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MAP - Magazine Alumni Politecnico di Milano #8 - AUTUNNO 2020 - EDIZIONE SPECIALE COVID-19

Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 8 - Autunno 2020 - Edizione Speciale Covid-19

Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 8 - Autunno 2020 - Edizione Speciale Covid-19

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MAP EDIZIONE SPECIALE - La ricerca e i ricercatori del Politecnico di Milano

che, nel 2020, si sono occupati di temi legati alla pandemia di coronavirus


Ferruccio Resta e il Politecnico di domani • Dossier: i numeri del Poli • La nuova piazza Leonardo • Renzo Piano: 100

alberi tra le aule • Gian Paolo Dallara e DynamiΣ: la squadra corse del Poli • PoliSocial: il 5x1000 del Politecnico di

Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura

tra luce e materia • Paola Antonelli, dal Poli al MoMA di New York • Zehus Bike+ e

Volata Cycles, le bici del futuro • Paolo Favole e la passerella sopra Galleria Vittorio Emanuele • Marco Mascetti:

ripensare la Nutella • I mondi migliori di Amalia Ercoli Finzi e Andrea Accomazzo • Nel cielo con Skyward e Airbus

MAP EDIZIONE SPECIALE - La ricerca e i ricercatori del Politecnico di Milano

che, nel 2020, si sono occupati di temi legati alla pandemia di coronavirus

Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante

geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta

il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura

italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa

• Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo

1 MAP Magazine Alumni Polimi

Quando ero studente al Poli • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza • Dove si costruisce il futuro del mondo • Poli da Olimpo • Mi

ricordo la Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel tempo • Speciale Forbes: Lorenzo Ferrario,

Gio Pastori • Big (Designer) Data • L’architetto, e il suo bracciale, salvavita • L’ingegnere che pulisce gli oceani • Il nuovo Cantiere Bonardi di

Renzo Piano • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del PolitecnicoAlumni da Podio: Fabio Novembre, Stefano Boeri • Tutte

le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • PoliHub, l’incubatore di talenti • 1968-2018 in Piazza Leonardo • Lettere alla redazione

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Alumni, il biglietto da visita del Politecnico di Milano - Il Poli sotto la lente d'ingrandimento - Dove va il tuo 5x1000: il Poli per il

sociale - Qui costruiamo il mondo del futuro - Un ingegnere in sala operatoria - Il primo italiano nell’Olimpo dei data scientist -

Made in Italy che fa impazzire il Giappone - Aerei per il futuro - Come ci cureremo nel futuro? - I Navigli del domani - Aeroporto

Marco Polo: destinazione 2027 - Viaggio verso Mercurio Bepicolombo - Campus Bonardi: come sarà nel 2020? - La Gazza del Poli -

Il Mondo Nuovo: un paese senza barriere - La ciclopista più bella del mondo - Tuv Italia - Storia di un fuorisede, di una volta

1

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Il Poli ai raggi X - Milano si rifà il look - 5 nuove cattedre per il mondo che cambia - Qui costruiamo il mondo del futuro, parte 3 - CIRC eV,

Il Poli

l'economia

sotto la lente

circolare

d'ingrandimento

gira al Politecnico

- Ricerca

- Galleria

a alto impatto

del vento

sociale

- La diversity

- Qui costruiamo

è pop - L'ingegnere

il mondo del

con

futuro,

la testa

parte

fra gli

2 -

asteroidi...

Un ingegnere

- ...E

in

l'ingegnere

sala

del

tempo - La mano robotica, umana - Infineon - Fabio Cannavale, serial startupper - Mappa di Milano (e dei progetti degli alumni) - Bovisa a

operatoria - Il primo italiano nell’Olimpo dei data scientist - Made in Italy che fa impazzire il Giappone - Il cielo (non) è il limite - Come

colori - Polimisport: sempre in movimento - Giuriati, il centro sportivo si riqualifica al centro del Poli - Anno nuovo, reunion 20 - I giorni di Natta

ci cureremo nel futuro? - I Navigli del domani - Aeroporto Marco Polo: destinazione 2027 - Viaggio verso Mercurio - Milano: come sarà nel

2020? - La Gazza del Poli - Il Mondo Nuovo: un paese senza barriere - La ciclopista più bella del mondo - Storia di un fuorisede, di una volta

1

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Il Poli ai raggi X - Milano si rifà il look - 5 nuove cattedre per il mondo che cambia - Qui costruiamo il mondo del futuro, parte 3 - CIRC eV,

l'economia circolare gira al Politecnico - Galleria del vento - La diversity è pop - L'ingegnere con la testa fra gli asteroidi... - ...E l'ingegnere del

tempo - La mano robotica, umana - Infineon - Fabio Cannavale, serial startupper - Mappa di Milano (e dei progetti degli alumni) - Bovisa a

colori - Polimisport: sempre in movimento - Giuriati, il centro sportivo si riqualifica al centro del Poli - Anno nuovo, reunion 20 - I giorni di Natta

1

Buona lettura.

Cari Alumni,

in queste pagine traspare l’impegno corale

del Politecnico di Milano in questo 2020 a dir

poco intenso. Un impegno che abbiamo voluto

raccontarvi, in cui abbiamo creduto noi della

redazione insieme a tutti i docenti che hanno

collaborato a questo numero, dedicandoci del

tempo prezioso. Anzitutto quindi ringrazio di

cuore tutti i ricercatori che hanno partecipato.

Naturalmente, questa raccolta è tutt’altro che

completa: il cartello “lavori in corso” è sempre

appeso alla porta del Politecnico e, nei prossimi

mesi, continueremo ad aggiornarvi sui risultati e

sui progetti a tema covid che non hanno trovato

spazio in questo numero. Vi invito quindi a

continuare a seguirci e a scriverci per condividere

le vostre impressioni; e, soprattutto, vi invito a

dare il vostro sostegno economico al progetto

MAP, un progetto che è ormai entrato a far parte

della tradizione politecnica e che ha bisogno di

tutti voi per poter continuare a vivere.

Federico Colombo

Direttore Magazine Alumni Politecnico di Milano

Dirigente Area Ricerca, Innovazione e Corporate Relations

MAP

Magazine Alumni Polimi

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

MAP

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La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

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La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano

Numero 1 - Primavera 2017

Numero 3 _ Primavera 2018

Numero 4 _ Autunno 2018

Numero 5 _ Primavera 2019

Numero 6 _ Autunno 2019

Numero 6 _ Autunno 2019

Numero 6 _ Autunno 2019

N°1 - PRIMAVERA 2017

N°2 - AUTUNNO 2017

N°3 - PRIMAVERA 2018

N°4 - AUTUNNO 2018

N°5 - PRIMAVERA 2019

N°6 - AUTUNNO 2019

N°7 - PRIMAVERA 2020

PROSSIMO NUMERO

N°8 - AUTUNNO 2020

N°9 - PRIMAVERA 2021

Unisciti ai 1900 Alumni che rendono possibile la redazione, la stampa e la distribuzione di MAP.

Modalità di pagamento:

Contributi annuali possibili

· On line: sul portale > www.dona.polimi.it

· Bollettino postale: AlumniPolimi Association – c/c postale: n.46077202

Piazza Leonardo da Vinci 32, 20133 Milano

· Bonifico bancario: Banca popolare di Sondrio Agenzia 21 – Milano

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70€

Standard

120€

Senior

250€

Silver

500€

Gold

· Presso il nostro ufficio: Politecnico di Milano, piazza Leonardo da Vinci, 32. Edificio 1, piano terra

In questi mesi, a causa delle misure per contenere il contagio, gli orari possono variare. Per verificare scrivere a sostieni@polimi.it


MAP

Magazine Alumni Polimi

La rivista degli architetti,

designer e ingegneri

del Politecnico di Milano

5

DAL RETTORATO

6

Federico Colombo

Dirigente Area Ricerca, Innovazione e Corporate Relations,

Politecnico di Milano

Membri del Comitato Editoriale

Arianna Bellini

International Community Manager

AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano

Alessio Candido

Communication and graphic designer

AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano

Ivan Ciceri

Fundraising Manager

Politecnico di Milano

Luca Lorenzo Pagani

Communication Manager

AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano

Francesca Saracino

Head of CareerService

Politecnico di Milano

Diego Scaglione

Head of Corporate Relations and Continuing

Education - Politecnico di Milano

Irene Zreick

Coordinamento editoriale MAP

AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano

Better Days srl (www.betterdays.it)

Progetto grafico: Stefano Bottura

Caporedattore Betterdays: Valerio Millefoglie

Redazione: Carmela Menzella, Giulio Pons,

Elisabetta Limone, Vito Selis, Paola Delicio

Impaginazione: Giulia Cortinovis, Pietro Martina

Si ringraziano i colleghi del Politecnico di Milano che

hanno collaborato a questo numero: Stefania Fornoni,

Sara Gennari, Daniele Piacenza (Alumni Politecnico di

Milano); Elisabetta Caregnato (Fondazione Politecnico

di Milano); Barbara Corallo (Fundraising); Elena Rostan

(Relazioni Media); Annalisa Balloi, Barbara Colombo

e Paola Bagnoli (Trasferimento Tecnologico); Stefania

Grotti, Gianluca Pappalardo e Stefania Suevo (Ufficio

Ricerca); Monica Lancini (Segreteria del Rettore).

Stampa

AGF S.p.A.

Via del Tecchione, 36-36A

20098 - Sesto Ulteriano

San Giuliano Milanese (Mi)

www.agfsolutions.it

Editore e Proprietario

AlumniPolimi Association Politecnico di Milano

Presidente

Prof. Enrico Zio

Delegato del rettore per gli Alumni

Delegato del rettore per il Fundraising individuale

Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano

T. +39.02 2399 3941 - F. +39.02 2399 9207

alumni@polimi.it - www.alumni.polimi.it

PIVA 11797980155 - CF 80108350150

Pubblicazione semestrale

Numero 8 - Autunno 2020

Registrazione presso il Tribunale di Milano n°89

del 21 febbraio 2017

UN NUMERO

SPECIALE

PER PROGETTI

SPECIALI

10

QUI COSTRUIAMO

IL MONDO DEL FUTURO

12

DAL LOCKDOWN AL NEW

NORMAL: COSA SIGNIFICA

IN TERMINI DI MOBILITÀ

PER LA CITTÀ DI MILANO?

16

LA DOMANDA CHE CI

FACCIAMO TUTTI, IN TUTTO

IL MONDO: DOVE AVVIENE

IL CONTAGIO?

19

TELECAMERE TERMICHE E

INTELLIGENZA ARTIFICALE

PER L'IDENTIFICAZIONE

PRECOCE DEI SINTOMI

20

COVID-HOME: COME

SENTIRSI DI NUOVO A CASA,

IN UNA CASA RINNOVATA

22

BLOCKCHAIN IN TEMPI DI

PANDEMIA E MATEMATICA

APPLICATA AL SERVIZIO

SANITARIO PUBBLICO

E PRIVATO

RICERCA

COME SI FA

RICERCA AL

POLITECNICO

DI MILANO

24

MEV: UN SOLO VENTILATORE

POLMONARE PER DIECI PAZIENTI

26

UNA FOTOGRAFIA DELL'ITALIA

PRIMA E DOPO IL LOCKDOWN

28

IL MODELLO SISTEMICO

PER LA GESTIONE

DELL'UNLOCK PROPOSTO

DAL POLITECNICO DI MILANO

30

COVID-19: UN METODO

INNOVATIVO PER MONITORARE

L’EVOLUZIONE DELLA PANDEMIA

32

SUPPLY CHAIN FINANCE:

DIETRO L'EMERGENZA

SANITARIA C'È ANCHE

QUELLA ECONOMICO-SOCIALE

34

STRATEGIE PER CITTÀ

RESILIENTI ALLE EPIDEMIE

38

COME CONTROLLARE

L'EPIDEMIA DI SARS-COV-2?


40

UN RESPIRATORE MECCANICO

SEMPLICE E MENO COSTOSO

PER LE PRE-ICU

56

HEALTH ANAYTICS: I DATI AL

SERVIZIO DELLA SALUTE

72

COME ACCELLERARE LA

SCOPERTA DI VACCINI

CONTRO IL CORONAVIRUS?

42

I DIAGNOSTICATI

COVID SONO LA PUNTA

DELL'ICEBERG.

COSA C'È SOTTO?

44

DI FRONTE ALL'EMERGENZA,

RIDURRE I TEMPI DI REAZIONE

CON LA STAMPA 3D

46

UN SIMULATORE

FISICO DI PAZIENTE NEL

LABORATORIO LABS -

ARTIFICIAL ORGANS DEL

POLITECNICO DI MILANO

48

STRATEGIE DI CONTRASTO

AL CORONAVIRUS: AGIRE

REGIONE PER REGIONE

FA LA DIFFERENZA

50

IL "LATO UMANO" DEL

VIRUS: EXPLORING HUMAN

BEHAVIOR IN A PANDEMIC

SCENARIO

52

L'INTELLIGENZA

ARTIFICIALE AL SERVIZIO

DEL TRACCIAMENTO

DEL CONTAGIO

53

IN CASO DI EPIDEMIA E

LOCKDOWN, COME MEDIARE

TRA RISCHIO SANITARIO

E RISCHIO ECONOMICO?

54

LA FORZA DELL'INFEZIONE:

MEDIARE TRA LOCKDOWN E

RIPRESA DELLE ATTIVITÀ

60

COSA C'È SOTTO: LA COVID-19

VISTA DAL SOTTOSUOLO

64

LA MATEMATICA PER

PREVEDERE QUANDO NE

SAREMO FUORI O RILEVARE

ALLERTE PRECOCI

66

SPAZI DI LAVORO DURANTE

LA PANDEMIA COVID-19:

QUALI IMPATTI SULLA

PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO?

68

È STATO TROVATO UN FARMACO

CANDIDATO A CONTRASTARE

IL VIRUS SARS-COV-2,

RESPONSABILE DELLA COVID-19

70

POLICHINA: IL LIQUIDO

IGENIZZANTE MADE IN

POLITECNICO, OLTRE 100

MILA LITRI IN DUE MESI

88

ARIA NUOVA

CON NARVALO:

LA NUOVA

GENERAZIONE

DI MASCHERINE

INTELLIGENTI

73

LA CURVA DEL RECUPERO

74

LE MASCHERINE

DI PROTEZIONE

DALL'AEROSPAZIO

78

SECURE MULTIPARTY

COMPUTATION E 5G PER

IDENTIFICARE I FOCOLAI

80

SCENARI A CONFRONTO:

UN'ANALISI DELLA MOBILITÀ

IN MOZAMBICO E IN

LOMBARDIA DURANTE LA

PANDEMIA

84

COVID-19: YUMI, IL ROBOT

COLLABORATIVO PER

ANALIZZARE UN MAGGIOR

NUMERO DI TEST SIEROLOGICI

86

UNA FOTOGRAFIA

DEL CONTAGIO GIORNO

PER GIORNO

SPIN-OFF: DAL LABORATORIO ALL'IMPRESA

92

UN METODO

INNOVATIVO

PER LA

DIAGNOSI

POLMONARE


1

DAL RETTORATO

4


UN NUMERO

SPECIALE

PER PROGETTI

SPECIALI

Lettera di apertura da parte del

Presidente Alumni e delegato del rettore

per gli Alumni del Politecnico di Milano

Cari Alumni,

bentornati sulle pagine di MAP. Questo, come vi accorgerete, è un numero un po’

speciale: un numero monografico che raccoglie alcune delle attività di ricerca al

Politecnico di Milano sulla pandemia di coronavirus.

Tutti voi avete studiato sui banchi (e alcuni anche sugli sgabelli) del Politecnico di

Milano, ma forse non siete pienamente consapevoli del ruolo che l’Ateneo ricopre

nel panorama della ricerca nazionale e internazionale. Le ricerche che i docenti e

i ricercatori portano avanti giorno dopo giorno costituiscono le fondamenta del

sapere Politecnico.

In questi mesi, inevitabilmente è emerso un focus importante sulla gestione della

crisi pandemica che stiamo vivendo. Anche il Politecnico si è attivato, sicuramente

per garantire continuità alla formazione dei suoi studenti, ma non solo. Tanti

ricercatori hanno messo le loro competenze a disposizione e il loro tempo al

servizio della comunità, avviando studi e ricerche di soluzioni per fronteggiare la

situazione di crisi che ci coinvolge tutti.

Noi dell’Associazione Alumni, e io personalmente come delegato del rettore agli

Alumni, abbiamo il compito di tenervi aggiornati su e coinvolti con il Politecnico,

anche nelle sue ricerche e contestualmente all’impatto che queste hanno sul

mondo in cui viviamo. Tenendo fede al nostro compito, in questo numero abbiamo

chiesto ad alcuni dei nostri ricercatori di raccontare quello che hanno studiato in

questi mesi e compreso sui meccanismi di diffusione del virus, sull’effetto delle

misure di mitigazione dell’impatto della pandemia, sui nuovi modi per affrontare

i rischi globali in generale.

Non mi resta che augurarvi una buona lettura.

Enrico Zio

Illustrazione: United Nations COVID-19

Response Creative Content Hub.

5


DAL RETTORATO

1

COME SI FA

RICERCA AL

POLITECNICO

DI MILANO

Intervista a Donatella Sciuto, prorettrice e delegata del rettore alla ricerca

Al Politecnico di Milano lavorano

oltre 3.500 ricercatori (tra docenti,

ricercatori, assegnisti e dottorandi) su

moltissimi temi di ricerca scientifica e

tecnologica con un importante impatto

sul mondo che ci circonda. Ne abbiamo

parlato con la prorettrice.

Professoressa Sciuto, ci può dare un

quadro della strategia del Politecnico

di Milano relativamente alla ricerca

accademica? Come si posiziona

l’Ateneo in Europa?

Esistono diverse forme di

finanziamento istituzionale che

arrivano dal Ministero, dalle Regioni

e da altre istituzioni. La maggior parte

dei fondi arrivano dall’Unione Europea.

Nell’ambito del programma Horizon (lo

strumento della Commissione europea

per il finanziamento alla ricerca),

dal 2014 al 2020 abbiamo ricevuto

finanziamenti per 400 progetti, per

un totale di 177 milioni di euro. Siamo

il primo ateneo italiano e tra i primi

15 in Europa per la nostra capacità di

attrarre “grant”, cioè finanziamenti,

dall’Unione Europea.

Su cosa si concentra la ricerca

finanziata dalla Commissione europea?

Tocca moltissimi temi, in questi ultimi

anni i maggiori che ci hanno visti

coinvolti sono quelli del digitale, dello

sviluppo industriale, dei materiali, dello

spazio e dell’energia. Sono temi su cui

come Ateneo siamo forti. Stiamo anche

crescendo sulle life science e, nel

prossimo programma Horizon (Horizon

Europe, che coprirà gli anni tra il 2021

e il 2027), saranno attivate cinque

missioni di ricerca specifiche nelle quali

possiamo giocare un ruolo importante

con le nostre competenze scientifiche,

per esempio nei cambiamenti climatici

e nella trasformazione sistemica verso

la neutralità climatica delle città.

Inoltre il Green Deal porterà ulteriori

opportunità di attivare progetti

cooperativi di ricerca su tutte le aree di

ricerca del Politecnico.

Quali sono i punti su cui

strategicamente stiamo investendo

per migliorare la nostra capacità di

ricerca?

La situazione ideale vedrebbe un

Politecnico con più dottorandi.

I dottorandi, insieme ai giovani

ricercatori (come i post-doc e gli

assegnisti) sono importantissimi

perché iniettano nuova linfa nel

sistema della ricerca. Hanno passione,

energia, nuove idee e tempo da

dedicare verticalmente e intensamente

a problemi e temi molto specifici.

Rispetto al contesto internazionale

questo è un punto su dobbiamo

crescere e infatti da diversi anni

stiamo investendo in questa direzione.

Questo, a sua volta, sta già avendo

6


«Nell’ambito del programma Horizon

(lo strumento della Commissione europea per il

finanziamento alla ricerca), dal 2014 al 2020 abbiamo

ricevuto finanziamenti per 400 progetti, per un totale

di 177 milioni di euro. Siamo il primo ateneo italiano e

tra i primi 15 in Europa per la nostra capacità di attrarre

“grant”, cioè finanziamenti, dall’Unione Europea»

ricadute positive su tutto il sistema

politecnico, in cui ricerca e didattica si

contaminano continuamente.

In che modo il Politecnico sta

investendo sui giovani ricercatori?

Abbiamo lavorato tanto per

incrementare il numero di borse di

dottorato, in parte finanziandole con

fondi di Ateneo, in parte stimolando

le aziende all’interno di accordi di

collaborazione che includono la

possibilità di finanziare queste borse.

Abbiamo avviato un programma con

Assolombarda e Fondazione Cariplo per

cercare di coinvolgere anche le PMI e

incentivarle a vedere il dottorato come

una risorsa. Stiamo investendo anche

nei passi successivi, cioè nell’offrire una

maggiore forma di stabilità ai contratti

dei ricercatori dopo il dottorato. Nel

piano strategico 2017-2020 avevamo

l’obiettivo di assumere 100 nuovi

ricercatori, obiettivo che è stato

raggiunto e superato. Per il triennio

2020-2022, prevediamo di incrementare

il numero dei ricercatori di un ulteriore

20%. Parallelamente, abbiamo avviato

un programma di talent development

per sostenere i giovani e renderli più

competitivi nell’acquisizione di grant

europei e in generale sul mercato

internazionale della ricerca.

E invece, per quanto riguarda i

laboratori? “Come sta” il Poli da

questo punto di vista?

Anche su questo fronte siamo

posizionati abbastanza bene.

Abbiamo alcuni laboratori che

rappresentano un asset importante

a livello internazionale, ne cito

due fra tutti: la Galleria del Vento

e Polifab, la nostra clean-room (ne

abbiamo parlato negli scorsi numeri,

n.d.r.). Sono esempi trainanti ma non

sono gli unici. Bisogna rimanere al

passo, gli strumenti evolvono nel

tempo e necessitano investimenti e

aggiornamenti continui, soprattutto per

quanto riguarda la ricerca di frontiera.

L’obiettivo del Politecnico è quello di

continuare a potenziare i laboratori,

in particolare quelli sperimentali,

«Tante aziende

oggi investono

su progetti di

ricerca ad ampio

respiro e a lungo

termine, che non

hanno magari

un’applicazione

nell’immediato»

7


«Quando qualcuno

fa ricerca lo fa

perché gli piace

studiare una

disciplina o un

tema, perché

si appassiona

a un problema.

Noi partiamo da

lì, poi c’è anche

tutto il resto.

La ricerca parte

dalla passione»

che hanno costi più elevati. In parte, i

grant europei che arrivano tramite ERC

(vedi nn. scorsi, n.d.r.) servono anche

a tenere aggiornati i laboratori. D’altro

canto, laboratori allo stato dell’arte

sono condizioni fondamentali per

continuare ad attrarre i fondi europei.

Inoltre, è anche molto importante

fare rete con altri enti di ricerca. Per

esempio, oggi sono moltissime le

linee di ricerca aperte nel campo delle

life science e della medicina clinica.

I nostri ricercatori lavorano fianco a

fianco con medici, biologi ecc. negli

ospedali e negli istituti di ricerca

medici, condividendo spazi e risorse,

l’ospedale stesso diventa il laboratorio.

A fianco della ricerca finanziata

dall’Unione Europea, c’è quella

“commissionata”, cioè sviluppata in

collaborazione con le aziende. Come

funziona? A quanto ammonta il valore

dei finanziamenti alla ricerca erogati

dalle aziende?

Siamo nell’ordine dei 40 milioni di

euro nel 2019, è il dato più aggiornato

al momento. Non è così diversa,

nella pratica, da quella finanziata

dall’Unione Europea. Cambiano un po’

le prospettive temporali, ma nemmeno

troppo: tante aziende oggi investono su

progetti di ricerca ad ampio respiro e a

lungo termine, che non hanno magari

un’applicazione nell’immediato. Se è

vero che spesso questo tipo di progetti

ha una relazione con i bisogni specifici

dell’azienda, si tratta nella maggior

parte dei casi di cercare soluzioni a

problemi che oggi non hanno ancora

visto risposte convincenti dal punto

di vista scientifico, quindi sono un

campo aperto. Non c’è una divisione

netta tra ricerca di base e ricerca

applicata. Questo vale soprattutto

per i nostri partner strategici, con cui

collaboriamo da molti anni. Nel caso di

collaborazioni nuove, la sfida è creare

il legame tra i ricercatori e l’azienda,

richiede di imparare a relazionarsi

con una dimensione diversa da quella

accademica. Altre volte, si fa fatica a

far capire alle aziende che devono

guardare oltre il day by day. La cultura

aziendale va accompagnata nel capire

che la ricerca è importante per lo

sviluppo, anche se non porta a un

riscontro immediato.

Oltre alla didattica e alla ricerca, il

Politecnico ha previsto nel suo piano

strategico anche una terza missione,

quella dell’impatto sul contesto

sociale, industriale e tecnologico. In

che modo si misura questo impatto?

Gli ambiti in cui si esercita questa terza

missione sono moltissimi. Dal punto di

vista dell’impatto della ricerca, alcuni

esempi sono 13 spin-off e i brevetti

che generano innovazione e ricchezza

sul territorio. 13 spin-off è un tipo di

start up che si sviluppa a partire da

un’innovazione scientifica. Il Politecnico

ha registrato 90 brevetti e fondato

13 spin- off nel 2019. Sono modalità

«Il Politecnico ha registrato 90 brevetti e fondato

13 spin- off nel 2019. Sono modalità che permettono

ai ricercatori di non fermarsi al risultato ma di

applicarlo, di concretizzare la possibilità di andare

sul mercato, di trasformare un’idea in qualcosa

di applicabile e utile per qualcuno»

8


che permettono ai ricercatori di non

fermarsi al risultato ma di applicarlo,

di concretizzare la possibilità di andare

sul mercato, di trasformare un’idea

in qualcosa di applicabile e utile per

qualcuno.

Dal laboratorio all’impresa, quindi, il

passo è breve?

Direi di no. Nel caso delle spin-off,

per esempio, una delle maggiori

sfide è proprio quella di creare

un’azienda, fare un business plan

e un piano di industrializzazione,

che è un altro mestiere rispetto

a quello del ricercatore. Abbiamo

creato un programma specifico

per incentivare questo passaggio:

Switch to Product, una call for ideas

annuale, con l’obiettivo di finanziare

la realizzazione di proof of concept

di una idea di ricerca e fornire ai

ricercatori gli strumenti per poter fare

un effettivo trasferimento tecnologico

sul mercato. Abbiamo anche avviato

corsi di formazione sulla proprietà

intellettuale rivolti ai dottorandi

perché, per capire come funziona il

trasferimento tecnologico, bisogna

imparare a considerare dimensioni

completamente nuove rispetto a quelle

che servono per fare ricerca. C’è da

precisare però che i ricercatori a queste

cose ci pensano poco, specialmente

quando partono. Io, per esempio, sono

titolare di diversi brevetti, ma ogni volta

che inizio un progetto di ricerca non mi

chiedo affatto se il risultato dei miei

studi sarà brevettabile o trasferibile.

Quando anni fa ho cominciato a

lavorare con un gruppo di ricerca su

problemi di localizzazione interna agli

edifici sulla base dei segnali cellulari,

l’abbiamo fatto perché il problema era

interessante, non pensavamo certo di

brevettarlo. È solo una volta trovata

la soluzione che il dubbio ti viene.

Ovviamente è diverso quando si lavora

in collaborazione con le aziende, è

più facile che l’obiettivo sia quello,

perché si parte già da un problema a

cui è necessario trovare una soluzione

tecnologica utilizzabile, e che va

protetta perché può rappresentare un

vantaggio competitivo per l’azienda.

Ma quando qualcuno fa ricerca lo fa

perché gli piace studiare una disciplina

o un tema, perché si appassiona a un

problema. Noi partiamo da lì, poi c’è

anche tutto il resto. La ricerca parte

dalla passione.

Quali sono i problemi scientifici più

interessanti dei nostri tempi?

Esistono alcune linee direttrici che

tutto il mondo condivide, stimoli

a concentrare i nostri sforzi sui

temi più urgenti del nostro tempo.

Principalmente si tratta del green

deal, cioè la transizione verde, e

della sfera del digitale. Sta crescendo

esponenzialmente anche tutta la

parte di life science. In questi grandi

“contenitori” c’è di tutto, dallo spazio,

alla mobilità, all’urbanistica, all’energia,

ai materiali nel mondo della ricerca

non ci sono confini, le soluzioni

possono arrivare da campi inattesi.

E tra 20 anni? Su cosa faremo ricerca

nel futuro?

È difficile rispondere a questa

domanda. Non abbiamo la sfera di

cristallo, ma stiamo lavorando a un

nuovo Technology Foresight Center al

Politecnico di Milano per cercare di

essere di supporto ai decisori rispetto

alle scelte di politica industriale

e a quelle di ricerca e sviluppo.

Il Technology Foresight Center si

occuperà di studiare le tecnologie di

punta che negli anni futuri potrebbero

diventare rilevanti, sulle quali ci sarà

più interesse sia da punto di vista dei

risultati scientifici attesi sia quello

delle possibili trasformazioni che

questi metteranno in atto. Un esempio

tra molti è quello del quantum

computing. Si tratta di un tema oggi

inesistente nelle aziende, ma dalle

enormi potenzialità. È quindi un tema

su cui bisogna investire oggi per non

essere dei follower domani, come

Paese. Questo è il tipo di messaggio

che vorrebbe dare il Technology

Foresight Center, descrivendo in termini

temporali le tecnologie più vicine e

quelle più lontane e identificando

il modo di attrezzarsi per dominare

la tecnologia, e non semplicemente

comprarla. Sarà uno dei maggiori

strumenti anche per noi, come

Ateneo, per decidere in che direzione

sviluppare la ricerca o quali nuove

linee aprire laddove non abbiamo le

competenze oggi.

«Green deal,

digitale,

life science:

in questi grandi

“contenitori”

c’è di tutto,

dallo spazio,

alla mobilità,

all’urbanistica,

all’energia,

ai materiali.

Nel mondo

della ricerca non

ci sono confini,

le soluzioni

possono arrivare

da campi inattesi»

9


QUI COSTRUIAMO IL

3 RICERCA

Sono tantissimi i docenti e i ricercatori che, nel 2020,

hanno lavorato a progetti di ricerca correlati alla pandemia

di coronavirus. In questo numero ve ne presentiamo alcuni

Manuela

Antonelli

Arianna

Azzellino

Giovanni

Azzone

Giuseppe

Baselli

Michela

Bassanelli

Emilio

Barucci

Niccolò

Becattini

Giovanni

Bonaccorsi

Tommaso

Buganza

Enrico

Caiani

Federico

Caniato

Stefano

Capolongo

Francesco

Casella

Simone

Cinquemani

Patrizio

Colaneri

Bianca Maria

Colosimo

Matteo

Corno

Maria Laura

Costantino

Fabio

Della Rossa

Claudio

Dell'Era

10


11

MONDO DEL FUTURO

Andrea

Zanchettin

Enrico

Zio

Simone

Vantini

Giacomo

Verticale

Fabio

Zucca

Matteo

Strano

Filippo

Gazzola

Massimo

Tornatore

Francesca

Grassetti

Cristina

Silvano

Piercesare

Secchi

Giuseppe

Sala

Francesca

Ieva

Fabio

Dercole

Cristina

Rossi-Lamastra

Nicola

Gatti

Marino

Gatto

Manuela

Raimondi

Francesca

Malpei

Andrea

Flori

Daniele

Marazzina

Davide

Manca

Gianluca

Palermo

Fabio

Pammolli

Mariapia

Pedeferri


3 RICERCA

#Modelling

DAL LOCKDOWN AL NEW

NORMAL: COSA SIGNIFICA

IN TERMINI DI MOBILITÀ

PER LA CITTÀ DI MILANO?

Per rispondere a questa domanda, ATM ha firmato un accordo

di ricerca con il Politecnico. Il risultato è un modello matematico

in grado di prevedere per ogni fermata della metropolitana,

ogni mezz’ora, come evolverà il traffico di passeggeri.

«Non torneremo più a un mondo in cui partiamo tutti alle otto del

mattino e torniamo tutti alle sette di sera: le persone non lo vogliono

e nemmeno le aziende. Bisogna ripensare il trasporto urbano»,

commenta il prof. Giovanni Azzone

GIOVANNI AZZONE

Dipartimento di Ingegneria

Gestionale

Alumnus Ingegneria Gestionale

PIERCESARE SECCHI

Dipartimento di Matematica

La collaborazione tra ATM e Politecnico

di Milano riguarda la riprogettazione

del servizio sulla rete metropolitana

milanese per rispondere alle nuove

esigenze di trasporto urbano in

relazione alle restrizioni sulla mobilità

che entrano in vigore di volta in volta

nelle diverse fasi dell’epidemia.

Del progetto si occupano il prof.

Giovanni Azzone, che guida il gruppo

di ricerca Trespassing, gruppo

interdipartimentale con competenze

trasversali sui temi di innovazione per

la mobilità e le infrastrutture, e il prof.

Piercesare Secchi. In particolare, nella

collaborazione con ATM, sono coinvolti

sette ricercatori dei dipartimenti di

Matematica e di Ingegneria Gestionale.

Si stima che lo studio avrà la durata

di un anno e un costo di circa 100.000

euro. Verrà cofinanziato da ATM per il

75% e dal Politecnico per il 25%.

«Il nostro punto di partenza è stato

quello di capire come la mobilità

urbana milanese stia cambiando

in seguito all’emergenza covid e,

soprattutto, come questo cambiamento

12


possa essere affrontato con strumenti

innovativi, non semplicemente

inseguendo una situazione inaspettata,

ma cercando di anticipare i problemi

per non farci trovare impreparati»

racconta Azzone. L’obiettivo immediato

è quello di conciliare esigenze di

sicurezza dei passeggeri (evitare

assembramenti in metropolitana) ed

esigenze di sostenibilità del trasporto

(lavoratori e aziende, infatti, continuano

ad aver bisogno di potersi spostare).

«Ma abbiamo anche un obiettivo di

più ampio respiro: quello di trovare un

sistema efficiente per il dopo-covid, un

sistema che possa essere utilizzato per

organizzare al meglio il funzionamento

della rete metropolitana in quello a cui

iniziamo a pensare come “new normal”,

la nuova normalità».

Come funziona? Gli utenti della

rete metropolitana lasciano

automaticamente una serie di segnali,

ad esempio timbrando il biglietto

e passando dai tornelli in entrata

o in uscita da una stazione, e molti

treni sono già dotati di sensori che

permettono di stimare il numero dei

passeggeri trasportati misurandone

il peso totale. Queste informazioni

consentono di fare delle proiezioni per

prevedere i movimenti dei passeggeri

(per esempio, lunghezza e direzione

del percorso) e, fondamentale in

questo momento, conoscere il livello

di occupazione delle carrozze. Secchi,

responsabile dell’elaborazione del

modello, illustra il percorso: «Abbiamo

iniziato a lavorare lo scorso maggio

accoppiando tutte le sorgenti dati.

In questo modo abbiamo creato un

modello semplice di simulazione dei

flussi di trasporto che ci permette, già

oggi, di prevedere dove si formeranno

situazioni di saturazione delle tratte o

di affollamento nelle stazioni. In più,

il modello ci consente anche di avere

una visione sistemica di come la rete

stia rispondendo alla domanda di

mobilità, e questa visione va oltre il

problema del coronavirus. Si tratta di

un modello flessibile che può adattarsi

a mutevoli ipotesi di scenario su

base locale: quartieri o anche singole

fermate della metropolitana. Permette

per esempio di prevedere l’impatto

della chiusura di una singola università

o di una grande azienda sulla gestione

della rete». Il modello è stato elaborato

in poche settimane ed è già utilizzato

da ATM tramite un software sviluppato

dai ricercatori. «L’obiettivo che adesso

13


ci poniamo è quello di costruire gli

strumenti per stimare il numero di

persone che entrano in metropolitana

e la loro destinazione, su scala locale

(fermata) e su unità temporali molto

piccole (mezz’ora). Tutto questo, senza

dover tracciare il loro tragitto tramite

GPS e senza chiedere agli utenti di

fornirci alcuna informazione, solo sulla

base del modello che stima i percorsi

a livello statistico con matrici originedestinazione

che evolvono nel tempo.

Queste stime ci daranno un quadro

completo della domanda di trasporto».

Un secondo obiettivo sarà quello di

sviluppare un’app per mettere tutte

queste informazioni a disposizione

dell’utente, che a questo punto

potrebbe adattare le proprie scelte

in base alla saturazione delle linee

e alle alternative proposte. In futuro,

i ricercatori declineranno il modello

anche alla rete di superficie: non

solo, quindi, sulla metropolitana

ma su tutta la rete di trasporto

pubblico, individuando o suggerendo

l’implementazione di possibili sinergie

sia con tram e autobus, sia con

modalità di spostamento in sharing,

come quelle che tutte le grandi città

stanno sperimentando da anni. «La

prospettiva di Trespassing è quella

di guardare al sistema, più che

alle particolari soluzioni tecniche»,

spiega Secchi. «Non siamo ingegneri

trasportisti, a noi interessa capire quali

siano gli impatti economici e sociali

dei cambiamenti in atto, relativamente

ai modi in cui il sistema dei trasporti

viene controllato e gestito. I tecnici si

occuperanno poi di costruire l’orario

più efficiente; noi stiamo studiando i

14


«Questo

modello cambia

radicalmente

lo scenario per la

pianificazione della

mobilità urbana»

modi per adattare il sistema a coloro

che lo usano e viceversa». Azzone

aggiunge: «Questo modello cambia

radicalmente lo scenario per la

pianificazione della mobilità urbana.

In Lombardia, è già disponibile una

matrice origine-destinazione, ma

esclusivamente su scala comunale

(permette cioè di sapere chi viaggia da

Milano a Monza, non da Piola a Duomo)

e la scala temporale è il giorno medio

dell’anno. Il nostro obiettivo invece è

quello di sapere, ogni mezz’ora, quindi

quasi in tempo reale, cosa succede in

ogni fermata della metropolitana e

potenzialmente anche di ogni mezzo

di superficie. Questo è possibile grazie

al modello elaborato dal gruppo del

prof. Secchi e all’utilizzo dei Big Data.

Accoppiando il modello, i dati e la

sensoristica, potremmo addirittura

essere in grado di dire al passeggero su

quale carrozza dovrebbe salire».

Tutto questo assume ancora più

importanza oggi. Non solo per la

necessità di limitare il contagio nella

città di Milano, contenendo allo stesso

tempo gli effetti collaterali sulle

attività sociali e produttive: «Siamo

fermamente convinti che il futuro non

sarà un ritorno alla “vita di prima”»

conclude Azzone. «La sperimentazione

del remote-working sta già cambiando

profondamente il mondo del lavoro e,

per restare sul tema di cui ci occupiamo,

richiederà una mobilità molto più

personalizzata e flessibile. Non

torneremo più a un mondo in cui tutti

usciamo da casa alle otto del mattino e

torniamo alle sette di sera: le persone

non lo vogliono e nemmeno le aziende.

Sia in termini di trasporto interurbano

che urbano, servono forme di mobilità

in grado di rispondere a una richiesta

specifica e non standardizzata, che

cambia nel tempo. Questo complica

molto le attività di chi deve gestirla.

Proprio per questo c’è la necessità di

avere strumenti che, in tempo reale,

consentano l’adattamento sia della

domanda che dell’offerta di mobilità.

La nostra risposta è uno strumento che

permetta di rispondere a una domanda

che sta cambiando, non sappiamo

come cambierà ma saremo pronti».

Fotografie: © Corrada 2019

15


3 RICERCA

#Data

# GeographyOfContagion

LA DOMANDA CHE CI FACCIAMO

TUTTI, IN TUTTO IL MONDO:

DOVE AVVIENE IL CONTAGIO?

Dove avviene maggiormente il contagio e come si muove? Quali

sono i fattori ambientali, territoriali e sociali che ne determinano

la maggiore diffusione? E quali le restrizioni che hanno avuto la

maggiore efficacia nel suo contenimento? Queste le domande alla

base dello studio incentrato sulla geografia del contagio. Ce ne parla

la responsabile della ricerca, la prof. Arianna Azzellino

ARIANNA AZZELLINO

Dipartimento di Ingegneria

Civile e Ambientale

Alumna Ingegneria Sanitaria

Ambientale

Lo studio è finalizzato a ricostruire

la geografia del contagio sulla base

di analisi di correlazione tra i numeri

ufficiali dei contagi e le statistiche

territoriali di densità di popolazione,

mobilità, inquinamento atmosferico,

temperatura e umidità. Perché Lodi

e a seguire Bergamo sono risultate

le province più colpite in Lombardia

a seguito della cosiddetta prima

ondata? E perché il quadro si presenta

differente in questa seconda ondata?

Il punto chiave di questo studio, che

lo distingue da studi similari che

affrontano la tematica dal punto di

vista modellistico, è l’approccio di

tipo “bottom-up” che ricostruisce le

dinamiche di diffusione a partire dai

dati rilevati sul territorio, consentendo

così di tener conto di più fattori rispetto

a quelli mediamente considerati dai

modelli epidemiologici. Una prima

domanda a cui si è cercato di fornire

risposta è stata quella di valutare se

la maggiore o minore diffusione del

contagio fosse associabile a particolari

caratteristiche demografiche delle

province interessate dal maggior

numero di contagi. Ai fini di questa

analisi sono stati considerati gli

indicatori utilizzati dall’ISTAT per il

bilancio demografico annuale che, per

poter essere analizzati in relazione ai

contagi, sono stati sottoposti a tecniche

di riduzione della dimensionalità

(analisi fattoriale), e poi sottoposti ad

analisi di regressione.

L’analisi ha mostrato come i contagi

durante la prima ondata siano stati

più elevati nelle province dalla

popolazione più giovane e con i

maggiori saldi migratori dall’estero e

dall’interno. In pratica, un contesto

territoriale di elevata dinamicità in

termini di trasferimenti di individui

sia interni sia provenienti dall’estero,

province che probabilmente sono

anche poli di pendolari. L’analisi

degli spostamenti di individui è stata

effettuata sulla base della matrice

origine-destinazione disponibile sul

portale degli OPEN DATA della Regione

Lombardia. Gli spostamenti in questo

dataset, attualizzati al 2020, sono

classificati per motivi di lavoro, studio,

occasionali, affari e rientro a casa.

Le province di Milano, Bergamo e

Brescia sono state quelle caratterizzate

dal maggior numero assoluto di

spostamenti. La provincia di Lodi,

pur non essendo tra le più rilevanti

in termini di spostamenti assoluti, è

invece caratterizzata da una percentuale

rilevante di spostamenti extra-provincia

e orbitante principalmente su Milano,

Cremona e Pavia. Allo stesso modo la

Provincia di Milano è un nodo cruciale

della mobilità in Lombardia (34% degli

spostamenti totali). Gli spostamenti

delle merci sono un fattore altrettanto

significativo. Se in termini assoluti i

maggiori movimenti di merci sono stati

quelli relativi alle province di Milano,

Brescia e Bergamo, è interessante

rilevare che Bergamo, Lodi e Cremona,

le province più colpite dalla COVID-19

durante la prima ondata, ricevevano

merci da un gran numero di altre

province lombarde. La diffusione del

contagio durante la prima ondata in

Lombardia sembra associata a una

16


CONTAGI

AL 6 MARZO

popolazione giovane e molto mobile

quale è quella della provincia di Lodi

orbitante soprattutto sulle province di

Milano, Cremona e Pavia e ai movimenti

delle merci che connettono la zona

del primo focolaio nel lodigiano alla

bergamasca e di lì al territorio bresciano.

Una differenza rilevante tra la prima e la

seconda ondata che stiamo vivendo è

il legame con la densità di popolazione

delle province. Se durante la prima

ondata i contagi non correlavano

significativamente con la popolazione

delle province interessate, essendo

ancora fortemente legati ai focolai

iniziali, in questa seconda ondata la

correlazione con la popolosità delle

province appare più evidente, segno

di una diffusione relativamente

omogenea del virus sul territorio,

che al rinstaurarsi delle condizioni

favorevoli per la trasmissione, ha

generato un numero di contagi

dipendente della popolazione delle

province. Costituiscono un’eccezione

nel quadro della seconda ondata le

province di Bergamo e di Brescia che

si presentano decisamente al di sotto

della curva attesa in base alla loro

17


popolazione. Questo è probabilmente

dovuto al maggiore impatto che ebbero

queste province nel corso della prima

ondata e forse anche ad una migliore

gestione locale del contenimento dei

contagi.

Infine, estendendo l’analisi a tutte

le province delle regioni italiane più

popolose, la correlazione con la densità

di popolazione viene confermata e,

come nel caso appena esaminato

delle province lombarde, spiccano

alcune regioni che hanno gestito in

modo migliore la pandemia: L’Emilia-

Romagna e il Veneto che possono

vantare un significativo numero delle

loro province al di sotto della linea di

correlazione tra contagi e densità di

popolazione.

Veneto ed Emilia-Romagna, oltre ad

aver investito molto nella capacità

di analizzare tamponi ed essersi

dotate di risorse specifiche per il

tracciamento dei contatti dei contagi,

vantano anche entrambe una migliore

organizzazione della medicina sul

territorio che ha consentito loro di

gestire meglio di altre regioni sia

la prima che la seconda ondata. In

questo quadro potrebbe sembrare

particolarmente virtuosa anche la

provincia di Napoli anche se, è bene

sottolinearlo, la Campania in base

ai dati ufficiali, processa un numero

di tamponi per abitante molto

più basso rispetto ad altre regioni

altrettanto popolose (es. a fronte

dei 4800 tamponi per 10.000 abitanti

dell’Emilia-Romagna e i 3260 del

Veneto, la Campania ne processa solo

2585) e questo potrebbe spiegare il

numero di positivi inferiore all’atteso

in base alla densità di popolazione

della provincia. Le province di Torino,

Roma e Milano presentano un

numero di contagi significativamente

superiore al valore atteso in base alla

densità di popolazione.

Questi primi risultati, che saranno presto

oggetto di una pubblicazione, ci hanno

convinto ad approfondire lo studio

della diffusione del contagio e quello

delle politiche di contenimento facendo

affidamento anche sull’analisi di dati

telefonici che consentiranno di disporre

di una fotografia reale degli spostamenti

relativa al periodo antecedente e

posteriore all’introduzione delle

restrizioni per il contenimento della

diffusione del virus. Questo studio

avverrà in collaborazione con il

Dipartimento DASTU e sarà l’oggetto di

un dottorato inter-dipartimentale la cui

supervisione è condivisa con la collega

Grazia Concilio. Le attività di ricerca

potranno inoltre beneficiare anche delle

competenze del nucleo transdisciplinare

DATA@TER che riunisce le competenze

dei dipartimenti DESIGN, DEIB, DASTU,

DIG, DABC, DMAT al fine di analizzare

fenomeni socio-ambientali complessi,

e di supportare politiche, strategie e

modelli di governance.

18


# HumanBehaviourInDesign

TELECAMERE TERMICHE

E INTELLIGENZA ARTIFICIALE

PER L’IDENTIFICAZIONE

PRECOCE DEI SINTOMI

Un gruppo di ricerca del Dipartimento di Meccanica sta studiando

un metodo per contenere il contagio sui luoghi di lavoro attraverso

l’applicazione di metodiche per lo studio di human behaviour in design

NICCOLÒ BECATTINI

Dipartimento di Meccanica

Alumnus PhD Ingegneria

Meccanica

La crisi determinate dalla pandemia

di coronavirus ha fatto emergere

la necessità di nuovi approcci per

garantire la salute e la sicurezza dei

lavoratori, con l’obiettivo di limitare

la diffusione dell’infezione anche

attraverso l’identificazione precoce dei

sintomi. Il prof. Niccolò Becattini, del

Dipartimento di Meccanica, lavora da

anni sul tema dello human behaviour

in design. Il suo gruppo di ricerca ha

sviluppato un metodo di osservazione

e classificazione del comportamento

umano e dei processi cognitivi. «La

ricerca da cui siamo partiti si occupa

del lato umano della progettazione:

cerchiamo cioè di capire come

pensano i progettisti, con l’obiettivo di

sviluppare strumenti più efficaci per

facilitare la progettazione. Negli ultimi

5 anni abbiamo costruito una stanza

attrezzata per queste osservazioni

(tutte le info a questo link: sparkproject.net),

grazie a un finanziamento

della Commissione europea, che

sostanzialmente è una piattaforma

di realtà aumentata proiettata

(Spatial Augmented Reality), dove i

progettisti interagiscono tra loro e con

la tecnologia. I loro comportamenti

vengono registrati e analizzati con

tecniche di image processing e

recognition. Con lo scoppiare della

pandemia, ci siamo accorti che questo

metodo ha una possibile applicazione

nel supportare i protocolli di sicurezza

nei luoghi chiusi, luoghi di lavoro o

istituzioni, dove il rischio di infezione è

molto più alto».

L’obiettivo di Becattini è quello di

progettare un sistema integrato di

telecamere termiche e tecniche di

image processing utilizzabile, per

esempio, negli uffici, in fabbrica o nelle

aule. La fusione e l’analisi in real time

dei dati raccolti sarebbe in grado, grazie

all’intelligenza artificiale, di identificare

movimenti, comportamenti a rischio

e presenza di sintomi da infezione

respiratoria in modo non intrusivo e

garantendo la privacy delle persone.

L’obiettivo è quello di identificare i casi

sospetti per una immediata verifica.

Allo stesso tempo il sistema sarebbe

in grado di certificare che i datori di

lavoro rispettino le misure di sicurezza

imposte per il contenimento del virus.

«Le tecniche per lo studio di human

behaviour in design che abbiamo

sviluppato ci stanno anche dando

informazioni importanti su come

uomo e tecnologia interagiscono, in

particolare nel caso delle tecnologie

collaborative, e come progettare al

meglio questi strumenti anche in caso

di collaborazioni a distanza, come

ci siamo abituati a fare in questo

periodo», conclude Becattini.

19


3 RICERCA

#Home

#Architecture

COVID-HOME: COME

SENTIRSI DI NUOVO A CASA,

IN UNA CASA RINNOVATA

Le pandemie impongono modifiche nella società ma anche negli

edifici: come sono cambiate le case sotto le grandi pandemie a partire

dall’Ottocento e come dovranno cambiare ora? Lo studio Covid-Home

prova a dare una risposta

MICHELA BASSANELLI

Dipartimento di Architettura

e Studi Urbani

Alumna Architettura

«Le case sono diventate luoghi

dell’assenza» dice Michela Bassanelli

del Dipartimento di Architettura e

Studi Urbani del Politecnico di Milano,

riferendosi a chi ha perso un proprio

caro a causa della pandemia. «Anche

da un punto di vista psicologico

credo che saranno dimora di ricordi

da rielaborare, perché gli oggetti

costituiscono il primo legame con la

memoria degli spazi che abitiamo». E

sono proprio le ricadute psicologiche

e sociali della pandemia sull'abitare

a costituire per Bassanelli le

fondamenta del progetto Covid-Home:

«Nell’era pre-Covid eravamo abituati

ad abitare una costellazione di

spazi, sia interni che esterni - spiega

Bassanelli - poi la casa ha assorbito

la nostra intimità così come la nostra

socialità. Alla casa è stato chiesto di

accogliere nuovi ruoli e dare nuove

risposte a diverse necessità: dal

lavorare da casa a fare sport in casa,

ma anche a tramutarsi in luogo di

cura, perché è lì, e non in ospedale,

che molte persone gestiscono il

periodo di durata della malattia».

Da qui, la volontà di interrogarsi sui

cambiamenti degli spazi casalinghi,

a partire da una prima parte di

ricerca storica andando ad analizzare

come l’Architettura ha risposto alle

pandemie che si sono succedute a

partire dall’Ottocento e come sta

invece reagendo oggi. Un esempio

su tutti: «Alla fine dell’Ottocento per

prevenire tutte le infezioni respiratorie

dovute alla tubercolosi, sulla scia delle

prescrizioni mediche che indicavano

la necessità di aerare di frequente

i locali, gli architetti contribuirono

a questo obiettivo eliminando le

sovrabbondanza di tendaggi, tappeti e

panneggi. Gli interni dell’epoca erano

molto intensi, ricchi e decorativi; e

tutto ciò non favoriva un ambiente

salubre e ventilato». La fase successiva

a questa prima esplorazione storica,

sarà quella di realizzare una mappatura

della città di Milano, per andare

a individuare le maggiori criticità

che hanno colpito alcuni moduli

abitativi. «Da questa mappatura

ci focalizzeremo su un caso studio

specifico per redigere un progetto

pilota incentrato sulla riprogettazione

degli spazi abitativi per cercare

infine di proporre delle linee guida e

delle strategie di progettazione che

possano essere estese alle situazioni

di maggiore fragilità sociale». Il team

di Covid-Home coinvolge oltre a

Michela Bassanelli anche altre figure

che lavorano all’interno del DATSU

(prof. Imma Forino, prof. Pierluigi

Salvadeo) coinvolgendo poi per i temi

di psicologia, benessere e disabilità

Licia Sbattella, delegata del rettore

per il Disagio Psicologico, e Davide

Fassi del Dipartimento di Design dei

Servizi. «Più che come progettare

un modello abitativo innovativo -

conclude Bassanelli - dovremo capire

come intervenire sul patrimonio

edilizio esistente e come riadattare

certi luoghi precostituiti che non

sempre hanno avuto una grande

tenuta rispetto alle attuali condizioni,

con infine una particolare cura per

le fasce più fragili della popolazione,

quali anziani e disabili».

20


Petra Blaisse, Maison à Bordeaux, 2011-

2012. Courtesy of: Inside Outside Studio.

Chiara Castellano, Diletta Ciuffi, Giorgia

Concato, Martina Massacesi, Koinè,

Sistema di arredo in autocostruzione

per una residenza multigenerazionale

evolutiva, Architecture of Interiors

Design Studio A.A. 2019/20, proff.

Jacopo Leveratto e Fabrizio Leonforte.

Pierluigi Salvadeo,

Sceneggiature d'interni, 2020.

21


3 RICERCA

#Blockcahin #FinancialInclusion #PublicHealth

BLOCKCHAIN IN TEMPI

DI PANDEMIA E MATEMATICA

APPLICATA AL SERVIZIO

SANITARIO PUBBLICO E PRIVATO

Una ricerca applicata per la digitalizzazione di sistemi di pagamento

tramite blockchain in periodi di emergenza e una ricerca basata

su modelli matematici per analizzare il ruolo dello Stato e del

privato nella gestione del Servizio sanitario nazionale, sempre in

periodi critici: ce ne parla il prof. Emilio Barucci del Dipartimento di

Matematica

EMILIO BARUCCI

Dipartimento di Matematica

FRANCESCA GRASSETTI

Dipartimento di Matematica

DANIELE MARAZZINA

Dipartimento di Matematica

«Il virus SARS-CoV-2 ha portato una

accelerazione alla costruzione di

sistemi di pagamento digitali fuori

dal circuito bancario, e la nostra

prima ricerca è molto concreta»,

annuncia il prof. Emilio Barucci del

Dipartimento di Matematica, che

sta portando avanti questo lavoro in

collaborazione con il prof. Daniele

Marazzina, dello stesso dipartimento,

e con Nadia Fabrizio e Andrea Bracciali

del CEFRIEL e dell’Università di Stirling.

«L’idea è di sfruttare le potenzialità

della blockchain, per utilizzarla come

alternativa per i pagamenti in periodi

di emergenza come quello che stiamo

vivendo». Barucci ci porta un esempio:

«In uno scenario di gravi difficoltà

come questo, lo Stato deve destinare

risorse finanziarie ad un ristorante

che ha chiuso, dunque, piuttosto

che passare da sistemi bancari, che

potrebbero presentare una serie di

problematiche legate alla logistica

e al riconoscimento della persona,

utilizziamo un’alternativa che permette

di identificare il soggetto in modo

preciso, raggiungendo anche chi è fuori

dal circuito bancario». L’obiettivo è

quello della “financial inclusion”, che

si attuerà tramite app su mobile o via

web. «L’ente pubblico - spiega Barucci -

potrà riconoscere chi ha diritto a fondi

22


ad hoc o ad un voucher, per l’asilo nido

o per la spesa. Il vantaggio è che con

questa metodologia potremo ridurre

potenziali elementi di truffa, andando

a scremare chi non ne ha realmente

diritto. In questo modo, ogni passaggio

è meno soggetto a manipolazioni

perché le operazioni si basano su alti

standard crittografici e di sicurezza».

L’idea è di sfruttare le potenzialità

dei token: un token è un insieme di

informazioni digitali all’interno di

una blockchain che conferiscono un

diritto di proprietà a un determinato

soggetto. La tokenizzazione è quindi

la conversione dei diritti di un bene

in un token digitale registrato su

una blockchain. Generando i token

e legandoli ad aiuti economici nel

post-pandemia, potremmo tracciarne

facilmente l’utilizzo, per avere la

certezza che gli aiuti vengano utilizzati

dai reali beneficiari, per le finalità per cui

sono stati pensati. Possiamo pensare ai

token come a dei voucher digitali.

Riguardo alla seconda ricerca,

Barucci racconta: «Con una giovane

ricercatrice del nostro dipartimento,

Francesca Grassetti, siamo partiti

da una considerazione: lo Stato per

fronteggiare la pandemia e garantire

cure adeguate alla popolazione è

intervenuto con pieni poteri, andando

a modulare le risorse del Sistema

Sanitario Nazionale. Ciò che ci

sembra sia emerso è che il sistema

sanitario pubblico può ricorrere a

misure straordinarie in tempi brevi,

ad esempio riconvertire dei reparti

in terapia intensiva; cosa che non è

realizzabile nel privato se non tramite

interventi amministrativi. Abbiamo così

condotto uno studio teorico che ha

dimostrato come, in linea di massima,

il privato funzioni meglio del pubblico,

ma la possibilità di una pandemia

potrebbe portare alla necessità

dell’intervento pubblico».

Il lavoro si basa su scelte di

ottimizzazione in ambiente incerto e

prende in considerazione gli effetti

dell'incompletezza contrattuale.

«Quando lo Stato affida la direzione

di una struttura sanitaria ad un

manager (che sia pubblico o privato),

sottoscrive un contratto. I contratti,

però, non possono specificare ciò che

deve essere fatto per ogni possibile

circostanza futura. Alcune circostanze

non sono neppure prevedibili al

momento della stipula del contratto.

Immaginiamo di essere ancora al

dicembre 2019, di gestire una struttura

sanitaria sovradimensionata rispetto

al bacino d'utenza e di dover decidere

sulla sostituzione di alcuni ventilatori

polmonari. Qual è la scelta corretta?

Oggi la risposta sarebbe scontata. Ma

se l'emergenza coronavirs non fosse

arrivata in Italia (e a dicembre 2019

non se ne aveva certezza), una spesa

ingente per attrezzature inutilizzate

sarebbe stata additata come

l'ennesimo spreco del sistema».

Viene dunque da chiedersi come

comportarsi: «Dipende dagli incentivi

offerti dallo Stato e dalle clausole di

ricontrattazione, differenti in caso di

struttura pubblica o privata. Si tratta

di scelte umane, legate al sistema

legislativo di riferimento. Tale struttura

è però riconducibile ad un modello

matematico. In sintesi, il privato in

generale garantisce i migliori risultati

ma se l’evento crisi porta danni

significativi per la società e lo Stato

interviene molto pesantemente (ad

esempio tramite un lockdown duro)

allora una gestione pubblica può essere

superiore in termini di benessere».

«In sintesi,

il privato in

generale garantisce

i migliori risultati

ma se l’evento

crisi porta danni

significativi per la

società e lo Stato

interviene molto

pesantemente

(ad esempio tramite

un lockdown duro)

allora una gestione

pubblica può essere

superiore in termini

di benessere»

23


3 RICERCA

#Ventilators

#HealthTechnologies

MEV: UN SOLO VENTILATORE

POLMONARE PER DIECI PAZIENTI

Possiamo o non possiamo collegare tanti pazienti allo stesso ventilatore

polmonare? Farlo sul comune ventilatore singolo è un azzardo. Questo è

un grosso limite per le terapie intensive, che devono far fronte a un alto

numero di pazienti in modo del tutto improvviso. Un gruppo di ricerca

del Politecnico di Milano ha progettato MEV (Multiple Emergency

Ventilator): un ventilatore multiplo, che sarebbe in grado di provvedere

alla ventilazione assistita di fino a 10 pazienti contemporaneamente.

Ecco come funziona

GIUSEPPE BASELLI

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria Elettronica

Ulteriori informazioni su MEV

Il cuore di MEV è una fonte di una

miscela di ossigeno a pressione

inspiratoria massima intrinsecamente

sicura (Ppeak), per prevenire il

danno da ventilazione meccanica. La

ventilazione è fornita ad un massimo

di 10 pazienti, assistiti in modo

personalizzato riguardo al volume

controllato e alle durate inspiratorie

ed espiratorie. Il sistema meccanico è

composto da una campana rovesciata

(BJS, Fig.2) con tenuta ad acqua, che

fissa Ppeak in base al principio di

Archimede. La campana, in acciaio inox,

del diametro di 50 cm e con una altezza

di 60/70 cm, è inserita all’interno di un

cilindro, che grazie all’intercapedine

d’acqua mantiene l’ossigeno alla

pressione desiderata. Il gas è distribuito

ai pazienti intubati mediante semplici

tubi di acciaio inox da 2” facilmente

montabili, autoportanti e modulari

per poter essere adattati a diversi

ambienti come triage, ospedali da

campo, ospedali normali (Fig.1). L’intero

sistema di distribuzione è ovviamente

compatibile con alte concentrazioni di

ossigeno.

L’unico “pezzo speciale” nel progetto

del MEV è la campana. Per la linea

comune è composto da elementi

di utilizzo industriale, mentre gli

stacchi inspiratori ad ogni paziente

e la linea espiratoria sono mutuati

dai comuni ventilatori. Tutte le

parti meccaniche possono essere

conservate in magazzino per un tempo

indefinito e sanificate per essere usate

subito nel momento del bisogno, al

contrario dei ventilatori tradizionali

che, se conservati troppo a lungo,

prima dell’uso hanno bisogno di una

manutenzione che può durare fino a

un mese. Specialmente in momenti

di emergenza su larga scala, come

quella occorsa in Italia nel mese di

marzo MEV potrebbe quindi evitare

il congestionamento delle aziende

di manutenzione e provvedere

all’intubazione di emergenza

di un alto numero di pazienti

contemporaneamente.

Il prof. Giuseppe Baselli ha guidato

la progettazione di MEV con un

gruppo di ricercatori dei Dipartimenti

di Meccanica e di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria del

Politecnico di Milano (Francesco

Casella, Simone Cinquemani,

Gianfranco Beniamino Fiore, Roberto

Viganò), in collaborazione con un

team del IRCCS Ca’ Granda Ospedale

Maggiore Policlinico guidato dal prof.

Alberto Zanella. «I volumi di gas che si

trattano per la ventilazione polmonare

sono molto piccoli rispetto a quelli

che si trattano in qualsiasi impianto

industriale e questo aggira il problema

di non poter collegare più pazienti a

un unico respiratore», spiega Baselli.

24


«L’idea è centralizzare la caduta di

pressione da 2/3 atmosfere a quella

che è necessaria per la ventilazione,

che equivale a un centesimo di questa,

e portare l’ossigeno ai pazienti con

tubi di acciaio. Questo sistema è

intrinsecamente sicuro, perché la parte

delicata della ventilazione, quella

da tenere sotto controllo, riguarda le

pressioni polmonari: una pressione più

alta del necessario produce quello che

si chiama barotrauma, che può creare

lesioni irreversibili».

Ventilando più pazienti in parallelo, si

è vincolati a una medesima pressione

di picco respiratorio; sono in corso

studi clinici che, secondo quanto

previsto dalle simulazioni, riusciranno

a dimostrare che questo limite è

adeguatamente compensato dal

controllo personalizzato dei tempi di

ventilazione. Le simulazioni hanno

dimostrato che il notevole volume

del BJS e del sistema di distribuzione

permette un disaccoppiamento

pressoché perfetto fra i vari pazienti

collegati. MEV si configura quindi

come un supporto terapeutico molto

flessibile e in grado di seguire tutto

il ciclo da ventilazione controllato,

dall’intubazione allo svezzamento,

per un alto numero di pazienti.

Nel progetto è previsto un modulo

elettronico per ogni paziente in grado

di monitorare i parametri vitali (respiro

incluso) e controllare individualmente

la ventilazione basandosi su sensori

di pressione e portata nella linea

inspiratoria e in quella espiratoria.

Questi sensori possono essere

facilmente integrati nei monitor

già in uso per monitorare tutti

i parametri del paziente (saturazione

d’ossigeno, ECG, pressione arteriosa,

ecc.), inserendo semplicemente i

comandi alle valvole di ventilazione.

In questo modo il modulo elettronico

può implementare anche le funzioni di

monitor da ICU o pre-ICU.

Le stime indicano che la parte

meccanica del MEV avrebbe un

costo nell’ordine di grandezza dei

2/3000 euro (con la capacità di

ventilare contemporaneamente fino

a 10 pazienti), mentre i ventilatori

tradizionali (uno per paziente)

possono costare tra i 10 e i 40.000

euro. Questo permetterebbe di avere

terapie intensive e pre-intensive con

volumi di riserva molto ampi. Può

così rappresentare una soluzione di

MEV FLEXIBLE LAYOUTS OF BEDS v.6

Layout examples: the central cross element permits 1, 2 or 3 limbs.

Ppeak

plant

Ppeak

plant

cross

connector

right L-shape layout

MEV-BJ WATER SELA PRINCIPLE

Patm

normal

operation

bell level

bell top

p = peak

Δh = Ppeak/(ρg)

safety

escape

Principle of water seal. From left to righ: correct operative condition, with perfect air

tightness; excess of volume at top of dynamic range opens the air escape hole at bell

lower border; air escape will limit Ppeak excess even in the highly improbable case

of an accidental bell blocking. The mild conicity of the bell is to avoid its blocking.

emergenza, di backup rispetto alla

necessità di un ventilatore completo,

in particolare per pazienti che non

sono ancora in terapia intensiva, per

esempio in triage, o anche in scenari

di crisi dove soluzioni veloci e di basso

costo devono surrogare il normale

equipaggiamento di ICU.

Le informazioni relative al progetto

sono disponibili anche sul sito

del Dipartimento di Elettronica,

left L-shape

bell above

uppermost

operation level

Patm

bell top

p = peak

Δh' = P/(ρg)

Patm

clover-shape

Accidental

bell

blocking

bell top

p > Ppeak

Informazione e Bioingegneria in

libera consultazione e possono essere

utilizzate da chiunque per l’impiego

in situazioni emergenziali. Ad oggi è

in corso una richiesta di fondi per

la realizzazione di un prototipo e si

sta procedendo con contatti per il

trasferimento tecnologico ad aziende

del settore. Una pubblicazione

scientifica è in corso di revisione

su un open journal e verrà messo a

disposizione sul sito appena accettato.

fig. 1

fig. 2

25


3 RICERCA

#Modelling

#Econometry

#Epidemiology

#Mobility

UNA FOTOGRAFIA DELL’ITALIA

PRIMA E DOPO IL LOCKDOWN

Alcuni ricercatori del Politecnico di Milano hanno analizzato

la relazione tra contrazione della mobilità e capacità fiscale dei

territori comunali, evidenziando come, dove la mobilità si è ridotta

di più, a maggiori riduzioni della mobilità si accompagnino redditi più

bassi. Lo studio è stato pubblicato su PNAS

GIOVANNI BONACCORSI

Dipartimento di Ingegneria

Gestionale

FABIO PAMMOLLI

Dipartimento di Ingegneria

Gestionale

ANDREA FLORI

Dipartimento di Ingegneria

Gestionale

L’articolo “Economic and Social

Consequences of Human Mobility

Restrictions under COVID-19” è

stato pubblicato sulla rivista PNAS

(Proceedings of the National Academy

of Sciences) dal gruppo di ricercatori

(Giovanni Bonaccorsi, Andrea Flori,

Francesco Pierri) coordinato dal

professor Fabio Pammolli (Impact,

Politecnico di Milano e CADS, il joint

center tra Politecnico di Milano e Human

Technopole), con la collaborazione dei

team di ricerca di Walter Quattrociocchi

Università Ca’ Foscari di Venezia) e

Antonio Scala (CNR).

Lo studio ha analizzato dati

anonimizzati ed aggregati degli

spostamenti di oltre 3 milioni di

italiani che utilizzano il social network

Facebook nel periodo a cavallo del

primo lockdown imposto dal governo,

trovando che le misure di restrizione

hanno determinato una contrazione

media della mobilità del 70%.

Tuttavia, nonostante le restrizioni alla

mobilità abbiano riguardato tutto il

territorio nazionale, la distribuzione

dei cambiamenti di mobilità registrati

presenta differenze consistenti da

zona a zona. In particolare, le regioni

del nord, tra le più colpite dal virus,

hanno registrato riduzioni di mobilità

durante il lockdown che, in termini

relativi, sono state meno intense: nei

comuni di Lombardia e Veneto, infatti,

la riduzione dei flussi di mobilità è

stata, in media, tra il 5% e il 15% più

bassa della media nazionale, anche

26


Per approfondire:

"Time, space and social

interactions: exit mechanisms

for the COVID-19 epidemics"

su Nature Scientific Reports

"After the lockdown: simulating

mobility,public health and

economic recovery scenarios"

su Nature Scientific Reports

" Economic and social

consequences of human mobility

restrictions under COVID-19"

su PNAS

in relazione alla presenza di attività

produttive considerate essenziali e che,

pertanto, hanno continuato l’attività.

Al contrario, in regioni meno colpite

dal virus (nel momento in cui è stata

eseguita l’analisi) come Abruzzo e

Calabria, la contrazione è stata tra 16%

e il 20% più alta della media nazionale.

Per approfondire gli effetti della

riduzione di mobilità sulle condizioni

dei cittadini italiani, i ricercatori

hanno investigato le caratteristiche

economiche e sociali dei comuni

italiani colpiti in misura minore o

maggiore dalla variazione di mobilità.

Con una tecnica di regressione per

quantili, i ricercatori hanno osservato

che per i comuni dove la mobilità si è

ridotta di più, a maggiori riduzioni della

mobilità si accompagnano redditi più

bassi. Tra i comuni in cui la contrazione

di mobilità è stata più intensa vi sono

inoltre quelli che, prima del lockdown,

avevano una capacità fiscale più

elevata. Tra i comuni, invece, meno

colpiti dal lockdown in termini di

riduzione della mobilità, maggiori tassi

di riduzione della mobilità sono stati

stimati per livelli di reddito più alto.

La dinamica dell’evoluzione del

contagio da COVID-19 rispetto a

dimensioni economico-sociali è stata

inoltre approfondita in ulteriori studi (i

lavori hanno coinvolto anche ricercatori

del CNR, Università di Pavia, Università

Ca’ Foscari di Venezia). In particolare,

il lavoro “Time, space and social

interactions: exit mechanisms for

the COVID-19 epidemics” (pubblicato

su Nature Scientific Reports) ha

analizzato l’impatto di meccanismi

di introduzione/rilascio di politiche

di restrizione della mobilità rispetto

a due diverse fonti rilevanti di

eterogeneità: struttura geografica e

demografica. Lo studio propone un

modello di diffusione del contagio

che tiene conto della struttura sociale

dei contatti e delle relazioni tra

territori come drivers per modellizzare

l’impatto di politiche di restrizione/

apertura della mobilità, identificando

in queste due fonti di eterogeneità

dei canali primari per governare la

dinamica del contagio.

Il lavoro “After the lockdown:

simulating mobility, public health

and economic recovery scenarios”

(pubblicato su Nature Scientific

Reports) ha invece analizzato

l’impatto economico delle misure

di restrizione in termini di stima

della perdita di lavoro disponibile in

seguito all’evoluzione del contagio,

alle limitazioni di mobilità e alle

deroghe inerenti ai settori produttivi

essenziali. Il lavoro sviluppa un'analisi

per scenari per mostrare come diversi

gradi di restrizione possono generare

impatti economici eterogenei sul

territorio italiano.

REDDITO MEDIANO PROVINCIALE DEI COMUNI MENO COLPITI

REDDITO MEDIANO PROVINCIALE DEI COMUNI PIÚ COLPITI

23100

23100

21400

21400

19600

19600

17800

17800

16000

16000

14200

14200

12400

Reddito mediano provinciale dei comuni meno colpiti ( )

12400

Reddito mediano provinciale dei comuni più colpiti ( )

27


3 RICERCA

#SystemicApproach

#TechnicalSocialModel

#UnLock

IL MODELLO SISTEMICO

PER LA GESTIONE

DELL’UNLOCK PROPOSTO

DAL POLITENICO DI MILANO

Persona, Impresa, Sanità, Trasporto, Finanza, Scuola, Assistenza:

la task force guidata dal rettore Ferruccio Resta e coordinata dai

proff. Tommaso Buganza e Claudio Dell’Era ha presentato un modello

olistico che mette in relazione tutti questi sistemi socio-tecnici per

delineare una possibile strategia di unlock

TOMMASO BUGANZA

Dipartimento di Ingegneria

Gestionale

Alumnus Ingegneria Gestionale

La crisi che stiamo fronteggiando è

una crisi globale significativamente

diversa da altre che l’hanno preceduta.

Anzitutto, non si tratta di uno shock,

ma uno stato di pressione persistente

nel tempo: effetti ed azioni risolutive

convivono innescando delle dinamiche

nuove. Partiamo quindi dalla

CLAUDIO DELL'ERA

Dipartimento di Ingegneria

Gestionale

Alumnus Ingegneria Gestionale

consapevolezza che conosciamo poco il

problema e dobbiamo imparare giorno

dopo giorno. È inoltre un problema

che coinvolge in maniera aggressiva

e dolorosa la persona, coinvolgendo

tutte le dimensioni principali del

nostro modo di essere umani: la salute,

le relazioni sociali e la partecipazione

al sistema economico. Fare proposte,

oggi, significa quindi cercare un nuovo

assetto sostenibile per le persone: gli

obiettivi e le azioni di contenimento

dei danni devono tenere conto del loro

costo economico e sociale.

Da questo punto di partenza, la task

force guidata dal rettore Ferruccio

Resta, costituita dai proff. Mario

Calderini, Mariano Corso, Giuliano

Noci, Anna Paganoni, Fabio Pammolli,

Alessandro Perego, Renato Rota,

Piercesare Secchi, Paolo Trucco e

supportata metodologicamente dai

proff. Tommaso Buganza e Claudio

Dell’Era propone un modello per

individuare strategie di unlock con tre

obiettivi: la tenuta del sistema sociale,

la tenuta del sistema economico e la

gestione del contagio. «È importante

sottolineare che non è un trade-off

strutturale tra la tenuta del sistema

economico e la salute delle persone.

Indubbiamente la riapertura delle

attività produttive e commerciali

rende più difficile il distanziamento

rispetto al caso base (lockdown)

e potenzialmente incrementerà la

variabile Rt di diffusione del contagio.

Tuttavia, il concetto di tenuta sociale

va oltre quello di sanità COVID-19.

Il modello che proponiamo assume

una prospettiva olistica sul concetto

28


Le proposte vengono

presentate a “pacchetti” così

da valutare il loro impatto

sistemico

Per ogni pacchetto si valuta l’impatto su ciascun

sottosistema, valutando quali variabili vengono

influenzate e quali esiti comporta

Vengono poi analizzate le relazioni tra sottosistemi,

identificando le reciproche influenze

Il risultato dell’analisi viene infine sintetizzato

sui tre obiettivi principali

Lavoro

Sottosistema Persona

Pacchetto A

Sottosistema Impresa

Trasporto

Impresa

tenuta del sistema sociale

tenuta del sistema economico

gestione del contagio

Sottosistema Lavoro

Sottosistema Sanità

Assistenza

Persona

Pacchetto B

Sottosistema Trasporti

Sanità

tenuta del sistema sociale

tenuta del sistema economico

gestione del contagio

Sottosistema Scuola

Finanza

Scuola

Sottosistema Assistenza

Sottosistema Finanza

di tenuta sociale che, se da un

lato prevede di agire per ridurre la

possibilità di contagio, dall’altro

assume che altri effetti negativi (la

perdita del lavoro, la mancanza di

relazioni sociali, l’esclusione dal

sistema scolastico, l’impossibilità

di accedere al SSN, ecc.) debbano

essere prese in considerazione per

valutarne l’impatto sociale» commenta

Buganza. «È opportuno anche un

approfondimento sul concetto di

gestione del contagio – prosegue: la

gestione del contagio dipende sia dal

numero di contagiati che dalla capacità

del sotto-sistema “Sanità” di gestirli

in modo efficace. Il nostro modello è

in grado, da un lato, di valutare azioni

tese a mitigare la crescita del numero

di contagiati (ad esempio agendo sul

distanziamento sui mezzi di trasporto)

e, dall’altro, di valutare l’effetto

delle azioni di gestione dei contagiati

nell’ambito del sotto-sistema “Sanità”

(ad esempio con azioni specifiche di

assistenza domiciliare per la gestione

dei casi non critici)». Tiene inoltre

conto di “effetti collaterali”: per

esempio, azioni che permetteranno di

liberare risorse del SSN attualmente

impegnate nella gestione COVID-19 e di

restituirle alla loro funzione primaria,

impatteranno virtuosamente sulla

tenuta del sistema sociale.

I ricercatori hanno adottato un

approccio sistemico con una particolare

focalizzazione sulle azioni che rendono

un sistema socio-tecnico resiliente

e adattativo. I sistemi socio-tecnici

sono sistemi contraddistinti da sottosistemi

sociali (p.e. persona) e sottosistemi

tecnici (p.e. trasporto) le cui

interrelazioni possono innescare dei

circoli causali positivi (virtuosi) o negativi

(viziosi). «Siamo convinti – continua

Dell’Era – che non sia possibile uscire

dalla crisi determinata da COVID-19

con regole o provvedimenti dedicati

a singoli settori dell’economia o della

società. È al contrario fondamentale

progettare dei pacchetti di intervento

che prendano in considerazioni le

interrelazioni esistenti tra le diverse

componenti del sistema e che siano

in grado di innescare circoli positivi

controllando i contro-effetti negativi».

Il modello è basato su un impianto di

teoria dei sistemi (System-of-Systems)

e descrive le relazioni funzionali di

un sistema di sotto-sistemi, tra cui ci

sono: “Persona” (intesa come tenuta

del sistema individuo e famiglia),

“Impresa” (nella sua accezione più

ampia), “Sanità” (COVID-19 e NO

COVID-19), “Trasporto” (di persone e

merci), “Finanza” (pubblica e privata),

“Assistenza” (principalmente terzo

settore) e “Scuola” (comprensiva nella

sua duplice missione di istruzione e

cura educativa della gioventù).

Lo scopo del modello non è fornire

una soluzione completa per un singolo

sotto-sistema (ad esempio “Scuola”),

ma identificare come le condizioni

dinamiche del sotto-sistema specifico,

in termini di input e output, impattano

(inibendo o abilitando) lo stato e le

prestazioni di altri sotto-sistemi.

Facciamo un esempio: nel sottosistema

“Scuola”, oltre alla funzione di

scolarizzazione, sono state evidenziate

le funzioni di care giving e di supporto

sociale e psicologico, che avranno un

impatto considerevole su altri sottosistemi.

Questi impatti potranno essere

virtuosi, come nel caso del sottosistema

“Persona” (le scuole aperte

permettono ai genitori di lavorare)

o viziosi, come nel caso del sottosistema

“Trasporto” (gli studenti

che si spostano per andare a scuola

impattano sulla capienza dei mezzi

pubblici). Un altro esempio: le regole

di distanziamento impatteranno

negativamente sul sotto-sistema

“Trasporto” riducendone la capacità

di trasporto e di conseguenza

impatteranno negativamente sulla

reale riapertura delle attività produttive,

sulla capacità di consumo, e sulla

tenuta sociale. Al contempo, avranno

un impatto positivo sulla riduzione

della propagazione del contagio. Il

modello mostra la necessità di azioni

specifiche sul sotto-sistema “Impresa”

(turnazioni, 7/24, ecc.) per limitare

l’impatto negativo del distanziamento

sulla capacità di mobilità delle

persone e, di conseguenza, sugli altri

sotto-sistemi che sono influenzati

da tali dinamiche di mobilità.

I ricercatori evidenziano la necessità

di verificare se gli aspetti collaterali

e negativi di alcune proposte siano

effettivamente equilibrati da altre

azioni che possano mitigare gli effetti

indesiderati, permettendo al sistema di

conservare uno stato di equilibrio e di

raggiungere i suoi obiettivi complessivi.

29


3 RICERCA

#HealthGeomatics

COVID-19: UN METODO

INNOVATIVO PER MONITORARE

L’EVOLUZIONE DELLA PANDEMIA

Il numero complessivo di chiamate al 112, correlato a quante

di queste sono per patologie respiratorie e cardiovascolari, può

indicarci quando è iniziata la pandemia e anticipare nuove ondate?

Uno studio cerca di rispondere a questo interrogativo

ENRICO CAIANI

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria

Elettronica

“Mapping Spatiotemporal Diffusion

of COVID-19 in Lombardy (Italy) on the

Base of Emergency Medical Services

Activities” è il titolo dello studio,

apparso su ISPRS International Journal

of Geo-Information e nato nell’ambito

di una borsa inter-dottorale in

Ingegneria Biomedica finanziata dal

Politecnico e assegnata all’ing. Lorenzo

Gianquintieri, in collaborazione con

il team condotto dal prof. Enrico

Caiani, del Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria e

quello della prof. Maria Brovelli del

Dipartimento di Ingegneria Civile e

Ambientale.

Caiani spiega: «Si vuole vedere se,

avendo a disposizione il quantitativo

di chiamate al numero unico di

emergenza (112) e il numero di uscite

di ambulanze legate a patologie

respiratorie e cardiovascolari, sia

possibile ricostruire degli indici che

possano retrospettivamente dirci

quando è iniziata effettivamente

l’epidemia in Italia, e indicarci

e avvisarci prospetticamente se

è in arrivo una nuova ondata,

così da fornire alla politica uno

strumento decisionale». Un metodo

dunque “data driven” che utilizza

le informazioni geolocalizzate di

chiamate e ambulanze quotidiane

per un dato territorio e che ha come

obiettivo, spiega sempre Caiani:

«di evidenziare indici di allerta ad

esse collegate. Il vantaggio di non

essere dipendenti dalla disponibilità

di poter effettuare test diagnostici

(che possono avere limiti legati alla

saturazione della capacità del Sistema

Sanitario Nazionale e introducono un

ritardo di qualche giorno necessario

alle loro analisi)». Lo studio ha preso

in considerazione la Lombardia,

dividendola in distretti di 100.000

abitanti. I dati forniti poi dall’Agenzia

Regionale Emergenza Urgenza (AREU)

hanno evidenziato come il SARS-

CoV-2 fosse molto probabilmente già

diffuso sul territorio lombardo ben

prima dell'individuazione del primo

paziente il 21 febbraio. Nel distretto in

cui è inclusa Codogno la data di inizio

della diffusione è stata identificata

con il 16 febbraio, mentre nei distretti

di Nembro ed Alzano Lombardo tra

il 14 e il 16 febbraio. La metodologia

sviluppata è estendibile ad altri

territori e mostra le potenzialità

di questo tipo di analisi sui dati

dell'emergenza generati dalla azione

del singolo cittadino. Alla luce dei

risultati ottenuti, si sta ora studiando

come poter fornire un’indicazione

di allerta specifica per un dato

territorio, in base alla tendenza dei

giorni precedenti, così da evidenziare

alle autorità competenti le zone

30


Leggi l'articolo pubblicato

su ISPRS International Journal

of Geo-Information

geografiche più critiche.

Il gruppo di ricerca guidato da Caiani,

che da circa sei anni si occupa anche

di nuove tecnologie digitali per la

salute, sta portando avanti altri due

progetti relativi alla COVID-19, in

ambito Health Geomatics. Nel primo

si mette in correlazione l'esposizione

continua a concentrazioni più elevate

di determinati agenti inquinanti con

una maggiore velocità di diffusione del

virus. Il secondo, in collaborazione con

la facoltà di Psicologia dell’Università

Statale di Milano, vuole creare un tool

di supporto tramite mobile health

per operatori sanitari, per limitare

le conseguenze dei disturbi post

traumatici da e del burn out, legati

alla condizione di lavoro in cui medici

e infermieri si trovano quando devono

gestire una situazione di emergenza

come quella appena trascorsa.

31


3 RICERCA

#Finance #DemandShock #DynamicDiscounting #Economy

SUPPLY CHAIN FINANCE:

DIETRO L’EMERGENZA

SANITARIA C’È ANCHE

QUELLA ECONOMICO-SOCIALE

L’osservatorio di Supply Chain Finance del Politecnico di Milano,

guidato dal prof. Federico Caniato, studia le opportunità di

ottimizzazione del capitale circolante e l’accesso al credito fornito

dai servizi e dalle soluzioni di Supply Chain. Un lavoro di ricerca

focalizzatosi, a causa della pandemia, sull’analisi dell’impatto della

rottura sulla supply chain, monitorando la situazione a livello globale,

con un’attenzione particolare ai flussi finanziari e alle possibili

soluzioni per mitigare questi impatti

FEDERICO CANIATO

Dipartimento di Ingegneria

Gestionale

Alumnus Ingegneria

Gestionale

«Ci occupiamo di studiare il tema

della gestione dei flussi finanziari:

dai pagamenti agli incassi, di tutta la

filiera produttiva. Oggi tutte le aziende

acquistano moltissimo esternamente e

di conseguenza dipendono fortemente

dai propri fornitori. Prima di giungere

al prodotto finito, c’è una fitta rete di

fornitura tra le imprese», spiega subito

Federico Caniato, che guida il team di

Supply Chain Finance del Politecnico

di Milano. La pandemia ha innescato

una serie di cambiamenti del sistema

economico-finanziario, andando ad

esasperare una serie di problemi già

precedentemente emersi. «I tempi

di pagamento lunghi fanno sì che le

aziende, soprattutto quelle più piccole,

ricevano ordini ma che non abbiano

poi sufficiente liquidità per far fronte

alle spese giornaliere. Se falliscono,

diventa un problema per tutti, anche

per le grandi aziende, perché vengono

a mancare dei fornitori indispensabili

e i costi complessivi aumentano.

Durante il lockdown il problema

si è acuito portando una serie di

criticità: dal crollo della domanda

alle difficoltà di fornitura. Chi aveva

già venduto qualcosa, non riusciva a

incassare perché i pagamenti erano

stati bloccati; altri avevano prodotto

ma non riuscivano a vendere. Non

si tratta di un tema solo di profitto

ma di sopravvivenza delle imprese,

di tutela dei posti di lavori, con delle

implicazioni sociali molto ampie.

Noi studiamo questi problemi e

proponiamo delle possibili soluzioni».

Parallelamente all’emergenza sanitaria,

dunque, si è andata a creare un’altra

emergenza, altrettanto fondamentale

da sanare: un’emergenza economica

e sociale. «Il nostro lavoro nei mesi

del lockdown - dice Caniato - si è

concentrato sull’esigenza di far fronte

all’emergenza. Un primo esempio

concreto è stato proprio il quadro

degli strumenti e delle iniziative

disponibili in ambito Supply Chain

Finance, che abbiamo costruito con

la nostra ricerca e condiviso con vari

player del settore. Abbiamo continuato

e potenziato la formazione su questi

temi, sia ai nostri studenti universitari,

sia ai manager che frequentano i

nostri corsi al MIP (la business school

32


del Politecnico, ndr), sia con le attività

divulgative dell’Osservatorio».

L'ECOSISTEMA

Gli strumenti messi in campo per

fronteggiare l’emergenza economica

sono molti. La più diffusa è il Reverse

Factoring, grazie al quale una grande

impresa può permettere ai propri

fornitori di cedere il proprio credito a

istituti finanziari convenzionati a tassi

agevolati, perché il credito è garantito

appunto dal cliente, ottenendo così

incassi immediati. Abbiamo osservato

anche una crescita dell’uso del

Dynamic Discounting, che consente

il pagamento anticipato da parte

del cliente a fronte di uno sconto

da parte del fornitore sull’importo

della fattura proporzionale ai giorni di

anticipo, concordato dinamicamente

per ciascuna transazione. Un’altra

soluzione utile è l’Inventory Finance,

un finanziamento di breve termine

delle scorte attraverso una linea di

credito dedicata. Sta avendo grande

impulso anche l’Invoice Trading, un

“marketplace” per l’anticipo delle

fatture, basato su una piattaforma

digitale che consente a terze parti

con disponibilità di capitali (istituzioni

finanziarie e non) di investire nelle

fatture emesse dalle aziende.

Incominciano a svilupparsi anche

soluzioni di Multitier Finance, soluzioni

di finanziamento del capitale circolante

che raggiungono anche i fornitori oltre

il primo livello, supportando gli stadi

più a monte della filiera, che sono

spesso quelli più in difficoltà. «Per

avere informazioni aggiornate abbiamo

coinvolto la nostra “community”

dell’Osservatorio Supply Chain Finance,

fatta di operatori finanziari (banche,

società di factoring, fintech), di aziende

industriali e di servizi di tanti settori

diversi, di information provider, di

technology provider e di società di

consulenza. Le domande che ponevamo

riguardavano sia la situazione del

momento (se le aziende erano attive

o ferme, che impatto avevano avuto

sia dal lockdown cinese prima, sia da

quello italiano ed europeo poi, come si

stavano organizzando, quali soluzioni

stavano mettendo in campo), sia le

prospettive per l’immediato futuro.

Abbiamo monitorato costantemente

anche le fonti secondarie come la

stampa, il web e i report di settore.

Siamo rimasti in costante contatto

con i nostri partner internazionali,

che lavorano sullo stesso tema in altri

paesi (soprattutto in Europa e USA,

ma abbiamo avuto anche contatti con

la Cina), sempre per monitorare la

situazione sia in termini di impatti sia

di risposte».

Una delle aziende con cui si sono

confrontati è stata Luxottica, che come

tutte le aziende del settore moda ha

dovuto fronteggiare un improvviso

crollo della domanda con uno stop

delle produzioni. Molti fornitori però

avevano già prodotto i componenti e

se non fossero stati pagati da Luxottica

avrebbero avuto serie difficoltà a

coprire i costi. «Abbiamo suggerito a

Luxottica di studiare una soluzione

innovativa di supply chain finance,

il Purchase Order Finance, ovvero

concordare con le proprie banche

di offrire ai fornitori la possibilità di

utilizzare gli ordini di acquisto ricevuti

da Luxottica per ottenere degli anticipi

sui pagamenti futuri, garantiti appunto

da Luxottica. L’azienda ha poi trovato

un modo alternativo per raggiungere lo

stesso risultato, sfruttando il Reverse

Factoring che aveva già in essere: in

pratica i fornitori, una volta consegnata

la merce ed emessa la fattura, possono

cederla alla banca partner di Luxottica

e ottenerne il pagamento immediato,

e quindi anticipato rispetto ai tempi di

pagamento contrattuali, a condizioni

molto favorevoli».

Oltre alle collaborazioni strutturate

con grandi aziende, il gruppo è

anche attivo nel supporto di realtà

industriali più piccole. «Vengono da

noi con richieste molto diverse tra

loro. Durante il lockdown, per esempio,

un’azienda ci ha detto: “Vogliamo

donare dei respiratori agli ospedali

ma non sappiamo dove comprarli,

aiutateci a trovare chi li vende”. Così

abbiamo trascorso un weekend,

sfruttando le nostre conoscenze,

per trovare chi potesse fornirli».

A dimostrazione che emergenza

economica e sociale hanno bisogno

innanzitutto della cura delle persone.

33


3 RICERCA

#Demographics #Mobility #UrbanHealth

STRATEGIE PER CITTÀ

RESILIENTI ALLE EPIDEMIE

Il coronavirus ha evidenziato alcune criticità tipiche del contesto

urbano, che oggi ha bisogno di essere ripensato in chiave di

prevenzione: ne parla lo studio “COVID-19 and Cities: from Urban

Health strategies to the pandemic challenge. A Decalogue of Public

Health opportunities”, pubblicato da Acta Biomedica e firmato da un

gruppo multidisciplinare di ricercatori, progettisti ed esperti di sanità

pubblica coordinati dal prof. Stefano Capolongo

STEFANO CAPOLONGO

Dipartimento di Architettura,

Ingegneria delle Costruzioni e

Ambiente Costruito (DABC)

Design & Health Lab

Alumnus Architettura

«L’Architettura ha sempre più

bisogno di strumenti che possano

supportare le scelte progettuali, in

particolare sul modo in cui l’ambiente

costruito influisce sul nostro stato di

salute», spiega subito il prof. Stefano

Capolongo, direttore del Dipartimento

di Architettura, Ingegneria delle

Costruzioni e Ambiente Costruito

(DABC) e coordinatore dell’unità

di ricerca Design & Health Lab. A

fronte dell’emergenza COVID-19, il

Dipartimento ha attivato quattordici

osservatori per studiare il ruolo

dell’ambiente costruito nella fase

di ripartenza: dal turismo alla

digitalizzazione, dalle scuole ai luoghi

per lo sport. In particolare, il Design &

Health Lab sta portando avanti tre linee

di ricerca. La prima riguarda l’edilizia

ospedaliera, sulla quale i ricercatori del

Politecnico stanno lavorando da diversi

anni, anche attraverso lo sviluppo di

strumenti di valutazione multicriteriale.

È un tema che accentra le criticità di

pianificazione sul modello delle città

e che, oggi, deve focalizzarsi in modo

specifico su resilienza, flessibilità e sul

controllo del contagio: per esempio con

la progettazione di percorsi a senso

unico e nuclei modulari facilmente

isolabili e adattabili.

Il secondo tema importante è quello

della stretta relazione che esiste tra

ambiente indoor e benessere della

popolazione. Una ricerca svolta in

collaborazione con l’Università di

Genova ha messo in evidenza e

misurato la correlazione tra qualità

dell’abitazione e salute mentale,

durante il lockdown. «L’elevata

numerosità del campione e le analisi

statistiche hanno permesso una lettura

oggettiva di dati sia quantitativi che

qualitativi, che vanno dalle dimensioni

di un appartamento al numero di

abitanti, fino al comfort percepito e

alla vista di cui si gode dalle finestre»,

continua Capolongo, evidenziando

come l’ambiente costruito possa

svolgere funzioni di prevenzione

nell’insorgere di determinate patologie

e abbia oggi un ruolo importante nella

nostra capacità di rispondere alle

emergenze sanitarie.

La terza linea di ricerca in ambito

urban health è infatti il tema della

pianificazione delle città. «Alcuni

studi, ancora in fase di elaborazione,

dimostrerebbero che esiste una

correlazione tra ambiente costruito e

diffusione della pandemia». Oggi, il

57% della popolazione vive in contesti

urbani e si prevede che nel 2050 questa

proporzione crescerà fino a superare

la soglia del 70%. «Vivere in città

comporta diversi vantaggi dal punto

di vista della salute, contrariamente

a quanto si potrebbe pensare: la

popolazione urbana ha una aspettativa

di vita maggiore di quella che vive in

contesto rurale». Questo è dovuto al

grado di istruzione, mediamente più

elevato in città, e alla maggiore capacità

34


THE NEED TO ASSIGN “PRIORITIES” TO CRITERIA AND ITEMS

THE QUESTIONNAIRE AND THE OUTCOMES

MACRO criteria and items weights

density 16%

diversity 24%

intersections

built-up area

destinations (g. f.)

sidewalk presence

15%

10%

30%

45%

transportation stops

coverage

parking availability

36%

49%

15%

design 60%

street layout

building layout

green layout

61%

15%

24%

MICRO criteria and items weights

comfort 18%

land use mix

active environment

relational environment

14%

30%

56%

universal design

pedestrian/cyclist

safeness elements

relational environment

25%

75%

usefulness 33%

aesthetics 10%

safeness 39%

lanes width

and obstructions

urban furiture

62%

38%

attractveness

cleanliness

50%

50%

35


CURRENT MODEL

SUPERBLOCKS MODEL

Public transport network

Bicycles main network (bike lane)

Bicycles signposts (reverse direction)

Free passage of bicycles

Private vehicle passing

Residents vehicles

Urban services and emergency

dum carriers

Dum proximity area

Access control

Basic traffic network

Single platform (pedestrians priority)

economica. Inoltre, non trascurabile

è la maggiore accessibilità ai servizi:

banalmente, gli ospedali sono vicini

e facilmente raggiungibili. Per contro,

le nostre città sono molto inquinate e

questo incide per un terzo sulla salute

in quanto fattore di rischio. Vivere

in città fa aumentare la probabilità

di sviluppare malattie legate a

uno stile di vita sedentario come il

diabete e l’obesità. Queste patologie

particolarmente diffuse in aree urbane

appartengono alle cosiddette “Non

Communicable Diseases” (NCDs), cioè

malattie cronico degenerative, come

quelle cardiocircolatorie e oncologiche.

Gli studi OMS dimostrano che, in

Europa, globalizzazione, urbanizzazione

e invecchiamento della popolazione

sono responsabili di queste malattie

con un’incidenza dell’87%. Ciò porta

a trasferire sempre più il concetto di

salute da un approccio esclusivamente

medico a un approccio di carattere

sociale: i comportamenti sociali

influiscono notevolmente sulla salute

della popolazione. Questo approccio

è descritto nella review pubblicata

su Acta Biomedica nell’aprile 2020, e

Capolongo commenta: «Interpretiamo

tutte le azioni progettuali, come un

parco, una pista ciclabile, un’area

pedonale, come azioni di prevenzione

dalle malattie e promozione della

salute. Nel caso di COVID-19, la

relazione tra ambiente urbano e

diffusione dell’epidemia sono evidenti.

In prima istanza sembra che ci sia

una correlazione tra inquinamento

atmosferico e propagazione del

virus o gravità dei sintomi. Inoltre,

sembra che il virus abbia colpito

soprattutto la popolazione anziana e

pluripatologica, due fasce anagrafiche

rappresentate nelle città, in particolar

modo in relazione alle patologie

cronico degenerative citate sopra.

Quindi, rendere sicure le città rispetto

a questi elementi potrebbe incidere

sulla nostra capacità di fermare una

seconda ondata. Oggi, la pianificazione

urbana assume una dimensione

urgente, ma COVID-19 ha accelerato

un processo già in atto, ovvero la

necessità di rendere le città sempre

più sostenibili, resilienti e inclusive».

Un parco urbano dunque può essere

interpretato come uno spazio polmone,

dove poter eventualmente collocare

rapidamente funzioni di supporto alla

gestione dell’emergenza: potrebbe

ospitare un ospedale da campo, in

centro città e vicino agli ospedali,

ma ben isolato per non alimentare il

contagio. Il distanziamento è un altro

esempio. «È una pratica antica, in uso

soprattutto quando non esistevano

vaccini e antibiotici: nel corso del

‘900, il progresso in campo medico ha

demandato alla medicina le funzioni

di prevenzione che, in passato,

erano svolte dall’isolamento e dalle

pratiche igieniche. Oggi ci troviamo

nuovamente nella condizione di non

avere (per ora) un vaccino o un rimedio

medico efficace contro questo virus, e

le città possono adattarsi adottando

strumenti “sociali” ovvero strategie

spaziali e organizzative: per esempio,

un piano regolatore degli orari che

permetta di evitare assembramenti

sui mezzi pubblici, senza che per

forza le persone debbano spostarsi in

macchina».

36


Un altro strumento è la pianificazione

dei quartieri: ricreare i servizi di

prossimità della popolazione nell’arco

di percorrenza di tempo massima

di 15 minuti a piedi. «Consentirebbe

di fare attività fisica (limitando la

sedentarietà), permetterebbe una

rivitalizzazione del tessuto urbano

in termini economici (anche questo

elemento che incide sulla salute)

e potrebbe essere di grande aiuto

nel contenere i focolai. I quartierinuclei

sarebbero permeabili tra loro

in condizioni normali, ma in caso di

necessità potrebbero essere isolati

rapidamente, evitando al contempo

chiusure generalizzate e intervenendo

solo dove è necessario e per periodi

brevi, che peserebbero meno sul

sistema economico».

La review pubblicata su Acta Biomedica

contiene un decalogo di proposte

che, a partire dalle riflessioni sulla

pandemia di coronavirus, aprono

scenari interessanti sull’evoluzione

delle nostre città. Le strategie derivanti

da questo studio sono in fase di

applicazione anche all’interno del

progetto di ricerca europeo EIT (Urban

Mobility for more Liveable Urban

Spaces, COVID-19 Crisis response), che

- con un budget complessivo di 720mila

euro - prevede una sperimentazione

progettuale a Saint-Germain En-Laye,

in Francia. «In questo particolare

momento storico - conclude Capolongo

- le città hanno un ruolo importante

nella gestione dell’epidemia e dei suoi

effetti a lungo termine».

"COVID-19 and Cities:

from Urban Health strategies

to the pandemic challenge.

A Decalogue of Public

Health opportunities"

— ACTA Biomedica

37


#SystemsModelling

#ControlTheory

COME CONTROLLARE

L’EPIDEMIA DI SARS-COV-2?

3 RICERCA

Un modello matematico studia la relazione tra i dati epidemiologici

e le strategie di contenimento in diversi paesi colpiti dall’epidemia,

individuando i limiti intrinseci alla controllabilità del processo

sulla base della teoria del controllo e le strategie migliori per

l’implementazione delle restrizioni

FRANCESCO CASELLA

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria Elettronica

La rivista IEEE Control Systems

Letters ha pubblicato un articolo

firmato dal prof. Francesco Casella,

del Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria del

Politecnico di Milano. Il lavoro, dal

titolo "Can the COVID-19 Epidemic Be

Controlled on the Basis of Daily Test

Reports?", analizza la possibilità di

controllare l’epidemia di SARS-CoV-2

attraverso misure di contenimento

basate sui report giornalieri di

tamponi positivi al virus, numero di

casi attivi e casi in totale. Casella ha

sviluppato un modello matematico,

tarato coi dati delle epidemie in Cina,

Italia, Francia e Regno Unito, su cui

applicare alcune tecniche di teoria

del controllo per capire se e in che

misura le restrizioni basate su questi

indicatori possano funzionare o meno.

“La scorsa primavera, le variabili

riportate giornalmente, in particolare

tamponi positivi e numero di

ricoverati, crescevano esponenzialmente

con un tempo di raddoppio sui 4

giorni. In sostanza, senza azioni di

contenimento, in due settimane i

numeri si moltiplicano per 8, in quattro

settimane per 64, e così via. Esiste

anche un lasso di tempo variabile

tra il momento in cui un individuo è

contagioso e il suo tampone viene

registrato dalla Protezione Civile”,

commenta il ricercatore in un

articolo divulgativo su Maddmaths

evidenziando alcune criticità. «Il

problema è che controllare un sistema

che esplode esponenzialmente, con

un ritardo di due settimane tra la

causa (decreti di salute pubblica) e

l’effetto (numero tamponi positivi),

può essere impossibile». Il problema

si pone in maniera simile in occasione

della seconda ondata.

Le strategie di contenimento

hanno alcuni limiti connessi a una

combinazione di ritardo intrinseco

nell’evoluzione della malattia e

nel processo di registrazione dei

casi positivi, unito a incertezza e

instabilità delle dinamiche di reazione.

Programmare solide strategie di

controllo nel momento in cui la

traiettoria del contagio ha Rt > 1.1

è molto difficile. Anche un’azione

drastica che dimezzasse tale ritardo

porterebbe tale limite a Rt > 1.2, limite

ampiamente superato in Italia per

tutto il mese di ottobre 2020. Al di

sopra di tale limite, l’analisi basata

sulla teoria del controllo mostra

come l’unica strategia efficace sia

di introdurre limitazioni abbastanza

drastiche da portare con ragionevole

certezza Rt sotto ad 1, mentre strategie

efficaci di chiusure graduali quando Rt

stia molto sopra 1.1 non sono possibili

per ragioni strutturali.

38


"Can the COVID-19

Epidemic Be Controlled on the

Basis of Daily Test Reports?"

— IEEEXplore

"COVID-19: la situazione

è sotto controllo?"

— MaddMaths

L’analisi può rivelarsi particolarmente

utile nella gestione della seconda

ondata, suggerendo come la strategia

vincente sia l’introduzione iniziale di

forti restrizioni, che portino Rt sotto

ad uno in breve tempo, seguita da una

fase di caute e progressive riaperture,

che è gestibile se si mantiene Rt sotto

ad 1.1 come già avvenuto nel periodo

maggio-giugno. Conforta osservare

come, sia pure tra molte incertezze

e resistenze, questa sia la strategia

attualmente perseguita in Italia.

×10 5 10 20 30 40 50 60 70

2

A r

: Model

A r

: Data

T r

: Model

T r

: Data

1.5

Ar, Tr

1

Lockdown

Restrictions

0.5

Peak

0

0

Time/days

39


3 RICERCA

#Health

#Ventilators

UN RESPIRATORE MECCANICO

SEMPLICE E MENO COSTOSO

PER LE PRE-ICU

Sviluppato in collaborazione con Whirlpool Corporation, il progetto

sarà open source. Ogni esemplare costerà intorno ai 1.000 euro

SIMONE CINQUEMANI

Dipartimento di Meccanica

Alumnus Ingegneria

Meccanica

Il team del Politecnico, coordinato

dai proff. Simone Cinquemani, Luigi

De Nardo e Paolo Rocco, insieme ai

proff. Matteo Corno, Beniamino Fiore

e Raffaele Dellacà, ha progettato un

respiratore meccanico che potrebbe

essere di supporto agli ospedali in

caso di una nuova emergenza sanitaria.

«Durante le prime fasi dell’epidemia

ci siamo scontrati con i limiti di

disponibilità dei respiratori, che sono

MATTEO CORNO

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria Informatica

e PhD Information and

Communication Technology

macchine costose e complesse e la

cui filiera di produzione è lunga»,

commenta Cinquemani, «Il progetto

nasce per dare una risposta allo

scenario nel quale un accesso

massivo ed improvviso di persone

in insufficienza respiratoria richieda

“mani” per guadagnare tempo e

permettere a tutti di essere curati

con un ventilatore che è di facile

utilizzo e che allo stesso tempo ha in

sé la tecnologia per sostituirsi a un

sanitario. Breath4U sfrutta un pallone

ambu (un pallone autoespandibile

per supportare l’attività respiratoria,

ndr) la cui compressione ritmica può

salvare vite se fatta da mani di persone

formate, oppure da un ventilatore che

si sostituisce a quelle mani».

Il dispositivo è stato progettato e

sviluppato in collaborazione con

Whirlpool Corporation, che ha firmato

un accordo quadro con il Politecnico

per la collaborazione su temi di ricerca.

«È uno dei tanti casi in cui l’azienda

vuole mettere in sinergia i propri

interessi in termini di innovazione

con la nostra capacità di fornire le

competenze necessarie, in questo caso

di progettazione meccanica, informatica

e elettronica», aggiunge Cinquemani.

«È stato un progetto impegnativo per la

multidisciplinarietà, che ci ha richiesto

di confrontarci anche con competenze

cliniche e biomedicali, e anche per la

velocità alla quale abbiamo lavorato:

un mese, dal foglio bianco a un layout

facilmente realizzabile in tempi rapidi».

Breath4U è leggero, facile da installare

e i componenti sono molto semplici

e disponibili sul mercato, anche in

fase di lockdown. Costruirne uno

costerebbe intorno a 1.000 euro (per

confronto, un respiratore tradizionale

da ICU costa tra i 10 e i 40mila euro).

La parte meccanica è composta da

un “palloncino” (il classico ambu) che

viene schiacciato in modo automatico

da due pinze motorizzate che

applicano una pressione controllata.

Il moto delle pinze è determinato da

40


una serie di informazioni misurate

sul campo (pressione del paziente,

massima pressione dell’aria, volume

nell’atto respiratorio, ecc.). L’ambu

è collegato a una mascherina di

respirazione tramite un tubo di plastica

(il prototipo non è pensato per una

intubazione invasiva). L’elettronica di

controllo gestisce il movimento delle

pinze: «Mi sono occupato di sviluppare

la legge di controllo», prosegue Corno,

«utilizzando solo componentistica

elettronica standard e facilmente

reperibile».

Il sistema di controllo permette due

funzionalità della macchina: la prima

e più semplice è quella del controllo

volumetrico, che serve nel caso di

pazienti che non sono in grado di

respirare in modo autonomo: il medico

o il personale sanitario impostano

i parametri di respirazione tramite

un’interfaccia grafica: numero di respiri

al minuto e volume da immettere. La

macchina è poi in grado di erogare

l’aria alla velocità e nel volume

indicati, assicurandosi che non

vengano superati i limiti di sicurezza

relativamente alla pressione che i

polmoni compromessi sono in grado

di sopportare. «Il lavoro sulla seconda

funzionalità è stato più complesso»,

continua Corno, «perché abbiamo

dovuto progettare una legge di

controllo per la modalità di aiuto alla

respirazione. La macchina deve saper

ascoltare il paziente per capire quando

sta iniziando a respirare. Breath4U

misura la differenza di pressione tra

la fine dell’atto di espirazione e l’inizio

del respiro successivo. Il paziente

compromesso non è in grado di creare

una sufficiente sottopressione per

inspirare tutta l’aria di cui ha bisogno,

quindi la macchina interviene in suo

aiuto valutando la misura necessaria».

Dopo l’assemblaggio, il prototipo è

stato testato nel TechRes - Laboratory

of Respiration Technologies del

Politecnico di Milano, con un

dispositivo che emula i polmoni del

paziente. Alcuni esemplari sono stati

poi inviati ad enti certificatori per

una valutazione sull’utilizzo sicuro in

ambito ospedaliero, mentre altri sono

in fase di test presso la Fondazione

Poliambulanza Brescia (Dott. G.

Natalini), l’Ospedale Santa Maria della

Misericordia Perugia (Dott. M. Renzini)

e l’Ospedale Provinciale di Macerata

(Dott. F. Corradetti). Il progetto, una

volta perfezionato, sarà reso disponibile

open source per chiunque avesse

bisogno di produrlo velocemente.

41


3 RICERCA

#Diagnosis #Epidemic #Evolution #Numerical #Simulation

I DIAGNOSTICATI COVID SONO

LA PUNTA DELL’ICEBERG.

COSA C’È SOTTO?

Un nuovo modello matematico identifica la dimensione dei contagiati

“sommersi”, cioè non diagnosticati, grazie all’interazione tra

matematica dell’automazione e competenze cliniche. L’articolo,

pubblicato su Nature Medicine, è co-firmato dal prof. Colaneri

del Politecnico di Milano

PATRIZIO COLANERI

Dipartimento di Ingegneria

Elettronica, Informazione e

Bioingegneria

Alumnus Ingegneria

Elettronica

Il 22 aprile 2020 è stato pubblicato

su Nature Medicine l’articolo

“Modelling the COVID-19 epidemia

and implementation of population

wide-interventions in Italy”. Fra gli

autori dell'articolo, che vede anche

la collaborazione delle università

di Trento, di Udine e dei medici

dell’ospedale San Matteo di Pavia,

c’è il prof. Patrizio Colaneri, ordinario

di Automatica al Dipartimento

di Elettronica, Informazione e

Biotecnologia del Politecnico di Milano.

In Italia, alla data del 5 aprile sono

stati registrati 128.948 casi confermati

e 15.887 decessi di persone risultate

positive a SARS-CoV-2. Il controllo

della pandemia globale richiede

l'implementazione di strategie

multiple a livello di popolazione,

incluso distanziamento, tamponi e

tracciamento dei contatti. L'articolo

propone un nuovo modello, definito

SIDARTHE, che predice il corso

dell'epidemia per aiutare a pianificare

un'efficace strategia di controllo.

Il modello considera otto stati di

infezione: suscettibile (Susceptible),

infetto (Infected), diagnosticato

(Diagnosed), malato (Ailing),

riconosciuto (Recognized), minacciato

(Threatened), guarito (Healed) ed

estinto (Extinct).

La distinzione tra individui diagnosticati

e non diagnosticati è importante

perché i primi sono in genere isolati

e, quindi, hanno meno probabilità

di diffondere l'infezione. SIDARTHE

discrimina tra individui infetti, a

seconda che siano stati diagnosticati e

in base alla gravità dei loro sintomi. Si

tratta di un modello di tipo mean-field

compartimentale che estende i modelli

epidemiologici classici SIR/SEIR. Non

distingue le persone sulla base di

caratteristiche anagrafiche, geografiche

o personali (per esempio il genere,

l’età o la compresenza di patologie

pregresse e altro), ma suddivide la

popolazione in otto comparti (stati) in

relazione al contatto con il coronavirus.

Un grafico mette in collegamento questi

stati attraverso i tassi di probabilità di

passare da uno stato all’altro.

«Siamo partiti dai dati messi a

disposizione dalla Protezione Civile,

che però riguardano soltanto le

persone diagnosticate. Il sommerso

va ricostruito. La parte più complessa

è stata quella del fit dei dati per

identificare i parametri», commenta

Colaneri. Proprio la modellazione

del “sommerso”, cioè del numero

di contagiati non diagnosticati, è

l’obiettivo principale di SIDARTHE. In

questo senso è stata determinante

la collaborazione tra competenze

ingegneristiche, matematiche,

statistiche e mediche-infettivologiche.

«L’interazione tra gli strumenti

dell’ingegneria e della matematica

con quelli delle scienze biologiche e

mediche è diventata indispensabile -

continua a spiegare Colaneri - non solo

in relazione all’emergenza COVID: è un

processo di fertilizzazione tra discipline

diverse in atto da anni. L’idea base di

SIDARTHE sul calcolo dell’R0 è quella di

42


descrivere il modello epidemiologico

come un sistema ad anello chiuso

sulla frazione dei suscettibili. Ciò

permette di caratterizzare quella che

noi automatici chiamiamo stabilità

robusta dei sistemi retroazionati. Il

modello, e i risultati delle simulazioni

avevano bisogno di essere validate

dal punto di vista concettuale,

confrontandosi con l’esperienza dei

clinici. Lo sforzo reciproco è stato

quello di scambiare informazioni con

un linguaggio scientifico mutualmente

comprensibile». I risultati sono

buoni dal punto di vista predittivo

e dell’individuazione di scenari

differenti a seconda delle misure di

contenimento. Le conclusioni sulla

letalità e sull’evoluzione del contagio,

pubblicate su Nature Medicine,

mettono in evidenza l’importanza dei

test a tappeto per il tracciamento del

contagio e delle manovre di lockdown

e distanziamento.

«Il prossimo passo - conclude Colaneri

- è un nuovo progetto con il San

Matteo di Pavia, Università di Trento e

CNR. Vogliamo capire come usare i dati

delle analisi sierologiche per costruire

un modello su rete che permetta di

prevedere l'evoluzione delle infezioni

e delle statistiche aggregate a partire

da osservazioni parziali e imprecise,

sfruttando le similarità tra individui

sensibili, attraverso un campionamento

ottimale su rete e stabilendo il numero

minimo effettivo di nodi da osservare

per una previsione accurata».

"Modelling the COVID-19

epidemic and implementation

of population-wide

interventions in Italy"

— Nature Medicine

43


#3DPrinting

3 RICERCA

DI FRONTE ALL’EMERGENZA,

RIDURRE I TEMPI DI REAZIONE

CON LA STAMPA 3D

L’additive manufacturing può servire a stampare dispositivi di

protezione customizzati, in piccoli o grandi numeri a seconda

del bisogno, direttamente in loco e tagliando tempi di produzione

e logistica. «Di fatto ci rende più resilienti», secondo Bianca Maria

Colosimo, docente del Dipartimento di Ingegneria Meccanica,

che insieme al collega Matteo Strano ha diretto la progettazione

dei PoliShields: gli schermi facciali fabbricati con stampa 3D

nei laboratori del Poli

BIANCA MARIA COLOSIMO

Dipartimento di Meccanica

Alumna Ingegneria Gestionale

e Ingegneria Meccanica

MATTEO STRANO

Dipartimento di Meccanica

Alumnus Ingegneria

Industriale e dell'Informazione

PoliShield è uno schermo facciale,

ossia un Dispositivo di Protezione

Individuale (DPI) che ha lo scopo di

proteggere chi lo indossa da aerosol

e goccioline di saliva potenzialmente

infette, possibile veicolo di coronavirus.

«Abbiamo lavorato con ricercatori,

tesisti e dottorandi fin dall’inizio

del lockdown dello scorso marzo

— racconta Bianca Maria Colosimo —

quando le curve di contagio erano

impressionanti, con tanta voglia di dare

una mano. Ci recavamo in Bovisa in tre

turni, per mantenere le condizioni di

sicurezza». I vantaggi della stampa 3D

sul manufacturing tradizionale sono

diversi: per esempio, all’aumentare

della complessità, i costi di produzione

rimangono gli stessi. Inoltre, è facile

lavorare sul design e implementare

in modo immediato piccole o grandi

correzioni. Si presta a qualsiasi design

e a lavorare parallelamente su design e

materiali: per esempio, un DPI potrebbe

essere stampato con materiale dalle

proprietà antibatteriche. Durante il

lockdown, ha permesso agli ospedali di

avere parti di ricambio per respiratori

e persino tamponi molto velocemente.

In particolare, l’additive manufacturing

44


è indicato per la personalizzazione del

prodotto, fondamentale per il comfort

di un oggetto da indossare molte ore

(come nel caso dei DPI). «E soprattutto,

il mondo della stampa 3D è un mondo

fatto di condivisione. Ci sono molti

siti web che raccolgono open design

di mascherine, valvole, schermi, DPI

di varia natura, da laboratori in tutto

il mondo. Per creare il PoliShield

siamo partiti dal modello di un’altra

università e abbiamo fatto un progetto

di re-design, ripensando forme e

materiali in relazione alle esigenze di

certificazione del mercato europeo»,

spiega Colosimo. Matteo Strano, che

si è occupato della certificazione,

aggiunge: «È stato l’aspetto più critico

— spiega — la normativa non fa

differenza tra uno schermo capace di

proteggere da goccioline di aerosol

e uno che possa proteggere da un

proiettile che colpisce il viso. Abbiamo

dovuto adattare il PoliShield per

entrambe le situazioni, tenendo conto

della necessità di uno schermo che

non deformasse le immagini per non

creare problemi alla vista, nemmeno

sul lungo termine».

Oggi PoliShield è certificato e il

progetto pronto per essere scaricato

da chiunque voglia replicarlo. I

ricercatori stanno partecipando a

un bando europeo che ha l’obiettivo

di aumentare la flessibilità e la

riconfigurabilità delle aziende per

facilitare produzione DPI come questo:

«insieme a una cordata di venti partner

— conclude Matteo Strano — vogliamo

rendere possibile la produzione

tramite additive manufacturing, di

DPI customizzati per i cosiddetti

vulnerable groups, per esempio stiamo

progettando mascherine trasparenti

per sordomuti».

«L'additive

manufacturing

ci rende più

resilienti»

45


3 RICERCA

#ArtificialKidney

#PhysicalSimulator

#UremicPatient

UN SIMULATORE FISICO DI

PAZIENTE NEL LABORATORIO

LABS - ARTIFICIAL ORGANS

DEL POLITECNICO DI MILANO

I ricercatori del Politecnico di Milano stanno lavorando a un sistema

integrato per migliorare la terapia della dialisi, anche in relazione alla

necessità di distanziamento fisico, difficile da ottenere nei reparti

ospedalieri in particolare durante la somministrazione di dialisi

MARIA LAURA COSTANTINO

Dipartimento di Chimica,

Materiali ed Ingegneria

Chimica "Giulio Natta"

MEDTEC School

Alumna Ingegneria Meccanica

Il gruppo di ricerca guidato dalla prof.

Maria Laura Costantino si propone di

ottimizzare gli approcci terapeutici in

ambito dialitico al fine di migliorare

la qualità della vita dei pazienti,

ridurre tassi di mortalità e comorbidità,

costruire una piattaforma condivisibile

da diversi centri clinici e facilitare la

domiciliazione della terapia dialitica.

Il gruppo lavora sul tema dal 2007 con

la collaborazione di diversi ospedali e

centri di ricerca.

«Uno dei maggiori problemi riscontrati

dai pazienti in dialisi è l’insorgenza

di effetti collaterali come nausea,

crampi, fino al collasso, dovuti al

fatto che la risposta al settaggio

delle macchine è estremamente

sensibile e paziente-specifica», spiega

Costantino. «Inoltre, in questi mesi

la necessità di recarsi in ospedale

3 volte alla settimana, per le 4 ore di

durata media di somministrazione

della dialisi, rappresenta un grosso

rischio per i pazienti, potenzialmente

esposti al contagio da coronavirus da

parte di altri pazienti che frequentano

i reparti ospedalieri o del personale

medico». I ricercatori del Politecnico

di Milano stanno sviluppando metodi

per facilitare la gestione dei pazienti in

dialisi, cosicché sia più facile dializzarli

anche in ospedali diversi da quello

di pertinenza, ma soprattutto sia

anche possibile trattarli a domicilio.

«Entrambi gli scenari sono ancora

problematici. Ci sono criticità nella

raccolta e interpretazione dei dati

terapeutici, spesso ottenuti con metodi

diversi nei diversi ospedali. Anche

la domiciliazione è critica, sia per la

sensibilità del trattamento, sia per

la necessità di ripensare lo spazio

domestico in funzione della terapia

(per esempio è necessario dotarsi di

un impianto di eliminazione dei reflui

come rifiuti ospedalieri, o di potenziare

l’impianto di erogazione dell’acqua

potabile)».

La prima fase di sviluppo si è conclusa

con la definizione di un modello

matematico multi-compartimentale

che può essere utilizzato dai clinici

per ottimizzare la terapia in modo

personalizzato per ciascun paziente.

Una volta validato clinicamente il

modello, i ricercatori vogliono ampliare

il set di dati misurati sia in ospedale, sia

tra una seduta di dialisi e la successiva,

grazie all’impiego di dispositivi

indossabili. Si integreranno modello e

algoritmi di predizione dell'ipotensione

intradialitica in un unico strumento di

supporto alla decisione clinica. Una

volta verificata la robustezza del nuovo

algoritmo, la capacità predittiva di

tale strumento verrà verificata tramite

studio clinico, coinvolgendo pazienti

che verranno monitorati per due

settimane consecutive.

46


Costantino si propone inoltre di

costruire una piattaforma web alla

quale i clinici possano accedere per

confrontarsi sulle impostazioni della

terapia. «In sostanza, il paziente sarà

dotato di una “carta della dialisi”,

uno strumento che conterrà tutte le

informazioni necessarie alla sua terapia

personalizzata. Dal software i medici

potranno consultare e condividere

le informazioni in modo omogeneo

e standardizzato». L’obiettivo chiave

è quello di una raccolta strutturata

e standardizzata dei dati relativi ai

trattamenti. Questo renderà possibile

la validazione multicentrica di

sistemi di supporto decisionale la

cui integrazione nei protocolli clinici

permetterà di personalizzare la

prescrizione dialitica in tutti i centri

che si appoggeranno al modello.

Il progetto nell’ambito del quale verrà

svolto questo studio, (Progetto Interreg

InterACTIVE-HD 2.0, ID. 1441882), della

durata di 24 mesi e che ha come

capofila Maria Laura Costantino, è

stato finanziato da Regione Lombardia

per 800 mila euro, di cui 500 mila

euro sono destinati al Politecnico di

Milano, e i restanti sono destinati ai

centri ospedalieri Lombardi e Svizzeri

coinvolti. Tra gli investimenti previsti

ci sono assegni di ricerca, un contratto

Co.Co.Co. biennale, e la ri-progettazione

ottimizzata e la costruzione di

un simulatore fisico di paziente;

entrambe queste attività verranno

sviluppate presso il Laoratorio LaBS-

Artificial Organs del Dipartimento

di Chimica, Materiali e Ingegneria

Chimica “Giulio Natta”. In particolare,

«Verrà riprogettato e ottimizzato un

simulatore fisico a due compartimenti

(Two-pool Physical Simulator) degli

scambi di volume di fluidi e soluti tra

i compartimenti corporei del paziente

durante l'emodialisi, per validare i

modelli compartimentali sviluppati

e valutare gli effetti sugli scambi di

massa di diverse impostazioni della

macchina per dialisi. Il simulatore è

progettato utilizzando uno strumento

di calcolo sviluppato internamente e

verrà testato simulando procedure di

emodialisi utilizzando filtri per dialisi

disponibili in commercio. Campioni di

fluido saranno prelevati dal simulatore

per misurare la concentrazione di

elettroliti. I volumi intra - ed extravascolari

saranno invece registrati

direttamente dal set-up. I primi risultati

sperimentali sono stati confrontati con

dati clinici rilevando concentrazioni

in linea con essi. Il nuovo simulatore

servirà per analizzare la risposta

del paziente al trattamento, con il

vantaggio di poter simulare e prevedere

le risposte dinamiche a possibili

cambiamenti nel funzionamento del

filtro di emodialisi».

Oltre a Politecnico di Milano (Dipartimento

di Chimica, Materiali e Ingegneria

Chimica “Giulio Natta” e Dipartimento

di Ingegneria Gestionale , per il quale

coordina la prof. Cristina Masella), i

partner coinvolti sono Fondazione

Politecnico di Milano, Dipartimento di

Nefrologia e Dialisi dell’Ente Ospedaliero

Cantonale, Ospedale Regionale di Lugano,

Dipartimento di Nefrologia e Dialisi del

Kantonsspital Graubünden, Coira, UOC

di Nefrologia e Dialisi dell’ASST dei Sette

Laghi, Varese, UOC di Nefrologia e Dialisi

dell’ASST Lariana, Como, UOC di Nefrologia

e Dialisi dell’ASST della Valtellina e

dell’Alto Lario, Sondrio.

47


3 RICERCA

#NumericalAnalysis

#ModellingAndSimulation

STRATEGIE DI CONTRASTO AL

CORONAVIRUS: AGIRE REGIONE

PER REGIONE FA LA DIFFERENZA

Lo studio: "A network model of Italy shows that intermittent regional

strategies can alleviate the COVID-19 epidemic", di cui è primo

autore il prof. Fabio Della Rossa del Politecnico di Milano e frutto

della collaborazione con l'università Federico II di Napoli, è stato

pubblicato su Nature Communication. Il modello suggerisce di attivare

lockdown intermittenti a livello regionale per controllare la diffusione

dell’epidemia in Italia e contenerne l’impatto economico

FABIO DELLA ROSSA

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria

Matematica

Leggi l'articolo pubblicato

su Nature Communications

Abbiamo intervistato Fabio Della Rossa,

ricercatore al Politecnico di Milano,

primo autore dello studio “A network

model of Italy shows that intermittent

regional strategies can alleviate the

COVID-19 epidemic” recentemente

pubblicato sulla prestigiosa Nature

Communication. Si tratta di un modello

matematico con l’obiettivo di prevedere

scenari epidemiologici di COVID-19 a

partire dalle dinamiche di diffusione

del contagio e dalle politiche di

restrizioni adottate dal governo, con un

focus specifico sul territorio italiano.

Lo studio è attualmente in revisione in

attesa di pubblicazione da parte di una

rivista scientifica. Il modello si basa

sulla dinamica dei sistemi complessi: in

ciascuna delle regioni italiane, utilizza

un modello a compartimenti e descrive

la connettività inter-regionale con un

approccio modellistico basato sulle

reti. «L’Italia ha una politica sanitaria

fortemente localizzata e differente tra

regione e regione - afferma Della Rossa

- a partire da questa lettura, abbiamo

sviluppato un modello data-driven,

andando a scavare i dati per tirarne

fuori tutto il possibile, che tenesse

conto delle differenze tra le regioni e

la possibilità che persone di regioni

diverse potessero o meno spostarsi».

I principali ingredienti del modello sono

tre. Il primo, quello epidemiologico, è

stato costruito e parametrizzato con un

algoritmo ad-hoc, identificato sui dati

resi disponibili dalla protezione civile,

capace di riconoscere cambiamenti

di comportamento significativi (ad

esempio, quelli introdotti dai vari

decreti ministeriali) e di adattarsi per

mantenere la sua capacità predittiva.

Il secondo è relativo ai pattern di

spostamento della popolazione: «I

dati ISTAT riproducono una situazione

diversa da quella anomala in cui ci

troviamo oggi - dice Della Rossa -

per esempio, il dato più completo

sui flussi è il risultato di un’indagine

del 2011. Negli ultimi 9 anni, anche

indipendentemente da COVID, le cose

sono cambiate molto (alta velocità,

collegamenti aerei, trasformazioni

socioeconomiche…). Coprire questo

cambiamento è un compito work-inprogress

che finora ci ha permesso, con

buona approssimazione, di descrivere

la situazione a febbraio 2020. Siamo

partiti da lì, poi abbiamo inserito i

dati di tracciamento della mobilità

GPS rilevati tra febbraio e l’inizio del

lockdown (identificando una riduzione

della mobilità del 70%). Tutti questi

elementi ci hanno portato a una stima

il più plausibile possibile dei flussi

prima e durante il lockdown come di

quelli relativi alla fase 2».

L’ultimo pezzo del lavoro è la stima

dei costi dell’epidemia. Anzitutto i

costi in termine di vite: «Abbiamo

dovuto capire l’evoluzione medica che

ci ha permesso di dare una risposta

ospedaliera sempre più efficace

48


IDENTIFICATION

OF THE AGGREGATE

NATIONAL MODEL

2.5

2

× 10 5

A

1.5

1

Panel (A). Comparison between model

predictions and data collected with time

windows Identified at the end of Step 1 of

the parameter identification process.

0.5

0

23-Feb-2020

04-Mar-2020

14-Mar-2020

24-Mar-2020

03-Apr-2020

13-Apr-2020

23-Apr-2020

03-May-2020

2.5

2

× 10 5

B

1.5

Panel (B). Comparison between model

predictions and data collected with the

merged time windows obtained after Step

2. In both panels the estimated number

of cases predicted by the model C (yellow

solid line) is compared with the avilable

datapoints C (shown as red circles).

1

0.5

0

23-Feb-2020

04-Mar-2020

14-Mar-2020

24-Mar-2020

03-Apr-2020

13-Apr-2020

23-Apr-2020

03-May-2020

al virus. Secondariamente, i costi

economici connessi alle chiusure

delle attività produttive nelle diverse

regioni. Ci siamo basati su una

serie di lavori di econometria usciti

all’inizio del lockdown, che stimavano

la riduzione del valore aggiunto sul

PIL per ciascuna regione. Abbiamo

quindi cercato di stimare una cifra

di merito più sensata possibile, ora

stiamo iniziando a approfondire

questa parte coinvolgendo persone

più esperte di noi in economia. Questa

cifra è particolarmente delicata in una

situazione in cui il governo è chiamato

a decidere tenendo conto della salute

della popolazione e delle necessità

economiche di ciascuna famiglia».

Dopo averlo parametrizzato, il modello

è stato testato per capire quali fossero

i possibili scenari epidemiologici

e di intervento. «Col passare delle

settimane abbiamo verificato che

funzionava bene: la procedura

di identificazione permetteva un

buon adattamento ai cambiamenti,

generando un prodotto con una

buona capacità predittiva». Uno dei

risultati più rilevanti è la misurazione

del vantaggio di attuare misure

coordinate a livello nazionale, che

però permettano a ciascuna regione di

applicare restrizioni e aperture tagliate

su misura. «La conclusione è che una

strategia coordinata a livello nazionale

che permette a ciascuna regione di

utilizzare regole di distanziamento

differenti, è preferibile ad un

lockdown generalizzato sia in termini

di minor costo economico (risparmio

fino al 30%), ma anche in termini di

miglior controllo dell'epidemia, ovvero

minor carico di picco delle strutture

ospedaliere, e minor numero di

deceduti (all'incirca il 25% in meno).

Un risultato che tutto sommato è

abbastanza controintuitivo: spesso

diciamo "l'unione fa la forza". In

questo caso abbiamo mostrato

che per contrastare gli effetti della

pandemia è meglio agire localmente

e bloccare una regione quando il

suo sistema sanitario si avvicina a

una soglia di rischio piuttosto che

ritardare la chiusura e lasciar correre

ancora un po' l'epidemia nella regione

sfruttando il fatto che è possibile

appoggiarsi sulle strutture sanitarie

delle altre regioni».

49


3 RICERCA

#RiskMangement

#RiskAssessment

IL "LATO UMANO" DEL VIRUS:

EXPLORING HUMAN BEHAVIOR IN

A PANDEMIC SCENARIO

Come si comportano le persone durante una pandemia e quali rischi

economici e sanitari sono disposti ad assumersi? Per capirlo, quattro

studenti del corso di Fondamenti di Automatica, guidati dal prof.

Fabio Dercole, hanno sviluppato un modello

FABIO DERCOLE

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria

Informatica

«Si tratta di un’idea che abbiamo

sottoposto ad AXA nell’ambito del

bando Mitigating risk in the wake

of the COVID-19 Pandemic», spiega

Fabio Dercole, docente di Fondamenti

di Automatica, Dinamica dei Sistemi

Complessi e di Analisi di Processi

di Innovazione e Competizione al

Politecnico di Milano. Dercole continua

a raccontare: «Si basa sulla possibilità

di generare un modello in grado di

integrare l’effetto del “lato umano”

della pandemia con i meccanismi di

contatto e mobilità della popolazione

tipici dei modelli epidemiologici

tradizionali. Il nostro comportamento

è contraddistinto da un certo grado di

irrazionalità ma anche da motivazioni

descrivibili matematicamente, in un

contesto in cui la politica impone una

serie di restrizioni della libertà e in

cui noi stessi ce ne imponiamo alcune

e decidiamo di trasgredirne altre, di

fronte al rischio di contagio».

Il progetto, se finanziato, avrà come

Principal Investigator il prof. Fabio

Della Rossa, attualmente ricercatore

a tempo determinato presso lo stesso

dipartimento del prof. Dercole e già

coinvolto in progetti di modellistica

epidemiologica COVID. Della Rossa

spiega la genesi: «L’idea nasce in

classe: da una sfida a tema COVID,

lanciata a quattro studenti motivati del

corso di Fondamenti di Automatica, di

generare un ambiente di gioco capace

di simulare la situazione reale. Nella

simulazione, ogni persona ha di fronte

una serie di scelte quotidiane, più o

meno procastinabili, come vado a fare

la spesa, una visita medica, un giro al

parco, o incontro amici e parenti. Ogni

scelta porta un benefit o una risorsa

alla persona, avere il cibo, per esempio,

ma comporta anche rischi di contagio

e di incorrere nelle sanzioni in caso di

scelte in contrasto con le restrizioni

correnti». L’obiettivo è quello di

capire come le persone si comportino

e quale sia il rischio economico

o di salute che sono disposte ad

assumersi. «A partire da quell’idea,

abbiamo sviluppato lo scheletro di un

modello individual-based, che tenta

di simulare il comportamento della

popolazione andando a modellare il

comportamento di ciascun individuo».

Modelli epidemiologici di questo tipo

sono già stati molto utilizzati, sia in

passato per altre epidemie che ora per

la COVID-19, per tracciare l’evolversi

dell’epidemia e per capire, ad esempio,

quali siano i canali di contatto o

mobilità più importanti nella diffusione

del virus. Nessuno dei modelli proposti

tiene però conto del feedback dato

dal nostro stesso comportamento in

una situazione che è per tutti nuova. Il

modello proposto sarebbe il primo di

carattere socio-epidemiologico.

50


Illustrazione:

United Nations

COVID-19

Response

Creative

Content Hub.

«La particolarità di questo modello,

a differenza degli altri in circolazione,

è che tiene in considerazione il lato

umano, introducendo una parte di

modellistica basata sulla teoria dei

giochi: la decisione di partecipare

o meno ai contatti sociali, di

violare o meno una imposizione è

presa da una persona che agisce

pensando di massimizzare il suo

benessere, secondo modalità che non

conosciamo». Il progetto include lo

sviluppo di una app mobile che offra

un’esperienza ludica ma realistica alla

popolazione, in modo da raccogliere

dati su questo “lato umano” e poter

quindi calibrare il modello previsionale

socio-epidemiologico. «Riteniamo che

questo modello possa essere un utile

supporto alla politica per definire ed

aggiornare prontamente le regole di

gestione delle varie fasi della pandemia

e per prepararci adeguatamente

a simili sfide future», concludono

Dercole e Della Rossa.

51


3 RICERCA

#MachineLearing #GameTheory #VirusTracking

#ArtificialIntelligence

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

AL SERVIZIO DEL TRACCIAMENTO

DEL CONTAGIO

Un gruppo di ricerca del Politecnico di Milano, guidato dal prof.

Gatti, sta lavorando a un nuovo algoritmo che potrebbe essere

determinante nel ricostruire le catene di contagio

"A privacy-preserving tests

optimization algorithm for

epidemics containment"

— arXiv | Cornell Univeristy

NICOLA GATTI

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria

Biomedica

L’intelligenza artificiale è uno

strumento chiave per ricostruire

le catene di contagio, ma è un

campo di ricerca ancora molto

inesplorato. Nicola Gatti (co-direttore

dell’Osservatorio sull’intelligenza

artificiale del Politecnico di Milano), in

un’intervista rilasciata al Sole 24Ore,

ha evidenziato due problemi. Il primo,

legato alla semantica del dato: diversi

metodi di raccolta delle informazioni

inquinano la qualità dell’informazione

e rendono fallaci i tentativi di ricerca

di pattern. Il secondo motivo riguarda

invece la dimensione quantitativa

dei dati. Quella in corso è la prima

pandemia di cui siamo in grado di

raccogliere sistematicamente i dati in

un arco di tempo significativo, senza

avere ancora strumenti collaudati

per la loro interpretazione. Una delle

necessità più urgenti è imparare a

ricostruire le catene di contagio per

identificare tempestivamente gli infetti

asintomatici o pauci-sintomatici. Le

app attualmente in circolazione non

riescono ad aggirare il problema della

privacy e, per tutelarla (giustamente),

rinunciano a una parte della loro

efficacia nel tracciare il contagio:

tutte le informazioni, ad esempio,

devono essere immesse dagli utenti

spontaneamente e in modo omogeneo.

Il gruppo di ricerca guidato da Gatti

sta sviluppando un nuovo algoritmo

decentralizzato che sarebbe in grado

di raccogliere i dati geolocalizzati dai

dispositivi mobili, in modo automatico,

omogeneo e totalmente anonimo

ma riconducibile univocamente a un

utente. «Il sistema identificherebbe

le utenze che hanno una maggiore

probabilità di aver contratto il virus,

ricostruendo la catena a partire dalla

diagnosi di un paziente zero», spiega

Gatti, «si tratta, in sostanza, di un

modello epidemiologico in microscala,

che tratta un gruppo di persone,

identificate dal fatto di avere avuto

contatti con un paziente diagnosticato

COVID-19, come una popolazione». I

risultati preliminari di questo metodo

indicano la possibilità di limitare il

contagio in una misura compresa

tra il 20 e il 50%. Lo studio è stato

pubblicato in preprint sul sito della

Cornell University di New York, con

questo titolo "A privacy-preserving

tests optimization algorithm for

epidemics containment"

52


#OptimalLockdownStrategy

#ControlTheory

#MathematicalModelling

IN CASO DI EPIDEMIA E LOCKDOWN,

COME MEDIARE TRA RISCHIO

SANITARIO E RISCHIO ECONOMICO?

Un articolo pubblicato in pre-print dal prof. Filippo Gazzola, docente di

Analisi al Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano, individua

un nuovo modello matematico in grado di descrivere la strategia ottimale

di lockdown durante un’epidemia

FILIPPO GAZZOLA

Dipartimento di Matematica

pubblicato per esteso su Research Gate

e in attesa di peer-review, si inserisce

in questa cornice e propone un nuovo

problema di controllo ottimo, allo scopo

di individuare la migliore strategia di

lockdown in caso di pandemia.

A partire da modelli logistici non

lineari, che descrivono quello che già

sappiamo sulla propagazione dei virus e

sull’evoluzione delle popolazioni, il prof.

Filippo Gazzola introduce un problema

di controllo ottimo con due parametri in

competizione: la forza produttiva della

regione osservata (con conseguente

capacità economica) e l’efficienza

del suo sistema sanitario. Tramite il

principio di Pontryagin, si ottengono

così indicazioni sulla strategia di

lockdown ottimale. Il paper descrive

alcuni casi emblematici: per esempio,

regioni dall’economia stabile e dal

sistema sanitario efficiente, accessibile

e capillare, subirebbero un grave danno

economico durante un lockdown rigido,

mentre misure restrittive più morbide,

pur producendo una crescita dei contagi,

non provocherebbe gravi danni, poiché

il sistema sanitario sarebbe in grado di

far fronte all’emergenza. D’altra parte,

una regione con una ridotta capacità

produttiva e/o un sistema sanitario

poco efficiente non sarebbe in grado di

far fronte alla crescita dei contagi: un

lockdown rigido è quindi necessario,

anche tenuto conto della minore perdita

economica di fronte al blocco delle

attività produttive. Il valore di questi

due parametri permette di stabilire

quale dei due sia maggiormente critico

e in che misura. L’output dello studio

è il controllo ottimo che descrive la

strategia di lockdown ottimale, in

relazione al rapporto tra parametro

economico e parametro sanitario della

regione considerata.

Le conseguenze economiche di un

lockdown prolungato possono essere

molto gravi, in casi estremi possono

rivelarsi più dannose del virus stesso,

con effetti negativi a lungo termine

sulla regione colpita. I governi hanno il

difficile compito di valutare quando e in

che misura attuare strategie di lockdown,

assumendosi i rischi economici e

sociali del blocco delle attività. Lo

studio “An optimal control problem

for virus propagation and economic

loss”, del quale una versione ridotta,

e inframezzata dalle parole di Gabriel

Garcia Marquez, è disponibile online

(inquadrando il QR code qui accanto) è

Leggi un estratto

dello studio “The Optimal

Lockdown Strategy Against

Virus Propagation and

Economic Loss"

53


3 RICERCA

#Epidemiology #SpatiallyExplicitModels #DiseaseEcology

LA FORZA DELL’INFEZIONE:

MEDIARE TRA LOCKDOWN

E RIPRESA DELLE ATTIVITÀ

I dati dimostrano che le restrizioni alla mobilità durante la scorsa

primavera hanno evitato il ricovero ospedaliero di almeno 200.000

persone. È una delle conclusioni di “Spread and dynamics of the

COVID-19 epidemic in Italy: Effects of emergency containment

measures”, studio che propone il primo modello spazialmente

esplicito per descrivere gli scenari di diffusione del coronavirus.

Marino Gatto, professore di Ecologia del Politecnico di Milano

e primo autore dello studio, lo racconta agli Alumni

MARINO GATTO

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria

Elettronica

È stato pubblicato su PNAS l’articolo

“Spread and dynamics of the COVID-19

epidemic in Italy: Effects of emergency

containment measures”, realizzato dal

prof. Marino Gatto in collaborazione

con un gruppo di scienziati italiani del

Politecnico di Milano (Lorenzo Mari,

Stefano Miccoli, Renato Casagrandi),

Università Ca’ Foscari Venezia,

Università di Zurigo, EPFL di Losanna e

Università di Padova. Lo studio propone

un modello originale spazialmente

esplicito, in grado di descrivere

con grande accuratezza la “forza di

infezione” del coronavirus: cioè quanti

suscettibili si infettano in una unità di

tempo, tenendo conto della mobilità

sul territorio e della interconnessione

tra le province italiane. I ricercatori

hanno stimato i parametri nei termini

di un modello di tipo SEIR (Susceptible

– Exposed – Infected – Recovered)

tipicamente usato per descrivere il

modo in cui si propagano le infezioni.

Hanno però incluso la mobilità,

espressa in un network di 107 province

connesse, e il contributo critico

della capacità di paucisintomatici e

asintomatici nella diffusione della

malattia. A questi due elementi si deve

l’alto valore predittivo del modello.

Un elemento importante messo

in luce da questo modello è la

stima di quantità che non vengono

misurate direttamente: in particolare

il numero dei contagiati non

diagnosticati. I dati disponibili al

momento della pubblicazione, datati

al 25 marzo, permettevano di stimare

che, a quella data, fossero stati

contagiati circa 700 mila italiani.

Secondo il modello, il numero dei

contagiati è stimato essere circa 10

volte superiore rispetto al numero

dei diagnosticati. Questo evidenzia

l’importanza sia delle misure di

lockdown, sia dell’utilizzo dei

dispositivi di protezione (come le

mascherine, che proteggono gli altri

nel caso in cui l’individuo sia infetto

senza saperlo). Inoltre, si mette in

evidenza come siamo ancora molto

lontani da una immunità di gregge

(ammesso che sia possibile), che si

raggiungerebbe, eventualmente, solo

nel caso in cui il virus contagiasse

oltre il 75% della popolazione, con

gravi perdite in termini di vite umane

e con effetti catastrofici sul sistema

sanitario e economico del Paese. Un

fattore in grado di minimizzare la

necessità di bloccare ulteriormente

54


Per approfondire:

"Spread and dynamics of

the COVID-19 epidemic in

Italy: Effects of emergency

containment measures"

— PNAS

"The geography of COVID-19

spread in Italy and implications

for the relaxation of confinement

measures"

— Nature Communications

la mobilità sarebbe una efficace e

tempestiva politica di tracciamento a

tappeto e isolamento dei contagiati.

Inoltre, un secondo articolo sulla

diffusione del coronavirus in Italia in

seguito all’allentamento delle misure

di prevenzione è stato pubblicato su

Nature Communications.

L’andamento dei contagi dei mesi tra

aprile e luglio 2020 in Italia ha evidenziato

come la necessità di riprendere le

attività dopo il lockdown dovesse

essere coordinata con metodologie

di contenimento del virus selettive e

adattabili ai contesti locali. È stato questo

l’oggetto dello studio "The geography of

COVID-19 spread in Italy and implications

for the relaxation of confinement

measures", pubblicato su Nature

Communications e firmato dai docenti

del Politecnico Lorenzo Mari, Stefano

Miccoli, Renato Casagrandi e Marino

Gatto, in collaborazione con i ricercatori

dell’università Ca’ Foscari, dell’Università

di Padova e dell’École Polytechnique

Fédérale de Lausanne. L’articolo

proponeva un modello spazialmente

esplicito in grado di stimare le misure

restrittive necessarie per contenere

l’emergere di nuovi focolai, sulla base

di un’analisi ex-post dei dati relativi al

periodo a cavallo della fine del lockdown

(decessi e ricoveri in oltre 100 province

italiane e indicatore della mobilità

sulla base della geolocalizzazione dei

cellulari). Secondo gli autori, isolare

quotidianamente almeno il 5,5% delle

persone potenzialmente contagiose,

anche asintomatiche e non accertate,

poteva mantenere la trasmissibilità

del virus a un livello compatibile con

i costi economici e sociali, evitando

al contempo una seconda ondata

dell’epidemia (identificata con

l’aumento del tasso di contagio in

misura del 40%). Secondo lo studio,

ciò avrebbe significato, ad esempio,

isolare circa 1200 persone al giorno in

Lombardia, 500 in Emilia-Romagna e 200

in Veneto. Prerequisito per l’applicazione

di questa metodologia era naturalmente

la capacità di tracciare i contatti in

maniera rapida e capillare.

Per saperne di più, si trovano online due

pubblicazioni: "Spread and dynamics of

the COVID-19 epidemic in Italy: Effects

of emergency containment measures"

(su PNAS) e "The geography of COVID-19

spread in Italy and implications for the

relaxation of confinement measures" (su

Nature Communications).

DATA (MAY 1 ST ) MODEL DECREASE OF INFECTIVITY

Hospitalizations/Population

10 -4 10 -3

10 -2 0.3 0.4

55


#FrailtyModels

#AdministrativeData

#Pharmacoepidemiology

#FunctionalDataAnalysis

#HealthAnalytics

#Biostatistics

3 RICERCA

#DeepLearning

#ImbalancedClassification

HEALTH ANALYTICS: I DATI

AL SERVIZIO DELLA SALUTE

La prof. Francesca Ieva e il suo gruppo di ricerca stanno sviluppando modelli

che misurano quali e quante risorse dobbiamo investire per mantenere

il nostro sistema sanitario al passo con le conseguenze della pandemia

FRANCESCA IEVA

Dipartimento di Matematica

Alumna Ingegneria

Matematica

«Sempre più spesso, negli ultimi

anni, gli ospedali non riescono più a

ottenere da semplici dati biostatistici

le analisi e le risposte di cui hanno

bisogno: i dati stanno diventando

sempre più eterogenei e molto

complessi, abbiamo a che fare con

immagini, dati testuali, dati segnale,

dati genomici, big data, real world data,

tutti provenienti da fonti informative

diverse. Sappiamo, come lo sanno i

clinici, che l’informazione in quei dati

c’è, ma per tirarla fuori c’è bisogno di

qualcosa di completamente innovativo:

modelli nuovi, che non sono quelli

che sono stati insegnati, a noi per

primi, negli ultimi vent’anni. Sono

metodi che si stanno sviluppando a

fronte di condivisione e di competenze

transdisciplinari; e un posto come

il Politecnico offre la possibilità

di trovarsi sulla cresta dell’onda

nell’esposizione a tutti i possibili

stimoli che in questo senso possono

arrivare». Francesca leva è docente

di Statistica, Statistica applicata

e Biostatistica al Dipartimento di

Matematica del Politecnico di Milano.

Da oltre dieci anni si occupa di analisi

e modellizzazione statistica di dati

di tipo biomedico e ha sviluppato

diversi metodi di stima, previsione e

dimensionamento per problematiche

derivanti dalle esigenze del sistema

sanitario. «Negli anni abbiamo lavorato

soprattutto a dati relativi a patologie

cardiovascolari, ma questi metodi sono

pensati apposta per essere adattabili a

altri tipi di patologie e, in particolare,

stiamo lavorando a due progetti per

applicarli alla situazione COVID, in

prima battuta in Lombardia, con la

capacità di scalare il modello, una

volta pronto, su qualsiasi dimensione».

La pandemia di coronavirus ha avuto

un impatto importante sulla capacità

del sistema sanitario di erogare i

servizi per la salute, dai processi di

cura alla diagnosi fino ai trattamenti.

Il progetto REVEAL consente di fare

un’analisi interpretativa di come

sia cambiato l’accesso a prestazioni

sanitarie di qualsiasi tipo da parte

della popolazione in Italia e dare una

proiezione di quanta gente sia “rimasta

indietro” a causa della saturazione

del sistema sanitario e delle misure

di lockdown. «È necessario stimare

correttamente la “coda” per un

efficiente utilizzo delle risorse -

precisa Ieva - inoltre, in alcuni casi,

i pazienti non potranno recuperare

perché la loro salute è peggiorata a

causa del mancato intervento, e quindi

impatteranno sul sistema in maniera

maggiore di quanto sarebbe successo

in condizioni normali». A partire da

questi dati, il modello costruisce per

ciascun paziente, mediante algoritmi

di intelligenza artificiale, un indice che

indichi quanto questa persona sia a

rischio di sviluppare eventi avversi

importanti; da un lato, serve alle

istituzioni per stimare correttamente

quali risorse investire nel sistema

56


sanitario, dall’altro è utile ai medici

per a identificare percorsi terapeutici

personalizzati.

«REVEAL prende in considerazione

la storia clinica del paziente, non

solo la situazione attuale. Il metodo

ci consente di sintetizzare questa

storia insieme al presente, in modo

automatico, in un unico output in

grado di categorizzare ogni paziente in

fasce di rischio. Questo indicatore non

intende sostituire i medici, ma fornire

loro uno strumento di supporto che

possa aiutarli a fare delle valutazioni

e ad attivare un iter di monitoraggio o

una terapia ad hoc».

L’obiettivo di REVEAL è quindi quello

di costruire uno strumento decisionale

per medici e istituzioni sanitarie, che

evidenzi possibili scenari di intervento

personalizzati con un uso più razionale

ed efficiente delle risorse: «se effettuo

una stima per cui un certo numero di

pazienti verranno classificati come

“ad alto rischio”, significa che sto

associando a questo altro rischio una

serie di procedure che hanno costi in

termini economici e di risorse umane.

Fare una previsione è fondamentale in

momenti come questo, caratterizzati da

grande incertezza, per fare un corretto

dimensionamento delle risorse che

un sistema sanitario deve mettere a

disposizione, per far fronte alle necessità

e per non ritrovarsi saturato nel

momento dell’emergenza», spiega Ieva.

Anche COVIDEMA il secondo progetto

a cui il gruppo di Ieva sta lavorando,

va nella direzione della medicina

personalizzata e allo stesso tempo

cerca di dare una lettura di sistema

che serva al personale sanitario per

prevedere il possibile insorgere di

situazioni a alto rischio. Se, nel caso

di REVEAL, a essere sotto la lente di

ingrandimento è quanto il sistema

sanitario sia in grado di funzionare in

condizioni estreme, COVIDEMIA studia

le conseguenze di un aspetto più

psicologico e comportamentale della

vita dei pazienti, cioè la loro capacità

di seguire più o meno alla lettera le

indicazioni terapeutiche. Anche in

questo caso, il metodo sviluppato

da Ieva per malattie del sistema

cardiocircolatorio è pronto per essere

traslato in ambito COVID.

«Quando un paziente con patologie

croniche o multiple viene dimesso da

un ospedale, gli viene prescritta una

terapia farmacologica o in generale

una prassi, ma non sempre il paziente

è in grado di seguirla, a volte per

dimenticanza o indolenza, a volte

per esempio per motivi economici,

organizzativi o perché insorgono delle

controindicazioni. COVIDEMIA descrive

degli scenari di sviluppo a partire

da una serie di domande: è stato

prescritto tutto quello che doveva

essere prescritto per la tipologia di

paziente? Il paziente segue la terapia

correttamente? Se non la segue, per

«Gli ospedali

non riescono

più a ottenere

da semplici dati

biostatistici

le analisi e le

risposte di cui

hanno bisogno»

57


quale motivo? Ognuna di queste

opzioni ha un impatto sul sistema

perché un paziente con una buona

terapia viene riospedalizzato meno

e avrà bisogno di meno visite non

programmate, mentre un paziente che

non è aderente alla terapia è probabile

che sviluppi ulteriori problemi. Noi

proviamo a misurare l’impatto di

questo comportamento integrando

modelli statistici e strumenti di

intelligenza artificiale, machine

learning e text mining. Lavoriamo sui

dati con tecniche che ne consentano

un adeguato pre-processing, a cui

segue la fase modellistica e l’analisi

clinico-epidemiologica, tramite modelli

previsionali parametrici e non

parametrici, quali ad esempio, modelli

gerarchici a effetti misti, modelli di

regressione lineare e non lineare,

modelli di sopravvivenza e multistato,

in cui viene integrata l’informazione

longitudinale attraverso tecniche di

Functional Data Analysis».

«Sappiamo,

come lo sanno

i clinici, che

l’informazione

in quei dati c’è,

ma per tirarla

fuori c’è bisogno

di qualcosa di

completamente

innovativo:

modelli nuovi,

che non sono

quelli che sono

stati insegnati,

a noi per primi,

negli ultimi

vent’anni»

58


A partire dalle banche dati

amministrative, i ricercatori analizzano i

dati sanitari e biomedici con l’obiettivo

di capire come comportamenti diversi

si traducano in esiti diversi e in che

misura: «siamo in grado di estrarre

ed integrare dati molto eterogenei,

di tipo clinico o amministrativo.

Questo ci consente di fare analisi di

scenario che descrivono le possibili

evoluzioni dello stato di salute di

un alto numero di pazienti. Usiamo

tecniche di machine learning per

analisi di dati di tipo non strutturato

o di natura diversa da quella

numerica, come testi, immagini o

informazioni genomiche. Tutte queste

informazioni vengono infine elaborate

e opportunamente sintetizzate al

fine di poter essere inserite in un

modello previsionale e fornire un

output accurato ma al tempo stesso

facilmente leggibile. L’ultimo step

del lavoro è il setting di cruscotti

informativi che possa fornire esiti

interpretabili agevolmente anche

da un clinico o dalla persona di

riferimento in sede amministrativa».

Strumenti come REVEAL e COVIDEMIA

sono di grande utilità sia ai medici,

che ottengono criteri oggettivi su cui

basarsi per prendere delle decisioni

terapeutiche per i singoli pazienti, sia

al sistema nel suo complesso, perché

consentono di capire quale potrebbe

essere, a fronte di scenari diversi, la

richiesta di prestazioni sanitare in un

orizzonte temporale di interesse. «Una

cosa importante, quando parliamo

di medicina personalizzata, è la

protezione della privacy. Tutti questi

dati sono sempre forniti e trattati in

maniera totalmente anonima. Ogni

persona è un’unità statistica di cui

si studia il comportamento, ma alla

cui identificazione non si può risalire

direttamente in quanto i possessori

dei dati provvedono ad opportune

criptazioni di identità, in conformità alle

normative sulla tutela della privacy e di

trattamento dei dati sensibili. I risultati

delle analisi vengono poi proiettati in

termini di rischio sul paziente. Nessuno

ha o avrà mai accesso ai dati personali

dei singoli cittadini». Entrambi i progetti

hanno un orizzonte di 18-24 mesi.

59


# WastewaterBasedEpidemiology

COSA C’È SOTTO: LA COVID-19

VISTA DAL SOTTOSUOLO

3 RICERCA

Due progetti di analisi delle acque reflue possono possono svelarci

le zone delle città più critiche e l’avanzare della pandemia

FRANCESCA MALPEI

Dipartimento di Ingegneria

Civile e Ambientale

Alumna Ingegneria

Ambientale

Il mondo di sotto può svelarci molto

del mondo di sopra e di chi lo abita.

«Se all’esordio dell’epidemia, non

appena trascritto per la prima volta

il codice genetico del virus SARS-

CoV-2, avessimo potuto analizzare le

acque reflue di tutta Europa, avremmo

potuto capire che il virus c’era già,

ben prima del famoso caso uno».

A parlare è Francesca Malpei, del

Dipartimento di Ingegneria Civile e

Ambientale che, tornando al primo

lockdown ricorda: «Appena scattato

l’allarme COVID-19, ho chiesto a

MANUELA ANTONELLI

Dipartimento di Ingegneria

Civile e Ambientale

Alumna Ingegneria

Ambientale

diversi gestori del servizio idrico di

raccogliere e conservare campioni

dei reflui in ingresso ai loro impianti

di depurazione; pur nella difficoltà

di quei giorni, tutti hanno risposto

con grande disponibilità». Quindi

Malpei ha promosso e coordinato

l’accordo e progetto “Rete Lombarda

WBE”, che vede la collaborazione tra

il DICA, diverse eccellenze lombarde e

Regione Lombardia. WBE è l’acronimo

di Wastewater Based Epidemiology

(epidemiologia basata sulle acque

reflue), una disciplina di ricerca che

molti gruppi di ricerca internazionali

stanno sviluppando per contribuire al

controllo di questa epidemia. Sempre

Malpei ci spiega di cosa si tratta: «le

acque di fognatura sono lo specchio

del nostro stile di vita, contengono non

solo le nostre deiezioni, ma diverse

altre componenti, quali i prodotti di

detergenza personale e domestica e

le microplastiche rilasciate dai tessuti

sintetici che laviamo. Vi troviamo

anche sostanze in traccia, quali i

residui dei farmaci che usiamo; non

da ultimo, i patogeni e i virus presenti

nelle deiezioni di persone malate.

Questi microrganismi arrivano agli

impianti di depurazione sia integri,

sia come solo frammenti di DNA o

RNA. Ciò dipende anche da fattori

locali quali tempo di permanenza

in fognatura, pH, temperatura e vari

altri. Nel caso del SARS-CoV-2, virus

incapsulato meno resistente di altri

alle condizioni ambientali, si ritrovano

quasi esclusivamente frammenti. La

WBE richiede lavoro di squadra e

competenze interdisciplinari e può

dare un supporto fondamentale

alla gestione delle epidemie. È una

lente di ingrandimento, capace di

rappresentare con una sola misura

lo stato epidemiologico di una

popolazione, con un sicuro anticipo

rispetto al quadro descritto dai dati

clinici e dalla tracciatura con tamponi.

Non è quindi solo un metodo di “early

warning” per tracciare il riaccendersi

di focolai. Le tecniche per la misura

dei frammenti RNA sono del tutto

simili a quelle usate per i tamponi».

Malpei aggiunge: «Le incognite di

ricerca sono, in primo luogo, legate

allo studio dei modelli di correlazione

60


che, dal risultato dell’analisi, stimino il

numero di persone positive e, poi, alla

validazione con il database COVID-19

di Regione Lombardia. Con i modelli

validati e piani di analisi sistematiche,

si potrà avere una fotografia in tempo

reale della presenza complessiva di

positivi, in tempi molto più rapidi e

con costi molto minori rispetto a quelli

della tracciatura con tamponi, effettuati

nella stessa zona. Basterà prelevare

campioni in vari punti della fognatura

o presso i collettori fognari terminali

di singole sedi specifiche (Ospedali,

Scuole, Università, RSA, ecc.)». Mentre

scriviamo, è in corso il ring test tra

i laboratori dell’Università Bicocca,

dell’IRSA CNR, dell’Università Cattolica

di Piacenza e Cremona e dell’Istituto

Zooprofilattico per la messa a punto e

condivisione del metodo di analisi con

PCR, sia Real Time che digitale. A valle,

questi laboratori avvieranno l’analisi

dei moltissimi campioni già disponibili

(circa 700). In parallelo, il Politecnico

di Milano e l’Università di Brescia

stanno studiando e raccogliendo i

dati necessari per lo sviluppo del

modelli di correlazione. «Il gruppo di

lavoro del DICA - specifica Malpei –

sta sviluppando due modelli, quello

descritto in seguito e un altro basato

su analisi statistiche multivariate».

Dello stesso dipartimento di Malpei,

fa parte anche Manuela Antonelli che,

insieme al collega Andrea Turolla e a

un team di DHI, sta implementando un

modello di propagazione del virus in

fognatura, a partire da dati letteratura

per poter descrivere la presenza del

virus dallo scarico fino all’ingresso del

depuratore. Ce lo facciamo raccontare

meglio proprio da Antonelli: «Si tratta

della trasposizione ad un virus di

modelli abitualmente utilizzati per

descrivere il destino dei contaminanti

chimici nelle acque reflue. È quindi

l’integrazione di tre modelli: un

modello di escrezione del virus con

le feci da persone infette, un modello

concettuale che descrive l’idrodinamica

della fognatura e, il terzo, un modello

che descrive il decadimento del virus

61


CONCENTRAZIONE IN USCITA DALLA FOGNATURA /

INGRESSO IMPIANTO DI DEPURAZIONE

5% 75%

25%

Median

95%

Concentrazione di virus (eq/L)

0 2500000 5000000 7500000 10000000 12500000 15000000

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130

Tempo (giorni da inizio tracciamento)

62


in fognatura, basandosi sui processi

coinvolti e le relative equazioni che

definiscono la variazione nel tempo

(e quindi nello spazio) delle variabili

descrittive del processo stesso».

Riguardo ai dati di letteratura,

provenienti da articoli scientifici sul

tema oggetto di studio, Antonelli

spiega: «In letteratura si può ricavare

il coefficiente di decadimento del virus

(SARS-CoV-2 o simili), che assume valori

differenti a seconda dello specifico

studio. Stiamo in parallelo conducendo

un’analisi di incertezza, che è uno

strumento molto potente che consente

di valutare come l’incertezza su uno

o più parametri si propaga all’output

del modello (numero di copie di RNA

virali atteso in testa all’impianto

di depurazione), fornendo quindi

un’indicazione dell’importanza di tale

parametro nel condizionare la stima

del modello. Ad oggi abbiamo già una

prima versione implementata che ci ha

portato qualche interessante risultato

preliminare: l’analisi di incertezza

ha infatti evidenziato l’analisi

microbiologica come aspetto critico.

I dati reperibili in letteratura circa la

presenza di copie di RNA virale, sia

nelle feci che nelle acque di fognatura,

presentano intervalli di variazione

ampi, che si riflettono su una risposta

del modello altrettanto ampia (e

quindi relativamente poco affidabile o

utile). Quella variazione è legata alla

mancanza di un protocollo analitico

validato, ovvero non vi è a oggi una

metodologia ottimizzata che includa

il campionamento, lo stoccaggio del

campione, la sua concentrazione,

l’estrazione di RNA e infine la

quantificazione. Mettere a punto

questo protocollo, permetterebbe

di ridurre le incertezze di stima del

modello migliorandone l’utilizzo come

strumento pratico di intervento. Non

appena il nostro modello sarà validato,

verrà reso disponibile come parte

del software WEST, utilizzato per la

simulazione dei processi depurativi».

Riguardo alle applicazioni future di

questo modello, Antonelli dice che

sono essenzialmente due: «Seguendo

il flusso dell’acqua in fognatura,

il modello permette di verificare

la congruenza tra il dato di infetti

derivato dai tamponi con la presenza

di RNA virale, a supporto dell’efficacia

delle campagne di effettuazione dei

tamponi. Percorrendo invece a ritroso

la fognatura, noto il numero di copie

di RNA virale, si può stimare il numero

di potenziali infetti, indirizzando le

politiche di contrasto alla diffusione

del virus. Il framework di modellazione

utilizzato è di validità generale e di

conseguenza il modello potrà essere

facilmente adattato a differenti tipologie

di virus, oppure, per quello che era il suo

sviluppo originario, alla propagazione

dei farmaci per un miglior controllo

della loro diffusione in ambiente,

anche rispetto alla problematica

dell’antibiotico-resistenza».

63


#MathematicalModeling

#PandemiEvolutionPrediction

#HospitalizedPatients

#NewPositives

#IntesiveCareEmployment

3 RICERCA

#ReturnOfElectionMedicine

#DecisionMaking

#EarlyWarning

LA MATEMATICA PER PREVEDERE

QUANDO NE SAREMO FUORI

O RILEVARE ALLERTE PRECOCI

COVID-19: il prof. Davide Manca pubblica ogni giorno un bollettino di

analisi dati e previsioni che calcolano alcune date chiave relative alla

riduzione dei pazienti in terapia intensiva, dei ricoverati sotto le soglie

di attenzione o l’esaurimento di nuovi casi nelle regioni e in Italia

DAVIDE MANCA

Dipartimento di Chimica,

Materiali e Ingegneria

Chimica "Giulio Natta"

Alumnus Ingegneria Chimica

«La mia parte in questa storia, se così

la si può definire, è iniziata alla fine

di febbraio», racconta Davide Manca

del Dipartimento di Chimica, Materiali

e Ingegneria Chimica “Giulio Natta”

del Politecnico di Milano, «quando

sono stato contattato dal primario di

anestesia e rianimazione dell’istituto

neurologico Carlo Besta di Milano,

che mi ha chiesto: «Con i tuoi modelli

matematici, riesci a predire il numero

di casi di polmonite atipica?». Non

sapevamo ancora cosa ci aspettasse

e la sua domanda, in quel momento,

mi stupì. Non sono un epidemiologo,

insegno Teoria Dello Sviluppo Dei

Processi Chimici. Il primario e io ci

conosciamo da anni perché lavoriamo

allo sviluppo di metodi e strumenti

per automatizzare la somministrazione

di anestetici e analgesici nel corso

dell’anestesia generale in sala

operatoria. Questa collaborazione

continuativa ha aperto un dialogo e ha

dato modo al primario di toccare con

mano la forza e l’utilità dei modelli

matematici applicati alla medicina.

Quando è scoppiata l’epidemia, è stato

lui a chiedermi di analizzare i dati, per

provare a darne un’interpretazione

utile agli ospedali, impegnati a non

collassare sotto la spinta dei numeri in

crescita esponenziale. Ho iniziato per

rispondere a una sua domanda: voleva

sapere a che velocità si sarebbero

riempite le terapie intensive».

Da quel febbraio, e fino al 6 agosto

per poi ripartire dal 18 ottobre,

Davide Manca pubblica un bollettino

quotidiano sul contagio in cui analizza

un set di dati specifici sia a livello

regionale che nazionale. Oltre ai dati

giornalieri, il bollettino anticipa gli

scenari di evoluzione nel breve (entro

3 giorni), medio (15/20 giorni) e lungo

termine (3+ mesi), relativamente alla

crescita di positivi, decessi, ricoverati

e ricoverati in terapia intensiva.

L’obiettivo è offrire agli ospedali uno

strumento per aiutarli nelle stime e nel

dimensionamento delle risorse umane

e materiali che è necessario mettere in

campo per l’allocazione dinamica delle

risorse in funzione dell’evoluzione

pandemica.

La seconda ondata pandemica

iniziata ai primi di ottobre è

caratterizzata da una dinamica

evolutiva che qualitativamente sta

riproducendo quanto avvenuto nella

prima ondata. Quantitativamente, però,

i tempi caratteristici di durata del

periodo di crescita esponenziale, di

raggiungimento del punto di flesso

64


Davide Manca mette a

disposizione tutto il materiale

per approfondire il tema.

Se siete curiosi potete scaricare:

Bollettino giornaliero

— PSE Lab

Software open access (un

semplice file Excel) che chiunque

può usare inserendo i dati

che interessano un territorio

specifico, per fini predittivi

con massimo incremento giornaliero

di pazienti in terapia intensiva, di

ospedalizzati e di decessi sono

differenti sia a livello regionale che

a livello nazionale. Il modello di

Manca stima, per la Lombardia, il

raggiungimento del punto di massimo

lo scorso 22 novembre sia per le

terapie intensive che per i pazienti

ospedalizzati. Per quanto riguarda

invece l’Italia il raggiungimento

del massimo è stimato per il 23-24

novembre per ICU e ospedalizzati.

I decessi giornalieri restano ancora

molto alti nell’ultima decade di

novembre. Si stima che il punto di

flesso, ossia la data di massimo

incremento giornaliero, sia stato

raggiunto il 25 novembre per la

Lombardia e il 6 dicembre per l’Italia.

Il metodo ha rivelato finora una

ottima capacità predittiva, al netto

dell’eventuale emergenza di nuovi

focolai. L’epidemiologia, di solito, si

basa su modelli matematici basati su

equazioni differenziali con condizioni

iniziali, i modelli SIR, SEIR o SEIRD

che permettono di determinare ad

esempio il famoso indice R_0 e più

in generale R_t. «Io non utilizzo quei

modelli – continua Manca – perché,

anche se ottimi per condurre stime

parametriche basate su possibili

scenari evolutivi, viceversa sono meno

adatti e affidabili per quantificare con

precisione quanto possa accadere

sul breve/medio periodo. Meglio

utilizzare dei modelli più semplici

ma intrinsecamente robusti proprio

perché basati sulla regressione non

lineare dei dati reali prodotti ogni

giorno dal Ministero della Salute. Tali

modelli utilizzano un ridotto numero

di parametri adattivi e sono disponibili

in letteratura dalla metà del XIX secolo.

Si parla di curve gaussiane modificate

con esponenziali, logistiche e di

Gompertz che furono sviluppate per

simulare in passato diversi fenomeni

biologici e i ratei di decesso umano a

fini assicurativi e predittivi».

Articolo "Dynamics of ICU

patients and deaths in Italy and

Lombardy due to COVID-19"

— ESAIC

"A simplified math approach

to predict ICU beds and

mortality rate for hospital

emergency planning under

COVID-19 pandemic"

— Science Direct

65


#Management #Statistics #WorkSpace

3 RICERCA

SPAZI DI LAVORO DURANTE

LA PANDEMIA COVID-19:

QUALI IMPATTI SULLA

PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO?

Uno studio interdipartimentale del Politecnico di Milano vuole

dimostrare la correlazione tra spazi di lavoro e attività di ricerca

accademica

CRISTINA ROSSI-LAMASTRA

Dipartimento di Ingegneria

Gestionale

Dopo la fine del lockdown, molti

lavoratori e lavoratrici hanno

continuato le proprie attività lavorative

negli spazi domestici, molti nuclei

familiari, spesso con i bambini e

persone non autosufficienti, si sono

trovati ad affrontare il problema

della condivisione di spazi di lavoro,

con soluzioni talvolta improvvisate.

Cristina Rossi-Lamastra, docente di

Business Industrial Economics del

Dipartimento di Ingegneria Gestionale

(DIG), e Andrea Ciaramella, docente di

Tecnologia dell'Architettura presso il

Dipartimento di Architettura, Ingegneria

delle costruzioni e Ambiente Costruito

(ABC), Chiara Tagliaro, ricercatrice postdoc

di ABC e Massimo G. Colombo,

docente di Imprenditorialità e Finanza

Imprenditoriale al DIG, hanno avviato

un progetto di ricerca per analizzare

il modo in cui questi spazi vengono

utilizzati e suddivisi e come impattano

sulla produttività nel lavoro. Il progetto

è il cuore della tesi di dottorato

di Alessandra Migliore, che ha una

borsa di dottorato interdipartimentale

tra DIG e ABC.

«Partiamo da alcune premesse:

sappiamo che la produttività del

lavoro dipende da molti fattori. Tra

questi c’è la qualità dello spazio di

lavoro», commenta Rossi Lamastra,

«Sappiamo inoltre che gli stereotipi di

genere impattano sul ragionamento

razionale e hanno un effetto misurabile

sull’allocazione delle risorse e che,

durante le crisi economiche di qualsiasi

origine, i gruppi di potere minoritario

(cioè i soggetti più vulnerabili) sono

quelli più colpiti. Con queste premesse,

vogliamo misurare se e come la

produttività delle donne lavoratrici

sia cambiata durante la pandemia

COVID-19, e se questo dipenda dalla

suddivisione degli spazi domestici

durante il lavoro da casa: le donne

hanno in effetti usufruito di spazi

meno idonei al lavoro? Hanno subito

più distrazioni (per esempio avendo

maggiori compiti di cura)? In caso

affermativo, da cosa dipende la scelta

di suddivisione degli spazi e come

ha impattato sulla produttività delle

lavoratrici?».

Nella prima fase dello studio, il

gruppo di ricerca ha somministrato

un questionario a oltre 50 mila

docenti universitari italiani. «La

scelta di iniziare l’indagine con la

popolazione accademica dipende

dalla necessità di avere un gruppo

omogeneo, interamente contattabile

e le cui risposte fossero confrontabili

tra loro. Stimiamo di avere circa 10

mila risposte». Dei risultati di questa

prima fase di studio ci sono già: «Uno

dei primi obiettivi della ricerca è quello

di verificare se e come sono cambiati

i modi e gli spazi di lavoro dopo il

lockdown. La ricerca vuole verificare

quanto un cambiamento spaziale -

da quello on-campus a quello offcampus

- possa influenzare l'attività

di ricerca degli accademici italiani.

Dalle prime evidenze si evince quanto

lo spazio domestico, non pronto

ad accogliere l'attività lavorativa

per molti dei rispondenti, abbia

modificato le abitudini dell'attività di

ricerca, divenuta in generale molto

66


meno collaborativa. Questa negoziazione

tra spazio e attività, ci chiediamo, è

accettabile per i ricercatori italiani?».

Alessandra Migliore, aggiunge:

«L'indagine è stata aperta il 24

Luglio e conclusa il 24 Settembre,

abbiamo inviato il questionario a

52,630 professori strutturati italiani

e abbiamo ottenuto 8,184 riposte

utilizzabili per gli scopi della ricerca

(tasso di risposta 15,55%)».

L’indagine produrrà dunque un report

di statistiche descrittive sugli spazi di

lavoro della popolazione accademica

italiana e su come differiscono lungo

diverse dimensioni: genere, età, ruolo,

reddito, area geografica ecc. I dati

saranno la base per articoli scientifici.

Tra gli obiettivi del progetto c’è quello

di individuare buone pratiche da

condividere con le università italiane

per ulteriori riflessioni ed elaborare

proposte di policy. La ricerca svilupperà

un'analisi rigorosa dei dati: dai risultati

si vogliono costruire non solo delle

buone pratiche per il lavoro del futuro

ma anche delle linee guida per i

campus universitari di domani. Una

delle domande a cui l’indagine conta

di rispondere è la seguente: quali

spazi le università dovranno avere per

supportare l'attività dei ricercatori?

La seconda fase del lavoro prevede di

estendere l’indagine ad altre categorie

di lavoratori. «Ci sono alcune criticità

che dipendono soprattutto dalla

disponibilità dei dati. Abbiamo alcune

indagini pilot svolte in collaborazione

con alcune imprese lombarde, ma i

dati sono per ora insufficienti a fare

un’analisi rigorosa. Stiamo studiando

come accedere a dati che ci consentano

di avere analisi solide e disaggregate per

settore, area geografica, caratteristiche

dei lavoratori e delle lavoratrici». Anche

qui, Alessandra Migliore ci anticipa

alcuni dati emersi: «L’analisi svolta

in collaborazione con una grande

impresa italiana, pur coinvolgendo

una popolazione ridotta, ha mostrato

come il lavoro da casa sia rimasto

prevalente (anche se dopo il lockdown

un parziale ritorno in ufficio era stato

possibile). In questo caso i dipendenti

hanno apprezzato l'esperienza del

lavoro da casa in termini di bilancio

vita-lavoro e produttività, mostrando

però gravissime perdite in termini

efficacia dell'attività collaborativa,

socialità, comunicazione informale

e tacita. Le case hanno dovuto

adattarsi, gli spazi di lavoro sono stati

prevalentemente condivisi con gli altri

membri del nucleo familiare. Stiamo

cercando di coinvolgere altre imprese

per avere una base dati più ampia e

maggiormente affidabile»

Infine, vien da chiedersi come sia stato

lavorare ad uno studio incentrato sugli

spazi di lavoro e sulla produttività,

mentre anche voi stessi vivevate in

una condizione atipica di lavoro.

Rossi-Lamastra conclude: «Abbiamo

colto l'opportunità di studiare il

modo di fare ricerca degli accademici

(spesso tralasciato nell'ambito in

precedenti studi, soprattutto in

ambito spaziale). L'attività di ricerca

ci è sembrata essere l'attività che più

ha subito un impatto dalla situazione

spaziale dopo il lockdown».

67


3 RICERCA

#Supercomputing #VirtualScreening #HPC

È STATO TROVATO UN FARMACO

CANDIDATO A CONTRASTARE

IL VIRUS SARS-COV-2,

RESPONSABILE DELLA COVID-19

Si tratta del Raxilofene ed è stato individuato grazie al progetto

europeo Exsacalte4CoV, con la collaborazione di Politecnico di

Milano, Dompé Farmaceutici, Cineca e altri 15 partner in tutta Europa

GIANLUCA PALERMO

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria

Elettronica

Exscalate4CoV è il progetto europeo

coordinato da Dompé Farmaceutici

che usa la più veloce piattaforma per

la ricerca farmacologica al mondo,

realizzata con la collaborazione dei

docenti Gianluca Palermo e Cristina

Silvano del Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria del

Politecnico di Milano. La piattaforma

CRISTINA SILVANO

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumna Ingegneria

Elettronica

EXSCALATE (EXaSCale smArt pLatform

Against paThogEns) è in grado di

selezionare da un vastissimo archivio

di circa 500 miliardi di molecole

quelle che verificano determinati

requisiti di compatibilità con il virus

SARS-CoV-2. In che modo? Grazie ai

supercomputer del CINECA, i ricercatori

hanno potuto analizzare oltre 10 mila

molecole di farmaci, identificando nel

Raxilofene quello più promettente per

inibire la replicazione del coronavirus

all’interno delle cellule umane. I

test in vitro hanno confermato i

risultati elaborati dalla piattaforma.

Il Raxilofene, utilizzato da anni contro

l’osteoporosi, è ben tollerato dal corpo

umano: questo consentirà di passare

velocemente alla fase di test clinici su

pazienti affetti da COVID-19.

«Una delle fasi computazionalmente

più complesse per il progetto è stata

la modellizzazione 3D delle proteine

del virus, che era sconosciuto fino a

pochi mesi fa», commenta Palermo.

«Adesso abbiamo un buon modello

e la piattaforma Exscalate è in grado

di confrontarlo con oltre 500 miliardi

di molecole in poche settimane,

individuando le più promettenti: cioè

quelle in grado di incastrarsi bene con

le “tasche” presenti nelle proteine,

in modo da inibirne o impedirne la

replicazione».

La prima fase del progetto può

considerarsi conclusa con l'avvio dello

studio clinico. La sperimentazione

del farmaco sull'uomo ha infatti

appena finito l'iter di approvazione

e da fine ottobre le strutture IRCSS

Lazzaro Spallanzani di Roma e IRCSS

Humanitas di Milano coinvolgeranno

fino a 450 pazienti. Nella seconda

fase del progetto verranno analizzate

quasi 500 miliardi di molecole, molte

68


di queste mai usate e non presenti in

natura. In attesa dei risultati, se uno o

più di questi composti si riveleranno

interessanti, passare alla fase clinica

non sarà così veloce: i test per verificare

che una molecola non sia tossica per

l’uomo possono richiedere tra i 5 e i

10 anni. Proprio per questa ragione, il

progetto ha dato priorità all’analisi di

farmaci già in uso per altre patologie.

Immagini: © Exscalate

Proprio in questi giorni il progetto ha

in corso il più grande esperimento

al mondo di screening virtuale

di molecole. L'esperimento, che

coinvolge in prima fila il team di

ricerca del Politecnico di Milano, sarà

portato avanti usando per intero i due

supercomputer più potenti d'Europa:

il sistema HPC5 di ENI e il sistema

Marconi-100 del CINECA. 70miliardi di

molecole valutate in 15 siti attivi di 12

proteine del SARS-CoV-2, per un totale

di oltre mille miliardi di valutazioni.

Questo numero è ben oltre i "soli" 2

miliardi di valutazioni fatti su singola

proteina con lo stesso scopo negli

Stati Uniti all'OakRidge National Lab,

usando il secondo supercomputer

più potente al mondo, e il miliardo

valutato dallo stesso team di lavoro

DOMPE-POLIMI-CINECA contro il virus

Zika, che già erano stati considerati

esperimenti unici.

«La piattaforma EXSCALATE ha come

caratteristica peculiare quello di

essere pensata sin dall'inizio per

situazioni come quella che stiamo

vivendo in questo momento, nel quale

è necessario poter fare del calcolo

d'urgenza con una velocità che solo i

supercomputer possono raggiungere.

Oggi stiamo facendo in pochi giorni

un esperimento che solo lo scorso

anno avrebbe richiesto decine di mesi»

commenta Palermo.

La strategia di Dompè farmaceutici nel

creare questo team multidisciplinare è

risultata una strategia vincente, perchè

permette la continua collaborazione

per lo sviluppo della piattaforma

EXSCALATE da parte del Politecnico di

Milano e di CINECA in tutte le sue fasi

permettendo di accelerare il processo

computazionale per la ricerca di nuovi

farmaci e massimizzarne l’efficienza

sui supercalcolatori di nuova

generazione. «Questa è però solo la

sfida computazionale che ci coinvolge

in prima persona e che ci inebria per

l'unicità del lavoro, ma non meno

importane è il passo successivo che

rende non fine a se stessa la ricerca

fatta. I dati prodotti dalla simulazione

verranno analizzati da Dompé

farmaceutici per identificare molecole

interessanti eventualmente attive su

più proteine, ed inoltre verranno resi

disponibili alla comunità scientifica».

Grazie ai recenti investimenti decisi

dall’Italia e dall’Europa, in ottobre è

stato annunciato che il prossimo anno

presso il CINECA verrà installato un

nuovo supercomputer, Leonardo, che

dovrebbe raggiungere i 250 milioni

di miliardi di calcoli al secondo

(petaflop), 10 volte quella attuale.

Il team del Politecnico di Milano è

già pronto per questa nuova sfida,

anche grazie ad un nuovo progetto

europeo LIGATE (LIgand Generator AT

Exsascale), che vedrà nuovamente la

compagine DOMPE - POLIMI - CINECA

affiancati per altri 3 anni.

69


#Polichina

#Chemistry

3 RICERCA

POLICHINA:

IL LIQUIDO IGIENIZZANTE

MADE IN POLITECNICO, OLTRE

100 MILA LITRI IN DUE MESI

Mariapia Pedeferri, direttore del Dipartimenti di Chimica, Materiali e

Ingegneria Chimica "Giulio Natta”, ci racconta in questo articolo a sua

firma, l’esperienza di aprile e maggio 2020 all’interno dei laboratori del Poli

MARIAPIA PEDEFERRI

Dipartimento di Chimica,

Materiali e Ingegneria

Chimica "Giulio Natta"

Alumna e PhD Ingegneria

Chimica

«Polichina nasce ai primi di marzo,

quando comincia la fase 1 del lockdown»,

racconta Mariapia Pedeferri, «l’11 marzo

abbiamo miscelato i primi componenti,

poche centinaia di litri, definiti dalla

ricetta dell’OMS per produrre soluzione

igienizzante per le mani: alcool etilico

denaturato e acqua ossigenata, i

componenti attivi, glicerolo, per rendere

la soluzione meno aggressiva per la

pelle, e acqua depurata».

In totale abbiamo prodotto oltre

100 mila litri tra l’11 marzo e il 7

maggio: abbiamo iniziato a lavorare

in un piccolo laboratorio di ricerca

nel campus Leonardo, ma già dalla

seconda settimana di produzione è

stato necessario spostarci al campus

Mancinelli per costruire un impianto di

produzione più grande. Abbiamo usato

il laboratorio degli studenti, dove, di

solito, fanno la parte sperimentale

dei corsi di chimica, e che era vuoto

a causa del lockdown. Una delle

maggiori difficoltà dello scale-up

è stata che eravamo attrezzati con

pompe che avevano una portata da

laboratorio, non certo i 100 l/h delle

pompe che sono poi state utilizzate

dalla seconda settimana in poi,

quando abbiamo raggiunto volumi di

produzione di scala industriale.

Abbiamo donato la Polichina agli enti

pubblici che ne hanno fatto richiesta:

protezione civile, comuni, ospedali,

Regione Lombardia, carceri e tante

altre realtà. Abbiamo avuto richieste

anche da Bergamo e Codogno, e ci

ha molto toccati l’idea di essere stati

utili in situazioni così drammatiche.

Questo ci rende molto orgogliosi.

Tanti hanno collaborato dedicando a

questo progetto tempo e energie: dal

personale tecnico ai docenti, ricercatori,

dottorandi e assegnisti, che sono una

grande risorsa del Poli. Il Politecnico ha

sostenuto il grosso delle spese, anche

grazie al sostegno economico degli

Alumni. Un contributo importante è

stato dato dall’Agenzia delle Dogane

e dei Monopoli. L’alcool denaturato

ha delle accise importanti, ADM ha

acconsentito alla loro rimozione per

una quantità di alcool fino a 5000

litri al giorno. Anche i fornitori di

alcool hanno contribuito in modo

sostanziale, provvedendo direttamente

alla denaturazione con l’aggiunta di

glicerolo. L’impianto in Mancinelli si

è poi occupato della miscelazione di

tutti gli ingredienti in totale sicurezza: i

volumi di alcool consegnati la mattina

venivano miscelati e la Polichina

prodotta e consegnata nell’arco di una

stessa giornata.

70


Abbiamo donato

la Polichina agli

enti pubblici

che ne hanno

fatto richiesta:

protezione civile,

comuni, ospedali,

Regione Lombardia,

carceri e tante

altre realtà.

Abbiamo avuto

richieste anche

da Bergamo e

Codogno, e ci

ha molto toccati

l’idea di essere

stati utili in

situazioni così

drammatiche.

Il procedimento è abbastanza

semplice. Le difficoltà sono state di

tipo organizzativo e brillantemente

risolte grazie alle competenze di una

quarantina di persone, che si sono

alternate in laboratorio e, sempre per

ragioni di sicurezza, si sono alternate

in piccoli gruppi. Il dipartimento è

rimasto aperto quasi tutti i giorni

nel periodo della fase 1. Abbiamo

girato un video tutorial online che

spiega come costruire un impianto

pilota a chiunque desideri produrre

questo liquido igienizzante, anche in

condizioni di difficoltà, con capacità

e volumi che possono raggiungere

un picco di 7000 litri al giorno,

come abbiamo fatto noi. Risvolto

interessante: il video è doppiato in

una decina di lingue, sempre grazie

ai dottorandi, specialmente quelli

internazionali, che hanno lavorato per

tradurlo nelle proprie lingue. Dopo

la fine della fase 1, i dipartimenti si

sono ripopolati e la necessità esterna

è calata; oggi stiamo continuando a

produrre Polichina per uso interno al

Politecnico e i laboratori sono tornati

a svolgere il loro ruolo nelle normali

attività di ricerca.

71


3 RICERCA

#Bioengineering #Target #Antiviral #Vaccine #PreclinicalTesting

COME ACCELERARE

LA SCOPERTA DI VACCINI

CONTRO IL CORONAVIRUS?

Alcuni strumenti di bioingegneria sviluppati al Politecnico

di Milano dal gruppo della prof. Manuela Raimondi potrebbero

accelerare il processo senza rischi per la salute dei pazienti

MANUELA RAIMONDI

Dipartimento di Chimica,

Materiali e Ingegneria

Chimica "Giulio Natta"

Alumna Ingegneria Meccanica

e PhD in Bioingegneria

Una review recentemente pubblicata

su Theranostics fornisce un quadro

generale di aggiornamento sugli

strumenti di modellizzazione con

cellule, che fanno luce sui meccanismi

di infezione dovuta al virus SARS-

CoV-2 e potrebbero anche essere

usati per accelerare lo sviluppo di

vaccini e trattamenti terapeutici anti-

COVID. La review è firmata dalla prof.

Manuela Raimondi e dal suo team al

Dipartimento di Chimica, Materiali e

Ingegneria Chimica “Giulio Natta” del

Politecnico di Milano, in collaborazione

con la prof. Stephana Carelli del Centro

di Ricerca Pediatrico, Dipartimento

di Scienze Biomediche e Cliniche “L.

Sacco”, Università degli Studi di Milano.

Sviluppare vaccini e agenti terapeutici

è un processo lungo che comporta

numerose sfide. Ad esempio, un

vaccino utilizzabile sugli esseri umani

può richiedere, dall’idea alla sua

commercializzazione, oltre quindici

anni di sviluppo. In generale, la ricerca

per lo sviluppo di medicinali ha un

tasso di fallimento del 99,9% perché

l’efficacia misurata in vitro non è quasi

mai confermata nell’animale.

Nuovi strumenti di modellizzazione

potrebbero sostituire le fasi di

sperimentazione pre-clinica sia in vitro

che in vivo: per esempio, con l’uso

di supporti 3D per colture cellulari,

camere microfluidiche per la cultura di

organoidi e la microscopia intravitale

nell’animale. Alcuni strumenti di

ricerca sviluppati negli ultimi dieci anni

da Raimondi hanno proprio questo

obiettivo: si tratta di nicchie artificiali

per la coltura di cellule staminali,

bioreattori microfluidici per la coltura

di tessuti, e finestre miniaturizzate per

la microscopia intravitale nell’animale

(ne abbiamo parlato nel numero 6 di

MAP a pagina 32). Il progetto relativo

alle finestre intravitali ha appena vinto

un prestigioso finanziamento europeo,

su bando Horizon 2020 "FET OPEN", per

un progetto denominato IN2SIGHT, del

quale il Politecnico di Milano è la prima

più importante unità operativa.

Raimondi ha messo a punto un modello

di linfonodo, ingegnerizzato all’interno

di un bioreattore miniaturizzato

otticamente accessibile chiamato

“MOAB” e già commercializzato da

una società spin-off del Politecnico di

Milano co-fondata da Raimondi, MOAB

Research, che consente di studiare

meccanismi di immunizzazione come

quelli prodotti dai vaccini. Questi

strumenti di ricerca aprono scenari

concreti per uno sviluppo più rapido

delle terapie anti-COVID, senza rischi

per la salute dei pazienti, e potrebbero

anche sostituire gran parte della

ricerca preclinica attualmente condotta

su animale.

Leggi la review su Theranostics

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#ComplexSystems

#Resilience

LA CURVA DEL RECUPERO

Un nuovo metodo per analizzare il processo di crescita e riduzione

del tasso di infezione dovuto alla pandemia COVID-19, per stimare

i tempi di recupero

ENRICO ZIO

Dipartimento di Energia

Alumnus Ingegneria

Nucleare e PhD

Un articolo a firma del prof. Enrico

Zio (DENG, Politecnico di Milano) in

collaborazione con il Dr. Romney B.

Duffey (Idaho Falls, ID, USA) è stato

recentemente pubblicato sulla rivista

scientifica internazionale Safety

Science. I due ricercatori hanno

studiato il processo di crescita e

riduzione del tasso di infezione dovuto

alla pandemia di coronavirus.

Nell’articolo viene descritto un

originale approccio basato sulla fisica

statistica che consente di prevedere

i tempi caratteristici del processo di

trasmissione del virus e la traiettoria

del tasso di infezione, in relazione

alle contromisure applicate nelle

diverse regioni del mondo. Il tasso

di infezione è preso come metrica

della quale seguire l’evoluzione per

verificare l’efficacia delle contromisure

adottate per controllare la diffusione

della pandemia. L’analisi è basata

sulla teoria dell’apprendimento, con

basi cognitive e di fisica statistica,

che viene applicata per la prima

volta per caratterizzare la risposta

sociale alla pandemia a livello globale.

L’applicazione della teoria ai dati

pubblicamente disponibili consente

di individuare la curva di recupero di

validità universale che corrisponde al

processo di apprendimento sociale per

la riduzione del rischio.

Il confronto dei risultati dell’applicazione

del metodo ai dati disponibili

evidenzia come la diffusione del virus

e l’andamento del tasso di infezione

associato seguano leggi matematiche

comuni a tutte le regioni prese in esame.

L’analisi consente di valutare gli effetti

dei diversi metodi adottati per la

mitigazione della pandemia, come

l’isolamento sociale e i lockdown, e di

fare previsioni relativamente al tempo

necessario per raggiungere tassi di

infezione socialmente accettabili.

I risultati dell’analisi possono fornire

indicazioni utili per la valutazione

della pandemia in relazione a fattori

che ne influenzano lo sviluppo, incluso

le condizioni ambientali, sociali e

sanitarie della regione di interesse,

e per l’individuazione di adeguate

misure di mitigazione e controllo, e

relative contromisure da adottare,

mantenere o eliminare.

Leggi l'articolo completo

su Science Direct

73


#Mask

#Testing

LE MASCHERINE DI PROTEZIONE

DALL’AEROSPAZIO

3 RICERCA

In pieno lockdown, tre laboratori del Politecnico di Milano erano

in piena attività: si testavano e selezionavano i materiali più idonei

per creare delle mascherine protettive di alta qualità, in accordo

con la regione Lombardia. A raccontarci quei giorni, Giuseppe Sala,

direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali

e a capo del team di lavoro del progetto Polimascherine

GIUSEPPE SALA

Dipartimento di Scienze

e Tecnologie Aerospaziali

Alumnus Ingegneria

Aeronautica

12 marzo 2020: nell’Aula Magna

del Politecnico di Milano si sta

tenendo quella che si rivelerà essere

l’ultima riunione in presenza prima

del lockdown. Tra i partecipanti

c’è Giuseppe Sala, direttore del

Dipartimento di Scienze e Tecnologie

Aerospaziali, che viene convocato

dalla segreteria del rettore. Ferruccio

Resta quel giorno gli comunica

che: “Come Politecnico abbiamo

concordato un’iniziativa congiunta con

Regione Lombardia per canalizzare

la produzione di mascherine

chirurgiche efficienti da distribuire

alla popolazione. Hanno bisogno di

individuare i produttori di materia

prima e garantire la qualità del

prodotto in maniera terza, da parte di

una istituzione scientifica affidabile,

alfine di creare una filiera industriale

che dia un prodotto con adeguate

caratteristiche qualitative per far fronte

all’emergenza COVID-19”. A stretto

giro sul sito di Regione Lombardia

viene pubblicato un invito rivolto alle

aziende trasformatrici e produttrici

per sottoporre i propri materiali

al Politecnico. In poco tempo, ai

laboratori del Politecnico giungono

più di 1800 campioni provenienti da

grandi e piccole aziende del settore

tessile, ma non solo. In quel momento

molte aziende, infatti, decidono di

convertire la propria produzione a

favore delle mascherine. Poliestere,

cotone, polipropilene, sono tra i

materiali da esaminare. «Già dal 14

marzo abbiamo iniziato a lavorare

al progetto Polimascherine», ricorda

Giuseppe Sala. «L’attività di testing

comprendeva cinque diversi tipi di

prove, che comportavano l’attivazione

di diversi laboratori distribuiti su

tre dipartimenti: il Dipartimento di

Scienze e Tecnologie Aerospaziali,

il Dipartimento di Energia e il

Dipartimento di Chimica Giulio Natta.

Il primo test era di pertinenza del

laboratorio del Dipartimento di Scienze

e Tecnologie Aerospaziali e valutava

le caratteristiche dei materiali, la loro

organizzazione e struttura attraverso

il microscopio elettronico». Nello

specifico, questa prova consisteva in

un’analisi con il microscopio elettronico

a scansione (SEM) ed era volta a

misurare il diametro delle microfibre

(pochi micron), nonché la loro giacitura

e organizzazione, essendo queste

caratteristiche decisive per conferire al

materiale effettiva capacità filtrante.

Dei 1800 campioni, solo 400 vengono

ammessi al secondo test sulla

capacità fluidodinamica e traspirante

dei materiali, sempre di pertinenza

del dipartimento diretto da Sala. Il

materiale da valutare veniva disposto

a mo’ di diaframma in una tubazione

74


75


percorsa da un flusso d’aria a portata

controllata», dice Sala. «La differenza

tra i valori di pressione misurati

a monte e a valle del diaframma

permetteva di valutare la traspirabilità

del materiale, ovvero la sua capacità di

consentire una respirazione più o meno

facile a chi indossa la mascherina».

La terza prova, svolta presso il

laboratorio del Dipartimento di Energia,

era il test di efficienza della filtrazione

di particolato (PFE), che valuta quanto

i tessuti siano in grado di filtrare le

particelle submicroniche trasportate

tramite aerosol. «Il materiale in prova»,

spiega Sala, «veniva fatto attraversare

da un aerosol di goccioline fluide

di diametro submicronico. Abbiamo

misurato la quantità di goccioline

(droplets) che erano riuscite a passare.

L’efficienza filtrante veniva misurata

come rapporto tra le goccioline

“partite” e le goccioline “fermate” dal

materiale».

Il quarto test, presso il Dipartimento

di Chimica "Giulio Natta", misurava

l’efficienza della filtrazione batterica

(BFE), ovvero la capacità del tessuto

di fermare le particelle contenenti una

carica virale di batteri. «Qui, il materiale

in prova era attraversato prima da un

flusso di goccioline inoculate da una

popolazione batterica, che venivano

poi raccolte per farne una coltura

batterica per 48 ore e quantificarne

infine l’eventuale proliferazione».

L’ultimo test era quello di splashing,

che mostrava il grado di resistenza del

tessuto nel fermare un getto di fluido.

«Questa prova», racconta Sala, «è stata

fatta al laboratorio di propulsione

spaziale, dove normalmente si

occupano del modo in cui i razzi

vengono propulsi per permettere i

voli spaziali. Sono però attrezzati sia

teoricamente, che sperimentalmente, a

produrre flussi e getti di fluidi, dunque

hanno applicato la loro competenza a

qualcosa d’insolito per quei laboratori:

un fluido attraverso un tessuto». Poi,

spiega bene la dinamica del test: «Un

getto di sangue artificiale», ovvero

un fluido sintetico con le stesse

caratteristiche fluidodinamiche del

sangue biologico, veniva diretto a

velocità e pressione ben definite,

verso un diaframma costituito

dal materiale in prova. Si valutava

quindi la capacità di quest’ultimo

di impedirne il passaggio. Direi che

questo approccio è l’emblema del

progetto Polimascherine, dove ogni

dipartimento aveva le competenze

necessarie da applicare a problemi

nuovi. Ed è una cosa che ho imparato

al Poli: se hai bisogno di qualcuno per

fare una certa cosa, qui lo trovi». Il 16

«Abbiamo

lavorato tutti

a titolo volontario:

dai docenti al

reparto tecnico.

E da nessuno ho

ricevuto un rifiuto.

Anche questo

è il fattore Poli»

76


giugno si è chiusa la fase di test, e solo

15 dei materiali testati hanno avuto

l’ok a procedere per essere inviati

per la certificazione finale all’Istituto

superiore di sanità.

«A valle di questa pandemia, il

Ministero dell’Università e della Ricerca

ha avviato un bando per attività che

propongono ricerche nell’ambito

dello sviluppo di tecniche, materiali

e dispositivi per contrastare il virus»,

aggiunge Sala, «il mio dipartimento

ha avviato tre collaborazioni. La prima

tra il Politecnico e il Dipartimento di

Psicologia dell’Università Bicocca. Due

discipline apparentemente lontane

si propongono di analizzare quanto

l’uso della mascherina diminuisca

l’ossigenazione al cervello, abbassando

di conseguenza la soglia di attenzione,

la prontezza di riflessi e le capacità

cognitive. Ciò è utile per quanti hanno

lavori di responsabilità come, ad

esempio, piloti e autisti. La seconda

collaborazione è con il Dipartimento

di Microbiologia dell’Università Statale

di Milano e si prefigge di valutare la

capacità dei tessuti filtranti di fungere

da barriera ad agenti patogeni. Infine,

una collaborazione interdipartimentale,

con i dipartimenti di Elettronica

e di Architettura, Ingegneria delle

costruzioni e Ambiente costruito,

per lo sviluppo di una poltrona per

dentisti dotata di un sistema che

aspiri immediatamente l’aerosol.

Stiamo partendo al contempo con

progetti riguardanti lo smaltimento,

le mascherine efficienti sono infatti

costituite di microfibre di polimero,

il peggior materiale dal punto di

vista dell’inquinamento. Quindi

stiamo pensando a soluzioni legate

sia alla riciclabilità che a tecniche

di sanificazioni che consentono

di utilizzare i dispositivi per più

tempo». Poi, pensando a quando

tutto ha avuto inizio, Sala conclude:

«Abbiamo lavorato per i tre mesi del

lockdown a titolo volontario. Tutti,

dai docenti al reparto tecnico. E da

nessuno di loro ho ricevuto un rifiuto».

Anche questo è il fattore Poli.

77


#PrivacyPreservingGroupCommunication #5G

#SecureMultipartyComputation

#ContactTracing

3 RICERCA

SECURE MULTIPARTY

COMPUTATION E 5G PER

IDENTIFICARE I FOCOLAI

Uno studio del Politecnico di Milano pubblicato nella conferenza

internazionale IEEE Global Communications descrive un possibile

metodo: un contact tracing sicuro senza bisogno di scaricare app

MASSIMO TORNATORE

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria delle

Telecomunicazioni

GIACOMO VERTICALE

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria delle

Telecomunicazioni

Da quando è scoppiata la pandemia

di coronavirus, in tutto il mondo

i paesi hanno attivato misure di

contenimento, come il lockdown, che

hanno un alto costo sociale. Individuare

tempestivamente i focolai di contagio

grazie al contact tracing potrebbe

contribuire ad abbattere questo

costo sociale.

Il gruppo di ricerca del prof. Massimo

Tornatore (Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria del

Politecnico di Milano) e del prof

Giacomo Verticale, in collaborazione

con la prof. Silvia Giordano della

Scuola Superiore Universitaria

Professionale della Svizzera Italiana,

in questi mesi si è occupato di

studiare possibili applicazioni per una

tecnologia di privacy preserving group

communication, in grado di tracciare a

tappeto i contatti e i contagi tutelando

la privacy dei cittadini. Del gruppo

di ricerca che ha lavorato su questa

tematica fanno parte anche Davide

Andreoletti e Omran Ayoub, due post-doc.

Il gruppo di ricerca si occupa da anni

di privacy in ambiente di computazione

condivisa, tema che oggi è di grande

attualità. «In Italia, l’app Immuni per il

contact tracing tutela la privacy, perché

non si basa sulla geolocalizzazione

mobile – spiega Tornatore. Un

utente inserisce nell’app le proprie

78


informazioni e attiva il Bluetooth;

quando si trova in prossimità di

un’altra persona che ha l’app attiva, i

due profili si scambiano un token che

viene mandato a un server. Il token

contiene unicamente informazioni sul

contatto tra i due utenti, non sulla

posizione al momento del contatto.

Tuttavia, questo tipo di approccio ha

un limite relativo alla sua capacità di

penetrazione. Per funzionare, l’app va

anzitutto scaricata e quindi richiede

un’azione da parte dei cittadini che

non tutti vogliono o possono fare; può

avere problemi di compatibilità con

alcuni modelli di cellulare e, in ogni

caso, il Bluetooth è una funzione che

consuma velocemente la batteria».

Per fare contact tracing è necessario

condividere due tipi di informazione:

l’informazione sanitaria (chi ha il

virus?) e la localizzazione (dove si

trovano i contagiati?). In Italia non

esiste un’unica istituzione che conosca

entrambe le informazioni: l’autorità

sanitaria conosce l’identità degli

infetti, mentre gli operatori mobili

sanno dove si trovano le persone

grazie alle informazioni trasmesse dai

telefoni cellulari. I ricercatori hanno

cercato di sviluppare un meccanismo

che permetta automaticamente

agli operatori di contribuire con

l’informazione della posizione dei

clienti e all’autorità di contribuire con

l’informazione sugli infetti, tutelando

però la privacy dei cittadini. «Ciò

che proponiamo non richiede che

si scarichi alcuna app, non richiede

alcuna azione aggiuntiva da parte

dell’utente né di attivare alcuna

funzionalità dello smartphone (nessun

wifi, Bluetooth o GPS), quindi potrebbe

avere una capacità di penetrazione

molto superiore, funzionerebbe su tutti

i cellulari e non creerebbe problemi

di batteria», continua il ricercatore.

«Abbiamo lavorato su una tecnologia

di secure multiparty computation,

con algoritmi crittografici in grado

di prendere le due informazioni e

confrontarle: una sorta di “somma” di

addendi cifrati che restituisce il risultato

della somma non cifrata».

Anche questo approccio ha un limite.

Con la tecnologia 4G di cui disponiamo al

momento, il posizionamento degli utenti

è nell’ordine del centinaio di metri. «Per

funzionare, questo tipo di architettura ha

bisogno di poterli localizzare in un raggio

di pochi metri. Lo studio ne ha però

dimostrato la fattibilità in ambiente 5G»,

conclude Tornatore.

I risultati sono stati pubblicati

nella conferenza internazionale

IEEE Global Communications

e il paper è già liberamente

consultabile su Arxiv

79


3 RICERCA

#Polisocial #Mobile #Mobility #GPStechnology

SCENARI A CONFRONTO:

UN’ANALISI DELLA MOBILITÀ

IN MOZAMBICO E IN LOMBARDIA

DURANTE LA PANDEMIA

Il nucleo transdisciplinare d’Ateneo Data@ter sta studiando l’impatto

della pandemia sulle abitudini di mobilità delle persone attraverso la

localizzazione dei telefoni cellulari. A partire da un progetto di studio

degli spostamenti, iniziato nel 2018, i ricercatori hanno scattato le

fotografie prima-e-dopo di come le persone si muovono in territori

molto diversi tra loro

SIMONE VANTINI

Dipartimento di Matematica

Alumnus Ingegneria Nucelare

Circa l’80 % della mobilità nelle grandi

città africane si basa su sistemi di

mobilità informale, pochi dispongono

di un’auto e pochi sono i sistemi

di trasporto pubblico. Tale carenza

impatta negativamente sullo sviluppo

economico e sul benessere della

popolazione. Questo era il punto di

partenza del progetto Safari, uno

dei vincitori dell’edizione 2018 del

Polisocial Award, che - tramite l’analisi

dei dati GPS offerti dalla telefonia

mobile - si è posto l’obiettivo di

esplorare soluzioni bottom-up e placebased

per rispondere al problema della

povertà di trasporti. «Monitorando gli

spostamenti degli abitanti volevamo

analizzare la domanda di mobilità e per

trovare soluzioni a basso costo ed alto

impatto basate sulla riorganizzazione

dei servizi di mobilità esistenti sul

territorio», racconta il coordinatore

del progetto Simone Vantini, del

Dipartimento di Matematica, «con

l’emergere della pandemia, abbiamo

colto l’occasione per aggiungere

un importante tassello a questo

progetto». A partire da dicembre 2019

i ricercatori portano avanti un caso

studio parallelo tra Mozambico, dove il

cellulare è diffuso ma gli smartphone

non hanno un’alta penetrazione, e

Lombardia, in un contesto dove invece

questo device è ovunque. «Abbiamo

così avuto l’opportunità di osservare

due territori tecnologicamente

estremi, in un periodo pre-COVID-19 e,

successivamente, durante l’emergenza,

analizzando il modo in cui la pandemia

ha influito sulle abitudini di mobilità

dei territori coinvolti. Abbiamo sfruttato

questi data set per ragionare sui

possibili impatti della pandemia e

valutare gli interventi normativi sulla

mobilità».

Dal 16 febbraio al 16 maggio, ovvero a

partire da dieci giorni prima dell’inizio

della pandemia in Lombardia e fino

a dieci giorni dalla fine del primo

lockdown, è stato monitorato un

campione casuale di cinquantamila

persone in Lombardia. «Abbiamo

tracciato i loro spostamenti nel totale

rispetto della privacy», continua

Vantini. Sia in Mozambico che in

Lombardia i ricercatori hanno lavorato

in collaborazione con Cuebiq, azienda

con sede in USA e Dipartimento di

Ricerca e Sviluppo a Milano, fondata

da Antonio Tomarchio, un altro

Alumnus del Politecnico (ne abbiamo

parlato sul numero 2 di MAP, NdR).

Attualmente è in fase di sviluppo un

database con tutti i dati raccolti, che

verrà reso pubblico e condiviso con la

comunità scientifica. «I dati raccolti da

Cuebiq tramite la tecnologia GPS degli

smartphone riescono a posizionare un

utente (associato a un codice anonimo)

con una precisione fino ad un paio

di metri, possiamo quindi capire ad

esempio su che mezzo di trasporto sta

avvenendo lo spostamento. E non solo,

80


81


82


Utilizzo delle diverse combinazioni di linee di chapas (in alto).

Matrici Origine-Destinazione tra di versi quartieri di Maputo (in basso)

forniamo una matrice tempo variante

in grado di spiegare come cambia la

mobilità nelle varie ore del giorno,

e nei vari giorni della settimana,

confrontandola con gli scenari

prepandemici». Il progetto è portato

avanti dal nucleo transdisciplinare

d’Ateneo Data@ter che include cinque

dipartimenti (Matematica, Architetura

e Studi Urbani, Ingegneria Gestionale,

Design, Elettronica Informazione e

Bioingegneria) e in Mozambico vede

la collaborazione di Vodacom: la telco

che sta fornendo i dati che permettono

la localizzazione degli utenti sulla base

dell’utilizzo delle celle telefoniche,

quindi con una precisione inferiore

a quella GPS ma con un’alta capacità

di penetrazione. «Se inizialmente il

focus era lo studio sulla mobilità in

Mozambico, l’emergere della pandemia

ha aggiunto un secondo obiettivo a

quello originario del progetto: sfruttare

le moderne tecnologie digitali per

avere un’immagine in tempo reale

di ciò che accade e fornire i dati alla

comunità scientifica, dati utili per chi

studia la mobilità e valuta gli impatti

socioeconomici delle misure di

contenimento del contagio. Possiamo

ad esempio stimare quanta gente si è

mossa dalla propria zona verso un’altra

zona, quanti spostamenti ci sono stati

tra diversi comuni, se ci sono delle zone

con particolari addensamenti e se la

normativa riguardo ai confinanti viene

rispettata». Il progetto ha un budget di

198 mila euro ed è stato cofinanziato

dal Politecnico di Milano (attraverso il

Polisocial Award) e dall’Agenzia Italiana

per la Cooperazione allo Sviluppo.

Infografiche tratte da "Urban Mobility

Network-Based Models from Global

Positioning Systems", Celeste Principi

83


3 RICERCA

#Robot #Serological #ClinicalAnalysis

COVID-19: YUMI, IL ROBOT

COLLABORATIVO PER

ANALIZZARE UN MAGGIOR

NUMERO DI TEST SIEROLOGICI

YuMi, il robot collaborativo di ABB, è stato utilizzato in una

applicazione progettata al Politecnico di Milano in collaborazione

con ABB e IEO per supportare gli ospedali nei test sierologici

per il coronavirus. A regime YuMi, potrebbe essere in grado di

automatizzare fino al 77% delle operazioni necessarie per svolgere

i test e analizzare fino a 450 campioni/ora

ANDREA ZANCHETTIN

Dipartimento di Elettronica,

Informazione e Bioingegneria

Alumnus Ingegneria

Informatica

Della automatizzazione parziale

del protocollo dei test sierologici

si è occupato Andrea Zanchettin,

Dottore di Ricerca con esperienza

nella robotica collaborativa e oggi

professore associato al Dipartimento

di Elettronica, Informazione e

Bioingegneria del Politecnico di Milano.

Zanchettin ha progettato l’applicazione

e programmato YuMi, un robot in

grado di automatizzare il “pipettaggio”

delle piastre a pozzetti usate nei test

sierologici. Per ogni test effettuato

su un singolo paziente, un tecnico di

laboratorio deve azionare il pistoncino

della micropipetta 8 volte: il pollice

umano deve fare circa 2 cm di corsa

con una forza di 1,5 kg.

Fare migliaia di test significa che

l’operatore deve eseguire quel

movimento ripetitivo migliaia di volte.

È un gesto impegnativo, stressante

e usurante che può comportare

patologie cliniche specifiche come

l’infiammazione del tendine che

mantiene il dito in posizione sollevata.

Il test sierologico è stato messo a

punto nei laboratori dell’Istituto

Europeo di Oncologia di Milano dal

gruppo composto da Marina Mapelli

e Sebastiano Pasqualato, biochimici,

e Federica Facciotti, immunologa,

sulla base del protocollo elaborato

al Mount Sinai, New York da Florian

Krammer.

Come funziona il processo?

Il robot ha due bracci: sul sinistro è

montata la micropipetta, sul destro

una “mano” con due dita che serve

a movimentare le piastre. Il tecnico

riempie con il siero del paziente una

piastra a pozzetti, fatta in modo tale

che la componente proteica del virus,

se presente, si attacchi alla plastica.

Affinché il virus si leghi in maniera

stabile alla plastica, è necessario un

certo tempo di incubazione. Poi la

piastra va lavata dell’eccesso: YuMi si

occupa proprio di questo passaggio. Il

tecnico posiziona le piastre da lavare

sopra a un vassoio equipaggiato con

un sensore di peso, che avvisa YuMi

quando deve attivarsi e “pipettare” il

liquido di lavaggio dentro i pozzetti.

Il robot preleva la piastra e la sposta

in posizione, preleva da un serbatoio

la soluzione di lavaggio e riempie la

piastra. Poi ri-preleva la soluzione da

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ciascun pozzetto e la elimina, questa

operazione viene ripetuta per 3 volte:

in totale impiega circa 3 minuti per

compiere tutta l’operazione. Alla fine,

YuMi riprende la piastra e la mette sul

vassoio delle piastre lavate.

YuMi è un robot collaborativo prodotto

da ABB, che ha una collaborazione

strategica con il Politecnico di Milano

denominata Joint Research Center. Si

tratta di una macchina multifunzione

che può trovare applicazione sia

in ambito industriale che in diversi

contesti operativi, come ospedali

e laboratori di analisi, assicurando

ripetitività. YuMi è certificato per

lavorare in camera bianca (ISO 5). «Le

automazioni collaborative robotizzate

hanno un ampio potenziale nel

settore medicale», afferma Oscar

Ferrato, Collaborative Robots Product

Manager in ABB. «Come ABB siamo

contenti di avere contribuito allo

sviluppo di questo interessante e

innovativo progetto».

Immagini: © ABB

85


#StochasticEpidemicModel

#BranchingRandomWalk

#IncubationTime

3 RICERCA

#VaryingEnvironment

#ReproductionNumber

UNA FOTOGRAFIA

DEL CONTAGIO

GIORNO PER GIORNO

Il prof. Fabio Zucca, del Dipartimento di Matematica, sta studiando un

modello matematico flessibile in grado di adattarsi al variare delle

condizioni per prevedere gli effetti delle possibili misure di contenimento

FABIO ZUCCA

Dipartimento di Matematica

Per poter prevedere l'andamento del

contagio in funzione delle condizioni

ambientali occorre un modello in

grado di adattarsi giornalmente

alle nuove restrizioni messe in atto

localmente. Fabio Zucca sta lavorando

con il Dipartimento di Matematica e

applicazioni dell’Università di Milano-

Bicocca alla generalizzazione di un

modello matematico noto come

Branching Random Walk in Varying

Environment: un classico modello di

replicazione che considera il movimento

casuale di un sistema (random walk) con

diramazione a tempo discreto e legge di

replicazione variabile nel tempo.

«Rispetto al modello classico – ci

spiega Zucca – la generalizzazione a

cui sto lavorando prevede un tempo

di vita (casuale o deterministico)

differente da 1 che rappresenta il

tempo di incubazione della malattia; in

tale intervallo temporale l'individuo è

“libero” di diffondere il contagio, prima

che l’emergere dei sintomi determini

una condizione di isolamento. In una

prima approssimazione, la vita di ogni

singolo individuo (identificata con il

periodo in cui l’individuo è infetto)

è costante ed ogni individuo genera

un numero casuale di contagiati con

media R (dipendente sia dal tempo che

dalla posizione dell’individuo stesso)

prima di venire rimosso ("rimozione"

significa “guarigione / isolamento /

morte” o, più in generale, qualsiasi

azione che impedisca ad un individuo

di indurre nuovi contagi). L’individuo

viene conteggiato solo al momento

della rimozione». Nei casi più semplici,

è noto che l'evoluzione del contagio, a

lungo termine, dipende dal parametro

R: se R>1 si ha una possibile crescita

esponenziale, mentre se R≤1 si ha

una decrescita verso zero. Per poter

modellizzare differenti scenari in cui si

mettono in atto differenti strategie di

contenimento, si deve tener conto di

condizioni ambientali non costanti.

«Ho cercato di formulare un modello

sufficientemente flessibile che potesse

adattarsi alle condizioni ambientali,

in particolare che integrasse i diversi

provvedimenti che si sono susseguiti

lungo le settimane e i mesi, per fornire

in ogni momento una fotografia della

situazione e prevedere le possibili

diramazioni del contagio negli scenari

ipotetici futuri. Quello che vorrei fare

adesso è ottenere una corrispondenza

tra condizioni ambientali e parametri

modello, e determinare in ogni

momento la legge di replicazione,

cioè la probabilità che ogni individuo

infetto contagi altri N individui».

La struttura spaziale del modello

permette di studiare zone non

omogenee (geograficamente o per

tipo di condizioni ambientali locali)

interagenti tra loro. «Sono partito da

una semplificazione del modello priva

86


di struttura spaziale e con tempo di

incubazione deterministico; questo

è un buon modello per una regione

geograficamente omogenea. Quindi

inizialmente ho applicato il modello

ai contagi rilevati coi tamponi in

Lombardia durante la prima ondata.

Tuttavia, la mancanza di organicità

nella raccolta dei tamponi pone un

serio problema. Adesso sto lavorando

a un nuovo fit in cui utilizzerò

prevalentemente i dati relativi ai

ricoveri in terapia intensiva. I risultati

preliminari evidenziano una maggiore

aderenza delle previsioni ai dati relativi

ai contagi giornalieri».

Il modello di Zucca, allo stadio attuale,

ha una criticità correlata al fatto che

è complesso trattare il caso in cui

ogni infetto possa avere un tempo di

incubazione casuale. «Al momento

sto lavorando con un numero fisso

che rappresenta il numero medio di

giorni di incubazione, ma in prospettiva

la legge di replicazione può essere

modificata giorno per giorno». Lo scopo

finale della ricerca è raggiungere una

maggiore generalizzazione del modello

per integrare anche il parametro

delle relazioni spaziali: analizzare

cioè zone non omogenee con diverse

leggi di replicazione. «In questo

senso, sto lavorando con la School of

Mathematics and Statistics – University

of Melbourne, Australia a una robusta

teoria di fitting tra modello e dati»,

conclude il ricercatore.

COMULATIVO CONTAGI CON TAMPONI - LOMBARDIA

Contagi giornalieri

Comulativo contagi

Dati reali

Previsioni modello

CONTAGI GIORNALIERI RILEVATI CON TAMPONI - LOMBARDIA

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3 4 RICERCA

RESPONSABILIÀ SOCIALE

#Mask #Health #Design

ARIA NUOVA CON NARVALO:

LA NUOVA GENERAZIONE DI

MASCHERINE INTELLIGENTI

Durante un laboratorio della Scuola di Design del

Politecnico di Milano, un laureando, Ewoud Westerduin,

affronta il problema dell’inquinamento urbano

progettando una mascherina in grado di filtrare il 99,9%

di agenti inquinanti. Il progetto viene sviluppato come

tesi di laurea magistrale con l’aiuto del suo relatore,

Venanzio Arquilla, professore del Dipartimento di Design,

e incubato da Polihub. La mascherina diventa uno scudo

hi-tech, anche grazie ad un’app in grado di monitorare

l’aria che ci gira intorno. Poi, arriva la COVID-19

«L’idea iniziale era di produrre una

mascherina performativa, fissata

nel livello più alto di protezione, in

accordo con comfort e usabilità»,

dice il prof. Venanzio Arquilla, cofondatore

e presidente di Narvalo: una

mascherina di sicurezza superiore alle

FFP3 standard, realizzata in materiale

antistrappo, lavabile e dotata di filtri

composti da cinque strati, in grado di

filtrare il 99,9% di virus, batteri, polveri

sottili ed odori. E Narvalo, ad oggi, è a

tutti gli effetti un DPI FFP3 R certificato

CE. «Durante il laboratorio sentivamo

molto il problema dell’inquinamento»,

racconta l’Alumnus Ewoud Westerduin,

fondatore e Head of Design di Narvalo.

«Avevamo fatto una ricerca a livello

europeo su quali fossero i trend

per creare consapevolezza, poiché

spesso si associa l’inquinamento a

luoghi lontani da noi, senza riflettere

che semplicemente spostandoci,

magari per andare in ufficio, siamo

quotidianamente esposti ad agenti

inquinanti. Da qui, abbiamo canalizzato

il lavoro sulla performance respiratoria,

presentando l’embrione del progetto

all’azienda BLS, che ho sviluppato

ulteriormente all’interno di Polifactory

come tesi di laurea magistrale». A

questo punto della storia entra in gioco

infatti un altro Alumnus, Pierpaolo Zani,

General manager di BLS, l’unica azienda

italiana produttrice di DPI per le vie

respiratorie. «Mettiamo in contatto

Ewoud con BLS - specifica Arquilla -

che gli offre lo spazio e l’expertise per

poter sviluppare il prodotto. Ed Ewoud,

che è di origine olandese, decide di

restare in Italia e di investire a sua

volta in Narvalo». Il progetto viene

selezionato per accedere al programma

di accelerazione di PoliHub. Proprio

all’interno di Polifactory iniziano

le sperimentazioni: «Proviamo la

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89


FILTRO A CINQUE STRATI

Rete idrorepellente

Materiale filtrante

Strato carbone attivo

Coppa

Face fit idrorepellente

e antibatterico

stampa 3D con materiali flessibili,

su polimeri elastici, combinati con il

taglio laser per creare strutture mobili

sui tessuti», puntualizza Westerduin.

«Il tessuto 3D viene ottenuto da un

processo di tessitura a tre livelli,

in cui lo strato superiore e quello

inferiore vengono uniti ad uno strato

intermedio, denominato spacer layer,

dallo spessore variabile a seconda

dell’esigenza». I materiali che elevano

questo prodotto sono però quelli

che non si vedono dall’esterno, «La

parte filtrante - spiega Westerduin -

è composta da vari strati di tessuto

non tessuto a base di polipropilene

che, uniti ad uno strato trattato con il

carbone attivo, sono in grado di filtrare

il 99,9% di particolato, smog, pollini,

batteri, virus ed odori. La parte esterna

è idrorepellente, mentre la fascia

interna, a contatto con la pelle, oltre

ad essere anche questa idrorepellente,

è in materiale anallergico e autosanificante.

Infatti, di solito le

maschere accumulano sudore proprio

in questo punto, creando così una

carica batterica».

A gennaio 2020 cinquanta utenti, scelti

tra runner e ciclisti, partecipano all’user

test. «E poi arriva la COVID-19. E su di

noi ha l’effetto di un acceleratore»,

ricorda Arquilla. «Se infatti inizialmente

i nostri piani erano di essere sul

mercato nell’autunno 2020, decidiamo

di anticipare l’uscita all’estate. Eravamo

tutti d’accordo sul fatto che avremmo

dovuto impegnarci in una maniera

importante per dare una risposta a

questa pandemia». Ed è in questo

preciso momento che la mascherina,

pensata principalmente per il target

dell’urban commuter - colui cioè

che si muove nella metropoli con

responsabilità ambientale e attenzione

alla natura - diventa uno strumento di

protezione per tutti e si fa intelligente.

La maschera prevede un sensore

in grado di leggere tre parametri: la

pressione, la temperatura e l’umidità.

Questi, forniscono una lettura precisa

e in presa diretta della frequenza

respiratoria dell’utente e regolano la

velocità di una ventola. Questa ventola

estrae il calore e l’umidità che di solito

vi si accumulano all’interno, rendendo

«Eravamo

tutti d’accordo:

ci saremmo

dovuti impegnare

in maniera

importante

per dare una

risposta a questa

pandemia con

uno strumento

di protezione

intelligente»

90


più confortevole la respirazione. La

valvola può essere bloccata inserendo

lo speciale tappo COVID-19 - quando

magari ci si trova in un luogo chiuso

- impedendo così la fuoriuscita di

goccioline anche durante l’espirazione.

Westerduin spiega meglio il

funzionamento del sistema elettronico,

che insieme alla valvola rende unico

Narvalo: «Nel momento in cui l’utente

indossa la maschera, il sensore di

pressione rileva il respiro. A questo

punto si connette con l’app dello

smartphone che, a sua volta, si collega

con la stazione di monitoraggio dell’aria

più vicina alla zona in cui si trova

l’utente. L’algoritmo registra intanto il

tempo di percorrenza, la distanza tra il

luogo di partenza e quello di arrivo e

la frequenza respiratoria, comprese le

variazioni del respiro. A fine percorso

tutti i dati vengono combinati andando

a calcolare in modo dettagliato la

quantità di inquinanti. Questi dati sono

di supporto anche perché comunicano

il livello di saturazione del filtro,

segnalando la percentuale di consumo

e quindi il tempo preciso in cui dovrà

essere sostituito per essere protetti al

massimo». (Mentre scriviamo è stato

brevettato il sistema elettronico ed è in

corso di brevettazione anche la parte

relativa al Design di Prodotto, ndr).

Poco dopo il lockdown, i duemila pezzi

del primo lotto vengono esauriti in tre

ore. La seconda versione di Narvalo,

“Active”, che sarà sul mercato nei primi

mesi del 2021, prevede l’integrazione di

componenti elettroniche tra cui della

sensoristica per misurare utente ed

ambiente. Nel dispositivo ACTIVE ci sarà

una valvola elettronica dotata di una

ventola di estrazione intelligente, della

sensoristica in grado di misurare il

flusso respiratorio, una batteria oltre a

tutti gli elementi di controllo necessari.

«Ad oggi non esiste un sistema in grado

di rilevare questo parametro», dice

Arquilla, «Da qui si aprono, in campo

medico e sportivo, scenari nuovi».

Un prodotto pensato per proteggere

e guidare l'utente in maniera non

invasiva e con una tecnologia il più

possibile umanizzata. Un oggetto

che dialoga con gli utenti e che si

auto-regola generando di fatto un

nuovo modello di interazione.

Arquilla conclude: «Tutto è sempre

pensato nell’ottica dell’oggetto che ti

protegge e che ti guida».

VENANZIO ARQUILLA

Narvalo, Founder & President

Dipartimento di Design

Alumnus Design del Prodotto Industriale

EWOUD WESTERDUIN

Narvalo, Founder & Head of Design

Alumnus Integrated Product Design

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3 4 RICERCA

RESPONSABILIÀ SOCIALE

#SpinOff #TechnologicalTransfer #DataAnalisys #Bioengineering

UN METODO INNOVATIVO

PER LA DIAGNOSI POLMONARE

Dal 2010 Restech, spin-off del Politecnico di Milano,

produce dispositivi non invasivi che permettono di

superare i limiti delle tecniche tradizionali, quali la

spirometria, nella diagnosi e nella prevenzione di alcune

patologie del sistema respiratorio. L’azienda, specializzata

in ricerca e sviluppo, sta supportando due studi clinici

per il trattamento dei pazienti Covid

Il prof. Raffaele Dellacà insegna

elettronica biomedica al Politecnico

di Milano e coordina le attività

del laboratorio di tecnologie per

la respirazione (Technologies for

Respiration – TechRes Lab). «Il nostro

obiettivo come gruppo di ricerca

– ci racconta – è quello di definire

nuovi metodi per lo studio della

funzione respiratoria. Lavoriamo sulla

componente tecnologica a stretto

contatto con medici e fisiologi per

mettere a punto metodi diagnostici

innovativi». A partire dal suo lavoro

di ricerca, nel 2010 Dellacà con il suo

gruppo ha fondato la spin-off Restech

per progettare, produrre e distribuire

in tutto il mondo dispositivi noninvasivi

di diagnostica respiratoria.

Oggi Restech è guidata dai cofondatori

Alessandro Gobbi e Pasquale Pompilio,

ai tempi assegnisti di ricerca del

laboratorio di Dellacà, ai quali si sono

uniti nel tempo alcuni investitori

privati tra i quali Fabio Mosca, Alumnus

Ingegneria Chimica, che, grazie alla sua

esperienza gestionale, sta traghettando

la società verso una riorganizzazione

per consolidarne la crescita. «Restech

nasce nel 2010 per trasferire i risultati

della ricerca accademica verso una

tecnologia utilizzabile in ambito clinico.

Il nostro team è specializzato nella

ricerca e sviluppo, e abbiamo accordi

con partner industriali che si occupano

della parte commerciale e della

distribuzione».

I dispositivi Restech sono già utilizzati

per coadiuvare il trattamento di

malattie respiratorie come broncopatia

polmonare cronica ostruttiva, asma

e in ambito ospedaliero laddove sia

necessario determinare lo stato di

salute del sistema respiratorio. «La

tecnica tradizionale oggi più diffusa è

la spirometria – prosegue il ricercatore

– che però richiede una manovra

forzata, che può essere traumatica o

impossibile per pazienti compromessi

dal punto di vista respiratorio, pazienti

intubati, bambini e persone con

difficoltà cognitive. Se non eseguita

correttamente, la spirometria non

fornisce dati rappresentativi dello

stato del polmone, quindi deve sempre

essere eseguita sotto la supervisione

di personale esperto». Il gruppo di

Restech sviluppa metodi innovativi che

possano complementare o, in alcuni

casi, sostituirsi alla spirometria, tra

i quali il più promettente è la tecnica

92


delle oscillazioni forzate. I dispositivi

producono delle vibrazioni di pressione

e le veicolano al paziente attraverso un

boccaglio durante l’atto respiratorio

normale. La risposta meccanica

del polmone a queste oscillazioni

permette di valutare lo stato di salute

del sistema respiratorio. «L’idea non è

nuova: venne inizialmente ipotizzata

nel 1956, ma, all’epoca, non esistevano

le capacità di calcolo e le conoscenze

di fisiopatologia necessarie per

interpretare i dati ottenuti. Si tratta

infatti di informazioni meccaniche

un po’ complesse che devono

essere associate alle caratteristiche

fisiopatologiche del paziente: è

necessario cioè individuare quali siano

le alterazioni del sistema respiratorio

che producono certi schemi di

variazione nelle vibrazioni misurate. Il

mio gruppo di ricerca lavora su questi

aspetti interpretativi del dato e alla

realizzazione di sistemi di analisi dei

dati innovativi, che includono analisi

della variabilità e tecniche di filtraggio

basate su intelligenza artificiale in

grado di dare informazioni specifiche

su alcune patologie polmonari».

Il vantaggio immediato di questo

metodo è che i dati misurati non

dipendono più dalla capacità del

93


paziente di eseguire il test. Tra le

varie applicazioni c’è il supporto alla

diagnostica ambulatoriale, ma, poiché

la tecnica non richiede assistenza né

sforzo, Restech ha sviluppato anche

un dispositivo per il monitoraggio

domiciliare, che i pazienti possono

usare in autonomia (come si fa con un

qualsiasi sfigmomanometro domestico

nel controllo della situazione

cardiovascolare). «Un paio di anni

fa abbiamo condotto uno studio

clinico multicentrico pubblicato sulla

più importante rivista di medicina

respiratoria internazionale, l’American

Journal of Respiratory and Critical Care

Medicine, dimostrando che l’uso di

questa metodologia domiciliare è in

grado di identificare precocemente la

riacutizzazione dei pazienti con Bronco-

Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO,

una definizione che include pazienti

con enfisema polmonare o bronchite

cronica e che, anche se poco nota al

grande pubblico, è oggi la quarta causa

di morte). I nostri dispositivi tengono

quotidianamente sotto controllo lo

stato dei polmoni di questi pazienti,

allertando i medici in caso di segnali

di riacutizzazione e consentendo

di iniziare la terapia precocemente,

consentendo di limitare la severità

dell’episodio e riducendo o evitando il

ricovero in ospedale».

È attualmente in fase di avanzato

sviluppo un dispositivo portatile, in

collaborazione con un’importante

multinazionale che produce dispositivi

biomedici da banco. Può essere

trasportato in una normale borsetta

ed è pensato per tenere sotto controllo

la salute del sistema respiratorio

di pazienti asmatici. «L’asmatico,

quando è sotto controllo, non ha una

manifestazione sintomatologica di

base, ma le crisi possono avere un

impatto molto grave sia sul sistema

respiratorio sia dal punto di vista

psicologico. I nostri studi ci hanno

permesso di identificare i criteri per

individuare una situazione respiratoria

in peggioramento, diversi giorni prima

che il paziente sviluppi i sintomi

della crisi, e questo consente di

intervenire tempestivamente con la

terapia per prevenirla senza correre

il rischio di un sovradosaggio dei

medicinali (rischio a cui spesso i

pazienti asmatici si sottopongono per

la paura di una crisi)». Infine, un’altra

applicazione a cui il gruppo sta

lavorando ha l’obiettivo di supportare

la respirazione del neonato prematuro,

che tipicamente può soffrire nel

reclutamento del polmone. Sui neonati

RAFFAELE DELLACÀ

Restech, Founder

Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria

Alumnus PhD Bioingegneria

restech.it

94


ALESSANDRO GOBBI

Restech, Founder

Alumnus PhD Bioingegneria

PASQUALE POMPILO

Restech, Founder

Alumnus PhD Bioingegneria

FABIO MOSCA

Restech, President

Alumnus Ingegneria Chimica

le tecniche tradizionali di intubazione

e spirometria non sono applicabili e

una eccessiva pressione esercitata

sull’apparato respiratorio ancora fragile

può creare danni permanenti. Un

dispositivo equipaggiato con emettitore

di oscillazioni è invece in grado di

supportare la respirazione del bambino

fino alla maturazione del polmone.

«Questo è l’ambito di ricerca in cui ci

muoviamo e, quando è scoppiata la

pandemia di coronavirus, il gruppo

si è attivato anche su questo fronte.

Abbiamo ricevuto un finanziamento da

Regione Lombardia per un progetto di

ricerca che coinvolge diversi ospedali,

tra cui il San Paolo. I medici stanno

utilizzando anche i dispositivi Restech

per valutare l’impatto a medio e lungo

termine che COVID-19 ha sui pazienti

che hanno sviluppato un’insufficienza

respiratoria grave causata dalla

polmonite interstiziale». La tecnica

delle oscillazioni forzate consente,

infatti, di caratterizzare in maniera

molto più accurata il danno funzionale

che c’è stato e come avviene il

recupero. Parallelamente il gruppo

sta completando proprio in questi

giorni uno studio in collaborazione

con l’ospedale di Trieste (prof. Marco

Confalonieri e dottoressa Chiara

Torregiani), che è stato tra i tra i pionieri

della terapia con ventilazione noninvasiva

nei pazienti conisufficienza

respiratoria dovuta alla COVID-19.

L’obiettivo è quello di capire come

cambia lo stato del polmone in risposta

ai vari interventi terapeutici nei pazienti

in terapia sub-intensiva che, con la

maschera o il casco, non sono in grado

di eseguire una spirometria. «Dato che

molto spesso la COVID-19 si manifesta

in pazienti con co-morbididi tipo

respiratorio, l’insufficienza respiratoria

più essere il risultato di diversi fattori.

I medici hanno bisogno di conoscere

le cause per poter definire una terapia

efficace e sicura. Come facciamo a

sapere per quale motivo il sangue non

è ossigenato bene? È un problema

di perfusione o di reclutamento?

C’è ostruzione polmonare, ci sono

trombi? La sperimentazione clinica

dei nostri dispositivi ha dimostrato

di fornire informazioni preziose per

rispondere a queste domande e

rappresentare quindi un importante

strumento diagnostico a supporto

delle decisioni dei medici»,

conclude Dellacà.

95


La ricerca

politecnica

continua…

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