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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
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Sommario maggio 2020
I quadri del mese
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Gabriel Diana, un etrusco contemporaneo
Il futuro della città secondo l’architetto Stefano Boeri
Una monografia per ricordare il maestro Alfio Rapisardi
Dalla storia dell’Isola di Pasqua il probabile futuro del pianeta
Massimiliano Corsi, artista del “tempo ritrovato”
Incontro con Anna di Volo, artista delle donne senza volto
Lucien Clergue, fotografo tra luci e ombre
Andrea Ciapetti: la bellezza nascosta nei dettagli
La vitalità della figura umana nell’opera di Mirella Biondi
Il realismo sperimentale di Salvatore Sardisco
Benessere della persona: come igienizzare le mani
Psicologia oggi: aiutare i genitori ad aiutare i figli
Dimensione salute: medici e infermieri, eroi del nostro tempo
Point Break, il film cult di Kathryn Bigelow
Robert Davidsohn, da Danzica a Firenze per amore della storia
Alain Barbero, la magia dell’incontro in uno scatto
Maria Grazia Fusi, emozioni tra colore e materia
Lo scoppio del carro, un’antica tradizione fiorentina
Sacro e profano nelle sculture mediterranee di Chris Ebejer
La “vita nuova” nel tempo della Quaresima
Fabbrica teatro: quale futuro dopo la pandemia
Un ricordo di Andrea Stella nell’intervista alla figlia Selena
Vita…vita, la rocambolesca autobiografia di Mauro Mari
Serenna Mannari, pittrice in cammino sulle orme dei grandi
Intervista a Cesare Prandelli, indimenticato allenatore viola
Sport e solidarietà da Bisceglie a Pontedera
Fondazione Luigi Tronci, custode dell’arte organaria a Pistoia
Alma Sheik: la pittura come inno alla vita
E-commerce: un’opportunità non priva di pericoli
Arte del vino: il gioco degli abbinamenti
500 artisti nella rassegna in onda su Toscana Tv
L’arte nel cuore con il Movimento Life Beyond Tourism
B&B Hotels Italia: #StayFlex, la promozione per ripartire
Arte e Gusto: piatti gourmet da gustare con gli occhi
L’arte di fumare il sigaro spiegata da Francesco Minetti
Donatella Milani, musicista in campo contro il Coronavirus
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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
In copertina:
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Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
Viale F. Redi 75 - 50144 Firenze
Tel. 333 3196324
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Anno 3 - Numero 5
Maggio 2020
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arte e cultura
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Testi:
Lucrezia Arfaioli
Laura Belli
Paolo Bini
Margherita Blonska Ciardi
Doretta Boretti
Fabrizio Borghini
Lorenzo Borghini
Erika Bresci
Viktorija Carkina
Jacopo Chiostri
Nicola Crisci
Maria Grazia Dainelli
Massimo De Francesco
Fabio Fanfani
Aldo Fittante
Serena Gelli
Nadia Gleonec
Stefano Grifoni
Stefania Macrì
Moravio Martini
Emanuela Muriana
Andrea Petralia
Lucia Petraroli
Elena Maria Petrini
Antonio Pieri
Isabella Pileio
Daniela Pronestì
Valter Quagliarotti
Barbara Santoro
Gaia Simonetti
Francesca Vivaldi
Foto:
Alain Barbero
Andrea Ciapetti
Lucien Clergue
Frank Georg
Franco Giomini
Giuseppina Maestrelli
Maurizio Mattei
Elena Maria Petrini
Silvano Silvia
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Musei nel
mondo
Gabriel Diana
Un etrusco contemporaneo
di Nadia Gleonec
Le sculture di Gabriel Diana impongono
una riflessione sullo
stile e sull’emozione che
suscitano ma anche sulla scomparsa
dell’accademismo perfettamente padroneggiato
dall’artista e sugli effetti
che questo ha avuto sulla sua anima.
Questa metempsicosi, l’artista “demiurgo”
Gabriel Diana l’ha compiuta
attraverso i suoi bronzi che sono diventati
snelli, longilinei, figure umane
simili alle sculture votive etrusche
nelle quali la “sublime” eco dell’anima
emerge per dare voce all’emozione
e alla sorpresa. Indubbiamente, egli
si è fortemente ispirato all’arte etrusca
e agli artisti di quel popolo antico.
L’universo dello scultore, leggero,
intenso e profondo, nasce dalla fertile
energia creativa della cultura greca
per trasformarsi poi in una fervida ricerca
del “sublime”. Diana forgia figure
in bronzo ridotte all’essenziale che
migrano poi sui suoi quadri della serie
Full Metal Painting oppure crescono
fino a diventare monumentali. Il suo
percorso artistico è il risultato di una
combinazione tra l’estetica etrusca e
quella greca antica, da questo dipende
la particolare espressività dei suoi personaggi.
Con gli anni, il maestro si è
allontanato dallo stile degli esordi per
immergersi nell’antico universo degli
etruschi, ritrovando così anche le proprie
origini toscane. Non si può parlare
degli artisti del secolo scorso o del
Ventunesimo senza prendere in considerazione
i lavori di Alberto Giacometti,
ai quali, spesso e volentieri, i critici si
compiacciono di attribuire un “sentore
etrusco”. In effetti, un aspetto accomuna
Giacometti e Diana: entrambi sono
stati affascinati da quel popolo antico,
dalla sua arte e, più in particolare, dalle
Tango argentino
Il maestro Gabriel Diana con l'opera monumentale Coppia abbracciata
L'Ombra della Sera, bronzo, III secolo
a.C., Museo etrusco Guarnacci, Volterra
L'Ombra di San Gimignano, bronzo, prima
metà del III secolo a.C., San Gimignano,
Museo Archeologico
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GABRIEL DIANA
Donna inginocchiata
sculture votive tra cui l’Ombra della sera
− ex-voto trovato a Volterra nel XVIII
secolo e così definito in seguito da Gabriele
D’Annunzio − è stata una rivelazione.
Ma questo aspetto è l’unico ad
avvicinare i due scultori. Se a prima vista
il viaggio artistico di Gabriel Diana
sembra calcare il percorso dello scultore
svizzero, una differenza fondamentale
li separa, e cioè l’arte del movimento.
Le opere di Giacometti, inconfutabilmente
rigide, sembrano pietrificate; è
Coppia a passeggio
questo rigore che dà forza alle sue opere.
All’opposto, i bronzi di Diana suggeriscono
una sensazione di movimento
e di vitalità dei gesti. In conclusione, la
sensibilità artistica di Gabriel Diana rispecchia
perfettamente la maestria degli
antichi artisti etruschi così vicini al
sentire moderno. Fortemente ispirato
da queste sculture votive e longilinee,
da queste “ombre” del passato che gli
sono sorprendentemente apparse come
se il tempo avesse vinto lo spazio, il
L'uomo che corre
maestro Diana mostra senza alcuna riserva
il suo percorso ispirato da una civiltà
nella quale il tempo ed il sublime
hanno lottato contro quel nulla che ci
vuol sempre dominare.
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5992, Route des Marines de Borgo
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L'ermafrodita etrusco, La figurina etrusca e Donna etrusca
Io e Te
GABRIEL DIANA
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I maestri dell'
architettura
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Stefano Boeri
Il futuro della città dopo il Coronavirus secondo
il celebre architetto del Bosco verticale
di Margherita Blonska Ciardi
Il celebre architetto Stefano Boeri
(Milano, 1956) è diventato negli
ultimi anni un archistar mondiale
soprattutto per la sua avveniristica progettazione
urbanistica e residenziale di
grossi centri metropolitani. Gli studi
di progettazione sono da sempre il suo
habitat naturale, essendo figlio della famosa
designer e architetto Cini Boeri,
storica collaboratrice dello studio di Gio
Ponti. Dopo la laurea in Architettura al
Politecnico di Milano e il dottorato di ricerca
in Pianificazione territoriale all'Università
di Venezia, Boeri intraprende
una carriera fulminea e strepitosa.
Professore ordinario di Urbanistica al
Politecnico di Milano, insegna contemporaneamente
in diversi atenei internazionali,
tra i cui Harvard e Cambridge, e
in città come Mosca, Rotterdam e Losanna.
Ha ricoperto anche la carica
politica di assessore alla Cultura del Comune
di Milano fino al 2013. Dal 2018
è presidente della Fondazione La Triennale
di Milano. Ai riconoscimenti internazionali
per le sue idee e la didattica si
aggiungono le importanti partecipazioni
al comitato scientifico dello Skolkovo
Innovation Center, polo di alta tecnologia
nei pressi di Mosca, e l'attuale direzione
di Future City Lab della Tongji
University di Shanghai, un programma
di ricerca e specializzazione che anticipa
la mutazione delle metropoli planetarie.
Parallelamente alla carriera accademica,
dal 1999 dirige lo studio milanese Stefano
Boeri Architetti (insieme con Gianandrea
Barecca e Giovanni La Varra) e
presiede da anni alcune riviste internazionali
del settore come Domus (2004-
2007) e Abitare (2007-2011). Nel 2013,
insieme all’architetto Yibo Xu, fonda lo
studio Stefano Boeri Architetti China
con sede a Shanghai, espandendo così
al mondo intero il suo concetto progettuale.
Quest’ultimo si rispecchia soprattutto
nelle visioni urbane dove viene
attribuita molta importanza agli spazi
aperti, con la realizzazione di diversi
waterfront - come a Napoli, Trieste,
Genova, La Maddalena, Doha, Marsiglia
e Salonicco - il cui intento è valorizzare
l’elemento vegetale come fattore di
connessione urbana e sociale. L’ideazione
del Bosco verticale nel 2014 − primo
prototipo di edificio residenziale
sostenibile con facciate ricoperte di alberi
e piante − e del successivo modello
di riforestazione metropolitana, che
concepisce la vegetazione come ele-
In primo piano, il Bosco verticale nel quartiere Isola a Milano (ph. courtesy artribune.com)
8
STEFANO BOERI
Il progetto di Boeri denominato Un fiume verde per Milano (ph. courtesy Stefano Boeri Architetti)
mento fondamentale dell’architettura
contemporanea, sono state le ultime
realizzazioni e proposte di Boeri per le
città del futuro. Realizzato a Milano nel
2014, il Bosco verticale ha ricevuto numerosi
riconoscimenti internazionali,
come l’International Highrise Award nel
2014 e il Best Tall Building Worldwide,
premio, quest’ultimo, attribuitogli come
più bel grattacielo al mondo. Purtroppo,
la recente pandemia ha interrotto la
vita sociale e produttiva di intere popolazioni.
Attualmente, lo studio Boeri ha
chiuso la sede di Shanghai ed è stato
costretto ad interrompere i lavori di forestazione
della città di Milano. Siamo
tutti disorientati e ci chiediamo come
sarà la nostra vita dopo questa drammatica
esperienza. A questo proposito,
Boeri ritiene che, almeno nel breve
termine, sarà difficile tornare alla vita di
prima; cambieremo le nostre abitudini
e conserveremo le distanze sociali e altre
precauzioni per diversi anni. A suo
giudizio, la prima cosa da fare in Italia
sarà ricostruire le infrastrutture come
ponti e strade per ragioni di sicurezza;
successivamente bisognerà adeguare
al nuovo stile di vita sia le scuole che
i trasporti pubblici come metropolitane,
treni e autobus, per garantire, attraverso
la maggiore frequenza di questi
servizi, la possibilità di mantenere il distanziamento
sociale. Per far questo
dovremo definitivamente abbandonare
l'utilizzo di fonti fossili e passare direttamente
ai mezzi elettrici e fotovoltaici,
visto che recenti studi dimostrano che
il Coronavirus si diffonde con più letalità
nelle aree maggiormente inquinate.
Questa pandemia è una rivolta della natura
contro gli abusi dell'uomo sull'ecosistema.
Progettando con il verde e
nel rispetto dell’ambiente, Stefano Boeri
ha anticipato i tempi. Egli è convinto
che i futuri luoghi di aggregazione saranno
gli spazi aperti; per questo motivo,
bisognerà riqualificare parchi, viali
e piazze per permettere la ripresa della
vita sociale in sicurezza, che potrà essere
garantita soprattutto all'aria aperta
e avendo il verde come elemento di
connessione. La ricostruzione delle abitazioni
abbandonate grazie alla riduzione
dell’eccessiva burocrazia aiuterà a
far ripartire l'economia nazionale, con la
successiva ripresa di tutti gli altri settori
produttivi come arredamento, moda,
eccetera. L'edilizia è un ramo trainante
dell’economia e da questa inizia il benessere
del paese. La visione di Boeri
come architetto ed urbanista si estende
alla previsione di un cambiamento di
rotta anche nel settore turistico, che secondo
lui s’indirizzerà sempre più verso
la scoperta del territorio locale. Per
questo motivo, bisogna riprendere la
cura dei piccoli borghi, riscoprendo l'Italia
rimasta nascosta fino ad oggi. Le
persone si sposteranno sempre di più in
maniera individuale, evitando il turismo
di massa dei grandi centri. Secondo Boeri
sarà soprattutto Roma la città che
offrirà in futuro maggiori sorprese, rilanciando,
con la sua bellezza intramontabile,
l'antico ruolo di caput mundi.
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STEFANO BOERI
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Personaggi
Alfio Rapisardi
Una monografia per ricordare, a quasi due anni dalla scomparsa,
la vita di un artista geniale e ribelle
Tra i sostenitori dell’iniziativa, Fabio Fanfani, amico ed estimatore del maestro
di Fabio Fanfani (tratto dalla monografia A.Rapisardi / Cavalcando, LoGisma editore, 2020)
La figura di Alfio Rapisardi appartiene
ai più chiari ricordi
della mia infanzia e della mia
giovinezza. La confidenza che aveva
con mio padre mi ha permesso di frequentarlo
per molti anni, durante i quali
gli scambi di piaceri fra di loro e le
sue visite all’Istituto Fanfani e a casa
mia hanno permesso che l’uno e l’altra
si arricchisssero di molte opere, alcune
delle quali vengono pubblicate in questo
libro per la prima volta. A lungo l’artista
ha rappresentato per me l’essenza
stessa del magister artis, che esercitava
il suo ruolo sia attraverso l’ingegno
e le grandi abilità manuali, sia con
la scanzonata filosofia della vita; nella
“fiorentinità” più tradizionale e parimenti
nell’apertura ad ogni forma del
nuovo. Nella carica di Decano del Corpo
Consolare di Firenze che attualmente
mi è dato di ricoprire, mi sento perciò
di rendere omaggio qui in particolare,
oltre che a quell’immagine del restauratore
del genio italiano di cui Alfio si è
sempre vantato, e oltre che al Rapisardi
quasi malapartiano, al toscano “maledetto”
che tutti continuiamo a portare
con simpatia nella mente e nel cuore,
anche all’osservatore dell’universo
mondo, al genio errante, sempre
in fuga e sempre di ritorno, al
viaggiatore. Alfio Rapisardi avvertì
soprattutto il fascino del “nuovo
mondo”. Viaggiò ancora giovane,
dopo le prime affermazione e appena,
dunque, le finanze glielo
permisero, a New York, dove sarebbe
ritornato almeno un paio di
volte, per soggiorni ugualmente
importanti, anche in età più matura.
Nell'81 espose alla Galleria
Barclay Simpson di San Francisco.
Rimase per quasi un anno tra
Los Angeles e Hollywood, dove il
suo nome e la sua personalità sono
ancora ben ricordati e vivi nella
memoria dei committenti (tra i
quali numerose personalità dello
spettacolo) e tra i proprietari delle
case e dei locali decorati allora
con i suoi quadri e i suoi dipinti
murali. Ma questo speriamo sia materiale
per un prossimo volume. Alla fine
degli anni di maggiore attività, secondo
un desiderio di scoperta e di conquista
di un nuovo mercato artistico, Rapisardi
si recò a Santo Domingo dove furono
Cavalcando...
allestite varie esposizioni dei suoi lavori
e dove svolse per diversi mesi anche
un’attività di insegnamento patrocinata
dal governo della Repubblica Dominicana.
Per il governo italiano, invece,
aveva curato l’allestimento del padiglione
nazionale nella
grande esposizione
di Sidney del 1967. E
sempre con un carattere
di rappresentatività
e in un’ottica di
ufficiale scambio fra
diverse culture, Rapisardi
presentò al pubblico
giapponese nel
1978, nella sala principale
del Palace Hotel
di Tokyo, un’enorme
opera scultorea in legno
realizzata proprio
lì, estemporaneamente,
dando di mazza e
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ALFIO RAPISARDI
di scalpello su una gigantesca
sezione di tronco d’albero
tra l’andirivieni di ospiti e
personale di servizio stupiti
e ammirati, come in una sfida
lanciata dall’estro italiano
e dall’eredità dei grandi artefici
del nostro Rinascimento
al calligrafismo e al naturalismo
della più nota tradizione
artistica del lontano
Oriente. Questi lunghi viaggi
conservarono tuttavia caratteri
quasi di mito, nel cuore
dell’artista e nell’immaginazione
di chi gli fu vicino.
Eccetto qualche ritaglio di
giornale, qualche foto formale
a cui Alfio, in ogni
caso, sapeva spesso trasmettere un
calore e una spontaneità imprevisti, la
maggior parte dei suoi incontri professionali
e umani in quelle occasioni continuarono
a pulsare vita solo nei suoi
racconti e si rianimavano, come anche
oggi accade nel testo di Nicoletta Lepri,
grazie a quelli degli amici più vicini.
Non si sapeva mai dove finisse il resoconto
e dove incominciasse la fantasia
dell’artista. Il quale, a un certo punto
della sua carriera, all’incirca a metà degli
anni Ottanta, smise di appuntare in
elenco le mostre e gli itinerari e si limitò
a ripercorrere anche quelli con il ricordo,
riferendo aneddoti, confidando
avventure e disavventure, alternativamente
ingigantendo o sdrammatizzando
nello sberleffo. Più documentati,
attraverso le testimonianze di colleghi e
mercanti d’arte, sono invece i viaggi europei,
in Inghilterra, in Svizzera, in Francia,
e specialmente nella Francia del sud
e sulla Costa Azzurra verso la quale Rapisardi,
chiamato a esporre i suoi lavori,
partì con l’intenzione e la sicurezza
di poter calcare nuovamente – come in
buona parte fece – le orme di altri grandi
artisti dell’Otto-Novecento che lì lo
avevano preceduto.
Cavalcando il Novecento, Alfio
Rapisardi (Firenze, 1929
- 2018), scultore e pittore, ripercorre
la strada dei grandi artisti
del Rinascimento, da garzone di bottega
a mostre nel mondo, riuscendo
sempre a trasformare in arte la sofferenza,
l’amicizia e la vita quotidiana,
senza scendere mai a compromessi
e rinnovando sempre questo legame
creativo con Firenze. Sin dalla giovane
età, Alfio Rapisardi inizia a coltivare
la passione per la scultura nello
studio di Donatello Gabrielli. Incontra
il proprio stile frequentando gli
studi artistici della città, osservando
le opere dei grandi. Dopo il ricovero
al nosocomio di San Salvi, dipinge
molti quadri ed espone per la prima
volta a Firenze, riuscendo così, nonostante
le tante sofferenze, a spiccare
il volo. Nel 1960, all’XIª edizione
del Premio Firenze - Fiorino d’oro, si
classifica terzo con la consegna del
premio nel Salone dei Cinquecento in
Palazzo Vecchio al cospetto delle autorità
cittadine. Dopo una
personale alla galleria San
Marco di Roma nel '61,
un’altra classificazione al
Fiorino nel 1962. Un periodo
di conferme per l’artista
e per la sua opera
che tocca talvolta anche
il tema sacro. Le vendite
gli consentono di lasciare
l’alloggio di via Guelfa
e di andare ad abitare nella
grande casa-studio su
due piani al numero 1 di
via Verdi. Il 1965 segna l’inizio di un
cambiamento sostanziale dovuto alla
disponibilità economica che la collaborazione
esclusiva con la galleria
fiorentina Santacroce e poi con la Spinetti
e l’attività ad ampio raggio di queste,
gli permettono. Dopo le esperienze
negli Stati Uniti e nella Repubblica Domenicana,
torna a Firenze e s’impone
come artista, collaborando con committenti
privati, fuori dagli schemi delle
gallerie d’arte. Si ritira così presso la
Alfio Rapisardi in una foto degli ultimi anni
casa di Borgo Sant’Apostoli 10, dove
continua a dipingere fino al 2015.
Nella primavera del 2016, è protagonista
di una due giorni celebrativa
intitolata Alfio Rapisardi. Opera – video
– testimonianze, patrocinata dalla
Compagnia degli Azzurri del calcio
in costume e tenuta nel chiostro della
basilica fiorentina di Santo Spirito.
A giugno gli viene tributata la vittoria
del bando Città di Firenze per il Palio
del calcio storico di quell’anno.
ALFIO RAPISARDI
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Corsi e ricorsi
storici
Una riflessione di Moravio Martini sulla storia
dell’Isola di Pasqua, paradigma del possibile
futuro catastrofico del pianeta
di Moravio Martini
La storia dell'Isola di Pasqua è
un avvenimento. Essa denuncia
non solo il crollo di una civiltà
di polinesiani estinta mille anni
fa, ma allude a noi, presentando paralleli
con il mondo moderno che, con
lo sfruttamento delle risorse, produce
effetti negativi che minacciano la
nostra esistenza. Da anni abbiamo
messo in crisi l'economia, abbiamo
sterminato specie, minato l'ecosistema
distruggendo l'habitat. Gli scienziati
sono concordi nel ritenere che
il destino del mondo sia giunto alla
fine (2050?). Addirittura Stephen
Hawking, lo scienziato malato di SLA
su cui è stato fatto il film La teoria del
tutto, prevede che “la specie umana
avrà un futuro in altri mondi dell'universo,
perché il rischio della distruzione
della terra è possibile”. L'Isola
di Pasqua era un microcosmo: la sua
estinzione è oggi un esperimento “in
vitro” di distruzione dei beni ambientali
sulla nostra terra. Distruggiamo le
risorse naturali, le materie prime e le
fonti energetiche, sottoponendole ad
uno sfruttamento intensivo. La biodiversità,
inoltre, espone al rischio di
estinzione specie animali e vegetali.
Cosa lasciamo alle generazioni future,
a coloro che ancora non ci sono?
Jacques Cousteau ha scritto: «I
diritti di coloro che ci succederanno
siano iscritti nei doveri
dei viventi». L'Isola di Pasqua,
un isolotto vulcanico in lingua
nativa chiamato Rapa Nui, ossia
“grande roccia”, è l'isola dell'Oceano
Pacifico vertice del triangolo
che con la Nuova Zelanda
e Tahiti delinea la Polinesia. Distante
3500 chilometri dal Cile
(al quale appartiene), l'isola
ha una superficie di 163,6 chilometri
quadrati, ossia grande
come l'Isola d'Elba. Per la sua
posizione geografica è detta anche
“l’ombelico del mondo” (te-pito-tehenua),
nome che attesta un passato
imperiale. L'Isola di Pasqua si chiama
così essendo stata scoperta appunto
il giorno di Pasqua del 1722 dagli
europei. E' famosa per i suoi megaliti,
grandi tronchi di pietra di tufo sovrastati
da cilindri colorati di rosso, di
notevoli dimensioni (da 3 a 10 metri
ed uno addirittura di 21 metri) e pesanti
molte tonnellate. Nell'anno 1000
circa, quando i polinesiani vi posero
piede navigando da ovest a est (contrariamente
all'esperimento del Kontiki
che voleva dimostrare da est a
ovest), l'isola era un paradiso naturale:
terra fertile ricca di foreste, cibo
abbondante della terra, del cielo,
del mare. Tale florida situazione determinò
una numerosa popolazione pacifica
divisa in 12 clan.
Grazie alle relazioni del capitano Cook
(1774-76) siamo a conoscenza del
contrasto tra i megaliti (Moai), grandi
sculture in pietra vestigia di un passato
glorioso, e la miseria della popolazione
dell'Isola di Pasqua di allora. Nel
1862 i bianchi dell'America del sud
(Cile, Perù, etc.) prelevarono dall'isola
oltre 1000 abitanti per la raccolta del
guano, oggetto di largo commercio.
Il guano è costituito dagli escrementi
degli uccelli marini e dei pipistrelli,
utile come concime in quanto ricco di
azoto, fosforo e potassio. I pipistrelli,
privati del loro ambiente, possono
causare virus mortali. I sopravvissuti
pasquensi, grazie all'intervento della
comunità internazionale, tornarono
alla loro isola ammalati di tubercolosi
e vaiolo. Tali mali portarono alla morte
di quasi tutta la popolazione. Anche la
lebbra era diffusissima e questa, con
altre malattie, provocò un vero etnocidio.
Tale disgraziata situazione creò
le condizioni per lotte intestine e favorì
la scomparsa del patrimonio culturale,
ossia il passato splendore di
questa civiltà testimoniato dalle grandi
sculture di pietra poggiate su piattaforme
cerimoniali e sepolcrali dette
“AHU”. I Moai avevano un profondo
significato religioso: si pensa rappresentassero
i capi succedutisi nell'isola
e i sacerdoti che dopo la morte erano
adorati a rango di divinità tutelari.
Tali reperti presuppongono l'esistenza,
in tempi assai remoti (1200 d.C.),
di una brillante civiltà con vie trionfali
verso il mare, templi e statue: il miracolo
dell’Isola di Pasqua! Agli occhi
del capitano Cook l'isola si presentò
brulla, senza alberi, desertificata, con
Veduta aerea dell'isola con in primo piano il cratere del vulcano Rano Kau (ph. courtesy www.isoladipasqua.it)
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ISOLA DI PASQUA
I Moai dell'Isola di Pasqua (ph. courtesy www.eventidalmondo.blogspot.com)
gli abitanti nudi, tatuati, coperti in vita
da cortecce di albero portate dal mare,
e con la maggioranza dei megaliti
abbattuti e stesi con la faccia verso
terra. Tale situazione disastrata fu la
conseguenza di lotte intestine tra i dodici
clan dell'isola, divisi in “orecchie
corte” e “orecchie lunghe”: chi vinceva,
abbatteva le sculture dei perdenti
e si abbandonava all'antropofagia,
dopo i topi e i crostacei.
L'isola è un sasso nell'Oceano Pacifico.
Il clima è caldo e i venti alisei forti
e costanti: un ammasso di roccia vulcanica
senza alcuna qualità e piena
di vulcani spenti. Durante la seconda
guerra mondiale, lo Stato cileno penso
addirittura di vendere l'isola alla
Germania nazista in cambio di navi da
guerra. Oggi, scienziati, storici, archeologi
e antropologi hanno dato all'isola
grande importanza, perché essa
riproduce gli stessi parametri ambientali
e sociali del nostro pianeta
attualmente. Nel tredicesimo secolo
circa, lo sfruttamento senza sosta delle
sue risorse e un enorme sviluppo
demografico distrussero l'ecosistema
dell'isola e rivelarono l'ascesa, il culmine
e il crollo della sua civiltà. Esempio
per comprendere la nostra società
e la relativa minaccia di scenari catastrofici
che potrebbero colpire il nostro
pianeta come allora l'isola.
I resoconti dei generosi missionari ivi
recatisi si soffermano a considerare la
popolazione dell'isola che si presentava
con rotoli di foglie ai lobi delle
orecchie e al naso, con folta barba e
lunghi capelli. L'alimentazione si basava
sui frutti della terra favorevole
solamente alla piantagione di patate
dolci, taro (tubero polinesiano simile
alla patata), ignami (tuberi ricchi di
amido e viti erbacee), banane e canna
da zucchero che i primi polinesiani,
venuti dall'ovest in canoa, avevano
portato con sé oltre a qualche pollo.
Si calcola che, coltivata integralmente,
l'isola potesse dare alimentazione
a 5000 abitanti. Non c'erano fiumi
e l'acqua era quella piovana dei laghi
creatisi sul fondo dei crateri. La cottura
dei cibi veniva fatta con il fuoco ricavato
sfregando un bastoncino entro
un solco aperto in un pezzo di legno.
Il cibo veniva cotto in forni lastrica-
ISOLA DI PASQUA
13
Primo piano dei celebri megaliti pasquensi
ti sul fondo e negli stessi forni si cuocevano
le parti prelevate dai cadaveri
dei nemici uccisi: prelibate le dita delle
mani e dei piedi. Le donne partorivano
accoccolate o inginocchiate e il
cordone ombelicale veniva annodato.
Si scrivevano “le tavolette parlanti”,
cioè tavolette lignee usate in occasioni
cerimoniali incise con andamento
bistofridico (da sinistra a destra e da
destra a sinistra).
Gustavo Zagrebelsky, nel suo piccolo
libro intitolato Senza adulti, descrive
in poche righe un efficiente ritratto
della nostra attuale situazione e quella
dell'isola di allora: «Le società della
crescita per la crescita, cioè la crescita
esponenziale, dimostrano che
la religione della crescita è come una
miccia a fuoco lento che, alla fine,
giunge al suo compimento. La prima
causa del collasso dell'Isola di Pasqua
sarebbe stata la deforestazione;
la foresta ospitava uccelli stanziali e
attirava uccelli di passo, forniva il legname
alle canoe per la pesca, difendeva
il territorio coltivato ad orto dalla
devastazione dei temporali tropicali.
La penuria dei fattori primi della vita
alimentò la rivalità e la guerra dei clan
(…), con l'assenza di cibo si arrivò
all'antropofagia. Le grandi statue erano
un simbolo della potenza artistica
e tecnologica ma per scalpellarle,
trasportarle e drizzarle occorrevano
tronchi d'albero e fibre di legname
per fabbricare le funi. L'isola fu
desertificata e parallelamente si eressero
pietre sempre più alte. Poi nella
guerra di tutti contro tutti, in parte
furono abbattute e spezzate. Quando
tutto fu compiuto, pensarono (gli abitanti)
ad una via di fuga ma il legno
per costruire le barche era già stato
usato per le teste di pietra». Concludendo,
scrive Diamond nel suo libro Il
collasso: «Quando gli indigeni, ossia
i pasquensi, si trovarono in difficoltà
non poterono fuggire né cercare aiuto
fuori dall'isola, come non potremmo
noi, abitanti della Terra cercare soccorso
altrove se i problemi dovessero
aumentare. Il crollo dell'Isola di Pasqua,
secondo i pessimisti, potrebbe
indicarci il destino della nostra umanità
nel prossimo futuro». Il turismo
ha fagocitato l'Isola di Pasqua immettendola
nel proprio circuito per soddisfare
la curiosità dei popoli attratti
dal mistero della sua storia e dei megaliti.
La curiosità e l'afflusso dei turisti
hanno determinato lo sfruttamento
dell'isola cambiandone le originali caratteristiche.
Di conseguenza, oggi lo
sfruttamento capitalistico ha provveduto
alla costruzione di un aeroporto
e alberghi moderni. Inoltre il Cile
sta progettando un'operazione di rimboschimento
e la creazione di un acquedotto,
necessità occorrenti per
soddisfare le esigenze turistiche in aumento.
La popolazione attuale, attratta
dal lavoro, è un coacervo di razze
e quella indigena una minoranza. Già
oggi e ancor più in futuro sarà difficile
riconoscere quel mondo fascinoso
che videro i primi colonizzatori. Per
lasciare una terra vivibile ai nostri figli
e a coloro che non sono ancora nati,
abbiamo il dovere di cambiare il mondo
e tornare a quello dei nostri nonni.
Occorre una legge internazionale che
condanni chi opera deforestazioni,
desertificazioni, inquinamento della
terra, del cielo e dei mari, e quindi una
legge che sia attenta alla biodiversità,
per lasciare che l'insieme degli esseri
viventi (animali e vegetali) interagiscano
fra loro in un ambiente sano.
Con l'attuale epidemia del Coronavirus
si può azzardare l'ipotesi che la
popolazione dell'Isola di Pasqua possa
essere stata attaccata anche da tale
morbo dovuto ai pipistrelli che, scrive
Danilo Russo sul Venerdì di Repubblica
“sono grandi serbatoi di virus” e,
quando entrano in noi, in alcuni casi
si adattano all'uomo e fanno sì che il
nostro sistema immunitario reagisca
in modo molto meno flemmatico producendo
un'infiammazione che causa
gravi danni. Evitare questi passaggi
sarebbe semplice, basterebbe lasciare
in pace i pipistrelli e il loro ambiente.
Proteggerli conviene: impollinano
le piante e fanno risparmiare miliardi
in pesticidi. Nel 2019, nel mondo
intero gli incendi hanno devastato 20
milioni di ettari di foreste. Le
immagini satellitari hanno accertato
incendi anche nell'Artico,
in Groenlandia, Siberia,
Alaska, Russia e Canada, oltre
che nell'Europa mediterranea.
Il riscaldamento globale, con
l'aumento della temperatura
e il riscaldamento della terra,
creerà maggiore rischio di incendio.
In Italia, nel 2019, due
grossi incendi nelle province
di Varese e di Como hanno distrutto
800 ettari di bosco. La
conseguente deforestazione
mondiale (tagli e incendi), eliminando
l'habitat delle specie
animali e in particolare quella
dei pipistrelli, ha costretto questi
ultimi ad un esodo di massa
verso le città e i loro parchi.
14 ISOLA DI PASQUA
A cura di
Daniela Pronestì
Occhio
critico
Massimiliano Corsi
Fotografia e pittura, linguaggi del “tempo ritrovato”
di Daniela Pronestì
Anni fa, in un saggio estetico
- sociologico sulla contemporaneità,
Gillo Dorfles
contrapponeva all’horror vacui dell’uomo
primitivo, cioè alla necessità dei
nostri antenati di colmare con i propri
segni − si pensi ai graffiti nelle caverne
− un mondo ancora vuoto di significati,
l’horror pleni di una società, quella in
cui viviamo, a tal punto satura di stimoli
sensoriali da neutralizzare quasi del tutto
le capacità percettive dell’individuo.
Capire come l’arte possa sopravvivere
a questa ipertrofia segnica che vede
protagonista in special modo la sfera
visiva, non è mera speculazione intellettuale.
Al contrario, diventa essenziale
ridefinire lo statuto dell’immagine in
un’epoca in cui l’iperreale precede e costituisce
il reale, azzerando così la dicotomia
tra autenticità e mistificazione,
fatto e feticcio. L’arte è chiamata oggi
al ruolo contraddittorio e ambivalente
del Giano bifronte, sospesa com’è tra
la necessità di accogliere le dinamiche
comunicative del presente − pena il rischio
di esserne sopraffatta − e il recupero
di valori ancorati al passato come
“garanzie” delle proprie specificità linguistiche.
La ricerca di Massimiliano
Corsi prende l’avvio da questi assunti
per operare una sintesi − fotografia
e pittura insieme − capace di riportare
l’immagine a farsi “evento”, e quindi tramite
di un’esperienza che segna un’interruzione
nei nostri schemi percettivi.
Potenza e persuasività dell’immagine
dipendono proprio da questo: dalla capacità
di traghettare lo sguardo in una
dimensione che trascende il mero “fatto
visivo” per aprire nuovi percorsi di senso.
E se, come in questo caso, l’artista
rinuncia alla nitidezza dello scatto fotografico
− e dunque anche all’equivoco
di una società che cerca nell’immagine
chiara e ben definita una conferma
di veridicità dell’immagine stessa − il risultato
è un totale spiazzamento di ogni
nostra aspettativa. Memorie di paesaggi
naturali, tracce di contesti urbani, vaghi
profili di figure: immagini che “accadono”
sotto i nostri occhi come fotogrammi
proiettati in rapida successione su
uno schermo. All’odierno culto dell’iperrealismo
fotografico, Corsi preferisce
la forza evocativa dell’indefinito,
riconoscendo in questa scelta il valore
poetico generato da quello che Leopardi
nello Zibaldone definiva “il piacere
dell’indeterminato”, il dolce naufragare
dello sguardo nella vaghezza di scenari
da vedere e interpretare con il filtro
dell’immaginazione. Ma non è tutto: ridurre
o cancellare la riconoscibilità del
soggetto significa anche risalire alle
strutture fondanti del linguaggio visivo,
ossia movimento, colore e forma, tre
valori che concorrono alla formazione
delle immagini nella mente. Un modo
per rendere l’osservatore consapevole
dei meccanismi percettivi, per riportarlo
al “cuore” della visione, ricordandogli
che l’immagine è sempre una verità in
fieri sia per chi mostra − in questo caso
l’artista − sia per chi guarda. E ancora:
movimento, colore e forma appartengono
tanto alla fotografia quanto alla
pittura, linguaggi che nell’opera di Cor-
si non si sovrappongono soltanto, ma
s’intrecciano come realtà specchianti e
reversibili. Al ritmo fluido delle forme
diluite, sdoppiate e moltiplicate con effetti
di mosso e sfocature, la pittura risponde
con lo sviluppo frammentato e
rapsodico di linee, geometrie, accordi e
contrappunti coloristici. Mentre la fotografia
smaterializza l’oggetto della visione
mostrandocelo come attraverso uno
specchio deformante − lo specchio deformante
della memoria, dell’è stato a
cui la fotografia sempre si riferisce −,
la pittura interviene a ridargli “concretezza”
riportandolo al presente, al “qui
ed ora” della percezione. L’invito rivolto
a chi osserva non è tanto individuare un
“contenuto” − che pure c’è e che spazia
dalla rilettura di miti classici a quella
di grandi capolavori dell’arte − quanto,
invece, insinuarsi con lo sguardo nello
spazio che intercorre tra immagine
e segno dipinto, tra immaterialità della
fotografia e corporeità della pittura. In
questo spazio mentale, il tempo rallenta,
si dilata, torna ad essere un tempo
vissuto qualitativamente e non più divorato
nella fruizione compulsiva delle
immagini attraverso i media. Potremmo
definirlo, parafrasando Proust, un
“tempo ritrovato”, una pausa immaginifica
che restituisce profondità all’esperienza
estetica. Un’occasione − sembra
dire Massimiliano Corsi − per riscoprire,
nell’epoca del “troppo pieno”, l’importanza
di un “vuoto” da riempire con
la ritualità creativa dell’arte.
www.massimilianocorsi.com
MASSIMILIANO CORSI
15
Incontri con
l’arte
A cura di
Viktorija Carkina
Anna di Volo
L’artista fiorentina si racconta ripercorrendo gli anni della formazione giovanile,
gli incontri decisivi e i passaggi stilistici di una lunga e importante carriera
di Viktorija Carkina
om’è nata la passione per l’arte,
hai fatto studi accademici
Cnell’ambito della pittura?
La mia passione per l’arte è nata dal
fatto che mio padre, mio nonno, mio
zio, insomma, tutta la mia famiglia erano
artisti. Avendo mio nonno fondato
la prima fabbrica di colori per le belle
arti d’Italia, fin da bambina, ogni tanto,
mi portavano in fabbrica ed io mi
divertivo a giocare con i colori. E allora
ho cominciato a disegnare. Per un
periodo ho frequentato l’Accademia di
Belle Arti, ma poi l’abbandonai, perché
capì che non mi serviva il diploma.
Prima di tutto non avevo nessuna intenzione
di andare a insegnare poiché
l’insegnamento è veramente lontano
da me. E poi, avrei imparato a dipingere
in ogni caso. Mi ricordo le parole
di mia nonna Anna Maria, che diceva:
«Non devi fare la pittrice, devi fare la
sarta. A fare i pittori si muore di fame».
Tutto sommato aveva ragione, salvo i
pochi eletti che riescono sopravvivere
facendo arte.
Menomale che hai seguito la tua
passione nonostante i consigli della
nonna...
Sì, esatto. Nella vita è una grande fortuna
riuscire a seguire quello che ti nasce
da dentro, dal cuore. Sono molto
fortunata.
Come ci si sente a crescere in una
famiglia dove il padre è un grande
artista?
Per la maggior parte della mia vita ho
avuto fortuna con i miei quadri, che
sono stati molto apprezzati. Ma ero
sempre la figlia di qualcuno o la nipote
di qualcuno, quindi mi sono sempre
sentita la seconda. Poi gli eventi hanno
cambiato la mia vita e con il passare
del tempo è aumentata la mia autostima.
Ora sono Anna di Volo.
Cosa ti ha aiutato a sconfiggere queste
insicurezze?
Le ho sconfitte nel momento in cui decisi
di dipingere per me stessa, non
cercando di accontentare gli altri. Mentre
prima, devo ammetterlo, cercavo di
dipingere quello che poteva in qualche
modo compiacere il pubblico. Mi ricordo
ancora quel giorno: ero appena tornata
da Londra, dove avevo incontrato
per una collaborazione Henry Moore, e
mi sono detta: «Basta, dipingo per me
stessa e mi devono accettare così come
sono».
Inizialmente hai riscontrato difficoltà
per quanto riguarda la comprensione
della tua arte da parte del
pubblico?
Devo dire di sì. Ho venduto tanti quadri
alla gente della moda e a tanti stilisti. Infatti,
grazie al loro sostegno, la loro fantasia
e il loro affetto ho trovato la forza
di andare avanti e continuare a dipingere.
Poi ho avuto la fortuna di incontrare
un grandissimo architetto che era Marzio
Cecchi, fratello di Pola Cecchi. Era
entusiasta della mia pittura e mi ha commissionato
tanti quadri, sia per la sua
collezione privata che per i suoi clienti.
Grazie a Marzio le mie opere sono finite
nelle più belle case del mondo, come per
esempio a New York e in Francia.
Fin dall’inizio il tuo percorso artistico
è stato caratterizzato dai volti
metafisici?
Purtroppo no. Inizialmente cercavo di
compiacere gli altri e realizzavo anche
veri e propri ritratti. Un giorno, stavo
facendo un ritratto ad una dottoressa
dell’ospedale di Santa Maria Nuova, e
Pierrot (2019)
mentre posava ho pensato: «Basta, non
faccio più ritratti». Quel giorno ho smesso
definitivamente. A tale decisione mi
portò la rabbia, perché mi resi conto che
in fondo ritrarre una persona, se non gli
leggi l’anima, è un’azione che rimane solo
a livello estetico.
Le tue opere hanno i volti non definiti.
E’ il richiamo ad una realtà metafisica
oppure così vuoi renderli universali?
Sono universali. Non vorrei metterci
un’etichetta. Senza volto io cerco di
trasmettere quella che è la mia emozione
e soprattutto gli altri possono vedere
quello in cui meglio credono.
Oltre al richiamo alla metafisica nella
tua arte sono presenti elementi d’oro,
le figure sono spesso inserite dentro
nicchie e i soggetti femminili, con
16
ANNA DI VOLO
le loro posizioni statiche, ricordano la
Madonna. Forse è un richiamo all’arte
sacra del Quattrocento del fondo
oro?
Sì, perché io amo molto la pittura bizantina,
fino ad arrivare appunto al Quattrocento.
Invece la pittura dal Cinquecento
in poi mi affascina molto meno, anche se
devo togliermi il cappello. I fondi oro attirano
la mia attenzione molto, come anche
le nicchie e i troni. Per me sono il massimo
della libidine. Forse sarà perché ho
origini bizantine.
Nelle chiese fiorentine troviamo molte
pale d’altare dell’epoca del fondo oro.
Forse si sono impresse nella tua memoria
fin da quando eri piccola e in seguito
hanno formato le tue preferenze
artistiche?
Assolutamente. Infatti, mio padre ogni
domenica mattina mi portava o nei musei
o nelle chiese. Lì mi spiegava tutti i quadri,
uno per uno. Questa tradizione nacque
all’età di cinque anni e proseguì fino
alle elementari. Mio padre mi dava pochi
abbracci, ma tanta consapevolezza e
tante conoscenze. Mi ha aiutato anche a
ritrovare la mia sensibilità artistica, introducendomi
diversi concetti filosofici. Aveva
intorno a lui un gruppo esistenzialista
del quale faceva parte tutta l'intellighenzia
fiorentina. Mio padre non è stato l’unico
in famiglia ad insegnarmi cose nuove,
lo faceva anche mio nonno, che mi regalò
Le vite di Vasari quando avevo solamente
dodici anni. Perciò, veramente, non sono
mai stata una bambina. Sto cercando
di diventarlo adesso; è difficile, però continuo
a provare.
Un'immagine della personale Le forme dello spirito nella Basilica di Santa Croce a Firenze nel 2014
Nonostante tuo padre fin dall’inizio
sia stato il tuo maestro sia del mondo
quotidiano che di quello artistico,
non lo si percepisce dai vostri dipinti.
Esatto, i nostri quadri sono molto diversi.
Abbiamo tante differenze anche a livello
tecnico, usiamo linguaggi diversi.
Mio padre lavorava solo a spatola, non
usava mai il pennello che invece è frequente
nella mia produzione artistica.
Ma soprattutto era una persona con un
animo sereno, e ciò si riflette nelle sue
opere.
Dopo vari dipinti raffiguranti soggetti
femminili, è nata la serie di quadri
con le maschere. Cosa ha favorito l’interesse
per questo tema?
Vengono fuori da una proposta dell'attore
Alessandro Calonaci che doveva fare
una pièce teatrale di Molière. Mi ha proposto
di realizzare delle maschere per
una mostra da tenersi il giorno dell’inaugurazione
della sua rappresentazione teatrale.
Non avevo mai fatto le maschere,
perciò questa proposta ha suscitato tanta
curiosità in me. Mi sono divertita da
morire. Mi piace molto. Queste maschere
le trovo deliziose e divertenti e continuo
a fare maschere anche serie, non
soltanto le colombine in riferimento a
Goldoni. Dietro queste maschere nascondo
qualcosa che ancora devo scoprire.
Stai già pensando a come sarà la tua
produzione artistica successiva?
Non lo so perché dipingo per istinto. Ora
dipingo le maschere perché mi intrigano,
ne ho disegnata una proprio stamani. Ho
fatto una figura di donna con
tanti libri davanti e sotto ai libri
ci sono le maschere. Il pensiero
dello scritto ha schiacciato
la maschera.
Ci sono delle mostre in programma?
Giullare (2019)
Stenterello (2019) Arlecchino (2019)
Assolutamente. Porterò le maschere
al Gran Caffè San Marco
dove ci sarà una saletta che
si intitolerà La sala delle maschere
con tutte le maschere
goldoniane.
ANNA DI VOLO
17
Spunti di critica
Fotografica
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Lucien Clergue
Il percorso di un’anima tra luci ed ombre
di Nicola Crisci / foto Lucien Clergue
Nato il 14 agosto del 1934 ad
Arles, in Provenza, alla fine
della guerra Lucien Clergue
scopre con grande sofferenza che un
terzo della sua città era stato distrutto.
A differenza di Robert Doisneau,
che nei suoi scatti lascia intravedere
un mondo lontano dalla verità con le
modelle abbracciate sui balconi parigini,
Clergue trasferisce in fotografia
il ricordo di un’infanzia difficile
e dolorosa. Cimiteri, rovine, cadaveri
di uccelli sulle rive del Rodano,
soggetti che raccontano la sua malinconia,
giustificando il bisogno di
trovare ispirazione in mezzo alle case
bombardate e nelle arene, quest’ultime
metafora dell’eterna lotta tra vita
e morte, tra il trionfo del matador e
la triste sorte del toro. Fondamentale
l’incontro con Pablo Picasso che
lo stimola a fotografare circensi,
acrobati e arlecchini e lo introduce
nell’ambiente artistico francese
dell’epoca. Abbandonati i soggetti
drammatici dei primi anni, inizia a fotografare
modelle nude adagiate sulla
sabbia e in riva al mare, trasformando
i loro corpi senza volto in simboli
di vita, fertilità e sessualità. Più tardi,
a New York, si cimenta in quello che
sarebbe poi divenuto uno
dei suoi lavori più celebri,
la serie dei “nudi zebrati”,
così definiti per
l’effetto ottenuto facendo
filtrare la luce attraverso
le veneziane, in modo
da “disegnare” sulla pelle
strisce luminose e in ombra,
proprio come in un
manto zebrato. Dal 1965
si dedica ad immortalare
il paesaggio della Camargue
a lui particolarmente
caro, tanto che nel 1976
gli dedica il libro fotografico
Camargue Secrète,
affidando alle immagini
il compito di restituire la poesia
di quei luoghi. Ispirandosi
all'astrazione di Edward
Weston, Ansel Adams e Minor
White, semplifica il paesaggio
in forme ed ombre per
suggerire all’osservatore, con
grande tensione emotiva, una
meditazione sulla vita e sulla
morte. Nel 1969, insieme allo
scrittore Michael Tournier e al
direttore del Musée Réattu di
Arles Jean-Maurice Rouquette,
fonda ad Arles il festival
Rencontres Internationale
de la Photographie, ricoprendo
il ruolo di direttore
artistico per ben 25 anni.
Ancora oggi il festival
continua ad essere
un evento di grande richiamo
per i cultori della
fotografia, influendo
non poco questo settore
a livello globale.
Clergue è morto il 15
novembre 2014 a Nimens.
Le sue fotografie
sono conservate in diversi
musei del mondo.
Derechaze del cordobes (Nimes, 1965)
Il violinista (Arles, 1954)
Dalla serie Nudo zebrato
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LUCIEN CLERGUE
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Obbiettivo
Fotografia
Andrea Ciapetti
La bellezza nascosta nei dettagli
di Maria Grazia Dainelli / foto Andrea Ciapetti
Andrea Ciapetti è il primo italiano
ad aver ricevuto la qualifica europea
di Fotografo Industriale
nel 2014 e il Master nel 2018. Questo tipo
di fotografia fatica ad essere considerata
un'arte, trattandosi di scatti realizzati
esclusivamente in ambienti industriali. Il
percorso fotografico di Ciapetti, iniziato
negli anni Ottanta, ci introduce nel mondo
dell'industria pesante e di quella meccanica,
descrivendo gli ambienti che caratterizzano
il sistema tecnologico e raccontando
una realtà molto complessa dove l’uomo è
protagonista. Il suo spirito di osservazione
si fa molto più acuto nelle immagini che
rappresentano pezzi meccanici, a volte di
grandi dimensioni. Sono scatti che stimolano
la fantasia dell’osservatore, inquadrature
fatte di linee e di curve che lasciano
spazio all’immaginazione e alla sorpresa.
Queste immagini favoriscono il coinvolgimento
emotivo e sensoriale di chi
guarda, invitandolo a scoprire la bellezza
nascosta nei dettagli, la "visione nel particolare".
Una ricerca espressiva che ruota
attorno a un sapiente uso della luce e
dell’inquadratura. La sua fotografia nasce
prima nei laboratori di Tecnica Moda e poi
al Nuovo Pignone nel reparto di officina
meccanica e nel laboratorio metallografico
dove è iniziata ufficialmente la sua carriera
di fotografo. In questo laboratorio si analizzavano
le composizioni dei metalli e si
fotografava con microscopi ottici ed elettronici
lavorando con pellicole di medio
formato e lastre per banco ottico. La passione
iniziale si trasforma in professione
vera e propria, decidendo poi di frequentare
il corso di fotografia tenuto dall'architetto
Aldo Bacherini, docente di fotografia
presso la Facoltà di Architettura
di Firenze, di cui poi Ciapetti
è divenuto collaboratore. Con il
passare del tempo, iniziano ad
arrivare i primi riconoscimenti
e alcuni suoi scatti diventano
copertine di riviste specializzate
(la prima nel 1983 Metallurgia
Italiana) e non. Realizza
campagne pubblicitarie per enti
pubblici e grandi aziende, tra
cui General Electric, Eni, Enel
e Federmanager. Nel 2012, in-
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Andrea Ciapetti
ANDREA CIAPETTI
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Ritratti
d’artista
Mirella Biondi
Segno e colore per catturare la vitalità della figura umana
di Jacopo Chiostri
Incontriamo Mirella Biondi, architetto,
insegnante e pittrice romana
di nascita ma fiorentina da lungo
tempo, anzi ora scandiccese, considerato
che da un triennio ha trasferito il
suo studio a Scandicci. Mirella Biondi è
stata insegnante, esercita la professione
di architetto dal 1978, anno di laurea
presso l’Università degli Studi di Firenze
con il massimo dei voti, ma da molto
prima dipinge; si è, infatti, diplomata
a Roma al liceo artistico nel 1963, e nel
1967 all’Accademia di Belle Arti di via
Ripetta dopo un triennio di studio sotto
la guida di artisti come Luigi Montanarini
per la pittura e Mino Maccari per
la litografia e l’incisione. Prima del trasferimento,
ancora giovanissima, nel
capoluogo toscano - dove si è sposata
-, aveva già avuto modo di farsi notare
nella città natale, partecipando tra le
altre, alle celeberrime esposizioni di via
Margutta e ad estemporanee organizzate
dall’Accademia di Belle Arti. Un ruolo
fondamentale l’ha poi avuto nella sua
Nudo, carbonella colorata, cm 48x65
vita, l’insegnamento. Prima all’attuale
ISIS “Vasari” per geometri di
Figline Valdarno, poi al Liceo scientifico
“Russel Newton” di Scandicci
come docente di Disegno e Storia
dell’arte, insegnamento svolto
in tandem con la libera professione
di architetto. Negli anni, in ciascuna
delle sue poliedriche attività,
la Biondi ha fatto riferimento a un
pensiero rigoroso, antidogmatico
e fecondo, con una produzione artistica
creativa e contemporanea.
«Ai miei allievi, futuri geometri,
spiegavo i rapporti tra volumi, spazi
e ombre; agli allievi dello scientifico
il perché, prima dell’avvento
della fotografia e del cinema, certi
artisti hanno più di altri impersonato
la propria epoca». In pittura,
gli impressionisti e gli espressionisti
- “perché sono i pittori che hanno dipinto
il sentimento” -, i macchiaioli, Picasso
specialmente per le tauromachie,
Goya per la drammaticità delle opere
Nudo, olio su tela, cm 45x59
Ritratto, inchiostro seppia di china, cm 24x31
sulla tragedia della guerra; in architettura,
Frank Lloyd Wright, che per primo
ha posto l’uomo in rapporto con
lo spazio architettonico, e Le Courbusier,
architetti artisti e grandi disegnatori:
sono questi i maestri amati dalla
Biondi. Tra i contemporanei
invece le sue preferenze
vanno a “coloro
che superano la fase fotografica
ed esprimono con
segni e vivacità forme e
colori, sia nella paesaggistica
che nella figurativa,
senza cadere nella riproduzione
di tecniche scolastiche
o fotografiche”. Per
quanto riguarda la pittura,
la sua predilezione va
poi alla figura. Il nudo, i
dipinti a olio, poi i ritratti
delle figlie ma anche di
ex allievi. I suoi soggetti
sono spesso esteticamente
imperfetti secondo
i canoni comuni. Ma, come
dice lei stessa, sono
ugualmente belli, nelle lo-
20
MIRELLA BIONDI
ro linee morbide, vivide, ricche di vitalità.
In alcune di queste opere l’influenza
di Maccari appare evidente, in altre si
apprezza prima di tutto la postura dei
soggetti e il segno, armonico e deciso
Studio di nudo, matita, cm 19x25
allo stesso tempo, che cattura la figura,
la imprigiona sulla tela, le conferisce
personalità. Sono opere realizzate
in tecnica mista, con gessetto e matite
ad olio macchiati da colori ad acquerello
o a tempera; anche
l'olio è adoperato con macchie
e sbavature, ed è un tipo
di pittura che richiede
una particolare attenzione,
perché privilegia all’impatto
immediato, una rappresentazione
colta, ricca di
rimandi che possiamo definire
classici in quanto ideali.
L’attività espositiva di
Mirella Biondi, dopo gli inizi
romani, è continuata in
località prossime a Firenze
e non solo; c’è stata per
esempio nella sua carriera
espositiva una bella esposizione
alla Loggia del Comune
di Assisi nel 1978,
fino alle esposizioni recenti
sotto l’egida di Toscana
Cultura, tra cui quelle alla
Limonaia di Villa Strozzi
e all’Educandato della SS. Annunziata,
e di recente anche a Simultanea Spazi
d’Arte. I quadri che la Biondi espone in
queste occasioni sono in genere datati,
in quanto le vicende familiari l'hanno
portata a ridurre la produzione pittorica;
sulle opere recenti spiega di essere
alquanto critica nei confronti di se stessa
e preferisce aspettare a mostrarle. Di
Maccari, artista eccentrico e provocatore
del quale ha sempre ammirato “la vena
satirica che emerge soprattutto nelle
litografie colorate”, ci racconta quanto
le diceva ai tempi dell'Accademia:
«Per inchiostrare le lastre dovrai sporcati
le mani, ci vogliono mani da operaio
e non da signorina». Un’esortazione
apparentemente di senso pratico, ma
anche un segno dei tempi: perché all’epoca
probabilmente non erano molte le
“signorine” che studiavano incisione, e,
infatti, la Biondi aveva dovuto vedersela
con qualche, diciamo, perplessità in famiglia
quando decise di dedicarsi a studi
artistici. E ci volle uno spirito ribelle
come il suo per averla vinta.
mirellabiondi38@gmail.com
Silenzio, olio su tela, cm 85x60
MIRELLA BIONDI
21
ILARIA
MALTINTI
Jewels
La
Bottega
Orafa
Viale Garibaldi, 3
53036 Poggibonsi (SI)
ilariamaltinti@libero.it
Ilaria Maltinti (La Bottega Orafa)
@ilariamaltinti
Ritratti
d’artista
Salvatore Sardisco
Quando la sperimentazione si fonde con il reale
di Isabella Pileio
Salvatore Sardisco è un artista nato
alla fine degli anni Cinquanta
che riceve gli spunti per la propria
produzione da un percorso di vita
duro che lo segna nel profondo. Resta
molto provato dagli anni trascorsi
in collegio, ed è proprio in quel periodo
che inizia ad avvertire la necessità
di rifugiarsi nell'arte: dipingere e disegnare
come strumento salvifico per
fuggire da una reclusione forzata, esteriore
e interiore, attraverso una potenza
espressiva sino ad allora sconosciuta, i
cui tratti, nitidi e decisi, si manifestano
sulla carta e sulla tela. Prende vita
così il suo percorso artistico: agli inizi
un giovane dotato di un talento innato
ma, tuttavia, ancora acerbo e indefinito,
con il quale si affaccia alla prima
analisi introspettiva dell’anima umana.
Egli, nello scorrere del tempo e nell'acquisire
le capacità che lo contraddistinguono,
si rivela interessato ai turbinii
del mistero, agli spiraliformi caratteri
dello spirito, alle energie che si liberano
intorno a tutte le creature. Salvatore
entra in contatto con il maestro Pietro
Annigoni, il quale sorpreso dalle sue
prime prove, lo invita presso la propria
bottega di giovani apprendisti. Ma
il sogno di proseguire la formazione
sotto le direttive del noto mentore svanisce
a causa della scomparsa del maestro.
Nonostante ciò, prosegue il suo
cammino artistico e da autodidatta cresce
ogni giorno contando su se stesso.
Sente esplodere la forza creatrice
che ricerca provando nuovi percorsi,
nuovi progetti d’arte e nuove tecniche
di esecuzione. Cavalcando l’irrazionale
nasce il “linearismo continuo”, un gioco
di linee definite a biro che aleggiano
e si muovono sul foglio senza mai
un'interruzione, dando vita alla forma
che schiamazza e si perde strutturando
concetti, volti e nuvole di pensieri
materializzati. Sperimentazione, questa,
esibita in più periodi della sua vita,
a volte con l'ausilio di un semplice supporto
bianco, altre visitata da sprazzi di
cromatura allegra. In una fase differente
della sua vita artistica, incontra volti
evanescenti consumati nella luce ambrata
e calda che li circonda e tracciati
a olio su tela. Emergono dall’ombra,
svaniscono la nitidezza e i tratti continui
dei profili ma restano incisi sguardi
intensi che attraversano lo spettatore,
abbagliato da occhi fiammanti che non
si dimenticano. A un periodo più recente
corrispondono i nuovi studi di volti,
non più immagini di ricordi imprecisati
ma anime che vibrano di luce reale e
accesa. Sulla base di fotografie, l'auto-
re apre al mondo la convulsione dei colori
fiammanti, dei gialli squillanti, dei
verdi intensi. Nuove occasioni espressive
toccano la figura umana concentrandosi
sui volti che sovrastimolano
la sua analisi indagatrice. Sono immagini
che esprimono la loro bellezza intesa
come perfezione della forma, ma
sono anche prototipi di una condizione
sociale: emarginati, volti noti o sconosciuti
che riflettono la sofferenza della
propria anima. E’ il caso degli ultimi tre
lavori del pittore, Dama col bassotto,
Geisha e Adolescenza negata, eseguiti
a olio su tela tra la fine del 2019 e l’inizio
del 2020. La prima opera inneggia
alla bellezza: con i capelli avvolti da un
panno di velluto verde, la figura femminile
sovrasta con maestosità lo spettatore,
mentre la sua cute vibra di tocchi
leggeri e delicati, gettando volutamente
uno sguardo al passato che riecheggia
la Dama con l’ermellino di Leonardo e
la Ragazza col turbante di Vermeer. Le
altre due figure sono invece espressione
di una condizione sociale che mercifica
l’immagine femminile: la Geisha
si esprime con riserbo; compressa nel
verde della veste, ha imparato con eleganza
la seduzione e l’obbedienza. Una
luce intensa bagna il suo volto candido
in attesa dell’iniziazione. Adolescenza
negata guarda con occhi
accusatori un’umanità
che appare senza intervenire,
trasformando il martirio
di una giovane donna
di colore in una violenta
lacerazione dell’anima
che trova modo di imprimersi
meglio attraverso
una lacrima che scava la
pelle come una ferita irreversibile.
Dama con bassotto (2019 - 2020), olio su
tela, cm 100x70
Geisha (2020), olio su tela, cm 50x70
Adolescenza negata (2020), olio su tela,
cm 50x70
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23
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A cura di
Antonio Pieri
Benessere e cura
della persona
Come igienizzare le mani anche senza
acqua e sapone
di Antonio Pieri
L’igiene delle mani è molto importante,
poiché quest’ultime
sono il principale veicolo in
grado di trasmettere batteri e germi alle
mucose di bocca, naso e occhi. Esistono
in commercio disinfettanti per
mani, antibatterici profumati e gel igienizzanti
pensati per essere portati con
sé, da tenere comodamente in auto o
in borsa. La loro funzione principale è
quella di eliminare batteri e virus dalle
mani quando non è possibile lavarle.
In questo momento così complesso e
in cui in misura ancor maggiore l’igienizzazione
delle mani risulta essere decisiva,
Idea Toscana propone un nuovo
gel idroalcolico per la pulizia e l’igiene
delle mani, semplice da usare e sicuro.
Distribuito sulle mani asciuga rapidamente
lasciando la pelle pulita, fresca
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per risolvere in ogni momento il
problema della pulizia delle mani quando
acqua e sapone non sono disponibili:
fuori casa, in treno, in autobus o
tramvia, in qualsiasi momento sia necessario
igienizzare le mani. Il Gel Mani
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in peso, ovvero 65 grammi di alcool
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che garantisce sicuramente l'eliminazione
di germi, batteri e virus dalle
mani in situazioni dove non è possibile
utilizzare il sapone.
Molto semplice e rapido usarlo: basta
erogare il prodotto direttamente sulle
mani distribuendolo su tutta la loro superficie
fino a quando non risulta completamente
assorbito. Si usa da solo,
senz’acqua e senza bisogno di risciacquo.
Quando siamo a casa, le cose cambiano:
in ambiente domestico, infatti,
basta lavare bene le mani con acqua
corrente e saponi liquidi naturali che,
grazie alla bilanciata formulazione, possono
essere tranquillamente usati più
volte nell’arco della giornata, garantendo
la massima affidabilità e sicurezza
anche su pelli sensibili e irritate.
Per gli amanti della saponetta solida è
consigliato l’uso del Sapone di Marsiglia
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virtù dei saponi naturali ed è emolliente,
lenitivo, idratante, delicato e deterge in
modo semplice ed efficace. Le straordinarie
proprietà detergenti di questo sapone
lo rendono particolarmente adatto
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Infine per riparare le nostre mani da
screpolature e arrossamenti provocati
dall’uso degli igienizzanti a base alcoolica
e dai saponi, si consiglia una buona
crema nutritiva mani e unghie per proteggerle
ed idratarle a fondo in modo
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Antonio
Pieri
Nato a Firenze nel 1962, Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda
il Forte srl e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
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che hanno come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP
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alle sue eccellenze, è somelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
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Antonio Pieri
IGIENIZZARE LE MANI
25
Psicologia
oggi
A cura di
Emanuela Muriana
Aiutare i genitori ad aiutare i figli
di Emanuela Muriana
Sulle dinamiche tra genitori e figli si
può affermare: «Dimmi come funziona
la tua famiglia e ti dirò chi
sei»; ma vale anche l’inverso: «Dimmi
chi sei e ti dirò in che famiglia vivi». Non
sempre è così lineare, ma circolare sì. Anche
nel sistema famiglia ognuno influenza
ed è influenzato dagli altri. Le relazioni
dentro le famiglie si evolvono come le
società e gli individui, influenzandosi reciprocamente.
Negli ultimi decenni si è
assistito ad un grosso interesse per le
discipline psicologiche, sociali e mediche
nei confronti delle dinamiche della
famiglia e del ruolo del parenting, cioè
del ruolo dei genitori nello sviluppo sano
dei figli, sia mentale che comportamentale.
Da qui ne è derivata una numerosa
letteratura scientifica, anche se si tratta
per lo più di testi che non offrono indicazioni
chiare, concrete ed applicabili dai
genitori per aiutare i figli quando questi
mostrano difficoltà o talvolta vere e proprie
patologie. Il Centro di Terapia Strategica,
attraverso la collaborazione dei
ricercatori coordinati dal direttore, ha
pubblicato il libro Aiutare i genitori ad
aiutare i figli, esito di una ricerca durata
dieci anni con l’obiettivo di offrire una
mappa che metta in evidenza gli ostacoli,
i problemi frequenti, le tattiche e le
strategie finalizzate a sciogliere nodi relazionali
apparentemente impossibili. E’
un manuale di pronta consultazione che
permette subito
di chiarire se
si tratta di una difficoltà o già di un problema
psicopatologico. L’esposizione è
suddivisa per fasce di età, a partire dal
periodo prenatale, durante il quale prende
l’avvio il ruolo genitoriale e le possibili
complicazioni connesse. Vengono poi
passate in rassegna tutte le caratteristiche
dello sviluppo seguendo i manuali di
psicologia del ciclo di vita. Quindi, non
solo le fasi di crescita infantile e dell’adolescenza
ma anche oltre, fino a quando
il ruolo dei genitori si debilita, le parti
s’invertono e i figli diventano i loro responsabili.
Una delle caratteristiche della
Psicoterapia Breve Strategica è quella di
prevedere una modalità di intervento del
tutto originale: intervenire indirettamente
attraverso i genitori con i bambini sotto
i dodici anni. Le motivazioni prioritarie
sono diverse: la giovane età non permette
al bambino di collaborare consapevolmente
e di utilizzare efficacemente
le indicazioni del terapeuta. Primum non
nuocere, diceva già Ippocrate, e quindi
evitare l’etichettamento diagnostico e
anche la frequentazione clinica se non indispensabile.
I genitori vengono responsabilizzati
– e non accusati, anche se
sono parte del problema − a collaborare
nel ruolo di co-terapeuti; questo permette
loro di intervenire puntualmente,
con prescrizioni mirate, per interrompere
ciò che mantiene il problema. La collaborazione
dei genitori ci permette, fin
da subito, di indagare e intervenire le dinamiche
familiari, spesso disfunzionali,
sia come causa che come esito del problema
del bambino. Il loro puntuale intervento
quotidiano, sia di relazione che
specifico sul sintomo, aumenta l'efficacia
del trattamento e ne riduce i tempi,
sia per problemi di poca entità che per
disturbi più seri, evitando così che il terapeuta
incontri il bambino. I problemi
frequenti nel bambino sono: paure, disturbi
del sonno, enuresi, ansia da prestazione,
fobia scolare, mutismo elettivo
o selettivo, disturbo ossessivo-compulsivo,
disordini alimentari, disturbo oppositivo-provocatorio.
Dopo “amare”, il
verbo “aiutare” è il più bello del mondo,
e farlo in maniera efficace serve molto
anche ai genitori che ritrovano la loro naturale
funzione.
Emanuela
Muriana
Emanuela Muriana vive e lavora prevalentemente a Firenze. E’ responsabile
dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge
attività clinica e di consulenza. Specializzata al Centro di Terapia Strategica
di Arezzo diretto da Giorgio Nardone e al Mental Reasearch Institute di
Palo Alto CA (USA) con Paul Watzlawick. Ricercatore e Professore della Scuola
di Specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica (MIUR) dal
1994, insegna da anni ai master clinici in Italia e all’estero. E’ stata professore
alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Siena (2007-2012)
e Firenze (2004-20015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili
sul sito www.terapiastrategica.fi.it
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055-242642 - 574344
Fax 055-580280
emanuela.muriana@virgilio.it
26
GENITORI E FIGLI
A cura di
Stefano Grifoni
Dimensione
Salute
Medici e infermieri, eroi del nostro tempo
di Stefano Grifoni
Non eravamo pronti ad affrontare
un periodo così duro di
isolamento sociale e reclusione
in casa, uniti dall’incertezza di
quando tutto finirà. L’impossibilità di
mantenere il proprio stile di vita e la
propria libertà suscita nel nostro animo
emozioni complesse e anche frustrazioni,
la paura di rimanere senza
cibo o senza farmaci, di rimanere soli.
Si comincia a pensare che l’economia
crollerà, che perderemo il lavoro,
che qualche persona a noi cara non ce
la farà. Una cosa è certa che qualunque
siano i nostri dubbi e le nostre incertezze
non saremo più gli stessi. I
sanitari nei Pronti Soccorso
lavorano instancabilmente
per soccorrere le
persone con febbre e difficoltà
respiratorie. Qualcuno
non ce la farà specie se
è vecchio e malato. Medici
e infermieri irriconoscibili
nelle loro tute non hanno
il tempo per pensare
alla loro esistenza. Devono
salvare la vita degli altri a
rischio della loro. Oggi sono
definiti “eroi”. Speriamo
che domani qualcuno
non se lo dimentichi.
ph. courtesy doppiozero.com
La professione medica tra scienza e vocazione
di Daniela Pronestì
Lo sforzo richiesto ai medici
nella situazione di emergenza
legata al Coronavirus,
sembra confermare la “vocazione”
che secondo il pensiero comune è
requisito indispensabile per esercitare
questa professione. Se alla base
della scelta di diventare medico
non ci fosse qualcosa in più della sola
passione scientifica, e quindi doti
di umanità e di generosità verso il
prossimo, sarebbe quasi irragionevole
andare incontro alle enormi responsabilità
e al notevole impegno anche
psicologico che questa professione richiede,
spesso imponendo condizioni
di lavoro non del tutto gratificanti. Tra
i dati più tragici emersi in seguito alla
diffusione del Coronavirus, vi sono
senz'altro le gravi carenze della sanità
italiana, con ospedali privi della strumentazione
necessaria, pochi medici e
altrettanto pochi infermieri ad affrontare
un evento di questa portata. Il me-
dico deve conservare un equilibrio
molto difficile tra bisogni del malato,
dettami della scienza, strumenti a disposizione
e propensione empatica.
Ma è anche vero che tutto questo lo
impara a proprie spese, perché nessuno
gli insegna a reggere un simile
carico. E questo, a lungo andare,
può tradursi nella difficoltà a mantenere
viva nel tempo l’iniziale “vocazione”.
Forse, quando l’emergenza
della pandemia sarà finita, occorrerà
riflettere anche su questo.
Stefano
Grifoni
Nato a Firenze nel 1954, Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del Pronto
Soccorso dell’Ospedale di Careggi e sempre presso la stessa struttura è direttore del Centro di Riferimento Regionale
Toscano per la Diagnosi e la Terapia d’Urgenza della Malattia Tromboembolica Venosa. Ha condotto numerosi
studi nel campo della medicina interna, della cardiologia, della malattie del SNC e delle malattie respiratorie e
nell’ambito della medicina di urgenza. Membro del consiglio Nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza,
è vice presidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per
Guglielmo e membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze. Ha pubblicato oltre 160
articoli su riviste nazionali e internazionali nel settore della medicina interna e della medicina di urgenza e numerosi testi
scientifici sullo stesso argomento. Da molti anni collabora con RAI TRE Regione Toscana nell’ambito di programmi
di medicina, con il quotidiano La Nazione e da tre anni tiene una trasmissione radiofonica quotidiana sulla salute.
MEDICI E INFERMIERI
27
Patrocini
Regione
Umbria
Provincia
di Perugia
Comune di
Città di Castello
Società
Dante Alighieri
PREMIO LETTERARIO
CITTÀ DI CASTELLO
XIV edizione 2020
RISERVATO A OPERE INEDITE DI NARRATIVA - POESIA - SAGGISTICA
Composizione della giuria
Presidente Alessandro Quasimodo Attore teatrale e critico
Giurati Osvaldo Bevilacqua Giornalista RAI e conduttore di programmi televisivi
Anna Kanakis Scrittrice e attrice – Antonio Padellaro Giornalista e scrittore
Alessandro Masi Segretario Generale Società Dante Alighieri
Luciano Monti Scrittore e docente LUISS “Guido Carli” – Maria Borio Scrittrice e ricercatrice
Claudio Pacifico Ambasciatore d’Italia – Francesco Petretti Scrittore e autore di documentari
Marinella Rocca Longo Docente Università “Roma Tre” – Giovanni Zavarella Critico letterario
Informazioni e bando sul sito www.premioletterariocdc.it
Facebook Premio letterario ‘Città di Castello’
L’Associazione Culturale Tracciati Virtuali devolve la quota d’iscrizione
a favore del Presidio Ospedaliero di Città di Castello
come contributo per la grave emergenza sanitaria
Organizzazione
In collaborazione con
A cura di
Lorenzo Borghini
Il cinema
a casa
Point Break
Il film di Kathryn Bigelow considerato un cult degli
anni Novanta
di Lorenzo Borghini
Siamo in California, a Los Angeles
e una banda di malviventi
spadroneggia nelle rapine
in banca. Sono in quattro e vengono
chiamati gli “ex presidenti” perché
indossano le maschere di Carter,
Reagan, Nixon e Johnson. L'FBI non
sa più dove sbattere la testa poiché
la teoria dell'agente Angelo Pappas
(Gary Busey di nuovo alle prese con
il surf come in Un mercoledì da leoni)
per la quale gli “ex presidenti” sarebbero
dei surfisti, viene considerata
una follia. Con l'arrivo a Los Angeles
di Johnny Utah (un giovanissimo Keanu
Reeves) l'indagine viene rispolverata.
Utah crede al collega Pappas
e dopo aver trovato l'aggancio perfetto,
la surfista Tyler, si fa allenare
giorno e notte entrando piano piano
nell'ambiente. Qui conosce Bodhi
(un grande Patrick Swayze), surfista
e capo della banda. Point Break è un
film d'azione – forse uno dei migliori
del genere – ma prima ancora è il
film dei quattro elementi: acqua, fuoco,
terra, aria. L'acqua è l'elemento
portante del film, la madre di tutte le
cose e proprio per questo lo apre e
lo chiude in modo ciclico e perfetto.
L'acqua dà la vita, ma la può anche
togliere da un momento all'altro.
Il fuoco ha un aspetto miscellaneo
in Point Break. E’ un fuoco oscuro e
romantico che si fonde tra falò sulla
spiaggia, colpi di pistola e lanciafiamme.
La terra è il collante di tutto,
il suolo calpestato da Bodhi e Utah è
lo stesso che calpestiamo ogni giorno,
un terreno accidentato fatto di
continui inseguimenti, che se non
sono testa a testa con la polizia sono
testa a testa con noi stessi, che
ci portano a trasformarci di volta in
volta alla ricerca di un barlume di felicità,
proprio come i
due protagonisti. Ed infine
l'aria. Un elemento
che affascina molto
la banda degli “ex presidenti”,
così tanto da
essere uno dei principali
motivi delle loro rapine,
perché lo skydiving
è un vizio molto costoso,
e insieme al surf è
l'unica cosa che li rende
davvero vivi. Point Break
è quindi un film sugli
elementi, ma anche
sull'amore. L'amore per
la vita, per il pericolo,
per una donna, ma anche
per un amico. Perché
di amore si deve
parlare se si vuole analizzare
il rapporto tra
Utah e Bodhi. I due s’incontrano
ed intrecciano
le proprie esperienze
in un nodo indissolubile,
un nodo che non si
romperà neanche quando l'uno scoprirà
il mestiere dell'altro, in quell'inseguimento
capolavoro, che è anche
una delle scene più belle del film,
in cui Utah in una corsa disperata
si farà male ad una gamba, lasciando
scappare Bodhi che, girandosi,
lo guarderà da lontano con un'arma
puntata contro, una pistola che
non potrà mai esplodere quel colpo,
perché sparando Utah potrebbe recidere
quel cordone ombelicale che
lo lega a Bodhi e alla sua nuova vita.
Un amore platonico, quindi, inteso
come moto dell'animo, un po'
come il surf in cui “prima ti perdi e
poi ti ritrovi”. Point Break è un punto
di rottura, proprio come quello in cui
si rompono le onde. E’ un film che
rappresenta alla perfezione gli anni
Novanta, insieme a tutte le insicurezze,
i turbamenti, i sogni e il malessere
di quella generazione. La regista
Kathryn Bigelow si trova a suo agio
con le scene d'azione mostrando una
capacità narrativa fuori dal comune,
una mente pienamente cosciente
che sviscera il nucleo del film in
più sottonuclei, evidenziando un lato
filosofico di norma estraneo ai
film d'azione. Point Break, a distanza
di quasi trent’anni, insieme a Strange
Days, rimane il film migliore della
Bigelow. Un film a cui non manca
niente, è tutto perfetto, basta lasciarsi
trasportare dalle onde del mare.
POINT BREAK
29
Letterati stranieri in
Toscana
A cura di
Massimo De Francesco
Robert Davidsohn
Da Danzica a Firenze per studiare la storia della
città del giglio
di Massimo De Francesco
Targa in ricordo di Robert Davidsohn posta nel 2003 a Firenze, in via dei Della Robbia 68, dove lo storico abitò dal 1903 al 1923
Robert Davidsohn nasce a Danzica
nella Prussia orientale
(l’odierna Polonia) il 26 aprile
del 1853 da famiglia di mercanti
ebrei. Da giovane non frequenta
il ginnasio per motivi di ristrettezze
economiche e inizia a lavorare, fino
a quando il fratello George gli dà
la possibilità di studiare al Königlichen
Realgymnasium di Berlino, che
lascia però dopo solo due anni nel
1866. Qualche anno dopo, nel 1868,
suo fratello fonda a Berlino la Berliner
Börsen-Courier, una rivista finanziaria
di orientamento liberale che si
occupa di titoli quotati in borsa, economia
e cultura dove il giovane Robert
continua il percorso giornalistico
già avviato presso un giornale finanziario
di Francoforte. Nel 1880 sposa
la cantante lirica Philippine Collot con
la quale condividerà il resto della vita.
La carriera giornalistica giunge al
termine nel 1884, anno in cui pubblica
il suo Vom Nordcap bis Tunis. Reisebriefe
aus Norwegen, Italien und
Nord-Afrika, opera nata da una comunicazione
epistolare in cui racconta i
suoi viaggi in Norvegia, Svizzera, Inghilterra,
Romania, Danimarca, Tunisia
e Italia, dove soggiorna più a lungo
degli altri paesi. E' grazie a questa
permanenza che Davidsohn matura la
decisione di tornare nel nostro paese,
precisamente a Firenze, dove resiede
brevemente in via della Pace. E’ il
1886 e, nell’estate dello stesso anno,
a seguito dei suggerimenti dello sto-
rico Ferdinand Gregorovius, Robert
s’iscrive all’Università di Heidelberg,
dove si laurea in Storia due anni dopo.
L’anno successivo, si trasferisce
definitivamente a Firenze con la moglie
Philippine, soggiornando prima
in viale Regina Vittoria per poi trasferirsi
in via dei Della Robbia, dove
oggi è posta una placca in marmo in
sua memoria. Durante la prima guerra
mondiale è costretto a lasciare il
capoluogo toscano per rifugiarsi prima
a Monaco di Baviera e poi a Basilea;
rientra a Firenze nel 1919 quando
si trasferisce al Bobolino in via Michele
di Lando. Tra il 1896 e il 1927,
pubblica Geschichte Von Florenz (La
storia di Firenze), monumentale saggio
in sette volumi accompagnato
dall’opera Forschungen zur
Geschichte von Florenz (Ricerca
sulla storia di Firenze)
già pubblicata nel 1896.
Nel 1929 pubblica Firenze ai
tempi di Dante. Dal 1903 al
1923 è membro dell’Accademia
della Crusca, dalla quale
rischia l’espulsione a causa
di un suo scritto nel quale si
esprime in maniera derisoria
nei confronti degli italiani.
Viene insignito di titoli onorifici
tra cui il titolo di Commendatore
e la cittadinanza
onoraria di Firenze. Si spegne
il 17 settembre del 1937
ed è sepolto presso il cimitero
evangelico di Firenze, detto
“degli inglesi”, insieme
alla moglie che morirà dieci
anni più tardi. Tutt’oggi,
nel rispetto della tradizione
ebraica, i visitatori pongono
pietre sulla tomba dello storico
e studioso tedesco.
30
ROBERT DAVIDSOHN
A cura di
Daniela Pronestì
Occhio
critico
Alain Barbero
La magia dell'incontro in uno scatto
di Daniela Pronestì / foto Alain Barbero
Nonostante sia trascorso
quasi un secolo
e mezzo da
quando Édouard Manet dipinse
il celebre Un bar aux Folies
Bergère, la forza di quest'opera
non è stata intaccata dal
tempo. Una scena qualunque
all’interno di un bar diventa,
nell’interpretazione dell’eccellente
pittore impressionista,
la trasposizione del senso
di solitudine connaturato alla
condizione umana. Non vi è
dubbio, infatti, che tra i maggiori
lasciti della pittura di
fine Ottocento, e in particolare
dell’Impressionismo, vi
sia quello di averci insegnato
a guardare con occhi nuovi
luoghi e situazioni all’apparenza
poco interessanti. E il
caso dei caffè parigini − micromondo
popolato di artisti, intellettuali, gente
comune e donne alla moda − è senz’altro
il più emblematico di questa “rivoluzione”
dello sguardo. Capire come
questo micromondo sia cambiato e
cosa invece sia sopravvissuto del suo
particolare fascino è l’obiettivo di Alain
Barbero. S’intitola Cafés Europa il progetto
promosso dal fotografo francese
per raccontare, attraverso un tour
in diverse capitali, una particolare categoria
di frequentatori dei caffè: gli
scrittori, sia donne che uomini, giovani
e non. Un’idea nata nel 2013 insieme
alla scrittrice austriaca Barbara
Rieger, con la quale Barbero ha fondato
il blog Café Entropy dove pubblicare
le foto di scrittori da lui immortalati nei
caffè di Vienna. Da questo primo nucleo
il progetto è proseguito estendendosi
ad altre città come Berlino, San
Pietroburgo e prossimamente anche a
Firenze in occasione di una personale
dell’artista. Il lavoro di Barbero si lega
non a caso al mondo degli scrittori,
non solo per l’evidente complementarietà
tra immagine e parola, ma so-
Barbara al Caffè Kafka (Vienna)
prattutto perché se la fotografia, come
si dice, “cattura l’attimo”, quello fissato
nei suoi scatti non è un attimo qualunque,
ma è il frammento di un tempo
creativo, una scintilla dell’ispirazione
che lo scrittore insegue costantemente.
E come lui anche il fotografo è un
cacciatore di attimi decisivi nel continuo
divenire della realtà intorno. Una
“caccia” che, nel caso di Barbero, avviene
in un territorio − quello dei caffè
appunto − dove le prede a portata
d’occhio sono persone e cose, sguardi
ed oggetti. Ad ogni scrittore ritratto
corrisponde una vasta galleria di gesti,
pose, espressioni, ma anche un diverso
tipo di taccuino, di libro ad accompagnare
la lettura e ovviamente anche
di bibita, sia essa alcolica o soltanto
un caffè. Insomma: come ogni altra
attività creativa, la scrittura esige un
rituale fatto di abitudini, luoghi da frequentare,
oggetti da portare con sé. Ed
è proprio questo rituale che Alain Barbero
documenta, attribuendo ad ogni
volto un carattere, ad ogni oggetto una
funzione nel suo racconto per immagini.
Così, una giovane donna allonta-
na lo sguardo in cerca d’ispirazione,
mentre le sue mani restano lì, ancorate
alla penna e al foglio, riunendo insieme
le due dimensioni, materiale ed
immateriale, della scrittura. E poi c’è
chi fuma e scrive insieme, chi rilegge
gli appunti mentre sorseggia un caffè,
chi regala un sorriso all’occhio curioso
del fotografo e chi, al contrario,
non si cura affatto della sua presenza.
Intorno a loro, altri avventori, uomini
e donne venuti per incontrare un
amico o concedersi una pausa; e poi
ancora, in altre foto, una successione
di sale vuote, come palcoscenici in attesa
di nuovi attori a calcarli. In fondo,
basterebbe rimanere seduti in un
bar per vedere il mondo intero scorrere
davanti; indovinare la vita dello sconosciuto
che entra, beve una cosa e va
via, e osservando lui cercare di capire
anche qualcosa in più di noi stessi.
Proprio come fa Alain Barbero, fissando
in ogni scatto la magia dell’incontro
con l’altro.
www.alainbarbero.com
cafe.entropy.at
ALAIN BARBERO
31
B&B Casa Ercoli
Via Giuseppe Verdi, 20
50059 Sovigliana - Vinci (FI)
www.casaercoli.it
+39 3319550775
Casa Ercoli
casa_ercoli
Ritratti
d’artista
Maria Grazia Fusi
Un caleidoscopio di emozioni tra colore e materia
di Lucrezia Arfaioli
Baciata dal mare, olio, cm 40x60
Nata ad Empoli nel 1943, dopo
gli esordi come autodidatta,
Maria Grazia Fusi diventa
allieva del maestro Gino Terreni. Partecipa
a numerose mostre e concorsi
ottenendo vari riconoscimenti. La
sua opera spazia tra pittura e scultura.
Sin da piccola si accorge di avere
un animo di artista, ma il periodo
non era certo propizio: il dopoguerra
imponeva alle famiglie dei sacrifici, e
studiare era un onere che non tutti si
potevano permettere. Quindi, obbediente
al volere del padre, cresce imparando
un mestiere e creandosi una
famiglia, ma il fuoco dell’arte resta
sempre sotto la cenere nella speranza
di attizzarsi. Quando infine anche i
figli hanno preso la loro strada, come
un vulcano può finalmente dare sfogo
al suo estro. All’inizio i lavori sono un
po’ approssimativi, perché manca un
indirizzo artistico: la prospettiva è carente,
ma con straordinaria volontà si
mette a studiare diventando una delle
allieve predilette del maestro Terreni,
che la incita a proseguire dandole
preziosi consigli. Le sue opere nascono
dal bisogno di esprimere e di comunicare
agli altri le proprie emozioni. Lo
stile figurativo raffigura angoli di natura
e storie di vita. Le sue figure hanno
una forza e una libertà di espressione
che sembrano rendere drammaticità,
gioia, sofferenza e amore così palpabili
da indurre l’osservatore ad esserne
partecipe. Maria Grazia Fusi stilizza,
in maniera gioiosamente naif, luoghi,
persone, ricordi: si va dai paesaggi
rappresentati con pennellate morbide
a figure talvolta da sole ma ricche della
propria presenza. In alcuni casi si scopre
un aspetto più religioso dell’artista
con la rappresentazione di temi cristiani.
Rimane comunque ben presente il
contatto dell’uomo con la natura nel
momento di massima purezza: non è
un caso che alcune figure siano colte
nella loro nudità sotto la luna o adagiate
su una spiaggia o in un territorio
esotico. La chiarezza e la semplicità del
sorriso di una lettrice, la bellezza del
volto di un fanciullo o di una donna alla
finestra sono la sicura e intima espressione
di episodi della vita dell’artista.
Emozionarsi, come ben sappiamo,
vuol dire tirare fuori ciò che abbiamo
dentro per poterlo trasmettere anche
agli altri. Questo è quello che si prova
nell’osservare i dipinti della Fusi. La
passione di Maria Grazia non si è però
limitata alla pittura: grazie alla sua manualità
ha voluto poter creare con l’argilla
che sentiva come una cosa viva;
composizioni che si sono subito “impregnate”
del suo carattere così deciso
e passionale. Ai colori accesi dei
dipinti contrappone in scultura il colore
naturale dell’argilla, l’oro, il brunito
e il verde, mentre i temi spaziano dal
sacro al profano. La semplicità che a
volte può trasparire dalle sue composizioni,
ha un effetto emozionante e dimostra
quanto grandi siano la sua fede
e l’attenzione al mondo circostante.
+ 39 3334440464
eno.graziella@gmail.com
Telefonata romantica, terracotta dipinta
MARIA GRAZIA FUSI
33
Sfaccettature
fiorentine
Lo scoppio del carro
Storia di un'antica tradizione fiorentina riproposta ogni
anno per le festività pasquali
di Barbara Santoro
Essendo da poco trascorsa la
Pasqua, che quest'anno è stata
una domenica qualunque a
causa del Coronavirus, vale la pena
raccontare la storia dello “scoppio del
carro “. Questa cerimonia tutta fiorentina
che si svolge il giorno di Pasqua,
risale ai tempi della prima crociata indetta
per liberare il Santo Sepolcro dagli
infedeli. Goffredo di Buglione, duca
della Bassa Lorena, era il capo dei Crociati,
così chiamati perché portavano
una croce rossa cucita sulla spalla destra
della tunica bianca che ricopriva
l'armatura. Nel 1097 partirono per la
Palestina e due anni dopo assediarono
la città di Gerusalemme, riuscendo
Il carro pasquale detto "brindellone" (ph. courtesy tuscanyplanet.com)
ad espugnarla il 15 luglio del 1099. Si
racconta che il fiorentino Pazzino de’
Pazzi fu il primo che riuscì a salire sulle
mura della città santa e ad apporre
l'insegna bianca e rossa. Per questo
atto di coraggio, Goffredo di Buglione
gli donò tre schegge del Santo Sepolcro.
Al suo rientro a Firenze le tre pietre
furono inizialmente conservate nel
Palazzo dei Pazzi per poi essere consegnate
alla chiesa di Santa Maria Sopra
a Porta nel Mercato nuovo. Da qui passarono
nella chiesa di San Biagio fino
a quando la chiesa fu soppressa nel
1785. Le sacre reliquie vennero quindi
trasferite nella chiesa dei Santi Apostoli
dove tuttora sono gelosamente
conservate in un’apposita
urna. Gli storici tramandano
che, dopo la liberazione
di Gerusalemme, i crociati
nel giorno di sabato si radunarono
nella chiesa della
Resurrezione in devota
preghiera e consegnarono
a tutti i presenti il fuoco
benedetto come simbolo di
purificazione. Così questo
fuoco, che veniva acceso
con le scintille sprigionate
dallo sfregamento delle tre
schegge, era donato a tutti
i fiorentini in ricordo di
questo evento. Col passare
del tempo la festa divenne
sempre più articolata
ma non si sa con esattezza
quando nacque il vero e
proprio “scoppio del carro”,
probabilmente alla fine
del Trecento. Il fuoco
santo veniva trasportato
con un carro − dove su un
tripode venivano accesi i
carboni − e poi distribuito
al popolo fiorentino. Quan-
do la famiglia dei Pazzi fu cacciata dalla
città a seguito della famosa congiura
ordita contro i Medici nel 1478, la Repubblica
decise di passare i festeggiamenti
ai consoli dell'Arte maggiore
di Calimala, che erano anche gli amministratori
del battistero di San Giovanni.
Quando nel 1494, scossa dalla
predicazione del frate domenicano Girolamo
Savonarola, la città cacciò i
Medici da Firenze, una provvisione governativa
restituì alla famiglia dei Pazzi
gli antichi privilegi, compreso quello
dell'organizzazione dello scoppio
del carro. Inizialmente questo carro
era molto semplice, ma a causa delle
deflagrazioni e delle fiammate che
ogni anno sopportava, alla fine della
cerimonia doveva essere ripristinato o
rifatto nuovo. Così si decise di allestire
un carro grande di tipo trionfale a tre
ripiani chiamato “brindellone” trainato
da due coppie di buoi e posizionato fra
il battistero e la cattedrale. Ancora oggi,
al canto del “Gloria”, l'arcivescovo
accende un razzo a forma di colomba
(la colombina) che tramite una fune di
ferro percorre tutta la navata centrale
del duomo e, raggiunto il carro all'esterno,
lo fa scoppiare accendendo
tutti i mortaretti e i fuochi d’artificio. La
sagoma del “brindellone”, così chiamato
per l’andatura lenta e scomposta,
scompare per qualche momento alla
vista in un caleidoscopico gioco di colori
viola, rosa, rosso, verde, bianco e
blu, mentre un denso fumo lo avvolge
e rumorosi scoppi colpiscono le orecchie
degli astanti. La colombina deve
poi tornare indietro all'altare maggiore
da dove è partita altrimenti si pensa
che il raccolto dell'anno non avrà buoni
auspici. Una festa molto sentita dai
fiorentini e accolta felicemente dai tanti
turisti che arrivano in città un po’ da
tutte le parti del mondo.
34
LO SCOPPIO DEL CARRO
A cura di
Daniela Pronestì
Occhio
critico
Chris Ebejer
Dai miti classici al mondo cristiano: le due anime di
una scultura mediterranea
di Daniela Pronestì
Mater dolorosa, bronzo
Non c’è bellezza senza pàthos, né
armonia senza caos. Questo insegna
la scultura greca antica:
nell’equilibrio tra limpidezza della forma
compiuta e forza lacerante della pulsione
vitale, tra apollineo e dionisiaco − avrebbe
detto Nietzsche − risiede l’essenza
dell’arte. Chris Ebejer ha fatto proprio
questo concetto, ponendolo all’origine di
ogni sua creazione, sia essa opera fusa
in bronzo o modellata con l’argilla. Viene
da credere che sia stato il genius loci ad
ispirarlo, essendo nato in un’isola, Malta,
crocevia tra Oriente ed Occidente nel cuore
del Mediterraneo. In questa terra dalla
forte stratificazione culturale, Ebejer ha incontrato
i miti classici e la civiltà cristiana,
la grazia divina di Venere e il dramma
umano di Maria Vergine. E li ha fusi insieme
in un linguaggio che dietro la patina
d’antico, ribolle d’una sensibilità tutta moderna.
In merito alla classicità, egli sembra
dire che l’unico modo per accostarsi
all’antico sia cogliendolo come frammento,
parte di un mondo ormai perduto, dei
cui valori giunge a noi oggi soltanto un riflesso.
All’artista il compito di ricomporre
questi pezzi, di ricondurli ad unità, come
accade per i corpi femminili di ninfe, sibille
e divinità ottenuti combinando più elementi
insieme (Venere). E quando questo
atto d’amore per il passato non sia possibile,
resta il dettaglio di un volto (Minerva)
a farsi emblema dell’integrità smarrita.
C’è poi un mondo popolato di figure maschili:
Saturno, Mercurio, Atlante, non più
divinità fiere ed aitanti ma attori che interpretano
stancamente un ruolo ormai anacronistico.
Non c’è più spazio per loro in
un’epoca dedita al culto di nuovi miti; restano
soltanto il ricordo di perdute glorie
(Battle of Gods) e l’immagine nostalgica
(Mythos) di una divinità dallo sguardo
perso, la testa china, il corpo aggredito
dalla morte: è la caduta degli dèi, l’inesorabile
epilogo del mito. E se gli dèi cadono
senza frastuono in un mondo distratto
da troppo rumore, c’è da chiedersi a quale
destino vada incontro il dio dei cristiani. E’
soprattutto l’umanità del Nazareno ad interessare
Ebejer, il dio che si è fatto uomo, e
come un uomo, e per l’uomo, ha sofferto.
Lo vediamo mentre va incontro al martirio
(Behold the men) e dietro di lui l’umanità
intera, lesta a seguirlo ma altrettanto
lesta a rinnegarlo. Non c’è nessuno a piangerlo
ai piedi della croce (The 9th hour):
come ogni altro uomo anche Cristo var-
Mythos, bronzo
ca in solitudine l’estrema soglia della morte.
A tal punto il suo corpo si contrae nello
spasimo del dolore che la materia stessa
del bassorilievo sembra sgretolarsi. Ma è
il mistero della resurrezione il più difficile
da “incarnare” nell’opera, che, infatti, incapace
a contenerlo, deflagra oltre il limite
della cornice. E’ l’apoteosi di una bellezza
astratta e tutta spirituale che si fa dolorosa
nell’immagine di Maria (Mater dolorosa)
con il figlio morto: le braccia impietrite
in un gesto di strazio, l’espressione sgomenta
del volto, le tante pieghe del velo a
rispecchiarne il tormento interiore; il corpo
di Cristo giace inerme davanti a lei, e
pare quasi fluttuare sul panneggio increspato
come un’onda. In altre opere, Maria
ci appare con le sembianze di una Venere
pudica (Annunciation) o ancora come madre
legata da un tale amore al proprio figlio
da fondersi con lui in un solo corpo (Mater
dei). La scultura di Ebejer recupera valori
che attraversano il tempo e ce li consegna
affinché tornino ad essere “lingua viva” nel
presente.
www.chrisebejer.com
CHRIS EBEJER
35
Storia delle
Religioni
A cura di
Stefano Marucci
La “vita nuova” nel tempo della Quaresima
di Valter Quagliarotti
L’uomo vecchio è tutto ciò che
indurisce e chiude il nostro
cuore a Dio e agli altri. Non
troveremo la nostra vera realizzazione
e felicità perseguendo i nostri interessi
egocentrici, ma uscendo da noi
stessi per andare verso gli altri. Allora
come cambiare, cioè mettere in pratica
l'invito della Quaresima? La risposta
è che non sempre è facile cambiare.
La nostra volontà di cambiare spesso
si scontra con la resistenza delle nostre
abitudini: perché cambiare? L'individualismo,
così imperante, non offre,
certo, motivi di cambiamento. Per la logica
evangelica ciò che conta è seguire
il Vangelo, non essere se stessi. Cambiare
è la proposta della Quaresima,
tempo severo e dolce, esigente e comprensivo.
Ma come farlo? Perché io e
perché adesso? Il rischio pratico è di
essere come i farisei, che sanno dire e
spiegare cosa devono cambiare gli altri;
per loro la richiesta di Gesù appare uno
sforzo inutile. Il rischio è anche quello
dell'uomo ricco che non cambia perchè
non si lascia amare. Quindi cambiare
non è un problema di perfezionismo e
tantomeno un cercare qualcosa di più.
Cambiare è aprirsi all'amore. La Quaresima
pone al centro l'incontro personale
con Gesù e il suo Vangelo, un
incontro e un Vangelo che cambia la
nostra povera vita. Noi sappiamo come
il fariseo si eserciti piuttosto nello scorgere
la pagliuzza negli occhi degli altri
Tiziano, Polittico Averoldi (1520-1522), olio su tavola, Brescia, Collegiata dei Santi Nazaro e Celso
mentre non riesce a vedere la trave nei
propri occhi. La trave è la malattia che
impedisce di vedere e dalla quale dobbiamo
liberarci. Una delle malattie da
cui dobbiamo guarire in questa Quaresima
è quella della “superbia”. Il superbo
dimentica che tutto è grazia e che il
talento è affidato perché sia usato per
gli altri. Il superbo non sarà mai grato,
perché crederà che tutto è dovuto e
meritato frutto del suo sforzo. A volte
per superbia preferiamo restare soli, ci
accontentiamo di avere ragione anche
se questo significa chiudersi agli altri
e diventare sterili. Il superbo è egocentrico
e vuole essere perfetto. Solo
la via dell'umiltà è via di perfezione nonostante
il peccato, perché ci fa amare
dal Signore e ci rende simili a
lui. Altra malattia da eliminare in
questa Quaresima è “il protagonismo”,
una malattia sottile che
finisce per esaurirsi nel compiacersi.
Il protagonista pensa che
tutto dipenda da lui, egli è un disperato,
perché pensa di essere
amato solo per le sue capacità,
per quello che fa o conta. Il protagonista
ha la tentazione di misurare
i frutti, di farlo sempre a
partire da sé. Gesù rifugge da
ogni protagonismo e il servizio
è il contrario del protagonismo.
La guarigione del protagonismo
è la fraternità, è il servizio. Il fratello
sa che solo insieme trova se
stesso e il suo futuro. Infine altra
malattia da cui guarire è "l'invidia",
una malattia che corrode
dal di dentro, che mina poco alla
volta tutto l'uomo. La guarigione
dall'invidia avviene esercitandosi
nella condivisione, cioè nel vivere
e cercare in maniera concreta
quello che ci unisce al fratello. In
questo tempo di grazia abbiamo
bisogno di risvegliare la nostra
fede, di scoprire che cosa Dio ci
chiede di cambiare per prepararci
a risorgere con lui a vita nuova.
36
VITA NUOVA
A cura di
Doretta Boretti
Dal teatro al
sipario
Riflessioni sul futuro della “fabbrica teatro”
dopo la chiusura per l’emergenza sanitaria
di Doretta Boretti
Alcuni amici mi hanno suggerito
di non scrivere ma, da seria
professionista come mi ritengo,
non posso non esprimere tutta l’amarezza
che provo in questo momento
di fronte alle migliaia di teatri italiani
chiusi, alle migliaia di operatori dello
spettacolo con pochissime risorse e
altrettante pochissime certezze. La crisi
dei teatri faceva già tanto rumore anche
prima del Covid-19. Alessia Carovani,
direttore amministrativo del Teatrodante
Carlo Monni di Campi Bisenzio, nelle
pagine di questa rubrica lo scorso febbraio
affermava:«I biglietti hanno prezzi
contenuti, mentre per coprire le spese
di gestione e quindi compagnie, personale
tecnico, maschere, utenze, si ricorre
a varie forme di finanziamento sia
pubblico che privato». E come lei, nella
stessa rubrica a marzo, Sandro Querci,
direttore artistico del Teatro Persio
Flacco di Volterra, sosteneva: «Qualunque
direttore artistico deve fare i conti
con un budget ristretto»; nel numero
precedente a questo, il direttore artistico
Dimitri Milopulos aggiungeva: «Oggi
è tutto più difficile, i fondi, che sono
indispensabili, sono veramente minimi,
il teatro viene ingiustamente emarginato
dalla politica e negli ultimi tempi
la situazione è diventata insostenibile».
Così il mio grido giornalistico va a tutti
coloro che possono fare molto perché
i numerosissimi professionisti della
“fabbrica teatro” possano al più presto
ripartire con aiuti significativi da parte
delle istituzioni senza sconti e quindi
senza limiti. Auguriamoci che il vuoto
di queste settimane abbia messo in evidenza
il peso dell'assenza e l’importanza
del teatro come interprete vivente
della parola scritta. Non c’è tempo, non
c’è più tempo. Auguriamoci soprattutto
che il teatro resista a questa crisi così
dirompente e che questi terribili giorni
così silenti possano produrre domani
tanta operosità.
FABBRICA TEATRO
37
Personaggi
Andrea Stella
Ad un anno dalla scomparsa, un ricordo del maestro
nell'intervista alla figlia Selena
di Andrea Petralia / foto courtesy Selena Stella
Mi trovo a di Bagno a Ripoli,
alle porte di Firenze, nell'atelier
dedicato interamente
al maestro Andrea Stella, per intervistare
Selena, figlia dell’artista, ad un
anno dalla prematura scomparsa del
padre. Al caro amico Andrea Stella mi
legano molti ricordi e il simpatico nomignolo
“Petronio” con cui mi aveva
ribattezzato ritenendo che il mio nome
fosse troppo lungo da scrivere e
ricordare. E quindi, in veste di “Petronio”,
sono qui per commemorare
l’uomo e l’artista Stella, con l’aiuto
dell’adorata figlia.
Particolare di una delle Muse create
da Stella per la mostra alla Certosa
di Firenze
Selena con il padre Andrea
Siamo tutti curiosi e impazienti di sapere
se ci sono progetti per il futuro,
eventi, mostre o altre novità per
ricordare l’amico e grande artista Andrea
Stella: cosa puoi anticiparci a riguardo?
Innanzitutto, ti ringrazio, caro Petronio,
per l’opportunità che mi concedi di parlare
del “mi’ babbo”, come si dice a Firenze,
e di questo mio progetto molto
articolato con cui vorrei che il prezioso
contributo dato all’arte da Andrea Stella
fosse ricordato non solo dagli amici
più cari ma da tutti quelli che a vario titolo
− collezionisti, galleristi e intenditori
− hanno creduto in lui e investito
sul suo talento. Un primo grande passo
è stato dare maggiore visibilità alle sue
opere con un’esposizione permanente
a Bagno a Ripoli; e ti confesso che
pensare e realizzare tutto questo non è
stato facile, perché volendo ricreare fedelmente
il suo studio, dalla moquette
ai frammenti di foglia d'oro spesso
presenti nelle sue opere, ci siamo dolorosamente
e nuovamente confrontati
con un'assenza ancora viva nella nostra
mente e nel nostro cuore. E mai stanca
di ripeterlo, ringrazio ancora
chi mi ha sostenuto
in questo progetto non
privo di criticità.
Andrea mi raccontava
spesso di averti reso
partecipe del suo lavoro
di artista...
Chi lo conosceva bene,
sa quanto fosse geloso
degli appunti del suo
“viaggio” artistico. Tuttavia,
molto spesso, mi
chiamava nello studio e
mi faceva partecipe delle
sue scoperte ed emozioni.
Sì, credo davvero
di essere stata l’unica testimone
dei suoi “segreti”
d’artista oltre che sua
allieva.
Hai mai pensato di proseguire
il suo lavoro?
Sento ancora la sua voce
risuonare nelle mie orec-
In questa e nelle altre foto alcuni angoli dell'atelier a Bagno a Ripoli
38
ANDREA STELLA
chie, mentre mi ripete: «Selena vieni a
vedere cosa fò, un giorno potresti essere
tu a doverlo fare». Ma io, come tutte
le ragazze della mia età, dicevo sì e
spesso lo aiutavo, ma come figlia non
pensavo che quel momento sarebbe
arrivato così presto e inatteso. Mi piaceva
condividere questi momenti. Oggi
li rivivo con una stretta al cuore e
li custodisco gelosamente nel cassetto
dei ricordi. Chissà, potrei provarci
e ti confesso che ci sto pensando
seriamente. Il pensiero si è insinuato
come un tarlo e spesso vivo la riuscita
di questo proposito come una sfida
con me stessa. Petronio, ti farò sapere
(e mentre lo dice, accenna un sorriso
che sa di impresa già
riuscita…).
Intanto grazie per questa
rivelazione, ci piacerebbe
molto restare
informati. Hai qualche altra novità
da darci, oltre a quella che già conosciamo
della mostra evento a San
Pietroburgo?
Sì, come ti dicevo, il progetto è molto
ambizioso ed esteso e mi piacerebbe
raccontarlo e farvi partecipi. Ma al
momento siamo in fase ideativa, con
alcune difficoltà oggettive, come tu
ben sai operando da anni nel settore.
Posso solo accennarvi che stiamo
collaborando per la realizzazione
di un evento piuttosto importante in
Messico. La complessità burocratica
del trasferimento delle opere pur non
scoraggiandoci, richiede di procedere
a passi lenti e mirati. Ad ogni modo,
stiamo lavorando affinché questa
nuova opportunità possa diventare un
grandioso evento a livello internazionale.
Sarà mia premura tenervi aggiornati.
Non ci resta, quindi, che seguire i futuri
sviluppi di questo progetto che
promette di celebrare e perpetuare nel
tempo la memoria del grande artista
“venuto dalle stelle”.
ANDREA STELLA
39
I libri del
Mese
Mauro Mari
Vita… Vita
Il racconto di un’esistenza avventurosa al limite del rocambolesco
di Erika Bresci
Oggi ho deciso di iniziare
a scrivere la mia storia”.
Arrivati a un certo punto “della vita, l’esigenza di reddere rationem
di ciò che si è stati, di come si è
vissuto pare attività largamente condivisa.
Ma quello che da subito stupisce
nella autobiografia di Mauro Mari,
in arte Maris, è il fatto che egli abbia
volutamente circoscritto il tempo di
un’esistenza – ricca, avventurosa al limite
del rocambolesco, drammatica,
tradita, inseguita, piena – nello spazio
brevissimo di nemmeno trenta pagine.
Perché, viene da chiederci? E ancora,
perché privilegiare quella parte
intima, di frattura domestica, calcando
la mano sui fallimenti e la tenace
voglia di riscatto piuttosto che affidare
questo suo “testamento” alla possibilità
di una autocelebrazione indiscutibile
e attestabile, indugiando un po’
di più sull’amicizia e la collaborazione
fertile con Mario Schifano o ricordando
in dettaglio i momenti esaltanti
della sua galleria d’arte in San Frediano,
e poi quelli delle trasmissioni televisive
e degli incontri? Leggo che
proprio Schifano soleva dire a Mari:
«La materia deve uscire dall’interiorità».
Ecco, questo credo abbia voluto
fare l’autore in queste pagine, grazie
anche alla sensibile opera di ricucitura
di Gabriella Gentilini. Mettere a nudo
la propria interiorità, facendolo con
coraggio, attraverso centrate illuminazioni,
graffi di parole, concreti esempi,
silenzi sospesi, linee temporali che
si fanno onde circolari, emozioni che
si rinnovano, cuori che si intravedono
dietro azioni e volti accennati, luoghi
– un’infinità –, come rifugi precari
tanto quanto quelli verso i quali la mano
sicura della madre lo dirigeva sotto
i bombardamenti durante la guerra.
Il padre distante allora, come lo sarà
sempre, del resto. Da
Ruffolo, piccola frazione
alle porte di Siena,
ad Ambra, in provincia
di Arezzo, e poi Montevarchi,
Scandicci, Firenze,
quella verace
sanfredianina e quella
dei palazzi moderni di
Novoli, con una parentesi
breve ma intensa
in Romania. La vita di
Mari è un viaggio per
tappe, dove ci si sbuccia
le ginocchia ma non
si perde mai la forza di
andare avanti, di rimettersi
in piedi, di giocare
una nuova partita. Ed
è, questo, un ricordare
a se stesso, un tenere
in mano i fili di una tela
intessuta di fatica e
soddisfazioni, ma è anche
dono partorito per
quel grumo di assenza
che dà ancora oggi
alla sua vita un retrogusto
di incompiuto.
Perché alle spalle del
porto sicuro di Maria,
sua seconda sposa, e
dei suoi amati figli, il
mare ruggisce sempre di tempesta.
Ed eccolo, allora, il senso più doloroso
e tenero di questo scritto. La materia
strappata dall’intimo, come cuore
pulsante, ha un destinatario prediletto,
viene regalata a chi non ha potuto
(voluto?) condividerlo con lui: le sue
due figlie, perdute a causa della separazione
dalla prima moglie; insieme
a quel rapporto interrotto, a quell’essere
padre distante e sconosciuto. A
questa paternità mutila si rivolge Mari,
chiede riconciliazione e abbraccio,
nella speranza che anche questo suo
ultimo cerchio – figura cara e ripetuta
in molti suoi dipinti – possa riuscire
a chiudersi: “Vita… Vita”, appunto.
Una vita appassionata e appassionante,
nella quale ciascun lettore, apprezzandone
la straordinaria particolarità,
potrà certamente trovare anche tanti
tratti in comune, di condivisione.
Mauro Mari, Vita…Vita
Scandicci (Fi), Tipografia Turri, 2018
(5,00 euro + spese di spedizione)
40
MAURO MARI
Ritratti
d’artista
Serena Mannari
Una pittrice in cammino sulle orme dei grandi maestri
di Jacopo Chiostri
Una pittrice in cammino: è questa
la prima indicazione che si
ricava leggendo la biografia di
Serena Mannari, artista fiorentina, la
quale racconta di sé che la passione
per la pittura è nata attorno ai trent’anni,
quando, dopo aver frequentato il
liceo classico ed essersi laureata in Filosofia,
aveva già intrapreso la carriera
di insegnante. A fare di quello che,
precedentemente, era limitato all’amore
per la grande pittura un impegno artistico
importante fu l’incontro con la
pittrice Nicla Cesari, di cui la Mannari
seguì i corsi; l’insegnamento di allora le
permise di fare un bel pezzo di strada,
fino al secondo incontro significativo,
piuttosto recente, con un’altra pittrice,
Elena Prosperi, che, tra le altre cose,
le ha fatto conoscere l’associazione
Toscana Cultura e insieme a questa la
possibilità di promuovere la propria arte
per crescere tramite il rapporto con
altri pittori. Nelle sue note biografiche,
la Mannari scrive la parola “migliorarsi”,
e la sensazione, studiando la storia
Particolare del David di Michelangelo, olio su tela, cm 40x30
Rose in un vaso, olio su tela, cm 40x30
di quest’artista, è appunto, come
dicevamo, quella di essere spettatori
di una vicenda che ancora
deve raggiungere il proprio zenit,
sebbene osservando le opere
risulti evidente che le basi su
cui costruirla siano ormai solidamente
acquisite. Parte della sua
formazione, Serena Mannari l’ha
fatta copiando opere dei grandi
maestri: i suoi amati impressionisti,
ma anche La dama con
l’ermellino di Leonardo, un particolare
(la mano destra come si
presenta osservando la scultura
dal retro) del David di Michelangelo,
le tahitiane di Paul Gaugain
ed altri. Ma la sua personalità
si esprime al meglio nella pittura
di fiori, questa esclusivamente
sua. E’ in queste opere che
la Mannari riesce a raggiungere
piena espressività, coniugando
la sapienza pittorica alla rappresentazione
psicoanalitica dell’universo
indagato. Troviamo sulla
tela un’accurata
disposizione degli
elementi, e da questa
scaturiscono immagini
di forte impatto, armoniche
e convincenti,
ove la profondità è risolta
dalla disposizione,
per esempio del
fogliame, su piani sovrapposti;
i colori sono
controllati, realistici, introspettivi,
molto personali,
e in un’opera in
cui è evidente il rimando
ai Girasoli di Van
Gogh, i fiori non sono i
soli accecanti e inquieti
del grande artista olandese,
preludio come è
stato detto delle ossessioni
profonde che lo
possedevano, ma appaiono
come una presenza meno ruvida
seppure energica. Ovunque è presente,
ben rintracciabile in queste composizioni
floreali tanto care all’artista,
la metafora della femminilità di freudiana
memoria, che esplode in tutta la
sua sensualità nelle foglie che si aprono
come conchiglie e nel proporsi altero
dei fiori. Parlando di progetti futuri,
la Mannari racconta che ora affronterà
“sua maestà” il ritratto. La prima opera
di questo genere che ha realizzato
è un ritratto della figlia. Il segno è sicuro,
le proporzioni con cui è costruito
il volto denotano una mano esperta,
ma più di tutto colpisce la rappresentazione
psicologica del soggetto, la cui
espressione e lo sguardo raccontano
un’intera storia.
ser.mannari@libero.it
SERENA MANNARI
41
Il super tifoso
Viola
A cura di
Lucia Petraroli
Cesare Prandelli
Intervista all’ex allenatore viola, il più longevo sulla panchina gigliata
di Lucia Petraroli
Cesare Prandelli, fiorentino d’adozione
ed ex allenatore viola,
il più longevo sulla panchina gigliata,
arriva a Firenze nell’era dei Della
Valle come sostituto di Zoff. Con lui
la squadra arriva in alto, toccando con
mano la Champions League. Vince la
Panchina d’oro a Coverciano come miglior
tecnico nella stagione 2006-2007
per gli importanti risultati ottenuti, e
raggiunge Bernardini in testa alla classifica
degli allenatori più vincenti della
storia viola. Lascia la Fiorentina nel
2010 e diventa Ct della Nazionale italiana.
Il legame con la città non si è mai
esaurito, tanto che il tecnico vive tuttora
a Firenze. In questa intervista parliamo
della situazione attuale, della futura
ripresa del calcio, della Fiorentina, di
Commisso e dei suoi “gioielli”.
Innanzitutto parliamo di lei mister:
come sta vivendo la situazione legata
all’emergenza Covid-19?
Ho molto dolore, apprensione e preoccupazione
in questo momento, ho parenti
e amici nelle zone più critiche.
Crede che questa emergenza avrebbe
potuto essere gestita meglio sia a livello
generale che sportivo oppure le
istituzioni di entrambi i settori si sono
mosse nel modo migliore?
Non sono in grado di dare un giudizio
consono, forse si sarebbe potuto chiudere
prima la zona di Bergamo, al netto
di quello che stiamo vedendo.
Crede il campionato ormai sia finito?
Questo oggi è l'ultimo dei miei pensieri.
Capisco che si debba pensare al futu-
ro, perché una ripresa ci sarà, ma non si
può passare dalle immagini di morti, ambulanze
e ospedali a quelle degli stadi.
Non credo la gente sia psicologicamente
pronta. Sicuramente la ripresa avverrà
con partite giocate a porte chiuse. Ad oggi
non saprei immaginare una data.
Cosa pensa della polemica sul taglio
degli stipendi dei giocatori?
Oggi bisognerebbe sorvolare su questo.
Si trattava di un atto dovuto senza
nessun tipo di trattativa.
ph. courtesy 1000cuorirossoblu.it
42
CESARE PRANDELLI
Il calciomercato avrà dei cambiamenti.
I cartellini dei giocatori subiranno
una svalutazione?
Il mercato non mi è mai interessato,
tanto meno il valore di un giocatore; è il
mercato che dà il valore, dipenderà tutto
da quando si ricomincia e come si ricomincia,
che tenore di vita avremo in base
alle nuove norme sociali. Ci saranno
dei cali di mercato sicuramente, saranno
svalutati anche i giocatori. Tutto sarà
ridimensionato.
Lei conosce molti giovani viola che
si stanno mettendo in luce, su tutti
Chiesa: rimarrà alla Fiorentina secondo
lei?
Bisognerebbe riavvolgere il nastro di
qualche anno. Io avevo chiesto di rinnovare
il contratto a Chiesa e Bernardeschi
di 5-6 anni, farli sentire protagonisti, indispensabili
per un rilancio, per un futuro.
Questo era il mio pensiero. Oggi
Chiesa è più maturo, ha molta più sicurezza
e consapevolezza dei propri mezzi.
Dipenderà tutto da lui. La società farà
di tutto per tenerlo.
Quindi su Castrovilli, per esempio,
il suo pensiero è quello di blindarlo
e non cedere alle sirene dei grandi
club?
Il mio pensiero lo conoscete: se ci sono
giovani interessanti vanno blindati subito.
Dopo 1-2 mesi capisci la qualità e la
capacità del giocatore di restare in campo
per migliorarsi; da subito devi fargli
un contratto lungo, nel tempo capirai
l'evoluzione e nel caso se cedere ad una
squadra big o meno.
Come giudica la nuova proprietà viola
protagonista della raccolta fondi
“Forza e Cuore”?
Iniziativa straordinaria, lodevole. La proprietà
ha la sensibilità giusta, sa coinvolgere
tante persone. La Fiorentina è
un simbolo, un marchio straordinario
per Firenze. Faccio i miei complimenti.
La Fiorentina può tornare ad ambire a
palcoscenici importanti?
Penso di sì. La proprietà è ambiziosa. Il
loro obiettivo è riportare
la viola in alto nella classifica
e soprattutto risentire
la voglia di viaggiare
per l'Europa nei contesti
che contano. I presupposti
ci sono, Firenze è capace
di tutto.
Ormai fiorentino doc, le
piacerebbe un giorno
tornare ad allenare la
squadra viola?
Il mio carattere non è fatto
per proporsi, non l'ho
mai fatto. Firenze e la Fiorentina
sono nel mio cuore,
vivo a Firenze da tanti
anni, vivo la città, respiro
l'umore dei tifosi, faccio
come sempre il mio abbonamento e la
seguo in tribuna. Se sarà sarà.
Nella sua carriera la partita che reputa
indimenticabile e quella più brutta?
Indimenticabile la serata organizzata per
Borgonovo. Non c'entrava niente il calcio,
era un segnale per tante persone
che soffrono e un modo per essere vicini
ad un grande campione che ci stava
lasciando. E’ stato un grande abbraccio.
La partita da dimenticare o ricordare per
sempre allo stesso tempo è stata quella
di Champions contro il Bayern.
Miglior giocatore di sempre?
Non ho mai fatto classifiche, ho avuto la
fortuna di allenare sempre giocatori importanti.
Non voglio fare nomi per non
fare torto a qualcuno, ricordo tutti con
molto affetto.
Si aspetta un nuovo stadio per Firenze
o si andrà per il restyling del Franchi?
Con la maglia di allenatore della viola (ph. courtesy tuttomercato.web)
Io amo il Franchi e vorrei vederlo in versione
moderna, con tutti i limiti del caso
certo, ma hanno rifatto tanti stadi d'epoca.
La burocrazia in Italia dovrebbe cercare
di capire anche gli sviluppi sociali
di un impianto. Tutto dipende dalla capacità
di una città importante come Firenze
nel potenziare i mezzi pubblici che
2-3 ore prima ti possono portare al nuovo
stadio riducendo il problema del parcheggio.
Basti pensare a Londra dove
nessuno stadio è fuori città; è questione
di civiltà.
Da anni ormai ha deciso di vivere a Firenze,
segno di un legame importante
con la città. Dove le piace andare nel
tempo libero?
Firenze è talmente bella che non si può
non averla nel cuore; è bella soprattutto
di notte quando c'è poca gente e si possono
meglio apprezzare le sue meraviglie.
E’ qualcosa di unico che i fiorentini
hanno ereditato, e io con loro.
Firenze significa anche buona cucina:
il suo piatto preferito?
Una bella bistecca alla fiorentina non si
rifiuta mai, anche se negli anni ho imparato
ad apprezzare tutta la cucina toscana.
Progetti futuri? Pensa di rimanere nel
campionato italiano o le piacerebbe
provare una nuova esperienza all’estero?
Non ho progetti in questo momento, il
lavoro è l'ultimo dei miei pensieri. Ho a
cuore l'evoluzione di questo virus, con
tante persone a me care alle quali penso.
Dobbiamo rispettare le indicazioni
date, essere responsabili, solo il distanziamento
sociale può aiutarci a distruggere
questa bestia.
CESARE PRANDELLI
43
Giuseppina
Maestrelli
in arte Peppetta
Gli appunti persi e ritrovati hanno fatto nascere passioni fuori moda al tempo
dell’iPhone. Perché non unire quella “poesia interrotta” all’immagine? E’ nata così
l’altra passione, ma non chiamatela fotografia, chiamiamola ricerca con l’obbiettivo
della prospettiva più giusta per regalare un briciolo di arte ai più attenti; un
dono per vedere, non solo guardare, ai distratti.
Giuseppina Maestrelli, Peppetta, nasce ad Empoli nel 1945; è autrice di libri
- Dimmi ciao; Terra, mare e cielo; Prima dell’iPhone - e fotografie di opere d'arte
moderna con cui comunica i propri ricordi. Tra le sue mostre ricordiamo: 2016,
Cerreto Guidi; Galleria Il Cesello, Pietrasanta; Stazione Leopolda, Firenze; 2017,
Comune di Pisa; Auditorium al Duomo, Firenze; Iclab, Firenze; Chiesa di San
Marco e Cripta di San Lorenzo, Firenze; Educandato SS. Annunziata, Firenze;
2019, mostre a Venezia e Siena. E’ stata insignita del Collare Laurenziano (Salone
dei Cinquecento, Palazzo Vecchio, Firenze), del premio Ponte Vecchio e nel 2019
del premio Toscana Cultura.
superpeppetta@gmail.com
Mi ama, non mi ama
Un cosmo di luce
Sport e
solidarietà
Da Bisceglie a Pontedera, la solidarietà
accorcia le distanze con i gesti di piccoli
“eroi” del quotidiano
di Gaia Simonetti
Ci sono lettere che non scordi.
Anche se sono scritte con
il lapis, diventano indelebili nel
tempo. In questi giorni ti fermi a pensare
e capisci che ogni gesto, se fatto
con amore, è un buon gesto. Una busta
colorata, contenente una lettera e
il disegno di un pallone con un cuore
al centro e circondato da giocatori con
tante maglie, è stata indirizzata alla sede
fiorentina della Lega Pro. La lettera
è firmata da Domenico, un bambino di
11 anni di Bisceglie, piccolo tifoso del
calcio che ha accompagnato il suo pensiero
con il disegno del fratello minore
Alessio. Il pallone visto con gli occhi
dei bambini in giorni e mesi che fanno
da cornice ad un tempo sospeso. «Mi
manca molto tirare un calcio al pallone
− scrive Domenico −, giocare con
i miei amici e tifare per la mia squadra.
Questo momento passerà e allora
potrò tornare a fare tutto questo. Ora,
in particolare, capisci che la vita è importante
più di ogni altra cosa e allora
devi restare a casa e rispettare le regole,
proprio come in una partita di pallone».
Ci sono anche gesti che non si
dimenticano. Colpiscono e mirano dritti
al cuore. Edoardo, Emanuele, Lorenzo
e Paolo sono quattro ragazzi che
hanno deciso di “scendere in campo”
per la solidarietà. Sono giocatori del
Pontedera, squadra toscana che milita
nel campionato di serie C, che in un
pomeriggio di fine marzo hanno distribuito
in più aree le mascherine. Alcuni
di loro non sono originari di Pontedera
− spiega una nota del club − ma
hanno voluto ugualmente dare un contributo
in un momento difficile alla città
che li ha “adottati”. «Avete un cuore
grandissimo, ragazzi, e noi siamo orgogliosi
di voi», ha commentato la loro
società. Immagini, istantanee di straordinaria
normalità, di gesti e parole che
hanno una comune fonte d’ispirazione:
il cuore. I sorrisi di Domenico ed Alessio
sono gli stessi di quelli di Edoardo,
Emanuele, Lorenzo e Paolo, impegnati
nella consegna del kit di mascherine,
e annulla le distanze. Bisceglie e Pontedera
non sono così lontane. Quelli
che viviamo sono giorni che prendono
una direzione diversa, repentina e senza
preavviso e s’incagliano fra tristezza
e incertezza. Il silenzio delle strade parla.
L’albero che si veste di fiori e nuovi
colori annuncia che è arrivata la primavera.
Nonostante tutto. Il vento accarezza
i pezzi di stoffa alle finestre con
la scritta: andrà tutto bene. I pensieri
corrono al futuro e si lasciano indietro
i passi insicuri del presente. Come vorremmo
poter utilizzare il passato e scrivere:
è andata bene.
Il disegno di Alessio, piccolo tifoso di Bisceglie
DA BISCEGLIE A PONTEDERA
45
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A cura di
Laura Belli
Speciale
Pistoia
Fondazione Luigi Tronci
Costituita nel 2008, perpetua la tradizione della famiglia
Tronci, dal XVIII secolo maestri organari a Pistoia
di Laura Belli
La Fondazione Luigi Tronci è stata
costituita nel 2008 per volere
del presidente Luigi Tronci.
Si tratta di una collezione composta
da oltre 800 strumenti musicali, per lo
più idiofoni a percussione, provenienti
da ogni parte del mondo. Vi sono anche
sculture sonore, macchine rumoristiche
da teatro e organi. La Fondazione
si pone l’obiettivo di trasmettere la cultura
musicale alle giovani generazioni,
compito che le si addice pienamente
in quanto Luigi Tronci discende dalla
famiglia Tronci che per 7 generazioni,
a partire dalla metà del secolo XVIII,
ha reso famosa Pistoia in tutto il mondo
per quanto riguarda la costruzione
di organi e conseguentemente per la
scuola organaria pistoiese che ha avuto
ed ha tuttora risonanza internazionale.
La ditta Tronci, nella sua lunga vita,
ha avuto importanti contatti con famosi
musicisti come Giuseppe Verdi, Giacomo
Puccini e Pietro Mascagni. Nella
ricca documentazione che fa parte della
collezione, possiamo trovare, infatti,
una foto di Giuseppe Verdi che nella dedica
esprime gratitudine a Filippo Tronci
per aver restaurato l’organo della chiesa
di Roncole che Verdi aveva suonato
da bambino. Già nel 1931, la ditta Tronci
si è saputa adeguare ai gusti musicali
che andavano mutando, trasformandosi
nella Unione Fabbricanti Italiani Piatti
(UFIP) e indirizzando la produzione verso
i piatti da percussione.
La grande svolta e il boom
di questo genere di
strumenti è avvenuta negli
anni Settanta, dopo Woodstock,
evento che ha segnato
l'inizio di una grande
trasformazione musicale.
Oggi la UFIP è conosciuta
a livello internazionale
per la produzione artigianale
di piatti musicali, per
la cui realizzazione si attinge
alle antiche esperienze
di fusione acquisite in secoli
di produzione di canne
da organo e aggiornate con tecnologie
di avanguardia, mentre, per la parte che
riguarda la sonorità, ci si avvale della
manualità di abili artigiani capaci di produrre
vere e proprie opere d’arte uniche
e irripetibili. Sarebbe lungo l’elenco
degli artisti che sono venuti personalmente
a Pistoia e hanno collaborato alla
produzione dei piatti per le loro band
nella ricerca di sonorità a loro congeniali.
Ne citiamo solo alcuni: Zucchero, Elisa,
Laura Pausini, Gigi d’Alessio, Fabio
Concato, Cocciante, Branduardi, Matia
Bazar, Ricchi e Poveri, Tullio de Piscopo,
Ligabue, Bertè, Simple Mind, Gino
Paoli, Negramaro, Red, Paolo Conte,
Caparezza, Rolling Stones, Afterhours
e potremmo proseguire. La collezione
Luigi Tronci è un patrimonio per la città
In questa e nelle altre foto, alcuni degli strumenti della collezione
(ph. courtesy lamelapistoia.altervista.org)
di Pistoia che deve essere tutelato, conservato,
valorizzato nella sua integrità e
reso fruibile nella sua completezza. Attualmente,
la collezione è esposta solo
in parte presso i locali della Fondazione
Conservatorio di San Giovanni Battista
a Pistoia, ma molti degli strumenti sono
stipati in magazzini per mancanza di
spazi sufficienti all’esposizione. Sarebbe
bello poter realizzare un vero e proprio
museo in cui la collezione venga
esposta nella sua completezza e valorizzata
in modo da far emergere tutti i valori
che racchiude.
Fondazione Luigi Tronci
Corso Gramsci 37, 51100 Pistoia (PT)
+39 0573 994350
info@fondazioneluigitronci.org
FONDAZIONE LUIGI TRONCI
47
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Alma Sheik
L'inno alla vita nelle opere dell'artista originaria del Suriname
di Margherita Blonska Ciardi
Primavera (2020), olio su tela, cm 60x50
Canestro con melograni, olio su tela (2013), cm 60x50
Alma Sheik, nata in Suriname
e cresciuta in
Olanda, ha iniziato a dipingere
fin dalla prima infanzia,
seguendo la sua vocazione
con costanza ed impegno. La sua
pittura sincera ed appassionata
rappresenta un vero canto di gioia
alla vita. Possiamo verificarlo
osservando le opere dell'artista,
dove le nature morte, i paesaggi
e le figure umane rispecchiano,
con le loro cromie sgargianti,
la sua anima sudamericana, confermando
la teoria di un grande
professore del Bauhaus, Johannes
Itten, secondo cui ogni artista
inconsciamente riporta sulle
proprie tele i colori della terra di
origine. I quadri di Sheik, realizzati
tutti ad olio, sono colmi di
energia positiva per la scelta di
tonalità luminose e brillanti stese
sulla tela con pennellate spontanee
e materiche. Le composizioni
di frutta e fiori, le figure umane
e i paesaggi sono un inno alla vita
e al creato. I contrasti generati
dall'alternanza di colori primari,
come rosso, giallo e blu, ricordano
la pittura di Paul Cézanne,
che agli artisti raccomandava di
sviluppare il proprio talento osservando
direttamente la natura
e dimenticando tutto ciò che
c’è stato prima. Essendo spesso
in viaggio, Alma Sheik ha avuto
modo di esporre le proprie opere
in giro per il mondo, soprattutto
tra New York (Agora Gallery),
Francia ed Olanda, ricevendo numerosi
riconoscimenti e vedendo
pubblicati i suoi lavori. Dal 1994,
risiede e lavora a Lucca dove,
nella sua fattoria circondata dalla
straordinaria bellezza della natura
toscana, trova l’ispirazione e
la luce perfetta per le sue opere.
48
ALMA SHEIK
Time Lapse nasce a seguito
della pandemia di Covid-19
per "accelerare" il tempo e
superare velocemente il
momento critico, dando
l'opportunità agli artisti e agli
artigiani, soprattutto quelli
autonomi maggiormente penalizzati dalla situazione, di trovare
uno spazio di valorizzazione delle loro opere d'arte. Un'occasione
per aziende e professionisti di rafforzare il tessuto economico
italiano e di portare a casa “pezzi” d’arte, bene di rifugio per
eccellenza, il cui valore rimarrà nel tempo.
Come funziona?
Time Lapse, ovvero il racconto per immagine dell’evoluzione di
un progetto, è un concept innovativo che consentirà agli artisti
e agli artigiani di dare forma a idee e pensieri realizzando il
progetto frutto della loro creatività. Durante la realizzazione di
questo progetto verranno seguiti per creare un racconto per
immagini che verrà condiviso con istituzioni, aziende e privati. A
quest’ultimi sarà anche offerta l'opportunità di inserire una
precisa richiesta per la realizzazione di un oggetto o
un'opera d'arte che rientri nella fascia prezzo da loro
stessi scelta. Successivamente Time Lapse ne stabilirà
l'importo preciso necessario alla
realizzazione e pubblicherà la
richiesta. Per ogni categoria di
prodotto, gli artisti troveranno
online le richieste di
commissione alle quali
candidarsi.
Time Lapse, dopo aver valutato
le candidature pervenute,
assegnerà i lavori e da quel
momento l'artista/artigiano
avrà tempo una settimana
per realizzare l'oggetto.
Inoltre, durante la lavorazione,
dovrà inviare 5 foto relative al
processo di sviluppo includendo
obbligatoriamente la fase
iniziale e quella finale.
Time Lapse si occuperà del ritiro
Time Lapse: una piattaforma
per unire artisti e aziende
e della spedizione dell'oggetto pagando l'artista per il lavoro
svolto. Il 20% del ricavato dall'acquisto delle opere sarà
trattenuto dall'associazione culturale Costellazione e
destinato alla ricerca.
Se sei un artista, ecco i vantaggi:
Lavoro, visibilità e libertà di creare.
- lavoro
- occasioni di promozione personale grazie al materiale video e
fotografico realizzato durante la produzione (il Time Lapse)
dell’oggetto pensato per la diffusione sui social network e sui
canali d’informazione e marketing tradizionali
- libertà di creare
- aumento dei committenti
- nuovi contatti sul territorio nazionale
- contribuire alla ricerca scientifica: il 20% del ricavato
dall'acquisto delle opere realizzate sarà trattenuto
dall'associazione culturale Costellazione e destinato alla ricerca
Se sei un’azienda
Accanto alle motivazioni etiche e solidali, le aziende e i
professionisti troveranno:
- occasioni di promozione personale grazie al materiale video e
fotografico realizzato durante la produzione
(il Time Lapse) dell’oggetto pensato per la
diffusione sui social network e sui canali
d’informazione e marketing tradizionali
- diversificazione
- attivazione di un progetto di corporate
social responsability (Csr): il 20% del
ricavato dall'acquisto delle opere realizzate
sarà trattenuto dall'associazione culturale
Costellazione e destinato alla ricerca
- opportunità di diversificazione: l’arte è un
bene di rifugio e un’occasione d’investimento
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Associazione culturale Costellazione
c.f. 94285740489 - p.iva 06947590482
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+39 055 0206510
MATTEO
PIEROZZI
Nato a Firenze il 24 dicembre del 1978, Maeo
Pierozzi ha frequentato il rinomato Liceo arsco
"Leon Basta Alber" e l'Accademia di Belle Ar
di Firenze specializzandosi in Scultura.
Arscamente è cresciuto in un ambiente che gli
ha insegnato a concepire l'arte come forma di
espressione libera e vivace.
Ha affinato la tecnica nella boega del padre,
esperto cesellatore a San Casciano. Firenze, con
la sua atmosfera, le sue forme e le sue bellezze
storiche, è la sua principale fonte d'ispirazione
che rielabora con uno sle decisamente
personale. Maeo sceglie "la toreuca", ovvero
l'anca arte dello sbalzo e del cesello già pracata
da Egizi, Cretesi, Greci e Romani, e la rende
personale. Non usa il cesello in senso decoravo
ma crea sculture con metalli quali oone, rame e
argento. In altre parole, un lavoro a dir poco unico
nel suo genere.
Laboratorio:
Via Falgnano 27, San Casciano
info@maeopierozzi.it
+39 3666486921
L’avvocato
Risponde
A cura di
Aldo Fittante
E-commerce
Grande opportunità per le imprese, ma attenzione ai contraffattori
di Aldo Fittante
La diffusione del fenomeno internet
– la cui portata esponenziale
è sotto gli occhi di
tutti – ha attirato ormai da molto tempo
l’attenzione delle imprese, che in
esso hanno intravisto una formidabile
opportunità di business. Il web, infatti,
consente all’imprenditore di disporre
– con costi certamente contenuti e
comunque sempre remunerativi – di
una vera e propria “vetrina sul mondo”
per offrire i propri prodotti e servizi
sul mercato. Al tempo stesso il web
– anche grazie alla dematerializzazione
degli acquisti che avvengono nel
relativo contesto – ha consentito il diffondersi
di pratiche scorrette, sempre
più frequenti e sofisticate. La rete internet,
oltre ad offrire alle aziende un
nuovo canale per la pubblicizzazione
e promozione del brand, ha agevolato
lo sviluppo di un mercato telematico
che favorisce gli scambi commerciali,
tant’è che la quantità di compravendite
effettuate direttamente in internet è
in costante aumento: si pensi a quelli
che sono divenuti in tempi rapidissimi
veri e propri colossi dell’e-commerce,
i vari Amazon, Ebay, Alibaba. Basti
pensare al fatto che, negli ultimi 10
anni, l’e-commerce è stato l’unico settore
a livello globale che ha registrato
una crescita costante a doppia cifra,
tendenza che è confermata anche per
il futuro prossimo con previsioni ancor
più eclatanti. E nel futuro – e mi
riferisco alla recente emergenza Coronavirus
che ha rivoluzionato repentinamente
e profondamente le modalità di
acquisto di beni e di fruizione di servizi
– non è azzardato dire che il commercio
on-line sarà di vitale importanza per le
nostre imprese, imprimendo alla relativa
organizzazione e funzionamento un
cambiamento che per molti versi non
potrà che essere irreversibile. L’altro
lato della medaglia offerta dalle inimmaginabili
potenzialità espansive del
web è la crescente diffusione della contraffazione
on-line, fenomeno dilagante
e particolarmente sofisticato. Da una
contraffazione che nel nostro immaginario
ricolleghiamo immediatamente
alla vendita di articoli di lusso di pessima
fattura per strada o in spiaggia, si
è passati ad una contraffazione perpetrata
attraverso siti web realizzati con
tutti i crismi del lusso ed un’apparenza
molto accattivante per i consumatori.
E-store del falso che offrono, ormai
sempre più spesso, l’opportunità di effettuare
pagamenti on-line attraverso
canali ufficiali, la possibilità di avvalersi
di veri e propri customer service, se
non addirittura di effettuare resi e cambi
di merce contraffatta. Insomma, ve-
re e proprie boutique virtuali del falso,
ben lontane dagli “scantinati” nei quali
siamo abituati ad immaginare la contraffazione
e i contraffattori. Il web e la
dematerializzazione degli acquisti che
internet porta con sé agevolano molto,
d’altra parte, il malaffare dei contraffattori,
garantendo agli stessi l’anonimato
e consentendo loro di fruire di strutture
illegali del tutto evanescenti, da aprire
e chiudere con estrema facilità e sopportando
costi molto contenuti. Ciò
che è più grave, è che – a ben guardare
– la contraffazione nuoce davvero
a tutti noi. Non solo danneggia le imprese
che vedono i propri prodotti falsificati
e che perdono direttamente e
immediatamente opportunità di mercato,
ma anche l’erario che perde il gettito
dei tributi che deriverebbero dalla
relativa vendita se la stessa fosse realizzata
nella piena legalità. Non solo
nuoce ai consumatori, non sempre
consapevoli dei rischi connessi ai beni
contraffatti (si pensi al rischio indotto
dalla contraffazione nei settori dei
medicinali o dei cosmetici anch’essa
molto diffusa), ma anche all’immagine
del Made in Italy nel mondo che ne
resta irrimediabilmente offesa. Non solo
comporta un grave danno per l’occupazione,
con un dilagante lavoro
nero ed una perdita massiccia di po-
Aldo
Fittante
Avvocato in Firenze e Bruxelles, docente in Diritto della Proprietà Industriale
e ricercatore Università degli Studi di Firenze, già consulente
della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sui Fenomeni della Contraffazione
e della Pirateria in Campo Commerciale” della Camera dei Deputati.
www.studiolegalefittante.it
52
E-COMMERCE
sti di lavoro regolari, ma anche gli investimenti,
con una notevole riduzione
della propensione delle nostre imprese
ad investire in innovazione e creatività.
L’impresa è certamente chiamata
ad affrontare nuove sfide, avvalendosi
di una consulenza specialistica in
un settore strategico caratterizzato da
grandi opportunità di business ma anche
dall’esigenza di attivare forme di
tutela del tutto peculiari e da ponderare
con estrema attenzione. Punto di
partenza per un’adeguata risposta alla
contraffazione on-line – così come
avviene del resto anche nel mondo reale
– è certamente la proprietà industriale.
L’attivazione e l’ottenimento di
diritti di privativa industriale quali marchi,
disegni e modelli, brevetti per invenzione
e domain names costituisce il
primo presupposto necessario per reagire
in maniera rapida e decisa contro
comportamenti contraffattivi che
nella rete sono ormai sempre più frequenti
e sofisticati. Adattandosi inoltre
alle specificità della contraffazione nel
web, per un’efficace lotta alla contraffazione
on-line è imprescindibile anche
un ripensamento della prospettiva
di intervento: internet e le relative dinamiche
espansive possono cioè offrire
nuove opportunità di repressione del
falso. L’imprenditore deve azionare le
proprie privative non solo nei confronti
dei singoli contraffattori, ma rivolgendo
le proprie istanze anche alle strutture
telematiche delle multinazionali che
rendono possibili le attività di commercio
elettronico di beni contraffatti e che
veicolano – pur inconsapevolmente –
gran parte del falso commercializzato
nel web. L’obiettivo è quello di ottenere
– a seguito di formali notifiche dei
diritti violati agli Internet Service Providers
– l’immediato “oscuramento”
dell’offerta nel web di prodotti falsi e,
nell’ipotesi di recidiva, la chiusura definitiva
dell’account del contraffattore.
Tale ulteriore prospettiva di lotta alla
contraffazione – una lotta al falso 2.0
potremmo ben dire – è del resto supportata
dal mutato quadro giuridico nazionale
ed internazionale. Dall’esonero
totale ed incondizionato da responsabilità
degli Internet Service Providers,
la normativa si è infatti evoluta configurando
una forma di corresponsabilità
delle multinazionali che gestiscono
le piattaforme del commercio on-line
nel caso in cui – pur avendo ricevuto
formale denuncia da parte dei titolari di
diritti di privativa industriale della contraffazione
in atto – abbiano omesso di
attivarsi tempestivamente rimuovendo
i contenuti illeciti da essi ospitati nelle
loro piattaforme.
E-COMMERCE
53
Arte del
Vino
A cura di
Paolo Bini
Il gioco degli abbinamenti: antipasti di terra
di Paolo Bini
Visto il periodo forzato di clausura
e il sorprendente interesse
mostrato dagli italiani nella
cucina casalinga prêt-à-poster sui social,
iniziamo a darvi qualche minimo
suggerimento sugli abbinamenti per
rendere più appetitosa la vostra tavola
evitando di incappare in storture sgradevoli
anche alla nostra vista. Quella
dell’abbinamento è un’arte tutt’altro
che semplice e parte innanzitutto dalla
percezione e interpretazione delle caratteristiche
sensoriali di un piatto. Sapori
come l’acido, il salato, l’amaro, il dolce
(anche l’umami e il grasso direbbero
i modernisti) debbono essere quantificati
assieme alle sensazioni tattili di un
preparato per poi scegliere il miglior vino
in accordo garbato. Apriamo questo
mese una parentesi sull’enorme mondo
degli antipasti concentrandoci, per
circoscrivere l’ampio raggio, su quelli
di terra. Manterremo un inevitabile occhio
di riguardo per la nostra Toscana
ma i concetti che esprimeremo sappiate
che sono validi universalmente. Crostini,
verdure grigliate, rustici, affettati
misti, formaggi: comprendete bene che
intensità e qualità dei sapori variano
in base al preparato e di conseguenza
modificano le peculiarità del vino con
cui abbinarle. Tutto l’insieme e la per-
ph. Frank Georg
sistenza delle percezioni
va idealmente a costituire
la struttura di un
cibo, è essenziale che
il vino in abbinamento
possegga una struttura
concordante! Ecco perché
un Chianti Classico
riserva si abbina molto
meglio ad una bistecca
alla fiorentina piuttosto
che a crostini misti
toscani, così come un
Brunello di Montalcino
riesce decisamente meglio
su un cinghiale fatto
in umido che su un
suo insaccato. Ma allora
come fare? Quali sono
i concetti cardine da
seguire? Restiamo ovviamente
sul generico
ma sappiate che un vino
bianco di buona acidità
si rivela spesso più
efficace sugli stuzzichini
di entrata rispetto ai
rossi. Importante con-
trapporsi all’estrema grassezza anche
con l’effervescenza degli spumanti secchi.
Cosi, mentre rimaniamo in attesa
delle vostre curiosità e domande da in-
Spumante metodo classico brut
rosé Colle B, Colle Bereto
Vernaccia di San Gimignano DOCG
Clamys, Cesani
viare alla nostra redazione, vi suggeriamo
di provare un Vernaccia di San
Gimignano giovane da abbinare a rustici,
frittini, prosciutto crudo e crostini
di fegatini. Clamys di Cesani è ad
esempio un vernaccia profumato
di cedro, ginestra, mentuccia con
note minerali che in bocca riserva
un idoneo finale sapido e succoso.
Per un tagliere di salumi
misti e formaggi dove non manchino
salsicce e pecorino fresco
immaginiamo bene anche la delicatezza
cremosa e sgrassante
delle bollicine rosa di Colle B,
pinot nero chiantigiano spumantizzato
di Colle Bereto: aromi di
ribes, rosa canina, crosta di pane
e melagrana che sono ravvivati
nel calice da un gusto brioso
ed elegante. Il gioco degli abbinamenti,
su La Toscana nuova, è
appena cominciato…
54
IL GIOCO DEGLI ABBINAMENTI
Eventi in
Toscana
Su Toscana Tv una grande rassegna d'arte contemporanea
promossa in collaborazione con Toscana Cultura e il sostegno
del Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
500 opere di altrettanti artisti proposte gratuitamente ogni sera alle 20.15 nella
rubrica Incontri con l'arte
di Fabrizio Borghini / foto Franco Giomini
Nei giorni tristi del Coronavirus
è nata una nuova iniziativa
promossa della trasmissione
Incontri con l'arte di Toscana Tv in
collaborazione con l'associazione Toscana
Cultura e il sostegno del Movimento
Life Beyond Tourism Travel to
Dialogue. Alla redazione della rubrica
televisiva, che va in onda tutte le
sere dalle 20 alle 20.30 sul canale 18
da venticinque anni con una media di
50 mila telespettatori a puntata, sono
pervenute, da parte di pittori, scultori,
grafici, fotografi, maestri orafi, numerose
richieste di poter dare spazio
alle opere prodotte dal loro ingegno,
soprattutto sull'onda emotiva di questa
epocale sciagura, la cui visibilità è
temporaneamente preclusa dall'oscuramento
totale dell'attività espositiva
provocato dalla chiusura di gallerie
pubbliche e private. Così ha preso consistenza
l'idea di dar vita a un nuovo
format, una pinacoteca virtuale aperta
democraticamente e gratuitamente
a tutti gli artisti che ne facciano richiesta
senza alcuna selezione inviando le
foto delle opere con nome e cognome
dell'autore alle mail incontriconartetv@gmail.com
o toscanacultura@
gmail.com oppure contattando telefonicamente
la presidente di Toscana
Cultura Lucia Raveggi al 333 9704402.
Da martedì 14 aprile fino al 31 maggio
verranno trasmesse, tutte le sere
alle 20.15, ben 50 puntate della nuova
rubrica ciascuna delle quali contenente
la riproduzione di 10 opere di altrettanti
autori; alla conclusione del ciclo
saranno 500 le opere che andranno
a comporre quella che può essere
considerata senz'altro la più grande
vetrina di arte contemporanea toscana
di questi tempi. Sarà possibile rivederle
tutte in maniera permanente
sul canale Youtube Fabrizio Borghini,
che conta 6500 iscritti, e nel sito
www.toscanacultura.it.
Per far fronte a un così imponente impegno
produttivo, è stata determinante
la partecipazione del Movimento
Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
che con l'appoggio a questa iniziativa
ha ribadito la già dimostrata
sensibilità verso gli artisti inserendoli
gratuitamente nella sezione Art in
our heart, per tutto il 2020 e il 2021,
all'interno del portale delle espressioni
culturali del Movimento, una rete che
conta oltre 14 mila utenti distribuiti in
111 paesi del mondo offrendo così la
possibilità, senza alcuna spesa accessoria,
di dare visibilità alle loro opere
favorendone anche la commercializzazione
in tutto il mondo. Per approfondire
le informazioni e per eventuali
inserimenti è possibile contattare Stefania
Macrì al 393 8491433 o scrivere
alla mail info@lifebeyondtourism.
org. L'iniziativa è promossa dalla Fondazione
Romualdo Del Bianco, da
sempre impegnata nella valorizzazione
del dialogo fra i popoli attraverso
l'arte e la cultura. Una bella opportunità
per aiutare la rinascita della nostra
economia e la diffusione dell'arte contemporanea
italiana.
Al centro della foto, la presidente di
Toscana Cultura Lucia Raveggi con
il giornalista Fabrizio Borghini (alla
sua destra) della rubrica Incontri
con l'arte e Paolo Del Bianco, presidente
della Fondazione Romualdo
Del Bianco, durante una delle tante
rassegne promosse da Toscana Cultura
all’Iclab di Firenze in collaborazione
con la Fondazione Romualdo
Del Bianco; in foto anche l’assessore
ai Lavori pubblici del Comune
di Firenze Stefano Giorgetti (il primo
a partire destra), la stilista Regina
Schrecker e Giancarlo Antognoni
TOSCANA TV
55
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
L’Arte nel nostro cuore con il Movimento Life
Beyond Tourism Travel to Dialogue
La rete Life Beyond Tourism di oltre 14.000 utenti a disposizione
degli artisti affiliati
di Stefania Macrì
L’Arte nel nostro cuore è l’iniziativa
del Movimento Life
Beyond Tourism Travel to
Dialogue pensata per gli artisti, per
supportarli in questo momento di difficoltà
causato dall’emergenza sanitaria
che ha fermato le varie attività.
Infatti, se da un lato il Movimento Life
Beyond Tourism Travel to Dialogue ha
deciso di mettersi accanto alle aziende
produttive del nostro paese per dar
loro un sostegno per la ripartenza, pur
stando a casa, dall’altro lato ha pensato
al vasto mondo artistico che, assieme
a quello degli artigiani, rappresenta
il fiore all’occhiello della nostra Italia,
favorendone un’importante e qualificata
visibilità internazionale. Com’è
noto, Life Beyond Tourism sin dalla
sua nascita ha sempre cercato di valorizzare
le espressioni culturali dei territori
e grazie al lavoro del Movimento
Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
tale valorizzazione è messa in pratica
con una serie di iniziative.
Cosa è stato pensato per gli artisti?
All’interno del portale delle espressioni
culturali del Movimento Life
Beyond Tourism (www.lifebeyondtourism.org)
è stata creata una sezione
dal titolo Art in our Heart dedicato al
mondo dell’arte con la possibilità di
aderire al Movimento gratuitamente
entro il 30/06/2020 e avere comunque
la gratuità fino al 31/12/2021.
In tal modo sarà possibile usufruire
di una serie di servizi che consentiranno
una grande visibilità, sia a
livello nazionale, sia internazionale
grazie a una rete che conta oltre
14.000 utenti distribuiti in 111 pae-
si del mondo.
Ogni artista che aderisce ha la possibilità
di:
- Creare una pagina personale che
diventa la propria vetrina, dove inserire
contenuti testuali, immagini, link,
i propri contatti e tutto ciò che ritiene
importante far sapere agli utenti della
rete.
- Essere inseriti nelle comunicazioni
del Movimento attraverso le newsletter
mensili che evidenzieranno la sezione
degli artisti.
- Partecipare alle mostre virtuali
calendarizzate in estate e autunno
2020 sulla piattaforma del Movi-
56
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
mento: si tratta di una grande novità
pensata esclusivamente per gli artisti
affiliati che potranno parteciparvi
esponendo fino a quattro opere a
mostra.
- La possibilità di attivare gratuitamente
un negozio online per l’anno
2020 grazie all’accordo con il partner
tecnologico italiano Donkey Commerce
nell’ambito dell’iniziativa Vo per
Botteghe WEB (questa opportunità è
chiaramente soggetta alla normativa
vigente per il commercio online).
Come fare per aderire?
Per aderire al Movimento Life Beyond
Tourism e iniziare subito a usufruire
dei servizi basta collegarsi al sito
www.lifebeyondtourism.org, nella sezione
Registrati adesso, scegliere il
profilo Artista, seguire le istruzioni
automatiche e inserire il codice sconto
artinourheart. La segreteria del Movimento
Life Beyond Tourism Travel to
Dialogue è disponibile a fornire assistenza
attraverso l’indirizzo email
info@lifebeyondtourism.org.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel
to Dialogue mette in pratica i princìpi
che la Fondazione Romualdo Del Bianco,
attraverso Life Beyond Tourism, ha definito
per la valorizzazione delle espressioni
culturali dei territori, per il dialogo tra
culture e la salvaguardia del patrimonio,
culturale e naturale, materiale e immateriale.
Tutelare le particolarità dei territori
significa avere a cuore lo sviluppo e la
protezione del territorio stesso, soprattutto
quello di appartenenza, e dare un
valore aggiunto a tutto ciò che dal territorio
viene creato. In quest’ottica il mondo
dell’arte e quello della produzione
artigianale hanno la grande opportunità
di farsi conoscere a livello territoriale,
nazionale e internazionale grazie al
Movimento Life Beyond Tourism Travel
to Dialogue e creare una rete di collegamenti
che vada oltre qualsiasi confine fisico.
«Il Movimento Life Beyond Tourism Travel
to Dialogue è a fianco degli artisti e
pensiamo che le iniziative rivolte al mondo
dell’arte possano tendere una mano
in questo momento di difficoltà - afferma
Carlotta Del Bianco, presidente del
Movimento Life Beyond Tourism Travel
to Dialogue -; crediamo fortemente che
il mondo dell’arte debba essere sostenuto
e incentivato, come tutte le attività
produttive del nostro territorio e ancor
più perché la creatività e l’ingegno italiano
sono da sempre stimolo di rinascita
in periodi di difficoltà».
Per gli artigiani e PMI
L’iniziativa dedicata agli artisti si va
ad affiancare a quella già in corso e
dedicata alle aziende piccole e medie
che prende il nome di Vo per
Botteghe WEB e che consente, tra le
altre cose, di creare un negozio online
e vendere i propri prodotti. Molte
aziende hanno già aderito al progetto
e, grazie al codice sconto voperbottegheweb2020,
usufruire dei servizi
del Movimento Life Beyond Tourism
Travel to Dialogue è gratuito per
tutto il 2020. Per approfondire l’argomento
basta andare sul sito del
Movimento, alla sezione Vo per Botteghe
WEB.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism ® , ideati
dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di creare una rete internazionale
che promuova il Dialogo tra Culture a ogni livello coinvolgendo
le espressioni culturali dei luoghi (residenti, viaggiatori, istituzioni culturali,
pubbliche amministrazioni, aziende, artigiani e tutti coloro che rispondono alle
esigenze del mercato). Si tratta di una vera e propria nuova offerta commerciale
incentrata sull’agire etico.
Per info:
+ 39 055 284722
company@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
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B&B Hotels
Italia
Voglia di ripartire? #StayFlexi con B&B Hotels
di Francesca Vivaldi
B&B Hotels, la catena di smart hotel
con più di 500 hotel in 12 paesi
nel mondo e 41 strutture in
Italia, è pronta a ripartire più flexi che
mai. Solo su hotelbb.come, infatti, è possibile
prenotare al miglior prezzo senza
temere eventuali ripensamenti, grazie alla
proposta che B&B Hotels ha scelto di
adottare per i suoi clienti e per rendere
il viaggio di lavoro o di piacere flessibile
in base alle esigenze del momento attuale.
B&B Hotels Italia ha lanciato, infatti,
la speciale promozione #StayFlexi che
permette ai propri ospiti di organizzare
in tranquillità i prossimi viaggi, un weekend
di svago o un piccolo break dopo
tanto tempo passato in casa. Per tutte
le prenotazioni effettuate esclusivamente
su hotelbb.com, B&B Hotels Italia offre
la possibilità di cancellare la prenotazione,
ricevere un voucher del valore corrispondente
con validità 12 mesi, da poter
utilizzare nella medesima struttura con
eventuale adeguamento tariffario, in una
nuova data. «B&B Hotels Italia – afferma
Valerio Duchini, presidente e amministratore
delegato di B&B Hotels Italia
– si pone anche in questa circostanza a
totale disposizione della propria clientela,
al fine di rendere il soggiorno dei propri
ospiti nelle 41 strutture B&B Hotels
Italia una esperienza positiva e sicura.
Sono fiducioso che grazie a questo forte
senso di responsabilità e partecipazione
che ci contraddistingue, affronteremo il
futuro con positività e ottimismo».
58
#STAYFLEXI
B&B Hotels Italia
D
estinazioni, design, prezzo. B&B
Hotels unisce il calore e l’attenzione
di una gestione di tipo familiare
all’offerta tipica di una grande
catena d’alberghi. Un’ospitalità di qualità
a prezzi contenuti e competitivi, senza
fronzoli ma con una forte attenzione
ai servizi. 41 hotel in Italia. Camere dal
design moderno e funzionale con bagno
spazioso e soffione XL, Wi-Fi in fibra fino
a 200Mega, Smart TV 43” con canali
Sky e satellitari di sport, cinema e informazione
gratuiti e Chromecast integrata
per condividere in streaming contenuti
audio e video proprio come a casa.
Prenota da casa il tuo prossimo viaggio
senza preoccupazioni, solo con
B&B Hotels!
hotelbb.com
#STAYFLEXI
59
Arte e
gusto
A cura di
Elena Maria Petrini
Piatti gourmet da gustare con gli occhi
di Elena Maria Petrini / Foto Elena Maria Petrini e Maurizio Mattei
La relazione tra cibo e immagine
risale all’antica Grecia passando
poi al mondo etrusco e
quindi all’epoca romana dove venivano
raffigurati deliziosi banchetti. In epoca
altomedievale il cibo era considerato
un dono di Dio e si raffiguravano maggiormente
scene agresti e di trasformazione
delle materie prime: cibo come
nutrimento, quindi, e non fonte di piacere.
In epoca rinascimentale e barocca
gli alimenti tornano ad essere protagonisti
di opere artistiche e raffigurazioni
molto dettagliate e policrome, diventando
quindi un modello estetico. Ad
esempio, nella Pala di Brera di Piero
della Francesca, l’uovo sospeso al centro
del catino absidale e proiettato sulla
verticale della figura della Vergine è ricco
di significati filosofici e cosmologici.
Tra gli altri illustri artisti che si sono
cimentati nella raffigurazione del cibo,
troviamo Giuseppe Arcimboldo con le
sue figure antropomorfe, Giambattista
Tiepolo con il celebre Banchetto di Antonio
e Cleopatra, Giulio Romano con
il fastoso Banchetto nuziale di Amore
e Psiche e Caravaggio con le due versioni
della Cena in Emmaus. Per quanto
riguarda l’arte dell’Ottocento, vanno
ricordate le nature morte di Paul Cézanne,
Henri Matisse e Vincent Van Gogh.
Oggi, invece, il cibo viene raccontato
dalla fotografia in maniera quasi idealizzata,
mescolando
arte e scienza dell’immagine
nel genere definito
still life food
photography: collocati
all’interno di set opportunamente
allestiti,
i piatti gourmet vengono
resi appetitosi e
succulenti attraverso
l’uso sapiente di luci,
ombre ed effetti cromatici, il tutto in alta
definizione. Insomma, un cibo da assaporare
con gli occhi.
60
PIATTI GOURMET
Arte e
gusto
Francesco Minetti
L'arte di fumare il sigaro spiegata da un intenditore
di Elena Maria Petrini / foto courtesy Francesco Minetti - CCA e Cigar Club Matelica
Per Francesco Minetti, presidente
del Cigar Club Matelica Don
Alejandro Robaina e della Cigar
Club Association, pluripremiato “Hombre
Habano” nella categoria Comunicazione,
il sigaro è un’esperienza che
coinvolge tutti i cinque sensi e conoscerne
la storia permette di ottenere i massimi
risultati nella degustazione. La grande
passione di Minetti converge nella Cigar
Club Association, nata nel 1999 con slogan:
un’associazione di club, fatta dai
club, per i club. Si tratta, infatti, dell’unico
esempio mondiale di una sovrastruttura
che riunisce tutti i club di tre continenti,
Nord America, Europa ed Oceania,
con ben 120 club, di cui 30 stranieri. Nel
2000, Minetti conosce a Cuba Massimo
De Giovanni, molto noto nel mondo dei
sigari, e con lui entra a far parte dell’organizzazione
dell’Encuentro Amigos de
Partagas di Cuba, evento internazionale
dedicato ai sigari. Nel 2005 i cubani chiesero
ad entrambi di organizzare anche in
Italia un evento analogo. E così l’Encuentro
Amigos de Partagas en Italia di Matelica
diventa ben presto il secondo evento
al mondo più importante sui sigari, dietro
solo al Festival Habano che si svolge
a Cuba. Come presidente del Cigar club
Matelica Don Alejandro Robaina, Minetti
afferma: «Siamo il club più importante
d’Italia, dove da dieci anni promuoviamo
il concetto di associazionismo nella giusta
maniera, eliminando interessi e conflitti
e riportando il fumo lento del sigaro
e della pipa nella sua giusta collocazione;
infatti, abbiamo creato una “condivisione”
col primo club d’Italia di fumo lento
con la pipa, facendo crescere così il
numero dei club, da 15 a 120, all’interno
del Cigar Club Association (CCA). Quindi,
appartenere ad un qualsiasi club del
circuito CCA equivale ad esser associato
a tutti i club di sigaro della rete che vanta
quasi 9000 associati». Lo strumento
principe per la divulgazione delle attività
della CCA è la rivista Sigari!, di cui Minetti
è anche redattore, insieme a Nicola di
Francesco Minetti, presidente del Cigar Club Matelica Don Alejandro Robaina e della Cigar Club Association
Nunzio e Matteo Tornielli, con la direzione
di Franca Severini. «Quando si parla
di sigari in Italia − prosegue il presidente
− bisogna precisare che non si può
parlare di “Toscano” ma di “Kentucky
Italia”, perché oggi ci sono anche altre
manifatture nazionali ed altri esperimenti
che esulano dai canoni predefiniti, come
i modi Cuba, Caraibi e Kentucky, alcuni
dei quali si collocano proprio tra il modo
Caraibi e quello Kentucky. Ricordo, infine,
che il nostro club di Matelica propone
attività didattiche e serate formative
sul sigaro per spiegare che la degustazione
del tabacco va considerata come
un piacere dei sensi. Il 10% degli iscritti
non fuma ma partecipa comunque alle
attività sociali a tema enogastronomico, i
cui proventi vanno in beneficenza ad associazioni
come la Croce Rossa Italiana,
ProMatelica, agli asili nido comunali
e a sostegno di emergenze come quelle
dell’ultimo terremoto».
FRANCESCO MINETTI
61
Musica &
solidarietà
Donatella Milani
Un nuovo brano musicale e un corso di canto sui social
per sostenere la lotta al Coronavirus
di Serena Gelli / foto courtesy Donatella Milani
Nell’articolo pubblicato sullo
scorso numero, abbiamo visto
il contributo degli artisti
all’emergenza Coronavirus. Adesso
parliamo, invece, dell’iniziativa di solidarietà
di un’artista in particolare, la
cantante Donatella Milani, famosa per
il brano sanremese Volevo dirti, ma
anche compositrice di canzoni celebri
come Su di noi, interpretata da Pupo,
Ma non ho più la mia città e Piccoli già
grandi per Gerardina Trovato. Questa
volta, però, non ha scritto una canzone,
ma un sottofondo musicale ricco
di suspense per il racconto della scrittrice
colligiana Daniela Lotti intitolato
Il Coronavirus e l’Umanità. «L'idea
è nata − racconta Donatella − quando
mi sono avvicinata al pianoforte ed
ho iniziato a comporre, nota dopo nota,
una melodia che rispecchiava pienamente
tutte le sensazioni che stavo
provando in quel momento. Successivamente,
ho fatto ascoltare questa
musica a Daniela». Quest’ultima, rapita
da quegli accordi coinvolgenti, ha
iniziato a mettere, nero su bianco, le
emozioni ispiratele dalla melodia. E
così, parola dopo parola, il sodalizio
artistico ha preso forma, trasformandosi
in un breve racconto intenso e vibrante,
accompagnato da una musica
piena di pàthos. E' nato così il racconto
Il Coronavirus e l’Umanità, un testo
che ha particolarmente colpito Donatella
Milani convincendola a divulgarlo
attraverso un video diffuso prima
su Facebook e poi su tutti gli altri canali
social. L’intento è far riflettere chi
ascolta non solo sulle problematiche
legate al Covid-19, ma anche sulla situazione
climatica e ambientale globale.
I progetti della cantante non
sono finiti qui. Infatti, vista l'esperienza
collaudata sia sul palcoscenico
che come docente, ha organizzato
un corso di canto su Facebook per insegna
ai partecipanti le tecniche del
canto moderno.
Donatella Milani
Donatella Milani
62
DONATELLA MILANI
GRAN CAFFÈ SAN MARCO
Un locale nuovo e poliedrico, con orari che coprono tutto l’arco della giornata.
Perfetto sia per un pranzo di lavoro che per una cena romantica o per qualche
ricorrenza importante
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