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Maggio

La Toscana Nuova maggio 2020

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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Un connubio di gusto, stile ed eleganza

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Sommario maggio 2020

I quadri del mese

Roberto Loreto, Please be seated, acrilico su tela, cm 80x80

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Gabriel Diana, un etrusco contemporaneo

Il futuro della città secondo l’architetto Stefano Boeri

Una monografia per ricordare il maestro Alfio Rapisardi

Dalla storia dell’Isola di Pasqua il probabile futuro del pianeta

Massimiliano Corsi, artista del “tempo ritrovato”

Incontro con Anna di Volo, artista delle donne senza volto

Lucien Clergue, fotografo tra luci e ombre

Andrea Ciapetti: la bellezza nascosta nei dettagli

La vitalità della figura umana nell’opera di Mirella Biondi

Il realismo sperimentale di Salvatore Sardisco

Benessere della persona: come igienizzare le mani

Psicologia oggi: aiutare i genitori ad aiutare i figli

Dimensione salute: medici e infermieri, eroi del nostro tempo

Point Break, il film cult di Kathryn Bigelow

Robert Davidsohn, da Danzica a Firenze per amore della storia

Alain Barbero, la magia dell’incontro in uno scatto

Maria Grazia Fusi, emozioni tra colore e materia

Lo scoppio del carro, un’antica tradizione fiorentina

Sacro e profano nelle sculture mediterranee di Chris Ebejer

La “vita nuova” nel tempo della Quaresima

Fabbrica teatro: quale futuro dopo la pandemia

Un ricordo di Andrea Stella nell’intervista alla figlia Selena

Vita…vita, la rocambolesca autobiografia di Mauro Mari

Serenna Mannari, pittrice in cammino sulle orme dei grandi

Intervista a Cesare Prandelli, indimenticato allenatore viola

Sport e solidarietà da Bisceglie a Pontedera

Fondazione Luigi Tronci, custode dell’arte organaria a Pistoia

Alma Sheik: la pittura come inno alla vita

E-commerce: un’opportunità non priva di pericoli

Arte del vino: il gioco degli abbinamenti

500 artisti nella rassegna in onda su Toscana Tv

L’arte nel cuore con il Movimento Life Beyond Tourism

B&B Hotels Italia: #StayFlex, la promozione per ripartire

Arte e Gusto: piatti gourmet da gustare con gli occhi

L’arte di fumare il sigaro spiegata da Francesco Minetti

Donatella Milani, musicista in campo contro il Coronavirus

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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074

In copertina:

Krzysztof Konopka, Vortice (2019),

olio su tela, cm 100x90

Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

Viale F. Redi 75 - 50144 Firenze

Tel. 333 3196324

lanuovatoscanaedizioni@gmail.com

lanuovatoscanaedizioni@pec.it

Registrazione Tribunale di Firenze

n. 6072 del 12-01-2018

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Anno 3 - Numero 5

Maggio 2020

Poste Italiane SpA

Spedizione in Abbonamento Postale D.L.

353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n, 46)

art.1 comma 1 C1/FI/0074

Direttore responsabile:

Daniela Pronestì

direzionelatoscananuova@gmail.com

Capo redattore:

Maria Grazia Dainelli

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La Toscana nuova - Periodico di attualità,

arte e cultura

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Testi:

Lucrezia Arfaioli

Laura Belli

Paolo Bini

Margherita Blonska Ciardi

Doretta Boretti

Fabrizio Borghini

Lorenzo Borghini

Erika Bresci

Viktorija Carkina

Jacopo Chiostri

Nicola Crisci

Maria Grazia Dainelli

Massimo De Francesco

Fabio Fanfani

Aldo Fittante

Serena Gelli

Nadia Gleonec

Stefano Grifoni

Stefania Macrì

Moravio Martini

Emanuela Muriana

Andrea Petralia

Lucia Petraroli

Elena Maria Petrini

Antonio Pieri

Isabella Pileio

Daniela Pronestì

Valter Quagliarotti

Barbara Santoro

Gaia Simonetti

Francesca Vivaldi

Foto:

Alain Barbero

Andrea Ciapetti

Lucien Clergue

Frank Georg

Franco Giomini

Giuseppina Maestrelli

Maurizio Mattei

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Musei nel

mondo

Gabriel Diana

Un etrusco contemporaneo

di Nadia Gleonec

Le sculture di Gabriel Diana impongono

una riflessione sullo

stile e sull’emozione che

suscitano ma anche sulla scomparsa

dell’accademismo perfettamente padroneggiato

dall’artista e sugli effetti

che questo ha avuto sulla sua anima.

Questa metempsicosi, l’artista “demiurgo”

Gabriel Diana l’ha compiuta

attraverso i suoi bronzi che sono diventati

snelli, longilinei, figure umane

simili alle sculture votive etrusche

nelle quali la “sublime” eco dell’anima

emerge per dare voce all’emozione

e alla sorpresa. Indubbiamente, egli

si è fortemente ispirato all’arte etrusca

e agli artisti di quel popolo antico.

L’universo dello scultore, leggero,

intenso e profondo, nasce dalla fertile

energia creativa della cultura greca

per trasformarsi poi in una fervida ricerca

del “sublime”. Diana forgia figure

in bronzo ridotte all’essenziale che

migrano poi sui suoi quadri della serie

Full Metal Painting oppure crescono

fino a diventare monumentali. Il suo

percorso artistico è il risultato di una

combinazione tra l’estetica etrusca e

quella greca antica, da questo dipende

la particolare espressività dei suoi personaggi.

Con gli anni, il maestro si è

allontanato dallo stile degli esordi per

immergersi nell’antico universo degli

etruschi, ritrovando così anche le proprie

origini toscane. Non si può parlare

degli artisti del secolo scorso o del

Ventunesimo senza prendere in considerazione

i lavori di Alberto Giacometti,

ai quali, spesso e volentieri, i critici si

compiacciono di attribuire un “sentore

etrusco”. In effetti, un aspetto accomuna

Giacometti e Diana: entrambi sono

stati affascinati da quel popolo antico,

dalla sua arte e, più in particolare, dalle

Tango argentino

Il maestro Gabriel Diana con l'opera monumentale Coppia abbracciata

L'Ombra della Sera, bronzo, III secolo

a.C., Museo etrusco Guarnacci, Volterra

L'Ombra di San Gimignano, bronzo, prima

metà del III secolo a.C., San Gimignano,

Museo Archeologico

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GABRIEL DIANA


Donna inginocchiata

sculture votive tra cui l’Ombra della sera

− ex-voto trovato a Volterra nel XVIII

secolo e così definito in seguito da Gabriele

D’Annunzio − è stata una rivelazione.

Ma questo aspetto è l’unico ad

avvicinare i due scultori. Se a prima vista

il viaggio artistico di Gabriel Diana

sembra calcare il percorso dello scultore

svizzero, una differenza fondamentale

li separa, e cioè l’arte del movimento.

Le opere di Giacometti, inconfutabilmente

rigide, sembrano pietrificate; è

Coppia a passeggio

questo rigore che dà forza alle sue opere.

All’opposto, i bronzi di Diana suggeriscono

una sensazione di movimento

e di vitalità dei gesti. In conclusione, la

sensibilità artistica di Gabriel Diana rispecchia

perfettamente la maestria degli

antichi artisti etruschi così vicini al

sentire moderno. Fortemente ispirato

da queste sculture votive e longilinee,

da queste “ombre” del passato che gli

sono sorprendentemente apparse come

se il tempo avesse vinto lo spazio, il

L'uomo che corre

maestro Diana mostra senza alcuna riserva

il suo percorso ispirato da una civiltà

nella quale il tempo ed il sublime

hanno lottato contro quel nulla che ci

vuol sempre dominare.

DIAN’Arte Museum

5992, Route des Marines de Borgo

+33 (0)669240110

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L'ermafrodita etrusco, La figurina etrusca e Donna etrusca

Io e Te

GABRIEL DIANA

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I maestri dell'

architettura

A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Stefano Boeri

Il futuro della città dopo il Coronavirus secondo

il celebre architetto del Bosco verticale

di Margherita Blonska Ciardi

Il celebre architetto Stefano Boeri

(Milano, 1956) è diventato negli

ultimi anni un archistar mondiale

soprattutto per la sua avveniristica progettazione

urbanistica e residenziale di

grossi centri metropolitani. Gli studi

di progettazione sono da sempre il suo

habitat naturale, essendo figlio della famosa

designer e architetto Cini Boeri,

storica collaboratrice dello studio di Gio

Ponti. Dopo la laurea in Architettura al

Politecnico di Milano e il dottorato di ricerca

in Pianificazione territoriale all'Università

di Venezia, Boeri intraprende

una carriera fulminea e strepitosa.

Professore ordinario di Urbanistica al

Politecnico di Milano, insegna contemporaneamente

in diversi atenei internazionali,

tra i cui Harvard e Cambridge, e

in città come Mosca, Rotterdam e Losanna.

Ha ricoperto anche la carica

politica di assessore alla Cultura del Comune

di Milano fino al 2013. Dal 2018

è presidente della Fondazione La Triennale

di Milano. Ai riconoscimenti internazionali

per le sue idee e la didattica si

aggiungono le importanti partecipazioni

al comitato scientifico dello Skolkovo

Innovation Center, polo di alta tecnologia

nei pressi di Mosca, e l'attuale direzione

di Future City Lab della Tongji

University di Shanghai, un programma

di ricerca e specializzazione che anticipa

la mutazione delle metropoli planetarie.

Parallelamente alla carriera accademica,

dal 1999 dirige lo studio milanese Stefano

Boeri Architetti (insieme con Gianandrea

Barecca e Giovanni La Varra) e

presiede da anni alcune riviste internazionali

del settore come Domus (2004-

2007) e Abitare (2007-2011). Nel 2013,

insieme all’architetto Yibo Xu, fonda lo

studio Stefano Boeri Architetti China

con sede a Shanghai, espandendo così

al mondo intero il suo concetto progettuale.

Quest’ultimo si rispecchia soprattutto

nelle visioni urbane dove viene

attribuita molta importanza agli spazi

aperti, con la realizzazione di diversi

waterfront - come a Napoli, Trieste,

Genova, La Maddalena, Doha, Marsiglia

e Salonicco - il cui intento è valorizzare

l’elemento vegetale come fattore di

connessione urbana e sociale. L’ideazione

del Bosco verticale nel 2014 − primo

prototipo di edificio residenziale

sostenibile con facciate ricoperte di alberi

e piante − e del successivo modello

di riforestazione metropolitana, che

concepisce la vegetazione come ele-

In primo piano, il Bosco verticale nel quartiere Isola a Milano (ph. courtesy artribune.com)

8

STEFANO BOERI


Il progetto di Boeri denominato Un fiume verde per Milano (ph. courtesy Stefano Boeri Architetti)

mento fondamentale dell’architettura

contemporanea, sono state le ultime

realizzazioni e proposte di Boeri per le

città del futuro. Realizzato a Milano nel

2014, il Bosco verticale ha ricevuto numerosi

riconoscimenti internazionali,

come l’International Highrise Award nel

2014 e il Best Tall Building Worldwide,

premio, quest’ultimo, attribuitogli come

più bel grattacielo al mondo. Purtroppo,

la recente pandemia ha interrotto la

vita sociale e produttiva di intere popolazioni.

Attualmente, lo studio Boeri ha

chiuso la sede di Shanghai ed è stato

costretto ad interrompere i lavori di forestazione

della città di Milano. Siamo

tutti disorientati e ci chiediamo come

sarà la nostra vita dopo questa drammatica

esperienza. A questo proposito,

Boeri ritiene che, almeno nel breve

termine, sarà difficile tornare alla vita di

prima; cambieremo le nostre abitudini

e conserveremo le distanze sociali e altre

precauzioni per diversi anni. A suo

giudizio, la prima cosa da fare in Italia

sarà ricostruire le infrastrutture come

ponti e strade per ragioni di sicurezza;

successivamente bisognerà adeguare

al nuovo stile di vita sia le scuole che

i trasporti pubblici come metropolitane,

treni e autobus, per garantire, attraverso

la maggiore frequenza di questi

servizi, la possibilità di mantenere il distanziamento

sociale. Per far questo

dovremo definitivamente abbandonare

l'utilizzo di fonti fossili e passare direttamente

ai mezzi elettrici e fotovoltaici,

visto che recenti studi dimostrano che

il Coronavirus si diffonde con più letalità

nelle aree maggiormente inquinate.

Questa pandemia è una rivolta della natura

contro gli abusi dell'uomo sull'ecosistema.

Progettando con il verde e

nel rispetto dell’ambiente, Stefano Boeri

ha anticipato i tempi. Egli è convinto

che i futuri luoghi di aggregazione saranno

gli spazi aperti; per questo motivo,

bisognerà riqualificare parchi, viali

e piazze per permettere la ripresa della

vita sociale in sicurezza, che potrà essere

garantita soprattutto all'aria aperta

e avendo il verde come elemento di

connessione. La ricostruzione delle abitazioni

abbandonate grazie alla riduzione

dell’eccessiva burocrazia aiuterà a

far ripartire l'economia nazionale, con la

successiva ripresa di tutti gli altri settori

produttivi come arredamento, moda,

eccetera. L'edilizia è un ramo trainante

dell’economia e da questa inizia il benessere

del paese. La visione di Boeri

come architetto ed urbanista si estende

alla previsione di un cambiamento di

rotta anche nel settore turistico, che secondo

lui s’indirizzerà sempre più verso

la scoperta del territorio locale. Per

questo motivo, bisogna riprendere la

cura dei piccoli borghi, riscoprendo l'Italia

rimasta nascosta fino ad oggi. Le

persone si sposteranno sempre di più in

maniera individuale, evitando il turismo

di massa dei grandi centri. Secondo Boeri

sarà soprattutto Roma la città che

offrirà in futuro maggiori sorprese, rilanciando,

con la sua bellezza intramontabile,

l'antico ruolo di caput mundi.

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STEFANO BOERI

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Personaggi

Alfio Rapisardi

Una monografia per ricordare, a quasi due anni dalla scomparsa,

la vita di un artista geniale e ribelle

Tra i sostenitori dell’iniziativa, Fabio Fanfani, amico ed estimatore del maestro

di Fabio Fanfani (tratto dalla monografia A.Rapisardi / Cavalcando, LoGisma editore, 2020)

La figura di Alfio Rapisardi appartiene

ai più chiari ricordi

della mia infanzia e della mia

giovinezza. La confidenza che aveva

con mio padre mi ha permesso di frequentarlo

per molti anni, durante i quali

gli scambi di piaceri fra di loro e le

sue visite all’Istituto Fanfani e a casa

mia hanno permesso che l’uno e l’altra

si arricchisssero di molte opere, alcune

delle quali vengono pubblicate in questo

libro per la prima volta. A lungo l’artista

ha rappresentato per me l’essenza

stessa del magister artis, che esercitava

il suo ruolo sia attraverso l’ingegno

e le grandi abilità manuali, sia con

la scanzonata filosofia della vita; nella

“fiorentinità” più tradizionale e parimenti

nell’apertura ad ogni forma del

nuovo. Nella carica di Decano del Corpo

Consolare di Firenze che attualmente

mi è dato di ricoprire, mi sento perciò

di rendere omaggio qui in particolare,

oltre che a quell’immagine del restauratore

del genio italiano di cui Alfio si è

sempre vantato, e oltre che al Rapisardi

quasi malapartiano, al toscano “maledetto”

che tutti continuiamo a portare

con simpatia nella mente e nel cuore,

anche all’osservatore dell’universo

mondo, al genio errante, sempre

in fuga e sempre di ritorno, al

viaggiatore. Alfio Rapisardi avvertì

soprattutto il fascino del “nuovo

mondo”. Viaggiò ancora giovane,

dopo le prime affermazione e appena,

dunque, le finanze glielo

permisero, a New York, dove sarebbe

ritornato almeno un paio di

volte, per soggiorni ugualmente

importanti, anche in età più matura.

Nell'81 espose alla Galleria

Barclay Simpson di San Francisco.

Rimase per quasi un anno tra

Los Angeles e Hollywood, dove il

suo nome e la sua personalità sono

ancora ben ricordati e vivi nella

memoria dei committenti (tra i

quali numerose personalità dello

spettacolo) e tra i proprietari delle

case e dei locali decorati allora

con i suoi quadri e i suoi dipinti

murali. Ma questo speriamo sia materiale

per un prossimo volume. Alla fine

degli anni di maggiore attività, secondo

un desiderio di scoperta e di conquista

di un nuovo mercato artistico, Rapisardi

si recò a Santo Domingo dove furono

Cavalcando...

allestite varie esposizioni dei suoi lavori

e dove svolse per diversi mesi anche

un’attività di insegnamento patrocinata

dal governo della Repubblica Dominicana.

Per il governo italiano, invece,

aveva curato l’allestimento del padiglione

nazionale nella

grande esposizione

di Sidney del 1967. E

sempre con un carattere

di rappresentatività

e in un’ottica di

ufficiale scambio fra

diverse culture, Rapisardi

presentò al pubblico

giapponese nel

1978, nella sala principale

del Palace Hotel

di Tokyo, un’enorme

opera scultorea in legno

realizzata proprio

lì, estemporaneamente,

dando di mazza e

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ALFIO RAPISARDI


di scalpello su una gigantesca

sezione di tronco d’albero

tra l’andirivieni di ospiti e

personale di servizio stupiti

e ammirati, come in una sfida

lanciata dall’estro italiano

e dall’eredità dei grandi artefici

del nostro Rinascimento

al calligrafismo e al naturalismo

della più nota tradizione

artistica del lontano

Oriente. Questi lunghi viaggi

conservarono tuttavia caratteri

quasi di mito, nel cuore

dell’artista e nell’immaginazione

di chi gli fu vicino.

Eccetto qualche ritaglio di

giornale, qualche foto formale

a cui Alfio, in ogni

caso, sapeva spesso trasmettere un

calore e una spontaneità imprevisti, la

maggior parte dei suoi incontri professionali

e umani in quelle occasioni continuarono

a pulsare vita solo nei suoi

racconti e si rianimavano, come anche

oggi accade nel testo di Nicoletta Lepri,

grazie a quelli degli amici più vicini.

Non si sapeva mai dove finisse il resoconto

e dove incominciasse la fantasia

dell’artista. Il quale, a un certo punto

della sua carriera, all’incirca a metà degli

anni Ottanta, smise di appuntare in

elenco le mostre e gli itinerari e si limitò

a ripercorrere anche quelli con il ricordo,

riferendo aneddoti, confidando

avventure e disavventure, alternativamente

ingigantendo o sdrammatizzando

nello sberleffo. Più documentati,

attraverso le testimonianze di colleghi e

mercanti d’arte, sono invece i viaggi europei,

in Inghilterra, in Svizzera, in Francia,

e specialmente nella Francia del sud

e sulla Costa Azzurra verso la quale Rapisardi,

chiamato a esporre i suoi lavori,

partì con l’intenzione e la sicurezza

di poter calcare nuovamente – come in

buona parte fece – le orme di altri grandi

artisti dell’Otto-Novecento che lì lo

avevano preceduto.

Cavalcando il Novecento, Alfio

Rapisardi (Firenze, 1929

- 2018), scultore e pittore, ripercorre

la strada dei grandi artisti

del Rinascimento, da garzone di bottega

a mostre nel mondo, riuscendo

sempre a trasformare in arte la sofferenza,

l’amicizia e la vita quotidiana,

senza scendere mai a compromessi

e rinnovando sempre questo legame

creativo con Firenze. Sin dalla giovane

età, Alfio Rapisardi inizia a coltivare

la passione per la scultura nello

studio di Donatello Gabrielli. Incontra

il proprio stile frequentando gli

studi artistici della città, osservando

le opere dei grandi. Dopo il ricovero

al nosocomio di San Salvi, dipinge

molti quadri ed espone per la prima

volta a Firenze, riuscendo così, nonostante

le tante sofferenze, a spiccare

il volo. Nel 1960, all’XIª edizione

del Premio Firenze - Fiorino d’oro, si

classifica terzo con la consegna del

premio nel Salone dei Cinquecento in

Palazzo Vecchio al cospetto delle autorità

cittadine. Dopo una

personale alla galleria San

Marco di Roma nel '61,

un’altra classificazione al

Fiorino nel 1962. Un periodo

di conferme per l’artista

e per la sua opera

che tocca talvolta anche

il tema sacro. Le vendite

gli consentono di lasciare

l’alloggio di via Guelfa

e di andare ad abitare nella

grande casa-studio su

due piani al numero 1 di

via Verdi. Il 1965 segna l’inizio di un

cambiamento sostanziale dovuto alla

disponibilità economica che la collaborazione

esclusiva con la galleria

fiorentina Santacroce e poi con la Spinetti

e l’attività ad ampio raggio di queste,

gli permettono. Dopo le esperienze

negli Stati Uniti e nella Repubblica Domenicana,

torna a Firenze e s’impone

come artista, collaborando con committenti

privati, fuori dagli schemi delle

gallerie d’arte. Si ritira così presso la

Alfio Rapisardi in una foto degli ultimi anni

casa di Borgo Sant’Apostoli 10, dove

continua a dipingere fino al 2015.

Nella primavera del 2016, è protagonista

di una due giorni celebrativa

intitolata Alfio Rapisardi. Opera – video

– testimonianze, patrocinata dalla

Compagnia degli Azzurri del calcio

in costume e tenuta nel chiostro della

basilica fiorentina di Santo Spirito.

A giugno gli viene tributata la vittoria

del bando Città di Firenze per il Palio

del calcio storico di quell’anno.

ALFIO RAPISARDI

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Corsi e ricorsi

storici

Una riflessione di Moravio Martini sulla storia

dell’Isola di Pasqua, paradigma del possibile

futuro catastrofico del pianeta

di Moravio Martini

La storia dell'Isola di Pasqua è

un avvenimento. Essa denuncia

non solo il crollo di una civiltà

di polinesiani estinta mille anni

fa, ma allude a noi, presentando paralleli

con il mondo moderno che, con

lo sfruttamento delle risorse, produce

effetti negativi che minacciano la

nostra esistenza. Da anni abbiamo

messo in crisi l'economia, abbiamo

sterminato specie, minato l'ecosistema

distruggendo l'habitat. Gli scienziati

sono concordi nel ritenere che

il destino del mondo sia giunto alla

fine (2050?). Addirittura Stephen

Hawking, lo scienziato malato di SLA

su cui è stato fatto il film La teoria del

tutto, prevede che “la specie umana

avrà un futuro in altri mondi dell'universo,

perché il rischio della distruzione

della terra è possibile”. L'Isola

di Pasqua era un microcosmo: la sua

estinzione è oggi un esperimento “in

vitro” di distruzione dei beni ambientali

sulla nostra terra. Distruggiamo le

risorse naturali, le materie prime e le

fonti energetiche, sottoponendole ad

uno sfruttamento intensivo. La biodiversità,

inoltre, espone al rischio di

estinzione specie animali e vegetali.

Cosa lasciamo alle generazioni future,

a coloro che ancora non ci sono?

Jacques Cousteau ha scritto: «I

diritti di coloro che ci succederanno

siano iscritti nei doveri

dei viventi». L'Isola di Pasqua,

un isolotto vulcanico in lingua

nativa chiamato Rapa Nui, ossia

“grande roccia”, è l'isola dell'Oceano

Pacifico vertice del triangolo

che con la Nuova Zelanda

e Tahiti delinea la Polinesia. Distante

3500 chilometri dal Cile

(al quale appartiene), l'isola

ha una superficie di 163,6 chilometri

quadrati, ossia grande

come l'Isola d'Elba. Per la sua

posizione geografica è detta anche

“l’ombelico del mondo” (te-pito-tehenua),

nome che attesta un passato

imperiale. L'Isola di Pasqua si chiama

così essendo stata scoperta appunto

il giorno di Pasqua del 1722 dagli

europei. E' famosa per i suoi megaliti,

grandi tronchi di pietra di tufo sovrastati

da cilindri colorati di rosso, di

notevoli dimensioni (da 3 a 10 metri

ed uno addirittura di 21 metri) e pesanti

molte tonnellate. Nell'anno 1000

circa, quando i polinesiani vi posero

piede navigando da ovest a est (contrariamente

all'esperimento del Kontiki

che voleva dimostrare da est a

ovest), l'isola era un paradiso naturale:

terra fertile ricca di foreste, cibo

abbondante della terra, del cielo,

del mare. Tale florida situazione determinò

una numerosa popolazione pacifica

divisa in 12 clan.

Grazie alle relazioni del capitano Cook

(1774-76) siamo a conoscenza del

contrasto tra i megaliti (Moai), grandi

sculture in pietra vestigia di un passato

glorioso, e la miseria della popolazione

dell'Isola di Pasqua di allora. Nel

1862 i bianchi dell'America del sud

(Cile, Perù, etc.) prelevarono dall'isola

oltre 1000 abitanti per la raccolta del

guano, oggetto di largo commercio.

Il guano è costituito dagli escrementi

degli uccelli marini e dei pipistrelli,

utile come concime in quanto ricco di

azoto, fosforo e potassio. I pipistrelli,

privati del loro ambiente, possono

causare virus mortali. I sopravvissuti

pasquensi, grazie all'intervento della

comunità internazionale, tornarono

alla loro isola ammalati di tubercolosi

e vaiolo. Tali mali portarono alla morte

di quasi tutta la popolazione. Anche la

lebbra era diffusissima e questa, con

altre malattie, provocò un vero etnocidio.

Tale disgraziata situazione creò

le condizioni per lotte intestine e favorì

la scomparsa del patrimonio culturale,

ossia il passato splendore di

questa civiltà testimoniato dalle grandi

sculture di pietra poggiate su piattaforme

cerimoniali e sepolcrali dette

“AHU”. I Moai avevano un profondo

significato religioso: si pensa rappresentassero

i capi succedutisi nell'isola

e i sacerdoti che dopo la morte erano

adorati a rango di divinità tutelari.

Tali reperti presuppongono l'esistenza,

in tempi assai remoti (1200 d.C.),

di una brillante civiltà con vie trionfali

verso il mare, templi e statue: il miracolo

dell’Isola di Pasqua! Agli occhi

del capitano Cook l'isola si presentò

brulla, senza alberi, desertificata, con

Veduta aerea dell'isola con in primo piano il cratere del vulcano Rano Kau (ph. courtesy www.isoladipasqua.it)

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ISOLA DI PASQUA


I Moai dell'Isola di Pasqua (ph. courtesy www.eventidalmondo.blogspot.com)

gli abitanti nudi, tatuati, coperti in vita

da cortecce di albero portate dal mare,

e con la maggioranza dei megaliti

abbattuti e stesi con la faccia verso

terra. Tale situazione disastrata fu la

conseguenza di lotte intestine tra i dodici

clan dell'isola, divisi in “orecchie

corte” e “orecchie lunghe”: chi vinceva,

abbatteva le sculture dei perdenti

e si abbandonava all'antropofagia,

dopo i topi e i crostacei.

L'isola è un sasso nell'Oceano Pacifico.

Il clima è caldo e i venti alisei forti

e costanti: un ammasso di roccia vulcanica

senza alcuna qualità e piena

di vulcani spenti. Durante la seconda

guerra mondiale, lo Stato cileno penso

addirittura di vendere l'isola alla

Germania nazista in cambio di navi da

guerra. Oggi, scienziati, storici, archeologi

e antropologi hanno dato all'isola

grande importanza, perché essa

riproduce gli stessi parametri ambientali

e sociali del nostro pianeta

attualmente. Nel tredicesimo secolo

circa, lo sfruttamento senza sosta delle

sue risorse e un enorme sviluppo

demografico distrussero l'ecosistema

dell'isola e rivelarono l'ascesa, il culmine

e il crollo della sua civiltà. Esempio

per comprendere la nostra società

e la relativa minaccia di scenari catastrofici

che potrebbero colpire il nostro

pianeta come allora l'isola.

I resoconti dei generosi missionari ivi

recatisi si soffermano a considerare la

popolazione dell'isola che si presentava

con rotoli di foglie ai lobi delle

orecchie e al naso, con folta barba e

lunghi capelli. L'alimentazione si basava

sui frutti della terra favorevole

solamente alla piantagione di patate

dolci, taro (tubero polinesiano simile

alla patata), ignami (tuberi ricchi di

amido e viti erbacee), banane e canna

da zucchero che i primi polinesiani,

venuti dall'ovest in canoa, avevano

portato con sé oltre a qualche pollo.

Si calcola che, coltivata integralmente,

l'isola potesse dare alimentazione

a 5000 abitanti. Non c'erano fiumi

e l'acqua era quella piovana dei laghi

creatisi sul fondo dei crateri. La cottura

dei cibi veniva fatta con il fuoco ricavato

sfregando un bastoncino entro

un solco aperto in un pezzo di legno.

Il cibo veniva cotto in forni lastrica-

ISOLA DI PASQUA

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Primo piano dei celebri megaliti pasquensi

ti sul fondo e negli stessi forni si cuocevano

le parti prelevate dai cadaveri

dei nemici uccisi: prelibate le dita delle

mani e dei piedi. Le donne partorivano

accoccolate o inginocchiate e il

cordone ombelicale veniva annodato.

Si scrivevano “le tavolette parlanti”,

cioè tavolette lignee usate in occasioni

cerimoniali incise con andamento

bistofridico (da sinistra a destra e da

destra a sinistra).

Gustavo Zagrebelsky, nel suo piccolo

libro intitolato Senza adulti, descrive

in poche righe un efficiente ritratto

della nostra attuale situazione e quella

dell'isola di allora: «Le società della

crescita per la crescita, cioè la crescita

esponenziale, dimostrano che

la religione della crescita è come una

miccia a fuoco lento che, alla fine,

giunge al suo compimento. La prima

causa del collasso dell'Isola di Pasqua

sarebbe stata la deforestazione;

la foresta ospitava uccelli stanziali e

attirava uccelli di passo, forniva il legname

alle canoe per la pesca, difendeva

il territorio coltivato ad orto dalla

devastazione dei temporali tropicali.

La penuria dei fattori primi della vita

alimentò la rivalità e la guerra dei clan

(…), con l'assenza di cibo si arrivò

all'antropofagia. Le grandi statue erano

un simbolo della potenza artistica

e tecnologica ma per scalpellarle,

trasportarle e drizzarle occorrevano

tronchi d'albero e fibre di legname

per fabbricare le funi. L'isola fu

desertificata e parallelamente si eressero

pietre sempre più alte. Poi nella

guerra di tutti contro tutti, in parte

furono abbattute e spezzate. Quando

tutto fu compiuto, pensarono (gli abitanti)

ad una via di fuga ma il legno

per costruire le barche era già stato

usato per le teste di pietra». Concludendo,

scrive Diamond nel suo libro Il

collasso: «Quando gli indigeni, ossia

i pasquensi, si trovarono in difficoltà

non poterono fuggire né cercare aiuto

fuori dall'isola, come non potremmo

noi, abitanti della Terra cercare soccorso

altrove se i problemi dovessero

aumentare. Il crollo dell'Isola di Pasqua,

secondo i pessimisti, potrebbe

indicarci il destino della nostra umanità

nel prossimo futuro». Il turismo

ha fagocitato l'Isola di Pasqua immettendola

nel proprio circuito per soddisfare

la curiosità dei popoli attratti

dal mistero della sua storia e dei megaliti.

La curiosità e l'afflusso dei turisti

hanno determinato lo sfruttamento

dell'isola cambiandone le originali caratteristiche.

Di conseguenza, oggi lo

sfruttamento capitalistico ha provveduto

alla costruzione di un aeroporto

e alberghi moderni. Inoltre il Cile

sta progettando un'operazione di rimboschimento

e la creazione di un acquedotto,

necessità occorrenti per

soddisfare le esigenze turistiche in aumento.

La popolazione attuale, attratta

dal lavoro, è un coacervo di razze

e quella indigena una minoranza. Già

oggi e ancor più in futuro sarà difficile

riconoscere quel mondo fascinoso

che videro i primi colonizzatori. Per

lasciare una terra vivibile ai nostri figli

e a coloro che non sono ancora nati,

abbiamo il dovere di cambiare il mondo

e tornare a quello dei nostri nonni.

Occorre una legge internazionale che

condanni chi opera deforestazioni,

desertificazioni, inquinamento della

terra, del cielo e dei mari, e quindi una

legge che sia attenta alla biodiversità,

per lasciare che l'insieme degli esseri

viventi (animali e vegetali) interagiscano

fra loro in un ambiente sano.

Con l'attuale epidemia del Coronavirus

si può azzardare l'ipotesi che la

popolazione dell'Isola di Pasqua possa

essere stata attaccata anche da tale

morbo dovuto ai pipistrelli che, scrive

Danilo Russo sul Venerdì di Repubblica

“sono grandi serbatoi di virus” e,

quando entrano in noi, in alcuni casi

si adattano all'uomo e fanno sì che il

nostro sistema immunitario reagisca

in modo molto meno flemmatico producendo

un'infiammazione che causa

gravi danni. Evitare questi passaggi

sarebbe semplice, basterebbe lasciare

in pace i pipistrelli e il loro ambiente.

Proteggerli conviene: impollinano

le piante e fanno risparmiare miliardi

in pesticidi. Nel 2019, nel mondo

intero gli incendi hanno devastato 20

milioni di ettari di foreste. Le

immagini satellitari hanno accertato

incendi anche nell'Artico,

in Groenlandia, Siberia,

Alaska, Russia e Canada, oltre

che nell'Europa mediterranea.

Il riscaldamento globale, con

l'aumento della temperatura

e il riscaldamento della terra,

creerà maggiore rischio di incendio.

In Italia, nel 2019, due

grossi incendi nelle province

di Varese e di Como hanno distrutto

800 ettari di bosco. La

conseguente deforestazione

mondiale (tagli e incendi), eliminando

l'habitat delle specie

animali e in particolare quella

dei pipistrelli, ha costretto questi

ultimi ad un esodo di massa

verso le città e i loro parchi.

14 ISOLA DI PASQUA


A cura di

Daniela Pronestì

Occhio

critico

Massimiliano Corsi

Fotografia e pittura, linguaggi del “tempo ritrovato”

di Daniela Pronestì

Anni fa, in un saggio estetico

- sociologico sulla contemporaneità,

Gillo Dorfles

contrapponeva all’horror vacui dell’uomo

primitivo, cioè alla necessità dei

nostri antenati di colmare con i propri

segni − si pensi ai graffiti nelle caverne

− un mondo ancora vuoto di significati,

l’horror pleni di una società, quella in

cui viviamo, a tal punto satura di stimoli

sensoriali da neutralizzare quasi del tutto

le capacità percettive dell’individuo.

Capire come l’arte possa sopravvivere

a questa ipertrofia segnica che vede

protagonista in special modo la sfera

visiva, non è mera speculazione intellettuale.

Al contrario, diventa essenziale

ridefinire lo statuto dell’immagine in

un’epoca in cui l’iperreale precede e costituisce

il reale, azzerando così la dicotomia

tra autenticità e mistificazione,

fatto e feticcio. L’arte è chiamata oggi

al ruolo contraddittorio e ambivalente

del Giano bifronte, sospesa com’è tra

la necessità di accogliere le dinamiche

comunicative del presente − pena il rischio

di esserne sopraffatta − e il recupero

di valori ancorati al passato come

“garanzie” delle proprie specificità linguistiche.

La ricerca di Massimiliano

Corsi prende l’avvio da questi assunti

per operare una sintesi − fotografia

e pittura insieme − capace di riportare

l’immagine a farsi “evento”, e quindi tramite

di un’esperienza che segna un’interruzione

nei nostri schemi percettivi.

Potenza e persuasività dell’immagine

dipendono proprio da questo: dalla capacità

di traghettare lo sguardo in una

dimensione che trascende il mero “fatto

visivo” per aprire nuovi percorsi di senso.

E se, come in questo caso, l’artista

rinuncia alla nitidezza dello scatto fotografico

− e dunque anche all’equivoco

di una società che cerca nell’immagine

chiara e ben definita una conferma

di veridicità dell’immagine stessa − il risultato

è un totale spiazzamento di ogni

nostra aspettativa. Memorie di paesaggi

naturali, tracce di contesti urbani, vaghi

profili di figure: immagini che “accadono”

sotto i nostri occhi come fotogrammi

proiettati in rapida successione su

uno schermo. All’odierno culto dell’iperrealismo

fotografico, Corsi preferisce

la forza evocativa dell’indefinito,

riconoscendo in questa scelta il valore

poetico generato da quello che Leopardi

nello Zibaldone definiva “il piacere

dell’indeterminato”, il dolce naufragare

dello sguardo nella vaghezza di scenari

da vedere e interpretare con il filtro

dell’immaginazione. Ma non è tutto: ridurre

o cancellare la riconoscibilità del

soggetto significa anche risalire alle

strutture fondanti del linguaggio visivo,

ossia movimento, colore e forma, tre

valori che concorrono alla formazione

delle immagini nella mente. Un modo

per rendere l’osservatore consapevole

dei meccanismi percettivi, per riportarlo

al “cuore” della visione, ricordandogli

che l’immagine è sempre una verità in

fieri sia per chi mostra − in questo caso

l’artista − sia per chi guarda. E ancora:

movimento, colore e forma appartengono

tanto alla fotografia quanto alla

pittura, linguaggi che nell’opera di Cor-

si non si sovrappongono soltanto, ma

s’intrecciano come realtà specchianti e

reversibili. Al ritmo fluido delle forme

diluite, sdoppiate e moltiplicate con effetti

di mosso e sfocature, la pittura risponde

con lo sviluppo frammentato e

rapsodico di linee, geometrie, accordi e

contrappunti coloristici. Mentre la fotografia

smaterializza l’oggetto della visione

mostrandocelo come attraverso uno

specchio deformante − lo specchio deformante

della memoria, dell’è stato a

cui la fotografia sempre si riferisce −,

la pittura interviene a ridargli “concretezza”

riportandolo al presente, al “qui

ed ora” della percezione. L’invito rivolto

a chi osserva non è tanto individuare un

“contenuto” − che pure c’è e che spazia

dalla rilettura di miti classici a quella

di grandi capolavori dell’arte − quanto,

invece, insinuarsi con lo sguardo nello

spazio che intercorre tra immagine

e segno dipinto, tra immaterialità della

fotografia e corporeità della pittura. In

questo spazio mentale, il tempo rallenta,

si dilata, torna ad essere un tempo

vissuto qualitativamente e non più divorato

nella fruizione compulsiva delle

immagini attraverso i media. Potremmo

definirlo, parafrasando Proust, un

“tempo ritrovato”, una pausa immaginifica

che restituisce profondità all’esperienza

estetica. Un’occasione − sembra

dire Massimiliano Corsi − per riscoprire,

nell’epoca del “troppo pieno”, l’importanza

di un “vuoto” da riempire con

la ritualità creativa dell’arte.

www.massimilianocorsi.com

MASSIMILIANO CORSI

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Incontri con

l’arte

A cura di

Viktorija Carkina

Anna di Volo

L’artista fiorentina si racconta ripercorrendo gli anni della formazione giovanile,

gli incontri decisivi e i passaggi stilistici di una lunga e importante carriera

di Viktorija Carkina

om’è nata la passione per l’arte,

hai fatto studi accademici

Cnell’ambito della pittura?

La mia passione per l’arte è nata dal

fatto che mio padre, mio nonno, mio

zio, insomma, tutta la mia famiglia erano

artisti. Avendo mio nonno fondato

la prima fabbrica di colori per le belle

arti d’Italia, fin da bambina, ogni tanto,

mi portavano in fabbrica ed io mi

divertivo a giocare con i colori. E allora

ho cominciato a disegnare. Per un

periodo ho frequentato l’Accademia di

Belle Arti, ma poi l’abbandonai, perché

capì che non mi serviva il diploma.

Prima di tutto non avevo nessuna intenzione

di andare a insegnare poiché

l’insegnamento è veramente lontano

da me. E poi, avrei imparato a dipingere

in ogni caso. Mi ricordo le parole

di mia nonna Anna Maria, che diceva:

«Non devi fare la pittrice, devi fare la

sarta. A fare i pittori si muore di fame».

Tutto sommato aveva ragione, salvo i

pochi eletti che riescono sopravvivere

facendo arte.

Menomale che hai seguito la tua

passione nonostante i consigli della

nonna...

Sì, esatto. Nella vita è una grande fortuna

riuscire a seguire quello che ti nasce

da dentro, dal cuore. Sono molto

fortunata.

Come ci si sente a crescere in una

famiglia dove il padre è un grande

artista?

Per la maggior parte della mia vita ho

avuto fortuna con i miei quadri, che

sono stati molto apprezzati. Ma ero

sempre la figlia di qualcuno o la nipote

di qualcuno, quindi mi sono sempre

sentita la seconda. Poi gli eventi hanno

cambiato la mia vita e con il passare

del tempo è aumentata la mia autostima.

Ora sono Anna di Volo.

Cosa ti ha aiutato a sconfiggere queste

insicurezze?

Le ho sconfitte nel momento in cui decisi

di dipingere per me stessa, non

cercando di accontentare gli altri. Mentre

prima, devo ammetterlo, cercavo di

dipingere quello che poteva in qualche

modo compiacere il pubblico. Mi ricordo

ancora quel giorno: ero appena tornata

da Londra, dove avevo incontrato

per una collaborazione Henry Moore, e

mi sono detta: «Basta, dipingo per me

stessa e mi devono accettare così come

sono».

Inizialmente hai riscontrato difficoltà

per quanto riguarda la comprensione

della tua arte da parte del

pubblico?

Devo dire di sì. Ho venduto tanti quadri

alla gente della moda e a tanti stilisti. Infatti,

grazie al loro sostegno, la loro fantasia

e il loro affetto ho trovato la forza

di andare avanti e continuare a dipingere.

Poi ho avuto la fortuna di incontrare

un grandissimo architetto che era Marzio

Cecchi, fratello di Pola Cecchi. Era

entusiasta della mia pittura e mi ha commissionato

tanti quadri, sia per la sua

collezione privata che per i suoi clienti.

Grazie a Marzio le mie opere sono finite

nelle più belle case del mondo, come per

esempio a New York e in Francia.

Fin dall’inizio il tuo percorso artistico

è stato caratterizzato dai volti

metafisici?

Purtroppo no. Inizialmente cercavo di

compiacere gli altri e realizzavo anche

veri e propri ritratti. Un giorno, stavo

facendo un ritratto ad una dottoressa

dell’ospedale di Santa Maria Nuova, e

Pierrot (2019)

mentre posava ho pensato: «Basta, non

faccio più ritratti». Quel giorno ho smesso

definitivamente. A tale decisione mi

portò la rabbia, perché mi resi conto che

in fondo ritrarre una persona, se non gli

leggi l’anima, è un’azione che rimane solo

a livello estetico.

Le tue opere hanno i volti non definiti.

E’ il richiamo ad una realtà metafisica

oppure così vuoi renderli universali?

Sono universali. Non vorrei metterci

un’etichetta. Senza volto io cerco di

trasmettere quella che è la mia emozione

e soprattutto gli altri possono vedere

quello in cui meglio credono.

Oltre al richiamo alla metafisica nella

tua arte sono presenti elementi d’oro,

le figure sono spesso inserite dentro

nicchie e i soggetti femminili, con

16

ANNA DI VOLO


le loro posizioni statiche, ricordano la

Madonna. Forse è un richiamo all’arte

sacra del Quattrocento del fondo

oro?

Sì, perché io amo molto la pittura bizantina,

fino ad arrivare appunto al Quattrocento.

Invece la pittura dal Cinquecento

in poi mi affascina molto meno, anche se

devo togliermi il cappello. I fondi oro attirano

la mia attenzione molto, come anche

le nicchie e i troni. Per me sono il massimo

della libidine. Forse sarà perché ho

origini bizantine.

Nelle chiese fiorentine troviamo molte

pale d’altare dell’epoca del fondo oro.

Forse si sono impresse nella tua memoria

fin da quando eri piccola e in seguito

hanno formato le tue preferenze

artistiche?

Assolutamente. Infatti, mio padre ogni

domenica mattina mi portava o nei musei

o nelle chiese. Lì mi spiegava tutti i quadri,

uno per uno. Questa tradizione nacque

all’età di cinque anni e proseguì fino

alle elementari. Mio padre mi dava pochi

abbracci, ma tanta consapevolezza e

tante conoscenze. Mi ha aiutato anche a

ritrovare la mia sensibilità artistica, introducendomi

diversi concetti filosofici. Aveva

intorno a lui un gruppo esistenzialista

del quale faceva parte tutta l'intellighenzia

fiorentina. Mio padre non è stato l’unico

in famiglia ad insegnarmi cose nuove,

lo faceva anche mio nonno, che mi regalò

Le vite di Vasari quando avevo solamente

dodici anni. Perciò, veramente, non sono

mai stata una bambina. Sto cercando

di diventarlo adesso; è difficile, però continuo

a provare.

Un'immagine della personale Le forme dello spirito nella Basilica di Santa Croce a Firenze nel 2014

Nonostante tuo padre fin dall’inizio

sia stato il tuo maestro sia del mondo

quotidiano che di quello artistico,

non lo si percepisce dai vostri dipinti.

Esatto, i nostri quadri sono molto diversi.

Abbiamo tante differenze anche a livello

tecnico, usiamo linguaggi diversi.

Mio padre lavorava solo a spatola, non

usava mai il pennello che invece è frequente

nella mia produzione artistica.

Ma soprattutto era una persona con un

animo sereno, e ciò si riflette nelle sue

opere.

Dopo vari dipinti raffiguranti soggetti

femminili, è nata la serie di quadri

con le maschere. Cosa ha favorito l’interesse

per questo tema?

Vengono fuori da una proposta dell'attore

Alessandro Calonaci che doveva fare

una pièce teatrale di Molière. Mi ha proposto

di realizzare delle maschere per

una mostra da tenersi il giorno dell’inaugurazione

della sua rappresentazione teatrale.

Non avevo mai fatto le maschere,

perciò questa proposta ha suscitato tanta

curiosità in me. Mi sono divertita da

morire. Mi piace molto. Queste maschere

le trovo deliziose e divertenti e continuo

a fare maschere anche serie, non

soltanto le colombine in riferimento a

Goldoni. Dietro queste maschere nascondo

qualcosa che ancora devo scoprire.

Stai già pensando a come sarà la tua

produzione artistica successiva?

Non lo so perché dipingo per istinto. Ora

dipingo le maschere perché mi intrigano,

ne ho disegnata una proprio stamani. Ho

fatto una figura di donna con

tanti libri davanti e sotto ai libri

ci sono le maschere. Il pensiero

dello scritto ha schiacciato

la maschera.

Ci sono delle mostre in programma?

Giullare (2019)

Stenterello (2019) Arlecchino (2019)

Assolutamente. Porterò le maschere

al Gran Caffè San Marco

dove ci sarà una saletta che

si intitolerà La sala delle maschere

con tutte le maschere

goldoniane.

ANNA DI VOLO

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Spunti di critica

Fotografica

A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Lucien Clergue

Il percorso di un’anima tra luci ed ombre

di Nicola Crisci / foto Lucien Clergue

Nato il 14 agosto del 1934 ad

Arles, in Provenza, alla fine

della guerra Lucien Clergue

scopre con grande sofferenza che un

terzo della sua città era stato distrutto.

A differenza di Robert Doisneau,

che nei suoi scatti lascia intravedere

un mondo lontano dalla verità con le

modelle abbracciate sui balconi parigini,

Clergue trasferisce in fotografia

il ricordo di un’infanzia difficile

e dolorosa. Cimiteri, rovine, cadaveri

di uccelli sulle rive del Rodano,

soggetti che raccontano la sua malinconia,

giustificando il bisogno di

trovare ispirazione in mezzo alle case

bombardate e nelle arene, quest’ultime

metafora dell’eterna lotta tra vita

e morte, tra il trionfo del matador e

la triste sorte del toro. Fondamentale

l’incontro con Pablo Picasso che

lo stimola a fotografare circensi,

acrobati e arlecchini e lo introduce

nell’ambiente artistico francese

dell’epoca. Abbandonati i soggetti

drammatici dei primi anni, inizia a fotografare

modelle nude adagiate sulla

sabbia e in riva al mare, trasformando

i loro corpi senza volto in simboli

di vita, fertilità e sessualità. Più tardi,

a New York, si cimenta in quello che

sarebbe poi divenuto uno

dei suoi lavori più celebri,

la serie dei “nudi zebrati”,

così definiti per

l’effetto ottenuto facendo

filtrare la luce attraverso

le veneziane, in modo

da “disegnare” sulla pelle

strisce luminose e in ombra,

proprio come in un

manto zebrato. Dal 1965

si dedica ad immortalare

il paesaggio della Camargue

a lui particolarmente

caro, tanto che nel 1976

gli dedica il libro fotografico

Camargue Secrète,

affidando alle immagini

il compito di restituire la poesia

di quei luoghi. Ispirandosi

all'astrazione di Edward

Weston, Ansel Adams e Minor

White, semplifica il paesaggio

in forme ed ombre per

suggerire all’osservatore, con

grande tensione emotiva, una

meditazione sulla vita e sulla

morte. Nel 1969, insieme allo

scrittore Michael Tournier e al

direttore del Musée Réattu di

Arles Jean-Maurice Rouquette,

fonda ad Arles il festival

Rencontres Internationale

de la Photographie, ricoprendo

il ruolo di direttore

artistico per ben 25 anni.

Ancora oggi il festival

continua ad essere

un evento di grande richiamo

per i cultori della

fotografia, influendo

non poco questo settore

a livello globale.

Clergue è morto il 15

novembre 2014 a Nimens.

Le sue fotografie

sono conservate in diversi

musei del mondo.

Derechaze del cordobes (Nimes, 1965)

Il violinista (Arles, 1954)

Dalla serie Nudo zebrato

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LUCIEN CLERGUE


A cura di

Maria Grazia Dainelli

Obbiettivo

Fotografia

Andrea Ciapetti

La bellezza nascosta nei dettagli

di Maria Grazia Dainelli / foto Andrea Ciapetti

Andrea Ciapetti è il primo italiano

ad aver ricevuto la qualifica europea

di Fotografo Industriale

nel 2014 e il Master nel 2018. Questo tipo

di fotografia fatica ad essere considerata

un'arte, trattandosi di scatti realizzati

esclusivamente in ambienti industriali. Il

percorso fotografico di Ciapetti, iniziato

negli anni Ottanta, ci introduce nel mondo

dell'industria pesante e di quella meccanica,

descrivendo gli ambienti che caratterizzano

il sistema tecnologico e raccontando

una realtà molto complessa dove l’uomo è

protagonista. Il suo spirito di osservazione

si fa molto più acuto nelle immagini che

rappresentano pezzi meccanici, a volte di

grandi dimensioni. Sono scatti che stimolano

la fantasia dell’osservatore, inquadrature

fatte di linee e di curve che lasciano

spazio all’immaginazione e alla sorpresa.

Queste immagini favoriscono il coinvolgimento

emotivo e sensoriale di chi

guarda, invitandolo a scoprire la bellezza

nascosta nei dettagli, la "visione nel particolare".

Una ricerca espressiva che ruota

attorno a un sapiente uso della luce e

dell’inquadratura. La sua fotografia nasce

prima nei laboratori di Tecnica Moda e poi

al Nuovo Pignone nel reparto di officina

meccanica e nel laboratorio metallografico

dove è iniziata ufficialmente la sua carriera

di fotografo. In questo laboratorio si analizzavano

le composizioni dei metalli e si

fotografava con microscopi ottici ed elettronici

lavorando con pellicole di medio

formato e lastre per banco ottico. La passione

iniziale si trasforma in professione

vera e propria, decidendo poi di frequentare

il corso di fotografia tenuto dall'architetto

Aldo Bacherini, docente di fotografia

presso la Facoltà di Architettura

di Firenze, di cui poi Ciapetti

è divenuto collaboratore. Con il

passare del tempo, iniziano ad

arrivare i primi riconoscimenti

e alcuni suoi scatti diventano

copertine di riviste specializzate

(la prima nel 1983 Metallurgia

Italiana) e non. Realizza

campagne pubblicitarie per enti

pubblici e grandi aziende, tra

cui General Electric, Eni, Enel

e Federmanager. Nel 2012, in-

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Andrea Ciapetti

ANDREA CIAPETTI

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Ritratti

d’artista

Mirella Biondi

Segno e colore per catturare la vitalità della figura umana

di Jacopo Chiostri

Incontriamo Mirella Biondi, architetto,

insegnante e pittrice romana

di nascita ma fiorentina da lungo

tempo, anzi ora scandiccese, considerato

che da un triennio ha trasferito il

suo studio a Scandicci. Mirella Biondi è

stata insegnante, esercita la professione

di architetto dal 1978, anno di laurea

presso l’Università degli Studi di Firenze

con il massimo dei voti, ma da molto

prima dipinge; si è, infatti, diplomata

a Roma al liceo artistico nel 1963, e nel

1967 all’Accademia di Belle Arti di via

Ripetta dopo un triennio di studio sotto

la guida di artisti come Luigi Montanarini

per la pittura e Mino Maccari per

la litografia e l’incisione. Prima del trasferimento,

ancora giovanissima, nel

capoluogo toscano - dove si è sposata

-, aveva già avuto modo di farsi notare

nella città natale, partecipando tra le

altre, alle celeberrime esposizioni di via

Margutta e ad estemporanee organizzate

dall’Accademia di Belle Arti. Un ruolo

fondamentale l’ha poi avuto nella sua

Nudo, carbonella colorata, cm 48x65

vita, l’insegnamento. Prima all’attuale

ISIS “Vasari” per geometri di

Figline Valdarno, poi al Liceo scientifico

“Russel Newton” di Scandicci

come docente di Disegno e Storia

dell’arte, insegnamento svolto

in tandem con la libera professione

di architetto. Negli anni, in ciascuna

delle sue poliedriche attività,

la Biondi ha fatto riferimento a un

pensiero rigoroso, antidogmatico

e fecondo, con una produzione artistica

creativa e contemporanea.

«Ai miei allievi, futuri geometri,

spiegavo i rapporti tra volumi, spazi

e ombre; agli allievi dello scientifico

il perché, prima dell’avvento

della fotografia e del cinema, certi

artisti hanno più di altri impersonato

la propria epoca». In pittura,

gli impressionisti e gli espressionisti

- “perché sono i pittori che hanno dipinto

il sentimento” -, i macchiaioli, Picasso

specialmente per le tauromachie,

Goya per la drammaticità delle opere

Nudo, olio su tela, cm 45x59

Ritratto, inchiostro seppia di china, cm 24x31

sulla tragedia della guerra; in architettura,

Frank Lloyd Wright, che per primo

ha posto l’uomo in rapporto con

lo spazio architettonico, e Le Courbusier,

architetti artisti e grandi disegnatori:

sono questi i maestri amati dalla

Biondi. Tra i contemporanei

invece le sue preferenze

vanno a “coloro

che superano la fase fotografica

ed esprimono con

segni e vivacità forme e

colori, sia nella paesaggistica

che nella figurativa,

senza cadere nella riproduzione

di tecniche scolastiche

o fotografiche”. Per

quanto riguarda la pittura,

la sua predilezione va

poi alla figura. Il nudo, i

dipinti a olio, poi i ritratti

delle figlie ma anche di

ex allievi. I suoi soggetti

sono spesso esteticamente

imperfetti secondo

i canoni comuni. Ma, come

dice lei stessa, sono

ugualmente belli, nelle lo-

20

MIRELLA BIONDI


ro linee morbide, vivide, ricche di vitalità.

In alcune di queste opere l’influenza

di Maccari appare evidente, in altre si

apprezza prima di tutto la postura dei

soggetti e il segno, armonico e deciso

Studio di nudo, matita, cm 19x25

allo stesso tempo, che cattura la figura,

la imprigiona sulla tela, le conferisce

personalità. Sono opere realizzate

in tecnica mista, con gessetto e matite

ad olio macchiati da colori ad acquerello

o a tempera; anche

l'olio è adoperato con macchie

e sbavature, ed è un tipo

di pittura che richiede

una particolare attenzione,

perché privilegia all’impatto

immediato, una rappresentazione

colta, ricca di

rimandi che possiamo definire

classici in quanto ideali.

L’attività espositiva di

Mirella Biondi, dopo gli inizi

romani, è continuata in

località prossime a Firenze

e non solo; c’è stata per

esempio nella sua carriera

espositiva una bella esposizione

alla Loggia del Comune

di Assisi nel 1978,

fino alle esposizioni recenti

sotto l’egida di Toscana

Cultura, tra cui quelle alla

Limonaia di Villa Strozzi

e all’Educandato della SS. Annunziata,

e di recente anche a Simultanea Spazi

d’Arte. I quadri che la Biondi espone in

queste occasioni sono in genere datati,

in quanto le vicende familiari l'hanno

portata a ridurre la produzione pittorica;

sulle opere recenti spiega di essere

alquanto critica nei confronti di se stessa

e preferisce aspettare a mostrarle. Di

Maccari, artista eccentrico e provocatore

del quale ha sempre ammirato “la vena

satirica che emerge soprattutto nelle

litografie colorate”, ci racconta quanto

le diceva ai tempi dell'Accademia:

«Per inchiostrare le lastre dovrai sporcati

le mani, ci vogliono mani da operaio

e non da signorina». Un’esortazione

apparentemente di senso pratico, ma

anche un segno dei tempi: perché all’epoca

probabilmente non erano molte le

“signorine” che studiavano incisione, e,

infatti, la Biondi aveva dovuto vedersela

con qualche, diciamo, perplessità in famiglia

quando decise di dedicarsi a studi

artistici. E ci volle uno spirito ribelle

come il suo per averla vinta.

mirellabiondi38@gmail.com

Silenzio, olio su tela, cm 85x60

MIRELLA BIONDI

21


ILARIA

MALTINTI

Jewels

La

Bottega

Orafa

Viale Garibaldi, 3

53036 Poggibonsi (SI)

ilariamaltinti@libero.it

Ilaria Maltinti (La Bottega Orafa)

@ilariamaltinti


Ritratti

d’artista

Salvatore Sardisco

Quando la sperimentazione si fonde con il reale

di Isabella Pileio

Salvatore Sardisco è un artista nato

alla fine degli anni Cinquanta

che riceve gli spunti per la propria

produzione da un percorso di vita

duro che lo segna nel profondo. Resta

molto provato dagli anni trascorsi

in collegio, ed è proprio in quel periodo

che inizia ad avvertire la necessità

di rifugiarsi nell'arte: dipingere e disegnare

come strumento salvifico per

fuggire da una reclusione forzata, esteriore

e interiore, attraverso una potenza

espressiva sino ad allora sconosciuta, i

cui tratti, nitidi e decisi, si manifestano

sulla carta e sulla tela. Prende vita

così il suo percorso artistico: agli inizi

un giovane dotato di un talento innato

ma, tuttavia, ancora acerbo e indefinito,

con il quale si affaccia alla prima

analisi introspettiva dell’anima umana.

Egli, nello scorrere del tempo e nell'acquisire

le capacità che lo contraddistinguono,

si rivela interessato ai turbinii

del mistero, agli spiraliformi caratteri

dello spirito, alle energie che si liberano

intorno a tutte le creature. Salvatore

entra in contatto con il maestro Pietro

Annigoni, il quale sorpreso dalle sue

prime prove, lo invita presso la propria

bottega di giovani apprendisti. Ma

il sogno di proseguire la formazione

sotto le direttive del noto mentore svanisce

a causa della scomparsa del maestro.

Nonostante ciò, prosegue il suo

cammino artistico e da autodidatta cresce

ogni giorno contando su se stesso.

Sente esplodere la forza creatrice

che ricerca provando nuovi percorsi,

nuovi progetti d’arte e nuove tecniche

di esecuzione. Cavalcando l’irrazionale

nasce il “linearismo continuo”, un gioco

di linee definite a biro che aleggiano

e si muovono sul foglio senza mai

un'interruzione, dando vita alla forma

che schiamazza e si perde strutturando

concetti, volti e nuvole di pensieri

materializzati. Sperimentazione, questa,

esibita in più periodi della sua vita,

a volte con l'ausilio di un semplice supporto

bianco, altre visitata da sprazzi di

cromatura allegra. In una fase differente

della sua vita artistica, incontra volti

evanescenti consumati nella luce ambrata

e calda che li circonda e tracciati

a olio su tela. Emergono dall’ombra,

svaniscono la nitidezza e i tratti continui

dei profili ma restano incisi sguardi

intensi che attraversano lo spettatore,

abbagliato da occhi fiammanti che non

si dimenticano. A un periodo più recente

corrispondono i nuovi studi di volti,

non più immagini di ricordi imprecisati

ma anime che vibrano di luce reale e

accesa. Sulla base di fotografie, l'auto-

re apre al mondo la convulsione dei colori

fiammanti, dei gialli squillanti, dei

verdi intensi. Nuove occasioni espressive

toccano la figura umana concentrandosi

sui volti che sovrastimolano

la sua analisi indagatrice. Sono immagini

che esprimono la loro bellezza intesa

come perfezione della forma, ma

sono anche prototipi di una condizione

sociale: emarginati, volti noti o sconosciuti

che riflettono la sofferenza della

propria anima. E’ il caso degli ultimi tre

lavori del pittore, Dama col bassotto,

Geisha e Adolescenza negata, eseguiti

a olio su tela tra la fine del 2019 e l’inizio

del 2020. La prima opera inneggia

alla bellezza: con i capelli avvolti da un

panno di velluto verde, la figura femminile

sovrasta con maestosità lo spettatore,

mentre la sua cute vibra di tocchi

leggeri e delicati, gettando volutamente

uno sguardo al passato che riecheggia

la Dama con l’ermellino di Leonardo e

la Ragazza col turbante di Vermeer. Le

altre due figure sono invece espressione

di una condizione sociale che mercifica

l’immagine femminile: la Geisha

si esprime con riserbo; compressa nel

verde della veste, ha imparato con eleganza

la seduzione e l’obbedienza. Una

luce intensa bagna il suo volto candido

in attesa dell’iniziazione. Adolescenza

negata guarda con occhi

accusatori un’umanità

che appare senza intervenire,

trasformando il martirio

di una giovane donna

di colore in una violenta

lacerazione dell’anima

che trova modo di imprimersi

meglio attraverso

una lacrima che scava la

pelle come una ferita irreversibile.

Dama con bassotto (2019 - 2020), olio su

tela, cm 100x70

Geisha (2020), olio su tela, cm 50x70

Adolescenza negata (2020), olio su tela,

cm 50x70

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23


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A cura di

Antonio Pieri

Benessere e cura

della persona

Come igienizzare le mani anche senza

acqua e sapone

di Antonio Pieri

L’igiene delle mani è molto importante,

poiché quest’ultime

sono il principale veicolo in

grado di trasmettere batteri e germi alle

mucose di bocca, naso e occhi. Esistono

in commercio disinfettanti per

mani, antibatterici profumati e gel igienizzanti

pensati per essere portati con

sé, da tenere comodamente in auto o

in borsa. La loro funzione principale è

quella di eliminare batteri e virus dalle

mani quando non è possibile lavarle.

In questo momento così complesso e

in cui in misura ancor maggiore l’igienizzazione

delle mani risulta essere decisiva,

Idea Toscana propone un nuovo

gel idroalcolico per la pulizia e l’igiene

delle mani, semplice da usare e sicuro.

Distribuito sulle mani asciuga rapidamente

lasciando la pelle pulita, fresca

ed igienizzata. Il prodotto è stato studiato

per risolvere in ogni momento il

problema della pulizia delle mani quando

acqua e sapone non sono disponibili:

fuori casa, in treno, in autobus o

tramvia, in qualsiasi momento sia necessario

igienizzare le mani. Il Gel Mani

Detergente Igienizzante Idea Toscana

contiene oltre il 65% di alcool denaturato

in peso, ovvero 65 grammi di alcool

su 100 grammi di prodotto percentuale

che garantisce sicuramente l'eliminazione

di germi, batteri e virus dalle

mani in situazioni dove non è possibile

utilizzare il sapone.

Molto semplice e rapido usarlo: basta

erogare il prodotto direttamente sulle

mani distribuendolo su tutta la loro superficie

fino a quando non risulta completamente

assorbito. Si usa da solo,

senz’acqua e senza bisogno di risciacquo.

Quando siamo a casa, le cose cambiano:

in ambiente domestico, infatti,

basta lavare bene le mani con acqua

corrente e saponi liquidi naturali che,

grazie alla bilanciata formulazione, possono

essere tranquillamente usati più

volte nell’arco della giornata, garantendo

la massima affidabilità e sicurezza

anche su pelli sensibili e irritate.

Per gli amanti della saponetta solida è

consigliato l’uso del Sapone di Marsiglia

tradizionale che possiede tutte le

virtù dei saponi naturali ed è emolliente,

lenitivo, idratante, delicato e deterge in

modo semplice ed efficace. Le straordinarie

proprietà detergenti di questo sapone

lo rendono particolarmente adatto

anche alle pelli più delicate e sensibili.

Infine per riparare le nostre mani da

screpolature e arrossamenti provocati

dall’uso degli igienizzanti a base alcoolica

e dai saponi, si consiglia una buona

crema nutritiva mani e unghie per proteggerle

ed idratarle a fondo in modo

totalmente naturale.

Antonio

Pieri

Nato a Firenze nel 1962, Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda

il Forte srl e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali per il benessere secondo la più alta tradizione manifatturiera toscana

che hanno come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP

biologico. Esperto di cosmesi, profumeria ed erboristeria, svolge anche consulenze

di marketing per primarie aziende del settore. Molto legato al territorio toscano e

alle sue eccellenze, è somelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

Per info:

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

IGIENIZZARE LE MANI

25


Psicologia

oggi

A cura di

Emanuela Muriana

Aiutare i genitori ad aiutare i figli

di Emanuela Muriana

Sulle dinamiche tra genitori e figli si

può affermare: «Dimmi come funziona

la tua famiglia e ti dirò chi

sei»; ma vale anche l’inverso: «Dimmi

chi sei e ti dirò in che famiglia vivi». Non

sempre è così lineare, ma circolare sì. Anche

nel sistema famiglia ognuno influenza

ed è influenzato dagli altri. Le relazioni

dentro le famiglie si evolvono come le

società e gli individui, influenzandosi reciprocamente.

Negli ultimi decenni si è

assistito ad un grosso interesse per le

discipline psicologiche, sociali e mediche

nei confronti delle dinamiche della

famiglia e del ruolo del parenting, cioè

del ruolo dei genitori nello sviluppo sano

dei figli, sia mentale che comportamentale.

Da qui ne è derivata una numerosa

letteratura scientifica, anche se si tratta

per lo più di testi che non offrono indicazioni

chiare, concrete ed applicabili dai

genitori per aiutare i figli quando questi

mostrano difficoltà o talvolta vere e proprie

patologie. Il Centro di Terapia Strategica,

attraverso la collaborazione dei

ricercatori coordinati dal direttore, ha

pubblicato il libro Aiutare i genitori ad

aiutare i figli, esito di una ricerca durata

dieci anni con l’obiettivo di offrire una

mappa che metta in evidenza gli ostacoli,

i problemi frequenti, le tattiche e le

strategie finalizzate a sciogliere nodi relazionali

apparentemente impossibili. E’

un manuale di pronta consultazione che

permette subito

di chiarire se

si tratta di una difficoltà o già di un problema

psicopatologico. L’esposizione è

suddivisa per fasce di età, a partire dal

periodo prenatale, durante il quale prende

l’avvio il ruolo genitoriale e le possibili

complicazioni connesse. Vengono poi

passate in rassegna tutte le caratteristiche

dello sviluppo seguendo i manuali di

psicologia del ciclo di vita. Quindi, non

solo le fasi di crescita infantile e dell’adolescenza

ma anche oltre, fino a quando

il ruolo dei genitori si debilita, le parti

s’invertono e i figli diventano i loro responsabili.

Una delle caratteristiche della

Psicoterapia Breve Strategica è quella di

prevedere una modalità di intervento del

tutto originale: intervenire indirettamente

attraverso i genitori con i bambini sotto

i dodici anni. Le motivazioni prioritarie

sono diverse: la giovane età non permette

al bambino di collaborare consapevolmente

e di utilizzare efficacemente

le indicazioni del terapeuta. Primum non

nuocere, diceva già Ippocrate, e quindi

evitare l’etichettamento diagnostico e

anche la frequentazione clinica se non indispensabile.

I genitori vengono responsabilizzati

– e non accusati, anche se

sono parte del problema − a collaborare

nel ruolo di co-terapeuti; questo permette

loro di intervenire puntualmente,

con prescrizioni mirate, per interrompere

ciò che mantiene il problema. La collaborazione

dei genitori ci permette, fin

da subito, di indagare e intervenire le dinamiche

familiari, spesso disfunzionali,

sia come causa che come esito del problema

del bambino. Il loro puntuale intervento

quotidiano, sia di relazione che

specifico sul sintomo, aumenta l'efficacia

del trattamento e ne riduce i tempi,

sia per problemi di poca entità che per

disturbi più seri, evitando così che il terapeuta

incontri il bambino. I problemi

frequenti nel bambino sono: paure, disturbi

del sonno, enuresi, ansia da prestazione,

fobia scolare, mutismo elettivo

o selettivo, disturbo ossessivo-compulsivo,

disordini alimentari, disturbo oppositivo-provocatorio.

Dopo “amare”, il

verbo “aiutare” è il più bello del mondo,

e farlo in maniera efficace serve molto

anche ai genitori che ritrovano la loro naturale

funzione.

Emanuela

Muriana

Emanuela Muriana vive e lavora prevalentemente a Firenze. E’ responsabile

dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge

attività clinica e di consulenza. Specializzata al Centro di Terapia Strategica

di Arezzo diretto da Giorgio Nardone e al Mental Reasearch Institute di

Palo Alto CA (USA) con Paul Watzlawick. Ricercatore e Professore della Scuola

di Specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica (MIUR) dal

1994, insegna da anni ai master clinici in Italia e all’estero. E’ stata professore

alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Siena (2007-2012)

e Firenze (2004-20015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili

sul sito www.terapiastrategica.fi.it

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055-242642 - 574344

Fax 055-580280

emanuela.muriana@virgilio.it

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GENITORI E FIGLI


A cura di

Stefano Grifoni

Dimensione

Salute

Medici e infermieri, eroi del nostro tempo

di Stefano Grifoni

Non eravamo pronti ad affrontare

un periodo così duro di

isolamento sociale e reclusione

in casa, uniti dall’incertezza di

quando tutto finirà. L’impossibilità di

mantenere il proprio stile di vita e la

propria libertà suscita nel nostro animo

emozioni complesse e anche frustrazioni,

la paura di rimanere senza

cibo o senza farmaci, di rimanere soli.

Si comincia a pensare che l’economia

crollerà, che perderemo il lavoro,

che qualche persona a noi cara non ce

la farà. Una cosa è certa che qualunque

siano i nostri dubbi e le nostre incertezze

non saremo più gli stessi. I

sanitari nei Pronti Soccorso

lavorano instancabilmente

per soccorrere le

persone con febbre e difficoltà

respiratorie. Qualcuno

non ce la farà specie se

è vecchio e malato. Medici

e infermieri irriconoscibili

nelle loro tute non hanno

il tempo per pensare

alla loro esistenza. Devono

salvare la vita degli altri a

rischio della loro. Oggi sono

definiti “eroi”. Speriamo

che domani qualcuno

non se lo dimentichi.

ph. courtesy doppiozero.com

La professione medica tra scienza e vocazione

di Daniela Pronestì

Lo sforzo richiesto ai medici

nella situazione di emergenza

legata al Coronavirus,

sembra confermare la “vocazione”

che secondo il pensiero comune è

requisito indispensabile per esercitare

questa professione. Se alla base

della scelta di diventare medico

non ci fosse qualcosa in più della sola

passione scientifica, e quindi doti

di umanità e di generosità verso il

prossimo, sarebbe quasi irragionevole

andare incontro alle enormi responsabilità

e al notevole impegno anche

psicologico che questa professione richiede,

spesso imponendo condizioni

di lavoro non del tutto gratificanti. Tra

i dati più tragici emersi in seguito alla

diffusione del Coronavirus, vi sono

senz'altro le gravi carenze della sanità

italiana, con ospedali privi della strumentazione

necessaria, pochi medici e

altrettanto pochi infermieri ad affrontare

un evento di questa portata. Il me-

dico deve conservare un equilibrio

molto difficile tra bisogni del malato,

dettami della scienza, strumenti a disposizione

e propensione empatica.

Ma è anche vero che tutto questo lo

impara a proprie spese, perché nessuno

gli insegna a reggere un simile

carico. E questo, a lungo andare,

può tradursi nella difficoltà a mantenere

viva nel tempo l’iniziale “vocazione”.

Forse, quando l’emergenza

della pandemia sarà finita, occorrerà

riflettere anche su questo.

Stefano

Grifoni

Nato a Firenze nel 1954, Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del Pronto

Soccorso dell’Ospedale di Careggi e sempre presso la stessa struttura è direttore del Centro di Riferimento Regionale

Toscano per la Diagnosi e la Terapia d’Urgenza della Malattia Tromboembolica Venosa. Ha condotto numerosi

studi nel campo della medicina interna, della cardiologia, della malattie del SNC e delle malattie respiratorie e

nell’ambito della medicina di urgenza. Membro del consiglio Nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza,

è vice presidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per

Guglielmo e membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze. Ha pubblicato oltre 160

articoli su riviste nazionali e internazionali nel settore della medicina interna e della medicina di urgenza e numerosi testi

scientifici sullo stesso argomento. Da molti anni collabora con RAI TRE Regione Toscana nell’ambito di programmi

di medicina, con il quotidiano La Nazione e da tre anni tiene una trasmissione radiofonica quotidiana sulla salute.

MEDICI E INFERMIERI

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Patrocini

Regione

Umbria

Provincia

di Perugia

Comune di

Città di Castello

Società

Dante Alighieri

PREMIO LETTERARIO

CITTÀ DI CASTELLO

XIV edizione 2020

RISERVATO A OPERE INEDITE DI NARRATIVA - POESIA - SAGGISTICA

Composizione della giuria

Presidente Alessandro Quasimodo Attore teatrale e critico

Giurati Osvaldo Bevilacqua Giornalista RAI e conduttore di programmi televisivi

Anna Kanakis Scrittrice e attrice – Antonio Padellaro Giornalista e scrittore

Alessandro Masi Segretario Generale Società Dante Alighieri

Luciano Monti Scrittore e docente LUISS “Guido Carli” – Maria Borio Scrittrice e ricercatrice

Claudio Pacifico Ambasciatore d’Italia – Francesco Petretti Scrittore e autore di documentari

Marinella Rocca Longo Docente Università “Roma Tre” – Giovanni Zavarella Critico letterario

Informazioni e bando sul sito www.premioletterariocdc.it

Facebook Premio letterario ‘Città di Castello’

L’Associazione Culturale Tracciati Virtuali devolve la quota d’iscrizione

a favore del Presidio Ospedaliero di Città di Castello

come contributo per la grave emergenza sanitaria

Organizzazione

In collaborazione con


A cura di

Lorenzo Borghini

Il cinema

a casa

Point Break

Il film di Kathryn Bigelow considerato un cult degli

anni Novanta

di Lorenzo Borghini

Siamo in California, a Los Angeles

e una banda di malviventi

spadroneggia nelle rapine

in banca. Sono in quattro e vengono

chiamati gli “ex presidenti” perché

indossano le maschere di Carter,

Reagan, Nixon e Johnson. L'FBI non

sa più dove sbattere la testa poiché

la teoria dell'agente Angelo Pappas

(Gary Busey di nuovo alle prese con

il surf come in Un mercoledì da leoni)

per la quale gli “ex presidenti” sarebbero

dei surfisti, viene considerata

una follia. Con l'arrivo a Los Angeles

di Johnny Utah (un giovanissimo Keanu

Reeves) l'indagine viene rispolverata.

Utah crede al collega Pappas

e dopo aver trovato l'aggancio perfetto,

la surfista Tyler, si fa allenare

giorno e notte entrando piano piano

nell'ambiente. Qui conosce Bodhi

(un grande Patrick Swayze), surfista

e capo della banda. Point Break è un

film d'azione – forse uno dei migliori

del genere – ma prima ancora è il

film dei quattro elementi: acqua, fuoco,

terra, aria. L'acqua è l'elemento

portante del film, la madre di tutte le

cose e proprio per questo lo apre e

lo chiude in modo ciclico e perfetto.

L'acqua dà la vita, ma la può anche

togliere da un momento all'altro.

Il fuoco ha un aspetto miscellaneo

in Point Break. E’ un fuoco oscuro e

romantico che si fonde tra falò sulla

spiaggia, colpi di pistola e lanciafiamme.

La terra è il collante di tutto,

il suolo calpestato da Bodhi e Utah è

lo stesso che calpestiamo ogni giorno,

un terreno accidentato fatto di

continui inseguimenti, che se non

sono testa a testa con la polizia sono

testa a testa con noi stessi, che

ci portano a trasformarci di volta in

volta alla ricerca di un barlume di felicità,

proprio come i

due protagonisti. Ed infine

l'aria. Un elemento

che affascina molto

la banda degli “ex presidenti”,

così tanto da

essere uno dei principali

motivi delle loro rapine,

perché lo skydiving

è un vizio molto costoso,

e insieme al surf è

l'unica cosa che li rende

davvero vivi. Point Break

è quindi un film sugli

elementi, ma anche

sull'amore. L'amore per

la vita, per il pericolo,

per una donna, ma anche

per un amico. Perché

di amore si deve

parlare se si vuole analizzare

il rapporto tra

Utah e Bodhi. I due s’incontrano

ed intrecciano

le proprie esperienze

in un nodo indissolubile,

un nodo che non si

romperà neanche quando l'uno scoprirà

il mestiere dell'altro, in quell'inseguimento

capolavoro, che è anche

una delle scene più belle del film,

in cui Utah in una corsa disperata

si farà male ad una gamba, lasciando

scappare Bodhi che, girandosi,

lo guarderà da lontano con un'arma

puntata contro, una pistola che

non potrà mai esplodere quel colpo,

perché sparando Utah potrebbe recidere

quel cordone ombelicale che

lo lega a Bodhi e alla sua nuova vita.

Un amore platonico, quindi, inteso

come moto dell'animo, un po'

come il surf in cui “prima ti perdi e

poi ti ritrovi”. Point Break è un punto

di rottura, proprio come quello in cui

si rompono le onde. E’ un film che

rappresenta alla perfezione gli anni

Novanta, insieme a tutte le insicurezze,

i turbamenti, i sogni e il malessere

di quella generazione. La regista

Kathryn Bigelow si trova a suo agio

con le scene d'azione mostrando una

capacità narrativa fuori dal comune,

una mente pienamente cosciente

che sviscera il nucleo del film in

più sottonuclei, evidenziando un lato

filosofico di norma estraneo ai

film d'azione. Point Break, a distanza

di quasi trent’anni, insieme a Strange

Days, rimane il film migliore della

Bigelow. Un film a cui non manca

niente, è tutto perfetto, basta lasciarsi

trasportare dalle onde del mare.

POINT BREAK

29


Letterati stranieri in

Toscana

A cura di

Massimo De Francesco

Robert Davidsohn

Da Danzica a Firenze per studiare la storia della

città del giglio

di Massimo De Francesco

Targa in ricordo di Robert Davidsohn posta nel 2003 a Firenze, in via dei Della Robbia 68, dove lo storico abitò dal 1903 al 1923

Robert Davidsohn nasce a Danzica

nella Prussia orientale

(l’odierna Polonia) il 26 aprile

del 1853 da famiglia di mercanti

ebrei. Da giovane non frequenta

il ginnasio per motivi di ristrettezze

economiche e inizia a lavorare, fino

a quando il fratello George gli dà

la possibilità di studiare al Königlichen

Realgymnasium di Berlino, che

lascia però dopo solo due anni nel

1866. Qualche anno dopo, nel 1868,

suo fratello fonda a Berlino la Berliner

Börsen-Courier, una rivista finanziaria

di orientamento liberale che si

occupa di titoli quotati in borsa, economia

e cultura dove il giovane Robert

continua il percorso giornalistico

già avviato presso un giornale finanziario

di Francoforte. Nel 1880 sposa

la cantante lirica Philippine Collot con

la quale condividerà il resto della vita.

La carriera giornalistica giunge al

termine nel 1884, anno in cui pubblica

il suo Vom Nordcap bis Tunis. Reisebriefe

aus Norwegen, Italien und

Nord-Afrika, opera nata da una comunicazione

epistolare in cui racconta i

suoi viaggi in Norvegia, Svizzera, Inghilterra,

Romania, Danimarca, Tunisia

e Italia, dove soggiorna più a lungo

degli altri paesi. E' grazie a questa

permanenza che Davidsohn matura la

decisione di tornare nel nostro paese,

precisamente a Firenze, dove resiede

brevemente in via della Pace. E’ il

1886 e, nell’estate dello stesso anno,

a seguito dei suggerimenti dello sto-

rico Ferdinand Gregorovius, Robert

s’iscrive all’Università di Heidelberg,

dove si laurea in Storia due anni dopo.

L’anno successivo, si trasferisce

definitivamente a Firenze con la moglie

Philippine, soggiornando prima

in viale Regina Vittoria per poi trasferirsi

in via dei Della Robbia, dove

oggi è posta una placca in marmo in

sua memoria. Durante la prima guerra

mondiale è costretto a lasciare il

capoluogo toscano per rifugiarsi prima

a Monaco di Baviera e poi a Basilea;

rientra a Firenze nel 1919 quando

si trasferisce al Bobolino in via Michele

di Lando. Tra il 1896 e il 1927,

pubblica Geschichte Von Florenz (La

storia di Firenze), monumentale saggio

in sette volumi accompagnato

dall’opera Forschungen zur

Geschichte von Florenz (Ricerca

sulla storia di Firenze)

già pubblicata nel 1896.

Nel 1929 pubblica Firenze ai

tempi di Dante. Dal 1903 al

1923 è membro dell’Accademia

della Crusca, dalla quale

rischia l’espulsione a causa

di un suo scritto nel quale si

esprime in maniera derisoria

nei confronti degli italiani.

Viene insignito di titoli onorifici

tra cui il titolo di Commendatore

e la cittadinanza

onoraria di Firenze. Si spegne

il 17 settembre del 1937

ed è sepolto presso il cimitero

evangelico di Firenze, detto

“degli inglesi”, insieme

alla moglie che morirà dieci

anni più tardi. Tutt’oggi,

nel rispetto della tradizione

ebraica, i visitatori pongono

pietre sulla tomba dello storico

e studioso tedesco.

30

ROBERT DAVIDSOHN


A cura di

Daniela Pronestì

Occhio

critico

Alain Barbero

La magia dell'incontro in uno scatto

di Daniela Pronestì / foto Alain Barbero

Nonostante sia trascorso

quasi un secolo

e mezzo da

quando Édouard Manet dipinse

il celebre Un bar aux Folies

Bergère, la forza di quest'opera

non è stata intaccata dal

tempo. Una scena qualunque

all’interno di un bar diventa,

nell’interpretazione dell’eccellente

pittore impressionista,

la trasposizione del senso

di solitudine connaturato alla

condizione umana. Non vi è

dubbio, infatti, che tra i maggiori

lasciti della pittura di

fine Ottocento, e in particolare

dell’Impressionismo, vi

sia quello di averci insegnato

a guardare con occhi nuovi

luoghi e situazioni all’apparenza

poco interessanti. E il

caso dei caffè parigini − micromondo

popolato di artisti, intellettuali, gente

comune e donne alla moda − è senz’altro

il più emblematico di questa “rivoluzione”

dello sguardo. Capire come

questo micromondo sia cambiato e

cosa invece sia sopravvissuto del suo

particolare fascino è l’obiettivo di Alain

Barbero. S’intitola Cafés Europa il progetto

promosso dal fotografo francese

per raccontare, attraverso un tour

in diverse capitali, una particolare categoria

di frequentatori dei caffè: gli

scrittori, sia donne che uomini, giovani

e non. Un’idea nata nel 2013 insieme

alla scrittrice austriaca Barbara

Rieger, con la quale Barbero ha fondato

il blog Café Entropy dove pubblicare

le foto di scrittori da lui immortalati nei

caffè di Vienna. Da questo primo nucleo

il progetto è proseguito estendendosi

ad altre città come Berlino, San

Pietroburgo e prossimamente anche a

Firenze in occasione di una personale

dell’artista. Il lavoro di Barbero si lega

non a caso al mondo degli scrittori,

non solo per l’evidente complementarietà

tra immagine e parola, ma so-

Barbara al Caffè Kafka (Vienna)

prattutto perché se la fotografia, come

si dice, “cattura l’attimo”, quello fissato

nei suoi scatti non è un attimo qualunque,

ma è il frammento di un tempo

creativo, una scintilla dell’ispirazione

che lo scrittore insegue costantemente.

E come lui anche il fotografo è un

cacciatore di attimi decisivi nel continuo

divenire della realtà intorno. Una

“caccia” che, nel caso di Barbero, avviene

in un territorio − quello dei caffè

appunto − dove le prede a portata

d’occhio sono persone e cose, sguardi

ed oggetti. Ad ogni scrittore ritratto

corrisponde una vasta galleria di gesti,

pose, espressioni, ma anche un diverso

tipo di taccuino, di libro ad accompagnare

la lettura e ovviamente anche

di bibita, sia essa alcolica o soltanto

un caffè. Insomma: come ogni altra

attività creativa, la scrittura esige un

rituale fatto di abitudini, luoghi da frequentare,

oggetti da portare con sé. Ed

è proprio questo rituale che Alain Barbero

documenta, attribuendo ad ogni

volto un carattere, ad ogni oggetto una

funzione nel suo racconto per immagini.

Così, una giovane donna allonta-

na lo sguardo in cerca d’ispirazione,

mentre le sue mani restano lì, ancorate

alla penna e al foglio, riunendo insieme

le due dimensioni, materiale ed

immateriale, della scrittura. E poi c’è

chi fuma e scrive insieme, chi rilegge

gli appunti mentre sorseggia un caffè,

chi regala un sorriso all’occhio curioso

del fotografo e chi, al contrario,

non si cura affatto della sua presenza.

Intorno a loro, altri avventori, uomini

e donne venuti per incontrare un

amico o concedersi una pausa; e poi

ancora, in altre foto, una successione

di sale vuote, come palcoscenici in attesa

di nuovi attori a calcarli. In fondo,

basterebbe rimanere seduti in un

bar per vedere il mondo intero scorrere

davanti; indovinare la vita dello sconosciuto

che entra, beve una cosa e va

via, e osservando lui cercare di capire

anche qualcosa in più di noi stessi.

Proprio come fa Alain Barbero, fissando

in ogni scatto la magia dell’incontro

con l’altro.

www.alainbarbero.com

cafe.entropy.at

ALAIN BARBERO

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B&B Casa Ercoli

Via Giuseppe Verdi, 20

50059 Sovigliana - Vinci (FI)

www.casaercoli.it

+39 3319550775

Casa Ercoli

casa_ercoli


Ritratti

d’artista

Maria Grazia Fusi

Un caleidoscopio di emozioni tra colore e materia

di Lucrezia Arfaioli

Baciata dal mare, olio, cm 40x60

Nata ad Empoli nel 1943, dopo

gli esordi come autodidatta,

Maria Grazia Fusi diventa

allieva del maestro Gino Terreni. Partecipa

a numerose mostre e concorsi

ottenendo vari riconoscimenti. La

sua opera spazia tra pittura e scultura.

Sin da piccola si accorge di avere

un animo di artista, ma il periodo

non era certo propizio: il dopoguerra

imponeva alle famiglie dei sacrifici, e

studiare era un onere che non tutti si

potevano permettere. Quindi, obbediente

al volere del padre, cresce imparando

un mestiere e creandosi una

famiglia, ma il fuoco dell’arte resta

sempre sotto la cenere nella speranza

di attizzarsi. Quando infine anche i

figli hanno preso la loro strada, come

un vulcano può finalmente dare sfogo

al suo estro. All’inizio i lavori sono un

po’ approssimativi, perché manca un

indirizzo artistico: la prospettiva è carente,

ma con straordinaria volontà si

mette a studiare diventando una delle

allieve predilette del maestro Terreni,

che la incita a proseguire dandole

preziosi consigli. Le sue opere nascono

dal bisogno di esprimere e di comunicare

agli altri le proprie emozioni. Lo

stile figurativo raffigura angoli di natura

e storie di vita. Le sue figure hanno

una forza e una libertà di espressione

che sembrano rendere drammaticità,

gioia, sofferenza e amore così palpabili

da indurre l’osservatore ad esserne

partecipe. Maria Grazia Fusi stilizza,

in maniera gioiosamente naif, luoghi,

persone, ricordi: si va dai paesaggi

rappresentati con pennellate morbide

a figure talvolta da sole ma ricche della

propria presenza. In alcuni casi si scopre

un aspetto più religioso dell’artista

con la rappresentazione di temi cristiani.

Rimane comunque ben presente il

contatto dell’uomo con la natura nel

momento di massima purezza: non è

un caso che alcune figure siano colte

nella loro nudità sotto la luna o adagiate

su una spiaggia o in un territorio

esotico. La chiarezza e la semplicità del

sorriso di una lettrice, la bellezza del

volto di un fanciullo o di una donna alla

finestra sono la sicura e intima espressione

di episodi della vita dell’artista.

Emozionarsi, come ben sappiamo,

vuol dire tirare fuori ciò che abbiamo

dentro per poterlo trasmettere anche

agli altri. Questo è quello che si prova

nell’osservare i dipinti della Fusi. La

passione di Maria Grazia non si è però

limitata alla pittura: grazie alla sua manualità

ha voluto poter creare con l’argilla

che sentiva come una cosa viva;

composizioni che si sono subito “impregnate”

del suo carattere così deciso

e passionale. Ai colori accesi dei

dipinti contrappone in scultura il colore

naturale dell’argilla, l’oro, il brunito

e il verde, mentre i temi spaziano dal

sacro al profano. La semplicità che a

volte può trasparire dalle sue composizioni,

ha un effetto emozionante e dimostra

quanto grandi siano la sua fede

e l’attenzione al mondo circostante.

+ 39 3334440464

eno.graziella@gmail.com

Telefonata romantica, terracotta dipinta

MARIA GRAZIA FUSI

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Sfaccettature

fiorentine

Lo scoppio del carro

Storia di un'antica tradizione fiorentina riproposta ogni

anno per le festività pasquali

di Barbara Santoro

Essendo da poco trascorsa la

Pasqua, che quest'anno è stata

una domenica qualunque a

causa del Coronavirus, vale la pena

raccontare la storia dello “scoppio del

carro “. Questa cerimonia tutta fiorentina

che si svolge il giorno di Pasqua,

risale ai tempi della prima crociata indetta

per liberare il Santo Sepolcro dagli

infedeli. Goffredo di Buglione, duca

della Bassa Lorena, era il capo dei Crociati,

così chiamati perché portavano

una croce rossa cucita sulla spalla destra

della tunica bianca che ricopriva

l'armatura. Nel 1097 partirono per la

Palestina e due anni dopo assediarono

la città di Gerusalemme, riuscendo

Il carro pasquale detto "brindellone" (ph. courtesy tuscanyplanet.com)

ad espugnarla il 15 luglio del 1099. Si

racconta che il fiorentino Pazzino de’

Pazzi fu il primo che riuscì a salire sulle

mura della città santa e ad apporre

l'insegna bianca e rossa. Per questo

atto di coraggio, Goffredo di Buglione

gli donò tre schegge del Santo Sepolcro.

Al suo rientro a Firenze le tre pietre

furono inizialmente conservate nel

Palazzo dei Pazzi per poi essere consegnate

alla chiesa di Santa Maria Sopra

a Porta nel Mercato nuovo. Da qui passarono

nella chiesa di San Biagio fino

a quando la chiesa fu soppressa nel

1785. Le sacre reliquie vennero quindi

trasferite nella chiesa dei Santi Apostoli

dove tuttora sono gelosamente

conservate in un’apposita

urna. Gli storici tramandano

che, dopo la liberazione

di Gerusalemme, i crociati

nel giorno di sabato si radunarono

nella chiesa della

Resurrezione in devota

preghiera e consegnarono

a tutti i presenti il fuoco

benedetto come simbolo di

purificazione. Così questo

fuoco, che veniva acceso

con le scintille sprigionate

dallo sfregamento delle tre

schegge, era donato a tutti

i fiorentini in ricordo di

questo evento. Col passare

del tempo la festa divenne

sempre più articolata

ma non si sa con esattezza

quando nacque il vero e

proprio “scoppio del carro”,

probabilmente alla fine

del Trecento. Il fuoco

santo veniva trasportato

con un carro − dove su un

tripode venivano accesi i

carboni − e poi distribuito

al popolo fiorentino. Quan-

do la famiglia dei Pazzi fu cacciata dalla

città a seguito della famosa congiura

ordita contro i Medici nel 1478, la Repubblica

decise di passare i festeggiamenti

ai consoli dell'Arte maggiore

di Calimala, che erano anche gli amministratori

del battistero di San Giovanni.

Quando nel 1494, scossa dalla

predicazione del frate domenicano Girolamo

Savonarola, la città cacciò i

Medici da Firenze, una provvisione governativa

restituì alla famiglia dei Pazzi

gli antichi privilegi, compreso quello

dell'organizzazione dello scoppio

del carro. Inizialmente questo carro

era molto semplice, ma a causa delle

deflagrazioni e delle fiammate che

ogni anno sopportava, alla fine della

cerimonia doveva essere ripristinato o

rifatto nuovo. Così si decise di allestire

un carro grande di tipo trionfale a tre

ripiani chiamato “brindellone” trainato

da due coppie di buoi e posizionato fra

il battistero e la cattedrale. Ancora oggi,

al canto del “Gloria”, l'arcivescovo

accende un razzo a forma di colomba

(la colombina) che tramite una fune di

ferro percorre tutta la navata centrale

del duomo e, raggiunto il carro all'esterno,

lo fa scoppiare accendendo

tutti i mortaretti e i fuochi d’artificio. La

sagoma del “brindellone”, così chiamato

per l’andatura lenta e scomposta,

scompare per qualche momento alla

vista in un caleidoscopico gioco di colori

viola, rosa, rosso, verde, bianco e

blu, mentre un denso fumo lo avvolge

e rumorosi scoppi colpiscono le orecchie

degli astanti. La colombina deve

poi tornare indietro all'altare maggiore

da dove è partita altrimenti si pensa

che il raccolto dell'anno non avrà buoni

auspici. Una festa molto sentita dai

fiorentini e accolta felicemente dai tanti

turisti che arrivano in città un po’ da

tutte le parti del mondo.

34

LO SCOPPIO DEL CARRO


A cura di

Daniela Pronestì

Occhio

critico

Chris Ebejer

Dai miti classici al mondo cristiano: le due anime di

una scultura mediterranea

di Daniela Pronestì

Mater dolorosa, bronzo

Non c’è bellezza senza pàthos, né

armonia senza caos. Questo insegna

la scultura greca antica:

nell’equilibrio tra limpidezza della forma

compiuta e forza lacerante della pulsione

vitale, tra apollineo e dionisiaco − avrebbe

detto Nietzsche − risiede l’essenza

dell’arte. Chris Ebejer ha fatto proprio

questo concetto, ponendolo all’origine di

ogni sua creazione, sia essa opera fusa

in bronzo o modellata con l’argilla. Viene

da credere che sia stato il genius loci ad

ispirarlo, essendo nato in un’isola, Malta,

crocevia tra Oriente ed Occidente nel cuore

del Mediterraneo. In questa terra dalla

forte stratificazione culturale, Ebejer ha incontrato

i miti classici e la civiltà cristiana,

la grazia divina di Venere e il dramma

umano di Maria Vergine. E li ha fusi insieme

in un linguaggio che dietro la patina

d’antico, ribolle d’una sensibilità tutta moderna.

In merito alla classicità, egli sembra

dire che l’unico modo per accostarsi

all’antico sia cogliendolo come frammento,

parte di un mondo ormai perduto, dei

cui valori giunge a noi oggi soltanto un riflesso.

All’artista il compito di ricomporre

questi pezzi, di ricondurli ad unità, come

accade per i corpi femminili di ninfe, sibille

e divinità ottenuti combinando più elementi

insieme (Venere). E quando questo

atto d’amore per il passato non sia possibile,

resta il dettaglio di un volto (Minerva)

a farsi emblema dell’integrità smarrita.

C’è poi un mondo popolato di figure maschili:

Saturno, Mercurio, Atlante, non più

divinità fiere ed aitanti ma attori che interpretano

stancamente un ruolo ormai anacronistico.

Non c’è più spazio per loro in

un’epoca dedita al culto di nuovi miti; restano

soltanto il ricordo di perdute glorie

(Battle of Gods) e l’immagine nostalgica

(Mythos) di una divinità dallo sguardo

perso, la testa china, il corpo aggredito

dalla morte: è la caduta degli dèi, l’inesorabile

epilogo del mito. E se gli dèi cadono

senza frastuono in un mondo distratto

da troppo rumore, c’è da chiedersi a quale

destino vada incontro il dio dei cristiani. E’

soprattutto l’umanità del Nazareno ad interessare

Ebejer, il dio che si è fatto uomo, e

come un uomo, e per l’uomo, ha sofferto.

Lo vediamo mentre va incontro al martirio

(Behold the men) e dietro di lui l’umanità

intera, lesta a seguirlo ma altrettanto

lesta a rinnegarlo. Non c’è nessuno a piangerlo

ai piedi della croce (The 9th hour):

come ogni altro uomo anche Cristo var-

Mythos, bronzo

ca in solitudine l’estrema soglia della morte.

A tal punto il suo corpo si contrae nello

spasimo del dolore che la materia stessa

del bassorilievo sembra sgretolarsi. Ma è

il mistero della resurrezione il più difficile

da “incarnare” nell’opera, che, infatti, incapace

a contenerlo, deflagra oltre il limite

della cornice. E’ l’apoteosi di una bellezza

astratta e tutta spirituale che si fa dolorosa

nell’immagine di Maria (Mater dolorosa)

con il figlio morto: le braccia impietrite

in un gesto di strazio, l’espressione sgomenta

del volto, le tante pieghe del velo a

rispecchiarne il tormento interiore; il corpo

di Cristo giace inerme davanti a lei, e

pare quasi fluttuare sul panneggio increspato

come un’onda. In altre opere, Maria

ci appare con le sembianze di una Venere

pudica (Annunciation) o ancora come madre

legata da un tale amore al proprio figlio

da fondersi con lui in un solo corpo (Mater

dei). La scultura di Ebejer recupera valori

che attraversano il tempo e ce li consegna

affinché tornino ad essere “lingua viva” nel

presente.

www.chrisebejer.com

CHRIS EBEJER

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Storia delle

Religioni

A cura di

Stefano Marucci

La “vita nuova” nel tempo della Quaresima

di Valter Quagliarotti

L’uomo vecchio è tutto ciò che

indurisce e chiude il nostro

cuore a Dio e agli altri. Non

troveremo la nostra vera realizzazione

e felicità perseguendo i nostri interessi

egocentrici, ma uscendo da noi

stessi per andare verso gli altri. Allora

come cambiare, cioè mettere in pratica

l'invito della Quaresima? La risposta

è che non sempre è facile cambiare.

La nostra volontà di cambiare spesso

si scontra con la resistenza delle nostre

abitudini: perché cambiare? L'individualismo,

così imperante, non offre,

certo, motivi di cambiamento. Per la logica

evangelica ciò che conta è seguire

il Vangelo, non essere se stessi. Cambiare

è la proposta della Quaresima,

tempo severo e dolce, esigente e comprensivo.

Ma come farlo? Perché io e

perché adesso? Il rischio pratico è di

essere come i farisei, che sanno dire e

spiegare cosa devono cambiare gli altri;

per loro la richiesta di Gesù appare uno

sforzo inutile. Il rischio è anche quello

dell'uomo ricco che non cambia perchè

non si lascia amare. Quindi cambiare

non è un problema di perfezionismo e

tantomeno un cercare qualcosa di più.

Cambiare è aprirsi all'amore. La Quaresima

pone al centro l'incontro personale

con Gesù e il suo Vangelo, un

incontro e un Vangelo che cambia la

nostra povera vita. Noi sappiamo come

il fariseo si eserciti piuttosto nello scorgere

la pagliuzza negli occhi degli altri

Tiziano, Polittico Averoldi (1520-1522), olio su tavola, Brescia, Collegiata dei Santi Nazaro e Celso

mentre non riesce a vedere la trave nei

propri occhi. La trave è la malattia che

impedisce di vedere e dalla quale dobbiamo

liberarci. Una delle malattie da

cui dobbiamo guarire in questa Quaresima

è quella della “superbia”. Il superbo

dimentica che tutto è grazia e che il

talento è affidato perché sia usato per

gli altri. Il superbo non sarà mai grato,

perché crederà che tutto è dovuto e

meritato frutto del suo sforzo. A volte

per superbia preferiamo restare soli, ci

accontentiamo di avere ragione anche

se questo significa chiudersi agli altri

e diventare sterili. Il superbo è egocentrico

e vuole essere perfetto. Solo

la via dell'umiltà è via di perfezione nonostante

il peccato, perché ci fa amare

dal Signore e ci rende simili a

lui. Altra malattia da eliminare in

questa Quaresima è “il protagonismo”,

una malattia sottile che

finisce per esaurirsi nel compiacersi.

Il protagonista pensa che

tutto dipenda da lui, egli è un disperato,

perché pensa di essere

amato solo per le sue capacità,

per quello che fa o conta. Il protagonista

ha la tentazione di misurare

i frutti, di farlo sempre a

partire da sé. Gesù rifugge da

ogni protagonismo e il servizio

è il contrario del protagonismo.

La guarigione del protagonismo

è la fraternità, è il servizio. Il fratello

sa che solo insieme trova se

stesso e il suo futuro. Infine altra

malattia da cui guarire è "l'invidia",

una malattia che corrode

dal di dentro, che mina poco alla

volta tutto l'uomo. La guarigione

dall'invidia avviene esercitandosi

nella condivisione, cioè nel vivere

e cercare in maniera concreta

quello che ci unisce al fratello. In

questo tempo di grazia abbiamo

bisogno di risvegliare la nostra

fede, di scoprire che cosa Dio ci

chiede di cambiare per prepararci

a risorgere con lui a vita nuova.

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VITA NUOVA


A cura di

Doretta Boretti

Dal teatro al

sipario

Riflessioni sul futuro della “fabbrica teatro”

dopo la chiusura per l’emergenza sanitaria

di Doretta Boretti

Alcuni amici mi hanno suggerito

di non scrivere ma, da seria

professionista come mi ritengo,

non posso non esprimere tutta l’amarezza

che provo in questo momento

di fronte alle migliaia di teatri italiani

chiusi, alle migliaia di operatori dello

spettacolo con pochissime risorse e

altrettante pochissime certezze. La crisi

dei teatri faceva già tanto rumore anche

prima del Covid-19. Alessia Carovani,

direttore amministrativo del Teatrodante

Carlo Monni di Campi Bisenzio, nelle

pagine di questa rubrica lo scorso febbraio

affermava:«I biglietti hanno prezzi

contenuti, mentre per coprire le spese

di gestione e quindi compagnie, personale

tecnico, maschere, utenze, si ricorre

a varie forme di finanziamento sia

pubblico che privato». E come lei, nella

stessa rubrica a marzo, Sandro Querci,

direttore artistico del Teatro Persio

Flacco di Volterra, sosteneva: «Qualunque

direttore artistico deve fare i conti

con un budget ristretto»; nel numero

precedente a questo, il direttore artistico

Dimitri Milopulos aggiungeva: «Oggi

è tutto più difficile, i fondi, che sono

indispensabili, sono veramente minimi,

il teatro viene ingiustamente emarginato

dalla politica e negli ultimi tempi

la situazione è diventata insostenibile».

Così il mio grido giornalistico va a tutti

coloro che possono fare molto perché

i numerosissimi professionisti della

“fabbrica teatro” possano al più presto

ripartire con aiuti significativi da parte

delle istituzioni senza sconti e quindi

senza limiti. Auguriamoci che il vuoto

di queste settimane abbia messo in evidenza

il peso dell'assenza e l’importanza

del teatro come interprete vivente

della parola scritta. Non c’è tempo, non

c’è più tempo. Auguriamoci soprattutto

che il teatro resista a questa crisi così

dirompente e che questi terribili giorni

così silenti possano produrre domani

tanta operosità.

FABBRICA TEATRO

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Personaggi

Andrea Stella

Ad un anno dalla scomparsa, un ricordo del maestro

nell'intervista alla figlia Selena

di Andrea Petralia / foto courtesy Selena Stella

Mi trovo a di Bagno a Ripoli,

alle porte di Firenze, nell'atelier

dedicato interamente

al maestro Andrea Stella, per intervistare

Selena, figlia dell’artista, ad un

anno dalla prematura scomparsa del

padre. Al caro amico Andrea Stella mi

legano molti ricordi e il simpatico nomignolo

“Petronio” con cui mi aveva

ribattezzato ritenendo che il mio nome

fosse troppo lungo da scrivere e

ricordare. E quindi, in veste di “Petronio”,

sono qui per commemorare

l’uomo e l’artista Stella, con l’aiuto

dell’adorata figlia.

Particolare di una delle Muse create

da Stella per la mostra alla Certosa

di Firenze

Selena con il padre Andrea

Siamo tutti curiosi e impazienti di sapere

se ci sono progetti per il futuro,

eventi, mostre o altre novità per

ricordare l’amico e grande artista Andrea

Stella: cosa puoi anticiparci a riguardo?

Innanzitutto, ti ringrazio, caro Petronio,

per l’opportunità che mi concedi di parlare

del “mi’ babbo”, come si dice a Firenze,

e di questo mio progetto molto

articolato con cui vorrei che il prezioso

contributo dato all’arte da Andrea Stella

fosse ricordato non solo dagli amici

più cari ma da tutti quelli che a vario titolo

− collezionisti, galleristi e intenditori

− hanno creduto in lui e investito

sul suo talento. Un primo grande passo

è stato dare maggiore visibilità alle sue

opere con un’esposizione permanente

a Bagno a Ripoli; e ti confesso che

pensare e realizzare tutto questo non è

stato facile, perché volendo ricreare fedelmente

il suo studio, dalla moquette

ai frammenti di foglia d'oro spesso

presenti nelle sue opere, ci siamo dolorosamente

e nuovamente confrontati

con un'assenza ancora viva nella nostra

mente e nel nostro cuore. E mai stanca

di ripeterlo, ringrazio ancora

chi mi ha sostenuto

in questo progetto non

privo di criticità.

Andrea mi raccontava

spesso di averti reso

partecipe del suo lavoro

di artista...

Chi lo conosceva bene,

sa quanto fosse geloso

degli appunti del suo

“viaggio” artistico. Tuttavia,

molto spesso, mi

chiamava nello studio e

mi faceva partecipe delle

sue scoperte ed emozioni.

Sì, credo davvero

di essere stata l’unica testimone

dei suoi “segreti”

d’artista oltre che sua

allieva.

Hai mai pensato di proseguire

il suo lavoro?

Sento ancora la sua voce

risuonare nelle mie orec-

In questa e nelle altre foto alcuni angoli dell'atelier a Bagno a Ripoli

38

ANDREA STELLA


chie, mentre mi ripete: «Selena vieni a

vedere cosa fò, un giorno potresti essere

tu a doverlo fare». Ma io, come tutte

le ragazze della mia età, dicevo sì e

spesso lo aiutavo, ma come figlia non

pensavo che quel momento sarebbe

arrivato così presto e inatteso. Mi piaceva

condividere questi momenti. Oggi

li rivivo con una stretta al cuore e

li custodisco gelosamente nel cassetto

dei ricordi. Chissà, potrei provarci

e ti confesso che ci sto pensando

seriamente. Il pensiero si è insinuato

come un tarlo e spesso vivo la riuscita

di questo proposito come una sfida

con me stessa. Petronio, ti farò sapere

(e mentre lo dice, accenna un sorriso

che sa di impresa già

riuscita…).

Intanto grazie per questa

rivelazione, ci piacerebbe

molto restare

informati. Hai qualche altra novità

da darci, oltre a quella che già conosciamo

della mostra evento a San

Pietroburgo?

Sì, come ti dicevo, il progetto è molto

ambizioso ed esteso e mi piacerebbe

raccontarlo e farvi partecipi. Ma al

momento siamo in fase ideativa, con

alcune difficoltà oggettive, come tu

ben sai operando da anni nel settore.

Posso solo accennarvi che stiamo

collaborando per la realizzazione

di un evento piuttosto importante in

Messico. La complessità burocratica

del trasferimento delle opere pur non

scoraggiandoci, richiede di procedere

a passi lenti e mirati. Ad ogni modo,

stiamo lavorando affinché questa

nuova opportunità possa diventare un

grandioso evento a livello internazionale.

Sarà mia premura tenervi aggiornati.

Non ci resta, quindi, che seguire i futuri

sviluppi di questo progetto che

promette di celebrare e perpetuare nel

tempo la memoria del grande artista

“venuto dalle stelle”.

ANDREA STELLA

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I libri del

Mese

Mauro Mari

Vita… Vita

Il racconto di un’esistenza avventurosa al limite del rocambolesco

di Erika Bresci

Oggi ho deciso di iniziare

a scrivere la mia storia”.

Arrivati a un certo punto “della vita, l’esigenza di reddere rationem

di ciò che si è stati, di come si è

vissuto pare attività largamente condivisa.

Ma quello che da subito stupisce

nella autobiografia di Mauro Mari,

in arte Maris, è il fatto che egli abbia

volutamente circoscritto il tempo di

un’esistenza – ricca, avventurosa al limite

del rocambolesco, drammatica,

tradita, inseguita, piena – nello spazio

brevissimo di nemmeno trenta pagine.

Perché, viene da chiederci? E ancora,

perché privilegiare quella parte

intima, di frattura domestica, calcando

la mano sui fallimenti e la tenace

voglia di riscatto piuttosto che affidare

questo suo “testamento” alla possibilità

di una autocelebrazione indiscutibile

e attestabile, indugiando un po’

di più sull’amicizia e la collaborazione

fertile con Mario Schifano o ricordando

in dettaglio i momenti esaltanti

della sua galleria d’arte in San Frediano,

e poi quelli delle trasmissioni televisive

e degli incontri? Leggo che

proprio Schifano soleva dire a Mari:

«La materia deve uscire dall’interiorità».

Ecco, questo credo abbia voluto

fare l’autore in queste pagine, grazie

anche alla sensibile opera di ricucitura

di Gabriella Gentilini. Mettere a nudo

la propria interiorità, facendolo con

coraggio, attraverso centrate illuminazioni,

graffi di parole, concreti esempi,

silenzi sospesi, linee temporali che

si fanno onde circolari, emozioni che

si rinnovano, cuori che si intravedono

dietro azioni e volti accennati, luoghi

– un’infinità –, come rifugi precari

tanto quanto quelli verso i quali la mano

sicura della madre lo dirigeva sotto

i bombardamenti durante la guerra.

Il padre distante allora, come lo sarà

sempre, del resto. Da

Ruffolo, piccola frazione

alle porte di Siena,

ad Ambra, in provincia

di Arezzo, e poi Montevarchi,

Scandicci, Firenze,

quella verace

sanfredianina e quella

dei palazzi moderni di

Novoli, con una parentesi

breve ma intensa

in Romania. La vita di

Mari è un viaggio per

tappe, dove ci si sbuccia

le ginocchia ma non

si perde mai la forza di

andare avanti, di rimettersi

in piedi, di giocare

una nuova partita. Ed

è, questo, un ricordare

a se stesso, un tenere

in mano i fili di una tela

intessuta di fatica e

soddisfazioni, ma è anche

dono partorito per

quel grumo di assenza

che dà ancora oggi

alla sua vita un retrogusto

di incompiuto.

Perché alle spalle del

porto sicuro di Maria,

sua seconda sposa, e

dei suoi amati figli, il

mare ruggisce sempre di tempesta.

Ed eccolo, allora, il senso più doloroso

e tenero di questo scritto. La materia

strappata dall’intimo, come cuore

pulsante, ha un destinatario prediletto,

viene regalata a chi non ha potuto

(voluto?) condividerlo con lui: le sue

due figlie, perdute a causa della separazione

dalla prima moglie; insieme

a quel rapporto interrotto, a quell’essere

padre distante e sconosciuto. A

questa paternità mutila si rivolge Mari,

chiede riconciliazione e abbraccio,

nella speranza che anche questo suo

ultimo cerchio – figura cara e ripetuta

in molti suoi dipinti – possa riuscire

a chiudersi: “Vita… Vita”, appunto.

Una vita appassionata e appassionante,

nella quale ciascun lettore, apprezzandone

la straordinaria particolarità,

potrà certamente trovare anche tanti

tratti in comune, di condivisione.

Mauro Mari, Vita…Vita

Scandicci (Fi), Tipografia Turri, 2018

(5,00 euro + spese di spedizione)

40

MAURO MARI


Ritratti

d’artista

Serena Mannari

Una pittrice in cammino sulle orme dei grandi maestri

di Jacopo Chiostri

Una pittrice in cammino: è questa

la prima indicazione che si

ricava leggendo la biografia di

Serena Mannari, artista fiorentina, la

quale racconta di sé che la passione

per la pittura è nata attorno ai trent’anni,

quando, dopo aver frequentato il

liceo classico ed essersi laureata in Filosofia,

aveva già intrapreso la carriera

di insegnante. A fare di quello che,

precedentemente, era limitato all’amore

per la grande pittura un impegno artistico

importante fu l’incontro con la

pittrice Nicla Cesari, di cui la Mannari

seguì i corsi; l’insegnamento di allora le

permise di fare un bel pezzo di strada,

fino al secondo incontro significativo,

piuttosto recente, con un’altra pittrice,

Elena Prosperi, che, tra le altre cose,

le ha fatto conoscere l’associazione

Toscana Cultura e insieme a questa la

possibilità di promuovere la propria arte

per crescere tramite il rapporto con

altri pittori. Nelle sue note biografiche,

la Mannari scrive la parola “migliorarsi”,

e la sensazione, studiando la storia

Particolare del David di Michelangelo, olio su tela, cm 40x30

Rose in un vaso, olio su tela, cm 40x30

di quest’artista, è appunto, come

dicevamo, quella di essere spettatori

di una vicenda che ancora

deve raggiungere il proprio zenit,

sebbene osservando le opere

risulti evidente che le basi su

cui costruirla siano ormai solidamente

acquisite. Parte della sua

formazione, Serena Mannari l’ha

fatta copiando opere dei grandi

maestri: i suoi amati impressionisti,

ma anche La dama con

l’ermellino di Leonardo, un particolare

(la mano destra come si

presenta osservando la scultura

dal retro) del David di Michelangelo,

le tahitiane di Paul Gaugain

ed altri. Ma la sua personalità

si esprime al meglio nella pittura

di fiori, questa esclusivamente

sua. E’ in queste opere che

la Mannari riesce a raggiungere

piena espressività, coniugando

la sapienza pittorica alla rappresentazione

psicoanalitica dell’universo

indagato. Troviamo sulla

tela un’accurata

disposizione degli

elementi, e da questa

scaturiscono immagini

di forte impatto, armoniche

e convincenti,

ove la profondità è risolta

dalla disposizione,

per esempio del

fogliame, su piani sovrapposti;

i colori sono

controllati, realistici, introspettivi,

molto personali,

e in un’opera in

cui è evidente il rimando

ai Girasoli di Van

Gogh, i fiori non sono i

soli accecanti e inquieti

del grande artista olandese,

preludio come è

stato detto delle ossessioni

profonde che lo

possedevano, ma appaiono

come una presenza meno ruvida

seppure energica. Ovunque è presente,

ben rintracciabile in queste composizioni

floreali tanto care all’artista,

la metafora della femminilità di freudiana

memoria, che esplode in tutta la

sua sensualità nelle foglie che si aprono

come conchiglie e nel proporsi altero

dei fiori. Parlando di progetti futuri,

la Mannari racconta che ora affronterà

“sua maestà” il ritratto. La prima opera

di questo genere che ha realizzato

è un ritratto della figlia. Il segno è sicuro,

le proporzioni con cui è costruito

il volto denotano una mano esperta,

ma più di tutto colpisce la rappresentazione

psicologica del soggetto, la cui

espressione e lo sguardo raccontano

un’intera storia.

ser.mannari@libero.it

SERENA MANNARI

41


Il super tifoso

Viola

A cura di

Lucia Petraroli

Cesare Prandelli

Intervista all’ex allenatore viola, il più longevo sulla panchina gigliata

di Lucia Petraroli

Cesare Prandelli, fiorentino d’adozione

ed ex allenatore viola,

il più longevo sulla panchina gigliata,

arriva a Firenze nell’era dei Della

Valle come sostituto di Zoff. Con lui

la squadra arriva in alto, toccando con

mano la Champions League. Vince la

Panchina d’oro a Coverciano come miglior

tecnico nella stagione 2006-2007

per gli importanti risultati ottenuti, e

raggiunge Bernardini in testa alla classifica

degli allenatori più vincenti della

storia viola. Lascia la Fiorentina nel

2010 e diventa Ct della Nazionale italiana.

Il legame con la città non si è mai

esaurito, tanto che il tecnico vive tuttora

a Firenze. In questa intervista parliamo

della situazione attuale, della futura

ripresa del calcio, della Fiorentina, di

Commisso e dei suoi “gioielli”.

Innanzitutto parliamo di lei mister:

come sta vivendo la situazione legata

all’emergenza Covid-19?

Ho molto dolore, apprensione e preoccupazione

in questo momento, ho parenti

e amici nelle zone più critiche.

Crede che questa emergenza avrebbe

potuto essere gestita meglio sia a livello

generale che sportivo oppure le

istituzioni di entrambi i settori si sono

mosse nel modo migliore?

Non sono in grado di dare un giudizio

consono, forse si sarebbe potuto chiudere

prima la zona di Bergamo, al netto

di quello che stiamo vedendo.

Crede il campionato ormai sia finito?

Questo oggi è l'ultimo dei miei pensieri.

Capisco che si debba pensare al futu-

ro, perché una ripresa ci sarà, ma non si

può passare dalle immagini di morti, ambulanze

e ospedali a quelle degli stadi.

Non credo la gente sia psicologicamente

pronta. Sicuramente la ripresa avverrà

con partite giocate a porte chiuse. Ad oggi

non saprei immaginare una data.

Cosa pensa della polemica sul taglio

degli stipendi dei giocatori?

Oggi bisognerebbe sorvolare su questo.

Si trattava di un atto dovuto senza

nessun tipo di trattativa.

ph. courtesy 1000cuorirossoblu.it

42

CESARE PRANDELLI


Il calciomercato avrà dei cambiamenti.

I cartellini dei giocatori subiranno

una svalutazione?

Il mercato non mi è mai interessato,

tanto meno il valore di un giocatore; è il

mercato che dà il valore, dipenderà tutto

da quando si ricomincia e come si ricomincia,

che tenore di vita avremo in base

alle nuove norme sociali. Ci saranno

dei cali di mercato sicuramente, saranno

svalutati anche i giocatori. Tutto sarà

ridimensionato.

Lei conosce molti giovani viola che

si stanno mettendo in luce, su tutti

Chiesa: rimarrà alla Fiorentina secondo

lei?

Bisognerebbe riavvolgere il nastro di

qualche anno. Io avevo chiesto di rinnovare

il contratto a Chiesa e Bernardeschi

di 5-6 anni, farli sentire protagonisti, indispensabili

per un rilancio, per un futuro.

Questo era il mio pensiero. Oggi

Chiesa è più maturo, ha molta più sicurezza

e consapevolezza dei propri mezzi.

Dipenderà tutto da lui. La società farà

di tutto per tenerlo.

Quindi su Castrovilli, per esempio,

il suo pensiero è quello di blindarlo

e non cedere alle sirene dei grandi

club?

Il mio pensiero lo conoscete: se ci sono

giovani interessanti vanno blindati subito.

Dopo 1-2 mesi capisci la qualità e la

capacità del giocatore di restare in campo

per migliorarsi; da subito devi fargli

un contratto lungo, nel tempo capirai

l'evoluzione e nel caso se cedere ad una

squadra big o meno.

Come giudica la nuova proprietà viola

protagonista della raccolta fondi

“Forza e Cuore”?

Iniziativa straordinaria, lodevole. La proprietà

ha la sensibilità giusta, sa coinvolgere

tante persone. La Fiorentina è

un simbolo, un marchio straordinario

per Firenze. Faccio i miei complimenti.

La Fiorentina può tornare ad ambire a

palcoscenici importanti?

Penso di sì. La proprietà è ambiziosa. Il

loro obiettivo è riportare

la viola in alto nella classifica

e soprattutto risentire

la voglia di viaggiare

per l'Europa nei contesti

che contano. I presupposti

ci sono, Firenze è capace

di tutto.

Ormai fiorentino doc, le

piacerebbe un giorno

tornare ad allenare la

squadra viola?

Il mio carattere non è fatto

per proporsi, non l'ho

mai fatto. Firenze e la Fiorentina

sono nel mio cuore,

vivo a Firenze da tanti

anni, vivo la città, respiro

l'umore dei tifosi, faccio

come sempre il mio abbonamento e la

seguo in tribuna. Se sarà sarà.

Nella sua carriera la partita che reputa

indimenticabile e quella più brutta?

Indimenticabile la serata organizzata per

Borgonovo. Non c'entrava niente il calcio,

era un segnale per tante persone

che soffrono e un modo per essere vicini

ad un grande campione che ci stava

lasciando. E’ stato un grande abbraccio.

La partita da dimenticare o ricordare per

sempre allo stesso tempo è stata quella

di Champions contro il Bayern.

Miglior giocatore di sempre?

Non ho mai fatto classifiche, ho avuto la

fortuna di allenare sempre giocatori importanti.

Non voglio fare nomi per non

fare torto a qualcuno, ricordo tutti con

molto affetto.

Si aspetta un nuovo stadio per Firenze

o si andrà per il restyling del Franchi?

Con la maglia di allenatore della viola (ph. courtesy tuttomercato.web)

Io amo il Franchi e vorrei vederlo in versione

moderna, con tutti i limiti del caso

certo, ma hanno rifatto tanti stadi d'epoca.

La burocrazia in Italia dovrebbe cercare

di capire anche gli sviluppi sociali

di un impianto. Tutto dipende dalla capacità

di una città importante come Firenze

nel potenziare i mezzi pubblici che

2-3 ore prima ti possono portare al nuovo

stadio riducendo il problema del parcheggio.

Basti pensare a Londra dove

nessuno stadio è fuori città; è questione

di civiltà.

Da anni ormai ha deciso di vivere a Firenze,

segno di un legame importante

con la città. Dove le piace andare nel

tempo libero?

Firenze è talmente bella che non si può

non averla nel cuore; è bella soprattutto

di notte quando c'è poca gente e si possono

meglio apprezzare le sue meraviglie.

E’ qualcosa di unico che i fiorentini

hanno ereditato, e io con loro.

Firenze significa anche buona cucina:

il suo piatto preferito?

Una bella bistecca alla fiorentina non si

rifiuta mai, anche se negli anni ho imparato

ad apprezzare tutta la cucina toscana.

Progetti futuri? Pensa di rimanere nel

campionato italiano o le piacerebbe

provare una nuova esperienza all’estero?

Non ho progetti in questo momento, il

lavoro è l'ultimo dei miei pensieri. Ho a

cuore l'evoluzione di questo virus, con

tante persone a me care alle quali penso.

Dobbiamo rispettare le indicazioni

date, essere responsabili, solo il distanziamento

sociale può aiutarci a distruggere

questa bestia.

CESARE PRANDELLI

43


Giuseppina

Maestrelli

in arte Peppetta

Gli appunti persi e ritrovati hanno fatto nascere passioni fuori moda al tempo

dell’iPhone. Perché non unire quella “poesia interrotta” all’immagine? E’ nata così

l’altra passione, ma non chiamatela fotografia, chiamiamola ricerca con l’obbiettivo

della prospettiva più giusta per regalare un briciolo di arte ai più attenti; un

dono per vedere, non solo guardare, ai distratti.

Giuseppina Maestrelli, Peppetta, nasce ad Empoli nel 1945; è autrice di libri

- Dimmi ciao; Terra, mare e cielo; Prima dell’iPhone - e fotografie di opere d'arte

moderna con cui comunica i propri ricordi. Tra le sue mostre ricordiamo: 2016,

Cerreto Guidi; Galleria Il Cesello, Pietrasanta; Stazione Leopolda, Firenze; 2017,

Comune di Pisa; Auditorium al Duomo, Firenze; Iclab, Firenze; Chiesa di San

Marco e Cripta di San Lorenzo, Firenze; Educandato SS. Annunziata, Firenze;

2019, mostre a Venezia e Siena. E’ stata insignita del Collare Laurenziano (Salone

dei Cinquecento, Palazzo Vecchio, Firenze), del premio Ponte Vecchio e nel 2019

del premio Toscana Cultura.

superpeppetta@gmail.com

Mi ama, non mi ama

Un cosmo di luce


Sport e

solidarietà

Da Bisceglie a Pontedera, la solidarietà

accorcia le distanze con i gesti di piccoli

“eroi” del quotidiano

di Gaia Simonetti

Ci sono lettere che non scordi.

Anche se sono scritte con

il lapis, diventano indelebili nel

tempo. In questi giorni ti fermi a pensare

e capisci che ogni gesto, se fatto

con amore, è un buon gesto. Una busta

colorata, contenente una lettera e

il disegno di un pallone con un cuore

al centro e circondato da giocatori con

tante maglie, è stata indirizzata alla sede

fiorentina della Lega Pro. La lettera

è firmata da Domenico, un bambino di

11 anni di Bisceglie, piccolo tifoso del

calcio che ha accompagnato il suo pensiero

con il disegno del fratello minore

Alessio. Il pallone visto con gli occhi

dei bambini in giorni e mesi che fanno

da cornice ad un tempo sospeso. «Mi

manca molto tirare un calcio al pallone

− scrive Domenico −, giocare con

i miei amici e tifare per la mia squadra.

Questo momento passerà e allora

potrò tornare a fare tutto questo. Ora,

in particolare, capisci che la vita è importante

più di ogni altra cosa e allora

devi restare a casa e rispettare le regole,

proprio come in una partita di pallone».

Ci sono anche gesti che non si

dimenticano. Colpiscono e mirano dritti

al cuore. Edoardo, Emanuele, Lorenzo

e Paolo sono quattro ragazzi che

hanno deciso di “scendere in campo”

per la solidarietà. Sono giocatori del

Pontedera, squadra toscana che milita

nel campionato di serie C, che in un

pomeriggio di fine marzo hanno distribuito

in più aree le mascherine. Alcuni

di loro non sono originari di Pontedera

− spiega una nota del club − ma

hanno voluto ugualmente dare un contributo

in un momento difficile alla città

che li ha “adottati”. «Avete un cuore

grandissimo, ragazzi, e noi siamo orgogliosi

di voi», ha commentato la loro

società. Immagini, istantanee di straordinaria

normalità, di gesti e parole che

hanno una comune fonte d’ispirazione:

il cuore. I sorrisi di Domenico ed Alessio

sono gli stessi di quelli di Edoardo,

Emanuele, Lorenzo e Paolo, impegnati

nella consegna del kit di mascherine,

e annulla le distanze. Bisceglie e Pontedera

non sono così lontane. Quelli

che viviamo sono giorni che prendono

una direzione diversa, repentina e senza

preavviso e s’incagliano fra tristezza

e incertezza. Il silenzio delle strade parla.

L’albero che si veste di fiori e nuovi

colori annuncia che è arrivata la primavera.

Nonostante tutto. Il vento accarezza

i pezzi di stoffa alle finestre con

la scritta: andrà tutto bene. I pensieri

corrono al futuro e si lasciano indietro

i passi insicuri del presente. Come vorremmo

poter utilizzare il passato e scrivere:

è andata bene.

Il disegno di Alessio, piccolo tifoso di Bisceglie

DA BISCEGLIE A PONTEDERA

45


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A cura di

Laura Belli

Speciale

Pistoia

Fondazione Luigi Tronci

Costituita nel 2008, perpetua la tradizione della famiglia

Tronci, dal XVIII secolo maestri organari a Pistoia

di Laura Belli

La Fondazione Luigi Tronci è stata

costituita nel 2008 per volere

del presidente Luigi Tronci.

Si tratta di una collezione composta

da oltre 800 strumenti musicali, per lo

più idiofoni a percussione, provenienti

da ogni parte del mondo. Vi sono anche

sculture sonore, macchine rumoristiche

da teatro e organi. La Fondazione

si pone l’obiettivo di trasmettere la cultura

musicale alle giovani generazioni,

compito che le si addice pienamente

in quanto Luigi Tronci discende dalla

famiglia Tronci che per 7 generazioni,

a partire dalla metà del secolo XVIII,

ha reso famosa Pistoia in tutto il mondo

per quanto riguarda la costruzione

di organi e conseguentemente per la

scuola organaria pistoiese che ha avuto

ed ha tuttora risonanza internazionale.

La ditta Tronci, nella sua lunga vita,

ha avuto importanti contatti con famosi

musicisti come Giuseppe Verdi, Giacomo

Puccini e Pietro Mascagni. Nella

ricca documentazione che fa parte della

collezione, possiamo trovare, infatti,

una foto di Giuseppe Verdi che nella dedica

esprime gratitudine a Filippo Tronci

per aver restaurato l’organo della chiesa

di Roncole che Verdi aveva suonato

da bambino. Già nel 1931, la ditta Tronci

si è saputa adeguare ai gusti musicali

che andavano mutando, trasformandosi

nella Unione Fabbricanti Italiani Piatti

(UFIP) e indirizzando la produzione verso

i piatti da percussione.

La grande svolta e il boom

di questo genere di

strumenti è avvenuta negli

anni Settanta, dopo Woodstock,

evento che ha segnato

l'inizio di una grande

trasformazione musicale.

Oggi la UFIP è conosciuta

a livello internazionale

per la produzione artigianale

di piatti musicali, per

la cui realizzazione si attinge

alle antiche esperienze

di fusione acquisite in secoli

di produzione di canne

da organo e aggiornate con tecnologie

di avanguardia, mentre, per la parte che

riguarda la sonorità, ci si avvale della

manualità di abili artigiani capaci di produrre

vere e proprie opere d’arte uniche

e irripetibili. Sarebbe lungo l’elenco

degli artisti che sono venuti personalmente

a Pistoia e hanno collaborato alla

produzione dei piatti per le loro band

nella ricerca di sonorità a loro congeniali.

Ne citiamo solo alcuni: Zucchero, Elisa,

Laura Pausini, Gigi d’Alessio, Fabio

Concato, Cocciante, Branduardi, Matia

Bazar, Ricchi e Poveri, Tullio de Piscopo,

Ligabue, Bertè, Simple Mind, Gino

Paoli, Negramaro, Red, Paolo Conte,

Caparezza, Rolling Stones, Afterhours

e potremmo proseguire. La collezione

Luigi Tronci è un patrimonio per la città

In questa e nelle altre foto, alcuni degli strumenti della collezione

(ph. courtesy lamelapistoia.altervista.org)

di Pistoia che deve essere tutelato, conservato,

valorizzato nella sua integrità e

reso fruibile nella sua completezza. Attualmente,

la collezione è esposta solo

in parte presso i locali della Fondazione

Conservatorio di San Giovanni Battista

a Pistoia, ma molti degli strumenti sono

stipati in magazzini per mancanza di

spazi sufficienti all’esposizione. Sarebbe

bello poter realizzare un vero e proprio

museo in cui la collezione venga

esposta nella sua completezza e valorizzata

in modo da far emergere tutti i valori

che racchiude.

Fondazione Luigi Tronci

Corso Gramsci 37, 51100 Pistoia (PT)

+39 0573 994350

info@fondazioneluigitronci.org

FONDAZIONE LUIGI TRONCI

47


Nuove proposte dell’arte

contemporanea

A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Alma Sheik

L'inno alla vita nelle opere dell'artista originaria del Suriname

di Margherita Blonska Ciardi

Primavera (2020), olio su tela, cm 60x50

Canestro con melograni, olio su tela (2013), cm 60x50

Alma Sheik, nata in Suriname

e cresciuta in

Olanda, ha iniziato a dipingere

fin dalla prima infanzia,

seguendo la sua vocazione

con costanza ed impegno. La sua

pittura sincera ed appassionata

rappresenta un vero canto di gioia

alla vita. Possiamo verificarlo

osservando le opere dell'artista,

dove le nature morte, i paesaggi

e le figure umane rispecchiano,

con le loro cromie sgargianti,

la sua anima sudamericana, confermando

la teoria di un grande

professore del Bauhaus, Johannes

Itten, secondo cui ogni artista

inconsciamente riporta sulle

proprie tele i colori della terra di

origine. I quadri di Sheik, realizzati

tutti ad olio, sono colmi di

energia positiva per la scelta di

tonalità luminose e brillanti stese

sulla tela con pennellate spontanee

e materiche. Le composizioni

di frutta e fiori, le figure umane

e i paesaggi sono un inno alla vita

e al creato. I contrasti generati

dall'alternanza di colori primari,

come rosso, giallo e blu, ricordano

la pittura di Paul Cézanne,

che agli artisti raccomandava di

sviluppare il proprio talento osservando

direttamente la natura

e dimenticando tutto ciò che

c’è stato prima. Essendo spesso

in viaggio, Alma Sheik ha avuto

modo di esporre le proprie opere

in giro per il mondo, soprattutto

tra New York (Agora Gallery),

Francia ed Olanda, ricevendo numerosi

riconoscimenti e vedendo

pubblicati i suoi lavori. Dal 1994,

risiede e lavora a Lucca dove,

nella sua fattoria circondata dalla

straordinaria bellezza della natura

toscana, trova l’ispirazione e

la luce perfetta per le sue opere.

48

ALMA SHEIK


Time Lapse nasce a seguito

della pandemia di Covid-19

per "accelerare" il tempo e

superare velocemente il

momento critico, dando

l'opportunità agli artisti e agli

artigiani, soprattutto quelli

autonomi maggiormente penalizzati dalla situazione, di trovare

uno spazio di valorizzazione delle loro opere d'arte. Un'occasione

per aziende e professionisti di rafforzare il tessuto economico

italiano e di portare a casa “pezzi” d’arte, bene di rifugio per

eccellenza, il cui valore rimarrà nel tempo.

Come funziona?

Time Lapse, ovvero il racconto per immagine dell’evoluzione di

un progetto, è un concept innovativo che consentirà agli artisti

e agli artigiani di dare forma a idee e pensieri realizzando il

progetto frutto della loro creatività. Durante la realizzazione di

questo progetto verranno seguiti per creare un racconto per

immagini che verrà condiviso con istituzioni, aziende e privati. A

quest’ultimi sarà anche offerta l'opportunità di inserire una

precisa richiesta per la realizzazione di un oggetto o

un'opera d'arte che rientri nella fascia prezzo da loro

stessi scelta. Successivamente Time Lapse ne stabilirà

l'importo preciso necessario alla

realizzazione e pubblicherà la

richiesta. Per ogni categoria di

prodotto, gli artisti troveranno

online le richieste di

commissione alle quali

candidarsi.

Time Lapse, dopo aver valutato

le candidature pervenute,

assegnerà i lavori e da quel

momento l'artista/artigiano

avrà tempo una settimana

per realizzare l'oggetto.

Inoltre, durante la lavorazione,

dovrà inviare 5 foto relative al

processo di sviluppo includendo

obbligatoriamente la fase

iniziale e quella finale.

Time Lapse si occuperà del ritiro

Time Lapse: una piattaforma

per unire artisti e aziende

e della spedizione dell'oggetto pagando l'artista per il lavoro

svolto. Il 20% del ricavato dall'acquisto delle opere sarà

trattenuto dall'associazione culturale Costellazione e

destinato alla ricerca.

Se sei un artista, ecco i vantaggi:

Lavoro, visibilità e libertà di creare.

- lavoro

- occasioni di promozione personale grazie al materiale video e

fotografico realizzato durante la produzione (il Time Lapse)

dell’oggetto pensato per la diffusione sui social network e sui

canali d’informazione e marketing tradizionali

- libertà di creare

- aumento dei committenti

- nuovi contatti sul territorio nazionale

- contribuire alla ricerca scientifica: il 20% del ricavato

dall'acquisto delle opere realizzate sarà trattenuto

dall'associazione culturale Costellazione e destinato alla ricerca

Se sei un’azienda

Accanto alle motivazioni etiche e solidali, le aziende e i

professionisti troveranno:

- occasioni di promozione personale grazie al materiale video e

fotografico realizzato durante la produzione

(il Time Lapse) dell’oggetto pensato per la

diffusione sui social network e sui canali

d’informazione e marketing tradizionali

- diversificazione

- attivazione di un progetto di corporate

social responsability (Csr): il 20% del

ricavato dall'acquisto delle opere realizzate

sarà trattenuto dall'associazione culturale

Costellazione e destinato alla ricerca

- opportunità di diversificazione: l’arte è un

bene di rifugio e un’occasione d’investimento

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Associazione culturale Costellazione

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MATTEO

PIEROZZI

Nato a Firenze il 24 dicembre del 1978, Maeo

Pierozzi ha frequentato il rinomato Liceo arsco

"Leon Basta Alber" e l'Accademia di Belle Ar

di Firenze specializzandosi in Scultura.

Arscamente è cresciuto in un ambiente che gli

ha insegnato a concepire l'arte come forma di

espressione libera e vivace.

Ha affinato la tecnica nella boega del padre,

esperto cesellatore a San Casciano. Firenze, con

la sua atmosfera, le sue forme e le sue bellezze

storiche, è la sua principale fonte d'ispirazione

che rielabora con uno sle decisamente

personale. Maeo sceglie "la toreuca", ovvero

l'anca arte dello sbalzo e del cesello già pracata

da Egizi, Cretesi, Greci e Romani, e la rende

personale. Non usa il cesello in senso decoravo

ma crea sculture con metalli quali oone, rame e

argento. In altre parole, un lavoro a dir poco unico

nel suo genere.

Laboratorio:

Via Falgnano 27, San Casciano

info@maeopierozzi.it

+39 3666486921



L’avvocato

Risponde

A cura di

Aldo Fittante

E-commerce

Grande opportunità per le imprese, ma attenzione ai contraffattori

di Aldo Fittante

La diffusione del fenomeno internet

– la cui portata esponenziale

è sotto gli occhi di

tutti – ha attirato ormai da molto tempo

l’attenzione delle imprese, che in

esso hanno intravisto una formidabile

opportunità di business. Il web, infatti,

consente all’imprenditore di disporre

– con costi certamente contenuti e

comunque sempre remunerativi – di

una vera e propria “vetrina sul mondo”

per offrire i propri prodotti e servizi

sul mercato. Al tempo stesso il web

– anche grazie alla dematerializzazione

degli acquisti che avvengono nel

relativo contesto – ha consentito il diffondersi

di pratiche scorrette, sempre

più frequenti e sofisticate. La rete internet,

oltre ad offrire alle aziende un

nuovo canale per la pubblicizzazione

e promozione del brand, ha agevolato

lo sviluppo di un mercato telematico

che favorisce gli scambi commerciali,

tant’è che la quantità di compravendite

effettuate direttamente in internet è

in costante aumento: si pensi a quelli

che sono divenuti in tempi rapidissimi

veri e propri colossi dell’e-commerce,

i vari Amazon, Ebay, Alibaba. Basti

pensare al fatto che, negli ultimi 10

anni, l’e-commerce è stato l’unico settore

a livello globale che ha registrato

una crescita costante a doppia cifra,

tendenza che è confermata anche per

il futuro prossimo con previsioni ancor

più eclatanti. E nel futuro – e mi

riferisco alla recente emergenza Coronavirus

che ha rivoluzionato repentinamente

e profondamente le modalità di

acquisto di beni e di fruizione di servizi

– non è azzardato dire che il commercio

on-line sarà di vitale importanza per le

nostre imprese, imprimendo alla relativa

organizzazione e funzionamento un

cambiamento che per molti versi non

potrà che essere irreversibile. L’altro

lato della medaglia offerta dalle inimmaginabili

potenzialità espansive del

web è la crescente diffusione della contraffazione

on-line, fenomeno dilagante

e particolarmente sofisticato. Da una

contraffazione che nel nostro immaginario

ricolleghiamo immediatamente

alla vendita di articoli di lusso di pessima

fattura per strada o in spiaggia, si

è passati ad una contraffazione perpetrata

attraverso siti web realizzati con

tutti i crismi del lusso ed un’apparenza

molto accattivante per i consumatori.

E-store del falso che offrono, ormai

sempre più spesso, l’opportunità di effettuare

pagamenti on-line attraverso

canali ufficiali, la possibilità di avvalersi

di veri e propri customer service, se

non addirittura di effettuare resi e cambi

di merce contraffatta. Insomma, ve-

re e proprie boutique virtuali del falso,

ben lontane dagli “scantinati” nei quali

siamo abituati ad immaginare la contraffazione

e i contraffattori. Il web e la

dematerializzazione degli acquisti che

internet porta con sé agevolano molto,

d’altra parte, il malaffare dei contraffattori,

garantendo agli stessi l’anonimato

e consentendo loro di fruire di strutture

illegali del tutto evanescenti, da aprire

e chiudere con estrema facilità e sopportando

costi molto contenuti. Ciò

che è più grave, è che – a ben guardare

– la contraffazione nuoce davvero

a tutti noi. Non solo danneggia le imprese

che vedono i propri prodotti falsificati

e che perdono direttamente e

immediatamente opportunità di mercato,

ma anche l’erario che perde il gettito

dei tributi che deriverebbero dalla

relativa vendita se la stessa fosse realizzata

nella piena legalità. Non solo

nuoce ai consumatori, non sempre

consapevoli dei rischi connessi ai beni

contraffatti (si pensi al rischio indotto

dalla contraffazione nei settori dei

medicinali o dei cosmetici anch’essa

molto diffusa), ma anche all’immagine

del Made in Italy nel mondo che ne

resta irrimediabilmente offesa. Non solo

comporta un grave danno per l’occupazione,

con un dilagante lavoro

nero ed una perdita massiccia di po-

Aldo

Fittante

Avvocato in Firenze e Bruxelles, docente in Diritto della Proprietà Industriale

e ricercatore Università degli Studi di Firenze, già consulente

della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sui Fenomeni della Contraffazione

e della Pirateria in Campo Commerciale” della Camera dei Deputati.

www.studiolegalefittante.it

52

E-COMMERCE


sti di lavoro regolari, ma anche gli investimenti,

con una notevole riduzione

della propensione delle nostre imprese

ad investire in innovazione e creatività.

L’impresa è certamente chiamata

ad affrontare nuove sfide, avvalendosi

di una consulenza specialistica in

un settore strategico caratterizzato da

grandi opportunità di business ma anche

dall’esigenza di attivare forme di

tutela del tutto peculiari e da ponderare

con estrema attenzione. Punto di

partenza per un’adeguata risposta alla

contraffazione on-line – così come

avviene del resto anche nel mondo reale

– è certamente la proprietà industriale.

L’attivazione e l’ottenimento di

diritti di privativa industriale quali marchi,

disegni e modelli, brevetti per invenzione

e domain names costituisce il

primo presupposto necessario per reagire

in maniera rapida e decisa contro

comportamenti contraffattivi che

nella rete sono ormai sempre più frequenti

e sofisticati. Adattandosi inoltre

alle specificità della contraffazione nel

web, per un’efficace lotta alla contraffazione

on-line è imprescindibile anche

un ripensamento della prospettiva

di intervento: internet e le relative dinamiche

espansive possono cioè offrire

nuove opportunità di repressione del

falso. L’imprenditore deve azionare le

proprie privative non solo nei confronti

dei singoli contraffattori, ma rivolgendo

le proprie istanze anche alle strutture

telematiche delle multinazionali che

rendono possibili le attività di commercio

elettronico di beni contraffatti e che

veicolano – pur inconsapevolmente –

gran parte del falso commercializzato

nel web. L’obiettivo è quello di ottenere

– a seguito di formali notifiche dei

diritti violati agli Internet Service Providers

– l’immediato “oscuramento”

dell’offerta nel web di prodotti falsi e,

nell’ipotesi di recidiva, la chiusura definitiva

dell’account del contraffattore.

Tale ulteriore prospettiva di lotta alla

contraffazione – una lotta al falso 2.0

potremmo ben dire – è del resto supportata

dal mutato quadro giuridico nazionale

ed internazionale. Dall’esonero

totale ed incondizionato da responsabilità

degli Internet Service Providers,

la normativa si è infatti evoluta configurando

una forma di corresponsabilità

delle multinazionali che gestiscono

le piattaforme del commercio on-line

nel caso in cui – pur avendo ricevuto

formale denuncia da parte dei titolari di

diritti di privativa industriale della contraffazione

in atto – abbiano omesso di

attivarsi tempestivamente rimuovendo

i contenuti illeciti da essi ospitati nelle

loro piattaforme.

E-COMMERCE

53


Arte del

Vino

A cura di

Paolo Bini

Il gioco degli abbinamenti: antipasti di terra

di Paolo Bini

Visto il periodo forzato di clausura

e il sorprendente interesse

mostrato dagli italiani nella

cucina casalinga prêt-à-poster sui social,

iniziamo a darvi qualche minimo

suggerimento sugli abbinamenti per

rendere più appetitosa la vostra tavola

evitando di incappare in storture sgradevoli

anche alla nostra vista. Quella

dell’abbinamento è un’arte tutt’altro

che semplice e parte innanzitutto dalla

percezione e interpretazione delle caratteristiche

sensoriali di un piatto. Sapori

come l’acido, il salato, l’amaro, il dolce

(anche l’umami e il grasso direbbero

i modernisti) debbono essere quantificati

assieme alle sensazioni tattili di un

preparato per poi scegliere il miglior vino

in accordo garbato. Apriamo questo

mese una parentesi sull’enorme mondo

degli antipasti concentrandoci, per

circoscrivere l’ampio raggio, su quelli

di terra. Manterremo un inevitabile occhio

di riguardo per la nostra Toscana

ma i concetti che esprimeremo sappiate

che sono validi universalmente. Crostini,

verdure grigliate, rustici, affettati

misti, formaggi: comprendete bene che

intensità e qualità dei sapori variano

in base al preparato e di conseguenza

modificano le peculiarità del vino con

cui abbinarle. Tutto l’insieme e la per-

ph. Frank Georg

sistenza delle percezioni

va idealmente a costituire

la struttura di un

cibo, è essenziale che

il vino in abbinamento

possegga una struttura

concordante! Ecco perché

un Chianti Classico

riserva si abbina molto

meglio ad una bistecca

alla fiorentina piuttosto

che a crostini misti

toscani, così come un

Brunello di Montalcino

riesce decisamente meglio

su un cinghiale fatto

in umido che su un

suo insaccato. Ma allora

come fare? Quali sono

i concetti cardine da

seguire? Restiamo ovviamente

sul generico

ma sappiate che un vino

bianco di buona acidità

si rivela spesso più

efficace sugli stuzzichini

di entrata rispetto ai

rossi. Importante con-

trapporsi all’estrema grassezza anche

con l’effervescenza degli spumanti secchi.

Cosi, mentre rimaniamo in attesa

delle vostre curiosità e domande da in-

Spumante metodo classico brut

rosé Colle B, Colle Bereto

Vernaccia di San Gimignano DOCG

Clamys, Cesani

viare alla nostra redazione, vi suggeriamo

di provare un Vernaccia di San

Gimignano giovane da abbinare a rustici,

frittini, prosciutto crudo e crostini

di fegatini. Clamys di Cesani è ad

esempio un vernaccia profumato

di cedro, ginestra, mentuccia con

note minerali che in bocca riserva

un idoneo finale sapido e succoso.

Per un tagliere di salumi

misti e formaggi dove non manchino

salsicce e pecorino fresco

immaginiamo bene anche la delicatezza

cremosa e sgrassante

delle bollicine rosa di Colle B,

pinot nero chiantigiano spumantizzato

di Colle Bereto: aromi di

ribes, rosa canina, crosta di pane

e melagrana che sono ravvivati

nel calice da un gusto brioso

ed elegante. Il gioco degli abbinamenti,

su La Toscana nuova, è

appena cominciato…

54

IL GIOCO DEGLI ABBINAMENTI


Eventi in

Toscana

Su Toscana Tv una grande rassegna d'arte contemporanea

promossa in collaborazione con Toscana Cultura e il sostegno

del Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue

500 opere di altrettanti artisti proposte gratuitamente ogni sera alle 20.15 nella

rubrica Incontri con l'arte

di Fabrizio Borghini / foto Franco Giomini

Nei giorni tristi del Coronavirus

è nata una nuova iniziativa

promossa della trasmissione

Incontri con l'arte di Toscana Tv in

collaborazione con l'associazione Toscana

Cultura e il sostegno del Movimento

Life Beyond Tourism Travel to

Dialogue. Alla redazione della rubrica

televisiva, che va in onda tutte le

sere dalle 20 alle 20.30 sul canale 18

da venticinque anni con una media di

50 mila telespettatori a puntata, sono

pervenute, da parte di pittori, scultori,

grafici, fotografi, maestri orafi, numerose

richieste di poter dare spazio

alle opere prodotte dal loro ingegno,

soprattutto sull'onda emotiva di questa

epocale sciagura, la cui visibilità è

temporaneamente preclusa dall'oscuramento

totale dell'attività espositiva

provocato dalla chiusura di gallerie

pubbliche e private. Così ha preso consistenza

l'idea di dar vita a un nuovo

format, una pinacoteca virtuale aperta

democraticamente e gratuitamente

a tutti gli artisti che ne facciano richiesta

senza alcuna selezione inviando le

foto delle opere con nome e cognome

dell'autore alle mail incontriconartetv@gmail.com

o toscanacultura@

gmail.com oppure contattando telefonicamente

la presidente di Toscana

Cultura Lucia Raveggi al 333 9704402.

Da martedì 14 aprile fino al 31 maggio

verranno trasmesse, tutte le sere

alle 20.15, ben 50 puntate della nuova

rubrica ciascuna delle quali contenente

la riproduzione di 10 opere di altrettanti

autori; alla conclusione del ciclo

saranno 500 le opere che andranno

a comporre quella che può essere

considerata senz'altro la più grande

vetrina di arte contemporanea toscana

di questi tempi. Sarà possibile rivederle

tutte in maniera permanente

sul canale Youtube Fabrizio Borghini,

che conta 6500 iscritti, e nel sito

www.toscanacultura.it.

Per far fronte a un così imponente impegno

produttivo, è stata determinante

la partecipazione del Movimento

Life Beyond Tourism Travel to Dialogue

che con l'appoggio a questa iniziativa

ha ribadito la già dimostrata

sensibilità verso gli artisti inserendoli

gratuitamente nella sezione Art in

our heart, per tutto il 2020 e il 2021,

all'interno del portale delle espressioni

culturali del Movimento, una rete che

conta oltre 14 mila utenti distribuiti in

111 paesi del mondo offrendo così la

possibilità, senza alcuna spesa accessoria,

di dare visibilità alle loro opere

favorendone anche la commercializzazione

in tutto il mondo. Per approfondire

le informazioni e per eventuali

inserimenti è possibile contattare Stefania

Macrì al 393 8491433 o scrivere

alla mail info@lifebeyondtourism.

org. L'iniziativa è promossa dalla Fondazione

Romualdo Del Bianco, da

sempre impegnata nella valorizzazione

del dialogo fra i popoli attraverso

l'arte e la cultura. Una bella opportunità

per aiutare la rinascita della nostra

economia e la diffusione dell'arte contemporanea

italiana.

Al centro della foto, la presidente di

Toscana Cultura Lucia Raveggi con

il giornalista Fabrizio Borghini (alla

sua destra) della rubrica Incontri

con l'arte e Paolo Del Bianco, presidente

della Fondazione Romualdo

Del Bianco, durante una delle tante

rassegne promosse da Toscana Cultura

all’Iclab di Firenze in collaborazione

con la Fondazione Romualdo

Del Bianco; in foto anche l’assessore

ai Lavori pubblici del Comune

di Firenze Stefano Giorgetti (il primo

a partire destra), la stilista Regina

Schrecker e Giancarlo Antognoni

TOSCANA TV

55


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

L’Arte nel nostro cuore con il Movimento Life

Beyond Tourism Travel to Dialogue

La rete Life Beyond Tourism di oltre 14.000 utenti a disposizione

degli artisti affiliati

di Stefania Macrì

L’Arte nel nostro cuore è l’iniziativa

del Movimento Life

Beyond Tourism Travel to

Dialogue pensata per gli artisti, per

supportarli in questo momento di difficoltà

causato dall’emergenza sanitaria

che ha fermato le varie attività.

Infatti, se da un lato il Movimento Life

Beyond Tourism Travel to Dialogue ha

deciso di mettersi accanto alle aziende

produttive del nostro paese per dar

loro un sostegno per la ripartenza, pur

stando a casa, dall’altro lato ha pensato

al vasto mondo artistico che, assieme

a quello degli artigiani, rappresenta

il fiore all’occhiello della nostra Italia,

favorendone un’importante e qualificata

visibilità internazionale. Com’è

noto, Life Beyond Tourism sin dalla

sua nascita ha sempre cercato di valorizzare

le espressioni culturali dei territori

e grazie al lavoro del Movimento

Life Beyond Tourism Travel to Dialogue

tale valorizzazione è messa in pratica

con una serie di iniziative.

Cosa è stato pensato per gli artisti?

All’interno del portale delle espressioni

culturali del Movimento Life

Beyond Tourism (www.lifebeyondtourism.org)

è stata creata una sezione

dal titolo Art in our Heart dedicato al

mondo dell’arte con la possibilità di

aderire al Movimento gratuitamente

entro il 30/06/2020 e avere comunque

la gratuità fino al 31/12/2021.

In tal modo sarà possibile usufruire

di una serie di servizi che consentiranno

una grande visibilità, sia a

livello nazionale, sia internazionale

grazie a una rete che conta oltre

14.000 utenti distribuiti in 111 pae-

si del mondo.

Ogni artista che aderisce ha la possibilità

di:

- Creare una pagina personale che

diventa la propria vetrina, dove inserire

contenuti testuali, immagini, link,

i propri contatti e tutto ciò che ritiene

importante far sapere agli utenti della

rete.

- Essere inseriti nelle comunicazioni

del Movimento attraverso le newsletter

mensili che evidenzieranno la sezione

degli artisti.

- Partecipare alle mostre virtuali

calendarizzate in estate e autunno

2020 sulla piattaforma del Movi-

56

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


mento: si tratta di una grande novità

pensata esclusivamente per gli artisti

affiliati che potranno parteciparvi

esponendo fino a quattro opere a

mostra.

- La possibilità di attivare gratuitamente

un negozio online per l’anno

2020 grazie all’accordo con il partner

tecnologico italiano Donkey Commerce

nell’ambito dell’iniziativa Vo per

Botteghe WEB (questa opportunità è

chiaramente soggetta alla normativa

vigente per il commercio online).

Come fare per aderire?

Per aderire al Movimento Life Beyond

Tourism e iniziare subito a usufruire

dei servizi basta collegarsi al sito

www.lifebeyondtourism.org, nella sezione

Registrati adesso, scegliere il

profilo Artista, seguire le istruzioni

automatiche e inserire il codice sconto

artinourheart. La segreteria del Movimento

Life Beyond Tourism Travel to

Dialogue è disponibile a fornire assistenza

attraverso l’indirizzo email

info@lifebeyondtourism.org.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel

to Dialogue mette in pratica i princìpi

che la Fondazione Romualdo Del Bianco,

attraverso Life Beyond Tourism, ha definito

per la valorizzazione delle espressioni

culturali dei territori, per il dialogo tra

culture e la salvaguardia del patrimonio,

culturale e naturale, materiale e immateriale.

Tutelare le particolarità dei territori

significa avere a cuore lo sviluppo e la

protezione del territorio stesso, soprattutto

quello di appartenenza, e dare un

valore aggiunto a tutto ciò che dal territorio

viene creato. In quest’ottica il mondo

dell’arte e quello della produzione

artigianale hanno la grande opportunità

di farsi conoscere a livello territoriale,

nazionale e internazionale grazie al

Movimento Life Beyond Tourism Travel

to Dialogue e creare una rete di collegamenti

che vada oltre qualsiasi confine fisico.

«Il Movimento Life Beyond Tourism Travel

to Dialogue è a fianco degli artisti e

pensiamo che le iniziative rivolte al mondo

dell’arte possano tendere una mano

in questo momento di difficoltà - afferma

Carlotta Del Bianco, presidente del

Movimento Life Beyond Tourism Travel

to Dialogue -; crediamo fortemente che

il mondo dell’arte debba essere sostenuto

e incentivato, come tutte le attività

produttive del nostro territorio e ancor

più perché la creatività e l’ingegno italiano

sono da sempre stimolo di rinascita

in periodi di difficoltà».

Per gli artigiani e PMI

L’iniziativa dedicata agli artisti si va

ad affiancare a quella già in corso e

dedicata alle aziende piccole e medie

che prende il nome di Vo per

Botteghe WEB e che consente, tra le

altre cose, di creare un negozio online

e vendere i propri prodotti. Molte

aziende hanno già aderito al progetto

e, grazie al codice sconto voperbottegheweb2020,

usufruire dei servizi

del Movimento Life Beyond Tourism

Travel to Dialogue è gratuito per

tutto il 2020. Per approfondire l’argomento

basta andare sul sito del

Movimento, alla sezione Vo per Botteghe

WEB.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue

Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism ® , ideati

dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di creare una rete internazionale

che promuova il Dialogo tra Culture a ogni livello coinvolgendo

le espressioni culturali dei luoghi (residenti, viaggiatori, istituzioni culturali,

pubbliche amministrazioni, aziende, artigiani e tutti coloro che rispondono alle

esigenze del mercato). Si tratta di una vera e propria nuova offerta commerciale

incentrata sull’agire etico.

Per info:

+ 39 055 284722

company@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

57


B&B Hotels

Italia

Voglia di ripartire? #StayFlexi con B&B Hotels

di Francesca Vivaldi

B&B Hotels, la catena di smart hotel

con più di 500 hotel in 12 paesi

nel mondo e 41 strutture in

Italia, è pronta a ripartire più flexi che

mai. Solo su hotelbb.come, infatti, è possibile

prenotare al miglior prezzo senza

temere eventuali ripensamenti, grazie alla

proposta che B&B Hotels ha scelto di

adottare per i suoi clienti e per rendere

il viaggio di lavoro o di piacere flessibile

in base alle esigenze del momento attuale.

B&B Hotels Italia ha lanciato, infatti,

la speciale promozione #StayFlexi che

permette ai propri ospiti di organizzare

in tranquillità i prossimi viaggi, un weekend

di svago o un piccolo break dopo

tanto tempo passato in casa. Per tutte

le prenotazioni effettuate esclusivamente

su hotelbb.com, B&B Hotels Italia offre

la possibilità di cancellare la prenotazione,

ricevere un voucher del valore corrispondente

con validità 12 mesi, da poter

utilizzare nella medesima struttura con

eventuale adeguamento tariffario, in una

nuova data. «B&B Hotels Italia – afferma

Valerio Duchini, presidente e amministratore

delegato di B&B Hotels Italia

– si pone anche in questa circostanza a

totale disposizione della propria clientela,

al fine di rendere il soggiorno dei propri

ospiti nelle 41 strutture B&B Hotels

Italia una esperienza positiva e sicura.

Sono fiducioso che grazie a questo forte

senso di responsabilità e partecipazione

che ci contraddistingue, affronteremo il

futuro con positività e ottimismo».

58

#STAYFLEXI


B&B Hotels Italia

D

estinazioni, design, prezzo. B&B

Hotels unisce il calore e l’attenzione

di una gestione di tipo familiare

all’offerta tipica di una grande

catena d’alberghi. Un’ospitalità di qualità

a prezzi contenuti e competitivi, senza

fronzoli ma con una forte attenzione

ai servizi. 41 hotel in Italia. Camere dal

design moderno e funzionale con bagno

spazioso e soffione XL, Wi-Fi in fibra fino

a 200Mega, Smart TV 43” con canali

Sky e satellitari di sport, cinema e informazione

gratuiti e Chromecast integrata

per condividere in streaming contenuti

audio e video proprio come a casa.

Prenota da casa il tuo prossimo viaggio

senza preoccupazioni, solo con

B&B Hotels!

hotelbb.com

#STAYFLEXI

59


Arte e

gusto

A cura di

Elena Maria Petrini

Piatti gourmet da gustare con gli occhi

di Elena Maria Petrini / Foto Elena Maria Petrini e Maurizio Mattei

La relazione tra cibo e immagine

risale all’antica Grecia passando

poi al mondo etrusco e

quindi all’epoca romana dove venivano

raffigurati deliziosi banchetti. In epoca

altomedievale il cibo era considerato

un dono di Dio e si raffiguravano maggiormente

scene agresti e di trasformazione

delle materie prime: cibo come

nutrimento, quindi, e non fonte di piacere.

In epoca rinascimentale e barocca

gli alimenti tornano ad essere protagonisti

di opere artistiche e raffigurazioni

molto dettagliate e policrome, diventando

quindi un modello estetico. Ad

esempio, nella Pala di Brera di Piero

della Francesca, l’uovo sospeso al centro

del catino absidale e proiettato sulla

verticale della figura della Vergine è ricco

di significati filosofici e cosmologici.

Tra gli altri illustri artisti che si sono

cimentati nella raffigurazione del cibo,

troviamo Giuseppe Arcimboldo con le

sue figure antropomorfe, Giambattista

Tiepolo con il celebre Banchetto di Antonio

e Cleopatra, Giulio Romano con

il fastoso Banchetto nuziale di Amore

e Psiche e Caravaggio con le due versioni

della Cena in Emmaus. Per quanto

riguarda l’arte dell’Ottocento, vanno

ricordate le nature morte di Paul Cézanne,

Henri Matisse e Vincent Van Gogh.

Oggi, invece, il cibo viene raccontato

dalla fotografia in maniera quasi idealizzata,

mescolando

arte e scienza dell’immagine

nel genere definito

still life food

photography: collocati

all’interno di set opportunamente

allestiti,

i piatti gourmet vengono

resi appetitosi e

succulenti attraverso

l’uso sapiente di luci,

ombre ed effetti cromatici, il tutto in alta

definizione. Insomma, un cibo da assaporare

con gli occhi.

60

PIATTI GOURMET


Arte e

gusto

Francesco Minetti

L'arte di fumare il sigaro spiegata da un intenditore

di Elena Maria Petrini / foto courtesy Francesco Minetti - CCA e Cigar Club Matelica

Per Francesco Minetti, presidente

del Cigar Club Matelica Don

Alejandro Robaina e della Cigar

Club Association, pluripremiato “Hombre

Habano” nella categoria Comunicazione,

il sigaro è un’esperienza che

coinvolge tutti i cinque sensi e conoscerne

la storia permette di ottenere i massimi

risultati nella degustazione. La grande

passione di Minetti converge nella Cigar

Club Association, nata nel 1999 con slogan:

un’associazione di club, fatta dai

club, per i club. Si tratta, infatti, dell’unico

esempio mondiale di una sovrastruttura

che riunisce tutti i club di tre continenti,

Nord America, Europa ed Oceania,

con ben 120 club, di cui 30 stranieri. Nel

2000, Minetti conosce a Cuba Massimo

De Giovanni, molto noto nel mondo dei

sigari, e con lui entra a far parte dell’organizzazione

dell’Encuentro Amigos de

Partagas di Cuba, evento internazionale

dedicato ai sigari. Nel 2005 i cubani chiesero

ad entrambi di organizzare anche in

Italia un evento analogo. E così l’Encuentro

Amigos de Partagas en Italia di Matelica

diventa ben presto il secondo evento

al mondo più importante sui sigari, dietro

solo al Festival Habano che si svolge

a Cuba. Come presidente del Cigar club

Matelica Don Alejandro Robaina, Minetti

afferma: «Siamo il club più importante

d’Italia, dove da dieci anni promuoviamo

il concetto di associazionismo nella giusta

maniera, eliminando interessi e conflitti

e riportando il fumo lento del sigaro

e della pipa nella sua giusta collocazione;

infatti, abbiamo creato una “condivisione”

col primo club d’Italia di fumo lento

con la pipa, facendo crescere così il

numero dei club, da 15 a 120, all’interno

del Cigar Club Association (CCA). Quindi,

appartenere ad un qualsiasi club del

circuito CCA equivale ad esser associato

a tutti i club di sigaro della rete che vanta

quasi 9000 associati». Lo strumento

principe per la divulgazione delle attività

della CCA è la rivista Sigari!, di cui Minetti

è anche redattore, insieme a Nicola di

Francesco Minetti, presidente del Cigar Club Matelica Don Alejandro Robaina e della Cigar Club Association

Nunzio e Matteo Tornielli, con la direzione

di Franca Severini. «Quando si parla

di sigari in Italia − prosegue il presidente

− bisogna precisare che non si può

parlare di “Toscano” ma di “Kentucky

Italia”, perché oggi ci sono anche altre

manifatture nazionali ed altri esperimenti

che esulano dai canoni predefiniti, come

i modi Cuba, Caraibi e Kentucky, alcuni

dei quali si collocano proprio tra il modo

Caraibi e quello Kentucky. Ricordo, infine,

che il nostro club di Matelica propone

attività didattiche e serate formative

sul sigaro per spiegare che la degustazione

del tabacco va considerata come

un piacere dei sensi. Il 10% degli iscritti

non fuma ma partecipa comunque alle

attività sociali a tema enogastronomico, i

cui proventi vanno in beneficenza ad associazioni

come la Croce Rossa Italiana,

ProMatelica, agli asili nido comunali

e a sostegno di emergenze come quelle

dell’ultimo terremoto».

FRANCESCO MINETTI

61


Musica &

solidarietà

Donatella Milani

Un nuovo brano musicale e un corso di canto sui social

per sostenere la lotta al Coronavirus

di Serena Gelli / foto courtesy Donatella Milani

Nell’articolo pubblicato sullo

scorso numero, abbiamo visto

il contributo degli artisti

all’emergenza Coronavirus. Adesso

parliamo, invece, dell’iniziativa di solidarietà

di un’artista in particolare, la

cantante Donatella Milani, famosa per

il brano sanremese Volevo dirti, ma

anche compositrice di canzoni celebri

come Su di noi, interpretata da Pupo,

Ma non ho più la mia città e Piccoli già

grandi per Gerardina Trovato. Questa

volta, però, non ha scritto una canzone,

ma un sottofondo musicale ricco

di suspense per il racconto della scrittrice

colligiana Daniela Lotti intitolato

Il Coronavirus e l’Umanità. «L'idea

è nata − racconta Donatella − quando

mi sono avvicinata al pianoforte ed

ho iniziato a comporre, nota dopo nota,

una melodia che rispecchiava pienamente

tutte le sensazioni che stavo

provando in quel momento. Successivamente,

ho fatto ascoltare questa

musica a Daniela». Quest’ultima, rapita

da quegli accordi coinvolgenti, ha

iniziato a mettere, nero su bianco, le

emozioni ispiratele dalla melodia. E

così, parola dopo parola, il sodalizio

artistico ha preso forma, trasformandosi

in un breve racconto intenso e vibrante,

accompagnato da una musica

piena di pàthos. E' nato così il racconto

Il Coronavirus e l’Umanità, un testo

che ha particolarmente colpito Donatella

Milani convincendola a divulgarlo

attraverso un video diffuso prima

su Facebook e poi su tutti gli altri canali

social. L’intento è far riflettere chi

ascolta non solo sulle problematiche

legate al Covid-19, ma anche sulla situazione

climatica e ambientale globale.

I progetti della cantante non

sono finiti qui. Infatti, vista l'esperienza

collaudata sia sul palcoscenico

che come docente, ha organizzato

un corso di canto su Facebook per insegna

ai partecipanti le tecniche del

canto moderno.

Donatella Milani

Donatella Milani

62

DONATELLA MILANI


GRAN CAFFÈ SAN MARCO

Un locale nuovo e poliedrico, con orari che coprono tutto l’arco della giornata.

Perfetto sia per un pranzo di lavoro che per una cena romantica o per qualche

ricorrenza importante

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