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LA TOSCANA NUOVA - OTTOBRE 2020

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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 9 - Ottobre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Un connubio di gusto, stile ed eleganza

nella magica cornice del

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Sommario ottobre 2020

I quadri del mese

Margherita Biondi, Nella pianura empolese, acrilico su tela, cm 50x60

biondimargherita@gmail.com

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Le cosmogonie di Wang Yancheng in mostra a Firenze

Le opere monumentali dello scultore Gabriel Diana

Intervista a Gianni Berengo Gardin, maestro del bianco e nero

Gjon Mili, pioniere del movimento in fotografia

Un libro e un museo per ricordare il tenore Amedeo Bassi

Claudio Cionini, pittore delle metropoli moderne

Il doppio volto della realtà secondo Roberto Carradori

I Ferrari, un’antica bottega di maestri artigiani

Mariangela Bartoloni, la designer dei cerchi del benessere

L’opera d’arte come marchio registrato: il caso Banksy

Il fascino della geometria nelle opere di Franco Cappelli

Benessere della persona: il potere del succo biologico d’uva

Dimensione salute: i rischi della frittura per la salute

Psicologia oggi: la breve vita degli amori estivi

Maria Concetta Guaglianone: pittura tra colore e materia

Animali e natura nelle opere di Maria Chiara Viviani

Incontro con Mauro Mari Maris, autore di “Vita…vita”

La saga dei Medici nella detective story di Renato Campinoti

Emozioni sul pentagramma con le antologie di Laura Molteni

Duilio Baronti, una zimarra con attaccapanni

Enzo Verdelli: la pittura come finestra spalancata sull’universo

Antonio D’Antini, pittore dell’inconscio al Terme Beach Resort

Intervista ad Alessandro Ruggiero, professionista del teatro

Cultura e società: la nuova vita delle librerie universitarie

Il primo raduno dei Ferraristi Toscani Club Sieci in Mugello

Gianni De Magistris, icona della pallanuoto e tifoso viola

Claudio Parigi: l’orgoglio di essere viola

Professionisti in Toscana: lo Studio Micheloni a Firenze

Sandra Petreni, dentro ed oltre l’illusione del colore

La Cina di ieri, oggi e domani nel film di Jia Zhangke

Dalla tela all’affresco, l’iter artistico di Andrea Tani

La seconda edizione della rassegna Aqvart a Venezia

John Singer Sargent, eccellente ritrattista da Firenze al mondo

Daniele Ortolani, artigiano della scarpa su misura

Mara Faggioli: l’invito alla gioia di un’artista a tuttotondo

Simona Tesi, pittrice delle donne per celebrare la vita

Paolo Baratella, lo chef fiorentino della cucina vegana

Arte del vino: il gioco degli abbinamenti con i primi di mare

Un ricordo della poetessa Clara Nistri Bellucci

Il cuore lirico del poeta fiorentino Claudio Parigi

Il valore della preghiera per Santa Teresa di Calcutta

La fotografia, oggetto da collezione da Ditutto Dipiù

L’inquietudine giovanile nella pittura di Letizia Bensaia

La cultura per ripartire con il Movimento Life Beyond Tourism

B&B Hotels Italia: una nuova struttura nel centro di Milano

Bianca Piovano riconfermata alla presidenza nazionale di ONAS

Il Ponte di Rialto, capolavoro di Antonio da Ponte a Venezia

Civita Centola, Lorenzo il Magnifico (2020), olio su tela, cm 60x40

civitinacentola@gmail.com

La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 9 - Ottobre 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074

In copertina:

Wang Yancheng

Senza titolo, olio su tela

Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze

Tel. 333 3196324

lanuovatoscanaedizioni@gmail.com

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Anno 3 - Numero 9

Ottobre 2020

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La Toscana nuova - Periodico di attualità,

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Testi:

Cristina Acidini

Laura Belli

Giancarlo Bianchi

Paolo Bini

Margherita Blonska Ciardi

Doretta Boretti

Fabrizio Borghini

Lorenzo Borghini

Erika Bresci

Claudio Caioli

Viktorija Carkina

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Nicola Crisci

Maria Grazia Dainelli

Massimo De Francesco

Francesca Di Natali

Simona Donati

Aldo Fittante

Stefano Francolini

Giuseppe Fricelli

Paola Giusti

Stefano Grifoni

Stefania Macrì

Elisabetta Mereu

Emanuela Muriana

Claudio Parigi

Lucia Petraroli

Elena Maria Petrini

Antonio Pieri

Gianna Pinotti

Daniela Pronestì

Valter Quagliarotti

Stefania Reitano

Barbara Santoro

Vittorio Sgarbi

Franco Tozzi

Francesca Vivaldi

Foto:

Gianni Berengo Gardin

Margherita Blonska Ciardi

Alberto Camilletti

Roberto Carradori

Marco Chiti

Mali Maeder

Teti Marchetti

Gjon Mili

Barbara Santoro

Silvano Silvia

Marika Susinni

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Firenze

Mostre

Wang Yancheng

Le cosmogonie del celebre artista cinese in mostra a

Firenze all’Accademia delle Arti del Disegno

di Cristina Acidini

Se un atelier d’artista potesse parlare,

racconterebbe le infinite

storie dell’artista stesso: l’ispirazione,

il lavoro, gli esperimenti, i dubbi,

i momenti di sofferenza e d’estasi.

Se nello studio di Wang Yancheng anche

soltanto il pavimento potesse parlare,

sarebbe il testimone d’eccellenza

del percorso compiuto dal pittore verso

una dimensione delle tele sempre più

dilatata e accogliente − così da richiedere

non più il cavalletto ma la lavorazione

in orizzontale al suolo, sull’esempio

del grande Jackson Pollock − e verso un

esercizio della pittura che invita il colore

ad abbattersi sul supporto fluttuando

e debordando dai confini, fino a lasciare

sul pavimento profili casuali e vivide

chiazze. Reperti d’imprese già compiute,

quelle tracce di colore si sovrap-

Wang Yancheng

pongono, come nelle antiche moschee

gli infiniti tappeti che si usava stendere

l’uno sull’altro, ottenendo una stratificazione

nella quale il significato storico

prevale sul valore artistico. Il pavimento,

se interrogato, potrebbe parlarci dell’approdo

di Wang Yancheng alla sua maniera

attuale, che secondo la definizione

formulata dalla critica cinese potremmo

definire della “dispersione di sé”, provenendo

da una formazione tradizionale

che parte da lontano nel tempo e nei

riferimenti culturali. Wang Yancheng infatti

dipinge da quando aveva quattordici

anni, apprendendo la nobile scienza

della calligrafia e familiarizzando con

l’arte attraverso la collezione del padre,

industriale deportato durante la Rivoluzione

culturale. Nell’orizzonte estetico

di Wang Yancheng è passato il Realismo

socialista di matrice russa, con il

suo impianto figurativo naturalistico sostenuto

dalle indiscutibili certezze della

politica di regime, ma vi ha poi brillato,

come una fatale meteora, la mostra

di pittura francese a Pechino nel 1978.

Fu forse quella la principale fonte d’ispirazione

per la sua scelta di emigrare,

in tempi in cui le riforme politiche aprivano

la Repubblica Popolare alla cultura

occidentale, e di stabilirsi in Francia,

non lontano da Parigi. Da allora, allontanandosi

dalla figura e dal ritratto, la sua

espressività artistica si è indirizzata alla

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WANG YANCHENG


ricerca di una nuova e personale sintesi

tra la pittura cinese tradizionale e l’arte

europea, con l’Impressionismo al primo

posto: una ricerca che ha attraversato

la fase dell’astrattismo lirico messo

a punto da Zao Wou-ki, avvicinandosi al

magistero di Chu Ten-Chun, ma che ha

poi proseguito superando anche quella

fase, in un costante approfondimento

delle relazioni fra il mondo interiore

e l’universo esterno. Lo stile odierno di

Wang Yancheng, frutto della maturazione

compiuta negli ultimi anni, sembra

denotare la propensione all’astrattismo,

ovvero alla combinazione di forme e colori

dettata esclusivamente dai movimenti

interiori, alla ricerca d’una segreta

e indecifrabile armonia. Ma in effetti −

come i critici più sensibili hanno intuito

da tempo − mentre Wang Yancheng si

allontana dal vero naturale dell’immagine

fisica, rinunciando alle forme, consistenze

e colori della pittura figurativa, il

suo rapporto con la Natura si allarga e si

consolida, fino a mettere la sua pittura

in comunicazione diretta con le energie

che percorrono il pianeta: i movimenti

tellurici, le correnti delle acque, i turbini

dell’aria, i guizzi del fuoco. I quattro

elementi della filosofia fisica antica son

chiamati a ricostruire, attraverso il lavoro

di Wang Yancheng, un cosmo alternativo

a quello tangibile nel quale

trascorriamo le nostre brevi esistenze.

La dissoluzione virtuale del mondo

percepito mette a disposizione

dell’artista materie

primordiali pronte a

ricombinarsi, ancor fluide

e lucenti come mercurio,

specchianti come argento

fuso, petrose come roccia

lavica. E se le sue stesure

impetuose di tinte infinitamente

variegate possono

sembrare scaturite da

dentro la tela anziché applicate

su di essa, in realtà

è inevitabile prendere atto

che ogni strato, getto, soffio,

stria o piuma di colore

corrisponde a un’intenzione

progettata, maturata e

infine espressa. La Natura,

dunque, nella sua assenza

apparente è l’interlocutore

a distanza di Wang. Sono

le dense, ombrose foreste

dello Shandong, cariche di memorie

confuciane. Sono le profondità del Mar

Cinese, sono le altezze delle montagne

su cui spicca, come luogo di pellegrinaggio

nei secoli, il Monte Sacro di Taishan;

sono le luci, le tenebre, i suoni, gli

odori, le asperità e le morbidezze d’una

regione, d’un paese, d’un continente del

mondo. Attraverso il filtro della visione

individuale, Wang scompone e reinventa

un universo che mostra elementi

di affinità originaria con il mondo tangibile

proposto dai sensi.

I quattro elementi, lasciati

liberi di diffondersi nello

spazio, danno luogo a

nuove alchimie. Le stesure

di andamento orizzontale,

solcate da ineffabili riflessi

(fantasmi di fusti che

si specchiano in un’acqua

piatta), sembrano partire

là dove si sono fermati

gli Impressionisti, facendo

tesoro degli stagni

e delle ninfee di Monet.

L’insorgenza di una massa

verticale, color marrone

rugoso e muschiato,

fa pensare a un albero primordiale.

Le nubi cangianti

incombono gravide e

minacciose, e dai cieli rossi

sembrano pronte a scatenarsi

tempeste di sangue

o di sabbia desertica. Le plaghe vermiglie

hanno la potenza inarrestabile della

lava in un’eruzione. Le screpolature grigie

suggeriscono ghiacciai in ritiro, tra

affioramenti di rocce brune e residui di

vecchie nevi. La craquelure capricciosa

fa intravedere zolle spaccate dalla siccità

o intrise di sali, terre aride, rocce

ruvide. Le cortine compatte di verde,

sventagliate di chiazze rosa o gialle, raccontano

di primavere amabili e violente

in umide campagne coltivate. Ghiacci

di profondità insondabile prendono sfumature

di smeraldo. In questi paesaggi

mentali, creati attraverso la meditazione

che guida le proporzioni, gli accostamenti

e le sovrapposizioni dei colori,

può fare irruzione una scia luminosa, o

spalancarsi una voragine oscura. Avvicinare

l’arte di Wang Yancheng non

rappresenta una semplice esperienza

d’incontro con l’arte, foriera di emozioni

estetiche e psicologiche, ma una sollecitazione

a interrogarsi sulla natura profonda

delle cose e sul potere che l’uomo

ha, pur nella sua fragilità intrinseca, di

misurarsi col cosmo in modo diretto e

continuo: ponendo domande, formulando

risposte.

Dal 5 novembre al 29 dicembre 2020, le

opere del maestro Wang Yancheng saranno

in mostra all'Accademia delle Arti

del Disegno a Firenze per la personale

dal titolo Cosmogonie di colori.

WANG YANCHENG

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Ritratti

d’artista

Gabriel Diana

Le opere monumentali dello scultore italo-francese

di Aldo Fittante

Scultore atipico, con la sua casa

museo e atelier in Corsica, Gabriel

Diana è un artista la cui fama

è in costante crescita. Ingegnere di

formazione nella sua prima vita e artista

autodidatta nella seconda, opera

professionalmente nel campo dell’arte

da quasi vent’anni. Generalmente fuori

dai circuiti galleristici per non aver trovato

− come il maestro stesso afferma −

la “dovuta serietà”, continua a seminare

ovunque e con successo le sue sculture

di bronzo fuso a cera persa. Collezioni

private, musei e luoghi pubblici

sono i contesti preferiti dall’artista italo-francese

− toscano di nascita −, insignito

di importanti riconoscimenti sia in

Francia che in Italia. Da qualche anno,

la presenza di sue opere in Italia è cresciuta,

e se finora sono state apprezzate

soprattutto da collezionisti e intenditori

d’arte, adesso un’opera monumentale

è stata destinata ad un luogo pubblico,

segnando così un importante passo

avanti nella sua carriera. Sulla rotonda

principale che segna l’accesso al comune

di Collodi è stata installata una scultura

di cinque metri e mezzo di altezza,

tutta in bronzo e acciaio corten. L’opera

imponente rappresenta Pinocchio che

corre sulla cresta di un’onda alla ricerca

del babbo Geppetto ingoiato dalla balena.

A beneficiare di questa importante

creazione è la Fondazione Nazionale

Carlo Collodi presieduta da Pier France-

Donna corsa, Isola Rossa

sco Bernacchi, col quale l’artista intrattiene

un profondo rapporto di stima e di

amicizia. Se l’artista ama creare spesso

con la testa tra le nuvole, il rigore cartesiano

continua ad abitare l’uomo Dia-

Omaggio a Pascal Lota (fondatore della Corsica Ferries), Bastia

La lettrice, Porto Vecchio

Gabriel Diana con l’opera La bandana rossa, Ajaccio

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GABRIEL DIANA


La Sirena, Isola Rossa

Il gabbiano, Montecarlo

na che propone, sempre in bronzo fuso

a cera persa, il suo Pinocchio in quattro

dimensioni minori: diciassette centimetri

di altezza, ventotto, quarantacinque

ed un metro e venti per il modello più

grande. Oltre a quest’ultima eccellente

creazione, numerose altre sculture del

maestro sono collocate in luoghi pubblici

perlopiù in Francia. Rimanendo nel

campo delle opere pubbliche, un’attenzione

del tutto particolare va attribuita

ad un luogo voluto dallo scultore per lasciare

a beneficio dell’umanità un’indelebile

traccia del suo operato. Aperto al

pubblico nel 2009, il Dian’Arte Museum

si trova in Corsica, nei pressi di Bastia.

Questo museo copre una superficie di

4000 mq e comprende un’imponente

costruzione con un parco nel quale sono

esposti centinaia di lavori. Quadri della

serie Full-metal-painting ed altri realizzati

in collaborazione con l’artista francese

Dominique Beniza unendo insieme

paglia e bronzo; qualche marmo di Carrara

e piccoli bronzetti che crescono fino

a diventare monumentali, come la grande

piramide Tetraedro, di quasi sei metri

di altezza, e un ermafrodito etrusco, particolarmente

caro all’artista. L’imponente

spazio culturale ospita anche l’atelier

del maestro, dove sono state create centinaia

di opere. Questo luogo, interessantissimo

da visitare, non è sfuggito al

giornalista Fabrizio Borghini che, già nel

2019, vi ha realizzato un reportage andato

in onda su Toscana TV e visibile sul

suo canale youtube.

Dian’Arte Museum

5992, Route des Marines de Borgo

+33 (0)669240110

www.gabriel-diana.com

Monumento ai caduti, Biguglia

Venere alla conca, Bastia

Busto di Pasquale Paoli, Sartene

GABRIEL DIANA

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I grandi della

Fotografia

A cura di

Maria Grazia Dainelli

Gianni Berengo Gardin

Intervista al maestro della fotografia italiana in bianco e nero

di Maria Grazia Dainelli / foto Gianni Berengo Gardin

Quando ha capito che avrebbe

voluto intraprendere la professione

di fotografo?

Ho iniziato come fotoamatore per sei

anni e ho poi deciso di intraprendere la

professione di fotografo all’inizio degli

anni Sessanta quando un mio zio che viveva

in America mi mise in contatto con

Cornell Capa, fratello del grande Robert,

che m’inviò alcuni libri di fotografi

americani. Presi ispirazione da alcuni

di loro, soprattutto Eugene Smith e Dorothea

Lang, che ai tempi pubblicavano

su Life e Magnum. Compresi che con la

fotografia potevo raccontare delle storie

ed è da allora che faccio il mio mestiere

cercando di farlo al meglio.

Nasce come fotografo in bianco e nero

e ancora oggi continua con questa

scelta, per quale motivo?

Sono nato con la televisione in bianco

e nero, appassionato di cinema francese

sempre in bianco e nero e la maggior

parte dei miei maestri utilizzavano questa

forma di rappresentazione visiva, a

cui mi sono ispirato con i miei reportage

perché secondo me il colore distrae chi

fa la foto e chi la legge.

Ha accumulato un archivio monumentale

di 2.000.000 di scatti e pubblicato

circa 260 libri. Come si arriva a

questi grandi numeri?

La mia prima pubblicazione risale al

1954 quando alcune delle mie foto furono

pubblicate su Il Mondo di Mario Pannunzio.

Successivamente, l’incontro con

un editore svizzero mi consentì di pubblicare

il libro su Venezia in bianco e nero.

Ebbe un grande successo non solo

per merito mio ma anche perché c’era

un testo di Giorgio Bassani e uno di Mario

Soldani; tale notorietà mi permise di

entrare a far parte del mondo della fotografia

professionale a tutti gli effetti, collezionando

da quel momento mostre in

tutto il mondo e numerose pubblicazioni.

Negli anni del boom economico si è

dedicato al reportage industriale lavorando

per Fiat, Ansaldo, Pirelli, Olivetti:

con questi importanti committenti

è riuscito ad esprimersi liberamente?

È stato un autentico privilegio lavorare

per Olivetti perché ho potuto apprezzare

il fermento culturale intorno a questa

grande azienda mantenendo intatta la

mia libertà espressiva. Si fidavano di me

e avevo un profondo rapporto di amicizia

con Giorgio Soavi. Scattare per Fiat

è stato molto più problematico perché

avevo alcune persone intorno che mi

controllavano quotidianamente.

Talvolta è stato accostato a Henri Cartier

Bresson per il lirismo della sua fotografia.

È lui il maestro del Novecento

a cui si è ispirato maggiormente?

Lavorando per due anni come cameriere

a Parigi e avendo molto tempo libero,

ho avuto il privilegio di conoscere grandi

scrittori e soprattutto grandi maestri

come Robert Doisneau. Fotografavo assieme

a lui ma non andavamo d’accordo

perché metteva in posa i suoi soggetti e

le foto erano costruite. Vorrei precisare

che da sempre mi definiscono il Cartier

Bresson italiano ma in realtà mi sento

il Willy Ronis italiano, per l’ammirazione

che nutro verso i suoi scatti ricchi di

un’umanità semplice ma gioiosa.

Ha raccontato, dal dopoguerra ad oggi,

l’emancipazione della donna, il

progresso sociale e civile. Cosa l’ha

spinta a dedicarsi al reportage?

L’impegno del fotografo non deve esse-

Parma, ospedale psichiatrico (1968) Venezia, passaggio di una Grande Nave nel Canale della Giudecca (2013)

10

GIANNI BERENGO GARDIN


Firenze, campo nomadi (1993) Genova, ristrutturazione del Porto Antico (1988)

re artistico ma sociale e civile. Ha pesato,

inoltre, la mia ideologia comunista

e la passione per la letteratura che mi

ha trasmesso mio padre. La curiosità

ha un ruolo determinante e quando ho

deciso di realizzare un servizio non sono

io a scegliere il posto ma è il posto a

scegliere me.

Salgado la definisce il “fotografo

dell’uomo”, perché?

È una bella medaglia per me questa definizione

avendo immortalato figure sia

nelle foto industriali che nelle collaborazioni

con Renzo Piano, dove raffiguravo

l’uomo nei cantieri e in tutte le fasi

della realizzazione delle sue opere architettoniche.

“Vera fotografia” è il timbro che autentica

il retro di ogni sua foto ed

è anche il titolo del suo ultimo libro.

Cosa significa?

Non mi sento un artista e non capisco

le fotografie d’arte, mi sento più un artigiano

perché nel mio essere testimone

della realtà cerco di essere fedele a

quello che vedo ragionando con la mia

testa. Ho solo la capacità di catturare il

momento giusto registrandolo in uno

scatto e molti sono i meriti del soggetto

che fotografo. Scatto in analogico e utilizzo

piccoli ritocchi nei toni in camera

oscura, perché nel reportage è necessario

rispettare quello che vediamo senza

alterarlo o peggio ancora falsificarlo.

Per questo motivo, non utilizzo il digitale

e neppure Photoshop che secondo

me è necessario solo per la fotografia

artistica.

Ha fotografato grandi intellettuali come

Basaglia, Zavattini, ma anche gli

emarginati. Qual è il lavoro che per lei

ha maggior valore?

Ho realizzato vari progetti tra i quali il

racconto degli zingari nel campo rom

del Poderaccio a Firenze, ma il più interessante

è quello sui manicomi realizzato

per Franco Basaglia: un lavoro

importante per l’approvazione della

legge 180 confluito nel libro Morire di

classe pubblicato da Einaudi nel ’69 e

utilizzato ancora oggi in psichiatria come

testo di studio.

Cosa pensa dell’uso/abuso della fotografia

oggi?

Ugo Mulas mi ha insegnato che non bisogna

scattare la bella foto che magari è

perfetta, ma bisogna ricercare la buona

immagine che deve avere un contenuto,

suscitare un’emozione e raccontare

qualcosa di importante. Le foto vuote

e senza senso che vediamo spesso sui

social si contrappongono ai lavori seri

dei fotografi frutto di un lungo studio,

una faticosa ricerca e un costante

impegno.

Ha fotografato le grandi navi a Venezia.

Com’è nato questo progetto?

Venezia e le Grandi Navi è un lavoro che

propone fotografie realizzate tra il 2013

e il 2014. Ritraggono il quotidiano passaggio

delle grandi navi da crociera nella

laguna di Venezia, città a cui sono

molto legato. Ho voluto rappresentare

l’inquinamento visivo e atmosferico

e l’imponenza delle navi che violentano

la città.

Come e quanto la fotografia influenza

la nostra vita?

Fotografare è un linguaggio espressivo

come la scrittura, ma per raccontare

qualcosa agli altri occorre prima

raccontarlo a se stessi e per farlo serve

una base culturale. La conoscenza del

fotografo deve essere vastissima e non

riguardare solo la fotografia ma anche

cinema, televisione e libri perché solo

così è possibile raccontare cose che

non sono sotto gli occhi di tutti. Diffondiamo

quindi l’amore per la fotografia.

GIANNI BERENGO GARDIN

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Spunti di critica

Fotografica

A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Gjon Mili

Il pioniere della rappresentazione del movimento in fotografia

di Nicola Crisci / foto Gjon Mili

Gjon Mili nacque a Coriza in Albania

nel 1903 e all’età di cinque

anni si trasferì con la famiglia

in Romania, dove trascorse l’infanzia e

frequentò il Collegio Nazionale di Gheorghe

Lazãr a Bucarest. Nel 1923, a soli

vent’anni, emigrò negli Stati Uniti per

studiare ingegneria al Massachusetts Institute

of Technology. Nel 1939 iniziò a

lavorare come fotografo autodidatta e,

supportato dalle competenze ingegneristiche,

fu tra i primi ad usare la fotografia

stroboscopica per fermare l’istante, rendendosi

subito conto delle potenzialità

artistiche ed espressive di questa tecnica.

Fu anche precursore dell’attuale videoclip

con l’idea di fermare il movimento

in uno scatto grazie al flash elettronico:

un modo per catturare persone e cose

che si muovono molto velocemente, utilizzando

questo strumento in modo creativo

e fuori dall’ambito scientifico. I suoi

scatti immortalano il movimento nella

medesima inquadratura con una serie di

flash in rapida successione e un marcato

bianco e nero per far emergere bene i

dettagli. Fotografo per la celebre rivista

Life, fu assistente di Hyperlink e nel 1944

realizzò il primo capolavoro jazz-filmico

della storia, Jammin the blues, un reportage

unico nel suo genere per avere tentato

di documentare una performance

jazzistica. Le sue fotografie hanno fatto

FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK

www.universofoto.it

Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164

Autoritratto

il giro del mondo in esposizioni individuali

e collettive accanto a fotografi eccellenti.

«Il tempo − amava dire Gjon Mili

− potrebbe essere davvero fermato. La

trama potrebbe essere mantenuta nonostante

l’improvviso movimento violento.

La mia generazione è nata in un momento

in cui la fotografia avanzava a passi da

gigante creando l’impulso a sperimentare

e cercare nuovi approcci». Nel 2012

Life ha ripubblicato le foto fatte a Picasso

in una retrospettiva che ebbe enorme

successo in Albania, dove Mili è considerato

un eroe nazionale tanto da avergli

dedicato recentemente un museo.

Modella con camicia da notte trasparente e vestaglia

di colore chiaro fluttuante (1945)

Picasso (foto pubblicata su Life)

John Borican lancia il giavellotto (1941)

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GJON MILI


Personaggi

Amedeo Bassi

Un libro e un museo a Montespertoli per documentare

la storia del grande tenore toscano

di Francesca Di Natali / foto courtesy Museo Amedeo Bassi

Il tenore Amedeo Bassi, nato a Montespertoli

il 29 luglio 1872, ha portato

il bel canto e l’opera lirica nel

mondo, contribuendo a diffondere la

cultura e l’arte del teatro italiano. Il 30

novembre 2014 a Montespertoli è stato

inaugurato il Museo Amedeo Bassi,

per raccontare la storia di quest’uomo

dotato di un talento straordinario. Di

umilissime origini, Amedeo, tra i pochi

sopravvissuti di ben dieci figli, perse la

madre quando aveva solo 7 anni. Sin da

ragazzo lavorava nelle fornaci, prima a

Montespertoli poi a Firenze. La sua bellissima

voce, che dispiegava mentre lavorava,

venne ben presto notata e, grazie

all’aiuto di un ricco signore, poté studiare

canto privatamente con il maestro Pavesi

Negri. Debuttò nel 1897 con l’opera

Ruy Blas di Marchetti a Lucca e a Castelfiorentino.

Prima ancora, si era fatto

notare in tanti concerti di beneficenza

durante i quali ebbe modo di incontrare

Caterina Ceppi, giovanissima e prodigiosa

pianista che sarà sua moglie e fondamentale

alleata di vita e d’arte. Fin dal

suo esordio la critica riconobbe le straordinarie

doti vocali di Amedeo e ne profetizzò

il successo. Portò sulle scene

un repertorio vastissimo tra cui opere

di Verdi, Puccini, Mascagni, Leoncavallo,

Giordano, Wagner, interpretando ben

settantaquattro ruoli. Nei primi anni del

Amedeo Bassi in una foto d’epoca

Novecento lo troviamo in America

del Sud, poi a Londra, New York,

Chicago, Philadelphia, ma anche in

Russia, in un crescendo di trionfi

nazionali ed internazionali. Si esibisce

a Londra per l’incoronazione

di re Giorgio, a Roma per i reali

italiani, inaugura teatri come il Colon

di Buenos Aires. Rivale e amico

di Enrico Caruso, condivise con

questi molti ruoli nelle più famose

opere pucciniane, tra cui quello di

Dick Johnson ne La fanciulla del

West. Esponente del Verismo, la

sua voce venne descritta di estrema

dolcezza e potenza, il fraseggio

chiarissimo, ottima la presenza

scenica e la recitazione. Il successo

fu tale che in pochi anni Bassi

divenne ricchissimo, tanto che

fu proprietario di una delle tenu-

te agricole più belle dei dintorni fiorentini:

Villa La Sfacciata. Conclusa la carriera

di cantante nel 1926, si dedicò all’insegnamento

al Teatro Comunale di Firenze.

Morì il 14 gennaio 1949. Con le sue doti,

non solo vocali ma anche umane, Amedeo

Bassi seppe conquistare il pubblico

dei teatri di tutto il mondo negli anni a cavallo

tra la fine dell’Ottocento e il primo

dopoguerra. Inspiegabile appare l’oblio

totale a cui oggi è relegata la sua figura,

che era all’epoca quella di un vero e

proprio divo. Un primo passo per riportare

alla memoria la sua figura di artista

eccelso è stata la creazione del museo a

lui dedicato dal Comune di Montespertoli.

Un ulteriore contributo, recentissimo,

è la pubblicazione di un libro, scritto da

Anna Maria Gasparri Rossotto, dal titolo

Amedeo Bassi: voce d’acciaio, d’argento

e d’oro. Libro e museo consentiranno

agli appassionati ed ai curiosi di ripercorrere

la carriera e la vita di un uomo

dal talento eccezionale.

Alcune sale del museo a Montespertoli

AMEDEO BASSI

13


Incontri con

l’arte

A cura di

Viktorija Carkina

Claudio Cionini

La metropoli come specchio del mondo moderno

di Viktorija Carkina

Protagoniste assolute delle tue

opere sono le metropoli, da

cui sembri affascinato. Nonostante

ciò vivi in una città piccola, a

Piombino. Non hai mai voluto vivere

nei paesaggi che ritrai?

In realtà non vivo nemmeno a Piombino,

ma vicino, in campagna. Sono

molto affascinato dalle città ma per me

rimangono luoghi esotici dove posso

andare a calmare la mia curiosità per

poi ritornare nel mio studio e rielaborare

quello che ho visto. Per vivere

però ho sempre preferito la campagna.

Le metropoli sono per me avventurose

come un viaggio, ma il luogo di concentrazione

rimane la campagna. Continuerò

comunque a ritrarre le città,

che rappresentano per me il vero contesto

della società moderna. Se devo

immaginare la vita di oggi, mi vengono

in mente le grandi città, i centri dell’attività

culturale ed economica. Mentre

le metropoli sono lo specchio del

mondo moderno, il paesaggio rurale

non posso che assocciarlo ad un’epoca

passata.

Nelle tue opere le metropoli sono prive

di presenze umane e acquistano

un carattere metafisico come dei miraggi

lontani e irraggiungibili. A cosa

ti ispiri per realizzare queste vedute

così essenziali?

Rispondendo a questa domanda, mi viene

da citare Gabriele Basilico, un fotografo

a cui mi sento legato per via della

mia visione del mondo. Lui disse: «Le

presenze umane distraggono dalla forma

degli edifici e dello spazio, per questo

tendo ad aspettare sempre che non

ci sia nessuno». Sono d’accordo che inserendo

una persona in un paesaggio

diventa subito protagonista e il luogo allora

diventa uno sfondo perché siamo

portati a concentrarci sulle figure. L’unico

modo per rendere la città protagonista

assoluta della scena è togliere le

presenze umane.

Quali sono i pittori che ti hanno maggiormente

ispirato?

Gustave Courbet, Antonio López García

per le vedute della sua città, Madrid,

ma soprattutto l’Impressionismo francese

che mi ha fatto appassionare anche

di Parigi. I numerosi pittori che mi

incuriosiscono lavoravano nella capitale

francese perciò visitarla è stato molto

stimolante per me e mi ha portato alla

creazione di nuove opere. La mia ispirazione

è un miscuglio fra la pittura che ho

conosciuto e le mie esperienze nei luoghi

dove sono stato.

Un’altra peculiarità è senza dubbio la

tecnica da te elaborata. Cosa ha favorito

questa ricerca linguistica?

www.florenceartgallery.com

Il fatto di voler dare una struttura un po’

più forte ai dipinti. Cerco di dare una

struttura più solida, perciò il mio metodo

di costruzione del quadro è molto diverso

da quello degli Impressionisti. Il

mio lavoro comincia da una costruzione

delle prime tonalità molto nette per poi

concentrarsi sui particolari. Adotto una

rielaborazione molto complessa, cercando

di lavorare con la materia pittorica

piuttosto ruvida sulla quale intervengo

diverse volte. Le mie opere rappresentano

una visione globale delle metropoli.

Quindi le città che dipingi, più che raccontare

la storia di un luogo particolare,

rappresentano uno specchio della

società contemporanea?

Sì, l’intento è questo, con l’aggiunta della

mia visione pittorica di composizione

e di colori che preferisco. La vita in città

è impegnativa e difficile, ma nei miei dipinti

trasmetto un sentimento di fascinazione

e le mostro in una chiave positiva,

svelando la bellezza di queste realtà.

Parigi dopo la pioggia (2019), acrilico su tela, cm 80x120

Tramonto a New York (2019), acrilico su tela, cm 100x150

14

CLAUDIO CIONINI


Opera Garnier (2019), acrilico su tela, cm 100x120

La rotonde (2019), acrilico su tela, cm 100x150

Dipingi en plein air oppure in studio?

Dipingo guardando fotografie. Quando

viaggio, scatto delle foto e poi rielaboro

i paesaggi visti nel mio studio.

Anche se in alcuni luoghi lontani, come

New York, non sono ancora stato

e per dipingerli mi sono servito delle

fotografie scattate da altri. Ciò di cui

ho bisogno, sono le caratteristiche

architettoniche distintive delle città.

Ogni città ha delle prospettive uniche.

Parigi mi affascina grazie ai grandi

boulevard, guardando dall’alto risulta

come una città compatta con le vie

che sembrano andare verso l’infinito.

Mentre osservando New York dall’alto,

scopriamo la sua irregolarità nel

paesaggio di edifici che si alternano,

diventando più bassi e più alti. Questi

contrasti architettonici sono motivo di

grande interesse per me.

È possibile che nella tua produzione

futura vedremo ritratte non solo

New York, Londra, Madrid e Melbourne,

ma anche realtà italiane?

Penso proprio di no. Il mio interesse

rimarrà per sempre focalizzato sulle

città straniere che sono esotiche e insolite

per me e perciò più interessanti

da esplorare.

Ci puoi dire qualcosa sulle mostre

future?

La mia prossima mostra si terrà alla

Florence Art Gallery in via Borgo

Ognissanti a Firenze. La data dell’inaugurazione

ancora non è stata stabilita

perché aspettiamo la fine delle

restrizioni legate alla pandemia. Verranno

esposti trenta quadri assolutamente

nuovi che preparerò apposta

per questa occasione. Farò anche

un’eccezione e, oltre a presentare dipinti

raffiguranti New York e Parigi,

esporrò anche alcuni quadri con paesaggi

fiorentini.

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r, 50134 Firenze

Los Angeles (2018), acrilico su tela, cm 50x50

CLAUDIO CIONINI

15


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Roberto Carradori

Pittura e fotografia, il doppio volto della realtà

di Daniela Pronestì / foto Roberto Carradori

Leggere la realtà in un

mondo dove l’eccesso

d’informazione confonde

sempre più il confine tra verità e

finzione è tutt’altro che semplice.

Troppo spesso si rischia, per pigrizia

o mancanza di senso critico,

di scegliere la via più facile, delegando

ad altri − nello specifico ai

media − il compito di interpretare

fatti ed eventi, prendendo per

buono il loro racconto. Ribaltare

questa prospettiva recuperando

il rapporto diretto con il reale è

uno dei motivi alla base dell’opera

di Roberto Carradori, protagonista

dal 12 settembre al 10 ottobre

della personale Shots of life alla

galleria Artistikamente di Pistoia.

Fotografo ancor prima che pittore,

Carradori immortala scampoli

del vivere quotidiano cercandoli per

le strade, tra i volti anonimi di persone

incontrate per caso. Il gusto della scoperta

lo accompagna in questo peregrinare

dello sguardo alla ricerca di verità

evidenti eppure difficili da raccontare

perché da molti giudicate “scomode”:

disagio sociale, emarginazione, povertà,

degrado delle periferie. Tutto ciò che

solitamente rifiutiamo di vedere o pre-

Personaggio (2003), olio su tavola, cm 40x60

feriamo non considerare, immersi come

siamo nel torpore dell’indifferenza.

Carradori compie una scelta precisa come

uomo e quindi anche come artista:

rimanere fedele al vero, anche quando

questo voglia dire confrontarsi con realtà

difficili, trovando nella fotografia − e

tramite questa nella pittura − uno strumento

utile per riportarle all’attenzione

del pubblico. Clochard, immigrati, an-

ziani, gente comune la cui storia si confonde,

insieme a migliaia di altre storie,

nella babele metropolitana: e proprio da

qui, da questo scenario labirintico, l’artista

estrapola frammenti di vita che la

fotografia cristallizza nel tempo e la pittura

rende universali. Ambedue i linguaggi

assolvono una precisa funzione

che li vede completarsi l’un l’altro, pur

mantenendo ciascuno la propria speci-

Pistoia Blues, olio su tavola, cm 60x80

16

ROBERTO CARRADORI


In metro, olio su tavola, cm 60x80

ficità. All’immagine fotografica Carradori

chiede di suggellare quel patto con la

realtà, e quindi con l’autenticità del soggetto,

che la pittura consolida con l’evidenza

espressiva del colore. Il bianco e

nero della street photography anticipa i

rapporti chiaroscurali della trasposizione

pittorica, la quale, a sua volta, non

si limita ad una replica ma è il risultato

di un atto interpretativo che amplifica

e dilata i significati. Se la fotografia

cattura l’istante collocandolo nel tempo

e nello spazio, la pittura proietta volti e

contesti in una dimensione dove l’unico

fattore misurabile è l’intensità dell’emozione.

Aspetti come l’identità delle figure

e la riconoscibilità dei luoghi passano

Clochard (2012), olio su tavola, cm 120x80

quindi in secondo piano rispetto all’esigenza

di attribuire al dipinto un respiro

universale. Uomini, donne e bambini

vivono e agiscono nei suoi quadri come

metafore di un malessere sociale

che non appartiene soltanto al presente

ma che riguarda l’umanità da sempre,

se è vero che non c’è tempo e non

c’è luogo quando si parla di miseria, solitudine,

abbandono. Anche per questa

ragione, raffigurare il diverso, l’altro da

sé, l’emarginato è un modo per far sentire

l’osservatore parte di un racconto

che, ieri come oggi, coinvolge tutti

e che, come tale, non ammette noncuranza.

È una pittura d’impegno sociale,

quella di Carradori, l’espressione diretta

e tagliente di un pensiero maturato

dall’osservazione della realtà e alla realtà

restituito attraverso la rappresentazione.

Un pensiero che non pesa sul

contenuto dell’immagine − «voglio essere

obiettivo e distaccato» dichiara

l’artista − ma rafforza il legame con

quella verità umana che non appartiene

ad uno soltanto, ma è appannaggio

di tutti. Non si può rimanere insensibili

di fronte a certe raffigurazioni, all’anziano

abbandonato a se stesso o al mendicante

bambino accasciato sul ciglio

della strada. Non si può non sentire,

nelle improvvise accensioni cromatiche,

nei toni puri e saturi di colore, tutto

il dramma e insieme la forza della vita

che lotta e resiste nonostante

tutto. Non si può, soprattutto,

fare a meno di rivedere

se stessi nelle figure distratte

o annoiate che a bordo del

tram celebrano ogni giorno lo

stesso rituale. Essere pittore

della realtà significa, per Carradori,

mostrare come il volto

apparente delle cose sia sempre

indizio di qualcosa d’altro,

di un senso profondo che

sfugge a chi non abbia occhi

e sensibilità per coglierlo. La

sua pittura ci accompagna in

questo percorso di scoperta,

con il passo certo di chi come

lui ha imparato a riconoscere

la bellezza nella verità.

Roberto Carradori Painter

and Photographer

ROBERTO CARRADORI

17


Storie di

famiglia

I Ferrari

Un’antica bottega di maestri artigiani

di Gianna Pinotti

Gianna Pinotti, con una sua opera al Convento della Santissima

Annunziata a Firenze nel 2015, indossa un cappotto creato da

Ambretta Ferrari

Esiste una predisposizione

genetica al

disegno e alle attività

creative? Sembra proprio

di sì. Il sangue che è scorso

nelle vene dei miei antenati

ha segnato il loro destino

e anche il mio, traghettando

per intere generazioni innate

attitudini disegnative, artigianali

e artistiche. Si tratta

della mia famiglia del ramo

materno, dedita da secoli allo

studio delle arti e in particolare alla

scultura del legno: i Ferrari. Sono

cresciuta in un ambiente creativo, ricco

di ispirazioni: non solo entrambi i

miei genitori sono stati cultori dell’arte

e abili disegnatori, ma avendo io vissuto

per diverso tempo coi nonni a Roverbella

in provincia di Mantova, ho

avuto modo di frequentare il laboratorio

dove mio nonno Luigi Leone (1902-

1982) lavorava con passione il legno.

Il nonno discendeva, infatti, da uno dei

rami della bottega scultorea di antica

origine lombarda, operosa in antico in

area lombardo-veneta ove si diramò,

che annoverava artigiani, scultori, intagliatori,

restauratori, doratori, ebanisti.

La storia della bottega, documentata

in relazione ad alcuni dei suoi rami,

risalirebbe al XVII secolo. Agli inizi

del Novecento, in piena epoca Liberty,

mio nonno venne prescelto per continuare

la tradizione della sua famiglia

con i segreti tramandati di padre in figlio;

avrebbe voluto studiare medicina,

ma rinunciò per intraprendere a quattordici

anni gli studi d’arte: frequentò

con profitto a Mantova la Reale Scuola

d’Arte applicata all’Industria (quello

che poi sarebbe divenuto Istituto Statale

d’Arte), allora diretta da Giuseppe

Marusi, seguendo il corso di Aritmetica

e Costruzioni del professor Memore

Pescasio, e i corsi di disegno industriale

e laboratorio di scultura lignea

alla scuola “Pietro Valentini”, vincendo

ancor giovane un premio a Firenze.

Come tutte le botteghe di tradizione,

anche la sua si avvaleva di apprendisti

che intendevano imparare i segreti

del mestiere per acquisire a loro volta

la dimestichezza con quell’arte e una

loro indipendenza. La bottega dei miei

avi si occupò della lavorazione del legno

e dell’intaglio con realizzazione di

ornati in incavo o in rilievo; talvolta affrontò

lavori di restauro come quello

della villa dei conti Arvedi a Grezzana

Luigi Leone Ferrari (1902-1982)

presso Verona: già dei Della Scala dal

1200, essa fu ampliata e decorata nei

secoli successivi, divenendo proprietà

degli Arvedi nel 1824. Anche mio nonno,

oltre ad eseguire opere con intagli

stupendi, originali arredi anche dipinti

e complementi decorativi, costruì a

scopo benefico, mobilio in ambito ecclesiastico

e qualche piccola scultura a

tema sacro. Suo fratello Alfredo (1900-

1994) si dedicava a sua volta alla pittura

di paesaggio; giovanissimo realizzò

qualche opera con mio nonno, come

il piano dipinto di uno scrittoio liberty.

In famiglia si raccontava del celebre

Paolo (mio trisavolo), genio dell’intaglio

e restauratore: dopo avere lasciato a

quarant’anni la bottega all’unico figlio

maschio Giuseppe (1871-1955), deci-

Leone Ferrari, intaglio floreale per scrittoio (dettaglio), 1917-18 Leone e Alfredo Ferrari, scrittoio, 1918

18

I FERRARI


Ambretta Ferrari, Barche (anni Quaranta) Ambretta Ferrari indossa un abito da lei creato (1959)

Gianna Pinotti, premiata a Palazzo Vecchio nel 2015,

con il tailleur realizzato da Ambretta Ferrari nel 1996

se di studiare lettere classiche; egli fu

amico di Giuseppe Sarto (papa Pio X),

che conobbe tempo prima della nomina

di questi a vescovo di Mantova avvenuta

nel 1884: la famiglia partecipò

alle cerimonie romane di beatificazione

e santificazione di Sarto, conservando

testimonianze e documenti. Mia madre

Luigia Ambretta (1933-2012) aveva a

sua volta iniziato a dipingere da adolescente

marine e paesaggi trasognati

(devo a lei i primi ragguagli sull’arte

del dipingere); ancora molto giovane si

era appassionata di moda, frequentando

una bottega sartoriale per imparare

i rudimenti del mestiere, perfezionandosi

poi nel taglio. Donna di estrema

eleganza e dall’abilità manuale sconcertante,

realizzava solo per sé e per la

famiglia abiti esclusivi; amava in particolare

le sete, i tessuti cangianti e quelli

ricamati e broccati. Ad ogni cambio

di stagione, dopo avere studiato i modelli

da eseguire per noi, si procurava

le stoffe adatte, dagli scampoli all’haute

couture. Ancora oggi indosso le sue

creazioni per le grandi occasioni. Il fratello

di mia madre, lo zio Giovanni, aveva

iniziato a disegnare sin da piccolo:

amava fare caricature ai compagni di

scuola e vignette satiriche; dipingeva

ad olio in uno stile espressionista e allucinato,

un suo autoritratto è davvero

un pezzo originale. Studioso di architettura

fiorentina (Università di Ca’ Foscari

a Venezia), era spesso nella città

medicea. Mia sorella Francesca possiede

una capacità manuale straordinaria.

Dotata di innato talento disegnativo,

ha frequentato un corso di grafica ove

si è messa in luce per la sua abilità ritrattistica,

e di seguito ha sperimentato

la difficile pittura su seta; ma i suoi

quadri ricamati restano davvero unici,

praticamente perfetti. Mi sono chiesta

quali fattori abbiano concorso a creare

questa predisposizione famigliare alla

pratica delle arti e in particolare al disegno,

questa “mano felice”, certo un

innato e felice rapporto tra occhio, intelletto

e attività manuale e un ambiente

propizio al suo sviluppo: i geni fusi

alla tradizione dell’antica bottega dei

maestri artigiani, un patrimonio umano

quasi del tutto estinto che ha fatto

la storia dell’arte e della cultura italiana

nei secoli.

Giovanni Ferrari a Firenze durante un

Giovanni Ferrari, Autoritratto (1959) viaggio di studio nel 1959 Francesca Pinotti, Natura morta ricamata (1998)

I FERRARI

19


La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.

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Ricomincio da… cinque!

Riparte questo mese il 24° biennio di formazione di

MITA Academy che permette di ottenere una qualifica

a livello europeo come professionisti della moda.

S A L E S T E X T I L E A D V A N C E D R E V O L U T I O N F O R F A S H I O N

di Elisabetta Mereu

S C O P R I D I P I Ù S U L B A N D O S U W W W . M I T A C A D E M Y . I T

La Fondazione Mita, che da dieci anni si è distinta a livello

nazionale per gli ottimi risultati ottenuti nel collocamento

dei propri studenti nel mondo del lavoro,

ripropone cinque nuovi corsi di specializzazione − per giovani

dai 18 ai 29 anni − che si concluderanno a settembre 2022.

Tessile, accessori in metallo, pelletteria, marketing e strategia

di comunicazione commerciale saranno i temi intorno ai

quali ruoteranno sia le ore di lezione presso la stessa Accademia

a Scandicci e in altre 3 sedi, Prato, Lucca e Piancastagnaio

(Siena), sia quelle di stage in aziende toscane artigianali

che si distinguono nel panorama della produzione italiana. La

Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione,

dell’Università e della Ricerca e in collaborazione con il progetto

della Regione Toscana Giovanisì.

Per ulteriori informazioni:

Segreteria Fondazione MITA

Castello dell’Acciaiolo, via Pantin, Scandicci (FI)

Dal lunedì al venerdì, ore 9/13

+39 055/9335306 - www.mitacademy.it

MITA Academy - mita.academy

La Fondazione ITS MITA opera grazie al Ministero dell’Istruzione e alla Regione Toscana POR FSE. 2014-2020.

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Ritratti

d’artista

Mariangela Bartoloni

La designer dei cerchi del benessere

di Elisabetta Mereu

In quanto portatrici di vita, le donne

sono in grado di rinascere continuamente

e, anche dopo tante delusioni,

sono capaci di rinnovarsi. Mariangela Bartoloni,

affermata designer di gioielli dalla

particolare simbologia, ne è un esempio

concreto. Una giovinezza carica di aspettative,

la sua, in cui sognava di fare l’accademia

teatrale di Gassman. Scelta però

negata dalla famiglia. «L’educazione molto

rigida aveva soffocato la mia creatività

e contenuto la mia personalità camaleontica»,

esordisce nel raccontare la sua

storia davvero singolare. Prima di riuscire

a diventare l’artista poliedrica che è oggi

(nel numero di settembre l’abbiamo

conosciuta anche come pittrice ndr.), si

è cimentata in molti lavori, ad iniziare da

quello nel negozio di tessuti del padre a

Fiesole, dove è nata. Poi − dopo essersi

messa in gioco in vari campi professionali

− a cambiarle radicalmente la vita è stato

un colpo di fulmine, nel vero senso della

parola. «A 38 anni ho rischiato di morire

− racconta − perché un lampo colpì il

telefono che avevo in mano, scombussolando

totalmente il mio campo elettromagnetico.

Da allora ho iniziato a stare male

per anni, con un fortissimo mal di stomaco,

fino a che ho capito che quel fulmine

era un segno per iniziare una vita nuova.

Nel 2009, ho scoperto i cerchi nel grano

(grandi disegni mistici e affascinanti che

Mariangela Bartoloni ha visto di persona

nello Yorkshire ndr.) e da lì ho cominciato

un lavoro di studio, approfondimenti

e guarigione su di me. Tutte queste mie

competenze adesso le metto volentieri al

servizio degli altri a Prato, con le consulenze

di Aura Soma - cioè il sistema del

prendersi cura di sé attraverso la scelta

non intrusiva del colore - e con quella di

radioestesista che, attraverso alcuni strumenti,

mi consente di percepire determinate

reazioni e l’energia della persona che

ho davanti. Inoltre ho creato una linea di

gioielli che ho chiamato proprio Cercles

de blè, ispirati dal cerchio che è la forma

perfetta per eccellenza. Non

ha spigoli, non punge, ha un

principio e una conclusione

armonica, dunque evoca

sensazioni di benessere terapeutiche.

Non importa se

questa figura circolare è rappresentata

su un orecchino,

un bracciale o una collana:

i cerchi lavorano sull’aura.

Spesso il nostro malessere

è causato da un conflitto

tra anima e mente, è l’apice

di un disordine interiore.

Perciò bisogna capire cosa

ha scatenato quel problema

facendo una ricerca più approfondita

dentro la nostra

interiorità e sul nostro pas-

Mariangela Bartoloni

sato, anche familiare, perché lo si possa

risolvere. Quindi chi è istintivamente attratto

da una delle forme che caratterizzano

le mie creazioni − aggiunge la designer

− percepisce all’interno di sé la necessità

di conoscersi a fondo, predisponendosi

così ad un vero cambiamento. Non è

facile raggiungere il giusto equilibrio fra

corpo e mente, personalità e spiritualità.

È un percorso lungo e talvolta anche faticoso,

fatto di alti e bassi. Nel mio cammino

ho imparato che i momenti difficili

non sono casuali ma necessari per arrivare

a trovare l’esatto baricentro nella

propria esistenza. I simboli racchiusi nei

cerchi del grano mi sono stati di aiuto in

tutto il mio percorso e sono lo strumento

con il quale riequilibro le mie energie.

Per questo ho creato la collezione Cercles

de blè, per permettere a tutti di indossare

frequenze e stimolarli nel proprio riequilibrio.

Sarò quindi ben lieta di mettere a

disposizione dei vostri lettori tutte le mie

competenze e la necessaria energia positiva

per aiutarli a trovare il benessere che

ognuno di noi merita».

Jewels & Joy

Collezioni Cercles de Blé

di Mariangela Bartoloni

via dei Muracci 11, 59100, Prato

+ 39 366 3868962

mariangela.bartoloni@gmail.com

Cercles de blè

Cercles de blè

Mariangela Bartoloni

MARIANGELA BARTOLONI

21


L’avvocato

Risponde

A cura di

Aldo Fittante

L’opera d’arte come marchio registrato:

il caso Banksy

di Aldo Fittante

Èdi qualche giorno fa la notizia di

un’importante pronuncia emessa

dall’Ufficio dell’Unione Europea

per la Proprietà Intellettuale. L’ufficio

comunitario ha infatti dichiarato non valida

la richiesta di Banksy – artista “noto”

e al tempo stesso “anonimo” – di utilizzare

il suo famoso Flower Thrower come

marchio. La questione è sorta a seguito

del tentativo di Banksy di agire legalmente

contro una piccola azienda inglese, la

Full Colour Black, che aveva venduto

cartoline d’auguri sulle quali era ritratta

l’immagine della celebre opera dell’anonimo

street artist inglese. Banksy aveva

tentato di registrare come marchio – al

fine di acquisire un’esclusiva sul relativo

sfruttamento commerciale – il gigantesco

ribelle che lancia un bouquet floreale,

immagine impressa dall’artista su

un muro nascosto dietro a un’anonima

pompa di benzina e autolavaggio a Gerusalemme.

Con la declaratoria di invalidità

del marchio sulla figura del “lanciatore

di fiori”, Banksy perde una battaglia legale

importante. Secondo i giudici, infatti,

avrebbe agito in malafede e registrato

il marchio solo per non uscire dall’anonimato.

Il Flower Thrower era stato in

particolare registrato come marchio nel

2014 dalla Pest Control Office, riconducibile

a Banksy. Tuttavia nel marzo 2019

la Full Colour Black ha richiesto all’ufficio

comunitario la cancellazione del marchio,

rilevando che lo stesso era stato

registrato non per farne un vero e proprio

uso commerciale. A questo punto

Banksy, precisamente nell’ottobre del

2019, aveva pensato di aprire un negozio

ad insegna Gross Domestic Products,

con l’intento di dimostrare l’effettivo uso

commerciale del marchio con l’immagine

del Flower Thrower. L’apertura del negozio

di Londra, decisa dall’artista solo

in funzione del contenzioso giudiziario

con la Full Colour, si è rivelata tuttavia un

boomerang. L’ufficio europeo ha infatti

ritenuto che Banksy – dalla registrazio-

ne del marchio nel 2014 fino al momento

in cui la Full Colour Black l’ha adoperata

per le sue cartoline – non abbia in realtà

venduto alcun oggetto con l’immagine

del Flower Thrower. «La sua intenzione

− ha ritenuto l’ufficio europeo − non era

quella di usare il marchio per mettere in

vendita beni e per ritagliarsi una nicchia

del mercato, ma solo quella di aggirare

la legge». L’EUIPO ha inoltre chiarito:

«Banksy non può essere identificato come

il proprietario indiscutibile dell’opera

perché la sua identità è nascosta, e di

conseguenza non si può stabilire senza

contestazioni che l’artista abbia dei diritti

d’autore su un’opera di street art». La Full

Colour Black ha contestato i marchi di altri

sei murales di Banksy e probabilmente

andrà avanti anche con altre sue opere.

Il celebre street artist potrebbe quindi veder

sfumare la possibilità di perseguire

legalmente i merchandiser dediti ad incassare

profitti sfruttando commercialmente

le immagini dei suoi graffiti.

Flower thrower, il murales di Banksy a Gerusalemme (ph. Teti Marchetti)

22

IL CASO BANKSY


Ritratti

d’artista

Franco Cappelli

L’irresistibile fascino della geometria

di Jacopo Chiostri

Con cinquecento mostre all’attivo,

almeno una decina di critici

di vaglio che si sono confrontati

con la sua arte, si può ben dire che Franco

Cappelli, pittore pistoiese di lungo corso,

sia uno degli artisti più conosciuti e

ritenuti significativi nella nostra regione

(e non solo). Cappelli è erede di quella

nobile compagnia di artisti che, a Pistoia,

facevano riferimento allo storico Caffè

Valiani, tra cui i fratelli Marini. E il movimento

“purista”, che si sviluppa in quella

città nel Novecento, non può non aver

influenzato la sua opera, se si pensa che

la teoria estetica del Purismo si deve a Le

Corbusier, una delle figure più influenti

dell’architettura moderna a cui, non a caso,

Cappelli nel 2012 ha anche dedicato

la personale Le città radiose, ispirandosi

all’omonimo progetto lecorbusiano. Gli

inizi pittorici di Cappelli risalgono agli anni

Sessanta, dunque oltre mezzo secolo di

militanza la sua, con al centro del lavoro

la ricerca e il rigore, controllato quest’ultimo

e ancorato a un punto di equilibrio tra

razionalismo e una diremmo “inevitabile”

fuga in avanti rispetto agli schemi. Colore,

forma, luce, armonia, simbolismo:

non manca alcuna di queste fondamentali

componenti nella ricerca di Franco

Cappelli. La sua pittura degli inizi è di tipo

figurativo, con incursioni, ben riconoscibili,

in ambito impressionista, poi però

vira e si avventura in spazi inediti,

li compone per poi scomporli,

li saggia e li riorganizza. Cappelli

diviene, è il caso di dirlo,

l’emblema del pittore moderno.

L’approdo è nell’astrattismo geometrico,

che nel nostro paese

annovera illustri esponenti quali

Manlio Rho e Mario Radice, per

il gruppo comasco, Mauro Reggiani

e Luigi Veronesi tra coloro

che esponevano alla meneghina

galleria Il Milione. Il tema ricorrente,

e maggiormente conosciuto

nella sua pittura, sono le città, città

moderne e luminose, nelle quali l’estetica

è prima di tutto funzionale. La raffigurazione

che ne fa Cappelli si avvale di una

forma geometrica ricca di simbologie; e

le città sono luoghi, forse utopici, destinati

a uomini migliori, capaci di un rapporto

positivo con la società e con l’ambiente.

Sono anche luoghi tremendamente concreti,

e nei piani, nelle linee, negli accostamenti

cromatici − rigidamente organizzati

− c’è, a giudizio di chi scrive, un equilibrio

che porta un chiaro messaggio: non

è necessario spostare muri e barriere per

frugare oltre, perché la risposta è davanti

agli occhi per chi vuole e sa vedere. Per

la pittura di Cappelli si è fatto riferimento

a Mondrian per l’essenzialità del linguaggio

e a Paul Klee; ed è quest’ultimo colui

Franco Cappelli nello studio

che gli appare il più vicino nella comune

rappresentazione, in forme, colori e contrasti,

di utopie, ricordi e proposte in una

chiara dimensione metafisica. Cappelli fa

parte della nobile Compagnia del Paiolo,

dell’associazione culturale Brigata del

Leoncino di Pistoia dove organizza eventi

artistici; è presente in cataloghi d’arte,

ha opere in collezioni private e pubbliche

in tanti paesi. Oltre a dipingere, scolpisce

la pietra, il legno, i metalli, il plexiglass e

la ceramica che modella e dipinge tra Albissola

e Montelupo Fiorentino.

Studi d’arte

Via Fonda di San Vitale 34

Via Benedetto Croce 49, 51100 - Pistoia

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23


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A cura di

Antonio Pieri

Benessere e cura

della persona

Bio Le Veneri

Tutto il potere del succo biologico d’uva sulla tua pelle

di Antonio Pieri

Ottobre: cambio di stagione e

tempo di vendemmia. Da sempre,

soprattutto in Toscana, settembre

e ottobre sono per antonomasia i

mesi della vendemmia. In Toscana la vendemmia

è una tradizione vera e propria

con usanze che si tramandano di generazione

in generazione.

Le proprietà dell’uva

L’uva, da sempre un elemento fondamentale

della cultura toscana, possiede molte

proprietà benefiche: è ricca di flavonoidi,

antiossidanti naturali per eccellenza,

e quercetina, una straordinaria fonte di

energia. Anche in campo cosmetico l’uva,

sotto forma di succo, è un vero toccasana.

Possiede molti sali minerali, in modo

particolare potassio, fosforo e ferro ed è

anche una grande riserva di vitamine (C,

B1, B2, PP e la A). Il succo d’uva previene

l’invecchiamento cutaneo e dona

elasticità alla pelle.

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Idea Toscana, rifacendosi alla tradizione

millenaria del territorio, ha creato la linea

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Nato a Firenze nel 1962, Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda

il Forte srl e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali per il benessere secondo la più alta tradizione manifatturiera toscana

che hanno come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP

biologico. Esperto di cosmesi, profumeria ed erboristeria, svolge anche consulenze

di marketing per primarie aziende del settore. Molto legato al territorio toscano e

alle sue eccellenze, è somelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

Per info:

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

BIO LE VENERI

25


Dimensione

Salute

A cura di

Stefano Grifoni

Frittura: gioia del palato, dannazione

della salute

di Stefano Grifoni

La frittura è un piatto molto amato

ma a lungo andare può provocare

problemi al sistema

cardiovascolare. Friggere con oli vegetali

aumenta il rischio di infarti di cuore,

ictus cerebrali e tumori. Uno studio

americano che ha coinvolto centosessantamila

persone monitorate per diversi

anni, ha dimostrato che gli eventi

giungimento di alte temperature dell’olio.

L’osservazione vale particolarmente

per gli oli di semi meno stabili ai trattamenti

termici prolungati e ripetuti. Per

friggere è ottimo l’olio extravergine di

oliva perché il suo contenuto di sostanze

antiossidanti non diminuisce troppo

alle alte temperature mantenendosi stabile

durante la cottura.

cardiaci sono stati quattordici su mille

pazienti in chi mangia fritti meno di una

volta la settimana. Invece in chi consuma

cibi fritti più di una volta la settimana

gli eventi sono stati diciannove su

mille casi. Questa incidenza aumenta

in chi li mangia tutti i giorni. La frittura

fa male perché comporta la formazione

di sostanze tossiche in seguito al ragph.

courtesy www.ilfattoalimentare.it

Stefano

Grifoni

Nato a Firenze nel 1954, Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e sempre presso la stessa struttura è direttore del Centro di riferimento regionale

toscano per la diagnosi e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Ha condotto numerosi

studi nel campo della medicina interna, della cardiologia, della malattie del SNC e delle malattie respiratorie e nell’ambito

della medicina di urgenza. Membro del consiglio nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza,

è vicepresidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e

membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze. Ha pubblicato oltre 160 articoli su riviste

nazionali e internazionali nel settore della medicina interna e della medicina di urgenza e numerosi testi scientifici

sullo stesso argomento. Da molti anni collabora con RAI TRE Regione Toscana nell’ambito di programmi di medicina,

con il quotidiano La Nazione e da tre anni tiene una trasmissione radiofonica quotidiana sulla salute.

26

FRITTURA


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

La breve vita degli amori estivi

di Emanuela Muriana

Secondo i risultati di una recente

ricerca condotta su oltre millecinquecento

utenti di forum,

community e siti web con un’età compresa

tra i 18 e i 55 anni, sei italiani su

dieci tendono ad innamorarsi in vacanza.

Ma perché dovrebbe essere più

facile innamorarsi in vacanza? L’indagine

ha analizzato anche quest’aspetto

e quello che è emerso, come immaginabile,

è che le persone, quando sono

in ferie, sono più inclini alle conoscenze

perché non sono bloccate dal solito

tasso di preoccupazioni e di stress. Altri

fattori “galeotti” sono i paesaggi e

le atmosfere rilassanti, il clima caldo e

il maggior tempo libero. Quest’anno, in

particolare, la fine del lockdown è stato

un propulsore al recupero della vita

di relazione. Il risvolto negativo è che

il 74% delle storie nate durante le ferie

non superano i due mesi di vita; questo

nonostante tutti i mezzi di comunicazione,

grazie ai quali ci si potrebbe continuare

a sentire anche dopo, a distanza.

La fine però non è così indolore: purtroppo,

mettere la pietra sopra una relazione

nata in vacanza significa vivere

una fase molto critica e a soffrire pare

essere un italiano su due. Per l’esattezza,

l’87% delle persone va incontro a un

periodo di depressione, il 74% fa i conti

con l’ansia, il 59% con sbalzi d’umore e

il 13% con veri e propri disturbi alimentari.

I più colpiti sarebbero gli uomini,

soprattutto quelli più giovani (64%) e i

single di ritorno (58%), dato che può

apparire sorprendente ma che possiamo

confermare. Tutto è nella fisiologia

del cambiamento se la compensazione

della sofferenza avviene in tempi brevi

con un affievolirsi progressivo dell’intensità

delle emozioni e dei pensieri ricorrenti.

Perché invece alcune rotture

sentimentali si trasformano in problema

fino a diventare un vero disturbo di

rilevanza clinica? Il primo dato per continuare

a soffrire è quello di mettere in

atto sia nei pensieri che nelle azioni delle

“tentate soluzioni inefficaci”: cercare

di ripristinare il rapporto, convincere

l’altro fino a diventare repulsivi oppure

− all’opposto − stare fermi per paura

del rifiuto. La situazione si complica

ulteriormente quando la relazione s’interrompe

senza una spiegazione esauriente,

allora l’abbandonato vive una

dolorosissima condizione di “lutto senza

tomba”. Sparire improvvisamente è

una tattica considerata dagli esperti di

salute mentale come un vero e proprio

atto di crudeltà, poiché la mancanza di

spiegazioni impedisce ad un individuo

di elaborare emotivamente un’esperienza.

Nessuno di quelli che arrivano a

chiedere aiuto allo psicoterapeuta pensa

però “non gli/le piaccio più”. Già nel

300 a.C. Demostene ci avvertiva che

“nulla è più facile che illudersi, perché

l’uomo crede vero ciò che desidera”.

Dolore inevitabile e insopportabile

se l’illusione viene coltivata con granitica

determinazione attraverso la ricerca

delle “prove a conferma positiva”, per

coltivare la speranza che mantiene l’illusione

diventata ormai un patologico

autoinganno.

Per visualizzare le videointerviste#esperienzestrategiche

visitare la pagina Facebook:

Centro di Terapia Strategica.

Emanuela

Muriana

Emanuela Muriana vive e lavora prevalentemente a Firenze. È responsabile

dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge

attività clinica e di consulenza. È specializzata al Centro di Terapia Strategica

di Arezzo diretto da Giorgio Nardone e al Mental Reasearch Institute di

Palo Alto CA (USA) con Paul Watzlawick. Ricercatore e professore della scuola

di specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica (MIUR) dal

1994, insegna da anni ai master clinici in Italia e all’estero. È stata professore

alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso le Università di Siena (2007-2012) e

Firenze (2004-2015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili sul

sito www.terapiastrategica.fi.it.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055-242642 - 574344

Fax 055-580280

emanuela.muriana@virgilio.it

AMORI ESTIVI

27


Ritratti

d’artista

Maria Concetta Guaglianone

L’energia del colore, la forza della materia

di Jacopo Chiostri

Avevamo chiesto a Maria Concetta

Guaglianone, pittrice in erba − come

si autodefinisce − di illustrarci

la sua storia artistica considerato che ancora

non ne ha una consolidata da consultare:

abbiamo ricevuto un sorprendente

racconto, che è una riflessione sul processo

creativo, colto, ricco di suggestioni e di

progetti/propositi che, assieme alla qualità

delle opere, autorizzano a credere che

sentiremo parlare a lungo di lei. Laureata

in Psicologia, la Guaglianone è nata in

provincia di Bergamo e vive a Firenze da

poco più di un anno. La sua vena artistica

si è manifestata molto presto, già a cinque

anni suonava il pianoforte e anche lo studio

del disegno e delle tecniche pittoriche

risale all’età adolescenziale, in seguito si è

occupata di teatro e di fotografia. In pittura

è prima di tutto una sperimentatrice e il

suo campo espressivo è l’arte l’informale,

a proposito della quale propone questo ragionamento:

«L’arte informale per definizione

rifiuta la forma convenzionale, ma il

risultato dà pur sempre vita a una forma, a

nuove forme, con propri confini e proprie

caratteristiche, espressione di immagini e

di significati». Al centro della sua ricerca

c’è lo studio delle possibilità degli elementi

di trasformarsi e, così facendo, di creare

un linguaggio che comunichi emozioni,

pensieri, concetti e storie. Sono opere fortemente

materiche nelle quali si riconosce

tanto lavoro e passione. «La pittura materica

− afferma − è per me un detonatore di

energia, un ampliamento e potenziamento

di creatività che si determina e autorigenera

nello stesso atto artistico». “Una danza”

la definisce. Una danza tra colori acrilici,

malte, colle, paste, stoffa, sabbia, ghiaia,

segature e cortecce, terracotta, sassi,

pezzetti di vetro, argilla, carta, cartoncino,

gesso, stucco, legno, foglie, fili e tanti altri

elementi. Attraverso tecniche e strumenti

diversi, i materiali si estendono e i colori

vengono applicati con i pennelli, le spatole,

ma anche le cazzuole, le spugne, con

spruzzi, macchiettature o semplicemente

stesi con le mani. Strati spessi e rugosi di

colore si mescolano ad altri materiali a dar

vita a una solidità che richiama una dimensione

scultorea. Si alternano superfici frastagliate

e irregolari e superfici morbide e

levigate, ed è attraverso queste che prende

vita l’idea e si esprime l’atto creativo. Con

una gestualità, ormai esperta, l’artista modifica

e plasma la tela; lo fa con segni, tracce,

incisioni, tagli, graffi, buchi, riempiture

che definiscono le “ferite” e le “gioie” della

materia. «Così − conclude − l’esperienza

creativa artistica diventa una testimonianza

dell’essere e dell’agire». Anche nella

sua professione di psicologa c’è spazio

per l’arte, ed è, infatti, utilizzando tecniche

e strumenti creativi-espressivi particolarmente

potenti che riesce a “dar voce a

contenuti e risorse personali bloccate e attivare

canali comunicativi”. E non è un ca-

Connessioni, tecnica mista, cm 40x50

so che tra i pittori che cita come punti di

riferimento − ed è sempre un piacere ricordarlo

− ci sia Vasco Bendini, colui che

nelle sue immagini performative di grande

impatto cercava il denudamento interiore.

Altri riferimenti sono Van Gogh, Fautrier,

Pollock, Kline, Kandinskij. La Guaglianone

ci ha anche illustrato, parola per parola, il

suo personale vocabolario artistico che si

compone dei termini che associa alla sua

arte: cercare, comunicare, esprimere, sentire,

sperimentare, scoprire, riscoprire,

espressività, cura, creatività, movimento,

cambiamento.

mariac.guaglianone@gmail.com

Rinascita, tecnica mista, cm 50x70

Riflessi d’anima, tecnica mista, cm 70x50

28

MARIA CONCETTA GUAGLIANONE


Ritratti

d’artista

Maria Chiara Viviani

Animali e natura tra sentimento e simbolo

di Stefano Francolini

Ogni artista trae ispirazione dalla

natura e la interpreta e la riproduce

mediante le tecniche e i

metodi che nella contemporaneità sono

i più vari dalla pittura classica al digitale,

anche per le espressioni che si caratterizzano

sia con scelte stilistiche declinate

dall’astrazione sia dalla figurazione.

La pittrice Maria Chiara Viviani, che ha

una formazione tutta toscana, tra la terra

di Siena (è nata e vive a Colle di Val

D’Elsa) e gli studi accademici fiorentini,

ci ha mostrato e ci mostra nelle sue opere

pittoriche, in modo sempre coerente

ed originale, la sua espressione artistica

nel solco della figurazione e la sua poetica

ispirata, nella trasposizione sulla tela

di elementi naturali, suggestivi e simbolici,

dall’attento studio e conoscenza

di essi, anche nella scelta di particolari,

della figura umana e degli animali. I risultati

nitidi ed eleganti delle sue opere,

che evidenziano un’interpretazione dei

soggetti che scaturiscono dal sentimento

e dall’anima dell’artista, conferiscono

alle sue pitture un’intensa originalità,

che coniugando una sapiente tecnica

pittorica con la scelta delle parti figurate,

ne rivela e ne caratterizza l’assoluta

Presenze per Colle, tecnica mista su tela, cm 160x80

contemporaneità dell’espressione artistica

della pittrice Maria Chiara Viviani.

Non posso non richiamare alla memoria

l’ammirata e pregevole serie di quadri

con la raffigurazione della “tigre”, elegante

ed altera, interpretata e fissata nei

suoi agili e sinuosi movimenti del corpo.

Affascinante nello sguardo ipnotico

e nei colori del suo manto, tutti elementi

che l’artista accosta a materiali preziosi

come l’oro e l’argento, che ne sottolineano

la preziosità della specie, troppo

spesso a rischio di estinzione per mano

delle azioni dell’uomo. Uomo che nei

ritratti della pittrice Maria Chiara Viviani

ha accanto a sé, in verità, quasi sempre

di sfondo, un animale, allegoria simbolica

di caratteri che l’introspezione dell’artista

attribuisce al ritrattato quasi come

elemento iconografico, in modo del tutto

originale e nuovo, rispetto a quelle

antiche ascendenze di illustri esempi del

passato, quali fra tutti, ricordo fra i più

noti, la Dama con l’ermellino di Leonardo.

Arme o stemma, simbolo della città

di Colle di Val d’Elsa è la testa di cavallo

e per la città di Siena il cavallo è quello

che io definisco il “motore” del Palio.

Dall’atmosfera che si respira fin dalla

Occhio di falco, tecnica mista su legno e cristallo,

cm 100x100

nascita nella terra di Siena ritengo che

origini, oltre all’amore per gli animali,

l’interesse della pittrice Maria Chiara Viviani

per lo studio, l’interpretazione e la

raffigurazione del cavallo. Ce ne ha data

una significativa prova e attestazione

in una recente, piccola e breve esposizione

in un locale a Siena, io lo definirei

con un espressione molto attuale, un

prezioso ed esclusivo flash mob come

un cameo, tutta dedicata al cavallo, interpretato,

indagato e raffigurato in scelte

e meditate visioni di particolari della

testa, del muso e degli occhi, che ci

parlano di un dialogo dell’anima della

pittrice con queste eleganti, forti e

stupende creature. Da queste opere

l’artista ci fa capire il suo dialogo interiore,

come si parla con gli occhi

e negli occhi, in un linguaggio universale

dell’anima che ci richiama

alla mente l’eleganza, la fedeltà e l’amore,

valori eterni, che spesso noi

umani dimentichiamo. La pittura di

Maria Chiara Viviani, a mio parere,

ci ricorda anche questo e lei lo fa attraverso

uno sperimentato e sapiente

stile personale, contemporaneo e

assolutamente originale.

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MARIA CHIARA VIVIANI

29


I libri del

Mese

Mauro Mari Maris

Incontro con l’autore di “Vita…vita”, autobiografia di un artista fuori dal comune

di Erika Bresci

Il laboratorio lo si raggiunge costeggiando

il fiume. Un cancello, l’orto

sulla sinistra e un piccolo piazzale.

L’aria strana di un settembre stranamente

afoso mi accompagna all’incontro

con Mauro Mari, in arte Maris, che mi

ha invitato a vedere dal vivo il suo rifugio.

Lo trovo in piedi, in mano uno straccio

e intorno il frutto di nuove creazioni.

Mi sorride genuino e capisco che sarà

un pomeriggio interessante. Entrare nel

“magazzino” – come lo definisce lui –

equivale a essere risucchiati in una dimensione

parallela, dove a contare sono

solo i colori e una densità materica capace

di togliere il fiato. Rosso, blu e giallo,

soprattutto, inzuppano i quadri, disposti

a occupare anche il più infinitesimale degli

spazi, e tracimano all’esterno, costringendoti

a guardare più in fondo, oltre lo

spessore dei cerchi e delle linee tracciate

con forza. Mi soffermo su uno dei suoi

paesaggi – eco dell’amore per la sua terra

di Siena –, e concordo con lui che l’emozione

suscitata da un luogo (o da un’esperienza

o dal volto di chi ami o di chi ti

ha tradito) è ciò che davvero resta dentro,

Cuori, un’opera di Mauro Mari Maris

nella memoria, pronta a essere trasferita

su tela (o su qualsivoglia supporto) al

momento giusto. Ecco, sì, la sensazione

che provo qui e ora è quella di essere

una nuova Alice in un mondo di visioni

e sogni. Alza un quadro, senza cornice,

e spiega: «Vedi, quattro cuori, uno per

ogni figlio». E mi ci fa passare sopra un

dito, per sentire bene, provare concretamente

ogni avvallamento, lo scoscendere

del tratto, la circolarità del disegno. Amore

e sofferenza sembrano colloquiare in

un linguaggio personale e riservato. Vuoti

e pieni. Angoscia e passione. Torniamo

così alle pagine del libro che ho recensito,

“Vita… vita”, e al motivo principale

per il quale è stato scritto. Un matrimonio

finito in burrasca, malignità sparse dall’ex

moglie a piene mani e il forzato, non voluto

allontanamento dalle figlie. «Non poter

vedere le mie figlie è stata una terribile

condanna… Finché avrò vita non smetterò

di tentare una riconciliazione perché

non sono il padre che mi hanno descritto,

vorrei poterlo dimostrare e riabbracciarle».

Dania e Simona, risucchiate in un

tempo lontanissimo di ricatti e bugie, re-

stano ancora oggi fantasmi da recuperare

alla carne. «In questi lunghi anni di

silenzioso tormento la pittura mi ha aiutato

a sollevare il mio animo e ad alleviare

il dispiacere trasformandolo in energia

che esprimo attraverso i colori», confessa

commosso. E mi commuovo anch’io.

Sposto lo sguardo sugli altri due cuori.

Moreno e Manuele. Gli altri due figli, avuti

dalla nuova moglie, Maria, definita nel

corso dell’incontro, un angelo, un dono,

una fortuna, quella che lo «fa sentire un

re». Lei che lavora e che gli lascia tutto

lo spazio per poter continuare a creare,

a frequentare quel suo mondo intimo irrequieto

e buio, da portare alla luce e da

colorare con smalto e vernice. I figli me li

racconta ormai grandi e ben sistemati. Mi

pare quasi di vederli giocare a rincorrersi

tra cavoli, pomodori e piante di menta e

basilico nel grande orto a cui Mauro dedica

le ore che non passa a dipingere, sdraiati

sull’amaca che non c’è più. Scene di

vita quotidiana, serene, che Mauro si è

conquistato dopo anni di dolorosa separazione.

Si parla di tanto, di lui, che non è

solo il pittore che conosciamo oggi. Una

storia di vita incredibile, da romanzo (in

cui non mancano divertentissimi aneddoti).

È ragazzo di bottega, imprenditore

con alterne vicende in Italia e in Romania,

amico di Schifano e titolare della galleria

in San Frediano, uomo della televisione

e delle selezioni di Miss Italia, animatore

di camping in Versilia e di eventi in piazza,

uomo dalle mille cadute ma sostenuto

da una speranza coriacea e indistruttibile

nel futuro. Spera, Mauro. Soprattutto

di raccontare alle sue figlie, alla sua nipote

bellissima quello che in un pomeriggio

di settembre ha raccontato a me. Si è fatto

tardi. Riparto con un carico di verdura.

E due quadri. Uno, quello con i quattro

cuori. E mi sento ricca e felice.

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

Mauro Mari, Vita… Vita, Scandicci (FI),

Tipografia Turri, 2018

Euro 5,00 (più spese di spedizione)

30

MAURO MARI MARIS


I libri del

Mese

Renato Campinoti

I Medici a modo mio: una detective story per rileggere le

vicende di una delle dinastie più importanti del Rinascimento

di Erika Bresci

Dei Medici e delle loro alterne

fortune, di quelle (tante)

zone d’ombra che non sono

comunque riuscite ad offuscare nel

tempo i meriti e la fama di una famiglia

dai caratteri d’eccezione, è stato

scritto molto e anche di più. Ne è nata

persino una fiction di grande successo

(e altrettanto serrato confronto).

Ma ogni ricerca, ogni tassello, ogni

particolare nuovo – quand’anche soltanto

verisimile – che si aggiunga al

già conosciuto che li riguardi ha l’incredibile

dono di solleticare d’istante

la curiosità e l’interesse generale, non

solo quello del popolo fiorentino. Renato

Campinoti, per raccontarci in sei

racconti i “suoi” Medici, sfrutta la collaudata

penna di narratore giallo (si

veda il romanzo Non mollare, Caterina)

e chiama all’appello due detective

d’eccellenza: Benedetto Varchi, storico

del Cinquecento incaricato dal duca

Cosimo I di scrivere la Storia fiorentina,

e Artemisia Gentileschi, pittrice

vissuta il secolo successivo e prima

donna ad essere ammessa all’Accademia

delle Arti del Disegno a Firenze.

A Benedetto, l’autore affida il compito

di scavare, in quattro diverse indagini,

nella storia della famiglia per scoprire

chi fu il vero capostipite della fortuna

e della ricchezza dei Medici, quali cause

si nascondano dietro la fine di Masaccio,

come morì davvero Lorenzo

il Magnifico, perché forse Lorenzino

(poi trasformato in Lorenzaccio) non

avesse poi tutti i torti a farsi assassino

del cugino Alessandro. Ad Artemisia,

quello di ripescare dall’oblio tre delitti

orrendi avvenuti in seno alla famiglia

e che hanno avuto come tristi protagoniste

tre donne di grande fascino:

Bianca Cappello, Isabella de’ Medici

e Leonora da Toledo. Per il sesto

racconto, poi, si immagina un serrato

dialogo tra Maria Luisa, l’Elettrice Palatina

e il proprio

cocchiere, al quale

è affidata l’apologia

inattesa del

povero Gian Gastone,

ultimo dei

Medici, regalando

alla principessa,

e a noi lettori,

particolari inediti

di una vita segnata

da molte ombre

ma anche da pregevoli

e illuminate

iniziative. Una storia

capace di restituire

alla spenta e

intristita Maria Luisa

quella fiamma

viva d’orgoglio che

la porterà a siglare,

da lì a qualche

giorno, con Firenze

il famoso Patto di

famiglia. I racconti,

oltre al godibile

intreccio proposto,

al piano scorrere

del periodo

dai tratti didascalici

ma mai noioso o

sciatto, alla giusta

miscelazione tra invenzione e ricorso

a una bibliografia ricca e in continuo

aggiornamento, contengono,

a mio avviso, un tema fondamentale

che prescinde e supera l’interesse

iniziale per i Medici. Ovvero, l’idea

stessa di Storia. Perché Benedetto e

Artemisia, con il loro cercare arrivano

poi davvero alla verità (scomoda); verità

che non trae origine dal confronto

delle fonti ufficiali ma che sgorga

dalle testimonianze dirette, dalle lettere

personali, dai luoghi e dagli oggetti

quotidiani visti e considerati nella loro

semplice essenza, non artatamen-

te “interpretati”. Una verità che viene

troppo spesso sacrificata – proprio

come nel caso dei nostri detective –

agli interessi del potere, perché “l’autonomia

di giudizio sui fatti storici” e

le “forme autorizzate” per raccontare

quei fatti finiscono inevitabilmente

per cozzare. E a perdere, con la prima,

è la verità stessa. Un messaggio forte,

che, insieme alla lettura appassionante

degli eventi narrati, ci impone una

riflessione matura sull’importanza di

fare della storiografia la madre privilegiata

e onesta della Storia da scrivere

e da insegnare.

RENATO CAMPINOTI

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Concerto in

salotto

Laura Molteni

Due antologie musicali per vivere emozioni sul pentagramma

di Simona Donati

Laura Molteni, giovane compositrice

nata a Firenze, dalle molteplici

esperienze musicali e

pedagogiche, si è dedicata alla composizione

fin da quando era poco più che

una bambina. Diplomata al Conservatorio

Cherubini e laureata con lode all’Università

di Firenze, oggi la troviamo autrice

di due volumi dalla connotazione intimistica

Musica insieme e Miscellanea pianistica

(ed. Sonitus, Varese 2020). Queste

due antologie abbracciano composizioni

dedicate a luoghi e persone a lei care:

pura poesia tradotta in musica. Il breve

brano in fa minore per due fagotti è un

dialogo dal timbro scuro e leggero al tempo

stesso. Schizzi d’arabeschi, per violino

e pianoforte, è un fluire melodioso di

temi variegati la cui scrittura denota freschezza

e libertà stilistica. Segue il Divertimento

per clarinetto, quartetto d’archi e

pianoforte, in cui le voci si cedono il tema

nell’allegretto della “Polacca”, per proseguire

nella “Danza macabra” con la voce

del solo violoncello e poi in un crescendo

dato dall’introduzione graduale di tutti gli

strumenti per terminare in uno “Scherzo

finale”. Nel Giardino dell’Orticoltura di Firenze,

per duo di violoncello e pianoforte,

comunica la commozione provata durante

la visita dell’omonimo

giardino ottocentesco. La

scelta delle formazioni degli

ensemble e la scrittura

delle parti evidenziano uno

spiccato talento e una grande

originalità. Con grande

maestria è stata composta

la raccolta delle sedici opere

per pianoforte, in cui l’autrice

spazia fra improvviso,

valzer, notturno e romanza

in autentiche istantanee di

luoghi, profumi e ricordi fissati

sul pentagramma con

progressioni, modulazioni e

cambi di tempo, che mettono

in risalto una grande capacità

di comunicazione. La

stessa autrice rivela a questo

proposito: «Si tratta di

brevi brani tonali, composti

sull’onda dell’emozione suscitata

da un paesaggio, da

una notizia o da un ricordo.

Come un giardino rustico si caratterizza

per la sua manifestazione di florida e libera

creatività, così queste raccolte presentano

una versatilità che è frutto della libera

trasposizione in musica di emozioni che,

Laura Molteni

comunicate e condivise con gli altri, invitano

alla speranza e recano un po’ di gioia

in questo mondo così faticoso». Nella

raccolta sono presenti anche i brani Teneramente

(con cui si è aggiudicata il primo

premio assoluto all’XI Concorso nazionale

di composizione pianistica indetto

dall’associazione De Musica a Savona nel

2015), Notturno di Primavera (primo premio

ex aequo per la sezione Composizione

breve) e Notturno, con cui ha ottenuto

una segnalazione per meriti artistici al

medesimo concorso. Attualmente si dedica

alla composizione per strumenti solistici,

ensemble cameristici e orchestra,

Lied su poesie di autori contemporanei

e non, musiche di scena, musica sacra

(messe e mottetti a 4 voci, toccate e altri

brani organistici). Il talento e la sensibilità

di una compositrice come Laura ci permettono

di ascoltare le sue emozioni, che

prendono forma sul pentagramma.

laura.molteni@organisti.it

www.sonitusedizioni.com

32

LAURA MOLTENI


A cura di

Giuseppe Fricelli

Concerto in

salotto

Duilio Baronti

Una zimarra con attaccapanni

di Giuseppe Fricelli

Non di rado in spettacoli di prosa

o di opera lirica, gli interpreti si

divertono a farsi degli scherzi.

Vi voglio raccontare di un episodio realmente

accaduto. Mi fu narrato dal cantante

Duilio Baronti, famoso interprete

che aveva svolto un’importante carriera

in tutto il mondo con la voce di basso.

Mi narrò che in una replica della Boheme

di Puccini nella veste di Colline, al Metropolitan

di New York, prima della famosa

romanza Vecchia Zimarra, entrò in scena

a prendere il mantello. Questo si trovava

appeso ad un attaccapanni a parete:

il cantante si accorse che l’indumento

non si staccava. Cosa era successo? I

colleghi avevano inchiodato il mantello

all’appendiabiti. A Baronti, per risolvere

il problema, non restò che staccare dalla

parete la striscia di legno con i ganci per

gli indumenti, dovette cantare la romanza

con la zimarra in braccio e... l’attaccapanni.

Fu un vero successo, malgrado

tutto. Ah, dimenticavo: i suoi colleghi

erano Beniamino Gigli, Lucia Albanese,

Aristide Baracchi, Afro Poli, Tatiana Menotti.

Vi è anche una incisione dell’opera.

Duilio Baronti al Teatro alla Scala (anni Trenta)

nell’opera La Gioconda

DUILIO BARONTI

33


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Enzo Verdelli

Una finestra spalancata sull’universo

di Daniela Pronestì

Uno degli aspetti che più incuriosisce

nell’opera di Enzo

Verdelli, è il misterioso alfabeto

elaborato dall’artista per comunicare

con una dimensione che non appartiene

a questo mondo, ma si rivolge al cosmo,

agli spazi siderali. Per essere più

precisi, potremmo paragonare questo

suo codice criptico alla scrittura di

una civiltà perduta proveniente da chissà

quale galassia e giunta fino a noi grazie

alle tracce rinvenute sulle pareti di

una caverna. La sensazione che ci accompagna

nell’osservare questi dipinti

è di stare scrutando la superficie di un

muro su cui qualcuno ha lasciato un segno

del proprio passaggio migliaia di

anni fa; e non un individuo soltanto, ma

più persone, ciascuna delle quali ha aggiunto

qualcosa di nuovo ad un discorso

già iniziato da altri. Un messaggio

cifrato, dunque, che giunge dal passato

a parlare di un tema senza tempo: capire

quali siano le forze che reggono l’universo

e che, nonostante gli sforzi della

scienza, rimangono ancora oggi in gran

parte sconosciute. L’artista − suggerisce

Verdelli − è un connettore di queste

forze, colui che riesce ad intercettarle

e a condensarle nell’opera, facendo di

quest’ultima un trait d’union tra visibile

e invisibile, finito e infinito. Come in una

mappa del cielo, dove linee collegano tra

loro oggetti celesti quali parti di un tutto

indivisibile, così nei quadri di Verdelli

− molti dei quali dipinti su tavola − for-

me e colori si combinano in un disegno

complesso e unitario che fa pensare alle

rotte dei pianeti, ai movimenti degli

astri, ai cerchi concentrici dell’ordine cosmico.

Punti, ellissi, spirali, segni minuti

compongono un linguaggio che riunisce

insieme uno e molteplice, ordine e disordine,

terra e cielo. Un modo diverso di

concepire il supporto non come superficie

da riempire ma come contenitore di

spazio nel quale la pittura diventa graffio

primordiale, scrittura segreta. Non vi

è nulla di casuale in quello che potrebbe

sembrare invece un dipanarsi accidentale

e disordinato degli elementi espressivi;

al contrario, ogni colore, linea o altro

segno si dispone nello spazio come la

parola in una frase o la nota in uno spar-

Alfabeto cosmico 1, tecnica mista su tavola

Alfabeto cosmico 2, tecnica mista su tavola

34

ENZO VERDELLI


tito. Un’armonia formale e di significato

che condensa nel piccolo l’infinitamente

grande, nella superficie limitata del

dipinto un frammento di cosmo. In questo

caso, l’atto creativo non coincide con

un monologo interiore o un flusso di coscienza

− come accade invece in molta

arte gestuale −, non ha quindi un valore

introspettivo, ma è un dialogo aperto

con la realtà intorno, un porsi dell’artista

in sintonia con le energie che permeano

l’universo, collegando tra loro esseri viventi,

terra e corpi celesti. Il suono dello

spazio, la danza della rotazione dei pianeti,

le onde dei ritmi cosmici: è questo

che Verdelli si propone di rappresentare,

trasformando il quadro in una finestra

spalancata sull’universo, un punto

di osservazione privilegiato sul continuo

divenire della vita oltre la soglia del mondo

conosciuto. E se da un lato ci invita a

guardare le stelle, a portare lo sguardo

lontano, lungo rotte impossibili, dall’altro

sa bene che non esiste viaggio fuori

di sé che non conduca ad intraprendere

anche un viaggio all’interno, nel cosmo

altrettanto misterioso e profondo

che ogni uomo custodisce dentro.

Un'occhiata all'universo, tecnica mista su tavola

Enzo Verdelli

Nato in Svizzera, vive in Italia

a San Gregorio nelle Alpi

(Belluno). Ha operato a

lungo nell’arte della ceramica prima

di dedicare la sua ricerca al linguaggio

pittorico e parallelamente

alla musica. Espone da anni in rassegne,

fiere e concorsi nazionali ed

internazionali ottenendo significativi

riconoscimenti: premio Copertina

al Premio Italia per le Arti Visive

nel 2010, premio Fiorino d’Argento

al Premio Firenze nel 2013. In

questi anni recenti ha esposto in

gallerie e spazi pubblici a Berlino,

Stoccolma, Firenze e Trento con Simultanea

Spazi d’Arte.

La terra nell'universo 1, tecnica mista su tavola

ENZO VERDELLI

35


Arte &

Vacanze

A cura di

Andrea Petralia

Antonio D’Antini

Il pittore dell’inconscio al Terme Beach Resort di Punta Marina

di Stefania Reitano

Antonio D’Antini è nato nel 1967 a

Foggia, dove vive e lavora. Consegue

nel 1986 il diploma di Geometra

e successivamente s’iscrive alla

Facoltà di Ingegneria. Nel 2001 frequenta

un corso di ceramica e nel 2003 consegue

l’attestato di Grafico Pubblicitario.

La passione per l’arte è stata latente in lui

fin dalla giovinezza; inconsapevolmente

si dedicava all’arte come un hobby interessante.

È intorno ai 35 anni che prende

consapevolezza delle proprie capacità

artistiche e decide di dedicarsi alla pittura,

prediligendo la tecnica ad olio. Negli

ultimi anni riceve diversi riconoscimenti,

tra i quali il Premio Canaletto nel 2018, e

pubblicazioni importanti in riviste specializzate.

A breve sarà tra gli artisti di Mecenate.online,

il sito ideato da Antonino

Petralia che propone in tutto il mondo

l’arte italiana contemporanea.

La sua ricerca artistica

si basa sulla poetica

dell’inconscio; figure oniriche

e paesaggi “inesistenti”

rappresentano la realtà

visionaria dell’artista. Essendo

un autodidatta, la

sua pittura è sgombra di

“schemi accademici” e di

influenze tecnico-pittoriche,

risultando priva di sovrastrutture.

I suoi quadri

sono la narrazione figurativa

di un viaggio ideale, Antonio D'Antini

di un tempo sospeso. L’atmosfera

contemplativa approda in spazi

surreali dove le figure appaiono “morbide”

e armoniose, e i paesaggi diventano

oggetti/soggetti di un racconto onirico.

Il Cristo donna di D’Antini: il lato spirituale della bellezza

di Vittorio Sgarbi

Non so se il foggiano Antonio

D’Antini sapesse, nel momento

in cui dipingeva il suo singolare,

per certi versi blasfemo, almeno agli

occhi dei più bigotti, Cristo donna, che

la sua creazione non stava stravolgendo

un’iconografia sacra, ma ne stava riprendendo

un’altra. Il Cristianesimo ha contemplato

anche sante martiri crocifisse

allo stesso modo di Gesù. Una è Wilgefortis,

principessa figlia di pagani, che per

preservare la sua verginità chiese a Cristo

di farle crescere la barba. Come la vide

simile anche d’aspetto al suo idolo, il

padre la fece uccidere nel suo stesso modo.

L’altra è Giulia, crocifissa in Corsica,

dove i benedettini della Gorgona raccolsero

le sue spoglie e le tennero fino a quando

Desiderio, ultimo re longobardo, non

ne dispose il trasferimento a Brescia, facendone

oggetto di uno speciale culto.

Proprio a Brescia si trova, nell’omonimo

convento, la raffigurazione più impressionante

di Giulia: una statua secentesca

I soggetti della sua pittura sono metafora

di un universo parallelo intimo e introspettivo;

infatti, pur essendo una pittura

figurativa, non è mai descrittiva. Non racdei

fratelli Carra in cui la martire appare

esattamente come Cristo in croce, a petto

nudo, con la veste a coprirle solo la parte

inferiore del corpo. Il Cristo donna di

D’Antini è dunque Giulia, ovvero il concetto

alla sua base: se è vero che Dio ha fatto

uguali entrambi i sessi, non può essersi

fatto solo uomo, ma, necessariamente,

anche donna. Certo, la donna di D’Antini

esalta al massimo la femminilità, usando

la croce come un palo di lap dance per

arcuare un corpo di strabordante rotondità

e proiettare verso il cielo una chioma

lunga, bionda e lasciva come nel racconto

di Maupassant. Conciliando paganesimo

e Cristianesimo, verrebbe da capire

che per D’Antini la bellezza sia, piuttosto

che fonte di peccato, mezzo di elevazione

spirituale. Ma si tratta, evidentemente, di

una visione onirica, come prevalentemente

capita nei dipinti di D’Antini, e le visioni

non sempre rispondono alla possibilità

di essere interpretate puntualmente. Sono

immaginazioni ad occhi chiusi, incanti,

qualche volta beati, qualche altra inquietanti,

trasposti in una pittura che asseconda

a dovere l’irrazionale, semplificando il

linguaggio figurativo in composizioni che

tendono, invece, al rispetto di un certo ordine

nell’equilibrare volumi e partiti cromatici.

E la fiaba continua.

Cristo donna

36

ANTONIO D’ANTINI


Borgo spirituale

conta una storia, un ideale, ma è la rappresentazione

immaginaria dell’io più

profondo. La sua tavolozza, dai toni “caldi”,

è ricca di colori naturali, che diventano

protagonisti di questo spazio surreale;

la morbida pennellata manierista avvolge

gli oggetti/soggetti donandogli un’aurea

divina. Elemento fondamentale nelle sue

opere è la luce. I suoi dipinti sono “patinati”

da una luce che è protagonista di

questo mondo metaforico, dove la dimensione

spazio-tempo è sospesa. È una luce

immaginaria, non naturale, che molto

spesso azzera la prospettiva collocando

gli elementi in un unico piano visivo. Nei

quadri di D’Antini, lo spazio, le figure, gli

oggetti e il colore hanno tutti la stessa importanza;

elementi che convivono insieme,

creando una fusione dove il risultato

è un’atmosfera lirica e onirica. Il riferimento

molto spesso è l’osservazione del reale

che viene destrutturato da un processo

“sentimentale” che porta il fruitore all’interno

di un’atmosfera emozionale dove

convivono elementi animati. La sua pittura

“surreale” è vicina per elementi strutturali

al movimento italiano che Achille

Bonito Oliva definì Transavanguardia,

che propone un

ritorno a materiali e tecniche

pittoriche tradizionali. Infatti,

i suoi quadri non sono ideologici

o concettuali; sono la

rappresentazione concreta

ed estetica del fare pittura.

C’è la volontà di non proporsi

obiettivi “intellettualistici”

ma estetici, isolando l’arte

dal mondo reale o da oneri

concettuali restituendole

il ruolo di “pura arte” capace

di vivere esclusivamente

per diletto dell’intelletto. Se

da una parte la sua pittura, che possiamo

definire “indipendente” essendo libera

da influenze ideologiche, appartiene

al mondo dell’inconscio, dall’altra appare

anche contemplativa e razionale, infatti,

il risultato non è mai casuale. Tutto

è ponderato, razionalizzato dalla mente

dell’artista che riesce a creare un “compromesso”

tra il conscio e l’inconscio.

C’è sempre un progetto mentale che si

concretizza attraverso un automatismo

Bosco incantato

Dissociazione

inconsapevole; il risultato è un’opera

d’arte dove convivono elementi contrastanti

che caratterizzano la vera natura

dell’uomo, ovvero ragione e sentimento.

Fino al 24 ottobre è in corso al Terme Beach

Resort di Punta Marina Terme (Ravenna)

la personale di Antonio D’Antini a cura

di Andrea Petralia, direttore artistico della

rassegna Arte&Vacanze e consulente di

Mecenate Ltd.

In collaborazione con:

Con il patrocinio di:

ANTONIO D’ANTINI

37


Dal teatro al

sipario

A cura di

Doretta Boretti

I professionisti insostituibili del teatro

Intervista al tecnico luci e light designer Alessandro Ruggiero

di Doretta Boretti / foto courtesy Alessandro Ruggiero

Il tecnico luci, nella messa in scena

di uno spettacolo teatrale, riveste

un ruolo molto creativo e collaborativo,

in quanto lavora attivamente con

lo scenografo e il regista. Ne parliamo

con Alessandro Ruggiero, tecnico luci e

light designer.

Da quanti anni svolge questa professione?

La mia esperienza lavorativa è trentennale.

Ero giovanissimo quando iniziai

a lavorare per dei service luci con una

formazione sul campo per varie edizioni

di Pitti Bimbo, Donna, Uomo. Dopo

circa tre anni iniziai con le tournée teatrali

per la prosa, uno spettacolo di

Giuseppe Patroni Griffi con un cast di

eccellenza, Sebastiano Lo Monaco, Alida

Valli, Giustino Durano, in Questa sera

si recita a soggetto e Sei personaggi

in cerca di autore. Questi spettacoli mi

fecero da rampa di lancio e passai al

ruolo di capo elettricista al Metastasio

di Prato (a quel tempo Teatro Stabile

della Toscana) per lo spettacolo Il principe

costante di Jerzy Grotowski con la

regia di Pierluigi Pieralli, nel quale oltre

al ruolo di capo elettricista, coordinando

la mia squadra per l’allestimento

dello spettacolo, collaborai al disegno

delle luci che manovrai da solo nel momento

stesso della rappresentazione.

Dopo un mese di repliche,

essendo stato il mio lavoro

molto apprezzato, il

Teatro Metastasio mi affidò

quasi tutti gli spettacoli

che aveva in cartellone.

Fu lì che iniziò la mia trentennale

carriera di tecnico

luci light designer. Con la

compagnia di danza Corte

Sconta di Milano ho potuto

girare il mondo. Sono

stato per molti anni responsabile

elettricista per

la Fabbrica Europa per le

arti contemporanee e per

alcune edizioni dell’Estate

Fiorentina a Villa Strozzi a

Firenze. Cercherò di essere

più breve: ho lavorato per

l’Estate Fiesolana, l’Opera

Festival, Boboli, San Gargano,

Taormina, dove ho

svolto sempre il mio ruolo

professionale; ho lavorato

con artisti come Momix,

Bolle, Cats, Evita, e poi mi

sono fermato ad un teatro

Alessandro Ruggiero

stabile, denominato Teatro Dante, con

la direzione artistica di Alessandro Benvenuti,

con il quale, oltre al ruolo di ca-

Pitti Immagine 2007 Pitti Bimbo 2010

38

ALESSANDRO RUGGIERO


In questa e nelle altre foto delle scene dello spettacolo Il Principe Costante, regia di Pierluigi Pieralli, luci di Alessandro Ruggiero

po elettricista, ho lavorato come light

designer per le sue produzioni teatrali.

Successivamente, quando il Teatro

Dante è diventato Teatrodante Carlo

Monni e la direzione artistica è stata

affidata a Andrea Bruno Savelli, ho

disegnato e curato le luci di quasi tutti

i suoi numerosi spettacoli teatrali, fino

ad ora rappresentati e prodotti.

Cosa fa nello specifico il tecnico luci?

Il tecnico luci si occupa della creazione

delle luci per uno spettacolo, solitamente

prima, come ho già detto,

faccio il disegno delle luci, ovviamente

diverso per ogni singolo spettacolo,

cercando di realizzare al meglio

quello che il regista si aspetta da me.

Conoscere i diversi tipi di proiettori,

valutare la luce che producono, quanto

renderà e dove devono essere posizionati,

è fondamentale, cerco di realizzare

un montaggio in base a quello che

ho progettato su carta. Ci sono una serie

di americane dall’altezza variabile,

dai 6 ai 10 metri, su queste americane

vengono posizionati alcuni fari che

servono alla realizzazione del progetto.

Immagino che questo lavoro richieda

un notevole sforzo fisico.

Certo perché già lavorare in altezza è

veramente impegnativo e pericoloso,

e noi lavoriamo su altezze notevoli, se

poi una persona, come noi,

si deve portare dietro un

materiale piuttosto pesante

come i fari, diventa uno

sforzo veramente notevole.

A quali orari siete sottoposti?

Gli orari sono variabili. Solitamente

per la lirica siamo

sottoposti a orari pesantissimi,

si può arrivare a lavorare

14-15 ore consecutive

al giorno, per altri spettacoli dipende,

a volte 11-12 ore, perché le prove

sono sempre molto serrate, quindi

gli orari diventano spesso abbastanza

lunghi.

Adesso che iniziano a riaprire i teatri

che prospettive ci sono per voi professionisti

delle luci?

Per la nostra categoria il Covid-19

ha portato dei problemi grossissimi,

il programma di un anno di lavoro è

saltato, abbiamo dovuto interrompere

tutto senza sapere come fare. Adesso

il lavoro è un po’ ripartito perché lavoriamo

in spazi aperti per allestimenti

molto più piccoli. Per quanto riguarda

il lavoro in teatro la prossima programmazione

stagionale è nettamente

inferiore a quella degli altri anni. Quindi,

per ora la prospettiva non è molto

rosea. Confido che qualcosa possa

cambiare nei prossimi mesi.

Se dovesse fare un bilancio della

sua vita professionale fino ad oggi:

è contento della scelta fatta?

Lavorare per le luci nell’ambito dello

spettacolo è stata ed è a tutt’oggi un’esperienza

che rifarei mille e mille volte.

ALESSANDRO RUGGIERO

39


presentano:

Artigianato è Arte

Mostra di

pittura, scultura e artigianato artistico

11 – 15 settembre 2020

con proroga fino al 19 settembre

Vecchia Propositura

Scarperia

Espongono:

Claudio Barbugli con Revenge S.r.l.

Valentino Bini

Fiorella Braccini Del Lungo

Beatrice Brandini

Atelier GiuliaCarla Cecchi

Alfredo Correani

Renzo Del Lungo

Antonella Lucchini

Marco Maffei

Mario Meoni

Miriana Paolucci

Roberto Romoli

Omero Soffici

Achillea Spaccazocchi Bianchi

Maria Teresa Tronfi

Raniero Vettori

Curatela e organizzazione della mostra

Renzo Del Lungo

Con la collaborazione di

Alessandro Belli

Un ringraziamento particolare alla signora

Fiorella Braccini Del Lungo

per l’allestimento

Claudio Barbugli claudiobarbugli@gmail.com Revenge S.r.l.

Dopo un esordio avvenuto nel

solco del paesaggismo toscano,

la pittura di Claudio Barbugli è

approdata in tempi recenti ad

un’evidente quanto efficace sintesi

espressiva. Lo confermano i dipinti

dove si avverte il passaggio

da una rappresentazione realistica

del dato naturale ad una sempre

maggiore semplificazione dell’impianto

compositivo, con esiti che

sfiorano l’astrazione formale. Dissolto

nel binomio luce-colore, il

paesaggio è un’impronta appena

riconoscibile nell’incessante turbinio

di sensazioni, un’eco che si

spegne nella continua alternanza

di accenti cromatici. È una diversa

dimensione dello sguardo,

non più ancorata ad un’idea della

natura come spettacolo da contemplare,

ma come estensione

dell’interiorità.

Daniela Pronestì

Artigianato è Arte

Vecchia Propositura

Scarperia


Valentino Bini

La ditta Bini Arte, nata ufficialmente

nel 1967, vanta una precedente

esperienza di apprendistato e

collaborazione con lo studio del

professor Rodolfo Fanfani risalente

al 1957. I lavori della Bini Arte

impreziosiscono ville, banche, uffici

e appartamenti di tutti quelli

che si riconoscono fra gli estimatori

dell’arte vetraria, dando un

tocco di preziosità e di prestigio

agli ambienti. Il segreto di tanto

zatterini@gmail.com

successo è intrinseco alla cura e

alla precisione delle lavorazioni,

retaggio di insegnamenti di vecchia

data legati ad una espressione

artistica e pittorica di evidente

pregio. Fra le varie collaborazioni

si possono ricordare quelle avute

con i pittori Luciano Schifano e

Mario Fallaci e gli architetti Vinicio

Pagni, Pio Porcinai, Giovanni

Michelucci e altri. Tutte le opere,

sia quelle eseguite per conto

d’altri che quelle ideate dalla Bini

Arte, sono realizzate con materiali

fra i migliori esistenti: vetri soffiati

di Monaco per vetrate tradizionali

e vetri Dalles a grosso spessore

per realizzazioni moderne. La pittura

e la cottura sono fasi curate

internamente sotto la direzione e

la supervisione del titolare Valentino

Bini a garanzia di un’opera

finita a “regola d’arte”.

Beatrice Brandini

info@beatricebrandini.it

Beatrice Brandini nasce a Firenze.

La sua formazione è nel campo

dell’arte e della moda (Facoltà

di Lettere, indirizzo Storia

dell’arte, e Polimoda), così come

le sue esperienze professionali

che per molti anni si articolano

fra Firenze e Milano (Ferragamo,

Champion, Puma, Zucchi, Asahi

Kasei, etc.). Amante dell’arte

anche grazie all’influenza del padre

che possedeva una galleria,

inizia un percorso pittorico e illustrativo

che la porta a partecipare

a mostre collettive in Italia e

all’estero e a realizzare lavori per

aziende durante manifestazioni

come Pitti Immagine. La poetica

di Beatrice Brandini si nutre del

suo percorso formativo: dipinge

giovani donne eleganti e raffinate,

dotate di stile, ma anche

sognanti, eteree e provocatoriamente

innocenti. Sono frutto

della complessa natura femminile,

caratterizzata da innumerevoli

sfaccettature e contraddizioni.

Spesso sono ritratte con una

lunga sciarpa, non un accessorio

né un elemento decorativo,

ma un oggetto che assolve una

funzione simbolica. Nel cammino

che dall’adolescenza porta

all’età adulta, la sciarpa protegge

e rassicura queste donne, avvolgendone

il corpo e l’anima.

«In mancanza di calore umano −

scrive l’artista − ho la mia sciarpa,

e mi basta».

Artigianato è Arte

Vecchia Propositura

Scarperia


Atelier GIULIACARLA CECCHI

GIULIACARLA CECCHI è un atelier

di alta moda italiana fondato nel

1930 da Giulia Carla Cecchi e con

sede a Firenze. Novant’anni di moda

polacecchi@gmail.com

a Firenze, durante i quali l’atelier

GIULIACARLA CECCHI ha vestito le

proprie clienti con sapienza

artigianale, classe ed eleganza

nella sede storica della maison in

via Jacopo da Diacceto 14.

Alfredo Correani

coralf1947@libero.it

Nato a Scandicci nel 1947, Alfredo

Correani vive e lavora a Greve in

Chianti. Dipinge dagli anni Sessanta,

da quando frequenta l’Istituto d’Arte

di Porta Romana a Firenze, allievo e

amico del professor Renzo Grazzini,

dal quale apprende oltre all’uso del

colore − in particolare viola, verde e

ocra − anche la tecnica dell’affresco.

Frequenta la Scuola libera del nudo

all’Accademia di Belle Arti di Firenze

dove approfondisce attraverso

il disegno la conoscenza della figura.

Altro momento di crescita i due

anni passati alla scuola di pittura “Lo

Sprone” a Firenze dove incontra il

professor Franco Messina che lo stimolerà

non poco nel suo futuro percorso

pittorico. Molti i premi ricevuti,

tra questi si ricordano i più recenti:

2010, primo premio Palio delle Contrade

“Bagno a Ripoli”; 2012, primo

premio estemporanea Canottieri di

Firenze, Riflessi sul fiume (Florence

Dragon Lady). Tra le mostre si segnalano:

2010, Accarezzando il silenzio,

Caffè Storico Letterario Giubbe Rosse

Firenze; 2011, Fiori dipinti, Sala

espositiva Leopoldine, Firenze;

2011, Il mondo magico di un maestro,

Arena Teatro Cinecittà, Scandicci;

2012, Ieri, oggi, azienda agricola

Lorenzo Correani, Greve in Chianti.

Artigianato è Arte

Vecchia Propositura

Scarperia


Renzo Del Lungo

dellungo.renzo@gmail.com

«La mia ricerca − scrive di sé Renzo

Del Lungo − si richiama alla

fondamentale dimensione del silenzio,

la sola di fronte alla quale

l’uomo può riscoprire veramente

se stesso, il proprio limite, il proprio

egoismo. Non quanto esce

dalla mano dell’uomo, quindi, ma

la natura può aiutarci, attraverso

la contemplazione dell’infinito, a

riscoprire tutto questo. Il linguaggio

formale mira così alla ricerca di

ciò che è tenue, fino a quando i

contorni stessi della realtà si dissolvono

nell’infinito attraverso delicatissime

trasparenze e sfumature

di colori. Anche la città, simbolo

dell’oppressione e dell’alienazione

dell’uomo, trova spazio nei miei

dipinti ma in una dimensione irreale,

compressa tra pianura e montagna,

sino quasi a scomparire in

un’unica traccia di colori sfavillanti

posti a contrasto con la monocromia

del paesaggio circostante. Il

silenzio è nostro, ci appartiene, fa

parte di noi. Isoliamoci, fermiamoci,

cerchiamolo…».

Fiorella Braccini Del Lungo

Sarta e costumista teatrale da

sempre, è impegnata in attività

sociali che la assorbono quasi a

tempo pieno. I capi presentati in

quest’occasione sono realizzati interamente

con materiali di riciclo.

Antonella Lucchini

antonella.lucchini60@gmail.com

Nata ad Orbetello nel 1960, Antonella

Lucchini risiede a Monteriggioni

e si dedica in particolare

alla pittura su porcellana, tecnica

alla quale si è appassionata grazie

agli insegnamenti di Achillea

Spaccazocchi Bianchi, dalla quale

ha appreso i segreti di quest’antica

forma d’arte. Dal 2018, fa parte

dell’associazione culturale “Achillea

Laboratorio d’Arte” con sede

a Siena. Grazie a quest’associazione

ha potuto esporre nell’ambito

della decima edizione della mostra

di arte decorativa su porcellana

tenutasi tra novembre e dicembre

2018 all’Hotel NH Excelsior in

Piazza della Lizza a Siena. Un’occasione

molto importante per presentare

i propri lavori in una manifestazione

che ha visto la presenza

di intenditori e professionisti provenienti

da ogni parte d’Italia.

Artigianato è Arte

Vecchia Propositura

Scarperia


Marco Maffei

Ritrarre la realtà non significa soltanto

fermarne l’aspetto visibile,

ma indagarne la natura profonda. È

questo l’obiettivo di Marco Maffei,

la cui ricerca pittorica si serve della

nitidezza esecutiva per avvicinarsi

millimetricamente al soggetto rappresentato.

La precisione tecnica

e il verismo illusionistico non esauriscono

il senso del quadro ma, al

contrario, permettono di scoprire la

meraviglia delle piccole e semplici

maffe271096@live.it

cose, di un frutto o di un oggetto

che condividono il nostro spazio di

vita e che però soltanto la pittura è

in grado di mostrarci sotto una nuova

luce. Un aspetto riscontrabile sia

nei lavori più “fotografici” realizzati

in punta di pennello sia nei ritratti,

alcuni pittorici, altri a matita, in cui

Maffei si confronta con le difficoltà

della pittura d’introspezione psicologica

− affidando soprattutto agli

occhi il racconto dei caratteri individuali

− e con il tema religioso, in

cui il trasporto emotivo è tale da far

passare in secondo piano la definizione

dei particolari per concedere

maggiore spazio all’espressione.

Daniela Pronestì

Mario Meoni

Pittore e scultore autodidatta, Mario

Meoni nasce ad Anghiari nel

1949. Trasferitosi a Firenze, inizia

l’attività artistica come pittore paesaggista,

esponendo in mostre

sia collettive che personali con

molto successo. Artista bizzarro

mario.meoni@libero.it

ed irrequieto, sente la necessità

di cimentarsi in altri linguaggi

come l’incisione, l’areografia e la

scultura dove esperimenta svariati

materiali come marmo, legno,

alabastro e soprattutto il bronzo

con le sue molteplici fasi lavorative.

Ottiene svariati successi, collocando

le proprie opere in vari

contesti. È ancora oggi un artista

curioso e sempre teso ad imparare

cose nuove, un infaticabile

sperimentatore.

Artigianato è Arte

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Scarperia


Miriana Paolucci

Autodidatta, l’artista senese Miriana

Paolucci si esprime con una

pittura semplice, immediata ed

efficace attraverso la quale coglie

con spirito e umorismo momenti

miriana.paolucci@gmail.com

del quotidiano che catturano e

divertono.

Roberto Romoli

robertoromoli@hotmail.it

Roberto Romoli è nato nel 1947 a

Firenze, dove vive e lavora. La sua

attività artistica inizia negli anni

Settanta, frequentando la Piccola

Accademia di Pittura e in seguito

corsi di nudo. Con altri artisti fonda

lo Studio 7, dove sviluppa il nesso

tra idea e forma, cioè la trasformazione

del pensiero in concretezza

pittorica, un modo di comunicare

attraverso forma e colore. Tra le

mostre più recenti si ricordano:

2010, personali alla galleria Il Candelaio

di Firenze e a Palazzo Alessandri

a Viterbo; 2012, personale

presso il Circolo degli Artisti Casa

di Dante a Firenze; 2013, collettiva

nella sala mostre del palazzo municipale

di Rieti; 2014, collettiva con

lo Studio 7 presso il Centro espositivo

Antonio Berti a Sesto Fiorentino

(FI).

Hanno scritto di lui: Giacomo Basile,

Fabrizio Borghini, Mario Cenni,

Roberta Fiorini, Gabriella Gentilini,

Enrico Guarnieri e Mario Mugnai.

Artigianato è Arte

Vecchia Propositura

Scarperia


Omero Soffici

Nel cuore della Toscana, terra

ricca di tesori storici e artistici,

il tempo sembra dimenticare i

prodigi della tecnica per soffermarsi

ad osservare la manualità

omerosoffici@gmail.com

del maestro Omero Soffici che

rende viva la materia inerte. A

14 anni è apprendista e allievo

nella storica bottega fiorentina

di Edoardo Fallaci, dal quale ha

appreso la lavorazione di intaglio

del legno e la tecnica del

disegno. Oggi realizza le proprie

opere nel suo studio a San

Casciano in Val di Pesa.

Il percorso

Le conchiglie simboleggiano il percorso della vita;

indicano sia la nascita di qualcosa di prezioso perchè

contengono la perla,

sia il viaggio del pellegrino

nelle sue varie tappe.

Le abbiamo raccolte da piccoli

camminando lungo la spiaggia,

mentre come genitori le abbiamo osservate o raccolte

insieme ai nostri figli e come nonni con i nipoti...

Insomma, sono emblema del cammino della vita.

Achillea Spaccazocchi Bianchi

Achillea Spaccazocchi Bianchi è

nata nel 1934 a Urbania-Casteldurante

(PU), la storica città legata

al Montefeltro, celebre, fin dal

Cinquecento, oltre che per la maiolica

anche per la “vera porcellana”.

Ha fondato l’associazione

culturale “Achillea Laboratorio

d’Arte”, di cui è presidente e al

cui interno insegna decorazione

su porcellana. «La sua particolare

tecnica decorativa − scrive Sonia

Corsi − si basa su un procedimento

che prevede ben cinque passaggi

in forno; splendide le rifiniture

in oro zecchino che adornano

le tazze e i piattini». Sullo stile

dell’artista così si esprime Rossana

Traldi: «Decori antichi italiani e

d’oltre confine sono spesso presenti

nel repertorio iconografico

di Achillea Spaccazocchi Bianchi,

che li accompagna con rielaborazioni

e composizioni personali,

in cui un misterioso fascino di

freschezza anima foglie e corolle,

ma anche ritmi decorativi geometrici

e stilizzati».

achillea.bianchi@hotmail.it

Artigianato è Arte

Vecchia Propositura

Scarperia


Maria Teresa Tronfi materetro@yahoo.it

Fare arte è come fare un viaggio

last minute senza conoscerne

la destinazione. Cosa servirà?

Quante cose dovrò portare? Che

tempo troverò? Parto sempre senza

conoscere la destinazione. Mi

piacciono il caos e gli spazi non

definiti per poter sottrarre dai colori

la forma più suggestiva. Mi

seducono le sfumature calde e i

contrasti accentuati. Mi butto nel-

la melma materica per giocare con

le tecniche miste. Poi, pian piano,

si fa spazio il perché del viaggio.

Allora inizio ad ordinare il tutto e

ho bisogno di tornare all’essenza

delle cose. Alberi e foglie, farfalle,

conchiglie. Pochi elementi che

raccontano la terra, l’aria e l’acqua.

Ed è in questo percorso di

riscoperta, in cui gli elementi della

natura diventano protagonisti,

che il fuoco s’incarna nelle parole:

incontro, comunicazione, dialogo

tra natura e città. Queste sono

solo alcune delle idee che modellano

il fuoco che c’è in noi, per ricordarci

che nella fucina dell’arte

c’è qualcosa di sacro che ci mette,

irrimediabilmente, di fronte alla

nostra ultima radice.

Raniero Vettori

Nato a Sesto Fiorentino nel 1961,

di famiglia sestese da generazioni,

Raniero Vettori ha lavorato

come imprenditore nel settore

degli pneumatici. Ha un passato

come disegnatore grafico e si è

formato all’Istituto d’Arte di Sesto

Fiorentino. La sua passione

era ed è rimasta il disegno che

pratica con continuità, scegliendo

soggetti che vanno dagli studi

rani5@libero.it

anatomici ad angoli del paesaggio.

La sua tecnica spazia dal lapis

e dalla matita grassa all’acrilico

su tavola. È segnalato nelle

pubblicazioni sui nuovi artisti sestesi

del XXI secolo e sugli artisti

contemporanei in Toscana.

Artigianato è Arte

Vecchia Propositura

Scarperia


Cultura e

Società

La nuova vita delle librerie universitarie

nell’era post Covid

di Doretta Boretti / foto courtesy Matteo Riccitelli

C’è una vera disaffezione nei

confronti del libro stampato».

È iniziato così l’incontro «con Matteo Riccitelli che da anni si occupa

della vendita di libri universitari. «Disaffezione

perché non si considera più quanto

lavoro ci sia dietro la produzione di un testo

e la sua pubblicazione. I giovani oggi

hanno a disposizione molti presidi, com-

prese le dispense scaricabili da Internet».

Che cosa è cambiato nel settore della

vendita e come si sono trasformate

adesso le librerie?

Noi delle Librerie Universitarie del Polo

Universitario di Novoli a Firenze abbiamo

già da alcuni anni modificato il concetto

classico di libreria. Cioè la nostra è una

libreria multifunzionale: si può acquistare

libri, leggere, studiare, collegarsi online,

mangiare, assistere ad eventi.

Quanto ha inciso il Covid-19 sulla vostra

attività?

Ci siamo organizzati in parte con la vendita

online e in parte ci siamo improvvisati

corrieri noi stessi, correndo

anche dei rischi, ma con la consapevolezza

di poter far sentire la nostra

vicinanza a tanti dei nostri clienti in

un momento così faticoso per tutti.

Immagino che il vostro sacrificio

sia stato apprezzato…

Sì, se il rapporto prima era quello

tradizionale tra venditore-cliente, in

questo periodo così doloroso si è intensificato

notevolmente e questo ci

ha dato modo di riflettere e di rivalutare

i nostri comportamenti nei confronti

degli utenti.

È dunque questa la molla che vi ha

permesso di guardare avanti?

Ci ha permesso di allargare il nostro

orizzonte alla realtà che ci circonda,

legata anche al quartiere nel quale

ci troviamo, il quartiere cinque, alle

scuole, agli enti pubblici, alle biblioteche

e dal primo di settembre

abbiamo rinnovato tutti gli aspetti riguardanti

la comunicazione, e quindi

anche il nome che da Librerie Universitarie

si è trasformato in Libreria

Campus. Venite a trovarci sarete

i benvenuti.

Due immagini della Libreria Campus al Polo Universitario di Novoli a Firenze

Libreria Campus

via delle Pandette 14, Firenze

+ 39 0554476652

www.librerieuniversitarie.com

Libreria Campus

48

LIBRERIE UNIVERSITARIE


Eventi in

Toscana

Primo raduno dei Ferraristi Toscani

Club Sieci in Mugello

di Elisabetta Mereu / foto Marco Chiti

Prima volta per un Gran Premio

di F1 in Toscana, all’Autodromo

del Mugello, con la millesima

gara delle Ferrari, e prima volta

anche per un raduno dei Ferraristi Toscani

Club Sieci in questa zona. Domenica

13 settembre, mentre all’interno

del circuito mugellano − acquistato dalla

Casa di Maranello nel 1988 − si scaldavano

i motori per la sfida sportiva,

nel centro di Scarperia e San Piero, comune

ospitante l’evento mondiale, sfilavano

altri modelli storici del famoso

brand. Cinque esemplari contraddistinti

dal Cavallino Rampante e annoverati

nella storia delle fascinose rosse sono

stati parcheggiati nella suggestiva Piazza

dei Vicari per incorniciare la bellissima

“Infiorata” dedicata alla Ferrari e

organizzata dall’agenzia FarMugello, in

collaborazione con la proloco e il Centro

commerciale naturale. Altri modelli

di Ferrari, non solo rosse, hanno invece

sostato lungo le vie limitrofe, concedendosi

alla curiosità e alle foto ricordo

di grandi e piccini. «Insieme a noi Ferraristi

Toscani − ha detto il presidente del

Club Sieci, Enio Turrini − hanno attraversato

la via principale del paese anche

alcuni esemplari di altri marchi automobilistici

da collezione portati dai soci del

Club Auto Storiche Le Palaie di Pelago,

che ci ha supportato nell’impegnativa

organizzazione e coordinamento

dei sessanta equipaggi presenti». Tutte

queste sfavillanti carrozzerie multicolori

e i potenti motori rombanti hanno attirato

ed emozionato le centinaia di persone

che nel pomeriggio hanno anche

seguito dai loro telefonini lo svolgersi

della rocambolesca gara di F1. «Visto il

positivo riscontro da parte del pubblico

posso dire che questo appuntamento in

Mugello è stato molto impegnativo ma

di grande soddisfazione − ha affermato

con orgoglio Turrini − non solo perché

era la nostra prima volta in questa

bellissima zona della Toscana ma anche

perché era in concomitanza con l’evento

sportivo mondiale e con la millesima

gara della Ferrari, rappresentata dalla

Miss eletta per l’occasione, Rebecca

Silicani. Una vetrina

importante, quindi,

per presentare l’attività del nostro Club

che, nato nel 1983, con oltre duecento

soci è uno dei più numerosi in Italia.

Dopo tanti mesi di lockdown in cui

abbiamo dovuto annullare i consueti

raduni in calendario nella stagione

primaverile ed estiva − ha continuato

il presidente −, da questo mese riprendiamo

con entusiasmo gli itinerari

programmati, per portare in giro per la

Toscana ed altre regioni l’orgoglio di

rappresentare la storia di un marchio

prestigioso, da novant’anni esempio di

capacità imprenditoriale e di una creatività

tutta italiana che ancora ci contraddistinguono

nel mondo».

Prossimi appuntamenti per i soci del Club Sieci

4 ottobre - I colli del Chianti: giro turistico da Impruneta a Siena

25 ottobre - Parata in onore della Coppa della Consuma

29 novembre - Consueto pranzo sociale per gli auguri di fine anno

www.ferraristiclubsieci.it

Le Ferrari in piazza a Scarperia

A sinistra, Enio Turrini, presidente dei Ferraristi Toscani Club Sieci

con alcuni dei partecipanti al raduno

Le cinque Ferrari presenti all’Infiorata dedicata alle

auto di Maranello

Elisabetta Mereu sulla Fiat 508 C Mille

Miglia 1940 di Franco Corsini socio del

Club Le Palaie

RADUNO DEI FERRARISTI

49


Il super tifoso

Viola

A cura di

Lucia Petraroli

Gianni De Magistris

La pallanuoto nel cuore, la Fiorentina nell’anima

di Lucia Petraroli

Ha vinto tutto Gianni De Magistris,

icona della pallanuoto

non solo toscana ma mondiale.

Quasi tutta la sua carriera è legata

alla Rari Nantes Florentia, squadra con

la quale ha vinto lo scudetto e la Coppa

Italia nel 1976 e nel 1980. Goleador

indiscusso, come lui nessuno mai, vince

la classifica dei marcatori di serie A

più e più volte. Vanto anche per i colori

azzurri, cinque Olimpiadi, unico pallanuotista

italiano a riuscire in questa

impresa, oltre ad aggiudicarsi argenti,

bronzi e titoli iridati tra mondiali ed

europei. Terminata la carriera di giocatore

è diventato allenatore prima della

squadra maschile della Rari Nantes Florentia

e successivamente della compagine

femminile dove ottiene la vittoria

nel Campionato italiano, nella Coppa dei

campioni e nella Supercoppa europea.

Campionato ai nastri di partenza: secondo

lei che stagione sarà per i viola?

Sarà una stagione diversa che inizia

già sulle gambe, con un tour de force

per la finale dello scorso campionato,

con coppe finite solo tre settimane

fa. Ma soprattutto senza pubblico, una

Gianni De Magistris (ph. courtesy www.lanazione.it)

nota molto dolente.

Come valuta la permanenza di Iachini?

Non so se può essere un allenatore da

grandi squadre, per lui questa è la prima

vera occasione, in precedenza è stato

chiamato sempre a compiti duri, di

salvezza. Non ha una grande immagine

nell’ambiente, ma con la Fiorentina ha

fatto una fase finale di campionato buona.

Ha la convinzione giusta per questa

squadra.

Come giudica l’operato di Commisso

in questo suo primo anno in viola?

Commisso deve trovare la giusta quadratura

per la sua Fiorentina. Aveva

proclamato all’inizio della sua avventura

di voler portare la viola tra le prime

venti squadre d’Europa. Quest’anno ha

dichiarato di voler rimanere nella parte

sinistra della classifica. Non è facile per

lui, questo è chiaro; si è scontrato con

una realtà diversa da quella americana e

non è giusto buttare via i soldi.

Cosa pensa del mercato viola e cosa

vorrebbe fosse fatto?

Un calciomercato anomalo, privo

di chiacchiere, dove grandi

investimenti non verranno certo

fatti. Mi piace questa squadra,

un mix di giocatori giovani e

adulti, lo stesso rientro di Borja

Valero lo apprezzo. Abbiamo un

centrocampo di tutto rispetto e

l’arrivo di Bonaventura sarà certamente

di aiuto anche sotto rete.

Poi sicuramente manca un

attaccante da quindici gol, valuteremo

questo Kouame.

Si aspetta il nuovo stadio per

Firenze o si andrà per il restyling

del Franchi?

È la novella dello stento quella dello stadio.

Credo che la soluzione sia lontana.

Spero di sbagliarmi. Ma Rocco vuole

fare una cittadella, non solo l’impianto,

capace di portare guadagni. Non credo

che Campo di Marte si presti bene. Fare

uno stadio nuovo deve accrescere le

funzionalità e portare il giusto ricavo.

Chi è il miglior giocatore di sempre

per lei e quale la migliore partita?

Il miglior giocatore per me è Julinho,

nel primo scudetto viola ci ricordiamo

tutti i suoi scarti. A seguire grandi campioni

come Hamrin, Batistuta, Baggio,

ma lui lo metto su tutti. Fin da bambino

ho un ricordo importante di lui. Poi

le partite più belle sono sempre state

quelle vinte con la Juventus, cariche di

grande attesa.

Molte le difficoltà nel campo dello

sport in questo momento a causa del

Covid anche per la pallanuoto. Che

cosa si augura?

Le mie sono considerazioni ad alta voce.

Il Covid è stato un problema mondiale,

gli sport, tutti, sono diretti dal

CONI; hanno sospeso i campionati di

tutti gli sport tranne il calcio per il vile

denaro, come se in questo sport il pericolo

non ci fosse. A Firenze purtroppo

non va benissimo, dalla pallanuoto alla

pallavolo. Dovremmo essere più vicini a

questi sport.

Progetti futuri?

Al momento sono fermo, aspetto un incarico

che mi possa soddisfare. Ho ancora

tanto da dare.

50

GIANNI DE MAGISTRIS


Cuore

Viola

L’orgoglio di essere viola

Un collage per omaggiare la Fiorentina dei grandi campioni

di Claudio Parigi

Questo collage con i calciatori

della Fiorentina è stato realizzato

modificando i nomi

e le fisionomie delle figurine

degli anni Cinquanta e Sessanta apparse

sullo storico giornalino Corriere

dei Piccoli. Il collage è un’arte e

così ho voluto utilizzarla per inventare

questa formazione, che potrebbe secondo

me essere composta dai giocatori

più importanti nella storia della

nostra squadra e anche i più amati,

per quanto avrei dovuto mettere tanti

altri, come Robotti, Pirovano, Chiappella,

Merlo, Chiarugi, Sarti, Brizi. Non

è la formazione più forte, mancando

Toni e Passarella. Calciatori messi in

campo così, con quarantasette anni di

differenza fra i più giovani e i più vecchi,

senza considerazioni tecnico-tattiche,

quindi, ma avendo come scopo

quello di farci amare sempre di più la

nostra maglia viola e chi ha avuto l’onore

di indossarla in campo.

ORGOGLIO DI ESSERE VIOLA

51


Professionisti in

Toscana

Il nuovo Studio Micheloni nel

cuore di Firenze

Intervista all'ingegnere Michelangelo Micheloni

di Doretta Boretti

Mi trovo all’interno di

un elegante studio

nel cuore di Firenze

in compagnia dell’ingegnere

Michelangelo Micheloni, giovane

professionista che sta

dedicando la sua vita a ristrutturare

ponti, edifici e luoghi

sacri con una professionalità

veramente ammirevole.

C’è voluto un notevole coraggio

per aprire uno studio

a Firenze in questo confuso

momento economico…

Sì, è vero, c’è voluto coraggio per

scommettere in una nuova attività,

nel centro di Firenze, in questi tem-

Studi su una galleria autostradale in Emilia Romagna

pi così difficili. Stiamo attraversando

un’emergenza sanitaria, stiamo vivendo

un momento di crisi economica

e ci troviamo su un territorio che

ha bisogno di aiuto: le infrastrutture

hanno necessità di manutenzione, i

ponti, le gallerie, tutto il patrimonio

culturale ha bisogno di essere soste-

Ponte temporaneo in Trentino Alto Adige

52

MICHELANGELO MICHELONI


nuto. Ed è proprio nella crisi

economica che stiamo vivendo

che dobbiamo trovare

il coraggio di poter dare

lustro a quello che è il nostro

patrimonio, perché alla

fine l’Italia ha un’enorme

ricchezza di infrastrutture

ed edifici storici che sono

stati troppo trascurati in

questi anni, ma che, col loro

rilancio, potrebbero essere

la soluzione alla nostra

crisi economica. È stata la

mia scommessa: aprire uno

studio d’ingegneria proprio

puntando a dare il massimo

per rilanciare la linfa vitale

di un paese, le strade,

i ponti e le gallerie perché

le persone si possano muovere

in sicurezza, i presidi

storici, i musei che potrebbero

essere un indotto importantissimo,

ma che non

vengono utilizzati a pieno

perché hanno bisogno di

essere messi a norma, consolidati

e poi aperti al pubblico. Quindi

con questo mio studio ho anche io

scommesso sul rilancio dell’economia

del paese.

Ha al suo attivo la realizzazione di

numerosi progetti.

Devo ammettere che abbiamo ricevuto

un notevole consenso da parte

di enti pubblici e privati che si sono

affidati a noi per riqualificare il loro

patrimonio edilizio. Attualmente il nostro

sistema di controllo infrastrutture

sta gestendo quasi duemila ponti e

diverse gallerie che ci sono stati affidati

da comuni, province ed enti. Su

una parte di questi ponti e gallerie sono

in corso progetti di risanamento

e consolidamento. Allo stesso tempo

stiamo portando avanti numerosi

progetti di diagnostica e risanamento

di edifici storici quali chiese e conventi.

Stiamo lavorando in tutta Italia,

dal Trentino alla Puglia, e abbiamo ricevuto

moltissimi apprezzamenti di

cui siamo onorati.

Studi su una chiesa in Toscana

Il rischio, le difficoltà, l’impegno

mentale a cui un ingegnere è costantemente

sottoposto, gli impongono

spesso orari impossibili. A

cosa deve rinunciare un professionista

come lei?

A volte, la nostra professione assomiglia

a una missione, che ci porta

spesso a lavorare in orari impossibili.

Abbiamo cantieri lontani ed in siti

di difficile accesso ed abbiamo cantieri

dove il lavoro si svolge di notte,

come per esempio nelle gallerie autostradali.

Quindi effettivamente sono

degli impegni considerevoli a cui dedico

una buona parte della mia vita. Lo

faccio perché ci credo e ho passione

per il mio lavoro, ma anche nell’ottica

di creare una struttura dove si possano

realizzare altri professionisti. Il lavoro

dello studio non è quello di un singolo,

ma di un team di competenti ingegneri.

La mia società è nata di recente e punta

ad allargarsi ad altri professionisti,

in modo da creare un gruppo affiatato

che poi si possa alternare in questi impegnativi

ritmi di lavoro. Già adesso ho

al mio fianco validi professionisti ed il

gruppo sti sta allargando velocemente.

Questo il mio progetto: fornire uno

studio nel quale giovani professionisti

molto preparati possano trovare un lavoro

che dia loro grande soddisfazione,

perché lo studio punta a progetti

ambiziosi, alla grande professionalità e

alla vera qualità.

Come è possibile mettersi in contatto

con questa nuova realtà nata nel

cuore di Firenze?

Il modo più semplice per mettersi in

contatto con noi è attraverso il sito internet

dello studio dove si possono

trovare tutte le informazioni. Poi ci sono

due sedi operative, una in Emilia

Romagna e l’altra nel centro di Firenze

in via dei Servi, 12. Chi si rivolgerà

al nostro studio sarà accolto in un ambiente

dove verrà seguito con professionalità

e serietà.

www.studiomicheloni.com

MICHELANGELO MICHELONI

53


Ritratti

d’artista

Sandra Petreni

Dentro ed oltre l’illusione del colore

di Jacopo Chiostri

Sandra Petreni è una solida

artista che coniuga

il lavoro artigianale, per

lo più decorazione di complementi

di arredo, con la pittura,

che pratica spaziando, con

un eclettismo inedito, dal figurativo

all’astratto. Un’artista,

dunque, a tuttotondo, che

è stata capace − e non riesce a

tanti − di mantenere la propria

attività lavorativa in un ambito

contiguo a quello della pittura.

In tutta la sua produzione

si respira, latente, ma ovunque

ben avvertibile, il soffio di

quella Toscana, così autenticamente

toscana, che corrisponde

alla zona di Monteriggioni,

a due passi da Siena, con il paesaggio

di una bellezza folgorante, austero

nella sua incomparabile armonia

naturale. A Monteriggioni, dove abita,

la Petreni porta avanti la sua attività

di artigiana, attività nella quale

rientra anche la decorazione d’interni

con la tecnica del trompe-l’oeil di

cui si è impadronita grazie, anche,

all’applicazione della prospettiva rinascimentale.

Conosciuti sono i suoi

piatti dipinti, realizzati in ceramica e

Inganno italiano, ceramica decorata con smalti a caldo

cotti in fornace come si è sempre fatto

fin dal Medioevo; sono manufatti

di forte impatto visivo, e già danno

una prima idea delle capacità espressive

di quest’artista. La storia di Sandra

Petreni ha un punto fermo, che

è il fiorentino Istituto d’Arte di Porta

Romana, dove ha appreso la tecnica

frequentando la Sezione Decorazione

pittorica. Di sé racconta di essere

una predestinata, riferendo di un episodio

accaduto in occasione del suo

Ritratto di bambina sorridente, olio su tela

sesto compleanno: «I miei genitori mi

fecero un regalo che resta tuttora il

più bello che abbia mai ricevuto per

l’entusiasmo e l’emozione che provai:

una valigetta in legno con una miriade

di colori ad olio, cavalletto, tele e

pennelli». Già allora, afferma, la sua

strada fu segnata e seppe di voler essere

una pittrice. Così la Petreni sintetizza

il suo lavoro: «Nella mia arte la

vita, nel colore le emozioni, nella luce

la forza». Aggiungiamo: nel colore o

Il mio universo, olio su tela

Ufrasi, olio su tela

54

SANDRA PETRENI


Veduta di Firenze, acrilico su tavola

Veduta di Colle Val d’Elsa, acrilico su tavola

per meglio dire negli effetti emotivo/

simbolici che il colore evoca e produce,

le emozioni. E forse, per questo,

con felice intuizione, in uno degli interventi

critici che corredano il suo sito

personale, si parla di “illusione del

colore”. Intendendo, con tutta probabilità,

far riferimento all’aspetto meno

immediato, più intimistico della pittura

dell’artista: tutto ciò che i suoi quadri

rimandano all’osservatore come

in un fascio di particelle librate nello

spazio che fisicamente si crea tra

lui e l’opera sotto forma di emozioni.

È la sua una pittura meticolosa, dove

nulla è lasciato all’improvvisazione,

ogni tocco di pennello è ragionato

e necessario, ed è solo così che crea

opere nelle quali il particolare si fonde

in un unicum, in un racconto coerente

che si avvale di un ritmo modulato,

mai aggressivo ma declinato in sorprendenti

soluzioni cromatiche con il

colore che assume un ruolo deciso e

decisivo. La Petreni lavora su supporti

di diversa natura, la tela certo, ma

anche le tavole, le stoffe, usa pittura a

olio, tempera, tecniche miste con anche

applicazione di foglia d’oro e altri

elementi ornamentali. Suoi soggetti

il ritratto, il paesaggio

− scorci

di spazi percorsi

dalla luce e con

colorazioni rigorosamente

controllate e armoniche

tra loro −, le città rappresentate con

un’evidente reminiscenza di tipo medievale,

così Firenze, Colle Val d’Elsa,

naturalmente Siena. E poi i cavalli,

una grande passione. Più volte ha ritratto

il suo, Ufrasi; in altre occasioni

con l’animale è presente l’uomo e

quindi la rappresentazione ritrattistica

assume ancora maggiore estensione.

Pittura espressionista? In parte. Pittura

Pop? Talvolta. Pittura personale,

assolutamente sì, con punti di osservazione

e cromie carichi di effetti visivi

forti e a un tempo languidi. Un

linguaggio personalissimo, frutto di

osservazione attenta e di amore per il

lavoro.

www.sandrapetreni.art

Ritratto di Gold della Serra, acrilico e olio su tavola telata con inserto di legno antico

Maremmamara, acrilici e olio su tela con applicazione di foglia oro, argento e rame

SANDRA PETRENI

55


New York, acrilico su mdf

Van Gogh 2.0, acrilico su mdf

Stendhal, acrilico su mdf, collezione privata

Ambrogio, acrilico su mdf

Marco Da Campo

Immaginate un mondo senza colori...

marcodacampo@gmail.com

+39 3482831584


A cura di

Lorenzo Borghini

Il cinema

a casa

Al di là delle montagne

La Cina di ieri, oggi e domani secondo Jia Zhangke

di Lorenzo Borghini

1999. Siamo in Cina, a Fenyang,

cittadina della provincia settentrionale

di Shanxi. La Cina si appresta

ad entrare nel nuovo secolo e

Tao, una giovane donna, è corteggiata

da Zhang, proprietario di una stazione

di servizio accecato da sogni capitalisti,

e da Lianzi, minatore di poche parole,

uomo pratico e rispettoso. Tao,

come la Catherine di Jules e Jim, non

sa decidere. Tra macchine scintillanti

e semplici ravioli al vapore sceglie

Zhang, dando un colpo al cuore a Lianzi,

che decide di partire senza guardarsi

indietro.

2014. Tao e Zhang si sono sposati,

hanno messo al mondo un figlio di nome

Dollar – chiamato come la valuta

americana –, e si sono lasciati. Il cinico

padre, ha strappato il figlio alla madre

portandolo a Pechino, a seicento

chilometri da Fenyang.

2025. Dollar vive in Australia già da diversi

anni. Il padre lo ha mandato nella

nuova Terra promessa per fargli imparare

l’inglese e formarlo per entrare

nel mondo del lavoro, del business

vero dove girano i soldi. I chilometri

che distanziano madre e figlio diventano

quindi diecimila. Al di là delle montagne

è un film gigante sul gigantismo

della Cina. Jia Zhangke continua il suo

personale discorso sul capitalismo, il

costo del progresso e le conseguenze

dell’industrializzazione della Repubblica

Popolare Cinese. Tema che porta

avanti fin dagli esordi del suo cinema

e che, film dopo film, matura e riflette

un paese che sta perdendo le proprie

tradizioni per inseguire il modello occidentale,

già metabolizzato e portato

ancor più all’eccesso. In Al di là delle

montagne racconta la Cina di ieri, oggi

e domani. Riparte dagli interrogativi

lasciateci con Il tocco del peccato,

con quello sguardo su un futuro cupo

appena abbozzato, che qui prende

vita mostrandoci due generazioni

a confronto, quella di Zhang, e quella

del figlio Dollar, che non riescono più

a comunicare. Le distanze stanno diventando

incolmabili, figlie di un vuoto

generazionale irreversibile. Dollar,

dopo tanti anni in Australia, non si ricorda

quasi più di Tao, sua madre, ma

anche madre patria di tutti i cinesi che

hanno perso le proprie radici. Un film

sulle distanze quindi. Distanze che separano

madre e figlio, distanze umane

ma anche culturali. Distanze tra la

Cina e l’Asia meridionale, l’Asia centrale,

con uno sguardo verso il Medio

Oriente, secondo la dottrina del “Look

West”, chiarita dall’esperto Wang Jisi

nell’inverno 2013. La Cina guarda l’Ovest

ormai da anni, proprio come il testo

di Go West, canzone di apertura

e chiusura di Al di là delle montagne.

Jia Zhangke ha dato vita ad un cinema-mondo,

un po’ come David Foster

Wallace in Infinite Jest, o come quello

atemporale di Wong Kar-wai; un mondo

che ha come attore protagonista la

Cina, quella di ieri, oggi e domani.

AL DI LÀ DELLE MONTAGNE

57


Ritratti

d’artista

Andrea Tani

Dalla tela all’affresco: un iter artistico nel segno della passione

di Jacopo Chiostri

Se c’è un pittore nella nostra regione

che meglio di chiunque altro attesta

con i propri lavori che l’arte

si nutre prima di tutto di sentimento questo

è Andrea Tani, artista di Vico d’Elsa,

un piccolo paese dove ogni luogo, per chi

sa coglierne le suggestioni, diventa fonte

d’ispirazione. Tani racconta così la sua

pittura: «In tutti i miei quadri c’è il cuore,

che raffiguro con colori, linee o col pentagramma

musicale. Voglio esprimere il

mio amore per tutto ciò che tocco e che

vedo». Una sorta, come si vede, di “manifesto”

personale che si traduce, in pittura,

nella rappresentazione di tre temi

principali, che sono la natura, le tradizioni

della vita rurale e le feste popolari. «Il

mondo circostante − spiega ancora l’artista

− ci regala note musicali piene di significati

e di armonia, una dolce melodia,

che è quanto cerco di

imitare quando dipingo».

Tani si è diplomato,

alla fine degli

anni Settanta, al liceo

artistico di Firenze,

dunque un rapporto

con l’arte ultradecennale,

che, sia

pure con gli scostamenti

che si producono

con l’esperienza

e la crescita, si è mantenuto coerente sia

nella parte formale che contenutistica. È

come se nella pittura di Tani ci fosse un

punto di attrazione, un polo magnetico

che concede una certa libertà all’artista

ma finisce poi per ricondurlo a quel comune

denominatore che è “la passione”.

Per cui non c’è differenza di stile tra due

Un sogno diventa realtà (2015), affresco, parete di entrata della Contrada Pievalle

opere così diverse come La cestaia, dove

la donna che lavora è rappresentata con

un solido viso “contadino”, e La donzelletta...

che vien dalla campagna, una ragazza

moderna (con un volto moderno)

in jeans e per giunta con una camicetta

trasparente. Questa coerenza stilistica è

la cifra caratteristica di tutti i principali la-

In questa e nelle altre foto alcuni particolari dell’affresco

58

ANDREA TANI


La donzelletta...che vien dalla campagna (2009), olio su tela, cm 45x35

vori di Tani. La troviamo nelle serie C’era

una volta, Il Palio e Figure di donna. Poi ci

sono i vortici. Si tratta di soluzioni pittoriche

create per conferire leggerezza alle

immagini; riproducono, spiega l’artista,

quelle note melodiose che abbiamo attorno

e che “sente” soltanto chi sa ascoltare

la musica del creato. In realtà queste

soluzioni pittoriche sono anche qualcosa

d’altro. Si produce, infatti, nell’opera un

effetto di scomposizione e di frammentazione

analitica − non tanto della figura,

ma degli sfondi e delle ambientazioni −

che, inevitabilmente, ricorda il cubismo.

È un “effetto” importante, in quanto conferisce,

come detto, levità e grazia − in alcuni

dipinti anche sensualità − alle opere

e modifica la resa cromatica, conferendole

un’inedita coerenza e grande armonia.

Questa soluzione, tra l’altro, per

contrapposizione, esalta la solidità degli

argomenti trattati dall’artista. Tani dipinge

su tela, tavola, a olio, ad acquerello,

La cestaia (2008), olio su tela, cm 40x50

a matita; i soggetti sono scene di vita

contadina, ritratti e cavalli; c’è anche − e

giustamente ne va fiero − un magnifico

affresco intitolato Un sogno diventa realtà,

da lui dipinto nel 2015 sulla parete di

entrata della Contrada Pievalle. Lasciamo

all’artista la descrizione dell’opera: «In

questo affresco l’amore si trasforma in

vortici a forma di cuore giallo rosso, quel

cuore che batte forte nella Contrada Pievalle,

dal popolo a tutti i dirigenti, per finire

all’esultanza dei contradaioli, perché

tutti sono indispensabili. In alto appare la

Madonna, cui il contadino Isidoro spesso

si rivolgeva prima di iniziare il lavoro

nei campi. Dietro e sotto il trono di nuvole

ci sono gli angeli con fasci di spighe

inviati dalla Madonna a riempire il granaio

dopo che, per la gelosia degli altri contadini,

il padrone aveva fatto suo tutto il

grano che Isidoro aveva con grande fatica

raccolto. La “Vittoria” è rappresentata

dal cavallo con possente muscolatura e

dal fantino che escono dalle nuvole come

in un sogno; lo sguardo del fantino è rivolto

al libro tenuto in mano da due bambini

seduti sotto l’arco del trionfo come

se volesse scrivere il proprio nome nella

storia della Contrada Pievalle. Nella parte

alta della porta, la bandiera giallo rossa

simbolo della contrada e poi fantini e

cavalli di altre contrade che assistono al

trionfo della Pievalle». Tra le mostre più

recenti si ricordano quelle a San Galgano,

Chiusdino e San Casciano Val di Pesa;

ha inoltre conseguito il Premio Città di

Corchiano (VT) e il Premio Civita Castellana

(VT) dove il dipinto premiato è stato

poi riprodotto su piatti in ceramica in cinquemila

esemplari.

Geppetto vende la giacca, acquarello e matita, cm 50x70

www.andreatanipittore.it

ANDREA TANI

59


Nuove proposte dell’arte

contemporanea

A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Grande successo per la seconda edizione

della rassegna Aqvart a Venezia

Premio alla carriera alla stilista fiorentina Pola Cecchi

e alla pittrice Oretta Rangoni Machiavelli

Testo e foto di Margherita Blonska Ciardi

Lo scorso 14 settembre si è

conclusa a Venezia la seconda

edizione della mostra internazionale

d’arte Aqvart che unisce i lavori

di artisti contemporanei provenienti

da tutto il mondo dedicati al rapporto

tra l’acqua e l’arte veneziana. La stretta

convivenza fra l’uomo e l’acqua ha dato

un importante input allo sviluppo urbano

e commerciale della città lagunare

ma ne ha soprattutto ispirato la tradizione

artistica, favorendo la nascita di

attività artigianali come la produzione

di vetro, dorature, specchi e ricami.

Quest’anno, nonostante la pandemia, la

mostra Aqvart si è svolta regolarmente

ed è cresciuta grazie agli artisti che hanno

affrontato il viaggio per incontrarsi

nella storica sede della Scuola Grande

di San Teodoro. Ormai da due anni, l’esposizione

rientra nel progetto culturale

nazionale intitolato Le Città in Festa e

si svolge sotto il patrocinio del Comune

di Venezia. In quest’ultima edizione, lo

Studio Artemisia ha conferito il premio

alla carriera a due donne diversamente

impegnate in ambito artistico: la stilista

di alta moda Pola Cecchi, che ha aperto

la mostra con una magnifica sfilata

Una modella con il vestito ispirato al quadro di Uri de Beer

di abiti ispirati alle opere degli artisti,

e la pittrice Oretta Rangoni Machiavelli.

Come già nelle scorse edizioni, anche

in quest’occasione hanno riscosso

l’apprezzamento del pubblico i lavori

dell’architetto Uri de Beer che dipinge

in 3D le città del futuro attribuendo

loro forme zoomorfe e collocandole su

pianeti sconosciuti. Altre sue opere erano

invece dedicate alla ricerca nell’ambito

della fisica e della nanotecnologia.

Nel 2012, l'artista, che ha partecipato

tante volte alla Biennale di Venezia, ha

allestito alcune sue installazioni artistico

– ecologiche nel parco urbano di San

Giuliano Veneto. È stato inoltre premiato

per il suo legame artistico con Venezia

e per i contenuti della sua ricerca

che intreccia arte e scienza per rispondere

ai grandi quesiti dell’umanità. Gli

artisti presenti all’inaugurazione hanno

spiegato le loro opere al pubblico.

L’artista lussemburgherse Karin Monschauer

ha illustrato la tecnica digitale

con la quale unisce l’arte del ricamo

alla passione per la matematica. Jorge

Goncalves Romero ha parlato dell’energia

positiva che, tramite la musica e il

ballo, unisce uomo e natura rendendo

più felice l’individuo. Alma Sheik

era presente con le sue vele e le

meduse provenienti dai viaggi fatti

negli Emirati Arabi, opere che han-

La consegna del premio alla carriera ad Oretta Rangoni Machiavelli

La curatrice della mostra, Margherita Blonska

Ciardi, consegna il premio alla carriera alla stilista

fiorentina Pola Cecchi

no dato lo spunto per la creazione di un

meraviglioso vestito bianco che ondeggiava

durante la sfilata ricordando così i

tentacoli del mollusco. Hanno incantato

i visitatori le due tele dello svedese Fredrik

Olsen, in particolare quella intitolata

Nulla è impossibile dove in mezzo

ad un ciclone si vede volare un calabrone

verso il varco creato nelle nuvole. Le

cattedrali di Michael Henry Ferrell hanno

proiettato i visitatori in un mondo

di spiritualità dove riscoprire le bellezze

architettoniche del passato, mentre

le due tele di Krzysztof Konopka hanno

fatto conoscere al pubblico la corrente

artistica denominata “Orapismo”

di cui è teorico e fondatore. Sono stati

inoltre premiati gli artisti: Jorge Goncalves,

Cesare Triaca, Stephanie Holznecht

e Michal Ashkenasi. La mostra, ripresa

dalle telecamere di Televenezia, ha

riscosso grande successo di pubblico

sia all’inaugurazione

che nei giorni di apertura.

La prossima edizione

di AqvArt, oltre

al già collaudato connubio

tra arte e moda,

si aprirà anche al mondo

del design e dell’architettura,

recuperando

così gli ideali di Walter

Groupius, fondatore

del Bauhaus.

60

AQVART A VENEZIA


A cura di

Massimo De Francesco

Artisti stranieri in

Toscana

John Singer Sargent

Eccellente ritrattista, partì da Firenze per conquistare

la ribalta internazionale

di Massimo De Francesco

John Singer Sargent nasce a Firenze,

in via Guicciardini, il 12 novembre

1856, figlio di Fitzwilliam Sargent,

chirurgo di famiglia colonialista nato a

Gloucester, sulla costa del Massachusetts,

e di Mary Newbold Singer, figlia di un

ricco mercante. I Sargent si trasferiscono

in Europa nel 1854, a un anno dalla

tragica morte della loro prima figlia,

Mary. A causa dei molti viaggi dei suoi

genitori, Sargent cresce tra Italia, Germania,

Francia, Spagna e Svizzera, imparando

a parlare fluentemente quattro

lingue e coltivando la passione per la pittura.

Trascorre l’inverno fra Firenze, Roma

e Nizza − dove tra il 1866 e il 1867

incontra Vernon Lee, anche lei figlia di

espatriati inglesi, con la quale stringe

una forte amicizia e che ritrae nel 1881

− e l’estate sulle Alpi della Francia meridionale.

John viene educato dai continui

viaggi, le visite a musei e gallerie e la

frequentazione dei salotti di intellettuali

espatriati; manifesta le proprie doti pittoriche

con i magnifici acquarelli che dipinge

sin da piccolo e intraprende studi

artistici − dopo essere stato allievo del

pittore tedesco-americano Carl Welsch a

Roma − all’Accademia di Belle Arti di Firenze

tra il 1873 e il 1874, anno in cui

parte per Parigi per frequentare l’atelier

di Carolus-Duran, amico di Eduard Manet

e di Claude Monet, con il quale stringe

una forte amicizia. Il grande pittore

impressionista influenza il suo stile paesaggistico

e nel 1885 i due si trovano

a Giverny, dove Sargent realizza l’opera

Monet dipinge alle soglie del bosco,

uno studio sulla tecnica paesaggistica

francese en plein air. Nel 1884, divenuto

anche ritrattista, espone il ritratto di Madame

X o M.me Virginie Amélie Avegno

Gautreau, che però suscita scandalo al

Salone di Parigi per via delle vesti troppo

provocanti della modella. Per questo

motivo, nel 1885 lascia la capitale francese

e si trasferisce a Londra, dove è accolto

dall’amico romanziere americano

Henry James, che lo introduce ai salotti

della Londra vittoriana. Nelle estati del

1885 e del 1886 si trasferisce nelle Cotswolds,

dove dipinge il magnifico Garofano,

giglio, giglio, rosa, opera che ritrae

due bambine che accendono lanterne cinesi

in un giardino. Il dipinto viene acquistato

dalla Tate Gallery nel 1887 su

insistenza del pittore e scultore inglese

Sir Federic Leighton, allora presidente

della Royal Academy. Divenuto amico

di Robert Louis Stevenson, autore del

celebre romanzo Lo strano caso del Dr.

Jekyll e Mr. Hyde, lo immortala insieme

alla moglie dello scrittore nella loro casa

di Bornemouth nel 1885 e nuovamente

nel 1887. Nel 1890 riceve l’incarico per

le pitture murali della Boston Public Library

che intitola Triumph of Religion, un

John Singer Sargent, Autoritratto (1906), olio su tela,

Galleria degli Uffizi, Firenze

ciclo di raffigurazioni dedicato alla storia

della religione, dal paganesimo all’ebraismo

fino all’avvento del cristianesimo.

Dal settembre del 1905 al gennaio del

1906 visita l’allora Levante Ottomano,

la Norvegia, la Palestina, la Spagna e

di nuovo l'Italia; in questo periodo passa

dal ritratto alla pittura paesaggistica.

Ormai conosciuto come pittore affermato,

nel 1904 espone alla Royal Water

Colour Society di Londra e alcune

sue opere vengono acquistate dal Brooklyn

Museum, dal Museum of Fine Arts

di Boston e dal Metropolitan Museum of

Art di New York. Si spegne nella sua casa

di Tite Street a Londra nella notte tra il

14 e il 15 aprile 1925 a seguito di un infarto;

è sepolto nel Brookwood Cemetery

a Woking, nel Surrey.

JOHN SINGER SARGENT

61


Arte &

Mestieri

Daniele Ortolani

L’artigiano della scarpa su misura a Firenze

Testo e foto di Barbara Santoro

Quest’anno al Festival del Cinema

di Venezia il regista Luca

Guadagnino ha presentato un

documentario fuori concorso

dedicato a Salvatore Ferragamo dal titolo

Salvatore Ferragamo / Shoemaker

of dreams. Prendendo spunto da questo

omaggio al grande calzolaio delle

dive, vengono in mente i tanti abili arti-

giani della scarpa che ancora oggi

lavorano a Firenze e che non hanno

avuto però la stessa fortuna

del ragazzo di Bonito che, emigrato

in California, a Santa Barbara, e

ad Hollywood, ha realizzato scarpe

per le star del cinema mondiale.

Tra questi sconosciuti artisti della

calzatura c’è anche Daniele Ortolani;

la sua bottega, in via Lungo

l’Affrico 172, pur non essendo

chic, ha tutte le carte in regola

per essere la bottega di un calzolaio

artigiano. Nel 2005, Ortolani

ha avuto l’occasione di aprire con

il fratello un negozio di riparazioni

nella zona di San Gervasio e qui

cominciare a “farsi le ossa”. È stato

poi allievo di Calogero Mannina,

noto creatore di calzature nel cuore

di Firenze, e di Umberto Santi

che nell’atelier di via Scialoja serviva

non solo clienti raffinate ma anche

tutti coloro che per motivi di

salute avevano necessità di scarpe

fatte su misura. Proprio da questi

due grandi personaggi ha appreso

come usare il trincetto e la lesina,

ma non ancora soddisfatto,

dal 2013 al 2015, ha frequentato il

corso per modellista a Montelupo

sotto la guida di Luciano Mancini.

Ha frequentato, inoltre, il famoso

atelier di Stefano Bemer, creatore

di scarpe per attori come Andy

Garcia e Daniel Day-Lewis e di

cantanti come Julio Iglesias. Da

questi maestri ha imparato molto

ed ognuno di loro gli ha lasciato

un insegnamento poi consolidato

con il conseguimento del diploma di modellista

di calzature. Oggi questo giovane

artigiano crea pezzi unici, utilizzando materiali

nuovi che oltre a far stare comodo

il cliente, lo rendono orgoglioso della

propria calzatura. Dal 2015 tiene corsi

di formazione per artigiani e studenti

che da tutto il mondo arrivano nella sua

bottega per imparare l’arte di realizzare le

Barbara Santoro con Daniele Ortolani nella bottega in via Lungo l’Affrico a Firenze

scarpe. Giapponesi, americani, australiani,

tedeschi, spagnoli e messicani si alternano

per seguire le sue lezioni. A chi

gli chiede cosa lo abbia spinto ad intraprendere

questa arte manuale risponde

che fin da bambino, osservando i piedi

delle persone, ha sempre desiderato di

poter realizzare calzature perfette e comode

per ogni necessità.

62

DANIELE ORTOLANI


Ritratti

d’artista

Mara Faggioli

L’invito alla gioia di un’artista a tuttotondo

di Doretta Boretti

L’arte di Mara Faggioli induce

alla bellezza, alla purezza, alla

gioia. La sua ricca personalità

traspare dai suoi numerosi dipinti di

volti, di bimbi felici, di ragazze e donne

festose. Anche i paesaggi esprimono

gioia, quella gioia incontenibile

che lei riesce a donare a tutti coloro

che incontra. Brava scultrice, coraggiosa

poetessa: «Ho iniziato a scrivere

poesie quando ero molto piccola

− dichiara −, era una vera passione,

poi da adulta ho sentito il desiderio

dirompente di creare con la scultura».

Dopo alcuni problemi di salute,

non potendo continuare con la scultura,

inizia a dedicarsi alla pittura:

«Dipingo bimbi, ragazze, donne di

qualunque nazionalità per donare un

messaggio di pace a tutti coloro che

incontrano la mia arte. Devo ammettere

che ad oggi queste tre arti si contendono

nella mia mente il primato».

Innumerevoli sono stati, nel corso

degli anni, i riconoscimenti conseguiti

non solo dalla critica ma anche da

tutti coloro che sono intervenuti alle

sue mostre personali e collettive. Artista

dalla grande attività produttiva,

è capace di soddisfare le numerose

richieste che molte persone le rivolgono,

anche associazioni no profit ed

enti pubblici. Proprio per la sua incontenibile

e calorosa generosità ha

donato a numerose personalità del

mondo dello spettacolo e dell’arte alcune

sue bellissime opere per motivi

educativo-sociali legati al rispetto

e all’amore per la vita. C’è da riconoscere

a Mara Faggioli che questo indiscusso

successo, sia nella poesia

che nella scultura e nella pittura, non

ha in alcun modo scalfito, nel tempo,

quell’immagine meravigliosamente

umile della sua personalità.

Bagliore di speranza I sogni dei bambini Shanti - Pace

MARA FAGGIOLI

63


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Silenziosa e robusta, non presenta leveraggi metallici grazie ad un motore ultrapiatto a

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Dotato di ferma materasso su ogni lato e di una stondatura angolare antinfortunistica.


Ritratti

d’artista

Simona Tesi

Ritrarre le donne per celebrare la vita

di Laura Belli

Grandi occhi ci guardano

da volti in primo piano

di donne giovani e belle.

Occhi talvolta sorridenti, sognanti

o ammiccanti, oppure severi e

enigmatici ma sempre accoglienti,

immersi in una miriade di colori

vivaci e squillanti ad esprimere,

nonostante tutto e tutti, la voglia

di vivere, il coraggio, l’intuizione

e l’amore per la vita che contraddistinguono

la donna. Qualità che

prevalgono anche nei momenti bui

− simboleggiati da Simona Tesi

con sbarre e grovigli posti davanti

ai bei volti − e che guidano lungo

sentieri tortuosi quando lo sguardo

diventa dolente ma conserva la

propria dignità e fierezza. Di fronte

a questi volti, ai loro fantasmagorici

colori, alla loro serialità, la

mente corre a Andy Warhol, al suo famoso

ritratto di Marilyn, anche se qui non

siamo di fronte ad opere di denuncia sociale,

ma a lavori frutto di un’instancabile

indagine interiore sui propri sentimenti,

sulle proprie sensazioni ed emozioni

trasferite sulla tela ed affidate, per condi-

Elfo, olio su tela, cm 50x70

viderle, alla sensibilità dell’osservatore.

Simona Tesi ha alle spalle anni di studio

condotti con costanza, impegno e curiosità

nell’approfondimento delle varie tecniche

pittoriche. Nata a Pistoia nel 1962,

abita sulle colline pistoiesi. Ama dipingere

nel verde e nella pace della natura per-

Nina, acrilico su tela, cm 30x30

ché sente che ciò favorisce l’ispirazione.

Dopo il diploma all’Istituto Tecnico “Filippo

Pacini” di Pistoia, ha frequentato

la Facoltà di Psicologia all’Università di

Firenze. Coltiva la passione per la pittura

fin dall’adolescenza e si è formata alla

scuola del pittore Paolo Tesi, dove ha

studiato tra l’altro disegno dal vero,

acquarello, olio, ecoline. A proposito

della sua attività artistica afferma:

«Dipingere per me è un’esigenza insopprimibile,

esprimo le emozioni

che provo attraverso il colore. Mi

piace ritrarre soprattutto donne perché

simboleggiano la vita; infatti, attraverso

i loro volti colorati esprimo

voglia di vivere, gioia, ma anche dolcezza

e tristezza. I soggetti possono

essere persone reali oppure di fantasia;

in entrambi i casi, m’interessa

suscitare emozioni e sensazioni in

chi guarda i miei quadri». Ha partecipato

a numerose collettive e ha tenuto

personali in Toscana e Umbria.

Le sue opere fanno parte di collezioni

private.

Legami, ecoline su carta Magnani, cm 50x70

simonatesi6@gmail.com

SIMONA TESI

65


Toscana

a tavola

A cura di

Franco Tozzi

Paolo Baratella

Intervista al giovane chef fiorentino vincitore del premio

internazionale Chefs Bench 2020 con un piatto vegano

di Franco Tozzi

Paolo Baratella è un giovane

cuoco di Lastra a Signa vincitore

del prestigioso premio internazionale

“Chefs Bench 2020”; siamo

andati ad intervistarlo all’agriturismo

sulle colline lastrigiane dove lavora.

Come sei diventato chef?

È iniziato tutto quando ero alle medie.

I miei genitori mi chiedevano spesso

di preparare la cena in modo da trovare

pronto al loro rientro dal lavoro.

A me piaceva preparare queste cenette

e così dopo le medie mi sono iscritto

all’Istituto Aurelio Saffi di Firenze,

con indirizzo per cuoco. Nel corso degli

studi ho fatto diversi stage in Italia,

Bretagna e a Malta.

Quando e come è avvenuta la tua

“conversione” alla cucina vegana?

La mia esperienza come cuoco è iniziata

nel dicembre del 2014, quando

ho deciso di andare a Londra, fermamente

determinato a lavorare come

cuoco. Per fortuna sono entrato a lavorare

nella catena alberghiera Hilton,

dove per due anni ho maturato una

buona esperienza e ho conosciuto una

persona che mi ha parlato della cucina

vegana, ed io, forse anche per la mia

sensibilità sui problemi ambientali e

animalisti, ho iniziato ad approfondire

questo tema. Dalla teoria sono passato

alla pratica seguendo per due anni

una dieta vegetariana e provando, senza

successo, a proporre alcuni piatti

vegani. Ho deciso allora di andare a lavorare

in un ristorante vegano italiano

sempre a Londra. Da quel momento il

mio orizzonte professionale è cambiato,

avendo avuto finalmente la possibilità

di proporre e vedere apprezzati

alcuni miei piatti.

Riesci a conciliare questo particolare

tipo di cucina con la tradizione toscana?

In Italia ho cercato di proporre piatti

vegani, senza però trascurare i piatti

della tradizione, perché nell’agriturismo

di mia cognata, dove attualmente

lavoro, i turisti si aspettano di mangiare

i classici piatti toscani. A 25 anni

posso dirmi contento di quanto ho

fatto e delle soddisfazioni professionali

che ho ottenuto; devo molto anche

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

al professor Armando Cristofori, presidente

dell’associazione enogastronomica

Italian Dining Summit che mi

ha permesso di entrare a far parte di

un mondo di professionisti di alto livello.

A questo punto della mia carriera,

ho voglia di approfondire la conoscenza

della cucina vegana e di farne comprendere

anche i risvolti ambientalisti.

Questo genere di cucina non è, come

molti pensano, povera e monotona, ma

è una realtà da scoprire e sperimentare,

legata alla tradizione contadina e

con un’infinita varietà di combinazioni

che soddisfano il palato e non sfruttano

gli animali.

Com’è nato il piatto che ha vinto lo

“Chefs Bench 2020”?

È stato progettato rielaborando un

piatto “bocciato” a Londra, ecco perché

questa vittoria è motivo per me

di doppia soddisfazione. Come molti

piatti vegani sembra complicato e invece

è facile da realizzare. La ricetta,

per i curiosi, si trova su Internet.

Puoi darci qualche consiglio su come

preparare un dolce vegano?

Paolo Baratella

Crostata salata di lenticchie: il piatto vincitore del

premio Chefs Bench 2020

Certo, ecco una ricetta: per la base,

frullate frutta secca (mandorle, nocciole,

anacardi) e usate come collante

sciroppo o datteri; per la farcia, preparate

una mousse frullando anacardi

(tenuti a bagno dieci ore) con mirtilli

e fragole.

66

PAOLO BARATELLA


A cura di

Paolo Bini

Arte del

Vino

Il gioco degli abbinamenti: primi piatti di mare

di Paolo Bini

Anche un’estate insolita come

quella 2020 non ha intaccato la

nostra atavica voglia di mangiare

e bere bene. L’italian lifestyle è fortunatamente

anche questo: cucina e

cantina vanno di pari passo e hanno un

ruolo preminente nella valorizzazione

dei nostri attimi più belli da condividere

con gli altri. Prevalentemente estivo, il

consumo di primi piatti a base di pesce

non conosce comunque momenti inadeguati

ed è sovente sinonimo di ricercatezza

e convivio significativo. Paste,

risotti o brodetti sono primi piatti di discreta

struttura e dalle dissimili caratteristiche

sensoriali che, per un ottimo

abbinamento cibo-vino, devono essere

innanzitutto valutati per la loro aromaticità

(data dal pesce e dalle erbe) e per la

loro tendenza dolce (data dagli amidi e

incrementata dall’eventuale presenza di

Toscana bianco

IGT Tinnari,

Falzari

Barco reale di Carmignano

rosato DOC Vin Ruspo,

Tenuta di Artimino

crostacei). In seconda battuta è necessario

valutare sensazioni organolettiche

quali untuosità e sapidità per avere

un quadro più completo sempre

condizionabile dalla maestria dello

chef che può, con il suo tocco

professionale, esaltare gli ingredienti

e renderli ancora più persistenti

in bocca. Saper scegliere

un vino che valorizzi il piatto e viceversa,

capite bene non sia così

scontato soprattutto per la variabilità

aleatoria delle percezioni

sopra espresse; occorre essere

bravi a prelevare la bottiglia giusta

da un’ampia gamma di colore

bianco ma anche rosa e, da non

escludere a priori, rosso delicato.

Più sarà intensa la percezione

degli aromi del piatto e più il vino

dovrà trasmettere il suo aroma

fruttato; a maggiore percettibilità

di quella sfumata sensazione

di dolcezza da amido dovrà contrapporsi

una decisa acidità nel

calice. I vini da abbinare a primi

piatti di pesce devono essere

giovani (non andate a cercare

in cantina bottiglie datate) e trasmettere

con vivacità i loro profumi,

sapori e colori.

La Trebbiano è un’uva tradizionalmente

toscana che non ha mai

ph. Mali Maeder

entusiasmato i palati degli appassionati.

Esistono però produttori come Falzari

che riescono a sfruttare le peculiarità

del vitigno e, con gestione agronomica

biologica e biodinamica, arrivano a fare

vini come Tinnari, un Toscana bianco

IGT di grande espressività e figlio solare

della terra vinciana. Ottima struttura,

buona persistenza dalle note profumate

di albicocca e ginestra, davvero idoneo

per bagnare degli strozzapreti ai

gamberi o i classici spaghetti alle vongole.

Piatti come la calamarata ai frutti

di mare, la paella di pesce o brodetti,

dove pomodoro e spezie impreziosiscono

l’approccio sensoriale, riescono

ad essere sublimati anche da vini rosa

come il Barco reale di Carmignano

rosato DOC Vin Ruspo prodotto da Tenuta

di Artimino 1596. Maturati in vigne

note da secoli per la qualità delle

uve, i grappoli di Sangiovese, Cabernet

Sauvignon e Merlot danno al Vin Ruspo

quei tipici profumi di agrumi, ciliegia

e fiori freschi, mentre nel sorso si

distende con piacevole sapidità e corpo

elegantemente scolpito. Suggestivo da

assaggiare direttamente (a casa sua…)

nei meravigliosi spazi della villa medicea

“La Ferdinanda” ma anche in ogni

luogo che conceda ai raggi luminosi del

sole la possibilità di far brillare le sue

tonalità corallo.

IL GIOCO DEGLI ABBINAMENTI

67


La voce

dei poeti

Ricordando la poetessa Clara Nistri Bellucci

ad un anno dalla scomparsa

di Giancarlo Bianchi / foto courtesy Carmelina Rotundo

AGiancarlo Bianchi mio caro

amico, un mio / personale

pensiero poetico /…Quasi ottanta

/…quasi ottanta. / Però, li porta

bene. / Un sorriso affiora sulle mie

labbra / appena inumidite / compiaciuto

compiacimento / eppure come

pesa / questa età. / Grava, come un

macigno, / sopra il mio spirito / mentre

annuisco al complimento / quasi

obbligato. / Grava sulle mie membra

/ ormai in disuso, / mentre dentro di

me / penso - può essere ogni giorno, /

può avvenire - / e, non importa quando

/ importa solo / che non faccia male /

come la vita / che sembrava amica. In

questo pensiero di Clara Nistri Bellucci,

mi preme sottolineare i due versi

“che non faccia male / come la vita”,

che si riferiscono alle ferite dell’anima

di Clara, le stesse ferite che io ho condiviso

con la madre del giovane poeta

scomparso prematuramente Gabriele

Bellucci, una madre che mi scrisse

una lettera in occasione di una mia

pubblicazione in ricordo di mia madre.

Ne cito un brevissimo stralcio

riportato anche in appendice al volume

All’ancora del tempo: «Giancarlo

carissimo, solo oggi ho potuto leggere

il piccolo album che hai preparato

in ricordo della tua carissima e amata

mamma…Ti abbraccio con l’anima

di una sorella, un caro saluto a tua

moglie, Clara». Continua ancora oggi

il nostro dialogo mai interrotto, con

questa raffinatissima poetessa e autrice

delle raccolte poetiche Nelle tue

mani, Come voce errante, Firenze e

me e La mia notte. È presente anche

in diverse antologie, per chi desidera

approfondire la conoscenza della sua

opera, come la collana Poeti in Toscana

(ed. Masso delle Fate, 2015), a

cura di Lorenzo Borghini, con il coordinamento

editoriale di Lucia Raveggi.

Due sono le esperienze poetiche

che ho condiviso con lei: la realizzazione

delle raccolte poetiche Pianeta

donna e Poeti in bici. Clara ci ha lasciato

il 13 settembre del 2019. Poco

prima della sua scomparsa è riuscita

con tenacia a pubblicare il volume

postumo del figlio Gabriele Bellucci

dal titolo Shirim, con prefazione di

Carmelo Mezzasalma e postfazione di

Franco Manescalchi. Porto sempre

nel mio cuore il suo ricordo, mi mancano

le nostre conversazioni, la sua

saggezza, la sua autenticità. Quando

avevo dei dubbi, le telefonavo e mi era

sufficiente una sua parola per vedere

tutto in modo più chiaro. Concludo

con un pensiero di Tagore tratto dal

volume Il Cristo: «Il dolore dell’amore

è un tesoro fatto di rinuncia, e in esso

l’uomo vince la morte». A queste

parole fanno eco quelle di Clara tratte

dal volume Come voce errante: «L’acqua

ritorna all’acqua, il suono torna al

suono, luce alla luce, l’anima torna a

Dio, e si fa eternità».

Incontro di poesia alla Basilica della SS. Annunziata nel 2005: la quarta da destra in piedi è Clara Nistri Bellucci

68

CLARA NISTRI BELLUCCI


La voce

dei poeti

Claudio Parigi

Il cuore lirico di un poeta fiorentino

di Paola Giusti

Queste poesie di Claudio Parigi

sono state scelte tra le tante

da lui pubblicate negli anni. Il

poeta Mario Luzi ebbe modo di leggerne

alcune e di esprimere un parere molto

favorevole, riconoscendo in Parigi un

autentico poeta che volle poi spesso invitare

nella propria casa per ascoltare

via via i suoi nuovi componimenti.

Soldato (1974) Vecchia barca (1993)

Alla stazione di notte a dicembre

a piedi fino a Bellariva

in divisa con congedo valigia e pagaia...

troppo lunga secondo un tassista

svogliato,

via Panzani, il Duomo

senza una persona

le piazze le strade i marmi la cupola

sono miei;

Il Corso Santa Croce la Biblioteca

Il fischio del vento e il passo pesante

con gli anfibi,

via Gioberti una lucina accesa,

in pasticceria gente mattiniera

non guardano un viso un soldato

con barba lunga

e tante ore di treno,

chiedo una pasta

me ne regalano due;

sono quasi a casa

da domani ho tanta emozione

mi faccio delle promesse

mi incomincia la vita.

Al tramonto (1998)

Da solo sulla spiaggia,

con la quiete del rumore dell’onda,

senza persone

mi ricongiungo alla natura del mare,

ora sento che questa imponente

massa d’acqua è vera,

rimango quasi stupito come se non

l’avessi saputo prima;

mentre il cielo rosso col buio si confonde

due gabbiani stanno pescando.

In Santa Croce (1980)

A quattro anni

con la nonna in Santa Croce,

camminavo fra le tombe molto attento

a non passarci sopra

a scansare

quelle figure distese; anch’io fiorentino

come quelle persone importanti,

impaurito

da quei teschi e ossa di marmo

solo un poco

per tanta familiarità in quei nomi

di vecchi...

Ugo, Dante, Gino.

Musica nell’aria (1998)

Seguo una musica

per le strade di Dubrovnik

salendo una scalinata

fra case di pietra

corrose dal vento di mare;

cerco le note di un pianoforte,

alzo lo sguardo alle finestre

mentre cammino in un dedalo

di vicoli deserti,

guidato da una emozione che

non conoscevo.

Non è annegata

l’ultima barca dei renaioli,

ma si è nascosta,

sta ricoperta dalla sabbia delle piene

sotto il Teatro Lido.

Bologna (2003,

poesia inedita)

Bologna è lì che mi aspetta

nelle osterie di Guccini

al calar della sera

e dopo uscendo di cena mano nella mano

colletto alzato e guanti con una

ragazza che canta

qualche volta ci ripenso

Bologna è lì che mi aspetta

con le luci dei bus sui viali

o sotto i portici con i piccoli Bar

con i vetri appannati

o in Piazza Grande con le sculture

in piena notte

con il rumore solitario dei miei passi

o a mezzogiorno di domenica

ai crocicchi con i tanti capannelli

delle persone

che ancora parlano del calcio

rossoblu del ’64

guardo in alto il cielo e le Torri

tortellini al dente o in brodo

vapore di cucina donne accoglienti

morbide che si fanno prendere e

trattenere alle mani

Bologna è di nuovo presente nel ricordo

e sulla mia pelle.

CLAUDIO PARIGI

69


Storia delle

Religioni

A cura di

Stefano Marucci

Santa Teresa di Calcutta

Il valore salvifico della preghiera

di Valter Quagliarotti

3^ e ultima parte

Altro aspetto della spiritualità di

Madre Teresa e delle Missionarie

della Carità è la preghiera.

«Amate la preghiera – dice Madre

Teresa – cercate di pregare». La preghiera

allarga il cuore fino a renderlo

abbastanza grande da accogliere il Signore.

Chiedete e cercate, e il vostro

cuore diventerà grande fino a poter ricevere

Gesù e a trattenerlo come vostro

ospite. La preghiera è una “linea

calda di comunicazione con Dio”, a disposizione

per ogni emergenza. Inoltre

la preghiera opera miracoli, qui e ovunque,

purché sia una preghiera di fede,

umile, costante, piena di abbandono a

Dio. Madre Teresa affermava spesso

che l’egoismo è la più grande sventura

di una persona. E aggiungeva: «Sfido

chiunque: non potrete mai trovare

un egoista felice. Nelle società del benessere

l’egoismo è molto diffuso e per

questa ragione, purtroppo, sono diffuse

scontentezza, inquietudine, violenza. La

radice dell’egoismo, così come di tutti

i mali che ci affliggono, è la mancanza

di preghiera. La dedizione ai poveri,

fondata sulla preghiera, è l’unica medicina

per vincere l’egoismo e trovare la

gioia». Il 26 ottobre 1985 Madre Teresa

fu invitata a parlare all’Assemblea Generale

dell’ONU. Di fronte alla presentazione

che le venne fatta, si fece ancora

più piccola, ma la sua fede era grande.

Mostrò l’immancabile corona del Rosario

e disse: «Io sono soltanto una povera

suora che prega. Pregando, Gesù mi

mette nel cuore il suo amore e io vado

a donarlo a tutti i poveri che incontro

sul mio cammino». Fece un momento

di silenzio, poi aggiunse: «Pregate

anche voi! Pregate e vi accorgerete

dei poveri che avete accanto. Forse sullo

stesso pianerottolo della vostra abitazione.

Forse anche nelle vostre case

c’è chi aspetta il vostro amore. Pregate

e gli occhi si apriranno e il cuore si

riempirà di amore». Per Madre Teresa

così come per Sant’Agostino, la preghiera

è “il respiro dell’anima”, essa fa

sì che l’anima dimori nella dimensione

pura dell’amore di Dio. Solo la preghiera

possiede il carattere distintivo che la

rende atto universale di carità. È l’unico

mezzo a nostra disposizione per esprimere

amore universale, l’unico mezzo

per compiere un atto benefico per tutto

il genere umano. Le Costituzioni delle

Missionarie della Carità esprimono

questo amore e affermano: «Senza preghiera

non vi è fede, senza fede non vi

è amore, senza amore non vi è dedizione,

senza dedizione non vi è servizio per

coloro che si trovano nella necessità».

Le suore dedicano alla preghiera da tre

a quattro ore al giorno. «La preghiera

– chiarisce la Madre – non va confusa

con il lavoro e il lavoro non va confuso

con la preghiera». Il primato appartiene

alla preghiera, e quindi “non possiamo

sostituire la preghiera con il lavoro”,

così affermano le Costituzioni. Dobbiamo

pregare con semplicità. «La nostra

preghiera è molto semplice», dice

la santa. Semplice come quella di un figlio

di Dio; quanto più è semplice tanto

più è valida. «Gesù è la nostra preghiera

− si legge nelle Costituzioni − ed è

nello stesso tempo la risposta alla nostra

preghiera. Egli ha scelto di essere

in noi il canto vivo d’amore, lode, adorazione,

ringraziamento, intercessione

e riparazione al Padre in nome di tutto

il creato».

70

SANTA TERESA DI CALCUTTA


In vetrina

Ditutto Dipiù

Passato e presente della fotografia in oggetti da collezione

di Claudio Caioli

Il detto “è difficile come cercare un

ago nel pagliaio” non trova conferma

nei 2.200 mq del capannone di

Ditutto Dipiù, in via del Lavoro a Montelupo

Fiorentino, dove oltre a mobili

d’arredo, opere d’arte, trattori, dischi e

mille altre cose ancora, possiamo trovare

delle vere e proprie “chicche”, rarità

da collezione, come macchine fotografiche

di ogni tipo. Oggi basta possedere

uno smartphone, un semplice telefonino

per scattare delle ottime foto, ma

quanto tempo è passato e quanta tecnologia

è stata necessaria per arrivare

a questo punto? Una storia, quella della

fotografia, che viene da lontano. Già

nel 350 a.C. Aristotele osservava come

la luce, passando da un piccolo foro,

proiettasse un’immagine circolare. Bisogna

però aspettare il Cinquecento e

il grande Leonardo da Vinci per iniziare

a posare le basi per la realizzazione

delle prime macchine fotografiche

con il principio della

camera oscura. Nel 1657,

questo sistema viene perfezionato da

Kaspar Schott che ne migliora la messa

a fuoco grazie a due cassette scorrevoli:

si tratta del primo vero antenato

della Reflex che segna la nascita della

fotografia. Quanto tempo è passato

da Aristotele, che studiava il cammino

della luce attraverso un foro, ai moderni

selfie scattati con i telefonini. Quando

si dice “l’evoluzione della specie”...e vedendo

le numerose macchine fotografiche

d’epoca in mostra a Ditutto Dipiù ci

rendiamo conto di quanto affascinante

sia stato questo lungo percorso.

Via del Lavoro, 6, Montelupo Fiorentino (FI)

Dal lunedì alla domenica;

giorno di chiusura: lunedì mattina

Orario di apertura: 9.30/13.00 - 15.30/19.30

www.dituttodipiu.net

Ditutto Dipiu Mercatino Dell'usato

ditutto.dipiu

dituttodipiu

DITUTTO DIPIÙ

71


Ritratti

d’artista

Letizia Bensaia

Una pittura testimone dell’inquietudine giovanile

di Doretta Boretti

Èun’emozione indicibile presentare

una nuova giovane promettente

artista come Letizia

Bensaia, che ha studiato all’Istituto

d’Arte di Porta Romana a Firenze (Sezione

Grafica e Fotografia) e che grazie

alla sua predisposizione alla pittura ha

iniziato precocemente a dipingere. Artista

amante della perfezione della forma,

testimone dell’inquietudine giovanile,

di questo nuovo millennio così complesso,

soprattutto per quel tempo che

sembra non avere più, per i giovani, né

significato né valore. I grigi dominano i

suoi dipinti mentre la sua curiosità penetra

e vince le difficoltà che la vita le

presenta. Stupenda la visione di Firenze,

quella Firenze che rappresenta un

Rinascimento così vivo e ricco di colore

e la sua pittura si tinge di marrone,

di arancione, di azzurro; ma la sua

visione appare ostacolata da qualcosa

che però non può impedire all’occhio

che osserva di ammirare la purezza del

bello. Così la classicità si fonde con

una nuova proposta pittorica assai ricca

di contemporaneità. Credo che questa

promettente artista abbia molto da

narrare e sono certa che offrirà, a coloro

che avranno la fortuna di seguirla nel

suo percorso artistico, molte emozioni,

e stimolerà in loro numerosi interrogativi

su questo inquieto secolo assai povero

di arte vera.

letiziabensaia@gmail.com

Sguardo inedito, tecnica mista su legno, cm 60x60

BLM (2020), tecnica mista su legno, cm 50x70

72

LETIZIA BENSAIA


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

La cultura come motore della ripartenza

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue presenta

gli eventi culturali di ottobre

di Stefania Macrì

tecipano con trentadue opere: Sofia

Becherucci e Arnaldo Marini dall’Italia,

Maria Bostenaru Dan dalla Romania,

Jacek Gramatyka, Michał Träger

e Mieczyslaw Ziomek dalla Polonia,

Noor Hamada dal Bahrein, Alexander

Lantukhov dall’Ucraina. Se sei un artista

e vuoi farti conoscere, contattaci a

info@lifebeyondtourism.org.

Il 19 ottobre si terrà la cerimonia di

svelamento di un busto di Michelangelo

Buonarroti, realizzato dallo scultore

Dino De Ranieri in marmo bianco di

Carrara, alla Biblioteca Nazionale della

Repubblica di Moldova. La Fondazione

Romualdo Del Bianco ha donato

l’opera, con la collaborazione dell’Ambasciata

d’Italia a Chisinau, in occasione

della XX Settimana della Lingua

Italiana nel Mondo, segnando così l’av-

Il programma autunnale delle iniziative

del Movimento Life Beyond

Tourism Travel to Dialogue è stato

aggiornato in funzione del Covid-19 in

forma virtuale e innovativa: la cultura è

centrale per risollevare i nostri territori

e l’economia, all’insegna del “saper fare”,

delle tradizioni e della valorizzazione

del locale.

L’evento di rilievo è la presentazione degli

Atti del Forum 2020 Building Peace

through Heritage − World Forum to

Change through Dialogue in programma

il 20 ottobre, dalle ore 14.00, in collegamento

Zoom dall’Auditorium al Duomo

di Firenze. L’incontro si compone di

tre momenti: il messaggio di commiato

del presidente, Paolo Del Bianco dopo

oltre trent’anni di impegno personale

e intellettuale nella promozione del dialogo

interculturale; la presentazione delle

tre pubblicazioni del Forum 2020,

con oltre milleduecento pagine e duecentotrenta

testi di autori da quarantotto

paesi, che chiude idealmente il suo

mandato; una panoramica sulla programmazione

oltre il 2020 da parte

della vicepresidente Carlotta Del Bianco.

Un passo in avanti verso un futuro

dove è sempre più necessario vivere nel

rispetto del prossimo grazie al dialogo

interculturale, nella valorizzazione delle

espressioni culturali dei territori e della

salvaguardia del pianeta Terra. Per

informazioni: www.lifebeyondtourism.

org/it/events/world-forum-to-change-through-dialogue/.

La seconda mostra virtuale

Art in our Heart WEB è

online fino al 15 dicembre

all’indirizzo www.lifebeyondtourism.org/it/

galleria-arte-online/edizione-settembre-2020/.

A esporre ci sono otto

artisti italiani e

internazionali che parvio

di una collaborazione con un paese

interessato all’apertura internazionale

nelle relazioni sociali e commerciali.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel

to Dialogue incentiva aziende, istituzioni,

artisti e singoli utenti a interagire

tra loro per la costruzione di relazioni

di conoscenza e cambiamento. Entrare

nella nostra community è semplice: seguici

su www.lifebeyondtourism.org.

Costume Colloquium VII − Fashion

and Dress in Space and Place

Sono aperte le iscrizioni al Costume

Colloquium VII che si svolgerà

in forma virtuale a novembre.

Programma dei relatori e la registrazione

all’evento sono online:

www.lifebeyondtourism.org/costume-colloquium-iiv-2020/

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

73


B&B Hotels

Italia

Nel cuore del capoluogo lombardo il nuovo

B&B Hotel Milano City Center Duomo

di Francesca Vivaldi

B&B Hotels, catena internazionale

con più di cinquecento

hotel in Europa e quarantadue

in Italia, continua la sua espansione

con il nuovo e centralissimo B&B Hotel

Milano City Center Duomo, settima

struttura nel capoluogo lombardo.

Situato accanto alla centralissima via

Dante, tra il duomo e il Castello Sforzesco,

l’albergo presenta un design

innovativo e uno stile raffinato, luogo

perfetto per i viaggiatori moderni, sia

business che leisure.

La struttura propone un’accoglienza

all’insegna della sicurezza e servizi

di qualità a prezzi convenienti solo

su hotelbb.com. Il nuovo B&B Hotel

Milano City Center Duomo offre uno

splendido dehor interno – un giardino

d’inverno sviluppato attorno ad

un’imponente magnolia secolare, che

la mattina accoglie gli ospiti per una

gustosa colazione e, durante il resto

del giorno, diventa un’ampia area relax

perfetta anche per lo smart working

grazie alla connessione illimitata

e gratuita.

All’ultimo piano, sul tetto della struttura,

uno splendido rooftop di 150 mq

è a disposizione di tutti gli ospiti sia

interni che esterni per l’organizzazione

di eventi privati ed esclusivi, nel rispetto

delle normative vigenti. Questa

terrazza è uno dei pochissimi spazi a

Milano in grado di offrire una visuale

a 360° sull’intero skyline della città

meneghina.

Per gli spazi interni sono stati selezionati

materiali Made in Italy con una

grande attenzione verso la sostenibilità

e, in ognuna delle cinquantanove

camere, sono presenti arredi personalizzati

e opere di art design. Tutte

le stanze sono dotate dei comfort necessari

per godersi un soggiorno in

pieno relax e sicurezza grazie al pro-

74

B&B HOTEL MILANO


tocollo Safety Label High Quality Anti

Covid-19 sviluppato da B&B Hotels

Italia a tutela degli ospiti e dello staff.

«Sono molto orgoglioso di riconfermare

la strategia espansionistica di

B&B Hotels, in controtendenza rispetto

al mercato. Il nostro business model

vede da un lato l’apertura di nuove

strutture, dall’altro mira a consolidare

e implementare servizi di qualità superiore,

che crediamo essere uno dei

principali valori aggiunti su cui agire

per offrire ai nostri ospiti la migliore

esperienza di viaggio possibile» ha dichiarato

Valerio Duchini, presidente

amministratore delegato di B&B Hotels

Italia.

B&B HOTEL MILANO

75


Arte e

gusto

A cura di

Elena Maria Petrini

Bianca Piovano

Riconfermata alla presidenza nazionale di ONAS

di Elena Maria Petrini / foto Alberto Camilletti e Marika Susinni

Bianca Piovano, presidente nazionale ONAS

Lo scorso fine settimana quasi

trecento soci provenienti

da tutta Italia hanno votato

il nuovo consiglio che, all’unanimità,

ha rieletto la dottoressa Bianca Piovano

alla presidenza nazionale di ONAS

(Organizzazione Nazionale Assaggiatori

di Salumi), associazione senza

finalità di lucro, fondata il 19 ottobre

1999 presso la CCIAA di Cuneo,

per promuovere e diffondere la cultura

del salume dall’allevamento alla

macellazione, attraverso corsi di formazione,

aggiornamento e specializzazione

realizzati sia su tutto il territorio

nazionale e anche a livello internazionale.

ONAS esegue, con un panel di

assaggiatori esperti di analisi sensoriale

dei salumi, una valutazione dei

caratteri organolettici dei prodotti per

le aziende produttrici e consorzi di tutela,

ma anche degustazioni guidate

per consumatori ed operatori turistici.

Collabora, inoltre, con le associazioni

di categoria per promuovere la conoscenza

e la valorizzazione dei prodotti

tipici locali. Ma chi è Bianca Piovano?

Si laurea nel 1967 in Scienze Biologiche

(ora medaglia d’oro per i quarant’anni

di professione dell’Ordine

dei Biologi, che ha contribuito a fondare),

ed inizia la sua lunga carriera

nel caseificio Locatelli di Moretta

(CN), come responsabile qualità del

laboratorio analisi, una figura aziendale

che ancora non esisteva. Di sua

specifica competenza sono le prove

della conservazione dei formaggi,

in particolare delle mozzarelle, per testare

l’evoluzione delle loro caratteristiche

organolettiche; al contempo, si

occupa anche di allevamento di suini

di razza Landrace White. Tre anni dopo

si trasferisce al salumificio sempre

dell'azienda Locatelli come responsabile

del laboratorio analisi e dell’intera

filiera di produzione dei salumi. Inizia

ad approfondire la sensometria

degli alimenti, una nuova disciplina

nata negli Stati Uniti negli

anni Cinquanta, che valuta perché

alcuni cibi, benché validi ed

equilibrati nutrizionalmente, siano

maggiormente appetibili da

alcuni soggetti e sgraditi ad altri.

Sulla base di questi studi,

viene creato al salumificio un

gruppo di assaggio che si riunisce

una volta alla settimana per

valutare i prodotti da proporre

sul mercato e le loro caratteristiche

organolettiche compilando

delle schede riassuntive

di valutazione. Questa procedura,

inizialmente vista con un

certo scetticismo, si rivela invece

utilissima poiché, assieme

76

BIANCA PIOVANO


all’analisi chimica e microbiologica,

permette di scartare i prodotti difettosi

prima che raggiungano i consumatori

finali. Negli anni successivi, la Piovano

diventa direttore di stabilimento

della Balocco, con il ruolo di addetta al

controllo qualità dei prodotti da forno.

Dal 1969 frequenta a Lille (Francia) i

corsi internazionali di microbiologia

degli alimenti − latte, formaggi, carne

e derivati, uova, pesce, acque minerali

− ottenendo così il Diplome d’études

supérieures et specialisées de Microbiliogie

des aliments e d’Hygiene des

Collectivites nel 1990. Dal 1979 ha

l’incarico di biologo dirigente del laboratorio

di igiene e profilassi di Cuneo,

dove si occupa dell’analisi microbiologica

di acque potabili, minerali

e alimenti. Nel 1989, viene

costituita, presso la Camera di

Commercio di Cuneo, l’ONAF

(Organizzazione Nazionale Assaggiatori

Formaggi), della quale

è socio fondatore e maestro

assaggiatore. Nel 1999, sempre

alla Camera di Commercio di Cuneo,

diviene socio fondatore di

un’analoga associazione per la

filiera suinicola, l’ONAS, con sede

a Fossano, di cui assume la

presidenza. L’Associazione Nazionale

Assaggiatori di Salumi

conta inizialmente ventinove soci,

realizza quattro corsi specialistici

e diversificati per tipologie

di salumi e sviluppa un piano di

studi ben articolato per chi voglia

acquisire il titolo di “maestro assaggiatore”.

Viene, inoltre, costituito

un gruppo tecnico di lavoro che porta

alla stesura delle prime schede di

valutazione sensoriale dei salumi che

sono essenzialmente di quattro tipi:

tritati crudi, tritati cotti, pezzi anatomici

interi crudi e cotti. Attualmente è

allo studio una quinta scheda per i salumi

spalmabili. I corsi continuano, si

aprono le prime delegazioni in molte

città in tutta Italia; vengono preparate

le dispense, i libri, le brochure sempre

inviate gratuitamente ai soci. Nel

2007 nasce il GIA (Gruppo Italiano Assaggiatori)

con i rappresentanti di sette

associazioni di sensorialisti: AED

ABTM (aceto balsamico tradizionale

di Modena DOP), Albo mieli,

ANAG (grappa e acquaviti),

ONAFrut (frutta), ONAF (formaggi),

ONAS (salumi), ONAV

(vino). ONAS ha il coordinamento

del gruppo tecnico.

Nel 2018, ONAV esce dal GIA

ed entra ONAB (birra); ONAS

e GIA sono marchi registrati

con il riconoscimento giuridico

di ONAS, il quale, nel 2019,

festeggia vent’anni di intensa

attività con ormai quasi cinquemila

soci iscritti. Nel 2020,

il Covid-19 stravolge tutto, ma

ONAS reagisce brillantemente

con ONAS 2.0, ovvero l’attività

online: iniziano le videoconferenze

gratuite per i soci,

viene creata a Fossano la struttura logistica

per l’invio dei salumi prima del

corso ai partecipanti. Per ogni corso,

in un’aula virtuale, su piattaforma professionale

dedicata, ci sono le lezioni

online, gli assaggi guidati in remoto

dal docente in contemporanea con i

corsisti. È un grande successo anche

dall’estero: nasce così ONAS International,

grazie al lavoro e all’impegno

dei soci Simone Massenza e Vincenzo

di Nuzzo, e ne viene registrato il

marchio. Per i crediti formativi viene

sostituito l’evento di persona con “Assaggi

d’Europa”, avviato da poco, con

docenze e assaggi di prodotti stranieri:

spagnoli, francesi, tedeschi. Prossimamente

anche Australia e USA.

BIANCA PIOVANO

77


I maestri dell'

architettura

A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Il Ponte di Rialto

Il capolavoro di Antonio da Ponte a Venezia

di Margherita Blonska Ciardi

Non tutti conoscono la vera storia

del Ponte di Rialto che unisce

le due sponde di Venezia ed

è giustamente considerato uno tra più

belli al mondo. Fin dal 1172, la Serenissima

mise a disposizione dei cittadini un

attraversamento fatto di barche per unire

i due lati del Canal Grande. Successivamente,

nel 1181, il doge Nicolò Buratieri

fece realizzare il ponte detto della Moneta

o Quartarolo (chiamato così dal nome

della tassa monetaria che bisognava pagare

per attraversarlo). Intanto il commercio

sulle due rive del canale cresceva

e i flussi di attraversamento si facevano

sempre più intensi causando spesso il

danneggiamento delle strutture di legno.

Il ponte levatoio a due rampe costruito

nel 1250 crollò per ben due volte a causa

dell’eccessivo carico. Nel 1551, le autorità

veneziane bandirono un concorso

per la progettazione di un nuovo ponte

in pietra. I disegni pervenuti dalle “archistar”

dell’epoca come Jacopo Sansovino,

Andrea Palladio, Michelangelo e il

Vignola non risultarono abbastanza convincenti:

secondo la giuria le proposte

erano troppo scontate e classicheggianti.

Per questo motivo, si preferì aspettare.

Nel 1587 fu bandito un secondo

concorso al quale parteciparono il celebre

ingegnere e architetto esperto di carpenteria

Antonio da Ponte e l’architetto

Vincenzo Scanozzi. L’idea audace e avveniristica

di un ponte ad unica campata

di 28 metri proposta da Antonio da Ponte

fu accolta con grande entusiasmo dalla

commissione che voleva qualcosa di

più innovativo. Il Ponte di Rialto è diventato

un simbolo della città, ma la genialità

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della sua struttura edificata in pietra d’istria

consiste nel seguire il vecchio progetto

a due rampe cercando di sostenere

quest’ultime con un’unica arcata, affiancandole

a entrambi i lati con la costruzione

di ventiquattro botteghe. Le due

rampe sono suddivise ciascuna in tre

corsie (la centrale è di 10 metri e ha gradoni

piu larghi mentre le laterali sono di

3 metri). La sua bellezza è data dall’apparente

leggerezza della struttura che mette

in comunicazione due parti della città, ricordando

i merletti veneti con la sua copertura

fatta ad arcate.

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IL PONTE DI RIALTO


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