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Indice
I
Introduzione
3 Prefazione
7 Capitolo I.
Natura e pensiero
25 Capitolo II.
Teorie della biforcazione della natura
43 Capitolo III.
Il tempo
63 Capitolo IV.
Il metodo dell’astrazione estensiva
80 Capitolo V.
Spazio e moto
97 Capitolo VI.
La congruenza
115 Capitolo VII.
Gli oggetti
131 Capitolo VIII.
Sommario
147 Capitolo IX.
I concetti ultimi della fisica
159 Note
Introduzione
1. I termini del problema. La trasformazione
metafisica degli enti naturali come retaggio
dogmatico della filosofia greca
È del tutto evidente che tra i motivi che spinsero Whitehead
verso la filosofia e verso la scrittura de Il concetto di natura ci sia una
profonda insoddisfazione verso gli eccessi prodotti dalla contrapposizione
di speculazione ed erudizione, verso le scienze, i loro metodi
astrattamente semplificatori o inutilmente complessi, lo specialismo
che diviene problematico quando assolutizza il proprio metodo rifiutando
di aprirsi e confrontarsi con altri rami del sapere producendo
risultati spesso acriticamente ottenuti e dogmaticamente difesi.
Ma in gioco non c’era solo la scienza e il suo apparato concettuale,
bensì il ruolo stesso della filosofia e il suo rapporto, da un lato,
con il sapere scientifico, e, dall’altro, con il senso comune, riproponendo,
con sensibilità del tutto moderna, la riflessione parmenidea
sul legame tra essere, pensiero e natura. Whitehead non crede in una
razionalità astratta, in un pensiero che tende solo alla chiarezza e
distinzione ma ad un pensiero che ha le sue radici in una zona preriflessiva
fatta di istinti animali, di sentimenti, di affetti, di reazioni
Il concetto di natura
II
corporee, di lampi di intuizione estetica che spingono a ricercare ordine
e armonia ma che è animato anche dalla curiosità, dallo stupore
e non si accontenta di quanto gli viene tramandato dall’abitudine,
dalla routine, dal common sense, dalle espressioni correnti che traducono
in un determinato linguaggio ordinario le intuizioni filosofiche
proprie di un certo periodo storico. E questo vale sia per la filosofia
che per la scienza. La filosofia prepara quell’universo concettuale generale
necessario alla scienza per le sue verifiche, per le sue ricerche
specializzate, per le sue classificazioni. La filosofia critica le mezze-verità
cui spesso la scienza si ferma e si connota come una riserva
di immaginazione cui fare appello per moltiplicare le generalizzazioni,
nella consapevolezza, comunque, di non poter mai racchiudere il
reale entro i suoi schemi concettuali.
Whitehead, in questo libro, che raccoglie un corso di conferenze
tenute nell’autunno del 1919 al Trinity College, a cui si aggiunse
una conferenze tenuta l’anno successivo alla Società Chimica
dell’Imperial College of Science and Technology, dichiara esplicitamente
di voler sviluppare il tema, peraltro già ampiamente trattato,
seppure da un un’angolazione più matematica che filosofica, nell’opera
precedente, An Enquiry concerning the Principles of Natural Knowledge.
Scopo di entrambe le opere, come egli stesso ebbe a dire, era
quello di gettare le basi di una filosofia naturale quale presupposto
necessario di una riorganizzata fisica speculativa. Ma per giungere
a questo era indispensabile prima chiarire cosa fosse la natura.
E con questa domanda inizia la speculazione di Whitehead che lo
porterà verso un empirismo assoluto o speculativo il cui itinerario
è sistematicamente scandito in questo libro, Il concetto di natura. Le
soluzioni ivi prospettate, mostrano una sostanziale contiguità, pur
nell’autonomia dei percorsi concettuali, con un insieme di pensatori
che per primi avvertirono i limiti di filosofie fondate su astrazioni
metafisiche e lontane dal mondo concreto della vita. I nomi sono
quelli di James, di Pierce, di Bergson, di Sartre (almeno del Sartre
della Trascendenza dell’Ego). Rocco Ronchi che di Bergson e Whitehead
è attento lettore e studioso, ha individuato in questi pensatori, a
cui egli aggiunge Giovanni Gentile, gli iniziatori di una linea minoritaria
del Novecento (canone minore) che trovò i suoi continuatori
in Maurice Henry, in Raymond Ruyer, in Gilbert Simondon e il suo
più coerente sviluppo nella filosofia di Gilles Deleuze che riconduce
la sua genesi a Spinoza.
Introduzione
III
È indubbio che questo clima generale caratterizzato dalla
critica all’intellettualismo influenzò profondamente la filosofia
di Whitehead, anche se, come vedremo, gli esiti saranno del tutto
personali.
La natura è ciò che osserviamo nella percezione per mezzo dei
sensi (p. 8). Questa è la risposta che Il filosofo britannico dà alla domanda
iniziale. Questo vuol dire che la Natura è un sistema chiuso
le cui relazioni interne non dipendono dal fatto di essere pensate. E,
dunque, percepire la Natura con i sensi e pensare la Natura sono due
cose distinte. In ogni caso la Natura è autosufficiente e si può anche
esprimere questa autosufficienza della natura col dire che la natura è
chiusa alla mente. (p. 10)
È significativo il fatto che in queste prime pagine la preoccupazione
di Whitehead è quella di evitare qualsiasi coinvolgimento in
discussioni metafisiche: non affronta, infatti, il problema della estraneità
della natura e dello spirito né si chiede se sensazione e pensiero
siano le uniche due attività dello spirito, né sembrano interessarlo gli
aspetti morali ed estetici connessi alla Natura e alla loro rilevanza per
l’umana esistenza.
Il rifiuto è in realtà rivolto alla metafisica classica, al suo bisogno
di negare l’assolutizzazione dell’esperienza, il dato sensoriale con
cui percepiamo gli enti, considerando il percetto nella sua contingenza
che lo rende un semplice punto di partenza da trascendere in direzione
del concetto, dell’evidenza intellettuale. La metafisica classica è responsabile
di aver creato fittizi retro-mondi, dimensioni iperuraniche
contenenti le forme (non a caso si parla per i filosofi come Whitehead,
fino a Deleuze, di superamento del platonismo). Il vero problema allora
è spiegare come emerge l’astrazione, non quello di svilire il dato
sensoriale perché al di là dell’esperienza non c’è nulla. Saranno questi
gli argomenti di fondo dell’intero libro che arriva a ipotizzare un piano
di esperienza pura, non relativa a nessun soggetto e a nessun oggetto,
che costituisce il vero nucleo significativo dell’empirismo speculativo
di Whitehead.
Ma cerchiamo di seguire con ordine come Whitehead sviluppa
il tema dell’organicità del sapere a partire dal fondamento costituito da
una base sensibile-percettiva e dall’operazione astrattiva operata su di
esse dalla scienza.
Whitehead individua tre componenti della nostra conoscenza
della natura: il fatto, i fattori e gli enti. Il fatto è il termine
Il concetto di natura
IV
indifferenziato della sensazione; i fattori gli elementi di cui è composto
e gli enti sono i fattori nella loro funzione di termini del pensiero.
Nel passare dal fattore della sensazione all’ente del pensiero
si guadagna in comunicabilità, ma si perde in concretezza: i fattori
colti dalla sensazione sono infatti prima termini di relazioni e poi
concrete individualità; gli enti prodotti dal pensiero sono, invece,
prima nude individualità e poi sono forniti di proprietà e relazioni
attribuite nel processo di pensiero. La Natura è dunque un complesso
di enti in relazione; è un insieme di eventi per essenza in divenire.
Questo implica che nella conoscenza non si può tener ferma la Natura
e contemplarla. Nella sensazione quello che si presenta è un evento
totale, articolato in eventi parziali, alcuni collocati in uno sfondo e
confusamente percepiti, altri più a fuoco pur nel “trascorrere” della
Natura, altri costituiti dal nostro corpo vivente. Ma non sono solo
eventi quelli che si presentano, ma relazioni di situazione implicate
nell’evento che non sono esse stesse evento, come l’azzurro del cielo.
L’interpretazione di tutti questi fattori operata dal pensiero è ciò
che Whitehead ha chiamato “diversificazione della natura” nella sua
opera precedente, An Enquiry concerning the Principles of natural Knowledge.
Lo scenario metafisico delineato da Whitehead disegna una
Natura costituita da eventi e non da oggetti dotati di materialità e
collocati nello spazio e nel tempo (simple location). Anzi, lo spazio
e il tempo, certamente, non sono più strutture indipendenti le cui
caratteristiche sono a priori rispetto all’accadere degli eventi; essi dipendono
dal tipo di evento (dalla velocità del sistema di riferimento)
al punto che possono essere considerati degli “aggettivi” dell’evento
stesso, degli attributi. L’evento non ha nulla della sostanza aristotelica
ma è una concrescenza di una trama di relazioni (processo).
La trasformazione metafisica degli enti naturali è conseguenza
dei presupposti dogmatici elaborati dalla filosofia greca che trasformarono
il mero processo spirituale di traduzione della sensazione in
conoscenza discorsiva in una caratteristica fondamentale della natura.
«In questo modo è nata la materia come substrato metafisico delle sue
proprietà, ed il processo della natura viene interpretato come la storia
della materia». (p. 18)
Il ruolo decisivo fu svolto da Aristotele che, definendo la sostanza
nei termini della logica proposizionale, come sostrato ultimo,
non più predicabile di altro, inaugurò un abito mentale di postulazione
che Whitehead definisce ancora attuale nella scienza della sua
Introduzione
V
epoca. È su queste basi, ad esempio, che si è pervenuti ad elaborare
il concetto di etere come sostrato degli eventi che hanno luogo nel
tempo e nello spazio oltre i limiti della comune materia ponderabile.
Whitehead che in questo primo capitolo non si dilungherà oltre
sull’argomento conclude dicendo che se proprio si vuole cercare
la sostanza ad ogni costo la si dovrebbe ritrovare negli eventi, il vero
fondamento della Natura. L’idea di una Natura composta di materia
rappresenta, dice Whitehead, «un ritorno ai tentativi della scuola ionica
di ritrovare nello spazio e nel tempo qualcosa che componga la
natura» (p. 20) facendo di questi ultimi le condizioni esterne per l’esistenza
della Natura.
La mia teoria della formazione della dottrina scientifica della
materia è che quella prima filosofia trasformò illegittimamente
l’entità nuda, che è semplicemente un’astrazione necessaria per
il metodo del pensiero, nel substrato metafisico di questi fattori
in natura che in vari sensi sono assegnati alle entità come i loro
attributi; e che, come secondo passo, gli scienziati (compresi i
filosofi che erano scienziati) nell’ignorare coscientemente o inconsciamente
la filosofia presupposero ciononostante questo
substrato, in qualità di substrato per gli attributi, come esistente
nel tempo e nello spazio. (p. 21)
Il secondo capitolo è rivelatore dell’intento di fondo della filosofia
di Whitehead che è quello di ridurre la fisica a rigorosa astrazione
operata sulla natura “apparente” ai sensi e di formalizzare complesse
procedure di passaggio dal percetto al concetto della scienza tramite il
metodo da lui chiamato dell’astrazione estensiva.
Il problema della conoscenza si venne complicando a partire dal
XVII sec., con la scoperta delle teorie della propagazione della luce e
del suono già da tempo suggerite dal senso comune. Queste complicarono
la teoria percettiva fondata su sostanza e attributo evidenziando
una differenza tra qualità primarie e secondarie e introducendo un’ipotesi
metafisica: l’azione dello spirito sulla natura. È tempo, dice il filosofo
e matematico inglese, di abbandonare le discussioni metafisiche
sul «come» e sul «perché» del pensiero e della sensazione e cercare le
nozioni generali applicabili al dato percettivo, ripartire dalla constatazione
che la sensazione è sempre un avvertimento di qualche cosa
di cui, appunto, dobbiamo ricercare il carattere generale e mettere al
Il concetto di natura
VI
centro dell’indagine il percepito, non il percipiente o il processo. E siccome
ogni cosa percepita è in natura, compito della filosofia naturale
è studiare le modalità della loro connessione e chiedere alla scienza le
spiegazioni della coerenza delle cose conosciute nella percezione. Continuare
a chiedersi se una cosa è nella natura o un’aggiunta dello spirito
significa non essere riusciti a cogliere le relazioni fra le cose percettivamente
conosciute.
Il bersaglio polemico è appunto il risultato di questa duplicazione
della natura in due sistemi di realtà: da un lato la natura
apparente, appresa nella sensazione (il verde degli alberi, il canto
degli uccelli ecc.); dall’altra la natura causa della sensazione (molecole,
elettroni che agiscono sullo spirito); in mezzo lo spirito su cui
la natura causale eserciterebbe il suo influsso e la natura apparente
sarebbe l’influsso.
L’intera nozione si basa in parte sull’assunto implicito che la
mente può solo sapere ciò che essa stessa ha prodotto e conserva
in un certo senso dentro di sé, sebbene richieda una causa
esterna sia come fattore ordinante che determinante le caratteristiche
della sua attività. Ma, nel caso della conoscenza,
dovremmo spazzare via tutte queste metafore spaziali, come
“dentro la mente” e “al di fuori della mente”. La conoscenza è il
punto definitivo d’approdo. Non ci può essere alcuna spiegazione
del “perché” della conoscenza; possiamo solo descrivere
il “che cosa” della conoscenza. Vale a dire che possiamo analizzare
il contenuto e le sue relazioni interne, ma non possiamo
spiegare perché ci sia conoscenza. Quindi la natura intesa
come causa è una chimera metafisica, sebbene ci sia bisogno
di una metafisica il cui scopo trascenda i limiti imposti alla natura.
L’obiettivo di una tale scienza metafisica non è spiegare
la conoscenza, ma mostrare nella sua massima compiutezza il
nostro concetto di realtà. (pp. 29-30)
Per evitare la duplicazione della natura: da una parte il rosso
del fuoco ed il calore e dall’altra le molecole e gli elettroni, e di connotare
i primi come effetti e i secondi come cause, servono delle relazioni
d’insieme e lo spazio e il tempo sembrano i più adatti a fornirle.
Rimandando al capitolo successivo una più completa trattazione
del tempo e dello spazio, Whitehead si chiede a questo punto
se le teorie del suo tempo siano in grado di garantire una concezione
Introduzione
VII
unitaria della natura. La teoria dello spazio e del tempo assoluti implicano,
per il primo, che esso sia un sistema di punti senza estensione,
e per il secondo che esso sia un successione di istanti «occupati»
dagli oggetti. La connessione di queste due dimensioni col pensiero
sembra più forte per il tempo che per lo spazio. Il pensare in una
stanza, infatti, avviene in un tempo che è possibile determinare
mentre non lo è lo spazio da esso occupato.
Per questo la teoria dello spazio assoluto non è più universalmente
accettata mentre sembra più fondata la teoria relativistica
che considera spazio e tempo come astrazioni derivate dagli eventi
e dalle relazioni degli oggetti materiali. Accettare uno spazio e un
tempo assoluti comporta che la duplicazione della natura risulti più
credibile in quanto si può supporre che ambedue le nature, la causale
e l’apparente, occupino lo stesso spazio e lo stesso tempo. Ma, interrompendo
la trattazione dello spazio e del tempo assoluti, Whitehead
si sofferma a ricapitolare le critiche alle teorie della duplicità della
natura. La critica più persuasiva e più coerente con la visione del
filosofo inglese è quella rivolta alla situazione artificiosa creata dalla
teoria della natura causale che sposta l’attenzione dal carattere delle
cose conosciute a domande che coinvolgono una dimensione, quella
dello spirito, per molti versi sconosciuta.
Parto dal principio assiomatico che la scienza non è una fiaba.
Non è impegnata ad abbellire entità inconoscibili con proprietà
arbitrarie e fantastiche. Che cosa sta facendo allora la scienza,
per garantire che sta facendo qualcosa di importante? La mia
risposta è che sta determinando il carattere delle cose conosciute,
vale a dire il carattere della natura che appare nelle sue
evidenze sensibili. Ma possiamo rinunciare a usare il termine
“apparente” poiché esiste una sola natura, vale a dire la natura
che è davanti a noi nella conoscenza percettiva. (pp. 35-36)
Ma è il concetto stesso di causa a creare i più grandi problemi:
perché la causa, destinata a produrre la percezione dello spirito,
dovrebbe avere qualche caratteristica in comune con la natura apparente?
Perché dovrebbe trovarsi nello spazio se lo spirito non occupa
spazio, e perché nel tempo? Quali sono le caratteristiche di una causa
che possono produrre particolari effetti nello spirito?