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Periodico Algarottino Numero 3 - Maggio 2020

Periodico a cura della redazione dell’IIS “F. Algarotti” di Venezia

Periodico a cura della redazione dell’IIS “F. Algarotti” di Venezia

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SPECIALE

LA STORIA

VENETA COL

PROFESSORE

GIUSEPPE

GULLINO

ATTUALITA’

COME IL VIRUS

CAMBIA LA NOSTRA

ROUTINE

IL 25 APRILE

CULTURA

PRIMO LEVI E IL 25

APRILE

L’ARTE

DELL’AMORE

DELL’AMORE

RECENSIONI

GOMORRA

IL PIACERE

L’ALGAROTTINO

ANNO SCOLASTICO 2019-2020

N.3


SOMMARIO

SPECIALE STORIA VENETA…………………………………….PAG.1

ATTUALITA’…………………………………………………PAG.3

LA DISTANZA NEL TEMPO…………………………………………………….PAG.3

LA NUOVA QUOTIDIANITA’…………………………………………………...PAG.4

COS’È E COME VIVIAMO NOI GIOVANI LA QUARANTENA……………….....PAG.5

IL PARADOSSO DEL TEMPO……………………………………………………………PAG.6

UN 25 APRILE PIÙ “LIBERO” DEGLI ALTRI................................................................PAG.7

CULTURA……………………………………………………….PAG.9

LA LUNGA LOTTA PER LA DIGNITA’: PRIMO LEVI E IL 25 APRILE..................PAG.9

L’ARTE DELL’AMORE.....................................................................................................PAG.10

RECENSIONI………………………………………………PAG.12

GOMORRA……………………………………………………………………………...PAG.12

“IL PIACERE”: L’APOTEOSI E LA CRISI DELL’ESTETISMO IN ITALIA……..PAG.13


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

STORIA VENETA

STORIA VENETA: INTERVISTA A

GIUSEPPE GULLINO

In data 18

febbraio, ho avuto

l’occasione di

intervistare il

professore

Giuseppe Gullino,

del quale mi ha

colpita la sua

capacità di

raccontare ed

esporre un

argomento che

coinvolge tutti i

veneti: la nostra

storia.

Veneziano, dopo la laurea in Lettere ha seguito

la sua passione per la storia e, in particolare,

quella della Repubblica di Venezia. Ha

insegnato per alcuni anni Italiano e Storia negli

Istituti tecnici, poi è stato per cinque anni

all’Istituto Storico Italiano a Roma, quindi è

divenuto Ricercatore all’università di Padova;

dopo di che ha vinto la cattedra di Storia

moderna prima nell’ateneo di Udine, poi in

quello di Padova. E’autore di vari libri di storia

veneta, stesi in uno stile piano e talora

divertente, che riesce a coinvolgere il lettore in

una sorta di “viaggio nel tempo”, che io ho

avuto modo di percorrere di persona.

Come e quando è nata la sua passione per la

storia di Venezia?

La storia è sempre stata la mia materia

preferita, ma la decisione di dedicarmi ad essa

nacque fra i banchi dell’università, a Padova.

Successe durante una splendida lezione di

letteratura greca (mi ero iscritto a Lettere

antiche) del prof. Carlo Diano; il corso era

sull’Alcesti di Euripide e Diano traduceva

questa tragedia dal greco antico con tale

felicità espressiva da farla sembrare poesia.

Una lezione stupenda. Ebbene, proprio in quel

momento compresi che, se neppure una

dissertazione di così alto respiro riusciva a

coinvolgermi totalmente, questo significava

che non era quella la mia strada, e l’indomani

passai a Lettere moderne per laurearmi in

Storia, con tesi sul patriziato veneziano del

Settecento.

Secondo lei, quali furono le caratteristiche

dell’isola che le permisero di rimanere una

forte potenza (sia politica che economica)

nel tempo?

Quando nacque, al tempo di Attila, la

popolazione di Venezia viveva nelle lagune. Il

mare la proteggeva dai barbari, ma al tempo

stesso la isolava “nel” mare; ad essa era così

preclusa ogni attività che non traesse origine da

esso. Il che non spiega affatto perché Venezia

divenne una grande potenza. Il mare

rappresentava una sfida: essa poteva essere

raccolta, come accadde per altri centri come

Chioggia, Caorle, Grado, sul basso livello

della pesca e del piccolo cabotaggio. Oppure

poteva essere assunta al livello più alto, quello

della intermediazione negli scambi marittimi;

Venezia scelse la seconda strada e con la IV

crociata conquistò Costantinopoli, Creta e

molte isole dell’Egeo (1204); ma perché una

città che sì e no raggiungeva i 60.000 abitanti

potesse controllare un’area tanto vasta, era

necessario che tutta la sua popolazione si

mobilitasse a reperire le risorse umane ed

economiche per mantenere la flotta, assoldasse

soldati, creare fortezze ecc. In una parola, tutta

Venezia, nobili e popolo, si dedicò al

commercio (il Fondaco dei Tedeschi è del

1228), creando così una fortissima coscienza

civica che a sua volta avrebbe dato vita a uno

Stato coeso, in grado di vivere, e sopravvivere,

mille anni.

Ho indicato solo le premesse della risposta, ma

mi fermo qui, altrimenti perdete il resto della

gioventù.

La laguna, oltre a servire come difesa dalle

invasioni nemiche, ha avuto un altro ruolo

importante?

1


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

Quello di conferire a una città senza mura il

fascino di essere unica. Quando nell’anno 1500

Amerigo Vespucci giunse a Maracaibo, vide

un villaggio su palafitte che chiamò piccola

Venezia, Venezuela. Questo basta a indicare

quanto fosse famosa la nostra città.

Quando nacque il simbolo del leone alato?

Che cosa significa?

Non nacque con Venezia, è attestato solo dal

1261. Prima il santo protettore era Teodoro

(Tòdaro in dialetto), un santo guerriero

bizantino; poi, quando Venezia si rese

indipendente da Bisanzio (ma i colori giallo e

rosso della bandiera veneta rimasero quelli

dell’impero bizantino, l’oro e la porpora);

quando Venezia, dicevo, si staccò da Bisanzio,

sostituì san Teodoro con san Marco (tuttavia il

ricordo dell’antico patrono sussiste nelle due

colonne sul molo, Marco e Todaro, appunto.)

Il simbolo del leone era quello dell’evangelista

Marco, che ritornando da Aquileia e sorpreso

da una tempesta, trovò riparo in laguna, forse

dove ora sorge la chiesa di S. Salvador. Donde,

nel 828, il trafugamento del suo corpo da

Alessandria d’Egitto e la costruzione di una

chiesa che l’ospitasse, la basilica marciana. Il

simbolo del leone ebbe una straordinaria

fortuna. Avete mai visto la statua di un doge

nelle piazze del Veneto? Neanche una, leoni

marciani sì, tantissimi. Perché il leone di San

Marco era un simbolo avulso dalla realtà, non

riconducibile a persone concretamente

identificabili, e quindi non soggetto alla

fortuna, o sfortuna, delle vicende umane.

semplicità attraverso l’uso del dialetto

veneziano, che lo lega alla sua terra e che fa

sentire le persone con le quali parla a suo agio

e le fa entrare più in confidenza nel conversare.

Ho capito fin dal primo momento del nostro

dialogo che il suo lavoro è più di una semplice

professione, perché riesce a metterci impegno,

interesse e amore, affascinando e

coinvolgendo chiunque gli si trovi accanto.

Sara Giuba II G

Nelle scuole veneziane, dovrebbe esser

trattata di più la storia della propria città, in

modo che anche i più piccoli possano venire

a conoscenza dell’origine del territorio in cui

sorge la propria casa?

Altro che! Se, faccio per dire, gli Stati Uniti

avessero un ventesimo della nostra storia, ci

marcerebbero, mentre noi …

Da questa esperienza ho imparato molto, è

stato un piacere ascoltare qualcuno che mi

sapesse raccontare in modo coinvolgente e

dettagliato la storia, soprattutto senza

annoiarmi. Una persona colta e tanto educata,

che ha nel cuore il desiderio di condividere con

gli altri la sua dedizione e che dimostra la sua

2


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

ATTUALITA’

LA DISTANZA NEL TEMPO

“Capisci il vero valore di una cosa solo nel

momento in cui la perdi”. Questa sembra

essere la frase che descrive appieno il periodo

in cui stiamo vivendo. Questa pandemia ha

profondamente cambiato il modo di vivere e di

pensare di tutti noi, anche di coloro che prima

del famigerato lockdown non vivevano la loro

vita molto diversamente da come la

trascorrano oggi. La più importante lezione che

ci sta venendo impartita da questo periodaccio

è che non dobbiamo dare nulla per

scontato e che è il caso di essere contenti della

nostra routine

quotidiana perché

nel momento in cui

ne veniamo privati

cominciamo ad

avvertirne

l’importanza e la

mancanza. Anche

la didattica tradizionale manca.

L’impossibilità di frequentare le scuole

durante questo periodo ha comportato la

sistematica attivazione di “millemila”

piattaforme online per la didattica a distanza

che dovrebbero avere lo scopo di mettere una

pezza nell’ambito dell’istruzione.

Diciamocelo: non eravamo esattamente pronti.

Per quanto velocemente siano stati organizzati

i corsi di formazione per i docenti (almeno

nella nostra scuola), abbiamo visto che non

tutti si sono adattati in tempi brevi. Purtroppo,

molti docenti nel nostro Paese tendono a

demonizzare la tecnologia pensando che

questa sia destinata a sostituire la didattica

tradizionale, ignorando quasi del tutto le

innumerevoli possibilità integrative che essa

può invece offrire. Inoltre, pare che tutte le

applicazioni dedicate agli studenti siano

realizzate con una cura molto inferiore alla

media, ma Google ha trovato la giusta

direzione in merito. Il colosso americano ha

infatti un fitto ecosistema di app per ogni

evenienza, fatte quasi a regola d’arte: il

celeberrimo browser, l’utilissima “Google

Foto” per fare il backup dei nostri ricordi, il

famoso drive, il popolare servizio di posta

elettronica “Gmail” e la neonata “Google

Stadia”, la piattaforma pensata per i

videogiocatori che promette di essere

rivoluzionaria. Oltre a tutte queste trovate,

Google è riuscita a creare una piattaforma per

la didattica chiamata “Classroom”, integrata

con gli altri servizi dello stesso produttore

come “Meet”, l’app che ci consente di

partecipare alle videolezioni oppure la suite

dedicata alla produttività composta dai

programmi “documenti”, “Presentazioni” e

“Fogli”.

Questo sistema, ad esclusione di qualche salto

di connessione durante le videolezioni, sembra

essere più che efficace e potrebbe essere

utilizzato non solo

durante questa

emergenza del tutto

eccezionale, ma anche in

una situazione di

normalità, in quanto

riesce a creare dei veri e

propri ambienti educativi online con la

possibilità di mettersi in contatto con i docenti

sia individualmente che come classe, con

un’interfaccia intuitiva e curata migliore di

quella proposta dai vari registri elettronici, che

spesso e volentieri non funzionano bene come

dovrebbero.

Per quanto ben fatto possa essere questo

sistema, bisogna ammettere che non è

destinato a spodestare la didattica tradizionale

dal suo trono. Quel che invece è certo, è che

può aprire nuove porte e modalità per dei

lavori specifici e per le emergenze, come in

questo caso.

Se da una parte questo nuovo tipo di didattica

riesce spesso e volentieri ad aumentare la

produttività dei ragazzi rendendoli anche più

responsabili ed indipendenti, dall’altra però

3


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

uccide l’interazione sociale tra gli individui, di

cui necessitiamo in quanto essere umani.

Nicolò De Rossi V B

LA NUOVA QUOTIDIANITA’

“Sconvolto” è la parola giusta. Questa

epidemia mondiale di massima allerta e

soprattutto totalmente inaspettata ha

completamente scombussolato la quotidianità

di tutti noi. Se la vita prima di questa

quarantena la

consideravamo

monotona, ora

che dobbiamo

dire? La

routine per noi

adolescenti è

sempre la stessa: alla mattina la sveglia suona

presto per come saremmo abituati se fossimo

in vacanza, e tardi se la mettiamo a confronto

con quella delle 6:30 che usavamo ancora ai

tempi della scuola “fisica”. Ipotizziamo (come

nel mio caso) che la sveglia suoni alle 8:30,

dieci minuti per svegliarsi, quindici per fare

colazione e dopo ci si prepara alle

videolezioni. Le videolezioni. Penso siano la

novità più sconvolgente

di questa

quarantena.

Chi mai se lo

sarebbe

aspettato

tutto ciò? Io

sicuramente

no. Ma sotto sotto non è male. Dormiamo di

più, l’unico viaggio che dobbiamo fare è dal

letto al salotto e basta cambiarsi solo “la parte

sopra” del pigiama. Riguardo

l’apprendimento, sicuramente è più difficile.

Non è bello parlare a uno schermo. E neanche

ascoltare uno schermo. Ma se proprio bisogna

farlo, si fa. O almeno, si prova. É come una

gara di resistenza sott’acqua: trattieni il respiro

più che puoi e quando non ce la fai più torni a

galla, tiri un bel respiro e dopo riprovi.

Facendo così arriverai ad avere sempre più

resistenza e quindi, applicando questa

metafora al contesto iniziale, a rimanere

concentrato più a lungo. Proseguendo allora

con la routine di un teenager in questo difficile

periodo, si arriva al pranzo, ovvero alla fine

delle videolezioni. Avviene

approssimativamente verso le 13. E poi inizia

il pomeriggio. Inizia la noia, perchè dopo aver

finito i compiti, non sappiamo mai cosa fare.

C’è chi, come me, gioca alla playstation online

con gli amici oppure si guarda netflix per ore e

ore, finendo serie tv come fossero pacchetti di

patatine. E, in un modo o nell’altro, arriva la

sera. Ceniamo ascoltando la live giornaliera

del presidente della regione Luca Zaia, che fa

un riassunto generale di infetti, morti e guariti.

E ogni giorno speriamo che questo inferno

finisca al più presto. Dopo cena si continuano

i film o le partite iniziate nel pomeriggio e

solitamente si fanno videochiamate di gruppo

con i propri amici dove ci si sforza a

immaginare di essere tutti assieme, al parco,

seduti in cerchio davanti a un bel frappè

ghiacciato al

cioccolato. E dopo

si va a nanna.

Ricomincia

un’altra giornata

pressoché uguale

e così un’altra e

un’altra e un’altra

ancora. Per i

nostri genitori o

comunque più in generale le persone adulte, la

routine non è di molto differente dalla nostra.

Al posto delle videolezioni ci sono le faccende

di casa e al posto dei videogames al

pomeriggio c’è magari qualche lavoretto di

giardinaggio o

qualche lettura di

riviste/libri. Ma

io sono sicuro

che questa guerra

contro la

solitudine e la

monotonia la

vinceremo e ne

usciremo persone migliori da tutti i punti di

vista. Io in questo periodo dentro di me sento

una frase che si riconferma per l’ennesima

volta: le piccole cose quando non ci sono

diventano enormi e inizi ad apprezzarle solo

quando non ci sono più. Quando ce le hai a

portata di mano non riesci mai a cogliere la

4


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

loro importanza. Prima quanto peso davamo

anche solo a uscire di casa e a vedersi con il

proprio vicino per farsi due risate? Io poco, se

non quasi nulla. Ora farei di tutto anche solo

per rivivere uno di quei momenti. Sicuramente

ne usciremo da persone cresciute, sia dal punto

fisico che da quello mentale. Quindi, in

conclusione, una delle morali di questa

esperienza è sicuramente CARPE DIEM!

Matteo Idrees II G

COS’È E COME VIVIAMO NOI

GIOVANI LA QUARANTENA

Non è facile per noi ragazzi lavorare dietro dei

computer.

Abituati a rispettare gli orari in classe, a vedere

i professori dietro una cattedra e a trovare il

nostro compagno di banco sempre al nostro

fianco, ora ci troviamo in difficoltà, ma

dobbiamo comunque essere grati della grande

possibilità che abbiamo di proseguire gli studi

in un momento difficile.

Sarebbe peggio se li interrompessimo, perché

perderemmo mesi di lezioni molto importanti

e significativi.

La scuola permette di imparare e fare nuove

conoscenze e senza di essa non sapremmo più

come occupare le nostre

giornate, diventerebbero

solamente eterne e noiose.

Veniamo come “distratti”

passando da una lezione

all’altra, cercando di

mantenere i soliti ritmi e di

non rattristirci pensando a

ciò che succede fuori da

casa nostra.

“Non uscire” è l’ordine del

giorno da più di un mese, che all’inizio poteva

sembrare una piccola e leggera pausa, ma che

si è trasformata in una segregazione, in cui

siamo reclusi per un tempo lungo e

imprecisato.

Nonostante provassi la mancanza dei miei cari,

i miei amici e i miei parenti, che mi sembra di

non vedere da “secoli”, sono riuscita a star

bene con me stessa, a trovare un nuovo

equilibrio e nuove passioni.

Ho come scoperto dei nuovi lati del mio

carattere.

Questa quarantena non ha solo degli aspetti

negativi!

Sto imparando a cucinare, sto leggendo molto

di più e facendo esercizio fisico; mi sono

avvicinata ancora di più alla musica e al

canto… Ma la cosa migliore in assoluto è

l’aumento del tempo che ora trascorro con la

mia famiglia. Quando si andava ancora a

scuola, la prima metà della mia giornata volava

serenamente a Venezia, ma da dopo pranzo era

tutto un susseguirsi di svolgere compiti e

ognuno in casa aveva i suoi impegni. Questo

anche a causa del lavoro, che nelle famiglie

porta via la maggior parte del tempo.

Ora siamo tutti sempre insieme, ci aiutiamo,

guardiamo film, siamo molto più uniti di prima

ed è un bene. Questo però non sta accadendo

solo nella mia famiglia, ma anche in quelle dei

miei compagni e di altri conoscenti.

Inoltre, da quando meno gente utilizza mezzi

di trasporto, è diminuito anche l’inquinamento,

basta guardare l’acqua della laguna di Venezia:

da quanto non la si vedeva così limpida!

Da qui si può capire che tutto è possibile, basta

volerlo e impegnarsi ad eseguirlo.

Certo, sarebbe meglio non

arrivare ad esser costretti a

cambiare davanti ad un

virus mortale. L’idea

dovrebbe venire da noi

stessi, per evitare

sofferenze e “catastrofi”.

Secondo me quindi, il

messaggio che ci vuole

lanciare questo periodo è

quello di farci capire il

valore di molte cose a cui

prima non davamo minimamente importanza:

non solo per mancanza di tempo e/o voglia, ma

anche perché avevamo tutti le nostre abitudini

e nessuno ha avuto la giusta spinta di cambiare,

fino a quando quest’ultima si è presentata

direttamente alle nostre porte, come se ci fosse

stata “indotta” da qualcuno.

Guardando oltre noi stessi, fissiamo lo sguardo

dentro agli ospedali: i volti dei poveri medici

stanchi e rovinati da giornate intere coperti da

5


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

mascherine e occhiali protettivi, persone che

hanno perso la vita e ora non più solo in Italia,

ma in tutto il mondo.

Dobbiamo ritenerci fortunati di star bene e di

essere felici.

Soffriamo chiusi in casa, distanti dai nostri

amici, ma pensiamo a chi sta peggio.

Pensiamo a chi darebbe qualsiasi cosa pur di

non aver la paura di lasciarci da un momento

all’altro. A chi si ritrova con la propria vita

sull’orlo del precipizio.

Se impariamo ad essere altruisti, il mondo ha

una speranza in più di migliorare. Quando tutto

finirà, saremo contenti di respirare quell’aria di

libertà che manca ormai da tempo.

Ci sarà molta più felicità nei volti delle persone

rispetto a quella che c’era stata normalmente

prima dell’arrivo del virus, perché è proprio

nell’attimo in cui ci viene tolta qualcosa che

iniziamo a capire quanto valore abbia per noi e

quanto saremmo disposti a dare per riaverla.

Resteremo segnati interiormente e ce lo

ricorderemo, come se fosse una piccola

cicatrice che riguarderemo mettendoci una

mano sul cuore.

Tutto questo finirà e noi ne usciremo vincitori,

dobbiamo solo portare tanta pazienza e fare un

grande sorriso!

Giuba Sara II G

IL PARADOSSO DEL TEMPO

Sempre di corsa, di fretta. Sempre indaffarati e

profondamente impegnati a concludere

qualcosa di dubbia importanza. In quanti si

riconoscono in questa descrizione? Quanti di

voi credono di non potersi permettere di

perdere tempo prezioso? Il weekend

"severamente" riservato alle feste e agli amici,

lunedì e mercoledì palestra, martedì e giovedì

danza, e poi venerdì quella verifica di

economia su un capitolo intero. Non si può

sprecare nemmeno un minuto!

E il fatto più straziante è che anche se ci

impegniamo al massimo per riuscire a far

bilanciare tutto, ci sarà sempre quel conto che

non tornerà, quell'amico che si sentirà

trascurato, quella zia che non riusciremo a

visitare, quell'episodio della serie di Netflix

che non riusciremo a guardare. La chiave?

Dobbiamo rinunciare a qualcosa. È quello che

ci suggeriscono tutti: concentrarsi sulle cose

più importanti, e così facendo, quasi per magia

ci liberiamo da alcuni obblighi. "Tutto quello

che non mi riguarda direttamente non è affar

mio", sostengono alcuni. Così facendo però si

entra in un’ottica in cui l'individuo è l'unico al

centro del proprio mondo. Ma come facciamo

allora a sapere a cosa dare più importanza?

Ora allarghiamo il campo visivo,

immaginiamo un mondo in cui tutti pensano

solo a sé stessi, chi penserà a mantenere

rapporti stabili tra individui in cui si stagliano

sempre più buchi?

In realtà è sempre stato esattamente così.

Diamo molte cose per scontato noi uomini, tra

cui il fatto che niente ci potrebbe impedire di

compiere la nostra routine… eccetto noi stessi

naturalmente.

Ma quando poi arriva un raffreddore, è

difficile.

Ma quando poi arriva una febbre, è terribile.

Poi arriva una guerra, ed è distopica.

E se mancasse il luogo dove vivere?

Non mettiamo mai in dubbio di avere una terra

sotto i piedi, dell'erba da calpestare, un fiore da

strappare. Invece, siamo stati noi stessi a

rovinare tutto, noi stessi abbiamo fatto in modo

che la terra che ci ha ospitato fin’ora diventasse

velocemente un luogo inospitale, che ci

rigettasse.

Parlavamo del tempo, una delle poche cose di

cui crediamo davvero d’essere padroni. Il

modo nel quale impieghiamo il nostro tempo

6


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

possiamo davvero deciderlo noi. Esso non solo

non è sprecabile, ma addirittura può divenire

indispensabile per dare un contributo al

mondo. Migliaia sono le associazioni nate per

dare una voce al nostro periodo. Esse ci dicono

che dobbiamo ascoltare la nostra era e

smetterla di voler continuare a ignorare tutto.

Dobbiamo devolvere davvero tutto il tempo

possibile alla tutela della terra.

È reale. Sempre abbiamo perseguito i nostri

obiettivi senza pensare a una possibile

conseguenza. E ora le conseguenze sono

arrivate. Le conseguenze le vediamo ogni

giorno. Non si può ammettere ignoranza, i fatti

sono visibili agli occhi di tutti e nascosti a

nessuno: incendi, inondazioni, stagioni sempre

più alternate, ghiacciai sciolti.

Non abbiamo mai chiesto di nascere, abbiamo

avuto questa terra senza chiederla, è la terra

che ci siamo creati.

Boscolo Angelica V ARIM

UN 25 APRILE PIÙ “LIBERO” DEGLI

ALTRI

Siamo a maggio, e dopo oltre due mesi di

lockdown, abbiamo capito che il tanto atteso

2020 si è rivelato un anno molto particolare,

capace di coglierci alla sprovvista e di

scombussolare tutti i nostri piani. Restando

chiusi in casa così a lungo, ci sembra che ormai

nulla possa tornare come prima e che certe

cose non si riusciranno più ad affrontare allo

stesso modo. Effettivamente, per un po’ di

tempo saremo costretti a rinunciare a molte

attività che amiamo fare, come ad esempio

festeggiare il nostro compleanno o trovarci tra

amici per mangiare una pizza tutti assieme.

Eppure, non tutto è perduto: alcune cose, con

un pizzico di inventiva, si possono ancora far

funzionare, nonostante la lontananza e il

divieto di assembramenti umani. Un esempio?

Sicuramente la celebrazione del 25 aprile!

La festa della liberazione del 25 aprile è una

ricorrenza molto importante per noi italiani. È

una data in cui ogni anno si commemorano la

Resistenza militare e politica delle forze

partigiane, grazie alle quali, proprio il 25 aprile

1945, si concretizzò la ritirata delle truppe

nazi-fasciste dalle città di Milano e Torino. Sei

giorni prima, il Comitato di Liberazione

Nazionale Alta Italia aveva diramato il famoso

ordine “Arrendersi o perire!”. I gruppi di

resistenza del Nord gli diedero ascolto, e così

facendo, resero possibile la liberazione di molti

territori italiani dalle grinfie dei nazisti e dei

fascisti.

Senza il coraggio e l’audacia dei membri della

Resistenza, che erano in gran parte contadini,

giovani ed operai, oggi noi non saremmo giunti

dove ora possiamo ritenerci fortunati di essere.

I partigiani italiani, lottando contro il dominio

nazista, hanno dato alle generazioni precedenti

alle nostre (ma in realtà anche a noi stessi!) la

speranza, ma cosa ben più importante, un

futuro. È per questo motivo che nel 1946, su

proposta del Presidente del Consiglio Alcide

De Gasperi, si decise di istituire appositamente

un giorno di festività nazionale: per prendersi

ogni anno un’intera giornata di tempo per

ringraziare persone preziose come gli

antifascisti, le quali, mettendo a rischio la

propria vita, tentarono il tutto per tutto per far

tornare in vita un’Italia ormai distrutta, ma non

ancora del tutto arresa.

Quest’anno il dovere di celebrare il 25 aprile si

è fatto ancora più forte e decisivo, e non solo

perché si tratta del settantacinquesimo

anniversario della fine della guerra per l’Italia.

L’intero Paese, proprio per valorizzare ancor di

più lo spirito di forza e resistenza degli italiani,

ha organizzato un intero piano per rendere la

giornata degna di essere vissuta, anche se

obbligatoriamente da casa. Per l’occasione è

stato creato un apposito sito internet

(25aprile2020.it) in cui sono state inserite tutte

le informazioni riguardo ai programmi previsti

in giornata, dalle dirette facebook con grandi

personaggi della società civile, dello spettacolo

e dello sport, a veri e propri flashmob a ritmo

di “Bella ciao”, inscenati dai balconi delle case

di tutta la penisola italiana. L’insieme di tutte

le iniziative era stato pianificato allo scopo di

creare un’unica grande piazza virtuale, in cui

alla fine è stato possibile ascoltare le parole e

conoscere le vite di coloro che hanno scritto di

7


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

coloro che continuano

a scrivere la storia del

nostro vasto e vissuto

Paese.

“Abbiamo bisogno più

che mai di celebrare la

nostra libertà, di

tornare a guardare al

futuro con speranza e

coraggio” spiegano gli

autori della pagina

web appositamente

dedicata alla

ricorrenza. È con

queste parole che si

cerca di far capire agli

italiani che la quarantena passata in casa non è

da considerarsi una prigionia, bensì un sistema

di protezione che dobbiamo assolutamente

rispettare per fermare la diffusione del

coronavirus. Non bisogna preoccuparsi più di

tanto del fatto che adesso non si possano fare

cose che erano del tutto normali fino a poche

settimane fa. Oggi più che mai è importante

pensare al domani, creare nuovi obiettivi per il

futuro, idee da seguire con progetti creativi e

innovativi.

Come ben sottolineato nel sito, “passata questa

tempesta”, tutti noi dovremo rimboccarci le

maniche e passare all’azione, cercando di

ricostruire il mondo che abitiamo e che ora si

trova in forte difficoltà, cogliendo l’occasione

anche per renderlo un posto migliore dove

vivere. Prima di intraprendere una lunga

marcia verso il restauro del nostro Paese,

dobbiamo, però, fare un passo indietro e

renderci pienamente conto degli errori finora

commessi. È necessario porre loro rimedio, per

poter poi ricominciare daccapo, armati di

grinta e buona volontà.

Come viene messo poi in rilievo sulla

piattaforma virtuale, al giorno d’oggi abbiamo

tre nemici in comune a cui far fronte: il

coronavirus, le disuguaglianze socioeconomiche

e il riscaldamento globale.

Festeggiare il giorno della liberazione significa

perciò segnare anche un punto di partenza per

le lotte che d’ora in poi dovremo affrontare

seriamente. Non solo ricordiamo le forze

partigiane che ci hanno resi liberi da regimi

totalitari e da ingiustificate

forme di razzismo.

Festeggiando il 25 aprile,

rendiamo onore anche alla

nazione italiana e alla nostra

storia, diamo forma a nuovi

obiettivi che sarà possibile

raggiungere solo con

l’unione e l’impegno, ma

che, nonostante la fatica, ci

daranno tante soddisfazioni.

Essere solidali gli uni con

gli altri ci aiuterà a

risollevarci da questa

assurda situazione in cui

siamo capitati, ci permetterà

di tornare a un’esistenza

tranquilla, e infine, cosa più importante, potrà

garantire un futuro (magari più) sereno anche

alle generazioni venture.

Mihaela Jereghi III B

L’ALGAROTTINO CONTINUA NELLA PROSSIMA PAGINA

8


LA LUNGA LOTTA PER LA DIGNITA’:

PRIMO LEVI E IL 25 APRILE

Il 25 aprile segna

una data importante

per la nostra breve

storia repubblicana.

Infatti, il 25 aprile

1945 l’Italia era

ufficialmente libera

dal dominio nazifascista

(Repubblica

di Salò). Un

conflitto violento,

fratricida e

soprattutto indimenticabile. La ricorrenza non

è, secondo il mio parere, una serie di

festeggiamenti vuoti, ma una giornata della

memoria delle vittime della guerra civile che

ha insanguinato il morente stato fascista e di

tutti coloro che hanno subito la deportazione

nei vari campi di concentramento nazisti. Molti

non tornarono, ma alcuni ci riuscirono.

Pochissimi testimonieranno. Tra questi, era

presente Primo Levi. Aveva 25 anni, quando la

Buna, parte del complesso Auschwitz-

Mononwitz venne liberato dalle truppe

dell’Armata Rossa. Ritornò in Italia che ne

aveva quasi 26 e, ormai, era un uomo

irrimediabilmente segnato da un trauma che

verrà chiamato Olocausto.

Il motivo per cui scrivo di Levi è semplice. Lo

scrittore è stato vittima della Repubblica di

Salò e si inquadra perfettamente nella

complessa tragedia attraversata dal nostro

paese in quel buio periodo.

L’identità di Levi si scinde in due anime: il

memorialista-testimone, teso a comprendere il

motivo per cui tali orrori sono stati perpetrati,

attraverso l’analisi della propria vicenda, e lo

scrittore-romanziere, volenteroso nel

raccontare le storie di tanti uomini e donne

reali, ossia che possono essere vissuti, che

vivono e che vivranno nelle pagine di un libro.

Queste due anime, così complesse e articolate,

tendono a nobilitare un aspetto essenziale

presente in ciascuno di noi e alla base della

L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

CULTURA

esperienza letteraria di Levi: la dignità. Perché

il giorno della liberazione non è altro che la

festa della dignità, che il nostro popolo ha

perso e poi duramente riconquistato in tanti

lunghi e tormentati anni.

“Se questo è un uomo” nasce con un intento

ben preciso: raccontare la privazione della

dignità e dell’identità di milioni di uomini, tra

cui lo stesso scrittore, perpetrata dai tedeschi

nei lager.

La dignità è la base per l’esistenza di una vita.

“Ogni cosa ha una propria dimensione e

misura”, recita una massima taoista. Ogni

individuo ha una propria dimensione in cui la

sua vita, che per alcuni potrebbe essere

monotona, insulsa o, semplicemente, banale,

ha una parte fantastica, quasi epica, che eleva

l’uomo e lo rende capace di vivere.

La lotta per la dignità è il tema di “Se non ora,

quando?”, grande romanzo di Levi pubblicato

nel 1982, con al centro la storia di alcuni

partigiani ebrei e del loro viaggio che li porterà

ad attraversare mezza Europa. Perché

moltissimi partigiani, seppure colpevoli di

gravi atti di violenza ingiustificata, hanno

lottato per restituire la libertà, ossia la dignità,

ad un popolo che ormai da oltre 20 anni non la

conosceva più.

La ricerca di Levi, soprattutto negli ultimi anni

della sua vita, subisce un’evoluzione. Allo

scrittore non bastava più descrivere la sua

privazione e la sua lunga tormentata

riconquista. Ora serviva comprendere i motivi

per cui gli uomini tendono a cercare di umiliare

il prossimo, alla base di tante guerre

immotivate e disumane. Questo è “I sommersi

e i salvati”, ultimo libro pubblicato dall’autore

ancora in vita (1986) e somma del pensiero

“leviano”.

L’Italia ha attraversato anni turbolenti e

violenti, dettati da forze sovversive di estrema

sinistra (Brigate Rosse) e di destra (Nuovo

Ordine) che hanno compiuto misfatti orrendi.

Poi c’è stata Tangentopoli, la caduta della

Prima Repubblica, l’ascesa di nuovi partiti, la

grande crisi del 2008 e la nascita dei primi

governi sovranisti. Nuovi eventi accadranno e

tutti noi saremo parte del “flusso della storia”,

9


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

tanto travolgente quanto impercettibile. Di

fronte alle nuove sfide, l’Italia dovrà essere

capace di essere sempre conscia di avere una

dignità, per ottenere la quale tante vite sono

state spezzate.

Non sapremo mai il vero motivo per cui l’11

aprile 1987 Levi si uccise, ma la sua memoria

deve essere mantenuta e lodata. Non solo ha

dimostrato come la guerra nell’epoca

industriale sia devastante e costellata di

tragedie inedite, ma è diventato il poeta della

dignità. Ci ha fatto comprendere come ogni

uomo e ogni popolo che ha subito una

negazione dura come quella da lui subita,

possano riuscire a riottenere la dignità, bene

che dobbiamo difendere. Il suo messaggio è

anche un monito alle generazioni future. Ossia

di non lasciarci sedurre dai nuovi totalitarismi

che imperversano nel mondo, che promettono

pace e prosperità in cambio della libertà, e

permettono altre nuove tragedie, infangando

così la memoria di tutti coloro che sono ormai

polvere della terra e che hanno sacrificato le

loro vite per ridarci la libertà.

Goethe scriveva che il caso è agente maldestro

del destino. Una tragedia immane ci voluto

donare un grande autore che ha testimoniato il

valore intrinseco della dignità. Questo è un

messaggio di speranza e un monito in tempi

che si profilano bui e sconosciuti.

Alessandro Furlan V M

L’ARTE DELL’AMORE

Molte sono le incognite che, nel corso della

nostra esistenza, ci si presentano e non trovano

risposta. Tra queste, il senso della vita

rappresenta un mistero indecifrabile a cui è

difficile dare senso. Alcuni, come

Schopenhauer, attribuiscono alla vita un senso

completamente negativo, altri, come i teologi

cristiani, le attribuiscono un valore molto alto.

Se cercassimo di comprendere il senso della

nostra esistenza, scopriremmo che bisogna

sapere obbligatoriamente che cosa sia l’amore.

Dante, all’interno di una sua delle sue Rime,

espone perfettamente come “Molti, volendo dir

che fosse Amore, /disser parole assai, ma non

potero/dir di lui cosa che sembrasse il vero, /né

diffinir qual fosse il suo valore.”. Infatti, molti

pensatori, scrittori e artisti hanno tentato di

rappresentare l’amore nella forma a loro più

congeniale ma, nella maggiore parte dei casi,

le interpretazioni sono lontane dalla verità:

l’amore equivale alla vita ed è l’unico modo

per conoscerla.

Molto importante per comprendere questo

nobile sentimento è accorgersi come l’amore

sia un’arte e che, per questo, deve essere

imparato. Per capire questo passaggio

fondamentale bisogna appoggiarsi al saggio

dello psicanalista Erich Froom, “L’arte di

amare”. Alla base della ricerca del senso della

nostra vita, secondo lo scrittore, sta il desiderio

innato dell’uomo di colmare un vuoto, base

della nostra sofferenza, dettato dalla solitudine

cronica in cui noi viviamo. Questa situazione

problematica è alla base di tutte le nostre manie

e fobie.

L’amore è un elemento di grande importanza a

cui, però, attribuiamo caratteristiche

parzialmente veritiere, a causa della società e

delle sue imposizioni. Quindi, ecco perché

l’amore, se visto come pura pulsione sessuale,

come Freud enunciò in vari saggi, non è altro

che un punto di vista relativo che amplifica il

nostro malessere esistenziale. La filosofia

materialista, così come molte altre correnti di

pensiero, non esprimono verità assolute ma,

riprendendo il concetto del relativismo

conoscitivo caro a Pirandello, uno specchio di

migliaia di specchi.

A questo punto della mia riflessione, voglio

chiarire alcuni concetti, altrimenti

interpretabili in malo modo, per garantire ai

lettori una corretta interpretazione dei miei

giudizi. Le mie supposizioni non sono altro che

pensieri relativi che verranno rimpiazzati da

altri, inesorabilmente, nel tempo. Il concetto di

amore è troppo complesso per potere

sentenziare verità infallibili e, per questo,

voglio semplicemente fare riflettere sulla

complessità dell’argomento. Dopotutto, come

scrisse George Berkeley “Few men think, yet

all have opinions” (Pochi uomini pensano,

eppure tutti hanno un’opinione). Amare non

significa essere amati ma, soprattutto, sapere

amare. Se noi non sappiamo conoscerci ed

essere capaci di amare, saremo sempre falene

che volano attorno alla luce ma non arrivano

mai al centro per paura di bruciarsi. Amare

significa conoscere l’altro ed abbandonarsi a

10


L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

quest’ultimo. Non può esistere una reale

relazione se non è presente un “sacrificio”,

ossia la rinuncia al nostro egocentrismo,

capace di colmare il vuoto presente in ciascuno

di noi.

Il sentimento che noi sentiamo come amore si

divide in due sfere: componente sessuale

(materiale) e spirituale (religiosa). Seppure la

componente sessuale nell’amore sia una

pulsione animalesca, l’unione tra due anime

deve essere anche materiale, perché la

componente sessuale è complementare a

quella spirituale e viceversa. Trattando

sull’aspetto spirituale

dell’amore, il pensiero

occidentale, rispetto a

quello orientale è

divergente principalmente

per la visione di Dio, un

elemento essenziale per

comprendere

completamente l’amore.

Nel pensiero

occidentale cristiano, Dio è individuato nella

figura di un padre, rispecchiando che la

maggiore parte degli uomini non ha mai

superato la fase infantile (su questo invito ad

una lettura più approfondita del saggio di

Froom), mentre nel pensiero orientale di

matrice taoista e buddista la figura divina

supera le fattezze umane. Come scrisse il

leggendario Lao-Tse “il saggio abbraccia

l’unità e diventa il modello dell’impero”,

perché la via (Tao) è una e immutabile. Quindi,

il sentimento che stiamo trattando è

indeterminato e immateriale, perché se

rappresentato da una figura umana (Afrodite

oppure Kamadeva) si trasforma in culto e,

quindi, perde tutto il suo fascino e si trasforma

in un rapporto di subalternità.

Credere non è altro che un sinonimo di amare,

così come la conoscenza è sinonimo di tale

sentimento. Nell’Oupnek’hat, viene scritto:

“Nel tempo in cui subentrò la conoscenza, /

l’amore s’involò dal mondo”. Questo

sentimento non si basa sulla sottomissione ad

una figura come nel cristianesimo, ma in

un’unione con il mondo che replica l’unione

tra due anime segretamente affini.

Perché possa esistere l’amore deve esistere,

infatti, affinità. Il significato di questo legame

può essere simile a quello enunciato da Goethe

nel suo romanzo “Affinità Elettive”. Noi ci

comportiamo come i metalli che troviamo

presenti in grandi quantità nella Terra. Ognuno

di loro è attratto, tramite legami indissolubili,

ad altri elementi. Il principio di affinità elettiva

è applicabile nelle nostre relazioni. L’amore

nasce da un rapporto insolubile tra individui

che, all’apparenza, sono completamente in

contrasto e scollegati. Poi, il corso degli eventi,

fa scoprire ai due individui questo legame

mistico, impossibile da comprendere fino in

fondo, che li unisce in questo vincolo

dogmatico a cui non possiamo sottrarci.

Da questo legame nasce il fascino e

l’attrazione che proviamo verso l’amore, a cui

dobbiamo pagine indimenticabili della nostra

grande letteratura e capolavori dell’arte. Il

fascino delle opere che noi studiamo, amiamo

e conserviamo che trattano questo tema sta

nella vicinanza del pensiero dell’artista al

momento dell’esecuzione

dell’opera con il nostro

pensiero. Ognuno ha la propria

concezione a riguardo, ma

volevo proporvi degli esempi,

per comprendere meglio come

l’arte, nella sua complessità,

abbia sviluppato il tema,

portandolo sempre di più alla

perfezione. Per esempio, osservando “Amore e

Psiche” di Canova, vedrò l’espressione di un

amore perlopiù spirituale, ammirando “Il

Bacio” di Hayez, ammirerò un amore più

profondo, più carnale, ma sempre sublimato,

mentre in “L’abbraccio” di Schiele

contemplerò un amore esplosivo, passionale,

dove corpo e animo si fondono nell’atto più

affascinante e importante della nostra vita.

D’Annunzio scrisse nel suo capolavoro “Il

Piacere” che “L’amore, l’amore medesimo

morirebbe, se tutto il resto non morisse…”

Perché nella nostra breve e relativa esistenza,

sappiamo solo che l’amore è l’unico

sentimento a cui possiamo realmente aspirare

per comprenderci e per potere realmente vivere

perché, come scrisse Bertrand Russell,

“temere l’amore è temere la vita, e chi ha

paura della vita è già morto per tre quarti.”.

ALESSANDRO FURLAN V

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L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

RECENSIONI

GOMORRA

In questa quarantena

ho avuto la possibilità

di dedicare il mio

tempo a molte cose:

studio, mi alleno,

guardo la tv, prendo il

sole, cucino ma

soprattutto leggo.

Solitamente non ho

momenti liberi per

leggere, ma ora

essendo “bloccata”

in casa, ho molto

più tempo

disponibile.

Oggi vorrei parlare

dell’ultimo libro che ho letto: “Gomorra”,

scritto da Roberto Saviano.

Attraverso il suo libro, Saviano, con la sua

esperienza diretta, è riuscito a raccontare la

camorra, ma anche il capitalismo globale.

L’urlo di rabbia con cui conclude l'ultimo

capitolo del romanzo è una sfida e una protesta

non solo alla camorra, ma anche e soprattutto

all'omertà dei campani e al mondo cosiddetto

"legale", che mostra purtroppo fin troppi

legami di affari con le mafie.

Il libro è diviso in capitoli nei quali viene

raccontato un mondo terribile, quello delle

organizzazioni criminali più feroci della storia

del nostro paese. La camorra è il soggetto del

libro e nello stesso tempo è l’oggetto descritto

e analizzato. Partendo dalle indagini di polizia,

Saviano parla dei vari clan, specificando cosa

accade in ognuno di essi, con l’intento di far

capire che la camorra c’è, è viva. Il racconto di

Gomorra inizia e finisce con la descrizione del

porto di Napoli, il centro di tutte le attività,

anche criminali. Qui arrivano i container senza

essere tracciati e ripartono come se non fossero

mai arrivati. L’autore inizia da questo e dai dati

a sua disposizione per spiegare come la

camorra sia riuscita a penetrare in questo giro

del commercio internazionale, proveniente

soprattutto dalla Cina, e ha descritto quali sono

i principali settori coinvolti, come la moda,

l’edilizia, i rifiuti e i trasporti. La camorra è

quindi considerata come una vera e propria

azienda che approfitta dei giovani campani per

spacciare, fargli provare le droghe, o per farli

lavorare in nero e in condizioni disumane.

Finché nulla li tocca da vicino

l’organizzazione procede a gonfie vele. Tutto

questo determina un impoverimento sociale e

non bastano i mezzi dello Stato per contrastare

questo cancro. Il “pizzo” è all’ordine del

giorno, pertanto negozi, locali, fabbriche,

imprese, sono costretti ad un “regime” di

pagamento forzato. Paradossalmente la

popolazione pensa di non aver nessuno tipo di

aiuto dallo Stato e ha fiducia invece della

camorra. In queste circostanze è difficile

intervenire, anche se la verità salta fuori anche

grazie a questo tipo di libri.

Devo dire che questo romanzo mi ha colpito

molto, viene fatto un racconto profondo di

quello che succede, in prima persona, da un

uomo che ha visto e vissuto tutto questo e ciò

ci fa riflettere. Per tutta la lettura ho avuto un

nodo in gola, un senso di ansia. È veramente

intenso, ma davvero interessante ed è per

questo che lo consiglio a tutti. D’altronde ci sta

raccontando ciò che accade nella realtà ed è

giusto che tutti siano informati su questo,

purtroppo è una brutta realtà e ritengo sia

opportuno sconfiggerla.

Alice Pin III B

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L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

“IL PIACERE”: L’APOTEOSI E LA

CRISI DELL’ESTETISMO IN ITALIA

Pochi sono stati i libri che, nella storia della

letteratura italiana, hanno influenzato in

maniera unica la nostra cultura. Se Alessandro

Manzoni, con la

pubblicazione di “I

promessi sposi”, riuscì

ad introdurre in Italia il

Romanticismo,

D’Annunzio fece lo

stesso con il

Decadentismo

attraverso una delle

sue opere

universalmente

più riconosciute:

“Il Piacere”.

Pubblicato per la

prima volta nel 1889 presso l’editore Treves,

questo libro fu il primo vero e proprio romanzo

scritto dal poeta abruzzese che sorprese

l’opinione pubblica italiana con il racconto

della vita di un’esteta, il cui nome è entrato nel

nostro immaginario collettivo: Andrea

Sperelli-Fieschi conte d’Ugenta. Attraverso

una storia inedita e coinvolgente, D’Annunzio

creò le basi della sua immensa produzione

letteraria, raccontando lo sfarzo e la decadenza

del protagonista all’interno di una Roma

onirica e indimenticabile.

La trama si incentra sulla figura di Andrea

Sperelli, giovane nobile di origini napoletane,

la cui vita è votata al solo Piacere. E’ da tale

ricerca che si intrecciano le due storie d’amore

tra Andrea e due bellissime, seppur diverse,

donne. Una, la fatale Elena Muti, si trasforma

per il protagonista nella rappresentazione del

suo lacerante desiderio carnale, mentre l’altra,

l’enigmatica Maria Ferres, rappresenta il suo

desiderio di redenzione divina. Il tutto si

svolge nella Roma di fine Ottocento, cornice

perfetta per la tragedia dell’esteta, capitale

ricca di storia, ma abbandonata alla decadenza;

la vicenda dona alla millenaria caput mundi un

fascino unico, bloccato da una realtà

soffocante.

Il primo romanzo di Gabriele d’Annunzio

risulta essere il frutto dell’esperienza maturata

durante il suo soggiorno a Roma, mentre

svolgeva la professione di giornalista per “La

Tribuna”, durato oltre un decennio, vivendo la

sua vita mondana nei vari salotti borghesi di

cui Roma era colma. Allo stesso modo,

D’Annunzio individua nella figura di Sperelli

la sua ambizione: diventare esteta e vivere una

vita dedita al languore. Lo scrittore, però,

critica l’amoralità del protagonista, che

condanna ad una vita vissuta senza provare

realmente emozioni. A riprova del suo

fallimento e, quindi, dello stesso concetto di

“estetismo”, vi è il rapporto burrascoso e

passionale con Elena e Maria.

I due personaggi rappresentano le due anime

di una donna e le tensioni di Andrea. Elena

Muti, come precedentemente affermato,

rappresenta la femme fatale, donna

affascinante ma mortale. Andrea, a suo

malgrado, è vittima di tale figura, di cui

vuole controllarne il possesso, ma da cui

finisce per essere controllato, finendo per non

arrivare alla redenzione, possibile solo

possedendo Maria Ferres. Quest’ultima,

moglie del ministro plenipotenziario del

Guatemala e dall’animo profondamente

cristiano ma turbato dall’influenza del conte

d’Ugenta, finisce per diventare sua preda e,

infine, sua vittima.

Con lo sviluppo delle vicende, la figura di

Sperelli risulta diventare sempre più ambigua.

Da un lato viene attratto fatalmente da Elena,

diventando vittima del suo stesso sofisma ma,

dall’altro lato, attrae la casta e pura Maria,

causandone la rovina. In sostanza è lo stesso

protagonista a essere vittima e carnefice, in

virtù di un’assenza di ideali morali che lo

guidino nella sua vita. Il tutto in un viaggio più

che temporale, psicologico. La novità del libro

sta nella grande attenzione ai pensieri del

protagonista che diventano la chiave per

comprendere l’intera vicenda.

All’interno del romanzo è presente, come nella

maggiore parte delle opere decadenti, un

simbolismo molto marcato. Elena, donna

fatale, è legata alla lettura di Goethe, mentre

Maria del grande poeta romantico Percy

Shelley. Anche gli stessi nomi delle due donne

alludono al loro ruolo. Elena rimanda alla

figura della figura amata perdutamente da

Paride e causa della Guerra di Troia, mentre

Maria allude alla madre di Cristo, simbolo del

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L’ALGAROTTINO-LA VOCE DELLO STUDENTE

Cristianesimo e di purezza d’animo. Inoltre la

musica gioca un ruolo di primo piano. La scelta

di artisti perlopiù neo-classici, come

Boccherini, e romantici, come Beethoven,

accentuano il contrasto della vita mondana

romana dei protagonisti, tra raffinatezza

sublimata e passione esplosa in desiderio

carnale.

La meravigliosa e tormentata storia si svolge in

una Roma maestosa che richiama alla Roma

dei Papi, ossia quella delle grandi famiglie

romane del Medioevo e del Rinascimento, di

cui Andrea vuole imitare la grandezza e la vita

sfarzosa. Infatti “alla domanda “Che vorreste

voi essere?” egli (Andrea) aveva scritto

“Principe Romano””. La città è fatta

anch’essa di simboli che richiamano,

soprattutto verso la fine del romanzo, alla vera

riflessione dietro l’opera: la decadenza e

conclusione del mondo aristocratico, a favore

del mondo borghese. composto da quelli che lo

scrittore definisce “gente bassa”.

Nonostante molti critichino la scrittura

d’annunziana, dalla narrazione lenta e ricca di

vocaboli rarefatti (capaci, però, di rendere tale

libro indimenticabile), “Il Piacere” risulta

essere una pietra miliare della nostra letteratura

oltre che l’inizio di un percorso che porterà

D’Annunzio, nel successivo “Il Trionfo Della

Morte” ad annunciare la morte del personaggio

esteta per fare spazio allo sviluppo di un nuovo

protagonista, ossia il “Superuomo”, risposta

personale alla crisi del ruolo dell’intellettuale

posta dal movimento del Decadentismo.

ALESSANDRO FURLAN V M

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