MAP - Magazine Alumni Politecnico di Milano #4
Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 4 Autunno
Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 4 Autunno
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MAP
Magazine Alumni Polimi
La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
Numero 4 _ Autunno 2018
Il bello del Politecnico: quello che i ranking non possono raccontare • Un Politecnico da Olimpo • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza
• Qui costruiamo il futuro del mondo • Ricordi della Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel
tempo • Scelti da Forbes: i più giovani innovatori europei • Big (Designer) Data • L’architetto e il suo bracciale salvavita • L’ingegnere che
pulisce gli oceani • Un campus aperto alla città • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Poli • Alumni da Trofeo: Fabio Novembre,
Stefano Boeri • Tutte le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • Il 1° incubatore d’Impresa in Italia • 1968-2018 in Piazza Leonardo
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Ferruccio Resta e il Politecnico di domani • Dossier: i numeri del Poli • La nuova piazza Leonardo • Renzo Piano: 100
alberi tra le aule • Gian Paolo Dallara e DynamiΣ: la squadra corse del Poli • PoliSocial: il 5x1000 del Politecnico di
Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura
tra luce e materia • Paola Antonelli, dal Poli al MoMA di New York • Zehus Bike+ e
Volata Cycles, le bici del futuro • Paolo Favole e la passerella sopra Galleria Vittorio Emanuele • Marco Mascetti:
ripensare la Nutella • I mondi migliori di Amalia Ercoli Finzi e Andrea Accomazzo • Nel cielo con Skyward e Airbus
Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante
geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta
il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura
italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa
• Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo
1 MAP Magazine Alumni Polimi
Quando ero studente al Poli • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza • Dove si costruisce il futuro del mondo • Poli da Olimpo • Mi
ricordo la Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel tempo • Speciale Forbes: Lorenzo Ferrario,
Gio Pastori • Big (Designer) Data • L’architetto, e il suo bracciale, salvavita • L’ingegnere che pulisce gli oceani • Il nuovo Cantiere Bonardi di
Renzo Piano • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Politecnico • Alumni da Podio: Fabio Novembre, Stefano Boeri • Tutte
le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • PoliHub, l’incubatore di talenti • 1968-2018 in Piazza Leonardo • Lettere alla redazione
Buona
lettura.
In questo 4° numero di MAP abbiamo dato ampio spazio
ai più recenti traguardi del Politecnico di Milano. È stata
una scelta dettata dall’entusiasmo: al di là di ogni autocelebrazione,
abbiamo la speranza di condividere con
voi lettori la passione per questa Scuola e l’impegno
con il quale, quotidianamente, la comunità politecnica
nel suo insieme si adopera per tenera alta la sua bandiera.
Ne parliamo in diversi articoli, toccando i temi dei
ranking universitari, della ricerca di frontiera, dello sviluppo
tecnologico e culturale promossi dall’Ateneo grazie
alle tante realtà che ne fanno parte: citiamo ad esempio
Polihub, primo incubatore d’impresa in Italia, e
i nuovi progetti che stanno partendo, come quello della
ristrutturazione del Campus Bonardi che offrirà nuovi
spazi di interazione a tutta la città, non solo agli studenti
e ai docenti.
Non mancano le storie degli Alumni, fiore all’occhiello
del Politecnico, e dei loro importanti contributi alla
crescita del mondo tecnologico, culturale e industriale.
Fanno la loro comparsa in questo numero 11 Alumni il
cui lavoro ha un forte impatto a livello italiano e internazionale:
come la designer Giorgia Lupi, esperta di data
visualization, il cui lavoro è esposto nella collezione
permanente del MoMA e che ha al suo attivo un TEDTalk
con più di un milione di visualizzazioni; o come Lorenzo
Ferrario e Gio Pastori, scelti da Forbes come due tra
i più giovani innovatori d’Europa; o ancora, come Giulio
Cesareo, la cui azienda ha brevettato una “spugna” per
ripulire gli oceani.
Queste storie, insieme alle tantissime altre che non
possono, purtroppo, trovare spazio qui, rappresentano
per il Politecnico motivo di orgoglio e uno stimolo a
fare sempre meglio. Senza darvi ulteriori spoiler, vi auguro
buona lettura, sperando che queste pagine vi rendano
altrettanto orgogliosi.
Federico Colombo
Direttore esecutivo Alumni Politecnico di Milano
P.S. Anche questa volta siamo riusciti a stampare e inviare
MAP a 50 mila Alumni perché in 1950 avete scelto
di contribuire concretamente con una quota a sostegno
di questo progetto. Grazie ancora per questo contributo
che permette di tenere aperto anche questo canale per
tutta la famiglia politecnica.
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La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
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Numero 1 - Primavera 2017
Numero 3 _ Primavera 2018
Numero 4 _ Autunno 2018
PROSSIMO NUMERO
N°0 - AUTUNNO 2016
N°1 - PRIMAVERA 2017
N°2 - AUTUNNO 2017 N°3 - PRIMAVERA 2018
N°4 - AUTUNNO 2018
N°5 - PRIMAVERA 2019
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La rivista degli architetti,
designer, ingegneri
del Politecnico di Milano
Direttore Responsabile
Federico Colombo
Direttore Esecutivo AlumniPolimi Association
Dirigente Area Sviluppo e Rapporti con le Imprese
Politecnico di Milano
Direttore della comunicazione
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Dirigente Area Comunicazione e Relazioni Esterne
Politecnico di Milano
Membri del Comitato Editoriale
Margherita Cagnotto
Responsabile Merchandising di Ateneo
Politecnico di Milano
Alessio Candido
Communication and graphic designer
AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano
Ivan Ciceri
Fundraising Manager
Politecnico di Milano
Luca Lorenzo Pagani
Communication Manager
AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano
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Head of CareerService
Politecnico di Milano
Diego Scaglione
Head of Corporate and Continuing Education
Politecnico di Milano
Irene Zreick
Coordinamento editoriale MAP
AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano
MAP è realizzato in collaborazione con
Better Days srl (www.betterdays.it)
Stefano Bottura
Progetto grafico
Valerio Millefoglie
Caporedattore Betterdays
Redazione
Ivan Carozzi, Davide Coppo, Nicola Feninno,
Chiara Longo
Impaginazione
Maria Serafini, Beatrice Mammi
Crediti
Fotografie pag. 24 NASA/ Chris Gunn
Pattern grafico pag. 96 da all-free-download.com
Stampa
La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio S.r.l.
Editore e Proprietario
AlumniPolimi Association Politecnico di Milano
Presidente
Prof. Enrico Zio
Delegato del Rettore per gli Alumni
Delegato del Rettore per il Fundraising individuale
P.zza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano
T. +39.02 2399 3941 - F. +39.02 2399 9207
alumni@polimi.it - www.alumni.polimi.it
PIVA 11797980155 - CF 80108350150
Pubblicazione semestrale
Numero 4 – autunno 2018
Registrazione presso il Tribunale di Milano n°89
del 21 febbraio 2017
3 Editoriale
La bellezza che
i ranking non
possono
PoliHub: il 3°
incubatore di
startup al mondo
Speciale Forbes:
L’ingegnere
dei satelliti
18
Poli da
Olimpo
Un campus
aperto
alla città
24
Un telescopio per guardare
indietro nel tempo
26
Speciale Forbes:
Il designer
di collage
10
Qui costruiamo
il futuro
del mondo
raccontare 6 12
Dottori di Ricerca
alle frontiere della
conoscenza
16
22
32
40
Big
(Designer)
Data
36
48
Mi ricordo la
Casa dello
Studfente
54
66
Dalla Daytona
alla Testarossa:
tutte le Ferrari
dell’ing. Fioravanti
Huawei: come
fare rete, 5G
70
59
La Nuova
Biblioteca
Storica del
Poilitecnico
La
Gazzetta
del Poli
Alumni
da trofeo
72
L’uomo che
sente tutto
dell’America
76
Milano-Londra 80
passando per
la Nuova Zelanda
84
L’ingegnere
che pulisce
gli oceani
L’architetto
salvavita
I ragazzi
del Circles 88
La guerra
del Poli 92
1968-2018
94
cinquant’anni
nella nostra piazza
Lettere
alla redazione
96
5
IL BELLO DEL
POLITECNICO:
QUELLO CHE
I RANKING
NON POSSONO
RACCONTARE
Lettera aperta
del Presidente Associazione AlumniPolimi
Mi sono iscritto al Poli nel 1985 e non ne sono mai uscito. All’epoca, questa grande
istituzione mi faceva un po’ paura; invece, stava iniziando una storia d’amore che
dura ancora oggi, dopo oltre 30 anni! Ricordo con affetto il “primo colpevole” di
questo grande innamoramento, il mio mentore-gentiluomo, Marzio Marseguerra,
professore di fisica dei reattori nucleari, che mi ha insegnato tutto (e io ho il rammarico
di non essere riuscito a imparare proprio tutto).
Ricordo tutte quelle esperienze, e al contempo sofferenze, che spesso ci raccontiamo
tra Alumni: la lotta per gli sgabelli e per il posto in aula, i professori che incutevano
paura, gli incubi di diventare un’esponenziale o una frazione, gli esami,
il costante studio e il grande impegno che ci tenevano svegli la notte: tutto questo
rivedo oggi nei miei allievi. Ricordo anche i bellissimi momenti di vita, le accese
partite a briscola chiamata (anche quelle con Carlo Lombardi, professore di Ingegneria
Nucleare, un finto burbero, pezzo di pane che si arrabbiava molto se lo
facevi perdere!), le sfide a calcetto, la continua crescita accanto a colleghi-studenti
di ieri che sono diventati gli Alumni-amici di oggi. Non è un caso che tanti di noi
Alumni siamo coinvolti in progetti a supporto dello sviluppo del Politecnico, come
6
Alla cerimonia dei diplomi di master all’UCLA, 1994
ENRICO ZIO, 51 anni
Professore ordinario di Impianti Nucleari
Presidente Associazione AlumniPolimi
Delegato del Rettore per gli Alumni
e per il Fundraising Individuale
Alumnus Polimi Ingegneria Nucleare e PhD
le borse di studio “Circles” che premiano i migliori studenti, il progetto di riqualificazione
del campus che apre nuovi spazi di cultura e vita sociale agli studenti, ai
cittadini, ai visitatori di Milano, gli advisory board nei quali gli Alumni affiancano i
docenti del Poli nell’ideazione dei corsi di studio, nelle direzioni della ricerca per
la trasformazione e l’innovazione.
Il Poli, in anni “non sospetti”, si apriva già all’internazionalizzazione offrendomi
una borsa di studio con la quale mi recai ad approfondire gli studi presso la prestigiosa
UCLA: ne uscii con un master (in Ingegneria Meccanica) e… la mia futura
moglie. Era l’anno dei mondiali di calcio in USA e andai alla cerimonia dei diplomi
indossando l’uniforme dell’Italia di Baggio sotto alla toga. Poi il dottorato, sia al
Politecnico che al MIT – passando per il tremendo esame americano, durato due
giornate nelle quali mi chiesero praticamente tutto, qualsiasi cosa vagamente
correlata con gli studi di ingegneria. Fortuna che avevo fatto il Poli! E fortuna che
alla discussione della tesi arrivò mia mamma dall’Italia, da perfetta mamma italiana
con figlioletto emigrato, carica di valigie piene di prelibatezze. Voci di corridoio
dicono che ciò abbia contribuito al buon esito dell’esame, anche se il Professor
George Apostolakis, luminare dell’analisi di rischio e mio mentore al MIT, minacciò
di bocciarmi per farmi tornare l’anno seguente con mamma e manicaretti.
Enrico Zio nel giorno di laurea, 1991
3.
Il MIT mi apriva tante porte, ma io volevo tornare a casa, al mio Poli. Nel 1996 vinsi
un posto da ricercatore e tornai a frequentare le aule del Politecnico, “dalla parte
opposta della cattedra”, capendo ben presto che anche da questo lato si continua
ad imparare. Con la voglia di dare il massimo per contribuire allo sviluppo del
Politecnico, fin dall’inizio partecipai a tanti progetti che allora stavano partendo e
4.
che oggi sono importanti nelle strategie di sviluppo di Ateneo. Sotto la guida della
prof.ssa Anna Zaretti, a fianco della dr.ssa Chiara Pesenti e del prof. Giuliano Noci,
mi ritrovavo a fare l’ambasciatore del Poli nei licei, per supportare gli studenti nella
scelta dell’università (leggi: per convincerli a venire al Poli, a non perdere questa
opportunità!), e intanto iniziavo, insieme al visionario prof. Giancarlo Spinelli,
a partecipare allo sviluppo delle relazioni internazionali del Poli. Tutte esperienze
dalle quali ho imparato e guadagnato, più che offerto e dato, e che mi hanno aiutato
anche negli anni in cui ho avuto la fortuna di servire come direttore della scuola
di dottorato. Anche lo sport, oggi al centro di un impegno importante del Politecnico,
per la qualità della vita di tutti coloro che vi studiano e lavorano, mi ha visto
partecipe dei primi passi “dal basso”: credo di essere stato l’ultimo vincitore del
torneo di tennis organizzato dal CRAL, mi chiamavano “Boom Boom Zio” (erano gli
anni in cui un certo “Boom Boom Becker” vinceva Wimbledon); sono stato finalista
7
“Il Poli è campione del mondo
anche su parametri che non si
misurano, che non entrano nei
ranking ma che hanno a che
fare con la vita delle persone”
Nel cuore del MIT
con la commissione di PhD, 1997
del primo torneo di calcetto, ma non presi parte alla finale perché dovevo studiare!
Fui uno degli staffettisti nella 5x1000 al Giuriati assieme ad un giovane promettente
e molto atletico, che oggi è vincitore di un ERC e presidente del nostro
corso di studi in Ingegneria Nucleare: il prof. Matteo Passoni (non abbiamo vinto
ma avremmo meritato il premio come migliore divisa grazie alle nostre parrucche
da Cugini di Campagna).
Ora mi trovo qui a scrivere su questo numero di MAP, dove raccontiamo di tante
iniziative e situazioni più che mai attuali oggi, figlie di quelle di ieri che ho menzionato.
Parliamo anche della Casa dello Studente e delle altre nuove residenze
del Poli, che danno alloggio a tanti studenti. Già ai miei tempi, la Casa dello
Studente era un punto di riferimento per i tanti studenti che venivano da fuori,
facendo grandi sacrifici. Oggi, da docente, ancor più penso all’incredibile impegno
di questi ragazzi e agli sforzi fatti dalle loro famiglie. Penso agli studenti che
fanno i pendolari e si alzano all’alba ogni mattina per prendere il treno. Penso a
tutti quei giovani che si trasferiscono qui da Paesi lontani, lasciando le loro famiglie
e affidando a noi una frazione della loro vita per investire sulla loro formazione,
sperando che serva a costruire un futuro migliore per loro stessi e i
loro cari. Penso a loro con grande ammirazione: ci vogliono molta motivazione
e un grande impegno, e il Politecnico continua a operare per accogliere questi
giovani, per farli sentire figli del Poli.
Saliamo nei ranking internazionali perché la formazione del Politecnico è apprezzata
a livello internazionale (i nostri allievi sono richiestissimi nel mondo
del lavoro) e la ricerca è tra le migliori del mondo. Ma per me il Poli è anche
campione del mondo su parametri che non si misurano, che non entrano nei
ranking ma hanno a che fare con la vita delle persone. È per questo che sono
ancora qui, dopo 30 anni, con la voglia di dare il mio piccolo contributo, profondamente
innamorato. Anche oggi, come (fortunato e privilegiato) Presidente
dell’Associazione AlumniPolimi, continuo a imparare e ricevere tanto da tutte le
persone con le quali ho il privilegio di entrare in contatto, persone che condividono
con me la passione per il Poli. Gli Alumni sanno, come lo so io, che con il
Poli saremo sempre in debito. Questa istituzione, seria, severa, è piena di personaggi
che incutono timore reverenziale, il docente che ti boccia, quello che ti
mette alla prova, ti spreme… per il fine comune di trasmetterti qualcosa; tutte
queste donne e uomini ci mettono il loro cervello, il cuore, l’anima e il tempo,
con risultati che vanno al di là dei voti e delle nozioni, perché la formazione di
una persona passa anche per un altro tipo di sudore, quello umano della vita-vissuta.
Il Poli è uno stile di vita, anche se quando sei studente non te ne rendi
ancora conto. Con il tempo, da Alumna/us lo scopri e te lo porti dietro ovunque
tu vada. Ce l’hai nel cuore.
E io vado avanti a commuovermi quando alla fine degli esami del mio corso dò
un 30 e lode.
Con i colleghi di ing. Nucleare
alla staffetta 5x1000 nel 1999
In compagnia dei nuovi dottori
alla cerimonia della scuola
di dottorato del Politecnico, 2007
“Il Poli è uno stile di vita.
Te lo porti dietro ovunque tu vada.
Ce l’hai nel cuore”
8
LA BANDIERA
DEL POLITECNICO
Portiamo addosso i colori della nostra squadra
Siamo tra le migliori università al mondo.
I nostri Alumni sono tra i più apprezzati
dalle aziende a livello internazionale,
la ricerca politecnica è un motore
di innovazione che spinge l’Italia verso
il futuro. La nostra università collabora
con le aziende per uno sviluppo industriale
con un forte impegno sul territorio.
Questo impegno si concretizza anche
con progetti di riqualificazione dei
quartieri, come l’apertura ai cittadini
del campus di Architettura, che fanno
bene al Poli e fanno bene alla città.
Siamo orgogliosi di tutto questo e delle
persone che lo rendono possibile, un
“esercito” di quasi 200mila persone tra
Alumni, studenti, docenti, ricercatori e
personale che collabora a vario titolo
alla crescita di questa grande istituzione.
Siamo orgogliosi di farne parte,
per questo dal 2018 abbiamo deciso
di concretizzare questo orgoglio sviluppando
il progetto del merchandise
ufficiale. Per farlo stiamo collaborando
con aziende d’eccellenza che credono
nel progetto e ne condividono i valori.
Abbiamo scelto prodotti di alta qualità
che rispecchino l’impegno che mettiamo
in tutti gli aspetti della vita politecnica.
È un modo per tutti noi, che ci sentiamo
il Politecnico nel cuore, di indossare
questo orgoglio e sostenere la nostra
università, di mostrare al mondo, ovunque
andiamo, la nostra appartenenza,
la nostra bandiera: facciamo il tifo per
il Poli.
#ProudlyPolitecnico
compra sullo store
POLITECNICO DI MILANO su
9
IL POLI NELL’OLIMPO
DELLE MIGLIORI
UNIVERSITÀ
AL MONDO
Nel 2018 il Politecnico di Milano porta a casa risultati record su
diversi fronti: l’occupazione dei laureati politecnici è in crescita,
siamo ai vertici delle classifiche universitarie internazionali, tante
realtà nel mondo politecnico si distinguono tra le migliori nel loro
campo. Vediamone alcune
FERRUCCIO RESTA
Rettore del Politrecnico di Milano
Questi risultati sono figli di una politica che
viene da lontano e che guarda lontano.
Per questo lavoriamo a programmi di formazione in grado
di interpretare il cambiamento, mantenendo solide basi
scientifiche. Per questo investiamo in laboratori di ricerca
all’avanguardia e in campus all’altezza degli standard internazionali.
Per questo puntiamo su alleanze durature con le
principali imprese del territorio e sviluppiamo programmi
internazionali con le più prestigiose università in Europa e
nel mondo. Un pensiero finale va alla comunità dei nostri
Alumni, sempre più attiva per l’Ateneo e attenta a restituire
parte del suo successo. Un sentimento di orgoglio e di riconoscenza,
su cui contiamo per il nostro futuro.
2 1 3
10
CLASSIFICHE INTERNAZIONALI
Il QS World University Rankings by Subject misura
le migliori università di tutto il mondo per area
disciplinare: confronta la loro capacità di fare
ricerca, la reputazione dei docenti e la qualità dei
laureati secondo le imprese.
Per la 1° volta indica un ateneo italiano, il Politecnico
di Milano, tra i primi 20 in tutte e tre le aree
di appartenenza
Fonte: 2008 QS World University Rankings by Subject
5°
9°
17°
NEL DESIGN (10° NEL 2016)
NELL’ARCHITETTURA (15° NEL 2016)
NELL’INGEGNERIA (24° NEL 2016)
INCUBATORE D’IMPRESA
1° 3°
PoliHub è stato premiato nel 2018 come 3°
incubatore universitario di startup al mondo.
È l’unico italiano fra i primi 20 classificati,
secondo il ranking di Ubi Global
in Italia
nel Mondo
OCCUPAZIONE
I neolaureati possono contare su un tasso di occupazione del 93,2% a un
anno dal titolo di laurea magistrale
Fonte: 2018 indagine occupazionale del Politecnico di Milano
93,2%
11
QUI COSTRUIAMO
IL MONDO DEL FUTURO
Il Politecnico è ai vertici delle classifiche mondiali delle università
anche grazie alla ricerca scientifica di frontiera che porta avanti nei
suoi laboratori. I protagonisti di questo primato italiano sono i tanti
scienziati e ricercatori del Politecnico: in queste pagine vi presentiamo i
18 scienziati politecnici, tra i migliori al mondo, che dal 2014 hanno vinto
un fondo ERC - il più prestigioso in Europa per la ricerca “di base”
“La ricerca di base è quella
visionaria, che sposta il limite
di quello che conosciamo”
Donatella Sciuto,
Prorettore vicario e Delegato alla ricerca
Politecnico di Milano
RICERCA
FLESSIBILE E INTERDISCIPLINARE
Al Politecnico, oggi, 18 scienziati ERC lavorano su alcuni dei temi più attuali dello sviluppo tecnologico
e sociale: energie rinnovabili, tecniche per l’interpretazione dei Big Data, tecnologie per la salute, per
la conservazione del nostro inestimabile patrimonio culturale, studio di nuovi materiali e tecnologie
d’avanguardia dalle applicazioni più svariate
18
SCIENZIATI
vincitori di un fondo ERC (dal 2014 a
oggi) lavorano al Politecnico di Milano,
ciascuno supportato da un team di
ricercatori di rilievo internazionale,
giovani scienziati, studenti e dottorandi
OLTRE
27
MILIONI
€
di euro sono arrivati al Politecnico
dall’Unione Europea dal 2014, attraverso
fondi ERC (European Research Council)
per la ricerca di base. Solo grandi scienziati
possono ottenere questi finanziamenti,
in base a criteri di curriculum, visibilità
internazionale, originalità e visione del loro
progetto di ricerca
ALUMNUS
Prof. CARLO SPARTACO CASARI
Alumnus Polimi Ing. Elettronica e PhD
DIPARTIMENTO: ENERGIA
LA RICERCA ERC
Extending the science perspectives of linear wires of
carbon atoms from fundamental research to emerging
materials
ALUMNUS
Prof. STEFANO CERI
Alumnus Polimi Ing. Elettronica
DIPARTIMENTO: ELETTRONICA, INFORMAZIONE E
BIOINGEGNERIA
LA RICERCA ERC
Data-Driven Genomic Computing
ALUMNUS
I 18 SCIENZIATI ERC
AL POLITECNICO DI MILANO
E LE LORO RICERCHE
PER COSTRUIRE
IL MONDO DEL FUTURO
ALUMNUS
ALUMNA
ALUMNUS
Prof. GIULIO CERULLO
Alumnus Polimi Ing. Elettronica
DIPARTIMENTO: FISICA
Prof.ssa CAMILLA COLOMBO
Alumna Polimi Ing. Aerospaziale
DIPARTIMENTO: SCIENZE E TECNOLOGIE AEROSPAZIALI
Prof. COSIMO D’ANDREA
Alumnus Polimi PhD Fisica
DIPARTIMENTO: FISICA
LA RICERCA ERC
Mid Infrared SpectrometerS by an Innovative Optical
iNterferometer
LA RICERCA ERC
Control for Orbit Manoeuvring through Perturbations for
Application to Space Systems
LA RICERCA ERC
Improving Photosynthetic Solar Energy Conversion In
Microalgal Cultures For The Production Of Biofuels And
High Value Products
ALUMNUS
ALUMNUS
ALUMNUS
14
Prof.ssa CARMEN GIORDANO
DIPARTIMENTO: CHIMICA, MATERIALI E INGEGNERIA
CHIMICA
LA RICERCA ERC
MIcrobiota-Gut-BraiN EngineeRed platform to eVAluate
intestinal microflora impact on brain functionality
ALUMNUS
Prof. MATTEO PASSONI
Alumnus Polimi Ing. Nucleare e PhD
DIPARTIMENTO: ENERGIA
LA RICERCA ERC
- Exploring the New Science and engineering unveiled by
Ultraintense ultrashort Radiation interaction with mattEr
- Innovative Neutron source for non destructive TEsting and
tReatment
Prof.ssa PAOLA SACCOMANDI
DIPARTIMENTO: MECCANICA
LA RICERCA ERC
Laser Ablation: SElectivity and monitoRing for OPTImal
tuMor removAL
Prof. DANIELE IELMINI
Alumnus Polimi Ing. Nucleare
DIPARTIMENTO: ELETTRONICA, INFORMAZIONE E
BIOINGEGNERIA
LA RICERCA ERC
REsistive-Switch CompUting bEyond CMOS
ALUMNUS
Prof. DARIO POLLI
Alumnus Polimi Ing. Elettronica
DIPARTIMENTO: FISICA
LA RICERCA ERC
- Very fast Imaging by Broadband coherent RAman
- A novel instrument to identify chiral molecules for pharmaceutics
and bio-chemistry
- Industrial implementation of a step-change technology to
measure fluorescence
Prof.FRANCESCO SCOTOGNELLA
DIPARTIMENTO: FISICA
LA RICERCA ERC
PlAsmon InduceD hot Electron extraction with doped
semiconductors for Infrared solAr energy
Prof. GIOVANNI ISELLA
Alumnus Polimi Ing. Nucleare
DIPARTIMENTO: FISICA
LA RICERCA ERC
Chip-scale INtegrated Photonics for the mid-Infra REd
Prof. ALFIO QUARTERONI
DIPARTIMENTO: MATEMATICA
LA RICERCA ERC
An Integrated Heart Model for the simulation of the
cardiac function
ALUMNUS
Prof. ENRICO TRONCONI
Alumnus Polimi Ing. Chimica
DIPARTIMENTO: ENERGIA
LA RICERCA ERC
Structured Reactors with INTensified Energy Transfer for
Breakthrough Catalytic Technologies
Prof. MATTEO MAESTRI
Alumnus Polimi Ing. Chimica e PhD
DIPARTIMENTO: ENERGIA
LA RICERCA ERC
Structure-dependent microkinetic modelling of
heterogeneous catalytic processes
Prof. PIERANGELO METRANGOLO
Alumnus Polimi Ing. Chimica e PhD
DIPARTIMENTO: CHIMICA, MATERIALI E INGEGNERIA
CHIMICA
LA RICERCA ERC
A Minimalist Peptide Elastomer
ALUMNA
Prof.ssa MANUELA TERESA RAIMONDI
Alumna Polimi Ing. Meccanica
DIPARTIMENTO: CHIMICA, MATERIALI E INGEGNERIA CHIMICA
LA RICERCA ERC
- Mechanobiology of nuclear import of transcription factors modeled within a
bioengineered stem cell niche
- Nichoid: nanoengineered three-dimensional substrate for stem cell
expansion
- Miniaturised optically accessible bioreactor for drug discovery and
biological research
Prof.ssa CORINNA ROSSI
DIPARTIMENTO: ARCHITETTURA, INGEGNERIA DELLE
COSTRUZIONI E AMBIENTE COSTRUITO
LA RICERCA ERC
LIVING IN A FRINGE ENVIRONMENT - Investigating
occupation and exploitation of desert frontier areas in
the Late Roman Empire
SCOPRI GLI
AGGIORNAMENTI
NEI PROSSIMI
NUMERI
15
PHD, OVVERO:
DOTTORI DI
RICERCA ALLE
FRONTIERE
DELLA
CONOSCENZA
di Paolo Biscari
Paolo Biscari, Direttore della
Scuola di Dottorato di Ricerca del
Politecnico di Milano, ci racconta il
valore dei PhD per l’Ateneo e per il
Paese
PAOLO BISCARI, 54 anni
Direttore della Scuola di Dottorato
di Ricerca
Dall’aerospaziale alle nanotecnologie,
dall’architettura all’Ingegneria Meccanica,
passando per tutto quello che ci
sta in mezzo: più di 1100 persone che,
una volta terminato il proprio percorso,
sapranno tutto quello che c’è da sapere
su un tema molto specifico e circoscritto,
quello della loro ricerca. È questo
che è un PhD, un dottorato di ricerca:
uno specialista, che sa affrontare un
tema e approfondirlo imparando a conoscere
tutto quello che si sa di esso
allo stato dell’arte; e poi spingersi oltre,
ponendosi domande alle quali, ancora,
non esiste risposta. Qualcuno che
si spinge alle frontiere della conoscenza
e cerca di spostarle un pochino più
lontano.
A volte si pensa erroneamente che un
PhD porti necessariamente a una carriera
accademica, ma non tutti i ricercatori,
“da grandi”, vogliono fare gli scienziati,
i docenti o i ricercatori. Molti
entrano in azienda con una figura professionale
dotata di forte spinta innovativa
capace di trasferire conoscenza teorica
al contesto industriale che si coniuga
a un intenso allenamento al lavoro
di gruppo e alla gestione dei gruppi di
lavoro. Focus, visione e capacità di leadership
sono cose che emergono naturalmente
lungo questo processo.
Sempre di più, le aziende stanno
cogliendo l’importanza di questa risorsa
e investono nei dottorati di ricerca
nelle aree di loro interesse. Soprattutto
le grandi aziende vanno “a caccia”
di dottorati, mentre in Italia le piccole
aziende, spesso a conduzione familiare,
si concentrano sul lavoro quotidiano.
Quello che auspichiamo e che incentiviamo
al Politecnico di Milano è l’inserimento
più capillare possibile dei nostri
dottorati all’interno del tessuto industriale
a tutti i livelli. Siamo convinti che
questi ricercatori rappresentino una
risorsa inestimabile per le aziende italiane,
perché sono portatori di idee e di
un metodo politecnico affinato da anni
di sudore, studio e – direi – sana ostinazione.
Negli anni del dottorato non si
imparano delle nozioni: si impara a farsi
le domande giuste, le domande che
portano a scoprire nuove strategie e
nuovi orizzonti.
I risultati delle ultime indagini occupazionali
ci rendono molto orgogliosi,
sottolineano che il tessuto industriale
italiano sta riconoscendo il valore e
l’importanza dei dottori di ricerca ed è
pronto ad accoglierli. Le indagini rilevano
anche che i giovani del Politecnico
di Milano sono ben occupati e ricoprono
spesso posizioni attraverso le quali
possono incidere fortemente sulla società.
Questo accade ancora più spesso
e ancora più velocemente per i dottorati,
che entrano nelle aziende in età
più avanzata rispetto ai neolaureati. Siamo
dunque di fronte a una responsabilità,
quella di formare i leader che
guideranno il processo industriale e
tecnologico già tra 5 o 10 anni, e si rende
necessario dar loro una formazione
specifica sul tema delle ricadute etiche
della tecnologia, sull’importanza del
rispetto della diversità e dello sviluppo
sostenibile. Questo si fa anche collaborando
con discipline diverse da quelle
tecniche che sviluppiamo al Poli: nei
nostri gruppi di ricerca, infatti, ci sono
sociologi, filosofi e psicologi, che ampliano
la visione e stimolano i ricercatori
su tematiche diverse.
Sono insegnamenti che contribuiscono
a creare una persona con un valore aggiunto,
per farla diventare realmente
responsabile. Quando questo indirizzo
si coniuga alla conoscenza approfondita
della materia, alla capacita di sintesi
e visione, a quella di leadership, all’ambizione
di spingere l’asticella sempre
un po’ più in alto, ecco, è lì che nascono
nuove idee.
Quello che dico sempre ai nostri dottori
di ricerca è “non preoccupatevi se
non conoscete ancora le risposte alle
domande. Più che le risposte, ci interessa
che sappiate creare un percorso
per immaginare soluzioni nuove”. Non
è scritto in nessun libro, non viene insegnato
in nessun corso, è un metodo
che emerge dalla natura stessa della
ricerca e può avere un impatto importante
per la società intera in termini di
innovazione e crescita industriale, specialmente
in un paese come l’Italia,
culla di eccellenze e nicchie tecnologiche
di grande valore.
Nelle foto, scene dalla cerimonia di
consegna dei diplomi di Dottorato 2018 e
la foto di gruppo finale in Piazza Leonardo
Da Vinci
"Al Politecnico
oggi ci sono
più di 1100
dottorandi che
lavorano in
oltre 20 corsi
di dottorato,
nei campi più
svariati. In ogni
gruppo di ricerca
al Poli c’è almeno
un dottorando, il
nostro obiettivo
è che ce ne siano
1500 entro i
prossimi 5 anni"
17
POLIHUB
IL 3° INCUBATORE
DI STARTUP AL
MONDO, ARRIVA
DAL MONDO POLI
3°
INCUBATORE
UNIVERSITARIO
DI STARTUP AL MONDO
UNICO ITALIANO
FRA I PRIMI 20 CLASSIFICATI,
SECONDO IL RANKING
DI UBI GLOBAL
1270
IDEE
113
STARTUP
550+
IMPIEGATI
30 MLN
DI EURO
18
RACCOLTE
NELL’ULTIMO ANNO
INCUBATE
NELLE
STARTUP
DI FATTURATO
AGGREGATO NEL 2017 A
FAVORE DELLE STARTUP
INCUBATE
STEFANO MAINETTI, 58 anni
CEO PoliHub
Alumnus Polimi Ingegneria Elettronica
Un gruppo di ragazzi con in mano
la tesi di laurea e in testa un’idea si
presenta al PoliHub, l’incubatore di
startup del Politecnico di Milano che
individua idee ad alto valore aggiunto
nel campo high tech, per supportarle
nel definire modelli di business
di successo. L’idea di questo gruppo
di ragazzi consiste in una fresa intelligente,
un robot per il taglio che si
muove in autonomia. Piccolo, portatile,
capace di operare anche su
grandi superfici di legno, e non solo,
per dar vita a barche, tavole da surf,
sedie e molto altro. “Il primo passaggio
che facciamo è capire se qualcuno,
nel mondo, ha interesse per quel
prodotto - spiega Stefano Mainetti,
chief executive officer del PoliHub
- Nel caso di questa fresa, che cambia
completamente il paradigma del
taglio, prima di andare avanti con lo
sviluppo del prototipo abbiamo cercato
appunto di capire se vi fosse
mercato per qualcosa che fino ad al-
19
lora era inesistente. Abbiamo aiutato
i ragazzi a portare l’idea in Silicon
Valley e nelle fiere di settore a Vienna
e ad Hong Kong. Li abbiamo poi
supportati nella raccolta di 250K da
investitori privati, al fine di completare
l’analisi di fattibilità tecnica. Superata
questa fase, gli abbiamo suggerito
di avviare una campagna di
crowfunding su Kickstarter, mostrando
una demo di prodotto con la quale
hanno raggiunto in 45 giorni un
milione di dollari”. La startup si chiama
Springa, il robot Goliath. “Il mercato,
ne decreterà il successo”, conclude
Mainetti.
La mission del PoliHub, si legge sul
sito, è di “supportare le startup altamente
innovative con modelli di business
scalabili e di spingere i processi
di cross-fertilizzazione tra l’Accademia,
le diverse startup e le
aziende consolidate attente all’innovazione”.
Stefano Mainetti ha anche
una spiegazione più poetica, “Cerchiamo
ciò che noi definiamo i campioni.
Idee di successo e al contempo
di rapida crescita nel mercato. Quelle
iniziative che oggi sono definite Scale-up.
La storia ci insegna che una
startup virtuosa può nascere anche
in un garage. Ma se nasce in un incubatore
trova una maggior concentrazione
di condizioni favorevoli per
sopravvivere e svilupparsi. Noi creiamo
queste condizioni”. Il tasso di sopravvivenza
delle startup incubate, a
cinque anni dalla data di fondazione,
è dell’85%. Acceleratori di invenzioni,
che per il 65% arrivano dal Politecnico
e per il 35% dall’esterno. “Essendo
un centro di eccellenza riconosciuto
a livello internazionale, abbiamo
inventori che giungono dall’esterno
perché qui trovano laboratori e competenza
- racconta Stefano Mainetti
- Può essere il caso ad esempio
di un manager che ha pensato a un
prodotto, ha già steso un potenziale
modello di business, ma non sa come
realizzarlo e ha bisogno di un team
di supporto. Oppure aziende che
hanno recepito il valore della tecnologia
e si avvicinano al PoliHub per
innovare prodotti e servizi, è il caso
ad esempio di Franke Kitchen, leader
mondiale nella produzione e progettazione
di lavelli da cucina. L’azienda
ha trasferito in PoliHub una piccola
sede che si occupa di collaborare
con startup e con il Politecnico per
innovare i propri prodotti. In questo
senso trovano spazio diversi servi-
In questa pagina immagini della fresa Goliath
e del team della startup Springo. Accanto,
l’Alumnus Dario Polli riceve l’assegno per il
progetto Chimera, di cui è “Proof of Concept”
20
“Cerchiamo
i campioni.
Idee di successo
e di rapida
crescita
nel mercato.
Fra i tanti cigni
bianchi, noi
individuiamo
i cigni neri
da far volare”
zi, come appunto l’open innovation,
in cui le aziende vengono supportate
al fine di trovare le idee migliori e le
migliori collaborazioni con le startup,
fino al mentoring, “Si tratta di Alumni
diventati manager, imprenditori o investitori
di successo, che decidono di
iniziare a collaborare con il PoliHub
per mettere la propria esperienza a
disposizione di una startup e accelerare
la crescita”. Si crea qui la società
che ancora non c’è: i posti di lavoro
del futuro. Prodotti e startup che
portano nomi suggestivi come Chimera,
una tecnologia innovativa che
attraverso la rifrazione della luce misura
la struttura molecolare nei settori
farmacologici e di analisi biochimica.
Greenrail rivoluziona il mondo
delle traversine ferroviarie utilizzando
materiali di riciclo come pneumatici
e plastica, Mathesia è la prima
piattaforma di crowdsourcing dedicata
alla matematica applicata. Empatica
(di cui parliamo in questo numero
ndr.) è uno dei casi di successo
sviluppatosi proprio al PoliHub. Dietro
ogni prodotto, ogni startup ci sono
storie visionarie. “Ogni startup è
uno stato nascente di persone - conclude
Stefano Mainetti”. E in PoliHub,
come rabdomanti di idee, si cercano
le persone che fanno la differenza.
21
UN NUOVO
SPAZIO
PER MILANO
Al Politecnico, in via Bonardi, c’è un distretto
di eccellenza internazionale dove si fa ricerca e
innovazione per il futuro delle città. Dal 2020 ci sarà
anche un nuovo spazio dedicato a tutti i cittadini e
visitatori: un pezzo di Milano cambia pelle grazie al
Poli e al progetto firmato Renzo Piano
22
In queste foto il progetto del Campus di via
Bonardi, che sarà luogo di innovazione per la
città e i suoi abitanti
Giugno 2018: sono partiti i lavori per
la riqualificazione degli spazi del Politecnico
di Milano tra via Bonardi e via
Ampère, dove ha sede lo storico campus
di Architettura, con la demolizione
della passerella tra il Trifoglio e la Nave.
Nei prossimi due anni, il campus cambierà
pelle e i due edifici verranno demoliti
per fare spazio a giardini e nuovi
laboratori d’avanguardia. L’ambizione
del nuovo Campus Bonardi, già oggi
un centro di studio e ricerca d’eccellenza
a livello internazionale e un motore
di innovazione per il Paese, sarà anche
quella di essere un simbolo della capacità
del “fare Politecnico” e un luogo di
aggregazione per tutta la città, in accordo
con il forte legame tra il Politecnico
e il territorio milanese che negli anni
scorsi ha già visto l’Ateneo coinvolto
in primo piano nella riqualificazione di
piazza Leonardo e che proseguirà anche
in futuro con interventi su diverse
aree di Città Studi.
Un luogo per Milano e per l’Italia
Il progetto del nuovo campus, donato
al Politecnico dall’Alumnus Renzo Piano,
ha l’obiettivo di aprire l’università
al passaggio dei cittadini e dei visitatori:
in un contesto come quello milanese,
denso di fermento e vitalità, il Politecnico
ha voluto aprire questi spazi
per donarli alla città di Milano invitando
i cittadini, gli studenti e tutti coloro
che transitano per via Bonardi a viverli
e condividerli in modo nuovo. Coerentemente
con l’impegno del Politecnico
sulla qualità della vita, il nuovo
Campus Bonardi sarà immerso nel verde
grazie all’arrivo di nuovi alberi, un
piccolo bosco visibile e visitabile dai
passanti. Le coperture degli edifici più
bassi diverranno terrazze per attività
all’aperto e momenti di incontro, sia
didattiche che ricreative, e i parcheggi
diventeranno giardini frequentabili da
tutta la cittadinanza.
Nuovi laboratori e tecnologie allo stato
dell’arte
Il nuovo volto di Città Studi andrà di pari
passo con la nascita di nuovi luoghi
di studio e ricerca all’altezza della tradizione
che si portano dietro e in grado
di spingere l’acceleratore sullo sviluppo
di nuove idee che continuano a trainare
lo sviluppo culturale, tecnologico e
industriale italiani.
Un progetto condiviso
Il cantiere prevede una spesa di 37 milioni
di euro ed è stato avviato grazie alla
collaborazione di molti, sia donatori
individuali che istituzioni partner che
condividono gli obiettivi del progetto.
Dall’inizio del 2018 oltre 100 donatori,
tra i quali moltissimi Alumni, hanno
raccolto oltre 6 milioni di euro e costituiscono
ad oggi una community di appoggio
che si fa ambasciatrice di questa
collaborazione tra il Poli e la città di Milano
e che, auspichiamo, crescerà sempre
di più nei prossimi anni. Anche questo
è un modo importante di sostenere
il Politecnico e la città di Milano, prendendo
parte a un progetto di cambiamento
che prepara il futuro della ricerca
e della città.
Per saperne di più:
www.sostieni.polimi.it
23
UN TELESCOPIO
PER GUARDARE
INDIETRO
NEL TEMPO
di Valerio Millefoglie
Foto di Chris Gunn / NASA
L’Alumnus Giuseppe Cataldo conquista
l’Early Career Public Achievement Medal
e un Group Achievement Award dalla
NASA per i suoi contributi al telescopio
James Webb, il più potente al mondo
24
GIUSEPPE CATALDO - 32 anni
Systems Engineer NASA
Alumnus Polimi Ingegneria Aeronautica
Costato quasi 9 miliardi di dollari, il telescopio
JWST raggiungerà la distanza
di oltre un milione e mezzo di chilometri,
per scoprire com’era l’Universo
quando aveva 400 milioni di anni.
Questi i numeri. Il nome che invece c’è
dietro è quello dell’Alumnus Giuseppe
Cataldo. La sera del 27 marzo 2009 Cataldo
era nella sua stanza, nella residenza
per studenti in Francia, dove si
trovava per un programma di doppia
laurea. Nella posta elettronica giunse
una lettera dallo spazio. Iniziava così:
“Congratulations! You have been selected
for the 2009 NASA Academy at
the Goddard Space Flight Center (GSFC)
through a fully-funded sponsorship by
the European Space Agency (ESA). Your
application was selected from six highly
competitive ESA semi-finalists. The
Academy Selection Committee found
your application to be highly-favored
in meeting all five selection criteria for
the NASA Academy”. E pensare che tutto
era partito da un libricino sulle missioni
lunari che suo padre gli leggeva
da piccolo. Ci siamo fatti raccontare il
suo percorso stellare.
Nel suo ufficio alla NASA ha appeso
al muro una locandina dell’eclissi solare
dell’estate del 2017 in America,
una foto con sua moglie, un calendario
del telescopio James Webb il cui
lancio è previsto nella primavera del
2020. Grazie al metodo matematico da
lei ideato i modelli del telescopio possono
essere validati in due settimane,
mentre prima occorrevano circa tre
mesi. Come si svolge il suo lavoro?
Mi divido fra l’ufficio, dove sviluppo le
analisi matematiche, e i laboratori, dove
lavoro all’hardware, fino all’hangar
dove si trova il telescopio. I miei colleghi
hanno sviluppato dei modelli per
ogni sistema del telescopio. Dal sistema
ottico a quello strutturale, fino al
sistema più critico del telescopio, il sistema
termico. Ognuno di questi sistemi
ha bisogno di essere validato attraverso
dei metodi matematici che siano
in grado di riprodurre i dati misurati,
per predire perfettamente ciò che avverrà
in orbita. Mi occupo poi dello sviluppo
di strumenti ad altissima sensibilità
per i telescopi spaziali e dello
studio delle proprietà ottiche dei materiali
usati per tali strumenti.
Che immagini ci riporterà il telescopio
sulla terra?
Potrà captare la luce delle stelle più
antiche dell’universo. Ci permetterà
di scoprire anche il modo in cui queste
stelle si sono evolute in galassie.
Ci racconterà la storia dell’infanzia
del nostro universo, che ancora non
conosciamo bene proprio perché non
abbiamo dati. Un’altra cosa che scoprirà
sarà sicuramente la composizione
chimica di stelle e pianeti, soprattutto
dei pianeti al di fuori del sistema
solare, e con un dettaglio finora
mai raggiunto. E poi, credo, la cosa più
interessante sarà scoprire quello che
ancora non ci aspettiamo.
Per arrivare sulla luna bisogna avere
i piedi ben piantati per terra, concentrati
sulla strada da percorrere. Quali
sono i passi che l’hanno portata dove
si trova oggi?
Da bambino sognavo di lavorare alla
NASA. Immaginavo che da grande sarei
diventato un importante professore e
che mi avrebbero chiamato a lavorare
proprio qui, sui programmi di esplorazione
spaziale della luna. Ricordo che
a sei, sette anni, mio padre mi leggeva
un piccolo opuscolo che raccontava
tutte le missioni Apollo e le storie
degli astronauti. All’epoca facevo anche
il boy scout e passavo molte notti
nei boschi a guardare il cielo e le stelle.
I nomi delle costellazioni li conoscevo
già tutti. Facendo un salto temporale
direi che il momento cruciale è stato
nel 2004, quando al primo anno di
25
Fisica all’università Statale di Milano
ho capito che la mia strada era un’altra,
era l’ingegneria. Vivevo in una residenza
universitaria dove una volta al
mese si tenevano degli incontri di vario
tipo, da conferenze a seminari, tenuti
da professori o anche da studenti più
grandi. Mi colpì molto l’intervento di un
amico che frequentava il quarto anno
di Ingegneria Aerospaziale al Politecnico,
sullo scoppio dello Space Shuttle
Columbia. Soprattutto mi appassionarono
i dettagli tecnici. Andai così a
parlare con i capi del dipartimento di
Ingegneria Aerospaziale del Politecnico
perché volevo dare un percorso più
pratico alla mia laurea. Valutai con loro
i pro e i contro di un passaggio di corso
e di università e presi la decisione di
trasferirmi, sapendo di andare incontro
a una sfida alquanto forte. Non volevo
perdere l’anno di Fisica, mi ritrovai così
a dare undici esami quell’anno. Certo,
nessuno mi obbligava. Mi obbligavo io.
Ricordo ancora oggi la gentilezza di alcuni
compagni di corso, che mi passavano
gli appunti quando avevo sovrapposizioni
con altre lezioni, e l’estrema
disponibilità dei professori. Fu un anno
veramente duro, anche perché contemporaneamente
studiavo violino al
conservatorio e dovetti passare l’esame
dell’ottavo anno.
Se dovessimo volgere un telescopio
indietro nel tempo, verso quegli anni,
cosa vedrebbe?
La luce di quel primo semestre a Ingegneria.
E vedrei anche la scia di quello
che mi ha lasciato. Ho sempre considerato
il Politecnico una palestra di vita.
Mi ha insegnato, davvero come un te-
“Questo
telescopio ci
racconterà
l’infanzia del
nostro universo.
E ci farà
scoprire ciò che
ancora non ci
aspettiamo”
26
lescopio, a raggiungere i dettagli delle
cose. Il mio motto al Poli era, ed è
tutt’oggi: Tutto e bene. Si studia tutto
nei dettagli, sino all’ultimo, senza tralasciare
nulla. I professori ripetevano:
«Se fai un errore di calcolo e invece di
mettere un più metti un meno, l’aereo
che stai progettando può cadere causando
la morte di duecento persone».
Questo mi ha segnato. Mi ha spinto a
essere forte e ad andare avanti. Nonostante
tutto riuscii a laurearmi a luglio
2007, l’obiettivo era raggiunto. Mi dissi,
andiamo avanti con la specialistica in
Ingegneria Aeronautica.
Andiamo dunque avanti, come arriva
in Francia per la specialistica?
Al Politecnico mi avevano esposto il
programma di doppia laurea come
un percorso molto intenso, in cui ci
saremmo ritrovati a studiare in modo
diverso ma che ci avrebbe offerto
l’opportunità di interagire con varie
aziende del settore. In più, ero interessato
a imparare una nuova lingua
e a scoprire un’altra cultura.
E una volta lì, scoprì anche il programma
della NASA Academy.
Sì, era aperto a due studenti europei ed
era sponsorizzato dall’ESA. Mi dissi: «Lo
faccio, non ho nulla da perdere, tanto
non mi chiameranno mai». Lavorai
all’application durante tutte le vacanze
di Natale a casa dai miei, a Lizzano, in
provincia di Taranto. Lo inviai a gennaio
e dopo qualche settimana mi sottoposero
a due colloqui via telefono. Poi cominciò
la lunga attesa. Mi recavo continuamente
all’ufficio del career service
francese, fino a che la responsabile
non si informò. Le dissero: «Ci spiace,
niente francesi. Abbiamo selezionato
uno studente spagnolo e uno italiano».
Lei rispose: «Giuseppe studia da noi!».
Poco dopo arrivò la lettera ufficiale. Ecco,
se c’è un consiglio che darei ai giovani
è quello di non aspettare che le
opportunità scendano dal cielo. A volte
può capitare, altre volte no. Se non
avessi fatto domanda per questo programma
non credo sarei qui oggi. E se
anche avessi fallito, avrei cercato altre
opportunità. Bisogna lavorare per dare
la forma che vogliamo alla nostra vita.
“Ho sempre
considerato
il Politecnico
una palestra
di vita. Mi ha
insegnato, come
un telescopio,
a raggiungere
i dettagli
delle cose”
27
speciale
scelto tra i più giovani
innovatori tecnologici
d’Europa
L’INGEGNERE
DEI SATELLITI
di Valerio Millefoglie
Nell’annuale classifica stilata
da Forbes, fra i 30 under 30 nel
campo dell’innovazione tecnologica
industrale in Europa, c’è l’Alumnus
Lorenzo Ferrario; direttore tecnico
di D-Orbit, startup specializzata in
servizi per satelliti. Siamo andati a
scoprire il suo universo
28
“Siamo una delle
poche aziende
del settore new
space in grado
di lavorare a
partire dall’idea
sul foglio
bianco alle
operazioni in
orbita”
“Welcome to the List”, titola una mail
arrivata una mattina di fine gennaio
2018 a Lorenzo Ferrario. Il mittente è
Forbes, la lista è quella dei 30 migliori
innovatori under 30. L’innovazione è
ION, in Orbit Now, della startup D-Orbit,
di cui Ferrario attualmente è il direttore
tecnico. ION è la prima “portaerei”
spaziale che trasporta e rilascia satelliti
in orbita. La mail di Forbes continuava
così: “Dopo esserci incontrati ieri alla
premiazione a Londra, rinnoviamo le
nostre congratulazioni per essere stato
inserito fra i 30 migliori innovatori under
30”. Oggi sorridendo Lorenzo Ferrario
ricorda, “L’invito alla premiazione
era finito nella cartella spam”.
Ci accoglie nella sede della startup, a
Fino Mornasco, in provincia di Como. La
piazza principale del paese si mimetizza
poco dopo l’uscita dalla tangenziale.
Scorrimento di camion e saracinesche
abbassate subito dopo l’ora di pranzo.
Eppure qui si è molto più vicini alla
luna di ciò che si pensi. Il giro dello
spazio comincia dal tappetino all’ingresso
di D-Orbit, si atterra con i piedi
sul logo e sulla frase: New Space Solutions.
“Benvenuto, questo è la nostra
casa: la chiamiamo D-Home”, dice
Lorenzo Ferrario mostrandoci, perdonate
il gioco di parole, un grande openspace
alle cui pareti ci sono i poster
di alcune storiche missioni della NA-
SA. “Siamo passati dall’avere circa 20
dipendenti a 40 - spiega - e per la fine
dell’anno contiamo di arrivare a 60”.
Poco più avanti, due modellini di razzi
con il simbolo dell’ESA sono esposti
nella sala dove vengono assemblati
i satelliti. Da qui, giungiamo alla vera e
propria plancia di comando. “Questa è
la nostra piccola Houston”, la presenta
così Ferrario, “Ci sono gli schermi di
controllo per tutte le nostre missioni”.
E mentre i computer cominciano ad accendersi,
Lorenzo Ferrario racconta la
missione D-Sat, avvenuta il 23 giugno
2017 e che ha portato per la prima volta
D-Orbit nello spazio. “Ci siamo ritrovati
qui alle cinque del mattino, mentre
in India, dove avveniva il lancio, era
pomeriggio. Ricordo tanta emozione
nel vedere il lavoro di tre anni prendere
letteralmente il volo, a bordo di
un razzo”. Poi, approfondisce il senso
di quella giornata. “D-Sat era un dimostratore
tecnologico che serviva per
due obiettivi: testare il nostro propulsore
per la rimozione in sicurezza dei
satelliti e per mostrare la capacità
di D-Orbit di realizzare una missione
spaziale. In questo settore industriale
nessuno compra qualcosa sino a che
quella determinata cosa non ha volato
nello spazio. Siamo una delle poche
aziende nel settore, in tutto il mondo,
che riescono a lavorare su un satellite
end-to-end, ovvero dall’idea sul foglio
bianco, passando per la prototipazione,
la produzione, la messa in orbita
e anche il successivo monitoraggio”. La
galassia è fatta di satelliti senza più vita,
detriti che galleggiano rischiando
l’impatto con meteoriti e altri elementi.
Il ruolo di D-Sat è di riportarli sulla
terra o di veicolarli lontano, in quelle
zone denominate orbita-cimitero, dove
il pericolo di collisione è più basso. Gli
spazzini della galassia, si potrebbero
chiamare in modo evocativo.
LORENZO FERRARIO - 29 anni
Chief Tecnical Officer D-Orbit
Alumnus Polimi Ingegneria Spaziale
Nella sequenza di immagini
qui sopra una serie di
fotografie scattate in orbita
dalla missione D-Sat
29
“Nell’atrio del dipartimento aerospaziale
del Politecnico c’era un volantino con sopra scritto:
«Vuoi partecipare a una vera missione spaziale?».
Tutto è partito da lì”
Qui in alto D-Sat,
il primo satellite
di D-Orbit
nella pagina
accanto, la sede
della startup
Le parole più emozionanti di quel 23
giugno furono il codice morse di D-Sat,
“Diceva semplicemente Sono D-Sat e
informava sullo stato delle batterie.
L’equipaggio qui era di otto persone
e io ero l’addetto al Flight Control, cioè
colui che invia e riceve i comandi”.
Due ore dopo il satellite è passato sopra
la loro orbita, “Il passaggio durava
massimo dieci minuti e in quel tempo
dovevi portare a termine tutte le operazioni
perché poi non lo vedevi per
un’intera orbita di dodici ore. Avevamo
inserito delle telecamere di bordo
con le quali scattavamo delle foto
in giro per il mondo, avevamo catturato
anche l’immagine dell’uragano Irma
sulla Florida. In quei momenti ti ritrovi
a guardare queste foto che giungono
dallo spazio e pensi a noi qui sulla terra.
Provi un sentimento di fratellanza
nel confronto degli altri, visti da lassù
non ci sono confini ma solo cose meravigliose.
Scoprire che dietro tutto ciò
che osserviamo in natura ci siano regolarità,
modelli che si possono costruire
e replicare in modo logico e deduttivo,
che si adattino così perfettamente alla
realtà che di deduttivo non ha nulla,
dà continuo conferme alla mia fede.
La matematica è una così buona e bella
descrizione dell’universo che ci circonda,
e ci dice che dietro c’è un tipo
di ordine e di armonia quasi musicale”.
Un’immagine ancora presente nel ricordo
e nella biografia di questo innovatore
è ambientata nell’atrio del dipartimento
aerospaziale del Politecnico
di Milano. “Vuoi partecipare a una
vera missione spaziale?”, c’era scritto
su un semplice foglio affisso in bacheca.
L’annuncio pubblicizzava il progetto
ESMO, l’European Student Moon Orbiter,
un programma che riuniva un pool
di università europee per la prima mis-
30
sione lunare di sonda che gira intorno
alla luna, realizzata da studenti. “Il Poli
partecipava con due gruppi. Io, che allora
frequentavo la triennale in Ingegneria
Aerospaziale, ero in quello che si
occupava di propulsione”. La traiettoria
non si ferma. “Finita l’esperienza mi è
venuto spontaneo fare richiesta di una
internship tramite l’ESMO. Grazie all’allora
mentore della mia squadra del Poli,
Luca Rossettini, sono andato a Gilford,
in Inghilterra”. Appena rientrato
in Italia per la magistrale, gli arriva una
mail proprio da Rossettini, “Ho fondato
un’azienda e mi piacerebbe che venissi
a darmi una mano”. “Ci siamo trovati
in un bar della Brianza, perché D-Orbit
all’epoca non aveva nemmeno una
sede. Siccome studiavo ancora ci siamo
accordati per un part-time. Mi occupavo
della validazione numerica dei
satelliti per la rimozione dei detriti.
Nei primi mesi lavoravo un paio di ore
al giorno al computer, esattamente al
mattino e alla sera quando ero in treno
per andare e tornare dal Poli”. Poi,
prende un aereo per lavorare alla tesi
di laurea a Princeton. “Mi avevano offerto
anche un dottorato ma ho deciso
di venire a lavorare a questa startup
perché al tempo, e in tutto il mondo,
non esistevano molte realtà imprenditoriali
focalizzate su quello che chiamiamo
il new space. Ho iniziato a lavorare
sui sistemi di controllo di D-Sat, poi
nel 2014 è diventato un lavoro a tempo
pieno. E devo dire che dopo la nomina
di Forbes mi sono sentito orgoglioso,
soddisfatto, ma ho anche avvertito
una responsabilità sulle spalle”.
Di responsabilità è puntellato anche
tutto il suo percorso al Politecnico.
“È un’università che crea un senso di
identità. Credo sia molto simile a quel
senso di vicinanza che si prova quando
si è riusciti a scalare una montagna
molto alta e ci si ritrovi con qualcun
altro che l’ha scalata prima di te.
Ci s’incontra sulla vetta e ci si dà una
pacca sulla spalla. È complessa, difficile,
pretende tanto e deve continuare
a pretendere tanto. Penso anche
che crei una precisa forma mentis:
sai che esistono problemi difficili, che
questi problemi difficili non te li allevia
nessuno ma che se ci sbatti la testa
riesci a trovare con creatività una soluzione.
Spesso questa soluzione si trova
in gruppo, chiedendo aiuto e appoggio
agli altri. Al Poli l’ingegnere è colui che
deve usare il proprio ingegno, e non
all’americana, in cui il termine ingegno
deriva dal motore. L’ingegno italiano
credo sia il principale insegnamento
del Poli”. Pensando a un consiglio
da dare ai giovani, riflette: “Sono arrivato
a fare quest’intervista perché sono
finito su Forbes e, andando ancora
più indietro, all’origine del mio universo,
sono finito su Forbes perché quel
giorno al Politecnico ho visto un volantino
e invece di passare dritto mi sono
fermato e ho detto Sì, voglio andare
sullo spazio. Il mio consiglio quindi è di
guardarsi intorno, attivamente”.
Dopo aver parlato del passato, parliamo
dei prossimi orizzonti. “A D-Orbit
ci siamo resi conto di essere in grado
di realizzare dei sistemi spaziali
che possono viaggiare indipendentemente
dal proprio host. Così ora ci stiamo
evolvendo in un settore più ampio
che è quello del trasporto spaziale,
legato non solo al deorbitaggio ma anche
alla movimentazione delle cose in
orbita. Da qui è nata l’idea di ION, in
Orbit Now, una portaerei per satelliti.
Possono essere utili per le comunicazioni,
per il meteo, per l’osservazione
della terra”. Tornando verso l’ingresso,
al tappetino che accoglie in questa
succursale dello spazio, dice: “Ho
un po’ la pretesa di pensare che tutti
noi qui stiamo lavorando per il prossimo
grande passo dell’umanità: quello
di diventare una specie che vive su più
pianeti. Come nel Settecento scoprirono
nuove terre, noi troveremo davvero
la terza dimensione dell’umanità. Il
mio sogno è di riuscire ad andare nello
spazio. A casa ho un disegno di quando
avevo tre anni, sopra c’erano un razzo
e le parole “My dream house”. Sono rimasto
a quell’età lì, quando tutti dicevano
di voler fare gli astronauti. Gli altri
sono cresciuti e hanno iniziato a fare
gli avvocati, i medici, gli impiegati. Io
sono rimasto al sogno dell’astronauta”.
“Il Poli crea un senso d’identità
fra chi l’ha frequentata: come chi
ha scalato con difficoltà la stessa
vetta e ci si riconosce in cima”
31
speciale
scelto tra i più influenti
giovani artisti
d’Europa
IL DESIGNER
DI COLLAGE
Nel 2017 Forbes l’ha inserito fra i 30 under 30 più influenti
d’Europa in campo artistico. Con carta, forbici e colla crea
mondi di cartotecnica e creatività per i marchi più importanti
del mondo, per l’editoria e la musica. Un’intervista collage
“Più che un illustratore mi sento vicino
alla figura di Visual Artist. È come se
io con un determinato stile andassi a
esplorare diverse situazioni in cui serve
un’immagine applicata a scenografie,
a set video, ad animazioni”. Si descrive
così Gio Pastori nel suo studio milanese,
che condivide con altri due artisti:
un’ampio salone dove la carta è ovunque,
ritagliata e conservata in contenitori
trasparenti, avvolta in cilindri colorati
agli angoli della stanza o ritagliata
alle pareti dove prende forme geometriche
e diventa visione e idea. Un bancone
da falegname rende bene il tipo
di lavoro che si fa in questa fabbrica di
immagini, qui la materia viene maneggiata,
tagliata, fatta in piccoli pezzi e ricostruita,
rimodellata.
“Al Politecnico
ci insegnavano
a creare prodotti
di design a
partire dalla
carta. Forse è
uno dei motivi
per i quali
oggi sono così
maniacale sui
collage”
“Ricordo un professore del Politecnico
che ci insegnava a creare dei modellini,
dei prodotti di design a partire dal
foglio bianco. Da lui ho imparato tantissime
nozioni sull’utilizzo della carta.
Anche, banalmente, sul come incollare
due pezzi di carta in modo che combacino
in maniera perfetta e bellissima.
Cosa tutt’altro che banale. Magari
è stato uno dei motivi per i quali oggi
sono così maniacale sul procedimento
di lavoro e sull’esito di un collage”. Che
sia un abito pensato in collaborazione
con lo stilista Marco de Vincenzo, un’installazione
per l’ultima boutique di Tiffany,
un paio di Nike che volteggiano in
un video o una scenografia per un video
musicale; tutto parte da un bisturi
che crea linee sulla carta. Parlando di
una serie di video animati realizzati per
il magazine Elle Decoro Italia, e proiettati
nello storico Palazzo Bovara durante
la Milano Design Week 2018, Gio Pastori
racconta: “Qui ho avuto delle reminiscenze
del Politecnico perché sono
partito dal dover reinterpretare oggetti
iconici del design italiano: dal calendario
Timor di Enzo Mari del 1966 per Da-
32
GIO PASTORI - 29 anni
Visual Artist
Alumnus Polimi Design
nese alla radio Brionvega di Marco Zanuso.
Sono andato a creare delle storie
che si azionavano tramite touchscreen”.
Sullo schermo si animava così il
calendario con i giorni, i mesi ma privo
dell’anno, “Si tratta di un calendario
eterno - spiega - quello che volevo far
trasparire era una sorta di scrigno dei
ricordi, facendo ruotare le date e attraverso
queste volare nel tempo e nello
spazio”. Attorno al calendario prendono
forma una spiaggia vintage, un bambino
a bordo di uno slittino, poi le palle
di neve diventano pianeti, stelle e compaiono
delle piccole astronavi. Affiorano
altre reminiscenze del Politecnico e
di Milano. “Ricordo un ciclo di lezioni
su Gio Ponti, il professore era innamorato
delle sue architetture e di rimando
te ne faceva innamorare. Inoltre ho
“Un corso su
Leonardo da Vinci
mi mostrò tutta
l’innovazione
che c’era
in un classico
dell’arte”
con Ponti un legame che affonda le radici
nella mia infanzia. Sono stato battezzato
nella chiesa di San Luca Evangelista
a Milano, realizzata proprio da
lui. Da piccolo avevo questa visione di
una piscina gigante, con delle luci pazzesche
che filtravano dai vetri e illuminavano
le panchine nello stile della
Superleggera”. Tra le carte si mimetizza
una copia del libro “Leonardo da
Vinci, 1452-1519: il disegno del mondo”.
Uno degli autori è Pierfrancesco Marani,
insegnante di Pastori al Politecnico.
Sfogliandolo compaiono tra le pagine
un trifoglio e alcuni passaggi sottolineati
a matita. “Mi colpì la quantità di innovazione
che Leonardo da Vinci, considerato
un classico, metteva nelle sue
opere. Ecco, quel corso me lo svelò da
un nuovo punto di vista”.
Finita la triennale Gio Pastori decide
di provare un’esperienza lavorativa
all’interno di un’agenzia creativa. “Anche
questo mi ha insegnato qualcosa.
Ho capito che non avrei mai voluto un
boss creativo dal quale arrivare tutti i
giorni, in ufficio, per chiedergli cosa dovessi
fare. In quel momento ho intuito
che aspiravo a fare qualcosa da solo. E
una volta deciso che non volevo un capo,
ho fatto lavori di ogni tipo, dal commesso
al barista. Intanto disegnavo.
Quando ho messo da parte abbastanza
soldi per mantenermi per un certo
periodo, mi sono avventurato e ho detto
«Faccio solo disegni». Mi sono impegnato
a costruirmi una credibilità,
“Suonerà banale
ma direi a tutti
di perseguire i
propri sogni”
per far arrivare agli altri la mia visione.
Suonerà banale, ma direi a tutti di perseguire
i propri sogni”. Sulle t-shirt realizzate
per il progetto Armani Exchange,
serie Gio Pastori, si leggono le parole
“Love” e “Luck”: le intende come piccoli
manifesti di buoni propositi. “Non so
se farò collage per tutta la vita o se diventerò
un art director in poltrona o un
imbianchino. Per ora c’è questo aspetto
di provvidenza per cui quando ho voglia
di fare qualcosa, capita un lavoro
in cui posso sperimentare esattamente
quella cosa”. Mentre dice questo, alle
spalle, sulla sua solita tavolozza-foglio
di carta, c’è il mondo che ha immaginato
e creato per il video di Myss Keta
(progetto musicale e performativo nato
sul web e diventato poi fenomeno virale
e pop ndr.). Prende il modellino e se
lo rigira fra le mani. Per il video è stato
realizzato a grandezza naturale un
mondo di bar, banche, piazze, una gigantografia
cartacea, di carta non leggera,
che non si strappa facilmente, di
carta che rimane nel tempo.
33
34
In questa pagina: (in grande) l’installazione realizzata per la
boutique milanese di Tiffany. A seguire: l’abito pensato in
collaborazione con lo stilista Marco de Vincenzo, un frame
dell’animazione video realizzata per Nike Hypervenom 3,
l’installazione autoritratto per Contexto, mostra diffusa nel
centro storico di Edolo (Brescia), un frame del video ideato
per Elle Decor Italia durante la Milano Design Week 2018, la
cover del disco di Myss Keta “Carpaccio ghiacciato”
35
BIG
(DESIGNER)
DATA
Giorgia Lupi, un PhD in Information Design e un’opera
entrata nella collezione permanente del MoMa di New
York. L’interpretazione dei dati ai giorni nostri
di Davide Coppo
“I dati sono
una maniera
per capire e
descrivere la
nostra natura
umana”
GIORGIA LUPI - 37 anni
Partner and Design Director Accurat
Alumnus Polimi Design
Come si disegna una vita? In maniera
ordinata e colorata, direbbe Giorgia Lupi.
Information designer e artista di base
a New York, Giorgia ha nel suo curriculum
accademico un PhD in Information
design al Politecnico. Il video
del suo intervento al TED Talk del marzo
2017 ha ricevuto più di un milione di
visualizzazioni online. Nel talk, Giorgia
ha presentato la sua personale visione
dei big data, o meglio il suo approccio
alla ricerca e rappresentazione di questi:
ciò che ha chiamato «Data Humanism».
Nel talk ha parlato di Dear Data, il
progetto che ha sviluppato con l’amica
e designer Stefanie Posavec, diventato
poi un libro nel 2016 edito da Penguin
Books ed infine esposto al MoMA
di New York. Dear Data è una raccolta
di vere e proprie cartoline su cui Lupi
e Posavec, di settimana in settimana,
hanno annotato, mappato e visualizzato
centinaia di aspetti della propria vita:
i momenti di malumore, i «grazie»
detti a persone vicine e sconosciute,
la musica ascoltata, le porte attraverso
le quali entravano e uscivano in precisi
giorni, ogni aspetto del quotidiano.
Tutto tradotto in infografiche disegnate
a mano su cartoline che per un anno
imbucavano in due caselle postali e si
inviavano; Giorgia da Brooklyn e Stefanie
da Londra. In pratica: l’information
design al servizio dell’indagine umana.
Data Humanism, appunto. “Quel progetto
mi ha aiutato a riportare il focus
sul fatto che i dati sono una maniera
che abbiamo di capire e poi descrivere
la nostra natura umana”, racconta
in collegamento dal suo ufficio a New
York. E a proposito di dati e umanità,
aggiunge: “Prima di iniziare Dear Data
Stefanie e io ci eravamo viste solo un
paio di volte. Ora siamo diventate incredibilmente
amiche, è una delle persone
più vicine a me nella mia vita. Per
un anno abbiamo condiviso i dettagli
più intimi della nostra vita. Sono figlia
unica e non so cosa voglia dire avere
una sorella, ma dev’essere qualcosa di
simile”.
L’originalità dell’approccio di Giorgia
Lupi al design dell’informazione e
all’infografica non è rimasta circoscritta
a Dear Data, ma si manifesta ogni
giorno in Accurat, la società di Information
design che ha fondato con altri
due soci, Simone Quadri e Gabriele
Rossi, nel periodo in cui frequentava il
Politecnico di Milano, il 2011. “L’approccio
che ho usato per Dear Data guida
la nostra filosofia anche in Accurat. Poi
certo, a volte gli output possono sembrare
progetti non necessariamente
guidati da un aspetto umano, perché
lavoriamo con grandi clienti come Google,
Ibm, che hanno problemi da risolvere
che non sono quante volte ti lamenti
durante la settimana, però è im-
37
38
Nella pagina accanto una serie
di cartoline del progetto Dear
Data. Qui sopra l’esposizione
permanente al MoMa di New
York e alcuni fogli di lavoro
del progetto.
“Il DensityDesign
Lab del
Politecnico mi
ha aperto un
mondo. E credo
sia davvero
un’eccellenza a
livello mondiale”
portante per me quello che ci diciamo
sempre con i designer e gli sviluppatori,
con tutte le persone che seguono i
progetti: ogni volta che rappresentiamo
un dato dobbiamo sempre chiederci
in che maniera questo dato ci aiuta
ad arrivare più vicini a un fenomeno, a
qualcosa che rappresenti la nostra vita.
Non dobbiamo mai focalizzarci solo su
costruire l’interfaccia in sé”. Come se
fosse un manifesto? “Come se fosse un
manifesto: come tutti i manifesti o le filosofie,
di volte in volta si applicano e
declinano in maniera diversa”, dice.
Guardando agli inizi “architettonici” di
Giorgia Lupi, questo approccio originale
alla data visualization stimola delle
eco del celebre volume Autoprogettazione?
di Enzo Mari, «un progetto per
la realizzazione di mobili con semplici
assemblaggi di tavole grezze e chiodi
da parte di chi li utilizzerà», secondo
le parole dell’autore, che intende “ac-
cendere” la coscienza del fruitore sugli
oggetti di cui si compone una casa,
così come Lupi intende rimettere
al centro il lato umano del dato, e non
quello meramente numerico. A proposito,
dice: “Sì, è simile. Non focalizzarsi
sull’oggetto in sé, ma spostare il fuoco.
Io dico sempre che per imparare a
lavorare con i dati bisogna dimenticarsi
dei dati e imparare a vederci attraverso,
ed è simile all’approccio di Mari,
ed è anche interessante che lui stesso,
quando arrivava a teorizzare le cose, le
teorizzava dopo aver fatto un sacco di
esperimenti e progetti”.
La formazione di Giorgia è molto legata
a DensityDesign Lab, il research lab
del dipartimento di Design del Politecnico:
“Lavorare con Paolo Ciuccarelli mi
ha davvero aperto un mondo”, ricorda.
“Ho avuto una collaborazione stupenda
con lui e con i ragazzi di DensityDesign,
il laboratorio del Poli che si occupa
di data visualization, e da lì in poi
sono cresciuta molto sia umanamente
che professionalmente, anche perché
mi sono trovata in un ambiente molto
collaborativo. Passavo le mie giornate
lavorando su tantissimi progetti. Penso
sia davvero un’eccellenza a livello
mondiale”.
Il primo progetto ufficiale di Accurat
nasce proprio tramite DensityDesign,
ed è la collaborazione con La Lettura
del Corriere della Sera. “Serena Danna,
giornalista dell’inserto culturale
del quotidiano, aveva ideato la rubrica
Nuovi Linguaggi per raccontare fenomeni
globali attraverso la data visualization.
E la prima collaborazione l’avevano
avviata con Density, che poi ha
passato la palla a noi come Accurat. Ci
abbiamo lavorato per due anni”.
Oggi Accurat ha due sedi – una italiana
e una statunitense – e 35 persone
che ci lavorano, “e stiamo crescendo
sempre di più”. Anche Dear Data è
cresciuto: dopo essere stato esposto
al Museum of Modern Art di New York
è pronto per andare in stampa con un
seguito: si chiama Observe, Collect,
Draw!, sempre realizzato a quattro mani
con Stefanie Posavec. “È una sorta
di journal per chi vuole fare quello che
abbiamo fatto noi per un anno, con Dear
Data”, spiega. Ovvero, in fondo, “quasi
un’analisi terapeutica”, dice ridendo.
“Quando parlo di Dear Data racconto
che mi ha insegnato più su me stessa
di quanto abbia fatto la terapia”.
39
DALLA DAYTONA
ALLA TESTA ROSSA:
TUTTE LE FERRARI
DELL’ING. FIORAVANTI
LEONARDO FIORAVANTI - 80 anni
AD Fioravanti Srl
Alumnus Polimi Ingegneria Meccanica
La Ferrari Dino, la Ferrari Daytona, la Ferrari F40, la Testarossa
e molte altre, sono state disegnate dalla stessa
mano: quella dell’Alumnus Leonardo Fioravanti. Abbiamo
visitato insieme una mostra molto speciale al Museo nazionale
dell’automobile di Torino, quella a lui dedicata
40
Capitolo 1
80 ANNI DA CORSA
Un distinto uomo con una ventiquattr’ore
su cui compare il cavallino della
Ferrari fa il suo ingresso al Museo nazionale
dell’automobile di Torino. Per
entrare alla mostra non ha bisogno del
biglietto perché è lui stesso la mostra.
“Rosso Fioravanti. Le auto di un ingegnere
a mano libera”, questo il titolo
dell’esposizione che raccoglie i disegni,
le coppe delle gare automobilistiche,
il libretto del Politecnico, la tesi di
laurea, le memorie di una vita e, naturalmente,
le auto di una vita di Leonardo
Fioravanti: ottant’anni, cinquanta
di questi trascorsi a fare la storia delle
auto da corsa in Italia e in tutto il
mondo.
“Per me il rosso non è solo il rosso Ferrari
- spiega fermandosi davanti a un
esemplare di Alfa Romeo Vola presentata
al Motor Show di Ginevra nel 2001
- Per me il rosso vuol dire Italia da
corsa”. E la sua corsa comincia a casa
dei nonni paterni a Genova. Proprio lì,
all’età di sei anni, quando rimane affascinato
da un bob a quattro che scende
lungo la curva di un piatto d’argento
dei primi del ‘900. Il soprammobile
d’epoca, oggi, è al centro della prima
sala della mostra. “A impressionarmi
fu l’aria di questo equipaggio rappresentato:
vanno veloci, ma sanno quello
che fanno, sembrano allo stesso tempo
impegnati sino allo spasimo, eppure
sono rilassati. Veloci e in sicurezza.
Per vincere bisogna fare così”. Da questa
folgorazione dell’infanzia nasce la
sua passione per “tutto ciò che si muoveva
per terra, per mare e per cielo”.
A scuola riempie quaderni interi non
con gli appunti delle lezioni ma con disegni
di auto, moto, navi ed elicotteri.
Un muro di fogli di quaderni ingialliti
si staglia lungo una parete del museo.
“Per capire a che anni risalgono - dice
Fioravanti - abbiamo qui un quaderno
con i Savoia in copertina”. Nella prima
pagina una data: lunedì 10 aprile 1945.
“Ho cominciato a disegnare da giovanissimo.
Inoltre in quel periodo, come
tutti i miei fratelli, prendevo lezioni di
pianoforte. Ricordo bene le Scene Infantili
di Schumann. Mi esercitavo con
i tre pedali del piano che per me diventavano
freno, frizione e acceleratore”.
E sul freno di un auto, anni dopo,
poggia rovinosamente i piedi all’ultimo
secondo e si schianta contro un albero
in piazza Leonardo Da Vinci. “Ero
con un mio amico, anche lui studente
del Poli. Uscimmo, raddrizzammo l’auto
e ripartimmo”, dice. “Pensi, mi chiamo
Leonardo, abitavo davanti a Piazza
Leonardo da Vinci e ho fatto il Politecnico”.
Un nome, un destino.
41
Capitolo 2
IN PISTA, AL POLITECNICO
A diciotto anni inizia a correre in pista
e contemporaneamente si iscrive
al Politecnico. Sopra una fila di trofei
esposti in una grande teca illuminata
c’è una foto in bianco e nero. Ci mostra
Fioravanti, sorridente, seduto nella
sua 500. “Ero alla Compiano-Vetto
d’Enza, una corsa in salita attraverso
l’Appenino di Reggio Emilia”. Indica un
punto dell’auto, sotto il sedile, e racconta:
“Qui c’erano stipati i libri e i testi
di un esame che avevo dato al Politecnico
proprio quel giorno”. Durante
le prove di gare i libri saltavano da
tutte le parti, ricorda nel suo libro autobiografico
“Il Cavallino nel cuore”.
“Io vedo una cosa e so immediatamente
le proporzioni”, dice mentre arriviamo
alla sezione dedicata proprio
agli anni trascorsi al Politecnico. Una
teca custodisce cerchiografi, un regolo
e il libretto universitario su cui leggiamo:
“Fioravanti Leonardo, matricola
12.241. È stato iscritto al corso di laurea
in Ingegneria, il giorno 27 novembre
1956”. Nella stessa teca convivono
i due modellini di legno realizzati per
la tesi di laurea. “Il biennio al Politecnico
è stato difficile - dice - arrivavo
dal liceo classico e ricordo sempre la
prima lezione di Analisi Matematica:
aula piena, il professore che parla di
derivata seconda e io che alzo la mano
e chiedo «Scusi, ma la prima?». Poi,
superato il biennio, quando ho iniziato
a studiare la parte di meccanica,
del disegno di costruzioni automobilistiche,
ho iniziato a correre”. La tesi
di laurea è dunque letteralmente un
pezzo da museo, nelle pagine riprodotte
in grande si legge: “Alcuni schizzi
e il disegno definitivo della berlina aerodinamica
scelta come argomento di
tesi. Interessante lo spaccato che mette
in evidenza l’abitabilità ed il motore
inclinato all’indietro, alloggiabile
in un cofano basso e penetrante”. Davanti
ai documenti ufficiali della sua
tesi Fioravanti spiega com’è nata l’idea.
“Io ero malato di aerodinamica.
Volevo un’autovettura per girare l’Italia
con quelli dello Sgambo, ci chiamavamo
così io e il mio gruppo di amici.
42
Eravamo in tutto sei persone, quindi
volevo una macchina a sei posti e che
consumasse il meno possibile, che di
soldi non ne avevamo. I due modellini
in legno, che vede qui esposti, furono
testati nel tunnel della Breda e convinsero
il professor Fessia, nonostante
la sua avversione all’aerodinamica,
a farmi da relatore”. La storia continua
su uno dei pannelli: “Nel 1962 lo
studente Fioravanti partecipa, col Politecnico
di Milano, ad una visita alla
Pininfarina. Ha portato una cartella di
disegni, riesce a ritagliarsi un momento
di colloquio con Sergio Pininfarina
e Renzo Carlo”. Passando vicino a una
foto in bianco e nero che lo ritrae proprio
con Pininfarina commenta: “Vede
che accarezza l’auto? Imparai da lui
che oltre al vedere, bisogna toccare. I
difetti che a occhio non si notano, si
sentono col tatto”. “Il lampo e il tuono
della mia vita” leggiamo sul pannello.
Il lampo dell’idea e il tuono della realizzazione:
all’età di 26 anni Fioravanti
mette mano alla sua prima Ferrari, la
250 LM in versione stradale.
43
Capitolo 3
TUTTE LE FERRARI DI UNA VITA
Ancora qualche passo e ci ritroviamo
al capitolo Daytona. “La Daytona
non era nei programmi né della Ferrari
ne di Pininfarina. Io cominciai a
disegnarla a dicembre del ’66. Due
mesi prima era stata presentata al
Salone di Parigi la berlinetta Ferrari
275 GTB. Presi a disegnare un modello
con una linea più aerodinamica,
con una visibilità ottima, per tornare
a vincere con il motore anteriore.
In ufficio ci lavoravo poco, perché mi
avrebbero chiesto cosa stessi facendo,
dunque mi ci mettevo più a casa.
Presentai il disegno a Pininfarina
che commenta: «Ingegnere, ma lei è
matto. Abbiamo presentato la Berlinetta
solo due mesi fa» La fecero comunque
vedere al commendator Ferrari,
che commentò a sua volta «Ma
quello è matto». Ad ogni modo diede
mandato al capo dell’ingegneria Angelo
Bellei di fare tutte le prove sulla
meccanica, io da ingegnere l’avevo
già disegnata perfettamente. Così,
senza neanche realizzare il modello
in scala ridotta fu realizzato un modello
a scala 1 a 1”. Davanti alla foto
della Daytona riflette un attimo e
poi ricorda: “Dopo quegli eventi con
il commendatore ci intendevamo alla
perfezione. Avevo meno di trent’anni”.
Snocciola memorie da record e
frasi passate alla storia, come quando
Enzo Ferrari gli chiede “Vorrei una
Ferrari per andare alla Scala con i
miei amici”. E tutto, ancora una volta,
parte dalla matita che si posa sul
foglio, “il primo tratto che delineo è
sempre il muso, perché entra nell’aria”.
Cita Junichiro Hiramatsu, un facoltoso
giapponese che commissiona
una Ferrari solo per sé: nasce così la
Special Project 1. Si attraversa un’esistenza
leggendo i brevetti della Fio-
44
avanti, la società fondata nel 1987
con i suoi tre figli: Autoveicolo con un
sistema di detenzione senza spazzole
per superfici vetrate e simili, Autovettura
- in particolare autovettura da
competizione, Procedimento e sistema
per la rilevazione delle impronte
di appoggio dei pneumatici di un autoveicolo.
“Prima facevo il matto per
gli altri, da quel giorno potevo farlo
per me”, dice. Poi, come un lungo flashback
aggiunge: “Ho avuto la fortuna
di essere un ingegnere che sa disegnare.
E al Politecnico ho imparato
il rigore della logica progettuale. Dal
professor Fessia, ma anche dagli altri
professori e da mio padre, ho imparato
che il progetto è la somma di
varie cose ma è anche una cosa unica.
Non bisogna mai perdere di vista
il progetto nel suo complesso. Non
si può essere il più specializzato nei
cuscinetti a sfera e non tener presente
che esistono anche dei cerchioni,
dei pneumatici e un’automobile. Ed
è una cosa che ho studiato non solo
sulla carta, ma vivendo e seguendo
l’approccio mentale di questi professori.
Era gente innamorata dell’insegnamento,
erano veri progettisti:
ciò che insegnavano lo esprimevano
quotidianamente con le parole e con
gli atti. E io ero quello che si sedeva
sempre in prima fila, ad abbeverarsi
di quel sapere”. Oggi, che è lui l’uomo
del sapere, dice: “Una cosa che a
questa tenera età posso francamente
permettermi di dire ai giovani è questa:
non permettete mai a nessuno di
interferire coi vostri sogni. Secondo:
sceglietene uno solo, perché nella vita,
come disse il poeta, si può fare
bene una sola cosa”.
45
46
Capitolo 4
ALLA FINE, SI RIPARTE
Nell’ultima sala ci sono finalmente loro:
le macchine, in carrozzeria e motore,
in design e aerodinamica. Posizionate
su pedane rotanti si mostrano in
ogni lato. Chiedo a Fioravanti cosa provi
nello stare qui, davanti a tutto ciò
che ha realizzato. Mi risponde con una
sola parola, pronunciata a bassissima
voce come una confessione, nell’orecchio.
Poi, rimane il silenzio delle pedane
che ruotano. Nella testa il suono
immaginato di tutti i motori accesi.
In questa pagina: Lorem ipsum
47
MI RICORDO LA CASA
di Nicola Feninno
foto di Giuseppe Vesce
e Beatrice Mammi
1978/1979
48
A DELLO STUDENTE
GIUSEPPE VESCE
Studio tecnico Vesce
Alumnus Polimi Architettura
49
Sulla pagina Facebook ‘Alumni Politecnico di Milano’
abbiamo pubblicato una foto che ritrae la Casa dello
Studente negli anni ’60. Siamo stati sommersi di
commenti, ricordi, racconti. Ne abbiamo selezionati alcuni
ed è nato questo testo, in cui gli Alumni parlano della loro
esperienza e ci portano in un viaggio nella memoria della
storica Casa dello Studente
Mi ricordo sei bellissimi anni vissuti
nella camera 110. (Luca Dorazio)
Mi ricordo che dal ’99 al 2005 ho vissuto
nella camera 435 e poi nella 127.
Indimenticabili, sia gli anni che le camere.
(Carmine Perotta)
Mi ricordo quando dissi a Emma Bonino,
“Tu intrattieni i bambini mentre
noi siamo in manifestazione per il diritto
alla casa in difesa degli sfrattati”.
(Lucio Dorazio)
Mi ricordo una mitica partita di calcio
Italia vs Resto del Mondo al parco
Lambro con i residente della Casa
dello Studente. (Massimo Bernasconi)
Mi ricordo anche la finale di Coppa
del Mondo di calcio del 1982 svoltasi
in Spagna tra Italia e Germania vinta
poi dall’Italia ed il tifo infernale fatto
per l’Italia da parte di quasi tutti
gli studenti della casa. (Omar Hamadneh)
Mi ricordo il bar al primo piano dove
si faceva colazione. (Mario Esposito)
Mi ricordo il piano “- 1” dove si faceva
pranzo, cena, dopocena. (Piero
Tacconi) Mi ricordo pausa pranzo con
“I Simpson” alla tv. (Andrea Piccione).
In queste foto, l’Alumnus Giuseppe
Vesce nella camera che condivideva
con un altro studente nella residenza
di Viale Romagna 92
Mi ricordo il bar matricola con Mara.
(Tina Malamati Gkiaouri)
Mi ricordo il mio ultimo compagno di
camera, amico per sempre. (Pierdomenico
Lugara)
Mi ricordo una folla di ricordi. Mi ricordo
un articolo del Regolamento
che proibiva di far salire donne in camera
senza l’autorizzazione. Mi ricordo
che aggirammo il divieto usando
l’ascensore di servizio che stava nel
cortile interno, prodigiosamente riparata
da alcuni laureandi in Elettrotecnica.
Mi ricordo il ’67, quando convocammo
un’assemblea nel salone e
l’articolo del Regolamento fu abrogato
con una votazione di 9 contro 1.
(Antonio Nastasi)
Mi ricordo mio papà, studente e residente
della casa negli anni ’60. (Francesca
Crisafi)
Mi ricordo il barbiere che c’era all’interno
della casa, esattamente la finestra
a sinistra del pian terreno. (Leonardo
Miolli)
Mi ricordo “O sole mio” cantato dal cinese,
dieci lire a parola. (Paolo Sanzaro)
Mi ricordo che più pagavi e più cantava.
(Mario Gioia)
Mi ricordo il suo nome, Oshina. (Antonio
Nastasi)
Mi ricordo che si diceva fosse venuto
in Italia per studiare canto lirico.
Mi ricordo che in mensa offriva “buoni
senza coda” a poco più di 200 lire.
(Renzo Bovosecchi)
Mi ricordo le feste in Auditorium. (Terry
Noviello)
Mi ricordo che io c’ero. (Tutti)
“Avevamo
due letti, due
scrivanie, due
armadi a muro,
un telefono
citofono,
un lavabo con
lo specchio.
All’ultimo anno
si poteva
chiedere, durante
la stesura della
tesi, la cameretta
singola”
50
Qui albergano
vite e ricordi
“Ci sono ragazzi che entrano alle cinque
del mattino, tornando dalla discoteca. E
ragazzi che a quell’ora escono per andare
a fare dei piccoli lavori nei supermercati
qui vicino, prima di andare a frequentare
le lezioni”. A parlare è Maurizio
Ripamonti, il responsabile della Casa
dello Studente, l’uomo con le chiavi della
residenza. “Non basta imparare a risolvere
le equazioni differenziali e gli integrali
doppi. Uno studente che esce dal
Poli deve aver imparato anche a relazionarsi
con gli altri, a confrontarsi, a convivere”.
Le sua voce riecheggia per il salone
e si arrampica lungo lo scalone doppio
che attraversa tutta la struttura, fino
al quinto piano. “Una volta un ragazzo in
una mail mi ha scritto: «La lavatrice mi
ha rovinato la camicia». Aveva usato la
candeggina per i pavimenti. Cose di questo
tipo accadono ogni settimana; è normale,
sono quasi tutti ragazzi e ragazze
che non hanno mai vissuto da soli fuori
casa, e questa è la loro prima esperienza”.
Risalendo dai sotterranei s’incontra
un’ampia aula studi. L’atmosfera qui, come
in tutta la Casa dello Studente, più
che il ciclo delle stagioni segue il ciclo
delle sessioni d’esame. In uno degli angoli
dell’ampio salone c’è una porta, che
introduce a un piccolo regno del silenzio.
Nessuna eco dei rumori esterni. Dentro
questa casa per 333 abitanti si può studiare
praticamente dappertutto: oltre alla
più ampia sala studio, ce ne sono altre
in tutti piani. “La prima cosa che faccio al
mattino”, racconta Maurizio, “è aprire la
casella mail dove ricevo tutte le richieste
dalle varie residenze. Ricevo una media
di una cinquantina di mail al giorno: in
italiano, in inglese, o in un inglese – diciamo
– di difficile comprensione. Io non
ho avuto figli. Ma in questi 10 anni in cui
ho lavorato per la residenze del Politecnico
è stato come averne qualche migliaia.
Anche se a tutti do sempre del lei”.
51
La Casa dello Studente è cresciuta. Oggi le residenze Polimi
a Milano sono 6 ed ospitano oltre 1.400 studenti
DOVE SONO LE RESIDENZE?
PERIFERIA
NUOVO
DAL 2018
NEWTON
Via Mario Borsa, 25
PARETO
Via Maggianico, 6
258
ristrutturato nel 2015
232
CENTRO
GALILEI
Via Filippo Corridoni, 22
294
ristrutturato nel 2007
CASA DELLO STUDENTE
Viale Romagna, 62
333
ristrutturazione IN CORSO
NUOVO
DAL 2018
EINSTEIN
Via Albert Einstein, 6
214
DATEO
Piazzale Dateo, 5
90
ristrutturato nel 2006
POLI TERRITORALI DI COMO E LECCO
COMO
165
ristrutturato nel 2016
LECCO
165
ristrutturato nel 2015
52
La nuova residenza Vilfredo Pareto
Sono sei le residenze che fanno parte della
rete di alloggi per studenti – aperte anche
a dottorandi e visiting professor – del
Politecnico di Milano. Oggi ospitano circa
1400 persone; il 58% sono stranieri, un dato
che dà il polso della forza internazionale
dell’Ateneo. L’ultimo complesso residenziale
ad essere inaugurato, lo scorso maggio,
è stato intitolato a Vilfredo Pareto, un
ingegnere che fu una delle mente più brillanti
ed eclettiche di tutto l’Ottocento e il
Novecento. “Il Politecnico crede fortemente
nell’importanza delle residenze. E ha deciso
di investirci molte risorse”. Ha dichiarato
il prorettore Emilio Faroldi durante la
cerimonia di inaugurazione. “C’è un nesso
fortissimo tra qualità della vita degli studenti
e qualità dello studio e della ricerca.
Il Politecnico accoglie e forma persone,
non solo ingegneri, architetti o designer”.
CHI VIVE NELLE CASE POLITECNICHE?
35,4% donne 64,6% uomini
ETÀ MEDIA
24 ANNI
SERVIZI INCLUSI
wifi palestra reception 24h
utenze
uso cucina
pulizie
spazi studio
DA DOVE VENGONO?
COSA STUDIANO?
42,1% italiani 57,9% stranieri
34,8% Lombardia
15,8% Nord
17,0% Centro
32,4% Sud e Isole
72,6% Ing 18,1% Arch 9,3% Des
31,9% Laurea Triennale 7,5% Altro
56,8% Laurea Magistrale 3,8% Dottorato
53
di Nicola Feninno
Foto di Cosimo Nesca
LA NUOVA
BIBLIOTECA
STORICA
DEL POLITECNICO
Nella Sala Ciliegio del Campus Leonardo
ha da poco aperto un piccolo scrigno che
raccoglie una grande storia: tutta quella
contenuta in un patrimonio di volumi antichi
54
“Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno
a due nuove scienze attenenti alla
Meccanica & ai movimenti locali, del Signor
Galileo Galilei”, si legge, in elegante
carattere, sul frontespizio di un grande
volume adagiato su uno dei tavoli della
neonata Biblioteca Storica del Politecnico
di Milano. Un patrimonio di ventimila libri,
di cui seimila esposti e la restante parte
conservata nel deposito dei Fondi Storici,
ma con possibilità di consultazione.
“Abbiamo anche i volumi acquisiti nel 1863
dal Regio Istituto Tecnico Superiore - racconta
Marinella Trenta, responsabile della
biblioteca - Laggiù c’è un’edizione del
1521 del “De architectura” di Vitruvio. Al
piano superiore alcuni studi sul piano regolatore
di Milano, del 1885. Volumi sulle
ferrovie, sui ponti, sui serramenti. Reperire
questo materiale è stata un’esperienza
incredibile”. Una vera e propria immersione
che ha riportato a noi scritti e documenti
preziosi, “Si scopre - continua a
raccontare Marinella Trenta - che i primi
laureati del Politecnico sono quelli che
hanno fatto la storia dell’industria italiana
a partire da metà dell’800. i Pirelli, i
Colombini, i Salmoiraghi”. Barbara Montoli,
bibliotecaria del Politecnico da ben 31
anni, ricorda l’emozione provata nel trovare
la seconda edizione del ‘Manuale di
architettura’ di Luca Beltrami. Le coste dei
libri sono una geografia di saperi: “Berzelius,
Traite de chimie”, “Vocabolario marino
e militare”, “Ferrini La luminosità elettrica”,
“James Gekie, The Great Ice Age”.
Estraendo a caso volumi dagli scaffali si
aprono storie da altri mondi ed epoche:
la prefazione di un piccolo tomo dedicato
al volo degli uccelli, edito nel 1890, ci racconta
che “Il volo degli uccelli ha sempre
svegliato la curiosità dei ricercatori”
Così queste parole e questi titoli risvegliano
ancora oggi la curiosità. Formano un
piccolo scrigno di libri stretti l’uno contro
l’altro, sull’attenti, in perfetto ordine
su prestigiose scaffalature di legno. Dalle
finestre entra una luce gentile. Pare perfetta
per concentrarsi, per ampliare il silenzio.
Quasi sottovoce, il Rettore Ferruccio
Resta qui in visita commenta: “Questa
è una metafora perfetta dello spirito del
Politecnico: guardare al futuro, senza dimenticare
il passato. Se si vuole fare innovazione,
non si può dimenticare la storia,
la tradizione”. E il lavoro, alla scoperta
della tradizione, continua in cerca di prime
edizioni e rarità da far riemergere.
FEDERICO BUCCI - 58 anni
Delegato del Rettore
per le Politiche culturali
Alumnus Polimi Architettura
“Penso che la Biblioteca Storica del Politecnico
di Milano non sia un semplice
deposito di memorie di carta, ma custodisca
lo spirito originale del nostro
Ateneo, che illumina anche tutti i nostri
nuovi progetti. Dai libri acquistati o donati
dall’anno della fondazione, il 1863,
fino ai primi del Novecento, si può leggere
infatti il ruolo che il Politecnico ha
avuto nello sviluppo di Milano e del nostro
Paese, i suoi legami internazionali,
ma soprattutto, l’inarrestabile desiderio
di conoscenza nel campo della cultura
tecnico-scientifica”
55
“La Biblioteca Storica
è una metafora
perfetta dello spirito
del Politecnico:
guardare al futuro,
senza dimenticare il
passato. Se si vuole
fare innovazione, non
si può dimenticare la
storia, la tradizione”
La nuova Biblioteca Storica del Politecnico si trova
al Campus Leonardo, Edificio 9, ingresso B, 1°
piano. Aperta a studenti, docenti ed esterni, dal
lunedì al venerdì per la consultazione. Il catalogo
è consultabile nel catalogo di Ateneo: www.biblio.
polimi.it
56
57
OLTRE
1200 MAGLIETTE
ACQUISTATE
IN UN MESE
#ProudlyPolitecnico
58
Intervista esclusiva all’Alumnus più anziano della Polimirun 2018
MAP AUTUNNO 2018 LA GAZZETTA DEL POLI
La Gazzetta del Poli
Tutto il Poli
della vita
L’università
dove si suda
davvero
Si suda nelle aule ma si suda
anche in campo: al Politecnico
lo sport è materia che unisce le
persone. Studenti e Alumni, dipendenti
e professori diventano
una comunità che condivide valori
ed esperienze. Dalla Polimirun
al Torneo delle Residenze, dai
campionati studenteschi di calcio,
volley e basket, passando per
i campi sportivi dove trascorrere
ogni giorno le pause tra una lezione
e l’altra: atletica, ping-pong,
basket, calcio, volley. In queste
pagine vi racconteremo un’università
dove l’impegno, il lavoro e
la fatica passano anche dal correre,
fare sport e cercare di arrivare
primi, insieme.
CON 12.500 RUNNER
LA POLIMIRUN TAGLIA UN
NUOVO TRAGUARDO
è la prima corsa universitaria d’Italia!
TUTTI I CAMPI DEI CAMPUS!
CAMPIONATI POLIMI
Doppietta per gli
ingegneri gestionali
59
FERRUCCIO RESTA,
Rettore e professore ordinario
di Meccanica Applicata alle Macchine
“L’adidas Runners Polimirun, alla sua terza
edizione, è diventata un appuntamento ricorrente
con la città. Milano ha accolto molto
positivamente un evento sportivo che, di
anno in anno, raccoglie al nastro di partenza
un numero crescente di studenti, docenti e
amici del Politecnico di Milano. Una manifestazione
che si inserisce in una politica chiara
della nostra università, che riconosce nello
sport uno strumento efficace di aggregazione
e di condivisione e, allo stesso tempo,
una leva attrattiva per il nostro Ateneo”
Polimirun Winter Edition
11 novembre 2018
Partenza Campus Lecco
Una corsa trail in un percorso fuori
strada, tra le montagne lecchesi
Scopri di più su polimirun.it
POLIMIRU
Da 10 km a 100mila euro raccolti per
finanziare le borse di studio
12.500 persone sono partite dal Campus
Bovisa La Masa e sono arrivate al
traguardo in piazza Leonardo Da Vinci.
Una folla colorata ha animato quella
che in sole tre edizioni è ufficialmente
diventata la più più importante manifestazione
podistica universitaria in
campo nazionale. Tra i partecipanti, gli
studenti del Politecnico erano circa il
43% degli iscritti, i laureati il 17%, i dipendenti
il 4%, mentre il restante 36%
cittadini, milanesi e amici del Politecnico
amanti della corsa. Tra gli iscritti,
anche l’ex nuotatore Massimiliano Rosolino
che ha dichiarato: “Direi che è andata
abbastanza bene. Sono partito con
una grande regolarità e non ho mai sorpassato
nessuno”. Francesco Calvetti, delegato
per le attività sportive del Politecnico,
ha commentato, senza nascondere
l’emozione, “Ho avuto la fortuna di assistere
alla crescita della Polimirun da una
posizione privilegiata. Sono e siamo fieri
di ciò che siamo riusciti a fare in 3 anni,
del gruppo di persone competenti che
l’hanno reso possibile e della community
politecnica che si dimostra sempre più
unita e partecipe”.
I fondi raccolti grazie alle iscrizioni della Polimirun servono a finanziare borse di
studio per gli studenti del Politecnico di Milano.
100mila euro raccolti nell’edizione 2018
100mila euro raccolti tra il 2016 e il 2017
•
Sono state già assegnate 24 borse di studio per meriti sportivi, con l’obiettivo di
valorizzare l’impegno, il talento e i risultati che, anche al di fuori del contesto puramente
accademico, sono portavoce dei valori dell’Ateneo.
60
N 2018
L’Alumnus Giuseppe Stancanelli
IL MARATONETA DEL ‘46
L’Alumnus Giuseppe Stancanelli, 72
anni, laureato in Ingegneria Meccanica
nel 1971 è il runner più anziano della
terza edizione della Polimirun
“La mia prima maratona è stata
quella di Berlino nel 2013.
Ho fatto un risultato di quattro
ore e sei minuti, io sono del ’46,
quindi è stato un inizio perfetto”.
Si racconta con queste parole
il maratoneta più anziano
della Polimirun 2018, numero
7360. “Mi sono laureato il 23
marzo 1971 in Ingegneria Meccanica
e ho fatto l’ingegnere
da allora fino ai giorni nostri.
Da giovane non ero sportivissimo,
poi un giorno ho corso
con il mio genero che ha fatto
la maratona di New York e mi
sono reso conto che andavo più
forte di lui. Mi sono detto, proviamoci!”.
Non tornava da tempo
nei luoghi dei suoi anni di
studio, così attraversandoli per
la Polimirun, da Bovisa a piazza
Leonardo da Vinci commenta,
“Oggi questo sembra il paese
del Politecnico, è una vera e
propria città”.
Dopo la laurea era pronto a tutto,
ad andare all’estero, poi è rimasto
in Italia per amore. Uno
dei traguardi della sua vita, dice,
“era piacere alla mia famiglia”.
A chi ha qualche anno in
meno di lui consiglia “di studiare
per sé”. Di studiare non per
superare gli esami, ma per superare
se stessi, innamorandosi
di ciò che si studia. E dei suoi
anni da studente ricorda: “Ho
fatto quasi tutti gli esami indossando
lo stesso vestito e la
stessa cravatta”. Al Politecnico
ci è tornato in maglia a maniche
corte e pantaloncini, per far
parte di quello che definisce “un
fiume di gioia, di sapere, e nel
mio caso di memoria”.
61
Per chi fa il Politecnico - anche - per sport
PLAYGROUND
I campi sportivi degli studenti, nel cuore del Politecnico di Milano
Oltre ai libri, puoi
portarti un pallone
I campo sportivi del Politecnico di Milano
sono dislocati tra i campus Bovisa
e Leonardo. Sono presenti campi di
calcio a 5, volley, basket e ping pong.
L’accesso agli studenti è libero, compatibilmente
con le pause tra una lezione
e l’altra. Il Centro Sportivo Giurati offre
anche una pista di atletica e una palestra;
all’interno della struttura si svolgono
anche le attività organizzate dal
Poli, come i campionati studenteschi e
gli allenamenti di gruppo con i trainer
specializzati per la corsa.
62
MAP AUTUNNO 2018 LA GAZZETTA DEL POLI
Il futuro è un campo aperto: è infatti in
corso un progetto di riqualificazione di
tutto l’impianto del Centro Sportivo Giuriati,
che prevede fra le altre cose la realizzazione
di una tecnostruttura polivalente
con nuovi campi di Volley e basket,
e il rifacimento della pista di atletica
Centro Sportivo Giuriati
I Playground all’aperto,
nei luoghi dell’università
Campus Leonardo
63
MAP AUTUNNO 2018 LA GAZZETTA DEL POLI
Il 6 giugno in Piazza Leonardo da Vinci,
con il Politecnico a far da splendida cornice,
si sono disputate le finali dei Campionati
Polimi; sono i campionati dedicati
agli studenti del nostro Ateneo, dove
i corsi di studio si incontrano e si sfidano
in campo sportivo. Giunti alla sesta
edizione, nella stagione 2017/2018 hanno
partecipato 1500 studenti con più di
100 squadre di calcio a 5, volley e basket.
Le finali dello scorso 6 giugno hanno visto
trionfare il corso di studi di Ingegneria
Gestionale nei campionati di calcio a
5 e volley e di Ingegneria Aerospaziale
nel basket. Ingegneria Biomedica domina
nell’albo d’oro dei Campionati Polimi,
guardando tutti dall’alto con ben 6 titoli
vinti nel corso delle varie edizioni. Ad
inseguire, staccato di 3 titoli troviamo il
corso di Ingegneria Gestionale. La stagione
2018/2019 inizia in autunno, fai il tifo
per il tuo corso di laurea su facebook alla
pagina Polimi sport.
INGEGNERI
DA PODIO
La finale dei campionati Polimi
•
Per l’ Accenture Volley Cup vincono il
trofeo gli Ingegneri Gestionali di Atletico
Ma Non Troppo
Per la Techedge Football Cup vincono
•
ancora una volta gli ingegneri Gestionali
di Hellas Maltese, che mantiene
il suo primato dallo scorso anno
•
Infine per l’UMANA Basket Cup si portano
a casa il titolo gli ingegneri Aerospaziali
di Space In My Veins!
64
PORTIAMO
IL POLI NEL CUORE,
OVUNQUE ANDIAMO
Yasser Imàm, studente del politecnico
DA San Pietroburgo
Cristina, studentessa delle superiori
al politecnico di milano
enrico zio, presidente
alumnipolimi association
da trondheim
Graziano Salvalai e Marta Sesana, Alumni
INGEGNERIA EDILE ARCHITETTURA 2006
da Philadelphia
compra sullo store
POLITECNICO DI MILANO su
#ProudlyPolitecnico
o al CAMPUS LEONARDO
65
ALUMNI
DA TROFEO
LA SALA DEI TROFEI DEL MILAN
FABIO NOVEMBRE - 51 anni
Studio Novembre
Alumnus Polimi Architettura
Nel 2014 l’Alumnus Fabio Novembre,
architetto e designer, ha firmato il
progetto del nuovo headquarter della
sede rossonera: Casa Milan.
In zona San Siro, novemila metri
quadrati ospitano in quattro piani
gli uffici per la dirigenza, i reparti
marketing e comunicazione ma anche
la sala stampa, un ristorante,
uno store e il primo museo ufficiale
del Club AC Milan.
“Come negli edifici del passato in cui le
figure dei santi, o dei potenti segnavano
il profilo dei palazzi, così qui degli
atleti in movimento campeggiano sulla
facciata inclinata. Attimi congelati di
una corsa in salita verso l’obiettivo. Un
pallone calciato verso il cielo che con
esso porta tutta l’energia e la forza del
gesto, un impatto che si trasforma immediatamente
in propagazione. Il messaggio
che passa è che il calcio rappresenta
una disciplina sportiva, ma allo
stesso tempo anche uno strumento
educativo, un simbolo di aggregazione
e di crescita. E per sottolineare la forza
della divulgazione del messaggio, la
facciata stessa decorata con fasce concentriche
colorate di rosso e di nero, si
fa portatrice dell’onda d’urto positiva
che idealmente invaderà tutta la città”.
Fabio Novembre
66
67
ALUMNI
DA TROFEO
LA SALA DEI TROFEI DELL’INTER
STEFANO BOERI - 61 anni
Stefano Boeri Architetti
Alumnus Polimi Architettura
Nel 2010, l’anno del Triplete, l’Alumnus
Stefano Boeri, architetto, con il Boeri
Studio si è occupato del progetto di
ristrutturazione degli spogliatoi della
squadra FC Internazionale. Spazio e
arredi sono stati disegnati con particolare
attenzione per cercare soluzioni
originali e innovative, focalizzandosi
sugli aspetti funzionali; studiando ad
esempio i movimenti e i comportamenti
dei giocatori all’interno dello spogliatoio
è stata elaborata una panca
rispondente alle loro esigenze. Anche
la Sala delle Coppe è stata realizzata
da Stefano Boeri e dal suo Studio.
La Sala delle Coppe racchiude tutti i
trofei vinti dalla FC Internazionale nel
corso della sua storia. Le coppe sono
ordinate in ordine cronologico e posizionate
in pieno risalto su strutture illuminate
alle pareti. Il soffitto è totalmente
intonacato di nero con inseriti
dei micro LED di luce bianca, il pavimento
invece è blu: insieme formano
i colori della società. Al centro della
stanza è stato posizionato un tavolo
multi-touch, progettato appositamente
per la squadra, e il visitatore può navigare
attraverso la sala dei trofei. Quando
qualcuno entra nella stanza, sul tavolo
la grafica mostra le vittorie storiche
della squadra. Sull’interfaccia è
possibile selezionare un trofeo e visualizzare
le relative informazioni mentre
la coppa si illumina sul suo supporto.
68
69
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HUAWEI,
DAI LABORATORI
DI RICERCA ALLE
SPERIMENTAZIONI
SUL CAMPO: COME
FARE RETE, 5G
Sul numero 2 di MAP - Autunno 2017, abbiamo parlato
delle ricerche avviate da Huawei in collaborazione con
il Politecnico di Milano, sulla rete 5G. L’Alumnus Renato
Lombardi ci racconta gli sviluppi del progetto
“Huawei è leader nel settore delle
telecomunicazioni e, per sviluppare
le ultime tecnologie, investe molto
in Ricerca e Sviluppo - spiega Renato
Lombardi - nel 2017 l’azienda ha investito
ben 13,8 miliardi di dollari, il 14,9%
del proprio fatturato globale. Dal 2017
le nostre ricerche sono state supportate
ancora di più dall’organizzazione
aziendale nella valorizzazione dei
giovani talenti attraverso varie collaborazioni,
come quella con il Politecnico
di Milano, principalmente nell’ambito
degli algoritmi per le telecomunicazioni,
delle architetture di antenna
e dei circuiti integrati a radiofrequenze
(RFIC)”. Le applicazioni della rete 5G
prevedono la Realtà Aumentata, e una
realtà in cui elettrodomestici come il
frigo, ad esempio, si occupano di fare
la spesa al posto nostro. Quali sono le
nuove scoperte e nuovi modi di utilizzo
della rete 5G? “Con le prestazioni
della rete 5G si sta pensando a nuove
applicazioni quali la guida autonoma
delle vetture, ma anche di navi
merci o velivoli, vi saranno poi nuovi
sistemi di video sorveglianza che potranno
riconoscere istantaneamente
situazioni anomale e confrontare in
tempo reale oggetti e persone, applicazioni
olografiche e di realtà virtuale
e molte altre che sono ancora in fase
di definizione”. La tecnologia 5G è già
uscita dai laboratori Huawei per una
prima fase di sperimentazione. “A Matera
è stato mostrato il primo scenario
d’uso reale end-to-end, sviluppato dal
Consorzio Bari-Matera 5G, composto
da TIM, Fastweb e Huawei. Il progetto
è finalizzato al supporto del turismo
digitale per la valorizzazione del
patrimonio culturale e artistico della
capitale europea della cultura 2019 attraverso
la soluzione di Virtual Reality,
che consente di visitare da remoto
con un visore alcuni dei luoghi di
principale interesse turistico. A Bari
invece è stata presentata la tecnologia
di realtà aumentata per la manutenzione
dei propulsori delle navi Isotta
Fraschini che, grazie all’utilizzo di uno
Smart Helmet e alle performance di
alto livello della rete, offre assistenza
70
RENATO LOMBARDI, 53 anni
Direttore del Centro Ricerca Huawei Italia
Alumnus Polimi Ingegneria Elettronica
remota agli operai impegnati nelle attività
di montaggio e smontaggio del
motore di una nave attraverso l’assistenza
e la ricezione di indicazioni tridimensionali.
La tecnologia 5G di Bari
e Matera rappresenta una delle prime
implementazioni in Europa e nel mondo;
questi test sul campo proseguiranno
per tutto il 2018 e anche nel 2019 e
ci permetteranno di capire nel tempo
come questa tecnologia sia in grado di
offrire prestazioni sempre più avanzate
e aprire la strada a nuovi scenari
applicativi”.
Le collaborazioni tra Huawei e il Politecnico
di Milano sono in numero
sempre crescente. Il centro di Milano
è molto attivo nella promozione
delle eccellenze presenti al Politecnico
di Milano e si fa promotore verso i
dipartimenti in Cina per attivare sempre
nuove attività di ricerca. “Oltre alle
attività già avviate per lo studio di
sistemi Wireless e Ottici - continua a
raccontare Renato Lombardi - altri dipartimenti
sono stati contattati in ambito
automotive, di machine learning
e product design. Il settore automotive
con il 5G sta vivendo un’evoluzione
che sta portando le macchine verso
una guida autonoma. Diverse tecnologie
hardware e software vengono
sviluppate per poter rendere possibile
in pochi anni questo obiettivo. Huawei
sta conducendo alcune ricerche
con il Politecnico di Milano in questo
ambito, in particolare con il Professor
Savaresi su Sistemi di Stabilità in
veicoli elettrici”. E il messaggio di Renato
Lombardi per gli Alumni, ma anche
per gli studenti di oggi, è questo:
“Il Politecnico di Milano è riconosciuta
da Huawei come una delle dieci migliori
università in Europa e molti dei
talenti che studiano in questo Ateneo
entrano a far parte della nostra azienda.
Le competenze che gli Alumni acquisiscono
durante il loro corso di
studio, li rende competitivi in ambito
globale nel settore delle telecomunicazioni”.
Ed è il caso di dire che gli
Alumni fanno, letteralmente, rete.
71
MATTEO LAI - 35 anni
Co-founder Empatica
Alumnus Polimi Architettura
L’ARCHITETTO
SALVAVITA
di Ivan Carozzi
L’Alumnus Matteo Lai è tra gli ideatori di Embrace,
un braccialetto per prevenire l’epilessia: il primo
dispositivo smartwatch al mondo ad essere approvato
dalla Food and Drug Administration americana
72
Lo smartwatch Embrace è in grado di
monitorare convulsioni e parametri
fisiologici di chi lo indossa
Se nelle fiabe è un anello magico a
imprimere una svolta alla trama, in
questa storia, invece, è un braccialetto
a segnare un prima e un dopo.
“Adesso riesco a dormire bene, per
tutta la notte, senza la paura di morire
nel sonno”, scrive su Facebook una
ragazza inglese di nome Megan. Il problema
di Megan è l’epilessia, malattia
neurologica che solo in Italia colpisce
circa 500.000 persone. Tuttavia
da una settimana Megan indossa al
polso un braccialetto. Si chiama E3 e
conosce tutto di lei. Il braccialetto, infatti,
ascolta, è intelligente, sensibile,
è sempre presente. In una parola:
empatico. Quando Megan viene colpita
da una crisi epilettica, il braccialetto
invia una notifica al caregiver, che
così è nelle condizioni d’intervenire
tempestivamente e prestare soccorso.
Ecco perché chi soffre di epilessia, oggi,
può addormentarsi con un po’ più
di tranquillità. “La nostra intenzione
originaria era creare un software per
esaminare ciò che succede, giorno per
giorno, nel corpo di una persona”, mi
racconta l’Alumnus Matteo Lai. E prosegue:
“poi ci siamo resi conto che
non potevamo non passare attraverso
il progetto del bracciale. L’idea è nata
come esito di un percorso, più che
come un’illuminazione. Per capire, per
esempio, gli effetti dello stress su un
individuo, prima occorreva andare in
ospedale, collegarsi a delle macchine
e sottoporsi a una lunga serie di esami.
Il braccialetto, invece, consente di
concentrare tutto in uno strumento
piccolo, leggero e indossabile. Così è
nato un dispositivo salvavita che si è
rivelato molto importante per il quotidiano
di chi è affetto da epilessia”.
L’azienda che produce gli E3, di cui oggi
Matteo è CEO, non poteva che chiamarsi
“Empatica”. “Empatica” nasce da
una Start Up e da un fortunato crowdfunding
lanciato nel 2015 insieme a
Simone Tognetti e Maurizio Garbarino.
L’azienda ha sede legale negli USA e il
braccialetto è in commercio dal 2016,
dopo essere stato testato su 135 pazienti
per 272 giorni, dimostrandosi in
grado di rilevare crisi epilettiche nel
100% dei casi. “Al momento l’attacco
epilettico è segnalato quando è in
corso”, racconta Matteo, “ma stiamo
“Per capire
gli effetti
dello stress
su un individuo
prima occorreva
andare in
ospedale.
Il braccialetto
consente di
concentrare tutto
in uno strumento
piccolo, leggero e
indossabile”
73
Embrace rileva diversi tipi di parametri,
dall’attività del sistema nervoso alla
temperatura corporea, ed elabora i dati
ottenuti grazie all’intelligenza artificiale.
Qualora si verifichi una crisi, il braccialetto
è in grado di inviare l’allarme su un device
del soccorritore. Inoltre, acquisisce quotidianamente
dati fisiologici monitorando il
sonno, lo stress e l’attività fisica
“Ho scelto
il Politecnico
perché era il
luogo migliore
in Italia per
quello che
avevo in mente
di fare”
studiando per perfezionare il bracciale
e capire come l’attacco possa essere
previsto. Stiamo inoltre lavorando
in nuove direzioni. C’interessa scoprire,
per esempio, se questo tipo di tecnologia
possa dirci in futuro, con una
certa affidabilità, se un soggetto si
trova in uno stato depressivo o meno”.
Il percorso passa per gli studi in Architettura
e incrocia presto l’Affective
Computing, branca di studi della Computer
Science nata con la robotica.
“L’Affective Computing riguarda lo studio
nell’uomo delle risposte emotive,
a partire dall’analisi dei segnali fisologici.
Per esempio le impressioni facciali.
Lo scopo è ottimizzare l’interazione
uomo-macchina e insegnare ai
robot come reagiscono gli umani. Con
Simone Tognetti e Maurizio Garbarino
ho cominciato a lavorare sui sensori,
per capire che cosa accadeva alle
persone nella vita quotidiana. Si è
trattato per me di passare dallo studio
dei sensori sulla scala della città,
all’epoca in cui lavoravo nel laboratorio
di Carlo Ratti, allo studio dei sensori
sulla scala dell’uomo. L’Affective
Computing può produrre risultati in
ambito medico-scientifico, come nel
caso di Empatica, o può essere impiegato
in pubblicità, per esempio, analizzando
le reazioni di uno spettatore
di fronte a uno spot”. Empatica è
per 3\4 italiana, mentre americana è
l’altra fondatrice, Rosalind Picard, direttrice
del “Affective Computing Research
Group” del MIT di Boston, che
da subito ha creduto nel progetto. Dal
febbraio 2018, inoltre, Empatica ha ottenuto
la certificazione della Food and
Drug Administration, ente americano
che regola i prodotti alimentari e farmaceutici.
Il braccialetto E3, definito dagli esperti
“una pietra miliare nella cura dei
pazienti con epilessia”, non è soltanto
uno strumento che si è rivelato indispensabile
nella vita di molte persone,
ma vanta un design d’indubbio
rigore e raffinatezza. È un aspetto al
quale Lai attribuisce una certa impor-
74
tanza: “In medicina si tende a trascurare
la qualità estetica di un prodotto,
considerandola un dettaglio secondario.
Come se le persone che soffrono
di una malattia cronica fossero clienti
di serie B. Invece se l’oggetto è bello
ed elegante, ci si sente più a proprio
agio e fieri d’indossarlo”.
Nella biografia pubblicata sul suo profilo
Twitter Matteo si definisce un “Techlover”.
“Mi è sempre piaciuto costruire
cose. Da piccolo avevo l’abitudine
di disegnare prima il progetto su
un foglio di carta, dopodiché con i Lego
realizzavo l’oggetto disegnato. Ho
sempre amato costruire, sia oggetti fisici
che oggetti digitali, così come crescendo,
al liceo, ho imparato ad amare
la lettura. Una delle mie sfide è riuscire
a leggere almeno un libro alla
settimana, alternando il saggio al romanzo”.
L’amore per la progettazione,
quindi, se risale ai mattoncini Lego,
nasce davvero da molto lontano, come
un gioco, e diventa poi un lavoro,
ricerca e una filosofia. “Progettare significa
creare prodotti che incontrano
i bisogni delle persone. Che sia una
casa, un’automobile, un’applicazione
per cellulare, si tratta sempre della
stessa cosa: soddisfare dei bisogni”.
Una passione che non si è mai perduta,
fino all’incontro col Politecnico
che Lai riteneva, da ragazzo, il luogo
migliore per intraprendere gli studi e
dare sostanza alle proprie ambizioni.
“I problemi che oggi si pongono a chi
progetta sono complessi e sfaccettati.
È necessario avere più competenze
ed essere in grado di comunicare con
professionalità diverse. Senz’altro la
mentalità da progettista, la vera e propria
forma mentis, che nel mio caso
significa guardare le cose da più punti
di vista, è il vero dono che ho ereditato
dai miei studi al Politecnico e ho
portato con me nel corso della vita”.
“La mentalità
da progettista,
imparare a
guardare le cose
da più punti
di vista:
questo
il vero dono
ereditato dal
Politecnico”
75
L’UOMO CHE
SENTE TUTTO
DELL’AMERICA
Fluidmesh è un’azienda che si basa sulla tecnologia
wireless per creare trasmettitori radio. Un orgoglio Made
in Italy, e made in Polimi, utilizzato oggi dai principali
dipartimenti di sicurezza d’America. Ne abbiamo parlato
con uno dei fondatori, l’Alumnus Andrea Orioli
di Nicola Feninno
76
ANDREA ORIOLI - 38 anni
VP Operations Fluidmesh Networks
Alumnus Polimi Ingegneria Informatica
"Camminavo
per i corridoi
del Politecnico
con un’idea
in testa.
Poi quell’idea
divenne un
business plan"
“You are your only limit”, recita un cartello
appeso al muro nella sede milanese
della Fluidmesh. Andrea Orioli
racconta di quando, ancora studente al
Politecnico, provò a sfidare i suoi limiti
con un’idea. “Era il 2004, l’ultimo anno
di università. Lessi un articolo che raccontava
la dura vita del fotogiornalista
sportivo. Te ne stai lì appostato per tutti
i novanta minuti di una partita di calcio,
dietro i cartelloni pubblicitari, con
la tua macchina fotografica. Una sera
sei fortunato: cogli l’attimo, il momento
in cui l’attaccante segna il gol decisivo
e la rete si gonfia. Hai la foto perfetta.
Ma anche il tuo collega, quello lì
a fianco, è stato bravo, ha colto l’attimo
e ha la foto perfetta salvata nella
sua fotocamera. Riesce a connettersi
alla rete prima di te e a inviare la foto
in redazione battendoti sul tempo. Il
tuo scatto perfetto, a quel punto, non
interessa più nessuno. Così mi è venuta
l’idea: dare una connettività performante
tramite wifi, durante i grandi
eventi sportivi, per tutti i cameraman,
fotografi, giornalisti”. Siamo nel 2005, e
ai tempi non esisteva né le rete 4G, né
quella 3G. Non era ancora uscito il primo
iPhone. “Con questa idea in testa
camminavo per i corridoi del Politecnico.
Ho notato una locandina della Start
Cup, la competizione che premia le migliori
idee per nuove startup. Lo prendo
quasi come un segno. Così chiamo
due amici. Ci iscriviamo, stiliamo il
business plan, arriva l’estate e andiamo
in vacanza. A settembre i risultati:
ci classifichiamo secondi. Tradotto: il
Politecnico ci mette a disposizione un
piccolo budget di partenza, e la possibilità
di entrare nell’incubatore in piazza
Leonardo. Decido di contattare Torquato
Bertani, un amico che come me
frequentava il Poli. Torquato, a sua volta,
coinvolge Umberto e Cosimo Malesci,
due fratelli che studiano al MIT di
Boston e che stanno lavorando su una
tecnologia simile. Così – con quattro
soci fondatori, due nazioni e l’Atlantico
in mezzo – nasce Fluidmesh”.
77
Nelle due foto: un tratto della linea Ferrovie del Gargano,
una delle principali linee ferroviarie del Sud Italia, e la
metropolitana di San Pietroburgo. In entrambi i casi, il
sistema WiFi viaggia grazie a Fluidmesh.
Era il 15 gennaio 2005. L’incubazione al
Politecnico dura più di tre anni. “Sono
stati fondamentali. Avevamo a disposizione
degli spazi di lavoro e un servizio
di segreteria. Ma, soprattutto, lì dentro
abbiamo capito come trasformare
la nostra idea in un business concreto”.
Poi il primo ufficio in via Farini.
Oggi l’headquarter è all’81 di Prospect
Street, a Brooklyn, New York. La parte
di ricerca e sviluppo è rimasta in Italia.
E anche l’idea, in fondo, è rimasta
quella iniziale: dare connettività nelle
situazioni più difficili. Sono le situazioni
che sono cambiate. Non più il fotogiornalista
sportivo in gara allo stadio
con il collega. Ma – giusto per fare
un esempio – l’intera città di Charlotte,
nel 2008, durante la campagna elettorale
di Obama: Fluidmesh si è occupata
di tenere costantemente connesse tra
loro tutte le telecamere, per garantire
la sicurezza dell’evento. La stessa cosa
è accaduta durante la maratona di
Boston del 2014, l’edizione successiva a
quella funestata dall’attentato. Oppure,
ancora, in una miniera d’oro in Messico,
500 metri sotto il livello del suolo,
dove macchinari grandi come palazzi si
muovono coordinando i loro spostamenti
tramite le reti installate da Fluidmesh.
”Abbiamo pensato a una tecnologia
disegnata in maniera speciale,
che permette di non perdere mai la capacità
della rete”.
Dal 2005 ad oggi ha stabilito più di
30mila miglia di connessioni wifi. Poco
più della circonferenza dell’intero pianeta
Terra. “La nostra tecnologia è perfetta
per dare un’ottima connessione
anche ai treni, senza cadute di segnale.
Ma anche per permettere a mezzi senza
conducente – metropolitane, treni,
in futuro anche le auto – di circolare
in sicurezza: a Lione abbiamo fatto un
progetto di questo tipo. Siamo presenti
anche nel settore dell’entertainment,
collaborando con Disney e Universal
Studio, per i parchi di divertimento. Ad
esempio le attrazioni su rotaia, che si
muovono attraverso scenari magici,
egizi, pirateschi, ora grazie a noi non
hanno più le rotaie”.
Passando dal divertimento a qualcosa di
più concreto, Orioli consiglia sempre di
“guardare le cose per capire come funzionano,
e non solo per usarle. Capire
perché sono state pensate e disegnate in
quella determinata maniera. Questa forma
mentis la devo al Politecnico”.
"La città di
Charlotte
durante la
campagna
di Obama. La
maratona di
Boston. Una
miniera d’oro
in Messico.
Fluidmesh c’era
sempre"
78
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79
MILANO-LONDRA,
PASSANDO
PER LA NUOVA
ZELANDA
L’Alumnus Giuseppe
Bono ci racconta
di traguardi e orizzonti
internazionali,
e dell’importanza
di non dimenticare
le proprie radici:
i punti di partenza
di Nicola Feninno
GIUSEPPE BONO, 32 anni
Chapman Taylor Architects
Alumnus Polimi Architettura
80
“Girare il mondo
non significa
solo conoscere
nuove culture
ma soprattutto
comprendere
meglio la
propria”
Una carriera internazionale che parte
dal Politecnico, passa attraverso l’altra
parte del mondo, in Australia e Nuova
Zelanda, e giunge – per ora – a Londra,
negli studi di Chapman Taylor, dove
lavorano oltre 400 tra architetti e
designer nelle 18 sedi dislocate in giro
per il mondo. Giuseppe Bono in questo
momento sta lavorando alla progettazione
del Brent Cross Shopping Centre,
a Londra: circa un milione di metri
quadrati tra negozi, ristoranti, hotel,
infrastrutture e spazi pubblici. Negli ultimi
anni ha seguito la progettazione
architettonica di edifici su varie scale,
partendo dal design di interni sino
a giungere al masterplanning di centri
multifunzionali (aree urbane dove
si mescolano strutture commerciali,
residenze, infrastrutture, hotel e spazi
pubblici) in diverse parti del mondo.
Ha solo 32 anni.
Iniziamo dal primo passo: come sei arrivato
da Milano alla Nuova Zelanda?
Facendo un corso d’inglese ad Oxford,
appena dopo la laurea, nel 2012. E poi
interrompendo un dottorato in composizione
architettonica. Mi sono guardato
in giro: a Auckland ho trovato l’opportunità;
e ho fatto le valigie. Sono arrivato
in un ufficio piccolo, molto più
piccolo di quello in cui sono ora. Lo
studio funzionava in maniera binaria,
ovvero da un lato come un tradizionale
studio di progettazione e dall’altro
come una società che si occupava
dell’importazione di prodotti e tecniche
costruttive europee. In Oceania gli
edifici residenziali sono per la maggior
parte costruiti in legno oppure in blocchi
di cemento. Non ci sono i laterizi
forati che si usano da noi.
E sono piaciuti, i nostri forati, in
Oceania?
Sì, li abbiamo utilizzati principalmente
per la costruzione di ville singole e
complessi residenziali. Le finiture, poi,
venivano realizzate con altri prodotti,
sempre di importazione europea: marmi,
intonaci, mattoni, ceramiche. L’obbiettivo
era quello di offrire alle persone
una qualità diversa dell’abitare
e del vivere, una soluzione concreta
ai problemi costruttivi tipici in quelle
aree del pianeta.
Insomma hai tenuto ben presente da
dove arrivavi...
Già. Sembra un paradosso, ma girare
il mondo non significa solo conoscere
nuove culture ma soprattutto comprendere
meglio la propria. In Italia
tornerei, ma solo con un progetto serio
e concreto. Abbiamo una grande storia,
una grande cultura; ma dovremmo imparare
ad avere una visione dinamica
di questo patrimonio.
C’è qualche momento degli anni del
Politecnico che ritieni prezioso, fondamentale
per le tue scelte di oggi?
La prima cosa che mi viene in mente
sono le lezioni di composizione architettonica
del mercoledì mattina. Quelle
coordinate dal professor Guido Canella.
Erano opportunità imperdibili per
conoscere grandi figure del panorama
architettonico nazionale ed internazionale
e per nutrire in maniera onnivora
la propria conoscenza. Erano giri intorno
al mondo, seduti dietro i banchi
di scuola. In generale, mi ritengo molto
fortunato ad aver frequentato gli ultimi
anni dei corsi di Architettura in Bovisa:
in quei luoghi ho imparato la misura
umanistica dell’architettura italiana,
la visione dell’architetto come figura
intellettuale ancor prima che tecnica,
l’inestimabile importanza del libro
come deposito infinito di idee. Ho letto
tantissimo, in quegli anni; praticamente
tutto ciò che contenesse almeno
un punto e una virgola: dalla critica
di Longhi a quella letteraria di Contini,
dagli Scritti corsari di Pasolini a quelli
di critica operativa di Argan.
Un approccio umanistico e intellettuale,
che sembra diametralmente opposto
a quello del mondo anglosassone;
il mondo in cui lavori ora.
Sì, sia in Inghilterra che in Nuova Zelanda
si respira pragmatismo anglosassone
e devo ammettere che questo
mi piace molto. Sono sempre stato curioso
e attratto da ciò che non conosco.
Ecco, questa attitudine la devo in parte
anche a quegli anni in Bovisa e a quelle
lezioni del mercoledì mattina in cui
apprendevo i rudimenti di un’intellettualità
onnivora.
Se avessi di fronte un ragazzo che sta
per iscriversi ad Architettura, cosa gli
consiglieresti?
Di consigli veri e propri non ne do perché
sono superflui; ognuno vive la vita
alla propria maniera e secondo la
propria sensibilità. Mi limito a suggerire
solo una cosa: bisogna avere ben
chiaro da dove si parte altrimenti non
si arriva da nessuna parte. Le radici sono
importanti.
81
Stevenson House, Waikato (New Zealand)
“Al Politecnico ricordo giri
intorno al mondo, seduti
dietro i banchi”
Westgate Oxford Shopping Centre,
Oxford (United Kingdom)
82
83
GIULIO CESAREO - 62 anni
Presidente e AD Directa Plus
Alumnus Polimi Ingegneria Meccanica
L’INGEGNERE
CHE PULISCE
GLI OCEANI
di Valerio Millefoglie
Il grafene, un nuovo materiale con enormi
capacità di assorbimento, e un Alumnus
che immagina di utilizzarlo come una
spugna per ripulire le acque contaminate
da sostanze tossiche. Storia di una
startup diventata la più grande azienda
produttrice in Europa di fogli di grafene
84
La sede di Ad Directa Plus si trova
nel parco scientifico tecnologico di
ComoNExT, a Lomazzo (Co)
Un imprenditore, uno scienziato, un
top manager e un esperto di vendite si
ritrovano attorno al tavolo di un pub
di Cleveland, nell’Ohio. Non parlano
di sport ma di nanotecnologie. “Era il
2004 e ci chiedevamo come arrivare a
particelle molto piccole, che potessero
poi essere usate come super-additivo”,
ricorda oggi Giulio Cesareo, presidente
e Ad di Directa Plus, uno dei
più grandi produttori e fornitori, a livello
europeo, di prodotti a base grafene.
Nel 2010, pochi anni dopo quelle
“chiacchiere da bar”, sono i primi a firmare
il brevetto rilasciato dal Patent
Office Americano per la produzione
industriale e l’applicazione del grafene.
Il materiale viene lavorato attraverso
un procedimento originale che
permette a Directa Plus di realizzare
un prodotto naturale, chemical-free
e sostenibile, per applicazioni commerciali
in svariati settori; dal tessile
ai pneumatici, dai materiali compositi
sino alle soluzioni per la pulizia
dell’ambiente. “Il grafene può assorbire
fino a cento volte il suo peso - spiega
Giulio Cesareo - i sistemi utilizzati
finora assorbono una sola volta il proprio
peso. Immagini delle enormi spugne
che, immerse nelle acque contaminate,
riescono ad assorbire tonnellate
di quantitativi di olio. Il prodotto
presenta caratteristiche sostenibili,
perché può essere spremuto più volte
e alle fine del processo, una volta
ridotto a volumi limitatissimi, potrebbe
andare a finire negli additivi per gli
asfalti, rendendo la vita delle strade
più lunghe”. E proprio nel 2018 Directa
Plus stringe un accordo con Sartec
per sviluppare un sistema industriale
per il trattamento delle acque di processo
contaminate da petrolio, destinato
alla filiera dell’Oil&Gas e basato
sull’utilizzo di Grafysorber®, prodotto
da fogli di grafene.
Tornando indietro ai tempi da pionieri,
Giulio Cesareo racconta: “Come in
una storia americana, ci siamo chiusi
in garage a fare esperimenti strani. Ho
quest’immagine di me che giravo con
una saldatrice ad arco. Nessuno prima
di allora aveva pensato di espandere
il grafene a diecimila gradi centigradi,
una temperatura molto vicina a quella
del sole. In questo modo il materiale
esplode in modo violento, facendo sì
che i singoli piani di grafene si stacchino,
creando così dei fogli di grafite.
Ci siamo accorti che stava realmente
accadendo qualcosa di unico, abbiamo
scoperto che riuscivamo a non
danneggiare la natura cristallina del
carbonio, a non cambiargli le caratteristiche,
ritrovandoci così un materiale
in 2D, sensibile, trasparente e multidisciplinare.
E, cosa fondamentale,
senza utilizzare sostanze chimiche”.
La grafite è stata scoperta nel 1947 dal
fisico Philip Wallace, convinto però di
non poterla isolare. Cinquant’anni dopo
ci riescono i russi Andre Geim e
Konstantin Novoselov, utilizzando un
semplice nastro adesivo. Pochissimo
tempo dopo Giulio Cesareo apre Directa
Plus. “Siamo una società piccola
- spiega - ma che ha deciso di giocare
subito la partita globale. Volevo
trovare soluzioni applicabili nella realtà
industriale del presente, non del
“Abbiamo
scoperto
qualcosa di unico,
che può avere
applicazione
dal campo
farmaceutico
sino a quello
tessile e
ambientale”
85
“Con il grafene
volevo trovare
soluzioni
applicabili
nella realtà
industriale del
presente. Non
del futuro”
futuro. Sono un ingegnere meccanico
del Politecnico ma ho anche tanta
esperienza nel settore della strategia
aziendale, così ho detto: Andiamo nei
mercati esistenti, andando a validare
il nostro brevetto competendo con il
carbon black”.
Un ingegnere meccanico del Politecnico
che, in una vecchia foto presente
sul suo sito, regge un cartello in mano
ai bordi di una strada. “Ero in Inghilterra
e facevo l’autostop, partecipavo
a un percorso ecologico con un
gruppo internazionale per ripulire un
fiume. Eravamo diretti a Capo Nord
e credo che su quel cartello ci fosse
scritta una località in cui nemmeno
arrivava la strada. Immaginavo un
mondo tutto da scoprire e ancora credo
ci sia tanto da scoprire. Il mio patto
con la vita è questo: l’innovazione
ha senso se ci permette di vivere in un
mondo migliore. L’innovazione che ti
porta in un mondo diverso, peggiore,
o che ti fa usare materiali difficili da
recuperare, deve essere una visione
passata. E i nanomateriali sono sostenibili,
e aumentano in maniera stratosferica
le loro proprietà”.
Dopo quel viaggio in Inghilterra, Cesareo
prende la strada del Politecnico,
anche grazie al padre. “Era un ingegnere
e dirigeva le acciaierie Falk.
Mi aveva affascinato portandomi sul
suo posto di lavoro. All’epoca c’era
poca automazione, parliamo degli anni
’70. Era un mondo di persone toste,
di gente che faceva qualcosa anche di
pericoloso e con grande coraggio e fatica.
Ho fatto la mia tesi sperimentale
proprio sul forno elettrico della Falq.
E devo dire che trovo delle similitudini
con il Poli. Al Politecnico si impara
non solo l’ingegneria ma anche a fare
fatica. S’impara prima di tutto a impegnarsi,
a concentrarsi e ad avere un
pensiero profondo. Tanti si concentrano
in periodi brevi, ma se si vuole
arrivare alla comprensione ultima e
portare avanti un’attività bisogna sapersi
concentrare a fondo. E questa è
una caratteristica che ritrovo anche
in tanti giovani che lavorano da noi in
Directa e che provengono dal Politec-
In queste foto granuli di grafene
e una dimostrazione del procedimento
di Grafysorber®
86
nico. Sono tutti ragazzi che potrebbero
andare a lavorare in Silicon Valley
ma rimangono qui perché hanno un
sogno. E hanno la capacità di arrivare
per vie diverse a soluzioni sempre interessanti,
non sempre corrette. Ma il
grande dono di questa scuola è il saper
farti trovare il tuo percorso. Chi
viene fuori da questa scuola ha tante
carte per realizzare ciò che desidera”.
All’ingresso delle Officine del Grafene,
sede di Directa Plus, nel polo tecnologico
di ComoNExT, c’è questa frase
scritta sul muro: “Senza coraggio non
si inizia un viaggio”. Cesareo la spiega
così: “Quando abbiamo inaugurato
le Officine nel 2014 mi è stato chiesto
come volessi condensare i miei
ultimi dieci anni di vita da imprenditore.
Il coraggio per me è stato lasciare
una grande multinazionale nella quale
lavoravo, la Union Carbide, e partire
da zero, senza salario, cercando di
costruire qualcosa. Il viaggio è stato
mettermi in cammino, mostrando
ad altri imprenditori solo la mia faccia
e un pezzo di carta con sopra un’idea.
E, infine, devo dire che il viaggio
è stato proprio quello nel grafene,
un’esperienza che parte dal macro
per poi arrivare al micro, ma anche
un viaggio personale, fatto di incontri
umani”. Oggi Directa Plus è stata
quotata all’AIM di Londra, capitalizzando
più di 52 milioni di sterline, e
conta 30 dipendenti nella sede di Lomazzo,
in provincia di Como. E ancora
una volta, il Poli ha fatto la sua parte.
“Una volta avviata la startup cercavamo
un luogo dove installarci, eravamo
indecisi se Germania o Italia. Poi sono
andato a visitare il parco tecnologico
di ComoNExT su invito di Roman
Sordan, un insegnante del Poli che in
uno scantinato aveva realizzato il primo
chip al grafene. Con lui lavoravano
studenti brillanti e mi sono detto
che quella era la mia patria. La fonte
da cui attingere. Pensi che ComoNExT
è stato costruito dove prima c’era una
vecchia stazione ferroviaria. Chi viene
dall’estero commenta: «Solo gli italiani
possono fare alta tecnologia in una
stazione di fine ‘800»”.
“Al Politecnico
si impara non
solo l’ingegneria
ma anche a fare
fatica. Ad avere
un pensiero
profondo”
87
Nella foto, da sinistra:
Alberto Lucchini, Giulia Realmonte,
il prof. Enrico Zio, Alessio Durante e
Serena Farina
I RAGAZZI
DEL CIRCLE
Ogni anno il Politecnico sceglie 2 studenti da premiare, su criteri di
merito accaddemico, con “super” borse di studio da 20 mila euro,
accompagnate da un percorso di mentoring con Alumni d’eccellenza.
Ecco chi sono e cosa vogliono fare da grandi i 4 studenti che hanno vinto
la borsa Circle del 2016
88
ALESSIO DURANTE
24 anni - Teramo
“Quella dei Circle è un’opportunità
unica in Italia. Nessun’altra
università valorizza
in questo modo i propri studenti
migliori.”
Laureato a luglio 2018 in Ingegneria Elettrica (magistrale) con 110 E LODE!
“Sono davvero onorato di essere entrato nei Circles. Sto imparando a dare sempre
il massimo, raccogliendo tutte le sfide che si presentano. E sto apprezzando
il valore delle soft skills, talvolta anche più importanti delle technical skills,
ed in genere difficili da apprendere dai corsi universitari di Ingegneria. Penso sia
un’opportunità unica in Italia. Nessun’altra università valorizza in questo modo
i propri studenti migliori. Al termine del mio percorso di studi mi piacerebbe
avere un ruolo attivo nella trasformazione del sistema elettrico, sempre più influenzato
dalle rinnovabili, dalla digitalizzazione e dalla crescente diffusione di
veicoli elettrici”.
Secondo anno magistrale di Ingegneria Elettronica
“Sono contenta di essere entrata a far parte di Circles, in un certo senso rappresenta
la ricompensa per gli sforzi di questi anni. Ho sempre cercato di essere protagonista
attiva nello studio e di non vivere da semplice spettatore un momento di formazione
e di crescita personale. Credo sia importante cercare di capire come quello che ci
viene fatto studiare si colleghi con la realtà. Circle è un primo passo che permette a
noi studenti di avere una relazione significativa con mentor di alto livello e confrontarsi
con le loro esperienze. In futuro mi piacerebbe avvicinarmi al mondo della ricerca,
sono particolarmente affascinata dalla grande sinergia fra i problemi dell’ambito
biomedico e le tecnologie messe a disposizione dall’Elettronica, ma sarei curiosa di
conoscere qualcosa in più sul Machine Learning e l’Artificial Intelligence”.
SERENA FARINA
23 anni - Milano
“Circle è un primo passo che
permette a noi studenti di
avere una relazione significativa
con mentor di alto livello
e confrontarsi con le loro
esperienze”
ALBERTO LUCCHINI
23 anni - Sedriano
“Il Politecnico è pieno di
studenti brillanti e con molti
interessi e perciò è davvero
un motivo d’orgoglio
aver ottenuto questa borsa
di studio”
Secondo anno magistrale di Ingegneria Automazione
“Il Politecnico è pieno di studenti brillanti e con molti interessi e perciò è davvero
un motivo di orgoglio aver ottenuto questa borsa di studio. Nello studio cerco di
essere molto preciso e di non trascurare nessun dettaglio. Credo che l’insegnamento
più importante del Politecnico sia quello di non accontentarsi facilmente
e di non fermarsi di fronte alla prima difficoltà. L’impegno e l’entusiasmo sono
un fattore decisivo per raggiungere i propri obiettivi. Inoltre la grande ricchezza
dei Circles risiede nell’esperienza di tutte le persone che ne fanno parte, compresi
gli studenti. L’ambiente universitario mi piace molto e dopo la laurea vorrei
ottenere un Ph.D., magari all’estero. Inoltre mi piacerebbe lavorare nel settore
dell’automazione industriale, in particolare della robotica.”
Laureanda magistrale in Ingegneria Energetica
“È molto bello sentirsi parte di questa community di Alumni con un paio d’anni
d’anticipo, mi sto rendendo conto di quanto deva all’impostazione politecnica il
modo di affrontare tutti i problemi e le sfide che incontro. Mi piace ascoltare le storie
dei donatori e ricevere consigli da chi ha accumulato esperienza tramite le scelte
e gli errori fatti in passato. Parlando con loro ci si sente tutti quasi sullo stesso
piano, in quanto accomunati dall’aver condiviso gli stessi banchi, e direi anche le
stesse sofferenze. I Circles mi danno la possibilità di capire cosa ci sarà un domani,
fuori dai confini dell’università e delle aule. Vorrei trovare un lavoro legato al tema
dell’energia, perché penso che la transizione energetica che stiamo vivendo a livello
globale sia una sfida affascinante e stimolante”.
GIULIA REALMONTE
24 anni - Milano
“È molto bello sentirsi parte
di questa community di Alumni
con un paio d’anni di anticipo
e ricevere consigli da
chi ha accumulato esperienza
tramite le scelte e gli errori
fatti in passato”
Circle of Donors è un progetto del Politecnico di Milano per supportare i migliori studenti con borse di studio abbinate ad
un supporto personale di Mentoring. Gli studenti selezionati ricevono 10.000 euro all’anno per i due anni della laurea magistrale.
Le borse di studio sono volute e finanziate dagli Alumni: ciascun donatore si impegna a donare 2.000 euro all’anno
per 5 anni e a incontrare gli studenti selezionati almeno due volte all’anno, condividendo esperienze e consigli per il loro
futuro professionale. il progetto è stato lanciato nel 2016 e da allora sono stati scelti 4 studenti; i prossimi due verranno
“adottati” da Circle a partire da ottobre 2018. Per sostenere il progetto contatta alumni@polimi.it
SCOPRI I DONATORI
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GLI ALUMNI
DONATORI
Il progetto, lanciato nel 2016, coinvolge ad oggi
23 Alumni Polimi e amici del Poli che hanno
donato oltre 100.000 € in borse di studio.
ROBERTO
BELTRAME
AD MICROELETTRICA SCIENTIFICA
ALUMNUS INGEGNERIA MECCANICA 1988
ALESSANDRO
CATTANI
CEO ESPRINET
ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1990
PAOLO
CEDERLE
VICE PRESIDENTE EVERIS ITALIA SPA
ALUMNUS INGEGNERIA MECCANICA 1987
PAOLO ENRICO
COLOMBO
EXECUTIVE VICE PRESIDENT TXT E-SOLUTIONS
ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1980
GIAN PAOLO
DALLARA
FONDATORE E PRESIDENTE DALLARA AUTOMOBILI
ALUMNUS INGEGNERIA AERONAUTICA 1957
ENRICO
DELUCHI
FONDATORE E AMMINISTRATORE DELEGATO
ATANDIA SRL - IMPACT INVESTING INITIATIVES
ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1987
LUIGI
FERRARI
CEO LIMA CORPORATE
ALUMNUS INGEGNERIA GESTIONALE 1992
GUGLIELMO
FIOCCHI
CEO E FOUNDER GF4BIZ
ALUMNUS INGEGNERIA AERONAUTICA 1986
ANGELO FUMAGALLI
ROMARIO
PRESIDENTE E AD SOL
ALUMNUS INGEGNERIA CHIMICA 1982
MARIO
GAIA
FOUNDER & HONORARY CHAIRMAN TURBODEN
ALUMNUS INGEGNERIA MECCANICA 1968
NICOLA
GAVAZZI
MANAGING DIRECTOR E COUNTRY MANAGER RUSSELL
REYNOLDS ITALIA
ALUMNUS INGEGNERIA CHIMICA 1979
LUCIANO
GOBBI
SENIOR ADVISOR LANDMARK GROUP
ALUMNUS INGEGNERIA NUCLEARE 1977
ARCHITETTURA 1982
ALBERTO
IPERTI
PRESIDENTE TERNA RETE ITALIA
ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1989
ANDREA
LOVATO
CEO TENOVA
ALUMNUS INGEGNERIA GESTIONALE 1989
MASSIMO
LUCCHINA
EXECUTIVE DIRECTOR SAMSUNG ELECTRONICS
ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1990
ANDREA
MANFREDI
INTERNAL AUDITOR INTESA SAN PAOLO
ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRICA 1978
MARCO
MILANI
PRESIDENTE VALLESPLUGA
ALUMNUS INGEGNERIA CHIMICA 1967
RICCARDO
MONTI
PRESIDENTE BCG - THE BOSTON
CONSULTING GROUP
ALUMNUS INGEGNERIA CIVILE 1984
ALBERTO
ROSANIA
CONSULENTE INDUSTRIALE FINANZIARIO
ALUMNUS INGEGNERIA ELETTROTECNICA 1964
90
STEFANO
SALTERI
FORMER CEO WINCOR NIXDORF
ALUMNUS INGEGNERIA ELETTRONICA 1979
FRANCESCO
STARACE
AD ENEL
ALUMNUS INGEGNERIA NUCLEARE 1980
ENRICO
ZAMPEDRI
AD METRA
ALUMNUS INGEGNERIA GESTIONALE 1992
ENRICO
ZIO
PRESIDENTE ALUMNIPOLIMI ASSOCIATION
ALUMNUS INGEGNERIA NUCLEARE 1991
NOI E LORO:
PROFESSORI VS STUDENTI
Fenomenologia semiseria di una lotta eterna
LAMBERTO DUÒ
56 ANNI
ALUMNUS POLIMI
INGEGNERIA ELETTRONICA
VS
Io credo che l’unica differenza fra professore e studente sia
anagrafica. Sono stato studente, e non ero meno intelligente
di quanto lo possa essere oggi. Ero più giovane, più spensierato,
ma ero sempre io. Infatti agli studenti do del “tu”. Alcuni
colleghi mi dicono che non va bene, ma per me è proprio
un modo per non rimarcare, al di là dei ruoli, la differenza.
Quello che posso dire, rispetto al passato, è che gli studenti
di oggi mi sembrano più educati, più disciplinati, ma anche
più silenti. E il che non è una cosa esclusivamente positiva. Ho
la sensazione che se entrassi in aula e annunciassi con grande
serietà e convinzione: “Ragazzi, oggi facciamo ginnastica
sotto il sole”, mi seguirebbero tutti. Quando io ero studente
non sarebbe successo. Ricordo che eravamo una generazione
più appassionata, accesa nelle discussioni, intraprendente,
che provava a buttare il cuore oltre l’ostacolo. Forse adesso i
ragazzi hanno un pochino meno quella cosa che definirei “fame”.
Durante la lezione fatico a ricevere feedback, a capire se
stanno capendo e, soprattutto, se a loro interessa di capire.
A volte questo approccio poco consapevole lo ritrovo all’ultimo
esame, quando chiedo allo studente “Cosa intendi fare
dopo la laurea?” e mi risponde spiazzato “Come cosa intendo
fare dopo?”. Non c’è un “dopo vedrò”, è oggi che devi
decidere cosa fare della tua vita. Capire cosa vuoi fare, ti fa
capire chi sei e anche chi non sei. Un’altra cosa che mi fa arrabbiare
è quando piangono durante gli esami. Lo trovo ingiusto.
Mi verrebbe da dire: “Siamo qui, non ti sto torturando,
tieni duro e andiamo avanti”. Pretendo, in sede d’esame,
che vadano al di là della pagina letta e studiata, che mi facciano
un collegamento, che mostrino insomma di aver costruito
una loro impalcatura di pensiero. Detto questo, a me
lo studente piace. Fa le sue cose, nel bene e nel male. E una
cosa che dico spesso a lezione è di mantenere un approccio
problematico allo studio, ovvero quella capacità di reggere il
dolore interiore per l’impossibilità di comprendere tutto. Le
cose sono difficili, non si capiscono, ci sono tante domande
a cui non sappiamo rispondere.
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Uno è professore di Fisica Sperimentale al Politecnico di
Milano dal 1999, l’altro è studente di Ingegneria dal 2014.
In comune hanno l’aula, che condividono prendendo
posto uno di fronte all’altro. Li abbiamo fatti incontrare
e fatti sedere accanto, per dirsi tutto
S
MICKEY MARTINI
23 ANNI
STUDENTE DI
INGEGNERIA FISICA
Illustrazione di Alessandro Baronciani
Ho avuto Lamberto Duò come professore. Non penso sia severo.
Più che altro se a un esame uno studente sbaglia, è
giusto che lo sia. Poi c’è una severità giusta e una fine a se
stessa. Comunque la difficoltà dell’esame dovrebbe essere
tale da spronare e invogliare lo studente a studiare parecchio
e a ragionare. Non so se oggi, rispetto al passato, siamo
più menefreghisti. Non c’ero, non so come fosse prima.
Nel mio caso specifico, quando ho una domanda, il professore
è l’ultima spiaggia a cui porla. Non lo trovo utile. Se
ho un dubbio e gli chiedo subito delucidazioni, mi perdo la
possibilità di trovare da solo la risposta. Di arrivare alla soluzione
senza aiuto. E poi , certo, c’è anche la paura di mettersi
in gioco, quel misto di timore e insicurezza che ti scoraggiano,
che ti fan pensare che la tua domanda sia di poco
conto, non così intelligente o acuta. Nei miei compagni
di studio però vedo molta forza di volontà. Tutti studiano lo
stesso quantitativo di ore. Rimangono fino a tardi in aula
studio, fino alla chiusura. Poi tornano a casa e continuano
a studiare. Magari è meno visibile quell’approccio quasi “fisico”
di discussione che poteva esserci una volta, però per
parlare di ostinazione e di “fame”, vorrei portare un esempio
personale. Al secondo anno ho dato tre volte l’esame di Tecnologie
Meccaniche, materia che confesso non era fra i miei
primi interessi e che mi dava solo 5 crediti, per cui avrei potuto
accettare anche un voto basso. Alla prima sessione rifiutai
25 all’orale. La seconda volta mi propose 24, ma c’era
una domanda dello scritto che secondo me era stata valutata
troppo bassa. Il professore mi propose di alzare il voto di
+0,5, per arrotondare a 25, e così rifiutai. Tutto questo a fine
luglio, per cui tornai a settembre. Durante l’esame mi chiese
“Secondo lei come sta andando?”. Voleva propormi 25, poi mi
fece altre due domande e mi diede 27. Riguardo al cosa fare
dopo, so che vorrei fare il PhD. Poi, per fortuna, ho tante domande
ancora senza risposta.
93
94
1968 – 2018
Cinquant'anni
nella nostra piazza
Da cinquant’anni piazza Leonardo da
Vinci è teatro di vita. Come in questo
scatto, realizzato dall’allora studente
di Architettura Walter Barbero.
Si sarebbe laureato l’anno successivo,
per poi diventare, come ce lo
descrive l’Alumnus Stefano Levi Della
Torre: “un sommozzatore, un architetto,
uno scrittore, un antropologo, un
navigatore su gozzi dall’arcaica velatura
triangolare, un fotografo scientifico
e poetico, un collezionista di meraviglie,
un designer, un restauratore
di città. La persona più cubista che io
abbia conosciuto”. Barbero è venuto a
mancare nel 2010. I suoi punti di vista,
rimangono. Così come rimane Piazza
Leonardo, ancora teatro di vita e di
giornate. Di momenti indimenticabili.
Per la concessione della fotografia si ringrazia l’Archivio Walter Barbero
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Lettere alla redazione
POLIMI E DUOMO DI MILANO:
UNA LUNGHISSIMA STORIA
D’AMORE, AVANGUARDIA
E TRADIZIONE
Sono un vecchio ingegnere, un vecchio Alumno, un vecchio professore del Politecnico. Sono anche un vecchio
milanese. Infine, sono anche un vecchio figlio di un altro professore del Politecnico, Piero Locatelli, docente e
Direttore dell’Istituto di Scienza delle Costruzioni per moltissimi anni.
Ho letto con interesse l’articolo contenuto nel terzo numero di MAP, che tratta della collaborazione tra
Politecnico e Veneranda Fabbrica del Duomo. La collaborazione tra il Poli e la Veneranda non è nuova. Già
negli anni ’60 del secolo scorso, mio padre fu nominato Presidente della commissione prefettizia incaricata di
sovrintendere i lavori di ripristino del Duomo allorché si palesarono rimarchevoli lesioni nei pilastri del tiburio,
ci si accorse che le catene delle arcate a sostegno della cupola si erano rotte e dovevano essere sostituite,
ci si avvide che alcuni pilastri erano “fuori piombo”. La situazione apparve allora così compromessa che si
ventilò persino d’inibire totalmente l’accesso alla Cattedrale. Alla Commissione, tra l’altro, fu affidato la grande
responsabilità di decidere in merito al problema di lasciare il Duomo aperto, almeno in parte, ai visitatori.
Fu studiato, dalla Commissione, un piano di intervento, si misero in opera nuove catene, si progettò un sistema
rivoluzionario di riparazione dei pilastri ammalorati del tiburio, fu organizzato un rilievo delle lesioni visibili dei
pilastri, blocco per blocco, dalle basi ai capitelli. Fu costruito un modello di uno dei quattro pilastri del tiburio
(non a caso, il Poli ha fatto scuola in tutto il mondo nell’arte della modellazione delle strutture). Il modello
di pilastro fu caricato, portato a rottura parziale per simulare le lesioni osservate, riparato, seguendo la
metodologia di cui ci si voleva avvalere, e infine caricato di nuovo per cogliere il funzionamento della struttura
dopo l’intervento di restauro.
Accanto: il prof Piero Locatelli
e un’immagine del Duomo di Milano
durante il suo piano d’intervento.
Nella pagina a destra: appunti delle lezioni,
il prof. Locatelli con l’allievo Leo Finzi
e le fasi di rinforzo del restauro
dei piloni del tiburio del Duomo
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Gli esiti soddisfacenti dei test consentirono di intraprendere i lavori, al vero, in Duomo. Un formidabile impianto
di rilievo dati fu installato, con trasmissione di segnali a distanza, utilizzo di rilevatori elettrici di componenti
di spostamento, monitoraggio di stati tensionali con estensimetri elettici, eccetera. C’era anche un pendolo
installato ai piedi della Madonnina che rivelò come la guglia, come ovvio, rispondesse con ritardo alle
variazioni termiche, trasmettendo i dati rilevati negli uffici della Veneranda Fabbrica. Ci fu un terribile danno
quando un fulmine colpì il Duomo danneggiando gran parte della strumentazione elettrica installata. Ricordo
anche che l’Istituto di Topografia del Poli collaborò alla vicenda del restauro e dei necessari controlli mettendo
a punto una nuova metodologia di rilievi ottici particolarmente complessi.
Regista, mente progettuale di tutto questo rivoluzionario procedimento, che all’epoca fece scalpore tra i cultori
della materia, fu la Commissione Prefettizia di cui facevano parte, oltre a Piero Locatelli, Leo Finzi e Guido
Mangano, che in moltri, tra i miei colleghi Alumni, ricorderanno per aver seguito le loro lezioni.
Anche questi miei ricordi rappresentano solo una piccola parte della storia politecnica e delle eccellenze
tecnologiche di cui tutti noi siamo stati e siamo partecipi. Dobbiamo essere orgogliosi della nostra grande
tradizione e non dimenticarla, nemmeno oggi che tanto si parla di futuro e innovazione.
Marco Locatelli
Alumnus ing. Aeronautica 1956
Membro di una famiglia politecnica da 4 generazioni
RISPONDE IL PROF. DELLA TORRE
Direttore Dipartimento di Architettura,
Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito
"Mi fa molto piacere che Marco Locatelli abbia
voluto riaprire il tema della memoria storica
dei rapporti del Politecnico con la Fabbrica del
Duomo. L'intervento di consolidamento dei
pilastri del tiburio avvenne mentre ero studente,
ne ho un ricordo fortissimo, e mi capita spesso
di illustrarne l'esemplarità: da ultimo, ci siamo
ispirati a quell'intervento per la riparazione dei
pilastri delle navate della Basilica di Collemaggio
a L'Aquila. Il fine dell'intervista a cui mi sono
prestato era quello di informare sulle attività in
corso, non certo quello di rendere giustizia a una
storia secolare, di cui ci sentiamo fortunati eredi."
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Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura
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