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l SUTOR ART

La berlinese Saskia Wittmer, formata nelle migliori

botteghe tra Amburgo e Firenze, dal 2000

realizza scarpe da sogno nella città del Giglio

DI ALESSANDRO BOTRÉ

FOTO DI LAILA POZZO

Rinascimento

TEUTONICO

Saskia Wittmer mostra il suo fiore all’occhiello: lo stivaletto in pelle e scamosciato allacciato con bottoni laterali in madreperla. Molto

richiesto da arabi, inglesi e asiatici, è difficilissimo da realizzare in quanto una volta chiuso deve aderire perfettamente alla caviglia,

senza la possibilità di essere regolato come le scarpe stringate. Sullo sfondo, parte delle circa 400 paia di forme in resina dei clienti.

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Sin dall’età di tre anni, tutte le vetrine dei negozi

di scarpe di Berlino Ovest erano sue. Quando ci

passava davanti, la piccola Vivian Saskia Wittmer

doveva assolutamente fermarsi a contemplare la bellezza

di quei manufatti in cuoio. Si sa che le calzature hanno

un forte ascendente su quasi tutte le pulzelle, ma per lei era diverso:

la sua era un’autentica Berufung, una vocazione. Dalla chioma ruggine

come quella della moglie del pittore fiammingo Rembrandt, di

nome Saskia appunto, di cui sua mamma era appassionata,

la futura Maßschuhmacherin, calzolaia

su misura, frequenta la scuola Steiner a Berlino,

dove impara a coltivare la spiritualità e la

manualità. Dopo il diploma inizia l’apprendistato

in bottega con il maestro Benjamin Klemann,

secondo lei il numero uno in Germania.

Klemann, che aveva imparato la tradizione da

SI RESPIRA ARIA

DI BUONO,

DI PRECISIONE,

DI MUSCOLI

TESI E SERENITÀ.

AL CENTRO

DI TUTTO C’È IL

BENESSERE

DEL CLIENTE

un calzolaio ungherese per poi affinare il suo stile elegante in Inghilterra

con Foster e Lobb, trasmette questo suo patrimonio a Saskia in

un luogo idilliaco nel verde fuori Amburgo, davanti a un laghetto

che ispira apprendimento e creatività. Quindi la giovane entusiasta

parte alla volta di Firenze nel 1996, per lavorare con Stefano Bemer,

quindi decide di coronare il suo sogno di sempre: aprire una propria

bottega. Lo fa nel 2000. All’inizio era solo una stanza al civico 24/r

di via di Santa Lucia, a due passi da Santa Maria Novella. In barba

ai tanti detrattori che si stupivano di come una donna pretendesse

di fare scarpe da uomo a mano su misura, quella stanza sono poi diventate

due. Vi si respira aria di buono, di concentrazione, di astrazione,

di muscoli tesi, di precisione, di serenità.

All’ingresso della bottega, Saskia espone i modelli base, che sono

delle idee, dei punti di partenza. Dopo di che lei può fare tutto, come

un’Atena discesa dal Brandeburgo nella città del Rinascimento.

«È molto importante il rapporto con la persona, immergersi nel

suo mondo, farsi spiegare a cosa servirà la scarpa, dove vive, per fare

il prodotto migliore per lui», racconta. «È importante ascoltare: come

nella sartoria, spesso ciò che vuole il cliente non corrisponde alle

esatte misure prese. Non bisogna solo misurare la pianta, prendere

appunti, schizzare disegni, ma usare le mani sul piede del cliente per

ricostruire mentalmente la forma che lui vuole. Non capisco chi fa i

trunk show in giro per il mondo prendendo 10 misure al giorno, per

mandarle in azienda a qualcuno incaricato di fare le forme pur non

avendo mai visto i piedi. Secondo me non è possibile. Un bravo calzolaio

lo riconosci se sa veramente fare le forme». Saskia pensa al benessere

del cliente, partendo dal presupposto che chi ha un piede veramente

particolare se non si rivolge a un autentico su misura, non

indosserà mai scarpe comode in tutta la sua vita. Circa la metà dei

clienti entra con le idee chiare, ma l’altra metà non sa esattamente

cosa cerca e va guidata. Tra i modelli più richiesti ci sono le classiche

francesine cap toe, quelle a pezzo unico, quelle più informali con un

In alto, da sinistra, alcune forme. La forma base in resina, materiale che resiste bene nel tempo, viene modificata a seconda del piede del cliente:

se è largo si aggiunge il sughero, se è magro si lima; Saskia marchia le suole con le iniziali del proprietario; sul tavolo di lavoro, alcuni strumenti

e cristalli di quarzo per favorire quiete e concentrazione. A lato, alcuni modelli, filanti ed equilibrati: stivaletti, mocassino e francesina bicolore.

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LAVORO DI SQUADRA

A fianco, Claudia e Izumi al lavoro. In

questa pagina: 1. Claudia prepara la

soletta lavorandola con la trincetta.

2. Saskia cuce il guardolo con lesina,

ago e filo: tomaia, fodera, contrafforte

e soletta sono passati con il filo di lino

impermeabilizzato. Il tutto è bagnato,

affinché poi si asciughi sulla forma.

3. Izumi cuce la suola e il guardolo,

sempre con spago di lino impermeabile.

4. Una volta incollata la suola, viene

cucita lungo il canale che si è creato.

5 e 6. Izumi chiude il canale della

cucitura Goodyear con la cera; il solco

viene poi lisciato. La suola è ora finita,

manca solamente il tacco, formato

da strati di cuoio incollati e inchiodati.

7. Rifinitura del tacco: dopo aver

applicato sapone e acqua, Saskia passa

il bussetto, precedentemente scaldato

su di una fiamma, per chiudere i pori.

8. Saskia rifinisce il guardolo

passandolo con la rotella.

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LA PRIMA

PROVA VIENE

EFFETTUATA

CON LA SCARPA

VERA, NON

COMPLETATA:

COSÌ LA

PERCEZIONE

È REALE

disegno sul retro, e naturalmente il mocassino classico, con nappina

o altre decorazioni, ma anche lo stivaletto in pelle e scamosciato, allacciato

con i bottoncini in madreperla laterali, difficilissimo da realizzare

in quanto una volta chiuso deve aderire perfettamente alla

caviglia, senza la possibilità di regolazione delle stringate. Le proporzioni

dei modelli non sono matematizzate, bensì sono interiorizzate,

e andranno poi adattate a ciascun piede. La forma del piede costa

500 euro e le scarpe partono da 3mila euro. Il tempo di realizzazione

è otto mesi, fattore che esclude una clientela

frettolosa. Si fa almeno una prova, già con la

scarpa definitiva costruita a metà. Saskia spiega

perché: «Quando al contrario si fa una prova

con la scarpa non definitiva, si usa un pellame

che non è quello finale, ma di qualità inferiore,

quindi è falsata perché si avrà una calzata molto

più morbida, che non ti stringe da nessuna parte».

Per il primo appuntamento si calcola almeno un’ora, ma c’è anche

chi rimane dieci minuti o tre ore. Tra i pellami, pancia di cammello,

morbido e caldo per l’inverno, vitello svizzero, capretto, molto

lucido, canguro fine per le scarpe estive, squalo, elefante. Proprio

una richiesta delle più particolari sono stati degli stivali in elefante:

due russi che fanno caccia grossa in Africa, con giacche e pantaloni

sartoriali. «Mi è venuto in mente il film La mia Africa», racconta

Saskia. «Gli ho fatto vedere delle foto e sono rimasti colpiti. Ho

dovuto fare in modo che non si agganciassero ai cespugli, che non

entrassero sporco e acqua. Impunture a mano, fermo per le stringhe,

peso di circa 2,5 kg a stivale, suola Vibram, cucitura norvegese.

Non pensavo li usassero sul serio, invece uno dei due è già tornato

due volte a risuolarli! È andato a correrci prima di usarli, per

ammorbidirli. Una volta un serpente lo ha attaccato ma i due strati

di elefante e i due di fodera di vitello sul lato esterno hanno fermato

i denti». Altre richieste degne di menzione: il milanista che

voleva le scarpe nere con le cuciture rosse e l’arabo che fa 16 paia

di uno stesso stivaletto in colori diversi, una per ogni casa, più le

scarpe bianche da abbinare all’abito della festa.

O ancora l’americano che porta la foto delle scarpe che aveva 25 anni

fa e che non riesce più a trovare. Il 90% dei clienti sono uomini,

quasi tutti stranieri, le poche donne chiedono scarpe basse semplici

nordeuropee, dato che il tacco va di moda prevalentemente in Italia.

In bottega con Saskia ci sono due ragazze: la giapponese Izumi, con lei

da quasi dieci anni, e la fiorentina Claudia, apprendista da poco più

di un anno. L’apprendistato dura tre anni, come in Germania, dove

poi però bisogna farne altri tre di gavetta per poter dare l’esame da

maestro e aprire la propria bottega e insegnare. «In Italia invece dopo

un corso di qualche mese puoi aprire un negozio», commenta Saskia.

«Ci vorrebbe un’organizzazione più ampia: i giovani devono capire

che fare l’artigiano non è un lavoro di livello basso, anzi. Si risolverebbe

anche parte del problema della disoccupazione giovanile».

Da sinistra, due stravaganti modelli in tessuto e piume; altri esempi di calzature; alcuni dei pellami disponibili: squalo, canguro,

cordovan, suede, elefante, cammello, capretto. A lato, Saskia Wittmer tra i modelli esposti all’ingresso, che servono a visualizzare

colori e consistenze del pellame su una scarpa finita (via di S. Lucia 24r, Firenze; tel. 055.293291; saskiascarpesumisura.com).

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