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La nostra protagonista nasce nel 1919 ad Ulassai,
Ogliastra, nella Sardegna rurale, ed è una
bambina gracile e schiva ma fortunata quanto
basta da avere alle spalle una famiglia benestante,
così da potersi garantire una formazione.
Per tutti gli anni dell’infanzia crescerà
sola con la sua matita, educandosi a un riserbo
e ad un’introspezione che, a Cagliari (dove
sarà mandata per proseguire gli studi) le garantiranno
la triste fama di disadattata e di introversa
con difficoltà di apprendimento e socializzazione.
La ragazza però non si abbatte e
decide di iscriversi al Liceo Artistico di Roma.
Ed è proprio dalla Città Eterna che inizia il
suo ‘nostos’.
Da Roma a Venezia, Maria conosce i grandi
artisti dello scenario italiano del dopoguerra,
cresce sia personalmente che professionalmente,
affermandosi anche come insegnante.
C’è però un rumore bianco che fa da sottofondo
ai suoi giorni di donna libera e di artista di
successo, un logorio incessante che la sovrasta
e le rende difficile trovare un canale espressivo
efficace per materializzare il suo mondo interiore:
la nostalgia per la sua isola, fatta di miti
e tradizioni, di profumi e di sapori mediterranei,
di fili di telaio. Ecco quindi che a più di
cinquant’anni riparte per la Sardegna, con la
rinnovata consapevolezza che la vera originalità
sta in chi riconosce e valorizza le proprie
origini. Quello che ora esce dalle mani di Maria
non ha più nulla a che fare con i manufatti
della giovinezza o con le opere dei suoi
maestri; cambia la materia con cui interagisce
e le sue creazioni sono dei…telai, che vengono
disposti per tutto il paese in modo da unire le
case, gli edifici pubblici, gli alberi. Il simbolo
che sceglie non solo non è casuale ma è forte:
il telaio è lo strumento di lavoro della donna
che tesse, ma anche macchina del tempo, che
unisce il passato col presente, la tradizione con
la tecnologia.
Ma vediamo in cosa realmente consiste la sua
opera, definita come forma di arte relazionale.
Come ho già accennato, la performance richiede
che ogni casa del paese sia legata alle vicine
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con dei fili, fili fissati poi alla montagna che
sovrasta il paese, ad indicare l’irriducibile connessione
tra persone e cose, ma anche la staticià
del passato, roccia inscalfibile, ed il dinamismo
del presente. Certo, la metafora cozza
con la realtà: ci sono antipatie che durano da
decenni, rancori fatti di sangue e faide; far passare
un ‘segno di pace’ tra case dove la gente
non si parla è fuori discussione.
Maria però cerca di mediare e alla fine trova il
giusto compromesso: le cause tra cui c’è armonia
saranno attraversate da un nastro a cui è
legato un pane segno di condivisione e amore,
mentre tra le altre il nastro sarà teso come tesi
sono i rapporti. Comunque il legame c’è ed è
indistruttibile, come un ago che “entra ed esce
da qualcosa, lasciandosi dietro un filo, segno
del suo cammino che unisce luoghi ed intenzioni.”*
La nostra protagonista è vicina a quei giovani
che sono nati in una dimensione piccola da cui
vogliono affrancarsi; il conflitto che si avverte
con le proprie origini sembra infatti il necessario
prezzo da pagare per assicurarsi un modesto
angolo di libertà in una città, in cui le prospettive
di vita sono ben più allettanti di quelle offerte
dal paese o dalla cittadina di provincia. La
nostalgia interviene poi su quella ripugnanza
iniziale ed edulcora anche i ricordi più amari,
creando un ponte tra passato e presente, rendendo
il confronto con l’identità meno duro.