parallele a queste rette
distribuite in modo uniforme secondo i
rapporti armonici diapason, diapente e
diatesseron, costituiranno la struttura
base per disporre le figure, gli elementi
architettonici e paesaggistici.
L’Alberti fornisce, così, all’artista, una
vasta possibilità di scelta per creare una
maglia modulare variabile e adattabile a
qualunque soggetto. Egli dimostra di essere
in anticipo sui suoi tempi perché recenti
ricerche sul funzionamento del
nostro cervello hanno dimostrato che, di
fronte a un quadro o a una fotografia noi
ricerchiamo, istintivamente, gli assi centrali,
le diagonali e il centro della composizione.
Gli artisti del Rinascimento sovrapporranno
a questi schemi, come i loro predecessori
medievali, le figure geometriche
“simboliche”, il triangolo, il quadrato, il
pentagono, l’ottagono e il cerchio.
50
Dal 18 gennaio al 18
aprile 2020 la Fondazione
del Monte di
Bologna e Ravenna è
lieta di presentare 3
Body configurations
a cura di Fabiola Naldi
e Maura Pozzati.
Claude Cahun
“Self-portrait (reflected image in mirror, checqued
Jaket)/Autoritratto (imagine riflessa nello specchio,
giacca a scacchi)” - 1928 mm 118/94 - negativo
Courtesy Jersey Heritage Collection
Partendo dal rapporto del
corpo dell’artista che agisce
nello spazio pubblico e
privato, la mostra offre la
possibilità di vedere per la
prima volta in Italia un’attenta selezione
di opere fotografiche di Claude Cahun
(grazie alla collaborazione con Jersey
Heritage Collection), un’altrettanta e significativa
selezione delle opere fotografiche
di VALIE EXPORT (grazie alla
collaborazione con il Museion di Bolzano)
e una riproposizione di un progetto
fotografico della fine degli anni
Novanta di Ottonella Mocellin.
L’esposizione si presenta come la possibilità
di approfondire un ambito della
storia dell’arte del 900 ampiamente caratterizzata
dall’uso dei dispositivi extra
artistici quali il corpo, la fotografia e la
performance. 3 Body Configurations,
infatti, prende spunto dal titolo di un
progetto di VALIE EXPORT sviluppato
dal 1972 al 1982.
Le tre importanti presenze sottolineano
la riflessione estetica e progettuale di
un’occupazione tanto fisica quanto mentale
della propria identità, della propria
prassi progettuale come anche della necessità
di indagare i rapporti fra il corpo
dell’artista e lo spazio dell’architettura,
della natura e dell’illusione.
Per Claude Cahun, VALIE EXPORT,
Ottonella Mocellin la fotografia si dichiara
testimone infinito, immobile e indiscusso
di una pratica avvenuta anche
solo per un istante.
La mostra è documentata da una preziosa
pubblicazione (italiano/inglese)
edita da Corraini con testi inediti di Fabiola
Naldi, di Maura Pozzati e della filosofa
Francesca Rigotti.
L’evento è inserito tra i Main Project di
ART CITY Bologna 2020, programma
di iniziative speciali promosso dal Comune
di Bologna in collaborazione con
BolognaFiere in occasione di Arte Fiera.
Per la prima volta in Italia saranno esposte
38 opere fotografiche di Claude Cahun,
nome d’arte di Lucy Renée Mathilde
Schwob (Nantes, 25 ottobre 1894,
Saint Helier, 8 dicembre 1954), artista,
fotografa, attivista e scrittrice, esponente
del Surrealismo. Il tratto distintivo
della ricerca della Cahun è la costante
indagine visiva della propria i-
dentità, oltre i confini di genere. Il maschile
e femminile si offrono come occasione
di proporsi insieme in una nuova
proposta identitaria. Presenza fondamentale
nella Parigi Surrealista dove
frequenta assiduamente Andrè Breton,
Tristan Tzara, Salvador Dalì, Man Ray,
Philippe Soupault, Henri Michaux,
Pierre Albert Birot, Roger Caillois, George
Bataille, la Cahun non smetterà
mai di fotografare e fotografarsi anche
quando, in compagnia della compagna
e musa ispiratrice Suzanne Malherbe (in
VALIE EXPORT
“Aufprägung Körperkonfiguration” - 1972 - carta fotosensibile, fotografato
stampato - cm 41.5/61.5
Courtesy Fondazione Museion
Ottonella Mocellin
“Who killed bamby?” - 1997 - stampa lambda - cm 100x66,
Courtesy Lia Rumma, Milano
arte Marcel Moore), lascerà la capitale
francese per ritirarsi sull’Isola di Jersey
fino al 1954, anno della morte.
VALIE EXPORT, pseudonimo di Waltraud
Lehner (Linz, 1940) è una delle
presenze artistiche più importanti delle
Seconde Avanguardie del XX Secolo.
Nel 1967 rinuncia sia al nome paterno
che a quello del marito per adottare una
nuova identità ispirata al nome della
marca di sigarette più popolare in Austria.
Il nome di VALIE EXPORT, “esportatrice
di valori e trasformazioni politico
sociali”, è il momento cruciale in
cui l’artista compie un atto simbolico di
autodeterminazione sociale, politica ed
estetica. Nelle sue opere − molte esposte
nelle collezioni di importanti musei
come il Centre Pompidou, la Tate Modern,
il Reina Sophia, il MOMA e il
MOCA, Los Angeles − appare imprescindibile
la pratica ideologica, politica
e concettuale dell’essere artista e donna
impegnata a sperimentare luoghi e media
differenti. Il titolo dell’esposizione
prende ispirazione proprio dal progetto
presente in mostra Körper Konfigurationen
/ Body Configurations (1972 -
82) che evoca il rapporto tra il linguaggio
del corpo e l'ambiente urbano, interrogandosi
sul “posto” delle donne nello
spazio pubblico.
Ottonella Mocellin (Milano, 1966) è
un’importante artista italiana che collabora,
dal 2002, con l’artista e compagno
Nicola Pellegrini. Tra il 1984 e il 1993
entrambi hanno vissuto a Londra dove
hanno studiato Arte Pubblica e Architettura.
Tra il 2001 e il 2002 hanno soggiornato
a New York rappresentando
l’Italia per il PSI International Studio
Program. Tratto distintivo e immediatamente
riconoscibile è la continua urgenza
espressiva e concettuale che comprende
installazioni, video, fotografie e
performance, e che mira ad indagare i
conflitti, le emozioni, il dialogo all’interno
delle relazioni umane. Il suo lavoro
è stato esposto in importanti musei
e gallerie in Italia e all’estero. Dal 2009
insegna Tecniche Performative all’Accademia
Carrara di Bergamo. Vive e lavora
a Berlino.
Titolo: 3 Body Configurations
Artisti: Claude Cahun, VALIE
EXPORT, Ottonella Mocellin
A cura di:
Fabiola Naldi e Maura Pozzati
Prodotto da: Fondazione del Monte
di Bologna e di Ravenna
Sede: via delle Donzelle, 2 Bologna
Date: 18 gennaio 2020 inaugurazione,
20 gennaio – 18 aprile 2020
Orari: lunedì-sabato, ore 10-19
Ingresso: libero
Catalogo: Corraini Edizioni
Informazioni:
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Art&Vip
A tu per tu con
MARIO MAELLARO
"EccELLENZA IN AScESA DELLA TV"
a cura della redazione
Volto della copertina di questo
mese è il regista Mario
Maellaro, apprezzato regista
di opere televisive e
documentaristiche di grande
rilievo.
Mario come nasce la tua passione per
questo lavoro?
Ho sempre sognato di fare il regista. Già
da giovane avevo l'organizzazione nel sangue,
la prefusione nel coinvolgere le persone,
nel dirigere piccoli spettacoli, piccoli
eventi. Ho capito da subito che quel mondo
mi apparteneva. Provengo da un piccolo
paesino in Puglia, Alberobello, mamma
casalinga e papà falegname... Pensate
che da bambino rubavo a mio papà dei
piccoli pezzi di legno e costruivo delle finte
telecamere per simulare le regie televisive.
Era il mio sogno e come molti del
sud l'unica strada percorribile era quella di
trasferirsi a Milano per fare esperienza,
così è stato. Con sacrificio, dedizione,
amore per quello che stavo inseguendo, ho
iniziato con eventi multimediali legati al
mondo dell’editoria, della moda e dello
spettacolo su testate giornalistiche nazionali,
poi piano piano mi sono a vvicinato
alle produzioni televisive collaborando
con numerose emittenti nazionali, dirigendo
programmi televisivi e spot pubblicitari
per Mediaset, Rai, La7, Discovery,
TV2000, Sportitalia, Odeon Tv, Alice, Canale
Italia e Gold TV. Dal 2010 collaboro
assiduamente con Mediaset per la realizzazione
di vari programmi televisivi tra
cui “Avanti un Altro”, “Scherzi a Parte” e
“Ciao Darwin” tutti condotti da Paolo Bonolis
e da Luca Laurenti. Negli ultimi anni
ho firmato la regia di “Grand Tour D'Italia”
con Lucilla Agosti e Alessia Ventura,
di “Ricette all'italiana” con Davide Mengacci
per Rete4, di “Mi Manda Raitre”
con Salvo Sottile, di “Tacco 12” e “Bellezze
in Bicicletta” per La7, di “Undergame”
per Sky. Ho diretto concerti di
musica classica, programmi di sport e di
cucina, festival di cinema con ospiti internazionali,
prima di arrivare alla mia ultima
fatica “Non Far Rumore” un docufilm per
Rai3. Direi che di strada ne ho fatta... P.s.
Ho scoperto dopo la morte di mio padre
nel 2010 che anche lui sognava il mondo
del cinema, perché frugando nelle sue cose
ho trovato un tesserino di una scuola di recitazione
che aveva nascosto a tutti. Ora
capisco tante cose...
C'è un ricordo dei tuoi esordi che ti porti
nel cuore come grande insegnamento di
vita?
Sicuramente una frase di Alberto Angela.
Non lo conoscevo di persona, non avevo
mai lavorato con lui, era la prima volta. Mi
chiamarono per dirigere uno spot televisivo
per il Ministero dell’Ambiente per
Rai1 e lui era il testimonial. Dopo 4 riunioni,
prove su prove, arrivò il grande
giorno. Mi tremavano le gambe e avevo
bisogno di conferme. Registrai con lui tutto
il giorno una cosa difficilissima per quei
tempi. Alla fine mi guardò e mi disse: “si
dice che la pressione generi i diamanti e tu
sei un diamante”... Fu un bell'attestato di
stima!
Quali sono secondo te le difficoltà che un
regista riscontra sul set che dirige e come
affronti ogni sfida?
Tendenzialmente lavoro sempre con la
stessa squadra, con lo stesso gruppo di lavoro
che mi porto dietro da anni... Quando
conosci bene i tuoi collaboratori non ci
sono difficoltà. Si naviga insieme nella
stessa direzione, quella dell’impegno,
della dedizione, della sperimentazione…
Questo è il vero successo dei programmi,
avere un gruppo compatto e coeso. Se il
regista riesce a tenere il bandolo della matassa
il gioco è fatto! Guai a chi tocca l’armonia
del mio gruppo, guai. Siamo tutti
uguali, qualunque sia il proprio ambito di
competenza.
Tante le esperienze televisive e tanti i successi.
Ma c'è un lavoro in particolare che
reputi sia la maturazione professionale
per te.
Come ho sempre detto, non si smette mai
di imparare. Ogni giorno è utile per studiare
e testare nuovi format da regalare al
grande pubblico. Nella mia vita ho fatto
veramente tante cose nel panorama televisivo
e se proprio oggi devo pensare in
grande, penso sempre al mio grande so-
gno, dirigere “Sanremo”. Quel palco prima
o poi sarà mio!!!
Raccontaci un aneddoto e come ti trovi a
lavorare con dei grandi big della tv come
Paolo Bonolis...
In questi 25 anni ho lavorato con tantissimi
big del mondo televisivo (con alcuni ancora
tuttora), da Paolo Bonolis e Luca
Laurenti a Gerry Scotti, da Alberto Angela
a Salvo Sottile, da Davide Mengacci ad
Alessia Ventura e Lucilla Agosti passando
da Emanuela Folliero, Adriana Volpe, Elisabetta
Gregoraci, Giorgia Palmas per citarne
alcuni... Ognuno di loro mi ha regalato
qualcosa che sarà ben custodito nel
mio cuore. Più che degli aneddoti posso
raccontarvi di alcuni di loro: Bonolis è un
genio, un battitore libero, un fuoriclasse
della TV. Luca Laurenti un professionista
vero, preparato e affidabile. Gerry un rassicuratore
di famiglie, Alberto Angela un
diamante, Salvo cresciuto a pane e giornalismo
che si è fatto le ossa sul campo,
mentre Mengacci un grande mestierante
della tv che appartiene a quella televisione
che ci manca tanto, quella dei Corrado, dei
Mike Buongiorno... Per quanto riguarda le
donne che ho diretto che dire? Tutte bellissime
e professionali...
Un grande successo per i tuoi lavori, come
l'ultimo che hai diretto per la Rai, un documentario
che ha fatto tanto parlare trasmettendo
addirittura repliche, visto il
riscontro di pubblico.
“Non Far Rumore” è stato veramente un
grande successo, non solo per Rai3. Nel
secondo dopoguerra più di 2 milioni di italiani
emigrarono in Svizzera. Lo statuto
del lavoratore stagionale, in vigore in Svizzera,
non prevedeva il ricongiungimento
familiare. Di fatto era vietato per i lavoratori
emigranti portare i figli con sé. Dai 15
ai 30 mila bambini entrano in Svizzera
come clandestini tra il 1950 e il 1980.
L'idea è nata da questi dati e dalle tante
storie che ne fanno parte. Colgo l'occasione
per ringraziare la mia collega giornalista
Alessandra Rossi che durante la
scorsa stagione di Mi Manda Raitre mi accennò
di questa triste storia... Ci siamo
confrontati e abbiamo deciso di realizzare
questo intenso e toccante docufilm dove a
parlare sono proprio quei bambini oggi
adulti che portano ancora dentro i segni di
quella ferita mai rimarginata. Abbiamo
dato un’occasione per riflettere sul significato
dell’essere bambini a cui è stata negata
l’infanzia perché figli di emigranti in
una contemporaneità che ci parla quotidianamente
di storie che si ripetono. Faccio il
regista da oltre 23 anni, e mai mi sono
emozionato così tanto ascoltando, mentre
registravano, tutti i protagonisti di questa
assurda storia. Bambini che hanno vissuto
nascosti in casa, senza poter andare a scuola,
senza uscire, senza giocare ma soprattutto
“senza far rumore”. Se fossero stati
scoperti, sarebbero stati espulsi con tutta
la famiglia. Ho sempre trattenuto le lacrime...
è stato un importante lavoro di
squadra!
Hai ricevuto riconoscimenti importanti
per la tua carriera artistica, come vivi
ogni volta queste grandi emozioni.
Le vivo, come ho già detto, sempre condividendo
quello che mi accade con il resto
del gruppo di lavoro. Sono un regista atipico,
ogni mio successo è il successo della
squadra. Devo dire che l'ultima menzione
speciale del docufilm “Non Far Rumore”ricevuta
al RFC di Roma mi ha commosso
particolarmente.
Nella vita privata esiste una persona importante,
Francesca, che spesso ti accompagna
nelle tue esperienze televisive...
Francesca è importantissima, è tutto. Una
compagna di vita affidabilissima. Conosce
tutto di me e sa esattamente cosa mi serve
senza neanche guardarmi... Per questo è
diventata fondamentale anche nel mio lavoro,
all'occorrenza può fare qualsiasi cosa,
dall'aiuto regia alla produzione. Conosce
i meccanismi televisivi meglio di molti
veterani di questo settore, non a caso qualche
anno fa abbiamo aperto una casa di
produzione televisiva che gestisce direttamente
in autonomia con successo.
Questa è una rivista dedicata all'arte, se
dovessi paragonare la tua vita ad un'opera
d'arte a quale la paragoneresti?
Più che paragonare la mia vita a una sola
opera d'arte, direi che vorrei essere un contenitore
di emozioni e di grandissime opere
come il MoMA di New York, tra l'altro
una città cui sono molto legato.
Nel tempo libero ti capita di andare a visitare
musei?
In realtà nei pochissimi momenti di tranquillità
lavorativa, divento molto pigro e
cerco di rilassarmi guardando film e serie
tv. Quando invece ho l'occasione di girare
l'Italia o andare all'estero per lavoro mi ritaglio
sempre un momento per visitare musei
o posti che hanno in qualche modo fatto
la storia...
Artista preferito?
Non c'è un artista preferito, posso però citarne
un paio, uno per motivi di ricordi
personali e scolastici, cioè “Paul Gauguin”,
l'altro per motivi attuali “Banksy”. Di lui
mi intriga anche il fatto che non si sa chi sia...
Concludiamo con un saluto da parte tua
ai lettori di Art&Art
Cosa dire... chiuderei con una celebre citazione
che dedico a tutti i lettori di
Art&Art: “la bellezza sta negli occhi di chi
guarda”, mai come in questo caso frase più
giusta per tutti voi!!!
56
Art&Vip
A tu per tu con
MARIA RAFFAELLA NAPOLITANO
“La più giovane produttrice Tv d'Italia”
può avere la presunzione di
saper fare tutto, ma si deve
sempre essere sul pezzo per far
sì che ogni ingranaggio collimi
con l’altro.
Sei una fra le più giovani produttrici
d'Italia. Che consiglio
vuoi dare ai giovani che vogliono
intraprendere la tua
carriera?
Fiducia nelle proprie capacità,
motivazione, tenacia. Sono i
consigli che mi sento di poter
dare ai giovani per permettere
di raggiungere gli obiettivi più
importanti nel lavoro come
nella vita. è importante inseguire
i propri sogni, ma anche
coltivare il talento con duro lavoro,
le strade facili che tanti
pensano di percorrere non esistono.
Quello che possiamo fare
quindi e in cui la nostra generazione
è maestra è credere
nei sogni e non lasciarsi scoraggiare,
riconoscendo i propri
limiti. Nel mio caso ha funzionato.
Ci ho creduto e con sacrificio
sono arrivata dove volevo.
Nonostante la tua giovane età
sei stata già premiata come
eccellenza da una prestigiosa
ambasciata. Che emozioni hai
provato?
è stata un’emozione grandissima
ricevere un riconoscimento
così grande dall’Ambaa
cura della redazione
Come nasce la tua
passione per lo
spettacolo e la
Tv?
E’ merito o forse
colpa dei miei
genitori, da piccola mi lasciavano
un bel po’ di tempo davanti
la tv a guardare i cartoni
animati .Con il passare degli
anni non nego che guardo ancora
i cartoni animati (ride) e
quando ho tempo adoro rilassarmi
sul divano guardando un
bel film o programmi di intrattenimento.
Quali sono le caratteristiche
che un bravo produttore dovrebbe
avere?
Un bravo produttore si occupa
del controllo e di ogni aspetto
della produzione di un'opera
televisiva, dal finanziamento,
allo sviluppo del concept alla
scelta dei ruoli, alla supervisione
delle riprese e della messa
in onda, quindi occorre avere
capacità imprenditoriali, creative
e un forte intuito ,se così
vogliamo dire. Poi è anche
vero che alla base di tutto c’è
la visione d’insieme e la capacità
di affidarsi a dei validi collaboratori.
Si deve sempre partire
dall’insieme per poi andare
ad aggiustare i dettagli avvalendosi
di professionisti. In questo
mestiere soprattutto non si
sciata della Repubblica Araba d’Egitto
a Roma alla presenza di S.E. Hisham
BADR Ambasciatore d’Egitto
in Italia. Sono felice e soprattutto lusingata
che abbiano scelto me. Il valore
aggiunto di questa bella serata è
stata la location, un’ambasciata, che
ha dato un tocco internazionale all’evento.
Chissà in futuro potrei anche
intraprendere un percorso da produttrice
all’estero.
Trend la nuova avventura televisiva
per la rete Mediaset. Da un'idea ad
un progetto televisivo...
L’idea di base era nella mia mente da
tempo, ma è stato necessario lavorarci
per arrivare al programma che
si vede su La5. Posso solo dire che
non è stato per nulla facile. Il mio
obiettivo era quello di realizzare un
format leggero, ma allo stesso tempo
non banale e che parlasse di nuove
tendenze attraverso il punto di vista
di esperti del settore. Il pubblico sovrano,
ha dato riscontri record in termini
di ascolti e per me questo rappresenta
la soddisfazione più grande.
Se dovessi paragonare la tua vita ad
un'opera d’arte... quale?
Direi senza dubbio L.O.V.E. di Maurizio
Cattelan, un’opera apparsa all’improvviso
davanti al più importante
palazzo della finanza italiana.
Anche io come questa opera sono arrivata
senza preavviso in un mondo
spesso difficile da approcciare che
diffida di chi è “nuovo”.
Qual' é il tuo artista preferito?
Non posso che rispondere Maurizio
Cattelan, un artista italiano fuori dagli
schemi capaci di stupire con ogni
sua creazione. A ben guardare tra
l’altro abbiamo anche qualcosa in comune,
la televisione. Secondo parte
della critica infatti sue opere come
“A Perfect Day” e “Hollywood” riprendono
aspetti appartenenti a format
televisivi degli anni ’80 e ’90.
58
MOSTRA “LE DONNE NELL’ARTE”
DAL 25 FEBBRAIO AL 7 MARZO 2020
KEKI-M ARIA TERESA SABATIELLO -M ARIA G RAZIA SESSA-EM M EG I'-SI.M O N
KEKI
M A RIA G RA ZIA SESSA -EM M EG Ì
TesticriticidiM onia M alinpensa
(A rt D irector -G iornalista)
Pittura intrisa di
profonda umanità
quella dell'artista
in arte Keki
che con una straordinaria
armonia
e bellezza di
rappresentazione
interpreta figure
di donne che
vengono dal profondo
dell'animo.
Ogni sua opera
emana sensualità
e un senso di
"Tejas" -2018 -acrilico su tela -cm 80x120
invulnerabilità in cui la quintessenza della figura femminile è pura esortazione
ai valori umani.L'artista Keky indaga con costante analisi e con
una propria realtà pittorica molto personale.
L'equilibrio compositivo,
il ritmo cromatico
e la perfetta
scansione dei piani
e dei volumi offrono
al fruitore una
dinamica estetica e
una sapienza tecnica
di personale
sintesi. L'evoluzione
delle forme geometriche
nell'iter dell'artista
Maria Grazia
Sessa, in arte
Emmegì,vive di una
"C oltivazioni" -2019 -olio su tela -70x70 coinvolgente e suggestiva
ricerca. Colori,
linee e simboli palpitano di emozioni e di un equilibrio
narrativo sempre intriso di costanti sensazioni.
Il dialogo continuo con le pietre di
mare è di assoluta e primaria importanza
per l'artista Maria Teresa Sabatiello
che ci regala un linguaggio
pregno di sensazioni uniche. Le o-
pere, che toccano temi umani fortemente
sensibili, prendono vita in un
contesto suggestivo caratterizzato
da costanti sentimenti e pure emozioni;
esse evidenziano uno stato
d'animo di notevole valore umano e
spirituale. L'artista, con straordinaria
vitalità e ricchezza interiore, dipinge
le pietre che incontra sulla
spiaggia con una fantasia assoluta
e con un costrutto cromatico di rilevante
effetto scenico. E' un'arte fatta
di interiori motivazioni e di contenuti
simbolici all'insegna di un mondo
intensamente evocativo.
"D onne strappate" -2014 -anim e di
pietra -26x33x29
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel +39.011.5628220 - +39.347.2257267
w w w . l a t e l a c c i a . i t - i n f o @ l a t e l a c c i a . i t
M A RIA TERESA SA BATIELLO
SI.M O N
La qualità e la
padronanza
pittorica del o-
lio su tela è e-
vidente nelle o-
pere dell'artista
Si.mon, ella
con originale
elaborazione
tecnica ricrea
con un gusto
assolutamente
personale
intriso di
ricchezza compositiva
visi di
donne in cui la
"Ram ja" -2019 -olio su tela -80x100
preziosità materica
e la fantasia dei colori e dell'immagine vivono di costanti
sensazioni cromatiche e personale descrittiva. Ogni elemento
nella sua pittura è intensamente lirico a dimostrazione di un'arte
che sa trasmettere al osservatore magistrale stesura, sentimento
e contenuto.
Mostra a cura di Monia Malinpensa
reFerenZe e QuotaZioni presso la Malinpensa Galleria d’arte by la telaccia
O RA RIO G A LLERIA :D A L M A RTED I A L SA BATO D A LLE 10,30 A LLE 12,30 -16,00 A LLE 19,00
60
Grandi Mostre
ULISSE. L’arte e il mito
15 Febbraio 2020 - 21 Giugno 2020
Forlì, Musei San Domenico
Intervista a Fernando Mazzocca
Di Marilena Spataro
ULISSE. L'arte e il mito è
il titolo della mostra in
corso, dal 15 febbraio al
22 giugno 2020, ai Musei
San Domenico di Forlì.
Un evento espositivo che è un viaggio
lungo i secoli tra i capolavori dell'arte, tra
quelli che meglio raccontano del viaggio
e del mito di Ulisse, l'eroe greco al quale
Omero dedicò il poema l'Odissea. Una
grande viaggio dell’arte, non solo nell’arte.
Una grande storia che gli artisti
hanno raccontato in meravigliose opere.
La mostra mette in scena un itinerario
senza precedenti, attraverso capolavori di
ogni tempo: dall’antichità al Novecento,
dal Medioevo al Rinascimento, dal naturalismo
al neo-classicismo, dal Romanticismo
al Simbolismo, fino alla Film art
contemporanea. Un percorso emozionante,
a scandire una vicenda che ci appartiene,
che nello specchio di Ulisse mostra
il nostro destino. Poiché Ulisse siamo noi,
le nostre inquietudini, le nostre sfide, la
nostra voglia di rischiare, di conoscere, di
andare oltre. Muovendo alla scoperta di
un “al di fuori” sconosciuto e complesso
che è dentro di noi. La rassegna, promossa
dalla Fondazione Cassa dei Risparmi
di Forlì, è di quelle che solo i
migliori musei internazionali sanno programmare.
La sfida è confermare il profilo
alto delle esposizioni che in 15 anni
Forlì ha saputo creare, grazie alla forza
propulsiva e culturale della Fondazione e
alla regia di Gianfranco Brunelli, che dei
progetti espositivi ne è il responsabile.
Abbiamo intervistato per Art&Art Fernando
Mazzocca, curatore della mostra,
insieme a Francesco Leone, Fabrizio Paolucci
e Paola Reduce, che qui
ci illustra l'affascinante percorso
espositivo.
Come nasce, professore Mazzocca,
l'idea di questa mostra?
«L'idea di questa mostra nasce
da Gianfranco Brunelli,
coordinatore per la Fondazione
delle mostre dei Musei
San Domenico di Forlì. L'intento
è di realizzate un'iniziativa
che sia all'altezza delle
altre realizzate nel corso di
tanti anni in questo Museo.
Un evento che abbia da una
parte un profondo legame con
la cultura nazionale e occidentale
e dall'altra, comunque,
dotato di un respiro internazionale.
Ed infatti questa
mostra, al contrario di tante
altre che hanno indagato solo
alcuni aspetti dell'Odissea, indaga
per la prima volta in modo
specifico l'universilità della
figura di Ulisse che ha rappresentato
nei secoli, da quando
Omero ha concepito il suo
poema immortale, l'emblema
dell'uomo che per realizzare il
proprio destino deve misurarsi
con le prove, spesso molto
difficili, che la vita ci mette
davanti, e, soprattutto, deve
fare un viaggio che non è solo
un viaggio fisico, ma più che
altro interiore, alla riscoperta
di se stesso. Questo è un po' il
significato dell'Odissea e forse
pure la chiave del successo
che questo poema omerico ha avuto nei
secoli. Un poema articolato in vari episodi
e in vari personaggi e che rappresenta
diverse situazioni della vita umana,
dall'amore alla morte, dalla partenza al ritorno
alla vendetta, si tratta, perciò, di un
argomento che si presta ad essere affrontato
sotto una serie di sfaccettature. Sicuramente
la mostra non sarebbe mai stata
concepita se non avessimo accertato in
via preliminare che il mito di Ulisse
creato da Omero ha avuto nei secoli un'ininterrotta
fortuna figurativa, quindi nelle
arti. Possiamo affermare che non vi è
stata mai una interruzione; anche in un
periodo come il Medioevo, in cui la classicità
era lontana, il mito di Ulisse assume
una grande importanza, tant'è che il
suo personaggio è una delle figure centrali
della Divina Commedia di Dante,
cui, appunto, è dedicato il ventiseiesimo
canto dell'Inferno. Il contributo dell’arte
è stato decisivo nel trasformare il mito,
nell’adattarlo, illustrarlo, interpretarlo
continuamente in relazione al proprio
tempo».
Come si articola, più nel dettaglio, il percorso
di questa rassegna e quali le opere
più importanti in mostra?
«è una mostra di circa 250 opere suddivise
in 15 sezioni. La partenza è il grande
spazio della Chiesa di San Domenico, utilizzato
solo in un'altra occasione, dove è
collocata una nave greca i cui resti sono
conservati nel Museo di Gela e che è stata
montata qui per la prima volta e messa
così in mostra in una scenografia alquanto
accattivante. è una nave del IV
secolo avanti Cristo non molto lontana
dalle ipotetiche imbarcazioni su cui navigava
Ulisse. è un'opera di grande impatto
e fascino che dialoga, dando così il senso
di questa nostra esposizione che è un percorso
dall'antichità al contemporaneo,
con un imponente cavallo di Mimmo Paladino.
Questo a sua volta è l'interpretazione
contemporanea di quel famoso cavallo
che come sappiamo è stata l'astuta
trovata di Ulisse che ha permesso di sconfiggere
Troia. La mostra si articola attraverso
delle sezioni a grossi blocchi cronologici.
La prima parte è dedicata all'antico
che, sempre nella grande navata della
chiesa, é presente con pezzi molto importanti,
soprattutto grandi sculture classiche
di derivazione greca e romana. Dell'antico
si passa poi al Medioevo facendo
leva proprio sulla fortuna della figura di
Ulisse nella Divina Commedia. Abbiamo
così dei famosi codici miniati tra cui spiccano
alcune bellissime miniature realizzate
da Liberale da Verona e che rappresentano
il famoso episodio dantesco su
Ulisse. Nella sezione dedicata al '400 vediamo
le vicende e la figura di Ulisse rappresentate
su oggetti pregiati, soprattutto
sui famosi cassoni nuziali, ciò anche per
il fatto che le vicende di questo eroe
greco sono legate alla moglie Penelope e
al figlio Telemaco, quindi alla famiglia.
C'è infatti, come si sa, tutta una parte domestica
dell'Odissea, oltre a quella che
tratta delle straordinarie avventure di
Odisseo. Tali avventure destano, invece,
attenzione nella pittura successiva, tra
'500 e '600, un periodo che in questa rassegna
è presente e documentato da grandi
dipinti, arazzi e oggetti di carattere diverso,
tra cui parecchie sculture. Il continuo
dialogo tra pittura e scultura prosegue
nell'800, quando vengono trattati
molti dei temi che hanno avuto fortuna
nei secoli precedenti, a partire dal personaggio
di Penelope, che nel '500 è documentato
in mostra da uno straordinario
dipinto del Beccafumi. In età neoclassica,
tra '700 e '800, prevale, una Penelope,
62
quale viene rappresentata dalla pittrice
Angelica Kaufmann, che aveva una vera
e propria passione per questo personaggio,
ovvero dal pittore Joseph Wright, che
la rappresenta in uno straordinario dipinto
che ci arriva dal Museo Ghetti di Los Angeles».
Quali i capolavori esposti che, a suo avviso,
possono colpire maggiormente il visitatore
per la loro intensità emotiva,
oltre che visiva?
«Rispetto al periodo preso sopra in esame,
un altro protagonista, tra neoclassicismo
e romanticismo, di grande impatto
emotivo, oltre che visivo, è Hayez che ha
rappresentato diversi momenti dell'Odissea,
dando particolare rilievo alla figura
di Aiace naufrago che impreca contro gli
dei, quindi l'uomo romantico che si ribella
al proprio destino, ovvero che ha
anche rappresentato Ulisse alla corte di
Alcinoo mentre sta ascoltando dal cantore
cieco Demodoco la narrazione della
guerra di Troia e che a un certo punto si
commuove nascondendosi il volto con il
mantello, episodio questo tra i più toccanti
dell'intero poema omerico, peraltro
tutto basato sul tornare indietro alle vicende
del passato come in una specie di
flashback. Altra opera di grande interesse,
riferibile a una sensibilità tra il neoclassico
e il romantico, è un dipinto di Füssli,
pittore visionario che rappresenta Ulisse
sceso nell'Ade mentre interroga sul proprio
destino il profeta cieco Tiresia; qui
l'eroe greco dimostra di non aver paura di
andare nell'aldilà, nonchè di porsi quelli
che sono gli interrogativi fondamentali
che riguardano la vita umana. Nell'800
prevale un altro tema che avrà molta popolarità:
è l'incontro fatale di Ulisse con
le Sirene. Omero non descrive queste figure,
esse nell'antichità erano rappresentate
come metà donne e metà uccello,
mentre nel Medioevo l'iconografia cambia,
così che diventano metà donna e
metà pesce. Tale iconografia prevale e il
mito delle sirene sia quello legato all'Odissea,
ma anche sganciato dallo stesso
poema invade l'immaginario collettivo.
Le Sirene diventano simbolo della
donna fatale in un momento in cui, come
nell'800, tra romanticismo e simbolismo,
c'e' un radicale mutamento della figura
della donna, e mentre, prima l'eroina era
Penelope, quindi la donna fedele, ora le
eroine diventano le Sirene o Circe, quindi
la donna emancipata che può anche sedurre
e soggiogare l'uomo, questo in perfetta
coincidenza appunto con l'immagine
delle donne fatali la cui figura domina
l'Europa prima del Primo conflitto mondiale.
Altri dipinti sul tema che vediamo
in mostra, quelli del pittore vittoriano
Whaterhouse, sempre di questo artista ricordo
in particolare il dipinto “La Circe
invidiosa”, un bellissimo quadro, presente
in un'altra sessione, davvero un capolavoro,
che viene dall'Australia, da
Melbourne, e in cui la donna fatale in tal
caso, Circe, viene rappresentata nell'atto
di versare nel mare una pozione magica
che trasformerà la ninfa Scilla in un mostro
marino, una visione terribile che l'artista
è riuscito a raffigurare in tutta la sua
crudeltà».
Per il '900 quali i dipinti più significativi
del viaggio di Ulisse in esposizione?
«Per il '900 certamente un artista che più
ha reso il senso profondo del viaggio di
Ulisse è De Chirico, presente in mostra
con un quadro straordinario che vede un
Ulisse naufrago mentre sta riflettendo su
tutte le peripezie che ha vissuto. Conoscendo
il legame di De Chirico con la
Grecia, dove era nato, e, quindi, con la
cultura classica, è evidente come per lui
Odisseo diventa l'emblema dell'uomo che
viaggia dentro se stesso. Una sorta di eroe
metafisico animato dalla volontà di sapere
che può andare anche oltre i limiti.
Quei limiti, appunto, che Ulisse volle varcare
nella Divina Commedia, dove dirige
le vele oltre le Colonne di Ercole, rischiando
la fine».
Quanto le arti figurative hanno contribuito
a tenere vivo il mito di Ulisse e del
suo viaggio nei secoli e nella contemporaneità?
«Il tema affrontato dalla mostra è quello
di Ulisse e del suo mito, che da tremila
anni domina la cultura dell’area mediterranea
ed è oggi universale. La mostra si
apre con un grande capolavoro di Rubens
che viene da Praga, il Concilio degli Dei,
finisce con un'opera spiazzante, collocata
in uno spazio particolare: un video di Bill
Viola sul tema di Ulisse. Un tema di grande
attualità in ogni periodo e in ogni secolo
e che continua e essere di straordinaria
attualità».
Molte delle opere in mostra arrivano da
musei internazionali di grande prestigio.
Cosa ha comportato ottenere questi prestiti
dal punto di vista organizzativo ed
economico?
«Vero, in mostra abbiamo dei pezzi molto
importanti che arrivano da musei prestigiosi
sia nazionali che interazionali e questo
ha comportato una ricerca lunga e
laboriosa, oltre che un grande sforzo sia
dal punto di vista delle risorse umane che
finanziarie. Credo, però, che ne sia valsa
la pena».
Per informazioni:
tel. 0543.1912030-031
email: mostre@fondazionecariforli.it
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64
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66
“due minuti di arte”
IN DUE MINUTI VI RAccONTO
LA STORIA DI PAUL céZANNE:
ARTISTA RIVOLUZIONARIO,
DALL’ANIMO IRAScIBILE
di Marco Lovisco
www.dueminutidiarte.com
www.facebook.com/dueminutidiarte
Insicuro, iracondo, silenzioso, visionario:
ci sono molti aggettivi per
descrivere Paul Cézanne, un artista
che di certo non deve aver avuto un
carattere facile. C’è chi dice che non
amasse essere toccato e che una volta,
caduto in terra dopo una passeggiata,
criticò aspramente l’amico che lo aveva
preso per un braccio per aiutarlo a rialzarsi.
Un carattere difficile, per raggiungere
un obiettivo sconfinato, quello
di cogliere con una pennellata l’essenza
stessa della realtà. Un progetto ambizioso,
portato avanti tra lo scetticismo dei
contemporanei e le aperte critiche degli
“accademici”. Un traguardo difficile, forse
troppo, ma è solo puntando alla luna
che si fa la rivoluzione, anche nell’arte.
Vi racconto tutto questo in due minuti (di
arte).
1. Paul Cézanne (Aix-en-Provence 1839-
1906) è stato un pittore francese, considerato
uno dei più grandi artisti del XIX
secolo. è di origini italiane. La sua famiglia
proveniva infatti dal Piemonte e
aveva cognome “Cesana”, poi francesizzato
in “Cézanne”. Nacque in una famiglia
ricca. Il padre, Louis Auguste, era
un imprenditore di successo.
2. Il confronto con il genitore, uomo
sicuro di sé, autoritario e conservatore,
lasciò il segno nel carattere dell’artista,
rendendolo insicuro e irascibile. Tale
conflitto emerge in alcune opere, come
nel celebre “Ritratto di Louis-Auguste
Cézanne”, in cui l’artista raffigurò il padre
in pantofolone e intento a leggere
“L’Evénement”, giornale che Louis Auguste
disprezzava profondamente.
3. Il padre, pur non apprezzando la scelta
del figlio di divenire artista, gli permise
di frequentare le migliori scuole di Francia
e lo aiutò economicamente assegnandogli
un modesto assegno mensile. Fu al
Collegio Bourbon che nel 1852 Cézanne
strinse una lunga amicizia con il celebre
scrittore Emile Zola.
4. A ventidue anni (1861) Cézanne si
trasferì a Parigi, capitale dell’arte europea.
Lì conobbe Pissarro e con lui cominciò
a frequentare il Café Guerbois,
luogo di ritrovo di quelli che sarebbero
diventati “Gli impressionisti”. Fu grazie
a quelle amicizie che Cézanne partecipò
alla prima mostra impressionista, nello
studio del fotografo Nadar a Parigi, nel
1874. L’artista prese parte anche alla
terza mostra del gruppo ma non aderì mai
del tutto al movimento, continuando ostinatamente
a inviare le proprie opere al
Salon, rassegna istituzionale a cui erano
ammesse le opere previo giudizio da
parte di una giuria di “accademici”. I suoi
dipinti, troppo audaci e innovativi, venivano
puntualmente rifiutati dai rigidi
giudici del Salon che accettarono di e-
sporre una sua opera solo nel 1882 e solo
grazie all’intercessione del pittore Antoine
Guillemet, suo amico e membro
della giuria.
5. Del resto il modo di dipingere di Cézanne
era rivoluzionario per l’epoca, cosa
che spingeva la critica a guardarlo con
sospetto. Cézanne infatti, non si limitava
a rappresentare la natura così come la
vedeva ma voleva rappresentarla per come
era, sforzandosi di coglierne l’essenza
“eterna”. Per fare questo rifiutava le tradizionali
regole della prospettiva, per
mostrare il soggetto ritratto da diversi
punti di osservazione.
6. Questa sua incessante ricerca fu di
ispirazione all’amico Zola per la stesura
del romanzo “L’Oeuvre” (L’opera, pubblicata
nel 1886), che racconta di un
artista alla fallimentare ricerca di un
nuovo modo di fare arte. Cézanne, quando
lesse il libro si offese profondamente
e decise di tagliare per sempre i rapporti
con l’amico.
7. Cézanne non doveva avere un carattere
semplice. Non amava essere toccato e
quando ritraeva qualcuno, lo costringeva
a sedute di posa che duravano giorni e
giorni, senza che l’artista ammettesse cali
di concentrazione. Ciò nonostante proprio
una delle sue modelle, Hortense Fiquet
diventò sua moglie. Per paura del
giudizio del padre, Cézanne tenne questo
rapporto segreto per anni, anche dopo la
nascita del primo figlio nel 1872. Per
fortuna Pissarro aiutò il collega ospitando
la famiglia a casa sua, in attesa che le
condizioni economiche di Cézanne migliorassero.
8. Con la morte del padre, avvenuta nel
1886, Cézanne diventò un uomo ricco.
Stanco della vita parigina, nel 1891 si
trasferì ad Aix-en-Provence per proseguire
la sue ricerca artistica nella quiete
della campagna, dedicandosi al ciclo delle
Bagnanti (1900-1905). Il suo nome
cominciò a farsi strada nel mondo dell’arte
e l’artista cominciò a ricevere di
frequente la visita di giovani allievi, i-
spirati dal suo lavoro.
9. Cézanne morì nel 1906 in circostanze
particolari. Tornando a casa da una sessione
di pittura, venne sorpreso da un
temporale e cadde a terra perdendo i
sensi. Fu presto soccorso e portato a casa
ma il freddo e le ferite lo fecero ammalare
gravemente portandolo alla morte poche
giorni dopo.
10. Le opere di Cézanne influenzarono
profondamente gli artisti successivi, da
Picasso a Modigliani. Ad un anno dalla
sua morte, al Salon d’Automne, gli venne
dedicata un’imponente retrospettiva commemorativa.
Secondo molti, è con questa
mostra che prese vita il cubismo. Il suo
dipinto I giocatori di carte (di cui ne esistono
5 versioni) è stato battuto all’asta
nel 2011 per 250 milioni di dollari. Un
record, battuto nel 2015 dall’opera “Nafea
faa ipoipo” di Paul Gauguin, venduta
per 300 milioni di dollari.
68
Cristina Fornarelli
“Per due che come noi...” - 2020 - olio su tela - cm. 50 x 50
opera selezionata per il Progetto Tv Laboratorio AccA
Porto turistico di Roma - Loc. 876- Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - 00121 Roma
galleriaesserre@gmail.com
Di base astratta, le
opere pittoriche dell’Artista
Raffaella
De Santis ci conducono
in un mondo
di essenza ritmica
del colore e
della luce evidenziando
un discorso
emozionale continuo.
La materia protagonista
nel suo
iter fissa sulla tela
un perfetto connubio
tra spazio e
piano prospettico
all’insegna di un’enfasi
creativa e di una
“M utazioni” -2008 -olio su tela -cm 140x140
energia visiva costante.La
costruzione dell’immagine e gli accordi timbrici sono affrontati dall’artista
con uno stile del tutto suo in maniera armoniosa e simbolica, dove
le forme astratte, espresse con moderna concezione, vivono all’interno dell’opera
con un vissuto d’impianto grafico-cromatico e con linee di demarcazione
di ampio respiro simbolico.
MOSTRA D'ARTE “LE DONNE NELL’ARTE”
DAL 1O AL 21 MARZO 2020
PAO LA M ARIA CO LO M BO -LU ISA PICCO LI-RAFFAELLA D E SAN TIS -EVA TREN TIN
PA O LA M A RIA C O LO M BO
“A dolescente” -2017 -fotografia artistica
elaborata digitalm ente -cm 50x50
Emerge dall’elaborazione
digitale di
fotografie dell’Artista
Paola Maria Colombo
il tema sulla
donna e sul serpente
in un essenziale
connubio in
cui la propria fantasia
e la propria personalità
vive in piena
libertà di espressione
e di ricerca
concettuale. Il serpente,
simbolo antichissimo
nella mitologia,
nella religione,
nell’alchimia
e nella psicoanalisi
rappresenta la fecondità,
la forza e
l’energia proprio come l’essere femminile che si imprime incisivo nel suo
percorso artistico.
RA FFA ELLA D E SA N TIS
TesticriticidiM onia M alinpensa
(A rt D irector -G iornalista)
L’intensità straordinaria
del sentimento
viene mirabilmente
e-
spressa ed e-
saltata dal modo
di dipingere
dell’Artista Luisa
Piccoli che
è senza ombra
di dubbio capace
di definire il
suo percorso con
un’impegnata
scansione figurale.
E’ un’arte
che riflette il suo
moto interiore
dell’animo e che
si fonde in un ricorrente
aspetto
“End” -2018
collage e tecnica m ista -cm 50x70
socio-umano ricco di valori e di contenuti.
Le opere dell’artista
Eva
Trentin si rivestono
di veri
stati emozionali,
le sue
sono creazioni
sensoriali e
pertanto vanno
toccate e
ascoltate nel
profondo. La
natura, protagonista
assoluta
nell’iter dell’artista,
è capace
di far vibrare l’animo di chi la osserva. Foglie, fiori e terra,
che vengono cotti, essiccati e macinati con originale tecnica, vengono
ulteriormente impreziositi dalla foglia d’oro, dalla ceralacca
e dalle polveri naturali. I materiali da lei usati sono stesi sulla superficie
del legno con magistrale bravura e sensibilità.
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel +39.011.5628220 - +39.347.2257267
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LU ISA PIC C O LI
EVA TREN TIN
“L’albero delle M em orie Piangenti” -2019
tecnica m ista su tavola -cm 100x100
Mostra a cura di Monia Malinpensa
reFerenZe e QuotaZioni presso la Malinpensa Galleria d’arte by la telaccia
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“Nave” - 1963 - tecnica mista su cartoncino e acetato - cm 17x25
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Milano 20121 - Via Fatebenefratelli, 34/36 - Tel. +39 02 6554841 - milano@tornabuoniarte.it
Forte dei Marmi 55042 - Piazza Marconi, 2 - Tel +39 0584 787030 - fortedeimarmi@tornabuoniarte.it
Firenze 50125 - Antichità - Via Maggio, 40/r - Tel. +39 055 2670260 - antichita@tornabuoniarte.it
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Forlì, Musei San Domenico
15 febbraio - 21 giugno 2020
L’ARTE E
IL MITO
Informazioni e
Orario di visita
prenotazioni mostra
da martedì a venerdì:
tel. 199.15.11.34
9.30-19.00
Riserva
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ppi e scuole sabato, domenica,
tel. 0543.36217
giorni festivi: 9.30-20.00
mostraforli@civitaa .it
Lunedì chiuso.
13 aprile e 1º giugno
Biglietti
apertura straordinaria
I ntero € 13,00
Ri dotto € 11,00
La biglietteria
chiude un’ora prima
Catalogo
SilvanaEditoriale www.mostraulisse.it
Fondazione
Cassa dei Rispa
di Forlì
in collaborazione
Comune di Forlì
MODULO DI
ABBONAMENTO 2019/20
Regalati un abbonamento alla
rivista Art&trA
6 numeri € 15,00
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Mario Maellaro
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Lucia Arcelli
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74
“Maddalena” - 1967 - carboncino su carta
BIANCO SU NERO
A cura della redazione
“Sara” - 1967 - carboncino su carta - cm 39x24
“Alberi” - 1978 - inchiostro su cartoncino - cm 33x24
“Matilde” - 1970 - inchiostro su carta - cm 35x49
D
opo le ventuno opere
della serie “I quadri dell’orbo”,
Giancarlo Cerri,
pittore milanese classe
1938 da oltre dieci anni
ipovedente, torna al Centro Culturale di
Milano in Largo Corsia dei Servi 4 dal
29 aprile al 21 maggio 2020 con la mostra
“Quando l’orbo ci vedeva bene”, dedicata
interamente alla forza espressiva
del bianco e nero.
Artista e grafico pubblicitario sin dagli
anni Cinquanta, Giancarlo Cerri ha attraversato
appieno gli anni 60/70 dell’arte
milanese, conoscendone alcuni dei
principali protagonisti e facendosi notare
tra il 1969 e il 1972 con due personali
alla storica galleria Barbaroux di Milano,
ovvero in uno dei templi della grande
pittura figurativa novecentesca, che lo
aveva subito percepito come “costola”
di due suoi campioni, Carrà e Tosi.
Le 45 opere esposte a Milano, la maggior
parte disegni su carta e tutte realizzate
tra gli anni Sessanta e il 2004, anno
in cui la grave maculopatia ha costretto
l’artista ad abbandonare l’attività pittorica,
sono divise su quattro sezioni: 20
tra ritratti e nudi femminili, 11 tra paesaggi
e figure morte, 8 sequenze e 6 dipinti
di arte sacra.
Giancarlo Cerri: «Il bianco e nero racchiude
in sé la struttura portante del quadro
futuro. Esprime i valori plastici dell’opera,
i suoi significati. Custodisce l’idea,
ma può farlo solo se lo sorregge una
tecnica esecutiva solida. Ecco perché le
etichette “figurativo”, “informale” e “astratto”
sono, e nel mio caso più che mai,
soltanto le definizioni di un periodo: il
disegno resta sempre la base più solida
per ogni tipo di pittura».
è dunque la consapevolezza del valore
assoluto del disegno nel processo creativo
che Giancarlo Cerri vuole rimarcare
e che appare evidente nelle opere esposte,
per ribadire - come sottolinea Elisabetta
Muritti nel suo testo in catalogo -
che il disegno è l’idea prima del colore,
e di conseguenza è l’anima dell’opera,
di ogni opera. Dopo il disegno, solo
dopo, e solo eventualmente, ci potrà essere
il “corpo a corpo” con il colore.
Il bianco e nero possono essere entrambi
sinonimi di eleganza e purezza, oppure
l’uno l’opposto dell’altro, luce e ombra.
Tuttavia, per Giancarlo Cerri c’è un colore
onnipresente e onnipotente che lo ha
sempre accompagnato, il nero, che nei
suoi quadri mutua a seconda dei soggetti,
tanto che è lui stesso a parlare di
Neri, al plurale, in quanto il nero è stato
di volta in volta rielaborato con l’aggiunta
di altri colori come il rosso carminio
o il blu oltremare.
Il corpo più ampio delle opere esposte a
Milano – molte delle quali mai esposte
sino ad ora - sono 20 disegni su carta fra
ritratti di donne e nudi femminili dove
l’uso del nero esalta la sensualità di una
curva del corpo o semplicemente di uno
sguardo.
Sara, Ester, Maddalena sono i nomi di
volti e di corpi di giovani donne catturate
con pochissimi, sicurissimi tratti, a racchiudere
misteri e non detti di donne che
erano l’espressione di una nuova femminilità
che avanzava, evidente nell’Italia
degli anni Sessanta e Settanta, e che
Giancarlo Cerri ha decisamente saputo
imprimere sulla carta.
Il secondo gruppo di opere in mostra
comprende 11 lavori, tutti realizzati tra
gli anni Sessanta e Ottanta, dei quali 9
su carta (7 paesaggi e 2 nature mor- te),
e 2 studi su tela (1 cava e 1 foresta), dove
è chiara la vocazione informale dell’artista
e dove i segni agiscono in maniera
forte e decisa sul sistema percettivo di
chi guarda.
Le ultime due sezioni della mostra sono
invece composte da 8 sequenze, disegni
astratti su carta e su tela degli anni Novanta,
sviluppo consequenziale delle ricerche
naturalistiche del decennio precedente
ed approdo all’astrazione pura, dove
ciò che conta non è più il racconto ma
l’immagine, e da 6 opere di arte sacra,
cinque su tela e un disegno su carta applicato
su tavola, nate da quell’11 settembre
2001 che ha cambiato per sempre
l’Occidente.
Se negli studi delle Sequenze il nero mostra
chiaramente come sarà la densità e
76
“Dalla finestra” - 1963 - inchiostro su carta - cm 23x26
“Vassoio con frutta” - 1967 - inchiostro su carta - cm 24x33
“Martire” - 2004 - acrilico su carta - cm 76x56
“Sequenza” - 1991 - acrilico su tela - cm 120x80
la forza del quadro, nelle opere di arte sacra
il nero, profondo come una crepa o una ferita,
sommato all’assenza del colore, vuole
sottolineare la gravità e allo stesso tempo la
spiritualità di scene drammaticamente tragiche.
Opere che nascono dalla visione di uomini
e donne che, sperando di fuggire alle
fiamme e alla morte certa, si lanciano nel
vuoto a braccia aperte, come croci capovolto,
nella vana fede di un destino differente.
QUANDO L’ORBO CI VEDEVA BENE
Centro Culturale di Milano
Largo Corsia dei Servi 4
29 aprile – 21 maggio 2020
Ingresso libero
Orari di apertura al pubblico:
da lunedì a venerdì 10.00-13.00, 14.00-18.00
sabato e domenica 15-19
Informazioni: info@deangelispress.com
Giancarlo Cerri è nato nel 1938 a Milano,
città in cui da sempre vive e lavora.
Ha iniziato a dipingere giovanissimo
nella metà degli anni Cinquanta.
Dal 1956 al 1976 la sua attività
si svolge fra pittura e grafica pubblicitaria.
Dal 1977 si dedica esclusivamente alla
pittura, con alcune incursioni nel campo
della critica d’arte. Dal 1988 al 1995
è direttore artistico del Centro Culturale
De Gasperi di Milano.
Per una grave malattia oculare non dipinge
più da diversi anni, le sue ultime
opere risalgono alla primavera del 2005.
Nel mese di febbraio 2012 ha pubblicato
“La pittura dipinta – le mie quattro
stagioni”, un volumetto dove egli
spiega le sue quattro stagioni di pittore:
1955-1975, figurazione tipicamente
italiana con riferimenti alla pittura
novecentista in cui prevale la tematica
del paesaggio; 1976-1991, periodo
informale materico naturalistico,
eseguito su tele di vaste dimensioni a-
venti per tema dominante le “Grandi
foreste”; 1992-2005, percorso nell’astrattismo
essenziale, opere dipinte con
il solo uso di due-tre colori, ovvero le
“Sequenze” e “Grandi sequenze”.
Tra il 2001 e il 2005, dipinge un ciclo
di quadri di arte sacra aventi quale
principale soggetto la Croce, intesa come
simbolo della umana tragica sofferenza.
La sua ultima mostra, “I quadri dell’orbo”,
si è svolta al Centro Culturale
di Milano nel 2019.
“La caduta del mito” - 2001 - cm. 180x125, olio su tela
Comune di San Donato Milanese
collezione museale d'arte moderna e contemporanea
78
Art&Events
Grande successo per la rappresentazione teatrale
“I segreti del Bergamone” di Paolo Casiraghi
Una serata all’insegna del divertimento quello andata in scena
presso il Centro Congressi di Bergamo. Ospite d’eccezione
il presentatore Mediaset Anthony Peth che ha dato il via
alla serata. Ad apparire per prima sul palco Suor Nausica, la monaca
bergamasca del Monte Bergamone. Il pubblico è stato parte integrante
dell’ultimo numero della serata che ha visto salire in scena il cantante
spagnolo Manuel Garcia Chuparosa de la Pierna che con la sua interpretazione
anticonvenzionale di Romeo e Giulietta. Un appuntamento
caratterizzato da musica con la musicista internazionale Juli e
la comicità che ha arricchito il sabato sera bergamasco, prodotto dalla
N&M Management in collaborazione con Banca Mediolanum.
Fashion Opening Beuty Salon Empire
Un evento
molto glamour
e tanto
atteso nella Capitale.
Centinaia di
persone per Via dei
Frassini in Roma,
al Fashion Opening
per il nuovo Beauty
Salon Empire.
Alla corte di Brunilda,
nota ed apprezzata
consulente d'immagine di numerose star dello
spettacolo. La prima ad arrivare Milena Miconi, madrina
d'eccezione dell'evento, elegante in total black. In splendida
forma Stefania Orlando accompagnata dall'amica
e giornalista di Rai 3 Mariella Anziano. Non sono mancate
poi le dirette della Web star Emilia Clementi insieme
all'amica Alessandra Barzaghi di Radio Subasio.
Presenti anche le attrici Valentina Gemelli, Paola Lavini
e Rita Pasqualoni con l'affascinante Elisabetta
Viaggi e Alessandra Ziliotto (Miss Top Curvy). La serata
è proseguita fino a tarda sera con numerosi ospiti e
una torta con crema chantilly.
Successo per “La Voce del fiume”
Il Folle a Nettuno diventa la meta dei Vip
La Dimora di charme “La Voce del fiume” da sempre attenta alle eccellenze
del territorio, apre le sue porte alla cultura, all’informazione,
alla musica e alle amministrazioni “illuminate”, organizzando il Premio
“La Voce del fiume”. Grande successo per questa prima edizione nella splendida
cornice storica del palazzo ottocentesco che ospita uno dei B&B più particolari
della Basilicata, incastonato nel cuore del borgo medievale di Brienza, all’ombra
del Castello Caracciolo, Dalle mani della giornalista Annamaria Sodano, hanno
ricevuto il premio: Domenico Tripaldi (Direttore Generale della Regione Basilicata),
la dirigente Patrizia Minardi, i giornalisti Lisa Bernardini e Umberto Garibaldi,
sezione tv premio a Mariella Anziano (Rai3) e Anthony Peth (Mediaset)
e poi ancora Imma Battista (Direttore Conservatorio di Musica “Giuseppe Martucci”)
e Franco Rina (Direttore e Fondatore del Festival Cinematografico Internazionale
“CinemadaMare”). L’evento organizzato in collaborazione con la
Banca Monte Pruno, è stata un’occasione per promuovere il territorio e le sue
peculiarità e per premiare le eccellenze nazionali contraddistinte nel loro operato.
Torna a Nettuno con grande successo il Festival del Mediterraneo,
con un programma ricco di appuntamenti e super ospiti
che hanno messo in risalto e valorizzato la storia e la cultura
della pesca di Nettuno (bandiera blu del Lazio). Non sono mancati
come sempre musica, arte, cultura e soprattutto buon cibo, l'evento
che si svolge dal Folle, luogo di ritrovo per i cultori del pesce fresco,
ha visto come special guest la splendida attrice Antonella Salvucci,
che per l’occasione a festeggiato il suo compleanno. Questa manifestazione
capitanata dal direttore Roberto Spadaro e dallo Chef Mattia,
valorizza il pescato della giornata.
Il ballerino delle dive
All’Oasi Parck il Carnevale dei successi
Un successo dopo l’altro per il ballerino delle dive Simone
Ripa, spesso ospite nei salotti televisivi e ideatore di eccellenze,
coniando la sua passione per la danza con quella per
la cucina. Proprio questi giorni un grande evento in suo onore circondato
da numerosi personaggi del mondo dello spettacolo presso lo storico
ristorante Mamma Italia, che porta appunto il nome della Sig.ra
Italia, nasce a Roma circa 60 anni fa. A conduzione famigliare, la caratteristica
principale di questo ristorante, oltre alla cucina tipica romana,
è l’adiacenza ad alcune sale di ballo gestite proprio da Simone
Ripa, direttore artistico, coreografo e ballerino. L’Accademia Fuego
Latino e il ristorante Mamma Italia ospitano ogni settimana numerosi
stimatori della buona cucina e appassionati dei ritmi latino americani,
tango argentino e tanto altro.
Carnevale per tutti, anche per le famiglie dei poliziotti! Ebbene
si trionfa La festa di Carnevale del Poliziotto Mosap (Movimento
Sindacale Autonomo di Polizia), quest’anno dedicate
alle Supermamme di Steps Aba Onlus, che si occupa di migliorare
lo stato dei bambini con autismo che troppe volte non sono considerati
dallo stato e dalla società, e ad alcune Case Famiglie del Lazio.
Ad ospitare la 2^ edizione di questo speciale evento, il parco divertimenti
Oasi Park (quartiere Don Bosco). Tantissimi gli artisti invitati dal segretario
nazionale Mosap Fabio Conestà con la collaborazione di Marcello
Cuicchi. Ryan Paris, Gió Di Sarno, Luca Guadagnini,
Federico Saliola, Armando Tartaglini cover ufficiale di Zucchero
Sugar Fornaciari. Spazio anche alle risate con i numeri uno della comicità,
I Sequestrattori e Oscar Biglia. E inoltre anche Adriana Russo,
Julian Borghesan e Pietro Delle Piane. Presentatori della manifestazione
Fabrizio Pacifici e l’attrice e speaker radiofonica Sabrina
Crocco. Nel corso della giornata anche uno speciale spettacolo dei burattini
per i bambini più piccoli.
Maurizio Martinelli e il successo di Container
Da Frontoni la serata è cool
Container riconosciuta trasmissione radiofonica
dell’anno. Il format condotto dal cantautore e
speacker Maurizio Martinelli costruito come un
vero e proprio spettacolo a 360 gradi, dalla musica al
teatro, dalla letteratura al cinema. “L'ascoltatore è cambiato
e mi sono adeguato alla domanda che è arrivata
dalla nostra capitale, aumentando il talk anche sulla musica,
perché il pubblico vuole sapere cosa fa l'artista
anche fuori dal palco” afferma Martinelli, che ogni puntata
è record di ascolti, ma oltre ai numeri parlano i numerosi
ospiti che ogni puntata si alternano, in queste
settimane i protagonisti dell’ultima edizione di Sanremo.
All'insegna del divertimento e del motto dell'organizzatore
della serata ("Vendichero' i giorni tristi"), presso
la storica Pizzeria Frontoni - che dal lontano 1940
resta tra i locali trend più frequentati dell'Urbe - si è svolto un
folle giovedì grasso di Carnevale tra buon cibo, musica, balli
ed ospiti vip. Tra i presenti, si sono intravisti l' attore Francesco
Butteri, il giornalista Ivan The King da Milano, la giornalista
e PR Lisa Bernardini, il presentatore mediaset Anthony
Peth. Ad accompagnare la stilista delle Curvy, Elisabetta Viccica,
il modello-attore Amedeo Curatolo. A scherzare tutta la
sera, infine, con il proprietario Daniele è toccato all' imprenditore
della Roma by night Luciano Maiello. E la notte si è
fatta piccola, allietata anche dai ricordi di Daniele, nipote dell'
indimenticabile fotografo delle Dive Angelo Frontoni.
80
9
abiennale d’arte
internaZionale
a Montecarlo 2020
13-14 GiuGno
a tutti Gli artisti
sono aperte le seleZioni alla 9 biennale d’arte
internaZionale a Montecarlo 2020, pittura, scultura, GraFica, acQuerello,
incisione, ceraMica, FotoGraFia, Mosaico e opere realiZZate al coMputer.
teMa libero e teMa Fisso: “l’arte in ViaGGio alla scoperta dell’aMbiente”
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82
MOSTRE D’A R T E IN I T
a cura di Silvana Gatti
BASSANO DEL GRAPPA (VI)
PALAZZO STURM
DAL: 4 A PRILE 2020
FINO AL: 27 LUGLIO 2020
GIAMBATTISTA PIRANESI.
VISIONI DI UN ARChITETTO SEN-
ZA TEMPO
Palazzo Sturm ospita un gigante dell’incisione
mondiale: Giambattista Piranesi. La
mostra, a cura di Chiara Casarin e Pierluigi
Panza, propone i capolavori grafici di Giambattista
Piranesi (1720-1778) patrimonio
delle raccolte museali bassanesi. Un corpus
che comprende 15 incisioni sciolte e altre
racchiuse in 11 volumi ai quali si aggiungono
le 16 tavole delle Carceri d’invenzione
provenienti dalle collezioni dalla
Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Disegnatore,
incisore, architetto e antiquario, Piranesi
è considerato l’ultimo grande esponente
dell’incisione veneta del ‘700. La sua
attività ha influenzato architetti, scenografi,
pittori e poeti come Victor Hugo e Charles
Baudelaire, Aldous Huxley, Henri Focillon
e Marguerite Yourcenar che gli dedicò una
biografia dove, a proposito delle Carceri
d’invenzione, scrive trattarsi di «una delle
opere più segrete che ci abbia lasciato in
eredità un uomo del XVIII secolo». Veneto
di nascita ma romano d’adozione, Piranesi
si colloca a cavallo tra rococò e neoclassicismo.
Giunto a Roma a venti anni, vi si
trasferisce definitivamente a partire dal 1747,
iniziando la produzione delle Vedute di
Roma. Per la prima volta i Musei Civici di
Bassano espongono al pubblico il corpus di
incisioni piranesiane delle collezioni permanenti,
comprendente alcune delle più celebri
Vedute di Roma: tavole raffiguranti
ruderi classici e monumenti antichi realizzate
dall’artista. A queste si aggiungono i
quattro tomi delle Antichità Romane. Assieme
alle Vedute, le Carceri sono l’opera
più famosa della produzione piranesiana e
testimoniano l’abilità nell’uso della tecnica
incisoria da parte dell’artista. Per la loro libertà
di immaginazione e per la capacità di
trasferire nel segno grafico una sensibilità
pittorica, le incisioni rivelano l’influenza
dei Capricci di Giambattista Tiepolo, incontrato
da Piranesi nel 1740.
BRESCIA
PALAZZO MARTINENGO
FINO AL: 7 GIUGNO 2020
DONNE NELL'ARTE. DA TIZIANO
A BOLDINI
La mostra documenta come l’universo femminile
ha avuto un ruolo fondamentale nella storia
dell’arte italiana, attraverso quattro secoli, dal
Rinascimento al Barocco, fino alla Belle époque.
L’esposizione, curata da Davide Dotti, organizzata
dall’Associazione Amici di Palazzo
Martinengo, col patrocinio della Provincia di
Brescia, del Comune di Brescia e della Fondazione
Provincia di Brescia Eventi, in partnership
con Fondazione Marcegaglia onlus, presenta
oltre 90 capolavori di artisti quali Tiziano, Guercino,
Pitocchetto, Appiani, Hayez, De Nittis,
Zandome- neghi e Boldini, artisti che hanno rappresentato
la personalità, la raffinatezza, il carattere,
la sensualità dell'emisfero femminile,
ponendo particolare attenzione alla moda, alle
acconciature e agli accessori tipici di ogni epoca.
Dame raffinate, eroine mitologiche, fanciulle
conturbanti, madri e popolane raccontano come
i più grandi maestri italiani hanno raffigurato su
tela l’universo femminile. Grazie alla collaborazione
con la Fondazione Marcegaglia Onlus,
appositi pannelli di sala approfondiscono tematiche
di attualità sociale quali le disparità tra uomini
e donne, il lavoro femminile, le violenze
domestiche, l'emarginazione sociale e le nuove
povertà. Le opere d'arte viste quali veicoli per
sensibilizzare il pubblico verso argomenti di
grande importanza socio-culturale. Il percorso
espositivo è suddiviso in otto sezioni tematiche
- Sante ed eroine bibliche; Mitologia in rosa; Ritratti
di donne; Natura morta al femminile; Maternità;
Lavoro; Vita quotidiana; Nudo e sensualità
– e documenta il rapporto tra l’arte e il
mondo femminile per evidenziare quanto la
donna sia da sempre il centro dell’universo artistico.
FERRARA
CASTELLO ESTENSE
DAL: 8 FEBBRAIO 2020
FINO AL: 7 GIUGNO 2 0 2 0
GAETANO PREVIATI, PITTORE TRA
SIMBOLISMO E FUTURISMO
Il castello Estense rende omaggio a Gaetano
Previati (Ferrara, 1852 – Lavagna, 1920), nel
centenario della sua scomparsa, in una mostra
con oltre sessanta opere e documenti inediti.
La rassegna documenta come la produzione
di Previati miri al superamento dei tradizionali
limiti della pittura da cavalletto. L’artista propone
un approccio innovativo verso i soggetti
e i meccanismi della visione, rinnovando l’arte
italiana verso la fine dell’Ottocento. Considerato
erede dei maestri del passato e guida del
divisionismo italiano, Previati apre la strada
anche ai giovani futuristi. La rassegna si apre
con un bozzetto del dipinto di tema storico Gli
ostaggi di Crema del 1879, con il quale si affermò
in pubblico. Le Fumatrici di oppio e la
Cleopatra testimoniano invece il fascino per i
soggetti maudit. Aderì al Divisionismo con
l’opera Nel prato, conservata a Palazzo Pitti.
Grandi disegni, dipinti e materiali inediti documentano
il tentativo di dipingere le impressioni
musicali, con la storia d’amore ferrarese
di Ugo e Parisina. An- che quella di Paolo e
Francesca ha suscitato la fantasia di Previati,
culminando nel capolavoro del 1909, una
delle matrici del trittico degli Stati d’animo di
Boccioni. In mostra inoltre dipinti a tema religioso
e paesaggi, come Colline liguri. Previati
si cimentò anche nelle illustrazioni, valorizzando
gli stati d’animo e la psicologia dei
protagonisti dei testi letterari. Da anziano, affascinato
dalle tematiche della modernità di
Marinetti e di Boccioni, compose il ciclo delle
Vie del commercio tra il 1914 e il 1916 per la
Camera di Commercio di Milano. In mostra
uno dei grandi pannelli del ciclo, La ferrovia
del Pacifico, corredato di disegni. L’esposizione
è curara da Chiara Vorrasi ed organizzata
da Fondazione Ferrara Arte e dalle
Gallerie d’Arte moderna e contemporanea.
A L I A E FUORI CONFINE
GENOVA
APPARTAMENTO DEL DOGE,
PALAZZO DUCALE
DAL: 26 MARZO 2020
FINO AL: 19 LUGLIO 2 0 2 0
MIChELANGELO DIVINO ARTISTA
STORIA DI UNA RIVOLUZIONE
D’ARTE
Questa mostra, prodotta e organizzata da
Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura
e dall’Associazione Culturale MetaMorfosi,
è curata da Cristina Acidini con Elena
Capretti eAlessandro Cecchi. Viene analizzato
un particolare aspetto del maestro: gli
incontri che costellano la biografia del Buonarroti.
Durante la sua vita, infatti, l'artista
fu in contatto con personaggi d'alto rango
dell'età rinascimentale, in posizioni chiave
nella politica, nella religione, nella cultura.
Michelangelo attraversò quasi un secolo, in
un tempo di guerre, violenze cruciali rivolgimenti
restando vicino al potere senza farsene
condizionare. Eccezionale la presenza
in mostra di due sculture in marmo di
Michelangelo: la Madonna della Scala (14-
90 circa), capolavoro giovanile dell’artista
conservato in Casa Buonarroti a Firenze;
un’opera che è la rivisitazione di modelli
antichi e moderni (Donatello) in chiave personale.
Ed il Cristo redentore (1514-1516),
conservato nella chiesa di San Vincenzo
Martire a Bassano Romano (Viterbo), un’imponente
statua (h. 250 cm). Esposti inoltre
circa 60 tra disegni autografi e fogli del carteggio
di Michelangelo, delle rime e altri
suoi scritti, in gran parte conservati nella
Casa Buonarroti. Fra i disegni è eccezionale
la Cleopatra (1535), disegno eseguito
per Tommaso Cavalieri, uno di quei fogli
realizzati dall’artista come opere grafiche
in sé compiute e di superba qualità, concepite
come doni privati ad amici. Il percorso
è articolato in sezioni, dedicate ai periodi
della vita di Michelangelo, e comprende o-
pere del maestro, sculture e disegni in particolare;
opere di diretti collaboratori; ritratti
dipinti e scolpiti, di Michelangelo e
dei personaggi storici a lui collegati; medaglie;
rime, lettere e testimonianze documentarie
e opere d'arte di autori vari.
LUCCA
FONDAZIONE CENTRO STUDI SUL-
L’ARTE LICIA E CARLO LUDOVICO
RAGGhIANTI - COMPLESSO MONU-
MENTALE DI SAN MIChELETTO
DAL: 18 A PRILE 2020
FINO AL: 19 LUGLIO 2020
L’AVVENTURA DELL’ARTE NUOVA |
ANNI 70-80 - CIONI CARPI | GIANNI
MELOTTI
Alla F. Ragghianti due mostre su C. Carpi e
G.Melotti. La prima, a cura di Angela Madesani,
è dedicata a Cioni Carpi (Milano, 1923-
2011), che si dedica alla pittura dagli anni
Cinquanta a Parigi, trasferendosi poi ad
Haiti, New York e in Canada, per poi tornare
a Milano. La mostra comprende il percorso
di Carpi dal 1960 agli anni Ottanta, con dipinti,
installazioni, lavori fotografici, filmati,
disegni, progetti e libri creati dall’artista, documenti
e cataloghi. La seconda mostra, a
cura di Paolo Emilio Antognoli, riguarda l’opera
di Gianni Melotti (Firenze, 1953) dal
1974 al 1984, sia nel suo sviluppo storico-artistico,
sia nei rapporti con alcuni artisti quali
Lanfranco Baldi, Luciano Bartolini, Giuseppe
Chiari, Mario Mariotti e altri artisti come
Bill Viola legati alla sua esperienza in arttapes/22,
studio dedito alla produzione di videotapes
per artisti di cui Melotti nel 1974
diviene il fotografo. La mostra documenta il
lavoro di Melotti, conosciuto come fotografo,
la cui attività artistica è quasi del tutto inedita.
Esposta una trentina di lavori tra cui:
9,30/10,30, opera d’esordio del 1975; Giallo
(1979), installazione site-specific con foto e
testi ambientata in un parcheggio; Gli angoli
della Biennale (1976), serie di foto dedicate
a Pier Luigi Tazzi riferite ai Corners Portraits
di Irving Penn; Come as you are/Jacket and
necktie (1981), foto e film super8 in loop sul
tema del rapporto di coppia; la dia-proiezione
di Uovo fritto (1980); Ritratti nella rete
(1982), serie di polaroid che Melotti scatta
agli amici mascherati con una calza a rete, in
cui si teorizza il network come arte prima
dell’avvento del personal computer; le cinque
videografie Foto fluida (1983); Pelle/Pellicola
(1987-1989), tre lavori in silicone trasparente,
sul rapporto tra opera e cornice.
MAMIANO DI TRAVERSETOLO (PARMA)
FONDAZIONE MAGNANI-ROCCA
DAL: 14 MARZO 2020
FINO AL: 12 LUGLIO 2 0 2 0
L’ULTIMO ROMANTICO
La Fondazione Magnani-Rocca omaggia il suo
Fondatore nella dimora che Luigi Magnani trasformò
in casa-museo, la ‘Villa dei Capolavori’.
Magnani (1906-1984) collezionò opere di
grandi artisti, da Morandi a Tiziano, Goya, fino
a Monet, Renoir e Canova. La mostra – a cura
di Stefano Roffi e Mauro Carrera – presenta
opere e documenti autografi degli artisti, critici,
musicisti, letterati, registi, aristocratici, capitani
d’industria frequentati da Magnani; inoltre o-
maggi pittorici alla passione per la musica di
Magnani, con artisti italiani del ‘900, da Severini
a de Chirico a Guttuso a Pistoletto; strumenti
musicali antichi. Infine, il sogno di ‘capolavori
assoluti’ inseguiti da Magnani ma non
conquistati; il primo sogno realizzato è Il cavaliere
in rosa di Giovan Battista Moroni, capolavoro
cinquecentesco, in mostra. Importante
il quadro di Francisco Goya La famiglia dell’infante
don Luis (1783-1784). Eccezionali le
tre Madonne col Bambino di Filippo Lippi, Albrecht
Dürer, Domenico Beccafumi; e il Ghirlandaio,
il Carpaccio, il Rubens, il Van Dyck, i
Tiepolo, il Füssli, il prezioso Stimmate di San
Francesco di Gentile da Fabriano e la Sacra
conversazione di Tiziano (1513). La bellezza
dei dipinti si traduce in scultura nella Tersicore
di Canova e nelle due figure femminili di Bartolini.
Si prosegue con opere di Giorgio Morandi
e Filippo de Pisis. Tra gli altri artisti italiani,
una Danseuse di Gino Severini, una piazza
di Giorgio de Chirico, opere di Renato Guttuso
e sculture di Giacomo Manzù e Leoncillo.
Importante il Sacco di Alberto Burri del 1954.
La Villa ospita l’unica sala di opere di Paul Cézanne
in Italia; inoltre il paesaggio di Claude
Monet e opere di Renoir, Matisse, de Staël,
Fautrier, Hartung. Importante un’opera di Rembrandt
raffigurante il Doctor Faustus. Il percorso
della Fondazione Magnani-Rocca era
stato avviato con la sua istituzione da parte di
Magnani nel 1977. L’apertura al pubblico della
Villa avvenne nell’aprile 1990.
84
MOSTRE D’A R T E IN I T
MILANO
MUSEO DIOCESANO CARLO MARIA
MARTINI
FINO AL: 17 MAGGIO 2020
GAUGUIN MATISSE ChAGALL
LA PASSIONE NELL’ARTE FRANCESE
DAI MUSEI VATICANI
Oltre 20 opere di Paul Gauguin, Auguste
Rodin, Marc Chagall, Georges Rouault, Henri
Matisse e di altri artisti francesi a cavallo
tra il XIX e XX secolo, provenienti dalla
Collezione di Arte Contemporanea dei Musei
Vaticani, ripercorrono i temi della Passione,
del Sacrificio e della Speranza. La rassegna
è curata da Micol Forti e Nadia Righi.
L’iniziativa documenta il fertile rapporto fra
modernità e tradizione nell’arte sacra tra fine
Ottocento e Novecento. Gli oltre 20 capolavori
di artisti quali Paul Gauguin, Auguste
Rodin, Marc Chagall, Maurice Denis, Henri
Matisse, Georges Rouault, sono stati scelti
nel ricco nucleo di arte francese presente
nella Collezione di Arte Contemporanea dei
Musei Vaticani, voluta fin dal 1964 da papa
Paolo VI. All’arte Paolo VI riconosceva “una
capacità prodigiosa di esprimere, oltre l’autentico,
il religioso, il divino, il cristiano”,
ovvero la possibilità di farsi tramite e incarnazione
dell’invisibile, di ciò che non si può
afferrare razionalmente. Da queste riflessioni
nasce la prima raccolta di 900 opere di
autori contemporanei – inaugurata nel 1973
– provenienti da diversi ambiti geografici e
culturali. Con la Francia Montini aveva avuto
un rapporto privilegiato grazie ad amicizie
come quella con Jacques e Raïssa Maritain,
Jean Guitton, e a frequentazioni con Georges
Rouault, Marc Chagall, Gino Severini, Maurice
Denis, Alexandre Cingria, come anche
con Jean Cocteau e con l’ambiente surrealista.La
mostra ruota attorno ai temi della Passione,
del Sacrificio e della Speranza, interpretati
dagli artisti con una visione innovativa.
le opere sono esposte in quattro ambienti,
corrispondenti ad altrettanti nuclei tematici,
che dall’Annunciazione conducono
il pubblico fino alla Resurrezione di Cristo.
MONZ A
ARENGARIO
FINO AL: 13 APRILE 2020
STEVE MCCURRY. LEGGERE
L’Arengario ospita la Mostra Leggere di Steve
McCurry, fotografi noto a livello internazionale
per la sua capacità di raccontare la società contemporanea.
L’esposizione, a cura di Biba Giacchetti
e Roberto Cotroneo, presenta 70 immagini
del fotografo statunitense, dedicate alla lettura,
con persone, còlte in ogni angolo del mondo,
nell’intimo atto di leggere. L’esposizione, promossa
da ViDi e Comune di Monza, organizzata
da Civita Mostre e Musei, in collaborazione con
Sudest57, curata da Biba Giacchetti, con i contributi
letterari dello scrittore Roberto Cotroneo,
presenta scatti realizzati dall’artista americano
(Philadelphia, 1950) in quarant’anni di carriera
e che comprendono la serie che egli stesso ha riunito
in un volume, pubblicato come omaggio al
fotografo ungherese André Kertész, uno dei suoi
maestri. Sono immortalate persone di tutto il
mondo, colte durante la lettura in vari contesti,
dai luoghi di preghiera in Turchia, ai mercati in
Italia, dai rumori dell’India ai silenzi dell’Asia
orientale, dall’Afghanistan a Cuba, dall’Africa
agli Stati Uniti. Giovani o anziani, ricchi o poveri,
religiosi o laici; per chiunque e dovunque
c’è un momento per la lettura. L’allestimento
comprende l’accompagnamento con una serie di
brani letterari scelti da Roberto Cotroneo. Sei
video, con i consigli di McCurry sull’arte di fotografare,
valorizzano ulteriormente la mostra. Il
percorso è completato dalla sezione Leggere
McCurry, dedicata ai libri pubblicati a partire dal
1985 con le foto di Steve McCurry, molti dei
quali tradotti in varie lingue: ne sono esposti 15,
alcuni introvabili, tra cui il volume edito da Mondadori
che ha ispirato la realizzazione di questa
mostra. Tutti i libri sono accompagnati dalle foto
utilizzate per le copertine, che sono spesso le
icone che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.
PERUGIA
GALLERIA NAZIONALE
DELL’UMBRIA
DAL: 7 MARZO 2020
FINO AL: 7 GIUGNO 2020
TADDEO DI BARTOLO
(1362 CA.-1422)
Presso la Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia
un’ampia monografica dedicata a Taddeo
di Bartolo (1362 ca. – 1422), a cura di Gail E.
Solberg. Da maestro itinerante, egli trascorse
buona parte della carriera spostandosi tra Toscana,
Liguria, Umbria, e Lazio al servizio di famiglie
potenti, autorità pubbliche, ordini religiosi
e confraternite. La mostra, curata da Gail E. Solberg,
presenta 100 tavole del pittore senese, ricostruendone
il percorso artistico dalla fine degli
anni ottanta del Trecento fino al 1420-22, con
prestiti provenienti da prestigiosi musei internazionali.
Taddeo di Bartolo è stato il più grande
maestro del polittico del suo tempo. La rassegna
valorizza questa forma d’arte sacra, attraverso
l’esposizione di pale complete e di tavole disassemblate
che, riaffiancate, ricompongono i complessi
di appartenenza. Per l’occasione è stato
ricostruito l’apparato figurativo della smembrata
pala di San Francesco al Prato di Perugia, di cui
la Galleria Nazionale dell’Umbria conserva ben
13 elementi. A questi si aggiungono le parti mancanti,
finora individuate, come le sette tavole della
predella raffiguranti Storie di san Francesco, conservate
tra il Landesmuseum di Hannover (Germania)
e il Kasteel Huis Berg a s’Heerenberg
(Paesi Bassi), e il piccolo San Sebastiano del
Museo di Capodimonte a Napoli. Dal Palazzo
Ducale di Gubbio giungono le otto tavolette, dipinte
a tempera su fondo oro con figure di Santi,
originariamente appartenute al polittico della
chiesa eugubina di San Domenico. Questi lavori
di Taddeo di Bartolo sono stati acquisiti dal Mi-
BACT. La mostra documenta inoltre altre tipologie
di opere, come gli stendardi processionali e
le piccole tavole di devozione privata.
A L I A E FUORI CONFINE
PIACENZ A
FONDAZIONE DI PIACENZA E
VIGEVANO
FINO AL: 24 MA GGIO 2020
LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI.
COLLEZIONISMO ITALIANO CONTEM-
PORANEO
XNL Piacenza Contemporanea, un centro
culturale dedicato all’arte contemporanea,
nasce dalla ristrutturazione di un edificio
industriale - la ex sede dell’Enel, in via
Santa Franca, 36 - dei primi decenni del
‘900, restituito alla città come luogo per
raccontare il tempo presente. La rassegna,
a cura di Alberto Fiz, inaugura il nuovo
spazio espositivo e presenta oltre 150 lavori
di autori quali Piero Manzoni, Maurizio
Cattelan, Marina Abramović, Tomás
Saraceno, Andy Warhol, Bill Viola, Dan
Flavin, William Kentridge. Il percorso si
completa alla Galleria d'Arte Moderna
Ricci Oddi - i cui locali sono attigui a
quelli di XNL - dove una serie di lavori di
artisti tra cui Ettore Spalletti, Wolfgang
Laib, Fabio Mauri, Gregor Schneider, Pietro
Roccasalva, dialoga con i capolavori
dell’Ottocento e del Novecento, raccolti da
Giuseppe Ricci Oddi. La rassegna documenta
il collezionismo privato con artisti
come Giorgio Morandi, Alberto Burri,
Lucio Fontana, Fausto Melotti, Robert
Morris, Andy Warhol, Robert Rauschenberg,
Mario Merz, Keith Haring, Gerhard
Richter, Daniel Buren, William Kentridge,
Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone,
per giungere alle realtà contemporanee
con artisti quali Ghada Amer, Sislej Xhafa,
Roberto Cuoghi, Urs Fischer, Zang Huan,
Tobias Rehberger, Thomas Hirschhorn, Teresa
Margolles, Zanele Muholi, in base ad
un progetto che è stato realizzato in sinergia
con i collezionisti. La mostra documenta
il fenomeno del collezionismo nella
sua globalità attraverso le vicende di oltre
cinquant'anni.
ROMA
SCUDERIE DEL QUIRINALE
FINO AL: 2 GIUGNO 2020
RAFFAELLO - 1520-1483
A cinquecento anni dalla morte di Raffaello
Sanzio, l’Italia celebra il sommo artista del
Rinascimento con una grande mostra alle
Scuderie del Quirinale. Questo tributo ha
luogo nella città dove l’urbinate espresse a
pieno il suo eccezionale talento artistico, e
dove la sua vita si spense a soli 37 anni di
età. La rassegna annovera più di cento capolavori
autografi o comunque riconducibili a
ideazione raffaellesca tra dipinti, cartoni, disegni,
arazzi, progetti architettonici. A questi
sono affiancate opere di confronto e di contesto
(sculture e altri manufatti antichi, sculture
rinascimentali, codici, documenti, preziosi
capolavori di arte applicata) per un totale
di 204 opere in mostra, 120 dello stesso
Raffaello tra dipinti e disegni. Un’occasione
irripetibile per vedere riunite opere celeberrime
come: la Madonna del Granduca e la
Velata delle Gallerie degli Uffizi o la grande
pala di Santa Cecilia dalla Pinacoteca di Bologna;
opere mai tornate in Italia dal momento
della loro esportazione per ragioni
collezionistiche come la sublime Madonna
Alba dalla National Gallery di Washington,
la Madonna della Rosa dal Prado o la Madonna
Tempi dalla Alte Pinakothek di Monaco
di Baviera; il Ritratto di Baldassarre
Castiglione e l’Autoritratto con amico dal
Louvre. Esposti i ritratti dei due papi che
consentirono a Raffaello di dimostrare il suo
potenziale artistico negli anni romani: quello
di Giulio II dalla National Gallery di Londra
e quello di Leone X con i cardinali Giulio de’
Medici e Luigi de’ Rossi degli Uffizi, presentato
dopo un restauro, durato tre anni, a
cura dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze,
intervento che ne ha restituito la nettezza
luministica e cromatica originale e l’incredibile
forza descrittiva dei dettagli.
ROMA
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
FINO AL: 2 GIUGNO 2020
JIM DINE
A Roma una mostra dedicata a Jim Dine (Cincinnati,
USA, 1935), promossa da Roma Capitale
– Assessorato alla Crescita culturale,
organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo,
in collaborazione con l’artista e curata da Daniela
Lancioni. Esposte oltre 80 opere, datate
dal 1959 al 2018. La mostra presenta un protagonista
dell’arte americana che ha influenzato
la cultura visiva contemporanea, in particolare
quella italiana degli anni Sessanta.
L’esposizione dei lavori è preceduta da una
biografia dell’artista stampata sul muro e corredata
da fotografie. I primi lavori esposti sono
dipinti su tela e acquarelli datati 1959, in cui
campeggia una testa isolata dal corpo (Head),
soggetto che riappare a fine percorso ingigantito
in un dittico del 2016 (Two Large Voices
Against Everything). Segue un focus dedicato
agli happening, per la cui realizzazione è stata
fatta una ricerca delle fonti iconografiche negli
archivi che detengono le immagini dei fotografi
degli anni Cinquanta e Sessanta sulla
scena artistica downtown di New York: Robert
R. McElroy, Fred W. McDarrah e Peter Moore.
Ampio spazio è dedicato ai dipinti datati
tra il 1960 e il 1963, con i temi noti dell’arte di
Dine: strumenti di lavoro, la tavolozza del pittore,
indumenti. Esposti capolavori come Window
with an Axe del 1961, Black Shovel del
1962, Four Rooms del 1962, e Two Palettes in
Black with Stovepipe (Dream) del 1963. In
mostra cinque lavori presentati alla Biennale
di Venezia del 1964, oltre a Four Rooms e
Black Shovel, Shoe del 1961, White Bathroom
del 1962 e The Studio (Landscape Painting)
del 1963. Una sezione è dedicata ai lavori del
1964 e 1965, tra cui sculture di alluminio (Red
Axe, Large Boot Lying Down entram- bi del
1965) e opere dove l’artista affida il suo autoritratto
agli indumenti svuotati dalla figura. Ai
Cuori di Jim Dine è dedicata una sala, con
opere realizzate a Putney nel Vermont nell’inverno
del 1970-1971.
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ROVIGO
PALAZZO ROVERELLA
DAL: 4 APRILE 2020
FINO AL: 5 LUGLIO 2020
MARC ChAGALL
“ANChE LA MIA RUSSIA MI AMERÀ”
A Palazzo Roverella una mostra su Marc
Chagall, con 70 dipinti su tela e su carta e
due serie di incisioni e acqueforti pubblicate
nei primi anni di lontananza dalla Russia,
“Ma Vie” e “Le anime morte” di Gogol. Le
opere provengono dagli eredi dell’artista,
dalla Galleria Tretyakov di Mosca, dal Museo
di Stato Russo di S. Pietroburgo, dal
Pompidou di Parigi, dalla Thyssen Bornemisza
di Madrid e dal Kunstmuseum di Zurigo
e da collezioni private, con capolavori quali
la “Passeggiata” e “l’Ebreo in rosa”. La curatrice
Claudia Zevi evidenzia come la cultura
popolare russa abbia influenzato l’opera
di Chagall, analizzando l’iconografia dell’artista
che proviene dalla tradizione popolare
russa. Un’iconografia fatta di religiosità,
in cui si ritrovano echi dell’iconografia religiosa
delle icone e delle vignette popolari
dei lubki i cui personaggi come il gallo, le
capre e le vacche si ritrovano anche nelle o-
pere tarde di Chagall. Elementi che in Chagall
assumono quel realismo poetico che attinge
dalla tradizione della favola russa la
propria sintassi espressiva, mentre deriva dal
mondo ebraico e cristiano ortodosso la propria
cifra spirituale. Chagall ha codificato
uno stile che sopravvivrà ben più delle avanguardie
tradizionali del ‘900. E in tutto ciò
la Russia rimane il luogo delle sue radici.
“Anche la mia Russia mi amerà”, sono le parole
con cui conclude “Ma Vie”, l’autobiografia
illustrata che Chagall pubblicò, a 34
anni, a Berlino all’inizio dell’esilio, consapevole
che la separazione dalla Russia sarebbe
stata definitiva.
TRIESTE
SALONE DEGLI INCANTI
FINO AL: 7 GIUGNO 2020
ESChER
Maurits Cornelis Escher nasce nel 1898 in
Olanda e vi muore nel 1972. Nel 1922 visita
per la prima volta l’Italia, dove poi visse per
molti anni, visitandola da nord a sud e rappresentandola
in molte sue opere. Inquieto,
riservato e geniale, Escher nelle sue celebri
incisioni e litografie crea un mondo unico,
immaginifico, impossibile, dove confluiscono
arte, matematica, scienza, fisica, design.
Questa mostra antologica – con circa 200
opere e i lavori più rappresentativi che lo
hanno reso celebre in tutto il mondo – arriva
a Trieste grazie alla collaborazione tra il Comune
di Trieste e Arthemisia con Generali
Valore Cultura. La mostra racconta il genio
dell’artista olandese con le opere più iconiche
della sua produzione quali Mano con
sfera riflettente (1935), Vincolo d’unione
(1956), Metamorfosi II (1939), Giorno e
notte (1938) e la serie degli Emblemata, che
appartengono all’immaginario collettivo.
Esposta per la prima volta al mondo e novità
assoluta della mostra triestina, la sezione
con la serie I giorni della Creazione, un nucleo
di sei xilografie realizzate tra il dicembre
1925 e il marzo 1926. Escher ha amplificato
le possibilità immaginative della grafica
stupendo il fruitore. Partendo dalle opere
di impronta art-noveau risalenti al periodo
della formazione presso la scuola di Jessurun
de Mesquita, la mostra pone l’accento
sul periodo del viaggio italiano di Escher.
L’artista declina costruzione geometrica e rigore
nel segno visionario della ricerca estetica
più pura. Artista poliedrico e contemporaneo
al suo tempo, anticipò e correnti artistiche
come quelle del Surrealismo e dell’Optical
Art di cui può essere considerato
un esponente ante litteram. Infatti, egli non
trova solo nel mondo dei numeri, della geometria
e della matematica l’unica chiave dar
forma al suo universo creativo.
VICENZ A
BASILICA PALLADIANA
FINO AL: 13 APRILE 2020
RITRATTO DI DONNA. IL SOGNO
DEGLI ANNI VENTI E LO SGUARDO
DI UBALDO OPPI
Negli anni Venti la corrente del “Realismo
Magico” immerge la realtà in un'atmosfera
di meraviglia e di attesa, che in Italia è affiancata
dalle ricerche degli artisti del “Novecento
Italiano”, che declinano la loro arte
evocando anche memorie della classicità
e del Rinascimento. Questa simbiosi tra
modernità e classicità è preceduta da una
riflessione profonda sui rinnovamenti della
pittura avvenuti a Vienna e a Parigi tra la
fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento,
in particolare dalla Secessione
Viennese guidata da Gustav Klimt, dal
simbolismo e dall'espressionismo, in cui le
donne sono raffigurate come dentro un
sogno di fiaba. Non a caso la mostra, a cura
di Stefania Portinari, si apre con la ‘Giuditta’
di Klimt. Opere che influenzano quelle
di molti artisti italiani, in particolare a
Venezia, nelle mostre di giovani artisti che
si tengono a Ca' Pesaro, dove espongono
Vittorio Zecchin, Felice Casorati e Mario
Cavaglieri, influenzati dall'impatto di Klimt,
che ha una sala personale alla Biennale di
Venezia del 1910. Altri, come Arturo Martini,
Gino Rossi o Guido Cadorin, seguono
la strada indicata dal post-impressionismo
o dal cubismo. Nasce un'arte spregiudicata
che nutre la Belle époque e scorre nel primo
dopoguerra. Ubaldo Oppi (Bologna
1889 - Vicenza 1942) è un protagonista di
quegli anni, famoso tra l'Europa e gli Stati
Uniti: a Parigi conosce Modigliani, flirta
con Fernande Olivier, che lascia Picasso
per fuggire con lui,e viene rapito dall’arte
fauve di Kees van Dongen e da Matisse.
Negli anni Venti crea ritratti di donne che
vengono acquistate in collezioni favolose.
Con lui si muovono artisti quali Felice Casorati,
Mario Sironi, Antonio Donghi, Cagnaccio
di San Pietro, Achille Funi, Piero
Marussig, Mario Cavaglieri, Guido Cadorin,
Massimo Campigli.
FRANCIA - PARIGI
MUSEO MARMOTTAN
FINO AL: 5 LUGLIO 2020
CEZANNE E I MAESTRI
SOGNO ITALIANO
SPAGNA - BARCELLONA
CAIXAFORUM
FINO AL: 7 GIUGNO 2020
OGGETTI DEL DESIDERIO
SURREALISMO E DESIGN
SVIZZERA - ChIASSO
M.A.X.
DALL’ 8 MARZO 2020
FINO AL: 13 SETTEMBRE 2020
ALBERTO GIACOMETTI
Il museo Marmottan Monet della capitale
francese propone una mostra che
mette in evidenza il legame tra le opere
del pittore francese Cézanne con alcuni
capolavori di grandi artisti italiani realizzati
tra il XVI e il XX secolo. Saranno
quindi esposte circa 60 opere di
artisti che hanno in qualche modo influenzato
il lavoro del pittore impressionista,
ma anche quelli che ne hanno tratto
ispirazione. Qualche nome? Tintoretto
Ribera, Giordano, ma anche Carrà, Boccioni,
Morandi e tanti altri. Tra le opere
di Cézanne l’iconica Montagna di Saint
Victoire, le caratteristiche nature morte
e le scene campestri. La mostra mette in
evidenza l’influenza della pittura latina
nell’opera di Cezanne che dopo essersi
ispirato alle opere dei suoi predecessori
ha acquisito un nuovo linguaggio espressivo
che influenzerà a sua volta l’arte
moderna.
Sulla scia di Salvator Dalì, maestro del surrealismo,
che sosteneva che “Possiamo trasformare
in reale il fantastico e renderlo
ancora più reale di ciò che esiste davvero”
nasce questa rassegna in Spagna, che esplora
il rapporto tra l’arte surrealista e il design
degli oggetti di uso quotidiano. Gae Aulenti,
Björk, Claude Cahun, Achille Castiglioni,
Giorgio de Chirico, Le Corbusier, Salvador
Dalí, Isamu Noguchi e Meret Oppenheim
sono alcuni degli artisti rappresentati in questa
esposizione, che include pitture, poster,
fotografie, libri e film affiancati ad importanti
oggetti di design degli ultimi cento
anni. Sono un riflesso dell’influenza reciproca
tra arte surrealista e design, che combinano
creatività e fantasia nelle relative
creazioni.
L’esposizione, a cura di Jean Soldini e Nicoletta
Ossanna Cavadini, presenta l’ intero
corpus grafico dell’artista svizzero,
con oltre 400 fogli, tra xilografie, incisioni
a bulino, acqueforti, puntesecche, e
numerosi libri d’artista. La stagione espositiva
2020 del m.a.x. museo di Chiasso
(Svizzera) si aprirà nel segno di Alberto
Giacometti (1901-1966), uno fra i più rilevanti
artisti del XX secolo. L’ambiente
creativo dell’artista e dell’uomo è documentato
dalle suggestive fotografie realizzate
dall’amico Ernst Scheidegger che,
dal 1943, ha documentato con immagini
e filmati l’attività artistica e la vita privata
di Giacometti. La rassegna sottolinea la
padronanza di Giacometti delle varie tecniche
grafiche, dalla xilografia all’incisione
a bulino, dall’acquaforte alla puntasecca.
Sebbene sia conosciuto soprattutto
come scultore e pittore, Giacometti realizzò,
nondimeno, molte incisioni, espressione
di una profonda ricerca artistica.
Giacometti, infatti, vedeva nel disegno e
nella sua trasposizione sulla matrice, il
fondamento estetico e concettuale su cui
costruire le sue opere pittoriche e plastiche.
Com’ebbe modo di affermare lo stesso
artista, “di qualsiasi cosa si tratti, di
scultura o di pittura, è solo il disegno che
conta”. Ognuna delle quattro sezioni in
cui è suddiviso il percorso espositivo, propone
un dipinto, un disegno o una scultura
particolarmente significativa per comprendere
il rapporto tra i diversi mezzi di
espressione.
88
Nel segno della Musa
Le interviste diM arilena Spataro
marilena.spataro@gmail.com
“Ritratti d’artista”
Maestri del ‘900
Girolamo ciulla:
Figure antropomorfe sospese tra sogno e realtà. Un racconto
fantastico che nasce dal mito e che diventa favola bella
Come è avvenuto il suo incontro
con l'arte, maestro, e
quale il clima che si respirava
agli esordi della sua
carriera?
«Il mio incontro ufficiale con il mondo
dell'arte è avvenuto all'incirca a metà degli
anni '80, quando incontrai in una galleria
di Catania, che al tempo frequentavo, il
gallerista Tiziano Forni, titolare dell'omonima
galleria a Bologna. Io sono di Caltanissetta
e “bazzicavo” diversi ambienti
artistici siciliani. Forni notò il mio lavoro
che gli piacque e cosi iniziò a promuovermi
nella sua città e un po' dappertutto
in Italia. Avendogli manifestato il desiderio
di conoscere cosa si faceva a Pietrasanta,
già allora considerata patria della
scultura in marmo, mi portò nella bella cittadina
toscana presentandomi allo storico
dell'arte Pier Carlo Santini e “affidandomi”
a lui, il quale poi mi sostenne e mi
aiutò nell'intenzione di rimanere a lavorare
a Pietrasanta. In quel periodo il mondo
dell'arte era carico di entusiasmo e di speranze.
Posso ritenermi fortunato di aver
vissuto appieno quella stagione entusiasmante
da cui ho tratto grandi insegnamenti
artistici e umani e da cui ho avuto
molto. A Pietrasanta, dove mi sono trasferito,
era tutto un fermento, la cittadina pullulava
di artisti famosi di livello internazionale
e di novità. Oggi molte cose
sono cambiate sia qui come altrove. Spero
si riesca a recuperare lo spirito che ci ha
animati in quegli anni. A Pietrasanta, come
del resto in tutta l'Italia, esistono le premesse
e i talenti artistici più che altrove
per ridare slancio alle arti figurative. Occorre
avere però tanta buona volontà e
umiltà per riuscire a riprendere le fila di
un discorso importante come quello che
ha segnato l'arte nel '900 e inizi anni
2000».
Per esprimersi lei ha scelto prevalentemente
il linguaggio della scultura, perché
e come nasce questa scelta?
«è davvero curioso il mio approccio con
la scultura poiché risale alla mia infanzia.
A proposito mi piace raccontarle un paio
di aneddoti: mio padre era custode di una
villa di certi signori di Caltanissetta e io e
la mia famiglia vivevamo lì. In quella zona
c'erano molti alberi che venivano tagliati
e il cui legno era poi lavorato da esperti artigiani.
Io li guardavo intagliare e mi provavo
a scolpire su dei rametti ma con
scarso successo. Intanto succedeva che a
scuola il mio maestro mi invogliava a disegnare,
visto che me la cavavo bene a fare
disegni mi comprava lui stesso i fogli su
cui realizzarli, non avendo i miei genitori
grandi possibilità economiche. Un po' la
passione e l'esercizio nel disegnare e un po'
la mia testardaggine mi diedero una mano
nel migliorare anche nella scultura in
legno. Prova e riprova cominciai a vedere
che i miei legni prendevano corpo diventando
delle figure. Si perché, fin dall'inizio,
il mio linguaggio si è orientato alla figura».
Cosa rappresenta per lei la scultura e
quali i materiali che predilige?
«La scultura nel mio caso è la forma e-
spressiva principale che ho scelto per fare
arte, poi c'è anche il disegno che amo
molto e che ho messo parecchie volte in
mostra, ma, innanzitutto, sono scultore. Il
materiale che prediligo è il travertino: ha
un morbidezza che mi consente di plasmare
un'immagine come meglio desidero
dandomi, appunto, la possibilità di realizzare
e di trasferire le mie fantasie e i mie
sogni nella materia dotandola di forza
espressiva. Lavoro comunque tutti i materiali,
dal bronzo al marmo, dalla pietra al
gesso, dalla terracotta al legno. Ho una
vera e propria passione nello sperimentare.
Pensi che da ragazzino andavo a raccogliere
i cocci in una località vicino Caltanissetta,
alla Sabucina, un vecchio sito
archeologico che era stato il luogo dove gli
antichi greci fondevano i loro lavori. Qui
c'erano in giro ancora migliaia di cocci di
quei lavori, io li raccoglievo e poi li lavoravo
con la terracotta e attraverso un procedimento
da me inventato realizzavo
delle strane sculture. Questo mi riempiva
di gioia, così come mi facevano gioire
delle bacheche, che ancora prima, quasi da
bambino, realizzavo utilizzando quei cocci
e che poi ingenuamente chiamavo museo
90
Ciulla. Racconto questo per far capire
come per me l'arte e la scultura siano state
fin da giovane, così come lo sono tuttora,
una manifestazione gioiosa e anche giocosa
per sperimentare e tradurre i miei
sogni su tutti i materiali possibili in una ricerca
tecnica e formale continua. La scultura
è la mia vita, è l'essenza del mio lavoro
artistico che, a sua volta, mi consente
di mettere in scena tutti quei sogni, desideri
e sentimenti che caratterizzano la mia
stessa esistenza».
Ci descrive come prendono corpo le sue
opere e quali sono i moventi artistici e la
poetica da cui esse nascono?
«Le mie opere prendono vita dalla mia
fantasia, da un immaginario che è fortemente
legato alla mia terra di Sicilia e ai
suoi miti. Sinceramente non mi è facile e
non è semplice esprimere a parole quello
che provo e che penso quando lavoro a
un'opera. Si tratta sempre di qualcosa che
mi porto dentro, che sento profondamente
e che desidero far conoscere attraverso la
mia arte. Un'arte dove io amo esprimere la
gioia che mi deriva dallo scolpire. Quando
lavoro, infatti, sono sempre colmo di
gioia, ad esempio scolpire la pietra, sia
essa di travertino o di altro materiale, è
un'operazione che mi esalta, comincio a
scavare dentro la materia togliendo quel
superfluo che impedisce di cogliere la
forma che già essa contiene, scavo per trovare
la sua essenza più intima, la sua
anima naturale. Ho sempre tenuto a imprimere
alle mie figure un senso di armonia
e positività, questo anche laddove rappresento
figure mitologiche drammatiche. Al
riguardo mi viene in mente la grande scultura
della dea Cerere, un mio monumento
collocato a Botticino in Sicilia, dove questa
figura mitologica l'ho voluta rendere in
tutta la sua forza simbolica di portatrice di
prosperità e ricchezza, come testimoniato
dalle spighe collegate al suo culto; le ho
inoltre conferito una gioiosità che nel mito
non sempre è presente. E' un lavoro che mi
è molto caro e che mi soddisfa molto, di
cui ho trasfigurato il mito sulla base della
mia visione che guarda al mondo nella sua
bellezza e gioiosità; è un'opera che mi rappresenta
e che rappresenta il mio modo di
sentire l'esistenza e di percepire l'arte».
Qual è il suo rapporto con il mondo dell'arte
contemporanea. Come vede la spettacolarizzazione
delle arti visive oggi tanto
di moda?
«Ringrazio quegli artisti che definiscono i
loro lavori come una rappresentazione
pura e semplice di un'idea. Io li seguo questi
artisti e quando vedo le loro opere mi
chiedo quale sia la loro idea che hanno voluto
rappresentare. Ma la risposta non la
trovo quasi mai, per cui non posso non
pensare che si tratti davvero di trovate
prive di qualsiasi senso artistico ed esistenziale,
nonchè di una qualsivoglia visione
del mondo. Spettacolarizzare l'arte non
porta a niente, a volte può portare a un facile
successo cui il tempo non credo che
poi darà ragione».
Qual è, a suo avviso, il futuro delle arti
tradizionali come la scultura in rapporto
alla arti di nuova generazione come arte
digitale, video art e tutte quelle manifestazioni
artistiche e visive legate all'uso della
tecnologia?
«Le tecnologie se utilizzate come strumento,
ad esempio le nuove macchine che
sbozzano il marmo, sono utili. Sebbene nel
caso specifico, ma credo anche in generale,
sul lavoro occorre poi che intervenga
la mano dell'uomo per renderlo completo,
nel caso della scultura è necessario, almeno
per quanto mi riguarda, intervenire
per conferirle quella forza espressiva che
la rende viva, che le dà un'anima. Quanto
agli altri tipi di arte dove si utilizzano le
tecnologie digitali non ho nulla in contrario.
Sono molto aperto in tal senso. Non
credo, però, che le forme artistiche tradizionali
possano considerarsi superate o superabili
dalla presenza di altre forme d'arte
a carattere digitale. L'arte è bella perchè è
infinita e si può esprimere in una infinità
di modi».
I suoi progetti futuri e, magari, un sogno
nel cassetto?
«Un progetto che ormai é una realtà, è un
grande monumento della ninfa Aretusa,
già completato e da installare a breve nella
città di Siracusa, un lavoro al quale tengo
molto, su cui ho lavorato intensamente e
con grande passione e che sento molto.
Prossimamente dovrei installare un'altra
mia opera monumentale in America. Di
sogni nel cassetto ce ne sono ancora tanti.
Li faccio uscire un po' per volta perché
hanno una loro preziosità. Importante è
continuare a nutrire sogni, un segreto che
vale nella vita come nell'arte e che dà un
senso alle cose. Senza mai dimenticare di
far uscire dal cassetto i sogni migliori,
quelli più belli».
92
IL cUORE NELL’ARTE
A MOMPEO
di Francesco Buttarelli
V
isitare una collettiva d’arte
porta inevitabilmente a
pensare all’antica Teogonia
di Esiodo ove la pittura,
ispirata ed ispiratrice
di poesia, porta alla luce i suoni e le voci
dell’umanità. Dipingere vuol dire ricordare
il passato ed anticipare il futuro:
metamorfosi e mimesi. Queste sensazioni
le ho provate nel castello Orsini
Naro di Mompeo, un ridente borgo della
provincia di Rieti, dove si è svolta una
significativa manifestazione artistica patrocinata
dalla provincia di Rieti, dal comune
di Mompeo, dell’associazione
culturale Arte Mondo e dal Centro Arte
Angioina di Cittaducale. La manifestazione
si è aperta con le significative parole
del sindaco del comune di Mompeo
Michela Cortegiani che ha posto l’accento
sul significato dell’arte citando il
grande artista Picasso, egli affermava
che “l’arte era in grado di scuotere dall’anima
la polvere accumulata nella vita
di tutti i giorni”. L’assessore alla cultura
Maria Angela Falà, oltre ad evidenziare
la necessità di ridare vita agli antichi
spazi del borgo ha evidenziato come in
ogni tela possa essere rappresentata la
vita interiore dei singoli artisti.
Il presidente dell’associazione Arte Mondo
Gianni Turina, fonte di una vasta
esperienza di amministratore (assessore
comunale e consigliere regionale), si è
espresso per una iniziativa culturale e
sociale, volta a coinvolgere il maggior
numero di persone , indirizzando il percorso
verso una solidarietà che solo l’arte
può garantire. Gli artisti che hanno
esposto le loro opere sono stati:
Lucio Afeltra, Franco Bellardi, Nestore
Bernardi, Angelica Bertoloni, Sandro
Bini, Ugo Bongarzoni, Nicholas Butler,
Alvaro Caponi, Stefania Carrabba, Giovanna
Cataldo, Enrico Di Sisto, Roland
Ekstrom, Ezio Farinelli, Luigi Guardigli,
Mario Granati, Ruggero lenci, Domenica
Luppino, Paola nobili, Alessandro
Melchiorri, Roberta Papponetti, Cecilia
Piersigilli, Stefania Pinci, Irena Podgorska,
Felice Rufini, Cesare Serafino, Albertino
Spina, Dante Turina, Gianni Turina.
Inoltre sono state esposte le opere
di: Remo Brindisi, Ennio Calabria, Marc
Chagall, Lin Delija, Salvatore Fiume,
Renato Guttuso, Domenico Purificato,
Aligi Sassu, Sandro Trotti.
La manifestazione è stata inoltre arricchita
dal contributo musicale dei “Laudesi
Farfensi”, un gruppo vocale costituitosi
nel 2017 dalla corale di Mompeo.
I suoi componenti sono diretti da Roberta
Duranti e dal maestro Filippo Tofani.
94
Giovanni Trimani
“Serie funky: talkbox” - 2015 - acrilico su legno - cm. 50 x 50 x 4,8
opera selezionata per il Progetto Tv Laboratorio AccA
Porto turistico di Roma - Loc. 876- Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - 00121 Roma
galleriaesserre@gmail.com
MOSTRA “LE DONNE NELL’ARTE”
DAL 24 MARZO AL 4 APRILE 2020
SAN D RA AN D REETTA -RO SSAN A CH IAPPO RI
M ARIA FAU STA PAN SERA -D AN IELA REBU ZZI
SA N D RA A N D REETTA
RO SSA N A C H IA PPO RI
“Passeggiando in un racconto” -2017
acrilico su tela -cm 100x70
M A RIA FA U STA PA N SERA
In un alternato
gioco di chiaroscuri
e di spazio
immaginario le o-
pere informali dell’
artista Sandra
Andreetta vibrano
di uno scenario
espressivo e
di una spiccata
comunicativa di
forte interiorità. Il
vasto respiro del
bianco concede
alla superficie della
tela un’autentica
luminosità
che vibra di una
pregnante e sensibile
poesia. L’artista, che sa tradurre in pennellate i suoi sentimenti,
inserisce magistralmente forme e colori in tutta la loro varietà rivelando
così notevoli effetti visivi, cromatici e segnici.
TesticriticidiM onia M alinpensa
(A rt D irector -G iornalista)
Artista di notevoli capacità
esecutive, Maria
Fausta Pansera
trasporta sulla tela il
valore intrinseco della
materia e libera un
linguaggio astratto in
cui il colore protagonista
presenta il fascino
istintivo e spontaneo
dell’azione luce-segno-forma.
E’
una pittura pregna di
umori costantemente
filtrata da una intimità
coloristica e da
una sapiente modulazione
lirica che, in
“A ntigone” -2017
tutto il loro potenziale
emotivo si ca-
acrilico,tecnica m ista su tela -cm 80x100
rica di una struttura contemporanea testimo ne del nostro tempo.
L’originale accostamento
della stoffa con
la pittura si rallegra
di un’armonia coloristica
assoluta e di
un’atmosfera fiabesca
che supera la realtà
per approdare
ad una dimensione
di grande animazione.
La struttura ben
controllata, il colore
carico di emotiva e la
solennità della materia
ad olio su tela
hanno un ruolo fondamentale
all’interno
dell’opera, quasi esclusivo.
La preparazione olio e collage ditessuti-cm 75x100
“G arden party” -2020
della tecnica mista olio su collage in tessuto dà vita ad una descrizione
di notevole capacità tecnica e ad una espressione pittorica
raffinata.
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel +39.011.5628220 - +39.347.2257267
w w w . l a t e l a c c i a . i t - i n f o @ l a t e l a c c i a . i t
D A N IELA REBU ZZI
Il forte legame con
la materia e il suo
costante recupero
sono elemento vitale
nell’iter dell’artista
Daniela Rebuzzi,
che si fanno sostanza
creativa e
che sviluppano profondi
contenuti tanto
da evidenziare
un’inventiva e un’abile
manualità che
si distinguono inequivocabilmente.
L’artista Rebuzzi con
un suo stile del tutto
contemporaneo
imprime sulla superficie
dell’opera “Le alidella solitudine” -2018 -com posizione di
pium e ritagliate da tela dipinta a olio -cm 90x100
una struttura compositiva
affascinante tanto da sedurre di continuo il fruitore.
Mostra a cura di Monia Malinpensa
reFerenZe e QuotaZioni presso la Malinpensa Galleria d’arte by la telaccia
O RA RIO G A LLERIA :D A L M A RTED I A L SA BATO D A LLE 10,30 A LLE 12,30 -16,00 A LLE 19,00
96
Biografie d’Artista
a cura di Marilena Spataro
Grazia Barbieri
“Circe”
Grazia Barbieri è nata a Bologna il 27 Agosto del 1959,
dove ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte e conseguito
il diploma di maestra d’Arte in pittura. Per
quasi un ventennio non dipinge limitandosi a qualche
ritratto a pastello, fino all'incontro con la maestra d'arte Irma Fiorentini
e la frequentazione, con buoni risultati, dei suoi corsi di
“Trompe l' öeil”, il che le dà un nuovo impulso e fiducia nelle proprie
capacità così tanto avvilite durante l’adolescenza. Collabora
con la maestra, esegue lavori su commissione ed infine si riavvicina
alla sua grande passione che è il ritratto. Solo negli ultimi anni ha
partecipato a mostre collettive e personali, ottenendo il consenso
del pubblico e della critica e conseguendo alcuni premi. Preferisce
definirsi un artigiano più che un’artista, sostenendo di “copiare la
realtà così come la vede scevra da qualsivoglia interpretazione”.
Mostre e rassegne d’Arte recenti: collettiva “A proposito
di tutte queste signore” presso la Galleria Pontevecchio
di Imola, 2019. Vincitrice, sezione pittura, Premio
d'Arte Caterina Sforza 2019 LOGOS/RIOLO TERME.
Dicembre 2019. Mostra collettiva “Sotto una BUONA
stella”, spazio d'arte LOGOS, Sant'Agata sul Santerno
(RA), 2019-2020, personale “La femme d’à coté”, Galleria
De Marchi, Bologna, 2020.
Hanno scritto di lei:
Alberto Gross, Giovanni Scardovi, Marilena Spataro.
M O ST R A PER SO N A LE
BIA N C A SA LLU STIO
D A L 12 A L 23 M A G G IO 2020
“Le Meduse” - olio su tela - 2019 - cm 100x70
Mostra a cura di Monia Malinpensa
reFerenZe e QuotaZioni presso la Malinpensa Galleria d’arte by la telaccia
Malinpensa by La Telaccia - Corso Inghilterra, 51 - 10138 Torino
Tel +39.011.5628220 - +39.347.2257267
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O RA RIO G A LLERIA :D A L M A RTED I A L SA BATO D A LLE 10,30 A LLE 12,30 -16,00 A LLE 19,00
98
Contatti
Marcella Curcio
ARTE CONTEMPORANEA
via Colombo, 32 Noli (SV)
tel. 347 9192728
iotipresento@gmail.com
Carla
Costantini
Giorgio
Ottolia
Rita
Brunodet
Gabriele
Maquignaz
Enzo
Gadioli
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Marcella Curcio Arte
Contemporanea
Galleria d’arte contemporanea - Noli
via Colombo, 32 Noli (SV)
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comunicazione
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Althair*
Patrizia
Danna
Patrizia
Danna
Carla
Costantini
Eugenio
Giaccone
100
I Tesori del Borgo
Bertinoro, il borgo dell’ospitalità,
dell’amore e della cortesia: parola
di Dante Alighieri
Apochi passi dalla costa adriatica,
fra Rimini e Bologna,
si trova Bertinoro, il “Balcone
della Romagna” per
via della magnifica vista che si spinge
verso il mare. Tipico esempio di borgo
medievale ben conservato, Bertinoro si
racconta ancora oggi tra mura, torri, palazzi
storici, vicoli acciottolati e scorci di
altri tempi. Piazza della Libertà, con l'antica
Torre dell'Orologio, la facciata ornata
di merlature di Palazzo Ordelaffi e l'importante
cattedrale dedicata a Santa Caterina
d'Alessandria segnano ancora oggi
la storia del borgo, che ha l'ospitalità al
centro della vita della comunità, come testimonia
la Colonna dell'Ospitalità posta
nel cuore del paese.
Quando Dante, all’inizio dell’esilio, trovò
rifugio in Romagna, Bertinoro era un
borgo fortificato, sovrastato da una delle
più formidabili rocche costruite dagli Ordelaffi,
signori incontrastati di Forlì e
strenui oppositori al potere temporale
della Chiesa. Dante soggiornò per un lungo
inverno nella Rocca di Bertinoro. Dalle
torri di quel maniero, costruito con lo
spungone (la pietra di origine marina tipica
di Bertinoro), scrutava all’orizzonte
il castello della famiglia irrimediabilmente
guelfa dei Da Polenta e la “marina
dove il Po discende”: qui prendeva corpo
la nobile e dolente figura di Francesca,
unita in eterno a un destino di amore e di
morte a Paolo Malatesta, signore cadetto
della città di Rimini che, all’epoca, come
oggi, nelle giornate limpide si affaccia a
scrutare Bertinoro. Ma altri “lucidi fantasmi”
bussarono alla mente di Dante, in
quel lungo inverno bertinorese: nei racconti
intorno ai fuochi dei camini, riprendevano
vita gli spiriti di Riniero da Calboli
e di Guido del Duca. Dante li immortalerà
in uno dei canti più splendidi del
poema: invidiosi, cuciti con il filo di ferro
al loro peccato e addossati a una parete di
roccia livida, così come è lo spungone.
Dietro le palpebre cucite dal fil di ferro,
Guido del Duca piange il mondo dove “le
donne e’ cavalier, li affanni e li agi” invogliavano
“amore e cortesia”: piange,
perché il migliore dei mondi possibili,
dove non è più necessario essere buoni,
sarà sempre riarso dall’invidia. Il popolo
bertinorese è fatto di una pasta diversa e
non si sofferma su queste cupe memorie:
al contrario, ama la bellezza in ogni sua
forma e la sa riconoscere là dove si manifesta.
Terra in passato povera, Bertinoro
non ha mai rinunciato ad avere soddisfazione
in ogni ambito dell’esistenza. Così,
tra le fine del XIX e l’inizio del XX secolo,
alcuni coraggiosi e sognatori (dopo
tutto siamo in Romagna) allievi del Carducci,
tra tutti Paolo Amaducci e Luigi
Gatti, rileggono gli antichi commentatori
della Commedia e vi trovano, legata proprio
a Bertinoro, la leggenda della Colonna
degli Anelli, simbolo dell’ospitalità
gratuita offerta dal popolo bertinorese a
tutti i pellegrini d’Europa diretti a Roma
e a Gerusalemme. Questi quattro amici,
seduti all’osteria con davanti un buon bicchiere
di Albana, si sono detti: “E se provassimo
a ricostruire la Colonna degli
Anelli?”. Oggi diremmo che intorno a
quel tavolo di osteria si stava facendo
marketing territoriale, ma se guardiamo a
Ufficio Turismo Bertinoro - tel. 0543 469291
102
che cosa quel progetto, nato intorno alla
Commedia, ha generato, ci leveremmo in
piedi per rendere onore a quei quattro
amici: un’intera economia, legata all’ospitalità,
all’enogastronomia e alla cultura,
ruota intorno alla severa fisionomia della
Colonna degli Anelli che veglia sulla vita
del popolo bertinorese.
Quindi è vero, come diceva un triste ministro,
che con la Commedia non ci si può
fare un panino, ma una piadina con prosciutto
(crudo naturalmente), squacquerone
e un abbondante calice di Sangiovese
invece sì. Anche la Rocca di Bertinoro
non è più l'austero maniero che ospitò
Dante: alla fine del XVI secolo, anche
i vescovi non vollero rinunciare alla loro
parte di bellezza e, ricostruendola, decisero
di farne il proprio palazzo. Oggi al
suo interno si trova il Centro Residenziale
Universitario di Bertinoro che, con i suoi
corsi di Alta Formazione, aperti a partecipanti
provenienti da tutto il mondo, rinnova
l’antica ospitalità bertinorese. Sempre
all’interno della Rocca si trova il Museo
Interreligioso dedicato al dialogo tra
Ebraismo, Cristianesimo e Islam: a prima
vista un museo dedicato non ad una, ma
addirittura a tre religioni, sembrerebbe
una contraddizione in terra di “mangiapreti”
come si definisce la Romagna. Siamo,
però a Bertinoro, e missione del popolo
bertinorese nel mondo è restituire dignità
a tutto quello che è umano in nome
dell’ospitalità: quindi anche per il buon
Dio c’è posto a tavola, magari intorno ad
una zuppiera piena di tagliatelle fumanti,
per discutere del buon e del vero, che rendono
autentica la vita.
Silvana Gatti
“La dea del mare” - 2020 – Olio su tela – cm 30 x 40
L’artista ha partecipato alla rassegna Musica per gli occhi presso l’associazione culturale Galfer20 a
Torino.
Catalogo a cura di Willy Darko. Mostra a cura di Sofia Fattorini.
Dal 19 al 21 giugno Silvana Gatti esporrà presso le
salette delle ex-scuderie della Tesoriera, in corso Francia 192 a Torino
S I LVA N A G AT T I - P I T T R I C E F I G U R AT I VA & S I M B O L I S TA
Vi a l e C a r r ù , 2 - 1 0 0 9 8 R i v o l i ( TO )
h t t p : / / d i g i l a n d e r. l i b e r o. i t / s i l v a n a g a t t i
e m a i l : s i l v a n a m a c @ l i b e r o. i t
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“Festival” - 2008 - collage su carta (3 elementi) - cm 70x200
Giulio Paolini
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Firenze 50125 - Antichità - Via Maggio, 40/r - Tel. +39 055 2670260 - antichita@tornabuoniarte.it
Andrea Bassani
“7 tele gialle” - legno sagomato con tela applicata - cm. 50 x 50
opera selezionata per il Progetto Tv Laboratorio AccA
Porto turistico di Roma - Loc. 876- Lungomare Duca degli Abruzzi, 84 - 00121 Roma
galleriaesserre@gmail.com
Massimo Pennacchini
e gli Idoli.
Una storia più attuale che mai.
“Apollo e Dapne” - 2019 - tecnica mista su tela - cm. 140 x 90
“Flora” - 2020 - tecnica mista su legno -cm 50 x 50
Miti, idoli, storia, leggenda
e pittura. è l’ultimo e più
recente degli approdi di
Massimo Pennacchini,
pittore ed artista dalle radici ben affondate
nel contemporaneo e nello studio
della classicità. Roma e la sua ricchissima
storia millenaria lo aiutano fornendogli
materiale su cui agire nel suo
ultimo intento, quello di omaggiare con
garbo compositivo, intelligenza creativa
e ironia sottile le divinità antiche, senza
per questo spingersi a discuterne l’essenza,
ma ricordando quanto l’uomo
abbia avuto bisogno, e ne ha sempre, di
agganciare i suoi pensieri alla presenza
del divino, che finisce per diventare prevalentemente
idolo e moltiplicare la sua
immagine per mano degli stessi uomini,
come accade per quello che da un bel pò
si chiamano “icone pop”. A guardare le
sue opere dedicate agli Idoli non si rimane
solo piacevolmente colpiti dalla disinvoltura
delle sue operazioni artistiche,
che agghindano e fortificano immagini di
divinità, condottieri, imperatori e grandi
figure della storia. Si ripassa mentalmente
quanto appreso fantasticando dai
banchi di scuole. E allora la sua interpretazione
della bella divinità chiamata
Flora diventa ancor più popolare e gradevole,
più attuale e ficcante di quanto non
lo sia stato per chi la adorava ai tempi
della antica Roma. Tra i Flàmini minori
(sacerdoti addetti al culto di una divinità)
il Flàmine floreale deve aver riscosso un
discreto successo, fortificato dagli Arvali,
il collegio sacerdotale di origine patrizia
che invocava anche Flora nelle cerimo-
“Frida Kahlo” - 2019 - tecnica mista su legno -cm 50 x 50
nie. Flora è nome storpiato per pronuncia,
per i greci era Clori. Era la divinità della
fioritura dei cereali e di tutte quelle piante
che danno cibo o bevande all’uomo. Il
tempo ne fortificò l’immagine di divinità
della primavera. Attualizzando il mito, attrezzando
la divinità con le policromie
dei suoi fiori e della sua tavolozza gradevole
e fermamente contemporanea, Pennacchini
irrobustisce il concetto di popolarità
di una immagine e rende automatica
la curiosità dell’indagare sul soggetto
rappresentato, ripropone le sue figure in
una chiave attuale e figlia delle precedenti
esperienze di artista, incuriosisce e
conquista. Ma non è la sola, Flora, a cadere
nella rete di un pittore catalizzatore
e vivace come Pennacchini. Lo sono e lo
saranno quegli idoli che hanno percorso
millenni di storia nella loro integrità fornitaci
dalle immagini dei musei, dai libri
di storia e dal fascinoso mondo dell’immagine.
èikon, dicevano i greci. Icona
come immagine, come rappresentazione
dell’invisibile quanto estremamente popolare
e adorato. E così anche le grandi
opere del passato, popolari quanto difficilmente
viste da vicino, prendono la via
delle elaborazioni felici di Pennacchini.
In questo, è un artista che si distacca dalla
ricerca, a volte ridondante oltremodo, di
chi ha elaborato opere dedicate agli idoli
attuali, lasciandosi prendere troppo dalla
furiosa contemporaneità. L’artista romano
cerca di riportare in auge figure largamente
più note in tempi lontani o lontanissimi,
quando internet non poteva
neppure essere immaginato e la tradizione
orale o scritta affiancava il lavoro
degli scultori e degli artisti a cui era assegnato
il compito di eternare una figura
attraverso la sua immagine. Modernità ra-
“Monnalisa” - 2019 - tecnica mista su legno -cm 50 x 50
gionata e colta, quella di Pennacchini, figlia
di un percorso ricchissimo di esperienze
internazionali. Parente stretta di
esperienze in passato dedicate alla sensualità
del tango (in Argentina il successo
delle sue opere fu enorme) che lo portò
ad essere definito “Il pittore del tango”.
O di ricerche importantissime, come
quando gli fu assegnato il compito di rappresentare
l’Italia in Cina per celebrare il
Cammino di Marco Polo (2011). Oppure
derivata dal tempo in cui fu scelto per
rappresentare la cultura italiana negli aeroporti
del mondo. E così Fiumicino,
Malpensa, il JFK di New York videro le
sue opere decorare le sale frequentate da
milioni di persone incuriosite. Un cammino
mai domo, ricco di innovazione e
sfide affrontate in giro ovunque e senza
tregue, con la consapevolezza di misurarsi
in avventure sempre nuove e la certezza
di poter dire la propria sfoderando
le armi di una profonda conoscenza tecnica
e della ispirazione guidata da studi
severi. Non è certo uno che guarda alla
consacrazione del successo come ad un
approdo. Pennacchini prende ognuna
delle sue tappe come uno stimolo, un invito
a fare meglio. Il suo è, nel senso più
profondo del termine, un reale work in
progress. Ci aspettiamo nuove idee, nuove
e ancor più ricche apposizioni di colore
e vitalità. Dopo aver reso giustizia
alle impolverate divinità dei romani, alle
arrugginite corazze dei condottieri, chissà
cosa altro ci riserva Massimo Pennacchini.
Disinvolto e coerente artista dalla
ricerca incessante.
Giorgio Barassi
2.0
AccA Edizioni
Anno 12° - FEBBRAIO / MARZO 2020
86° Bimestrale di Arte & cultura - € 3,50
Massimo
Pennacchini
e gli Idoli
di Giorgio Barassi