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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 9 - Ottobre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
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Sommario ottobre 2020
I quadri del mese
Margherita Biondi, Nella pianura empolese, acrilico su tela, cm 50x60
biondimargherita@gmail.com
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Le cosmogonie di Wang Yancheng in mostra a Firenze
Le opere monumentali dello scultore Gabriel Diana
Intervista a Gianni Berengo Gardin, maestro del bianco e nero
Gjon Mili, pioniere del movimento in fotografia
Un libro e un museo per ricordare il tenore Amedeo Bassi
Claudio Cionini, pittore delle metropoli moderne
Il doppio volto della realtà secondo Roberto Carradori
I Ferrari, un’antica bottega di maestri artigiani
Mariangela Bartoloni, la designer dei cerchi del benessere
L’opera d’arte come marchio registrato: il caso Banksy
Il fascino della geometria nelle opere di Franco Cappelli
Benessere della persona: il potere del succo biologico d’uva
Dimensione salute: i rischi della frittura per la salute
Psicologia oggi: la breve vita degli amori estivi
Maria Concetta Guaglianone: pittura tra colore e materia
Animali e natura nelle opere di Maria Chiara Viviani
Incontro con Mauro Mari Maris, autore di “Vita…vita”
La saga dei Medici nella detective story di Renato Campinoti
Emozioni sul pentagramma con le antologie di Laura Molteni
Duilio Baronti, una zimarra con attaccapanni
Enzo Verdelli: la pittura come finestra spalancata sull’universo
Antonio D’Antini, pittore dell’inconscio al Terme Beach Resort
Intervista ad Alessandro Ruggiero, professionista del teatro
Cultura e società: la nuova vita delle librerie universitarie
Il primo raduno dei Ferraristi Toscani Club Sieci in Mugello
Gianni De Magistris, icona della pallanuoto e tifoso viola
Claudio Parigi: l’orgoglio di essere viola
Professionisti in Toscana: lo Studio Micheloni a Firenze
Sandra Petreni, dentro ed oltre l’illusione del colore
La Cina di ieri, oggi e domani nel film di Jia Zhangke
Dalla tela all’affresco, l’iter artistico di Andrea Tani
La seconda edizione della rassegna Aqvart a Venezia
John Singer Sargent, eccellente ritrattista da Firenze al mondo
Daniele Ortolani, artigiano della scarpa su misura
Mara Faggioli: l’invito alla gioia di un’artista a tuttotondo
Simona Tesi, pittrice delle donne per celebrare la vita
Paolo Baratella, lo chef fiorentino della cucina vegana
Arte del vino: il gioco degli abbinamenti con i primi di mare
Un ricordo della poetessa Clara Nistri Bellucci
Il cuore lirico del poeta fiorentino Claudio Parigi
Il valore della preghiera per Santa Teresa di Calcutta
La fotografia, oggetto da collezione da Ditutto Dipiù
L’inquietudine giovanile nella pittura di Letizia Bensaia
La cultura per ripartire con il Movimento Life Beyond Tourism
B&B Hotels Italia: una nuova struttura nel centro di Milano
Bianca Piovano riconfermata alla presidenza nazionale di ONAS
Il Ponte di Rialto, capolavoro di Antonio da Ponte a Venezia
Civita Centola, Lorenzo il Magnifico (2020), olio su tela, cm 60x40
civitinacentola@gmail.com
La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 9 - Ottobre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
In copertina:
Wang Yancheng
Senza titolo, olio su tela
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze
Tel. 333 3196324
lanuovatoscanaedizioni@gmail.com
lanuovatoscanaedizioni@pec.it
Registrazione Tribunale di Firenze
n. 6072 del 12-01-2018
Iscriz. Roc. n. 30907 del 30-01-2018
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Anno 3 - Numero 9
Ottobre 2020
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arte e cultura
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Testi:
Cristina Acidini
Laura Belli
Giancarlo Bianchi
Paolo Bini
Margherita Blonska Ciardi
Doretta Boretti
Fabrizio Borghini
Lorenzo Borghini
Erika Bresci
Claudio Caioli
Viktorija Carkina
Jacopo Chiostri
Nicola Crisci
Maria Grazia Dainelli
Massimo De Francesco
Francesca Di Natali
Simona Donati
Aldo Fittante
Stefano Francolini
Giuseppe Fricelli
Paola Giusti
Stefano Grifoni
Stefania Macrì
Elisabetta Mereu
Emanuela Muriana
Claudio Parigi
Lucia Petraroli
Elena Maria Petrini
Antonio Pieri
Gianna Pinotti
Daniela Pronestì
Valter Quagliarotti
Stefania Reitano
Barbara Santoro
Vittorio Sgarbi
Franco Tozzi
Francesca Vivaldi
Foto:
Gianni Berengo Gardin
Margherita Blonska Ciardi
Alberto Camilletti
Roberto Carradori
Marco Chiti
Mali Maeder
Teti Marchetti
Gjon Mili
Barbara Santoro
Silvano Silvia
Marika Susinni
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Firenze
Mostre
Wang Yancheng
Le cosmogonie del celebre artista cinese in mostra a
Firenze all’Accademia delle Arti del Disegno
di Cristina Acidini
Se un atelier d’artista potesse parlare,
racconterebbe le infinite
storie dell’artista stesso: l’ispirazione,
il lavoro, gli esperimenti, i dubbi,
i momenti di sofferenza e d’estasi.
Se nello studio di Wang Yancheng anche
soltanto il pavimento potesse parlare,
sarebbe il testimone d’eccellenza
del percorso compiuto dal pittore verso
una dimensione delle tele sempre più
dilatata e accogliente − così da richiedere
non più il cavalletto ma la lavorazione
in orizzontale al suolo, sull’esempio
del grande Jackson Pollock − e verso un
esercizio della pittura che invita il colore
ad abbattersi sul supporto fluttuando
e debordando dai confini, fino a lasciare
sul pavimento profili casuali e vivide
chiazze. Reperti d’imprese già compiute,
quelle tracce di colore si sovrap-
Wang Yancheng
pongono, come nelle antiche moschee
gli infiniti tappeti che si usava stendere
l’uno sull’altro, ottenendo una stratificazione
nella quale il significato storico
prevale sul valore artistico. Il pavimento,
se interrogato, potrebbe parlarci dell’approdo
di Wang Yancheng alla sua maniera
attuale, che secondo la definizione
formulata dalla critica cinese potremmo
definire della “dispersione di sé”, provenendo
da una formazione tradizionale
che parte da lontano nel tempo e nei
riferimenti culturali. Wang Yancheng infatti
dipinge da quando aveva quattordici
anni, apprendendo la nobile scienza
della calligrafia e familiarizzando con
l’arte attraverso la collezione del padre,
industriale deportato durante la Rivoluzione
culturale. Nell’orizzonte estetico
di Wang Yancheng è passato il Realismo
socialista di matrice russa, con il
suo impianto figurativo naturalistico sostenuto
dalle indiscutibili certezze della
politica di regime, ma vi ha poi brillato,
come una fatale meteora, la mostra
di pittura francese a Pechino nel 1978.
Fu forse quella la principale fonte d’ispirazione
per la sua scelta di emigrare,
in tempi in cui le riforme politiche aprivano
la Repubblica Popolare alla cultura
occidentale, e di stabilirsi in Francia,
non lontano da Parigi. Da allora, allontanandosi
dalla figura e dal ritratto, la sua
espressività artistica si è indirizzata alla
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WANG YANCHENG
ricerca di una nuova e personale sintesi
tra la pittura cinese tradizionale e l’arte
europea, con l’Impressionismo al primo
posto: una ricerca che ha attraversato
la fase dell’astrattismo lirico messo
a punto da Zao Wou-ki, avvicinandosi al
magistero di Chu Ten-Chun, ma che ha
poi proseguito superando anche quella
fase, in un costante approfondimento
delle relazioni fra il mondo interiore
e l’universo esterno. Lo stile odierno di
Wang Yancheng, frutto della maturazione
compiuta negli ultimi anni, sembra
denotare la propensione all’astrattismo,
ovvero alla combinazione di forme e colori
dettata esclusivamente dai movimenti
interiori, alla ricerca d’una segreta
e indecifrabile armonia. Ma in effetti −
come i critici più sensibili hanno intuito
da tempo − mentre Wang Yancheng si
allontana dal vero naturale dell’immagine
fisica, rinunciando alle forme, consistenze
e colori della pittura figurativa, il
suo rapporto con la Natura si allarga e si
consolida, fino a mettere la sua pittura
in comunicazione diretta con le energie
che percorrono il pianeta: i movimenti
tellurici, le correnti delle acque, i turbini
dell’aria, i guizzi del fuoco. I quattro
elementi della filosofia fisica antica son
chiamati a ricostruire, attraverso il lavoro
di Wang Yancheng, un cosmo alternativo
a quello tangibile nel quale
trascorriamo le nostre brevi esistenze.
La dissoluzione virtuale del mondo
percepito mette a disposizione
dell’artista materie
primordiali pronte a
ricombinarsi, ancor fluide
e lucenti come mercurio,
specchianti come argento
fuso, petrose come roccia
lavica. E se le sue stesure
impetuose di tinte infinitamente
variegate possono
sembrare scaturite da
dentro la tela anziché applicate
su di essa, in realtà
è inevitabile prendere atto
che ogni strato, getto, soffio,
stria o piuma di colore
corrisponde a un’intenzione
progettata, maturata e
infine espressa. La Natura,
dunque, nella sua assenza
apparente è l’interlocutore
a distanza di Wang. Sono
le dense, ombrose foreste
dello Shandong, cariche di memorie
confuciane. Sono le profondità del Mar
Cinese, sono le altezze delle montagne
su cui spicca, come luogo di pellegrinaggio
nei secoli, il Monte Sacro di Taishan;
sono le luci, le tenebre, i suoni, gli
odori, le asperità e le morbidezze d’una
regione, d’un paese, d’un continente del
mondo. Attraverso il filtro della visione
individuale, Wang scompone e reinventa
un universo che mostra elementi
di affinità originaria con il mondo tangibile
proposto dai sensi.
I quattro elementi, lasciati
liberi di diffondersi nello
spazio, danno luogo a
nuove alchimie. Le stesure
di andamento orizzontale,
solcate da ineffabili riflessi
(fantasmi di fusti che
si specchiano in un’acqua
piatta), sembrano partire
là dove si sono fermati
gli Impressionisti, facendo
tesoro degli stagni
e delle ninfee di Monet.
L’insorgenza di una massa
verticale, color marrone
rugoso e muschiato,
fa pensare a un albero primordiale.
Le nubi cangianti
incombono gravide e
minacciose, e dai cieli rossi
sembrano pronte a scatenarsi
tempeste di sangue
o di sabbia desertica. Le plaghe vermiglie
hanno la potenza inarrestabile della
lava in un’eruzione. Le screpolature grigie
suggeriscono ghiacciai in ritiro, tra
affioramenti di rocce brune e residui di
vecchie nevi. La craquelure capricciosa
fa intravedere zolle spaccate dalla siccità
o intrise di sali, terre aride, rocce
ruvide. Le cortine compatte di verde,
sventagliate di chiazze rosa o gialle, raccontano
di primavere amabili e violente
in umide campagne coltivate. Ghiacci
di profondità insondabile prendono sfumature
di smeraldo. In questi paesaggi
mentali, creati attraverso la meditazione
che guida le proporzioni, gli accostamenti
e le sovrapposizioni dei colori,
può fare irruzione una scia luminosa, o
spalancarsi una voragine oscura. Avvicinare
l’arte di Wang Yancheng non
rappresenta una semplice esperienza
d’incontro con l’arte, foriera di emozioni
estetiche e psicologiche, ma una sollecitazione
a interrogarsi sulla natura profonda
delle cose e sul potere che l’uomo
ha, pur nella sua fragilità intrinseca, di
misurarsi col cosmo in modo diretto e
continuo: ponendo domande, formulando
risposte.
Dal 5 novembre al 29 dicembre 2020, le
opere del maestro Wang Yancheng saranno
in mostra all'Accademia delle Arti
del Disegno a Firenze per la personale
dal titolo Cosmogonie di colori.
WANG YANCHENG
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Ritratti
d’artista
Gabriel Diana
Le opere monumentali dello scultore italo-francese
di Aldo Fittante
Scultore atipico, con la sua casa
museo e atelier in Corsica, Gabriel
Diana è un artista la cui fama
è in costante crescita. Ingegnere di
formazione nella sua prima vita e artista
autodidatta nella seconda, opera
professionalmente nel campo dell’arte
da quasi vent’anni. Generalmente fuori
dai circuiti galleristici per non aver trovato
− come il maestro stesso afferma −
la “dovuta serietà”, continua a seminare
ovunque e con successo le sue sculture
di bronzo fuso a cera persa. Collezioni
private, musei e luoghi pubblici
sono i contesti preferiti dall’artista italo-francese
− toscano di nascita −, insignito
di importanti riconoscimenti sia in
Francia che in Italia. Da qualche anno,
la presenza di sue opere in Italia è cresciuta,
e se finora sono state apprezzate
soprattutto da collezionisti e intenditori
d’arte, adesso un’opera monumentale
è stata destinata ad un luogo pubblico,
segnando così un importante passo
avanti nella sua carriera. Sulla rotonda
principale che segna l’accesso al comune
di Collodi è stata installata una scultura
di cinque metri e mezzo di altezza,
tutta in bronzo e acciaio corten. L’opera
imponente rappresenta Pinocchio che
corre sulla cresta di un’onda alla ricerca
del babbo Geppetto ingoiato dalla balena.
A beneficiare di questa importante
creazione è la Fondazione Nazionale
Carlo Collodi presieduta da Pier France-
Donna corsa, Isola Rossa
sco Bernacchi, col quale l’artista intrattiene
un profondo rapporto di stima e di
amicizia. Se l’artista ama creare spesso
con la testa tra le nuvole, il rigore cartesiano
continua ad abitare l’uomo Dia-
Omaggio a Pascal Lota (fondatore della Corsica Ferries), Bastia
La lettrice, Porto Vecchio
Gabriel Diana con l’opera La bandana rossa, Ajaccio
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GABRIEL DIANA
La Sirena, Isola Rossa
Il gabbiano, Montecarlo
na che propone, sempre in bronzo fuso
a cera persa, il suo Pinocchio in quattro
dimensioni minori: diciassette centimetri
di altezza, ventotto, quarantacinque
ed un metro e venti per il modello più
grande. Oltre a quest’ultima eccellente
creazione, numerose altre sculture del
maestro sono collocate in luoghi pubblici
perlopiù in Francia. Rimanendo nel
campo delle opere pubbliche, un’attenzione
del tutto particolare va attribuita
ad un luogo voluto dallo scultore per lasciare
a beneficio dell’umanità un’indelebile
traccia del suo operato. Aperto al
pubblico nel 2009, il Dian’Arte Museum
si trova in Corsica, nei pressi di Bastia.
Questo museo copre una superficie di
4000 mq e comprende un’imponente
costruzione con un parco nel quale sono
esposti centinaia di lavori. Quadri della
serie Full-metal-painting ed altri realizzati
in collaborazione con l’artista francese
Dominique Beniza unendo insieme
paglia e bronzo; qualche marmo di Carrara
e piccoli bronzetti che crescono fino
a diventare monumentali, come la grande
piramide Tetraedro, di quasi sei metri
di altezza, e un ermafrodito etrusco, particolarmente
caro all’artista. L’imponente
spazio culturale ospita anche l’atelier
del maestro, dove sono state create centinaia
di opere. Questo luogo, interessantissimo
da visitare, non è sfuggito al
giornalista Fabrizio Borghini che, già nel
2019, vi ha realizzato un reportage andato
in onda su Toscana TV e visibile sul
suo canale youtube.
Dian’Arte Museum
5992, Route des Marines de Borgo
+33 (0)669240110
www.gabriel-diana.com
Monumento ai caduti, Biguglia
Venere alla conca, Bastia
Busto di Pasquale Paoli, Sartene
GABRIEL DIANA
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I grandi della
Fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Gianni Berengo Gardin
Intervista al maestro della fotografia italiana in bianco e nero
di Maria Grazia Dainelli / foto Gianni Berengo Gardin
Quando ha capito che avrebbe
voluto intraprendere la professione
di fotografo?
Ho iniziato come fotoamatore per sei
anni e ho poi deciso di intraprendere la
professione di fotografo all’inizio degli
anni Sessanta quando un mio zio che viveva
in America mi mise in contatto con
Cornell Capa, fratello del grande Robert,
che m’inviò alcuni libri di fotografi
americani. Presi ispirazione da alcuni
di loro, soprattutto Eugene Smith e Dorothea
Lang, che ai tempi pubblicavano
su Life e Magnum. Compresi che con la
fotografia potevo raccontare delle storie
ed è da allora che faccio il mio mestiere
cercando di farlo al meglio.
Nasce come fotografo in bianco e nero
e ancora oggi continua con questa
scelta, per quale motivo?
Sono nato con la televisione in bianco
e nero, appassionato di cinema francese
sempre in bianco e nero e la maggior
parte dei miei maestri utilizzavano questa
forma di rappresentazione visiva, a
cui mi sono ispirato con i miei reportage
perché secondo me il colore distrae chi
fa la foto e chi la legge.
Ha accumulato un archivio monumentale
di 2.000.000 di scatti e pubblicato
circa 260 libri. Come si arriva a
questi grandi numeri?
La mia prima pubblicazione risale al
1954 quando alcune delle mie foto furono
pubblicate su Il Mondo di Mario Pannunzio.
Successivamente, l’incontro con
un editore svizzero mi consentì di pubblicare
il libro su Venezia in bianco e nero.
Ebbe un grande successo non solo
per merito mio ma anche perché c’era
un testo di Giorgio Bassani e uno di Mario
Soldani; tale notorietà mi permise di
entrare a far parte del mondo della fotografia
professionale a tutti gli effetti, collezionando
da quel momento mostre in
tutto il mondo e numerose pubblicazioni.
Negli anni del boom economico si è
dedicato al reportage industriale lavorando
per Fiat, Ansaldo, Pirelli, Olivetti:
con questi importanti committenti
è riuscito ad esprimersi liberamente?
È stato un autentico privilegio lavorare
per Olivetti perché ho potuto apprezzare
il fermento culturale intorno a questa
grande azienda mantenendo intatta la
mia libertà espressiva. Si fidavano di me
e avevo un profondo rapporto di amicizia
con Giorgio Soavi. Scattare per Fiat
è stato molto più problematico perché
avevo alcune persone intorno che mi
controllavano quotidianamente.
Talvolta è stato accostato a Henri Cartier
Bresson per il lirismo della sua fotografia.
È lui il maestro del Novecento
a cui si è ispirato maggiormente?
Lavorando per due anni come cameriere
a Parigi e avendo molto tempo libero,
ho avuto il privilegio di conoscere grandi
scrittori e soprattutto grandi maestri
come Robert Doisneau. Fotografavo assieme
a lui ma non andavamo d’accordo
perché metteva in posa i suoi soggetti e
le foto erano costruite. Vorrei precisare
che da sempre mi definiscono il Cartier
Bresson italiano ma in realtà mi sento
il Willy Ronis italiano, per l’ammirazione
che nutro verso i suoi scatti ricchi di
un’umanità semplice ma gioiosa.
Ha raccontato, dal dopoguerra ad oggi,
l’emancipazione della donna, il
progresso sociale e civile. Cosa l’ha
spinta a dedicarsi al reportage?
L’impegno del fotografo non deve esse-
Parma, ospedale psichiatrico (1968) Venezia, passaggio di una Grande Nave nel Canale della Giudecca (2013)
10
GIANNI BERENGO GARDIN
Firenze, campo nomadi (1993) Genova, ristrutturazione del Porto Antico (1988)
re artistico ma sociale e civile. Ha pesato,
inoltre, la mia ideologia comunista
e la passione per la letteratura che mi
ha trasmesso mio padre. La curiosità
ha un ruolo determinante e quando ho
deciso di realizzare un servizio non sono
io a scegliere il posto ma è il posto a
scegliere me.
Salgado la definisce il “fotografo
dell’uomo”, perché?
È una bella medaglia per me questa definizione
avendo immortalato figure sia
nelle foto industriali che nelle collaborazioni
con Renzo Piano, dove raffiguravo
l’uomo nei cantieri e in tutte le fasi
della realizzazione delle sue opere architettoniche.
“Vera fotografia” è il timbro che autentica
il retro di ogni sua foto ed
è anche il titolo del suo ultimo libro.
Cosa significa?
Non mi sento un artista e non capisco
le fotografie d’arte, mi sento più un artigiano
perché nel mio essere testimone
della realtà cerco di essere fedele a
quello che vedo ragionando con la mia
testa. Ho solo la capacità di catturare il
momento giusto registrandolo in uno
scatto e molti sono i meriti del soggetto
che fotografo. Scatto in analogico e utilizzo
piccoli ritocchi nei toni in camera
oscura, perché nel reportage è necessario
rispettare quello che vediamo senza
alterarlo o peggio ancora falsificarlo.
Per questo motivo, non utilizzo il digitale
e neppure Photoshop che secondo
me è necessario solo per la fotografia
artistica.
Ha fotografato grandi intellettuali come
Basaglia, Zavattini, ma anche gli
emarginati. Qual è il lavoro che per lei
ha maggior valore?
Ho realizzato vari progetti tra i quali il
racconto degli zingari nel campo rom
del Poderaccio a Firenze, ma il più interessante
è quello sui manicomi realizzato
per Franco Basaglia: un lavoro
importante per l’approvazione della
legge 180 confluito nel libro Morire di
classe pubblicato da Einaudi nel ’69 e
utilizzato ancora oggi in psichiatria come
testo di studio.
Cosa pensa dell’uso/abuso della fotografia
oggi?
Ugo Mulas mi ha insegnato che non bisogna
scattare la bella foto che magari è
perfetta, ma bisogna ricercare la buona
immagine che deve avere un contenuto,
suscitare un’emozione e raccontare
qualcosa di importante. Le foto vuote
e senza senso che vediamo spesso sui
social si contrappongono ai lavori seri
dei fotografi frutto di un lungo studio,
una faticosa ricerca e un costante
impegno.
Ha fotografato le grandi navi a Venezia.
Com’è nato questo progetto?
Venezia e le Grandi Navi è un lavoro che
propone fotografie realizzate tra il 2013
e il 2014. Ritraggono il quotidiano passaggio
delle grandi navi da crociera nella
laguna di Venezia, città a cui sono
molto legato. Ho voluto rappresentare
l’inquinamento visivo e atmosferico
e l’imponenza delle navi che violentano
la città.
Come e quanto la fotografia influenza
la nostra vita?
Fotografare è un linguaggio espressivo
come la scrittura, ma per raccontare
qualcosa agli altri occorre prima
raccontarlo a se stessi e per farlo serve
una base culturale. La conoscenza del
fotografo deve essere vastissima e non
riguardare solo la fotografia ma anche
cinema, televisione e libri perché solo
così è possibile raccontare cose che
non sono sotto gli occhi di tutti. Diffondiamo
quindi l’amore per la fotografia.
GIANNI BERENGO GARDIN
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Spunti di critica
Fotografica
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Gjon Mili
Il pioniere della rappresentazione del movimento in fotografia
di Nicola Crisci / foto Gjon Mili
Gjon Mili nacque a Coriza in Albania
nel 1903 e all’età di cinque
anni si trasferì con la famiglia
in Romania, dove trascorse l’infanzia e
frequentò il Collegio Nazionale di Gheorghe
Lazãr a Bucarest. Nel 1923, a soli
vent’anni, emigrò negli Stati Uniti per
studiare ingegneria al Massachusetts Institute
of Technology. Nel 1939 iniziò a
lavorare come fotografo autodidatta e,
supportato dalle competenze ingegneristiche,
fu tra i primi ad usare la fotografia
stroboscopica per fermare l’istante, rendendosi
subito conto delle potenzialità
artistiche ed espressive di questa tecnica.
Fu anche precursore dell’attuale videoclip
con l’idea di fermare il movimento
in uno scatto grazie al flash elettronico:
un modo per catturare persone e cose
che si muovono molto velocemente, utilizzando
questo strumento in modo creativo
e fuori dall’ambito scientifico. I suoi
scatti immortalano il movimento nella
medesima inquadratura con una serie di
flash in rapida successione e un marcato
bianco e nero per far emergere bene i
dettagli. Fotografo per la celebre rivista
Life, fu assistente di Hyperlink e nel 1944
realizzò il primo capolavoro jazz-filmico
della storia, Jammin the blues, un reportage
unico nel suo genere per avere tentato
di documentare una performance
jazzistica. Le sue fotografie hanno fatto
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
www.universofoto.it
Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
Autoritratto
il giro del mondo in esposizioni individuali
e collettive accanto a fotografi eccellenti.
«Il tempo − amava dire Gjon Mili
− potrebbe essere davvero fermato. La
trama potrebbe essere mantenuta nonostante
l’improvviso movimento violento.
La mia generazione è nata in un momento
in cui la fotografia avanzava a passi da
gigante creando l’impulso a sperimentare
e cercare nuovi approcci». Nel 2012
Life ha ripubblicato le foto fatte a Picasso
in una retrospettiva che ebbe enorme
successo in Albania, dove Mili è considerato
un eroe nazionale tanto da avergli
dedicato recentemente un museo.
Modella con camicia da notte trasparente e vestaglia
di colore chiaro fluttuante (1945)
Picasso (foto pubblicata su Life)
John Borican lancia il giavellotto (1941)
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GJON MILI
Personaggi
Amedeo Bassi
Un libro e un museo a Montespertoli per documentare
la storia del grande tenore toscano
di Francesca Di Natali / foto courtesy Museo Amedeo Bassi
Il tenore Amedeo Bassi, nato a Montespertoli
il 29 luglio 1872, ha portato
il bel canto e l’opera lirica nel
mondo, contribuendo a diffondere la
cultura e l’arte del teatro italiano. Il 30
novembre 2014 a Montespertoli è stato
inaugurato il Museo Amedeo Bassi,
per raccontare la storia di quest’uomo
dotato di un talento straordinario. Di
umilissime origini, Amedeo, tra i pochi
sopravvissuti di ben dieci figli, perse la
madre quando aveva solo 7 anni. Sin da
ragazzo lavorava nelle fornaci, prima a
Montespertoli poi a Firenze. La sua bellissima
voce, che dispiegava mentre lavorava,
venne ben presto notata e, grazie
all’aiuto di un ricco signore, poté studiare
canto privatamente con il maestro Pavesi
Negri. Debuttò nel 1897 con l’opera
Ruy Blas di Marchetti a Lucca e a Castelfiorentino.
Prima ancora, si era fatto
notare in tanti concerti di beneficenza
durante i quali ebbe modo di incontrare
Caterina Ceppi, giovanissima e prodigiosa
pianista che sarà sua moglie e fondamentale
alleata di vita e d’arte. Fin dal
suo esordio la critica riconobbe le straordinarie
doti vocali di Amedeo e ne profetizzò
il successo. Portò sulle scene
un repertorio vastissimo tra cui opere
di Verdi, Puccini, Mascagni, Leoncavallo,
Giordano, Wagner, interpretando ben
settantaquattro ruoli. Nei primi anni del
Amedeo Bassi in una foto d’epoca
Novecento lo troviamo in America
del Sud, poi a Londra, New York,
Chicago, Philadelphia, ma anche in
Russia, in un crescendo di trionfi
nazionali ed internazionali. Si esibisce
a Londra per l’incoronazione
di re Giorgio, a Roma per i reali
italiani, inaugura teatri come il Colon
di Buenos Aires. Rivale e amico
di Enrico Caruso, condivise con
questi molti ruoli nelle più famose
opere pucciniane, tra cui quello di
Dick Johnson ne La fanciulla del
West. Esponente del Verismo, la
sua voce venne descritta di estrema
dolcezza e potenza, il fraseggio
chiarissimo, ottima la presenza
scenica e la recitazione. Il successo
fu tale che in pochi anni Bassi
divenne ricchissimo, tanto che
fu proprietario di una delle tenu-
te agricole più belle dei dintorni fiorentini:
Villa La Sfacciata. Conclusa la carriera
di cantante nel 1926, si dedicò all’insegnamento
al Teatro Comunale di Firenze.
Morì il 14 gennaio 1949. Con le sue doti,
non solo vocali ma anche umane, Amedeo
Bassi seppe conquistare il pubblico
dei teatri di tutto il mondo negli anni a cavallo
tra la fine dell’Ottocento e il primo
dopoguerra. Inspiegabile appare l’oblio
totale a cui oggi è relegata la sua figura,
che era all’epoca quella di un vero e
proprio divo. Un primo passo per riportare
alla memoria la sua figura di artista
eccelso è stata la creazione del museo a
lui dedicato dal Comune di Montespertoli.
Un ulteriore contributo, recentissimo,
è la pubblicazione di un libro, scritto da
Anna Maria Gasparri Rossotto, dal titolo
Amedeo Bassi: voce d’acciaio, d’argento
e d’oro. Libro e museo consentiranno
agli appassionati ed ai curiosi di ripercorrere
la carriera e la vita di un uomo
dal talento eccezionale.
Alcune sale del museo a Montespertoli
AMEDEO BASSI
13
Incontri con
l’arte
A cura di
Viktorija Carkina
Claudio Cionini
La metropoli come specchio del mondo moderno
di Viktorija Carkina
Protagoniste assolute delle tue
opere sono le metropoli, da
cui sembri affascinato. Nonostante
ciò vivi in una città piccola, a
Piombino. Non hai mai voluto vivere
nei paesaggi che ritrai?
In realtà non vivo nemmeno a Piombino,
ma vicino, in campagna. Sono
molto affascinato dalle città ma per me
rimangono luoghi esotici dove posso
andare a calmare la mia curiosità per
poi ritornare nel mio studio e rielaborare
quello che ho visto. Per vivere
però ho sempre preferito la campagna.
Le metropoli sono per me avventurose
come un viaggio, ma il luogo di concentrazione
rimane la campagna. Continuerò
comunque a ritrarre le città,
che rappresentano per me il vero contesto
della società moderna. Se devo
immaginare la vita di oggi, mi vengono
in mente le grandi città, i centri dell’attività
culturale ed economica. Mentre
le metropoli sono lo specchio del
mondo moderno, il paesaggio rurale
non posso che assocciarlo ad un’epoca
passata.
Nelle tue opere le metropoli sono prive
di presenze umane e acquistano
un carattere metafisico come dei miraggi
lontani e irraggiungibili. A cosa
ti ispiri per realizzare queste vedute
così essenziali?
Rispondendo a questa domanda, mi viene
da citare Gabriele Basilico, un fotografo
a cui mi sento legato per via della
mia visione del mondo. Lui disse: «Le
presenze umane distraggono dalla forma
degli edifici e dello spazio, per questo
tendo ad aspettare sempre che non
ci sia nessuno». Sono d’accordo che inserendo
una persona in un paesaggio
diventa subito protagonista e il luogo allora
diventa uno sfondo perché siamo
portati a concentrarci sulle figure. L’unico
modo per rendere la città protagonista
assoluta della scena è togliere le
presenze umane.
Quali sono i pittori che ti hanno maggiormente
ispirato?
Gustave Courbet, Antonio López García
per le vedute della sua città, Madrid,
ma soprattutto l’Impressionismo francese
che mi ha fatto appassionare anche
di Parigi. I numerosi pittori che mi
incuriosiscono lavoravano nella capitale
francese perciò visitarla è stato molto
stimolante per me e mi ha portato alla
creazione di nuove opere. La mia ispirazione
è un miscuglio fra la pittura che ho
conosciuto e le mie esperienze nei luoghi
dove sono stato.
Un’altra peculiarità è senza dubbio la
tecnica da te elaborata. Cosa ha favorito
questa ricerca linguistica?
www.florenceartgallery.com
Il fatto di voler dare una struttura un po’
più forte ai dipinti. Cerco di dare una
struttura più solida, perciò il mio metodo
di costruzione del quadro è molto diverso
da quello degli Impressionisti. Il
mio lavoro comincia da una costruzione
delle prime tonalità molto nette per poi
concentrarsi sui particolari. Adotto una
rielaborazione molto complessa, cercando
di lavorare con la materia pittorica
piuttosto ruvida sulla quale intervengo
diverse volte. Le mie opere rappresentano
una visione globale delle metropoli.
Quindi le città che dipingi, più che raccontare
la storia di un luogo particolare,
rappresentano uno specchio della
società contemporanea?
Sì, l’intento è questo, con l’aggiunta della
mia visione pittorica di composizione
e di colori che preferisco. La vita in città
è impegnativa e difficile, ma nei miei dipinti
trasmetto un sentimento di fascinazione
e le mostro in una chiave positiva,
svelando la bellezza di queste realtà.
Parigi dopo la pioggia (2019), acrilico su tela, cm 80x120
Tramonto a New York (2019), acrilico su tela, cm 100x150
14
CLAUDIO CIONINI
Opera Garnier (2019), acrilico su tela, cm 100x120
La rotonde (2019), acrilico su tela, cm 100x150
Dipingi en plein air oppure in studio?
Dipingo guardando fotografie. Quando
viaggio, scatto delle foto e poi rielaboro
i paesaggi visti nel mio studio.
Anche se in alcuni luoghi lontani, come
New York, non sono ancora stato
e per dipingerli mi sono servito delle
fotografie scattate da altri. Ciò di cui
ho bisogno, sono le caratteristiche
architettoniche distintive delle città.
Ogni città ha delle prospettive uniche.
Parigi mi affascina grazie ai grandi
boulevard, guardando dall’alto risulta
come una città compatta con le vie
che sembrano andare verso l’infinito.
Mentre osservando New York dall’alto,
scopriamo la sua irregolarità nel
paesaggio di edifici che si alternano,
diventando più bassi e più alti. Questi
contrasti architettonici sono motivo di
grande interesse per me.
È possibile che nella tua produzione
futura vedremo ritratte non solo
New York, Londra, Madrid e Melbourne,
ma anche realtà italiane?
Penso proprio di no. Il mio interesse
rimarrà per sempre focalizzato sulle
città straniere che sono esotiche e insolite
per me e perciò più interessanti
da esplorare.
Ci puoi dire qualcosa sulle mostre
future?
La mia prossima mostra si terrà alla
Florence Art Gallery in via Borgo
Ognissanti a Firenze. La data dell’inaugurazione
ancora non è stata stabilita
perché aspettiamo la fine delle
restrizioni legate alla pandemia. Verranno
esposti trenta quadri assolutamente
nuovi che preparerò apposta
per questa occasione. Farò anche
un’eccezione e, oltre a presentare dipinti
raffiguranti New York e Parigi,
esporrò anche alcuni quadri con paesaggi
fiorentini.
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r, 50134 Firenze
Los Angeles (2018), acrilico su tela, cm 50x50
CLAUDIO CIONINI
15
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Roberto Carradori
Pittura e fotografia, il doppio volto della realtà
di Daniela Pronestì / foto Roberto Carradori
Leggere la realtà in un
mondo dove l’eccesso
d’informazione confonde
sempre più il confine tra verità e
finzione è tutt’altro che semplice.
Troppo spesso si rischia, per pigrizia
o mancanza di senso critico,
di scegliere la via più facile, delegando
ad altri − nello specifico ai
media − il compito di interpretare
fatti ed eventi, prendendo per
buono il loro racconto. Ribaltare
questa prospettiva recuperando
il rapporto diretto con il reale è
uno dei motivi alla base dell’opera
di Roberto Carradori, protagonista
dal 12 settembre al 10 ottobre
della personale Shots of life alla
galleria Artistikamente di Pistoia.
Fotografo ancor prima che pittore,
Carradori immortala scampoli
del vivere quotidiano cercandoli per
le strade, tra i volti anonimi di persone
incontrate per caso. Il gusto della scoperta
lo accompagna in questo peregrinare
dello sguardo alla ricerca di verità
evidenti eppure difficili da raccontare
perché da molti giudicate “scomode”:
disagio sociale, emarginazione, povertà,
degrado delle periferie. Tutto ciò che
solitamente rifiutiamo di vedere o pre-
Personaggio (2003), olio su tavola, cm 40x60
feriamo non considerare, immersi come
siamo nel torpore dell’indifferenza.
Carradori compie una scelta precisa come
uomo e quindi anche come artista:
rimanere fedele al vero, anche quando
questo voglia dire confrontarsi con realtà
difficili, trovando nella fotografia − e
tramite questa nella pittura − uno strumento
utile per riportarle all’attenzione
del pubblico. Clochard, immigrati, an-
ziani, gente comune la cui storia si confonde,
insieme a migliaia di altre storie,
nella babele metropolitana: e proprio da
qui, da questo scenario labirintico, l’artista
estrapola frammenti di vita che la
fotografia cristallizza nel tempo e la pittura
rende universali. Ambedue i linguaggi
assolvono una precisa funzione
che li vede completarsi l’un l’altro, pur
mantenendo ciascuno la propria speci-
Pistoia Blues, olio su tavola, cm 60x80
16
ROBERTO CARRADORI
In metro, olio su tavola, cm 60x80
ficità. All’immagine fotografica Carradori
chiede di suggellare quel patto con la
realtà, e quindi con l’autenticità del soggetto,
che la pittura consolida con l’evidenza
espressiva del colore. Il bianco e
nero della street photography anticipa i
rapporti chiaroscurali della trasposizione
pittorica, la quale, a sua volta, non
si limita ad una replica ma è il risultato
di un atto interpretativo che amplifica
e dilata i significati. Se la fotografia
cattura l’istante collocandolo nel tempo
e nello spazio, la pittura proietta volti e
contesti in una dimensione dove l’unico
fattore misurabile è l’intensità dell’emozione.
Aspetti come l’identità delle figure
e la riconoscibilità dei luoghi passano
Clochard (2012), olio su tavola, cm 120x80
quindi in secondo piano rispetto all’esigenza
di attribuire al dipinto un respiro
universale. Uomini, donne e bambini
vivono e agiscono nei suoi quadri come
metafore di un malessere sociale
che non appartiene soltanto al presente
ma che riguarda l’umanità da sempre,
se è vero che non c’è tempo e non
c’è luogo quando si parla di miseria, solitudine,
abbandono. Anche per questa
ragione, raffigurare il diverso, l’altro da
sé, l’emarginato è un modo per far sentire
l’osservatore parte di un racconto
che, ieri come oggi, coinvolge tutti
e che, come tale, non ammette noncuranza.
È una pittura d’impegno sociale,
quella di Carradori, l’espressione diretta
e tagliente di un pensiero maturato
dall’osservazione della realtà e alla realtà
restituito attraverso la rappresentazione.
Un pensiero che non pesa sul
contenuto dell’immagine − «voglio essere
obiettivo e distaccato» dichiara
l’artista − ma rafforza il legame con
quella verità umana che non appartiene
ad uno soltanto, ma è appannaggio
di tutti. Non si può rimanere insensibili
di fronte a certe raffigurazioni, all’anziano
abbandonato a se stesso o al mendicante
bambino accasciato sul ciglio
della strada. Non si può non sentire,
nelle improvvise accensioni cromatiche,
nei toni puri e saturi di colore, tutto
il dramma e insieme la forza della vita
che lotta e resiste nonostante
tutto. Non si può, soprattutto,
fare a meno di rivedere
se stessi nelle figure distratte
o annoiate che a bordo del
tram celebrano ogni giorno lo
stesso rituale. Essere pittore
della realtà significa, per Carradori,
mostrare come il volto
apparente delle cose sia sempre
indizio di qualcosa d’altro,
di un senso profondo che
sfugge a chi non abbia occhi
e sensibilità per coglierlo. La
sua pittura ci accompagna in
questo percorso di scoperta,
con il passo certo di chi come
lui ha imparato a riconoscere
la bellezza nella verità.
Roberto Carradori Painter
and Photographer
ROBERTO CARRADORI
17
Storie di
famiglia
I Ferrari
Un’antica bottega di maestri artigiani
di Gianna Pinotti
Gianna Pinotti, con una sua opera al Convento della Santissima
Annunziata a Firenze nel 2015, indossa un cappotto creato da
Ambretta Ferrari
Esiste una predisposizione
genetica al
disegno e alle attività
creative? Sembra proprio
di sì. Il sangue che è scorso
nelle vene dei miei antenati
ha segnato il loro destino
e anche il mio, traghettando
per intere generazioni innate
attitudini disegnative, artigianali
e artistiche. Si tratta
della mia famiglia del ramo
materno, dedita da secoli allo
studio delle arti e in particolare alla
scultura del legno: i Ferrari. Sono
cresciuta in un ambiente creativo, ricco
di ispirazioni: non solo entrambi i
miei genitori sono stati cultori dell’arte
e abili disegnatori, ma avendo io vissuto
per diverso tempo coi nonni a Roverbella
in provincia di Mantova, ho
avuto modo di frequentare il laboratorio
dove mio nonno Luigi Leone (1902-
1982) lavorava con passione il legno.
Il nonno discendeva, infatti, da uno dei
rami della bottega scultorea di antica
origine lombarda, operosa in antico in
area lombardo-veneta ove si diramò,
che annoverava artigiani, scultori, intagliatori,
restauratori, doratori, ebanisti.
La storia della bottega, documentata
in relazione ad alcuni dei suoi rami,
risalirebbe al XVII secolo. Agli inizi
del Novecento, in piena epoca Liberty,
mio nonno venne prescelto per continuare
la tradizione della sua famiglia
con i segreti tramandati di padre in figlio;
avrebbe voluto studiare medicina,
ma rinunciò per intraprendere a quattordici
anni gli studi d’arte: frequentò
con profitto a Mantova la Reale Scuola
d’Arte applicata all’Industria (quello
che poi sarebbe divenuto Istituto Statale
d’Arte), allora diretta da Giuseppe
Marusi, seguendo il corso di Aritmetica
e Costruzioni del professor Memore
Pescasio, e i corsi di disegno industriale
e laboratorio di scultura lignea
alla scuola “Pietro Valentini”, vincendo
ancor giovane un premio a Firenze.
Come tutte le botteghe di tradizione,
anche la sua si avvaleva di apprendisti
che intendevano imparare i segreti
del mestiere per acquisire a loro volta
la dimestichezza con quell’arte e una
loro indipendenza. La bottega dei miei
avi si occupò della lavorazione del legno
e dell’intaglio con realizzazione di
ornati in incavo o in rilievo; talvolta affrontò
lavori di restauro come quello
della villa dei conti Arvedi a Grezzana
Luigi Leone Ferrari (1902-1982)
presso Verona: già dei Della Scala dal
1200, essa fu ampliata e decorata nei
secoli successivi, divenendo proprietà
degli Arvedi nel 1824. Anche mio nonno,
oltre ad eseguire opere con intagli
stupendi, originali arredi anche dipinti
e complementi decorativi, costruì a
scopo benefico, mobilio in ambito ecclesiastico
e qualche piccola scultura a
tema sacro. Suo fratello Alfredo (1900-
1994) si dedicava a sua volta alla pittura
di paesaggio; giovanissimo realizzò
qualche opera con mio nonno, come
il piano dipinto di uno scrittoio liberty.
In famiglia si raccontava del celebre
Paolo (mio trisavolo), genio dell’intaglio
e restauratore: dopo avere lasciato a
quarant’anni la bottega all’unico figlio
maschio Giuseppe (1871-1955), deci-
Leone Ferrari, intaglio floreale per scrittoio (dettaglio), 1917-18 Leone e Alfredo Ferrari, scrittoio, 1918
18
I FERRARI
Ambretta Ferrari, Barche (anni Quaranta) Ambretta Ferrari indossa un abito da lei creato (1959)
Gianna Pinotti, premiata a Palazzo Vecchio nel 2015,
con il tailleur realizzato da Ambretta Ferrari nel 1996
se di studiare lettere classiche; egli fu
amico di Giuseppe Sarto (papa Pio X),
che conobbe tempo prima della nomina
di questi a vescovo di Mantova avvenuta
nel 1884: la famiglia partecipò
alle cerimonie romane di beatificazione
e santificazione di Sarto, conservando
testimonianze e documenti. Mia madre
Luigia Ambretta (1933-2012) aveva a
sua volta iniziato a dipingere da adolescente
marine e paesaggi trasognati
(devo a lei i primi ragguagli sull’arte
del dipingere); ancora molto giovane si
era appassionata di moda, frequentando
una bottega sartoriale per imparare
i rudimenti del mestiere, perfezionandosi
poi nel taglio. Donna di estrema
eleganza e dall’abilità manuale sconcertante,
realizzava solo per sé e per la
famiglia abiti esclusivi; amava in particolare
le sete, i tessuti cangianti e quelli
ricamati e broccati. Ad ogni cambio
di stagione, dopo avere studiato i modelli
da eseguire per noi, si procurava
le stoffe adatte, dagli scampoli all’haute
couture. Ancora oggi indosso le sue
creazioni per le grandi occasioni. Il fratello
di mia madre, lo zio Giovanni, aveva
iniziato a disegnare sin da piccolo:
amava fare caricature ai compagni di
scuola e vignette satiriche; dipingeva
ad olio in uno stile espressionista e allucinato,
un suo autoritratto è davvero
un pezzo originale. Studioso di architettura
fiorentina (Università di Ca’ Foscari
a Venezia), era spesso nella città
medicea. Mia sorella Francesca possiede
una capacità manuale straordinaria.
Dotata di innato talento disegnativo,
ha frequentato un corso di grafica ove
si è messa in luce per la sua abilità ritrattistica,
e di seguito ha sperimentato
la difficile pittura su seta; ma i suoi
quadri ricamati restano davvero unici,
praticamente perfetti. Mi sono chiesta
quali fattori abbiano concorso a creare
questa predisposizione famigliare alla
pratica delle arti e in particolare al disegno,
questa “mano felice”, certo un
innato e felice rapporto tra occhio, intelletto
e attività manuale e un ambiente
propizio al suo sviluppo: i geni fusi
alla tradizione dell’antica bottega dei
maestri artigiani, un patrimonio umano
quasi del tutto estinto che ha fatto
la storia dell’arte e della cultura italiana
nei secoli.
Giovanni Ferrari a Firenze durante un
Giovanni Ferrari, Autoritratto (1959) viaggio di studio nel 1959 Francesca Pinotti, Natura morta ricamata (1998)
I FERRARI
19
La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.
La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.
La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.
La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.
La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.
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S C O P R I D I P I Ù S U L B A N D O S U W W W . M I T A C A D E M Y . I T
Ricomincio da… cinque!
Riparte questo mese il 24° biennio di formazione di
MITA Academy che permette di ottenere una qualifica
a livello europeo come professionisti della moda.
S A L E S T E X T I L E A D V A N C E D R E V O L U T I O N F O R F A S H I O N
di Elisabetta Mereu
S C O P R I D I P I Ù S U L B A N D O S U W W W . M I T A C A D E M Y . I T
La Fondazione Mita, che da dieci anni si è distinta a livello
nazionale per gli ottimi risultati ottenuti nel collocamento
dei propri studenti nel mondo del lavoro,
ripropone cinque nuovi corsi di specializzazione − per giovani
dai 18 ai 29 anni − che si concluderanno a settembre 2022.
Tessile, accessori in metallo, pelletteria, marketing e strategia
di comunicazione commerciale saranno i temi intorno ai
quali ruoteranno sia le ore di lezione presso la stessa Accademia
a Scandicci e in altre 3 sedi, Prato, Lucca e Piancastagnaio
(Siena), sia quelle di stage in aziende toscane artigianali
che si distinguono nel panorama della produzione italiana. La
Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca e in collaborazione con il progetto
della Regione Toscana Giovanisì.
Per ulteriori informazioni:
Segreteria Fondazione MITA
Castello dell’Acciaiolo, via Pantin, Scandicci (FI)
Dal lunedì al venerdì, ore 9/13
+39 055/9335306 - www.mitacademy.it
MITA Academy - mita.academy
La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.
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La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.
La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.
Ritratti
d’artista
Mariangela Bartoloni
La designer dei cerchi del benessere
di Elisabetta Mereu
In quanto portatrici di vita, le donne
sono in grado di rinascere continuamente
e, anche dopo tante delusioni,
sono capaci di rinnovarsi. Mariangela Bartoloni,
affermata designer di gioielli dalla
particolare simbologia, ne è un esempio
concreto. Una giovinezza carica di aspettative,
la sua, in cui sognava di fare l’accademia
teatrale di Gassman. Scelta però
negata dalla famiglia. «L’educazione molto
rigida aveva soffocato la mia creatività
e contenuto la mia personalità camaleontica»,
esordisce nel raccontare la sua
storia davvero singolare. Prima di riuscire
a diventare l’artista poliedrica che è oggi
(nel numero di settembre l’abbiamo
conosciuta anche come pittrice ndr.), si
è cimentata in molti lavori, ad iniziare da
quello nel negozio di tessuti del padre a
Fiesole, dove è nata. Poi − dopo essersi
messa in gioco in vari campi professionali
− a cambiarle radicalmente la vita è stato
un colpo di fulmine, nel vero senso della
parola. «A 38 anni ho rischiato di morire
− racconta − perché un lampo colpì il
telefono che avevo in mano, scombussolando
totalmente il mio campo elettromagnetico.
Da allora ho iniziato a stare male
per anni, con un fortissimo mal di stomaco,
fino a che ho capito che quel fulmine
era un segno per iniziare una vita nuova.
Nel 2009, ho scoperto i cerchi nel grano
(grandi disegni mistici e affascinanti che
Mariangela Bartoloni ha visto di persona
nello Yorkshire ndr.) e da lì ho cominciato
un lavoro di studio, approfondimenti
e guarigione su di me. Tutte queste mie
competenze adesso le metto volentieri al
servizio degli altri a Prato, con le consulenze
di Aura Soma - cioè il sistema del
prendersi cura di sé attraverso la scelta
non intrusiva del colore - e con quella di
radioestesista che, attraverso alcuni strumenti,
mi consente di percepire determinate
reazioni e l’energia della persona che
ho davanti. Inoltre ho creato una linea di
gioielli che ho chiamato proprio Cercles
de blè, ispirati dal cerchio che è la forma
perfetta per eccellenza. Non
ha spigoli, non punge, ha un
principio e una conclusione
armonica, dunque evoca
sensazioni di benessere terapeutiche.
Non importa se
questa figura circolare è rappresentata
su un orecchino,
un bracciale o una collana:
i cerchi lavorano sull’aura.
Spesso il nostro malessere
è causato da un conflitto
tra anima e mente, è l’apice
di un disordine interiore.
Perciò bisogna capire cosa
ha scatenato quel problema
facendo una ricerca più approfondita
dentro la nostra
interiorità e sul nostro pas-
Mariangela Bartoloni
sato, anche familiare, perché lo si possa
risolvere. Quindi chi è istintivamente attratto
da una delle forme che caratterizzano
le mie creazioni − aggiunge la designer
− percepisce all’interno di sé la necessità
di conoscersi a fondo, predisponendosi
così ad un vero cambiamento. Non è
facile raggiungere il giusto equilibrio fra
corpo e mente, personalità e spiritualità.
È un percorso lungo e talvolta anche faticoso,
fatto di alti e bassi. Nel mio cammino
ho imparato che i momenti difficili
non sono casuali ma necessari per arrivare
a trovare l’esatto baricentro nella
propria esistenza. I simboli racchiusi nei
cerchi del grano mi sono stati di aiuto in
tutto il mio percorso e sono lo strumento
con il quale riequilibro le mie energie.
Per questo ho creato la collezione Cercles
de blè, per permettere a tutti di indossare
frequenze e stimolarli nel proprio riequilibrio.
Sarò quindi ben lieta di mettere a
disposizione dei vostri lettori tutte le mie
competenze e la necessaria energia positiva
per aiutarli a trovare il benessere che
ognuno di noi merita».
Jewels & Joy
Collezioni Cercles de Blé
di Mariangela Bartoloni
via dei Muracci 11, 59100, Prato
+ 39 366 3868962
mariangela.bartoloni@gmail.com
Cercles de blè
Cercles de blè
Mariangela Bartoloni
MARIANGELA BARTOLONI
21
L’avvocato
Risponde
A cura di
Aldo Fittante
L’opera d’arte come marchio registrato:
il caso Banksy
di Aldo Fittante
Èdi qualche giorno fa la notizia di
un’importante pronuncia emessa
dall’Ufficio dell’Unione Europea
per la Proprietà Intellettuale. L’ufficio
comunitario ha infatti dichiarato non valida
la richiesta di Banksy – artista “noto”
e al tempo stesso “anonimo” – di utilizzare
il suo famoso Flower Thrower come
marchio. La questione è sorta a seguito
del tentativo di Banksy di agire legalmente
contro una piccola azienda inglese, la
Full Colour Black, che aveva venduto
cartoline d’auguri sulle quali era ritratta
l’immagine della celebre opera dell’anonimo
street artist inglese. Banksy aveva
tentato di registrare come marchio – al
fine di acquisire un’esclusiva sul relativo
sfruttamento commerciale – il gigantesco
ribelle che lancia un bouquet floreale,
immagine impressa dall’artista su
un muro nascosto dietro a un’anonima
pompa di benzina e autolavaggio a Gerusalemme.
Con la declaratoria di invalidità
del marchio sulla figura del “lanciatore
di fiori”, Banksy perde una battaglia legale
importante. Secondo i giudici, infatti,
avrebbe agito in malafede e registrato
il marchio solo per non uscire dall’anonimato.
Il Flower Thrower era stato in
particolare registrato come marchio nel
2014 dalla Pest Control Office, riconducibile
a Banksy. Tuttavia nel marzo 2019
la Full Colour Black ha richiesto all’ufficio
comunitario la cancellazione del marchio,
rilevando che lo stesso era stato
registrato non per farne un vero e proprio
uso commerciale. A questo punto
Banksy, precisamente nell’ottobre del
2019, aveva pensato di aprire un negozio
ad insegna Gross Domestic Products,
con l’intento di dimostrare l’effettivo uso
commerciale del marchio con l’immagine
del Flower Thrower. L’apertura del negozio
di Londra, decisa dall’artista solo
in funzione del contenzioso giudiziario
con la Full Colour, si è rivelata tuttavia un
boomerang. L’ufficio europeo ha infatti
ritenuto che Banksy – dalla registrazio-
ne del marchio nel 2014 fino al momento
in cui la Full Colour Black l’ha adoperata
per le sue cartoline – non abbia in realtà
venduto alcun oggetto con l’immagine
del Flower Thrower. «La sua intenzione
− ha ritenuto l’ufficio europeo − non era
quella di usare il marchio per mettere in
vendita beni e per ritagliarsi una nicchia
del mercato, ma solo quella di aggirare
la legge». L’EUIPO ha inoltre chiarito:
«Banksy non può essere identificato come
il proprietario indiscutibile dell’opera
perché la sua identità è nascosta, e di
conseguenza non si può stabilire senza
contestazioni che l’artista abbia dei diritti
d’autore su un’opera di street art». La Full
Colour Black ha contestato i marchi di altri
sei murales di Banksy e probabilmente
andrà avanti anche con altre sue opere.
Il celebre street artist potrebbe quindi veder
sfumare la possibilità di perseguire
legalmente i merchandiser dediti ad incassare
profitti sfruttando commercialmente
le immagini dei suoi graffiti.
Flower thrower, il murales di Banksy a Gerusalemme (ph. Teti Marchetti)
22
IL CASO BANKSY
Ritratti
d’artista
Franco Cappelli
L’irresistibile fascino della geometria
di Jacopo Chiostri
Con cinquecento mostre all’attivo,
almeno una decina di critici
di vaglio che si sono confrontati
con la sua arte, si può ben dire che Franco
Cappelli, pittore pistoiese di lungo corso,
sia uno degli artisti più conosciuti e
ritenuti significativi nella nostra regione
(e non solo). Cappelli è erede di quella
nobile compagnia di artisti che, a Pistoia,
facevano riferimento allo storico Caffè
Valiani, tra cui i fratelli Marini. E il movimento
“purista”, che si sviluppa in quella
città nel Novecento, non può non aver
influenzato la sua opera, se si pensa che
la teoria estetica del Purismo si deve a Le
Corbusier, una delle figure più influenti
dell’architettura moderna a cui, non a caso,
Cappelli nel 2012 ha anche dedicato
la personale Le città radiose, ispirandosi
all’omonimo progetto lecorbusiano. Gli
inizi pittorici di Cappelli risalgono agli anni
Sessanta, dunque oltre mezzo secolo di
militanza la sua, con al centro del lavoro
la ricerca e il rigore, controllato quest’ultimo
e ancorato a un punto di equilibrio tra
razionalismo e una diremmo “inevitabile”
fuga in avanti rispetto agli schemi. Colore,
forma, luce, armonia, simbolismo:
non manca alcuna di queste fondamentali
componenti nella ricerca di Franco
Cappelli. La sua pittura degli inizi è di tipo
figurativo, con incursioni, ben riconoscibili,
in ambito impressionista, poi però
vira e si avventura in spazi inediti,
li compone per poi scomporli,
li saggia e li riorganizza. Cappelli
diviene, è il caso di dirlo,
l’emblema del pittore moderno.
L’approdo è nell’astrattismo geometrico,
che nel nostro paese
annovera illustri esponenti quali
Manlio Rho e Mario Radice, per
il gruppo comasco, Mauro Reggiani
e Luigi Veronesi tra coloro
che esponevano alla meneghina
galleria Il Milione. Il tema ricorrente,
e maggiormente conosciuto
nella sua pittura, sono le città, città
moderne e luminose, nelle quali l’estetica
è prima di tutto funzionale. La raffigurazione
che ne fa Cappelli si avvale di una
forma geometrica ricca di simbologie; e
le città sono luoghi, forse utopici, destinati
a uomini migliori, capaci di un rapporto
positivo con la società e con l’ambiente.
Sono anche luoghi tremendamente concreti,
e nei piani, nelle linee, negli accostamenti
cromatici − rigidamente organizzati
− c’è, a giudizio di chi scrive, un equilibrio
che porta un chiaro messaggio: non
è necessario spostare muri e barriere per
frugare oltre, perché la risposta è davanti
agli occhi per chi vuole e sa vedere. Per
la pittura di Cappelli si è fatto riferimento
a Mondrian per l’essenzialità del linguaggio
e a Paul Klee; ed è quest’ultimo colui
Franco Cappelli nello studio
che gli appare il più vicino nella comune
rappresentazione, in forme, colori e contrasti,
di utopie, ricordi e proposte in una
chiara dimensione metafisica. Cappelli fa
parte della nobile Compagnia del Paiolo,
dell’associazione culturale Brigata del
Leoncino di Pistoia dove organizza eventi
artistici; è presente in cataloghi d’arte,
ha opere in collezioni private e pubbliche
in tanti paesi. Oltre a dipingere, scolpisce
la pietra, il legno, i metalli, il plexiglass e
la ceramica che modella e dipinge tra Albissola
e Montelupo Fiorentino.
Studi d’arte
Via Fonda di San Vitale 34
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23
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e ottobre sono per antonomasia i
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in generazione.
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della cultura toscana, possiede molte
proprietà benefiche: è ricca di flavonoidi,
antiossidanti naturali per eccellenza,
e quercetina, una straordinaria fonte di
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Possiede molti sali minerali, in modo
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Antonio Pieri
BIO LE VENERI
25
Dimensione
Salute
A cura di
Stefano Grifoni
Frittura: gioia del palato, dannazione
della salute
di Stefano Grifoni
La frittura è un piatto molto amato
ma a lungo andare può provocare
problemi al sistema
cardiovascolare. Friggere con oli vegetali
aumenta il rischio di infarti di cuore,
ictus cerebrali e tumori. Uno studio
americano che ha coinvolto centosessantamila
persone monitorate per diversi
anni, ha dimostrato che gli eventi
giungimento di alte temperature dell’olio.
L’osservazione vale particolarmente
per gli oli di semi meno stabili ai trattamenti
termici prolungati e ripetuti. Per
friggere è ottimo l’olio extravergine di
oliva perché il suo contenuto di sostanze
antiossidanti non diminuisce troppo
alle alte temperature mantenendosi stabile
durante la cottura.
cardiaci sono stati quattordici su mille
pazienti in chi mangia fritti meno di una
volta la settimana. Invece in chi consuma
cibi fritti più di una volta la settimana
gli eventi sono stati diciannove su
mille casi. Questa incidenza aumenta
in chi li mangia tutti i giorni. La frittura
fa male perché comporta la formazione
di sostanze tossiche in seguito al ragph.
courtesy www.ilfattoalimentare.it
Stefano
Grifoni
Nato a Firenze nel 1954, Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e sempre presso la stessa struttura è direttore del Centro di riferimento regionale
toscano per la diagnosi e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Ha condotto numerosi
studi nel campo della medicina interna, della cardiologia, della malattie del SNC e delle malattie respiratorie e nell’ambito
della medicina di urgenza. Membro del consiglio nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza,
è vicepresidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e
membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze. Ha pubblicato oltre 160 articoli su riviste
nazionali e internazionali nel settore della medicina interna e della medicina di urgenza e numerosi testi scientifici
sullo stesso argomento. Da molti anni collabora con RAI TRE Regione Toscana nell’ambito di programmi di medicina,
con il quotidiano La Nazione e da tre anni tiene una trasmissione radiofonica quotidiana sulla salute.
26
FRITTURA
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
La breve vita degli amori estivi
di Emanuela Muriana
Secondo i risultati di una recente
ricerca condotta su oltre millecinquecento
utenti di forum,
community e siti web con un’età compresa
tra i 18 e i 55 anni, sei italiani su
dieci tendono ad innamorarsi in vacanza.
Ma perché dovrebbe essere più
facile innamorarsi in vacanza? L’indagine
ha analizzato anche quest’aspetto
e quello che è emerso, come immaginabile,
è che le persone, quando sono
in ferie, sono più inclini alle conoscenze
perché non sono bloccate dal solito
tasso di preoccupazioni e di stress. Altri
fattori “galeotti” sono i paesaggi e
le atmosfere rilassanti, il clima caldo e
il maggior tempo libero. Quest’anno, in
particolare, la fine del lockdown è stato
un propulsore al recupero della vita
di relazione. Il risvolto negativo è che
il 74% delle storie nate durante le ferie
non superano i due mesi di vita; questo
nonostante tutti i mezzi di comunicazione,
grazie ai quali ci si potrebbe continuare
a sentire anche dopo, a distanza.
La fine però non è così indolore: purtroppo,
mettere la pietra sopra una relazione
nata in vacanza significa vivere
una fase molto critica e a soffrire pare
essere un italiano su due. Per l’esattezza,
l’87% delle persone va incontro a un
periodo di depressione, il 74% fa i conti
con l’ansia, il 59% con sbalzi d’umore e
il 13% con veri e propri disturbi alimentari.
I più colpiti sarebbero gli uomini,
soprattutto quelli più giovani (64%) e i
single di ritorno (58%), dato che può
apparire sorprendente ma che possiamo
confermare. Tutto è nella fisiologia
del cambiamento se la compensazione
della sofferenza avviene in tempi brevi
con un affievolirsi progressivo dell’intensità
delle emozioni e dei pensieri ricorrenti.
Perché invece alcune rotture
sentimentali si trasformano in problema
fino a diventare un vero disturbo di
rilevanza clinica? Il primo dato per continuare
a soffrire è quello di mettere in
atto sia nei pensieri che nelle azioni delle
“tentate soluzioni inefficaci”: cercare
di ripristinare il rapporto, convincere
l’altro fino a diventare repulsivi oppure
− all’opposto − stare fermi per paura
del rifiuto. La situazione si complica
ulteriormente quando la relazione s’interrompe
senza una spiegazione esauriente,
allora l’abbandonato vive una
dolorosissima condizione di “lutto senza
tomba”. Sparire improvvisamente è
una tattica considerata dagli esperti di
salute mentale come un vero e proprio
atto di crudeltà, poiché la mancanza di
spiegazioni impedisce ad un individuo
di elaborare emotivamente un’esperienza.
Nessuno di quelli che arrivano a
chiedere aiuto allo psicoterapeuta pensa
però “non gli/le piaccio più”. Già nel
300 a.C. Demostene ci avvertiva che
“nulla è più facile che illudersi, perché
l’uomo crede vero ciò che desidera”.
Dolore inevitabile e insopportabile
se l’illusione viene coltivata con granitica
determinazione attraverso la ricerca
delle “prove a conferma positiva”, per
coltivare la speranza che mantiene l’illusione
diventata ormai un patologico
autoinganno.
Per visualizzare le videointerviste#esperienzestrategiche
visitare la pagina Facebook:
Centro di Terapia Strategica.
Emanuela
Muriana
Emanuela Muriana vive e lavora prevalentemente a Firenze. È responsabile
dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge
attività clinica e di consulenza. È specializzata al Centro di Terapia Strategica
di Arezzo diretto da Giorgio Nardone e al Mental Reasearch Institute di
Palo Alto CA (USA) con Paul Watzlawick. Ricercatore e professore della scuola
di specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica (MIUR) dal
1994, insegna da anni ai master clinici in Italia e all’estero. È stata professore
alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso le Università di Siena (2007-2012) e
Firenze (2004-2015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili sul
sito www.terapiastrategica.fi.it.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055-242642 - 574344
Fax 055-580280
emanuela.muriana@virgilio.it
AMORI ESTIVI
27
Ritratti
d’artista
Maria Concetta Guaglianone
L’energia del colore, la forza della materia
di Jacopo Chiostri
Avevamo chiesto a Maria Concetta
Guaglianone, pittrice in erba − come
si autodefinisce − di illustrarci
la sua storia artistica considerato che ancora
non ne ha una consolidata da consultare:
abbiamo ricevuto un sorprendente
racconto, che è una riflessione sul processo
creativo, colto, ricco di suggestioni e di
progetti/propositi che, assieme alla qualità
delle opere, autorizzano a credere che
sentiremo parlare a lungo di lei. Laureata
in Psicologia, la Guaglianone è nata in
provincia di Bergamo e vive a Firenze da
poco più di un anno. La sua vena artistica
si è manifestata molto presto, già a cinque
anni suonava il pianoforte e anche lo studio
del disegno e delle tecniche pittoriche
risale all’età adolescenziale, in seguito si è
occupata di teatro e di fotografia. In pittura
è prima di tutto una sperimentatrice e il
suo campo espressivo è l’arte l’informale,
a proposito della quale propone questo ragionamento:
«L’arte informale per definizione
rifiuta la forma convenzionale, ma il
risultato dà pur sempre vita a una forma, a
nuove forme, con propri confini e proprie
caratteristiche, espressione di immagini e
di significati». Al centro della sua ricerca
c’è lo studio delle possibilità degli elementi
di trasformarsi e, così facendo, di creare
un linguaggio che comunichi emozioni,
pensieri, concetti e storie. Sono opere fortemente
materiche nelle quali si riconosce
tanto lavoro e passione. «La pittura materica
− afferma − è per me un detonatore di
energia, un ampliamento e potenziamento
di creatività che si determina e autorigenera
nello stesso atto artistico». “Una danza”
la definisce. Una danza tra colori acrilici,
malte, colle, paste, stoffa, sabbia, ghiaia,
segature e cortecce, terracotta, sassi,
pezzetti di vetro, argilla, carta, cartoncino,
gesso, stucco, legno, foglie, fili e tanti altri
elementi. Attraverso tecniche e strumenti
diversi, i materiali si estendono e i colori
vengono applicati con i pennelli, le spatole,
ma anche le cazzuole, le spugne, con
spruzzi, macchiettature o semplicemente
stesi con le mani. Strati spessi e rugosi di
colore si mescolano ad altri materiali a dar
vita a una solidità che richiama una dimensione
scultorea. Si alternano superfici frastagliate
e irregolari e superfici morbide e
levigate, ed è attraverso queste che prende
vita l’idea e si esprime l’atto creativo. Con
una gestualità, ormai esperta, l’artista modifica
e plasma la tela; lo fa con segni, tracce,
incisioni, tagli, graffi, buchi, riempiture
che definiscono le “ferite” e le “gioie” della
materia. «Così − conclude − l’esperienza
creativa artistica diventa una testimonianza
dell’essere e dell’agire». Anche nella
sua professione di psicologa c’è spazio
per l’arte, ed è, infatti, utilizzando tecniche
e strumenti creativi-espressivi particolarmente
potenti che riesce a “dar voce a
contenuti e risorse personali bloccate e attivare
canali comunicativi”. E non è un ca-
Connessioni, tecnica mista, cm 40x50
so che tra i pittori che cita come punti di
riferimento − ed è sempre un piacere ricordarlo
− ci sia Vasco Bendini, colui che
nelle sue immagini performative di grande
impatto cercava il denudamento interiore.
Altri riferimenti sono Van Gogh, Fautrier,
Pollock, Kline, Kandinskij. La Guaglianone
ci ha anche illustrato, parola per parola, il
suo personale vocabolario artistico che si
compone dei termini che associa alla sua
arte: cercare, comunicare, esprimere, sentire,
sperimentare, scoprire, riscoprire,
espressività, cura, creatività, movimento,
cambiamento.
mariac.guaglianone@gmail.com
Rinascita, tecnica mista, cm 50x70
Riflessi d’anima, tecnica mista, cm 70x50
28
MARIA CONCETTA GUAGLIANONE
Ritratti
d’artista
Maria Chiara Viviani
Animali e natura tra sentimento e simbolo
di Stefano Francolini
Ogni artista trae ispirazione dalla
natura e la interpreta e la riproduce
mediante le tecniche e i
metodi che nella contemporaneità sono
i più vari dalla pittura classica al digitale,
anche per le espressioni che si caratterizzano
sia con scelte stilistiche declinate
dall’astrazione sia dalla figurazione.
La pittrice Maria Chiara Viviani, che ha
una formazione tutta toscana, tra la terra
di Siena (è nata e vive a Colle di Val
D’Elsa) e gli studi accademici fiorentini,
ci ha mostrato e ci mostra nelle sue opere
pittoriche, in modo sempre coerente
ed originale, la sua espressione artistica
nel solco della figurazione e la sua poetica
ispirata, nella trasposizione sulla tela
di elementi naturali, suggestivi e simbolici,
dall’attento studio e conoscenza
di essi, anche nella scelta di particolari,
della figura umana e degli animali. I risultati
nitidi ed eleganti delle sue opere,
che evidenziano un’interpretazione dei
soggetti che scaturiscono dal sentimento
e dall’anima dell’artista, conferiscono
alle sue pitture un’intensa originalità,
che coniugando una sapiente tecnica
pittorica con la scelta delle parti figurate,
ne rivela e ne caratterizza l’assoluta
Presenze per Colle, tecnica mista su tela, cm 160x80
contemporaneità dell’espressione artistica
della pittrice Maria Chiara Viviani.
Non posso non richiamare alla memoria
l’ammirata e pregevole serie di quadri
con la raffigurazione della “tigre”, elegante
ed altera, interpretata e fissata nei
suoi agili e sinuosi movimenti del corpo.
Affascinante nello sguardo ipnotico
e nei colori del suo manto, tutti elementi
che l’artista accosta a materiali preziosi
come l’oro e l’argento, che ne sottolineano
la preziosità della specie, troppo
spesso a rischio di estinzione per mano
delle azioni dell’uomo. Uomo che nei
ritratti della pittrice Maria Chiara Viviani
ha accanto a sé, in verità, quasi sempre
di sfondo, un animale, allegoria simbolica
di caratteri che l’introspezione dell’artista
attribuisce al ritrattato quasi come
elemento iconografico, in modo del tutto
originale e nuovo, rispetto a quelle
antiche ascendenze di illustri esempi del
passato, quali fra tutti, ricordo fra i più
noti, la Dama con l’ermellino di Leonardo.
Arme o stemma, simbolo della città
di Colle di Val d’Elsa è la testa di cavallo
e per la città di Siena il cavallo è quello
che io definisco il “motore” del Palio.
Dall’atmosfera che si respira fin dalla
Occhio di falco, tecnica mista su legno e cristallo,
cm 100x100
nascita nella terra di Siena ritengo che
origini, oltre all’amore per gli animali,
l’interesse della pittrice Maria Chiara Viviani
per lo studio, l’interpretazione e la
raffigurazione del cavallo. Ce ne ha data
una significativa prova e attestazione
in una recente, piccola e breve esposizione
in un locale a Siena, io lo definirei
con un espressione molto attuale, un
prezioso ed esclusivo flash mob come
un cameo, tutta dedicata al cavallo, interpretato,
indagato e raffigurato in scelte
e meditate visioni di particolari della
testa, del muso e degli occhi, che ci
parlano di un dialogo dell’anima della
pittrice con queste eleganti, forti e
stupende creature. Da queste opere
l’artista ci fa capire il suo dialogo interiore,
come si parla con gli occhi
e negli occhi, in un linguaggio universale
dell’anima che ci richiama
alla mente l’eleganza, la fedeltà e l’amore,
valori eterni, che spesso noi
umani dimentichiamo. La pittura di
Maria Chiara Viviani, a mio parere,
ci ricorda anche questo e lei lo fa attraverso
uno sperimentato e sapiente
stile personale, contemporaneo e
assolutamente originale.
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MARIA CHIARA VIVIANI
29
I libri del
Mese
Mauro Mari Maris
Incontro con l’autore di “Vita…vita”, autobiografia di un artista fuori dal comune
di Erika Bresci
Il laboratorio lo si raggiunge costeggiando
il fiume. Un cancello, l’orto
sulla sinistra e un piccolo piazzale.
L’aria strana di un settembre stranamente
afoso mi accompagna all’incontro
con Mauro Mari, in arte Maris, che mi
ha invitato a vedere dal vivo il suo rifugio.
Lo trovo in piedi, in mano uno straccio
e intorno il frutto di nuove creazioni.
Mi sorride genuino e capisco che sarà
un pomeriggio interessante. Entrare nel
“magazzino” – come lo definisce lui –
equivale a essere risucchiati in una dimensione
parallela, dove a contare sono
solo i colori e una densità materica capace
di togliere il fiato. Rosso, blu e giallo,
soprattutto, inzuppano i quadri, disposti
a occupare anche il più infinitesimale degli
spazi, e tracimano all’esterno, costringendoti
a guardare più in fondo, oltre lo
spessore dei cerchi e delle linee tracciate
con forza. Mi soffermo su uno dei suoi
paesaggi – eco dell’amore per la sua terra
di Siena –, e concordo con lui che l’emozione
suscitata da un luogo (o da un’esperienza
o dal volto di chi ami o di chi ti
ha tradito) è ciò che davvero resta dentro,
Cuori, un’opera di Mauro Mari Maris
nella memoria, pronta a essere trasferita
su tela (o su qualsivoglia supporto) al
momento giusto. Ecco, sì, la sensazione
che provo qui e ora è quella di essere
una nuova Alice in un mondo di visioni
e sogni. Alza un quadro, senza cornice,
e spiega: «Vedi, quattro cuori, uno per
ogni figlio». E mi ci fa passare sopra un
dito, per sentire bene, provare concretamente
ogni avvallamento, lo scoscendere
del tratto, la circolarità del disegno. Amore
e sofferenza sembrano colloquiare in
un linguaggio personale e riservato. Vuoti
e pieni. Angoscia e passione. Torniamo
così alle pagine del libro che ho recensito,
“Vita… vita”, e al motivo principale
per il quale è stato scritto. Un matrimonio
finito in burrasca, malignità sparse dall’ex
moglie a piene mani e il forzato, non voluto
allontanamento dalle figlie. «Non poter
vedere le mie figlie è stata una terribile
condanna… Finché avrò vita non smetterò
di tentare una riconciliazione perché
non sono il padre che mi hanno descritto,
vorrei poterlo dimostrare e riabbracciarle».
Dania e Simona, risucchiate in un
tempo lontanissimo di ricatti e bugie, re-
stano ancora oggi fantasmi da recuperare
alla carne. «In questi lunghi anni di
silenzioso tormento la pittura mi ha aiutato
a sollevare il mio animo e ad alleviare
il dispiacere trasformandolo in energia
che esprimo attraverso i colori», confessa
commosso. E mi commuovo anch’io.
Sposto lo sguardo sugli altri due cuori.
Moreno e Manuele. Gli altri due figli, avuti
dalla nuova moglie, Maria, definita nel
corso dell’incontro, un angelo, un dono,
una fortuna, quella che lo «fa sentire un
re». Lei che lavora e che gli lascia tutto
lo spazio per poter continuare a creare,
a frequentare quel suo mondo intimo irrequieto
e buio, da portare alla luce e da
colorare con smalto e vernice. I figli me li
racconta ormai grandi e ben sistemati. Mi
pare quasi di vederli giocare a rincorrersi
tra cavoli, pomodori e piante di menta e
basilico nel grande orto a cui Mauro dedica
le ore che non passa a dipingere, sdraiati
sull’amaca che non c’è più. Scene di
vita quotidiana, serene, che Mauro si è
conquistato dopo anni di dolorosa separazione.
Si parla di tanto, di lui, che non è
solo il pittore che conosciamo oggi. Una
storia di vita incredibile, da romanzo (in
cui non mancano divertentissimi aneddoti).
È ragazzo di bottega, imprenditore
con alterne vicende in Italia e in Romania,
amico di Schifano e titolare della galleria
in San Frediano, uomo della televisione
e delle selezioni di Miss Italia, animatore
di camping in Versilia e di eventi in piazza,
uomo dalle mille cadute ma sostenuto
da una speranza coriacea e indistruttibile
nel futuro. Spera, Mauro. Soprattutto
di raccontare alle sue figlie, alla sua nipote
bellissima quello che in un pomeriggio
di settembre ha raccontato a me. Si è fatto
tardi. Riparto con un carico di verdura.
E due quadri. Uno, quello con i quattro
cuori. E mi sento ricca e felice.
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
Mauro Mari, Vita… Vita, Scandicci (FI),
Tipografia Turri, 2018
Euro 5,00 (più spese di spedizione)
30
MAURO MARI MARIS
I libri del
Mese
Renato Campinoti
I Medici a modo mio: una detective story per rileggere le
vicende di una delle dinastie più importanti del Rinascimento
di Erika Bresci
Dei Medici e delle loro alterne
fortune, di quelle (tante)
zone d’ombra che non sono
comunque riuscite ad offuscare nel
tempo i meriti e la fama di una famiglia
dai caratteri d’eccezione, è stato
scritto molto e anche di più. Ne è nata
persino una fiction di grande successo
(e altrettanto serrato confronto).
Ma ogni ricerca, ogni tassello, ogni
particolare nuovo – quand’anche soltanto
verisimile – che si aggiunga al
già conosciuto che li riguardi ha l’incredibile
dono di solleticare d’istante
la curiosità e l’interesse generale, non
solo quello del popolo fiorentino. Renato
Campinoti, per raccontarci in sei
racconti i “suoi” Medici, sfrutta la collaudata
penna di narratore giallo (si
veda il romanzo Non mollare, Caterina)
e chiama all’appello due detective
d’eccellenza: Benedetto Varchi, storico
del Cinquecento incaricato dal duca
Cosimo I di scrivere la Storia fiorentina,
e Artemisia Gentileschi, pittrice
vissuta il secolo successivo e prima
donna ad essere ammessa all’Accademia
delle Arti del Disegno a Firenze.
A Benedetto, l’autore affida il compito
di scavare, in quattro diverse indagini,
nella storia della famiglia per scoprire
chi fu il vero capostipite della fortuna
e della ricchezza dei Medici, quali cause
si nascondano dietro la fine di Masaccio,
come morì davvero Lorenzo
il Magnifico, perché forse Lorenzino
(poi trasformato in Lorenzaccio) non
avesse poi tutti i torti a farsi assassino
del cugino Alessandro. Ad Artemisia,
quello di ripescare dall’oblio tre delitti
orrendi avvenuti in seno alla famiglia
e che hanno avuto come tristi protagoniste
tre donne di grande fascino:
Bianca Cappello, Isabella de’ Medici
e Leonora da Toledo. Per il sesto
racconto, poi, si immagina un serrato
dialogo tra Maria Luisa, l’Elettrice Palatina
e il proprio
cocchiere, al quale
è affidata l’apologia
inattesa del
povero Gian Gastone,
ultimo dei
Medici, regalando
alla principessa,
e a noi lettori,
particolari inediti
di una vita segnata
da molte ombre
ma anche da pregevoli
e illuminate
iniziative. Una storia
capace di restituire
alla spenta e
intristita Maria Luisa
quella fiamma
viva d’orgoglio che
la porterà a siglare,
da lì a qualche
giorno, con Firenze
il famoso Patto di
famiglia. I racconti,
oltre al godibile
intreccio proposto,
al piano scorrere
del periodo
dai tratti didascalici
ma mai noioso o
sciatto, alla giusta
miscelazione tra invenzione e ricorso
a una bibliografia ricca e in continuo
aggiornamento, contengono,
a mio avviso, un tema fondamentale
che prescinde e supera l’interesse
iniziale per i Medici. Ovvero, l’idea
stessa di Storia. Perché Benedetto e
Artemisia, con il loro cercare arrivano
poi davvero alla verità (scomoda); verità
che non trae origine dal confronto
delle fonti ufficiali ma che sgorga
dalle testimonianze dirette, dalle lettere
personali, dai luoghi e dagli oggetti
quotidiani visti e considerati nella loro
semplice essenza, non artatamen-
te “interpretati”. Una verità che viene
troppo spesso sacrificata – proprio
come nel caso dei nostri detective –
agli interessi del potere, perché “l’autonomia
di giudizio sui fatti storici” e
le “forme autorizzate” per raccontare
quei fatti finiscono inevitabilmente
per cozzare. E a perdere, con la prima,
è la verità stessa. Un messaggio forte,
che, insieme alla lettura appassionante
degli eventi narrati, ci impone una
riflessione matura sull’importanza di
fare della storiografia la madre privilegiata
e onesta della Storia da scrivere
e da insegnare.
RENATO CAMPINOTI
31
Concerto in
salotto
Laura Molteni
Due antologie musicali per vivere emozioni sul pentagramma
di Simona Donati
Laura Molteni, giovane compositrice
nata a Firenze, dalle molteplici
esperienze musicali e
pedagogiche, si è dedicata alla composizione
fin da quando era poco più che
una bambina. Diplomata al Conservatorio
Cherubini e laureata con lode all’Università
di Firenze, oggi la troviamo autrice
di due volumi dalla connotazione intimistica
Musica insieme e Miscellanea pianistica
(ed. Sonitus, Varese 2020). Queste
due antologie abbracciano composizioni
dedicate a luoghi e persone a lei care:
pura poesia tradotta in musica. Il breve
brano in fa minore per due fagotti è un
dialogo dal timbro scuro e leggero al tempo
stesso. Schizzi d’arabeschi, per violino
e pianoforte, è un fluire melodioso di
temi variegati la cui scrittura denota freschezza
e libertà stilistica. Segue il Divertimento
per clarinetto, quartetto d’archi e
pianoforte, in cui le voci si cedono il tema
nell’allegretto della “Polacca”, per proseguire
nella “Danza macabra” con la voce
del solo violoncello e poi in un crescendo
dato dall’introduzione graduale di tutti gli
strumenti per terminare in uno “Scherzo
finale”. Nel Giardino dell’Orticoltura di Firenze,
per duo di violoncello e pianoforte,
comunica la commozione provata durante
la visita dell’omonimo
giardino ottocentesco. La
scelta delle formazioni degli
ensemble e la scrittura
delle parti evidenziano uno
spiccato talento e una grande
originalità. Con grande
maestria è stata composta
la raccolta delle sedici opere
per pianoforte, in cui l’autrice
spazia fra improvviso,
valzer, notturno e romanza
in autentiche istantanee di
luoghi, profumi e ricordi fissati
sul pentagramma con
progressioni, modulazioni e
cambi di tempo, che mettono
in risalto una grande capacità
di comunicazione. La
stessa autrice rivela a questo
proposito: «Si tratta di
brevi brani tonali, composti
sull’onda dell’emozione suscitata
da un paesaggio, da
una notizia o da un ricordo.
Come un giardino rustico si caratterizza
per la sua manifestazione di florida e libera
creatività, così queste raccolte presentano
una versatilità che è frutto della libera
trasposizione in musica di emozioni che,
Laura Molteni
comunicate e condivise con gli altri, invitano
alla speranza e recano un po’ di gioia
in questo mondo così faticoso». Nella
raccolta sono presenti anche i brani Teneramente
(con cui si è aggiudicata il primo
premio assoluto all’XI Concorso nazionale
di composizione pianistica indetto
dall’associazione De Musica a Savona nel
2015), Notturno di Primavera (primo premio
ex aequo per la sezione Composizione
breve) e Notturno, con cui ha ottenuto
una segnalazione per meriti artistici al
medesimo concorso. Attualmente si dedica
alla composizione per strumenti solistici,
ensemble cameristici e orchestra,
Lied su poesie di autori contemporanei
e non, musiche di scena, musica sacra
(messe e mottetti a 4 voci, toccate e altri
brani organistici). Il talento e la sensibilità
di una compositrice come Laura ci permettono
di ascoltare le sue emozioni, che
prendono forma sul pentagramma.
laura.molteni@organisti.it
www.sonitusedizioni.com
32
LAURA MOLTENI
A cura di
Giuseppe Fricelli
Concerto in
salotto
Duilio Baronti
Una zimarra con attaccapanni
di Giuseppe Fricelli
Non di rado in spettacoli di prosa
o di opera lirica, gli interpreti si
divertono a farsi degli scherzi.
Vi voglio raccontare di un episodio realmente
accaduto. Mi fu narrato dal cantante
Duilio Baronti, famoso interprete
che aveva svolto un’importante carriera
in tutto il mondo con la voce di basso.
Mi narrò che in una replica della Boheme
di Puccini nella veste di Colline, al Metropolitan
di New York, prima della famosa
romanza Vecchia Zimarra, entrò in scena
a prendere il mantello. Questo si trovava
appeso ad un attaccapanni a parete:
il cantante si accorse che l’indumento
non si staccava. Cosa era successo? I
colleghi avevano inchiodato il mantello
all’appendiabiti. A Baronti, per risolvere
il problema, non restò che staccare dalla
parete la striscia di legno con i ganci per
gli indumenti, dovette cantare la romanza
con la zimarra in braccio e... l’attaccapanni.
Fu un vero successo, malgrado
tutto. Ah, dimenticavo: i suoi colleghi
erano Beniamino Gigli, Lucia Albanese,
Aristide Baracchi, Afro Poli, Tatiana Menotti.
Vi è anche una incisione dell’opera.
Duilio Baronti al Teatro alla Scala (anni Trenta)
nell’opera La Gioconda
DUILIO BARONTI
33
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Enzo Verdelli
Una finestra spalancata sull’universo
di Daniela Pronestì
Uno degli aspetti che più incuriosisce
nell’opera di Enzo
Verdelli, è il misterioso alfabeto
elaborato dall’artista per comunicare
con una dimensione che non appartiene
a questo mondo, ma si rivolge al cosmo,
agli spazi siderali. Per essere più
precisi, potremmo paragonare questo
suo codice criptico alla scrittura di
una civiltà perduta proveniente da chissà
quale galassia e giunta fino a noi grazie
alle tracce rinvenute sulle pareti di
una caverna. La sensazione che ci accompagna
nell’osservare questi dipinti
è di stare scrutando la superficie di un
muro su cui qualcuno ha lasciato un segno
del proprio passaggio migliaia di
anni fa; e non un individuo soltanto, ma
più persone, ciascuna delle quali ha aggiunto
qualcosa di nuovo ad un discorso
già iniziato da altri. Un messaggio
cifrato, dunque, che giunge dal passato
a parlare di un tema senza tempo: capire
quali siano le forze che reggono l’universo
e che, nonostante gli sforzi della
scienza, rimangono ancora oggi in gran
parte sconosciute. L’artista − suggerisce
Verdelli − è un connettore di queste
forze, colui che riesce ad intercettarle
e a condensarle nell’opera, facendo di
quest’ultima un trait d’union tra visibile
e invisibile, finito e infinito. Come in una
mappa del cielo, dove linee collegano tra
loro oggetti celesti quali parti di un tutto
indivisibile, così nei quadri di Verdelli
− molti dei quali dipinti su tavola − for-
me e colori si combinano in un disegno
complesso e unitario che fa pensare alle
rotte dei pianeti, ai movimenti degli
astri, ai cerchi concentrici dell’ordine cosmico.
Punti, ellissi, spirali, segni minuti
compongono un linguaggio che riunisce
insieme uno e molteplice, ordine e disordine,
terra e cielo. Un modo diverso di
concepire il supporto non come superficie
da riempire ma come contenitore di
spazio nel quale la pittura diventa graffio
primordiale, scrittura segreta. Non vi
è nulla di casuale in quello che potrebbe
sembrare invece un dipanarsi accidentale
e disordinato degli elementi espressivi;
al contrario, ogni colore, linea o altro
segno si dispone nello spazio come la
parola in una frase o la nota in uno spar-
Alfabeto cosmico 1, tecnica mista su tavola
Alfabeto cosmico 2, tecnica mista su tavola
34
ENZO VERDELLI
tito. Un’armonia formale e di significato
che condensa nel piccolo l’infinitamente
grande, nella superficie limitata del
dipinto un frammento di cosmo. In questo
caso, l’atto creativo non coincide con
un monologo interiore o un flusso di coscienza
− come accade invece in molta
arte gestuale −, non ha quindi un valore
introspettivo, ma è un dialogo aperto
con la realtà intorno, un porsi dell’artista
in sintonia con le energie che permeano
l’universo, collegando tra loro esseri viventi,
terra e corpi celesti. Il suono dello
spazio, la danza della rotazione dei pianeti,
le onde dei ritmi cosmici: è questo
che Verdelli si propone di rappresentare,
trasformando il quadro in una finestra
spalancata sull’universo, un punto
di osservazione privilegiato sul continuo
divenire della vita oltre la soglia del mondo
conosciuto. E se da un lato ci invita a
guardare le stelle, a portare lo sguardo
lontano, lungo rotte impossibili, dall’altro
sa bene che non esiste viaggio fuori
di sé che non conduca ad intraprendere
anche un viaggio all’interno, nel cosmo
altrettanto misterioso e profondo
che ogni uomo custodisce dentro.
Un'occhiata all'universo, tecnica mista su tavola
Enzo Verdelli
Nato in Svizzera, vive in Italia
a San Gregorio nelle Alpi
(Belluno). Ha operato a
lungo nell’arte della ceramica prima
di dedicare la sua ricerca al linguaggio
pittorico e parallelamente
alla musica. Espone da anni in rassegne,
fiere e concorsi nazionali ed
internazionali ottenendo significativi
riconoscimenti: premio Copertina
al Premio Italia per le Arti Visive
nel 2010, premio Fiorino d’Argento
al Premio Firenze nel 2013. In
questi anni recenti ha esposto in
gallerie e spazi pubblici a Berlino,
Stoccolma, Firenze e Trento con Simultanea
Spazi d’Arte.
La terra nell'universo 1, tecnica mista su tavola
ENZO VERDELLI
35
Arte &
Vacanze
A cura di
Andrea Petralia
Antonio D’Antini
Il pittore dell’inconscio al Terme Beach Resort di Punta Marina
di Stefania Reitano
Antonio D’Antini è nato nel 1967 a
Foggia, dove vive e lavora. Consegue
nel 1986 il diploma di Geometra
e successivamente s’iscrive alla
Facoltà di Ingegneria. Nel 2001 frequenta
un corso di ceramica e nel 2003 consegue
l’attestato di Grafico Pubblicitario.
La passione per l’arte è stata latente in lui
fin dalla giovinezza; inconsapevolmente
si dedicava all’arte come un hobby interessante.
È intorno ai 35 anni che prende
consapevolezza delle proprie capacità
artistiche e decide di dedicarsi alla pittura,
prediligendo la tecnica ad olio. Negli
ultimi anni riceve diversi riconoscimenti,
tra i quali il Premio Canaletto nel 2018, e
pubblicazioni importanti in riviste specializzate.
A breve sarà tra gli artisti di Mecenate.online,
il sito ideato da Antonino
Petralia che propone in tutto il mondo
l’arte italiana contemporanea.
La sua ricerca artistica
si basa sulla poetica
dell’inconscio; figure oniriche
e paesaggi “inesistenti”
rappresentano la realtà
visionaria dell’artista. Essendo
un autodidatta, la
sua pittura è sgombra di
“schemi accademici” e di
influenze tecnico-pittoriche,
risultando priva di sovrastrutture.
I suoi quadri
sono la narrazione figurativa
di un viaggio ideale, Antonio D'Antini
di un tempo sospeso. L’atmosfera
contemplativa approda in spazi
surreali dove le figure appaiono “morbide”
e armoniose, e i paesaggi diventano
oggetti/soggetti di un racconto onirico.
Il Cristo donna di D’Antini: il lato spirituale della bellezza
di Vittorio Sgarbi
Non so se il foggiano Antonio
D’Antini sapesse, nel momento
in cui dipingeva il suo singolare,
per certi versi blasfemo, almeno agli
occhi dei più bigotti, Cristo donna, che
la sua creazione non stava stravolgendo
un’iconografia sacra, ma ne stava riprendendo
un’altra. Il Cristianesimo ha contemplato
anche sante martiri crocifisse
allo stesso modo di Gesù. Una è Wilgefortis,
principessa figlia di pagani, che per
preservare la sua verginità chiese a Cristo
di farle crescere la barba. Come la vide
simile anche d’aspetto al suo idolo, il
padre la fece uccidere nel suo stesso modo.
L’altra è Giulia, crocifissa in Corsica,
dove i benedettini della Gorgona raccolsero
le sue spoglie e le tennero fino a quando
Desiderio, ultimo re longobardo, non
ne dispose il trasferimento a Brescia, facendone
oggetto di uno speciale culto.
Proprio a Brescia si trova, nell’omonimo
convento, la raffigurazione più impressionante
di Giulia: una statua secentesca
I soggetti della sua pittura sono metafora
di un universo parallelo intimo e introspettivo;
infatti, pur essendo una pittura
figurativa, non è mai descrittiva. Non racdei
fratelli Carra in cui la martire appare
esattamente come Cristo in croce, a petto
nudo, con la veste a coprirle solo la parte
inferiore del corpo. Il Cristo donna di
D’Antini è dunque Giulia, ovvero il concetto
alla sua base: se è vero che Dio ha fatto
uguali entrambi i sessi, non può essersi
fatto solo uomo, ma, necessariamente,
anche donna. Certo, la donna di D’Antini
esalta al massimo la femminilità, usando
la croce come un palo di lap dance per
arcuare un corpo di strabordante rotondità
e proiettare verso il cielo una chioma
lunga, bionda e lasciva come nel racconto
di Maupassant. Conciliando paganesimo
e Cristianesimo, verrebbe da capire
che per D’Antini la bellezza sia, piuttosto
che fonte di peccato, mezzo di elevazione
spirituale. Ma si tratta, evidentemente, di
una visione onirica, come prevalentemente
capita nei dipinti di D’Antini, e le visioni
non sempre rispondono alla possibilità
di essere interpretate puntualmente. Sono
immaginazioni ad occhi chiusi, incanti,
qualche volta beati, qualche altra inquietanti,
trasposti in una pittura che asseconda
a dovere l’irrazionale, semplificando il
linguaggio figurativo in composizioni che
tendono, invece, al rispetto di un certo ordine
nell’equilibrare volumi e partiti cromatici.
E la fiaba continua.
Cristo donna
36
ANTONIO D’ANTINI
Borgo spirituale
conta una storia, un ideale, ma è la rappresentazione
immaginaria dell’io più
profondo. La sua tavolozza, dai toni “caldi”,
è ricca di colori naturali, che diventano
protagonisti di questo spazio surreale;
la morbida pennellata manierista avvolge
gli oggetti/soggetti donandogli un’aurea
divina. Elemento fondamentale nelle sue
opere è la luce. I suoi dipinti sono “patinati”
da una luce che è protagonista di
questo mondo metaforico, dove la dimensione
spazio-tempo è sospesa. È una luce
immaginaria, non naturale, che molto
spesso azzera la prospettiva collocando
gli elementi in un unico piano visivo. Nei
quadri di D’Antini, lo spazio, le figure, gli
oggetti e il colore hanno tutti la stessa importanza;
elementi che convivono insieme,
creando una fusione dove il risultato
è un’atmosfera lirica e onirica. Il riferimento
molto spesso è l’osservazione del reale
che viene destrutturato da un processo
“sentimentale” che porta il fruitore all’interno
di un’atmosfera emozionale dove
convivono elementi animati. La sua pittura
“surreale” è vicina per elementi strutturali
al movimento italiano che Achille
Bonito Oliva definì Transavanguardia,
che propone un
ritorno a materiali e tecniche
pittoriche tradizionali. Infatti,
i suoi quadri non sono ideologici
o concettuali; sono la
rappresentazione concreta
ed estetica del fare pittura.
C’è la volontà di non proporsi
obiettivi “intellettualistici”
ma estetici, isolando l’arte
dal mondo reale o da oneri
concettuali restituendole
il ruolo di “pura arte” capace
di vivere esclusivamente
per diletto dell’intelletto. Se
da una parte la sua pittura, che possiamo
definire “indipendente” essendo libera
da influenze ideologiche, appartiene
al mondo dell’inconscio, dall’altra appare
anche contemplativa e razionale, infatti,
il risultato non è mai casuale. Tutto
è ponderato, razionalizzato dalla mente
dell’artista che riesce a creare un “compromesso”
tra il conscio e l’inconscio.
C’è sempre un progetto mentale che si
concretizza attraverso un automatismo
Bosco incantato
Dissociazione
inconsapevole; il risultato è un’opera
d’arte dove convivono elementi contrastanti
che caratterizzano la vera natura
dell’uomo, ovvero ragione e sentimento.
Fino al 24 ottobre è in corso al Terme Beach
Resort di Punta Marina Terme (Ravenna)
la personale di Antonio D’Antini a cura
di Andrea Petralia, direttore artistico della
rassegna Arte&Vacanze e consulente di
Mecenate Ltd.
In collaborazione con:
Con il patrocinio di:
ANTONIO D’ANTINI
37
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
I professionisti insostituibili del teatro
Intervista al tecnico luci e light designer Alessandro Ruggiero
di Doretta Boretti / foto courtesy Alessandro Ruggiero
Il tecnico luci, nella messa in scena
di uno spettacolo teatrale, riveste
un ruolo molto creativo e collaborativo,
in quanto lavora attivamente con
lo scenografo e il regista. Ne parliamo
con Alessandro Ruggiero, tecnico luci e
light designer.
Da quanti anni svolge questa professione?
La mia esperienza lavorativa è trentennale.
Ero giovanissimo quando iniziai
a lavorare per dei service luci con una
formazione sul campo per varie edizioni
di Pitti Bimbo, Donna, Uomo. Dopo
circa tre anni iniziai con le tournée teatrali
per la prosa, uno spettacolo di
Giuseppe Patroni Griffi con un cast di
eccellenza, Sebastiano Lo Monaco, Alida
Valli, Giustino Durano, in Questa sera
si recita a soggetto e Sei personaggi
in cerca di autore. Questi spettacoli mi
fecero da rampa di lancio e passai al
ruolo di capo elettricista al Metastasio
di Prato (a quel tempo Teatro Stabile
della Toscana) per lo spettacolo Il principe
costante di Jerzy Grotowski con la
regia di Pierluigi Pieralli, nel quale oltre
al ruolo di capo elettricista, coordinando
la mia squadra per l’allestimento
dello spettacolo, collaborai al disegno
delle luci che manovrai da solo nel momento
stesso della rappresentazione.
Dopo un mese di repliche,
essendo stato il mio lavoro
molto apprezzato, il
Teatro Metastasio mi affidò
quasi tutti gli spettacoli
che aveva in cartellone.
Fu lì che iniziò la mia trentennale
carriera di tecnico
luci light designer. Con la
compagnia di danza Corte
Sconta di Milano ho potuto
girare il mondo. Sono
stato per molti anni responsabile
elettricista per
la Fabbrica Europa per le
arti contemporanee e per
alcune edizioni dell’Estate
Fiorentina a Villa Strozzi a
Firenze. Cercherò di essere
più breve: ho lavorato per
l’Estate Fiesolana, l’Opera
Festival, Boboli, San Gargano,
Taormina, dove ho
svolto sempre il mio ruolo
professionale; ho lavorato
con artisti come Momix,
Bolle, Cats, Evita, e poi mi
sono fermato ad un teatro
Alessandro Ruggiero
stabile, denominato Teatro Dante, con
la direzione artistica di Alessandro Benvenuti,
con il quale, oltre al ruolo di ca-
Pitti Immagine 2007 Pitti Bimbo 2010
38
ALESSANDRO RUGGIERO
In questa e nelle altre foto delle scene dello spettacolo Il Principe Costante, regia di Pierluigi Pieralli, luci di Alessandro Ruggiero
po elettricista, ho lavorato come light
designer per le sue produzioni teatrali.
Successivamente, quando il Teatro
Dante è diventato Teatrodante Carlo
Monni e la direzione artistica è stata
affidata a Andrea Bruno Savelli, ho
disegnato e curato le luci di quasi tutti
i suoi numerosi spettacoli teatrali, fino
ad ora rappresentati e prodotti.
Cosa fa nello specifico il tecnico luci?
Il tecnico luci si occupa della creazione
delle luci per uno spettacolo, solitamente
prima, come ho già detto,
faccio il disegno delle luci, ovviamente
diverso per ogni singolo spettacolo,
cercando di realizzare al meglio
quello che il regista si aspetta da me.
Conoscere i diversi tipi di proiettori,
valutare la luce che producono, quanto
renderà e dove devono essere posizionati,
è fondamentale, cerco di realizzare
un montaggio in base a quello che
ho progettato su carta. Ci sono una serie
di americane dall’altezza variabile,
dai 6 ai 10 metri, su queste americane
vengono posizionati alcuni fari che
servono alla realizzazione del progetto.
Immagino che questo lavoro richieda
un notevole sforzo fisico.
Certo perché già lavorare in altezza è
veramente impegnativo e pericoloso,
e noi lavoriamo su altezze notevoli, se
poi una persona, come noi,
si deve portare dietro un
materiale piuttosto pesante
come i fari, diventa uno
sforzo veramente notevole.
A quali orari siete sottoposti?
Gli orari sono variabili. Solitamente
per la lirica siamo
sottoposti a orari pesantissimi,
si può arrivare a lavorare
14-15 ore consecutive
al giorno, per altri spettacoli dipende,
a volte 11-12 ore, perché le prove
sono sempre molto serrate, quindi
gli orari diventano spesso abbastanza
lunghi.
Adesso che iniziano a riaprire i teatri
che prospettive ci sono per voi professionisti
delle luci?
Per la nostra categoria il Covid-19
ha portato dei problemi grossissimi,
il programma di un anno di lavoro è
saltato, abbiamo dovuto interrompere
tutto senza sapere come fare. Adesso
il lavoro è un po’ ripartito perché lavoriamo
in spazi aperti per allestimenti
molto più piccoli. Per quanto riguarda
il lavoro in teatro la prossima programmazione
stagionale è nettamente
inferiore a quella degli altri anni. Quindi,
per ora la prospettiva non è molto
rosea. Confido che qualcosa possa
cambiare nei prossimi mesi.
Se dovesse fare un bilancio della
sua vita professionale fino ad oggi:
è contento della scelta fatta?
Lavorare per le luci nell’ambito dello
spettacolo è stata ed è a tutt’oggi un’esperienza
che rifarei mille e mille volte.
ALESSANDRO RUGGIERO
39
presentano:
Artigianato è Arte
Mostra di
pittura, scultura e artigianato artistico
11 – 15 settembre 2020
con proroga fino al 19 settembre
Vecchia Propositura
Scarperia
Espongono:
Claudio Barbugli con Revenge S.r.l.
Valentino Bini
Fiorella Braccini Del Lungo
Beatrice Brandini
Atelier GiuliaCarla Cecchi
Alfredo Correani
Renzo Del Lungo
Antonella Lucchini
Marco Maffei
Mario Meoni
Miriana Paolucci
Roberto Romoli
Omero Soffici
Achillea Spaccazocchi Bianchi
Maria Teresa Tronfi
Raniero Vettori
Curatela e organizzazione della mostra
Renzo Del Lungo
Con la collaborazione di
Alessandro Belli
Un ringraziamento particolare alla signora
Fiorella Braccini Del Lungo
per l’allestimento
Claudio Barbugli claudiobarbugli@gmail.com Revenge S.r.l.
Dopo un esordio avvenuto nel
solco del paesaggismo toscano,
la pittura di Claudio Barbugli è
approdata in tempi recenti ad
un’evidente quanto efficace sintesi
espressiva. Lo confermano i dipinti
dove si avverte il passaggio
da una rappresentazione realistica
del dato naturale ad una sempre
maggiore semplificazione dell’impianto
compositivo, con esiti che
sfiorano l’astrazione formale. Dissolto
nel binomio luce-colore, il
paesaggio è un’impronta appena
riconoscibile nell’incessante turbinio
di sensazioni, un’eco che si
spegne nella continua alternanza
di accenti cromatici. È una diversa
dimensione dello sguardo,
non più ancorata ad un’idea della
natura come spettacolo da contemplare,
ma come estensione
dell’interiorità.
Daniela Pronestì
Artigianato è Arte
Vecchia Propositura
Scarperia
Valentino Bini
La ditta Bini Arte, nata ufficialmente
nel 1967, vanta una precedente
esperienza di apprendistato e
collaborazione con lo studio del
professor Rodolfo Fanfani risalente
al 1957. I lavori della Bini Arte
impreziosiscono ville, banche, uffici
e appartamenti di tutti quelli
che si riconoscono fra gli estimatori
dell’arte vetraria, dando un
tocco di preziosità e di prestigio
agli ambienti. Il segreto di tanto
zatterini@gmail.com
successo è intrinseco alla cura e
alla precisione delle lavorazioni,
retaggio di insegnamenti di vecchia
data legati ad una espressione
artistica e pittorica di evidente
pregio. Fra le varie collaborazioni
si possono ricordare quelle avute
con i pittori Luciano Schifano e
Mario Fallaci e gli architetti Vinicio
Pagni, Pio Porcinai, Giovanni
Michelucci e altri. Tutte le opere,
sia quelle eseguite per conto
d’altri che quelle ideate dalla Bini
Arte, sono realizzate con materiali
fra i migliori esistenti: vetri soffiati
di Monaco per vetrate tradizionali
e vetri Dalles a grosso spessore
per realizzazioni moderne. La pittura
e la cottura sono fasi curate
internamente sotto la direzione e
la supervisione del titolare Valentino
Bini a garanzia di un’opera
finita a “regola d’arte”.
Beatrice Brandini
info@beatricebrandini.it
Beatrice Brandini nasce a Firenze.
La sua formazione è nel campo
dell’arte e della moda (Facoltà
di Lettere, indirizzo Storia
dell’arte, e Polimoda), così come
le sue esperienze professionali
che per molti anni si articolano
fra Firenze e Milano (Ferragamo,
Champion, Puma, Zucchi, Asahi
Kasei, etc.). Amante dell’arte
anche grazie all’influenza del padre
che possedeva una galleria,
inizia un percorso pittorico e illustrativo
che la porta a partecipare
a mostre collettive in Italia e
all’estero e a realizzare lavori per
aziende durante manifestazioni
come Pitti Immagine. La poetica
di Beatrice Brandini si nutre del
suo percorso formativo: dipinge
giovani donne eleganti e raffinate,
dotate di stile, ma anche
sognanti, eteree e provocatoriamente
innocenti. Sono frutto
della complessa natura femminile,
caratterizzata da innumerevoli
sfaccettature e contraddizioni.
Spesso sono ritratte con una
lunga sciarpa, non un accessorio
né un elemento decorativo,
ma un oggetto che assolve una
funzione simbolica. Nel cammino
che dall’adolescenza porta
all’età adulta, la sciarpa protegge
e rassicura queste donne, avvolgendone
il corpo e l’anima.
«In mancanza di calore umano −
scrive l’artista − ho la mia sciarpa,
e mi basta».
Artigianato è Arte
Vecchia Propositura
Scarperia
Atelier GIULIACARLA CECCHI
GIULIACARLA CECCHI è un atelier
di alta moda italiana fondato nel
1930 da Giulia Carla Cecchi e con
sede a Firenze. Novant’anni di moda
polacecchi@gmail.com
a Firenze, durante i quali l’atelier
GIULIACARLA CECCHI ha vestito le
proprie clienti con sapienza
artigianale, classe ed eleganza
nella sede storica della maison in
via Jacopo da Diacceto 14.
Alfredo Correani
coralf1947@libero.it
Nato a Scandicci nel 1947, Alfredo
Correani vive e lavora a Greve in
Chianti. Dipinge dagli anni Sessanta,
da quando frequenta l’Istituto d’Arte
di Porta Romana a Firenze, allievo e
amico del professor Renzo Grazzini,
dal quale apprende oltre all’uso del
colore − in particolare viola, verde e
ocra − anche la tecnica dell’affresco.
Frequenta la Scuola libera del nudo
all’Accademia di Belle Arti di Firenze
dove approfondisce attraverso
il disegno la conoscenza della figura.
Altro momento di crescita i due
anni passati alla scuola di pittura “Lo
Sprone” a Firenze dove incontra il
professor Franco Messina che lo stimolerà
non poco nel suo futuro percorso
pittorico. Molti i premi ricevuti,
tra questi si ricordano i più recenti:
2010, primo premio Palio delle Contrade
“Bagno a Ripoli”; 2012, primo
premio estemporanea Canottieri di
Firenze, Riflessi sul fiume (Florence
Dragon Lady). Tra le mostre si segnalano:
2010, Accarezzando il silenzio,
Caffè Storico Letterario Giubbe Rosse
Firenze; 2011, Fiori dipinti, Sala
espositiva Leopoldine, Firenze;
2011, Il mondo magico di un maestro,
Arena Teatro Cinecittà, Scandicci;
2012, Ieri, oggi, azienda agricola
Lorenzo Correani, Greve in Chianti.
Artigianato è Arte
Vecchia Propositura
Scarperia
Renzo Del Lungo
dellungo.renzo@gmail.com
«La mia ricerca − scrive di sé Renzo
Del Lungo − si richiama alla
fondamentale dimensione del silenzio,
la sola di fronte alla quale
l’uomo può riscoprire veramente
se stesso, il proprio limite, il proprio
egoismo. Non quanto esce
dalla mano dell’uomo, quindi, ma
la natura può aiutarci, attraverso
la contemplazione dell’infinito, a
riscoprire tutto questo. Il linguaggio
formale mira così alla ricerca di
ciò che è tenue, fino a quando i
contorni stessi della realtà si dissolvono
nell’infinito attraverso delicatissime
trasparenze e sfumature
di colori. Anche la città, simbolo
dell’oppressione e dell’alienazione
dell’uomo, trova spazio nei miei
dipinti ma in una dimensione irreale,
compressa tra pianura e montagna,
sino quasi a scomparire in
un’unica traccia di colori sfavillanti
posti a contrasto con la monocromia
del paesaggio circostante. Il
silenzio è nostro, ci appartiene, fa
parte di noi. Isoliamoci, fermiamoci,
cerchiamolo…».
Fiorella Braccini Del Lungo
Sarta e costumista teatrale da
sempre, è impegnata in attività
sociali che la assorbono quasi a
tempo pieno. I capi presentati in
quest’occasione sono realizzati interamente
con materiali di riciclo.
Antonella Lucchini
antonella.lucchini60@gmail.com
Nata ad Orbetello nel 1960, Antonella
Lucchini risiede a Monteriggioni
e si dedica in particolare
alla pittura su porcellana, tecnica
alla quale si è appassionata grazie
agli insegnamenti di Achillea
Spaccazocchi Bianchi, dalla quale
ha appreso i segreti di quest’antica
forma d’arte. Dal 2018, fa parte
dell’associazione culturale “Achillea
Laboratorio d’Arte” con sede
a Siena. Grazie a quest’associazione
ha potuto esporre nell’ambito
della decima edizione della mostra
di arte decorativa su porcellana
tenutasi tra novembre e dicembre
2018 all’Hotel NH Excelsior in
Piazza della Lizza a Siena. Un’occasione
molto importante per presentare
i propri lavori in una manifestazione
che ha visto la presenza
di intenditori e professionisti provenienti
da ogni parte d’Italia.
Artigianato è Arte
Vecchia Propositura
Scarperia
Marco Maffei
Ritrarre la realtà non significa soltanto
fermarne l’aspetto visibile,
ma indagarne la natura profonda. È
questo l’obiettivo di Marco Maffei,
la cui ricerca pittorica si serve della
nitidezza esecutiva per avvicinarsi
millimetricamente al soggetto rappresentato.
La precisione tecnica
e il verismo illusionistico non esauriscono
il senso del quadro ma, al
contrario, permettono di scoprire la
meraviglia delle piccole e semplici
maffe271096@live.it
cose, di un frutto o di un oggetto
che condividono il nostro spazio di
vita e che però soltanto la pittura è
in grado di mostrarci sotto una nuova
luce. Un aspetto riscontrabile sia
nei lavori più “fotografici” realizzati
in punta di pennello sia nei ritratti,
alcuni pittorici, altri a matita, in cui
Maffei si confronta con le difficoltà
della pittura d’introspezione psicologica
− affidando soprattutto agli
occhi il racconto dei caratteri individuali
− e con il tema religioso, in
cui il trasporto emotivo è tale da far
passare in secondo piano la definizione
dei particolari per concedere
maggiore spazio all’espressione.
Daniela Pronestì
Mario Meoni
Pittore e scultore autodidatta, Mario
Meoni nasce ad Anghiari nel
1949. Trasferitosi a Firenze, inizia
l’attività artistica come pittore paesaggista,
esponendo in mostre
sia collettive che personali con
molto successo. Artista bizzarro
mario.meoni@libero.it
ed irrequieto, sente la necessità
di cimentarsi in altri linguaggi
come l’incisione, l’areografia e la
scultura dove esperimenta svariati
materiali come marmo, legno,
alabastro e soprattutto il bronzo
con le sue molteplici fasi lavorative.
Ottiene svariati successi, collocando
le proprie opere in vari
contesti. È ancora oggi un artista
curioso e sempre teso ad imparare
cose nuove, un infaticabile
sperimentatore.
Artigianato è Arte
Vecchia Propositura
Scarperia
Miriana Paolucci
Autodidatta, l’artista senese Miriana
Paolucci si esprime con una
pittura semplice, immediata ed
efficace attraverso la quale coglie
con spirito e umorismo momenti
miriana.paolucci@gmail.com
del quotidiano che catturano e
divertono.
Roberto Romoli
robertoromoli@hotmail.it
Roberto Romoli è nato nel 1947 a
Firenze, dove vive e lavora. La sua
attività artistica inizia negli anni
Settanta, frequentando la Piccola
Accademia di Pittura e in seguito
corsi di nudo. Con altri artisti fonda
lo Studio 7, dove sviluppa il nesso
tra idea e forma, cioè la trasformazione
del pensiero in concretezza
pittorica, un modo di comunicare
attraverso forma e colore. Tra le
mostre più recenti si ricordano:
2010, personali alla galleria Il Candelaio
di Firenze e a Palazzo Alessandri
a Viterbo; 2012, personale
presso il Circolo degli Artisti Casa
di Dante a Firenze; 2013, collettiva
nella sala mostre del palazzo municipale
di Rieti; 2014, collettiva con
lo Studio 7 presso il Centro espositivo
Antonio Berti a Sesto Fiorentino
(FI).
Hanno scritto di lui: Giacomo Basile,
Fabrizio Borghini, Mario Cenni,
Roberta Fiorini, Gabriella Gentilini,
Enrico Guarnieri e Mario Mugnai.
Artigianato è Arte
Vecchia Propositura
Scarperia
Omero Soffici
Nel cuore della Toscana, terra
ricca di tesori storici e artistici,
il tempo sembra dimenticare i
prodigi della tecnica per soffermarsi
ad osservare la manualità
omerosoffici@gmail.com
del maestro Omero Soffici che
rende viva la materia inerte. A
14 anni è apprendista e allievo
nella storica bottega fiorentina
di Edoardo Fallaci, dal quale ha
appreso la lavorazione di intaglio
del legno e la tecnica del
disegno. Oggi realizza le proprie
opere nel suo studio a San
Casciano in Val di Pesa.
Il percorso
Le conchiglie simboleggiano il percorso della vita;
indicano sia la nascita di qualcosa di prezioso perchè
contengono la perla,
sia il viaggio del pellegrino
nelle sue varie tappe.
Le abbiamo raccolte da piccoli
camminando lungo la spiaggia,
mentre come genitori le abbiamo osservate o raccolte
insieme ai nostri figli e come nonni con i nipoti...
Insomma, sono emblema del cammino della vita.
Achillea Spaccazocchi Bianchi
Achillea Spaccazocchi Bianchi è
nata nel 1934 a Urbania-Casteldurante
(PU), la storica città legata
al Montefeltro, celebre, fin dal
Cinquecento, oltre che per la maiolica
anche per la “vera porcellana”.
Ha fondato l’associazione
culturale “Achillea Laboratorio
d’Arte”, di cui è presidente e al
cui interno insegna decorazione
su porcellana. «La sua particolare
tecnica decorativa − scrive Sonia
Corsi − si basa su un procedimento
che prevede ben cinque passaggi
in forno; splendide le rifiniture
in oro zecchino che adornano
le tazze e i piattini». Sullo stile
dell’artista così si esprime Rossana
Traldi: «Decori antichi italiani e
d’oltre confine sono spesso presenti
nel repertorio iconografico
di Achillea Spaccazocchi Bianchi,
che li accompagna con rielaborazioni
e composizioni personali,
in cui un misterioso fascino di
freschezza anima foglie e corolle,
ma anche ritmi decorativi geometrici
e stilizzati».
achillea.bianchi@hotmail.it
Artigianato è Arte
Vecchia Propositura
Scarperia
Maria Teresa Tronfi materetro@yahoo.it
Fare arte è come fare un viaggio
last minute senza conoscerne
la destinazione. Cosa servirà?
Quante cose dovrò portare? Che
tempo troverò? Parto sempre senza
conoscere la destinazione. Mi
piacciono il caos e gli spazi non
definiti per poter sottrarre dai colori
la forma più suggestiva. Mi
seducono le sfumature calde e i
contrasti accentuati. Mi butto nel-
la melma materica per giocare con
le tecniche miste. Poi, pian piano,
si fa spazio il perché del viaggio.
Allora inizio ad ordinare il tutto e
ho bisogno di tornare all’essenza
delle cose. Alberi e foglie, farfalle,
conchiglie. Pochi elementi che
raccontano la terra, l’aria e l’acqua.
Ed è in questo percorso di
riscoperta, in cui gli elementi della
natura diventano protagonisti,
che il fuoco s’incarna nelle parole:
incontro, comunicazione, dialogo
tra natura e città. Queste sono
solo alcune delle idee che modellano
il fuoco che c’è in noi, per ricordarci
che nella fucina dell’arte
c’è qualcosa di sacro che ci mette,
irrimediabilmente, di fronte alla
nostra ultima radice.
Raniero Vettori
Nato a Sesto Fiorentino nel 1961,
di famiglia sestese da generazioni,
Raniero Vettori ha lavorato
come imprenditore nel settore
degli pneumatici. Ha un passato
come disegnatore grafico e si è
formato all’Istituto d’Arte di Sesto
Fiorentino. La sua passione
era ed è rimasta il disegno che
pratica con continuità, scegliendo
soggetti che vanno dagli studi
rani5@libero.it
anatomici ad angoli del paesaggio.
La sua tecnica spazia dal lapis
e dalla matita grassa all’acrilico
su tavola. È segnalato nelle
pubblicazioni sui nuovi artisti sestesi
del XXI secolo e sugli artisti
contemporanei in Toscana.
Artigianato è Arte
Vecchia Propositura
Scarperia
Cultura e
Società
La nuova vita delle librerie universitarie
nell’era post Covid
di Doretta Boretti / foto courtesy Matteo Riccitelli
C’è una vera disaffezione nei
confronti del libro stampato».
È iniziato così l’incontro «con Matteo Riccitelli che da anni si occupa
della vendita di libri universitari. «Disaffezione
perché non si considera più quanto
lavoro ci sia dietro la produzione di un testo
e la sua pubblicazione. I giovani oggi
hanno a disposizione molti presidi, com-
prese le dispense scaricabili da Internet».
Che cosa è cambiato nel settore della
vendita e come si sono trasformate
adesso le librerie?
Noi delle Librerie Universitarie del Polo
Universitario di Novoli a Firenze abbiamo
già da alcuni anni modificato il concetto
classico di libreria. Cioè la nostra è una
libreria multifunzionale: si può acquistare
libri, leggere, studiare, collegarsi online,
mangiare, assistere ad eventi.
Quanto ha inciso il Covid-19 sulla vostra
attività?
Ci siamo organizzati in parte con la vendita
online e in parte ci siamo improvvisati
corrieri noi stessi, correndo
anche dei rischi, ma con la consapevolezza
di poter far sentire la nostra
vicinanza a tanti dei nostri clienti in
un momento così faticoso per tutti.
Immagino che il vostro sacrificio
sia stato apprezzato…
Sì, se il rapporto prima era quello
tradizionale tra venditore-cliente, in
questo periodo così doloroso si è intensificato
notevolmente e questo ci
ha dato modo di riflettere e di rivalutare
i nostri comportamenti nei confronti
degli utenti.
È dunque questa la molla che vi ha
permesso di guardare avanti?
Ci ha permesso di allargare il nostro
orizzonte alla realtà che ci circonda,
legata anche al quartiere nel quale
ci troviamo, il quartiere cinque, alle
scuole, agli enti pubblici, alle biblioteche
e dal primo di settembre
abbiamo rinnovato tutti gli aspetti riguardanti
la comunicazione, e quindi
anche il nome che da Librerie Universitarie
si è trasformato in Libreria
Campus. Venite a trovarci sarete
i benvenuti.
Due immagini della Libreria Campus al Polo Universitario di Novoli a Firenze
Libreria Campus
via delle Pandette 14, Firenze
+ 39 0554476652
www.librerieuniversitarie.com
Libreria Campus
48
LIBRERIE UNIVERSITARIE
Eventi in
Toscana
Primo raduno dei Ferraristi Toscani
Club Sieci in Mugello
di Elisabetta Mereu / foto Marco Chiti
Prima volta per un Gran Premio
di F1 in Toscana, all’Autodromo
del Mugello, con la millesima
gara delle Ferrari, e prima volta
anche per un raduno dei Ferraristi Toscani
Club Sieci in questa zona. Domenica
13 settembre, mentre all’interno
del circuito mugellano − acquistato dalla
Casa di Maranello nel 1988 − si scaldavano
i motori per la sfida sportiva,
nel centro di Scarperia e San Piero, comune
ospitante l’evento mondiale, sfilavano
altri modelli storici del famoso
brand. Cinque esemplari contraddistinti
dal Cavallino Rampante e annoverati
nella storia delle fascinose rosse sono
stati parcheggiati nella suggestiva Piazza
dei Vicari per incorniciare la bellissima
“Infiorata” dedicata alla Ferrari e
organizzata dall’agenzia FarMugello, in
collaborazione con la proloco e il Centro
commerciale naturale. Altri modelli
di Ferrari, non solo rosse, hanno invece
sostato lungo le vie limitrofe, concedendosi
alla curiosità e alle foto ricordo
di grandi e piccini. «Insieme a noi Ferraristi
Toscani − ha detto il presidente del
Club Sieci, Enio Turrini − hanno attraversato
la via principale del paese anche
alcuni esemplari di altri marchi automobilistici
da collezione portati dai soci del
Club Auto Storiche Le Palaie di Pelago,
che ci ha supportato nell’impegnativa
organizzazione e coordinamento
dei sessanta equipaggi presenti». Tutte
queste sfavillanti carrozzerie multicolori
e i potenti motori rombanti hanno attirato
ed emozionato le centinaia di persone
che nel pomeriggio hanno anche
seguito dai loro telefonini lo svolgersi
della rocambolesca gara di F1. «Visto il
positivo riscontro da parte del pubblico
posso dire che questo appuntamento in
Mugello è stato molto impegnativo ma
di grande soddisfazione − ha affermato
con orgoglio Turrini − non solo perché
era la nostra prima volta in questa
bellissima zona della Toscana ma anche
perché era in concomitanza con l’evento
sportivo mondiale e con la millesima
gara della Ferrari, rappresentata dalla
Miss eletta per l’occasione, Rebecca
Silicani. Una vetrina
importante, quindi,
per presentare l’attività del nostro Club
che, nato nel 1983, con oltre duecento
soci è uno dei più numerosi in Italia.
Dopo tanti mesi di lockdown in cui
abbiamo dovuto annullare i consueti
raduni in calendario nella stagione
primaverile ed estiva − ha continuato
il presidente −, da questo mese riprendiamo
con entusiasmo gli itinerari
programmati, per portare in giro per la
Toscana ed altre regioni l’orgoglio di
rappresentare la storia di un marchio
prestigioso, da novant’anni esempio di
capacità imprenditoriale e di una creatività
tutta italiana che ancora ci contraddistinguono
nel mondo».
Prossimi appuntamenti per i soci del Club Sieci
4 ottobre - I colli del Chianti: giro turistico da Impruneta a Siena
25 ottobre - Parata in onore della Coppa della Consuma
29 novembre - Consueto pranzo sociale per gli auguri di fine anno
www.ferraristiclubsieci.it
Le Ferrari in piazza a Scarperia
A sinistra, Enio Turrini, presidente dei Ferraristi Toscani Club Sieci
con alcuni dei partecipanti al raduno
Le cinque Ferrari presenti all’Infiorata dedicata alle
auto di Maranello
Elisabetta Mereu sulla Fiat 508 C Mille
Miglia 1940 di Franco Corsini socio del
Club Le Palaie
RADUNO DEI FERRARISTI
49
Il super tifoso
Viola
A cura di
Lucia Petraroli
Gianni De Magistris
La pallanuoto nel cuore, la Fiorentina nell’anima
di Lucia Petraroli
Ha vinto tutto Gianni De Magistris,
icona della pallanuoto
non solo toscana ma mondiale.
Quasi tutta la sua carriera è legata
alla Rari Nantes Florentia, squadra con
la quale ha vinto lo scudetto e la Coppa
Italia nel 1976 e nel 1980. Goleador
indiscusso, come lui nessuno mai, vince
la classifica dei marcatori di serie A
più e più volte. Vanto anche per i colori
azzurri, cinque Olimpiadi, unico pallanuotista
italiano a riuscire in questa
impresa, oltre ad aggiudicarsi argenti,
bronzi e titoli iridati tra mondiali ed
europei. Terminata la carriera di giocatore
è diventato allenatore prima della
squadra maschile della Rari Nantes Florentia
e successivamente della compagine
femminile dove ottiene la vittoria
nel Campionato italiano, nella Coppa dei
campioni e nella Supercoppa europea.
Campionato ai nastri di partenza: secondo
lei che stagione sarà per i viola?
Sarà una stagione diversa che inizia
già sulle gambe, con un tour de force
per la finale dello scorso campionato,
con coppe finite solo tre settimane
fa. Ma soprattutto senza pubblico, una
Gianni De Magistris (ph. courtesy www.lanazione.it)
nota molto dolente.
Come valuta la permanenza di Iachini?
Non so se può essere un allenatore da
grandi squadre, per lui questa è la prima
vera occasione, in precedenza è stato
chiamato sempre a compiti duri, di
salvezza. Non ha una grande immagine
nell’ambiente, ma con la Fiorentina ha
fatto una fase finale di campionato buona.
Ha la convinzione giusta per questa
squadra.
Come giudica l’operato di Commisso
in questo suo primo anno in viola?
Commisso deve trovare la giusta quadratura
per la sua Fiorentina. Aveva
proclamato all’inizio della sua avventura
di voler portare la viola tra le prime
venti squadre d’Europa. Quest’anno ha
dichiarato di voler rimanere nella parte
sinistra della classifica. Non è facile per
lui, questo è chiaro; si è scontrato con
una realtà diversa da quella americana e
non è giusto buttare via i soldi.
Cosa pensa del mercato viola e cosa
vorrebbe fosse fatto?
Un calciomercato anomalo, privo
di chiacchiere, dove grandi
investimenti non verranno certo
fatti. Mi piace questa squadra,
un mix di giocatori giovani e
adulti, lo stesso rientro di Borja
Valero lo apprezzo. Abbiamo un
centrocampo di tutto rispetto e
l’arrivo di Bonaventura sarà certamente
di aiuto anche sotto rete.
Poi sicuramente manca un
attaccante da quindici gol, valuteremo
questo Kouame.
Si aspetta il nuovo stadio per
Firenze o si andrà per il restyling
del Franchi?
È la novella dello stento quella dello stadio.
Credo che la soluzione sia lontana.
Spero di sbagliarmi. Ma Rocco vuole
fare una cittadella, non solo l’impianto,
capace di portare guadagni. Non credo
che Campo di Marte si presti bene. Fare
uno stadio nuovo deve accrescere le
funzionalità e portare il giusto ricavo.
Chi è il miglior giocatore di sempre
per lei e quale la migliore partita?
Il miglior giocatore per me è Julinho,
nel primo scudetto viola ci ricordiamo
tutti i suoi scarti. A seguire grandi campioni
come Hamrin, Batistuta, Baggio,
ma lui lo metto su tutti. Fin da bambino
ho un ricordo importante di lui. Poi
le partite più belle sono sempre state
quelle vinte con la Juventus, cariche di
grande attesa.
Molte le difficoltà nel campo dello
sport in questo momento a causa del
Covid anche per la pallanuoto. Che
cosa si augura?
Le mie sono considerazioni ad alta voce.
Il Covid è stato un problema mondiale,
gli sport, tutti, sono diretti dal
CONI; hanno sospeso i campionati di
tutti gli sport tranne il calcio per il vile
denaro, come se in questo sport il pericolo
non ci fosse. A Firenze purtroppo
non va benissimo, dalla pallanuoto alla
pallavolo. Dovremmo essere più vicini a
questi sport.
Progetti futuri?
Al momento sono fermo, aspetto un incarico
che mi possa soddisfare. Ho ancora
tanto da dare.
50
GIANNI DE MAGISTRIS
Cuore
Viola
L’orgoglio di essere viola
Un collage per omaggiare la Fiorentina dei grandi campioni
di Claudio Parigi
Questo collage con i calciatori
della Fiorentina è stato realizzato
modificando i nomi
e le fisionomie delle figurine
degli anni Cinquanta e Sessanta apparse
sullo storico giornalino Corriere
dei Piccoli. Il collage è un’arte e
così ho voluto utilizzarla per inventare
questa formazione, che potrebbe secondo
me essere composta dai giocatori
più importanti nella storia della
nostra squadra e anche i più amati,
per quanto avrei dovuto mettere tanti
altri, come Robotti, Pirovano, Chiappella,
Merlo, Chiarugi, Sarti, Brizi. Non
è la formazione più forte, mancando
Toni e Passarella. Calciatori messi in
campo così, con quarantasette anni di
differenza fra i più giovani e i più vecchi,
senza considerazioni tecnico-tattiche,
quindi, ma avendo come scopo
quello di farci amare sempre di più la
nostra maglia viola e chi ha avuto l’onore
di indossarla in campo.
ORGOGLIO DI ESSERE VIOLA
51
Professionisti in
Toscana
Il nuovo Studio Micheloni nel
cuore di Firenze
Intervista all'ingegnere Michelangelo Micheloni
di Doretta Boretti
Mi trovo all’interno di
un elegante studio
nel cuore di Firenze
in compagnia dell’ingegnere
Michelangelo Micheloni, giovane
professionista che sta
dedicando la sua vita a ristrutturare
ponti, edifici e luoghi
sacri con una professionalità
veramente ammirevole.
C’è voluto un notevole coraggio
per aprire uno studio
a Firenze in questo confuso
momento economico…
Sì, è vero, c’è voluto coraggio per
scommettere in una nuova attività,
nel centro di Firenze, in questi tem-
Studi su una galleria autostradale in Emilia Romagna
pi così difficili. Stiamo attraversando
un’emergenza sanitaria, stiamo vivendo
un momento di crisi economica
e ci troviamo su un territorio che
ha bisogno di aiuto: le infrastrutture
hanno necessità di manutenzione, i
ponti, le gallerie, tutto il patrimonio
culturale ha bisogno di essere soste-
Ponte temporaneo in Trentino Alto Adige
52
MICHELANGELO MICHELONI
nuto. Ed è proprio nella crisi
economica che stiamo vivendo
che dobbiamo trovare
il coraggio di poter dare
lustro a quello che è il nostro
patrimonio, perché alla
fine l’Italia ha un’enorme
ricchezza di infrastrutture
ed edifici storici che sono
stati troppo trascurati in
questi anni, ma che, col loro
rilancio, potrebbero essere
la soluzione alla nostra
crisi economica. È stata la
mia scommessa: aprire uno
studio d’ingegneria proprio
puntando a dare il massimo
per rilanciare la linfa vitale
di un paese, le strade,
i ponti e le gallerie perché
le persone si possano muovere
in sicurezza, i presidi
storici, i musei che potrebbero
essere un indotto importantissimo,
ma che non
vengono utilizzati a pieno
perché hanno bisogno di
essere messi a norma, consolidati
e poi aperti al pubblico. Quindi
con questo mio studio ho anche io
scommesso sul rilancio dell’economia
del paese.
Ha al suo attivo la realizzazione di
numerosi progetti.
Devo ammettere che abbiamo ricevuto
un notevole consenso da parte
di enti pubblici e privati che si sono
affidati a noi per riqualificare il loro
patrimonio edilizio. Attualmente il nostro
sistema di controllo infrastrutture
sta gestendo quasi duemila ponti e
diverse gallerie che ci sono stati affidati
da comuni, province ed enti. Su
una parte di questi ponti e gallerie sono
in corso progetti di risanamento
e consolidamento. Allo stesso tempo
stiamo portando avanti numerosi
progetti di diagnostica e risanamento
di edifici storici quali chiese e conventi.
Stiamo lavorando in tutta Italia,
dal Trentino alla Puglia, e abbiamo ricevuto
moltissimi apprezzamenti di
cui siamo onorati.
Studi su una chiesa in Toscana
Il rischio, le difficoltà, l’impegno
mentale a cui un ingegnere è costantemente
sottoposto, gli impongono
spesso orari impossibili. A
cosa deve rinunciare un professionista
come lei?
A volte, la nostra professione assomiglia
a una missione, che ci porta
spesso a lavorare in orari impossibili.
Abbiamo cantieri lontani ed in siti
di difficile accesso ed abbiamo cantieri
dove il lavoro si svolge di notte,
come per esempio nelle gallerie autostradali.
Quindi effettivamente sono
degli impegni considerevoli a cui dedico
una buona parte della mia vita. Lo
faccio perché ci credo e ho passione
per il mio lavoro, ma anche nell’ottica
di creare una struttura dove si possano
realizzare altri professionisti. Il lavoro
dello studio non è quello di un singolo,
ma di un team di competenti ingegneri.
La mia società è nata di recente e punta
ad allargarsi ad altri professionisti,
in modo da creare un gruppo affiatato
che poi si possa alternare in questi impegnativi
ritmi di lavoro. Già adesso ho
al mio fianco validi professionisti ed il
gruppo sti sta allargando velocemente.
Questo il mio progetto: fornire uno
studio nel quale giovani professionisti
molto preparati possano trovare un lavoro
che dia loro grande soddisfazione,
perché lo studio punta a progetti
ambiziosi, alla grande professionalità e
alla vera qualità.
Come è possibile mettersi in contatto
con questa nuova realtà nata nel
cuore di Firenze?
Il modo più semplice per mettersi in
contatto con noi è attraverso il sito internet
dello studio dove si possono
trovare tutte le informazioni. Poi ci sono
due sedi operative, una in Emilia
Romagna e l’altra nel centro di Firenze
in via dei Servi, 12. Chi si rivolgerà
al nostro studio sarà accolto in un ambiente
dove verrà seguito con professionalità
e serietà.
www.studiomicheloni.com
MICHELANGELO MICHELONI
53
Ritratti
d’artista
Sandra Petreni
Dentro ed oltre l’illusione del colore
di Jacopo Chiostri
Sandra Petreni è una solida
artista che coniuga
il lavoro artigianale, per
lo più decorazione di complementi
di arredo, con la pittura,
che pratica spaziando, con
un eclettismo inedito, dal figurativo
all’astratto. Un’artista,
dunque, a tuttotondo, che
è stata capace − e non riesce a
tanti − di mantenere la propria
attività lavorativa in un ambito
contiguo a quello della pittura.
In tutta la sua produzione
si respira, latente, ma ovunque
ben avvertibile, il soffio di
quella Toscana, così autenticamente
toscana, che corrisponde
alla zona di Monteriggioni,
a due passi da Siena, con il paesaggio
di una bellezza folgorante, austero
nella sua incomparabile armonia
naturale. A Monteriggioni, dove abita,
la Petreni porta avanti la sua attività
di artigiana, attività nella quale
rientra anche la decorazione d’interni
con la tecnica del trompe-l’oeil di
cui si è impadronita grazie, anche,
all’applicazione della prospettiva rinascimentale.
Conosciuti sono i suoi
piatti dipinti, realizzati in ceramica e
Inganno italiano, ceramica decorata con smalti a caldo
cotti in fornace come si è sempre fatto
fin dal Medioevo; sono manufatti
di forte impatto visivo, e già danno
una prima idea delle capacità espressive
di quest’artista. La storia di Sandra
Petreni ha un punto fermo, che
è il fiorentino Istituto d’Arte di Porta
Romana, dove ha appreso la tecnica
frequentando la Sezione Decorazione
pittorica. Di sé racconta di essere
una predestinata, riferendo di un episodio
accaduto in occasione del suo
Ritratto di bambina sorridente, olio su tela
sesto compleanno: «I miei genitori mi
fecero un regalo che resta tuttora il
più bello che abbia mai ricevuto per
l’entusiasmo e l’emozione che provai:
una valigetta in legno con una miriade
di colori ad olio, cavalletto, tele e
pennelli». Già allora, afferma, la sua
strada fu segnata e seppe di voler essere
una pittrice. Così la Petreni sintetizza
il suo lavoro: «Nella mia arte la
vita, nel colore le emozioni, nella luce
la forza». Aggiungiamo: nel colore o
Il mio universo, olio su tela
Ufrasi, olio su tela
54
SANDRA PETRENI
Veduta di Firenze, acrilico su tavola
Veduta di Colle Val d’Elsa, acrilico su tavola
per meglio dire negli effetti emotivo/
simbolici che il colore evoca e produce,
le emozioni. E forse, per questo,
con felice intuizione, in uno degli interventi
critici che corredano il suo sito
personale, si parla di “illusione del
colore”. Intendendo, con tutta probabilità,
far riferimento all’aspetto meno
immediato, più intimistico della pittura
dell’artista: tutto ciò che i suoi quadri
rimandano all’osservatore come
in un fascio di particelle librate nello
spazio che fisicamente si crea tra
lui e l’opera sotto forma di emozioni.
È la sua una pittura meticolosa, dove
nulla è lasciato all’improvvisazione,
ogni tocco di pennello è ragionato
e necessario, ed è solo così che crea
opere nelle quali il particolare si fonde
in un unicum, in un racconto coerente
che si avvale di un ritmo modulato,
mai aggressivo ma declinato in sorprendenti
soluzioni cromatiche con il
colore che assume un ruolo deciso e
decisivo. La Petreni lavora su supporti
di diversa natura, la tela certo, ma
anche le tavole, le stoffe, usa pittura a
olio, tempera, tecniche miste con anche
applicazione di foglia d’oro e altri
elementi ornamentali. Suoi soggetti
il ritratto, il paesaggio
− scorci
di spazi percorsi
dalla luce e con
colorazioni rigorosamente
controllate e armoniche
tra loro −, le città rappresentate con
un’evidente reminiscenza di tipo medievale,
così Firenze, Colle Val d’Elsa,
naturalmente Siena. E poi i cavalli,
una grande passione. Più volte ha ritratto
il suo, Ufrasi; in altre occasioni
con l’animale è presente l’uomo e
quindi la rappresentazione ritrattistica
assume ancora maggiore estensione.
Pittura espressionista? In parte. Pittura
Pop? Talvolta. Pittura personale,
assolutamente sì, con punti di osservazione
e cromie carichi di effetti visivi
forti e a un tempo languidi. Un
linguaggio personalissimo, frutto di
osservazione attenta e di amore per il
lavoro.
www.sandrapetreni.art
Ritratto di Gold della Serra, acrilico e olio su tavola telata con inserto di legno antico
Maremmamara, acrilici e olio su tela con applicazione di foglia oro, argento e rame
SANDRA PETRENI
55
New York, acrilico su mdf
Van Gogh 2.0, acrilico su mdf
Stendhal, acrilico su mdf, collezione privata
Ambrogio, acrilico su mdf
Marco Da Campo
Immaginate un mondo senza colori...
marcodacampo@gmail.com
+39 3482831584
A cura di
Lorenzo Borghini
Il cinema
a casa
Al di là delle montagne
La Cina di ieri, oggi e domani secondo Jia Zhangke
di Lorenzo Borghini
1999. Siamo in Cina, a Fenyang,
cittadina della provincia settentrionale
di Shanxi. La Cina si appresta
ad entrare nel nuovo secolo e
Tao, una giovane donna, è corteggiata
da Zhang, proprietario di una stazione
di servizio accecato da sogni capitalisti,
e da Lianzi, minatore di poche parole,
uomo pratico e rispettoso. Tao,
come la Catherine di Jules e Jim, non
sa decidere. Tra macchine scintillanti
e semplici ravioli al vapore sceglie
Zhang, dando un colpo al cuore a Lianzi,
che decide di partire senza guardarsi
indietro.
2014. Tao e Zhang si sono sposati,
hanno messo al mondo un figlio di nome
Dollar – chiamato come la valuta
americana –, e si sono lasciati. Il cinico
padre, ha strappato il figlio alla madre
portandolo a Pechino, a seicento
chilometri da Fenyang.
2025. Dollar vive in Australia già da diversi
anni. Il padre lo ha mandato nella
nuova Terra promessa per fargli imparare
l’inglese e formarlo per entrare
nel mondo del lavoro, del business
vero dove girano i soldi. I chilometri
che distanziano madre e figlio diventano
quindi diecimila. Al di là delle montagne
è un film gigante sul gigantismo
della Cina. Jia Zhangke continua il suo
personale discorso sul capitalismo, il
costo del progresso e le conseguenze
dell’industrializzazione della Repubblica
Popolare Cinese. Tema che porta
avanti fin dagli esordi del suo cinema
e che, film dopo film, matura e riflette
un paese che sta perdendo le proprie
tradizioni per inseguire il modello occidentale,
già metabolizzato e portato
ancor più all’eccesso. In Al di là delle
montagne racconta la Cina di ieri, oggi
e domani. Riparte dagli interrogativi
lasciateci con Il tocco del peccato,
con quello sguardo su un futuro cupo
appena abbozzato, che qui prende
vita mostrandoci due generazioni
a confronto, quella di Zhang, e quella
del figlio Dollar, che non riescono più
a comunicare. Le distanze stanno diventando
incolmabili, figlie di un vuoto
generazionale irreversibile. Dollar,
dopo tanti anni in Australia, non si ricorda
quasi più di Tao, sua madre, ma
anche madre patria di tutti i cinesi che
hanno perso le proprie radici. Un film
sulle distanze quindi. Distanze che separano
madre e figlio, distanze umane
ma anche culturali. Distanze tra la
Cina e l’Asia meridionale, l’Asia centrale,
con uno sguardo verso il Medio
Oriente, secondo la dottrina del “Look
West”, chiarita dall’esperto Wang Jisi
nell’inverno 2013. La Cina guarda l’Ovest
ormai da anni, proprio come il testo
di Go West, canzone di apertura
e chiusura di Al di là delle montagne.
Jia Zhangke ha dato vita ad un cinema-mondo,
un po’ come David Foster
Wallace in Infinite Jest, o come quello
atemporale di Wong Kar-wai; un mondo
che ha come attore protagonista la
Cina, quella di ieri, oggi e domani.
AL DI LÀ DELLE MONTAGNE
57
Ritratti
d’artista
Andrea Tani
Dalla tela all’affresco: un iter artistico nel segno della passione
di Jacopo Chiostri
Se c’è un pittore nella nostra regione
che meglio di chiunque altro attesta
con i propri lavori che l’arte
si nutre prima di tutto di sentimento questo
è Andrea Tani, artista di Vico d’Elsa,
un piccolo paese dove ogni luogo, per chi
sa coglierne le suggestioni, diventa fonte
d’ispirazione. Tani racconta così la sua
pittura: «In tutti i miei quadri c’è il cuore,
che raffiguro con colori, linee o col pentagramma
musicale. Voglio esprimere il
mio amore per tutto ciò che tocco e che
vedo». Una sorta, come si vede, di “manifesto”
personale che si traduce, in pittura,
nella rappresentazione di tre temi
principali, che sono la natura, le tradizioni
della vita rurale e le feste popolari. «Il
mondo circostante − spiega ancora l’artista
− ci regala note musicali piene di significati
e di armonia, una dolce melodia,
che è quanto cerco di
imitare quando dipingo».
Tani si è diplomato,
alla fine degli
anni Settanta, al liceo
artistico di Firenze,
dunque un rapporto
con l’arte ultradecennale,
che, sia
pure con gli scostamenti
che si producono
con l’esperienza
e la crescita, si è mantenuto coerente sia
nella parte formale che contenutistica. È
come se nella pittura di Tani ci fosse un
punto di attrazione, un polo magnetico
che concede una certa libertà all’artista
ma finisce poi per ricondurlo a quel comune
denominatore che è “la passione”.
Per cui non c’è differenza di stile tra due
Un sogno diventa realtà (2015), affresco, parete di entrata della Contrada Pievalle
opere così diverse come La cestaia, dove
la donna che lavora è rappresentata con
un solido viso “contadino”, e La donzelletta...
che vien dalla campagna, una ragazza
moderna (con un volto moderno)
in jeans e per giunta con una camicetta
trasparente. Questa coerenza stilistica è
la cifra caratteristica di tutti i principali la-
In questa e nelle altre foto alcuni particolari dell’affresco
58
ANDREA TANI
La donzelletta...che vien dalla campagna (2009), olio su tela, cm 45x35
vori di Tani. La troviamo nelle serie C’era
una volta, Il Palio e Figure di donna. Poi ci
sono i vortici. Si tratta di soluzioni pittoriche
create per conferire leggerezza alle
immagini; riproducono, spiega l’artista,
quelle note melodiose che abbiamo attorno
e che “sente” soltanto chi sa ascoltare
la musica del creato. In realtà queste
soluzioni pittoriche sono anche qualcosa
d’altro. Si produce, infatti, nell’opera un
effetto di scomposizione e di frammentazione
analitica − non tanto della figura,
ma degli sfondi e delle ambientazioni −
che, inevitabilmente, ricorda il cubismo.
È un “effetto” importante, in quanto conferisce,
come detto, levità e grazia − in alcuni
dipinti anche sensualità − alle opere
e modifica la resa cromatica, conferendole
un’inedita coerenza e grande armonia.
Questa soluzione, tra l’altro, per
contrapposizione, esalta la solidità degli
argomenti trattati dall’artista. Tani dipinge
su tela, tavola, a olio, ad acquerello,
La cestaia (2008), olio su tela, cm 40x50
a matita; i soggetti sono scene di vita
contadina, ritratti e cavalli; c’è anche − e
giustamente ne va fiero − un magnifico
affresco intitolato Un sogno diventa realtà,
da lui dipinto nel 2015 sulla parete di
entrata della Contrada Pievalle. Lasciamo
all’artista la descrizione dell’opera: «In
questo affresco l’amore si trasforma in
vortici a forma di cuore giallo rosso, quel
cuore che batte forte nella Contrada Pievalle,
dal popolo a tutti i dirigenti, per finire
all’esultanza dei contradaioli, perché
tutti sono indispensabili. In alto appare la
Madonna, cui il contadino Isidoro spesso
si rivolgeva prima di iniziare il lavoro
nei campi. Dietro e sotto il trono di nuvole
ci sono gli angeli con fasci di spighe
inviati dalla Madonna a riempire il granaio
dopo che, per la gelosia degli altri contadini,
il padrone aveva fatto suo tutto il
grano che Isidoro aveva con grande fatica
raccolto. La “Vittoria” è rappresentata
dal cavallo con possente muscolatura e
dal fantino che escono dalle nuvole come
in un sogno; lo sguardo del fantino è rivolto
al libro tenuto in mano da due bambini
seduti sotto l’arco del trionfo come
se volesse scrivere il proprio nome nella
storia della Contrada Pievalle. Nella parte
alta della porta, la bandiera giallo rossa
simbolo della contrada e poi fantini e
cavalli di altre contrade che assistono al
trionfo della Pievalle». Tra le mostre più
recenti si ricordano quelle a San Galgano,
Chiusdino e San Casciano Val di Pesa;
ha inoltre conseguito il Premio Città di
Corchiano (VT) e il Premio Civita Castellana
(VT) dove il dipinto premiato è stato
poi riprodotto su piatti in ceramica in cinquemila
esemplari.
Geppetto vende la giacca, acquarello e matita, cm 50x70
www.andreatanipittore.it
ANDREA TANI
59
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Grande successo per la seconda edizione
della rassegna Aqvart a Venezia
Premio alla carriera alla stilista fiorentina Pola Cecchi
e alla pittrice Oretta Rangoni Machiavelli
Testo e foto di Margherita Blonska Ciardi
Lo scorso 14 settembre si è
conclusa a Venezia la seconda
edizione della mostra internazionale
d’arte Aqvart che unisce i lavori
di artisti contemporanei provenienti
da tutto il mondo dedicati al rapporto
tra l’acqua e l’arte veneziana. La stretta
convivenza fra l’uomo e l’acqua ha dato
un importante input allo sviluppo urbano
e commerciale della città lagunare
ma ne ha soprattutto ispirato la tradizione
artistica, favorendo la nascita di
attività artigianali come la produzione
di vetro, dorature, specchi e ricami.
Quest’anno, nonostante la pandemia, la
mostra Aqvart si è svolta regolarmente
ed è cresciuta grazie agli artisti che hanno
affrontato il viaggio per incontrarsi
nella storica sede della Scuola Grande
di San Teodoro. Ormai da due anni, l’esposizione
rientra nel progetto culturale
nazionale intitolato Le Città in Festa e
si svolge sotto il patrocinio del Comune
di Venezia. In quest’ultima edizione, lo
Studio Artemisia ha conferito il premio
alla carriera a due donne diversamente
impegnate in ambito artistico: la stilista
di alta moda Pola Cecchi, che ha aperto
la mostra con una magnifica sfilata
Una modella con il vestito ispirato al quadro di Uri de Beer
di abiti ispirati alle opere degli artisti,
e la pittrice Oretta Rangoni Machiavelli.
Come già nelle scorse edizioni, anche
in quest’occasione hanno riscosso
l’apprezzamento del pubblico i lavori
dell’architetto Uri de Beer che dipinge
in 3D le città del futuro attribuendo
loro forme zoomorfe e collocandole su
pianeti sconosciuti. Altre sue opere erano
invece dedicate alla ricerca nell’ambito
della fisica e della nanotecnologia.
Nel 2012, l'artista, che ha partecipato
tante volte alla Biennale di Venezia, ha
allestito alcune sue installazioni artistico
– ecologiche nel parco urbano di San
Giuliano Veneto. È stato inoltre premiato
per il suo legame artistico con Venezia
e per i contenuti della sua ricerca
che intreccia arte e scienza per rispondere
ai grandi quesiti dell’umanità. Gli
artisti presenti all’inaugurazione hanno
spiegato le loro opere al pubblico.
L’artista lussemburgherse Karin Monschauer
ha illustrato la tecnica digitale
con la quale unisce l’arte del ricamo
alla passione per la matematica. Jorge
Goncalves Romero ha parlato dell’energia
positiva che, tramite la musica e il
ballo, unisce uomo e natura rendendo
più felice l’individuo. Alma Sheik
era presente con le sue vele e le
meduse provenienti dai viaggi fatti
negli Emirati Arabi, opere che han-
La consegna del premio alla carriera ad Oretta Rangoni Machiavelli
La curatrice della mostra, Margherita Blonska
Ciardi, consegna il premio alla carriera alla stilista
fiorentina Pola Cecchi
no dato lo spunto per la creazione di un
meraviglioso vestito bianco che ondeggiava
durante la sfilata ricordando così i
tentacoli del mollusco. Hanno incantato
i visitatori le due tele dello svedese Fredrik
Olsen, in particolare quella intitolata
Nulla è impossibile dove in mezzo
ad un ciclone si vede volare un calabrone
verso il varco creato nelle nuvole. Le
cattedrali di Michael Henry Ferrell hanno
proiettato i visitatori in un mondo
di spiritualità dove riscoprire le bellezze
architettoniche del passato, mentre
le due tele di Krzysztof Konopka hanno
fatto conoscere al pubblico la corrente
artistica denominata “Orapismo”
di cui è teorico e fondatore. Sono stati
inoltre premiati gli artisti: Jorge Goncalves,
Cesare Triaca, Stephanie Holznecht
e Michal Ashkenasi. La mostra, ripresa
dalle telecamere di Televenezia, ha
riscosso grande successo di pubblico
sia all’inaugurazione
che nei giorni di apertura.
La prossima edizione
di AqvArt, oltre
al già collaudato connubio
tra arte e moda,
si aprirà anche al mondo
del design e dell’architettura,
recuperando
così gli ideali di Walter
Groupius, fondatore
del Bauhaus.
60
AQVART A VENEZIA
A cura di
Massimo De Francesco
Artisti stranieri in
Toscana
John Singer Sargent
Eccellente ritrattista, partì da Firenze per conquistare
la ribalta internazionale
di Massimo De Francesco
John Singer Sargent nasce a Firenze,
in via Guicciardini, il 12 novembre
1856, figlio di Fitzwilliam Sargent,
chirurgo di famiglia colonialista nato a
Gloucester, sulla costa del Massachusetts,
e di Mary Newbold Singer, figlia di un
ricco mercante. I Sargent si trasferiscono
in Europa nel 1854, a un anno dalla
tragica morte della loro prima figlia,
Mary. A causa dei molti viaggi dei suoi
genitori, Sargent cresce tra Italia, Germania,
Francia, Spagna e Svizzera, imparando
a parlare fluentemente quattro
lingue e coltivando la passione per la pittura.
Trascorre l’inverno fra Firenze, Roma
e Nizza − dove tra il 1866 e il 1867
incontra Vernon Lee, anche lei figlia di
espatriati inglesi, con la quale stringe
una forte amicizia e che ritrae nel 1881
− e l’estate sulle Alpi della Francia meridionale.
John viene educato dai continui
viaggi, le visite a musei e gallerie e la
frequentazione dei salotti di intellettuali
espatriati; manifesta le proprie doti pittoriche
con i magnifici acquarelli che dipinge
sin da piccolo e intraprende studi
artistici − dopo essere stato allievo del
pittore tedesco-americano Carl Welsch a
Roma − all’Accademia di Belle Arti di Firenze
tra il 1873 e il 1874, anno in cui
parte per Parigi per frequentare l’atelier
di Carolus-Duran, amico di Eduard Manet
e di Claude Monet, con il quale stringe
una forte amicizia. Il grande pittore
impressionista influenza il suo stile paesaggistico
e nel 1885 i due si trovano
a Giverny, dove Sargent realizza l’opera
Monet dipinge alle soglie del bosco,
uno studio sulla tecnica paesaggistica
francese en plein air. Nel 1884, divenuto
anche ritrattista, espone il ritratto di Madame
X o M.me Virginie Amélie Avegno
Gautreau, che però suscita scandalo al
Salone di Parigi per via delle vesti troppo
provocanti della modella. Per questo
motivo, nel 1885 lascia la capitale francese
e si trasferisce a Londra, dove è accolto
dall’amico romanziere americano
Henry James, che lo introduce ai salotti
della Londra vittoriana. Nelle estati del
1885 e del 1886 si trasferisce nelle Cotswolds,
dove dipinge il magnifico Garofano,
giglio, giglio, rosa, opera che ritrae
due bambine che accendono lanterne cinesi
in un giardino. Il dipinto viene acquistato
dalla Tate Gallery nel 1887 su
insistenza del pittore e scultore inglese
Sir Federic Leighton, allora presidente
della Royal Academy. Divenuto amico
di Robert Louis Stevenson, autore del
celebre romanzo Lo strano caso del Dr.
Jekyll e Mr. Hyde, lo immortala insieme
alla moglie dello scrittore nella loro casa
di Bornemouth nel 1885 e nuovamente
nel 1887. Nel 1890 riceve l’incarico per
le pitture murali della Boston Public Library
che intitola Triumph of Religion, un
John Singer Sargent, Autoritratto (1906), olio su tela,
Galleria degli Uffizi, Firenze
ciclo di raffigurazioni dedicato alla storia
della religione, dal paganesimo all’ebraismo
fino all’avvento del cristianesimo.
Dal settembre del 1905 al gennaio del
1906 visita l’allora Levante Ottomano,
la Norvegia, la Palestina, la Spagna e
di nuovo l'Italia; in questo periodo passa
dal ritratto alla pittura paesaggistica.
Ormai conosciuto come pittore affermato,
nel 1904 espone alla Royal Water
Colour Society di Londra e alcune
sue opere vengono acquistate dal Brooklyn
Museum, dal Museum of Fine Arts
di Boston e dal Metropolitan Museum of
Art di New York. Si spegne nella sua casa
di Tite Street a Londra nella notte tra il
14 e il 15 aprile 1925 a seguito di un infarto;
è sepolto nel Brookwood Cemetery
a Woking, nel Surrey.
JOHN SINGER SARGENT
61
Arte &
Mestieri
Daniele Ortolani
L’artigiano della scarpa su misura a Firenze
Testo e foto di Barbara Santoro
Quest’anno al Festival del Cinema
di Venezia il regista Luca
Guadagnino ha presentato un
documentario fuori concorso
dedicato a Salvatore Ferragamo dal titolo
Salvatore Ferragamo / Shoemaker
of dreams. Prendendo spunto da questo
omaggio al grande calzolaio delle
dive, vengono in mente i tanti abili arti-
giani della scarpa che ancora oggi
lavorano a Firenze e che non hanno
avuto però la stessa fortuna
del ragazzo di Bonito che, emigrato
in California, a Santa Barbara, e
ad Hollywood, ha realizzato scarpe
per le star del cinema mondiale.
Tra questi sconosciuti artisti della
calzatura c’è anche Daniele Ortolani;
la sua bottega, in via Lungo
l’Affrico 172, pur non essendo
chic, ha tutte le carte in regola
per essere la bottega di un calzolaio
artigiano. Nel 2005, Ortolani
ha avuto l’occasione di aprire con
il fratello un negozio di riparazioni
nella zona di San Gervasio e qui
cominciare a “farsi le ossa”. È stato
poi allievo di Calogero Mannina,
noto creatore di calzature nel cuore
di Firenze, e di Umberto Santi
che nell’atelier di via Scialoja serviva
non solo clienti raffinate ma anche
tutti coloro che per motivi di
salute avevano necessità di scarpe
fatte su misura. Proprio da questi
due grandi personaggi ha appreso
come usare il trincetto e la lesina,
ma non ancora soddisfatto,
dal 2013 al 2015, ha frequentato il
corso per modellista a Montelupo
sotto la guida di Luciano Mancini.
Ha frequentato, inoltre, il famoso
atelier di Stefano Bemer, creatore
di scarpe per attori come Andy
Garcia e Daniel Day-Lewis e di
cantanti come Julio Iglesias. Da
questi maestri ha imparato molto
ed ognuno di loro gli ha lasciato
un insegnamento poi consolidato
con il conseguimento del diploma di modellista
di calzature. Oggi questo giovane
artigiano crea pezzi unici, utilizzando materiali
nuovi che oltre a far stare comodo
il cliente, lo rendono orgoglioso della
propria calzatura. Dal 2015 tiene corsi
di formazione per artigiani e studenti
che da tutto il mondo arrivano nella sua
bottega per imparare l’arte di realizzare le
Barbara Santoro con Daniele Ortolani nella bottega in via Lungo l’Affrico a Firenze
scarpe. Giapponesi, americani, australiani,
tedeschi, spagnoli e messicani si alternano
per seguire le sue lezioni. A chi
gli chiede cosa lo abbia spinto ad intraprendere
questa arte manuale risponde
che fin da bambino, osservando i piedi
delle persone, ha sempre desiderato di
poter realizzare calzature perfette e comode
per ogni necessità.
62
DANIELE ORTOLANI
Ritratti
d’artista
Mara Faggioli
L’invito alla gioia di un’artista a tuttotondo
di Doretta Boretti
L’arte di Mara Faggioli induce
alla bellezza, alla purezza, alla
gioia. La sua ricca personalità
traspare dai suoi numerosi dipinti di
volti, di bimbi felici, di ragazze e donne
festose. Anche i paesaggi esprimono
gioia, quella gioia incontenibile
che lei riesce a donare a tutti coloro
che incontra. Brava scultrice, coraggiosa
poetessa: «Ho iniziato a scrivere
poesie quando ero molto piccola
− dichiara −, era una vera passione,
poi da adulta ho sentito il desiderio
dirompente di creare con la scultura».
Dopo alcuni problemi di salute,
non potendo continuare con la scultura,
inizia a dedicarsi alla pittura:
«Dipingo bimbi, ragazze, donne di
qualunque nazionalità per donare un
messaggio di pace a tutti coloro che
incontrano la mia arte. Devo ammettere
che ad oggi queste tre arti si contendono
nella mia mente il primato».
Innumerevoli sono stati, nel corso
degli anni, i riconoscimenti conseguiti
non solo dalla critica ma anche da
tutti coloro che sono intervenuti alle
sue mostre personali e collettive. Artista
dalla grande attività produttiva,
è capace di soddisfare le numerose
richieste che molte persone le rivolgono,
anche associazioni no profit ed
enti pubblici. Proprio per la sua incontenibile
e calorosa generosità ha
donato a numerose personalità del
mondo dello spettacolo e dell’arte alcune
sue bellissime opere per motivi
educativo-sociali legati al rispetto
e all’amore per la vita. C’è da riconoscere
a Mara Faggioli che questo indiscusso
successo, sia nella poesia
che nella scultura e nella pittura, non
ha in alcun modo scalfito, nel tempo,
quell’immagine meravigliosamente
umile della sua personalità.
Bagliore di speranza I sogni dei bambini Shanti - Pace
MARA FAGGIOLI
63
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Silenziosa e robusta, non presenta leveraggi metallici grazie ad un motore ultrapiatto a
scomparsa completamente integrato nella struttura, telecomando wireless e luce di cortesia.
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Dotato di ferma materasso su ogni lato e di una stondatura angolare antinfortunistica.
Ritratti
d’artista
Simona Tesi
Ritrarre le donne per celebrare la vita
di Laura Belli
Grandi occhi ci guardano
da volti in primo piano
di donne giovani e belle.
Occhi talvolta sorridenti, sognanti
o ammiccanti, oppure severi e
enigmatici ma sempre accoglienti,
immersi in una miriade di colori
vivaci e squillanti ad esprimere,
nonostante tutto e tutti, la voglia
di vivere, il coraggio, l’intuizione
e l’amore per la vita che contraddistinguono
la donna. Qualità che
prevalgono anche nei momenti bui
− simboleggiati da Simona Tesi
con sbarre e grovigli posti davanti
ai bei volti − e che guidano lungo
sentieri tortuosi quando lo sguardo
diventa dolente ma conserva la
propria dignità e fierezza. Di fronte
a questi volti, ai loro fantasmagorici
colori, alla loro serialità, la
mente corre a Andy Warhol, al suo famoso
ritratto di Marilyn, anche se qui non
siamo di fronte ad opere di denuncia sociale,
ma a lavori frutto di un’instancabile
indagine interiore sui propri sentimenti,
sulle proprie sensazioni ed emozioni
trasferite sulla tela ed affidate, per condi-
Elfo, olio su tela, cm 50x70
viderle, alla sensibilità dell’osservatore.
Simona Tesi ha alle spalle anni di studio
condotti con costanza, impegno e curiosità
nell’approfondimento delle varie tecniche
pittoriche. Nata a Pistoia nel 1962,
abita sulle colline pistoiesi. Ama dipingere
nel verde e nella pace della natura per-
Nina, acrilico su tela, cm 30x30
ché sente che ciò favorisce l’ispirazione.
Dopo il diploma all’Istituto Tecnico “Filippo
Pacini” di Pistoia, ha frequentato
la Facoltà di Psicologia all’Università di
Firenze. Coltiva la passione per la pittura
fin dall’adolescenza e si è formata alla
scuola del pittore Paolo Tesi, dove ha
studiato tra l’altro disegno dal vero,
acquarello, olio, ecoline. A proposito
della sua attività artistica afferma:
«Dipingere per me è un’esigenza insopprimibile,
esprimo le emozioni
che provo attraverso il colore. Mi
piace ritrarre soprattutto donne perché
simboleggiano la vita; infatti, attraverso
i loro volti colorati esprimo
voglia di vivere, gioia, ma anche dolcezza
e tristezza. I soggetti possono
essere persone reali oppure di fantasia;
in entrambi i casi, m’interessa
suscitare emozioni e sensazioni in
chi guarda i miei quadri». Ha partecipato
a numerose collettive e ha tenuto
personali in Toscana e Umbria.
Le sue opere fanno parte di collezioni
private.
Legami, ecoline su carta Magnani, cm 50x70
simonatesi6@gmail.com
SIMONA TESI
65
Toscana
a tavola
A cura di
Franco Tozzi
Paolo Baratella
Intervista al giovane chef fiorentino vincitore del premio
internazionale Chefs Bench 2020 con un piatto vegano
di Franco Tozzi
Paolo Baratella è un giovane
cuoco di Lastra a Signa vincitore
del prestigioso premio internazionale
“Chefs Bench 2020”; siamo
andati ad intervistarlo all’agriturismo
sulle colline lastrigiane dove lavora.
Come sei diventato chef?
È iniziato tutto quando ero alle medie.
I miei genitori mi chiedevano spesso
di preparare la cena in modo da trovare
pronto al loro rientro dal lavoro.
A me piaceva preparare queste cenette
e così dopo le medie mi sono iscritto
all’Istituto Aurelio Saffi di Firenze,
con indirizzo per cuoco. Nel corso degli
studi ho fatto diversi stage in Italia,
Bretagna e a Malta.
Quando e come è avvenuta la tua
“conversione” alla cucina vegana?
La mia esperienza come cuoco è iniziata
nel dicembre del 2014, quando
ho deciso di andare a Londra, fermamente
determinato a lavorare come
cuoco. Per fortuna sono entrato a lavorare
nella catena alberghiera Hilton,
dove per due anni ho maturato una
buona esperienza e ho conosciuto una
persona che mi ha parlato della cucina
vegana, ed io, forse anche per la mia
sensibilità sui problemi ambientali e
animalisti, ho iniziato ad approfondire
questo tema. Dalla teoria sono passato
alla pratica seguendo per due anni
una dieta vegetariana e provando, senza
successo, a proporre alcuni piatti
vegani. Ho deciso allora di andare a lavorare
in un ristorante vegano italiano
sempre a Londra. Da quel momento il
mio orizzonte professionale è cambiato,
avendo avuto finalmente la possibilità
di proporre e vedere apprezzati
alcuni miei piatti.
Riesci a conciliare questo particolare
tipo di cucina con la tradizione toscana?
In Italia ho cercato di proporre piatti
vegani, senza però trascurare i piatti
della tradizione, perché nell’agriturismo
di mia cognata, dove attualmente
lavoro, i turisti si aspettano di mangiare
i classici piatti toscani. A 25 anni
posso dirmi contento di quanto ho
fatto e delle soddisfazioni professionali
che ho ottenuto; devo molto anche
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
al professor Armando Cristofori, presidente
dell’associazione enogastronomica
Italian Dining Summit che mi
ha permesso di entrare a far parte di
un mondo di professionisti di alto livello.
A questo punto della mia carriera,
ho voglia di approfondire la conoscenza
della cucina vegana e di farne comprendere
anche i risvolti ambientalisti.
Questo genere di cucina non è, come
molti pensano, povera e monotona, ma
è una realtà da scoprire e sperimentare,
legata alla tradizione contadina e
con un’infinita varietà di combinazioni
che soddisfano il palato e non sfruttano
gli animali.
Com’è nato il piatto che ha vinto lo
“Chefs Bench 2020”?
È stato progettato rielaborando un
piatto “bocciato” a Londra, ecco perché
questa vittoria è motivo per me
di doppia soddisfazione. Come molti
piatti vegani sembra complicato e invece
è facile da realizzare. La ricetta,
per i curiosi, si trova su Internet.
Puoi darci qualche consiglio su come
preparare un dolce vegano?
Paolo Baratella
Crostata salata di lenticchie: il piatto vincitore del
premio Chefs Bench 2020
Certo, ecco una ricetta: per la base,
frullate frutta secca (mandorle, nocciole,
anacardi) e usate come collante
sciroppo o datteri; per la farcia, preparate
una mousse frullando anacardi
(tenuti a bagno dieci ore) con mirtilli
e fragole.
66
PAOLO BARATELLA
A cura di
Paolo Bini
Arte del
Vino
Il gioco degli abbinamenti: primi piatti di mare
di Paolo Bini
Anche un’estate insolita come
quella 2020 non ha intaccato la
nostra atavica voglia di mangiare
e bere bene. L’italian lifestyle è fortunatamente
anche questo: cucina e
cantina vanno di pari passo e hanno un
ruolo preminente nella valorizzazione
dei nostri attimi più belli da condividere
con gli altri. Prevalentemente estivo, il
consumo di primi piatti a base di pesce
non conosce comunque momenti inadeguati
ed è sovente sinonimo di ricercatezza
e convivio significativo. Paste,
risotti o brodetti sono primi piatti di discreta
struttura e dalle dissimili caratteristiche
sensoriali che, per un ottimo
abbinamento cibo-vino, devono essere
innanzitutto valutati per la loro aromaticità
(data dal pesce e dalle erbe) e per la
loro tendenza dolce (data dagli amidi e
incrementata dall’eventuale presenza di
Toscana bianco
IGT Tinnari,
Falzari
Barco reale di Carmignano
rosato DOC Vin Ruspo,
Tenuta di Artimino
crostacei). In seconda battuta è necessario
valutare sensazioni organolettiche
quali untuosità e sapidità per avere
un quadro più completo sempre
condizionabile dalla maestria dello
chef che può, con il suo tocco
professionale, esaltare gli ingredienti
e renderli ancora più persistenti
in bocca. Saper scegliere
un vino che valorizzi il piatto e viceversa,
capite bene non sia così
scontato soprattutto per la variabilità
aleatoria delle percezioni
sopra espresse; occorre essere
bravi a prelevare la bottiglia giusta
da un’ampia gamma di colore
bianco ma anche rosa e, da non
escludere a priori, rosso delicato.
Più sarà intensa la percezione
degli aromi del piatto e più il vino
dovrà trasmettere il suo aroma
fruttato; a maggiore percettibilità
di quella sfumata sensazione
di dolcezza da amido dovrà contrapporsi
una decisa acidità nel
calice. I vini da abbinare a primi
piatti di pesce devono essere
giovani (non andate a cercare
in cantina bottiglie datate) e trasmettere
con vivacità i loro profumi,
sapori e colori.
La Trebbiano è un’uva tradizionalmente
toscana che non ha mai
ph. Mali Maeder
entusiasmato i palati degli appassionati.
Esistono però produttori come Falzari
che riescono a sfruttare le peculiarità
del vitigno e, con gestione agronomica
biologica e biodinamica, arrivano a fare
vini come Tinnari, un Toscana bianco
IGT di grande espressività e figlio solare
della terra vinciana. Ottima struttura,
buona persistenza dalle note profumate
di albicocca e ginestra, davvero idoneo
per bagnare degli strozzapreti ai
gamberi o i classici spaghetti alle vongole.
Piatti come la calamarata ai frutti
di mare, la paella di pesce o brodetti,
dove pomodoro e spezie impreziosiscono
l’approccio sensoriale, riescono
ad essere sublimati anche da vini rosa
come il Barco reale di Carmignano
rosato DOC Vin Ruspo prodotto da Tenuta
di Artimino 1596. Maturati in vigne
note da secoli per la qualità delle
uve, i grappoli di Sangiovese, Cabernet
Sauvignon e Merlot danno al Vin Ruspo
quei tipici profumi di agrumi, ciliegia
e fiori freschi, mentre nel sorso si
distende con piacevole sapidità e corpo
elegantemente scolpito. Suggestivo da
assaggiare direttamente (a casa sua…)
nei meravigliosi spazi della villa medicea
“La Ferdinanda” ma anche in ogni
luogo che conceda ai raggi luminosi del
sole la possibilità di far brillare le sue
tonalità corallo.
IL GIOCO DEGLI ABBINAMENTI
67
La voce
dei poeti
Ricordando la poetessa Clara Nistri Bellucci
ad un anno dalla scomparsa
di Giancarlo Bianchi / foto courtesy Carmelina Rotundo
AGiancarlo Bianchi mio caro
amico, un mio / personale
pensiero poetico /…Quasi ottanta
/…quasi ottanta. / Però, li porta
bene. / Un sorriso affiora sulle mie
labbra / appena inumidite / compiaciuto
compiacimento / eppure come
pesa / questa età. / Grava, come un
macigno, / sopra il mio spirito / mentre
annuisco al complimento / quasi
obbligato. / Grava sulle mie membra
/ ormai in disuso, / mentre dentro di
me / penso - può essere ogni giorno, /
può avvenire - / e, non importa quando
/ importa solo / che non faccia male /
come la vita / che sembrava amica. In
questo pensiero di Clara Nistri Bellucci,
mi preme sottolineare i due versi
“che non faccia male / come la vita”,
che si riferiscono alle ferite dell’anima
di Clara, le stesse ferite che io ho condiviso
con la madre del giovane poeta
scomparso prematuramente Gabriele
Bellucci, una madre che mi scrisse
una lettera in occasione di una mia
pubblicazione in ricordo di mia madre.
Ne cito un brevissimo stralcio
riportato anche in appendice al volume
All’ancora del tempo: «Giancarlo
carissimo, solo oggi ho potuto leggere
il piccolo album che hai preparato
in ricordo della tua carissima e amata
mamma…Ti abbraccio con l’anima
di una sorella, un caro saluto a tua
moglie, Clara». Continua ancora oggi
il nostro dialogo mai interrotto, con
questa raffinatissima poetessa e autrice
delle raccolte poetiche Nelle tue
mani, Come voce errante, Firenze e
me e La mia notte. È presente anche
in diverse antologie, per chi desidera
approfondire la conoscenza della sua
opera, come la collana Poeti in Toscana
(ed. Masso delle Fate, 2015), a
cura di Lorenzo Borghini, con il coordinamento
editoriale di Lucia Raveggi.
Due sono le esperienze poetiche
che ho condiviso con lei: la realizzazione
delle raccolte poetiche Pianeta
donna e Poeti in bici. Clara ci ha lasciato
il 13 settembre del 2019. Poco
prima della sua scomparsa è riuscita
con tenacia a pubblicare il volume
postumo del figlio Gabriele Bellucci
dal titolo Shirim, con prefazione di
Carmelo Mezzasalma e postfazione di
Franco Manescalchi. Porto sempre
nel mio cuore il suo ricordo, mi mancano
le nostre conversazioni, la sua
saggezza, la sua autenticità. Quando
avevo dei dubbi, le telefonavo e mi era
sufficiente una sua parola per vedere
tutto in modo più chiaro. Concludo
con un pensiero di Tagore tratto dal
volume Il Cristo: «Il dolore dell’amore
è un tesoro fatto di rinuncia, e in esso
l’uomo vince la morte». A queste
parole fanno eco quelle di Clara tratte
dal volume Come voce errante: «L’acqua
ritorna all’acqua, il suono torna al
suono, luce alla luce, l’anima torna a
Dio, e si fa eternità».
Incontro di poesia alla Basilica della SS. Annunziata nel 2005: la quarta da destra in piedi è Clara Nistri Bellucci
68
CLARA NISTRI BELLUCCI
La voce
dei poeti
Claudio Parigi
Il cuore lirico di un poeta fiorentino
di Paola Giusti
Queste poesie di Claudio Parigi
sono state scelte tra le tante
da lui pubblicate negli anni. Il
poeta Mario Luzi ebbe modo di leggerne
alcune e di esprimere un parere molto
favorevole, riconoscendo in Parigi un
autentico poeta che volle poi spesso invitare
nella propria casa per ascoltare
via via i suoi nuovi componimenti.
Soldato (1974) Vecchia barca (1993)
Alla stazione di notte a dicembre
a piedi fino a Bellariva
in divisa con congedo valigia e pagaia...
troppo lunga secondo un tassista
svogliato,
via Panzani, il Duomo
senza una persona
le piazze le strade i marmi la cupola
sono miei;
Il Corso Santa Croce la Biblioteca
Il fischio del vento e il passo pesante
con gli anfibi,
via Gioberti una lucina accesa,
in pasticceria gente mattiniera
non guardano un viso un soldato
con barba lunga
e tante ore di treno,
chiedo una pasta
me ne regalano due;
sono quasi a casa
da domani ho tanta emozione
mi faccio delle promesse
mi incomincia la vita.
Al tramonto (1998)
Da solo sulla spiaggia,
con la quiete del rumore dell’onda,
senza persone
mi ricongiungo alla natura del mare,
ora sento che questa imponente
massa d’acqua è vera,
rimango quasi stupito come se non
l’avessi saputo prima;
mentre il cielo rosso col buio si confonde
due gabbiani stanno pescando.
In Santa Croce (1980)
A quattro anni
con la nonna in Santa Croce,
camminavo fra le tombe molto attento
a non passarci sopra
a scansare
quelle figure distese; anch’io fiorentino
come quelle persone importanti,
impaurito
da quei teschi e ossa di marmo
solo un poco
per tanta familiarità in quei nomi
di vecchi...
Ugo, Dante, Gino.
Musica nell’aria (1998)
Seguo una musica
per le strade di Dubrovnik
salendo una scalinata
fra case di pietra
corrose dal vento di mare;
cerco le note di un pianoforte,
alzo lo sguardo alle finestre
mentre cammino in un dedalo
di vicoli deserti,
guidato da una emozione che
non conoscevo.
Non è annegata
l’ultima barca dei renaioli,
ma si è nascosta,
sta ricoperta dalla sabbia delle piene
sotto il Teatro Lido.
Bologna (2003,
poesia inedita)
Bologna è lì che mi aspetta
nelle osterie di Guccini
al calar della sera
e dopo uscendo di cena mano nella mano
colletto alzato e guanti con una
ragazza che canta
qualche volta ci ripenso
Bologna è lì che mi aspetta
con le luci dei bus sui viali
o sotto i portici con i piccoli Bar
con i vetri appannati
o in Piazza Grande con le sculture
in piena notte
con il rumore solitario dei miei passi
o a mezzogiorno di domenica
ai crocicchi con i tanti capannelli
delle persone
che ancora parlano del calcio
rossoblu del ’64
guardo in alto il cielo e le Torri
tortellini al dente o in brodo
vapore di cucina donne accoglienti
morbide che si fanno prendere e
trattenere alle mani
Bologna è di nuovo presente nel ricordo
e sulla mia pelle.
CLAUDIO PARIGI
69
Storia delle
Religioni
A cura di
Stefano Marucci
Santa Teresa di Calcutta
Il valore salvifico della preghiera
di Valter Quagliarotti
3^ e ultima parte
Altro aspetto della spiritualità di
Madre Teresa e delle Missionarie
della Carità è la preghiera.
«Amate la preghiera – dice Madre
Teresa – cercate di pregare». La preghiera
allarga il cuore fino a renderlo
abbastanza grande da accogliere il Signore.
Chiedete e cercate, e il vostro
cuore diventerà grande fino a poter ricevere
Gesù e a trattenerlo come vostro
ospite. La preghiera è una “linea
calda di comunicazione con Dio”, a disposizione
per ogni emergenza. Inoltre
la preghiera opera miracoli, qui e ovunque,
purché sia una preghiera di fede,
umile, costante, piena di abbandono a
Dio. Madre Teresa affermava spesso
che l’egoismo è la più grande sventura
di una persona. E aggiungeva: «Sfido
chiunque: non potrete mai trovare
un egoista felice. Nelle società del benessere
l’egoismo è molto diffuso e per
questa ragione, purtroppo, sono diffuse
scontentezza, inquietudine, violenza. La
radice dell’egoismo, così come di tutti
i mali che ci affliggono, è la mancanza
di preghiera. La dedizione ai poveri,
fondata sulla preghiera, è l’unica medicina
per vincere l’egoismo e trovare la
gioia». Il 26 ottobre 1985 Madre Teresa
fu invitata a parlare all’Assemblea Generale
dell’ONU. Di fronte alla presentazione
che le venne fatta, si fece ancora
più piccola, ma la sua fede era grande.
Mostrò l’immancabile corona del Rosario
e disse: «Io sono soltanto una povera
suora che prega. Pregando, Gesù mi
mette nel cuore il suo amore e io vado
a donarlo a tutti i poveri che incontro
sul mio cammino». Fece un momento
di silenzio, poi aggiunse: «Pregate
anche voi! Pregate e vi accorgerete
dei poveri che avete accanto. Forse sullo
stesso pianerottolo della vostra abitazione.
Forse anche nelle vostre case
c’è chi aspetta il vostro amore. Pregate
e gli occhi si apriranno e il cuore si
riempirà di amore». Per Madre Teresa
così come per Sant’Agostino, la preghiera
è “il respiro dell’anima”, essa fa
sì che l’anima dimori nella dimensione
pura dell’amore di Dio. Solo la preghiera
possiede il carattere distintivo che la
rende atto universale di carità. È l’unico
mezzo a nostra disposizione per esprimere
amore universale, l’unico mezzo
per compiere un atto benefico per tutto
il genere umano. Le Costituzioni delle
Missionarie della Carità esprimono
questo amore e affermano: «Senza preghiera
non vi è fede, senza fede non vi
è amore, senza amore non vi è dedizione,
senza dedizione non vi è servizio per
coloro che si trovano nella necessità».
Le suore dedicano alla preghiera da tre
a quattro ore al giorno. «La preghiera
– chiarisce la Madre – non va confusa
con il lavoro e il lavoro non va confuso
con la preghiera». Il primato appartiene
alla preghiera, e quindi “non possiamo
sostituire la preghiera con il lavoro”,
così affermano le Costituzioni. Dobbiamo
pregare con semplicità. «La nostra
preghiera è molto semplice», dice
la santa. Semplice come quella di un figlio
di Dio; quanto più è semplice tanto
più è valida. «Gesù è la nostra preghiera
− si legge nelle Costituzioni − ed è
nello stesso tempo la risposta alla nostra
preghiera. Egli ha scelto di essere
in noi il canto vivo d’amore, lode, adorazione,
ringraziamento, intercessione
e riparazione al Padre in nome di tutto
il creato».
70
SANTA TERESA DI CALCUTTA
In vetrina
Ditutto Dipiù
Passato e presente della fotografia in oggetti da collezione
di Claudio Caioli
Il detto “è difficile come cercare un
ago nel pagliaio” non trova conferma
nei 2.200 mq del capannone di
Ditutto Dipiù, in via del Lavoro a Montelupo
Fiorentino, dove oltre a mobili
d’arredo, opere d’arte, trattori, dischi e
mille altre cose ancora, possiamo trovare
delle vere e proprie “chicche”, rarità
da collezione, come macchine fotografiche
di ogni tipo. Oggi basta possedere
uno smartphone, un semplice telefonino
per scattare delle ottime foto, ma
quanto tempo è passato e quanta tecnologia
è stata necessaria per arrivare
a questo punto? Una storia, quella della
fotografia, che viene da lontano. Già
nel 350 a.C. Aristotele osservava come
la luce, passando da un piccolo foro,
proiettasse un’immagine circolare. Bisogna
però aspettare il Cinquecento e
il grande Leonardo da Vinci per iniziare
a posare le basi per la realizzazione
delle prime macchine fotografiche
con il principio della
camera oscura. Nel 1657,
questo sistema viene perfezionato da
Kaspar Schott che ne migliora la messa
a fuoco grazie a due cassette scorrevoli:
si tratta del primo vero antenato
della Reflex che segna la nascita della
fotografia. Quanto tempo è passato
da Aristotele, che studiava il cammino
della luce attraverso un foro, ai moderni
selfie scattati con i telefonini. Quando
si dice “l’evoluzione della specie”...e vedendo
le numerose macchine fotografiche
d’epoca in mostra a Ditutto Dipiù ci
rendiamo conto di quanto affascinante
sia stato questo lungo percorso.
Via del Lavoro, 6, Montelupo Fiorentino (FI)
Dal lunedì alla domenica;
giorno di chiusura: lunedì mattina
Orario di apertura: 9.30/13.00 - 15.30/19.30
www.dituttodipiu.net
Ditutto Dipiu Mercatino Dell'usato
ditutto.dipiu
dituttodipiu
DITUTTO DIPIÙ
71
Ritratti
d’artista
Letizia Bensaia
Una pittura testimone dell’inquietudine giovanile
di Doretta Boretti
Èun’emozione indicibile presentare
una nuova giovane promettente
artista come Letizia
Bensaia, che ha studiato all’Istituto
d’Arte di Porta Romana a Firenze (Sezione
Grafica e Fotografia) e che grazie
alla sua predisposizione alla pittura ha
iniziato precocemente a dipingere. Artista
amante della perfezione della forma,
testimone dell’inquietudine giovanile,
di questo nuovo millennio così complesso,
soprattutto per quel tempo che
sembra non avere più, per i giovani, né
significato né valore. I grigi dominano i
suoi dipinti mentre la sua curiosità penetra
e vince le difficoltà che la vita le
presenta. Stupenda la visione di Firenze,
quella Firenze che rappresenta un
Rinascimento così vivo e ricco di colore
e la sua pittura si tinge di marrone,
di arancione, di azzurro; ma la sua
visione appare ostacolata da qualcosa
che però non può impedire all’occhio
che osserva di ammirare la purezza del
bello. Così la classicità si fonde con
una nuova proposta pittorica assai ricca
di contemporaneità. Credo che questa
promettente artista abbia molto da
narrare e sono certa che offrirà, a coloro
che avranno la fortuna di seguirla nel
suo percorso artistico, molte emozioni,
e stimolerà in loro numerosi interrogativi
su questo inquieto secolo assai povero
di arte vera.
letiziabensaia@gmail.com
Sguardo inedito, tecnica mista su legno, cm 60x60
BLM (2020), tecnica mista su legno, cm 50x70
72
LETIZIA BENSAIA
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
La cultura come motore della ripartenza
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue presenta
gli eventi culturali di ottobre
di Stefania Macrì
tecipano con trentadue opere: Sofia
Becherucci e Arnaldo Marini dall’Italia,
Maria Bostenaru Dan dalla Romania,
Jacek Gramatyka, Michał Träger
e Mieczyslaw Ziomek dalla Polonia,
Noor Hamada dal Bahrein, Alexander
Lantukhov dall’Ucraina. Se sei un artista
e vuoi farti conoscere, contattaci a
info@lifebeyondtourism.org.
Il 19 ottobre si terrà la cerimonia di
svelamento di un busto di Michelangelo
Buonarroti, realizzato dallo scultore
Dino De Ranieri in marmo bianco di
Carrara, alla Biblioteca Nazionale della
Repubblica di Moldova. La Fondazione
Romualdo Del Bianco ha donato
l’opera, con la collaborazione dell’Ambasciata
d’Italia a Chisinau, in occasione
della XX Settimana della Lingua
Italiana nel Mondo, segnando così l’av-
Il programma autunnale delle iniziative
del Movimento Life Beyond
Tourism Travel to Dialogue è stato
aggiornato in funzione del Covid-19 in
forma virtuale e innovativa: la cultura è
centrale per risollevare i nostri territori
e l’economia, all’insegna del “saper fare”,
delle tradizioni e della valorizzazione
del locale.
L’evento di rilievo è la presentazione degli
Atti del Forum 2020 Building Peace
through Heritage − World Forum to
Change through Dialogue in programma
il 20 ottobre, dalle ore 14.00, in collegamento
Zoom dall’Auditorium al Duomo
di Firenze. L’incontro si compone di
tre momenti: il messaggio di commiato
del presidente, Paolo Del Bianco dopo
oltre trent’anni di impegno personale
e intellettuale nella promozione del dialogo
interculturale; la presentazione delle
tre pubblicazioni del Forum 2020,
con oltre milleduecento pagine e duecentotrenta
testi di autori da quarantotto
paesi, che chiude idealmente il suo
mandato; una panoramica sulla programmazione
oltre il 2020 da parte
della vicepresidente Carlotta Del Bianco.
Un passo in avanti verso un futuro
dove è sempre più necessario vivere nel
rispetto del prossimo grazie al dialogo
interculturale, nella valorizzazione delle
espressioni culturali dei territori e della
salvaguardia del pianeta Terra. Per
informazioni: www.lifebeyondtourism.
org/it/events/world-forum-to-change-through-dialogue/.
La seconda mostra virtuale
Art in our Heart WEB è
online fino al 15 dicembre
all’indirizzo www.lifebeyondtourism.org/it/
galleria-arte-online/edizione-settembre-2020/.
A esporre ci sono otto
artisti italiani e
internazionali che parvio
di una collaborazione con un paese
interessato all’apertura internazionale
nelle relazioni sociali e commerciali.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel
to Dialogue incentiva aziende, istituzioni,
artisti e singoli utenti a interagire
tra loro per la costruzione di relazioni
di conoscenza e cambiamento. Entrare
nella nostra community è semplice: seguici
su www.lifebeyondtourism.org.
Costume Colloquium VII − Fashion
and Dress in Space and Place
Sono aperte le iscrizioni al Costume
Colloquium VII che si svolgerà
in forma virtuale a novembre.
Programma dei relatori e la registrazione
all’evento sono online:
www.lifebeyondtourism.org/costume-colloquium-iiv-2020/
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
73
B&B Hotels
Italia
Nel cuore del capoluogo lombardo il nuovo
B&B Hotel Milano City Center Duomo
di Francesca Vivaldi
B&B Hotels, catena internazionale
con più di cinquecento
hotel in Europa e quarantadue
in Italia, continua la sua espansione
con il nuovo e centralissimo B&B Hotel
Milano City Center Duomo, settima
struttura nel capoluogo lombardo.
Situato accanto alla centralissima via
Dante, tra il duomo e il Castello Sforzesco,
l’albergo presenta un design
innovativo e uno stile raffinato, luogo
perfetto per i viaggiatori moderni, sia
business che leisure.
La struttura propone un’accoglienza
all’insegna della sicurezza e servizi
di qualità a prezzi convenienti solo
su hotelbb.com. Il nuovo B&B Hotel
Milano City Center Duomo offre uno
splendido dehor interno – un giardino
d’inverno sviluppato attorno ad
un’imponente magnolia secolare, che
la mattina accoglie gli ospiti per una
gustosa colazione e, durante il resto
del giorno, diventa un’ampia area relax
perfetta anche per lo smart working
grazie alla connessione illimitata
e gratuita.
All’ultimo piano, sul tetto della struttura,
uno splendido rooftop di 150 mq
è a disposizione di tutti gli ospiti sia
interni che esterni per l’organizzazione
di eventi privati ed esclusivi, nel rispetto
delle normative vigenti. Questa
terrazza è uno dei pochissimi spazi a
Milano in grado di offrire una visuale
a 360° sull’intero skyline della città
meneghina.
Per gli spazi interni sono stati selezionati
materiali Made in Italy con una
grande attenzione verso la sostenibilità
e, in ognuna delle cinquantanove
camere, sono presenti arredi personalizzati
e opere di art design. Tutte
le stanze sono dotate dei comfort necessari
per godersi un soggiorno in
pieno relax e sicurezza grazie al pro-
74
B&B HOTEL MILANO
tocollo Safety Label High Quality Anti
Covid-19 sviluppato da B&B Hotels
Italia a tutela degli ospiti e dello staff.
«Sono molto orgoglioso di riconfermare
la strategia espansionistica di
B&B Hotels, in controtendenza rispetto
al mercato. Il nostro business model
vede da un lato l’apertura di nuove
strutture, dall’altro mira a consolidare
e implementare servizi di qualità superiore,
che crediamo essere uno dei
principali valori aggiunti su cui agire
per offrire ai nostri ospiti la migliore
esperienza di viaggio possibile» ha dichiarato
Valerio Duchini, presidente
amministratore delegato di B&B Hotels
Italia.
B&B HOTEL MILANO
75
Arte e
gusto
A cura di
Elena Maria Petrini
Bianca Piovano
Riconfermata alla presidenza nazionale di ONAS
di Elena Maria Petrini / foto Alberto Camilletti e Marika Susinni
Bianca Piovano, presidente nazionale ONAS
Lo scorso fine settimana quasi
trecento soci provenienti
da tutta Italia hanno votato
il nuovo consiglio che, all’unanimità,
ha rieletto la dottoressa Bianca Piovano
alla presidenza nazionale di ONAS
(Organizzazione Nazionale Assaggiatori
di Salumi), associazione senza
finalità di lucro, fondata il 19 ottobre
1999 presso la CCIAA di Cuneo,
per promuovere e diffondere la cultura
del salume dall’allevamento alla
macellazione, attraverso corsi di formazione,
aggiornamento e specializzazione
realizzati sia su tutto il territorio
nazionale e anche a livello internazionale.
ONAS esegue, con un panel di
assaggiatori esperti di analisi sensoriale
dei salumi, una valutazione dei
caratteri organolettici dei prodotti per
le aziende produttrici e consorzi di tutela,
ma anche degustazioni guidate
per consumatori ed operatori turistici.
Collabora, inoltre, con le associazioni
di categoria per promuovere la conoscenza
e la valorizzazione dei prodotti
tipici locali. Ma chi è Bianca Piovano?
Si laurea nel 1967 in Scienze Biologiche
(ora medaglia d’oro per i quarant’anni
di professione dell’Ordine
dei Biologi, che ha contribuito a fondare),
ed inizia la sua lunga carriera
nel caseificio Locatelli di Moretta
(CN), come responsabile qualità del
laboratorio analisi, una figura aziendale
che ancora non esisteva. Di sua
specifica competenza sono le prove
della conservazione dei formaggi,
in particolare delle mozzarelle, per testare
l’evoluzione delle loro caratteristiche
organolettiche; al contempo, si
occupa anche di allevamento di suini
di razza Landrace White. Tre anni dopo
si trasferisce al salumificio sempre
dell'azienda Locatelli come responsabile
del laboratorio analisi e dell’intera
filiera di produzione dei salumi. Inizia
ad approfondire la sensometria
degli alimenti, una nuova disciplina
nata negli Stati Uniti negli
anni Cinquanta, che valuta perché
alcuni cibi, benché validi ed
equilibrati nutrizionalmente, siano
maggiormente appetibili da
alcuni soggetti e sgraditi ad altri.
Sulla base di questi studi,
viene creato al salumificio un
gruppo di assaggio che si riunisce
una volta alla settimana per
valutare i prodotti da proporre
sul mercato e le loro caratteristiche
organolettiche compilando
delle schede riassuntive
di valutazione. Questa procedura,
inizialmente vista con un
certo scetticismo, si rivela invece
utilissima poiché, assieme
76
BIANCA PIOVANO
all’analisi chimica e microbiologica,
permette di scartare i prodotti difettosi
prima che raggiungano i consumatori
finali. Negli anni successivi, la Piovano
diventa direttore di stabilimento
della Balocco, con il ruolo di addetta al
controllo qualità dei prodotti da forno.
Dal 1969 frequenta a Lille (Francia) i
corsi internazionali di microbiologia
degli alimenti − latte, formaggi, carne
e derivati, uova, pesce, acque minerali
− ottenendo così il Diplome d’études
supérieures et specialisées de Microbiliogie
des aliments e d’Hygiene des
Collectivites nel 1990. Dal 1979 ha
l’incarico di biologo dirigente del laboratorio
di igiene e profilassi di Cuneo,
dove si occupa dell’analisi microbiologica
di acque potabili, minerali
e alimenti. Nel 1989, viene
costituita, presso la Camera di
Commercio di Cuneo, l’ONAF
(Organizzazione Nazionale Assaggiatori
Formaggi), della quale
è socio fondatore e maestro
assaggiatore. Nel 1999, sempre
alla Camera di Commercio di Cuneo,
diviene socio fondatore di
un’analoga associazione per la
filiera suinicola, l’ONAS, con sede
a Fossano, di cui assume la
presidenza. L’Associazione Nazionale
Assaggiatori di Salumi
conta inizialmente ventinove soci,
realizza quattro corsi specialistici
e diversificati per tipologie
di salumi e sviluppa un piano di
studi ben articolato per chi voglia
acquisire il titolo di “maestro assaggiatore”.
Viene, inoltre, costituito
un gruppo tecnico di lavoro che porta
alla stesura delle prime schede di
valutazione sensoriale dei salumi che
sono essenzialmente di quattro tipi:
tritati crudi, tritati cotti, pezzi anatomici
interi crudi e cotti. Attualmente è
allo studio una quinta scheda per i salumi
spalmabili. I corsi continuano, si
aprono le prime delegazioni in molte
città in tutta Italia; vengono preparate
le dispense, i libri, le brochure sempre
inviate gratuitamente ai soci. Nel
2007 nasce il GIA (Gruppo Italiano Assaggiatori)
con i rappresentanti di sette
associazioni di sensorialisti: AED
ABTM (aceto balsamico tradizionale
di Modena DOP), Albo mieli,
ANAG (grappa e acquaviti),
ONAFrut (frutta), ONAF (formaggi),
ONAS (salumi), ONAV
(vino). ONAS ha il coordinamento
del gruppo tecnico.
Nel 2018, ONAV esce dal GIA
ed entra ONAB (birra); ONAS
e GIA sono marchi registrati
con il riconoscimento giuridico
di ONAS, il quale, nel 2019,
festeggia vent’anni di intensa
attività con ormai quasi cinquemila
soci iscritti. Nel 2020,
il Covid-19 stravolge tutto, ma
ONAS reagisce brillantemente
con ONAS 2.0, ovvero l’attività
online: iniziano le videoconferenze
gratuite per i soci,
viene creata a Fossano la struttura logistica
per l’invio dei salumi prima del
corso ai partecipanti. Per ogni corso,
in un’aula virtuale, su piattaforma professionale
dedicata, ci sono le lezioni
online, gli assaggi guidati in remoto
dal docente in contemporanea con i
corsisti. È un grande successo anche
dall’estero: nasce così ONAS International,
grazie al lavoro e all’impegno
dei soci Simone Massenza e Vincenzo
di Nuzzo, e ne viene registrato il
marchio. Per i crediti formativi viene
sostituito l’evento di persona con “Assaggi
d’Europa”, avviato da poco, con
docenze e assaggi di prodotti stranieri:
spagnoli, francesi, tedeschi. Prossimamente
anche Australia e USA.
BIANCA PIOVANO
77
I maestri dell'
architettura
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Il Ponte di Rialto
Il capolavoro di Antonio da Ponte a Venezia
di Margherita Blonska Ciardi
Non tutti conoscono la vera storia
del Ponte di Rialto che unisce
le due sponde di Venezia ed
è giustamente considerato uno tra più
belli al mondo. Fin dal 1172, la Serenissima
mise a disposizione dei cittadini un
attraversamento fatto di barche per unire
i due lati del Canal Grande. Successivamente,
nel 1181, il doge Nicolò Buratieri
fece realizzare il ponte detto della Moneta
o Quartarolo (chiamato così dal nome
della tassa monetaria che bisognava pagare
per attraversarlo). Intanto il commercio
sulle due rive del canale cresceva
e i flussi di attraversamento si facevano
sempre più intensi causando spesso il
danneggiamento delle strutture di legno.
Il ponte levatoio a due rampe costruito
nel 1250 crollò per ben due volte a causa
dell’eccessivo carico. Nel 1551, le autorità
veneziane bandirono un concorso
per la progettazione di un nuovo ponte
in pietra. I disegni pervenuti dalle “archistar”
dell’epoca come Jacopo Sansovino,
Andrea Palladio, Michelangelo e il
Vignola non risultarono abbastanza convincenti:
secondo la giuria le proposte
erano troppo scontate e classicheggianti.
Per questo motivo, si preferì aspettare.
Nel 1587 fu bandito un secondo
concorso al quale parteciparono il celebre
ingegnere e architetto esperto di carpenteria
Antonio da Ponte e l’architetto
Vincenzo Scanozzi. L’idea audace e avveniristica
di un ponte ad unica campata
di 28 metri proposta da Antonio da Ponte
fu accolta con grande entusiasmo dalla
commissione che voleva qualcosa di
più innovativo. Il Ponte di Rialto è diventato
un simbolo della città, ma la genialità
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della sua struttura edificata in pietra d’istria
consiste nel seguire il vecchio progetto
a due rampe cercando di sostenere
quest’ultime con un’unica arcata, affiancandole
a entrambi i lati con la costruzione
di ventiquattro botteghe. Le due
rampe sono suddivise ciascuna in tre
corsie (la centrale è di 10 metri e ha gradoni
piu larghi mentre le laterali sono di
3 metri). La sua bellezza è data dall’apparente
leggerezza della struttura che mette
in comunicazione due parti della città, ricordando
i merletti veneti con la sua copertura
fatta ad arcate.
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IL PONTE DI RIALTO
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