celebra Segantini - Riviste - Provincia autonoma di Trento

POSTER ARTE – 1858-2008 ARcO cElEbRA SEgAnTini – FEbbRAiO 2008
ARTE
1858-2008 Arco
celebra
Segantini
POSTER TRENTINO – Bimestrale della Provincia autonoma di Trento – Anno 8 n. 1 – Febbraio 2008

ARTE
Le Istituzioni
L’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica
e il Patrocinio del Ministero
per i Beni e le Attività culturali
La Bussola
Tariffe, servizi, informazioni
Della Natura
La presentazione della mostra
di Giovanna Nicoletti
La luce dei monti
di Beat Stutzer
Io ricordo ancora
di Romano Turrini
Gioconda Segantini
L’intervista
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25
Il mito della montagna
Nell’arte Trentina del primo Novecento 30
Arco, terra natale
di Arianna Tamburini
Portfolio
Opere del Maestro
Segantini e la chiromante
Il racconto
di Pino Loperfido
Il Calendario
Le manifestazioni per Segantini
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39
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62
Bimestrale della
PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
Anno 8 n. 1
FEBBRAIO 2008
direttore responsabile
GIAMPAOLO PEDROTTI
coordinatore
CARLO MARTINELLI
numero a cura di
ARIANNA TAMBURINI
Redazione:
PIER FRANCESCO FEDRIZZI
MAURO NERI
MARCO PONTONI
FAUSTA SLANZI
CORRADO ZANETTI
Segretaria di redazione:
ALESSANDRA ODORIZZI
Registrazione
del Tribunale di Trento
n. 864 del 6 giugno 1995
Direzione, amministrazione
e pubblicità:
Palazzo della Provincia
38100 Trento,
Piazza Dante, 15
Tel. 0461 494614
FOTO
Fabio Emanuelli di Arco
Nicola Eccher di Trento
Foto Flury di Pontresina
Per le immagini si ringraziano
Mart - Rovereto
Segantini Museum St. Moritz
Cassa Rurale Alto Garda
Archivio Storico di Arco
PROGETTO GRAFICO
Artimedia – Trento
STAMPA
Temi – Trento

Alla mostra di Segantini
l’Alto Patronato
del Presidente
della Repubblica
e il Patrocinio
del Ministero per i Beni
e le Attività culturali
La mostra: “Giovanni Segantini. Della
Natura”, dall’8 marzo alla Galleria
Civica di Arco, ha ottenuto due ulteriori,
importanti riconoscimenti: l’Alto
Patronato del Presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano e il Patrocinio
del Ministero per i Beni e le Attività
culturali
È del 5 febbraio il telegramma inviato
dal Segretario Generale della Presidenza
della Repubblica che concede
l’Alto Patronato. In poche righe il Segretario
Generale del Quirinale, Donato
Marra informa, a nome del presidente
Giorgio Napolitano, della concessione
dell’Alto Patronato presidenziale,
e formula i suoi migliori auguri
per la riuscita dell’iniziativa.
Dello stesso tenore il telegramma
dell’8 febbraio, firmato da Guido Improta,
Capo di Gabinetto del Ministero
per i Beni e le Attività culturali, che
assicura il Patrocinio del Ministero.
Si tratta di un passaggio di grande valore,
visto che l’Alto Patronato rappresenta
il modo più significativo con
il quale il Presidente della Repubblica
intende sottolineare il suo apprezzamento
ad iniziative particolarmente
meritevoli. Inoltre, permette di dare
ampio respiro alla mostra che il Comune
di Arco dedica a Segantini, poiché,
una volta determinata la concessione,
ne viene data notizia anche alla
istituzioni più importanti dello Stato. Il
Patrocinio del Ministero per i Beni e
le Attività culturali ha poi un significato
più squisitamente culturale e premia
un lungo lavoro fatto dalla Galleria
Civica di Arco in questi anni.
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Giovanni Segantini. Della Natura
(8 marzo - 11 maggio)
Tutti i giorni dalle 10 alle 18; venerdì e sabato dalle 10 alle 22
Galleria Civica G. Segantini – via Segantini, 9 - Arco
TARIFFE VALIDE PER L’INGRESSO ALLA MOSTRA
> Intero: 5,00 euro
> Ridotto: 3,00 euro
> Scolaresche: solo su prenotazione:
- Visita guidata: 40,00 euro a classe
- Senza visita guidata 20,00 euro a classe
- Laboratorio 1 giornata + visita guidata: euro 70,00 (3 ore)
- Laboratorio 2 giornate + visita guidata: euro 100,00 (2 ore + 3 ore)
LE ALTRE TARIFFE
> Visite guidate per gruppi (solo su prenotazione):
- Gruppi (min 12-max 25): 40,00 euro
La tariffa è relativa alla sola visita e non include il costo del biglietto d’ingresso.
Si prega gentilmente di dare un preavviso di almeno 24 ore nel caso in cui non sia
possibile rispettare l’appuntamento. In caso contrario saremo costretti ad addebitare
il costo della visita.
> Non si effettuano visite guidate:
- Marzo: sabato 8, domenica 9, sabato 22, domenica 23, lunedì 24
- Aprile: venerdì 25
- Maggio: giovedì 1
> Visite guidate senza prenotazione:
Sabato pomeriggio e domenica pomeriggio alle ore 16.00 c’è la possibilità di effettuare
una visita guidata senza prenotazione al prezzo di 10,00 euro per un massimo
di 25 persone.
Costo: biglietto + 2,00 euro di supplemento per la visita (gratuita per i bambini fino
ai 6 anni di età)
> Non si effettuano visite guidate speciali:
- Marzo: sabato 8, domenica 9, sabato 22, domenica 23
> Audioguida (italiano/inglese/tedesco):
- Noleggio: 2,00 euro
> Hanno diritto all’ingresso ridotto a 3,00 euro
- gruppo (min 12 – max 25 persone) con prenotazione obbligatoria
- residenti Arco

- over 65
- studenti universitari con tessera
- studenti dell’università della terza età con tessera
> Hanno diritto all’ingresso gratuito:
- disabili e accompagnatori per chi lo necessita
- forze dell’ordine e militari in divisa
- ragazzi fino ai 18 anni di età
- capigruppo
- insegnanti e accompagnatori di scolaresche
- guide turistiche ed interpreti nell’esercizio della loro professione
- giornalisti con tessera professionale
Per informazioni e prenotazioni per gruppi e visite guidate telefonare a:
Tel: 0039.0464.583653
Contatto e-mail: galleriacivica@comune.arco.tn.it
Sito internet: www.galleriacivica-arco.it
ARCO SI PUÒ RAGGIUNGERE
> Con l’Autostrada A22 del Brennero uscita Rovereto Sud, seguire le indicazioni
per il Lago di Garda, al bivio del paese di Nago svoltare a destra, indicazioni per
Arco a 5 Km
> Dalla strada Statale 45 Bis Trento, Pietramurata, Dro, Arco
> Dalla Gardesana Malcesine Torbole, Riva del Garda, Arco
> In Ferrovia stazione Rovereto, autobus di linea per Arco
COMITATO SCIENTIFICO
> Giovanna Nicoletti, direttore artistico Galleria Civica G. Segantini, Arco
> Gabriella Belli, direttore Mart, Rovereto
> Romano Turrini, storico
> Beat Stutzer, direttore del Bündner Kunstmuseum Chur - Museo d’Arte
dei Grigioni di Coira e conservatore del Segantini Museum di St. Moritz
PRESTATORI
> Italia
- Comune di Arco
- MART, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto e Trento
- GAM, Galleria d’Arte Moderna di Milano
- Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto
- Cassa Rurale Alto Garda
- Collezioni private
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> Estero
- Segantini Museum, St. Moritz
- Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung
- Kunsthaus, Zürich
- Bünder Kunstmuseum, Chur
COLLABORANO CON IL COMUNE DI ARCO
> Partner
- Regione Autonoma Trentino Alto Adige
- Provincia Autonoma di Trento
- Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto
> Collaboratori
- Cassa Rurale Alto Garda e Casse Rurali Trentine
- Ingarda Trentino S.p.A.
- Bacino Imbrifero Montano Sarca, Mincio, Garda
> Sponsor
- Cantina La Vis e Valle di Cembra
- Fedrigoni Cartiere S.p.A.
- Cassa Centrale delle Casse Rurali Trentine – BCC Nord Est S.p.A.
- ITAS Assicurazioni
- Gruppo Trentino Servizi

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Giovanni Segantini
Della Natura

di Giovanna NICOLETTI
La mostra intitolata a Giovanni Segantini
accompagna, con il sottotitolo
Della Natura, lo sguardo del
visitatore ad attraversare la dimensione del
paesaggio per assaporarne la parte naturalistica
ma anche quella più propriamente
simbolica. I termini Della Natura vogliono
indicare il soggetto privilegiato dall’artista
e cioè la natura intesa come forma,
come insieme di elementi che compongono
il paesaggio, ma anche come luogo nel
quale si concentrano energie e sentimenti,
sensazioni e frammenti di vita e di esperienze.
La vita di Giovanni Segantini è di
fatto una storia fatta di partenze e di ritorni,
anche non necessariamente reali. È infatti
più volte citato nei testi e nelle conferenze
il desiderio dell’artista di fare ritorno
ad Arco.
Nei luoghi si vive, da Arco a Milano, a
Borgo Valsugana, nuovamente a Milano,
per poi partire per la Brianza e infine per
la Svizzera avvicinandosi sempre più alla
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n Autoritratto a vent’anni, 1879-80
(Olio su tela, cm 35x26); Comune di Trento
montagna. Dai Grigioni al Maloja, la vetta
della montagna, e con questa la luce rarefatta
che disegna ogni particolare della
roccia e traccia ogni sottile linea dell’erba,
si fa sempre più vicina. Una costante del
percorso segantiniano è il tema della montagna
come luogo che circonda, che protegge
fin dall’infanzia, nel ricordo del paesaggio
arcense, e che, da questo momento
lo stimolerà all’ascesa. Salire le montagne
per carpirne la luce, il silenzio, è una particolare
dimensione che solo l’alta montagna
permette. Molti pittori dipingono la
natura come uno scenario, Segantini, invece,
la porta in primo piano. Studia l’uomo
e il suo spirito, le rocce e la neve, i
ghiacciai, i prati e i fiori. Sente gli animali
e la luce divina del sole, le ombre fredde,
la dolcezza del tramonto e il mistero delle
notti. A partire dalle opere del periodo
giovanile come L’ Autoritratto a vent’anni
del 1879-80 e le nature morte, realizzate
negli stessi anni, immediatamente si percepisce
la particolare sensibilità dell’artista
nel fissare attraverso tocchi di colore e un
disegno puntuale la particolarità e l’intensità
dei soggetti. I frutti e i fiori, caratteristici
di queste composizioni, acquisiscono
forma rivisitando, sulla scia della scapigliatura
lombarda, la produzione seicentesca
di questo genere. I suoi primi lavori, esposti
all’Esposizione Nazionale di Brera del
1879 e seguiti con attenzione dalla critica,
già mostrano l’influenza del verismo lombardo,
interpretato attraverso la dissolvenza
del colore e l’indefinitezza dei contorni
che creano atmosfere avvolgenti. Di fatto
dal 1875 al 1879 Segantini frequenta i
corsi regolari dell’Accademia di Brera, studiando
con Giuseppe Bertini, artista che
traghetta gli insegnamenti romantici verso
la poetica della scapigliatura. Nel ritratto
e nella figura la naturalità del tratto apre
verso una maggiore distensione della narrazione
tanto che gli sfondi sono accennati
quasi a tralasciare il riferimento al paesaggio
preferendo costruire una sorta di quinta
scenografica sulla quale si appoggiano
pennellate vaporose di colore.
Dagli anni Ottanta dell’Ottocento, Segantini
soggiorna in Brianza con la compagna
Bice Bugatti alla ricerca di una nuova rappresentazione
del paesaggio, prima a Pusiano,
poi a Carella e a Cornano. Sono di
questi anni i suoi soggetti che percorrono
la vita agreste: il lavoro nei campi, il pascolo,
la tosatura e la filatura. Di particolare
intensità sono le luci delle stalle dove
sono raccolti gli animali, luce che attraverso
tocchi di colore via via più allungati
incominciano a dare spessore alla tecnica
del colore diviso. A differenza del pun

n La benedizione delle pecore, 1884 (Olio su tela, cm 198x120); Segantini Museum, St Moritz/Schweiz
tinismo francese, particolarmente attento
agli aspetti scientifici della tecnica pittorica,
il divisionismo mette in evidenza le
impressioni e le emozioni provate davanti
alla natura. Importanti sono i disegni che
accompagnano lo sviluppo della tematica
agreste, manifestando lo studio dell’effetto
di luce che circonda figure e animali
e definendo la plasticità della composizione.
La tela intitolata La benedizione delle
pecore, del 1884 riassume, nella apertura
del cielo, l’effetto chiaroscurale. Il gregge
si appoggia alla scalinata della chiesa pro-
venendo da una strada che sembra fuoriuscire
dalle profondità del dipinto. La chiesa
rimane fuori campo e lo sguardo si concentra
sul sacerdote e sul gruppo di chierichetti
mentre i rumori, gli odori, l’atmosfera
si riversano totalmente nello spazio
del cielo.
Ben presto la necessità di tradurre il paesaggio
in una visione reale di luce spinge
l’artista ad un nuovo viaggio verso Savognino,
dove si trasferisce con la famiglia
nel 1886. Questo periodo coincide
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con l’adesione totale alla tecnica divisionista,
scelta descritta con queste parole: «…
il mescolare i colori sulla tavolozza è una
strada che conduce verso il nero; più puri
saranno i colori che getteremo sulla tela,
meglio condurremo il nostro dipinto
verso la luce, l’aria e la verità». La natura
diventa bucolica. Le figure affiorano dallo
spazio del paesaggio. Sono ancora portatrici
d’acqua, pastorelle sognanti, ragazze
che indossano il costume tipico dei grigioni
e per tutte queste pose è la Baba la sua
modella, la ragazza che aiuta nelle faccende
domestiche la famiglia Segantini. La luminosità
della pittura è abbagliante, i colori
sono vivaci, le figure sono definite da
pennellate che strutturano i contorni e le
ombre si riempiono di tinte colorate. La
composizione si crea attraverso il volume
dei singoli elementi che scandiscono i piani
successivi dello spazio.
Rende visibile questo fenomeno luminoso
il dipinto Mezzogiorno sulle Alpi, del 1891,
ma già nel Ritorno all’ovile del 1888 è sorprendente
l’intensità della luce che, pur
trattandosi di una visione quasi notturna,
dallo sfondo arriva fino al primo piano,
attraverso la piccola apertura che segna la
presenza di finestre nella stalla. È il momento
della relazione tra uomo e natura,
delle visioni pervase da un sentimento “di
magica dispersione” come evidenzia Annie-Paule
Quinsac. Anche sulla famosa tela
dedicata a La raccolta del fieno, realizzata
nel 1889 ma rielaborata per la parte del
cielo nel 1898, possiamo osservare quasi
una doppia presenza: da una parte il terreno
che raccoglie e isola la figura piegata
e, dall’altra, il cielo nel quale una nuvola
minacciosa sembra voler oscurare la luce e
forse accennare agli eventi tumultuosi che
riguarderanno la prematura morte dell’artista.
Da questo lavoro la rappresentazione
della natura si traduce nell’esperienza simbolica.
È simbolico l’Autoritratto del 1895. È simbolico
il dipinto L’Amore alla fonte della vita,
del 1898. è simbolico L’angelo della vita,
del 1896 che raffigura la madre con il
bambino in grembo su una natura che, attraverso
l’immagine dell’albero, rappresenta
il sapere, il bene e il male. È l’anno de
L’Annunciazione del nuovo verbo che Segantini
descrive così in una lettera a Guido
Martinelli: “L’Annunciazione del nuovo
verbo è fatta: ed è riuscita degna di noi.
Nel muro che cinge il piccolo giardino
dell’amore trovansi scritte queste parole
augurali: Che i figli delle viscere tue siano
belli per l’amore, forti per la lotta, intelligenti
per la vittoria. Lo spirito dell’idealità
della vita sussurra queste parole nell’orecchio
della vergine” e noi ancora sentiamo
il riverbero nel tratto che disegna la luce.
Dal 1897 è forte la preoccupazione di realizzare
l’idea di totalità nell’opera. Questo
pensiero si traduce in un quadro concepito
come un oggetto decorativo integrato
in un ambiente pensato per il padiglione
dell’Esposizione universale di Parigi del
1900. Un panorama dell’Engadina, dunque,
capace di mettere in relazione l’architettura
del tempietto e la pittura delle armonie
alpine rimasto visibile nei bozzetti,
nei disegni preparatori e nelle tre tele del
Trittico della Natura. Il paesaggio si allarga
e intorno stanno le vette a tagliare lo
spazio e nello stesso tempo ad abbracciare
l’eroe che, in un ultimo sforzo estremo,
sembra voler riportare sulla tela le parole
scritte il 15 settembre 1895 a Tumiati:
“Noi siamo l’ultima luce di un tramonto,
e saremo, dopo una lunga notte l’aurora
dell’avvenire”.

La luce dei monti
Nell’agosto del 1886 Giovanni
Segantini andò a vivere a Savognino,
un villaggio nella valle
grigionese dell’Oberhalbstein. Questo trasferimento
in montagna segnò una svolta
nello sviluppo della sua arte. Se già in
Brianza l’artista poneva al centro dei suoi
quadri la rappresentazione del lavoro quotidiano
dei contadini e dei pastori, ora
però i suoi soggetti non sono più avvolti
nella brumosa atmosfera della pianura
padana, ma nell’aria cristallina dei paesaggi
alpini.
Il dipinto Mezzogiorno sulle Alpi rappresenta
uno dei migliori esempi di come Se-
di Beat STUTZER
gantini sapeva rendere magistralmente la
chiara, brillante luce dell’alta montagna.
Nella vastità di una piana d’alta montagna,
di un pascolo delimitato da una cresta
di montagne innevate, col Piz Curver
e il Piz Toissa sullo sfondo, si erge in primo
piano una giovane pastora con un vestito
blu, lungo fino ai piedi. Con la mano
sinistra stringe un bastone da pastore,
con la destra tiene la tesa del cappello
di paglia, riparando dal sole gli scintillanti
occhi. Alla sua destra pascolano tre pecore.
Nel cielo di un azzurro splendente si
vede ancora la luna che sta tramontando,
ma è la luce radiosa del sole a picco che fa
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vibrare il paesaggio. Due uccelli si librano
nel cielo. Il vento, che li porta, aveva dato
al dipinto il titolo originario: Giornata
di vento. Anche in questo caso fu Barbara
Uffer detta Baba, la domestica della famiglia
Segantini, a fare da modella. Qui però
lei appare ieratica: una figura dritta, imponente
che fa da contraltare ad un paesaggio
prevalentemente orizzontale. E tuttavia
essa è perfettamente inserita nell’ambiente.
Siccome il dipinto non è delimitato
lateralmente, il paesaggio appare come
un frammento di uno spazio molto più
vasto. Lo sfondo, con funzione di quinta,
appare nettamente separato dal primo
piano, con la donna e le bestie. Anche se
si tratta indubbiamente di un soggetto pastorale,
la funzione di sorveglianza delle
pecore non ha quasi importanza. Ciò che
colpisce è lo sguardo della pastora perso in
lontananza. A questo riguardo è significativo
che la testa di Baba si stagli ben oltre
l’orizzonte e che l’azzurro del suo vestito
tocchi l’azzurro del cielo. In contrasto con
questa tensione centrifuga appare la visione
del pascolo in primo piano, dove si riesce
a distinguere praticamente ogni singolo
filo d’erba. Il dipinto è molto più che
un semplice idillio pastorale. Ancora una
volta Segantini offre un simbolo del cerchio
eterno della vita, al quale soggiacciono
sia la natura che l’uomo. Il maestoso
panorama alpino apre lo sguardo all’insieme:
mentre il sole (non visibile direttamente)
splende alto nel cielo e getta ombre
stranamente lunghe, la luna dal pallido
riflesso ricorda già che al giorno seguirà
la notte.
Nel dipinto Vacca bruna all’abbeveratoio
sorge spontaneo notare l’apporto, alla scena
in sé banale della vacca che si abbevera,
del dinamismo e del brusco cambiamento
della luce, per cui pare quasi di vedere
n Ritorno all’ovile 1888 (Olio su tela, cm 79,5x133); Segantini Museum
muovere sul terreno le ombre delle nuvole.
Come in altri dipinti, anche in questo
caso la tecnica divisionista, con cui non
solo si aumenta la luminosità del colore,
ma si esaltano le sfumature della struttura
e della materialità dei soggetti rappresentati,
è ciò che contribuisce al senso di
unità che emana dal dipinto. Così il paesaggio,
con la vacca bruna china sull’abbeveratoio
in primo piano e gli armenti
che pascolano lontano sullo sfondo, è
creato solamente da colore, luce e spazio.
I cumuli che annunciano l’incombere di
un temporale invadono il cielo e proiettano
ombre scure sui prati di mezzo fondo.
Tutta la scena risulta caratterizzata da una
luce che si muove e cambia velocemente e
le conferisce quell’inatteso dinamismo di
cui si parlava sopra: sia il paesaggio che le
bestie vibrano nella luce.

St. Moritz/Schweiz. Depositum der Otto Fishbacher
Nel dipinto Ritorno all’ovile Segantini
sposta il suo interesse dalla luce accecante
del mezzogiorno a quella crepuscolare.
La scena, in cui una pastora ed un pastore
riconducono all’ovile il loro gregge, si
svolge all’imbrunire. Quello rappresentato
è un compito quotidiano, ma all’artista
interessa sottolineare la stretta, toccante
vicinanza tra uomo e animale, tra pastora
e pecore. La giornata lavorativa si
sta compiendo e si avvicina il riposo serale,
eppure la scena è avvolta da una certa
qual melanconia data dal buio della notte
che sta calando. Il contrasto appare nella
composizione spaziale del dipinto: il grande
formato si articola in orizzontale, ma
in questa struttura si inserisce una marcata
diagonale che conduce lo sguardo fin
nell’estrema profondità e schiude lo spazio.
Contadina e pastore sono ritratti di
spalle, e insieme col gregge puntano alla
porta della stalla, da cui traspare la luce,
creando una specie di “effetto attrazione”
verso la stalla stessa. Si crea una forte
tensione reciproca tra ciò che è lontano e
ciò che è vicino, ma la tensione viene attenuata
dal crepuscolo che si stende a coprire
sia le cose che gli esseri viventi. La magistrale
rappresentazione della luce crepuscolare
testimonia la padronanza dell’arte
pittorica raggiunta da Segantini.
Egli ha fermato l’attimo preciso prima che
tutto sprofondi nelle tenebre e ogni forma
si perda nel nero della notte. Il primo piano,
delimitato dallo steccato, conserva ancora
un residuo di luce naturale che conferisce
alle forme un risalto netto e corporeo.
Oltre, è solo la lanterna della stalla
a gettare un po’ di luce e segnare il cammino.
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Io ricordo ancora…

di Romano TURRINI
Spesso riesce difficile ad un giovane
immaginare che un adulto, divenuto
famoso nel campo delle
scienze, della letteratura o dell’arte, sia
stato giovane come lui, abbia vissuto i giochi
dell’infanzia o le crisi dell’adolescenza.
Ancor più difficile riesce pensare, nella
società attuale in cui il benessere apre
per molti possibilità un tempo insperate,
che il cammino, che ha condotto al successo
il “mito”, sia stato irto di difficoltà.
Lo scrivere della vita di Giovanni Segantini
vuole avere anche questa intenzione:
dire a chiare lettere che la fama ed il successo
che hanno premiato la carriera artistica
di Giovanni Segantini non sono nate
dal nulla, ed anzi le radici su cui si sono
sviluppate sono state quanto di più ostico
e negativo si può immaginare.
Giovanni Segantini nasce ad Arco (Trento)
il 15 gennaio 1858 da Agostino Segatini
e Margherita Girardi. La famiglia Segatini
era originaria di Bussolengo, nel ve-
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ronese, e si era stabilita ad Ala, nel Basso
Trentino, nella seconda metà del Settecento.
Il capostipite Antonio, sposato con
Teresa Lovato da Montebello, aveva avuto
cinque figli, l’ultimo dei quali era Agostino
(1802). Questi, trasferitosi con altri
suoi familiari a Trento, apre una rivendita
di formaggi, frutta e verdura. Si sposa
nel 1836 con Maddalena Fronza di Trento.
Dei loro diversi figli sopravvivono solo
Napoleone (n. 1845) e Rosa (poi detta
Irene, n. 1847)); saranno due presenze
significative nella travagliata vita del pittore.
Rimasto vedovo di Maddalena nel 1851,
Agostino sposa, nello stesso anno, Margherita
de Girardi di Castello di Fiemme,
nata nel 1828. Qualunque sia stata la motivazione
che spinse questa giovane donna
a sposare un uomo maggiore di lei di 26
anni, vi è da riconoscere che la vita coniugale
le riserverà quasi esclusivamente privazioni
e sofferenze.
Verso la fine del 1852 Agostino dichiara
fallita la propria attività commerciale,
si trasferisce con la moglie a Verona, poi
torna in Trentino, a Mori. I due coniugi
continuano in ogni caso a far riferimento
al comune di Trento per ottenere qualche
sussidio. Nel 1856 vengono allontanati
da Mori, arrivano ad Arco e godono,
fortunatamente, della tutela dell’arciprete
mons. Giovanni Dall’Armi, sacerdote
dal cuore generoso. È lui che scrive diverse
lettere per ottenere qualche sussidio per
la povera famiglia.
I Segatini vanno a vivere in una semplice
casetta sulla riva destra del fiume Sarca,
nei pressi del ponte, probabilmente l’antica
sede dei gabellieri che controllavano
l’ingresso ad est della città. È qui che il
15 gennaio 1858 nasce Giovanni Segatini;
ma già chi redige l’atto di nascita scri-
ve Segantini e poi traccia un segno sopra
la “n”. Il parto è travagliato e Margherita,
probabilmente non in buone condizioni
di salute, ne soffre particolarmente.
Il padre Agostino tenta mille espedienti
per sbarcare il lunario, finché, nel marzo
del 1862, con i due figli avuti dalla prima
moglie, parte per Milano. Margherita
rimane sola ad Arco con il piccolo Giovanni,
che cresce abbandonato a se stesso,
mentre lei sopravvive grazie ai sussidi
e a qualche piccolo lavoro. Le condizioni
di salute di Margherita si aggravano, viene
ricoverata a Trento nell’ospedale cittadino
e il 3 marzo 1865 muore, a trentasette
anni.
«Io la ricordo ancora mia madre – scrive
il pittore – e se fosse possibile che si presentasse
qui in questo momento davanti
ai miei occhi, dopo trent’un anni, la riconoscerei
benissimo. La rivedo coll’occhio
della mente quella sua figura alta, dall’incedere
languido. Era bella, non come aurora
o meriggio, ma come tramonto di
primavera». Il tema della madre sarà ricorrente
nelle opere del maestro; segno che
il ricordo degli anni passati accanto a sua
madre era rimasto indelebile nella sua memoria.
Agostino Segatini ritorna a Milano per
pochi mesi; il tempo di affidare il piccolo
Giovanni agli altri suoi due figli. Poi, vecchio
e malato, torna in Trentino, ospite
prima dell’Ospedale di Ala e poi di quello
di Rovereto. Qui muore il 20 febbraio
1866; sul registro degli ammalati, alla voce
“professione” si segna “suonatore girovago”.
A questo punto della vita di Giovanni Segantini
assumono un ruolo fondamentale
i due suoi fratellastri, Napoleone ed Irene.
Quest’ultima faceva la sarta e viveva in
una soffitta di via S. Simone a Milano. Il

n Casa natale di Giovanni Segantini ad Arco, presso il fiume Sarca
piccolo Giovanni passava ore ed ore da solo
a far correre il proprio sguardo sul mare
di tetti che si estendeva fino all’orizzonte.
«Io, in questo stato di cose – scriverà più
tardi il pittore a Neera – non potevo (fare)
a meno di inselvatichirmi, rimasi sempre
irrequieto, ribelle a tutte le leggi costituite».
Il ragazzino viene sorpreso più volte
dai gendarmi a vagabondare, finché il
15 agosto 1870 viene arrestato, processato,
ritenuto colpevole di oziosità e vagabondaggio
e, constatato che egli era incorreggibile,
destinato ad un istituto dove
poter migliorare la propria indole ed imparare
un mestiere. Il dicembre di quello
stesso anno Giovanni entra in riformatorio,
iscritto alla classe Prima - minore (era
analfabeta!) e destinato ad imparare l’arte
del calzolaio. Non tiene un comportamento
da allievo modello e sui registri
dell’Istituto “Marchiondi” (poi “Cesare
Beccaria”) ci sono diverse annotazioni negative
che lo riguardano.
Napoleone intanto si era stabilito a Borgo
Valsugana, e si era sposato con una vedova,
Celinia Rigo, dalla quale ha cinque
figli. Pratica il commercio ed anche l’arte
del fotografo. Sorprendentemente, nel
1873, egli scrive, dopo anni di silenzio, alla
sorella Irene, dicendosi intenzionato ad
ospitare a casa sua il fratello minore Giovanni.
E così avviene: Napoleone va a Milano,
gli viene affidato Giovanni e ritorna
rapidamente in Valsugana. Su questo
breve periodo trascorso in Trentino, il pittore
scriverà pagine romanzate che hanno
come protagonisti la cognata Celinia,
non troppo benevola nei suoi confronti,
un misterioso tesoro nascosto in cantina,
un amico che poi lo tradisce. Un ricordo
invece che ha radici veritiere e che rimane
indelebile nella memoria del pittore è
quello dell’incendio disastroso avvenuto
nel 1862 a Borgo Valsugana, commemorato
da una lapide collocata nei pressi
della casa dove abitava. Quando un altro
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incendio drammatico avverrà nel 1895 a
Tione di Trento, Giovanni Segantini invierà
un proprio disegno come premio per
una lotteria il cui ricavato sarà destinato ai
senza tetto del centro delle Giudicarie.
Giovanni Segantini torna a Milano. nel
periodo fra la fine del 1874 e l’inizio del
1875.
Gli anni successivi della sua vita sono ben
narrati nel Diario della giovinezza e carriera
artistica di Giovanni Segantini redatto
da un suo carissimo amico, il droghiere
Giulio Bertoni. Per interessamento del
marito della sorella Irene, egli trova posto
come garzone presso il laboratorio di pittura
e fotografia di Luigi Tettamanzi. Qui
comincia a disegnare dei ritratti a carboncino;
è ospite della famiglia Bertoni, dorme
in soffitta, ma finalmente nel 1876
trascorre il primo Natale sereno della sua
vita.
Si iscrive anche ai corsi serali dell’Accademia
delle Belle Arti di Brera. È in questo
periodo che conosce Luigia Bugatti, detta
Bice, che diventerà la compagna della
sua vita.
Nel 1879 giunge per Segantini il primo,
importante riconoscimento: il suo quadro
Il coro di Sant’Antonio viene premiato
a Brera. «Non avevo certamente inteso
di fare un’opera d’arte – scrive il pittore –
ma semplicemente di provarmi a dipingere.
Da una finestra aperta entrava un torrente
di luce, che illuminava gli stalli intagliati
nel legno del coro; dipinsi questa
parte, e la resi con efficace ripresa della luce.
Qui subito compresi che, col mescolare
i colori sulla tavolozza, non si otteneva
né luce né aria: trovai il modo di disporli
schietti e puri avvicinandoli sulla tela gli
uni gli altri […] lasciando che la retina
dell’occhio li fonda guardando a sua natural
distanza». Ha inizio la carriera artistica
di Giovanni Segantini. Inizia a dipingere
senza risparmiarsi perché la sua arte era
apprezzata e i suoi quadri richiesti. Scrive
nel 1880 Luigi Chirtani sul Corriere della
Sera: «Egli […] ha la febbre, l’instancabilità
nel lavoro, una passione selvaggia
per l’arte, una costanza a tutta prova,
e la fede nelle proprie forze, che non tarderanno,
ne sono certo, a dare dei risultati».
Suoi consiglieri, procuratori e promotori
diventano i fratelli Vittore ed Alberto
Grubicy. Vittore in particolare sarà il riferimento
stabile per Segantini, anche per le
necessità più minute.
Nel 1881, dopo aver girato a piedi la campagna
lombarda insieme a Bice, Segantini
arriva a Pusiano in Brianza. Era un luogo
che già aveva conosciuto durante le sue
scorribande con gli amici e lì decide di stabilirsi.
Sarà sul vicino lago che collocherà
la sua Ave Maria a trasbordo. Nel maggio
del 1881 nasce Gottardo, il suo primogenito.
Ma a Pusiano si ferma poco; si tra-

n “Ave Maria a trasbordo” 1890 (Matita, mm 244x378); Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz
sferisce a Carella, un paese a pochi chilometri
da Pusiano; sedici mesi dopo Gottardo,
nasce Alberto. Qui la famiglia Segantini
sceglie poi di abitare nel “Casin di
strii”, la casa delle streghe.
Le condizioni economiche di Segantini
migliorano, ma nella fitta corrispondenza
con Vittore Grubicy si coglie come per
il pittore il bisogno di denaro fosse una
preoccupazione costante. E questo anche
perché egli era incapace di gestire in modo
saggio e parsimonioso il denaro che cominciava
a guadagnare. Nel 1885 riprende
il suo peregrinare verso la montagna.
Va a vivere a Caglio, in provincia di Como,
da solo, senza la famiglia che nel frattempo
si era arricchita di Mario. Qui dipinge
una delle sue opere più celebri, Alla
Stanga, dove le montagne digradanti verso
il piano fanno da cornice al concludersi di
una giornata di alpeggio.
Nel 1886 nasce una bambina, Bianca.
Ma, dopo pochi mesi, da Caglio Segantini
si sposta e sceglie come residenza per
sé e per tutta la famiglia il paese di Savognino
nelle Alpi grigionesi, a 1213 metri
di quota. Va ad abitare in una grande villa
ed assicura ai figli istruzione ed educazione,
proprio quello che a lui era mancato
durante l’infanzia. Della famiglia entra
a far parte Barbara Uffer, detta Baba; sarà
la balia di Bianca e la modella in tanti capolavori
del maestro.
Gli anni di Savognino sono fecondi, ricchi
di opere di grande qualità, apprezzate
nelle grandi sedi dell’arte europea. Inoltre
nel 1886 il quadro Alla Stanga viene premiato
con la medaglia d’oro all’Esposizione
universale di Amsterdam. Nel 1886 riceve
a Savognino la visita di Vittore Grubicy
e grazie ai suggerimenti dell’amicoconsigliere
egli ridipinge l’Ave Maria a
trasbordo, secondo i canoni del divisionismo.
Nasce uno dei suoi più grandi capolavori!
Egli preferisce dipingere all’aperto, respirando,
vivendo il paesaggio che lo circonda,
assaporando la natura che spesso lo
condiziona nei suoi stati d’animo. Il sole
che inonda al mattino la sua stanza lo inebria,
mentre il cielo grigio e basso percorso
dal vento gli ricorda gli anni tristi della
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sua fanciullezza. Nel 1888 avviene un episodio
che riporta Segantini alla sua terra
d’origine. Egli destina una somma ricevuta
in eredità della madre a poveri di Arco.
Il podestà di Arco ringrazia per i 47 fiorini
donati ai poveri «… in questi giorni in
cui l’inverno tornava ad aggravarne la miseria
con nuovi rigori. Gliene rendo qui
le più sentite grazie e l’assicuro che l’animo
suo gentile può giustamente godere
quella soddisfazione che nasce dal ben
operare». Vengono in mente alcune riflessioni
compiute da Segantini nel già citato
testo L’Anima: «[…] Non cercai mai un
Dio fuori di me stesso, perché ero persuaso
che Dio era in noi e ciascuno di noi ne
possedeva e ne poteva acquistare facendo
delle opere belle, buone e generose».
Gli anni che seguono continuano ad offrirgli
soddisfazioni; le sue opere vengono
presentate in esposizioni importanti e ricevono
riconoscimenti. Ma anche a Savognino
la vita per la famiglia Segantini non
è del tutto tranquilla. Malgrado i buoni
introiti garantiti dalle sue opere, il pittore
era continuamente assillato dai creditori.
Inoltre le autorità cantonali minacciavano
l’espulsione dei Segantini perché non era
ben chiara la nazionalità del capofamiglia.
Occorreva quindi ancora una volta scegliere
un’altra residenza, oppure regolarizzare
il proprio status. Segantini trova preziosa
collaborazione in Vittorio Zippel,
editore trentino che egli aveva conosciuto
a Milano. Questi lo aveva invitato a far
visita al Trentino ed il maestro ne sarebbe
stato felice; ma covava in cuor suo un timore.
Temeva infatti di non poter tornare
in territorio austriaco, non avendo assolto
agli obblighi di leva. Non sapeva infatti
che nel 1867 egli e la sorella Irene avevano
legalmente ottenuto la «dimissione dal
nesso di cittadinanza austriaca».
n Giovanni Segantini e la moglie Bice fotografati davanti alla tela Aratura
Nell’agosto del 1895 Segantini, costretto
dai debiti che non riusciva a saldare,
si rifugia a Maloja, un piccolo villaggio
dell’Engadina a 1.800 metri di altitudine.
Scrive immediatamente ad Alberto Grubicy
decantando la bellezza dei luoghi che
sarebbero stati sicuramente una “miniera”
per il suo dipingere; aggiunge però: «mi
occorre che mi mandi subito del denaro
perché l’innaugurare il sogiorno con delle
frottole non mi è possibile». Il suo tramite
con i mercanti, con i musei ed i collezionisti
continua ad essere Alberto Grubicy.
Ma Segantini riesce a tessere autonomamente
una fitta rete di rapporti epistolari
con altri pittori, con critici, con uomini di
cultura; questi rapporti non nascono però

in Engadina
dal desiderio di un confronto, non scalfiscono
minimamente le sue convinzioni.
Comincia intanto a farsi largo nelle sue
opere il simbolismo, scelta artistica che lascia
inizialmente perplessi alcuni critici,
mentre l’ambiente della Secessione viennese
sembra apprezzare questo nuovo corso
dell’arte segantiniana.
Ma gli ultimi anni di vita di Giovanni Segantini
sono caratterizzati da un unico,
grande progetto: Il panorama dell’Engadina.
Egli avrebbe dovuto curare l’allestimento
di un padiglione circolare che
presentasse le bellezze delle Alpi svizzere,
in occasione dell’Esposizione universale
di Parigi del 1900. Egli dedica tre anni
a concepire nelle sue linee il progetto,
ma nel 1897 gli albergatori dell’Engadina,
preoccupati dal continuo lievitare dei costi
della realizzazione, si ritirano, lasciando
solo Segantini. Il pittore non demorde
e si mette all’opera per dipingere il Trittico
della Natura.
È questo progetto che gli impedisce di
tornare a rivedere, dopo tanti anni di lontananza,
il suo paese natale, Arco. Egli
scrive nel 1898 al dott. Tomaso Bresciani,
medico chirurgo, che l’aveva invitato ad
Arco: «Ho ricevuto la sua gradita lettera
coll’invito simpatico e gentilmente espresso.
L’accetto sin d’ora e di cuore. […] Però
non ne potrò approfittare così presto
come sarebbe suo e mio desiderio. Tengo
fra le mani diverse opere di cui vi lavoro
accanitamente. Queste opere formano
due trittici d’una lunghezza complessiva
di 15 metri e dovranno essere finiti nel
aprile del 1900. Allora soltanto potrò concedermi
la gioia grande di rivedere la mia
patria e il mio caro paese nativo e stringere
la mano amica che Ella mi porge».
Tre giovani di Arco, nel luglio del 1899,
partono in bicicletta per far visita a Segantini,
a Maloja. Il pittore li riceve cordialmente
ed i ciclisti arcensi lo vedono impegnato
nella realizzazione di tre stupendi
quadri: La vita, la natura, la morte. Questa
visita rinsalda i rapporti di Segantini
con Arco; un’ultima lettera occorre ricordare,
quella datata 19 marzo 1899, ed indirizzata
al dott. Emilio Bortolotti: «Ho
ricevuto la di Lei gradita lettera, che colle
altre manifestazioni di stima e d’affetto
di cui i miei concittadini hanno voluto
in questi giorni onorarmi, mi hanno tanto
avvicinato ad Arco che mi pare d’essermi
dipartito ieri, per ritornare presto a stringere
le mani ai cari amici. La mia mente
essendo in questi giorni rivolta al mio paese,
rivedo la casetta ove sono nato, il Sar-
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n La Tomba di Giovanni Segantini nel cimitero di Maloja
ca con il suo lungo ponte di legno, i monti
coperti d’olivi e tanti, tanti dettagli che affacciandosi
con così grande precisione allo
spirito, allontanano da esso gli avvenimenti
della vita vissuta dopo. Con la più alta
stima e considerazione, di Lei concittadino,
G. Segantini».
Ma, nel settembre del 1899, un destino
avverso attendeva Segantini sulle nevi dello
Schafberg. Il giorno 18 il pittore lascia
Maloja per salire su quella montagna, accompagnato
dal figlio quattordicenne Mario
e dalla domestica Baba. Deve lavorare
al Trittico; si fa realizzare una struttura in
legno per dipingere all’aperto e proteggere
i suoi quadri. Dopo una giornata di lavoro
intenso, avverte dei forti dolori allo
stomaco. Non vuole però che si chiami un
medico; dopo tre giorni di sofferenza arriva
alla baita sullo Schafberg il dottor Bernhard,
ma ormai Segantini sta male: l’infezione
intestinale era degenerata in peritonite.
Giungono alla baita anche Bice e gli
altri figli. Martedì 26 settembre il pittore
ha un leggero miglioramento; si fa portare
vicino ad una finestra per vedere le sue
montagne. Ma il giorno dopo si aggrava
ulteriormente; giovedì 28 settembre 1899,
verso mezzanotte, Segantini si spegne.
Sabato 30 settembre Bice Segantini invia
un telegramma al podestà di Arco: «Sciagura
piombata come fulmine. Segantini
morto giovedì mezzanotte cima Schafberg
dove lavorava gran quadro per Parigi…».
Alcuni passi del discorso pronunciato da
Ugo Ojetti il 22 dicembre 1899 nel Teatro
Sociale di Trento sintetizzano in modo
mirabile i valori profondi della vita del
maestro del divisionismo italiano: «Egli ha
restituito l’anima all’arte, l’arte alla vita, il
sole ai cieli che parevano spenti […] Esse
est velle. Egli non concepì nemmeno la
possibilità di vivere senza volere […] Glorificatelo,
o Trentini, con monumenti e
con inni… Ma più glorificatelo imitandolo
nella tenacia della speranza perché uomini
e città in tanto sono degne di vivere
in quanto non perdono un solo minuto,
nemmeno nella notte più fosca, nemmeno
sotto i nembi più grevi, la speranza
del sole».

Intervista
Gioconda Segantini
Gioconda Segantini è figlia di
Gottardo, il primo dei quattro
figli di Giovanni Segantini e Bice
Bugatti. È nata a Maloja, nella casa di
proprietà della famiglia Segantini, attualmente
vive a Hof, in Alta Baviera.
Signora Gioconda, sebbene lei non abbia
mai potuto conoscere il nonno, che cosa ha
sentito raccontare di Giovanni Segantini,
all’interno della sua famiglia, come uomo
e come artista?
Mio padre Gottardo parlava molto spesso
di suo padre, con affetto e nostalgia. Egli
ricordava il padre, ma anche l’artista che
nei suoi quadri cercava di esprimere ciò
che sentiva, il suo profondo amore per il
Creato, che cercava di trasmettere a tutti i
livelli della sua opera.
Sarà sicuramente cresciuta con numerosi
aneddoti sul nonno Giovanni, se ne ricorda
uno in particolare?
Negli anni in cui Segantini fu in Engadina,
a Soglio, era solito festeggiare il periodo
natalizio addobbando assieme alla famiglia
un grandissimo abete. E sotto quest’albero
di Natale egli collocava tantissimi
regali per tutti gli abitanti del paese
che, addirittura, venivano prima dei regali
per la sua famiglia.
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Qual è la relazione fra arte e la sua famiglia:
c’è qualcuno dei figli o dei nipoti
che assomiglia, sotto il profilo artistico,
al nonno?
Mio padre era un pittore, anche se in tutta
la sua vita non ha mai seguito le orme
di Giovanni Segantini, ha sempre elaborato
un suo personale percorso artistico. Io,
invece, non assomiglio per nulla al nonno,
sicuramente l’arte per me non era la
scelta giusta, anche se credo che nessuno
di noi nasca senza talento e che, quindi,
ho sicuramente altre qualità nel campo
delle arti.
Secondo lei, cosa ha rappresentato Segantini
per i contemporanei e qual è il suo
messaggio nell’arte?
All’epoca mio nonno era sicuramente uno
dei pittori più famosi, conosciuto non solo
a livello Europeo ma anche in America
BIOGRAFIA (Arco, 1858 – Schafberg, 1899)
Nasce ad Arco il
15 gennaio del
1858 da Agostino
Segatini e Margherita
Girardi. A otto anni la sua
vita, già segnata da una situazione
familiare piuttosto
precaria data la povertà
e i continui abbandoni
del padre, subisce un
grave trauma a causa della
perdita della madre. Il padre
lo porta a Milano e lo
lascia alla sorellastra Irene.
Tra il 1870 e il 1873,
accusato di vagabondaggio,
viene rinchiuso in riformatorio.
Viene in seguito
affidato al fratellastro
Napoleone che lo tiene
con sé a Borgo Valsugana
dove lavora come fotografo.
Giovanni impara il
mestiere di fotografo pur
continuando a dedicarsi
al disegno. Trasferito-
e addirittura in Giappone. Però, nel corso
dei decenni, ha avuto periodi meno felici,
nei quali la sua arte non veniva compresa
appieno: Segantini sembra essere un pittore
semplice da comprendere ma non è
così. Spero che le nuove generazioni possano
approfondire questo percorso e arrivare
a scoprire un Segantini ancora nascosto,
che però esiste.
Tutti conosciamo le montagne del Maloja
per come ce le ha restituite Segantini nei
suoi quadri, attraverso una luce straordinaria
e una sorta di vicinanza dell’universo.
Cosa trasmettono i monti di Segantini
a lei, che ha conosciuto questi posti da
un punto di vista privilegiato?
A Maloja la natura è qualcosa di molto arcaico:
ci sono le montagne, il cielo e una
luce che non si può spiegare che sicuramente
ha affascinato mio nonno. In alcu-
si a Milano lavora presso
un decoratore per pagarsi
i corsi serali all’Accademia
di Belle Arti di Brera
che frequenta tra il 1875
e il 1879. Cambia il proprio
cognome in Segantini.
Studia poi con Giuseppe
Bertoni e frequenta
Emilio Longoni.
Nel 1879 entra in contatto
con Vittore Grubicy de
Dragon che lo lega con
Giovanni Segantini

n Gioconda Segantini
ne giornate davvero speciali ti sembra di
essere parte di questa meraviglia, ma poi
ci sono giornate tremende, dove tutto ac-
un contratto esclusivo alla
sua galleria d’arte che
gestisce con il fratello Alberto.
Il suo dipinto Il coro
di Sant’Antonio è notato
all’Esposizione Nazionale
di Brera e acquistato
dalla Società milanese per
le Belle Arti. Tra il 1881 e
il 1886 vive con Longoni
in Brianza. Realizza in
questo periodo La vigna
o Paesaggio dei dintorni di
Milano. Conosce Bice Bugatti
con la quale trascorrerà
il resto della sua vita.
Nel 1883 vince la medaglia
d’oro con Ave Maria
a trasbordo. Dal 1886 si
dedica alla tecnica divisionista
e si trasferisce a Savognino.
Nel 1888 esegue
I miei modelli, conservato
alla Kunsthaus di Zurigo
e Ritorno all’ovile, al Segantini
Museum di St. Moritz.
quista una gran forza e dove avverti un legame
incredibile con la natura che ti circonda
e ti soverchia.
Inizia a scrivere articoli
d’arte pubblicati sulle riviste
specializzate del settore.
L’anno seguente si
dedica a Le due madri, oggi
alla Galleria d’Arte Moderna
di Milano, esposta
nel 1890 alla Permanente
e nel 1891 alla prima
Triennale di Brera. L’opera
segna la piena adesione
al divisionismo, tecnica
pittorica che dagli an-
Giovanni Segantini
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IL DONO DI GIOCONDA SEGANTINI
È
stato con una solenne cerimonia,
che ha coinvolto le autorità locali
e provinciali, i rappresentanti
del mondo economico e imprenditoriale,
nonché quelli delle associazioni dell’Alto
Garda, che la città di Arco ha presentato il
calendario di iniziative per i 150 anni dalla nascita
di Giovanni Segantini.
La nipote, Gioconda Segantini Leykauf, ospite
d’onore della cerimonia, ha fatto dono all’Amministrazione
comunale di un disegno preparatorio
a matita, realizzato da Giovanni Segantini,
che raffigura una mamma intenta a lavare
un bambino.
Questa la gradita dedica: “150 anni fa è
nato in questa bella, piccola città mio nonno,
Giovanni Segantini. Gli è rimasta nel
cuore, con amore, la sua Arco. Nel suo ricordo
questo disegno da lui fatto – un piccolo bimbo”.
ni Novanta si arricchisce
di una connotazione simbolista.
Nel 1888 partecipa
alla Italian Exhibition di
Londra e alle più importanti
manifestazioni espositive
di questi anni. Si lega
all’ambiente della Secessione
Viennese. Scioglie
l’impegno con Vittore
Grubicy e intensifica
il rapporto con il fratello
Alberto. Nel 1894 si tra-
sferisce con la famiglia a
Maloja dove dipinge L’angelo
della vita, nel 1894,
L’amore alla fonte della vita,
nel 1896. Trascorre anni
di grande isolamento
ma di grande successo di
mercato, entra in contatto
con i mercanti berlinesi
Paul e Bruno Cassirer e
Felix Königs. Nel 1896 inizia
a lavorare per la decorazione
di un padiglione
n Giovanni Segantini, Madre che lava il bambino, 1886/87
disegno a matita su carta, mm 195 x 150
destinato all’esposizione
di Parigi del 1900 per illustrare
le bellezze naturali
delle Alpi svizzere. Il progetto
abbandonato per
il costo molto elevato lo
spinge alla realizzazione di
un Trittico della Natura.
Recatosi sullo Schafberg,
per lavorare al trittico,
viene colto da un attacco
di peritonite. Muore il 28
settembre 1899.
Giovanni Segantini

Atto di nascita
Presso l’Archivio Parrocchiale di
Arco è conservato il Libro dei
Nati che riporta la registrazione
della nascita di Giovanni Segantini.
In questo documento, come in altri, una
mano ignota ha cancellato la “n” di Segantini
con un tratto di penna; questo
probabilmente per non smentire la tradizione
che voleva fosse stato lo stesso pittore
a decidere di mutare il proprio cognome
da Segatini in Segantini. La mutazione
del cognome avvenne dunque,
verosimilmente, prima della nascita di
Giovanni Segantini.
Si può vedere, a lato della registrazione,
la scritta dell’arciprete di Arco, monsignor
Chini: “Questo è il celebre pittore
morto in Maloja, a cui Arco dieci anni
dopo ai 24 Ottobre 1909 elevava un
monumento colla statua in bronzo nella
piazza dietro la Collegiata”.
n Libro dei Nati (Vol. XXI 1854 – 1873) Archivio Parrocchiale di Arco.
Atto di nascita di Giovanni Battista Emanuele Maria – 15 gennaio 1858
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Il mito
della montagna
Dopo la mostra dedicata a Giovanni
Segantini, pensata per celebrare
i 150 anni dalla nascita
e che si terrà dall’8 marzo all’11 maggio
2008 presso la Galleria Civica G. Segantini
di Arco, l’istituzione arcense prosegue
il proprio percorso di ricerca sul paesaggio
con l’esposizione intitolata Il mito della
montagna nell’arte Trentina di primo Novecento.
Sulla scia delle visioni segantiniane,
rappresentazioni di una natura panteista,
si afferma in Trentino, all’inizio del Novecento,
una sensibilità particolare nella raffigurazione
della Natura tesa tra descrizione
del vero e come luogo di esplorazione
dell’umano.
L’acquaforte di Dario Wolf intitolata Il
mito della montagna (1927) idealmente
vuole essere il filo conduttore delle esperienze
degli artisti trentini che, nei primi
decenni del Novecento, pur risentendo
del clima culturale di rinnovamento dei
linguaggi, realizzano nella descrizione della
montagna un centro simbolico di forte
attrazione e di esperienza.
La mostra sarà suddivisa nelle seguenti
sezioni:
LO SGUARDO RIVOLTO
VERSO LA MONTAGNA
L’osservazione della montagna, vissuta come
esperienza reale, definisce la necessità

n Il cortile interno della Galleria Civica G. Segantini
IL MITO DELLA MONTAGNA NELL’ARTE TRENTINA DI PRIMO NOVECENTO
A cura di Giovanna Nicoletti
Arco, Palazzo dei Panni 26.07-28.09.08
Nago, Forte Superiore 15.06-20.07.08
di descrivere il vero della luce e di fissare
gli attimi del quotidiano. I temi segantiniani
sono rivisitati attraverso il mondo
contadino.
LA MONTAGNA E L’ABISSO
La montagna è visitata nella sua valenza
simbolica di passaggio tra vita e morte.
Segni di vita estrema tesi tra visione spiritualistica
e decorazione subiscono metamorfosi
formali.
COSE DI MONTAGNA
Persone, elementi del paesaggio, cose, si
fondono nello spazio della natura e acquistano
un ritmo dinamico legato allo spiri-
to della comunicazione, del racconto, che
da esperienza di sospensione metafisica
diventa manifesto pubblicitario dei luoghi
della montagna.
LA MONTAGNA COME FONDALE
Dopo essere stata vissuta come simbolo,
come mito, la montagna pare trovare
una sorta di pacificazione come luogo dell’attesa
e del fenomeno. Sono gli anni della
seconda guerra mondiale quando l’uomo
viaggiatore trova frammenti e il tutto
si compone in una unica manifestazione
di luce.
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Arco,
terra natale
Scendendo lungo il corso del fiume
Sarca il primo incontro con Arco è
la rocca su cui sorge il castello, posta
al centro di una valle di chiara origine
glaciale. Arco è collocata in un ambiente
naturale unico: il nucleo storico della cittadina
si arrampica sulla rupe del castello,
di Arianna TAMBURINI
prima di lasciare il posto alle olivaie e, più
su, ai lecceti; a delimitare l’abitato, il fiume
Sarca e, sullo sfondo, le acque azzurre
del lago di Garda che mitigano un clima
davvero peculiare.
Le tracce preistoriche ci confermano che
Arco era abitata fin dall’antichità, con in

La città
sediamenti risalenti all’età mesolitica e neolitica,
mentre le statue stele antropomorfe,
ritrovate negli anni Ottanta, testimoniano
la presenza di un luogo di culto di
notevole importanza. Sulla valle è poi visibile,
ancor oggi, il reticolo della centuriazione
romana.
Nel Medioevo il borgo iniziò a caratterizzarsi
sulla destra orografica del Sarca,
chiudendosi con mura attorno alla collina
del castello. Il nome stesso di Arco sembra
derivare da “arx”, ovvero fortezza. Il
castello segue, da vicino, lo sviluppo urbano
del borgo: già prima dell’anno Mil-
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n Il castello di Arco spunta tra i tetti del Municipio e i camini alla veneziana di Palazzo Marchetti
le la fortezza esisteva, anche se non nella
complessa struttura che ci ha trasmesso
successivamente l’iconografia. Nel dodicesimo
secolo, Federico d’Arco dichiarò
che il castello era bene allodiale degli abitanti
della Pieve di Arco e, più tardi, la famiglia
dei conti d’Arco ne divenne unica
proprietaria. Alla fine del XV secolo, come
si nota nel dipinto del Dürer, che lo
realizzò durante il suo viaggio in Italia, il
castello era un piccolo villaggio fortificato,
uno dei più grandi in Trentino.
L’epoca rinascimentale vide crescere attorno
alla piazza della Chiesa Collegiata
le residenze dei Conti d’Arco, il Palazzo
Nuovo (Palazzo Marcabruni-Giuliani),
il Palazzo di San Pietro (Palazzo Marchetti),
il Palazzo di Piazza (oggi Municipio),
il Palazzo del Termine e, per ultimo, il Palazzo
dei Panni.
L’inizio del Settecento segnò il declino
della rocca, che si concluse con il bombardamento
del generale francese Vendôme,
il quale distrusse molti castelli della zona.
I conti d’Arco, intanto, si erano divisi in
diversi rami e il castello, seppur in rovina,
era rimasto di proprietà, in parti uguali,
del ramo di Baviera e del ramo di Mantova.
Ad Arco rimaneva un solo nucleo della
nobile famiglia.
Fu nel corso dell’Ottocento che il volto
della cittadina cambiò radicalmente,
espandendosi oltre le mura, mentre
una fiorente classe borghese contribuì all’espansione
della comunità, si rafforzò
il commercio, nacquero le prime attività
industriali, vennero potenziate le vie
di comunicazione e si iniziò a parlare di
turismo. Fu in questa cittadina in piena
espansione che, nel 1858, nacque Giovan

n Un lembo del Parco Arciducale e, sullo sfondo, l’oliveto con il castello
ni Segantini. Ad Arco il pittore rimase per
soli otto anni, allontanato da alterne vicende
familiari, ma il ricordo della cittadina
austriaca e della sua infanzia contribuirà
ad illuminare, in futuro, le sue opere.
Pochi anni dopo la partenza del giovanissimo
pittore, ovvero nel 1870, prese corpo
il felice periodo del Kurort, della “città
di cura”; Arco venne esaltata per il suo clima
mite e le sue capacità terapeutiche e la
ricca nobiltà austriaca fece a gara per co-
struire sontuose ville con splendidi giardini,
si moltiplicarono i luoghi di incontro,
i giardini pubblici e gli alberghi, arrivò la
ferrovia e Arco assunse lentamente l’aspetto
che tuttora si può ammirare. Motore
dello sviluppo fu, in quegli anni, l’arciduca
Alberto d’Asburgo, cugino dell’imperatore
Francesco Giuseppe, che fece di Arco
la sua residenza invernale creando la grande
Villa Arciducale e il parco con specie
arboree mediterranee ed esotiche, oltre ad
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n La lapide che ricorda la caduta di Segantini
bambino in un canale
un frutteto e una limonaia. Altra presenza
significativa, in quel periodo, fu quella
del re delle Due Sicilie, Francesco II di
Borbone, che trascorse l’ultima parte del
suo esilio e morì proprio ad Arco. Ospiti
illustri furono anche il principe Maurizio
di Sassonia e il poeta Rainer Maria Rilke.
Poi la guerra frantumò il delicato equilibrio
del Kurort, e Arco rinacque solo come
centro sanatoriale.
A tutt’oggi sono rimaste vestigia importanti
del rinomato passato di Arco, come
le eleganti ville in stile Liberty sulle quali
spicca il Casinò, voluto dall’arciduca Alberto,
oppure l’Arboreto, lembo dell’antico
parco arciducale, dove si può ammirare
una splendida collezione vegetale tra
cui una maestosa sequoia e un cipresso di
Lawson dalla peculiare forma a candelabro,
senza dimenticare i giardini pubblici,
il cui cuore è costituito dallo spettacolare
cedro dell’Himalaya, messo a dimora agli
inizi dell’epoca del Kurort. Su tutto domina
il castello circondato dall’oliveto, che il
Comune di Arco acquistò dalla contessa
Giovanna d’Arco, marchesa di Bagno, nel
1982 e, in accordo con la Provincia Autonoma
di Trento restaurò rendendolo interamente
fruibile al pubblico.
n Il monumento dedicato a Segantini
nei giardini centrali
Arco, infine, porta con sé il ricordo di Segantini:
a dieci anni di distanza dalla sua
morte, il 24 ottobre del 1909, venne solennemente
inaugurato il monumento
collocato nei giardini pubblici, composto
di un basamento che rappresenta alcune
rocce e una statua in bronzo realizzata
dall’artista Leonardo Bistolfi, amico del
pittore, che aveva già realizzato il monumento
funebre di Maloja.
Nel 1949, alla presenza dei figli Bianca e
Gottardo Segantini, si inaugurarono, invece,
una fontanella dove sorgeva la casa
natale del pittore abbattuta pochi anni
prima per esigenze di viabilità, e una lapide
che ricorda la caduta di Segantini bambino
in un canale e il suo provvidenziale
salvataggio.

Galleria Civica G. Segantini
La Galleria Civica è collocata nelle
sale a pianterreno del seicentesco
Palazzo dei Panni, edificato
da Giovambattista d’Arco. Il Palazzo è il
meno antico dei tanti che un tempo appartenevano
alla famiglia dei conti d’Arco
e non fu mai completato perché doveva
congiungersi alla cinta delle mura
della città attraverso due ali. Sul portale
d’ingresso è tuttora visibile lo stemma
dei Conti d’Arco, del ramo di Andrea. Vi
abitò saltuariamente il conte Emmanuele,
uomo di cultura e musicista. Alla fine
del Settecento vi fu collocato un lanificio,
voluto dal sacerdote Giambattista Marosi,
da cui prese il nome di Palazzo dei Panni.
Successivamente ebbe diversi proprietari,
fino ad essere acquisito dal Comune che
lo restaurò per farne la sede della Biblioteca
e di spazi espositivi.
La Galleria Civica G. Segantini nasce nella
sua struttura attuale nel dicembre del
2005, sostituendosi allo spazio espositivo
Atelier Segantini. L’Atelier era stato costituito
nel 1994 come laboratorio artistico
e si era caratterizzato con un percorso
espositivo nel corso del 1999, in seguito
agli appuntamenti connessi al centenario
della morte di Giovanni Segantini. Attraverso
questo passaggio istituzionale, si è
voluto consolidarne l’attività, trasformando
l’Atelier da un luogo estemporaneo ad
un’istituzione permanente, la Galleria Civica,
in grado di dare continuità alla promozione
dell’arte.
La Galleria offre una serie di eventi espositivi
e didattici indirizzati allo studio del
territorio come luogo di memoria e alla
scoperta della storia attraverso le personalità
artistiche che in diversa misura ne
sono state influenzate o ne hanno tratto
ispirazione.
Numerose le mostre dedicate a personalità
artistiche importanti, che sono state allestite
dal 1994 ad oggi; tra i maestri trentini
Oddone Tomasi, Luigi Ratini, Gustavo
Borzaga, Luigi Bonazza, Silvio Clerico,
Hans Lietzmann, Giuseppe Balata; per il
contemporaneo Giuseppe Maraniello, James
Brown, Arthur Kostner, Enrica Borghi,
Robert Bosisio, Mario Airò, Herbert
Hamak.
Accanto ai suggestivi avvolti del pianoterra,
la Galleria utilizza come spazi espositivi
estemporanei anche il castello di Arco,
l’Arboreto e il Bosco Caproni.
Galleria Civica G. Segantini
Palazzo dei Panni
Via Segantini 9 – 38062 Arco
tel. 0464 583653 – fax 0464 583615
www.galleriacivica-arco.it
galleriacivica@comune.arco.tn.it
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Segantini Museum St. Moritz
Il Museo, inaugurato nove anni dopo
la morte dell’artista nel 1908, festeggia
quest’anno il suo centesimo anniversario.
Dedicato a Giovanni Segantini, che
ha trascorso gli ultimi cinque anni della sua
vita dipingendo in Engadina, è stato voluto
dall’amico del pittore Oscar Bernhard, medico
e collezionista, ed eretto dall’architetto
Nicolaus Hartmann come una sorta di monumento
commemorativo visitabile. L’edificio
con la maestosa cupola è ispirato alla rotonda
di quel padiglione che Segantini aveva
progettato per ospitare il suo “Panorama
dell’Engadina”, da presentare per l’Esposizione
universale di Parigi del 1900. Il Museo Segantini
è stato completamente restaurato
ed ampliato tra il 1998 e il 1999 dall’Architetto
Hans-Jörg Ruch e dagli esperti è considerato
il museo più bello di tutta l’Engadina.
Al suo interno sono esposte opere realizzate
dal pittore nei vari periodi creativi della
sua carriera artistica, tra cui l’enorme trittico
“La vita”, “La natura”, “La morte”, conservato
proprio nella Sala della Cupola.
Museo Segantini, Via Somplaz, 30 – 7500 St. Moritz
Tel. +41 (0) 81 833 44 54 – Fax +41 (0) 81 832 24 54
www.segantini-museum.ch – info@segantini-museum.ch
ORARIO DI APERTURA
20 maggio – 20 ottobre;
10 dicembre – 20 aprile
10.00-12.00, 14.00-18.00, (da martedì a domenica)
chiuso lunedì, 1° gennaio, Venerdì Santo, domenica
di Pasqua, domenica di Pentecoste,
25 dicembre, Ascensione.
Su richiesta si effettuano visite guidate per
gruppi e visite di formazione didattica per
insegnanti, scuole ed adulti, anche al di fuori
del normale orario di apertura.
BIGLIETTI DI INGRESSO:
> adulti: Fr. 10;
gruppi (a partire da 10 persone): Fr. 7
> studenti: Fr. 7;
gruppi (a partire da 10 persone): Fr. 5
> bambini: Fr. 3;
gruppi (a partire da 10 bambini): Fr. 2
> visite guidate durata ca. 45 minuti: Fr. 150

Le opere
“
Ci sono le montagne,
il cielo e una luce
che non si può spiegare.
In alcune giornate
davvero speciali
ti sembra di essere parte
di questa meraviglia,
ma poi ci sono giornate
tremende, dove tutto
acquista una gran forza
e dove avverti un legame
incredibile con la natura
che ti circonda
e ti soverchia
”
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Giovanni Segantini

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L’angelo della vita, 1896
(Matita, mm 590x430)
Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz

All’arcolaio, 1891-1893
(Matita su carta, mm 26x16)
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Mart, Rovereto

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Autoritratto a vent’anni, 1879-1880
(Olio su tela, cm 35x26)
Comune, Arco

Autoritratto, 1895
(Matita, mm 590x500)
Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz
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Ave Maria a trasbordo, 1890
(Matita, mm 244x370)
Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz

Natura morta con cesto di frutta, 1879-1180
(Olio su tela, cm 27x42)
Cassa Rurale Alto Garda, Arco
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Costume grigionese, 1887
(Olio su tela, cm 54x79)
Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz
Depositum der Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung

Mezzogiorno sulle Alpi, 1891
(Olio su tela, cm 77,5x71,5)
Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz
Depositum der Otto Fischbacher Giovanni Segantini Stiftung
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Vacca, 1886-1887
(Matita e pastello su carta, cm 62,5x86,5)
Mart Rovereto

Nella stalla, 1881-1883
(Olio su tela, cm 48x74)
Cassa Rurale Alto Garda, Arco
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Ortensie, 1880-1882
(Olio su tela, cm 50x100)
Mart Rovereto – Deposito Fondazione Caritro

Pastore addormentato, 1882
(Matita, mm 495x660)
Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz
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Pastorella sognante, 1886-1887
(Matita, mm 375x250)
Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz

La benedizione delle pecore, 1884
(Olio su tela, cm 198x120)
Segantini Museum, St. Moritz/Schweiz – Depositum der Gemeinde St. Moritz
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Abbozzo di ritratto, 1887
(Olio su tela)
Cassa Rurale Alto Garda, Arco

La vanità, 1898
(Matita, carbone e gesso bianco, mm 295x452)
Cassa Rurale Alto Garda, Arco
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Segantini
e la chiromante
Davanti all’Osteria Vecchia sostavano
i cocchi degli ultimi turisti
in partenza. La stagione era stata
davvero brillante, le dame erano pronte
a ripartire per casa, con in mano le cartoline
illustrate, i mazzolini di stelle alpine
e una bottiglia di grappa con la genziana
da regalare ai nonni in madrepatria.
Bella era stata l’estate, ma ora che settembre
aveva riaperto gli scuri, il processo a
Dreyfus appena concluso, il piccolo borgo
di Maloja si preparava ancora una volta
a spopolarsi.
Bice diede un’occhiata all’orologio e scosse
il capo sorridendo. Quel poltrone di
suo marito non si era ancora destato dal-
la pennichella post-prandiale che ultimamente
aveva preso l’abitudine di fare. Si
avvicinò alla porta dello studio circolare e
appoggiò l’orecchio sul legno. Nessun rumore
e nessun dubbio sul fatto che Giovanni
Segantini stesse ancora dormendo.
Ma non era così. Bice lo trovò in piedi
davanti alla tela della Morte, con lo sguardo
perso e la solita familiare espressione
da burbero. Era davanti a quel quadro,
uno dei tre che sarebbero dovuti andare
a Parigi, all’Esposizione universale. Raffigurava
le montagne innevate sopra il paese,
in primo piano alcune figure di nero
vestite adempiscono al triste offizio di un
funerale.

Il racconto
di Pino LOPERFIDO
di Pino Loperfido
– Giovanni, che stai facendo?
Lui si voltò. Aveva l’aria stanca, nonostante
si fosse svegliato da poco.
– Non ce la farò mai.
– A far cosa?
– Mi sembra di non avere il tempo per finir
la mia opera.
– Hai ancora un anno davanti a te – sorrise
Bice.
Giovanni aggrottò ancora di più le sopracciglia.
Poi indicò il quadro a cui stava
lavorando.
– Vedi, due uomini escono da questa porta
portando a spalla una bara. Nel dormiveglia,
poco fa, mi è sembrato di veder
raffigurato il mio funerale.
Bice ebbe un sussulto. Si avvicinò al marito
e lo abbracciò teneramente.
***
La metropolitana, il cinematografo, la
Tour Eiffel, la Gare d’Orsay: quante meraviglie
avrebbe accolto nel suo ventre
l’Esposizione universale di Parigi. L’idea
galvanizzava Segantini, ma non per presunzione,
quanto per l’orgoglio che gli
gonfiava il petto. Portare alto il nome
dell’Engadina, la regione che lo aveva
adottato, nel cuore della manifestazione
parigina avrebbe significato far conoscere
quello sconosciuto lembo di mondo al
mondo intero, ai milioni di visitatori che
avrebbero visitato i padiglioni. E il tutto
sarebbe avvenuto attraverso quell’opera:
il Trittico delle Alpi. Quadri, semplici tele
imbrattate di colore che però avrebbero
preso la Natura per i capelli e l’avrebbero
immortalata, imprigionata, in bella copia,
quasi che si corresse il pericolo di perdere
tutta quella meraviglia all’improvviso.
***
La neve calpestata dagli scarponi scoppiettava
allegramente. La strada di Pontresina,
appena superata la chiesa, si infilava
repentinamente nel fitto bosco. Le
acque del Roseg scorrevano poco più in
alto, contaminando il silenzio che avvolgeva
tutta la montagna.
Giovanni si fermò e si voltò verso il suo
mecenate, l’amico Grubicy. Il piccolo
Mario attese il padre poco più avanti, seduto
su un sasso assieme alla Baba, la fida
bambinaia.
– Allora, io vado.
– Mi raccomando, fa un buon lavoro.
Che li stendiamo tutti a Parigi.
– Fossimo riusciti a realizzare quel progetto…
Altro che Trittico della Montagna.
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– Ascolta, Seganto. Duecento metri
di plastico secondo me sono una follia.
Costava meno prendere l’Engadina
e portarla tutta di peso nei padiglioni
dell’esposizione. Non sei d’accordo?
– Fai lo stesso errore degli albergatori,
secondo me. Guardate alla spesa e non
ai benefici che sarebbero arrivati al turismo
nel corso degli anni.
– Tì t’hai mania de spend come se tì te
fussi el duca Litta…
– Addio, Grubicy. Ci vediamo a valle.
– Faglielo bene il ritratto allo Schafberg.
Ciau, Seganto!
E lo Schafberg, la montagna delle pecore,
se ne stava lassù ad attendere l’artista,
con la falsa modestia di una primadonna
del belcanto che si imbelletta in
camerino prima di esibirsi davanti ad un
pubblico estasiato.
Settembre arrossava il bosco di foglie,
bacche e mirtilli.
Il piccolo Mario cominciava a dare segni
di stanchezza e continuava a domandare
ragguagli su quanto mancasse alla capanna.
Baba cercava di tranquillizzarlo
raccontandogli qualche storiella. Giovanni,
invece, procedeva pensieroso. I
portatori erano già giunti a destinazio-
Le mucche
di Sonia
a Giovanni
piacerebbero
assai…
di Carlo Martinelli
ne con i sacchi delle provviste, le coperte,
ma soprattutto la mastodontica cassa
contenente il quadro da portare a termine.
L’inverno era alle porte e portava con sé
quella malinconia che in Giovanni attecchiva
tanto facilmente. Ma non era solo
il recente incubo nello studio ad angosciarlo.
Poco tempo prima, si era fatto
fare un oroscopo da Aniusca, una chiromante
russa incontrata in casa della
principessa Bibesco. Il responso era stato
esaltante: Giovanni Segantini avrebbe
avuto una vita lunga come quella
del maestro Tiziano. Gloria e successo
avrebbero accompagnato l’artista trentino
fino alla soprendente età di novantanove
anni. Eppure, la predizione lo aveva
gettato in un profondo stato di prostrazione.
Era strano, ma lui nelle parole
e nel tono di voce tremolante di Aniusca
aveva colto degli accenti non veritieri.
***
Il quadro della Natura venne piantato
nel terreno su uno spiazzo a picco, poco
sotto il rifugio. Da lì, arrampicato su
una fila di casse in maniera da giungere
all’estremità superiore della tela, Giovanni
riusciva a vedere l’intera catena
Qualcosa – quello spiritello che alberga in
ognuno di noi e che bisogna pur lasciar
parlare, qualche volta – ci dice che Giovanni
Segantini avrebbe molto apprezzato
le mucche che popolano il percorso artistico
di Sonia Lunardelli. Ecco perché le
sue mucche – o vacche che dir si voglia –
trovano qui il loro spazio. È dal 2005 che
Sonia Lunardelli – Trento, classe 1976, laurea
in lettere e filosofia ad indirizzo preistorico,
grafica di professione – si occupa

delle montagne che aveva abbozzato: dal
Bernina allo Julier. Più in basso si stagliava
la vallata dell’Engadina punteggiata
di specchi d’acqua. E poi, quasi invisibili,
le case di Maloja.
Lavorava con una specie di febbre addosso.
Sentiva di essere in ritardo per
Parigi e allora stava anche quindici ore
al giorno con i pennelli in mano. Non
voleva essere disturbato nemmeno per
la colazione. Quando i morsi della fame
proprio non volevano lasciarlo tranquillo,
tirava fuori dallo zaino un vasetto di
Liebig, l’estratto di carne che il fratello
Alberto gli aveva portato da Milano, e
se lo spalmava su larghe fette di pane. Se
aveva sete, prendeva un pugno di neve
e, senza pensarci due volte, se lo ficcava
indecorosamente in bocca.
Tutto sembrava procedere per il meglio
e secondo i piani del Maestro.
Ma il giorno dopo, giovedì, Giovanni
era appena salito in cima alla sua impalcatura
fatta di casse, quando una fitta al
ventre lo fece piegare in due dal dolore.
Uno spasmo breve, intensissimo, come
se qualcuno lo avesse tagliato in due con
un’affilatissima lama. Un dolore puro e
incontaminato, proprio come i ghiacciai
che da lì si potevano ammirare.
di mucche in senso artistico. Mostre, performance.
“Mi interessano – racconta, segantinianamente
– per le loro forme spigolose,
per quello sguardo a tratti pacifico,
a tratti inquietante e in seguito per
tutte le riflessioni a cui mi ha condotto,
da quelle economiche e culturali, a quelle
ecologico-ambientaliste… all’incontro
con il mondo degli addetti ai lavori. Mucche
pensate, dipinte, annusate, coinvolte
in azioni che si usa chiamare performan-
Giovanni provò a raddrizzarsi, respirò
l’aria fredda e secca dello Schafberg e si
rimise al lavoro, con un velo di angoscia
in più nel cuore. Cosa diavolo stava succedendo?
Cos’erano quelle fitte che parevano
spaccargli la pancia ogni due o
tre ore?
Baba lo vedeva prostrato e pregava di
nascosto. Abbarbicata a 2700 metri d’altezza,
con un ragazzino ed un uomo sofferente
non poteva certo dirsi tranquilla.
Era combattuta, indecisa se scendere
o meno a valle a chiedere aiuto. Anche
perché Giovanni nicchiava, continuava
a sostenere che non c’era ragione di
chiamare un dottore.
Tuttavia, al sabato, anche lui dovette arrendersi.
Non riuscì ad alzarsi dal letto a
causa del male. La grande tela della Natura
non avrebbe visto il suo creatore,
quella mattina. E nemmeno quelle successive.
Baba si precipitò a valle a chiamare
aiuto.
Il dottor Bernhard, grande amico di
Giovanni, raggiunse la vetta con un paio
di infermieri, una cassetta di medicamenti
e di ferri.
– Batt i pagn salta foeura la strìa – scherzò
Giovanni appena lo vide comparire
sulla soglia della baita.
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La diagnosi non lasciava speranze: peritonite.
Il paziente non era né trasportabile,
né tanto meno operabile in simili
condizioni ambientali. Era necessario,
infatti, che nella capanna ci fossero almeno
ventisette gradi. Tutti si adoperarono
per scaldare il più possibile, ma
ciononostante si raggiungevano a malapena
i quindici.
Stordito dall’agonia e dalle iniezioni di
calmante, Giovanni viaggiava con la
fantasia tra i padiglioni dell’esposizione
universale di Parigi. Vedeva la metropolitana
e si arrampicava sulla Tour Eiffel.
Ripensò alla sua terra natìa, il Trentino,
rivide il negozio di vino, formaggio
e frutta che suo padre aveva Trento,
in via San Martino. La bottega fotografica
di suo fratello Napoleone a Borgo
Valsugana.
Si rammaricò perché non avrebbe più
potuto accontentare il podestà di Arco,
il suo paese natale, che gli chiedeva un
trionfale ritorno a casa.
Al suo capezzale c’erano Bice, i figli, gli
amici più fidati. Non si aspettava più
nessuno. Eppure, in piena notte si sentì
battere alla porta della baita. Nessuno
si mosse per aprire. Eppure il misterioso
visitatore insisteva.
Baba si alzò dal suo scomodo riposo e
aprì. Comparve una donna preceduta da
un portatore con una lanterna.
– Est-ce qu’il est mort? Mon âme a dit
qu’il venait de mourir – domandò in
francese.
Baba le fece segnò di tacere. Ma debolmente
Giovanni, dal fondo della baita,
fece segno di avvicinarsi.
– Aniusca. Avete visto come sono ridotto?
Non mi avevate predetto la lunga vita
di Tiziano? Dovevo campare fino a
novantanove anni, ricordate? Me lo avevate
promesso…
La donna ruppe in un pianto irrefrenabile
e si gettò disperata a ginocchioni ai
piedi di quel letto di morte.
– No, mon amì. Il numero che avevo
letto nelle linee della vostra mano era
proprio quello. Ma non indicava l’età,
bensì l’anno in cui sareste…
D’un tratto, incredibilmente, Giovanni
si mise ritto sul letto. Tutti si stupirono
di tanta energia e ne rimasero spaventati,
come se stessero assistendo ad fenomeno
paranormale, una specie di visione
inspiegabile. Per lunghi attimi tutti
pendettero dalle labbra del Maestro.
– Voglio vedere le mie montagne – sussurrò
Giovanni…
ce. Un mondo di vacche…o di vaccate.
Banalmente mucche, o forse cose serie”.
Di seguito, alcune delle sue mucche dipinte.
Nell’immagine grande (pagina 56, foto
Daniela Webber) una mucca che Sonia
Lunardelli ha dipinto con colori naturali
al cospetto delle Pale di San Martino.
Massì, a Giovanni Segantini sarebbero piaciute
queste mucche colorate. Per queste
gliele regaliamo. Qui.

n Il trasporto della salma del pittore Segantini dalla
capanna sullo Schafberg, dove morì, alla chiesetta
di Maloja. Disegno di A. Beltrame, pubblicato nella
“Domenica del Corriere” e ispiratogli da una
fotografia istantanea.
L’Esposizione Universale
L’Esposizione Universale venne
inaugurata in pompa magna il 14
aprile dell’anno 1900. A visitarla,
alla fine, furono in cinquanta milioni.
Un successo che verrà eguagliato
solo settant’anni più tardi, ad Osaka.
Un’immensità di gente curiosa che
potè ammirare i molti monumenti
parigini costruiti per l’occasione –
la Gare de Lyon, il Ponte Alessandro
III, il Grand Palais, La Ruche e il Petit
Palais – il trionfo del cinematografo
dei fratelli Lumière e un sacco di
altre cose meravigliose. Il Trittico
della Natura di Giovanni Segantini
venne rifiutato dai committenti
svizzeri, ritenuto non in sintonia con
l’immagine turistica che si intendeva
trasmettere a Parigi.
Vittore Grubicy volle onorare l’amico
Giovanni esponendo a sue spese Il
Trittico, nel padiglione italiano.
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8 marzo
Galleria Civica G. Segantini,
Palazzo dei Panni Arco
Giovanni Segantini. DELLA NATURA
Mostra (08/03-11/05/2008) a cura
di Giovanna Nicoletti
15 – 24 marzo
Chiesa Collegiata, Chiesa Evangelica
della Trinità, Casinò Municipale
SEGANTINIANA - Pasqua Musicale
Arcense, 35° edizione
La Pasqua musicale esordì 35 anni fa per impulso
di monsignor Flaim e del pastore Franz
Otto Zanfrini che, assieme a Fausto Gobbi e
Pietro Forcinella crearono un calendario di
concerti per il periodo pasquale. Anima artistica
della manifestazione Peter Braschkat, a cui
va il merito di aver fondato l’orchestra della
Pasqua musicale arcense, composta di musicisti
di livello internazionale, e di aver consolidato
il rapporto con la comunità evangelica. Ai musicisti
di Braschkat, progressivamente, si sono
aggiunte le risorse locali tra cui la Camerata
Musicale, l’Ensemble Niccolò d’Arco, la Scuola
Musicale Civica di Arco e, per l’edizione di
quest’anno, anche gli Abies Alba e la Bandalpina
di Bergamo.
Programma:
> 15 marzo ore 18.00 – chiesa di Bolognano,
Camerata Musicale Città di Arco
> 16 marzo ore 21.00 – Casinò,
Scuola Musicale di Arco
> 18 marzo ore 21.00 – chiesa di Bolognano,
Ensemble Vocale Nicolò d’Arco
> 21 marzo ore 16.00 – chiesa Evangelica,
Solisti della Pasqua Musicale
> 22 marzo ore 21.00, – Casinò,
Orchestra della Pasqua Musicale
> 23 marzo ore 21.00 – chiesa Collegiata,
Orchestra della Pasqua Musicale
> 24 marzo ore 17.00 – Casinò, Abies Alba
e Bandalpina di Bergamo
IL CALENDARIO 2008
28 marzo
Teatro Oratorio San Floriano di Bolognano,
ore 20.30
Giovanni Segantini - Una vita
Recital di luci, suoni, parole di e con Alfonso
Masi. Alfonso Masi svolge attività di recitazione
da oltre quarant’anni, soprattutto nel campo
della poesia; suo anche il monologo sulla Shoah
“Tu passerai per il camino”. In questo recital
Masi si immagina Segantini a Maloja, chiuso
in casa per la neve, che ripercorre le tappe della
propria vita, le difficoltà economiche e il suo
continuo peregrinare. Le parole del monologo
sono affiancate dalla visione delle opere a cui
si fa riferimento e da musiche di Mahler, contemporaneo
del pittore. La figura di Segantini
viene così delineata da un’armonica fusione fra
immagini, suoni e parole.
8, 15, 22, 29 aprile e 6 maggio
Palazzo dei Panni Arco, ore 20.30
Si legge Segantini
Cinque approfondimenti intorno
alle opere di Segantini
22-25 aprile
32° Giro del Trentino
Gara internazionale professionisti
Gran Premio Giovanni Segantini
In collaborazione con G.S. Altogarda Arco
25 aprile
Arboreto del parco Arciducale, ore 20.30
CONTADINI e ORFANI – Lavoro
e solitudine nell’opera di Segantini
Recital di poesia, testi di Ubaldo Gervasoni
e Alberto Sighele
In questo spettacolo, che coniuga i versi con
la musica, verranno interpretate alcune poesie
che tracciano un collegamento ideale tra
le sofferenze dei palestinesi e dei contadini del
Nicaragua, rimasti privi di terra, e la sofferta
infanzia di Segantini.

3 e 4 maggio
Giardini Centrali, Veranda del Casinò
Le ESSENZE della MONTAGNA
Manifestazione “Arco fiori”, in collaborazione
con l’associazione ArcoBonsai
24 e 25 maggio
Rione Medievale di Stranforio
Segantini Junior e Premio di Pittura
Giovanni Segantini
Il Premio Segantini nasce nel 1968 in memoria
del maestro del divisionismo italiano Giovanni
Segantini (Arco 1858 – Maloja 1899). Si
compone di una mostra di pittura all’aperto
nelle caratteristiche piazze e nelle vie del rione
Stranforio, di una mostra estemporanea,
nonché di un concorso di disegno riservato ai
bambini delle scuole.
31 maggio – 1 giugno
Da ARCO al MALOJA – Le strade
e i luoghi di Segantini
Viaggio a St. Morizt in occasione della mostra
del Segantini Museum.
In collaborazione con Associazione Arco
Obiettivo Europa.
1 giugno – 20 luglio
Contemporanea 1:
“Profili”
Mostra di arte contemporanea
14 giugno – 28 settembre
Forte Superiore di Nago, 14 giugno – 20 luglio
Galleria Civica Segantini di Arco, 25 luglio – 28
settembre
Il MITO della MONTAGNA - La pittura
di montagna dopo Segantini
Mostra in collaborazione con il Comune
di Nago Torbole
8 luglio
Pascoli di Malga Campo
I suoni delle Dolomiti – DIVENIRE:
la Vita, la Natura, la Morte
Suggestioni segantiniane nel concerto
di Ludovico Einaudi.
Il festival in quota “I Suoni delle Dolomiti”,
ogni anno in estate raduna sulle montagne più
belle del Trentino musicisti provenienti da tutto
il mondo.
In questo concerto a Malga Campo, un luogo
incantevole che evoca in modo i paesaggi di
Segantini, sarà chiamato a celebrare il pittore
arcense, il pianista Ludovico Einaudi.
Einaudi, accompagnato dall’orchestra “I Virtuosi
Italiani”, proporrà al pubblico “Panorama-Divenire”,
composizione originale per pianoforte
due arpe e orchestra d’archi ispirata al trittico
pittorico “La vita, la natura, la morte” di Giovanni
Segantini.
3 agosto
Catena Adamello - Presanella
Escursione al rifugio Segantini
A cura della SAT, Sezione di Arco
8, 9 e 10 agosto
Castello di Arco, Prato della Lizza, ore 21.00
Giovanni Segantini - il poeta della luce
Spettacolo teatrale in due atti di Antonia
Dalpiaz. In collaborazione con CO.F.AS.
Antonia Dalpiaz è autrice di una trentina di testi
teatrali, e di una trilogia dedicata alla donna.
Collabora con il giornale l’Adige, con Radio
Dolomiti, UCT e Trentino Mese.
La storia inizia ad Arco, nel luglio del 1899,
quando il podestà Carlo Marchetti annuncia
che tre ciclisti andranno da Giovanni Segantini
per invitarlo a visitare Arco. Da questo spunto
si raccontano le esperienze della vita del pittore,
con flash back sulla sua infanzia e sul suo
doloroso percorso di vita, e con momenti privati
scanditi da dialoghi con la moglie, la governante
Baba, con i figli. Protagonisti e comparse
si muoveranno sul palco, raccontando la storia
di Segantini sia in forma dialogata che plastica.
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30 – 31 agosto
Monti del Bernina, Schafberg
Voglio rivedere le mie montagne
Escursione alpinistica a cura della SAT,
Sezione di Arco
26 settembre
Auditorium di Palazzo dei Panni Arco
Giovanni Segantini - Della Natura
La figura e l’opera di Giovanni Segantini
nella cultura di fine Ottocento
convegno in collaborazione con Università
di Trento e Museo Segantini St. Moritz
5 ottobre – 23 novembre
Contemporanea 2: “Profili”
Mostra di arte contemporanea
LUDOVICO EINAUDI E I SUONI DELLE DOLOMITI
8 luglio 2008 – Malga Campo
All’interno del vasto programma d’iniziative dedicate al centocinquantesimo anniversario dalla
nascita del pittore arcense Giovanni Segantini, messe in campo dal Comune di Arco, spicca un
concerto dell’edizione 2008 de “I Suoni delle Dolomiti”, il festival in quota che d’estate raduna
sulle montagne più belle del Trentino musicisti provenienti da tutto il mondo.
L’appuntamento è per l’8 luglio a Malga Campo nel gruppo montuoso Bondone-Stivo, un
luogo incantevole che evoca in modo straordinario i paesaggi ritratti nei quadri del grande
maestro. A celebrare il pittore gardesano, attraverso il linguaggio delle note, sarà il pianista
Ludovico Einaudi, che accompagnato dall’orchestra “I Virtuosi Italiani”, proporrà al pubblico
“Panorama-Divenire”, composizione originale per pianoforte due arpe e orchestra d’archi
ispirata al trittico pittorico La vita, la natura, la morte di Giovanni Segantini.
Panorama-Divenire nasce da una commissione affidata a Ludovico Einaudi da “I Suoni delle
Dolomiti” nel 2002, viene eseguita in prima assoluta ai piedi delle Pale di
San Martino e diventa nel 2007 la base, l’ossatura portante di “Divenire”
l’ultima fatica discografica del musicista milanese, un album inciso per la
casa discografica Decca, apprezzato da pubblico e critica e premiato anche
dalle vendite. Il concerto, organizzato dall’Assessorato provinciale al
Turismo, dal Comune di Arco e da Trentino Spa, ha visto
la nascita di una significativa collaborazione tra “I
Suoni delle Dolomiti” e una delle iniziative di punta
dell’estate culturale e turistica del Trentino come i
festeggiamenti del 150° della nascita di Giovanni
Segantini.

Il logo
La raccolta del fieno (1889 ca. e 1898)
olio su tela, cm. 137 x 149
firmato in basso a sinistra: G Segantini
St.Moritz, Segantini Museum,
(Depositum der Gemeinde St. Moritz)
Concepito nel 1889 a Savognino, viene
ripreso a Soglio in Val Bregaglia nove
anni dopo, aggiungendo una porzione
di tela in alto, quindi trasformandone
l’originario formato orizzontale in
un quadrato terminante ad arco ribassato.
Allo sfondo della prima elaborazione,
che prevedeva una veduta dei campi,
è aggiunto un coronamento di monti
e un cielo coperto da nuvole compatte
e sagomate. Si tratta di un’eccezione,
visto che l’artista aveva la consuetudine
di creare altre versioni ex novo degli
stessi soggetti. In questo caso, invece,
in seguito ad un preciso progetto, come
annunciato anche in una lettera ad Alberto
Grubicy, modifica la composizione
e il significato di un quadro già eseguito,
di cui rimane una testimonianza
fotografica. L’opera viene esposta per la
prima volta solo dopo le modifiche in
occasione della mostra commemorativa
dell’artista a Milano nel 1899. Segantini
compone frequentemente le suo opere
rielaborando e unendo e a volte inventando,
a seconda dei casi, montagne, architetture
o dettagli, quindi non corrispondenti
alla realtà oggettiva dei luoghi.
Quest’aspetto non incide mai con
l’armonia dell’insieme, anche in opere
come questa, in cui si intrecciano
due luoghi diversi, realizzati a distanza
di tempo e con un’espressione pittorica
differente.
Stilisticamente si evidenzia una maggiore
descrizione e corporeità dovuta agli
impasti densi, nel primo piano, mentre
nello sfondo emerge più la sensibilità
decorativa ottenuta anche con l’uso di
una pennellata a tratteggi corti di colore
diviso, che segue le sagome dei monti
e le linee sinuose delle grandi nuvole.
Attraverso la linea della schiena della
contadina, che si incorpora nell’orizzonte
montuoso avviene l’unione delle due
parti in un accordo logico.
Anche il significato simbolico corrisponde
alle due parti del dipinto: il tema
dello scorrere imperturbabile della vita
contadina, faticosa e ripetitiva, sotto gli
occhi di una natura che può scatenare
anche la sua forza più spaventosa.
L’opera è stata spesso paragonata a Le
spigolatrici di François Millet, ma i sentimenti
di denuncia sociale di stampo realista
o gli intenti lirici, che coinvolgono
invece molti pittori divisionisti, sono
estranei a Segantini per il quale il lavoro
dei campi è unito a una visione fatalistica
e di accettazione sobria e dignitosa,
sempre legata a uno scenario naturale
spettacolare.
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COSA LEGGERE
Arcangeli Francesco, Gozzoli Maria Cristina, L’opera completa di Segantini, Rizzoli, Milano, 1973
Belli Gabriella, Segantini, Electa, Milano, 1987
Belli Gabriella e Quinsac Annie-Paule (a cura di), Segantini: la vita, la natura, la morte: disegni e dipinti, Skira, Milano,
1999
Belli Gabriella e Quinsac Annie-Paule, Giovanni Segantini: opere giovanili nelle collezioni del Trentino, Cassa Rurale di
Arco – Garda Trentino, Arco, 1999
Bonifazi Reto, Giovanni Segantini: una vita, una pittura, traduzione italiana Beatrice Bonetti, ed. Werd Verlag,
Zürich, 2002.
Budigna Luciano (a cura di), Giovanni Segantini, Fabbri, Milano, 1978 (I Maestri del Colore)
Quinsac Annie-Paule, Segantini, Firenze, Giunti, 2002, (Art Dossier).
Quinsac Annie-Paule, Segantini: catalogo generale, Electa, Milano, 1982
Quinsac Annie-Paule (a cura di), Giovanni Segantini: luce e simbolo, Skira, Milano, 2000
Quinsac Annie-Paule (a cura di), Segantini: trent’anni di vita artistica europea nei carteggi inediti dell’artista e dei suoi
mecenati, Cattaneo, Oggiono (CO), 1985
Ioppi Selenio e Turrini Romano, Arco e il Trentino per Giovanni Segantini: (1899-1999), Il Sommolago, Arco, 1999
Maurer Joseph, Ritratto di Giovanni Segantini: con una lettera inedita, un elenco dei quadri più noti e una bibliografia
cronologica, 2. ed. riv. ed aggiornata, Manfrini, Calliano (TN), 1981
Stutzer Beat, Wäspe Roland, Giovanni Segantini, ed. Hatje Cantz, 1999 (è in tedesco)
Stutzer Beat, Segantini, prefazione di Gioconda Leykauf-Segantini, ed. Montebella Verlag AG, 1999
Vitali Lamberto (a cura di), Venticinque lettere - Giovanni Segantini, ed. All’insegna del pesce d’oro, Milano 1970
NEL WEB
www.segantini-museum.ch
http://www.segantini.com/1_segantini_it.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Segantini
http://www.pittart.com/giovanni-segantini.htm
http://www.italica.rai.it/index.php?categoria=biografie&scheda=segantini
http://www.windoweb.it/guida/arte/biografia_giovanni_segantini.htm