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La Città – La Squadra – Gli Eventi<br />
Numero <strong>29</strong> del 30 agosto 2020<br />
DE LAURENTIIS<br />
RILANCIA<br />
LA SFIDA<br />
PIPPO INZAGHI<br />
L’ex campione del mondo<br />
in serie A con il suo Benevento dei record
FRAMMENTI D’AZZURRO<br />
La stagione<br />
del rinnovamento<br />
I<br />
di Giovanni Gaudiano<br />
l ritiro precampionato del <strong>Napoli</strong> sta per concludersi.<br />
La nuova sede così vicina alla città ha favorito, nonostante<br />
il periodo, un afflusso copioso ed un ricambio<br />
continuo da parte dei tifosi partenopei.<br />
I temi sui quali discutere a questo punto sarebbero: che campionato<br />
vedremo, quanti spettatori potranno occupare le gradinate<br />
degli stadi, come verrà gestita la quarantena se il contagio<br />
dovesse ripresentarsi in una forma aggressiva e<br />
come saranno gestiti i viaggi per le nazionali e per la ripresa<br />
delle competizioni europee ed i relativi ritorni in sede dei convocati.<br />
La voglia di scrivere di queste cose però è poca. I contorni<br />
di tutto quello che è accaduto sono ancora nebulosi e spesso<br />
appaiono inspiegabili.<br />
Lo sport, ed il calcio in particolare, è sempre stato un’occasione<br />
per coinvolgere le masse, per alimentare passioni durature,<br />
antagonismi ed a volte anche sfegatati campanilismi<br />
ma il nostro sport nazionale è stato sempre e soprattutto voglia<br />
di competere, di misurarsi.<br />
Pur sapendo di dover fare i conti con qualcosa di imprevisto,<br />
un incubo che pare non voglia ritornare nell’oblio, è necessario<br />
voltare pagina e dedicarsi a sviluppare discorsi sul<br />
gioco, sui confronti, sul dopo partita infuocato e polemico,<br />
quello che costituisce molto spesso il sale di questo meraviglioso<br />
gioco.<br />
Parlando del <strong>Napoli</strong> di Aurelio De Laurentiis, sembra che<br />
la stagione che sta per iniziare dovrebbe segnare l’inizio di<br />
un nuovo ciclo.<br />
La scelta del tecnico anche se a campionato in corso, le parole<br />
del presidente hanno lasciato intendere nei mesi scor-<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
3
si che si sarebbe puntato ad una riprogrammazione, ad uno<br />
svecchiamento.<br />
Qualche scricchiolio però trapela dalle segrete stanze. Il contratto<br />
non ancora rinnovato all’allenatore, la cui volontà peraltro<br />
sembra tentennare di fronte alle abituali clausole che<br />
la società inserisce nei contratti, non è un segnale positivo,<br />
non garantisce la continuità della conduzione e soprattutto<br />
non lascia intendere che si tratti davvero dell’inizio di un<br />
nuovo ciclo.<br />
De Laurentiis sembra tranquillo, forse anche perché la presa<br />
di posizione di Gattuso lo mette in condizione di limitare<br />
gli investimenti previsti e spendere di meno. Ci permettiamo<br />
di dire che sarebbe un clamoroso errore avviare il motore<br />
con il freno a mano tirato, sarebbe l’ennesima dimostrazione<br />
di una politica poco competitiva in campo e solo<br />
molto redditizia in amministrazione.<br />
È augurabile che quanto prima venga fatta chiarezza e nel<br />
frattempo noi ci dedichiamo a parlare dell’attacco del <strong>Napoli</strong>.<br />
Di quello che è stato, dei giocatori che lo hanno composto<br />
e di quelli che dovranno riportarlo a livelli accettabili.<br />
Non è un caso che nella stagione da poco conclusa gli azzurri<br />
abbiano realizzato in campionato solo 61 reti con una flessione<br />
che negli ultimi anni è apparsa inesorabile. Si è passati infatti<br />
dagli 80 gol del 2014-15 ed al record dell’anno seguente di<br />
94 segnature ai 77 del 2017-18 ed ai 74 del 2018-19. Solo nel<br />
2013-2014 si era segnato di meno con 54 reti e con la zona<br />
Champions fallita sia pur solo all’ultima partita.<br />
La statistica in questo caso aiuta a comprendere e se analizzassimo<br />
quella dei gol subiti, lo faremo quando sarà chiara<br />
la rosa della nuova difesa azzurra, sarebbe ancora più evidente<br />
come il rendimento del <strong>Napoli</strong> abbia subito un’erosione<br />
dovuta forse alla stanchezza di alcuni uomini, ad un modulo<br />
non più applicabile e soprattutto a qualche investimento non<br />
del tutto riuscito.<br />
Senza voler cercare il solito colpevole, giusto per parlare, è<br />
necessario prendere coscienza invece di come una stagione<br />
sia finita. Di come un tipo di gioco gradito e adeguato ad una<br />
certa rosa forse debba andare in soffitta per evitare di replicare<br />
qualcosa di superato. Il <strong>Napoli</strong> che ha preso Osimhen deve<br />
programmare un gioco che ne possa valorizzare le qualità.<br />
Un tipo di gioco dove la profondità, la velocità ed il sostegno<br />
ad una punta forte fisicamente, rapida, predatore inesorabile<br />
in area di rigore, capace quindi di creare spazi al limite<br />
ai tiratori dalla media distanza (Mertens, Fabian Ruiz,<br />
Zielinski, Politano) siano fondamentali nello schema d’attacco.<br />
Se questo rinnovamento sarà disatteso, l’annata potrebbe svilupparsi<br />
negativamente con una serie di conseguenze che ci<br />
si augura non abbiano a verificarsi. Se la società invece si muoverà<br />
sul mercato come pare e se arriveranno un certo tipo<br />
di giocatori funzionali ad un gioco di tipo più europeo, come<br />
quello che si è avuto modo di vedere nelle finali europee organizzate<br />
in Portogallo e in Germania, l’allenatore sarà chiamato<br />
a favorire questa scelta senza soffermarsi su beghe di<br />
spogliatoio. Potrà dimostrare facilmente di avere iniziato un<br />
tale percorso partendo proprio dalla posizione del portiere,<br />
si dice di solito che si inizia a contare proprio dal numero<br />
1, sul quale c’è poco da discutere, viste le carenze tecniche<br />
mostrate in varie occasioni da Ospina opposte ad una classe,<br />
ad una innata capacità di un ragazzo come Alex Meret,<br />
sul quale scommettono da tempo gente come Zoff e Iezzo,<br />
due portieri che appartengono alla incancellabile storia del<br />
<strong>Napoli</strong>.<br />
4 domenica 30 agosto 2020
DOOA.it
IN QUESTO NUMERO<br />
Numero <strong>29</strong> del 30/08/2020<br />
Emanuele Calaiò ci parla dell’attaccante e del suo <strong>Napoli</strong><br />
ph. Agenzia Mosca<br />
Il presidente De Laurentiis<br />
rilancia la sfida con il suo <strong>Napoli</strong><br />
Foto Mosca<br />
In copertina<br />
Pippo Inzaghi riparte in serie A<br />
con il suo Benevento dei record<br />
ph Mario Taddeo – Sport photo agency per Ottopagine<br />
Il NapolI<br />
08 Copertina<br />
De laurentiis e gli allenatori<br />
di Giovanni Gaudiano<br />
15 la nuova stagione<br />
Nasce il <strong>Napoli</strong> di Gattuso<br />
di Giovanni Gaudiano<br />
18 lente di ingrandimento<br />
l’attaccante secondo Gianni Brera<br />
di Lorenzo Gaudiano<br />
21 la maglia numero 9<br />
Dalle pampas a lagos<br />
Con un Salto … nello Rio della plata<br />
di Bruno Marchionibus<br />
27<br />
I più amati<br />
I tre “caballeros”<br />
lavezzi – Cavani – Mertens<br />
di Marco Boscia<br />
31 l’uomo delle promozioni<br />
Emanuele Calaiò<br />
di Giovanni Gaudiano<br />
34 l’approfondimento<br />
Gli attaccanti tra gol e plusvalenze<br />
di Francesco Marchionibus<br />
36 l’attaccante visto dalle donne<br />
adriana De Maio e il suo racconto<br />
di Marina Topa<br />
Il BENEvENto<br />
39 appunti in giallorosso<br />
Questa volta sarà diverso<br />
di Lorenzo Gaudiano<br />
41 Il ritiro in austria<br />
Dal Sannio alle… lpi<br />
di Gigi Amati<br />
45 Copertina 2<br />
Storie di calcio<br />
pippo Inzaghi<br />
di Giovanni Gaudiano<br />
49 profili<br />
Kamil Glik<br />
Il cuore oltre l’ostacolo<br />
di Lorenzo Gaudiano<br />
52 l’approfondimento 2<br />
lo stile vigorito per il Benevento<br />
di Francesco Marchionibus<br />
lE StoRIE<br />
54 Marcello Sannino<br />
Dalla libreria alla macchina da presa<br />
di Lorenzo Gaudiano<br />
la CIttà<br />
59 la Funicolare vesuviana<br />
Una storia, un sogno, una sfida<br />
di Domenico Sepe<br />
62 I luoghi di <strong>Napoli</strong><br />
San pietro a Majella<br />
di Paola Parisi<br />
tEMpI MoDERNI<br />
65 amore vuol dire gelosia?<br />
di Ciro Chiaro<br />
n. <strong>29</strong> del 30 agosto 2020<br />
Aut. Tribunale di <strong>Napoli</strong><br />
n. 50 del 8/11/2018<br />
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CON IL QUOTIDIANO “ROMA”<br />
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Hanno collaborato<br />
a questo numero<br />
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agli eventi ed alla città<br />
“<strong>Napoli</strong>” sarà nuovamente in edicola con il quotidiano “Roma” in occasione della prima giornata del campionato di serie A
COPERTINA<br />
l numero di per sé a <strong>Napoli</strong> non porterebbe bene ma per una volta,<br />
I<br />
attivando tutti gli scongiuri del caso, si inizierà la stagione guardando<br />
con decisione in avanti, sicuri di aver già pagato ampiamente<br />
in questi anni eventuali debiti con la fortuna.<br />
Quella che sta per iniziare sarà la diciassettesima stagione con Aurelio De<br />
Laurentiis alla guida della società azzurra. Il suo <strong>Napoli</strong> sta per diventare<br />
maggiorenne. Una vita, quindi, una storia piena di speranze, di emozioni, di<br />
uomini di qualità arrivati per riportare il <strong>Napoli</strong> laddove merita di stare.<br />
DE LAURENTIIS<br />
E GLI ALLENATORI<br />
DEL SUO NAPOLI<br />
Dal gran signore Reja all’aggressivo<br />
Gattuso passando per il toscanaccio<br />
Mazzarri, l’internazionale Benitez,<br />
la scommessa Sarri ed il parafulmine<br />
Ancelotti. Senza dimenticare<br />
le meteore Ventura e Donadoni.<br />
Una storia fatta di cicli e di programmi<br />
ambiziosi a volte sfiorati da rilanciare<br />
dopo un’annata confusa con una rosa<br />
forse arrivata al capolinea<br />
di Giovanni Gaudiano<br />
Una storia con molti alti, pochi bassi, con qualche titolo<br />
conquistato per arricchire la bacheca azzurra. Un’avventura<br />
cominciata a Paestum tra i templi greci, luogo<br />
naturalmente deputato per la filosofia di cui è permeato<br />
il popolo napoletano, capace di assorbire anche un fallimento<br />
e l’onta di dover ricominciare dalla Serie C con pochi<br />
palloni ed una squadra raccogliticcia fatta in pochi<br />
giorni.<br />
Al presidente spesso in questi anni è piaciuto ricordare<br />
come ha rilevato il <strong>Napoli</strong> in quell’estate infuocata del<br />
2004. La situazione, c’è poco da dire, era quella ma forse<br />
in un momento di estrema lealtà qualcuno dei presenti,<br />
nelle varie occasioni, avrebbe potuto ricordare a Adl<br />
cosa <strong>Napoli</strong> ed il <strong>Napoli</strong> hanno rappresentato per lui, per<br />
tutta la sua famiglia e per la sua attività di oculato e capace<br />
imprenditore.<br />
L’equilibrio di De Laurentiis nella gestione della società<br />
è noto, ci sono i dati ufficiali che lo confermano ad ogni<br />
presentazione di bilancio. Anche il quotidiano nazionale<br />
più specializzato in economia non può che confermare<br />
8 domenica 30 agosto 2020
sempre questo successo che dura da sedici anni. Proprio<br />
per questo sarebbe il caso che De Laurentiis riconosca<br />
una volta tanto anche i meriti della città e degli appassionati,<br />
al di là di quelle posizioni controverse che di<br />
tanto in tanto fanno capolino.<br />
Nella conferenza stampa del 13 luglio, con la quale il<br />
patron del <strong>Napoli</strong> ha presentato il ritiro di Castel di<br />
Sangro è stato bello sentire che c’è qualcosa che Aurelio<br />
De Laurentiis ignora o non conosce. Non per un<br />
malcelato e misero senso di rivalsa nei confronti di un<br />
uomo colto, le cui qualità non spetta a noi enumerare,<br />
ma per avvalorare un concetto: si guarda molto spesso<br />
troppo lontano mentre la soluzione è più vicina di<br />
quanto tutti possiamo immaginare.<br />
È stato piacevole e soddisfacente sentire dire al presidente<br />
che a meno di due ore di auto da <strong>Napoli</strong> esiste<br />
qualcosa all’altezza, se non meglio, di quanto possano<br />
offrire le peraltro splendide valli alpine.<br />
Il ritiro a Castel di Sangro della squadra azzurra, che<br />
comunque dalla stagione ventura rimarrà accoppiandosi<br />
a quello di Dimaro, è stato un modo per rinnovare<br />
l’aria attorno al <strong>Napoli</strong>. La scelta potrebbe rappresentare<br />
idealmente l’avvio di una ragionata rifondazione<br />
che a questo punto sembra impossibile da postergare<br />
ancora. Nella rosa ci sono quelli che sono stati dei<br />
punti di riferimento in questi anni ma il loro ciclo si può<br />
dire si sia concluso all’indomani della partenza di Hamsik<br />
e poi di Albiol.<br />
Ci sembra giusto a questo punto avviare un breve<br />
amarcord per ripercorrere, proprio attraverso le parole<br />
del presidente, i passaggi che hanno contraddistinto le<br />
varie fasi della sua gestione al <strong>Napoli</strong> che va detto ha<br />
avuto una precisa connotazione: una continuità mai<br />
raggiunta anche nel momento più luminoso di un sia<br />
pur glorioso passato.<br />
Ci tocca quindi partire da quel gran signore che è<br />
stato ed è Edy Reja per riavvolgere il nastro e provare<br />
a raccontare le fasi dell’era De Laurentiis, partendo<br />
dalle parole del presidente.<br />
«Sono sempre in contatto con Reja, costantemente. L’ho<br />
sentito per anni, sin da dopo che insieme siamo tornati in Serie<br />
A. Gli chiedo spesso di venire a <strong>Napoli</strong> per aiutarmi e lui<br />
si rifiuta. Ho con lui buoni rapporti».<br />
10 domenica 30 agosto 2020
Il secondo ciclo lo si può far coincidere con l’arrivo<br />
di Walter Mazzarri alla guida del <strong>Napoli</strong>. All’atto<br />
del “divorzio”, voluto dal tecnico toscano, che pensava<br />
andando a Milano, sponda Inter, di consolidare<br />
quanto di buono costruito al <strong>Napoli</strong>, il presidente<br />
nell’estate del 2013, dopo l’ingaggio di Benitez, dichiarò…<br />
«Rimango innamorato delle persone che hanno collaborato<br />
a un progetto importante. Mazzarri è un toscano, la sua<br />
ironia è normale. Io sono per l'internazionalizzazione, per<br />
me è più giusto un allenatore come Benitez, con cui ci siamo<br />
subito trovati d'accordo su tutto. In casa mia comunque i divorzi<br />
non esistono. Ho dato un'ultima opportunità a Mazzarri<br />
ma lui non l'ha accettata, ritenendo di aver concluso il<br />
suo lavoro a <strong>Napoli</strong>. Quindi ho deciso di andare avanti senza<br />
tentennamenti».<br />
Il tecnico di San Vincenzo è stato importante nella<br />
crescita della squadra ma nessuno può negare, oggi a distanza<br />
di tempo, che l’affetto dei napoletani e la possibilità<br />
offertagli dalla società ed i risultati che è stato capace<br />
di conseguire con gli azzurri non si siano ripetuti<br />
da nessun’altra parte, mostrando per intero tutti i suoi<br />
limiti gestionali.<br />
Si tratta di un estratto di alcune dichiarazioni rilasciate<br />
nel settembre del 2018 dal presidente sul tecnico,<br />
capace in meno di tre anni di riportare il <strong>Napoli</strong><br />
in Serie A e fanno eco a quanto dichiarato dal<br />
tecnico friulano nel maggio del 2016…<br />
«Aurelio De Laurentiis è un signore. Ora sa anche di calcio,<br />
ma appena prese la società no, per questo siamo quasi arrivati<br />
alle mani, ma da gentiluomini ci siamo subito spiegati<br />
e il giorno che sono andato via dal <strong>Napoli</strong> mi ha detto: “Per<br />
lei qua la porta sarà sempre aperta”. Non sono frasi di circostanza<br />
ci sentiamo ancora spesso».<br />
Questo il primo ciclo che si concluse con la partecipazione<br />
del <strong>Napoli</strong> alla coppa Intertoto, l’eliminazione da<br />
parte del Benfica nella finale e una stagione che, dopo<br />
un avvio incoraggiante, subì una brusca frenata con<br />
l’avvicendamento in panchina e l’arrivo di Roberto Donadoni.<br />
Per la successione a Mazzarri, De Laurentiis, come<br />
dichiarato, decise di internazionalizzare il <strong>Napoli</strong> e<br />
convinse durante la finale di Champions di quell’anno<br />
Rafa Benitez a venire a <strong>Napoli</strong>. Il suo racconto<br />
si riferisce alla fine della prima stagione<br />
dello spagnolo a <strong>Napoli</strong>.<br />
«A Londra incontrai Benitez, col quale facemmo subito<br />
“scopa”. Ci trovammo in accordo su tutto ed iniziammo un<br />
percorso importante. Fin dal principio mi convinse che la<br />
squadra dovesse cambiare modulo; poi ha voluto vedere quali<br />
giocatori erano in grado di adattarsi meglio ai nuovi schemi.<br />
Infine, dopo il mercato estivo, abbiamo fatto mosse importanti<br />
nel mercato di gennaio».<br />
Rafa Benitez con stile e signorilità dopo la decisione<br />
di andare a Madrid dichiarò…<br />
«I progetti si possono costruire anche senza essere necessariamente<br />
i più facoltosi e noi a <strong>Napoli</strong> qualcosa di nostro<br />
abbiamo dimostrato. È stata rifatta una squadra, attraverso<br />
la cessione di Cavani e con investimenti mirati. Abbiamo fatto<br />
quello che si poteva: non è un difetto avere una disponibilità<br />
economica inferiore ad altri club. Ma De Laurentiis è stato<br />
bravo a portare il <strong>Napoli</strong> ad essere stabilmente tra le grandi.<br />
Se c’è anche qualcosa di mio nella squadra allestita, e penso<br />
ci sia, ne sono orgoglioso. Poi è arrivato un momento in cui<br />
le strade dovevano dividersi, avevamo visioni diverse sulla<br />
gestione, sulla politica societaria. Ma l’abbiamo fatto con rispetto<br />
assoluto, l’uno dell’altro».<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
11
E poi dopo la separazione…<br />
«Mi fece incazzare con la scusa volgare dei soldi, mi costrinse<br />
a cambiare e aveva ancora due anni di contratto. Ricordo<br />
che a febbraio mi invitò a pranzo in Toscana, a due<br />
passi da casa sua, organizzò la moglie, parlammo di tante<br />
cose ma non accennò a chiusure, a separazioni, mi portò fino<br />
al giorno che precedette l’ultima partita creando disturbo e<br />
incertezza alla società».<br />
Maurizio Sarri forse è stato il più irriconoscente dei tecnici<br />
arrivati a <strong>Napoli</strong> nell’era De Laurentiis. Forse<br />
aveva pensato che il ciclo della squadra fosse arrivato al<br />
termine e quindi pensò che per “arricchirsi”, come lui<br />
stesso ebbe a dichiarare, sarebbe stato meglio emigrare.<br />
C’è chi a <strong>Napoli</strong> di tanto in tanto lo vorrebbe<br />
nuovamente alla guida della squadra, pensiamo che sarebbe<br />
sconveniente al di là di ogni possibile risultato.<br />
Siamo così giunti al finale di questa breve rivisitazione<br />
della fondamentale gestione tecnica del presidente<br />
Aurelio De Laurentiis, ovvero la scommessa<br />
Sarri, la scelta successiva di un parafulmine come<br />
Ancelotti e l’arrivo a stagione quasi del tutto compromessa<br />
di Gattuso, quello che oggi sembra essere<br />
deputato alla concretizzazione del nuovo ciclo. Partiamo<br />
da alcune delle parole riservate dal presidente<br />
al tecnico toscano…<br />
«È diventato il deus ex machina, ma anche nel calcio vale<br />
la regola del cinema dove per fare un buon film sono necessari<br />
un ottimo regista e un ottimo produttore, sono i genitori<br />
dell’opera dell’ingegno. Naturale che l’imprenditore dia delle<br />
indicazioni e che gli sia riconosciuta una parte del merito nel<br />
successo, non solo la colpa nella sconfitta. Chi ha preso Cavani?<br />
Il sottoscritto. E Mazzarri? Il sottoscritto. E Benitez?<br />
Sempre il sottoscritto. E Higuain? E Sarri? Quando lo<br />
scelsi tappezzarono la città di striscioni contro di me».<br />
La parentesi di Ancelotti andrà probabilmente valutata<br />
nel tempo o quando i due protagonisti si<br />
decideranno a dire la verità sull’accaduto. Di sicuro<br />
il tecnico emiliano sin dal suo arrivo ha cercato di<br />
far capire che erano necessari dei cambiamenti sostanziali<br />
ma forse al presidente serviva solo prendere<br />
tempo e poi un tecnico meno decorato per rilanciare<br />
il suo <strong>Napoli</strong>. Ecco le parole di De<br />
Laurentiis all’indomani dell’esonero…<br />
«Scelsi la sua serenità, la tranquillità, la sua piacevole vicinanza.<br />
Mio padre era un filosofo, un uomo dolcissimo.<br />
Come Carlo. Ma prendendo lui, non so se feci la cosa più giusta<br />
per il <strong>Napoli</strong>. Dopo la prima stagione, potendo ricorrere<br />
alla clausola rescissoria contenuta nel contratto, avrei dovuto<br />
dirgli: “Carlo, per me non sei fatto per il tipo di calcio che vogliono<br />
a <strong>Napoli</strong>, conserviamo la grande amicizia, il calcio<br />
a <strong>Napoli</strong> è un’altra cosa. Ti ho fatto conoscere una città che<br />
adesso ami spassionatamente e che ti ha sorpreso, meglio finirla<br />
qui”».<br />
Nelle dichiarazioni di De Laurentiis è presente solo una<br />
mezza verità. In varie occasioni il tecnico di Reggiolo<br />
si è accusato di un errore che avrebbe commesso senza<br />
però mai volerne parlare chiarendolo. È lecito pensare<br />
che anche lui pensasse che sarebbe stato meglio andar<br />
via alla fine del primo anno ma è altrettanto giusto considerare<br />
che nell’estate del 2019 i presupposti tra l’allenatore<br />
e la società erano ben diversi e lontani dalle dichiarazioni<br />
rese dal presidente.<br />
Siamo giunti al termine di questa carrellata e va<br />
quindi ricordato il racconto che De Laurentiis ha<br />
fatto di recente parlando dell’ingaggio di Rino Gattuso…<br />
«Ci eravamo rivisti al compleanno di Ancelotti, da<br />
Mammà, a Capri. Una tavolata di quaranta metri, Carlo<br />
12 domenica 30 agosto 2020
aveva invitato il mondo, amici, ex compagni, sembrava un<br />
matrimonio, io e Carlo ai lati. Rino era seduto vicino a lui.<br />
Me l’ero immaginato diverso, ho scoperto un grande conversatore,<br />
molto presente a se stesso e in grado di affrontare<br />
tutti i temi possibili. Ci siamo intrattenuti a parlare per le tre<br />
ore della serata. Dopo il disguido del ritiro-non-ritiro gli ho<br />
telefonato e gli ho detto: “Rino, stai calmo, non prendere nessuna<br />
decisione se ti chiama qualcuno, stai fermo”. La sera<br />
della partita di Champions, dove peraltro abbiamo vinto, ho<br />
invitato Carlo a cena per spiegargli che avevo deciso di cambiare,<br />
anche per conservare la grande amicizia tra noi… <strong>Napoli</strong><br />
è la parte migliore della mia vita. Io amo due sole città,<br />
i miei due posti, non esiste un altrove, <strong>Napoli</strong> e Los Angeles.<br />
Per stare vicino alla squadra ho appena deciso di affittare<br />
una villa di Capri e di trasferirvi gli uffici della Filmauro,<br />
del cinema e del calcio».<br />
Ed ancora…<br />
«La squadra aveva dimenticato il 4-3-3 sarriano, a<br />
Rino ho chiesto la riverginazione di quel modulo, anticipandogli<br />
che lo scotto da pagare sarebbero state tre, quattro<br />
sconfitte di fila. Ne ha perse di meno. Carlo, come mio padre,<br />
era l’ambasciatore, io e Rino siamo molto simili, due<br />
guerrieri, due che non le mandano a dire, due condottieri».<br />
Il racconto, la storia, quella ricostruita attraverso le dichiarazioni<br />
di De Laurentiis è terminata. Inizierà un<br />
nuovo ciclo? Sarà proprio Gattuso il condottiero auspicato<br />
da Aurelio De Laurentiis a portarlo avanti?<br />
Avrà le qualità per gestire una squadra, una società<br />
dove l’organizzazione è molto diversa dal suo Milan,<br />
quello in cui giocava? E poi il presidente saprà ricostruire<br />
la squadra giusta per mirare ad una serie di<br />
obiettivi ragionevoli ma soprattutto finalmente raggiungibili?<br />
Staremo a vedere!<br />
Nel frattempo abbiamo ritenuto di dedicare per la prima<br />
volta la nostra copertina al presidente per riconoscenza,<br />
per evidenziare il proficuo lavoro fatto in questi anni ma<br />
soprattutto per spronarlo a realizzare l’obiettivo che la<br />
città aspetta da un po’ di tempo.<br />
Lui è l’uomo giusto perché proviene dal mondo dei sogni,<br />
quello fatto di celluloide. Il grande sogno americano,<br />
paese che De Laurentiis ha eletto come sua seconda<br />
patria, ha fondato la sua realizzazione grazie<br />
anche al mondo cinematografico.<br />
<strong>Napoli</strong> aspetta, non è importante chi siederà quel<br />
giorno sulla panchina mentre sarebbe giusto che Aurelio<br />
De Laurentiis completi l’opera raggiungendo<br />
l’obiettivo massimo che lo legherebbe, al di là delle polemiche,<br />
per sempre a questa città nonostante la sua evidente<br />
inflessione romanesca.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
13
LA NUOVA STAGIONE<br />
Nasce il <strong>Napoli</strong> di Gattuso<br />
Bagno di folla a Castel di Sangro nonostante le limitazioni.<br />
Una rosa importante a disposizione di Gattuso con Osimhen<br />
e Mertens che iniziano le prove generali e Meret che non si tocca<br />
di Giovanni Gaudiano<br />
foto Agenzia Mosca<br />
Il quartier generale del <strong>Napoli</strong><br />
a Castel di Sangro è come<br />
sempre blindato.<br />
Questa volta è comprensibile. Il virus<br />
subdolo che attanaglia il<br />
mondo e la cui provenienza resta<br />
nebulosa non permette alcun abbassamento<br />
di guardia. In altre occasioni,<br />
vedasi Dimaro, forse è apparso<br />
eccessivo.<br />
Diciamocela tutta, quella fasciatura<br />
dell’Albergo Rosatti sembrava<br />
una cosa da lager nazista per quelli<br />
che stavano dentro, non certo per<br />
i curiosi che restavano fuori o<br />
per quelli che dovevano magari<br />
parlare per cose di rilievo<br />
con gli albergatori e la<br />
dirigenza del <strong>Napoli</strong> che si<br />
sono sentiti dire dalla vigilanza<br />
di andare via senza neanche<br />
ascoltare quale fosse la<br />
richiesta. Acqua passata ma il<br />
problema si ripresenterà, ne siamo<br />
sicuri.<br />
Il presidente ha colto una grande<br />
occasione scegliendo Castel di Sangro<br />
e il risultato è stato subito evidente<br />
sin dal primo giorno quando<br />
la squadra è arrivata da <strong>Napoli</strong>.<br />
In campo una folla di giocatori agli<br />
ordini di Rino Gattuso che portano<br />
a svolgere una considera-<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
15
zione. La rosa non è ancora definita<br />
del tutto, è bene ricordare che<br />
il calciomercato inizia il 1 settembre,<br />
ma il <strong>Napoli</strong> non ha mai avuto<br />
una quantità di giocatori simile.<br />
Certo non rimarranno tutti ma<br />
quelli che andranno via porteranno<br />
entrate di cassa e faranno del <strong>Napoli</strong><br />
una società ancora più benestante.<br />
Nelle foto che accompagnano queste<br />
brevi considerazioni c’è qualcosa<br />
dei primi momenti del ritiro<br />
del <strong>Napoli</strong>.<br />
È stato bello vedere naturalmente<br />
Mertens trotterellare vicino ad<br />
Osimhen. Certo è accaduto perché<br />
parlano entrambi il francese ma a<br />
noi piace pensare che il nuovo <strong>Napoli</strong>,<br />
quello che abbiamo definito<br />
del rinnovamento, partirà da loro,<br />
due interpreti di un calcio moderno<br />
come quello visto a Lisbona.<br />
Di un calcio verticale senza quei<br />
tocchi laterali ed all’indietro che,<br />
diciamolo ancora una volta lealmente,<br />
non si dovrebbe vedere più.<br />
È stato bello anche vedere Osimhen<br />
con Koulibaly. La reazione è<br />
duplice: da una parte parla il cuore<br />
e quindi sarebbe bello vederli giocare<br />
insieme; dall’altra un’offerta<br />
irrinunziabile sarebbe inopportuno<br />
sottovalutarla.<br />
Il prossimo anno il <strong>Napoli</strong> compirà<br />
95 anni. È un vecchietto arzillo<br />
che come tutti i napoletani si<br />
sarà rinsecchito un pochino nel<br />
tempo ma non muore. De Laurentiis<br />
rilancia la sfida, <strong>Napoli</strong> farà la<br />
sua parte come sempre. Gattuso<br />
adesso non avrà scampo e giustificazione<br />
ma non bisognerebbe neanche<br />
commettere l’errore di criticarlo<br />
per consuetudine. A<br />
proposito: Rino scegli Meret, non<br />
puoi fare differentemente, il<br />
mondo ha bisogno dei giovani meritevoli.<br />
16 domenica 30 agosto 2020
LENTE DI INGRANDIMENTO<br />
Attaccanti<br />
L’attaccante<br />
secondo<br />
Gianni Brera<br />
Goal è termine inglese e significa scopo,<br />
fine, meta di arrivo. Goal è divenuto<br />
universale come il calcio e non ha mai<br />
trovato surrogati in alcuna lingua, neppure<br />
in Italia, al tempo dei furori xenofobi<br />
(a parole): si è tentato di eliminare<br />
il termine goal, non il calcio, e si è adottato<br />
rete in sostituzione. Qualche volta,<br />
per necessità di scrittura, capita anche<br />
al cronista di servirsi dell’Ersatz (= sostituzione,<br />
ndr.), ma lo fa con impaccio,<br />
perché “segnare una rete” è piuttosto<br />
arduo.<br />
Per evitare la grafia inglese, è giusto invece<br />
che si usi gol, alla più semplice,<br />
come viene pronunciato. I sudamericani,<br />
che non hanno tradizioni troppo<br />
arcigne da rispettare in materia di lingua,<br />
scrivono addirittura fútbol, e dal<br />
sostantivo gol sono fantasiosamente<br />
giunti al verbo golear, che mi sembra<br />
bellissimo, talché non ho esitato a<br />
usarlo con la logica estensione al nuovo<br />
sostantivo goleador.<br />
Il fine agonistico del gioco è la vittoria e<br />
per vincere è necessario goleare più dell’avversario.<br />
Impedire di goleare è più<br />
agevole, ovviamente, e proprio per questo<br />
una squadra sensata si preoccupa<br />
prima di attuare il programma più facile,<br />
ponendosi come assioma il safety first<br />
degli inglesi (la sicurezza innanzi tutto).<br />
(Gianni Brera da<br />
“Il mestiere del Calciatore”<br />
Baldini&Castoldi 1994)<br />
I<br />
di Lorenzo Gaudiano<br />
Il mondo del calcio e i suoi<br />
paradossi, per i quali non<br />
esiste una risposta univoca,<br />
dove tutte le considerazioni possono<br />
rivelarsi giuste o sbagliate.<br />
Uno di questi, meglio segnare un<br />
gol in più dell’avversario oppure<br />
pensare prima a non subirli?<br />
Gianni Brera con i suoi articoli ed<br />
i suoi libri ha sempre aperto la<br />
mente dei lettori. La sua capacità di<br />
raccontare il calcio con perizia tecnica,<br />
cultura e fantasia ha consegnato<br />
ai posteri un’immagine di<br />
questo sport che trascende quello<br />
che succede sul terreno di gioco.<br />
18 domenica 30 agosto 2020
Il grande maestro del giornalismo sportivo ci accompagna<br />
nel nostro approfondimento sull’attaccante e su quelli che<br />
hanno vestito la maglia azzurra nell’era De Laurentiis. Uno<br />
sguardo al suo lessico, ai suoi neologismi per comprendere<br />
come il calcio non sia cambiato molto ed alla fine<br />
sia molto più semplice di quanto si possa pensare<br />
Gigi Riva per il quale Brera s’inventò il famoso epiteto “Rombo di tuono”<br />
Un po’ come quando nel corso della<br />
sua carriera cominciarono a fiorire<br />
i suoi famosi neologismi che oggi<br />
sono entrati a far parte del bagaglio<br />
culturale di cronisti ed appassionati<br />
sportivi passando per l’inserimento<br />
in tutti i dizionari della lingua<br />
italiana.<br />
Tra questi c’era il termine “goleador”,<br />
raccontato nel passo da noi<br />
riportato, che può aiutarci a trovare<br />
una risposta al quesito citato<br />
sopra. Il goal è un obiettivo, un requisito<br />
necessario per vincere le<br />
partite. È l’obiettivo di tutta la<br />
squadra ma solitamente a chi spetta<br />
questo arduo compito? Naturalmente<br />
all’attaccante, perché a lui<br />
spettano i gol e se non li fa sono dolori,<br />
soprattutto nel caso in cui nessun<br />
altro schierato in un ruolo diverso<br />
riesca a metterci una pezza.<br />
Rispetto a qualche anno fa oggi non<br />
tutti gli attaccanti si occupano principalmente<br />
di segnare e non vengono<br />
valutati per i gol che realizzano,<br />
perché il calcio con i suoi<br />
sistemi, le sue filosofie di gioco e le<br />
sue metodologie di lavoro si è evoluto.<br />
C’è chi partecipa alla costruzione<br />
delle azioni giocando lontano<br />
dall’area di rigore perché magari<br />
ha una visione della porta meno<br />
sviluppata, chi corre troppo per la<br />
squadra e finisce per arrivare davanti<br />
al portiere poco lucido, chi<br />
non viene servito a dovere dai propri<br />
compagni. Tante cose che alla<br />
fine hanno finito per complicare sia<br />
un concetto riassumibile come abbiamo<br />
visto con un termine, sia in<br />
forma più estesa uno sport che<br />
prima sembrava più semplice, più<br />
bello e soprattutto più romantico<br />
da raccontare.<br />
Quindi la vera domanda da porre e<br />
a cui bisognerebbe trovare una risposta<br />
è questa: non era forse più<br />
facile prima?<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
19
LA MAGLIA NUMERO 9<br />
Dalle Pampas a Lagos<br />
con un Salto…<br />
nel Rio della Plata<br />
Storia ragionata degli attaccanti e dei moduli tattici adottati dai<br />
tecnici scelti da De Laurentiis cha ha messo a disposizione di<br />
Gattuso la nuova coppia formata da Dies Mertens – Victor Osimhen,<br />
il nigeriano che i tifosi napoletani si augurano realizzi in maglia<br />
azzurra tanti gol e la profezia presente nel suo … nome<br />
di Bruno Marchionibus<br />
Sosa-Calaiò<br />
Il duo per la Serie A<br />
Era settembre del 2004 quando il mago dei cinepanettoni<br />
Aurelio De Laurentiis e l’esperto Pierpaolo Marino<br />
con soli 15 giorni a disposizione costruirono una squadra<br />
dalla polvere del fallimento che sarebbe ripartita<br />
dalla Serie C1.<br />
Per riuscire nell’intento c’era bisogno di un nome di categoria<br />
superiore, di un giocatore che desse al pubblico<br />
la sensazione di giocare in un’altra categoria: il<br />
prescelto, consenziente, fu Roberto “El Pampa” Sosa,<br />
centravanti d’area con un passato in Serie A che divenne<br />
il primo tesserato della nuova società (il neonato <strong>Napoli</strong><br />
Soccer, un nome orribile solo a pronunciarlo) e il punto<br />
di riferimento nei cuori dei tifosi.<br />
L’argentino ci mise un po’ a carburare nei mesi di gestione<br />
Ventura, complice un fastidioso infortunio muscolare,<br />
ma con Reja divenne l’arma in più dell’attacco<br />
azzurro. In categorie come la C e la B dove non si va per<br />
il sottile e le partite più che esibizioni di stile sono vere<br />
e proprie battaglie, infatti, la fisicità del Pampa rappresentò<br />
un’importante chiave tattica quando, in tanti finali<br />
di match, la palla lunga per la testa del bomber si<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
21
ivelò decisiva, tanto da parlare di “zona Sosa” in riferimento<br />
ai minuti di recupero spesso vincenti per il <strong>Napoli</strong>.<br />
Al suo fianco a gennaio dal mercato di riparazione arrivò<br />
Emanuele Calaiò, giocatore più tecnico che ben si<br />
affiancò al sudamericano. Se nei primi mesi in Campania,<br />
infatti, l’Arciere e il Pampa sembrava si disputassero<br />
la maglia numero 9 nel 4-3-3 di Reja, al secondo<br />
anno di C1 il passaggio al 4-4-2 consentì ai due di far<br />
spesso coppia e ai partenopei di dominare il torneo.<br />
Nella stagione successiva, il tecnico friulano si affidò ancora<br />
al tandem argentino-siculo per riportare gli azzurri<br />
in Serie A; nel 2006-07, infatti, la campagna acquisti<br />
di Marino aveva portato all’ombra del Vesuvio<br />
Bucchi e De Zerbi, top player della categoria, e a furor<br />
di popolo il <strong>Napoli</strong> aveva iniziato la stagione con sulla<br />
carta un 4-3-3 iperoffensivo. Gli azzurri non partirono<br />
bene e la clamorosa sconfitta con l’Albinoleffe indusse<br />
l’equilibrato ed esperto Reja a stravolgere tutto e a impostare<br />
il suo undici scegliendo un 3-5-2 ben più concreto.<br />
Out i nuovi acquisti, fiducia al tandem Sosa-Calaiò.<br />
Quella scelta tanto criticata da alcuni fu la fortuna<br />
del <strong>Napoli</strong>, che dominò il campionato con i suoi attaccanti<br />
protagonisti assoluti.<br />
Il Pocho infiamma <strong>Napoli</strong><br />
Quagliarella toccata e fuga<br />
Il ritorno in massima serie segnò, nel 2007, l’arrivo a<br />
<strong>Napoli</strong> del primo vero idolo dell’era ADL, un fresco<br />
campione d’Argentina con la faccia da scugnizzo e una<br />
velocità fuori dalla norma. Faceva l’elettricista in patria<br />
prima di diventare un calciatore il Pocho Lavezzi,<br />
che ben presto, dopo lo scetticismo iniziale, seppe<br />
dare ai tifosi ed agli addetti ai lavori la reale misura di<br />
quanto il <strong>Napoli</strong> stesse tornando ad alti livelli; era da<br />
tempo che al San Paolo non si ammirava un giocatore<br />
di questo tipo. A far coppia col Pocho, nelle prime stagioni<br />
a <strong>Napoli</strong>, furono prima Zalayeta, non velocissimo<br />
ma estremamente tecnico, e poi El Tanque Denis, che<br />
portò in azzurro con la sua forza la tipica garra sudamericana.<br />
Si continuerà, in quegli anni, sulla scia del<br />
3-5-2 con Reja prima e Donadoni poi, fino ad arrivare<br />
a Mazzarri, che con quel sistema tattico riporterà il<br />
22 domenica 30 agosto 2020
Matador e Pipita<br />
Spazio ai top player<br />
El Matador si rivela da subito l’uomo ideale nello<br />
scacchiere di Mazzarri; è un atleta, l’intesa con Hamsik<br />
e Lavezzi è tanto perfetta che in breve si arriva a<br />
parlare dei “tre tenori”, e la grinta che Edi mette in<br />
campo è la stessa che ben rappresenta l’allenatore livornese<br />
e tutta la sua banda. Tutti gli schemi offensivi<br />
della squadra sono strutturati per sfruttare la fame insaziabile<br />
del bomber di Salto, tanto che ci si chiederà<br />
se il <strong>Napoli</strong> sia diventato Cavani-dipendente; difficile<br />
non esserlo, d’altra parte, quando un attaccante è in<br />
grado di realizzare 104 reti in 3 stagioni tra Italia ed<br />
Europa.<br />
Nel 2013, con l’addio di Mazzarri e dello stesso uruguagio,<br />
a <strong>Napoli</strong> si compie una rivoluzione. In panchina<br />
arriva Benitez, tecnico dal palmarés internazionale,<br />
che con sé porta dal Real Madrid Albiol,<br />
Callejon e soprattutto Gonzalo Higuain. El Pipita è un<br />
giocatore completamente diverso da Cavani. Ha meno<br />
garra rispetto a Edinson, ma è tecnicamente sublime<br />
e perfetto per dialogare con i tanti uomini di fantasia<br />
che il 4-2-3-1 di Benitez, ben più propositivo del 3-5-<br />
<strong>Napoli</strong> prima in Champions e poi ad alzare nuovamente<br />
un trofeo, la Coppa Italia del 2012.<br />
Zalayeta e Denis fanno per intero la loro parte, sono<br />
ottimi giocatori, ma nell’estate 2009 la sensazione è<br />
che ci sia bisogno di qualcuno che possa permettere<br />
ai partenopei di compiere il salto di qualità definitivo.<br />
Il nome giusto si trova nell’agenda di Marino: è<br />
quello di Fabio Quagliarella, l’uomo che rende possibili<br />
i gol impossibili e che da tifoso della maglia azzurra<br />
da sempre vorrebbe vestirla. La stagione, dall’avvento<br />
di Mazzarri in poi, sarà buona e si<br />
concluderà con la qualificazione ai preliminari di EL;<br />
lo stabiese, però, sarà condizionato pesantemente dai<br />
problemi personali di cui solo anni dopo si verrà a conoscenza,<br />
e lascerà controvoglia il <strong>Napoli</strong> dopo una<br />
sola annata. A sostituirlo sarà il giocatore che trasformerà<br />
a suon di gol il <strong>Napoli</strong> da buona squadra a<br />
squadra di vertice. È un fenomeno, solo che in quel<br />
momento ancora nessuno lo sa, forse neanche lui: il<br />
suo nome è Edinson Cavani.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
23
gare. La svolta, però, arriva dopo la partita di Empoli,<br />
quando i senatori convincono l’allenatore a puntare sul<br />
4-3-3, schema che meglio si sposa con i giocatori a disposizione.<br />
Sarri si lascia convincere, sente che fuori<br />
dallo spogliatoio l’aria sta diventando mefitica e nasce<br />
così una macchina da gol capace di divertire e far<br />
emozionare tifosi napoletani e non per tre anni di fila.<br />
I ragazzi giocano a memoria, ed Higuain diventa per<br />
il suo mister ciò che Cavani era stato per Mazzarri, il<br />
terminale offensivo perfetto di ogni trama di gioco.<br />
Gonzalo concluderà quella stagione con 36 gol in<br />
campionato, record assoluto di sempre appena eguagliato<br />
da Immobile, ma si renderà anche protagonista<br />
di lì a poco del gran tradimento, consumato qualche<br />
anno dopo anche dal mister di Figline: il passaggio ai<br />
rivali di sempre della Juve.<br />
Il <strong>Napoli</strong> a quel punto individua in Arek Milik l’erede<br />
di Gonzalo e l’uomo che coi suoi gol deve portare il<br />
gruppo di Sarri a confermare la straordinaria annata<br />
appena disputata. Inizierà bene, il polacco, che con la<br />
sua tecnica ben si colloca negli schemi sarriani, ma due<br />
infortuni consecutivi al ginocchio ne condizioneranno<br />
e non di poco le prestazioni. Sarà a quel punto l’uomo<br />
che non ti aspetti che non solo non farà rimpiangere<br />
Cavani e Higuain, ma che diventerà il primo marcatore<br />
all-time della storia azzurra: Dries “Ciro” Mertens.<br />
2 mazzarriano, prevede in campo. Le due stagioni di<br />
Higuain agli ordini dello spagnolo saranno, come<br />
quelle di tutta la squadra, vincitrice di due Coppe ma<br />
anche protagonista di tanti momenti altalenanti, in<br />
chiaroscuro. Forse il modulo adottato da Rafa non è<br />
l’ideale per tutti gli elementi della rosa, fatto sta che<br />
il 2014/15 si chiude nel peggiore dei modi per il <strong>Napoli</strong><br />
e per l’argentino, che contro la Lazio sbaglia un<br />
penalty che fa perdere agli azzurri la qualificazione<br />
Champions. Sarà proprio quell’errore, tuttavia, a dare<br />
al Pipa la voglia di rivalsa che gli consentirà, dodici<br />
mesi più tardi, di entrare nella storia del calcio italiano<br />
dalla porta principale.<br />
Da Gonzalo a Dries<br />
Il tradimento, i gol e i record<br />
Quando a <strong>Napoli</strong> sbarca Maurizio Sarri nessuno o<br />
quasi scommetterebbe sugli azzurri e sul Pipita. L’inizio<br />
di torneo sembra dare ragione a chi parla di ridimensionamento,<br />
col 4-3-1-2 del toscano che non decolla<br />
e la squadra che raccoglie soltanto 2 punti in 3<br />
Mertens-Osimhen<br />
Una nuova coppia vincente?<br />
Negli ultimi due anni di Sarri il belga, fino a quel momento<br />
utilizzato prevalentemente come esterno di sinistra<br />
in alternativa ad Insigne, è il terminale di un attacco<br />
da sogno, e guidato da lui il <strong>Napoli</strong> sfiora<br />
concretamente un terzo tricolore che avrebbe certamente<br />
meritato. Mertens continua a rendere anche<br />
quando, con l’avvento di Ancelotti, si passa al 4-4-2,<br />
amato dall’allenatore ma osteggiato dai giocatori; sarà<br />
anche questo disguido tattico uno dei motivi alla base<br />
di un rapporto mai decollato tra tecnico, squadra e società,<br />
che porterà nel dicembre 2019 all’addio all’emiliano,<br />
arrivato poco più di un anno prima in<br />
pompa magna, e all’ingaggio di Gattuso. Il mister calabrese<br />
torna subito al 4-3-3 convincendo ADL a rinnovare<br />
il contratto di Dries, ancora centralissimo nel<br />
progetto azzurro e perfettamente integrato tanto con<br />
la squadra che con la città. Nel frattempo dal continente<br />
africano passando da Lille arriva il nigeriano<br />
Osimhen, l’acquisto più costoso della storia azzurra,<br />
24 domenica 30 agosto 2020
l’uomo con cui “Ciro” dovrebbe condividere una maglia<br />
da titolare nella prossima stagione. La giovane<br />
punta però ha sicuramente qualità diverse dal belga,<br />
più fisicità e più potenza, ed è chiaro che la soluzione<br />
potrebbe essere un’altra: cambiare modulo e utilizzarli<br />
insieme. Nella storia che abbiamo cercato di raccontare<br />
rivivendo momenti belli e inaspettate cadute appare<br />
evidente che se gli allenatori abbiano avuto, come<br />
ovvio, il loro peso nel rendimento della squadra il<br />
<strong>Napoli</strong> abbia raggiunto le migliori prestazioni quando<br />
con intelligenza e con umiltà si sia deciso di adattare<br />
il modulo ai giocatori a disposizione, tenendo in debito<br />
conto le caratteristiche di tutti i componenti della<br />
rosa. Le risorse che consentiranno un rinnovamento<br />
non mancano, neanche le qualità tecniche e quindi<br />
conteranno le scelte coraggiose che il tecnico saprà<br />
adottare mettendo da parte sentimenti personali o timori<br />
reverenziali per riportare sin da subito il <strong>Napoli</strong><br />
al vertice.<br />
A proposito il richiamo del servizio si riferisce ai bei<br />
tempi nei quali era usuale vedere la punta centrale indossare<br />
sempre la maglia numero 9.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
25
I PIÙ AMATI<br />
I tre caballeros<br />
Lavezzi, Cavani e Mertens. Il percorso<br />
in azzurro dei 3 attaccanti sino ad oggi<br />
più amati dell’era De Laurentiis che<br />
hanno scritto pagine importanti della<br />
storia del club partenopeo e di cui un<br />
domani migliaia di appassionati potranno<br />
raccontarne le prodezze, i dribbling<br />
ed i gol alle generazioni future<br />
di Marco Boscia<br />
I<br />
tifosi del <strong>Napoli</strong> si sono legati spesso in maniera<br />
viscerale ai calciatori che hanno indossato la<br />
maglia azzurra, arrivando a perdonare loro anche<br />
il minimo errore perché, come recita il testo di una<br />
nota canzone, “un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo<br />
e dalla fantasia”. Difatti, per i tifosi azzurri<br />
il calcio ha sempre avuto un significato autentico<br />
che permette alle persone di conoscersi e di vivere assieme<br />
momenti talvolta indimenticabili. Quel calcio<br />
fatto di emozioni, passione, entusiasmo, gioie e sofferenze.<br />
Sarà per questo che i sostenitori partenopei, nell’era<br />
De Laurentiis, si sono affezionati maggiormente a<br />
tre attaccanti, Ezequiel “Pocho” Lavezzi, Edinson “Matador”<br />
Cavani e Dries “Ciro” Mertens che, pur essendo<br />
“stranieri”, sono riusciti a legare indissolubilmente il<br />
loro nome al <strong>Napoli</strong> sia per quel senso d’appartenenza<br />
e quel rapporto creato con la gente e con la città che per<br />
le loro gesta calcistiche.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
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Il legame con <strong>Napoli</strong> dei tre attaccanti<br />
Lavezzi<br />
“<strong>Napoli</strong> è una città<br />
che mi ha dato tanto<br />
e dove mi sono trovato<br />
sempre bene. La<br />
partita più importante<br />
che ho giocato<br />
col <strong>Napoli</strong> è stata la<br />
finale di Tim Cup,<br />
quando abbiamo<br />
vinto contro la Juve.<br />
Ci ha dato la Coppa Italia, la possibilità di vincere in una città come<br />
<strong>Napoli</strong> dove non si vinceva da tantissimo tempo. Ho vissuto cose importanti<br />
in quei cinque anni ma questa è quella che mi è rimasta di<br />
più”<br />
Cavani<br />
“Quelli vissuti con la<br />
maglia azzurra sono<br />
stati momenti molto<br />
speciali, credo sia<br />
stato il periodo in cui<br />
tutte le cose sono<br />
cambiate veramente<br />
per me e il merito,<br />
come sempre dico,<br />
non è solo mio ma anche di Mazzarri che mi ha voluto là in primis, dei<br />
miei compagni che ho avuto là e della gente che mi ha fatto sentire un<br />
mito. Poi anche del lavoro che ho fatto per fare cose importanti”<br />
Mertens<br />
“Il trasferimento dal<br />
PSV in Italia fu un<br />
grande passo per me.<br />
Per fare bene sapevo<br />
che dovevo adattarmi,<br />
imparare la lingua,<br />
vedere come la<br />
gente vive ed è quello<br />
che ho fatto. Questo<br />
ha reso tutto più semplice.<br />
A <strong>Napoli</strong> la gente respira calcio, dai giovani alle nonne: è pazzesco.<br />
In Italia ci si sveglia, si prende il caffè e si parla di calcio. I tifosi<br />
mi chiamano ‘Ciro’, penso che questa cosa sia nata perché vivo come<br />
loro. Vado molto in città, adoro il cibo, il mare e tutte le isole che ci<br />
sono qui”<br />
La velocità<br />
e la fantasia del “Pocho”<br />
“Olè olè olè olè Diego Diego”<br />
era il coro che accompagnava le prodezze<br />
in campo del grande ed indimenticato<br />
Diego Armando Maradona,<br />
che fu convertito, molti anni più<br />
tardi, per un altro argentino, in<br />
“Olè olè olè olè Pocho Pocho”.<br />
Ezequiel Lavezzi è stato l'unico calciatore<br />
in grado di ricordare le gesta,<br />
inarrivabili, del divino Diego. Arrivato<br />
a <strong>Napoli</strong> nel 2007 con due so-<br />
“<br />
Lavezzi e il suo soprannome<br />
Quando ero bambino avevo<br />
un cane che si chiamava Pocholo.<br />
Quando se ne andò,<br />
mio fratello ed il suo migliore<br />
amico cominciarono a chiamarmi<br />
con quel nome perché<br />
rompevo le scatole proprio<br />
come lui. Da quel momento<br />
la gente della mia città, Villa<br />
Gobernador Gálvez, cominciò<br />
a chiamarmi Pocholo, finché<br />
in Nazionale Under-20 incontrai<br />
un vecchio compagno<br />
della mia stessa città che, conoscendo<br />
il mio soprannome,<br />
cominciò a chiamarmi Pocholo<br />
davanti a tutti i compagni.<br />
I ragazzi dello spogliatoio<br />
abbreviarono Pocholo in<br />
Pocho e da quel momento<br />
questo è il mio nome, il mio<br />
marchio<br />
28 domenica 30 agosto 2020
prannomi, “El loco” (il pazzo) ed<br />
“El pocho” (per molti il fulmine), è<br />
stato genio e sregolatezza di una<br />
squadra che ha saputo fare del collettivo<br />
la propria forza. El pocho,<br />
chiamato così soltanto nella sua parentesi<br />
azzurra, ne era la stella. Lo<br />
vedevi partire, correre, scattare in<br />
velocità, arrancare, ma poi riuscire<br />
quasi sempre ad inventare la giocata.<br />
Ci mise pochissimo a fare breccia<br />
nel cuore dei napoletani conquistando,<br />
già alla seconda partita<br />
ufficiale in maglia azzurra, con la<br />
tripletta al Pisa in Coppa Italia, la fiducia<br />
della gente che per 5 anni ha<br />
poi saputo far gioire e divertire. Le<br />
sue lacrime, che hanno preceduto<br />
un addio annunciato da tempo, a<br />
Roma nel 2012 dopo la conquista<br />
della Coppa Italia in finale contro la<br />
Juventus, furono testimoni di un<br />
amore che non tramonterà mai.<br />
La forza atletica ed il senso<br />
del gol del “Matador”<br />
104 gol in 3 anni. Basterebbe questo<br />
per far capire cosa ha rappresentato<br />
Cavani per il <strong>Napoli</strong>. Ma<br />
“El Matador” ha fatto molto di più.<br />
Acquistato dal Palermo nel 2010,<br />
dove giocava esterno d’attacco, per<br />
sostituire il rimpianto Quagliarella,<br />
arrivò alle pendici del Vesuvio da<br />
autentica scommessa. Cavani a <strong>Napoli</strong><br />
seppe diventare un centravanti<br />
inarrestabile e con una propensione<br />
al sacrificio fuori dal<br />
comune. Grazie ad uno strapotere<br />
Cavani ed i 104 gol<br />
“<br />
C’è stata una combinazione<br />
di fattori che mi hanno aiutato<br />
ad esplodere come calciatore.<br />
La fiducia credo sia<br />
fondamentale, non solo per<br />
quanto riguarda il calcio, ma<br />
nella vita in generale.<br />
Quando hai fiducia nella<br />
gente che ti circonda, hai più<br />
forza per lavorare bene. A<br />
<strong>Napoli</strong> ho fatto 104 gol proprio<br />
per questo e se un<br />
giorno dovessi tornare, darei<br />
ancora il massimo<br />
fisico più unico che raro, è stato in<br />
grado di occupare ogni zona del<br />
campo, recuperare palloni, dribblare<br />
gli avversari e trasformarsi poi, in<br />
area di rigore, in un “killer” spietato.<br />
A suon di doppiette e triplette, infatti,<br />
ha saputo far innamorare la<br />
gente di <strong>Napoli</strong>. Il suo percorso in<br />
azzurro, però, si è concluso troppo<br />
presto e, forse, sul più bello, quando<br />
avrebbe potuto superare Maradona<br />
per record di gol. Al suo ritorno al<br />
San Paolo, l’11 agosto 2014,<br />
da avversario, in amichevole contro<br />
il Psg, venne sommerso dai<br />
fischi del suo vecchio pubblico. Furono<br />
fischi d'amore, di chi si sentì<br />
tradito e di chi non lo ha mai dimenticato.<br />
La visione di gioco<br />
ed il record di “Ciro”<br />
Ultimo, ma non per ultimo,<br />
Dries Mertens. Il belga che ancora<br />
oggi fa sognare migliaia di tifosi<br />
e che forse, più dei suoi colleghi,<br />
ha saputo compenetrarsi in<br />
una città che lo ha persino ribattezzato<br />
col nome di “Ciro”. Arrivato<br />
a <strong>Napoli</strong> nell’estate del 2013<br />
da esterno sinistro d’attacco, nella<br />
stagione 2016-2017, sotto gli ordini<br />
di Maurizio Sarri, complici le<br />
cessioni di Gonzalo Higuain e l’infortunio<br />
del suo sostituto Arkadiusz<br />
Milik, iniziò a giocare anche<br />
da prima punta, con risultati straordinari<br />
in termini realizzativi.<br />
Nel corso degli anni ha saputo<br />
Mertens ed il record<br />
“<br />
All'inizio non ci pensavo, perché<br />
giocavo con Hamsik e<br />
pensavo anche a fornirgli<br />
tanti assist. Poi quando mi<br />
sono avvicinato ho iniziato a<br />
pensare ai gol di Maradona e<br />
poi a quelli di Marek.<br />
Quando ho battuto il record<br />
è stato incredibile, non mi<br />
sarei mai aspettato di diventare<br />
il capocannoniere del<br />
<strong>Napoli</strong> di tutti i tempi<br />
farsi apprezzare per la sua duttilità,<br />
la sua propensione al sacrificio,<br />
la sua visione di gioco e soprattutto<br />
per il suo supporto alle<br />
esigenze della squadra. Dopo essere<br />
diventato quest’anno il miglior<br />
marcatore azzurro di tutti i<br />
tempi, superando prima Maradona<br />
e poi Hamsik, pochi mesi fa è<br />
riuscito a trovare l’accordo con il<br />
presidente De Laurentiis per prolungare<br />
ancora la sua permanenza<br />
in azzurro e, anche con l'arrivo<br />
di Petagna ed Osimhen, c'è da giurare<br />
che “Ciro” continuerà a recitare<br />
ancora il ruolo di attore protagonista<br />
del prossimo <strong>Napoli</strong>.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
<strong>29</strong>
L’UOMO DELLE PROMOZIONI<br />
Emanuele Calaiò<br />
“Furbizia, freddezza<br />
e velocità di pensiero”<br />
C<br />
he mestiere quello dell’attaccante. L’indice<br />
di gradimento è dettato dalle reti<br />
che realizzi e se sbagli un rigore o fallisci<br />
un’occasione da rete e la squadra non vince o<br />
addirittura perde si parlerà di quello che è<br />
successo per l’intera settimana.<br />
L’attaccante come il portiere è sempre<br />
sotto la lente di ingrandimento, la sua<br />
prestazione oggi viene vivisezionata<br />
soprattutto dai media e con sguardo<br />
più benevolo dai tifosi che non hanno<br />
memoria corta.<br />
Ci sono però delle eccezioni che alimentano<br />
la speranza che il gioco del<br />
calcio non sia solo vincere, primeggiare, segnare<br />
nel caso dell’attaccante.<br />
Emanuele Calaiò appartiene a questa categoria<br />
di fortunati.<br />
Una sorte, per così dire, che lui ha saputo<br />
alimentare facendo scelte coraggiose e<br />
non tirandosi mai indietro come<br />
mostrano i 49 rigori tirati con<br />
L’attaccante palermitano che ha<br />
riportato a suon di gol il <strong>Napoli</strong> in<br />
serie A parla delle qualità necessarie<br />
a chi vuole giocare in attacco<br />
e si augura che Osimhen si integri<br />
da subito con il gruppo per<br />
sfondare nel campionato italiano<br />
Servizio di Giovanni Gaudiano<br />
41 centri e le 197 reti segnate nelle 604 presenze distribuite<br />
tra Serie A, B e C..<br />
Era in serie B con il Pescara Emanuele, aveva segnato<br />
8 reti in 22 partite quando scelse di venire<br />
a <strong>Napoli</strong> a gennaio, la piazza era importante<br />
ma si trattava comunque di affrontare una<br />
bella scommessa, venendo a giocare in<br />
C1, per un giovane in crescita che appena<br />
diciasettenne aveva esordito e segnato in<br />
serie A con il Torino.<br />
Quale fu la ragione che la indusse a vestire<br />
la maglia azzurra?<br />
«Era attraente l’idea di giocare dove era<br />
passato Maradona. Certo <strong>Napoli</strong> è una piazza<br />
difficile sia per l’importanza dei media che per<br />
la tifoseria sempre presente. Per un giovane rappresenta<br />
comunque la possibilità di crescere sia sotto il<br />
profilo caratteriale che dal punto di vista professionale.<br />
Accettai la scommessa anche perché riportare<br />
il <strong>Napoli</strong> in serie A sarebbe stato in quel<br />
momento importante per tutti».<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
31
A Calaiò che oggi è un dirigente<br />
del settore giovanile<br />
della Salernitana e che da quest’anno si interessa<br />
anche dello scouting per la prima squadra è quindi naturale<br />
chiedere come sia cambiato oggi il lavoro in un<br />
settore giovanile.<br />
«È tutto un altro mondo. Non si possono paragonare i miei<br />
tredici anni con quelli di un ragazzo di oggi. Noi eravamo molto<br />
concentrati sul gioco del calcio anche perché non c’erano altre distrazioni,<br />
altre opportunità. A volte manca anche nei ragazzi<br />
d’oggi quella determinazione a voler raggiungere un risultato<br />
mentre nel mondo del calcio occorrono la passione e la voglia di<br />
fare sacrifici con annesse rinunzie. Non basta fare bene un<br />
anno, va ricercata la continuità per arrivare in serie A. Penso<br />
comunque che al sud tutte le società dovrebbero investire di più<br />
nel settore giovanile. I talenti ci sono, vanno messi nelle giuste<br />
condizioni partendo dal miglioramento delle strutture in modo<br />
da poter offrire il convitto e quindi la tranquillità anche alle famiglie».<br />
Lei ha esordito in serie A con il Torino, ci racconta un<br />
po’ delle giovanili di quella società che all’epoca sfornava<br />
tanti buoni giocatori?<br />
«Il settore giovanile del Torino è sempre stato tra i più importanti<br />
in Italia. Io sono cresciuto proprio all’inizio in una<br />
scuola calcio a Palermo, la mia città, ma al sud le difficoltà si<br />
moltiplicano soprattutto per la carenza di strutture e organizzazione<br />
e quindi in quegli anni se avevi deciso di voler fare il<br />
calciatore dovevi trasferirti al nord in una di quelle società che<br />
hanno sempre creduto nell’importanza del settore giovanile. A<br />
Torino ho vissuto da solo. È stata dura lasciare la famiglia<br />
e la città nella quale sei nato ma è stato<br />
anche molto formativo, ho percorso tutta<br />
la trafila in sette anni, avevamo come<br />
responsabile Gigi Gabetto, figlio dell’attaccante<br />
del grande Torino, sino a<br />
quando Mondonico, che purtroppo non c’è più, mi fece<br />
esordire giovanissimo in serie A. Dopo quell’inizio la<br />
società mi diede in prestito sino a quando divenne allenatore<br />
Camolese, che era stato anche il mio allenatore<br />
in Primavera, che mi volle in prima<br />
squadra e quell’anno si è vinto il campionato di<br />
serie B».<br />
Torniamo a <strong>Napoli</strong>. Lei è siciliano, ha un moglie napoletana.<br />
Che sensazione provava ogni volta che dal<br />
sottopasso entrava al San Paolo?<br />
«Per me ogni volta era un emozione bellissima anche se non<br />
mi tremavano le gambe. Spesso non avevi neanche bisogno di fare<br />
il riscaldamento perché i tifosi ti davano un’adrenalina più che<br />
sufficiente. Entrare al San Paolo gremito di pubblico credo non<br />
abbia rivali e per noi, ma penso per tutti i giocatori azzurri, era<br />
una forza in più».<br />
La sua storia in maglia azzurra si è svolta di fatto parallelamente<br />
a quella di Reja. Le sue reti in C ed in B<br />
significarono promozione. Che rapporto<br />
si instaura tra l’allenatore e il suo bomber<br />
in una stagione? Come fu<br />
quello tra lei ed il mister friulano?<br />
«Con Reja il mio rapporto è stato sempre<br />
di amore-odio. Abbiamo vinto due<br />
campionati e il mister mi ha fatto<br />
sempre giocare ma era consuetudine<br />
che mi sostituisse.<br />
Certo è<br />
vero che mi<br />
schierava sempre<br />
nella formazione titolare per cui c’era la gioia di<br />
scendere in campo dall’inizio ma spesso prevaleva<br />
lo sconforto per le reiterate sostituzioni. La cosa si<br />
è ripetuta in serie A quando arrivò Lavezzi perché il mister<br />
disse che insieme non potevamo giocare. Fosse stato per<br />
me e credo anche per il presidente io non sarei mai andato via<br />
da <strong>Napoli</strong>, sarei diventato una bandiera per la squadra azzurra.<br />
32 domenica 30 agosto 2020
Poi giocando poco ed essendo ancora giovane fui costretto ad andare<br />
via».<br />
È cambiato il “mestiere” dell’attaccante in questi ultimi<br />
anni?<br />
«Non ci sono più le punte di una volta, quelle statiche che restavano<br />
soprattutto in area di rigore. Oggi l’attaccante è tenuto<br />
a coprire una zona di campo maggiore, deve lottare dando fastidio<br />
alla difesa quando imposta l’azione e deve aiutare il centrocampo<br />
nella costruzione dell’azione. Inoltre molti allenatori<br />
hanno preferito nel tempo utilizzare giocatori tecnici nel ruolo<br />
di punta, faccio un esempio per tutti: Mertens. Si decide di farlo<br />
per non dare punti di riferimento alla difesa avversaria e mettere<br />
a frutto per la propria squadra le capacità tecniche di questi<br />
giocatori. Diciamo che è un po’ tramontato il concetto della<br />
boa in attacco e di conseguenza il tipo di gioco che si costruiva<br />
attorno alla classica prima punta».<br />
In un suo scritto Gianni Brera parlando dell’attaccante<br />
disse: “L’attimo del gol è magico e va colto con<br />
destrezza pari alla velocità e al coraggio”. La definizione<br />
è completa o bisognerebbe aggiungere qualcosa?<br />
«All’attaccante non possono mancare qualità come la furbizia,<br />
la freddezza e la velocità di pensiero. Nelle partite bloccate<br />
queste doti possono fare la differenza e dare la vittoria alla propria<br />
squadra».<br />
Il cammino che ha fatto il <strong>Napoli</strong> dopo il suo periodo<br />
poteva essere più vincente?<br />
«Penso che l’anno giusto sarebbe stato quello dei 91 punti con<br />
Sarri. È anomalo raggiungere quel punteggio e non vincere lo<br />
scudetto ma di fronte il <strong>Napoli</strong> si è trovato comunque una squadra<br />
che ha portato a termine una stagione eccezionale. Credo però<br />
di poter dire che il <strong>Napoli</strong> stia crescendo anno dopo anno. Ha i<br />
bilanci in ordine, cosa non facile nel calcio contemporaneo, e ritengo<br />
che il presidente riuscirà a raggiungere il traguardo che si<br />
è prefissato».<br />
Che coppia sarà quella formata da Mertens con Osimhen?<br />
«La domanda che ci poniamo tutti sul giovane attaccante<br />
preso dal <strong>Napoli</strong> è se saprà adattarsi rapidamente al nostro<br />
campionato ed integrarsi nel gruppo con i nuovi compagni.<br />
Certo magari sarebbe stato preferibile scegliere un attaccante<br />
di maggiore esperienza, già consolidato nella sua vena<br />
realizzativa. Capisco però che il mercato impostato da sempre<br />
dal presidente De Laurentiis sia basato sulla ricerca dei<br />
talenti che negli anni creano valore e plusvalenze importanti.<br />
Detto questo, l’augurio è che Osimhen possa fare benissimo<br />
sin da subito».<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
33
L’APPROFONDIMENTO<br />
di Francesco Marchionibus<br />
Gli attaccanti<br />
dell’era De Laurentiis<br />
tra gol e plusvalenze<br />
Le punte della storia recente del <strong>Napoli</strong> oltre alle reti avversarie<br />
molto spesso hanno “gonfiato” anche il portafogli del club azzurro<br />
L’<br />
arrivo di Victor Osimhen e Andrea Petagna ha arricchito<br />
ulteriormente la lunga serie di attaccanti<br />
acquistati dal <strong>Napoli</strong> di De Laurentiis dal ritorno<br />
in Serie A ad oggi.<br />
In questi anni nei ruoli di attacco il <strong>Napoli</strong> ha schierato giovani<br />
promesse poi consacratesi come campioni proprio in<br />
maglia azzurra, autentici fuoriclasse, buoni giocatori che<br />
però non hanno mai fatto il salto di qualità e purtroppo anche<br />
calciatori (per fortuna pochi) che non si sono mostrati<br />
all’altezza.<br />
Tutti gli attaccanti azzurri però hanno avuto una caratteristica<br />
in comune: il <strong>Napoli</strong> da un punto di vista economico<br />
non ci ha (quasi) mai rimesso, ed anzi in molte occasioni ha<br />
realizzato notevoli guadagni.<br />
Gli investimenti effettuati infatti, anche quando non si<br />
sono rivelati vantaggiosi in rapporto al rendimento sportivo,<br />
si sono però tradotti in operazioni economiche favorevoli,<br />
alimentando i bilanci del club con importanti plusvalenze.<br />
In questo senso il <strong>Napoli</strong> ha sempre avuto una strategia ben<br />
precisa.<br />
Va premesso che le plusvalenze, di cui così tanto si parla nel<br />
calcio di oggi, non sono date dalla semplice differenza tra<br />
il prezzo di vendita e il costo di acquisto di un giocatore.<br />
Il costo del calciatore, infatti, viene “spalmato” per tutta la<br />
durata del suo contratto, con quote di ammortamento che<br />
anno dopo anno riducono il suo valore di bilancio, e la plusvalenza<br />
è proprio la differenza tra il valore di vendita del<br />
calciatore e il valore al netto degli ammortamenti che risulta<br />
in bilancio al momento della vendita.<br />
Per fare un esempio, se acquisto un giocatore per 10 milioni<br />
con un contratto di cinque anni e lo ammortizzo per 2 mln<br />
all’anno, dopo tre anni il calciatore avrà un valore residuo<br />
a bilancio di 4 ml e se lo cederò per gli stessi 10 milioni otterrò<br />
una plusvalenza di 6 mln.<br />
Il <strong>Napoli</strong> però non ammortizza i propri giocatori con quote<br />
costanti, ma “a scalare”, prevedendo cioè percentuali di ammortamento<br />
decrescenti: per i contratti di durata quin-<br />
34 domenica 30 agosto 2020
quennale le quote sono 40 – 30 – 20 – 7 e 3%, per i contratti<br />
quadriennali 40 – 30 – 20 e 10%, per i triennali 50 – 30 e<br />
20% e per gli accordi biennali 60 e 40%.<br />
Con questa tecnica di ammortamento già dopo i primi<br />
due/tre anni di contratto il valore di bilancio dei giocatori<br />
risulta molto ridotto, se non quasi azzerato, consentendo<br />
al club di realizzare grosse plusvalenze. È chiaro che per<br />
gestire gli ammortamenti in questo modo c’è bisogno di bilanci<br />
solidi, capaci di “sopportare” le quote elevate di costo<br />
dei primi anni, ma da questo punto di vista il <strong>Napoli</strong> non<br />
ha alcun problema.<br />
E allora torniamo alla gestione tecnico/economica degli attaccanti,<br />
che è stata sempre improntata alla ottimizzazione<br />
delle plusvalenze.<br />
Le prime operazioni che vengono in mente sono ovviamente<br />
quelle legate ai big: Lavezzi, Cavani e il “traditore”<br />
Higuain, tutti giocatori che prima di essere ceduti (su loro<br />
espressa richiesta ma con l’interessato consenso della società)<br />
hanno avuto un rendimento altissimo, diventando<br />
veri e propri idoli dei tifosi e segnando anche, nel caso del<br />
Matador e del Pipita, valanghe di gol.<br />
Grande rendimento in campo, e grandi plusvalenze al momento<br />
dei saluti: Higuain per 86,5 milioni, Cavani per 64,4<br />
e il Pocho per circa <strong>29</strong>.<br />
Ma anche altri attaccanti della recente storia azzurra, seppur<br />
meno determinanti in campo, hanno assicurato importanti<br />
plusvalenze, come Gabbiadini con 13,2 mln e Zapata<br />
con 19,7 mln. Ed ora pare essere arrivato il turno di<br />
Milik.<br />
Assolutamente non determinanti invece, visto che il campo<br />
non lo hanno visto mai, sono stati Inglese e Vinicius, che<br />
però hanno portato al club plusvalenze per oltre 30 milioni.<br />
L’eccezione alla regola è Mertens che, acquistato nel 2013<br />
per soli 9,5 mln, pur vedendo negli anni moltiplicare il proprio<br />
valore e rappresentando quindi una potenziale grossa<br />
plusvalenza, chiuderà per motivi tecnici e “sentimentali” la<br />
sua carriera a <strong>Napoli</strong>.<br />
Certo in questi anni non sono mancate operazioni sbagliate,<br />
Con adl l’a.d. andrea Chiavelli e il d.s. Cristiano Giuntoli<br />
come per Vargas, Pavoletti e probabilmente Lozano, ma in<br />
questo caso i danni economici sono stati limitati proprio<br />
dall’utilizzo della tecnica degli ammortamenti<br />
accelerati.<br />
Aldilà dell’aspetto economico sono<br />
state invece sicuramente premature<br />
le cessioni di Quagliarella e Zapata.<br />
E se per l’attaccante stabiese<br />
si è trattato di una scelta<br />
obbligata per le note vicende<br />
extra calcistiche che lo hanno<br />
coinvolto, cedere il colombiano<br />
in nome della plusvalenza<br />
è stato un grosso errore,<br />
visto che nelle stagioni<br />
successive Duvan è letteralmente<br />
esploso alimentando a<br />
suon di gol più di un rimpianto<br />
per il contributo che<br />
avrebbe potuto ancora dare alla<br />
causa azzurra.<br />
Al netto di questi passaggi negativi<br />
va però detto che complessivamente<br />
la società azzurra ha gestito<br />
il mercato dei suoi attaccanti<br />
riuscendo quasi sempre a coniugare<br />
la necessità di acquisire e poi<br />
mantenere in rosa giocatori di livello<br />
con l’esigenza di venderli<br />
bene e al momento giusto.<br />
In questa ottica anche gli investimenti<br />
più importanti, come quello effettuato quest’anno<br />
per Osimhen, appaiono in realtà meno onerosi e<br />
meno rischiosi di quello che sembrano.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
35
L’ATTACCANTE VISTO DALLE DONNE<br />
Adriana De Maio<br />
“Cavani dava l’anima e il cuore”<br />
Il racconto della giornalista riservato ad Altafini<br />
come viaggio nella memoria storica della<br />
passione della sua famiglia e delle atmosfere<br />
di quel tempo. L’attesa per Victor Osimhen<br />
e l’amore incondizionato per il “Matador” Cavani<br />
A<br />
di Marina Topa<br />
driana De Maio è una delle 20 autrici dei 20 racconti<br />
che compongono “Interrompo dal San<br />
Paolo” (Giammarino Edizioni). Pietro Nardiello,<br />
curatore del libro, ha avuto un’idea davvero innovativa:<br />
scritti solo da donne, i racconti ruotano attorno<br />
al mondo del calcio, da sempre esclusivo universo<br />
maschile, il loro collante è l’amore per la squadra Azzurra<br />
e ne viene fuori una testimonianza dell’evoluzione<br />
della società. Oggi le donne sono libere di manifestare<br />
idee ed emozioni senza timore di ledere le propria femminilità.<br />
Finalmente possono lavorare con professionalità<br />
in ogni campo, sicuramente lottando ancora contro<br />
pregiudizi ma la strada fatta è maggiore di quella da<br />
percorrere e questo libro, con gradevole leggerezza, stimola<br />
la grinta necessaria per proseguire a far capire che<br />
oltre alle gambe c’è di più...<br />
Complimenti per la tua storia, mi ha emozionata<br />
molto perché mi ha fatto fare un tuffo nel passato<br />
… mi sembrava di leggere aneddoti dei tempi della<br />
mia infanzia che non corrispondono a quelli della<br />
tua! Presumo quindi che raccontassi emozioni che<br />
ti sono state trasmesse in modo coinvolgente da una<br />
donna più grande (anche perché si parla del mitico<br />
Altafini). È così? Quanto c’è di autobiografico nel<br />
tuo racconto?<br />
«La mia è una famiglia di grandi tifosi, per cui ho ricostruito<br />
l’ambientazione attraverso i racconti ascoltati,<br />
praticamente da sempre da papà e da nonno e poi mi sono<br />
documentata molto, anche leggendo i racconti delle mie<br />
colleghe. Ho scelto Altafini, tra i calciatori di cui nessuna<br />
delle altre colleghe aveva già parlato, per una pura coincidenza:<br />
il goal che fece al San Paolo il 31 dicembre! Io sono<br />
nata davvero il 1° gennaio e da qui mi è venuta l’ispirazione<br />
di farlo vivere ad Isabella, la protagonista del racconto,<br />
come regalo di compleanno. Poi approfondendo la storia<br />
di Altafini mi è venuto naturale tutto il resto. Avrei<br />
potuto scegliere anche un calciatore più recente su cui dire<br />
36 domenica 30 agosto 2020
ed io, per stare con loro, mi sedevo in punta al divano. Poco<br />
alla volta iniziai a capirne e ogni tanto facevo un commento.<br />
I miei cugini mi chiamavano Adriana Tosatti! Così mi inserii<br />
tra loro ed ottenni che mi portassero al centro Paradiso;<br />
per fortuna era già l’epoca in cui, anche se donna, potéi<br />
avere le maglie di Cruz e Aglietti... Ho sempre desiderato fare<br />
la giornalista: ho fatto radio, tv, l’inviata per il <strong>Napoli</strong>, ho<br />
scritto per riviste e giornali, ho condotto il tg di Tele Club<br />
Italia (il mio sogno di sempre) e il programma "Club <strong>Napoli</strong><br />
All News"… ho fatto tutte le esperienze che desideravo<br />
perciò mi reputo fortunata; ho incontrato persone che stimo<br />
e ringrazio perché mi hanno dato fiducia e permesso di crescere<br />
professionalmente. Tante donne oggi si occupano di calcio<br />
con grande professionalità ma purtroppo persistono dei retaggi<br />
culturali; in quanto donna ho avuto proposte di lavoro<br />
con ruoli che mi avrebbero “fatto fare carriera” ma ho sempre<br />
rifiutato … mi propongo solo per quello che ho da dire».<br />
tantissimo ma ho visto quella coincidenza come un’indicazione<br />
da seguire per mettermi alla prova su qualcosa di<br />
nuovo».<br />
Con quale spirito hai partecipato alla realizzazione<br />
di questo libro scritto da “40 mani femminili” su un<br />
argomento da sempre maschile?<br />
«L’idea di questo libro è stata geniale. Ho incontrato<br />
donne fantastiche e si è creata una bella squadra affiatata anche<br />
se non ci conoscevamo tutte e se proveniamo a diversi ambienti<br />
lavorativi. In comune però abbiamo tutte l’amore per<br />
la maglia azzurra e per la scrittura; il confronto tra lo stile<br />
narrativo e le esperienze di ognuna è stato arricchente. Comunque<br />
anch’io ricordo quando con mamma e nonna ascoltavamo<br />
la partita alla radio e l’immaginazione mi entusiasmava!<br />
Le voci dei radiocronisti stimolavano delle emozioni<br />
stupende e ho apprezzato molto la loro grande professionalità<br />
nel coinvolgimento che procuravano; all’epoca erano ancora<br />
tutti uomini invece ora sono molte le donne professioniste<br />
nel settore».<br />
Isabella, la bambina del racconto, voleva vivere il<br />
calcio come i suoi fratelli uomini, ma i tempi non<br />
erano ancora maturi perché potesse farlo. Cosa significa<br />
per te esser riuscita ad occuparti di calcio<br />
come giornalista e, con “Interrompo dal San paolo”,<br />
anche come testimone di un cambiamento epocale…<br />
«La mia è una delle prime famiglie che si sia abbonata<br />
alle nuove forme di pay-tv per cui casa mia diventava uno<br />
stadio: in occasione delle partite ci riunivamo con i parenti<br />
Aspetti esaltanti e limiti, a tuo giudizio, dell’era De<br />
Laurentiis…<br />
«Di certo dobbiamo tanto a De Laurentiis, ha mantenuto<br />
uno standard di crescita costante. Ho vissuto il <strong>Napoli</strong> della<br />
Serie C per cui per me tutto “il dopo” è stato bello ma capisco<br />
che i tifosi più anziani, quelli che hanno visto Maradona,<br />
si aspettassero qualcosa in più, e forse poteva esserci, ma<br />
dobbiamo ricordare che De Laurentiis è un imprenditore,<br />
quindi un calcolatore che sa il fatto suo, e non è certo una<br />
colpa. Però è stato anche fortunato perché in modo del tutto<br />
casuale si è ritrovato in casa un Cavani, un Mertens...».<br />
Nel cuore di Isabella c’era Altafini, chi è l’attaccante<br />
dell’era De Laurentiis, che occupa il cuore di<br />
Adriana e perché?<br />
«Senza dubbio Cavani! Il suo <strong>Napoli</strong> non era forte come<br />
quello di oggi ma lui era capace di segnare gol pazzeschi ...<br />
stava in attacco, in difesa, aveva una dinamica dell’azione<br />
unica, dava l’anima e il cuore. Higuain tecnicamente era migliore<br />
ma non mi esaltava come lui! Nel mio calcio è lui il<br />
mio amore! Ammiro anche Mertens, ma Cavani è un’altra<br />
cosa però parlare di lui nel racconto non mi avrebbe messo<br />
alla prova così come è stato con Altafini!»<br />
Cosa pensi di Osimhen e cosa ti aspetti dal suo inserimento<br />
in squadra?<br />
«È molto giovane, spero non sia un Lozano 2! Credo abbia<br />
ottime potenzialità ma dipende anche da come si inserirà<br />
nel gruppo e in questo c’entra Gattuso che, dopo Ancelotti, è<br />
un grande motivatore, l’ho sempre stimato per il carattere e,<br />
anche se in panchina, è il dodicesimo giocatore in campo».<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
37
APPUNTI IN GIALLOROSSO<br />
Benevento<br />
Questa volta sarà diverso<br />
I<br />
l ritiro a Seefeld in Austria si è concluso, l’esordio<br />
in campionato si fa sempre più vicino e l’attesa<br />
nella città di Benevento cresce sempre di più.<br />
La squadra giallorossa è alla sua seconda avventura<br />
nella massima serie. L’obiettivo è fare tesoro di tutti gli<br />
errori commessi due anni fa per evitare che possano ripetersi<br />
anche in quest’occasione e avviare un ciclo importante<br />
nell’Olimpo del calcio italiano. Non rientrerà<br />
tra le classiche divinità greche ma non dimentichiamo<br />
che la “Strega” ha pur sempre poteri magici e che quindi<br />
ha tutto il necessario per misurarsi con le squadre italiane<br />
più blasonate del nostro Paese.<br />
Accostamento mitologico-folcloristico a parte, il Benevento<br />
merita la Serie A per tutta una serie di fattori. Per<br />
prima cosa è giusto sottolineare la grande organizzazione<br />
societaria data al club dal presidente Oreste Vigorito,<br />
che nella sua attività imprenditoriale ha sempre<br />
avuto il pregio di guardare avanti, pensare in grande, valorizzare<br />
ciò che ha per le mani. La ricerca e la fiducia<br />
verso i giovani per i ruoli dirigenziali e societari, lo staff<br />
tecnico e i giocatori sono un valido esempio di una programmazione<br />
acuta e lungimirante oltre che la dimostrazione<br />
della seria volontà di costruire una realtà importante<br />
che possa puntare sempre più in alto con il<br />
passare degli anni. Ci credevano in pochi nell’energia eolica,<br />
oggi le energie rinnovabili rappresentano il presente<br />
di Lorenzo Gaudiano<br />
Le foto del servizio sono di Mario Taddeo<br />
Sport Photo Agency per Ottopagine.it<br />
e soprattutto il futuro. E chi ci dice che per il Benevento<br />
non potrebbe essere lo stesso?<br />
Ciò sarà possibile con investimenti oculati e di prospettiva.<br />
Il ds Foggia si è mosso bene. Anche in questa sessione<br />
di calciomercato i primi movimenti sono stati quelli<br />
giusti, finalizzati al rafforzamento di una rosa che ha dominato<br />
il campionato cadetto.<br />
Tutto questo è sicuramente fondamentale ma alla fine a<br />
determinare le sorti del club sarà il campo. Lo scorso<br />
anno Pippo Inzaghi ha fatto un ottimo lavoro, costruendo<br />
grazie a giocatori di buon livello e fortemente determinati<br />
una squadra difficile da battere, superiore a tutte le<br />
altre contendenti, nonostante non ci fossero i favori del<br />
pronostico per la promozione diretta. In Serie A però la<br />
musica sarà diversa, le difficoltà saranno maggiori. Dopo<br />
l’esperienza al Milan dove tutti i suoi successori hanno<br />
fatto fatica, i pochi mesi al Bologna in cui qualcosa non<br />
è andata per il verso giusto, ecco la sfida già vinta con il<br />
Benevento.<br />
La città sannita ha una tifoseria calorosa che non farà<br />
mancare il sostegno alla squadra. Si spera che il nemico<br />
invisibile venga sconfitto al più presto e che gli spalti del<br />
Vigorito e di tutti gli stadi tornino ad essere pieni per coprire<br />
le urla degli allenatori a bordo campo.<br />
Bentornato in A Benevento, la nostra testata ti augura<br />
buona fortuna.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
39
NOTIZIE DAL TIROLO<br />
Un ritiro sull’altopiano<br />
Verde, boschi e la ricerca della tranquillità a Seefeld<br />
nonostante ci abbia messo lo zampino il coronavirus. Inzaghi<br />
ha adattato la preparazione agli avvenimenti per presentare<br />
il suo Benevento pronto ai nastri di partenza della Serie A<br />
di Gigi Amati<br />
Le foto del servizio sono di Mario Taddeo<br />
Sport Photo Agency per Ottopagine.it<br />
Il sorriso tra i monti<br />
Le caprette non fanno ciao e di<br />
Heidi non c’è traccia, ma lassù a<br />
Seefeld il Benevento in ritiro ha visto<br />
comunque un mondo fantastico,<br />
e non solo geograficamente: dai<br />
1180 metri dell’altopiano sul fiume<br />
Inn, infatti, non solo si dominava<br />
una delle più belle vallate del Tirolo<br />
austriaco, ma si stagliavano anche, a<br />
nord, la stagione dei record in Serie<br />
B, e a sud, invece, la seconda avventura<br />
oramai prossima in Serie A.<br />
L’atmosfera è stata carica di orgoglio<br />
ed entusiasmo per quel che sarà<br />
di qui a poco: un’atmosfera che il<br />
presidente Vigorito e i suoi più diretti<br />
collaboratori hanno costruito<br />
con cura lo scorso anno e stanno<br />
riproponendo anche in questa fase<br />
iniziale della nuova stagione, grazie<br />
anche alla lungimiranza di un imprenditore<br />
che sa quali corde toccare<br />
e soprattutto sa come si gestisce<br />
un’impresa, un gruppo, una<br />
collettività di menti e corpi.<br />
Imprevisti e non problemi<br />
Il magico cortocircuito passato-presente-futuro<br />
è stato così vissuto dai<br />
giallorossi con entusiasmo e crescente<br />
consapevolezza dei propri<br />
mezzi, malgrado qualche intoppo.<br />
L’atmosfera da inizio dell’anno scolastico,<br />
tra abbronzature, strani tagli<br />
di capelli, scherzi, sfottò, sorrisi<br />
ed entusiasmo da stato nascente, ha<br />
avuto infatti comunque la sua zona<br />
d’ombra, ché la vita non concede<br />
mai relax e serenità senza chiedere<br />
nulla in cambio. I casi di positività al<br />
Covid-19 hanno riguardato anche<br />
la società giallorossa, che però pure<br />
in questo caso ha dimostrato lucidità<br />
decisionale e un ottimo funzionamento<br />
della catena di comando:<br />
subito le quarantene fiduciarie dei<br />
soggetti coinvolti, poi una diversa<br />
scansione del lavoro a gruppi separati<br />
e dunque una nuova tipologia di<br />
preparazione messa a punto da Inzaghi<br />
nell’allestimento della macchina<br />
per i circuiti di categoria superiore.<br />
Il contrattempo non ha infatti<br />
spaventato l’allenatore e condottiero<br />
senza macchia e senza<br />
paura, al quale anche quest’anno<br />
sono affidati i destini e le fortune del<br />
Benevento; e lui, non per niente super<br />
Pippo per tutti, è uno tosto, uno<br />
dedito al lavoro venticinque ore su<br />
ventiquattro, uno che alla Serie A dà<br />
già del tu e che dalla Serie A riceve<br />
rispetto e grande considerazione.<br />
Pippo e il derby con Simone<br />
Il tecnico, che si prepara anche al<br />
sentito derby di famiglia con il fratello<br />
Simone, in ritiro ha salutato e<br />
coccolato i “vecchi” ed ha accolto i<br />
nuovi, a partire da Kamil Glik, il<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
41
polacco che il diesse Foggia, con<br />
grande lungimiranza e giocando<br />
d’anticipo, ha convinto a rientrare in<br />
Italia dopo gli anni al Monaco, un<br />
principe dunque delle aree di rigore<br />
che offrirà spessore e solidità non<br />
solo al reparto specifico, ma anche a<br />
tutta la rosa, dall’alto di esperienza<br />
e personalità che sono come il lievito<br />
per una truppa che prepara<br />
l’impatto con le onde della categoria<br />
superiore.<br />
Seefeld<br />
e la calda accoglienza<br />
I poco meno di 4000 abitanti di Seefeld,<br />
distretto di Innsbruck-Land,<br />
hanno visto correre, sudare e faticare<br />
uno strano serpente variopinto<br />
e multietnico di calciatori, un tipo di<br />
sportivo non proprio consueto per i<br />
loro occhi. Seefeld è infatti una rinomata<br />
località sciistica specializzata<br />
nello sci nordico, attrezzata anche<br />
di trampolino olimpico e<br />
scenario di rassegne olimpiche,<br />
tappe della Coppa del Mondo di sci<br />
di fondo e di combinata nordica:<br />
dunque ci vive gente abituata al<br />
freddo e al silenzioso fruscio degli<br />
sci sulla neve, in inverno, e in estate,<br />
solita vedere tranquilli turisti sciamare<br />
su prati verdi di un verde da<br />
pubblicità e in boschi carichi di fascino.<br />
Eppure la gente di Seefeld ha<br />
accolto subito bene quei marcantoni<br />
in braghe corte e scarpette che<br />
hanno per un po’ popolato il loro altipiano,<br />
e la serena e affettuosa accoglienza<br />
ha regalato giorni proficui<br />
di lavoro alla comitiva giallorossa.<br />
Il Benevento pronto<br />
alla scalata in serie A<br />
Il ritiro austriaco aveva in effetti<br />
proprio quello scopo: riprendere la<br />
corsa da dove si era fermata, con lo<br />
42 domenica 30 agosto 2020
stesso entusiasmo e la stessa determinazione<br />
che hanno consentito al<br />
Benevento di Inzaghi di dominare<br />
l’ultima Serie B a suon di record e<br />
trionfi. L’elenco è lungo e gonfia<br />
non solo il petto dei tifosi della<br />
Strega, ma anche le vele della squadra<br />
che sta salpando senza dimenticare<br />
un dominio evidenziato dalle<br />
statistiche della stagione oramai in<br />
archivio.<br />
Adesso dunque non c’è altro da fare<br />
che iniziare la scalata: l’equipaggiamento<br />
è di prim’ordine; il patron<br />
Vigorito dispone e vigila; il diesse<br />
Foggia telefona, parla, incontra e<br />
scandaglia sempre ogni tipo di mercato;<br />
Inzaghi è già carico come una<br />
molla, anche per lui del resto la Serie<br />
A rappresenta una sfida importante<br />
e delicata, c’è da cancellare il<br />
ricordo della sfortunata parentesi<br />
bolognese; la squadra sa che ha fatto<br />
tanto eppure non ha fatto niente,<br />
perché la scalata comincia ora, ben<br />
presto la dolce pianura erbosa diventerà<br />
prima timida salita quindi<br />
qualche impennata e infine parete<br />
verticale vera e propria. L’insegnamento<br />
indiretto della gente di Seefeld<br />
sarà di aiuto prezioso: lavoro,<br />
determinazione, nessuna paura contro<br />
le intemperie e gli imprevisti<br />
del clima: questo il bagaglio giusto<br />
per affrontare la nuova avventura.<br />
Tutti sono sicuri che andrà bene,<br />
che il Benevento affronterà i marosi<br />
della A con la stessa, grande forza<br />
con la quale hanno solcato quelli<br />
della B.<br />
E la speranza è naturalmente quella<br />
di rivedersi il prossimo anno: stesso<br />
entusiasmo, stesso orgoglio, stessa<br />
gente, stessa atmosfera. E se tutto<br />
sarà andato come deve e come si<br />
spera, continueranno a non esserci<br />
caprette che fanno ciao, però magari<br />
un salto a vedere la Strega,<br />
Heidi stavolta lo farà.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
43
COPERTINA 2<br />
Pippo Inzaghi<br />
“Non pensavo<br />
di fare l’allenatore”<br />
Il gol nel proprio dna, la voglia<br />
di confrontarsi sempre con i più<br />
forti, una carriera inimitabile sino<br />
a diventare campione del mondo<br />
e poi il suo Benevento dei record,<br />
una storia ancora tutta da scrivere<br />
di Giovanni Gaudiano<br />
Foto Agenzia Mosca<br />
F<br />
a l’allenatore da otto anni ma<br />
vedendolo giocare con i suoi<br />
ragazzi, durante le sedute di<br />
allenamento, sembra ancora pronto<br />
a scendere in campo anche se contemporaneamente<br />
sembra seduto in<br />
panchina da molto più tempo.<br />
Pippo Inzaghi ha iniziato presto in<br />
campo come in panchina, ha fatto lo<br />
stesso percorso partendo dalle giovanili,<br />
formandosi in quella palestra<br />
fondamentale per la capacità di<br />
gestire i rapporti nello spogliatoio,<br />
da bordo campo e per comprendere<br />
proprio attraverso i giovani la vera<br />
essenza del gioco del calcio.<br />
Certo avere iniziato al Milan, aver<br />
vinto il Torneo di Viareggio e aver<br />
disputato una buona Youth League<br />
e quindi trovarsi ad allenare la<br />
prima squadra, quasi a furor di popolo,<br />
alla fine non lo ha avvantaggiato.<br />
Pippo non ha fatto piega e<br />
dopo l’annata alla guida del suo<br />
amato Milan è ripartito dalla serie<br />
C, altra importante palestra per<br />
chi pensa di voler fare l’allenatore,<br />
quasi a volersi scusare di aver corso<br />
troppo.<br />
La sua storia è quella di un ragazzo<br />
come ce ne sono tanti con il pallino<br />
del gioco del calcio, trasmesso al<br />
suo fratello minore, Simone, ed alimentato<br />
per entrambi da una famiglia<br />
dove il papà ex giocatore ha visto<br />
forse i suoi sogni pedatori<br />
realizzati dai suoi due figli.<br />
Oggi Pippo Inzaghi dopo la promozione<br />
ottenuta con il Benevento<br />
a suon di record si può dire abbia<br />
completato la sua formazione da allenatore<br />
e come quando era giocatore<br />
si può star certi che riuscirà a<br />
raggiungere i risultati che si è prefissato.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
45
D’altronde già il suo primo allenatore,<br />
Giancarlo Cella, nelle giovanili<br />
del Piacenza aveva previsto per lui<br />
ed anche per Simone un futuro<br />
pieno di soddisfazioni da giocatori<br />
come poi si è verificato.<br />
Cella, parlando di Pippo, ha più<br />
volte detto che era sempre avanti<br />
nel tempo, era più maturo della sua<br />
età. Durante un’intervista Inzaghi<br />
intervenne su quest’argomento.<br />
«Cominciai a giocare nel San Nicolò<br />
prima di arrivare all’età necessaria:<br />
si erano accorti che i gol li facevo,<br />
così mi invecchiarono di dodici mesi,<br />
camuffando il mio cartellino e attribuendomi<br />
otto anni anziché sette».<br />
La circostanza è stata confermata<br />
anche dal suo allenatore nella categoria<br />
esordienti Paolo Montanari<br />
che in un’intervista ribadì questa<br />
caratteristica propria del giovane<br />
calciatore.<br />
«Conosco bene Filippo, uno che giocava<br />
contro ragazzini di due anni più<br />
vecchi di lui, ma segnava gol a grappoli.<br />
Già allora si vedeva che il gol per<br />
lui era tutto, era l'istinto, l'unica molla<br />
che lo spingeva».<br />
Ed allora per avvalorare questa tesi<br />
e per cercare di entrare un poco nei<br />
processi mentali di un attaccante<br />
mentre gioca ed in particolare di<br />
quelli di Inzaghi, vale la pensa riproporre<br />
il suo personale racconto<br />
dello splendido gol rifilato alla Repubblica<br />
Ceca ai mondiali del 2006.<br />
«Nell’azione del gol ho pensato solo<br />
a far finta di darla a Barone sulla destra,<br />
cercare di scartare Cech, ma era un<br />
rischio perché è alto quasi due metri e<br />
non dovevo allungarmi troppo. In quei<br />
momenti, però, se pensi troppo diventa<br />
tutto molto difficile».<br />
Dal racconto si evincono quelle che<br />
sono state le caratteristiche del giocatore<br />
Inzaghi: astuzia, rapida valutazione<br />
ed esecuzione.<br />
A queste qualità in campo Pippo<br />
univa una capacità unica: quella di<br />
saper scattare sul filo del fuorigioco<br />
intuendo il momento preciso del<br />
lancio del compagno.<br />
Dell’Inzaghi giocatore ovviamente<br />
si è scritto molto, la sua lunga e<br />
prodigiosa carriera con 316 reti distribuite<br />
tra serie A, serie B, serie C,<br />
Nazionale Under 21 e Nazionale<br />
maggiore e soprattutto nelle competizioni<br />
europee e mondiali per<br />
club, basta a qualificarlo come uno<br />
degli attaccanti più importanti della<br />
storia del calcio italiano.<br />
Ora però prima di passare a parlare<br />
di qualche momento della sua carriera<br />
da allenatore, è giusto riproporre<br />
uno stralcio della lettera che<br />
Inzaghi scrisse ai tifosi del Milan<br />
dopo aver giocato l’ultima partita da<br />
giocatore prima di appendere le<br />
classiche scarpette al chiodo.<br />
«La prima e unica cosa che voglio<br />
che voi sappiate per sempre è questa: ho<br />
giocato e vinto per Noi. Giocare e vincere<br />
senza condividere le emozioni è<br />
nulla, invece io e voi, noi, abbiamo fatto<br />
tutto insieme. Abbiamo sperato, ab-<br />
46 domenica 30 agosto 2020
iamo sofferto, abbiamo esultato, abbiamo<br />
gioito. E abbiamo alzato le coppe<br />
e gli scudetti insieme ai nostri cuori.<br />
Siamo sempre stati sulla stessa lunghezza<br />
d’onda. E questo non ce lo toglierà<br />
mai nessuno».<br />
Le parole dicono tutto quello che si<br />
è sempre visto in campo come quel<br />
suo modo di esultare dopo aver segnato<br />
un gol in cui volendo ognuno<br />
ci si può ritrovare.<br />
Parlando dell’allenatore Inzaghi, è<br />
proprio Pippo che ci spiega con le<br />
sue parole come e quando decise di<br />
passare dal campo alla panchina.<br />
«Fino all'ultimo secondo non ho<br />
mai pensato di poter fare l'allenatore.<br />
Pensavo di restare nel mondo del calcio,<br />
ma neanche a 40 anni accettavo l'idea<br />
di smettere. Poi ho capito che giocare<br />
con una maglia che non fosse quella del<br />
Milan sarebbe stato troppo difficile. A<br />
quel punto Galliani, mio fratello Simone<br />
e il mio procuratore mi hanno<br />
convinto che fare l’allenatore fosse la<br />
strada giusta e devo dire che hanno<br />
avuto ragione. È un ruolo difficilissimo<br />
ma bellissimo, allenare è una malattia<br />
contagiosa. Ti dà grandi soddisfazioni<br />
e stimoli, ma devi mettere in<br />
preventivo che avrai alti e bassi. Allenatori<br />
che hanno vinto la Champions<br />
sono stati esonerati sei o sette volte, ma<br />
alla fine quello che conta è essere ancora<br />
sul campo verde».<br />
Il legame con il campo per il tecnico<br />
del Benevento appare indissolubile.<br />
Oggi Inzaghi a 47 anni si può dire<br />
che sia a suo agio soprattutto<br />
quando può camminare sull’erba,<br />
diciamo che lo fa dal primo momento<br />
nel quale da bambino ha trovato<br />
il suo equilibrio in piedi.<br />
Eccolo parlare del suo Benevento,<br />
durante il campionato, quando non<br />
sapeva ancora che la sua squadra<br />
avrebbe battuto record e vinto con<br />
tanto anticipo il campionato. Spiegare<br />
ai suoi giocatori come è fatto il<br />
mondo del calcio a certi livelli e<br />
mettere a loro disposizione la sua<br />
lunga e vincente esperienza di<br />
campo.<br />
«Sono felice. Ai miei giocatori dico<br />
che dobbiamo ribellarci alla sconfitta<br />
perché, per come lavoriamo, dobbiamo<br />
vincere. Dopo sette giornate abbiamo subito<br />
solo tre gol e non siamo mai stati in<br />
svantaggio, ma a determinare la miglior<br />
difesa non sono solo i difensori, è<br />
l'intera squadra che deve lavorare in fase<br />
di non possesso: se si riesce a trovare un<br />
buon equilibrio di solito i campionati si<br />
vincono, è stato così quando allenavo il<br />
Venezia e l'anno dopo, da neopromossa,<br />
per poco non salivamo addirittura in A.<br />
Cerco di insegnare ai miei giocatori che<br />
al primo stop ci salteranno addosso tutti,<br />
non possiamo permetterci di abbassare<br />
l'asticella. L'attacco segna poco? Coda,<br />
Armenteros, Sau e Insigne hanno fatto<br />
un lavoro stupendo, sono stati fondamentali<br />
sotto altri aspetti: non mi interessa<br />
avere il capocannoniere del campionato,<br />
qui non si ragiona con l'io ma<br />
con il noi. Coda è molto sereno, farà<br />
tanti gol. Anch'io sono stato dei mesi<br />
senza segnare, ma poi basta una partita<br />
per sbloccarsi e farne altri venti».<br />
E se si parla di gol, chi meglio di un<br />
grande attaccante come Pippo Inzaghi<br />
può supportare uno dei suoi<br />
giocatori?<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
47
PROFILI<br />
Kamil Glik<br />
Il cuore oltre l’ostacolo<br />
Il difficile inizio del difensore<br />
polacco e la caparbietà che lo hanno<br />
aiutato ad emergere. L’incontro con<br />
Ventura a Bari e l’approdo al Torino.<br />
Ora dopo l’esperienza al Principato<br />
di Monaco il ritorno in Italia<br />
al neopromosso Benevento grazie ad<br />
un’intuizione del ds. Pasquale Foggia<br />
di Lorenzo Gaudiano<br />
D<br />
ietro ad un uomo che su un<br />
terreno di gioco insegue e dà<br />
un calcio al pallone c’è sempre<br />
una storia. Anche il difensore polacco<br />
Kamil Glik, pronto per una nuova avventura<br />
in Serie A con il Benevento<br />
neopromosso a distanza di quattro<br />
anni dall’ultima presenza con la maglia<br />
del Torino, ne ha una.<br />
Per raccontarla, bisogna tornare al<br />
febbraio 1988. In Germania c’era ancora<br />
il Muro di Berlino abbattuto un<br />
anno dopo, in Polonia invece il regime<br />
comunista. La Seconda Guerra Mondiale<br />
era ormai lontana e il dominio<br />
nazista soltanto un bruttissimo ricordo,<br />
anche se in giro per l’Europa<br />
Orientale qualche influenza culturale<br />
nel corso degli anni purtroppo era sopravvissuta.<br />
Jacek e Grazyna Glik diedero<br />
alla luce Kamil in un paesino<br />
della Slesia, Jastrzebie-Zdrój, di quasi<br />
centomila abitanti. Il nome tradotto significa<br />
“Terme dei falchi”. Infatti verso<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
49
la fine degli anni cinquanta dell’Ottocento<br />
furono scoperte delle sorgenti<br />
termali che resero il luogo famoso in<br />
tutta Europa. La rinomanza oggi è<br />
venuta meno ma a mandare avanti<br />
l’economia del paese ci hanno sempre<br />
pensato i giacimenti di carbone. In un<br />
quartiere di case popolari che si<br />
chiama Osiedle Przyjazn, in italiano<br />
“complesso Amicizia”, ci sono 22 edifici<br />
e 532 appartamenti costruiti tra gli<br />
anni sessanta ed ottanta. Uno di questi<br />
è la casa della famiglia Glik, dove il<br />
futuro calciatore ha mosso i primi<br />
passi e ha cominciato ad appassionarsi<br />
al gioco del calcio, prima con il pallone<br />
tra i piedi e in seguito il telecomando<br />
tra le mani seduto sul divano.<br />
In realtà sarebbe potuta anche non<br />
cominciare mai la carriera calcistica<br />
del polacco. Ad un anno e mezzo sepsi<br />
e meningite hanno messo seriamente<br />
in pericolo la sua vita. Poche speranze<br />
da parte dei medici, la sofferenza, la<br />
paura di una famiglia intera e una storia<br />
destinata alla conclusione ancor<br />
prima di iniziare.<br />
Il destino però ha fatto sentire la sua<br />
voce. Il piccolo Glik fortunatamente<br />
guarì e in tenera età già diede dimostrazione<br />
di quella forza che in campo<br />
oggi costituisce una delle sue principali<br />
qualità.<br />
Il padre e il Bayern<br />
nel cuore<br />
Col passare degli anni la passione per<br />
il calcio cresce sempre di più, la sua<br />
squadra preferita è il Bayern Monaco.<br />
Kamil infatti ha la doppia cittadinanza<br />
perché il nonno nacque in Alta Slesia<br />
quando questa faceva ancora parte<br />
della nazione tedesca. Il padre lavorava<br />
in Germania e al suo ritorno per<br />
il bambino c’era sempre un regalino:<br />
la maggior parte delle volte gadget<br />
oppure magliette del club bavarese.<br />
In campo devi dare tutto,<br />
giocare duro e leale.<br />
Insomma, non devi stare lì<br />
“a fare il figo ma lottare<br />
Nonostante questo, il suo senso di appartenenza<br />
alla Polonia è fortissimo e<br />
non è stato mai in discussione. Così<br />
come il rapporto con suo padre, che<br />
purtroppo ha sempre avuto seri problemi<br />
di alcolismo. Un giorno infatti<br />
portò Kamil con sé a pescare. Naturalmente<br />
il bottino fu cospicuo non<br />
soltanto per la pazienza e la grande<br />
perizia tecnica ma soprattutto grazie<br />
ad un piccolo aiutino. Nel mezzo del<br />
lago dove una mattina si erano recati<br />
il padre Jacek fece esplodere della dinamite<br />
rubata dalla miniera in cui lavorava.<br />
Tutti i pesci salirono a galla,<br />
la pesca fu facile ma il pescato non arrivò<br />
a casa, perché fu venduto in cambio<br />
di soldi spesi a loro volta per<br />
ubriacarsi.<br />
Lezioni di vita no di certo, ma momenti<br />
indimenticabili che hanno insegnato<br />
sicuramente qualcosa al giovane<br />
Glik.<br />
Andata in Europa,<br />
ritorno in Polonia<br />
La famiglia Glik iscrisse in piena infanzia<br />
il figlio ad una scuola calcio locale,<br />
il MOSiR Jastrzebie Zdrój. A<br />
quattordici anni il passaggio al WSP<br />
Wodzislaw Slaski a pochi chilometri da<br />
casa, a diciassette il prestito al Silesia<br />
Lubomia, sempre in Slesia. Un anno<br />
dopo Kamil si trasferì in Spagna,<br />
all’Horadada, squadra della comunità<br />
Valenciana militante nel quarto campionato<br />
spagnolo. Sicuramente non il<br />
più blasonato dei palcoscenici, che gli<br />
ha offerto però l’opportunità di approdare<br />
al Real Madrid C, seconda squadra<br />
giovanile delle “merengues” da<br />
qualche anno soppressa. Un ambiente<br />
sicuramente formativo, dove mettersi<br />
in evidenza è molto complicato. La ca-<br />
Hanno detto di lui<br />
“Glik è un leader che ci darà l'esperienza<br />
necessaria per la Serie A. Averlo preso dimostra<br />
che progetto abbiamo in testa, ovvero cercare<br />
giocatori che abbiano tanta fame e voglia di<br />
costruire con la nostra società un percorso lungo”<br />
Pasquale Foggia<br />
ds del Benevento<br />
50 domenica 30 agosto 2020
parbietà per tenere duro al polacco<br />
non è mai mancata ma nonostante ciò<br />
non è molto contento. La tentazione di<br />
ritornare in patria, di avvicinarsi alla<br />
propria famiglia, di intraprendere una<br />
avventura sicuramente più avvincente<br />
è forte. Così come se ne è andato, torna<br />
in Polonia, al Piast Gliwice. Il padre<br />
però muore per un infarto a 42 anni,<br />
Glik è distrutto. Il calcio lo ha aiutato<br />
a superare il momento peggiore della<br />
sua vita, a continuare il suo percorso di<br />
crescita. Dopo due anni Kamil riuscì ad<br />
affermarsi come difensore solido e<br />
grintoso, diventando il primo calciatore<br />
di quel club ad indossare la maglia<br />
della nazionale.<br />
Maestro Ventura<br />
Così si aprirono le porte di un altro<br />
paese per Glik: l’Italia. La sensazione<br />
allora era che il viaggio sarebbe stato<br />
diverso rispetto a quello in terra spagnola<br />
di qualche anno prima. Esordio<br />
in Europa League e nessuna presenza<br />
in Serie A, forse un altro buco nell’acqua.<br />
L’anno successivo il prestito<br />
al Bari e la fiducia di Gian Piero Ventura,<br />
allora allenatore dei pugliesi, lo<br />
hanno aiutato finalmente ad emergere.<br />
Il mister non esitò a portarlo<br />
con sé al Torino dove il polacco con il<br />
passare delle stagioni è diventato anche<br />
capitano. Cinque anni dopo l’addio<br />
al campionato che lo ha consacrato,<br />
destinazione Monaco, con cui è<br />
arrivato anche l’esordio in Champions<br />
League.<br />
Un’unione di ritorni<br />
Il Benevento che torna in massima serie<br />
a due anni di distanza dalla prima<br />
storica partecipazione, Kamil Glik che<br />
ritorna a giocare nel campionato italiano.<br />
Un’unione di ritorni, per scrivere<br />
una nuova storia che si spera<br />
“<br />
Sono veramente contento<br />
di essere qui. Ho già<br />
avuto modo di<br />
passeggiare per la città: è<br />
piccola e calorosa. Si<br />
percepisce chiaramente<br />
l’amore che i tifosi<br />
provano per questa<br />
squadra. Speriamo che<br />
possano tornare al più<br />
presto allo stadio perché<br />
saranno per noi un valore<br />
aggiunto<br />
possa essere bella per entrambi. La<br />
squadra giallorossa aveva bisogno di<br />
un difensore d’esperienza, il polacco di<br />
una nuova sfida e soprattutto di una<br />
piazza che con i suoi incantesimi saprà<br />
senza dubbio dargli tanto amore, infondergli<br />
immenso calore, chissà forse<br />
più del capoluogo piemontese.<br />
In campo è un duro: un custode difficile<br />
da superare in difesa; un grande<br />
pericolo in attacco con la sua fisicità e<br />
la sua abilità nel colpo di testa. Qualche<br />
anno fa ha dichiarato che al termine<br />
del carriera calcistica gli piacerebbe<br />
mettersi alla prova negli sport<br />
di combattimento. Glik ha ancora 32<br />
anni, in Italia con la moglie Marta e le<br />
due figlie si è trovato sempre bene e<br />
tutti si augurano che quel momento<br />
sia ancora ancora molto lontano.<br />
Dalla sua storia e dal suo valore sul<br />
terreno di gioco, quasi sicuramente<br />
lo è.<br />
“Glik non vedeva l'ora di tornare in Italia, i suoi figli<br />
parlano benissimo questa lingua. Non si batterà<br />
per vetrine internazionali ma è un lottatore nato,<br />
uno che non molla mai”<br />
Zbigniew Boniek<br />
presidente della Federcalcio polacca<br />
“Ogni allenamento è un mezzo per migliorarsi, e<br />
questo gli permette poi di essere competitivo anche<br />
mentalmente. Il fatto che adesso creda molto di più<br />
in se stesso anche nelle palle inattive, il fatto che<br />
abbia messo a segno tanti gol vuol dire che ormai<br />
legge completamente la situazione e sa andare a<br />
colpire al momento giusto. Se oggi è diventato un<br />
difensore importante, credo che ci siano grandi meriti<br />
da parte sua perché ha dimostrato nel tempo di<br />
avere una forte volontà e grande disponibilità nel<br />
voler crescere”<br />
Gian Piero Ventura<br />
suo allenatore al Bari e al Torino<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
51
L’APPROFONDIMENTO 2<br />
Lo stile Vigorito<br />
per il Benevento<br />
Un imprenditore moderno per una società in crescita con<br />
una struttura consolidata e dal marchio di fabbrica originale<br />
di Francesco Marchionibus<br />
Le foto del presidente Vigorito sono dell’agenzia Mosca<br />
D<br />
opo la splendida cavalcata della scorsa stagione<br />
quello che si presenta ai nastri di partenza della<br />
prossima serie A è un Benevento ambizioso e<br />
consapevole delle proprie possibilità.<br />
Prima ancora che la squadra, già valida e ulteriormente<br />
rinforzata nel mercato in corso, a suscitare l’entusiasmo<br />
dei tifosi e l’ottimismo di tutto l’ambiente riguardo al<br />
prossimo campionato e, più in generale, al futuro dei sanniti,<br />
è il cammino che la società giallorossa ha compiuto<br />
negli ultimi anni grazie alla<br />
famiglia Vigorito.<br />
Il Presidente Oreste è giunto<br />
alla guida del Benevento insieme<br />
al fratello Ciro nel<br />
marzo 2006 e nel giro di dieci<br />
anni è riuscito nell’impresa di<br />
condurre il club, che mai<br />
nella sua storia aveva raggiunto<br />
la serie B, dalla C2 alla<br />
A.<br />
L’obiettivo dei Vigorito era<br />
questo sin dall’inizio, e la solidità<br />
del loro progetto è testimoniata proprio dal rapido<br />
ritorno in Serie A dopo la retrocessione del 2018.<br />
D’altra parte i fratelli Vigorito non hanno fatto altro che<br />
trasferire nella gestione del Benevento la passione, le capacità<br />
e l’impegno che hanno caratterizzato le loro attività<br />
imprenditoriali.<br />
Oreste Vigorito, avvocato laureato anche in lettere e filosofia,<br />
ha avuto quasi trent’anni fa l’intuizione di puntare<br />
sul settore delle energie rinnovabili e nel 1993 ha<br />
fondato la IVPC (Italian Vento Power Corporation), una<br />
società con la quale ha sviluppato parchi eolici distribuiti<br />
su sette regioni italiane, che rappresenta un’azienda leader<br />
del settore.<br />
Grazie all’energia eolica Vigorito è diventato uno dei più<br />
noti imprenditori campani, ma le sue attività hanno via<br />
via interessato anche altri settori, da quello alberghiero<br />
a quello del web, dall’elettronica<br />
all’editoria.<br />
La sua holding, la Maluni Srl,<br />
che raggruppa tutte le<br />
aziende del gruppo, ha chiuso<br />
il bilancio 2018 con oltre 132<br />
milioni di fatturato e un patrimonio<br />
netto di 79,5 milioni.<br />
Una grande solidità economica,<br />
che in questi anni ha<br />
consentito al Presidente di<br />
investire nel Benevento favorendone<br />
la continua crescita.<br />
Ma per crescere non sempre sono sufficienti le possibilità<br />
economiche, ci vogliono anche le idee. E quando<br />
Oreste e Ciro Vigorito, giornalista e imprenditore nell’eolico<br />
insieme al fratello, hanno assunto la guida del Benevento,<br />
hanno subito organizzato la società con criteri<br />
di efficienza e modernità (basti pensare che già dalla C2<br />
52 domenica 30 agosto 2020
Il centro di avellola destinato al Settore Giovanile del Benevento<br />
I fratelli oreste e Ciro vigorito qualche anno fa<br />
il club ha avuto in organico ben 80 dipendenti) prendendo<br />
spunto anche dall’esperienza di altre società, famose<br />
proprio per i loro modelli organizzativi (non a<br />
caso si parla del Benevento, anche da parte dello stesso<br />
presidente, come di una potenziale “Atalanta del Sud”).<br />
La dirigenza sannita ha curato in maniera particolare due<br />
aspetti che possono fare la differenza: le strutture e il settore<br />
giovanile.<br />
Recentemente il Benevento ha acquistato e completamente<br />
ristrutturato l’ex centro federale di Avellola, mettendo<br />
a disposizione delle formazioni giovanili un impianto<br />
all’avanguardia che va ad aggiungersi agli altri tre<br />
campi da gioco già disponibili.<br />
Il settore giovanile rappresenta poi il fiore all’occhiello<br />
del Benevento e risulta particolarmente caro al presidente<br />
Vigorito.<br />
È infatti proprio al settore giovanile che si è dedicato con<br />
particolare entusiasmo il fratello Ciro, scomparso nel<br />
2010, a cui tutta la città è rimasta profondamente legata<br />
tanto da intitolargli lo stadio di Benevento, ed è dal settore<br />
giovanile presieduto da Ciro Vigorito che nella stagione<br />
2008 – 2009 è giunto il risultato finora più importante<br />
per la società sannita: il titolo di Campione<br />
d’Italia della formazione Berretti.<br />
Il sogno di Ciro Vigorito di costruire un settore giovanile<br />
di alto livello è stato portato avanti dal fratello Oreste,<br />
che su di esso continua a investire tanto. E i risultati<br />
si vedono: tutte le squadre giovanili giallorosse si sono<br />
qualificate agli ultimi play-off delle varie categorie e<br />
quattro giovani della primavera (Sanogo, Di Serio autore<br />
anche di un gol, Pastina e Rillo) in questa stagione hanno<br />
fatto il loro esordio in Serie B.<br />
D’altra parte il presidente Vigorito nei giovani crede<br />
molto a tutti i livelli, come testimoniato dalla fiducia accordata,<br />
e ampiamente ripagata, nel ds Foggia e nell’allenatore<br />
Inzaghi, e come confermato in una recente intervista<br />
al nostro giornale: “ritengo che il calcio<br />
appartenga molto ai giovani, un po’ come la vita … è giusto<br />
stare in mezzo ai giovani. È una sorta di bagno di gioventù<br />
che ti arricchisce, ti rivitalizza e che ti dà la spinta<br />
per impegnarti in tante cose”<br />
Ed è proprio questo modo di intendere non solo il calcio,<br />
ma la vita, che rappresenta la migliore garanzia per il futuro<br />
del Benevento.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
53
LE STORIE<br />
Marcello Sannino<br />
Dagli scaffali della libreria<br />
alla macchina da presa<br />
La passione per il cinema dai primi anni di università diventata<br />
poi la sua professione, passando per l’attività libraria.<br />
Il regista di Portici dopo documentari e cortometraggi è in sala<br />
dal 27 agosto con il suo primo film “Rosa pietra stella”<br />
di Lorenzo Gaudiano<br />
L<br />
e passioni sono infinite. Ognuno nasce con una<br />
diversa, la coltiva e cerca di portarla avanti per<br />
il resto della propria vita. C’è chi riesce a trasformarla<br />
sin da subito nella propria professione e chi<br />
con qualche sforzo riesce comunque a dedicarvi il proprio<br />
tempo perché non può farne proprio a meno. Alla<br />
fine, in un modo o nell’altro, riesce quasi sempre ad<br />
avere il sopravvento, alimentando i dubbi sul percorso<br />
intrapreso e spingendo ad importanti riflessioni riguardo<br />
alla propria vita.<br />
La passione in questione è il cinema, il protagonista di<br />
questa storia è Marcello Sannino, che ha maturato sin<br />
54 domenica 30 agosto 2020
Tra lei ed il cinema però si<br />
intromise la libreria Nutrimenti.<br />
«A ventiquattro anni aprii questa libreria<br />
a Portici perché non avevo ancora<br />
la forza, ed il coraggio soprattutto,<br />
di dedicarmi all’attività<br />
cinematografica. A quel tempo mi sembrava<br />
ancora una cosa più grande di<br />
me. Nonostante questo, il mio rapporto<br />
con il cinema non si è mai interrotto. Cercavo<br />
di rimanere nell’ambito organizzando proprio all’interno<br />
della libreria degli incontri o delle presentazioni di libri<br />
cinematografici, partecipavo spesso a dei cortometraggi<br />
come attore, sceneggiatore. Alla fine però arrivai alla conclusione<br />
che fosse inutile continuare a rimandare questo matrimonio,<br />
ero consapevole che l’editoria non fosse la mia<br />
strada».<br />
dall’università quest’interesse, portato avanti poi insieme<br />
alla professione di libraio. I due campi non si<br />
escludono l’uno con l’altro, infatti per diversi anni il regista<br />
originario di Portici ha provato a farli convivere.<br />
Ad un certo punto però il cinema voleva il primo posto<br />
e alla fine l’ha ottenuto.<br />
Da qui la metamorfosi della sua passione in lavoro.<br />
Cosa ne è stato della libreria?<br />
«A trent’anni decisi di cederla per comprare una piccola camera<br />
e dedicarmi ai miei primi lavori. Ho iniziato come assistente<br />
operatore per la Rai, esperienza che ha perfezionato<br />
la mia tecnica di ripresa ed arricchito la mia conoscenza cinematografica.<br />
Nel 2003, dopo aver curato le riprese di<br />
Dall’università ad oggi un po’ di tempo è passato,<br />
la passione per i film si è trasformata nella sua<br />
professione. Qual è stato il fattore scatenante, la<br />
scintilla che ha favorito il suo avvicinamento al<br />
mondo del cinema?<br />
«Avevo diciannove anni quando cominciai a vedere con frequenza<br />
dei film insieme ad un paio di amici. L’incontro con<br />
un cinema differente e più impegnativo è avvenuto proprio<br />
durante i primi anni di università, al Cinema Astra infatti<br />
proiettavano delle pellicole non particolarmente note. Una di<br />
queste, che purtroppo non mi è capitato più di rivedere, fu “La<br />
vita appesa ad un filo”, un film del 1991 diretto dal regista<br />
cinese Chen Kaige. Una storia semplice, molto umana, di un<br />
suonatore di saxian, strumento musicale cinese ad una corda,<br />
che mi ha colpito molto ed al tempo stesso avvicinato al<br />
mondo cinematografico. Ricordo le estati in cui ormai non si<br />
andava più in vacanza con i genitori, dove le alternative<br />
erano due: fare un viaggio all’estero oppure approfittare<br />
della casa libera. Ecco, quello era il periodo in cui divoravo<br />
con grande voracità un grandissimo numero di film».<br />
spettacoli teatrali, matrimoni, comunioni etc., mi si presentò<br />
l’occasione di girare un documentario che raccontava un laboratorio<br />
teatrale su Étienne Decroux, l’inventore del mimo<br />
corporeo».<br />
Il suo passato da libraio e il suo presente da regista<br />
si sono poi incontrati di nuovo ne “L’ultima<br />
Treves”.<br />
«Nel 2004 decisi di lavorare ad un documentario incentrato<br />
sulla libreria Treves di via Toledo, prossima alla chiusura.<br />
A quel tempo ne era il direttore<br />
Rosario Wurzburger, che già da<br />
tempo conoscevo e che mi aveva<br />
fornito consigli utili per la mia attività<br />
di libraio. Essendo presente<br />
in libreria per alcuni mesi, misi insieme<br />
circa venti ore di ripresa. A<br />
quel punto contattai Angelo Curti,<br />
produttore della compagnia Teatri<br />
Uniti, per sottoporgli il mio lavoro.<br />
la locandina di porta Capuana e quella del<br />
documentario dedicato a Gerardo Marotta<br />
Lo apprezzò e mi sostenne, invitandomi<br />
a raccogliere altro materiale.<br />
Fu ultimato dopo due anni».<br />
Da quel momento non si è più fermato.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
55
“<br />
Ricordo le estati in<br />
cui ormai non si andava<br />
più in vacanza<br />
con i genitori, dove<br />
le alternative erano<br />
due: fare un viaggio<br />
all’estero oppure approfittare<br />
della casa<br />
libera. Ecco, quello<br />
era il periodo in cui<br />
divoravo con grande<br />
voracità un grandissimo<br />
numero di film<br />
“<br />
Alla base di ogni<br />
opera c’è sempre<br />
una scelta ben precisa,<br />
una finzione,<br />
intesa come messinscena,<br />
realizzata naturalmente<br />
cercando di essere<br />
onesti nei confronti<br />
della materia trattata<br />
“<br />
Mi interessava raccontare<br />
la tenerezza<br />
che accomuna queste<br />
vite: una vita che<br />
è inconsapevolmente<br />
clandestina<br />
come quella di Carmela<br />
con quello che<br />
le sta attorno. È l’inversione<br />
di una lotta<br />
di classe, bensì una<br />
lotta all’interno della<br />
stessa classe<br />
56 domenica 30 agosto 2020
«Dopo essermi imbattuto nella palestra <strong>Napoli</strong>Boxe di Lino<br />
Silvestri, realizzai un documentario, “Corde”, incentrato<br />
sulla storia di Ciro Pariso, che ha ricevuto diversi premi al<br />
Torino Film Festival. Con “L’ultima Treves” inoltre ero entrato<br />
in contatto con Gerardo Marotta, Presidente dell’Istituto<br />
Italiano per gli Studi Filosofici, a cui dedicai il documentario<br />
“La seconda natura”. Questo lavoro era finalizzato<br />
alla riflessione sull’anima duplice della nostra città dove<br />
l’aristocrazia ipercolta da una parte, il popolo sofferente<br />
dall’altra costituiscono due mondi che cercano di incontrarsi.<br />
Poi partecipai a “<strong>Napoli</strong> 24”, un insieme di cortometraggi<br />
firmati da 23 autori esordienti coronati dalla presenza di<br />
Paolo Sorrentino. Realizzai per questo progetto un lavoro su<br />
Porta Capuana, un luogo caleidoscopico che avevo grande desiderio<br />
di raccontare».<br />
Poi arriva il lungometraggio “Rosa pietra stella”,<br />
scritto insieme ai registi napoletani Guido Lombardi<br />
e Giorgio Caruso e prodotto da Antonella<br />
Di Nocera, Gaetano Di Vaio e Pierfrancesco<br />
Aiello. Ma prima di parlare di quest’ultimo lavoro<br />
prossimo alla proiezione, una curiosità:<br />
cosa significa per un regista passare da un documentario<br />
ad un film?<br />
«Fanno entrambi parte dell’universo cinematografico, magari<br />
cambia il modo in cui il lavoro viene immaginato dal<br />
Il regista con ludovica Nasti<br />
Marcello Sannino con Ivana lotito<br />
regista. Alla base di ogni opera c’è sempre una scelta ben precisa,<br />
una finzione, intesa come messinscena, realizzata naturalmente<br />
cercando di essere onesti nei confronti della materia<br />
trattata».<br />
Veniamo al film, partendo proprio dal titolo.<br />
«Presentai la sceneggiatura ad uno dei produttori, Gaetano<br />
Di Vaio. Leggendola, esclamò che Carmela, la protagonista,<br />
gli ricordava alcuni versi della canzone di Sergio Bruni (Ma<br />
tuu staje lla' tu rosa, preta e stella, Carmela, ndr). Successivamente<br />
incontrai proprio l’autore della canzone, Salvatore<br />
Palomba, il quale mi spiegò che dietro ai quei versi c’era l’intenzione<br />
di descrivere una donna gentile come una rosa,<br />
dura come una pietra e luminosa e bella come una stella. Quest’assonanza<br />
mi piacque molto, pensai ad altri nomi per chi<br />
non conosceva la canzone ma nessuno era bello come questo».<br />
Il film è tratto da una storia vera?<br />
«In realtà è il carattere della protagonista a richiamare una<br />
mia conoscenza. La storia è ispirata ad un libro, “Avventure<br />
della ragazza cattiva” di Mario Vargas Llosa, che racconta<br />
le vicende di una donna che cerca di complicarsi la vita. Proprio<br />
come Carmela, protagonista del film, uno spirito indomito<br />
che non accetta le poche possibilità offerte dalla realtà<br />
in cui è nata e vissuta e cerca altrove la propria strada muovendosi<br />
a cavallo tra il lecito e l’illecito. È il racconto di come<br />
ci si trova ad essere clandestini senza sapere di esserlo».<br />
Il film, che è stato accolto con successo al Giffoni Film<br />
Festival, è in sala dal 27 agosto e la curiosità di andare<br />
a vederlo di certo non mancherà. Marcello Sannino tra<br />
gli scaffali della sua libreria ha vissuto a contatto con<br />
un mondo di storie, oggi con la sua camera cerca di raccontarle<br />
realizzando sempre con grande impegno e sacrificio<br />
prodotti di qualità. Anche in quest’occasione<br />
certamente il regista non deluderà il pubblico.<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
57
LA CITTÀ<br />
La Funicolare Vesuviana<br />
una storia, un sogno ed una sfida<br />
Il primo impianto fu inaugurato 140 anni fa. Oggi rappresenta il ricordo<br />
di un passato nostalgico e potrebbe diventare se si desse vita<br />
ad un progetto giacente da tempo una sfida per il futuro del Golfo<br />
di <strong>Napoli</strong> riaccendendo quell’antico romanticismo di fin de siècle<br />
che stregò tante persone e rese <strong>Napoli</strong> famosa in tutto il mondo<br />
di Domenico Sepe<br />
Un viaggio sul dorso del gigante<br />
L’immagine del Vesuvio è legata indissolubilmente a<br />
quella di <strong>Napoli</strong> in un abbraccio tanto letale quanto suggestivo.<br />
Non è raro associare l’immagine della città partenopea<br />
a quella del suo imponente vicino, entrambe<br />
sono legate dalla storia e dalla geografia in un connubio<br />
che ha reso celebre il Golfo di <strong>Napoli</strong>. Basta osservare una<br />
qualsiasi foto o cartolina e si potrà notare come, accanto<br />
a <strong>Napoli</strong>, non può mai mancare il Vesuvio.<br />
Già in passato la visita al Vesuvio era una tappa obbligata<br />
per chiunque soggiornasse nei pressi del Golfo di <strong>Napoli</strong>.<br />
Allo stesso tempo si rendeva omaggio al gigante addormentato<br />
e si coglieva la possibilità di osservare un panorama<br />
senza eguali. Il percorso, a piedi, per raggiungere il<br />
Vesuvio, prima della Funicolare, risultava impervio, lungo<br />
e faticoso, ma costituiva l'unica via d'accesso alla sommità<br />
Tirate co la fune, ditto<br />
'nfatto,'ncielo se va.<br />
Se va comm' a lu<br />
viento a l'intrasatto,<br />
gue', saglie sa'!<br />
Funiculi Funiculà<br />
del vulcano e all'Osservatorio Vesuviano. Nei fatti rappresentava<br />
una piccola scalata da farsi con un equipaggiamento<br />
adatto e con guide esperte. Visto l’ormai crescente<br />
flusso di visitatori del vulcano, l’ingegnere<br />
ungherese Oblieght ebbe l’idea di costruire una funicolare<br />
sul Vesuvio, in modo da sfruttare l’indotto turistico dei visitatori<br />
del vulcano.<br />
Dopo l’approvazione del progetto, la Funiculare del Vesuvio<br />
venne inaugurata nel 1880, ma il suo ideatore fu<br />
presto costretto a cederla per via delle pressanti difficoltà<br />
finanziarie della neonata società. Prima fu presa in gestione<br />
da imprenditori francesi e, infine, dagli inglesi<br />
della Thomas Cook and Son.<br />
Sotto la gestione inglese, nel 1904, vennero rinnovate le<br />
carrozze della funicolare, chiamate Vesuvio ed Etna, e fu<br />
impostato il binario unico. Il miglioramento dei collegamenti<br />
con <strong>Napoli</strong> portò ad un considerevole aumento degli<br />
utilizzatori. La gestione inglese però fu osteggiata con<br />
pesanti richieste estorsive da parte delle guide locali, che<br />
arrivarono a tagliare i cavi della Funicolare e, perfino, ad<br />
incendiare una stazione, sino al raggiungimento di un ac-<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
59
cordo sulle tariffe tra la Cook’s e le guide locali.<br />
Le difficoltà per la giovane linea non finirono qui. Infatti<br />
nel 1906 una potente eruzione del Vesuvio distrusse varie<br />
macchine e le Stazioni Superiore e Inferiore insieme<br />
con le varie attrezzature ed altri macchinari.<br />
La funicolare venne prontamente ricostruita nel 1909 per<br />
poi avere un’altra interruzione nel 1911 a seguito di una<br />
frana. Il servizio, poi, riprese agli inizi del 1912 e proseguì<br />
sino all’eruzione del Vesuvio del 1944, in piena Seconda<br />
Guerra Mondiale. Tali furono i danni della lava da<br />
impedire, ancora una volta, il servizio.<br />
La Cook's decise, quindi, di non investire ulteriori capitali<br />
per la ricostruzione, e, nel dicembre 1945, cedette gli<br />
impianti alla Circumvesuviana, che nel 1947 completò la<br />
ricostruzione delle tratte distrutte dalla lava e rimise in<br />
funzione gli impianti.<br />
Nel 1948 si decise di costruire una strada asfaltata fino<br />
alla Stazione Inferiore della Funicolare, e di sostituire<br />
quest'ultima con una Seggiovia. Nel 1955 la strada asfaltata<br />
venne completata fino a quota 1000: ciò che rimaneva<br />
in funzione, ovvero il tratto di Ferrovia Elettrica Eremo-<br />
Vesuvio, venne quindi chiuso e tre anni dopo smantellato;<br />
il sipario sulla Funicolare Vesuviana si chiuse definitivamente.<br />
Un jingle musicale per la nuova Funicolare<br />
Dopo la cerimonia di inaugurazione della Funicolare nel<br />
1880 venne l’idea di pubblicizzare il nuovo mezzo di trasporto<br />
con una canzone per via dell’iniziale insuccesso<br />
commerciale. Il compito fu affidato al<br />
giornalista Giuseppe<br />
Turco ed al maestro<br />
Luigi Denza.<br />
Dalla loro collaborazione<br />
nacque Funiculì<br />
funiculà, un<br />
brano che descriveva<br />
ai napoletani e soprattutto<br />
ai turisti i<br />
vantaggi offerti dal<br />
nuovo mezzo di trasporto,<br />
che permetteva<br />
di salire senza fatica, ammirando<br />
il panorama sottostante.<br />
Un autentico<br />
jingle musicale.<br />
La canzone ebbe un successo<br />
strepitoso in tutta Italia<br />
e da idea pubblicitaria divenne<br />
un monumento della canzone napoletana classica.<br />
Tale fu il successo che in un anno la Casa Editrice Ricordi<br />
pubblicò e vendette più di un milione di copie, cosa mai<br />
accaduta fino ad allora.<br />
Trasportati sulle note di Funiculì funiculà, il Vesuvio, la<br />
sua Funicolare ed il Golfo di <strong>Napoli</strong> raggiunsero una fama<br />
mondiale. La melodia era canticchiata dai migranti italiani<br />
mentre i dischi su cui era incisa venivano fatti suonare<br />
nelle case e nelle sale da ballo di tutto il mondo.<br />
Un’occasione mancata?<br />
Dopo la chiusura definitiva della Funicolare, ormai sostituita<br />
dalla strada asfaltata e dal trasporto su gomma,<br />
si sono susseguite varie proposte per il ripristino dello<br />
storico servizio. Nel 1988 si arrivò quasi al ripristino della<br />
Funicolare Vesuviana, infatti l'architetto Nicola Pagliara,<br />
già conosciuto per altri progetti simili, si aggiudicò la gara<br />
per la progettazione e la realizzazione di una nuova funicolare<br />
per il Vesuvio. A dicembre 1992 la prima comitiva<br />
di turisti avrebbe dovuto prendere posto in<br />
vettura e arrivare a quota 1.162, cioè sul bordo del<br />
cratere.<br />
Tuttavia, dopo vari mesi, i lavori ebbero una battuta<br />
d'arresto, inciampati in una serie di problemi legali<br />
che fermarono l’opera. Le due vetture realizzate<br />
giacciono, a dispetto dei soldi che furono spesi, nel<br />
deposito dell'azienda di trasporti Clp a Pollena<br />
Trocchia, lo stesso dicasi per la stazione a<br />
monte, anch’essa smontata e depositata.<br />
Ad oggi, oltre al progetto di Pagliara, non<br />
sono state presentate concrete proposte per ripristinare<br />
la Funicolare Vesuviana. Non esiste<br />
alcuna progettazione per sfruttare l’indotto<br />
economico che può derivare da un<br />
tale investimento. Al momento il flusso turistico<br />
utilizza essenzialmente il trasporto<br />
su gomma. Con una nuova Funicolare si<br />
potrebbe, ancora una volta, rilanciare l’escursionismo<br />
turistico alle pendici del vulcano partenopeo.<br />
60 domenica 30 agosto 2020
I LUOGHI DI NAPOLI<br />
di Paola Parisi<br />
San Pietro a Majella<br />
tra musica e storia<br />
Un conservatorio prestigioso nato dall’accorpamento di quattro<br />
istituti, un tempo orfanotrofi prima di diventare accademie.<br />
Oggi oltre ad essere una grande fucina di talenti vanta uno<br />
dei più importanti e ricchi musei della musica al mondo<br />
N<br />
el bene e nel male la nostra meravigliosa città ha<br />
sempre qualcosa da dire, da raccontare, da lamentare<br />
e spesso da cantare.<br />
<strong>Napoli</strong> canta sempre: per allegria, per rabbia, per amore<br />
e sembra quasi che Euterpe, la dea della musica, volteggi<br />
estasiata tra le vie, gli anfratti, i vicoli e soprattutto nella<br />
via di San Pietro a Majella dove risiede il Conservatorio,<br />
uno degli infiniti fiori all'occhiello del nostro capoluogo.<br />
Chiunque si trovi di transito in quella via, anche<br />
il passeggero più distratto, oltre al profumo delle pizze<br />
nei locali adiacenti, non può non udire il suono di note<br />
che prendono vita quotidianamente. Note spezzate, ripetute,<br />
provate e riprovate, note che raccontano storie<br />
infinite fatte di fatica, di studio, di talento e di ingegno,<br />
tutto convogliato nella ricerca del suono perfetto.<br />
Ma cos'è nello specifico questo edificio? È un istituto di<br />
studi musicali molto prestigioso fondato a <strong>Napoli</strong> nel<br />
1808 ed è situato nel centro storico della città nell'ex<br />
la meravigliosa sala interna con il suo organo<br />
convento dei Celestini annesso alla chiesa di San Pietro<br />
a Majella. Nacque con il nome di Real Collegio di Musica,<br />
dall'accorpamento di quattro preesistenti istituzioni<br />
ovvero Santa Maria di Loreto, Pietà dei Turchini,<br />
S.Onofrio a Capuana ed i Poveri di Gesù Cristo. Sorsero<br />
in principio come orfanotrofi e grazie ai proventi delle<br />
donazioni i bambini avevano la possibilità di studiare<br />
musica unitamente alle altre discipline.<br />
Col tempo, questo monumento all'arte musicale ha vantato<br />
illustri direttori, pietre miliari del patrimonio musicale.<br />
Il nostro chapeau va di rigore a personaggi come<br />
Francesco Cilea, Roberto De Simone, Gaetano Donizetti<br />
e Saverio Mercadante. Per qualcuno questi nomi sono un<br />
mero riferimento topografico ma a volte nemmeno<br />
quello. A volte si ascoltano, pur non volendo, delle con-<br />
62 domenica 30 agosto 2020
Il compositore Francesco Cilea, che fu direttore del Conservatorio<br />
versazioni telefoniche nelle quali ci si accorda per un<br />
luogo di ritrovo e spesso si sentono pronunciare nel divertimento<br />
frasi del seguente tipo: “Allora ce verimmo<br />
a Via Cilea ...eh Cilea…<br />
Cilea addo’ sta<br />
chillu bar gruoss<br />
gruoss... vicino ‘o negozio<br />
addo’ m’accattaje<br />
‘e scarpe?”. Ed in<br />
quel contesto, in uno<br />
scenario surreale, si<br />
riesce a vedere<br />
l'espressione sconfortata<br />
del Maestro che<br />
rivolge il suo sguardo<br />
basito in direzione di<br />
Euterpe... una Euterpe<br />
che si trasforma<br />
nella più agguerrita<br />
delle vrenzole e sfoggiando<br />
un degno turpiloquio gli risponde: “Chi ‘e mann<br />
a fanc***?? Io o tu??”<br />
Tornando a noi come si diceva, in principio queste strutture<br />
nacquero esclusivamente come orfanotrofi, più<br />
avanti come prestigiose accademie ed in quei periodi la<br />
vita in quei posti non era certo serena e gioiosa e spesso<br />
i convittori lamentavano una pessima gestione dell'istituto,<br />
condizioni di vita al limite del disumano e anche<br />
metodi educativi poco conformi, tanto è vero che nel<br />
1730 avvenne un tragico fatto di sangue. In quell'anno,<br />
con la complicità del Rettore, un allievo, Domenico Lanotte,<br />
fu barbaramente assassinato dalla milizia della<br />
Curia Arcivescovile, i cosiddetti Cursori. Tale omicidio<br />
avvenne nel tentativo di sedare una rivolta, le cui motivazioni<br />
sono ancora adesso sconosciute. Le fonti dell'epoca<br />
archiviarono ed insabbiarono tutto con la motivazione<br />
“Malgoverno”. Dopo l'omicidio del Lanotte, le<br />
cose peggiorarono al punto che nel 1744 l'Arcivescovo<br />
Spinelli lo chiuse definitivamente.<br />
Dopo aver attraversato un periodo turbolento tra critiche<br />
e degrado, il Conservatorio di San Pietro a Majella<br />
sembra essere tornato ad essere una realtà consolidata,<br />
fucina di talenti. Al<br />
suo interno, oltre al<br />
chiostro con la statua<br />
di Beethoven, c’è probabilmente<br />
il più importante<br />
museo di<br />
musica al mondo: si<br />
possono ammirare<br />
opere, busti e ritratti<br />
donati tra l’Ottocento<br />
e il Novecento da artisti<br />
e benefattori;<br />
l’arpa di Stradivari e<br />
il pianoforte di Paisiello;<br />
manoscritti di<br />
Verdi e Bellini custoditi<br />
nella biblioteca e<br />
l’archivio storico. Si organizzano inoltre eventi, ospitati<br />
nelle sale interne dedicate a Bellini e al maestro di fama<br />
mondiale Riccardo Muti, studente del conservatorio<br />
negli anni 50 come l'esimio violinista Salvatore Accardo,<br />
altro celebre studente.<br />
Tutto questo per dire che <strong>Napoli</strong> canta ma con cognizione<br />
di causa ed è proprio il caso di dire “carta canta”<br />
... tutto il resto è invidia!<br />
A sinistra una foto prospettica delle sale del Conservatorio<br />
dedicate ad illustri compositori e a destra la sala Bellini<br />
la statua di Beethoven nel cortile interno<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
63
TEMPI MODERNI<br />
di Ciro Chiaro<br />
Amore<br />
vuol dire<br />
gelosia?<br />
Spesso si tende a considerare i due sentimenti come sinonimi.<br />
In molti casi la gelosia si rivela una spinta irrazionale che finisce<br />
per distruggere quello che in realtà si vorrebbe difendere<br />
L<br />
Sigmund Freud<br />
a consuetudine ci porta a pensare che una persona<br />
che ama tanto non può fare a meno di essere<br />
gelosa, poiché con questo termina si identifica<br />
“quell’ansioso tormento provocato dal timore di<br />
perdere la persona amata ad opera di altri”. Quindi nasce<br />
dalla paura, la gelosia, non dall’amore, anzi è indice<br />
di insicurezza per chi ce l’ha, un sentimento distruttivo<br />
che fa soffrire sia chi ne è tormentato che la vittima.<br />
La gelosia si accompagna sempre ad una visione di<br />
monopolio e possessività dell’altro, senza comprendere<br />
che quando ritieni di possedere un altro, di fatto gli impedisci<br />
la vita. Il timore di perdere l’affetto della persona<br />
amata non si può conciliare in nessun caso con<br />
l’idea che la persona amata ci appartenga. Invece proprio<br />
partendo dalla convinzione che la persona amata<br />
ci appartenga, il soggetto geloso vive intensamente la<br />
paura che qualcuno, che sente come rivale, possa portargliela<br />
via. Se ciò dovesse accadere, risulterebbe profondamente<br />
colpita l’immagine del sé. La paura e/o la<br />
rabbia che nutrono il geloso gli fanno assumere comportamenti<br />
irrazionali che in genere devastano il legame<br />
affettivo, producendo l’effetto contrario a quello<br />
desiderato. Quindi non si difende l’amore ma egoisticamente<br />
lo si distrugge.<br />
Qualcuno dirà che è una patologia. Clinicamente non lo<br />
è, non è inserita neanche nel DSM, il Manuale Diagnostico<br />
Statistico dei Disturbi Mentali, pubblicato ed<br />
aggiornato periodicamente dall’Associazione Psichiatria<br />
Americana. Sicuramente comporta un notevole<br />
stress, correlandosi a situazioni spiacevoli come depressione,<br />
ansia e ferita narcisistica, senza dimenticare<br />
che può sfociare in rabbia incontrollata con conseguenti<br />
atti di stalking e violenza sul partner.<br />
La gelosia quindi può dare origine a caratterizzazioni<br />
domenica 30 agosto 2020<br />
65
l'othello del pittore tedesco Christian Köhler<br />
patologiche, come nel caso della gelosia ossessiva<br />
quando una persona, in analogia con il disturbo ossessivo<br />
compulsivo, sente il bisogno di controllare continuamente<br />
il comportamento del partner. Alla base c’è<br />
una idea ossessiva: quella di essere abbandonato dalla<br />
persona amata. La compulsione consiste in lunghi e<br />
quotidiani interrogatori, il controllo dell’abbigliamento,<br />
del cellulare, ect. Il tutto teso ad ottenere rassicurazioni<br />
che possano lenire l’ideazione di perdita.<br />
Altra situazione più grave, definita come gelosia delirante,<br />
è quando il soggetto si autoconvince dell’infedeltà<br />
del partner e va alla ricerca solo di elementi confermanti<br />
l’avvenuto tradimento senza alcun beneficio<br />
del dubbio. Anche di fronte ad una confessione, anche<br />
se non reale e dovuta a stanchezza per i continui interrogatori,<br />
lo stato di ansia non si placa e continua con<br />
la medesima intensità. L’obiettivo è da una parte l’autoaffermazione<br />
dell’inquirente e dall’altra l’annullamento<br />
del partner, sia a livello psicologico che fisico in<br />
molti casi, come le cronache raccontano.<br />
Questa forma è conosciuta anche come sindrome di<br />
Otello, protagonista del famoso dramma, che decide che<br />
Desdemona deve morire per un suo presunto tradimento<br />
nonostante le rassicurazioni di quest’ultima riguardo<br />
alla sua fedeltà.<br />
Per Freud tale forma di gelosia nasce da esigenze super<br />
egoiche legate ad una propria infedeltà. In questo caso<br />
l’oggetto della relazione sessuale e/o la fonte dell’attrazione<br />
è dello stesso sesso. La gelosia delirante, o sindrome<br />
di Otello, è quindi una forma di omosessualità latente.<br />
Un tentativo di difesa contro un impulso<br />
omosessuale troppo forte, essa potrebbe essere descritta<br />
(nel caso dell’uomo) mediante la formula: non<br />
sono io che lo amo, è lei che lo ama. (Freud 1905).<br />
Le relazioni familiari si caratterizzano per uno scambio<br />
simbolico in cui si dà all’altro ciò che si ritiene e si auspica<br />
abbia bisogno e, nel contempo avendo fiducia che<br />
l’altro ricambierà con un equivalente simbolico. Nella<br />
relazione affettiva quindi la fiducia diventa l’elemento<br />
essenziale affinché avvenga lo scambio relazionale dell’equivalente<br />
simbolico. Se uno dei partner non ha fiducia<br />
e speranza di essere ricambiato si inserisce la patologia<br />
relazionale che è un terreno fertile per la nascita<br />
di sentimenti di gelosia.<br />
Oltre a quella romantica esistono altre forme di gelosia,<br />
come quella da competizione sociale. Il desiderio di<br />
ottenere un bene o uno status sociale che non si ha, accompagnato<br />
dalla paura di fallire per la presenza di altri<br />
contendenti che hanno la stessa aspirazione.<br />
Oppure la gelosia filiale in ambito familiare, il caso tipico<br />
è quella che insorge nel primogenito all’arrivo del<br />
secondogenito. Molto diffusa, secondo una ricerca riguarda<br />
il 93% dei casi esaminati e può durare negli anni.<br />
Altre forme di gelosia le troviamo nell’adolescenza nell’ambito<br />
dei rapporti di amicizia poiché in questa fase<br />
della vita vengono vissuti come esclusivi e totalizzanti.<br />
L’allontanamento verso altre conoscenze e altri amici<br />
viene vissuto, nella persona che prova gelosia amicale,<br />
con un grande stato di sofferenza.<br />
La gelosia quindi è una emozione complessa, a cui va<br />
data la giusta rilevanza e non va banalizzata come sinonimo<br />
di amore o come reazione esagerata rispetto a<br />
qualche avversità.<br />
66 domenica 30 agosto 2020
PUNTI VENDITA DELLA CAMPANIA:<br />
C.C. CAMPANIA – MARCIANISE<br />
C.C. CC AUCH<br />
HAN GUG GIUGLIANO – GIUGLIANO<br />
C.C. LA CARTIERA – POMPEI<br />
C.C. VULCANO BUONO – NOLA<br />
C.C. AUCHAN MUGNANO – MUGNANO<br />
C.C. LA BIRRERIA - NAPOLI<br />
C.C. NEAPOLIS – NAPOLI<br />
C.C. QUARTO NUOVO – QUARTO<br />
C.C. MAXIMALL – PONTECAGNANO FAIANO<br />
C.C. LE PORTE DI NAPOLI – AFRAGOLA<br />
C.C. JAMBO – TRENTOLA DUCENTA<br />
C. .C. I SANNITI – BENEVENTO<br />
C. .C. LE COTONIERE - FRATTE<br />
CC C. .C. LE GINESTRE – VOLLA<br />
C.C. PEGASO – PAGANI<br />
C.C. IL CARRO – PASSO DI MIRABELLA<br />
VIA GIUDICI N.74 - ANGRI (SA)<br />
CORSO ITALIA N.149 - PIANO DI SORRENTO<br />
VIA TESTA T 13/15 - AVELLINO<br />
VIALE LEONARO DA VINCI N. .25/27 – PORTICI<br />
VIA EPOMEO N.205 – NAPOLI<br />
VIA ROMA 66/68 - AVERSA<br />
VIA DOMITIANA - MONDRAGONE