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MAP - Magazine Alumni Politecnico di Milano #7

Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 7 - Primavera 2020

Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 7 - Primavera 2020

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La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Numero 7 _ Primavera 2020

Tutti i numeri del 5 per mille - Il piano strategico 2020-2022 - Politecnico Mondiale - Il Politecnico in m² - Design lunare - Big Data,

processori e CrossFit: benvenuti al NECSTLab - Polifab, la nostra officina “pulita” - La ricerca politecnica ad alto impatto sociale - 180 anni

sui binari della storia - AirLite: la prima vernice che purifica l’aria ad arte - Yape: l’ultraleggero che ha fatto strada, fino al Giappone - Il

pranzo è servito, dalla stampante 3D - La Grande Muraglia Verde - 150 anni di scienza in una copertina - Luci (politecniche) a San Siro -

La nuova stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni: un ponte Politecnico fra storia e futuro - Quando lo Sport è un valore, d’Ateneo -

Un giorno da studente - Stato dell'arte dei cantieri del Poli - Mario Silvestri, l’atomo italiano per la pace - Si fa presto a dire “polipropilene”

1


2


Ferruccio Resta e il Politecnico di domani • Dossier: i numeri del Poli • La nuova piazza Leonardo • Renzo Piano: 100

alberi tra le aule • Gian Paolo Dallara e DynamiΣ: la squadra corse del Poli • PoliSocial: il 5x1000 del Politecnico di

Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura

tra luce e materia • Paola Antonelli, dal Poli al MoMA di New York • Zehus Bike+ e

Volata Cycles, le bici del futuro • Paolo Favole e la passerella sopra Galleria Vittorio Emanuele • Marco Mascetti:

ripensare la Nutella • I mondi migliori di Amalia Ercoli Finzi e Andrea Accomazzo • Nel cielo con Skyward e Airbus

Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante

geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta

il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura

italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa

• Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo

1 MAP Magazine Alumni Polimi

Quando ero studente al Poli • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza • Dove si costruisce il futuro del mondo • Poli da Olimpo • Mi

ricordo la Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel tempo • Speciale Forbes: Lorenzo Ferrario,

Gio Pastori • Big (Designer) Data • L’architetto, e il suo bracciale, salvavita • L’ingegnere che pulisce gli oceani • Il nuovo Cantiere Bonardi di

Renzo Piano • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Politecnico • Alumni da Podio: Fabio Novembre, Stefano Boeri • Tutte

le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • PoliHub, l’incubatore di talenti • 1968-2018 in Piazza Leonardo • Lettere alla redazione

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Alumni, il biglietto da visita del Politecnico di Milano - Il Poli sotto la lente d'ingrandimento - Dove va il tuo 5x1000: il Poli per il

sociale - Qui costruiamo il mondo del futuro - Un ingegnere in sala operatoria - Il primo italiano nell’Olimpo dei data scientist -

Made in Italy che fa impazzire il Giappone - Aerei per il futuro - Come ci cureremo nel futuro? - I Navigli del domani - Aeroporto

Marco Polo: destinazione 2027 - Viaggio verso Mercurio Bepicolombo - Campus Bonardi: come sarà nel 2020? - La Gazza del Poli -

Il Mondo Nuovo: un paese senza barriere - La ciclopista più bella del mondo - Tuv Italia - Storia di un fuorisede, di una volta

1

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Il Poli ai raggi X - Milano si rifà il look - 5 nuove cattedre per il mondo che cambia - Qui costruiamo il mondo del futuro, parte 3 - CIRC eV,

l'economia circolare gira al Politecnico - Galleria del vento - La diversity è pop - L'ingegnere con la testa fra gli asteroidi... - ...E l'ingegnere del

Il Poli sotto la lente d'ingrandimento - Ricerca a alto impatto sociale - Qui costruiamo il mondo del futuro, parte 2 - Un ingegnere in sala

tempo La mano robotica, umana - Infineon - Fabio Cannavale, serial startupper - Mappa di Milano (e dei progetti degli alumni) - Bovisa a

operatoria - Il primo italiano nell’Olimpo dei data scientist - Made in Italy che fa impazzire il Giappone - Il cielo (non) è il limite - Come

colori - Polimisport: sempre in movimento - Giuriati, il centro sportivo si riqualifica al centro del Poli - Anno nuovo, reunion 20 - I giorni di Natta

ci cureremo nel futuro? - I Navigli del domani - Aeroporto Marco Polo: destinazione 2027 - Viaggio verso Mercurio - Milano: come sarà nel

2020? - La Gazza del Poli - Il Mondo Nuovo: un paese senza barriere - La ciclopista più bella del mondo - Storia di un fuorisede, di una volta

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La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Il Poli ai raggi X - Milano si rifà il look - 5 nuove cattedre per il mondo che cambia - Qui costruiamo il mondo del futuro, parte 3 - CIRC eV,

l'economia circolare gira al Politecnico - Galleria del vento - La diversity è pop - L'ingegnere con la testa fra gli asteroidi... - ...E l'ingegnere del

tempo - La mano robotica, umana - Infineon - Fabio Cannavale, serial startupper - Mappa di Milano (e dei progetti degli alumni) - Bovisa a

colori - Polimisport: sempre in movimento - Giuriati, il centro sportivo si riqualifica al centro del Poli - Anno nuovo, reunion 20 - I giorni di Natta

1

Buona lettura.

Bentornati sulle pagine di MAP, la rivista degli

Alumni del Politecnico di Milano.

Nel 2020 ci aspetta un anno eccezionale e, tra le

cose da ricordare, ricorre il centenario della nascita

dell’Alumnus Vico Magistretti, celebre designer che

progettò la lampada Eclisse che vedete ritratta

in copertina. Magistretti scriveva: “La semplicità

è la cosa più complicata del mondo". L’abbiamo

scelta perché rappresenta anche il nostro sforzo

di raccontarvi la realtà molteplice delle esperienze

politecniche: una realtà eclettica, con una esplicita

tensione all’innovazione, pur nel rispetto delle sue

missioni e tradizioni.

È una tensione spiegata bene dalle parole del

rettore, che in questo numero fa il punto sugli

obiettivi del primo triennio del suo mandato, con

un’analisi dettagliata di quanto è stato fatto.

Vi invitiamo quindi ancora una volta in questo

viaggio attraverso la Didattica, la Ricerca, la

Responsabilità sociale, che sono le chiavi di

lettura che trovate in questo numero. Il viaggio

continua con le storie degli Alumni, dove il fil

rouge è il forte impatto che voi, col vostro lavoro

quotidiano, avete nel panorama dell’Industria

italiana, nel territorio di Milano e dell’Italia,

e nel Mondo. Con On Campus scattiamo una

sfaccettata fotografia che ritrae cosa voglia dire

essere studenti e vivere ogni giorno i luoghi del

Poli, oggi. Vi ritroverete, infine, nella sezione

Community, lo spazio che riserviamo alle vostre

voci (c’è anche un'importante errata corrige del

numero scorso).

Buona lettura!

Federico Colombo

Direttore Magazine Alumni Politecnico di Milano

Dirigente area ricerca, innovazione e rapporti con le imprese

MAP

Magazine Alumni Polimi

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

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La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Numero 1 - Primavera 2017

Numero 3 _ Primavera 2018

Numero 4 _ Autunno 2018

Numero 5 _ Primavera 2019

Numero 6 _ Autunno 2019

Numero 6 _ Autunno 2019

Numero 6 _ Autunno 2019

N°1 - PRIMAVERA 2017

N°2 - AUTUNNO 2017

N°3 - PRIMAVERA 2018

N°4 - AUTUNNO 2018

N°5 - PRIMAVERA 2019

N°6 - AUTUNNO 2019

N°7 - PRIMAVERA 2020

PROSSIMO NUMERO

N°8 - AUTUNNO 2020

Unisciti ai 1900 Alumni che rendono possibile la redazione,

la stampa e la distribuzione di MAP.

Modalità di pagamento:

Contributi annuali possibili

· On line: sul portale www.alumni.polimi.it

· Bollettino postale: AlumniPolimi Association – c/c postale: n.46077202

Piazza Leonardo da Vinci 32, 20133 Milano

· Bonifico bancario: Banca popolare di Sondrio Agenzia 21 – Milano

IBAN: IT90S0569601620000010002X32

BIC/SWIFT: POSOIT2108Y

Standard Senior

· Presso il nostro ufficio: Politecnico di Milano, piazza Leonardo da Vinci, 32. Edificio 1, piano terra

Da lunedì a venerdì dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 14:00 alle 16:00

70 € 120 € 250€ 500€

Silver

Gold

3


MAP

Magazine Alumni Polimi

La rivista degli architetti,

designer, ingegneri

del Politecnico di Milano

1. DAL RETTORATO

6

14

Federico Colombo

Dirigente Area Ricerca, Innovazione e Corporate Relations,

Politecnico di Milano

Chiara Pesenti

Dirigente Area Comunicazione e Relazioni Esterne,

Politecnico di Milano

Membri del Comitato Editoriale

Alessio Candido

Communication and graphic designer

AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano

Ivan Ciceri

Fundraising Manager

Politecnico di Milano

Luca Lorenzo Pagani

Communication Manager

AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano

Francesca Saracino

Head of CareerService

Politecnico di Milano

Diego Scaglione

Head of Corporate Relations and Continuing

Education - Politecnico di Milano

Irene Zreick

Coordinamento editoriale MAP

AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano

Better Days srl (www.betterdays.it)

TUTTI I

NUMERI

DEL 5X1000

8

POLITECNICO:

A CHE PUNTO

SIAMO

2. DIDATTICA

POLITECNICO

MONDIALE

20

IL POLI IN m²

3. RICERCA

32

4

Progetto grafico: Stefano Bottura

Caporedattore Betterdays: Valerio Millefoglie

Redazione: Carmela Menzella, Giulio Pons, Elisabetta

Limone, Vito Selis, Paola Delicio

Impaginazione: Matteo Gerli, Giulia Cortinovis

Crediti

Si ringraziano: la Fondazione FS Italiane per le foto

da pag. 46 a pag. 49. Lo Studio fotografico Enrico

Cano per la foto a pag. 93. La famiglia del Prof. Mario

Silvestri per le foto alle pagg. 94, 95

Stampa

AGF S.p.A.

Via del Tecchione, 36-36A

20098 - Sesto Ulteriano

San Giuliano Milanese (Mi)

www.agfsolutions.it

Editore e Proprietario

AlumniPolimi Association Politecnico di Milano

Presidente

Prof. Enrico Zio

Delegato del rettore per gli Alumni

Delegato del rettore per il Fundraising individuale

Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano

T. +39.02 2399 3941 - F. +39.02 2399 9207

alumni@polimi.it - www.alumni.polimi.it

PIVA 11797980155 - CF 80108350150

Pubblicazione semestrale

Numero 7 - Primavera 2020

Registrazione presso il Tribunale di Milano n°89

del 21 febbraio 2017

26

DESIGN

LUNARE

30 38

BIG DATA,

PROCESSORI

E CROSSFIT:

BENVENUTI

AL NECSTLAB

POLIFAB,

LA NOSTRA

OFFICINA

“PULITA”

4. RESPONSABILTÀ SOCIALE

LA RICERCA

POLITECNICA

AD ALTO

IMPATTO

SOCIALE


5. INDUSTRIA

50

46

180 ANNI

SUI BINARI

DELLA STORIA

56

AIRLITE: LA

PRIMA VERNICE

CHE PURIFICA

L’ARIA AD ARTE

YAPE,

L'ULTRALEGGERO

CHE HA FATTO

STRADA, FINO

AL GIAPPONE

6. NEL MONDO

58 62

68

IL PRANZO

È SERVITO,

DALLA

STAMPANTE 3D

LA GRANDE

MURAGLIA

VERDE

150 ANNI

DI SCIENZA

IN UNA

COPERTINA

7. MILANO, ITALIA

72

LUCI

(POLITECNICHE)

A SAN SIRO

76

LA NUOVA

STAZIONE

DI SESTO

SAN GIOVANNI

8. ON CAMPUS

80

QUANDO

LO SPORT È

UN VALORE,

D’ATENEO

88

STATO

DELL'ARTE

DEI CANTIERI

DEL POLI

9. COMMUNITY

UN GIORNO

DA STUDENTE

94

MARIO

SILVESTRI,

L’ATOMO

ITALIANO

PER LA PACE

+

82

SI FA PRESTO A DIRE “POLIPROPILENE”

5


DAL RETTORATO

1

Lettera Aperta agli Alumni

di Enrico Zio

Presidente Alumni Politecnico di Milano

Delegato del rettore per gli Alumni

Delegato del rettore per il fundraising individuale

5X1000 + 2.000 + 200.000 =

SI PUÒ FARE DI PIÙ

Nel 2019, il Politecnico ha avuto il supporto di circa 2.000 donatori. Noi Alumni

siamo 200.000: il cielo è il limite… o forse neanche quello… per noi Alumni!

Secondo i dati ufficiali dell’Agenzia delle entrate, con

7.642 donatori e 623.880 € totali donati il Politecnico di

Milano è 9° nella classifica 2017 (i dati più aggiornati a

nostra disposizione) dei 458 enti di ricerca scientifica

e università ammessi al beneficio del 5 per mille dal

Ministero dell’Università e della Ricerca. È un sostegno

importante degli Alumni al loro Ateneo e approfitto di questo

spazio editoriale per ringraziare tutti quelli che continuano a

sostenere il Politecnico il loro 5 per mille.

Il Politecnico integra questi fondi con altre risorse, per

dare vita a progetti di ricerca per il bene sociale: dalla

rigenerazione urbana all’inclusione, dallo sviluppo

delle periferie ai servizi alla comunità e al sostegno alla

disabilità, dalla sostenibilità alle emergenze sanitarie,

climatiche e sociali. In concreto, grazie al vostro 5

per mille, nel 2020 al Politecnico 7 gruppi di ricerca

lavoreranno su problematiche di inclusione sociale e, in

tutto, dal 2013, sono 41 progetti di ricerca per il sociale

finanziati in questo modo. Alcune di queste esperienze

di ricerca ve le raccontiamo a partire da pagina 38.

Leggendole avrete l’occasione, ancora una volta, di

vedere come il Politecnico, con la sua Architettura, il suo

Design e la sua Ingegneria, porti avanti la responsabilità

di essere motore di innovazione per l’Italia, con impatto

positivo a 360°. E, come abbiamo spesso scritto in queste

pagine, se ci riesce è anche grazie alla permeabilità tra

Politecnico, territorio e persone, soprattutto voi Alumni,

gli attori che contribuiscono ad innescare e mantenere

vivo questo circolo virtuoso di “cose” che funzionano

“politecnicamente”.

LE DONAZIONI DEL 5 PER MILLE AL POLITECNICO

2017

2016

2015

7.642

donatori

8.069

donatori

7.694

donatori

623.880

totali raccolti

595.963

totali raccolti

564.437

totali raccolti

Il numero di donatori ed il totale raccolto nel 2018 ci

verranno comunicati dal Ministero delle Finanze nella

primavera del 2020

Come sostenere il Politecnico di Milano

Destinare il 5 per mille al Poli è semplice. Basta apporre la tua firma

nel riquadro "Finanziamento della ricerca scientifica e dell'Università"

che figura sui modelli di dichiarazione dei redditi e specificare

il codice fiscale del Politecnico di Milano: 80057930150

Per informazioni su come sostenere borse di

studio, progetti di ricerca o la riqualificazione

dei Campus, contattaci!

Web → sostieni.polimi.it/it/dona-ora

Mail → sostieni@polimi.it


I donatori del Politecnico nel triennio 2017—2019

Non solo 5 per mille. Il Poli ha tanti donatori, che sostengono numerosi progetti

4.121 DONATORI INDIVIDUALI

che hanno scelto di sostenere

un progetto specifico

4 MAJOR DONORS

(oltre 100.000 €)

18 HIGH VALUE DONORS

(da 10.000 € a 100.000 €)

39 REGULAR DONORS

(da 901 € a 9.999 €)

4.060 ANNUAL GIVERS

( fino a 900 €)

2.216.000 €

551.983 €

219.510 €

496.975 €

tot. → 3.484.468 €

Progetti sostenuti

23.405 DONATORI "5 PER MILLE"

che hanno sostenuto il Poli

con il proprio 5 per mille

tot. → 1.784.280 €

54 AZIENDE DONATRICI

che hanno scelto di sostenere il Poli

tot. → 602.357 €

36.735 DONATORI POLIMIRUN

che hanno sostenuto il Poli con la propria

iscrizione a una edizione della PolimiRun

tot. → 327.237 €

6.198.342 €

BORSE DI STUDIO

tot. → 2.441.977 €

PROGETTI DI RICERCA

tot. → 1.799.402 €

PROGETTO ALUMNI

tot. → 430.270 €

NUOVO CAMPUS PER MILANO

tot. → 1.526.693 €

In questo contesto si innesta il tema

delle donazioni, che rappresenta il

più esplicito endorsement che un

sostenitore del Politecnico possa

offrire: in quanto donatori del

Politecnico (io stesso sono tra loro), ci

si sente partecipi diretti.

Oltre al 5 per mille, il Politecnico ha

numerosi progetti di fundraising,

promossi e finanziati soprattutto

dagli Alumni, che nell’ultimo triennio

hanno risposto con entusiasmo,

contribuendo a raccogliere circa

6.000.000 di euro. I dati che leggete

nelle figure di questa pagina

sono un buon punto di partenza.

Particolarmente significativo è quello

delle borse di studio: oltre 2 milioni

di euro in 3 anni, per un totale di circa

300 borse.

Tra i diversi progetti di borse di

studio, uno di grande fascino è quello

dei Circles, nell’ambito del quale

un gruppo di Alumni contribuisce a

sostenere uno studente meritevole

nella sua carriera di studio, con

una borsa da 20 mila euro e

accompagnandolo in un percorso di

mentoring per i due anni della laurea

magistrale. È un progetto dedicato ai

migliori studenti del Politecnico, ai

quali viene offerta l’opportunità di

confrontarsi con gli Alumni su temi di

orientamento professionale e di vita.

Dal 2016, sono 28 gli Alumni donatori

che hanno aderito e 14 gli studenti che

sono entrati nel programma Circles.

Come ho detto un attimo fa, è un

buon punto di partenza… che mi

porta a rilanciarvi l’invito a sostenere

le iniziative del Politecnico, con il

vostro 5 per mille, con donazioni,

contribuendo a un progetto di

ricerca, offrendo una borsa di studio

o finanziando la riqualificazione dei

campus per i nostri studenti.

Nel 2019, il Politecnico ha avuto il

supporto di circa 2000 donatori. Noi

Alumni siamo 200.000: il cielo è il

limite… o forse neanche quello… per

noi Alumni!

Il prof. Zio, al centro, con gli studenti

vincitori di una borsa Circles e i donatori

7


DAL RETTORATO

POLITECNICO:

A CHE PUNTO

SIAMO

1

Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano, tira

le fila e condivide con gli Alumni i risultati raggiunti

nei primi tre anni del suo mandato. Ci racconta degli

obiettivi che l’Ateneo si era prefissato nel 2017 e di quelli

che ancora rimangono sul tavolo da lavoro

di Ferruccio Resta

Cari Alumni,

A metà del mio mandato, ho pensato

che fosse doveroso tirare le somma di

questi ultimi tre anni passati insieme.

Ho ritenuto opportuno mettere a

confronto gli obiettivi che ci eravamo

dati nel 2017 con i risultati raggiunti

e mostrare con chiarezza quali sono

stati centrati e quali disattesi. Impegni

che abbiamo rispettato nella quasi

totalità dei casi e che sono motivo di

orgoglio e di stima verso tutti i colleghi

che fanno parte di questa grande

squadra di professionisti eccellenti.

Per questo lo scorso febbraio, e per

la prima volta, abbiamo organizzato

un paio di “Incontri di Midterm”,

momenti di confronto rivolti agli

studenti, ai docenti e al personale

tecnico-amministrativo. E che ora

voglio estendere a voi, che siete

parte integrante della nostra grande

comunità.

A fronte di tanti riscontri positivi -

che vanno dall’innovazione didattica

all’arricchimento dell'offerta formativa;

dall’aumento dei finanziamenti europei

per la ricerca all’avvio del primo

fondo di venture capital; dalla crescita

nelle classifiche mondiali di merito

all’aumento del livello di occupazione

dei nostri laureati - esistono questioni

aperte che richiedono un maggiore

impegno da parte nostra.

Mi riferisco al riassetto del Campus

Bassini e al nuovo Dipartimento

di Chimica, un progetto che si

inserisce in un contesto più ampio

di riqualificazione dell’intero Polo

di Città Studi. Che ha già visto il

recupero di piazza Leonardo da Vinci,

la pedonalizzazione e riqualificazione

degli spazi aperti del Campus

Leonardo, l’avvio dei lavori per il nuovo

Campus di Architettura (da un’idea di

Renzo Piano), che inaugureremo tra

qualche mese.

Penso a Bovisa: al progetto di

riqualificazione della Goccia e

all’area dismessa dei Gasometri

che vorremmo trasformare in spazi

dedicati alle startup e allo sport.

Qui Regione Lombardia ha investito

8


5 milioni di euro per la creazione di

uno dei più importanti incubatori di

impresa a livello internazionale e per

un innovativo simulatore di guida utile

allo sviluppo economico e sociale del

territorio. Si tratta cioè di potenziare

quel Distretto di Innovazione che,

negli ultimi anni, ha visto insediarsi

grandi realtà imprenditoriali come

Edison e il Competence Center MADE.

Qui sta prendendo forma l’idea di

un polo di sviluppo tecnologico per

Milano su cui vogliamo continuare a

lavorare.

Penso poi al consolidamento

del rapporto con le imprese e al

proseguimento dei grandi progetti

avviati nell’ultimo triennio: Vodafone

con il 5G, iniziativa che coinvolge

cinque dei nostri dipartimenti

e ben undici gruppi di ricerca;

STMicroelectronics con ampliamento

di Polifab; Eni che dal 2008 rinnova

la fiducia nel nostro Ateneo con

un investimento complessivo di 40

milioni di euro; Asi, Agenzia Spaziale

Italiana, con la quale abbiamo siglato

un accordo per i prossimi 15 anni. Sono

poi diversi gli enti e le aziende che

fanno parte dei nostri Joint Research

Center, partnership strategiche di

medio e lungo periodo. Ed è proprio

per coltivare un legame solido e

duraturo con il settore produttivo che

abbiamo avviato un Corporate Office

che farà da punto di riferimento e da

volano per nuove iniziative.

Penso, non ultimo, alla dimensione

internazionale del nostro Ateneo.

Abbiamo fatto passi da gigante su

questo fronte, rafforzando le alleanze

strategiche con alcune delle migliori

università tecniche straniere e con

l’apertura di una nuova sede a Xi’an.

Ma molto possiamo ancora fare perché

la nostra università si affermi come un

ateneo leader in Europa. Questa è la

missione per i prossimi tre anni. Qui si

concentreranno i nostri sforzi.

Aggiungo la necessità di accrescere

l’impegno pubblico, che per la nostra

università rimane un elemento cardine

e un valore imprescindibile. È stato

da poco inaugurato Off Campus San

Siro, il nuovo spazio del Politecnico

9


di Milano aperto alla città. È il primo

di una serie di luoghi condivisi che

vogliamo creare con l’intento di uscire

dalle sedi storiche del Politecnico

per inserirci ancor più incisivamente

nel territorio e partecipare alle

grandi trasformazioni della nostra

città in quartieri periferici e spesso

problematici. Qui professori e studenti

sviluppano progetti con i residenti e le

associazioni del quartiere.

Credo inoltre che qualsiasi processo

di miglioramento collettivo sia

l’espressione del benessere del

singolo. Per questo vogliamo

continuare a mantenere la persona

al centro delle nostre politiche,

rispondere ai suoi bisogni e valorizzare

il suo talento. Proseguiremmo

dunque lungo la strada aperta da

POP – Pari Opportunità Politecniche

e non mancheranno azioni volte a

riconoscere e a rispettare le diverse

culture e identità che ci caratterizzano

come Ateneo aperto.

Guidati da questi stessi principi

ci impegneremo ancora di più per

rafforzare il livello di personalizzazione

dei percorsi di crescita con particolare

attenzione alla formazione continua,

consapevoli che il mondo di oggi

richieda una maggiore osmosi tra

momenti formativi ed esperienze

lavorative. Ci adopereremo quindi

per aumentare il numero di borse

di dottorato (già cresciute del 28%

nell’ultimo triennio, nonostante

un andamento negativo a livello

nazionale) e promuovere percorsi

di studio personalizzati, grazie alla

capacità di analisi e di gestione dei

dati, nonché ad un uso più consistente

del digitale.

Chiudo dicendo che sono ancora molti

i traguardi che possiamo raggiungere,

ma che non siamo stanchi di provarci.

Guai se ci accontentassimo di dove

siamo ora. Vogliamo guardare avanti

tenendo un occhio sullo specchietto

retrovisore, ma solo perché ci aiuti nel

sorpasso. La benzina che mettiamo

nel motore? Il sostegno della nostra

comunità, il suo instancabile impegno,

l’appoggio dei nostri Alumni.

10


GLI OBIETTIVI (RAGGIUNTI) DEL TRIENNIO (2017—2019)

Cosa ci siamo prefissi di fare, tre anni fa. E cosa abbiamo realizzato

Partiamo dai Ranking Universitari.

Perché è importante confrontarci con gli altri e capire a

che punto siamo rispetto ai nostri benchmark.

QS UNIVERSITY RANKING 2020

20°

ARCHITETTURA

DESIGN

INGEGNERIA

siamo il

149°

ateneo

tra le 1620

top universities

nel mondo

NEL MONDO

+21

posizioni

dal 2017

Questo dato rappresenta l'attrattività del Politecnico di

Milano rispetto al contesto internazionale. Non è solo

un numero: rispecchia una serie di azioni concrete in

quelle che sono le MISSIONI DELL'ATENEO.

FORMAZIONE

RICERCA &

INNOVAZIONE

RESPONSABILITÀ

SOCIALE

ATENEO

INTERNAZIONALE

11


+100%

30%

5

50

+100%

Quasi ci siamo!

Sarà raggiunto nel 2020

FORMAZIONE

di corsi di studio con un'iniziativa curricolare di

didattica innovativa

di docenti coinvolti in percorsi di formazione

nuovi percorsi di laurea magistrale su tematiche

strategiche

massive online open courses

di studenti coinvolti in competizioni internazionali

Manteniamo alta la qualità

dei docenti, preparati

gli studenti, attrattiva e

internazionale l'offerta

formativa

3 milioni di €

di investimenti in 3 anni

Mettiamo l'etica nella scienza!

META è un gruppo di docenti di architettura, design e ingegneria con esperienza nei campi umanistici e delle scienze sociali.

Ha l'obiettivo di integrare gli studi politecnici con prospettive legate all'etica, alla filosofia, all'epistemologia e ai temi sociali

insiti nei processi scientifici, tecnologici e di innovazione

+28%

134

+130

+251

2

RICERCA E

INNOVAZIONE

di borse di dottorato di ricerca con istituzioni e

imprese

milioni di euro di finanziamento dalla Commissione

europea

startup innovative incubate e finanziate tramite

PoliHub

brevetti

Quasi ci siamo!

Sarà raggiunto nel 2020

con il nuovo Dipartimento di Chimica

nuove grandi infrastrutture di ricerca

Mettiamo a sistema le

competenze per rispondere

alle sfide di oggi e di domani

Riduciamo la distanza

tra la ricerca scientifica e

l'applicazione industriale

12


5

23

2

6

RESPONSABILITÀ

SOCIALE

azioni concrete per promuovere la parità di genere, tra cui l'avvio

del programma POP - Pari Opportunità Politecniche

milioni di euro investiti in borse di studio

milioni di euro investiti in progetti con alto impatto sociale

milioni di euro raccolti attraverso attività di fundraising insieme alla

community degli Alumni

Tracciamo obiettivi

consapevoli per migliorare

il nostro impatto sulla

società

Lo sai che...

al Poli è nato POLIMI 2040, una commissione di docenti con il compito di immaginare l'Ateneo sul lungo periodo.

Come evolverà lo scenario tecnologico e sociale? Come deve rispondere la formazione? Quali saranno le sfide future?

ATENEO

INTERNAZIONALE

E ATTRATTIVITÀ

Siamo al fianco delle migliori università

europee e mondiali in un confronto

multiculturale ed aperto

5

1

1

4

3

iniziative congiunte con le leghe delle migliori università

in Europa

un nuovo Innovation Hub aperto dal Politecnico di Milano

a Xi’an

nuova collaborazione con la Tsinghua Universiy

nuovi progetti per la qualità degli spazi in Ateneo

nuovi cantieri per Milano e per l’innovazione a favore di

mobilità, sicurezza e beni culturali

Lavoriamo per rendere

più attrattivi ed aperti il

Politecnico e la città di Milano

13


DAL RETTORATO

POLITECNICO

MONDIALE

di Stefano Ronchi

1

Sguardo d’insieme sugli obiettivi e le strategie di

internazionalizzazione del Politecnico di Milano, a

cura di Stefano Ronchi, delegato del rettore agli affari

internazionali

STEFANO RONCHI - 45 anni

Delegato del rettore per gli Affari Internazionali

Presidente del Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale

Docente di Gestione e Organizzazione Aziendale

Alumnus Ingegneria Gestionale

14


La mappa delle relazioni internazionali del Politecnico ci mostra le università e i network qualificati a livello globale con i

quali sviluppiamo obiettivi relativi alla didattica e alla ricerca. Le relazioni sono gestite da un team di delegati del rettore

per le relazioni internazionali che operano ciascuno su una precisa area geografica. La strategicità della Cina ha richiesto,

ormai da molti anni, la presenza di un prorettore del Polo Territoriale Cinese.

NORD AMERICA

Gianluca Valenti

collaboriamo con

18 università

EUROPA OCCIDENTALE

Lorenzo Dozio

collaboriamo con

392 università

EUROPA ORIENTALE

Mauro Filippini

collaboriamo con

57 università

INDIA

Alessandro Biamonti

collaboriamo con

14 università

ESTREMO ORIENTE

Marco Imperadori

collaboriamo con

18 università

CINA

Giuliano Noci

Prorettore del Polo

Territoriale Cinese

AFRICA

Niccolò Aste

MEDIO ORIENTE

Davide Ponzini

collaboriamo con

26 università

collaboriamo con

5 università

collaboriamo con

16 università

AMERICA LATINA

Cesare Alippi

collaboriamo con

67 università

SUD EST ASIATICO

Cristiana Bolchini

collaboriamo con

10 università

OCEANIA

Mark Carman

collaboriamo con

9 università

Ai delegati internazionali si aggiungono i delegati per l'attuazione delle strategie di ogni Scuola e i delegati sui progetti specifici:

Marco Bovati e Gabriele Masera per le relazioni internazionali della Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni /

Silvia Ferraris per le relazioni internazionali della Scuola di Design / Gabriele Della Vecchia per le relazioni internazionali della Scuola di

Ingegneria Civile Ambientale e Territoriale / Franco Bernelli-Zazzera per le relazioni internazionali della Scuola di Ingegneria Industriale e

dell'Informazione / Andrea Matta per il progetto strategico di partnership con l'università Jaotong di Shanghai / Davide Fassi per il progetto

strategico di partnership con l'università Shanghai Tongji / Sergio Pignari per il progetto strategico Joint School of Design&Innovation Centre

con l'Università Xi'an Jiaotong / Ingrid Paoletti per delega Expo 2020 - Dubai

Il Politecnico ha avuto sempre una connotazione

internazionale che storicamente

si è concretizzata nell’attività di

ricerca e nelle collaborazioni di molti dei

propri docenti. A partire dagli anni ’80,

l’Ateneo ha investito in modo strutturato

sulla creazione di accordi istituzionali

e di mobilità per i nostri studenti: un

esempio tra tanti è il celebre progetto

Erasmus, ma esistono tanti altri accordi

bilaterali con alcune delle migliori

università, anche al di fuori dell'Europa.

Nel 2004, alla fine di questa prima fase

di internazionalizzazione dedicata prevalentemente

agli scambi, il 10% degli studenti

del Politecnico aveva l’opportunità

di trascorrere parte dei propri studi all’estero.

Nel 2004 si è aperta una seconda

fase, in cui ci siamo focalizzati prevalentemente

sulla nostra capacità di at-

trarre studenti stranieri ai nostri corsi

di laurea magistrale.

È stato inoltre avviato un percorso di

attrazione di docenti internazionali.

Oggi, il 16% dei nostri studenti ha

un’esperienza di studio all’estero, il 27%

degli studenti immatricolati alla laurea

magistrale è straniero, e l’8% della nostra

faculty è internazionale.

Questi risultati hanno aumentato

notevolmente la nostra reputazione

e ci hanno permesso di rafforzare le

relazioni con università e network

qualificati a livello globale. Tutto ciò

ha portato ad esempio alla recente

costituzione di un nuovo campus a

Xi'an, grazie a tutti gli investimenti

effettuai in Cina e alle persone che ci

anno lavorato negli ultimi anni.

15


UN OBIETTIVO DI AMPIO RESPIRO

L’internazionalizzazione non è un

obiettivo di per sé, ma ora deve

diventare un modo di essere, integrato e

radicato nell’organizzazione politecnica

per migliorare continuamente le

nostre attività: abituarsi al confronto

internazionale incoraggia le persone ad

operare e pensare in modo inclusivo,

rispettoso delle diversità e ricco di

stimoli. È anche una strategia che

garantisce all’Ateneo la sostenibilità

nel lungo periodo e un ruolo chiave

all’interno di una arena competitiva

globale. Il Politecnico ha oggi tutte le

carte in regola per ambire a diventare,

nel prossimo decennio, il nodo e la

porta di accesso in Italia per una rete

di opportunità internazionali, capace di

attrarre e condividere, con alcuni partner

selezionati, risorse, infrastrutture,

competenze e persone: un ponte tra il

contesto locale e quello europeo.

COME FARE

Nel prossimo triennio le azioni andranno

nella direzione di aumentare la nostra

capacità di attrarre “cervelli” da tutto il

mondo, con un focus ancora maggiore sul

processo di valutazione per selezionare i

migliori talenti, sia tra gli studenti, sia nel

corpo docente. Contemporaneamente,

noi vogliamo lavorare sull'integrazione

all'interno del campus, sui servizi offerti

a docenti e studenti, e sulle opportunità

di esperienze internazionali, in modo

che diventino il biglietto da visita di un

Ateneo capace di integrare persone

diverse e culture diverse nella nostra

comunità e nella città di Milano. Anche

il nostro impegno nel riqualificare

gli spazi di Ateneo, e quelli pubblici

circostanti va nella direzione di offrire a

tutte le persone che vivono il Politecnico

l’opportunità di essere esposte ad un

contesto paragonabile a quello delle

migliori università nel mondo.

16


GLI ALUMNI STRANIERI

200.000

Totale Alumni

Politecnico di Milano

14.748 (7,4%)

Alumni stranieri

142 Paesi

di provenienza

10 nazionalità più rappresentate

2.176

1.357

995

857

667

Iran

Turchia

Grecia

India

Cina

536

312

294

275

257

Colombia

Francia

Spagna

Russia

Albania

Alumni stranieri laureati al Poli

divisi per decade*

*Ogni unità corrisponde a un laureato e

viceversa. Il dato non tiene contro della

differenza tra triennale/magistrale/ciclo unico.

L’incremento di laureati stranieri nel decennio

2010-2019 corrisponde alla seconda fase di

internazionalizzazione, dal 2004 in avanti.

Decadi

1940

1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020

103 103 221 856 1.074 612 1.290 9.857

Alumni stranieri laureati al Poli

17


Un’altra azione strategica è quella

di potenziare gli accordi con alcune

università partner, per offrire libera

mobilità agli studenti durante il loro

percorso di studi, e per offrire ai

docenti la possibilità di “scambiarsi e/o

condividere” alcuni compiti didattici,

laboratori e attrezzature di ricerca (il

Politecnico ha molto da offrire in termini

di laboratori e strutture di ricerca

allo stato dell’arte), con il notevole

vantaggio di ampliare la reciproca

offerta formativa e capacità di ricerca,

integrando le nostre competenze con

quelle di atenei eccellenti in tutto il

mondo.

CON GLI ALUMNI, COME SEMPRE

Una efficace strategia di internazionalizzazione

passa necessariamente anche

dal rapporto con il mondo industriale e

professionale.

La valorizzazione della community

degli Alumni è un formidabile

strumento in questo senso. Il

numero dei nostri Alumni italiani

e stranieri residenti all’estero è in

continuo aumento. In base ai dati in

nostro possesso, su circa 200.000

Alumni, l’11% risiede all’estero,

una community attiva e partecipe

che rappresenta sia un supporto

concreto, sia un osservatorio

privilegiato su realtà internazionali.

Questa community può diventare un

puntatore efficace per la promozione

del Politecnico all’estero e per

l’apertura di nuove opportunità di

innovazione. Ovunque voi siate nel

mondo, vi invito a entrare in contatto

con noi. Confrontiamoci su come,

insieme, possiamo far diventare il

nostro Politecnico il nodo di una rete

globale senza confini!

18


GLI ALUMNI RESIDENTI ALL'ESTERO

200.000

Totale Alumni

Politecnico di Milano

Italiani

Ingegneri

22.000 (11%)

Alumni residenti

all'estero

Stranieri

Architetti

Designer

77% 23%

77% 15% 8%

Dove vivono

e lavorano

gli Alumni del Poli?

Questi sono i risultati preliminari di uno

studio attualmente in corso e rappresentano

una proiezione di massima, non una statistica

esatta. Inoltre questo dato è per sua natura

soggetto a oscillazioni costanti. Gli Alumni

del Politecnico sono una popolazione in

movimento.

121 Paesi

I Paesi più popolati

12,8%

12,1%

10,6%

9,1%

8,1%

Inghilterra

Svizzera

USA

Francia

Germania

4,4%

3,4%

2,9%

2,8%

2,6%

Spagna

Olanda

Turchia

Belgio

Cina

19


DAL RETTORATO

1

IL POLITECNICO IN

Milano:

Campus Bovisa

Campus Città Studi

Nord Italia:

5 poli territoriali

Cina:

Joint School of Design

and Innovation Centre

(Xi'an)

447.630 m²

40.320 studenti

70.880 m²

3.650 studenti

11.000 m²

2.000 studenti

Quanto è grande il Poli? Quanti m² occupa? Quanti studenti

lo frequentano? Dove sono i campus? Come sono fatti?

Abbiamo provato a rispondere a queste domande con uno

sguardo dall’alto

20


Milano

BOVISA

(Candiani, La Masa e Durando)

209.860 m² totali 16.622 studenti

totali

Aule didattiche

Aule didattiche

Milano

CITTÀ STUDI

(Leonardo e Bonardi)

27.600 m²

Sale per seminari 2.270 m²

Biblioteca e spazi di studio

Laboratori

Bar e mense

Spazio espositivo per mostre

Palestre e campi sportivi

Giardini e

spazi esterni

di relax

Biblioteca e spazi di studio

Laboratori

Bar e mense

Spazio espositivo per mostre

Palestre e

campi sportivi

Giardini e

spazi esterni

di relax

237.698 m²

5.260 m²

23.780 m²

1.090 m²

390 m²

890 m²

32.850 m²

totali

26.800 m²

3.210 m²

21.360 m²

2.800 m²

450 m²

36.000 m²

34.170 m²

triennale triennale

magistrale magistrale

8.041

Ingegneri

4.370

Ingegneri

23.698 studenti

11.134

Ingegneri

5.837

Ingegneri

2.748

Designer

1.456

Designer

3.757

Architetti

5.837

Architetti

17

Architetti

totali

21


COMO

13.000 m² totali 139 studenti

totali

Aule didattiche e

sale studio 3.470 m²

Laboratori 670 m²

Palestra

100 m²

triennale

113

Ingegneri

Giardini e

spazi esterni

di relax

CREMONA

7.790 m²

Aule didattiche 2.260 m²

Biblioteca 180 m²

Laboratori 100 m²

Campi sportivi

9.760 m² totali

620 m²

triennale magistrale

26

Ingegneri

519 studenti

420

Ingegneri

totali

Giardini e

spazi esterni

di relax

12.600 m²

magistrale

99

Ingegneri

22


LECCO

25.150 m² totali 1.515 studenti

totali

Aule didattiche 4.490 m²

Biblioteca e spazi di studio

730 m²

triennale

457

Ingegneri

1

Architetto

Laboratori

1.520 m²

Mensa 277 m²

Palestra e campi sportivi

284 m²

Giardini e

spazi esterni

di relax

MANTOVA

6.780 m²

9.240 m² totali

Aule didattiche 1.575 m²

Biblioteca e spazi di studio 586 m²

triennale magistrale

229

Ingegneri

554 studenti

333

Architetti

828

Architetti

totali

Laboratori 406 m²

Giardini e

spazi esterni

di relax

1.344 m²

magistrale

221

Architetti

23


PIACENZA

13.730 m² totali 923 studenti totali

Aule didattiche 3.040 m²

Biblioteca 45 m²

Laboratori 360 m²

Spazio espositivo per mostre

Giardini e

spazi esterni

di relax

30 m²

4.230 m²

triennale

magistrale

317

Ingegneri

80

Ingegneri

226

Architetti

300

Architetti

Xi’an, Cina

JOINT SCHOOL

OF DESIGN AND

INNOVATION CENTER

(campus del Politecnico di Milano

all’interno della Jiaotong University)

11.000 m² totali 2.000 studenti totali

Aule didattiche 440 m²

in prevalenza cinesi

Spazi di co-working

e spazi di studio

4.150 m²

Laboratori 800 m²

Sala conferenze

520 m²

Palestra

Locale bar/ristoro

110 m²

100 m²

Spazi relax

(ingressi, patii, spazi esterni)

1.000 m²

Double MSc Degree

Ingegneria

Aerospaziale

Ingegneria

Elettrica

Ingegneria

Automatica

Ingegneria

Elettronica

Ingegneria

Ambientale

Ingegneria

Informatica

Ingegneria

Civile

Ingegneria

Meccanica

Ingegneria

Nucleare

Architettura

24



Moony, l'habitat lunare ideato dagli

studenti del corso di Space Design

2

DIDATTICA

DESIGN LUNARE di

Valerio Millefoglie

26

Space 4 InspirAction del Poli è il primo e unico corso

al mondo di Space Design, oggi gli studenti stanno

lavorando a Moony, un prototipo innovativo di base

lunare. Ne parliamo con la docente e Alumna Annalisa

Dominoni


«Lavoriamo

su due fronti:

progettiamo

per lo spazio,

coinvolgendo

aziende terrestri

per creare

benefici anche

sulla Terra»

«Ho sempre avuto la passione per

lo spazio. Ricordo che il 20 luglio

del 1969, data dell’allunaggio, avevo

quattro anni ed ero in vacanza con

i miei genitori a Forte dei Marmi.

Mi ero seduta su un seggiolino,

in strada, perché così pensavo

di riuscire a vedere in diretta, a

occhio nudo, lo sbarco sulla luna».

Ricorda così il suo esordio nello

spazio Annalisa Dominoni che, con

Benedetto Quaquaro, ha ideato nel

2017 lo Space 4 InspirAction, Master

of Science in Integrated Product

Design, il primo e unico corso al

mondo di Space Design. Sviluppato

all’interno della laurea magistrale

internazionale di Integrated Product

Design, è anche l’unico in Europa ad

avere il riconoscimento ed il supporto

dell’ESA. «Insieme all’Agenzia Spaziale

Europea decidiamo ogni anno le

tematiche del corso, che devono

essere in linea con i programmi

strategici di tutte le agenzie spaziali

europee. Poi coinvolgiamo le aziende,

perché ci piace lavorare su due fronti:

progettare per lo spazio, con aziende

terrestri, per creare benefici anche

sulla Terra», spiega Dominoni che,

aggiunge: «Gli studenti accedono in

base alla media. Abbiamo ragazzi da

tutto il mondo e questo è favoloso

perché si formano gruppi di confronto

ANNALISA DOMINONI - 55 anni

Docente di Space Design

Studio (a+b) Dominoni Quaquaro

Alumna Architettura

con culture e preparazioni diverse».

La metodologia elaborata nel corso

si chiama UGD, Usage Gesture Design.

L’idea alla base è che il design

non riguardi solo oggetti, ambienti

e architetture, ma sia capace di

creare anche nuovi comportamenti

e gesti degli astronauti, nati proprio

dall’interazione fra l’uomo, gli

oggetti, gli ambienti e le architetture

progettate. Una tecnologia più umana

e sostenibile, ispirata dallo spazio.

«La microgravità non fa parte della

nostra esperienza quotidiana - spiega

Dominoni - Quando progetti devi

immaginare come ti troveresti tu in

quella situazione, galleggiando con gli

oggetti, e come potresti usarli, cosa

potrebbe accadere. Pensiamo a uno

studente di vent'anni a cui si chiede

di disegnare una sedia: quante sedie

di maestri irraggiungibili ci sono già?

Qui invece si apre un mondo che è

vergine, hanno una grande libertà

creativa, ma devono rispettare dei

confini molto particolari, che sono

quelli della microgravità. Un esempio

di progetto: il primo anno abbiamo

affrontato il tema del cibo realizzando

un packaging commestibile, a forma di

fiore di loto. Grazie al calore del vapore

queste foglie si aprono e fuoriesce il

cibo, che galleggia e viene mangiato

dall’astronauta. Questa immagine,

che sulla Terra non è possibile, sposa

tecnologia e poesia. Pensare a realtà

e ad esperienze diverse può dar vita

a gesti poetici». Lo spazio ha sempre

qualcosa di poetico. Come Moony, un

habitat lunare ideato dagli studenti

del corso di Space Design, sviluppato

all’interno del progetto Igluna,

27


Alcuni capi della collezione Couture in Orbit

a cura di Annalisa Dominoni nati all'interno

della Laurea Magistrale di Design della Moda

promosso da ESA e guidato dallo Swiss

Space Center. Il lavoro coinvolge gli

studenti di tredici università europee

con la finalità di progettare un habitat

adatto ai ghiacciai dei poli lunari, dove

gli astronauti potrebbero permanere

per missioni a breve o lungo termine.

«Dopo aver creato la struttura e la

logistica, tutte le tesi che ora stiamo

sviluppando riguardano gli interni ma

non gli arredi. Sulla Luna siamo tutti

un po’ leggeri, quindi mi sono detta,

pensiamo alla cosa più importante:

arriverà questo equipaggio e la

cosa fondamentale sarà essere

autosufficienti.

Quest’anno, quindi, ci stiamo

concentrando sulla coltivazione, sul

consumo e sulla conservazione del

cibo, ponendo l’attenzione non solo

agli aspetti funzionali ma anche

a quelli emotivi. Vogliamo creare

le condizione che consentano agli

astronauti di vivere bene, dando luogo

a momenti conviviali, e di conseguenza

riuscire a lavorare meglio e con

più successo. Sulla conservazione,

invece di sfruttare l’energia per

creare refrigeratori, utilizziamo

condizionatori esterni sfruttando, con

una serie di filtri, il freddo dello spazio

che si trova all’esterno. Pensando

«Sulla Luna siamo tutti un po’ leggeri.

Mi sono detta: l’equipaggio dovrà

essere autosufficiente. Così stiamo

lavorando sul tema del cibo»

agli abiti, immaginiamo che le

esplorazioni porteranno gli astronauti

a vivere diversi livelli di gravità,

quindi indosseranno abbigliamento

composto da molti strati, da utilizzare

a seconda delle attività da svolgere

e con la possibilità di amplificare i

movimenti tramite protesi integrate».

In tema di abbigliamento, Dominoni

ha curato anche il progetto Couture

in Orbit, nato all’interno della Laurea

magistrale in Design della Moda. Gli

studenti hanno ideato delle collezioni

di abiti da indossare sulla Terra, create

utilizzando tecnologie spaziali. «Nel

2016 abbiamo presentato la collezione

al Museo della Scienza di Londra.

In quei giorni l’ESA ha raggiunto più

di venti milioni di contatti media,

rendendosi conto che utilizzando

linguaggi diversi, come il design, si

può arrivare a un pubblico più vasto.

E si può soprattutto comunicare il

valore della ricerca spaziale, che ha

delle ricadute importanti sulla Terra

e influisce sulle nostre vite anche se

28


"We believe that space innovations will have a strong influence

on how people behave and perform. We also believe that Space

can really inspire designers and help to understand better how

we can be more conscious of the transformation technology

brings”

Dagli appunti della prima lezione del corso di Space Design di

Annalisa Dominoni

non ce ne accorgiamo». Del percorso

al Politecnico, prima come studente

e poi come docente, Annalisa

Dominoni ricorda: «Mi sono iscritta ad

Architettura perché affascinata dalla

figura di Thomas Maldonado, che è

diventato il mio Maestro. Al di là della

grande intelligenza e della sterminata

cultura, mi ha trasmesso l’importanza

di avere una visione e di vivere la vita

con coraggio, passione e ironia. Ciò

che poi distingue la nostra Scuola di

Design è la forte matrice di ingegneria

e di tecnologia, che arricchisce

e ispira i progetti. A un giovane,

oggi, consiglierei di fare esperienze

internazionali, girare il mondo.

Per un progettista, osservare tutto

quello che ci circonda, fino al più

piccolo dettaglio, dovrebbe diventare

naturale e indispensabile come

respirare». E, da studente, com’è

arrivata a lavorare per lo spazio?

«Quando ho deciso di intraprendere

la carriera accademica, avendo la

possibilità di fare un dottorato di

ricerca di tre anni, mi sono chiesta

cosa potessero fare un architetto o un

designer per lo spazio. In quel periodo

l’Agenzia Spaziale Italiana uscì con

un primo bando di utilizzazione

tecnologica della stazione spaziale,

così proposi due progetti: il primo

sistema di abbigliamento per attività

intra-veicolari, coinvolgendo il centro

ricerche Benetton per sviluppare

tessuti innovativi e creare prototipi,

e un progetto con TecnoGym per

realizzare un sistema di attrezzi

ginnici leggeri per l’addestramento

degli astronauti, che potessero

alleggerirsi una volta in orbita.

Li finanziarono entrambi».

Dagli appunti personali di Annalisa

Dominoni recuperiamo le prime

parole pronunciate all’inaugurazione

del corso di Space Design, nel 2017.

Cominciava così: “Welcome to this

first International Master Level

in Product Design for Innovation.

Why Space? We believe that space

innovations will have a strong

influence on how people behave and

perform. We also believe that Space

can really inspire designers and help

to understand better how we can be

more conscious of the transformation

technology brings”.

«Al Poli, Thomas Maldonado mi ha

trasmesso l’importanza di avere una

visione e di vivere la vita con coraggio,

passione e ironia»

29


DIDATTICA

2

BIG DATA, PROCESSORI E

CROSSFIT: BENVENUTI AL

NECSTLAB DEL POLI

Al Dipartimento di Elettronica, Informazione e

Bioingegneria del Politecnico di Milano la formazione

didattica incontra la ricerca e lo sport. Per tenersi

in forma, anche mentalmente

Edificio 20, Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria del

Politecnico di Milano. Ci troviamo

al NECSTLab, un laboratorio dove la

ricerca incontra l’insegnamento e

dove hanno luogo eventi accademici,

industriali e attività per la formazione

didattica ma anche umana, per lo

sviluppo di soft skills. Necst suona

come next, ma è l’acronimo di

Novel Emerging Computing System

Technologies. «L’assonanza è voluta»,

spiega l’Alumnus Marco Santambrogio,

professore associato del DEIB e

direttore del NECSTLab, «la computer

science è l’X-factor dell’innovazione,

ci spinge verso il nuovo. Ogni

anno, tra ragazzi che partecipano

continuativamente al laboratorio ed

altri che gravitano attorno ad alcune

delle nostre attività, contiamo circa 100,

120 studenti. Hanno dai 18 ai 30 anni,

dunque dal primo anno della triennale

ai post-doc: ingegneri informatici e

biomedici, a cui si aggiungono anche

ingegneri gestionali, meccanici, fisici,

matematici, ma anche designer e

da poco c’è anche un architetto. Noi

risolviamo problemi e i problemi non

hanno dipartimento di afferenza. Le

aree principali di cui ci occupiamo

sono quella dei software di sicurezza

informatica, gestita dal professor

Stefano Zanero, e quella dell’hardware e

delle infrastrutture di calcolo, gestite da

me. Ci concentriamo in particolare sui

processori, con l’obiettivo di adattarli

alle necessità del dominio. Che sia

tecnologia medica, finanza o machine

learning, noi lavoriamo al miglior

rapporto possibile tra prestazione ed

economia delle risorse. Collaboriamo

con aziende, da Microsoft ad Unicredit,

che presentano problemi legati ai big

data, per cui servono architetture di

calcolo estremamente efficienti». È

il caso di Huxelerate, spin-off nata

proprio all’interno del NECSTLab, che

ha sviluppato un sistema di hardware

e software integrato per l’elaborazione

di grandi quantità di dati genomici che

vengono processati nel minor tempo

possibile. In un campo come quello

della medicina, in cui il tempo gioca

un ruolo fondamentale, Huxelerate

permette di dare risultati in pochi

giorni, dove prima occorrevano mesi.

La tecnologia può essere applicata

a diversi ambiti: dall’immunoterapia

oncologica allo sviluppo di nuovi

di Elisabetta Limone

«La computer

science è

l’X-factor

dell’innovazione,

ci spinge verso il

nuovo»

30


«Ci siamo chiesti:

di cosa hanno bisogno i ragazzi?

L’idea è di aiutarli ad avere una

maggiore consapevolezza di sé»

farmaci per la medicina personalizzata

fino ad altri contesti come la finanza, i

veicoli a guida autonoma e ai big data.

Un altro esempio di collaborazione è

quello tra il NECSTLab e i laboratori

di ricerca di Oracle Corporation,

multinazionale tech specializzata

in database e servizi cloud. “High

Performance Computing: Graph and

Data Analytics” è il nome di un corso

che introduce gli studenti all’analisi dei

grafi e che prevede un contest e delle

internship in azienda. «I grafi - spiega

Santambrogio - sono reti di informazioni,

parole chiave (ad esempio sui social).

Il nostro software analizza la posizione

e la frequenza di una serie di parole

chiave, l’obiettivo è estrarre informazioni

e conoscenze, per un’interpretazione

semantica dei dati. Si chiama Sentiment

Analysis e ci permette ad esempio di

conoscere l’opinione pubblica per fare

delle proiezioni sulle elezioni».

Il NECSTLAb è anche un Camp che

lavora sulle soft skills. Ogni settimana si

tengono sessioni di gruppo di CrossFit

al campo sportivo Giuriati. Ci sono

poi laboratori teatrali per insegnare ai

ragazzi a parlare in pubblico, incontri

con psicologi, nutrizionisti ed esperti

del sonno. «Partiamo dalla domanda:

di cosa hanno bisogno i ragazzi? L’idea

MARCO SANTAMBROGIO - 42 anni

Professore Associato DEIB, direttore NECSTLab

Alumnus Ingegneria Informatica

è di aiutarli ad avere una maggiore

consapevolezza di sé». Tutto è oggetto

di studio, persino la misurazione dei

KPI fisiologici e il modo in cui le attività

sportive e extracurricolari hanno un

effetto positivo sullo studio e sulle

capacità di concentrazione».

Passeggiando in un tardo pomeriggio al

NECSTLAb, si possono incontrare alcuni

studenti come Camilla Dottino, che

sta lavorando a una tesi sulla sicurezza

dei dispositivi medici impiantatili per

la Laurea Magistrale in Ingegneria

Informatica, e Stefano Cagninelli,

studente di Ingegneria Elettrica, che la

sta aiutando a realizzare un dispositivo

medico. «Mi occupo di progettazione

elettronica - dice Stefano - parto dal

disegno dello schema elettrico fino a

realizzare la scheda vera e propria, che

saldo in laboratorio. Ora sto lavorando

sul dispositivo per la tesi di Gaia che

deve essere prototipata». Accanto a loro,

Gaia Businaro, iscritta alla triennale di

Ingegneria Informatica, racconta che al

NECSTLab «impari a vivere l’università

non solo come luogo di esami e di

lezioni, ma anche come luogo capace

di lasciarti qualcosa dal punto di vista

umano ed emotivo».

31


3 RICERCA

POLIFAB,

L’OFFICINA “PULITA”

DEL POLITECNICO DI MILANO

di Irene Zreick

Continua il nostro viaggio attraverso i grandi laboratori

del Poli. Dopo la Galleria del Vento, che vi abbiamo

raccontato nel numero 6, vi diamo il benvenuto a

Polifab, dove si fabbricano dispositivi che spaziano

dalle piattaforme per quantum computing agli “organi

su chip”, a due passi da piazza Leonardo da Vinci

32


«Il Politecnico ha una precisa missione e responsabilità

nei confronti del tessuto sociale, industriale ed

economico in cui è immerso»

Nella pagina accanto una fetta di silicio da 6

pollici con strutture fotolitografate;

Qui un ricercatore al lavoro su un microscopio

elettronico: nel video l’immagine una matrice

di sensori magnetici ad effetto tunnel

Siamo in via Colombo a Milano, nel

cuore dello storico edificio chiamato “il

Cremlino”. Qui, nel 2014, il Politecnico

ha costruito una cleanroom: il direttore,

il prof. Riccardo Bertacco, la definisce

una officina ma, a differenza di una

qualsiasi officina, non c’è traccia di

polvere né macchie di grasso, gli

“operai” indossano tute ultra-pulite

e i manufatti sono in scala nano e

micrometrica.

Polifab è una cleanroom: «I ricercatori

vengono qui per fabbricare (crescere, in

gergo tecnico) materiali con proprietà

e funzionalità controllate e definite

RICCARDO BERTACCO - 51 anni

Docente ordinario del Dipartimento di Fisica

Direttore di Polifab

Alumnus Ingegneria Elettronica

a livello atomico, per progettare

e costruire dispositivi elettronici,

fotonici, biomedici e meccanici alla

micro e nano-scala», spiega Bertacco.

Le applicazioni sono le più svariate:

ci sono gruppi di ricerca che in

Polifab lavorano per emulare su chip

il funzionamento di organi umani.

Alcuni studiano tessuti cardiaci entro

strutture microfluidiche.

«Lo scorso novembre (2019) è arrivato

un gruppo che ci ha chiesto di realizzare

un sistema per la trasmissione di

segnali neurali attraverso un nervo

interrotto», aggiunge Bertacco.

Un altro gruppo sta sviluppando uno

strumento diagnostico per la malaria.

C’è chi realizza circuiti ottici e magnetici

per l’elaborazione dell’informazione.

Altri studiano celle di memoria con

capacità computazionali ispirate al

brain computing. Altri ancora sono

pionieri del quantum computing.

33


« I ricercatori vengono qui per

fabbricare materiali con proprietà

definite a livello atomico, per

progettare e costruire dispositivi

elettronici, fotonici, biomedici e

meccanici alla micro e nano-scala»

UN’OFFICINA PER IL POLI MA ANCHE PER

LE INDUSTRIE E PER IL TERRITORIO

“Polifab è un laboratorio del Politecnico

di Milano, ma è anche a disposizione

delle aziende e degli istituti di ricerca su

tutto il territorio”, aggiunge il direttore;

“il Politecnico ha una precisa missione e

responsabilità nei confronti del tessuto

sociale, industriale e economico in cui è

immerso”. E Polifab è uno degli elementi

che contribuiscono alla sinergia profonda

tra Ateneo e territorio: “Siamo partiti con

un laboratorio orientato a supportare i

gruppi di ricerca, che si è progressivamente

aperto anche al mondo imprenditoriale.

È una sinergia che offre grandi benefici

sia all’ambiente accademico che a quello

industriale. Le aziende vengono in Polifab

per fare ricerca e sviluppo su materiali e

dispositivi innovativi da integrare in nuovi

prodotti. Il contatto con il vivo ambiente

accademico ha effetti “collaterali” di

non secondaria importanza, fra i quali

la possibilità di venire in contatto con

i gruppi di ricerca, i migliori studenti e

ricercatori che lavorano in cleanroom

e che sono portatori di innovazione e

sviluppo culturale. Dal lato nostro, invece,

l’esposizione all’ambiente industriale e la

prossimità con il vivace territorio lombardo

ha ripercussioni positive sulla formazione

degli studenti, sul loro inserimento nel

mondo del lavoro, ma anche sullo sviluppo

di un approccio alla ricerca applicata tipico

del mondo politecnico. I laboratori come

Polifab sono un asset fondamentale per

coltivare questa sinergia. È importante

per tutti che le istituzioni, regionali e

non, colgano questo valore e supportino

la creazione di un sistema della ricerca

integrato fra accademia e mondo

imprenditoriale”.

UN’OFFICINA EUROPEA

Oggi il Politecnico di Milano è in cima alle

classifiche delle università italiane per

capacità di attrarre finanziamenti alla ricerca

dalla Commissione europea. Questo

vale soprattutto per la ricerca di base,

ricerca di base, principalmente orientata

al conseguimento di risultati scientifici

di eccellenza. Uno dei criteri importanti

per accedere a queste risorse è la possibilità

di appoggiarsi a laboratori di ricerca:

“quando un ricercatore scrive un progetto

europeo, deve specificare anche in

quale laboratorio porterà avanti le sue

ricerche: Polifab è un’infrastruttura di riferimento

per tanti ricercatori. In questo

modo è anche uno strumento strategico

per il Politecnico, che aumenta la

sua attrattività verso i migliori scienziati

in Europa. Non è un caso che, in

soli 4 anni, Polifab abbia ospitato attività

legate a cinque progetti ERC”.

UN MODELLO DI EFFICIENZA

Oggi Polifab “vale” circa 10 milioni di

euro, includendo il costo ex-novo per

la fabbricazione dell’infrastruttura e

l’acquisizione degli strumenti che contiene.

La cleanroom comprende, oggi, un’area

classificata ISO06-08 pari a 370 m 2 . Nel

2020 crescerà di altri 250 m 2 grazie alla

partnership avviata con STMicroelectronics

che ha portato alla creazione di un Joint

Research Center sui dispositivi MEMS. Dalla

sua inaugurazione, nel luglio 2015, Polifab

ha accolto circa 200 ricercatori dal Poli e da

altri enti di ricerca, 60 tesisti, 250 studenti,

3 corsi didattici, una media di 18 progetti

di ricerca l’anno, oltre a contratti con altri

istituti di ricerca e con aziende (questi ultimi

valgono circa il 50% del fatturato di Polifab

del 2018 e 2019). I ricavi dai contributi per

l’accesso degli utenti e dai contratti di

ricerca e sviluppo superano i costi vivi di

funzionamento (materiali puri, reagenti,

manutenzioni ordinarie), cosicché i margini

vengono reinvestiti nell’aggiornamento del

parco macchine. “Il Politecnico è un polo

di ricerca autorevole anche perché lavora

in un’ottica di sostenibilità e allo stesso

tempo è in grado di investire nella crescita

dei propri laboratori. In questo senso

Polifab è esemplare: fin dalla nascita si è

dotato di un sistema di amministrazione

e gestione di bilancio trasparente, agile e

flessibile. Le modalità di accesso per ogni

utente (interno, da enti ricerca o aziende),

come pure la gestione dei contratti ed

i relativi costi sono ben normate dal

regolamento dell’infrastruttura. Ciò ha

anche permesso di stabilire una modalità

di rendicontazione dei costi di utilizzo di

Polifab riconosciuta dall’Unione Europea e

diventata un modello per altre cleanroom

italiane». Quanto costa un’ora di lavoro

in cleanroom? «Circa 60 euro. Ogni anno

può variare leggermente, perché dipende

dai costi di gestione e dalle attività: non si

vende un prodotto, Polifab è una risorsa

della collettività e in quanto tale va gestita

e amministrata in modo trasparente e

sostenibile».

Polifab è co-fondatore della rete italiana

di cleanrooms “It-Fab” e partecipa

alla rete europea Euronanolab. Inoltre

è riconosciuto dall’Unione Europea

quale Key Enabling Technology tool per

le piccole e medie imprese. Un’officina,

quindi, ma anche un luogo d’incontro:

dove il mondo della tecnologia e della

ricerca, quello delle aziende e quello

delle istituzioni convergono per forgiare

idee e far crescere persone, con un

impatto positivo per tutti.

34


Testa di misura di un microscopio a forza

atomica durante la caratterizzazione

topografica di strutture su fetta di silicio

Ricercatore impegnato nel trattamento

chimico sotto cappa di fette di silicio

caricate su cassetta

Caricamento di una cassetta di fette di

silicio in un apparato per il risciacquo e

l’asciugatura in azoto

Fetta di silicio con strato di fotoresist

su portacampioni di un apparato per

fotolitografia

Microchip con biosensori su portacampioni

di un microscopio elettronico a scansione

35


DALL'OFFICINA AL PROTOTIPO

Solo nel 2019, dalla cleanroom del Politecnico sono

passati più di 30 progetti. Ve ne raccontiamo alcuni

T-Mek

TMek (www.tmekdiagnostics.com) è

il nome di un test diagnostico rapido

per la malaria sviluppato da un

gruppo interdisciplinare che fa capo

ai proff. G. Ferrari (Elettronica), G.B.

Fiore (Bioingegneria) e R. Bertacco

(Fisica). Il test si fonda sul fatto che

il plasmodio della malaria trasforma

l’emoglobina in cristalli di emozoina,

sostanza paramagnetica che permette

la separazione dei globuli rossi infetti. A

Polifab vengono prodotti dei microchips

sui quali sono posti dei micro-magneti,

capaci di attrarre selettivamente i

globuli rossi infetti in una goccia di

Puoi sostenere

direttamente questo

progetto con una

donazione su:

www.dona.polimi.it

sangue, sfruttando la competizione

fra forza magnetica e gravità. Una

volta attratti i globuli rossi vengono

contati, mediante opportuni elettrodi

posti sopra i concentratori, in modo

da quantificare la parassitemia, ovvero

la percentuale degli infetti rispetto ai

sani. Il test è stato oggetto di una prima

validazione in Camerun nell’Aprile

2019, fornendo risultati incoraggianti:

in soli 10 minuti è in grado di fornire

un risultato quantitativo con un limite

di sensitività di 10 parassiti per microL

di sangue, assenza di falsi negativi e

qualche raro falso positivo.

Immagine del microchip realizzato a Polifab.

A sinistra il chip completo con i contatti

esterni per le misure impedenziometriche

e a destra un ingrandimento di un singolo

micromagnete cilindrico (cerchio grigio

centrale) con elettrodi d’oro anulari esterni

per la conta dei globuli rossi infetti.

SuperPixels

SuperPixels (www.superpixels.org/)

è un progetto europeo FET H2020,

a cui partecipano i gruppi dei proff.

Morichetti e Melloni (Fotonica

Integrata) e del prof. Sampietro

(Elettronica), che mira allo sviluppo di

sensori ottici di nuova generazione in

grado di elaborare simultaneamente

le proprietà di ampiezza, fase e

polarizzazione della luce attraverso

maglie di interferometri programmabili

in guida d’onda. A Polifab vengono

OxiNEMS

Questo progetto europeo FET

(www.oxinems.eu), cui partecipa

il gruppo del Prof. Bertacco, ha lo

scopo di sviluppare dei sensori di

campo magnetico ultrasensibili per

magnetoencefalografia.

A Polifab, vengono realizzati dei risonatori

MEMS (micro-electromechanical system)

sviluppate le tecnologie per la

realizzazione di attuatori (ossicarburo

di silicio) e fotorivelatori (silicio

amorfo) essenziali per il controllo e

la riconfigurazione dinamica di tali

circuiti. Questa tecnologia consentirà

lo sviluppo di sistemi di imaging ad

altissima risoluzione per endoscopia,

il rilevamento di nano-particelle

normalmente invisibili, la visione e le

comunicazioni ottiche attraverso mezzi

turbolenti e diffusivi.

a base silicio che costituiscono il cuore di

tali sensori, con attuazione elettrostatica

e lettura capacitiva del segnale. Il

processo di fabbricazione prevede la

possibilità di realizzare dispositivi MEMS

a singolo layer, a partire da multistrati di

polisilicio su strato sacrificale di ossido

su wafer di silicio.

Immagine di un chip ottico contenente

maglie di interferometri programmabili

e dettaglio di un interferometro in

guida d’onda.

Immagine da microscopio a scansione

elettronico di un particolare del risonatore

“Tang” sviluppato a PolFab, con fattore di

qualità in vuoto dell’ordine di 70.000

36


RESCUE

metrica, noti con il nome di memristor,

realizzati con materiali come il platino,

il titanio e l’ossido di afnio (HfO2).

Una matrice di crosspoint permette la

soluzione di sistemi lineari (Ax = b) e

inversione di matrici in meno di un microsecondo

(un milionesimo di secondo).

È in corso di studio utilizzo delle

stesse matrici crosspoint per circuiti

neuromorfici, dove si imita la modalità

di l’elaborazione dell’informazione da

parte del cervello umano.

Matrice crosspoint di memristor per

applicazioni di calcolo matriciale e

neuromorfico, cioè ispirato al funzionamento

del cervello umano.

Cartilage on a chip: uKNEEque

uKNEEque è un progetto finanziato da

fondazione Cariplo volto allo sviluppo

di un modello di osteoartrosi (OA)

basato su un dispositivo microfluidico.

Il progetto è coordinato dal prof. M.

Rasponi e svolto in collaborazione con

l’ospedale universitario di Basilea. Il

dispositivo permette lo sviluppo di

micro tessuti ingegnerizzati simili alla

cartilagine nativa nei quali è indotto

un fenotipo patologico attraverso

il sovraccarico meccanico, ed usati

per studiare la risposta a diverse

Rescue è un progetto europeo ERC del

Prof. D. Ielmini (DEIB) che studia nuovi

concetti di calcolo basati su dispositivi

di memoria resistiva secondo l’approccio

‘in-memory computing’. Nel progetto

Rescue è stato sviluppato un rivoluzionario

circuito di soluzione di problemi

matriciali in una sola operazione

di calcolo ad alto parallelismo all’interno

di una matrice crosspoint (Fig. 1).

Tali matrici, fabbricate in Polifab, contengono

elementi di memoria nanosoluzione

terapeutiche anti OA. La

miniaturizzazione del dispositivo

permette un ridotto utilizzo di materiale

biologico e reagenti, e tempi di risposta

accelerati, oltre ad un maggior controllo

sulle condizioni sperimentali. A Polifab

si realizzano, attraverso fotolitografia,

gli stampi necessari alla produzione dei

dispositivi. Una tecnica di fotolitografia

multistrato, in particolare, permette

la realizzazione delle geometrie

necessarie all’attuazione meccanica dei

dispositivi stessi.

Sinistra: foto del dispositivo, le camere

interne sono colorate in blu. Centro:

rappresentazione delle camere interne, le

altezze sono rappresentate in scala colore.

Destra: cartilage on chip. Nuclei in blu,

Aggrecano in verde e Collagene di tipo II in

rosso.

37


3 4 RICERCA

RESPONSABILIÀ SOCIALE

5 per mille

Ogni anno migliaia di donatori, soprattutto Alumni, scelgono

di devolvere al Politecnico di Milano il loro 5 per mille.

Queste donazioni immettono nuove energie nella ricerca e

in particolare servono a finanziare progetti ad alto impatto

sociale e ad assumere giovani ricercatori. Vediamo come

2013 2019

3.3 Milioni provenienti dal 5 per mille

più una parte di co-finanziamenti, la cui cifra varia a seconda dei progetti

stanziati dai Dipartimenti coinvolti o da enti e sponsor

+ 130 giovani ricercatori assunti

L’età media dei nuovi ricercatori è di 30 anni

+ 200 docenti e ricercatori a supporto

Provenienti da tutti i dipartimenti del Poli, a supporto dei gruppi di ricerca

Dal 2013 il Politecnico ha ricevuto 3,3

milioni di euro provenienti dalle donazioni

del 5 per mille. I finanziamenti

vengono destinati a progetti di ricerca

selezionati attraverso un concorso

di proposte, il Polisocial Award. Primo

in Italia tra le ini ziative accademiche di

questo tipo, ha l’obiettivo di sostenere

e avviare pro getti di ricerca a alto impatto

sociale, supportando i team di

lavoro dalla fa se di avvio progetto fino

alla conclu sione e anche oltre, anche

in un’ottica di sostenibilità nel tempo.

I progetti che ad oggi ne hanno beneficiato

sono 41, selezionati tra oltre 200 proposte

basate su criteri di multidisciplinarietà,

innovazione e fat tibilità si focalizzano su

temati che di importanza sociale per territori

o fasce di popolazione in difficoltà.

Il Comitato Scientifico istituito ai fini della

valutazione e selezione dei concorrenti

è composto dal rettore del Politecnico

di Milano o da un suo delegato, da docenti

del Politecnico e da membri del Senato

Accademico che operano nell’ambito

delle azioni promosse dall’Ateneo pertinenti

alla specifica tematica scelta ogni

anno per le iniziative Polisocial.

L’iniziativa si prefigge anche l’obiettivo

di dare spazio ai giovani ricercatori, che

nei 6 anni del programma sono stati

oltre 130. Al contempo, si vuole incentivare

un approccio etico al lavoro accademico,

che valorizzi l’impatto sociale

delle competenze politecniche.

38


Devolvi anche tu il tuo 5 per mille

al Politecnico di Milano per sostenere

la ricerca politecnica ad alto impatto sociale

CODICE FISCALE DEL POLITECNICO

80057930150

PERIFERIE

SALUTE

RIGENERAZIONE URBANA

DISABILITÀ

SPORT

INCLUSIONE SOCIALE

MIGRAZIONI

SERVIZI PER LA COMUNITÀ

39


TRA SPORT ED INCLUSIONE:

I progetti vincitori del Polisocial Award 2019

7 RICERCA

Una declinazione sociale della ricerca connessa allo sport: è

questo il tema affrontato dai sette progetti selezionati per il

Polisocial Award 2019, finanziati con i proventi delle donazioni

del 5 per mille che avete versato nel 2017

La call del 2019 era aperta a progetti

che riguardassero l’ambito dello

sport e dell’inclusione sociale. I

progetti selezionati comprendono

pareti di arrampicate per bambini

con paresi cerebrale ed ortesi

per bambini affetti da emiplegia,

progetti di rigenerazione urbana

per recuperare aree male utilizzate,

come lo spazio sottostante un

cavalcavia trasformato in un’area

verde e dedicata agli street sport. Vi

sono poi iniziative che ridefiniscono

certi spazi, come le carceri che

diventano luogo di inclusione o gli

edifici inutilizzati nell’Appennino

umbro-marchigiano, colpito dai

terremoti, riqualificati per unire i

sentieri del turismo lento al percorso

formativo e lavorativo delle fasce

più deboli della popolazione. C’è

poi un progetto che si è focalizzato

sulle Olimpiadi 2026, concentrandosi

in particolare su ciò che avverrà alla

fine della manifestazione, spostando

lo sguardo e la pianificazione un po’

più in là del grande evento, cercando

di lavorare su ciò di cui il territorio

avrà bisogno sul lungo termine.

GIFT | enGIneering For sporT for all

Realizzare e validare sperimentalmente

nuove ortesi che consentano ai bambini

affetti da emiplegia, dunque con un

deficit funzionale, di praticare le attività

sportive proposte nelle ore di ginnastica

e durante il tempo libero. «Spesso utilizzano

ortesi, scarpe correttive, specifiche

per il cammino», spiega la responsabile

scientifica Manuela Galli, «nel

momento in cui devono praticare sport

però queste stesse scarpe non svolgono

più la loro funzione, da qui l’idea di progettare

delle ortesi per facilitare l’attività

sportiva di bambini con disabilità». Si

tratta di soggetti che difficilmente praticano

sport con i loro compagni, rinforzando

un messaggio di separazione tra

normodotati e diversamente abili. Lo

sport da strumento di inclusione diventa

strumento di separazione. Il progetto

GIFT è il primo tassello di una strategia

più ampia, per sensibilizzarne l’ambiente

scolastico sul tema disabilità e sport.

«Lo sport è stato un elemento chiave

della mia infanzia. Ho praticato calcio

a livello agonistico e ciò mi ha formato

e dato volontà anche negli studi e nel

lavoro», racconta Andrea di Francesco,

26 anni, neolaureato in Ingegneria

Gestionale, «questo progetto mi ha

quindi affascinato subito, anche perché

dimostra come il Poli può interagire

con il sistema e come l’innovazione e la

ricerca possano essere un’opportunità

per migliorare la qualità della vita»

3 nuovi assegni di ricerca

Team Politecnico: Manuela Galli, DEIB

(resp. scientifico); Emanuele Lettieri, DIG

(project manager); Francesco Braghin,

DMEC; Giuseppe Andreoni, DESIGN;

Stefano Mariani, DICA; Stefano Tagliabue,

CMIC

40


ACCEPT | Adaptive Climbing for CErebral Palsy Training

ACCEPT è una parete d’arrampicata adattata

e sensorizzata per assistere nella riabilitazione

e analizzare i progressi riabilitativi

di bambini con Cerebral Palsy, la più

frequente malattia neuromotoria infantile.

Questi bambini in molti casi possono

recuperare parte delle capacità neuromotorie

con un intenso lavoro di riabilitazione.

La parete è dunque ideata per ridurre

le diseguaglianze e favorire questo

percorso combinando tecnologia e sport

inclusivo. «Al Technology Transfer Office

del Politecnico ci occupiamo di trasferire

le conoscenze scientifiche e tecnologiche

dal laboratorio al mondo fuori», spiega

Vittoria Roiati, del Technology Transfer

Office. Il progetto si propone di studiare

e realizzare un primo prototipo

che sarà ospitato negli spazi del centro

sportivo PlayMore di Milano, grazie

anche al supporto della fondazione

FightTheStroke. Una seconda fase

prevede la realizzazione di altre pareti

adattate che potranno essere installate

in altri luoghi, da palestre a

ospedali e centri riabilitativi.

«Partecipare a questo progetto per me

è molto importante” spiega Rolando

Brondolin, 28 anni, del NECSTLab dottorando

in Ingegneria dell’Informazione,

«perché è in progetti come questo che

la ricerca riesce a trovare un'applicazione

nella società. La capacità di avere un

impatto diretto è un aspetto da tenere

sempre in considerazione, e allo stesso

tempo da qui si possono trarre spunti

interessanti per affrontare problemi di

ricerca sempre nuovi».

2 nuovi assegni di ricerca

Team Politecnico: Alessandro Colombo,

DEIB (responsabile scientifico); Francesco

Ferrise, DMEC (project manager); Vittoria

Roiati, TTO; Maria Rita Canina, DESIGN;

Marco D. Santambrogio, DEIB

TWIN | Trekking, Walking and cycling for Inclusion

Trekking, cicloturismo, cammini sono declinazioni

turistiche di pratiche sportive

che definiamo turismo sportivo itinerante.

La ricerca si snoda lungo i percorsi lenti

già tracciati come il Sentiero Italia del Club

Alpino Italiano, che in parte coincide con

l’interesse dell’Associazione Via Francigene

e con le grandi ciclovie su cui è impegnata

anche la Federazione Ciclistica Italiana.

Queste reti sentieristiche necessitano

di servizi primari (vitto, alloggio, sanità)

ed accessori (prodotti, assistenza, sicurezza,

formazione, etc.). La loro pianificazione

al momento è precaria e discontinua, quasi

per nulla accessibile ai disabili e affidata

a una frammentaria iniziativa locale. In

questo contesto si inserisce la logica del

progetto TWIN, che si muove secondo approcci

“gemelli”: coinvolgere alcune categorie

sociali deboli a cui affidare le gestione

dei servizi e recuperare edifici inutilizzati

di proprietà pubblica, il tutto in un’area

dell’Appennino umbro-marchigiano, colpito

da terremoti. L’obiettivo è quindi quello

di definire una metodologia teoricooperativa

replicabile per rigenerare edifici

in disuso, la cui gestione di servizi è affidata

a categorie socialmente deboli (disabili,

donne vittime di abusi ma anche professionisti

dell’accoglienza turistica rimasti

senza lavoro a seguito dei fenomeni sismici.

«Un progetto multidisciplinare come

Twin mi consente di imparare moltissimo

perché parte dalle ricerche bibliografiche

per indagare poi il territorio

andando sul campo, per capirlo e

identificare un modello», dice Federica

Bianchi, 27 anni, architetto la più giovane

ricercatrice del team.

3 nuovi assegni di ricerca

Team Politecnico: Paolo Pileri, DAStU

(resp. scientifico); Diana Giudici, DAStU

(project manager); Alessandra Oppio,

DAStU; Giuliana Cardani, DICA; Nicoletta

Di Blas, DEIB; Catherine Dezio, DAStU;

Alessandro Giacomel, DAStU; Rossella

Moscarelli, DAStU; Federica Bianchi,

DAStU

41


FIVE of Olympics’ FLAG |

Framework for Impact eValuation of the Effects of

Olympics For Longterm Achievement of (common)

good

Il progetto, che si articola in 4 cluster

(Milano, Valtellina, Val di Fiemme e

Cortina), sviluppa un framework integrato

di pianificazione strategica e di valutazione

dell’impatto socio-economico e ambientale

delle Olimpiadi 2026, finalizzato

alla valorizzazione del grande evento come

occasione di mitigazione delle fragilità

territoriali e delle disuguaglianze sociali.

Il framework infatti mira a scardinare la

prospettiva con cui fino ad ora sono stati

pianificati e analizzati gli impatti dei

grandi eventi: perché si focalizza non solo

sull’evento ma anche sul post-evento;

e non solo sui luoghi direttamente interessati

ma anche sui territori intermedi,

spesso esclusi.

«Vorremmo definire gli obiettivi di impatto

socio ambientali delle Olimpiadi,

analizzando documenti ma al contempo

sentendo i vari attori coinvolti nella

governance dell'evento olimpico»,

spiega Francesco Gerli, 26 anni, Phd

presso il Dipartimento di Ingegneria

Gestionale, «poi dovremmo iniziare a

definire dei casi pilota. Un ipotetico

scenario potrebbe essere ad esempio

quello di un centro medico per atleti

in Alta Valtellina. Consultando e coinvolgendo

le comunità vorremmo capire

fin da subito i possibili - e i pre-

feriti - scenari sul riutilizzo di quella

infrastruttura. Se il riutilizzo del Centro

Medico come "punto nascita per

le mamme" fosse lo scenario più condiviso

dalla comunità locale dell'Alta

Valtellina, che cosa dovrà cambiare

fin da ora i termini di progettazione e

negli appalti? Lo stesso ragionamento

potrebbe valere per un Palaghiaccio

alla periferia di Milano». Infine,

conclude: «Lavorare per un evento

così grande, che sta per cominciare,

dà sicuramente grande concretezza,

se non urgenza, alla ricerca».

3 nuovi assegni di ricerca

Team Politecnico: Irene Bengo, DIG (resp.

scientifico); Matteo Vincenzo Rocco,

DENG (project manager); Marika Arena,

DIG; Giovanni Azzone, DIG; Alessandro

Balducci, DASTU; Stefano di Vita, DASTU;

Francesco Gerli, DIG

SPèS | SPORT è SOCIETÀ

Rigenerazione sociale, promozione della salute e inclusione urbana, attraverso

la riattivazione del sistema delle infrastrutture sportive degli

oratori milanesi

Il progetto si fonda sulla promozione di

nuove pratiche di inclusione e rigenerazione

sociale attraverso l’attività sportiva

derivante dall’innovazione del sistema

delle infrastrutture sportive degli oratori,

ampiamente diffuso nelle città italiane.

Il progetto tocca diversi ambiti attraverso

un approccio sistemico, ad oggi non

ancora esistente: dalla pianificazione dei

servizi alla riattivazione delle infrastrutture,

includendo riflessioni sullo sport come

parte della “welfare society”, introducendo

l’elemento della valutazione del

benessere psico-fisico, con particolare riferimento

alle fasce deboli della popolazione,

e valorizzando e potenziando il patrimonio

di queste strutture nella città

metropolitana di Milano.

«In quanto proponente, il mio ruolo sarà

quello di supportare la ricerca in special modo

sul fronte dell’analisi e delle strategie di

innovazione del patrimonio - in particolare

ecclesiastico e parrocchiale, a cui gli oratori

fanno riferimento - tematiche approfondite

nel corso della mia ricerca dottorale», spiega

Francesca Daprà, 30 anni, architetto e PhD

presso il Dipartimento di Architettura.

5 nuovi assegni di ricerca

42

Team Politecnico: Stefano Capolongo,

DABC (resp. scientifico); Maria Pilar

Vettori, DABC (project manager); Davide

Allegri, DABC; Maddalena Buffoli, DABC;

Francesca Daprà, DABC; Andrea Rebecchi,

DABC; Mario Calderini, DIG; Veronica

Chiodo, DIG; Gabriele Guzzetti, DIG;

Rossella Onofrio, DIG; Paolo Galuzzi,

DASTU


UNPark Urban Nudging Park | Sport, inclusione e riqualificazione urbana

Il Cavalcavia Serra-Monte Ceneri di Milano

presenta una serie di problemi: dalla sosta

selvaggia a questioni igienico-sanitari fino

all’essere una vera e propria barriera visiva

e fisica. UNPark (Urban Nudging Park) è

uno studio di fattibilità per fasi, che prefigura

scenari di medio-lungo periodo e con

una parte di realizzazione come azione pilota,

per trasformare gli spazi sotto il cavalcavia

in una piastra multifunzionale per street

sport e altre attività sociali ad accessibilità

universale. Il progetto prevede in parallelo

anche il monitoraggio della qualità dell’aria

e ambientale della zona, la sperimentazione

di Nature-Based Solutions e di materiali

innovativi. Così Skate, ballo liscio, ginnastica,

ma anche calcetto, basket e altre attività

a corpo libero conviveranno con device capaci

di assorbire l’inquinamento da anidride

carbonica e sistemi di filtraggio. La popolazione

residente, con particolare attenzione

ai giovani delle scuole, agli anziani e

ai disabili, sarà coinvolta in tutte le fasi del

progetto pilota; compresi gli eventi ludico-sportivi

che faranno rivivere la parte sottostante

il cavalcavia.

«Gli street sport come lo skateboard entrano

in profonda relazione con il paesaggio

urbano e fanno sorgere interrogativi

sulla città», dice Paolo Carli, responsabile

scientifico di UNPark, «la

domanda da cui siamo partiti è questa:

cosa comporta nella città del 2020 avere

delle infrastrutture mono-funzionali?

Un cavalcavia, che vede al di sopra i veicoli

a scorrimento tra le case e sotto un

parcheggio di interscambio che diventa

luogo di degrado ha ancora senso?»

3 nuovi assegni di ricerca

Team Politecnico: Paolo Carli, DAStU (resp.

scientifico); Luigi De Nardo, CMIC (project

manager); Carol Monticelli, ABC; Barbara

Di Prete, DESIGN; Francesco Bruschi, DEIB;

Matteo Clementi, DAStU

ACTS | A Chance Through Sport

Sport ed educazione motoria negli istituti di reclusione: un

progetto di spazi e di reinserimento sociale

Le condizioni di vita nelle carceri italiane

costituiscono una nota emergenza sociale.

Ciò dipende anche dalla carenza di

qualità degli spazi e di occasioni relazionali.

Lo sport è un dispositivo di attivazione

di queste criticità. La ricerca indaga

e agisce proprio il tema dello sport in

carcere come strumento di reinserimento

sociale: tramite la modificazione degli

spazi, lo sviluppo di attività motorie,

il monitoraggio della salute psicofisica, la

narrazione audiovisiva e la sua divulgazione.

Il progetto si svilupperò all’interno

della case di reclusione di Milano-Opera,

Milano-Bollate e all’Istituto Penale

Minorile Beccaria di Milano. Spesso

il culto del corpo, anche in luoghi

come il carcere, è portato all’estremo.

Quali significati porta con sé? Come

costruire dignità al corpo del condannato?

ACTS vuole rispondere a queste

domande.

3 nuovi assegni di ricerca

Team Politecnico: Andrea Di Franco,

DASTU (resp. scientifico); Francesca

Piredda, DESIGN (project manager); Paolo

Bozzuto, DASTU; Luca Mainardi, DEIB;

Matteo Zago, DEIB; Davide Fassi, DESIGN

«L’etimologia ci ricorda che sport significa camminare. La scorsa primavera ho avuto la fortuna

di vivere una partita con una squadra di detenuti. Lì, in quei metri verdi tra muri di cemento,

ho visto che lo sport, uno dei più grandi patrimoni dell’umanità, può essere una via

maestra per proseguire - per tanti ricominciare - un cammino», osserva Matteo Zago, 33 anni,

assegnista di ricerca presso il Laboratorio di Analisi della Postura e del Movimento Luigi

Divieti, Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria. «ACTS è questo - continua

a raccontare - portare lo sport e il movimento dentro i cancelli del carcere, e diffonderne fuori

l’importanza sociale. Salute, benessere psicologico, interazione con ambiente e persone, e

sullo sfondo un orizzonte per vivere, un giorno, in pace».

43


I progetti del 2018:

lavori in corso

Città e Comunità Smart in Africa è il tema sviluppato dai progetti

finanziati con il 5 per mille nel 2018 (che fanno riferimento alle

donazioni del 2016). Ve li abbiamo raccontati nel numero 5 di

MAP, ora vi aggiorniamo sulle attuali fasi di lavoro

BECOMe

3 nuovi assegni di ricerca

e diversi contratti di

collaborazione

Lo studio si focalizza su di un modello di

sviluppo integrato per Mogadiscio, promuovendo

insediamenti sostenibili con

alloggi, spazi imprenditoriali, servizi sociali

e produzione di energia rinnovabile. Attualmente

si stanno sviluppando le regole

realizzative per gli insediamenti urbani e

si stanno finalizzando i calcoli economici

per individuare le condizioni di fattibilità.

«Fare parte di un team multidisciplinare

permette di unire in modo sinergico le

varie capacità ed expertise, permettendo

di uscire anche da quello che è il proprio

raggio di competenza e arricchendosi

delle esperienze»

Giuliana Maria Miglierina, 30 anni, assegnista

di ricerca presso il Dipartimento di

Architettura e Studi Urbani

EMotion

4 nuovi assegni

di ricerca

44

117 km di strada a carreggiata unica che

collega siti di importanza storica ed architettonica

Massaua e Asmara, in Eritrea.

Il progetto vuole valorizzare questo

percorso, che rischia di sparire. La

prima parte di ricerca che comprende

analisi, sopralluoghi e consolidamento

dei rapporti di collaborazione con

gli stakeholders locali si è conclusa. Attualmente

è in corso la validazione delle

prime ipotesi progettuali.

«Si è rivelato un lavoro veramente multidisciplinare,

con un continuo confronto

tra competenze diverse, fortemente ancorate

ai problemi reali della mobilità e della

sostenibilità, della sicurezza delle infrastrutture

e del loro valore come patrimonio

culturale»

Katherina Flores Ferreira, 27 anni, assegnista

di ricerca presso il Dipartimento

di Ingegneria Civile e Ambientale


Boa_Ma_Nhã, Maputo!

Il progetto vuole contribuire allo sviluppo e

alla cultura della pianificazione territoriale

in un’area amministrativamente frammentata

del Mozambico. Conclusa la fase analitica,

si stanno definendo i due prodotti principali

del progetto: le Linee Guida Strategiche

per la Regione Metropolitana di Maputo e il

Progetto di Sviluppo Locale per Namaacha. A

breve il team sarà di nuovo in missione per

presentare l’Assessment Report ai partner

locali e per discutere i prossimi passaggi e

le possibili nuove traiettorie di ricerca ed implementazione

del progetto

«La trovo un’occasione unica di ricerca

trans-disciplinare, di crescita professionale

e umana attorno a tematiche sempre

più urgenti ed attuali in un contesto in

forte evoluzione»

Lorenzo Rinaldi, 26 anni, assegnista di

ricerca presso il Dipartimento di Energia

5 nuovi assegni

di ricerca

SAFARI NJEMA

Circa l’80% della mobilità nelle grandi

città africane si basa su sistemi informali:

quasi la totalità delle famiglie

non ha un’auto e i sistemi di trasporto

pubblico scarseggiano. Il progetto lavora

a scenari di mobilità sostenibili e policy

advisors. Lo scorso gennaio il team

di ricerca ha firmato un Memorandum

of Understandingcon l’Agenzia Metropolitana

dei Trasporti. Ha inoltre stretto

partnership a livello istituzionale con

il Ministero dei Traporti e collaborazioni

accademiche, per organizzare moduli

didattici sui temi oggetto della ricerca.

«Il progetto, altamente interdisciplinare e intersettoriale,

permette agli assegnisti di creare

un framework di collaborazione tra le diverse

discipline. Ha inoltre la potenzialità di

avere un grande impatto sul campo. Ciò permette

a tutti noi il fondamentale esercizio

applicativo dalla ricerca alle pratiche e alle

politiche locali per diversi tipi di attori e istituzioni,

creando davvero una base sostanziale

per la trasformazione delle policy»

Anna Mazzolini, 39 anni, assegnista di

ricerca presso il Dipartimento di Architettura

e Studi Urbani

7 assegni di ricerca

3 borse di dottorato

45


5

INDUSTRIA

180 ANNI

SUI BINARI

DELLA STORIA di

Valerio Millefoglie

Nel 1839 si inaugurava il primo tratto ferroviario italiano.

La Fondazione FS, diretta dall’Alumnus Luigi Cantamessa,

custodisce il patrimonio storico dei viaggi degli italiani e

rimette in moto le piccole stazioni dell’Italia di una volta

46


Il 3 ottobre 1839 partiva da Napoli il

treno diretto a Portici. Con i suoi 7 km

era il primo tratto ferroviario italiano.

A bordo della locomotiva a vapore

denominata Vesuvio sedeva il re

Ferdinando II di Borbone. Poi, con il

regio decreto del 15 giugno 1905, lo

Stato prese in carico la maggior parte

delle linee ferroviarie italiane. Sin

da quel primo viaggio, la storia dei

treni si intreccia con quella dell’Italia:

convogli corazzati portano le truppe

italiane al fronte durante la Prima

Guerra Mondiale, i vagoni degli

anni ’30 accompagnano gli italiani

in vacanza, che per la prima volta

diventano turisti e scoprono

l’Italia che ancora non conoscono, il

boom economico coincide con il boom

del treno Settebello. Tutti questi eventi

sono qualcosa di ancora molto presente

nella sede della Fondazione delle FS,

dove l’Alumnus Luigi Cantamessa,

Direttore Generale, come un archeologo

ferroviario, ha riportato dai suoi viaggi

una serie di reperti, documenti e

arredamenti ritrovati nelle vecchie

stazioni abbandonate.

“Binari senza tempo” è il progetto di

riqualificazione di quasi 600 km di

linea ferroviaria ormai in disuso,

nonché di decine di locomotive

storiche restaurate, e trova la

sua origine proprio nella tesi di

laurea di Cantamessa. «Era una

tesi e si intitolava “Recupero della

competitività ed efficienza sulle linee

ferroviarie a scarso traffico”. Quelle

linee in agonia che appunto, dieci anni

dopo, avrei riaperto». Qual è il valore

della memoria e perché riportarla in

vita? «Se le avessimo abbandonate

sarebbero state ricettacolo di

discariche e di inquinamento.

Qualcuno avrebbe bonificato ponti

e stazioni? Avremmo creato degrado

in contesti panoramici meravigliosi.

Prendendo oggi quei treni lei paga

un biglietto etico per il prezzo e per

l’economia positiva che mette in

circolo. Scendendo, ipotizziamo, in

comuni come quello della Majella, lei

si reca in osteria, compra un regalino,

visita quel museo finanziato magari da

un fondo europeo e dove mai nessuno

entra. Non è turismo d’élite, è il vero

turismo brado, due volte intelligente

perché virtuoso. Quando abbiamo

iniziato nel 2013 contavamo seimila

viaggiatori, oggi sono centomila

all'anno. Questo lavoro dimostra che

nel nostro Paese la speranza può

rinascere, a cura di tutti».

«La mia tesi al

Politecnico era

dedicata a quelle

linee ferroviarie

in agonia che

dieci anni dopo

avrei riaperto.

Segno che chi

crede, può fare»

In alto la rievocazione storica in occasione

dei 100 anni della Napoli-Portici nel 1939,

nella pagina accanto la Ferrovia della

Transiberiana d'Italia, parte del progetto

"Binari senza tempo"

LUIGI CANTAMESSA - 42 anni

Direttore Generale Fondazione Ferrovie dello Stato

Alumnus Ingegneria Civile

47


Salendo su un vagone di memoria

personale, Cantamessa rievoca il

tracciato che, anche attraverso il Poli,

l’ha portato a queste destinazioni. «A

undici anni partecipai a un concorso

nazionale indetto dal ministero,

rivolto ai bambini delle scuole medie.

Dovevamo scrivere un un tema sul

trasporto. Un giorno squilla il telefono

di casa: "Pronto, buongiorno, sono

la segretaria dell’Amministratore

Delegato delle FS, cerchiamo il

signor Luigino, volevo chiedergli la

circonferenza della testa perché stiamo

facendo confezionare un berretto da

capostazione ad hoc”. Mia madre pensò

a uno scherzo». Cantamessa apre

un album fotografico dalla copertina

verde, un archivio privato in cui lo si

ritrova negli scatti del giorno della

premiazione. Su un divano dell’ufficio

dell’amministratore delegato ci sono

lui, i suoi genitori e Mario Schimberni,

l’allora amministratore delegato. «Entrai

in questo palazzo a undici anni, mai

pensando di farne un giorno la mia

seconda casa». Tra le foto spunta la

corrispondenza tra lui bambino e

Schimberni. Ne sceglie una e legge: “Ho

ricevuto la tua lettera del 27 gennaio, ti

ringrazio per la bella fotografia, se avrai

volontà e perseveranza potrai divenire

ingegnere ferroviario o capo stazione

o comunque lavorare nelle FS. Cerca di

studiare con entusiasmo ed intelligenza

e vedrai che certamente realizzerai le

tue aspirazioni e, perché no, ambizioni.

Ti abbraccio, Mario Schimberni, 16

febbraio '89”. Si riannoda alla scelta di

studiare ingegneria al Politecnico: «Io

vengo da una famiglia di commercianti.

Per uno nato a Trescore Balneario, in

provincia di Bergamo, fare l’ingegnere

dello Stato era qualcosa di poco

legittimo. Nella mentalità bergamasca,

quella operosa, della ricca provincia,

bisognava fare l’imprenditore, aprire

una fabbrica, fare il muratore. Io invece

tenni sempre fede alla prima volta in

cui salii su di un treno. Avevo cinque

anni e mi portarono da uno zio che

abitava a Margherita di Savoia. Rivedo

questo treno enorme, possente, che

faceva tremare la terra sotto i piedi e

io piccolo, sproporzionato, passeggero

di un viaggio notturno che mi sarebbe

rimasto scolpito in mente». Al Poli arriva

nel ’96: «Quell’anno era attivo un corso

di studi con indirizzo trasporti. Volevo

fare Ingegneria Meccanica, perché avevo

la fissa della trasmissione del moto, dai

motori alle ruote, ma poi scoprii che

Ingegneria Civile aveva un bel percorso

di economia e pianificazione dei

trasporti e poteva darmi più opportunità

per realizzare ciò che volevo. Appena

laureato, mi dicevo: "dovessi tornare

indietro non lo rifarei più". Oggi alla luce

della mia modesta carriera ringrazio

il Poli per il rigore e la disciplina

che mi hanno insegnato. È il luogo

dove per la prima volta ho imparato

a gestire il tempo e, soprattutto, ad

essere multitasking. I primi anni dovevi

seguire chimica, geometria, algebra

e non potevi soffermarti sei mesi su

ogni materia, dovevi essere capace di

portare avanti tutto. Un esame come

48


Nella pagina accanto, a sinistra, la Ferrovia

del Sebino, in alto quella dell'Irpinia e

in basso quella della Pedemontana del

Friuli. Il progetto “Binari senza tempo”

coinvolge oltre 100 comuni dal nord al sud

della Penisola. Ogni anno si effettuano 90

circolazioni con treno a vapore (dato 2019)

per un totale di 100mila viaggiatori a bordo

dei treni storici e 200mila visitatori del

Museo di Pietrarsa.

Qui sotto, Luigi Cantamessa con il Presidente

Mattarella per le celebrazioni dei 180 anni

dal primo viaggio su rotaia e gli ambienti del

treno presidenziale restaurato

quello di Pianificazione ed Economia

dei Trasporti mi è servito tantissimo

nella vita reale, perché economia e

pianificazione ti danno la possibilità

di cambiare davvero le cose». Tra le

cose ritrovate nelle vecchie stazioni

ne ricorda una in particolare: «Non si

tratta di un oggetto ma di un sistema.

In una casupola di fronte all’isola di

Tavolara, nel Golfo degli Aranci, ho

trovato un foglio di carta che spiegava il

sistema di continuità territoriale con la

Sardegna. Per garantirla, che ci fossero

cento passeggeri o solo uno, vi era un

servizio di nave traghetto collegata a

Civitavecchia, indipendentemente dalle

condizioni del mare. Mi rese sgomento

perché non seguiva l’analisi dei costi

benefici ma un principio costituzionale:

voi sardi siete italiani? Allora avete

diritto di andare a Roma, con qualsiasi

condizione meteo». A riguardo aggiunge

che «l’Osservatorio dei Beni culturali

del Politecnico di Milano, con cui

abbiamo una partnership, ha inserito la

nostra fondazione e il nostro progetto

di digitalizzazione archivistica tra le

best practice italiane proprio perché

ci occupiamo di un recupero delle

tecnologie speculare al recupero di

storie umane». I prossimi obiettivi

strategici riguardano il rilancio di due

treni antesignani dell’odierna Alta

Velocità, l’ETR 250 Arlecchino e l’ETR

300 Settebello. «Sempre nel corso

del 2020 - aggiunge Cantamessa - è

previsto il recupero di un complesso

di Ale601 destinati ad espletare servizi

charter e la flotta degli elettrotreni avrà

sede presso l’ex OGR di Bologna, che

diventerà nuovo Hub manutentivo della

Fondazione FS»

In una foto da lui recuperata

nell’archivio della Fondazione FS si vede

una famiglia affacciata al finestrino di

un treno. Sono Bernardo Mattarella,

tre volte ministro dei trasporti, con la

moglie e il giovane figlio Piersanti. «Per

le celebrazioni dei 180 anni dal primo

viaggio su rotaia abbiamo viaggiato

con il Presidente Mattarella sul treno

presidenziale restaurato, da Napoli a

Portici, portandolo anche in visita al

rinnovato Museo Ferroviario Nazionale

di Pietrarsa. In quell’occasione gli ho

regalato quella foto trovata in archivio.

Il Presidente mi ha detto “C’ero anche

io, solo che ero troppo piccolo e non

arrivavo ad affacciarmi al finestrino”.

Ecco - conclude Cantamessa - la

storia si ricollega, i binari sono fili da

riannodare».

«Il Poli è il luogo

dove ho imparato

a gestire il tempo

e ad essere

multitasking.

Un insegnamento

di vita»

49


5

INDUSTRIA

AIRLITE: LA PRIMA VERNICE

CHE PURIFICA L’ARIA AD ARTE

Secondo le Nazioni Unite è una delle quattro tecnologie

più rilevanti per contrastare l’inquinamento. Ed è tutta

italiana: fra gli ideatori c’è l’Alumnus Antonio Cianci,

che abbiamo incontrato proprio sotto uno dei murales

realizzati con AirLite

di Carmela Menzella

In alto il murales "Antropocene" in via

Viotti a Milano realizzato da Federico

Massa Iena Cruz, con la onlus Worldrise,

utilizzando AirLite

50


“L’uomo ha portato il pianeta oltre i

suoi limiti”, scriveva il premio Nobel

per la chimica Paul Crutzen nel suo

saggio “Benvenuti nell’Antropocene”,

la prima era geologica in cui l’uomo è

la causa principale dei cambiamenti

climatici e territoriali del pianeta. E in

un angolo di pianeta, precisamente in

via Viotti a Milano, zona Lambrate, un

grande murales che prende il nome di

Antropocene ha trasformato la facciata

di un palazzo in cui, racconta un inquilino,

c’erano delle perdite d’acqua, in

un habitat di animali marini che nuotano

in una bottiglia di plastica. A realizzarlo

è stato l’artista Federico Massa

Iena Cruz, con la onlus Worldrise, utilizzando

AirLite, la prima vernice anti-inquinamento.

Sotto il murales ci sono

l’Alumnus Antonio Cianci e Massimo

Bernardoni, i due imprenditori

che hanno dato vita a questa

pittura che sfrutta un meccanismo

completamente naturale per depurare

l’aria dall’88,8% degli agenti

inquinanti, fra cui ossidi di azoto

e formaldeide. Il principio attivo

contenuto nella pittura, a contatto

con la luce, ossida gli inquinanti,

trasformandoli in sali inerti e andando

a rompere la membrana cellulare

anche dei batteri resistenti ad

antibiotici. Guardando il murales, Antonio

Cianci commenta: «Questa forse

oggi è la realizzazione più rappresentativa

di AirLite perché unisce a una

scelta cromatica di grandissimo impatto,

un messaggio legato all’ambiente di

grande profondità; e non solo perché il

tema del murales è l’oceano, ma perché

pone l’accento su come l’inquinamento,

e ciò che di male è stato fatto al

pianeta, con le nuove tecnologie, possa

essere affrontato e in alcuni casi anche

risolto». 100 m² di superficie trattata

con AirLite corrispondono all’aver

piantato un bosco della stessa super-

ficie. «Oggi noi abbiamo un muro che

elimina le sostanze nocive, tutta l’aria

che tocca le pareti diventa aria nuova»,

riflette e aggiunge, «abbiamo materiali

che non sono passivi, cioè non

trasmettono esclusivamente un contributo

estetico ma vivono anche una dimensione

tecnologica. Sin dall’antichità

l’arte è stata vettore di conoscenza,

ecco perché abbiamo pensato all’iniziativa

"Air Is Art", una serie di murales

realizzati da diversi street artist

per veicolare il messaggio dell’inquinamento

in modo non accademico.

Lavorare con l’arte in contesti di riqualificazione

urbana aumenta anche

il senso di orgoglio di chi abita

questi luoghi».

Dal portone di via Viotti escono alcuni

inquilini: un padre con una bambina,

un ragazzo con lo zaino, un uomo con

il cane. Dalla finestra della casa al piano

terra s’intravede un salotto, la televisione

è accesa. E vien da pensare alle

vite che questo murales in qualche

modo difende. Non solo palazzi e paesaggi

urbani. Massimo Bernardoni spiega

che «la pittura è come l’acqua, serve

per fare tutto». E Cianci elenca i luoghi:

«Dal salotto allo studio dentistico,

dall’ufficio di un avvocato all’headquarter

di una grande azienda, fino

al capannone industriale. In ognuna

di queste realizzazioni, AirLite esprime

una sua diversa proprietà. Nella

cucina di un ristorante la virtù è l’assenza

di odore, in un capannone industriale

è apprezzato il fatto che un muro

rimanga pulito più a lungo e che rifletta

la componente calda della luce

del sole, e possa essere usata meno

energia per rinfrescare l’ambiente. Negli

interni elimina batteri, spore e muffe

perché annienta gli agenti patogeni

che portano problemi respiratori quali

asma e irritazioni cutanee degli occhi;

per questo stiamo lavorando anche

in ambito ospedaliero. In Messico

c’è un’indicazione governativa che seleziona

questo prodotto come riferimento

per il contrasto alle funzioni nosocomiali

e stiamo collaborando con molte

residenze sanitarie per anziani, dove riducendo

le componente batteriche dei

volumi, contribuisci a migliorare il benessere

dei residenti».

E il colore si sta spargendo un po’

ovunque, il prodotto si trova infatti in

Europa, Giappone, negli Emirati Arabi e

in Australia. Ma da dove sono partiti?

Nel 2010 Antonio Cianci è Consigliere

«100 m² di superficie trattata con

AirLite corrispondono all’aver

piantato un bosco di esattamente

100 m². Così oggi abbiamo un muro

che respira, e che è bello da vedere»

ANTONIO CIANCI - 52 anni

Co-founder AirLite

Alumnus Ingegneria Elettronica

Qui accanto Cianci, primo da destra, con i

co-fondatori di AirLite Massimo Bernardoni

e Arun Jayadev

51


per l’Innovazione presso la Presidenza

del Consiglio dei Ministri e cura la realizzazione

del progetto Italia degli Innovatori,

una mostra dedicata alle eccellenze

tecnologiche italiane presentata

quell’anno all’Expo di Shangai. Fra

le innovazioni presentate, c’è proprio il

progetto di Massimo Bernardoni. «Insieme

abbiamo iniziato a lavorare sulla

formalizzazione della proprietà intellettuale,

sul brevetto e abbiamo avviato

la parte più difficile e frustrante:

convincere il pubblico. All’esterno non

c’era neanche incredulità ma la totale

mancanza di idea che potesse esistere

qualcosa del genere. Nessuno conosceva

ciò che faceva Massimo perché si

rivolgeva agli esperti del settore, che

però rigettavano l’idea in quanto non

facente parte del loro bagaglio di conoscenze.

Quindi c’era da una parte la

mancanza di fondi e dall’altra l’incredulità

del mercato. Abbiamo aggirato

questa diffidenza lavorando sui beneficiari,

le persone, e comunicandola

attraverso l’arte. Poi, quando tutti

l’hanno scoperta, sono arrivati anche

gli esperti del settore e c’è stato l’effetto

opposto. Oggi riceviamo offerte di

collaborazione da più o meno tutte le

grandi aziende del mondo». Viene da

chiedersi che ruolo abbia avuto in tutto

questo un percorso come quello fatto

al Politecnico. «Ho avuto la fortuna

di seguire Ingegneria Elettronica

nel 1986, primo anno in cui venne introdotto

come corso di studi. Il Poli

offre la capacità di affrontare l’ignoto,

con la consapevolezza di poterlo

comprendere. Ti abitui a comprendere

ciò che non conoscevi, come quando

aprivi il libro di Alonso Finn, “Fisica 3”,

e ti dicevi che non ce l’avresti mai fatta

e invece in due mesi lo padroneggiavi.

Questa capacità ti permette poi sul

lavoro di interloquire togliendoti ogni

paura di non essere in grado di affrontare

un’innovazione tecnologica».

Cianci ha pubblicato nel 2009 anche

il fortunato libro: “Eureka! 100 inventori+100

invenzioni che ci hanno cambiato

la vita”. «Per mantenermi al Poli

- ricorda - insegnavo alle scuole superiori.

In didattica, per far passare la

conoscenza, devi saperla descrivere.

Così mi sono avvicinato alla personalizzazione

della scienza. Quando studiavamo

l’equazione del calore di Fourier

raccontavo agli studenti anche la

storia di Fourier, di questo matematico

che era stato in Egitto ed era malato

di calore, accendeva il camino anche

d’estate, per lui il calore era tutto.

Logico che quell’equazione non poteva

che farla lui! L’aver interpretato e descritto

le frustrazioni di quelli che hanno

avuto successo ci ha aiutato molto,

nei primi tempi di AirLite, a superare le

nostre». E ai giovani studenti di oggi consiglia

«di non farsi sedurre dagli aspetti

tecnici ma andare ad approfondire gli

aspetti teorici che sono a monte. Dunque

non pensare a come costruire un braccio

di robot ma studiare la logica di intelligenza

artificiale che c’è dietro, altrimenti

diventi esecutore. Accompagnerei poi il

percorso tecnico alla comprensione dei

mercati, altrimenti si rischia di essere relegati

nel recinto dei server e laboratori.

Se però riesci ad unire a questo la conoscenza

della vita dell’azienda, è più facile

raggiungere il successo». Una donna in

attesa del tram alla fermata proprio vicino

al murales ha sentito parte dell’intervista.

Si avvicina a Cianci e a Bernardoni

e dice: «Posso chiedere anche io qualcosa?

Ho visto questa meraviglia e volevo

capire quali agenti inquinanti elimina».

E i due, tornano a raccontare il

proprio prodotto.

GLI EFFETTI DEGLI ALBERI SULLA

RIDUZIONE DELLE SOSTANZE INQUINANTI

Gli alberi rimuovono efficacemente

le sostanze inquinanti dall'aria.

Ovviamente, l'efficacia dipende dalle

dimensioni degli alberi: un albero

con un diametro del tronco di 80 cm

rimuove 1,4 kg all'anno, mentre uno

con un diametro del tronco di 8 cm

rimuove 70 volte meno (20 grammi

all'anno) sulla base dei dati dell'USDA

Forest Service. Per i nostri calcoli, si

assume un diametro del tronco di 80

cm, quindi 1,4 kg di sostanze inquinanti

rimosse in un anno. I calcoli sono

stati fatti per gli inquinanti a livello

cumulato, comportando nel dettaglio

una quantità inferiore per l'ossido

di azoto, ma manterremo comunque

questo valore per semplicità. Un albero

elimina 1400 grammi di sostanze

inquinanti all'anno, che corrisponde

(1400 / 365 = 3,83) a 3,83 g / giorno. La

superficie di un albero proiettata sul

terreno è di circa 25 m 2 (un quadrato

di 5 m di lato). Una superficie di 25 m 2

coperta di AirLite elimina (0,154 x 25 =

3,85) 3,85 g / 12 ore. Quindi sia l'albero

che l'AirLite riducono la stessa quantità

di inquinante per la stessa superficie

equivalente.

52


In alto Garage Italia a Milano, sotto il tunnel

del Traforo Umberto I a Roma realizzati con

la vernice Airlite.

«Il Poli ti dà la capacità di affrontare

l’ignoto. Con la consapevolezza di

poterlo comprendere. Anche questa è

innovazione tecnologica»

53


5

INDUSTRIA

YAPE: DALL’ITALIA AL GIAPPONE,

L'ULTRALEGGERO PER IL DELIVERY

HA FATTO STRADA

di Elisabetta Limone

Cammina da solo ma dietro di lui ci sono tutto un

Politecnico e una fabbrica di imprese: storia di Yape, il

veicolo autonomo per le consegne ha iniziato il suo giro

Giappone. Una coppia di anziani

residenti a Minamisōma, cittadina

nella prefettura di Fukushima colpita

nel 2011 da uno tsunami e da un

conseguente disastro nucleare, apre

la porta di casa. Sull’uscio c’è, come lo

definiscono i suoi ideatori, «un piccolo

veicolo autonomo e ultraleggero».

Qualcun altro potrebbe usare la

parola “robot”, vedendo nei due fari

posti fra le linee morbide e ondulate

del design della carenatura, un eco

di volto-robot. Il suo nome ufficiale

è Yape ed è specializzato nella

consegna dell’ultimo miglio, ovvero

l’ultimo tratto di strada compiuto

dalle merci per giungere al domicilio

del cliente. La coppia di Minamisōma,

riconosciuta dal sistema tramite

scansione facciale, solleva il tettuccio

di Yape e rivela il contenuto, in questo

caso un pacco per conto di Japan Post;

che ha partecipato alla partnership

per la prima fase sperimentale del

veicolo in Giappone.

Yape però potrebbe trasportare anche

qualcosa di caldo o di freddo, perché

lo scomparto interno ha la possibilità

di essere climatizzato. A quel punto,

torna fra le strade della cittadina,

tra passanti, semafori, marciapiedi, il

tutto sulle sue due ruote basculanti,

capaci di ammortizzare urti e cambi

di percorso. A concepirlo è stato un

team di ingegneri del Politecnico di

Milano, che l’ha sviluppato e realizzato

nella fabbrica di imprese e-Novia.

«Siamo una fabbrica di imprese e

«L’obiettivo era

definire quale

fosse la mobilità

del futuro per

il trasporto dei

pacchi nelle

nuove città.

Yape è la nostra

risposta»

54


tra i nostri interlocutori privilegiati

ci sono le università. Investiamo ad

esempio nei progetti di ricerca con il

Politecnico di Milano dove, ed è il caso

di Yape, si è ragionato sul tema della

mobilità», racconta Vincenzo Russi, cofondatore

e amministratore delegato

di e-Novia, «ci siamo accorti che i

veicoli analoghi a Yape già esistenti,

a causa delle dimensioni e dell’avere

quattro o sei ruote, avrebbero avuto

problemi a muoversi in un paesaggio

come quello italiano caratterizzato

spesso da strade piccole, centri storici

di origine medievale, su marciapiedi

e viali non certo della grandezza di

quelli californiani». Russi passa poi

a mostrare un altro percorso, quello

codificato per ogni prodotto realizzato

da e-Novia e che, partendo da un’idea

di proprietà intellettuale, giunge al

risultato finale integrando competenze

e settori: «I prodotti sui quali si

lavora oggi presentano complessità e

problematiche tecnologiche che sono

impensabili da risolvere con una sola

forma di ingegneria, di design o di

architettura. Per questo, qui in e-Novia

abbiamo Alumni che sono loro stessi

politecnici, "persone politecniche", cioè

in grado di governare più tecnologie.

I laureati in design, ad esempio,

diventano esperti di economia, di

finanza, di marketing; vanno al di là

della propria competenza specifica per

comprendere fenomeni che toccano

altre discipline. Al nostro interno è

sempre più valorizzata questa figura

straordinaria che caratterizzerà

il futuro, e che il Poli sta facendo

crescere». Ricercatori che sviluppano

capacità imprenditoriali, affiancati

da esperti in marketing, consulenza

legale e finanziaria, vendita nei mercati

internazionali.

VINCENZO RUSSI - 61 anni

Co-founder e CEO e-Novia

Alumnus MIP

55


Caratteristiche Tecniche

Volume Esterno esterno

60 x 70 x 80 cm 3

Peso

Leggero

Kg

20 Kg kg

Kg

Portata Carico Massimo

Carichi Pesanti

Kg

30 Kg kg

Autonomia

40+ km

Km

Interfaccia Uomo-Robot

Luci e frecce di direzione

Vano Portaoggetti

50 x 47 x 45 cm 3

Progettato progettato per trasportare

anche prodotti freschi e e caldi

caldi

Velocità Veloicità

60 Km/h km/h sul sul marciapiede,

20+ Km/h km/h su pista ciclabile

Resistenza

IP64 (ermetico a polveri, fumi e

protetto da spruzzi d’acqua)

Ostacoli Raggiungibili

Gradini fino a 6 cm,

12% di inclinazione

«Può trasportare

posta, medicinali,

gelati, cibi caldi.

E anche più

cose, in una sola

spedizione»

Yape, passando attraverso le strade

cittadine, raggiunge la destinazione e

consegna il pacco

56


«In e-Novia

abbiamo Alumni

politecnici,

persone cioè

in grado di

governare più

tecnologie. Sarà

questa la figura

del futuro»

Yape consegna un pacco per conto di Japan

Post che ha partecipato alla partnership per

la prima fase sperimentale del veicolo in

Giappone

Intanto un esemplare di Yape si

muove lungo uno dei corridoi della

sede di e-Novia a Milano. Dietro di

lui, a seguirlo, c’è l’Alumnus e project

manager Simone Fiorenti. «Questa è la

versione giapponese, appena arrivata

oggi - dice - Più in là c’è la nuova

versione che stiamo utilizzando per dei

test, è dotata di rotelle e sospensioni

più evolute. Tutti i modelli hanno la

peculiarità di rimanere ben bilanciati, in

equilibrio sul posto. Questo garantisce

a Yape massima mobilità e gli permette

di ruotare su di sé, senza attriti sul

cemento. Può navigare sia in ambienti

outdoor che in ambienti molto stretti

o all’interno di campus universitari,

aziende ed edifici molto elevati. In ufficio

può essere utilizzato per portare la

corrispondenza dal piano zero a quello

di destinazione, dato che è in grado

di controllare l’ascensore. L’obiettivo

era definire quale fosse la mobilità del

futuro per il trasporto dei pacchi nelle

nuove città. Ci sono diverse soluzioni,

secondo noi la migliore la risposta è

stata questa: utilizzare un drone di terra,

di piccole dimensioni ed elettrico».

Un altro test, tenutosi all’aeroporto

di Francoforte nel 2019, ha visto Yape

trasportare le valigie dei passeggeri ed

accompagnarli al proprio gate. «Ma può

trasportare anche medicinali, o gelati,

il vano di carico infatti può essere

personalizzato a seconda delle esigenze

e può avere anche più scomparti

interni per portare a termine più

spedizioni in un giro», precisa Fiorenti,

«attualmente stiamo portando avanti

un pilot negli Stati Uniti, in un grosso

centro commerciale. Stiamo lavorando

con il maggior provider di food delivery

europeo, abbiamo altre applicazioni in

Corea ma anche in Italia, a Milano, dove

collaboriamo con Vodafone al progetto

5G, stiamo integrando e sperimentando

le funzionalità sul veicolo con dei test

proprio in Bovisa». Le prove sul nuovo

modello appena giunto dal Giappone

continuano, mentre a un altro piano di

e-Novia si trova invece il team guidato

dall’Alumna Margherita Colleoni, Chief

Design Officer di e-Novia. È grazie al

lavoro del team di Design, anche questo

made in Politecnico, che Yape ha vinto

il German Design Award 2019, uno dei

riconoscimenti più prestigiosi al mondo

nel settore del design industriale.

Colleoni ricorda i primi periodo di prova

del veicolo, «Lo portavamo a girare

per le strade di Milano proprio per

studiare le reazioni delle persone. Tutti

quanti ci domandavano incuriositi cosa

fosse, perché, in qualche modo, Yape

non si rivela. Si scopre cos’è soltanto

all’apertura del vano. Dunque dovevamo

lavorare su un aspetto che non

spaventasse i passanti, che ispirasse

simpatia e avesse un’aria amichevole».

E il valore di questo progetto qual

è? Lo spiega Simone Fiorenti, che

conclude: «Il numero di pacchi spediti

giornalmente è in costante aumento,

a causa dell’effetto Amazon. In poche

ore l’utente può ricevere a casa ciò

che vuole, nel minor tempo possibile.

Ciò può creare problemi logistici

e congestionamenti stradali che

possono essere risolti con questa

tecnologia».

57


6

NEL MODNO

IL PRANZO È SERVITO,

DALLA STAMPANTE 3D

Bistecche di manzo, di pollo, persino di pesce, stampate

con una nuova tecnologia in 3D, utilizzando ingredienti a

base vegetale e una tecnica tramutata dalla biomedicina.

Idea e brevetto sono dell’Alumnus Giuseppe Scionti,

fondatore della startup NovaMeat. Ecco gli ingredienti

per un futuro sostenibile, anche a tavola

di Giulio Pons

In una scodella vengono mescolati

con acqua dei piselli, delle fibre

di alghe, delle proteine del riso e

degli aromi naturali. L’impasto viene

inserito in un estrusore a siringa,

che a sua volta viene collocato

all’interno di una stampante 3D. La

macchina, attivata, inizia a creare

sul piano di stampa dei cerchi

concentrici che lentamente danno

forma a una fetta di carne derivata

da proteine vegetali. Il passaggio

successivo è su un piatto, con olio

e sale. Dietro alla stampante 3D, e

dietro al brevetto e alla tecnologia,

c’è l’Alumnus Giuseppe Scionti,

ingegnere biomedico del Politecnico

di Milano che in Spagna, a Barcellona,

ha fondato la startup NovaMeat. «Il

vantaggio di questo nuovo metodo,

rispetto alle tecniche finora esistenti,

è che la tecnologia funziona con una

varietà di ingredienti e non solo con

soia e grano, che sono limitanti, basti

vedere gli incendi continui in Brasile,

specialmente quelli dell'ultimo anno.

Vogliamo dimostrare che è possibile

difendere la biodiversità utilizzando

ingredienti sostenibili, provenienti da

diverse coltivazioni - spiega Scionti.

Ad esempio in India prenderemo

ingredienti locali, in Africa sosterremo

attraverso la FAO i Paesi con cui

lavoreremo». I calcoli indicano un

58


risparmio del 95% di suolo e del 75% di

acqua, abbattendo così le emissioni di

gas serra dell’87%. La previsione è che

la carne di NovaMeat sarà distribuita

al pubblico entro il 2022, ipotizzando

un costo per macchina di 10, 15 mila

euro, con la capacità di produrre 50

grammi di carne all’ora. Il brevetto, è

da chiarire, non è sulla stampante 3D

ma sulla tecnica di micro-estrusione

in grado di conferire alla bistecca

la consistenza fibrosa della carne.

«Immaginiamo di fornire le licenze ad

aziende, che potranno poi produrla

in larga scala, o a ristoranti per uso

interno». Al momento la startup si

sta concentrando sul dimostrare la

fattibilità del brevetto in piccola scala.

«Stiamo seguendo quattro parametri.

Il primo riguarda la consistenza

fibrosa, la texture della carne, ed è

la fase su cui ci siamo concentrati

GIUSEPPE SCIONTI - 33 anni

NovaMeat, founder

Alumnus Ingegneria Biomedica

all’inizio. Il secondo parametro è

l’apparenza, stiamo lavorando su

prodotti che possano assomigliare alla

carne, anche a livello microscopico.

Ci stiamo ora avvicinando al terzo

parametro, che è quello del sapore,

scegliendo gli ingredienti giusti da

combinare. Il quarto parametro è

quello delle proprietà nutritive. Qui

si aprono scenari nuovi. Vogliamo che

NovaMeat non sia solo un’alternativa

sana alla carne, ma che sia anche

etica, e inoltre che possa sostituirla

con effettivi vantaggi sulla salute. Un

esempio? Integrando ingredienti come

l’omega3, le si può dare proprietà che

la carne non ha».

Sarà quindi possibile fabbricare una

carne ad personam, prescrivibile

per l’alimentazione di un preciso

individuo? Scionti risponde: «Abbiamo

già ricevuto interesse in ambito clinico,

con richieste di lavorare proprio sulle

diete dei pazienti». Romanzando,

potremmo dire che l’intuizione di

Scionti sia nata dal sapersi mettere in

ascolto, perché, come ci racconta lui,

tutto è nato da un orecchio. «Mi sono

specializzato in Ingegneria dei Tessuti,

nello specifico nei polimeri naturali,

59


dunque quei composti di origine

vegetale o animale. A Barcellona ho

realizzato un prototipo non funzionale

di un orecchio umano, in scala

naturale, che poteva essere utile per

rigenerare una parte di un corpo

danneggiato. Costruendo questo

orecchio, composto da materiali molto

simili ai tessuti animali - utilizzando

solo proteine, carboidrati e grassi -

mi sono reso conto che ero riuscito a

trovare una struttura che presentava

forme e consistenze molto naturali.

Ricordo di aver mostrato questo

orecchio a un collega che mi ha detto

che, da quanto sembrasse reale,

faceva impressione. In quel periodo

si cominciava a parlare di biomeat e

di carne del futuro, così mi sono reso

conto che la tecnica poteva essere

sviluppata in campo gastronomico:

replicando il muscolo di una vacca.

Poi, l’interesse dei media, gli inviti

alle conferenze, mi hanno convinto a

brevettare questa tecnologia. Era la

tecnologia giusta, al momento giusto

e con un background accademico,

come il Poli, giusto».

Tornando ancora indietro nel suo

background ricorda: «Da piccolo non

mi piacevano le cose irreversibili.

Non mi piaceva ad esempio l’idea che

perdere un braccio per un incidente

fosse qualcosa di irreparabile. Mio

padre insegnava educazione fisica

e io pensavo a come sistemare i

tendini e i legamenti degli atleti. Nel

momento in cui ho dovuto scegliere

il percorso di laurea mi sono trovato

indeciso fra medicina e bioingegneria.

Con quest’ultima avrei però avuto la

libertà di muovermi in ambiti diversi».

Questo percorso gli è stato utile non

solo in ambito accademico. «Una

buona idea necessita di basi per

poterla spiegare, per far sì che anche

gli altri ci credano. Se non avessi

ricevuto una preparazione teorica

di eccellenza mondiale come quella

del Poli non sarei stato in grado di

trasmettere il valore scientifico della

mia tecnica». Secondo il magazine

ufficiale della Smithsonian Institution

di Washington D.C., Scionti è risultato

essere fra i “Nove innovatori da tenere

d’occhio nel 2019”.

Come si è sentito quando ha saputo di

questa classifica? «Per me è un sogno

aver sviluppato un brevetto da solo,

è un sogno aver fondato una startup,

aver parlato all’Onu, essere stato

60


La stampante 3D crea la bistecca secondo il

progetto realizzato al computer

ospite a Dubai con l’ambasciatore

italiano, però penso che questo sia un

progetto che vada al di là di me, che

sia più grande di me».

Spesso, durante le sue conferenze,

Giuseppe Scionti mostra una slide

che rappresenta la figura di Leonardo

da Vinci e una sua citazione: “No’ si

volta chi a stella è fisso”. Si usa dire

che siamo ciò di cui ci nutriamo,

e oggi questo detto ci impone una

responsabilità nuova. «Siamo la prima

generazione della storia che ha la

possibilità di applicare le conoscenze

tecnologiche per innescare un

grande cambiamento, e potrebbe

essere anche l’ultima occasione per

evitare qualcosa di più grave», dice, e

aggiunge: «studiare la bioingegneria

del futuro significherà lavorare su

applicazioni che avranno impatto

non solo nel campo dell’ingegneria

ambientale ma anche, per dirne

una, nell’ingegneria delle strutture.

Immaginiamo le architetture dei

ponti del domani, non sarà strano

avere connessioni fra bioingegneri

e architetti che studieranno come la

natura stratifichi le proprie strutture

e cosa noi possiamo imparare da

questo per il futuro delle costruzioni».

Pensando proprio a prospettive

lontane, c’è un’ultima domanda da

fare: immagini un mondo in cui la

carne non sarà realmente carne? O,

ancora più distopico, tutto ciò che ci

circonda potrà essere anche altro?

«Gli hamburger sono un’invenzione

dell’uomo, così come le salsicce e

le polpette che abbiamo mangiato

sin da piccoli a casa dei nonni.

Nel futuro non immagino un cibo

Distopico, somministrato cioè in

pillola o attraverso una flebo, ma un

cibo sostenibile. Si creeranno nuove

forme di carne e non è detto che

dovranno essere necessariamente

simili a quelle cui siamo stati abituati.

Le tradizioni rimarranno, le polpette

rimarranno, ma la carne di cui sono

fatte, magari, non sarà quella di

una mucca. Immagino un’industria

alimentare più efficiente, in modo che

le terre potranno bastare per sfamare

i miliardi di persone che avremo nel

2050 continuando a proteggere le

nostre risorse naturali».

61


6

NEL MODNO

LA GRANDE

MURAGLIA VERDE

DELLE CITTÀ di Valerio Millefoglie

Il 23 settembre 2019 l’Alumnus Stefano Boeri ha

presentato il progetto The Great Green Wall of Cities al

Climate Action Summit dell’ONU. Una grande muraglia

verde che fungerà da cordone ecologico per proteggere

il pianeta e l’uomo dai cambiamenti climatici

62


Accanto, il render del progetto The Great

Green Wall of Cities: 500mila ettari di nuove

foreste urbane e 300mila ettari di foreste

naturali da mantenere e ripristinare entro

il 2030, che andranno a collegare 90 città

dall’Africa all’Asia Centrale

Nel 215 a.C. l’imperatore cinese Qin Chi

Huang diede ordine di costruire quella

che nel 2007 è stata inclusa tra le sette

meraviglie del mondo moderno, la Grande

Muraglia Cinese. Tra i problemi del mondo

moderno ci sono i cambiamenti climatici

e una delle azioni per contrastarli sta alla

base di The Great Wall of Cities, la Grande

Muraglia Verde delle città ideata da FAO

con Stefano Boeri, Kew Gardens, Arbor Day

Foundation C40, UN Habitat, Cities4Forests

e SISEF: 500mila ettari di nuove foreste

urbane e 300mila ettari di foreste naturali

da mantenere e ripristinare entro il

2030, che andranno a collegare 90 città

dall’Africa all’Asia Centrale. La proposta

è stata presentata dall’Alumnus Stefano

Boeri lo scorso 23 settembre al Climate

Action Summit delle Nazioni Unite di New

York. «Questo progetto nasce innanzitutto

dalle collaborazioni che abbiamo avuto

grazie al World Forum on Urban Forests,

che si è svolto a Mantova nel 2018 - spiega

Boeri - In quell’occasione, in pochi giorni,

abbiamo avuto architetti, arboricoltori,

accademici, scienziati, rappresentanti

di NGO e di Istituzioni che si sono

confrontati e che hanno portato le loro

esperienze rispetto a questo tema. La

FAO, che insieme a SISEF (Società Italiana

di Selvicoltura) e Politecnico di Milano

fa parte del comitato permanente del

World Forum on Urban Forests, stava già

lavorando al progetto Great Green Wall

e insieme abbiamo provato a pensare a

come le città potessero interagire con

questo sistema». La Grande Muraglia

Verde è un progetto lanciato nel 2007

dall’Unione Africana per contrastare

l’avanzata del deserto e riqualificare

i paesaggi rurali degradati dell’Africa.

L’iniziativa coinvolge oltre venti Paesi

della regione Sahelo-Sahariana nei quali

si estenderà un muro della lunghezza di

oltre 8.000 km: dall’Algeria al Burkina Faso

dall’Egitto alla Nigeria fino al Senegal e alla

Tunisia.

STEFANO BOERI - 63 anni

Stefano Boeri Architetti

Alumnus Architettura

foto di Gianluca Di Iola

63


Il progetto si inserisce nel solco dell'iniziativa

The Great Green Wall lanciato nel 2007

dall'Unione Africana per contrastare

l’avanzata del deserto e riqualificare oltre

20 Paesi della regione Sahelo-Sahariana nei

quali si estenderà un muro della lunghezza

di oltre 8.000 km

«È molto importante costruire nuovi

processi in cui tutti noi, che abitiamo

il pianeta, ci rendiamo conto della

necessità delle piante, per poter

combattere il cambiamento climatico,

per cercare di mitigare gli effetti

dell’inquinamento, per migliorare la

nostra qualità di vita»

64


«Sono stati giorni densi di discussioni

e presentazioni - ricorda Boeri - e noi

(insieme alla FAO e a tutti i partners)

siamo stati chiamati a raccontare

questo progetto che racconta di un

processo di naturalizzazione delle

città, di connessioni verdi, e dove

si costruisce un nuovo rapporto tra

l’uomo, la città e l’ambiente. È molto

importante riuscire a costruire nuovi

processi in cui tutti noi, che abitiamo

il pianeta, ci rendiamo conto della

necessità delle piante, per poter

combattere il cambiamento climatico,

per cercare di mitigare gli effetti

dell’inquinamento, per migliorare

la nostra qualità di vita. Sempre in

occasione del forum, l’architetto

Richard Weller ci ha raccontato del

progetto World Park, che ha ispirato

l’idea di una connessione che andasse

al di la dei confini del continente

africano, ma che potesse connettere

anche l’est asiatico». Secondo le

statistiche la popolazione urbana

aumenterà fino al 60% entro il 2030,

concentrare dunque gli sforzi nelle

aree urbane diventa un nodo centrale

proprio per garantire il successo di

ogni azione mirata ad aumentare la

resilienza delle comunità.

Le città del mondo producono circa

il 70% della CO2 presente nell’atmosfera,

di contro le foreste e i boschi

ne assorbono il 40%; aumentando

dunque le superfici boschive attorno

e all’interno delle città ridurrebbe la

produzione di CO2.

Maria Chiara Pastore, ricercatore

al Politecnico di Milano, spiega il

senso della sfida: «Unire aree che

presentano già una vocazione al tema,

come gli ambiti montani o dove c’è

un ecosistema pronto ad ospitare un

certo tipo di vegetazione, ad habitat

come le città, di solito mai prese in

considerazione e che diventeranno

dei luoghi dove connettere e costruire

centri di innovazione. Dall’Africa

l’idea è di risalire all’est asiatico

immaginando due assi: uno che parte

dall’ovest degli Stati Uniti e scende

fino alla cordigliera della Ande e un

altro che dalla Spagna arriva sino

alla Cina, passando per l’Italia».

Poi, l'architetto Pastore precisa:

«il progetto è ancora in una fase di

concept e di visione, quindi lavoriamo

moltissimo ancora sulla grande scala.

Con il Poli ci concentriamo sulla

pianificazione della parte urbanistica

e della visione strategica. Ad

esempio c’è la necessità di rinnovare

l’interesse e la determinazione delle

persone ad avere il verde come parte

strutturante della città. È difficile

trovare spazio per gli alberi se non

siamo disposti ad avere viali alberati,

che ombreggiano, che perdono le

foglie, e che magari sostituiscono

qualche parcheggio. Un altro ostacolo

è ovviamente il tempo. Per avere un

albero, grande, che ombreggia, che

ha un valore estetico, ambientale,

di grande effetto, ci vogliono a volte

alcuni anni. Oggi noi siamo poco in

grado di aspettare, di vedere i risultati

del lavoro su medio, lungo termine.

E gli alberi sono i primi a subire

l’impazienza». Oltre a contrastare

il cambiamento climatico, gli spazi

verdi potranno innescare anche un

cambiamento sociale contribuendo,

ad esempio con orti comunitari,

65


«Immagino davvero delle foreste in cui finalmente

gli alberi, gli arbusti, gli insetti e gli animali ritrovino

una dimensione di equilibrio e di accettazione della

compresenza con la città»

a scopi ricreativi ed educativi

coinvolgendo le comunità a più livelli.

Ci sono altri due progetti che possono

essere interpretati come tasselli

della Grande Muraglia Verde delle

Città: la ricerca ForestaMi, a cura del

dipartimento di Architettura e Studi

Urbani, di cui Boeri è responsabile

scientifico, e ForestaItalia. Il primo

prevede la messa a dimora di 3

milioni di alberi, un albero per ciascun

residente della città metropolitana di

Milano, con l’obiettivo di migliorare

la salute pubblica, favorire le

connessioni ecologiche, aumentare

le superfici permeabili e promuovere

la transizione ecologica. Con

ForestaItalia si vuole creare una

grande trama di foreste e connessioni

ecologiche che unisca fisicamente le

aree urbane e costiere con la grande

struttura forestale e di aree protette

delle aree interne. Ne “Il barone

rampante” Calvino scriveva: “Chi

vuole guardare bene la terra deve

tenersi alla distanza necessaria”.

L’idea di una grande muraglia verde

capace di abbracciare la Terra è

molto letteraria, allo stesso modo

l’immagine di un bosco verticale

ci porta in un mondo fiabesco. Ci

prendiamo dunque una licenza

poetica e chiediamo a Stefano Boeri

di provare per un attimo a mettersi

nei panni di un narratore e di

immaginare come sarà un futuro in cui

la Grande Muraglia Verde delle Città,

ForestaMI e ForestaItalia saranno

realtà? Come immagina potranno

essere le persone, come il verde

cambierà non solo gli scenari ma la

società? «Non so come narratore, ma

io immagino davvero delle foreste in

cui finalmente gli alberi, gli arbusti,

gli insetti e gli animali ritrovino

una dimensione di equilibrio e di

accettazione della compresenza con

la città. In fondo il bosco verticale

ha proprio cercato di riportare in un

ambiente urbano molto denso un

pezzo complesso di natura».

A fianco, il Bosco Verticale di Milano ideato

e realizzato nel 2014 dallo studio Stefano

Boeri Architetti

66


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NEL MODNO

6

150 ANNI DI SCIENZA

IN UNA COPERTINA

Lo scorso novembre la prestigiosa rivista scientifica

Nature ha celebrato i suoi 150 anni. La copertina è una

rielaborazione grafica di tutte le pubblicazioni apparse

dalla sua nascita, ed è stata affidata all’Alumnus Mauro

Martino, designer esperto di data visualization e reti

neurali

di Valerio Millefoglie

Il 4 novembre 1869 veniva pubblicato

il primo numero di Nature, una delle

più importanti riviste scientifiche a

livello mondiale. Il titolo dell’articolo

di copertina era “Nature: aphorisms by

Goethe”. l’oggetto era molto “politecnico”,

precorrendo i tempi: l’intreccio tra diverse

discipline scientifiche porta a nuove idee

e conoscenze. Oggi, 150 anni dopo, Nature

ha pubblicato un patrimonio di articoli

scientifici che mantiene quella promessa.

La copertina che celebra questi 150 anni

è firmata da Mauro Martino, Alumnus

Designer del Politecnico di Milano: «La

varietà di colori e la loro distribuzione

ricorda l’espressionismo di Pollock e ci

parla della vivacità della scienza, sempre

più multidisciplinare”, commenta. “È

anche un invito a superare le barriere

che talvolta esistono nella ricerca, solo

in questo modo la conoscenza avanza».

Martino, designer pluripremiato e artista,

è fondatore e direttore del Visual Artificial

Intelligence Lab all’IBM Research, con

sede a Cambridge, e Professor of Practice

presso la Northeastern University a

Boston. Lo abbiamo raggiunto per

farci raccontare il suo mondo di data

visualization.

68


MAURO MARTINO - 42 anni

Visual AI Lab IBM, founder and director

Alumnus Design

Prima di parlare del progetto realizzato

per Nature, introduciamo il suo

lavoro. In un’intervista a Repubblica

ha dichiarato: “Mi occupo di design

computazionale. Cerco di tirare fuori la

bellezza dai dati”. Come descriverebbe

il design computazionale e perché i

dati sono belli?

Il design computazionale, o data

visualization, sfrutta le nostre

conoscenze scientifiche su come

funziona la percezione visiva per

convogliare informazioni complesse

in modo chiaro, capace di far

comprendere a un primo sguardo i

pattern contenuti in grandi quantità

di dati. Il termine tecnico è InfoViz,

che sintetizzerei come la capacità di

comunicare bellezza attraverso i codici.

Quando ero visiting professor all’MIT,

con Carlo Ratti, mi sono dedicato

a visualizzare dati provenienti dai

cellulari, ci servivano per raccontare

non solo ciò che le persone facevano

ma anche come vivevano gli spazi,

quindi tantissime visualizzazioni del

mio lavoro sono legate alle città.

Quando poi sono andato a fare il post

doc ad Harvard, il focus si è spostato

sulla visualizzazione dei modelli

matematici a partire dall’elaborazione

dei dati che passano da un cellulare

all’altro, e che ci consentono di

conoscere le interazioni che noi

abbiamo con lo spazio, i luoghi e le

altre persone.

Ed è ciò di cui vi occupate al Visual

Artificial Intelligence Lab IBM?

Sì, facciamo visualizzazioni dei dati ma

anche dei modelli. O, detta in modo più

visionario, attraversiamo le frontiere

cognitive di tutto ciò che si può

raccontare grazie a puntini, quadratini

e lineette. Kandinskij parlava di punto,

linea, superficie. Ecco, sono le stesse

componenti visive e cardini su cui

si può decomporre e destrutturare

qualsiasi mio lavoro.

Parlando dunque del lavoro per Nature,

da dove siete partiti e cosa avete

scoperto?

In questo caso Nature ci ha fornito

gli abstract, i titoli degli articoli e le

key-word di riferimento di ciascuna

pubblicazione dei suoi 150 anni.

Siamo così riusciti a collocare ogni

paper in una disciplina e in relazione

rispetto alle altre. Per questo progetto

ho lavorato in collaborazione con lo

scienziato Albert-László Barabási e

abbiamo scelto il metodo di analisi

del co-citation network: due paper

sono linkati se citati da un terzo paper.

Abbiamo scoperto così che c’erano

tantissimi scienziati che, per avvalorare

le proprie tesi, citavano paper da

campi differenti, un approccio dunque

multidisciplinare.

Le pubblicazioni che hanno avuto

maggiore impatto nella storia sono

proprio quelle che presentano queste

caratteristiche. Faccio un esempio su

tutti, quello del rivoluzionario paper

“Molecular structure of nucleic acids

- a structure for deoxyribose nucleic

acid” del 1953, che ha aperto nuove

prospettive di ricerca nei più svariati

campi. Abbiamo notato una cesura tra

prima e dopo la sua pubblicazione: gli

articoli, di lì in poi, fanno riferimento

a discipline diverse, scienze sociali,

psicologia, discipline umanistiche con

un focus sul riduzionismo, ingegneria

e tecnologia, soprattutto sul tema del

biocomputing.

Questa cesura significa che, in qualche

modo, quel paper ha avuto un impatto

su tutta la comunità scientifica e sul

mondo. Il data visualization ci ha

permesso di cogliere questo fenomeno,

come molti altri.

69


La cover di "nature, 150 years of nature"

realizzata da Mauro Martino

Volendo dare una legenda della

cover: i colori stanno a indicare le

discipline, ogni nodo rappresenta

un paper e i link sono associati alle

citazioni. Le forme che compongono

ricordano quasi delle meduse

variopinte. È un’immagine molto

complessa. Come si fanno a capire

tutte queste informazioni sottintese

solo guardandola?

L’immagine è uno strumento evocativo,

ma non basta: per questo, l’analisi

che abbiamo fatto è raccontata nel

dettaglio in un breve data-film che abbiamo

realizzato e che ci porta dentro

a questa struttura enorme fatta di 150

anni di articoli scientifici (il video si intitola

“A network of science: 150 years

of Nature papers” e si può vedere sul

canale YouTube di Nature, ndr). Spingo

il visitatore a perdersi e poi pian piano

a ritrovare la rotta. La miriade di sfere

e parabole sinuose sono come un flusso

ininterrotto che si sposta in modo

anarchico e selvaggio nei primi minuti

del film. La visione a tutto campo

dell'architettura del network e il suo

dipanarsi nella linea temporale ridanno

poi un filo conduttore al racconto.

La metafora della scienza interconnessa

è simbolicamente rappresentata

dal network.

Sempre per Nature ha realizzato, con

lo scienziato e storico Maximilian

Schich, il tool video Charting Culture,

il cui obiettivo era raccontare la mobilità

culturale e la capacità attrattiva

delle città a partire dalla nascita e

dalla morte di personaggi e intellettuali

storici dal 600 a.c. al 2012. Il video

ha totalizzato più di un milione

di visualizzazioni, un record per il genere

di video e per il canale YouTube

della rivista. Nella descrizione del video

si legge: “Questa animazione distilla

centinaia di anni di cultura in soli

cinque minuti… la mappa rivela gli

hotspot intellettuali e traccia come gli

imperi sorgano e si sbriciolino”. Com’è

nata l’idea e come l’avete sviluppata?

L’idea è partita da una domanda di

Maximilian Schich: se dovessimo

raccontare i movimenti culturali

nella storia, qual è il dato minimo

da cui dovremmo partire? La

risposta è stata: quando un dato

personaggio nasce e muore. Nel

70


Il cambiamento dei movimenti culturali nella storia

dall'anno 300 al 1964 rappresentati nel tool video

Charting Culture

300

953

1715 1964

passato, soprattutto, il luogo in cui

si moriva non era sempre una scelta.

Oggi in America si decide di andare

a trascorrere ad esempio gli ultimi

anni di vita in Florida, perché fa

caldo, perché si sta bene, all’epoca

la morte poteva giungerti dove avevi

scelto di vivere. Per quanto riguarda

poi la visualizzazione dei risultati, la

bellezza di una dataviz nasce dalle

regole che scegliamo di imporre ai

dati. Seguendo queste regole iniziali,

la bellezza emerge spontaneamente.

I dati, senza modelli, senza regole,

non ci parlano, ma se li sappiamo

interrogare e rappresentare rivelano

contenuti nascosti e ci offrono

spiegazioni in chiave antropologica

e semiotica. Nel caso di Charting

Culture, per esempio, un puntino

appare in una mappa ogni volta che

una persona nasce, il puntino si

sposta verso un’altra città mentre

gli anni passano e ad un certo punto

esplode con un bagliore rosso.

Qui è dove quel personaggio muore

e l'ultima traccia rossa si collega

con una parabola al luogo di

nascita. Queste tre semplici regole

fanno emergere pattern molto

interessanti e svelano visivamente

tutti i contenuti del paper scientifico

a cui il video è dedicato.

La mia estetica non segue uno

stile specifico, è piuttosto una

ricerca verso quelle semplici regole

che possano svelare i contenuti

preziosi dei dati. Sono alla ricerca

della semplicità, della poesia, e di

un’unificazione tra scienza e arte.

E se dovessimo visualizzare invece il

suo percorso al Politecnico?

Io sono l’esempio di chi da giovane

non sapeva cosa fare. Mi sono diplomato

con il massimo dei voti, ho

scelto Fisica per ragioni sentimentali,

sono passato a Economia e poi

sono giunto a Design. Il Poli richiama

persone molto serie, con la mente

aperta e pronte a confrontarsi. Ciò

che mi affascinò fu che, alla prima

settimana, sentivo di aver trovato

i migliori amici della mia vita. A chi

si ritrova oggi all’inizio del percorso,

direi di non vedersi focalizzati su

un’unica cosa. La vita è lunga e piena

di sorprese, e ci si può scoprire in

un’altra veste. Qualsiasi cosa studiate,

se non vi piace, cambiatela.

71


7

MILANO ITALIA

LUCI (POLITECNICHE)

A SAN SIRO

di Vito Selis

Uno dei due progetti finalisti del nuovo stadio Meazza di

Milano è a cura di Progetto CMR, studio di progettazione

integrata dell’Alumnus Massimo Roj. Ci siamo fatti

raccontare tutte le idee messe in campo

72


«Milano sta vivendo un momento di

fulgore. Dall’Expo alle Olimpiadi è una

città in continuo divenire. Se in questo

percorso si aggiungesse lo stadio,

sarebbe un modo ulteriore per attirare

capitali e renderla ancora più attraente.

D’altronde le città si modificano e

cambiano. Fino a dieci anni fa, la mia

generazione non aveva visto nulla». A

parlare è Massimo Roj di Progetto CMR,

che con Manica e Sportium ha presentato

uno dei due progetti finalisti per la costruzione

del nuovo stadio Meazza di San

Siro a Milano. Il concept si intitola “Gli

anelli di Milano” proprio perché l’idea

è di rappresentare l’unione delle due

squadre, Milan e Inter, che in comune

hanno la passione per lo sport. Nel

video di presentazione del progetto

compare una scritta in sovrimpressione,

annuncia che lo stadio sarà “al servizio

dell’intera città”. L’architetto Roj lo

spiega così: «Il nostro è un progetto di

rigenerazione urbana, che va a ricucire

un territorio. L’area di San Siro è molto

vasta, conta quasi 45mila abitanti. Presenta

zone popolari come quartieri di

ville e di edifici di prestigio. Nella parte

a nord-ovest si trova la popolazione

media e, ancora, sul fronte di via Novara

«La stadio

deve nascere

dal territorio,

come se dalle

radici della terra

emergessero i

due elementi: gli

anelli, simbolo

dell’unione delle

due squadre della

città»

c’è un incrocio fra classe popolare e classe

media. La grande area su cui oggi sorge

lo stadio, e che attualmente è un grandissimo

parcheggio, andrebbe a connettere

questi lembi di territorio e agirebbe

da integratore sociale. La zona,

ora povera di servizi, grazie alla presenza

di attività commerciali, strutture

alberghiere e attività legate al terziario

amministrativo, potrebbe agevolare

questa integrazione». Sempre nel video

di presentazione del progetto si legge:

“Un parco sostenibile che offra nuovi

posti di lavoro e di intrattenimento”.

Il verde, secondo Roj, creerà un circolo

virtuoso: «Abbiamo previsto 20 ettari di

parco, di cui 7 saranno sospesi andando

a creare il più grande parco pensile

d’Europa. Qui immaginiamo di portare

un pezzo di storia: una porzione

del vecchio campo di calcio, una parte

della curva nord e del secondo anello

arancio. La collina, copertura verde

delle attività commerciali, ospiterà attività

sportive varie: basket, pallavolo,

paddle, running, skateboard, scivoli e

soprattutto tanto verde attrezzato, anche

ad orto urbano che, risalendo verso

quelle che sono le rampe di accesso

allo stadio, porterà filari di vigne e

prodotti tipici lombardi esistenti fino

ad un secolo fa, e che qui rivivranno».

In questa geografia andrà a inserirsi la

struttura dello stadio, «che non deve

atterrare dallo spazio ma deve nascere

anche lei dal territorio, come se dal-

MASSIMO ROJ - 59 anni

Amministratore delegato Progetto CMR

Alumnus Architettura

73


le radici della terra emergessero i due

elementi, gli anelli, simbolo dell’unione

delle due squadre di Milano. Sulla facciata

esterna dei due anelli, su lastre

di acciaio della larghezza di un metro

quadro l’una, saranno riprodotti i volti

di 16mila tifosi, 8mila per squadra. «Le

lastre, appese tramite dei cavi, vibreranno

al movimento naturale del vento

creando un effetto di seconda pelle,

che la trasformerà in un organismo

vivente, un tessuto connettivo che animerà

l’edificio diventando un nuovo

simbolo non solo della città ma anche

delle persone». Come sarà però l’esperienza

una volta all’interno dello stadio?

«Potremo ospitare 60mila tifosi, a

cui offriremo una visibilità nettamente

differente dall’attuale. La forma classica

elicoidale permetterà visibilità da

tutti gli angoli e inoltre, pur mantenendo

la verticalità, il campo da gioco sarà

più vicino, esattamente a 7 metri. Lo

studio dell’inclinazione delle gradinate

è poi particolare, vogliamo aumentare

lo spazio tra una postazione e l’altra

per dare più comodità e libertà di movimento

al tifoso. I posti business viaggeranno

sui due anelli che correranno

a metà della struttura dello stadio.

Oggi gli spazi per i servizi, inclusi i bagni

e i bar, occupano circa 11mila m², la

media europea è di oltre 100mila. Nel

nostro nuovo impianto ne sono previsti

110, 120mila, con ristoranti, bar e i

due musei delle squadre. Il retro delle

gradinate sarà poi trattato con degli

elementi metallici dotati di un meccanismo

rotante a tre facce, due con i

colori delle squadre e una terza fascia

neutra per gli eventi della nazionale».

Il suono in uscita invece sarà inferiore

al 60% rispetto ad ora, «Una copertura

sul lato ovest lo tratterrà all’interno

dell’impianto», puntualizza Roj.

Nella fascia in alto alcune viste dello stadio

e della zona circostante, in quella in basso

la superficie dello stadio e il suo interno

«Si potrà accedere allo stadio sin dal

mattino e, prima di tifare la propria

squadra, si potrà stare con la propria

famiglia»

74


Immaginiamo però un tifoso con un figlio

di tre anni e un padre di settanta.

Oggi ha difficoltà a portarli entrambi

allo stadio, e ciò diventa un limite

perché non è più realmente uno stadio

popolare. Roj risponde così: «Il Decreto

Pisano implica un doppio filtro a trenta

metri dall’accesso allo stadio. Abbiamo

ideato un anello interno, fatto con

un materiale locale, il ceppo di Grè, in

modo da trasformare il muro in arredo

urbano e andando a inserire attività

e servizi che permeeranno l’ingresso

in modo graduale. In questa maniera

anche chi arriva da fuori Milano potrà

entrare già in mattinata e trascorrere

le ore prima della partita con la famiglia».

La parte progettuale e di realizzazione

richiede trenta mesi, con un’eventuale

estensione di sei mesi a seconda

delle autorizzazioni. Il budget

per la realizzazione dell’impianto sportivo,

esclusa la parte esterna che prevede

anche un albergo, è di circa 600

milioni di euro. In tutto ciò, il Politecnico

dov’è? «Il Politecnico è ovunque - confessa

Roj - La maggior parte del team

che lavora sul nuovo stadio si è laureata

ed è cresciuta in questa grande casa.

Abbiamo il Poli nel sangue. Il fatto

ad esempio che per me ogni edificio

debba essere sostenibile, realizzato

con fonti rinnovabili e che sia integrato

nel contesto, è un metodo ereditato

dai miei maestri al Poli (Nardi, Butera,

Tronconi, Helg)». Dopo il percorso al

Poli, che valore ha ripensare a un altro

grande simbolo di Milano? «È il sogno

di una vita. Ho una foto che mi ritrae

a tre anni, a bordo campo, in braccio

al grande capitano Facchetti. A quindici

anni ero in curva, è un luogo per

me sacro, che ho frequentato tantissimo».

Mentre scriviamo intanto, continua

il dialogo tra il Comune di Milano e

le due squadre per capire eventuali alternative

alla demolizione e mantenere

una memoria storica e fisica del vecchio

stadio. Una delle nuove proposte

sorte ad esempio è quella di ridurre la

capienza dell’attuale Meazza per destinarlo

a sport giovanili. Come immagina

dunque il futuro, magari la prima

partita che si disputerà? «Lo stadio dovrebbe

essere finito per il campionato

del 2024. Il primo grande evento ospitato

potrebbe essere il derby e, perché

no, l'apertura delle Olimpiadi. Derby ed

Olimpiadi, viva Milano!»

«In questo

progetto il

Politecnico è

ovunque. La

maggior parte

di chi ci lavora

è cresciuta in

questa grande

casa. Abbiamo il

Poli nel sangue»

75


MLANO ITALIA

7

LA NUOVA STAZIONE

FERROVIARIA DI

SESTO SAN GIOVANNI:

UN PONTE POLITECNICO

FRA STORIA E FUTURO

Sull’area della ex Falck sorgerà la nuova stazione di Sesto: una

passerella sospesa su un’oasi verde di 65 ettari. Il progetto è

stato sviluppato in collaborazione dagli Alumni Renzo Piano

e Ottavio Di Blasi

di Paola Delicio

76


Il render della nuova stazione ferroviaria di

Sesto San Giovanni

«Una grande terrazza panoramica affacciata

sul parco», l’Alumnus Ottavio

Di Blasi descrive così la stazione

che verrà, a Sesto San Giovanni, sull’area

della ex Falck, 1 milione e 400 mila

m 2 riprogettati d zero. «Renzo Piano

ha ideato un progetto basato sulla

rigenerazione di questa parte di periferia,

perché una fabbrica abbandonata

è una periferia. Qui sorgeranno la

Città della Salute e una serie di residenze

che andranno a ricucire il tessuto

urbano, ma soprattutto ci sarà

un parco urbano con tanto verde». Attualmente

Sesto San Giovanni è divisa

dalla ferrovia, il passaggio fra le due

zone è garantita da alcuni sottopassaggi.

«Il tema - spiega Di Blasi - non

è solo quello di fare una bella stazione,

ma anche un’opera che faccia del

bene alla collettività. L’idea infatti è

di mettere in comunicazione non solo

la metropolitana con il piano del ferro

e quello pedonale, ma anche le due

parti di città, connettendole in maniera

più vitale. Sin dal parco sarà visibile

questo tappeto volante, sospeso a

trenta metri di altezza, con una copertura

di 3.000 m 2 di tetto vetrato. Sarà

dotato di celle fotovoltaiche, per cui

dal punto di vista dei consumi la stazione

sarà totalmente autosufficiente».

Il progetto cita le grandi stazioni

di fine ‘800. «A quel tempo l’uso dei

materiali, il vetro e l’acciaio, era inevitabile

se si voleva portare molta luce,

con poco peso, in spazi enormi».

Lungo la camminata sono previsti alcuni

servizi, di solito presenti nelle

stazioni: un bar, una biglietteria, qualche

piccola attività commerciale. «Sia

il progetto preliminare che quello esecutivo

sono stati approvati dalle Ferrovie

dello Stato e dal Comune di Sesto.

Una volta partita la gara per la realizzazione,

(l’uscita del bando è prevista

in primavera, ndr) abbiamo ipotizzato

circa 18 mesi di lavori. La stazione sarà

dunque pronta nel 2022».

«Dal parco

urbano sarà

visibile questo

tappeto volante

di vetro e di

acciaio, sospeso

a trenta metri

di altezza: una

stazione che

connetterà le due

parti di Sesto

San Giovanni»

77


Di Blasi, che vede l’architetto «come

una figura di mediazione fra la base

della collettività e le istituzioni», si

è laureato al Politecnico con una tesi

sul quartiere di Gorla, periferia a

nord di Milano. «L’interesse per il disegno

delle periferie urbane e per le

loro problematiche nasce al Poli. Allora

c’era ancora l’idea che fosse la forma

della città a determinarne la qualità,

una visione forse un po’ parziale,

ma è in quel periodo di studi che è nata

in me l’attenzione verso queste aree

urbane». Fra gli esempi portati da Di

Blasi c’è il progetto del Laboratorio di

Quartiere di Ponte Lambro, altra periferia

milanese di cui si è occupato sin

dai primi anni del duemila. «Lì ho maturato

la consapevolezza che per migliorare

la vita degli abitanti non basta

mettere soldi per riqualificare le case.

Certo, hai una casa più presentabile, la

fogna non perde e i marciapiedi non

presentano buche, ma rimane ancora

tanto da fare. In questi luoghi si ha

solo una delle funzioni che definiscono

la città: il dormire, neanche l’abitare.

La città invece è il luogo delle relazioni

fra le persone, del commercio, dei

paesaggi, è questo mix di funzioni che

la crea. E quasi tutte queste funzioni si

svolgono al piano terra. Nelle periferie

questi piani sono occupati da cantine

o da garage, manca la base stessa del

vivere». Cos’è dunque che può invertire

il meccanismo? «Nel progetto originario

di Ponte Lambro, questi luoghi diventavano

incubatori di imprese, esperimenti

di portierato sociale, ambulatori, asili.

L’idea insomma era di portare delle

funzioni qualificanti nelle periferie, delle

eccellenze, magari incontri con ingegneri,

professionisti; in modo da dare

alla gente delle valide ragioni per invertire

la rotta e muoversi dal centro alla

periferie». E sempre di mobilità parla

quando accenna a una delle idee sorte

durante gli incontri di progettazione

partecipata, fatti in quel periodo con gli

abitanti di Ponte Lambro: «Decidemmo

di spostare la linea dell’autobus da un

percorso più comodo per ATM a uno più

comodo per i residenti. La presenza di

un mezzo pubblico che collega i residenti

con il resto del mondo è capace

di riqualificare una via, ad esempio, fino

ad allora luogo di delinquenza. Ed è

stata una proposta a cui non avevamo

pensato e che ci è stata suggerita dalle

persone. Costo: zero».

78


Al Poli, oltre all’interesse per le periferie,

Di Blasi racconta di aver acquisito

«un abito mentale. Dei filtri per leggere

le cose, legati al concetto di qualità,

di impegno, di bellezza, di rapporti con

gli altri». A convincerlo a intraprendere

il percorso di architettura fu un giro

in una libreria. «Alla fine del liceo

non avevo la minima idea di cosa volessi

fare. Ricordo che trovai questo libro

di un autore russo, a tema Architettura

e Rivoluzione. A colpirmi fu proprio l’intreccio

tra questa materia per me allora

sconosciuta e il sociale». Agli studenti

di oggi dice: «L’architetto tradizionale è

un mestiere di nicchia, ora gli architetti

si occupano di tante altre cose, fanno gli

arredatori, gli allestitori, i web designer e

molte altre cose. Io, si può dire, ho fatto

due facoltà: quella più teorica e tradizionale,

legata all’intellighenzia, e quella sul

cantiere, lavorando dieci anni per Renzo

OTTAVIO DI BLASI - 66 anni

Presidente ODBi&Partners

Alumnus Architettura

Piano. Questo è il segreto, far convivere

il concetto con la pratica. Ed è per questo

che oggi nel Nuovo Campus di Architettura

(anche questo a partire da un’idea donata al

Poli dall’architetto e Alumnus Renzo Piano e

sviluppata negli esecutivi dallo studio Di Blasi,

ne parliamo a pag. 88, ndr) diamo così tanta

importanza ai laboratori». Insomma, si

parte dal Poli per arrivare a una stazione,

come quella di Sesto San Giovanni,

che rimetterà in moto una città.

«Al Poli ho

acquisito un

abito mentale.

Filtri per leggere

le cose, legati

alla qualità,

all’impegno, alla

bellezza e agli

altri»

79


8

ON CAMPUS

QUANDO LO SPORT

È UN VALORE,

D’ATENEO

di Francesco Calvetti

Il senso dello sport in università va

oltre l’eccezionalità di un gesto tecnico,

l’elegante coralità di un’azione

di squadra o la straordinaria performance

di un atleta. Un gesto sportivo

può diventare un gesto sociale, educativo

e formativo; per questo il Politecnico

considera lo sport un elemento

prezioso al servizio della crescita

personale e della comunità. Lo

sport è un valore per chi lo pratica e

uno strumento per l’Ateneo. In questo

senso, l’offerta sportiva del Po-

litecnico ha subito una decisa evoluzione

negli ultimi anni. All’inizio

dello scorso decennio le iniziative

sportive erano quasi esclusivamente

agonistiche e si rivolgevano a un

numero limitato di studenti, peraltro

già praticanti abituali. Progressivamente,

la nostra attenzione si è spostata

verso il coinvolgimento di tutti

gli studenti e della comunità politecnica

nel suo insieme, avendo come

obiettivo soprattutto chi non pratica

abitualmente alcuno sport.

17 maggio 2020

www.polimirun.it

80


VITA NEL CAMPUS

Lo sport è un elemento aggregante di

formidabile forza; non tiene conto dell’estrazione

sociale ed economica, abbatte

le barriere e fa ripartire da una base comune

basata sulle capacità e sull’impegno.

Al Politecnico arrivano studenti da

tutto il mondo. Sono persone che devono

ambientarsi e integrarsi in un contesto

nuovo, che vogliamo sia ospitale ed

accogliente. Vogliamo che l’esperienza

di vita al Politecnico rimanga nella loro

memoria, che ne aumenti la motivazione,

che non sia una parentesi durante la

quale si punti unicamente all’acquisizione

delle, fondamentali, competenze professionali.

Anche perché queste ultime

rischiano poi di risultare sterili se non

trovano alimento in un substrato di capacità

personali complementari e sociali.

Capacità che lo sport, opportunamente

declinato, può sviluppare con grande efficacia.

Chiaramente lo sport ha bisogno

di spazi per essere vissuto. Spazi, servizi

e iniziative di qualità, sia in una prospettiva

di collocamento e attrattività

nazionale ed internazionale, sia per trasmettere

valori di professionalità, rigore

e cura del dettaglio. In questo discorso

si inseriscono gli investimenti fatti per la

riqualificazione del campo sportivo Giuriati

(circa 6.5 milioni di €) e quelli futuri

che trasformeranno l’area dei gasometri

in Bovisa. Restituendo alla città di Milano,

come è nello stile del Politecnico,

spazi rigenerati. Per l’inizio del prossimo

anno accademico il nuovo Giuriati sarà

pronto ad accoglierci. Ci saranno nuove

strutture e nuovi campi. Strutture e campi

esistenti saranno interamente ristrutturati

e riqualificati. Si potranno praticare

gli sport che hanno fatto la tradizione

del Giuriati, insieme a nuovi sport. Siete

tutti invitati.

VALORE COMUNITARIO

Lo sport ha il potere di creare e sviluppare

un senso di appartenenza molto forte.

D’altra parte, l’esperienza della partecipazione

attiva e condivisa a un evento

sportivo insegna anche che le differenze

costituiscono un valore, non creano

divisioni e non negano i principi comuni.

Il senso della comunità è certamente

un valore positivo, e lo è maggiormente

se la comunità non resta chiusa e riconosce

di esistere in un contesto più ampio.

Il successo delle PolimiRun, fenomeno

sportivo universitario senza eguali

al mondo, testimonia tutto questo. La

PolimiRun Spring è una festa che raduna

la comunità del Politecnico (studenti,

dipendenti, Alumni) e grazie al percorso

che attraversa Milano dal Campus

Bovisa al Campus Leonardo, si apre idealmente

e nei fatti alla città. L’edizione

Winter è un’avventura lungo i sentieri tra

lago e collina che abbracciano Lecco in

un percorso circolare con partenza e arrivo

al Campus del Politecnico. Nel 2020

le PolimiRun supereranno la soglia delle

20.000 adesioni. Ma già i numeri del

2019 sono eccezionali: circa 7.000 studenti,

3.000 Alumni, 500 dipendenti oltre

ad altre 7.000 persone che hanno accolto

il nostro invito. È una grande comunità,

giovane ed aperta, con una presenza

femminile (35% alla Spring) e internazionale

(20% alla Winter) a livelli record nel

panorama delle corse di massa.

SOSTEGNO PER L’ATENEO

Per molte persone le PolimiRun sono l’inizio

di un cammino, per alcune una sfida,

per altre un’avventura. Una comunità

così ampia è anche una fonte di sostegno

economico per le iniziative del Politecnico.

Idealmente, iscrivendosi alle Polimi-

Run non si paga una quota di partecipazione.

Iscriversi alle PolimiRun significa

offrire il proprio sostegno dando un contributo,

che quest’anno sarà interamente

devoluto alla riqualificazione del campo

Giuriati. In questo modo, ogni partecipante

diventa protagonista del progetto,

come se avesse posato un mattone o

una piastrella, seminato una zolla, steso

una lista di parquet. E quando entrerà al

nuovo Giuriati, per praticare sport o per

il piacere di vedere realizzato un sogno

condiviso, potrà farlo con grande orgoglio

e soddisfazione.

STRUMENTO DI CRESCITA

PER LO STUDENTE

Lo sport, per sua natura, incarna valori

e presenta sfaccettature che ne fanno

un ineguagliabile strumento di crescita

personale. Per questo motivo le iniziative

sportive del Politecnico non sono mai

fini a se stesse. Sono sempre progettate

con uno scopo, che può essere di carattere

formativo, educativo o sociale. Praticare

lo sport insegna a focalizzarsi sugli

obiettivi, educa al sacrificio e all’etica

del lavoro, insegna a mettere le proprie

abilità al servizio degli altri, sensibilizza

circa l’importanza di uno stile di vita

sano. Lo sport è uno strumento di crescita

personale anche perché obbliga a

confrontarsi con se stessi e con gli altri,

lealmente. Lo sport mette in chiaro che

esiste una classifica, con cui confrontarsi

con realismo, senza nascondersi;

ma insegna anche che si possono spostare

i propri limiti. Grazie alla passione,

all’impegno e con il supporto di istruttori

competenti, vogliamo che le persone imparino

a scoprire le proprie potenzialità.

Raramente queste non si rivelano superiori

alle aspettative, facendo crescere in

questo modo consapevolezza ed autostima.

Tra l’altro, un percorso di questo tipo

è una chiara metafora del processo formativo

che gli studenti intraprendono al

Politecnico.

UNO SCENARIO IN EVOLUZIONE

Per descrivere lo stato dello sport al Politecnico

è certamente possibile fare riferimento

ai numeri. Ma gli indicatori su

impianti, iniziative e partecipanti, per

quanto in fortissima crescita, non dicono

tutto. Il tema fondamentale è diverso:

in Ateneo è cambiata e sta cambiando

la sensibilità verso lo sport. Come conseguenza

nascono continuamente nuovi

progetti ed attività. È un processo che

si auto-alimenta, che appassiona e coinvolge

tutte le componenti della comunità:

studenti e docenti, personale tecnico

ed amministrativo. Oggi è realtà quello

che anni fa era impensabile: dagli eventi

sportivi di massa, ai programmi di sostegno

didattico ed economico agli atleti-sportivi,

alla diffusione dei luoghi dedicati

allo sport, al riconoscimento dello

sport come valore. È un grande punto

d’arrivo, e di partenza.

FRANCESCO CALVETTI - 52 anni

Delegato del rettore alle attività sportive

Docente di geotecnica e Soil-Structure Interaction

Alumnus Ingegneria Civile

81


ON CAMPUS

8

UN GIORNO

DA STUDENTE

(CHE FINISCE

IL GIORNO DOPO)

Il Politecnico di Milano apre alle 7:00. Chiude fra le 20:00

e le 21:30. Il Patio di Architettura è sempre aperto e la

Biblioteca Campus Leonardo chiude a mezzanotte. Queste

ore sono un contenitore di vite. Ecco quelle incontrate in

una normale giornata di studio

di Valerio Millefoglie

Se alle 6:30 del mattino Marta, una studentessa

di primo anno di Ingegneria Civile,

si sveglia con la vista del lago di Como,

alle 8:30 è in un aula del Poli con vista

sulla lezione di Geometria e Algebra

lineare. Alla stessa ora Camilla, al secondo

anno di Magistrale di Ingegneria

Chimica, prende posto a lezione di Cinetica.

«Il luogo dove mi piacerebbe trascorrere

più tempo al Poli è la stanza

per la meditazione e la preghiera che si

trova all’Edificio 9 - confessa - Mi piace

l’idea di uno spazio aperto a tutti».

La giornata da studente più memorabile

che ricorda risale a quando ha passato

l’esame di Impianti Chimici 1, «Perché

poi potevo volare, letteralmente. Appena

finito l’esame ho prenotato un volo

per l’India». C’è chi qui si sente altrove,

e descrive piazza Leonardo come un paesaggio

da cartolina, «Quando c’è bel

tempo il pratone è pieno di gente e non

sembra un’università. Con tutti i baracchini

di cibo da strada e il via vai di persone

sembra un lungomare». Il menù

del pranzo di Paola e Sara, al terzo anno

di Ingegneria Chimica, oggi prevede

pasta e lenticchie e polpette al sugo.

«Al mattino presto non abbiamo troppo

tempo e fantasia per cucinare. Fino alle

undici di sera di solito rimaniamo qui in

zona a studiare e poi andiamo al supermercato

aperto tutta la notte a prendere

qualcosa da bere prima di tornare a

casa».

«Il momento

preferito della

giornata è al

mattino presto,

quando arrivo e

so che avrò da

imparare»

82


sta». Poi, spiegano il modellino su cui

stanno lavorando: «Dobbiamo immaginare

sei aree di Bruxelles, sei angoli

di città rimasti incompleti. Sono tre

giorni che lavoriamo dalle otto del

mattino alle undici di sera. l momenti

preferiti della giornata sono quando

andiamo a prendere un panino al

furgoncino fuori dall’Edificio 1 e quando

siamo sul treno, di ritorno a casa».

Risalendo le scale del patio e soffermandoci

al bancone del chiringuito

fuori dall’edificio, sentiamo la barista

chiedere a un ragazzo dall’aria particolarmente

stanca: «Tutto bene, bello?».

Lui risponde: «è da domenica che dormo

sì e no due ore a notte. Venerdì ho

la consegna di un modellino e ora sto

seguendo un altro laboratorio». Il ragazzo

entrerà poi a tarda sera nella Biblioteca

Campus Leonardo con i luci-

Una panchina fuori dal campus Bonardi

diventa lo scaffale di una libreria,

con una serie di libri e riviste usate

in vendita. Uno studente al terzo anno

di Architettura sfoglia una copia di Domus.

«Il momento preferito della giornata

è al mattino presto, quando arrivo

e so che avrò occasione di imparare».

Lorenzo, al quarto anno di Ingegneria

dei Materiali Nanotecnologia, dopo

pranzo è sulla terrazza del campus

Leonardo. Seduto su una panchina osserva

altri due studenti giocare a pingpong.

«Mi sono distratto guardandoli»,

dice. La sua giornata è iniziata tardi.

«Mi sono svegliato alle sette ma la

prima lezione l’ho fatta alle 12:00». La

vita da studente, quando ci si riesce, è

fatta anche di altro. «Stamattina volevo

andare in palestra ma ieri durante

la lezione di Kick Boxing mi sono fatto

male». Ricorda poi una sessione di

esami cominciata in un tardo pomeriggio

e finita a sera, «Quella volta siamo

usciti dall’aula al tramonto, il Poli era

deserto, c’eravamo solo noi. Era una

bella sensazione, ci sentivi l’eco della

giornata ed era un luogo tutto per te».

Poco più in là un gruppo di studenti

seduto a un tavolozze fra quadernoni

e laptop aperti confessa: «Siamo ingegneri

affascinati dalle vite degli architetti.

Li vediamo più collaborativi

fra loro, più aperti al confronto». Intanto

nel patio di Architettura alcuni

studenti di Architettura, alle prese con

un modellino, commentano: «Gli ingegneri

passano e ci vedono qui all’una

di notte che lavoriamo. Loro tornano

a casa. La nostra casa, ormai, è quedi

sotto il braccio, come se la giornata

stesse cominciando in quel momento.

«Domani è il nostro giorno libero», dicono

due studenti che fan parte del

flusso di ragazzi e ragazze diretti verso

la metropolitana a fine giornata. Cosa

farete? «Studieremo». Appoggiata alla

balaustra che affaccia sul patio di Architettura

c’è Maryam, laureatasi a luglio

dell’anno scorso. Lavora qui vicino

e quando può torna a passeggiare

nei luoghi dello studio. Mentre osserva

gli studenti dice «C’erano tempi in cui

ho trascorso qui una settimana intera

a studiare, giorno e notte. All’ora di

cena c’era chi ordinava la pizza, chi in

tarda serata metteva musica rock per

tenersi sveglio». Poi, dopo un attimo di

silenzio, conclude: «Mi piace tornare e

ricordare una vita qui».

«Mi sono

laureata a

luglio dell’anno

scorso, però mi

piace tornare e

ricordare

una vita qui»

83


ON CAMPUS

8

Ore 9:00

LA BIBLIOTECA

DOVE FARE

LE ORE PICCOLE

di Vito Selis

Inaugurata a giugno 2019, la nuovissima Biblioteca

Campus Leonardo chiude a mezzanotte. L’abbiamo

visitata con una guida speciale: Federico Bucci, delegato

del rettore alle Politiche culturali e prorettore del Polo

territoriale di Mantova

84


«La biblioteca è la vita dello studente,

è qui che si misura l’intensità dello

studio»

Ore 21:00

L’ora di cena è passata da un po’. Eppure

la Biblioteca Campus Leonardo ha

un fuso orario tutto suo, qui non sono

le lancette a dettare il tempo, ma il

ritmo delle pagine voltate. C’è chi arriva

alle 20:00 interpretandole per le otto

del mattino e così ha davanti ore di

studio. La biblioteca apre alle 8:00 e

chiude alle 23:45. La prima cosa che

si legge appena entrati è Welcome to

Milan, scritta su un grande cartonato

in cui si intravede uno skyline della

città. «È un benvenuto pensato per i

nostri studenti internazionali», spiega

Federico Bucci, delegato del rettore

alle Politiche culturali e prorettore

del Polo territoriale di Mantova. «Le

biblioteche sono il tempio del sapere e

proprio con la biblioteca vogliamo dare

il benvenuto a chi arriva a Milano, perché

questo è il luogo che accoglie gli

studenti, ma non solo, con il sapere e

la conoscenza. Vogliamo che tutti sap-

piano che qui c’è un cuore pulsante di

cultura».

Ristrutturata su progetto dell’architetto

Massimo Ferrari, la biblioteca riunisce

i volumi precedentemente custoditi

nelle biblioteche centrali di Ingegneria

e di Architettura e ha raddoppiato i posti

a sedere, dai 268 del 2016 si è passati

oggi a 409. Ogni giorno gli studenti

vengono accolti dai grandi architetti

del passato e del presente: i primi libri

che si incontrano entrando, subito dopo

l’ingresso, fanno parte della collezione

di monografie. Qualcuno sogna

che il proprio nome finisca un giorno

fra questi, come certi grandi architetti

che hanno studiato al Poli da giovani

e che oggi sono un nome in questa

Hall of fame: alla lettera A compare

il nome di Franco Albini, alla lettera

B c’è Piero Bottoni. Due fra i più importanti

architetti Razionalisti italia-

85


ni del XX secolo, che si ritrovano vicino

ai volumi di Alvar Alto, laurea honoris

causa conferitagli proprio dal

Politecnico di Milano nel 1964, o di

Louis Kahn e Kenzo Tange, fra i maggiori

rappresentanti dell’architettura

del Novecento.

E dopo gli uomini, il percorso di libri

continua con un tour geografico: la storia

dell’architettura da ogni parte del

mondo. «Gli studenti avevano bisogno

di un luogo dove prendere libri, ma anche

di un posto dove rimanere», spiega

Bucci, «la biblioteca è la vita dello studente.

Le aule cambiano continuamente,

ma verso la biblioteca si nutre una

sorta di affezione, si cerca di sedersi

nello stesso posto, è una casa. Sono

stati proprio gli studenti a chiedere

uno spazio che avesse la forza del luogo

istituzionale, è qui dentro che si misura

l’intensità dello studio». Secondo

il volere di Gio Ponti, che ha progettato

l’edificio fra il 1953 e il 1963, ogni materiale

utilizzato per la costruzione è anche

materiale di studio. In un articolo

dell’epoca infatti Ponti identificava la

biblioteca stessa come insegnamento

ambientale. Scriveva infatti: “La preparazione

dei futuri architetti, la scuola,

non può svilupparsi senza il contatto

diretto e vitale con la produzione

industriale ed artigiana per l’edilizia”,

per questo la scuola necessita di una

“costituzione interna che ponga in atto

in ogni parte della costruzione stessa

(cioè nelle pareti, nei pavimenti, negli

impianti, nei serramenti, nelle illuminazioni,

nei rivestimenti, nei servizi,

nell’arredamento) la più vasta e continuamente

selezionata campionatura

delle produzioni edilizie”. Così, oggi,

l’insegnamento ambientale è dato dai

tavoli elettrificati, dalla razionalizzazione

degli spazi, dai materiali e dalle

tecniche di costruzione, dall’uso stesso

che si fa degli spazi. I libri a scaffale

sono quelli statisticamente più richiesti

dagli studenti; il resto della collezione

è custodita in depositi esterni. Ci

sono poi angoli eBook, box per lo studio

individuale, due postazioni mobili,

sale per lo studio di gruppo, di cui una

dotata di display Multi-Touch con app

e software integrati per la collaborazione,

dalla scrittura simultanea allo

screensharing; ed è anche pensata per

accogliere temporaneamente docenti,

ricercatori e professionisti che vengono

qui per poco tempo, per una conferenza,

per una lezione o per un meeting.

«In questo modo - conclude Bucci

- è come se la biblioteca diventasse

uno strumento di lavoro». C’è anche

un giardino zen, proprio a ridosso della

sala Guernica. I tagli di luce naturale

entrano dalle finestre a illuminare

lo studio e a ricordarci, con gentilezza,

che c'è un mondo anche fuori.

86


«Welcome to

Milan è un

benvenuto in

quello che è uno

dei cuori pulsanti

di cultura e

sapere della

città»

La Sala Guernica, con una riproduzione del

quadro Guernica di Pablo Picasso realizzata

dal Movimento Studentesco durante l'occupazione

del 1973 per chiedere il reintegro del

Consiglio di Facoltà e continuare a sviluppare

la sperimentazione didattica e scientifica.

Sul numero 0 di MAP, disponibile in pdf sul

sito alumni.polimi.it (inquadrando il QR code

sotto), abbiamo raccontato la storia di quei

giorni intervistando proprio uno degli Alumni

che realizzò il murale

87


8

Vista dell'edificio laboratorio modelli, in

primo piano il piazzale di cantiere futuro

parterre alberato e la grande piazza

alberata, copertura dell'edificio

ON CAMPUS

STATO DELL'ARTE

DEI CANTIERI

DEL POLI

88


Prospetto frontale del nuovo campus di

Architettura Bonardi. In basso, il pratone di

piazza Leonardo da Vinci

Il Politecnico di Milano ha un progetto strategico volto a

riqualificare gli spazi di lavoro, ricerca, didattica e tempo

libero, in una logica internazionale e sempre più aperta al

confronto tra l’università e la città: migliorare la qualità degli

spazi dei nostri Campus e dei quartieri che li circondano

significa incrementare la qualità della vita della città che ci

ospita da oltre 150 anni. Dalle pagine di MAP, continuiamo

a raccontarvi come è cambiato e come continua a cambiare

il quartiere Città Studi attraverso il Campus Leonardo,

piazza Leonardo da Vinci e il nuovo Campus di Architettura

89


Ieri e oggi: piazza Leonardo da Vinci

e il Campus Leonardo

PIAZZA LEONARDO DA VINCI: 2016

Sparite le automobili, riqualificato il

verde e il parterre, la nuova “piazza

Leo” è stata inaugurata nel maggio

2016. I lavori sono costati circa 1 milione

e 800 mila euro, in parte finanziati

dal Politecnico e in parte dal Comune

di Milano, su progetto del Politecnico.

Oggi la nostra “piazza Leo” è

pedonale e popolata in ogni stagione

dell’anno da studenti, cittadini e

visitatori. È un luogo in cui studiare,

pranzare, passare il tempo con i compagni

o in tranquilla solitudine, al riparo

dal traffico della città.

FACCIATA: 2019

Uno degli obiettivi che il Politecnico si

propone è quello di garantire la valorizzazione

e la massima vivibilità degli

spazi, rispettando lo stile originale degli

edifici. L’idea alla base del progetto è che

questi spazi non siano solo dell’Ateneo, ma

un bene comune con un valore storico

e una funzione contemporanea, da fruire

e tutelare collettivamente. Il coordinamento

scientifico e progettuale di questi

lavori è affidato a ViviPolimi, gruppo

composto da architetti che, ogni giorno,

lavorano per dotare l’Ateneo di spazi più

vivibili e moderni.

I GIARDINI DI LEONARDO: 2019

Al centro della riflessione: gli studenti,

la loro vita quotidiana, le loro esigenze

di spazio e il loro modo di vivere gli

spazi del campus. Anche l’interno del

Campus Leonardo è diventato pedonale,

a eccezione naturalmente dei mezzi

di soccorso, dei veicoli necessari alle

attività quotidiane dei vari servizi e laboratori

e ai portatori di disabilità. Sono

state costruite isole a cielo aperto e

altre coperte da pensiline e cablate per

lo studio e il lavoro all’aperto. I lavori

sono stati ultimati nell’estate 2019 e

sono costati 2.229.440 €.

Piazza Leonardo Da Vinci e gli interni del

Campus Leonardo com'erano ieri e come

sono oggi

90


-105

posti auto

-1.400 m²

superficie

asfaltata

920 m²

nuove superfici

a prato con

alberature

400

posti a sedere

60 posti

cablati coperti

130 posti

cablati

scoperti

91


Il nuovo Campus di Architettura

Da una idea donata al Politecnico

dall’Alumnus Renzo Piano, il nuovo

Campus di Architettura rappresenta

una Milano verde, a misura d’uomo,

aperta e internazionale, che fa proprie

e sviluppa le energie creative e

produttive in stretta collaborazione con

il Politecnico. Questo progetto nasce

proprio pensando al ruolo dell’Ateneo

e alla sua posizione rispetto alla

città, come se il Politecnico fosse la

porta di ingresso a Milano. Il nuovo

Campus di Architettura ospiterà un

polo di eccellenza internazionale

per la ricerca e l’innovazione, nuove

aule per rispondere a una crescente

popolazione di studenti e ricercatori,

ma anche un parco aperto a tutti con

100 nuovi alberi e spazi di socialità

recuperati dove prima c’erano edifici e

luoghi di passaggio.

SOSTIENI IL PROGETTO DEL NUOVO

CAMPUS

I lavori verranno completati entro

l’estate 2020 e hanno un costo

stimato di 45 milioni di euro. Il

progetto è finanziato anche grazie

a una raccolta fondi che abbraccia i

valori del Politecnico di Milano e la

sua voglia di restituire qualcosa alla

città diventando parte attiva della sua

crescita. Un ruolo importante in questo

dialogo, ancora una volta, è quello

degli Alumni, che (mentre scriviamo)

hanno contribuito a raccogliere quasi

1.500.000 euro.

Vista della grande aula dell'edificio C, in

primo piano le isole tecnologiche a disegno

del soffitto e sullo sfondo i primi pilotis

della Nave riportati all'origine

92


Il nuovo Campus di Architettura in fase

di costruzione, emerge la caratteristica

forma a petali dell'edificio Trifoglio

Vista dell'edificio aule a quattro livelli

abbracciato da Ponti e Viganò

Oltre 560 donatori*

Quasi 1.500.000 euro donati*

*dati aggiornati a febbraio 2020

SCOPRI COME SOSTENERE

IL PROGETTO

www.sostienicampus.polimi.it

93


79

MARIO SILVESTRI,

COMMUNITY

L’ATOMO ITALIANO

PER LA PACE

di Ernesto Pedrocchi e Guido Possa

L’Alumnus Mario Silvestri, primo docente di Ingegneria

Nucleare al Politecnico di Milano, progettò e curò fino alla

realizzazione l'unico reattore di concezione interamente

italiana del nostro Paese, il reattore CIRENE. Gli Alumni

Ernesto Pedrocchi e Guido Possa, prima allievi di Silvestri

e poi ricercatori al CISE sotto la sua direzione, ci ricordano

il suo lascito di sapere e di impegno civile

Ogni tanto la storia ci regala

figure eccezionali, capaci di offrire

durante la loro vita preziosi lasciti a

contemporanei e postumi. A questa

rara categoria di persone appartiene

senz’altro il prof. Mario Silvestri,

professore di impianti nucleari al

Politecnico per oltre trent’anni.

Assai efficaci nell’evidenziarlo sono

state le testimonianze dei suoi

diretti collaboratori presentate in un

Convegno tenutosi Il 22 novembre

scorso nell’aula magna del Politecnico

di Milano, nel venticinquesimo

anniversario della sua scomparsa.

Silvestri si laurea in Ingegneria

Elettrotecnica con il massimo dei voti

e la lode nel giugno del 1941, qualche

giorno prima di compiere 22 anni.

Viene subito arruolato nell’Esercito e

spedito al fronte in Albania. Congedato

per aver contratto una seria malattia,

viene assunto dall’Edison, allora la

principale impresa italiana nel settore

della produzione di energia elettrica.

Quando la guerra volge al termine

entra a far parte delle formazioni

clandestine che devono proteggere

gli impianti industriali milanesi da

probabili distruzioni da parte dei

tedeschi in ritirata. Il 6 agosto 1945

lo scoppio della bomba atomica di

Hiroshima rivela al mondo le enormi

potenzialità dell’energia nucleare.

Silvestri cerca subito di comprendere

il funzionamento di questo nuovo

ordigno, anche su richiesta del suo

capo, l’ing. De Biasi. Pochi mesi dopo il

prof. Amaldi porta in Italia il Rapporto

Smith, il libro bianco americano

sul progetto Manhattan. Silvestri lo

studia, capisce immediatamente le

grandi possibilità dell’utilizzazione

pacifica dell’energia da fissione

nucleare, in particolare per l’Italia

povera di fonti energetiche primarie,

e con l’istituzione del CISE (Centro

Italiano Studi ed Esperienze), di

cui Silvestri è membro fondatore,

si avvia un centro di ricerca

sull’argomento. L’8 dicembre 1953 il

Presidente Eisenhower con il discorso

all’Assemblea Generale dell’ONU

“Atoms for Peace”, e con la contestuale

liberalizzazione di moltissimi dati

fino ad allora custoditi come segreti

militari, apre all’utilizzazione pacifica

dell’energia nucleare.

Silvestri non perde tempo. Al

Politecnico si fa promotore di studi

nel settore nucleare. Con le sue

94


approfondite conoscenze tecnologiche

individua subito un originale tipo di

reattore nucleare per la produzione

di energia elettrica, adatto alle

particolari condizioni dell’Italia: un

reattore ad uranio naturale, moderato

ad acqua pesante, refrigerato ad

acqua leggera. Alla ricerca, alla

progettazione e alla realizzazione di

questo reattore, denominato CIRENE,

Silvestri dedica tutte le sue energie

per quasi trent’anni. Eccezionale la

sua azione nel settore della ricerca,

in particolare nella fluidodinamica

e nello scambio termico di miscele

acqua-vapore, ricerca svolta presso

i laboratori del CISE, in cui lavorano

sotto la sua direzione alcuni dei primi

ingegneri nucleari del Politecnico.

La qualità delle sperimentazioni è di

assoluto livello internazionale, come

dimostra il fatto che alcuni risultati

vengono utilizzati dalla General Electric

nella progettazione dei suoi reattori

ad acqua bollente. La conduzione

del progetto CIRENE per tanti anni,

in mezzo a difficoltà di ogni genere,

richiede a Silvestri eccezionali doti

di guida e capacità relazionale. La

costruzione di questo reattore

prototipo – l’unico di concezione

interamente italiana - viene ultimata

presso Latina nel 1986. Il reattore

CIRENE non entrerà mai in funzione

per le conseguenze del referendum

antinucleare del novembre 1987.

Oltre che nel nell’insegnamento

universitario e nella gestione del

progetto CIRENE, le eccezionali doti

intellettuali e lo straordinario impegno

del prof. Silvestri si esprimono anche

in un’altra direzione, diversissima

dalle precedenti, quella dell’alta

divulgazione storica. Tra le non poche

pubblicazioni, forse la più significativa

è “La decadenza dell’Europa

Occidentale”, un affresco prodigioso

di 1750 pagine, sintesi originalissima

delle centinaia e centinaia di intricate

vicende europee svoltesi dal 1890 al

1946. Colpisce in particolare l’accorata

puntualizzazione dei gravi errori delle

classi dirigenti europee, che hanno

portato in soli 31 anni, dal 1914 al 1945,

alla rovina dell’Europa Occidentale, con

orribili macelli di giovani soldati, stragi

di popolazioni civili, enormi distruzioni.

Traspare nelle pagine di Silvestri una

silente indignazione, testimonianza

di una profonda passione civile. Forse

il suo lascito più profondo. Teniamo

ad esprimere la nostra gratitudine nei

confronti del prof. Silvestri per come

ci ha fatto crescere. Da lui abbiamo

imparato l’amore per il lavoro ben fatto:

occorre pensarlo bene, progettarlo

bene, eseguirlo bene e infine anche

valorizzarlo bene. Come ingegneri, è

importante che affiniamo la capacità

di ridurre un problema nei suoi

elementi fondamentali, per poterlo

meglio comprendere e risolvere. E

non dobbiamo mai perdere la fiducia

nelle nostre capacità. Il suo esempio è

tutt’oggi di grande attualità.

Nella pagina accanto Mario Silvestri nel

1988 al CNR. In quesata pagina: il Reattore

Nucleare CIRENE; in basso a destra

Silvestri a 17 anni

95


ERRATA CORRIGE:

Dall'articolo "I giorni di Natta" - MAP n° 6

SI FA PRESTO A DIRE

"POLIPROPILENE"

Tantissimi Alumni hanno scritto alla

redazione per segnalarci alcune inesattezze

nell'articolo dedicato a Giulio

Natta nel numero 6 di MAP, edito a ottobre

2019. Prima di tutto, vogliamo ringraziarvi

per l’attenzione con cui leggete

MAP e scusarci per questo errore. Come

molti di voi ci hanno giustamente

fatto notare, l’aver scritto “propilene” al

posto di “polipropilene” (per non parlare

di “isodattilo” al posto di “isotattico”)

ci sarebbe costato la bocciatura

immediata a qualsiasi esame politecnico!

Cogliamo questa occasione per puntualizzare

meglio la scoperta di Giulio Natta. Per

farlo, ci siamo rivolti a Maurizio Masi, docente

del Dipartimento di Chimica, materiali

e Ingegneria Chimica (che proprio dal

Nobel politecnico prende il nome).

«La scoperta di Natta e collaboratori

è relativa al polimero e non al semplice

idrocarburo alifatico insaturo,

all’epoca un “inutile” sottoprodotto

del cracking catalitico. Solitamente,

una reazione di polimerizzazione

non è in grado di controllare la struttura

spaziale del polimero conducendo

ad un sistema il più delle volte

amorfo e gommoso, di nessuna particolare

utilità. L’uso del catalizzatore

stereospecifico di Ziegler, modificato

al Politecnico, portò all’ottenimento

di un polimero a struttura ordinata

regolare, che Natta chiamò “polipropilene

isotattico” per distinguerlo da

quello a struttura amorfa e indicato

come “polipropilene atattico”. Nel

polipropilene isotattico tutti i gruppi

metilici stanno dalla stessa parte del

piano individuato dalla catena principale,

mentre in quello atattico la

distribuzione è casuale.

La struttura chimica ordinata conferisce

al polipropilene isotattico un’elevata

cristallinità foriera delle sue straordinarie

proprietà meccaniche che ne

fanno oggi uno dei polimeri più rilevanti

nell’economia mondiale (se ne producono

al mondo circa 8 kg/anno/abitante

ed economicamente determina

da solo circa lo 0.15% del prodotto interno

lordo dell’intero pianeta)».

c

c

c

c

c

c

c

c

Polipropilene isotattico

cH₃

cH₃

cH₃

cH₃

cH₃

c

c

c

c

c

c

c

c

Polipropilene atattico

cH₃

cH₃

cH₃

96


MAP#7

GRAZIE.

Ringraziamo tutti i colleghi

politecnici che hanno collaborato

alla realizzazione di questo numero.

Oltre al comitato editoriale, ai

docenti e responsabili di progetto già

citati in queste pagine, un

ringraziamento ulteriore ai colleghi

Roberto Biscuola, Martin Broz,

Francesco Bulleri, Serafino Celestino,

Barbara Corallo, Matteo Cervini,

Alessandro Colleoni, Marina Currò,

Alessandra Dal Piva, Stefania

Fornoni, Sara Gennari, Monica

Lancini, Gennaro Leanza, Luisa

Lualdi, Marco Medizza, Giuseppe

Mondini, Manuela Nebuloni, Gianluca

Noto, Barbara Vai, Sabrina Zulian


Alumni, il biglietto da visita del Politecnico di Milano - Il Poli sotto la lente d'ingrandimento - Dove va il tuo 5x1000: il Poli per il

sociale - Qui costruiamo il mondo del futuro - Un ingegnere in sala operatoria - Il primo italiano nell’Olimpo dei data scientist -

Made in Italy che fa impazzire il Giappone - Aerei per il futuro - Come ci cureremo nel futuro? - I Navigli del domani - Aeroporto

Marco Polo: destinazione 2027 - Viaggio verso Mercurio Bepicolombo - Campus Bonardi: come sarà nel 2020? - La Gazza del Poli -

Il Mondo Nuovo: un paese senza barriere - La ciclopista più bella del mondo - Tuv Italia - Storia di un fuorisede, di una volta

Il Poli sotto la lente d'ingrandimento - Ricerca a alto impatto sociale - Qui costruiamo il mondo del futuro, parte 2 - Un ingegnere in sala

operatoria - Il primo italiano nell’Olimpo dei data scientist - Made in Italy che fa impazzire il Giappone - Il cielo (non) è il limite - Come

ci cureremo nel futuro? - I Navigli del domani - Aeroporto Marco Polo: destinazione 2027 - Viaggio verso Mercurio - Milano: come sarà nel

2020? - La Gazza del Poli - Il Mondo Nuovo: un paese senza barriere - La ciclopista più bella del mondo - Storia di un fuorisede, di una volta

Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante

geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta

il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura

italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa

• Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo

Quando ero studente al Poli • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza • Dove si costruisce il futuro del mondo • Poli da Olimpo • Mi

ricordo la Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel tempo • Speciale Forbes: Lorenzo Ferrario,

Gio Pastori • Big (Designer) Data • L’architetto, e il suo bracciale, salvavita • L’ingegnere che pulisce gli oceani • Il nuovo Cantiere Bonardi di

Renzo Piano • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Politecnico • Alumni da Podio: Fabio Novembre, Stefano Boeri • Tutte

le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • PoliHub, l’incubatore di talenti • 1968-2018 in Piazza Leonardo • Lettere alla redazione

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La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

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Numero 1 - Primavera 2017

Numero 3 _ Primavera 2018

Numero 4 _ Autunno 2018

Ferruccio Resta e il Politecnico di domani • Dossier: i numeri del Poli • La nuova piazza Leonardo • Renzo Piano: 100

alberi tra le aule • Gian Paolo Dallara e DynamiΣ: la squadra corse del Poli • PoliSocial: il 5x1000 del Politecnico di

Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura

tra luce e materia • Paola Antonelli, dal Poli al MoMA di New York • Zehus Bike+ e

Volata Cycles, le bici del futuro • Paolo Favole e la passerella sopra Galleria Vittorio Emanuele • Marco Mascetti:

ripensare la Nutella • I mondi migliori di Amalia Ercoli Finzi e Andrea Accomazzo • Nel cielo con Skyward e Airbus

1

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N°2 - AUTUNNO 2017

N°3 - PRIMAVERA 2018

N°4 - AUTUNNO 2018

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Numero 5 _ Primavera 2019

Numero 6 _ Autunno 2019

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Da lunedì a venerdì dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 14:00 alle 16:00

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