MAP - Magazine Alumni Politecnico di Milano #8 - AUTUNNO 2020 - EDIZIONE SPECIALE COVID-19
Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 8 - Autunno 2020 - Edizione Speciale Covid-19
Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 8 - Autunno 2020 - Edizione Speciale Covid-19
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
MAP EDIZIONE SPECIALE - La ricerca e i ricercatori del Politecnico di Milano
che, nel 2020, si sono occupati di temi legati alla pandemia di coronavirus
Ferruccio Resta e il Politecnico di domani • Dossier: i numeri del Poli • La nuova piazza Leonardo • Renzo Piano: 100
alberi tra le aule • Gian Paolo Dallara e DynamiΣ: la squadra corse del Poli • PoliSocial: il 5x1000 del Politecnico di
Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura
tra luce e materia • Paola Antonelli, dal Poli al MoMA di New York • Zehus Bike+ e
Volata Cycles, le bici del futuro • Paolo Favole e la passerella sopra Galleria Vittorio Emanuele • Marco Mascetti:
ripensare la Nutella • I mondi migliori di Amalia Ercoli Finzi e Andrea Accomazzo • Nel cielo con Skyward e Airbus
MAP EDIZIONE SPECIALE - La ricerca e i ricercatori del Politecnico di Milano
che, nel 2020, si sono occupati di temi legati alla pandemia di coronavirus
Cari Alumni, vi racconto il Poli di domani: lettera aperta del rettore Ferruccio Resta • La community Alumni raccontata da Enrico Zio • Atlante
geografico degli Alumni • Il Poli che verrà, raccontato dal prorettore delegato Emilio Faroldi • Vita da studente di fine ‘800 • Come si aggiusta
il Duomo di Milano • L’ingegnere del superponte • Una designer per astronauti • La chitarra di Lou Reed, firmata Polimi • Architettura
italiana in Australia • VenTo: la pista ciclabile che parte dal Poli • Fubles, gli ingegneri del calcetto • Il parco termale più grande d’Europa
• Gli ingegneri del tram storico di Milano • Polisocial Award: un premio all’impegno sociale • Nuovo Cinema Anteo • Caro Poli ti scrivo
1 MAP Magazine Alumni Polimi
Quando ero studente al Poli • Dottori di ricerca alle frontiere della conoscenza • Dove si costruisce il futuro del mondo • Poli da Olimpo • Mi
ricordo la Casa dello Studente • La Nuova Biblioteca Storica • Il telescopio che guarda indietro nel tempo • Speciale Forbes: Lorenzo Ferrario,
Gio Pastori • Big (Designer) Data • L’architetto, e il suo bracciale, salvavita • L’ingegnere che pulisce gli oceani • Il nuovo Cantiere Bonardi di
Renzo Piano • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Politecnico • Alumni da Podio: Fabio Novembre, Stefano Boeri • Tutte
le Ferrari dell’ing. Fioravanti • I ragazzi del Circles • PoliHub, l’incubatore di talenti • 1968-2018 in Piazza Leonardo • Lettere alla redazione
La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
Alumni, il biglietto da visita del Politecnico di Milano - Il Poli sotto la lente d'ingrandimento - Dove va il tuo 5x1000: il Poli per il
sociale - Qui costruiamo il mondo del futuro - Un ingegnere in sala operatoria - Il primo italiano nell’Olimpo dei data scientist -
Made in Italy che fa impazzire il Giappone - Aerei per il futuro - Come ci cureremo nel futuro? - I Navigli del domani - Aeroporto
Marco Polo: destinazione 2027 - Viaggio verso Mercurio Bepicolombo - Campus Bonardi: come sarà nel 2020? - La Gazza del Poli -
Il Mondo Nuovo: un paese senza barriere - La ciclopista più bella del mondo - Tuv Italia - Storia di un fuorisede, di una volta
1
La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
Il Poli ai raggi X - Milano si rifà il look - 5 nuove cattedre per il mondo che cambia - Qui costruiamo il mondo del futuro, parte 3 - CIRC eV,
Il Poli
l'economia
sotto la lente
circolare
d'ingrandimento
gira al Politecnico
- Ricerca
- Galleria
a alto impatto
del vento
sociale
- La diversity
- Qui costruiamo
è pop - L'ingegnere
il mondo del
con
futuro,
la testa
parte
fra gli
2 -
asteroidi...
Un ingegnere
- ...E
in
l'ingegnere
sala
del
tempo - La mano robotica, umana - Infineon - Fabio Cannavale, serial startupper - Mappa di Milano (e dei progetti degli alumni) - Bovisa a
operatoria - Il primo italiano nell’Olimpo dei data scientist - Made in Italy che fa impazzire il Giappone - Il cielo (non) è il limite - Come
colori - Polimisport: sempre in movimento - Giuriati, il centro sportivo si riqualifica al centro del Poli - Anno nuovo, reunion 20 - I giorni di Natta
ci cureremo nel futuro? - I Navigli del domani - Aeroporto Marco Polo: destinazione 2027 - Viaggio verso Mercurio - Milano: come sarà nel
2020? - La Gazza del Poli - Il Mondo Nuovo: un paese senza barriere - La ciclopista più bella del mondo - Storia di un fuorisede, di una volta
1
La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
Il Poli ai raggi X - Milano si rifà il look - 5 nuove cattedre per il mondo che cambia - Qui costruiamo il mondo del futuro, parte 3 - CIRC eV,
l'economia circolare gira al Politecnico - Galleria del vento - La diversity è pop - L'ingegnere con la testa fra gli asteroidi... - ...E l'ingegnere del
tempo - La mano robotica, umana - Infineon - Fabio Cannavale, serial startupper - Mappa di Milano (e dei progetti degli alumni) - Bovisa a
colori - Polimisport: sempre in movimento - Giuriati, il centro sportivo si riqualifica al centro del Poli - Anno nuovo, reunion 20 - I giorni di Natta
1
Buona lettura.
Cari Alumni,
in queste pagine traspare l’impegno corale
del Politecnico di Milano in questo 2020 a dir
poco intenso. Un impegno che abbiamo voluto
raccontarvi, in cui abbiamo creduto noi della
redazione insieme a tutti i docenti che hanno
collaborato a questo numero, dedicandoci del
tempo prezioso. Anzitutto quindi ringrazio di
cuore tutti i ricercatori che hanno partecipato.
Naturalmente, questa raccolta è tutt’altro che
completa: il cartello “lavori in corso” è sempre
appeso alla porta del Politecnico e, nei prossimi
mesi, continueremo ad aggiornarvi sui risultati e
sui progetti a tema covid che non hanno trovato
spazio in questo numero. Vi invito quindi a
continuare a seguirci e a scriverci per condividere
le vostre impressioni; e, soprattutto, vi invito a
dare il vostro sostegno economico al progetto
MAP, un progetto che è ormai entrato a far parte
della tradizione politecnica e che ha bisogno di
tutti voi per poter continuare a vivere.
Federico Colombo
Direttore Magazine Alumni Politecnico di Milano
Dirigente Area Ricerca, Innovazione e Corporate Relations
MAP
Magazine Alumni Polimi
La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
MAP
Magazine Alumni Polimi
La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
MAP
Magazine Alumni Polimi
La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
La rivista degli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano
Numero 1 - Primavera 2017
Numero 3 _ Primavera 2018
Numero 4 _ Autunno 2018
Numero 5 _ Primavera 2019
Numero 6 _ Autunno 2019
Numero 6 _ Autunno 2019
Numero 6 _ Autunno 2019
N°1 - PRIMAVERA 2017
N°2 - AUTUNNO 2017
N°3 - PRIMAVERA 2018
N°4 - AUTUNNO 2018
N°5 - PRIMAVERA 2019
N°6 - AUTUNNO 2019
N°7 - PRIMAVERA 2020
PROSSIMO NUMERO
N°8 - AUTUNNO 2020
N°9 - PRIMAVERA 2021
Unisciti ai 1900 Alumni che rendono possibile la redazione, la stampa e la distribuzione di MAP.
Modalità di pagamento:
Contributi annuali possibili
· On line: sul portale > www.dona.polimi.it
· Bollettino postale: AlumniPolimi Association – c/c postale: n.46077202
Piazza Leonardo da Vinci 32, 20133 Milano
· Bonifico bancario: Banca popolare di Sondrio Agenzia 21 – Milano
IBAN: IT90S0569601620000010002X32
BIC/SWIFT: POSOIT2108Y
70€
Standard
120€
Senior
250€
Silver
500€
Gold
· Presso il nostro ufficio: Politecnico di Milano, piazza Leonardo da Vinci, 32. Edificio 1, piano terra
In questi mesi, a causa delle misure per contenere il contagio, gli orari possono variare. Per verificare scrivere a sostieni@polimi.it
MAP
Magazine Alumni Polimi
La rivista degli architetti,
designer e ingegneri
del Politecnico di Milano
5
DAL RETTORATO
6
Federico Colombo
Dirigente Area Ricerca, Innovazione e Corporate Relations,
Politecnico di Milano
Membri del Comitato Editoriale
Arianna Bellini
International Community Manager
AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano
Alessio Candido
Communication and graphic designer
AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano
Ivan Ciceri
Fundraising Manager
Politecnico di Milano
Luca Lorenzo Pagani
Communication Manager
AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano
Francesca Saracino
Head of CareerService
Politecnico di Milano
Diego Scaglione
Head of Corporate Relations and Continuing
Education - Politecnico di Milano
Irene Zreick
Coordinamento editoriale MAP
AlumniPolimi Association - Politecnico di Milano
Better Days srl (www.betterdays.it)
Progetto grafico: Stefano Bottura
Caporedattore Betterdays: Valerio Millefoglie
Redazione: Carmela Menzella, Giulio Pons,
Elisabetta Limone, Vito Selis, Paola Delicio
Impaginazione: Giulia Cortinovis, Pietro Martina
Si ringraziano i colleghi del Politecnico di Milano che
hanno collaborato a questo numero: Stefania Fornoni,
Sara Gennari, Daniele Piacenza (Alumni Politecnico di
Milano); Elisabetta Caregnato (Fondazione Politecnico
di Milano); Barbara Corallo (Fundraising); Elena Rostan
(Relazioni Media); Annalisa Balloi, Barbara Colombo
e Paola Bagnoli (Trasferimento Tecnologico); Stefania
Grotti, Gianluca Pappalardo e Stefania Suevo (Ufficio
Ricerca); Monica Lancini (Segreteria del Rettore).
Stampa
AGF S.p.A.
Via del Tecchione, 36-36A
20098 - Sesto Ulteriano
San Giuliano Milanese (Mi)
www.agfsolutions.it
Editore e Proprietario
AlumniPolimi Association Politecnico di Milano
Presidente
Prof. Enrico Zio
Delegato del rettore per gli Alumni
Delegato del rettore per il Fundraising individuale
Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano
T. +39.02 2399 3941 - F. +39.02 2399 9207
alumni@polimi.it - www.alumni.polimi.it
PIVA 11797980155 - CF 80108350150
Pubblicazione semestrale
Numero 8 - Autunno 2020
Registrazione presso il Tribunale di Milano n°89
del 21 febbraio 2017
UN NUMERO
SPECIALE
PER PROGETTI
SPECIALI
10
QUI COSTRUIAMO
IL MONDO DEL FUTURO
12
DAL LOCKDOWN AL NEW
NORMAL: COSA SIGNIFICA
IN TERMINI DI MOBILITÀ
PER LA CITTÀ DI MILANO?
16
LA DOMANDA CHE CI
FACCIAMO TUTTI, IN TUTTO
IL MONDO: DOVE AVVIENE
IL CONTAGIO?
19
TELECAMERE TERMICHE E
INTELLIGENZA ARTIFICALE
PER L'IDENTIFICAZIONE
PRECOCE DEI SINTOMI
20
COVID-HOME: COME
SENTIRSI DI NUOVO A CASA,
IN UNA CASA RINNOVATA
22
BLOCKCHAIN IN TEMPI DI
PANDEMIA E MATEMATICA
APPLICATA AL SERVIZIO
SANITARIO PUBBLICO
E PRIVATO
RICERCA
COME SI FA
RICERCA AL
POLITECNICO
DI MILANO
24
MEV: UN SOLO VENTILATORE
POLMONARE PER DIECI PAZIENTI
26
UNA FOTOGRAFIA DELL'ITALIA
PRIMA E DOPO IL LOCKDOWN
28
IL MODELLO SISTEMICO
PER LA GESTIONE
DELL'UNLOCK PROPOSTO
DAL POLITECNICO DI MILANO
30
COVID-19: UN METODO
INNOVATIVO PER MONITORARE
L’EVOLUZIONE DELLA PANDEMIA
32
SUPPLY CHAIN FINANCE:
DIETRO L'EMERGENZA
SANITARIA C'È ANCHE
QUELLA ECONOMICO-SOCIALE
34
STRATEGIE PER CITTÀ
RESILIENTI ALLE EPIDEMIE
38
COME CONTROLLARE
L'EPIDEMIA DI SARS-COV-2?
40
UN RESPIRATORE MECCANICO
SEMPLICE E MENO COSTOSO
PER LE PRE-ICU
56
HEALTH ANAYTICS: I DATI AL
SERVIZIO DELLA SALUTE
72
COME ACCELLERARE LA
SCOPERTA DI VACCINI
CONTRO IL CORONAVIRUS?
42
I DIAGNOSTICATI
COVID SONO LA PUNTA
DELL'ICEBERG.
COSA C'È SOTTO?
44
DI FRONTE ALL'EMERGENZA,
RIDURRE I TEMPI DI REAZIONE
CON LA STAMPA 3D
46
UN SIMULATORE
FISICO DI PAZIENTE NEL
LABORATORIO LABS -
ARTIFICIAL ORGANS DEL
POLITECNICO DI MILANO
48
STRATEGIE DI CONTRASTO
AL CORONAVIRUS: AGIRE
REGIONE PER REGIONE
FA LA DIFFERENZA
50
IL "LATO UMANO" DEL
VIRUS: EXPLORING HUMAN
BEHAVIOR IN A PANDEMIC
SCENARIO
52
L'INTELLIGENZA
ARTIFICIALE AL SERVIZIO
DEL TRACCIAMENTO
DEL CONTAGIO
53
IN CASO DI EPIDEMIA E
LOCKDOWN, COME MEDIARE
TRA RISCHIO SANITARIO
E RISCHIO ECONOMICO?
54
LA FORZA DELL'INFEZIONE:
MEDIARE TRA LOCKDOWN E
RIPRESA DELLE ATTIVITÀ
60
COSA C'È SOTTO: LA COVID-19
VISTA DAL SOTTOSUOLO
64
LA MATEMATICA PER
PREVEDERE QUANDO NE
SAREMO FUORI O RILEVARE
ALLERTE PRECOCI
66
SPAZI DI LAVORO DURANTE
LA PANDEMIA COVID-19:
QUALI IMPATTI SULLA
PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO?
68
È STATO TROVATO UN FARMACO
CANDIDATO A CONTRASTARE
IL VIRUS SARS-COV-2,
RESPONSABILE DELLA COVID-19
70
POLICHINA: IL LIQUIDO
IGENIZZANTE MADE IN
POLITECNICO, OLTRE 100
MILA LITRI IN DUE MESI
88
ARIA NUOVA
CON NARVALO:
LA NUOVA
GENERAZIONE
DI MASCHERINE
INTELLIGENTI
73
LA CURVA DEL RECUPERO
74
LE MASCHERINE
DI PROTEZIONE
DALL'AEROSPAZIO
78
SECURE MULTIPARTY
COMPUTATION E 5G PER
IDENTIFICARE I FOCOLAI
80
SCENARI A CONFRONTO:
UN'ANALISI DELLA MOBILITÀ
IN MOZAMBICO E IN
LOMBARDIA DURANTE LA
PANDEMIA
84
COVID-19: YUMI, IL ROBOT
COLLABORATIVO PER
ANALIZZARE UN MAGGIOR
NUMERO DI TEST SIEROLOGICI
86
UNA FOTOGRAFIA
DEL CONTAGIO GIORNO
PER GIORNO
SPIN-OFF: DAL LABORATORIO ALL'IMPRESA
92
UN METODO
INNOVATIVO
PER LA
DIAGNOSI
POLMONARE
1
DAL RETTORATO
4
UN NUMERO
SPECIALE
PER PROGETTI
SPECIALI
Lettera di apertura da parte del
Presidente Alumni e delegato del rettore
per gli Alumni del Politecnico di Milano
Cari Alumni,
bentornati sulle pagine di MAP. Questo, come vi accorgerete, è un numero un po’
speciale: un numero monografico che raccoglie alcune delle attività di ricerca al
Politecnico di Milano sulla pandemia di coronavirus.
Tutti voi avete studiato sui banchi (e alcuni anche sugli sgabelli) del Politecnico di
Milano, ma forse non siete pienamente consapevoli del ruolo che l’Ateneo ricopre
nel panorama della ricerca nazionale e internazionale. Le ricerche che i docenti e
i ricercatori portano avanti giorno dopo giorno costituiscono le fondamenta del
sapere Politecnico.
In questi mesi, inevitabilmente è emerso un focus importante sulla gestione della
crisi pandemica che stiamo vivendo. Anche il Politecnico si è attivato, sicuramente
per garantire continuità alla formazione dei suoi studenti, ma non solo. Tanti
ricercatori hanno messo le loro competenze a disposizione e il loro tempo al
servizio della comunità, avviando studi e ricerche di soluzioni per fronteggiare la
situazione di crisi che ci coinvolge tutti.
Noi dell’Associazione Alumni, e io personalmente come delegato del rettore agli
Alumni, abbiamo il compito di tenervi aggiornati su e coinvolti con il Politecnico,
anche nelle sue ricerche e contestualmente all’impatto che queste hanno sul
mondo in cui viviamo. Tenendo fede al nostro compito, in questo numero abbiamo
chiesto ad alcuni dei nostri ricercatori di raccontare quello che hanno studiato in
questi mesi e compreso sui meccanismi di diffusione del virus, sull’effetto delle
misure di mitigazione dell’impatto della pandemia, sui nuovi modi per affrontare
i rischi globali in generale.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura.
Enrico Zio
Illustrazione: United Nations COVID-19
Response Creative Content Hub.
5
DAL RETTORATO
1
COME SI FA
RICERCA AL
POLITECNICO
DI MILANO
Intervista a Donatella Sciuto, prorettrice e delegata del rettore alla ricerca
Al Politecnico di Milano lavorano
oltre 3.500 ricercatori (tra docenti,
ricercatori, assegnisti e dottorandi) su
moltissimi temi di ricerca scientifica e
tecnologica con un importante impatto
sul mondo che ci circonda. Ne abbiamo
parlato con la prorettrice.
Professoressa Sciuto, ci può dare un
quadro della strategia del Politecnico
di Milano relativamente alla ricerca
accademica? Come si posiziona
l’Ateneo in Europa?
Esistono diverse forme di
finanziamento istituzionale che
arrivano dal Ministero, dalle Regioni
e da altre istituzioni. La maggior parte
dei fondi arrivano dall’Unione Europea.
Nell’ambito del programma Horizon (lo
strumento della Commissione europea
per il finanziamento alla ricerca),
dal 2014 al 2020 abbiamo ricevuto
finanziamenti per 400 progetti, per
un totale di 177 milioni di euro. Siamo
il primo ateneo italiano e tra i primi
15 in Europa per la nostra capacità di
attrarre “grant”, cioè finanziamenti,
dall’Unione Europea.
Su cosa si concentra la ricerca
finanziata dalla Commissione europea?
Tocca moltissimi temi, in questi ultimi
anni i maggiori che ci hanno visti
coinvolti sono quelli del digitale, dello
sviluppo industriale, dei materiali, dello
spazio e dell’energia. Sono temi su cui
come Ateneo siamo forti. Stiamo anche
crescendo sulle life science e, nel
prossimo programma Horizon (Horizon
Europe, che coprirà gli anni tra il 2021
e il 2027), saranno attivate cinque
missioni di ricerca specifiche nelle quali
possiamo giocare un ruolo importante
con le nostre competenze scientifiche,
per esempio nei cambiamenti climatici
e nella trasformazione sistemica verso
la neutralità climatica delle città.
Inoltre il Green Deal porterà ulteriori
opportunità di attivare progetti
cooperativi di ricerca su tutte le aree di
ricerca del Politecnico.
Quali sono i punti su cui
strategicamente stiamo investendo
per migliorare la nostra capacità di
ricerca?
La situazione ideale vedrebbe un
Politecnico con più dottorandi.
I dottorandi, insieme ai giovani
ricercatori (come i post-doc e gli
assegnisti) sono importantissimi
perché iniettano nuova linfa nel
sistema della ricerca. Hanno passione,
energia, nuove idee e tempo da
dedicare verticalmente e intensamente
a problemi e temi molto specifici.
Rispetto al contesto internazionale
questo è un punto su dobbiamo
crescere e infatti da diversi anni
stiamo investendo in questa direzione.
Questo, a sua volta, sta già avendo
6
«Nell’ambito del programma Horizon
(lo strumento della Commissione europea per il
finanziamento alla ricerca), dal 2014 al 2020 abbiamo
ricevuto finanziamenti per 400 progetti, per un totale
di 177 milioni di euro. Siamo il primo ateneo italiano e
tra i primi 15 in Europa per la nostra capacità di attrarre
“grant”, cioè finanziamenti, dall’Unione Europea»
ricadute positive su tutto il sistema
politecnico, in cui ricerca e didattica si
contaminano continuamente.
In che modo il Politecnico sta
investendo sui giovani ricercatori?
Abbiamo lavorato tanto per
incrementare il numero di borse di
dottorato, in parte finanziandole con
fondi di Ateneo, in parte stimolando
le aziende all’interno di accordi di
collaborazione che includono la
possibilità di finanziare queste borse.
Abbiamo avviato un programma con
Assolombarda e Fondazione Cariplo per
cercare di coinvolgere anche le PMI e
incentivarle a vedere il dottorato come
una risorsa. Stiamo investendo anche
nei passi successivi, cioè nell’offrire una
maggiore forma di stabilità ai contratti
dei ricercatori dopo il dottorato. Nel
piano strategico 2017-2020 avevamo
l’obiettivo di assumere 100 nuovi
ricercatori, obiettivo che è stato
raggiunto e superato. Per il triennio
2020-2022, prevediamo di incrementare
il numero dei ricercatori di un ulteriore
20%. Parallelamente, abbiamo avviato
un programma di talent development
per sostenere i giovani e renderli più
competitivi nell’acquisizione di grant
europei e in generale sul mercato
internazionale della ricerca.
E invece, per quanto riguarda i
laboratori? “Come sta” il Poli da
questo punto di vista?
Anche su questo fronte siamo
posizionati abbastanza bene.
Abbiamo alcuni laboratori che
rappresentano un asset importante
a livello internazionale, ne cito
due fra tutti: la Galleria del Vento
e Polifab, la nostra clean-room (ne
abbiamo parlato negli scorsi numeri,
n.d.r.). Sono esempi trainanti ma non
sono gli unici. Bisogna rimanere al
passo, gli strumenti evolvono nel
tempo e necessitano investimenti e
aggiornamenti continui, soprattutto per
quanto riguarda la ricerca di frontiera.
L’obiettivo del Politecnico è quello di
continuare a potenziare i laboratori,
in particolare quelli sperimentali,
«Tante aziende
oggi investono
su progetti di
ricerca ad ampio
respiro e a lungo
termine, che non
hanno magari
un’applicazione
nell’immediato»
7
«Quando qualcuno
fa ricerca lo fa
perché gli piace
studiare una
disciplina o un
tema, perché
si appassiona
a un problema.
Noi partiamo da
lì, poi c’è anche
tutto il resto.
La ricerca parte
dalla passione»
che hanno costi più elevati. In parte, i
grant europei che arrivano tramite ERC
(vedi nn. scorsi, n.d.r.) servono anche
a tenere aggiornati i laboratori. D’altro
canto, laboratori allo stato dell’arte
sono condizioni fondamentali per
continuare ad attrarre i fondi europei.
Inoltre, è anche molto importante
fare rete con altri enti di ricerca. Per
esempio, oggi sono moltissime le
linee di ricerca aperte nel campo delle
life science e della medicina clinica.
I nostri ricercatori lavorano fianco a
fianco con medici, biologi ecc. negli
ospedali e negli istituti di ricerca
medici, condividendo spazi e risorse,
l’ospedale stesso diventa il laboratorio.
A fianco della ricerca finanziata
dall’Unione Europea, c’è quella
“commissionata”, cioè sviluppata in
collaborazione con le aziende. Come
funziona? A quanto ammonta il valore
dei finanziamenti alla ricerca erogati
dalle aziende?
Siamo nell’ordine dei 40 milioni di
euro nel 2019, è il dato più aggiornato
al momento. Non è così diversa,
nella pratica, da quella finanziata
dall’Unione Europea. Cambiano un po’
le prospettive temporali, ma nemmeno
troppo: tante aziende oggi investono su
progetti di ricerca ad ampio respiro e a
lungo termine, che non hanno magari
un’applicazione nell’immediato. Se è
vero che spesso questo tipo di progetti
ha una relazione con i bisogni specifici
dell’azienda, si tratta nella maggior
parte dei casi di cercare soluzioni a
problemi che oggi non hanno ancora
visto risposte convincenti dal punto
di vista scientifico, quindi sono un
campo aperto. Non c’è una divisione
netta tra ricerca di base e ricerca
applicata. Questo vale soprattutto
per i nostri partner strategici, con cui
collaboriamo da molti anni. Nel caso di
collaborazioni nuove, la sfida è creare
il legame tra i ricercatori e l’azienda,
richiede di imparare a relazionarsi
con una dimensione diversa da quella
accademica. Altre volte, si fa fatica a
far capire alle aziende che devono
guardare oltre il day by day. La cultura
aziendale va accompagnata nel capire
che la ricerca è importante per lo
sviluppo, anche se non porta a un
riscontro immediato.
Oltre alla didattica e alla ricerca, il
Politecnico ha previsto nel suo piano
strategico anche una terza missione,
quella dell’impatto sul contesto
sociale, industriale e tecnologico. In
che modo si misura questo impatto?
Gli ambiti in cui si esercita questa terza
missione sono moltissimi. Dal punto di
vista dell’impatto della ricerca, alcuni
esempi sono 13 spin-off e i brevetti
che generano innovazione e ricchezza
sul territorio. 13 spin-off è un tipo di
start up che si sviluppa a partire da
un’innovazione scientifica. Il Politecnico
ha registrato 90 brevetti e fondato
13 spin- off nel 2019. Sono modalità
«Il Politecnico ha registrato 90 brevetti e fondato
13 spin- off nel 2019. Sono modalità che permettono
ai ricercatori di non fermarsi al risultato ma di
applicarlo, di concretizzare la possibilità di andare
sul mercato, di trasformare un’idea in qualcosa
di applicabile e utile per qualcuno»
8
che permettono ai ricercatori di non
fermarsi al risultato ma di applicarlo,
di concretizzare la possibilità di andare
sul mercato, di trasformare un’idea
in qualcosa di applicabile e utile per
qualcuno.
Dal laboratorio all’impresa, quindi, il
passo è breve?
Direi di no. Nel caso delle spin-off,
per esempio, una delle maggiori
sfide è proprio quella di creare
un’azienda, fare un business plan
e un piano di industrializzazione,
che è un altro mestiere rispetto
a quello del ricercatore. Abbiamo
creato un programma specifico
per incentivare questo passaggio:
Switch to Product, una call for ideas
annuale, con l’obiettivo di finanziare
la realizzazione di proof of concept
di una idea di ricerca e fornire ai
ricercatori gli strumenti per poter fare
un effettivo trasferimento tecnologico
sul mercato. Abbiamo anche avviato
corsi di formazione sulla proprietà
intellettuale rivolti ai dottorandi
perché, per capire come funziona il
trasferimento tecnologico, bisogna
imparare a considerare dimensioni
completamente nuove rispetto a quelle
che servono per fare ricerca. C’è da
precisare però che i ricercatori a queste
cose ci pensano poco, specialmente
quando partono. Io, per esempio, sono
titolare di diversi brevetti, ma ogni volta
che inizio un progetto di ricerca non mi
chiedo affatto se il risultato dei miei
studi sarà brevettabile o trasferibile.
Quando anni fa ho cominciato a
lavorare con un gruppo di ricerca su
problemi di localizzazione interna agli
edifici sulla base dei segnali cellulari,
l’abbiamo fatto perché il problema era
interessante, non pensavamo certo di
brevettarlo. È solo una volta trovata
la soluzione che il dubbio ti viene.
Ovviamente è diverso quando si lavora
in collaborazione con le aziende, è
più facile che l’obiettivo sia quello,
perché si parte già da un problema a
cui è necessario trovare una soluzione
tecnologica utilizzabile, e che va
protetta perché può rappresentare un
vantaggio competitivo per l’azienda.
Ma quando qualcuno fa ricerca lo fa
perché gli piace studiare una disciplina
o un tema, perché si appassiona a un
problema. Noi partiamo da lì, poi c’è
anche tutto il resto. La ricerca parte
dalla passione.
Quali sono i problemi scientifici più
interessanti dei nostri tempi?
Esistono alcune linee direttrici che
tutto il mondo condivide, stimoli
a concentrare i nostri sforzi sui
temi più urgenti del nostro tempo.
Principalmente si tratta del green
deal, cioè la transizione verde, e
della sfera del digitale. Sta crescendo
esponenzialmente anche tutta la
parte di life science. In questi grandi
“contenitori” c’è di tutto, dallo spazio,
alla mobilità, all’urbanistica, all’energia,
ai materiali nel mondo della ricerca
non ci sono confini, le soluzioni
possono arrivare da campi inattesi.
E tra 20 anni? Su cosa faremo ricerca
nel futuro?
È difficile rispondere a questa
domanda. Non abbiamo la sfera di
cristallo, ma stiamo lavorando a un
nuovo Technology Foresight Center al
Politecnico di Milano per cercare di
essere di supporto ai decisori rispetto
alle scelte di politica industriale
e a quelle di ricerca e sviluppo.
Il Technology Foresight Center si
occuperà di studiare le tecnologie di
punta che negli anni futuri potrebbero
diventare rilevanti, sulle quali ci sarà
più interesse sia da punto di vista dei
risultati scientifici attesi sia quello
delle possibili trasformazioni che
questi metteranno in atto. Un esempio
tra molti è quello del quantum
computing. Si tratta di un tema oggi
inesistente nelle aziende, ma dalle
enormi potenzialità. È quindi un tema
su cui bisogna investire oggi per non
essere dei follower domani, come
Paese. Questo è il tipo di messaggio
che vorrebbe dare il Technology
Foresight Center, descrivendo in termini
temporali le tecnologie più vicine e
quelle più lontane e identificando
il modo di attrezzarsi per dominare
la tecnologia, e non semplicemente
comprarla. Sarà uno dei maggiori
strumenti anche per noi, come
Ateneo, per decidere in che direzione
sviluppare la ricerca o quali nuove
linee aprire laddove non abbiamo le
competenze oggi.
«Green deal,
digitale,
life science:
in questi grandi
“contenitori”
c’è di tutto,
dallo spazio,
alla mobilità,
all’urbanistica,
all’energia,
ai materiali.
Nel mondo
della ricerca non
ci sono confini,
le soluzioni
possono arrivare
da campi inattesi»
9
QUI COSTRUIAMO IL
3 RICERCA
Sono tantissimi i docenti e i ricercatori che, nel 2020,
hanno lavorato a progetti di ricerca correlati alla pandemia
di coronavirus. In questo numero ve ne presentiamo alcuni
Manuela
Antonelli
Arianna
Azzellino
Giovanni
Azzone
Giuseppe
Baselli
Michela
Bassanelli
Emilio
Barucci
Niccolò
Becattini
Giovanni
Bonaccorsi
Tommaso
Buganza
Enrico
Caiani
Federico
Caniato
Stefano
Capolongo
Francesco
Casella
Simone
Cinquemani
Patrizio
Colaneri
Bianca Maria
Colosimo
Matteo
Corno
Maria Laura
Costantino
Fabio
Della Rossa
Claudio
Dell'Era
10
11
MONDO DEL FUTURO
Andrea
Zanchettin
Enrico
Zio
Simone
Vantini
Giacomo
Verticale
Fabio
Zucca
Matteo
Strano
Filippo
Gazzola
Massimo
Tornatore
Francesca
Grassetti
Cristina
Silvano
Piercesare
Secchi
Giuseppe
Sala
Francesca
Ieva
Fabio
Dercole
Cristina
Rossi-Lamastra
Nicola
Gatti
Marino
Gatto
Manuela
Raimondi
Francesca
Malpei
Andrea
Flori
Daniele
Marazzina
Davide
Manca
Gianluca
Palermo
Fabio
Pammolli
Mariapia
Pedeferri
3 RICERCA
#Modelling
DAL LOCKDOWN AL NEW
NORMAL: COSA SIGNIFICA
IN TERMINI DI MOBILITÀ
PER LA CITTÀ DI MILANO?
Per rispondere a questa domanda, ATM ha firmato un accordo
di ricerca con il Politecnico. Il risultato è un modello matematico
in grado di prevedere per ogni fermata della metropolitana,
ogni mezz’ora, come evolverà il traffico di passeggeri.
«Non torneremo più a un mondo in cui partiamo tutti alle otto del
mattino e torniamo tutti alle sette di sera: le persone non lo vogliono
e nemmeno le aziende. Bisogna ripensare il trasporto urbano»,
commenta il prof. Giovanni Azzone
GIOVANNI AZZONE
Dipartimento di Ingegneria
Gestionale
Alumnus Ingegneria Gestionale
PIERCESARE SECCHI
Dipartimento di Matematica
La collaborazione tra ATM e Politecnico
di Milano riguarda la riprogettazione
del servizio sulla rete metropolitana
milanese per rispondere alle nuove
esigenze di trasporto urbano in
relazione alle restrizioni sulla mobilità
che entrano in vigore di volta in volta
nelle diverse fasi dell’epidemia.
Del progetto si occupano il prof.
Giovanni Azzone, che guida il gruppo
di ricerca Trespassing, gruppo
interdipartimentale con competenze
trasversali sui temi di innovazione per
la mobilità e le infrastrutture, e il prof.
Piercesare Secchi. In particolare, nella
collaborazione con ATM, sono coinvolti
sette ricercatori dei dipartimenti di
Matematica e di Ingegneria Gestionale.
Si stima che lo studio avrà la durata
di un anno e un costo di circa 100.000
euro. Verrà cofinanziato da ATM per il
75% e dal Politecnico per il 25%.
«Il nostro punto di partenza è stato
quello di capire come la mobilità
urbana milanese stia cambiando
in seguito all’emergenza covid e,
soprattutto, come questo cambiamento
12
possa essere affrontato con strumenti
innovativi, non semplicemente
inseguendo una situazione inaspettata,
ma cercando di anticipare i problemi
per non farci trovare impreparati»
racconta Azzone. L’obiettivo immediato
è quello di conciliare esigenze di
sicurezza dei passeggeri (evitare
assembramenti in metropolitana) ed
esigenze di sostenibilità del trasporto
(lavoratori e aziende, infatti, continuano
ad aver bisogno di potersi spostare).
«Ma abbiamo anche un obiettivo di
più ampio respiro: quello di trovare un
sistema efficiente per il dopo-covid, un
sistema che possa essere utilizzato per
organizzare al meglio il funzionamento
della rete metropolitana in quello a cui
iniziamo a pensare come “new normal”,
la nuova normalità».
Come funziona? Gli utenti della
rete metropolitana lasciano
automaticamente una serie di segnali,
ad esempio timbrando il biglietto
e passando dai tornelli in entrata
o in uscita da una stazione, e molti
treni sono già dotati di sensori che
permettono di stimare il numero dei
passeggeri trasportati misurandone
il peso totale. Queste informazioni
consentono di fare delle proiezioni per
prevedere i movimenti dei passeggeri
(per esempio, lunghezza e direzione
del percorso) e, fondamentale in
questo momento, conoscere il livello
di occupazione delle carrozze. Secchi,
responsabile dell’elaborazione del
modello, illustra il percorso: «Abbiamo
iniziato a lavorare lo scorso maggio
accoppiando tutte le sorgenti dati.
In questo modo abbiamo creato un
modello semplice di simulazione dei
flussi di trasporto che ci permette, già
oggi, di prevedere dove si formeranno
situazioni di saturazione delle tratte o
di affollamento nelle stazioni. In più,
il modello ci consente anche di avere
una visione sistemica di come la rete
stia rispondendo alla domanda di
mobilità, e questa visione va oltre il
problema del coronavirus. Si tratta di
un modello flessibile che può adattarsi
a mutevoli ipotesi di scenario su
base locale: quartieri o anche singole
fermate della metropolitana. Permette
per esempio di prevedere l’impatto
della chiusura di una singola università
o di una grande azienda sulla gestione
della rete». Il modello è stato elaborato
in poche settimane ed è già utilizzato
da ATM tramite un software sviluppato
dai ricercatori. «L’obiettivo che adesso
13
ci poniamo è quello di costruire gli
strumenti per stimare il numero di
persone che entrano in metropolitana
e la loro destinazione, su scala locale
(fermata) e su unità temporali molto
piccole (mezz’ora). Tutto questo, senza
dover tracciare il loro tragitto tramite
GPS e senza chiedere agli utenti di
fornirci alcuna informazione, solo sulla
base del modello che stima i percorsi
a livello statistico con matrici originedestinazione
che evolvono nel tempo.
Queste stime ci daranno un quadro
completo della domanda di trasporto».
Un secondo obiettivo sarà quello di
sviluppare un’app per mettere tutte
queste informazioni a disposizione
dell’utente, che a questo punto
potrebbe adattare le proprie scelte
in base alla saturazione delle linee
e alle alternative proposte. In futuro,
i ricercatori declineranno il modello
anche alla rete di superficie: non
solo, quindi, sulla metropolitana
ma su tutta la rete di trasporto
pubblico, individuando o suggerendo
l’implementazione di possibili sinergie
sia con tram e autobus, sia con
modalità di spostamento in sharing,
come quelle che tutte le grandi città
stanno sperimentando da anni. «La
prospettiva di Trespassing è quella
di guardare al sistema, più che
alle particolari soluzioni tecniche»,
spiega Secchi. «Non siamo ingegneri
trasportisti, a noi interessa capire quali
siano gli impatti economici e sociali
dei cambiamenti in atto, relativamente
ai modi in cui il sistema dei trasporti
viene controllato e gestito. I tecnici si
occuperanno poi di costruire l’orario
più efficiente; noi stiamo studiando i
14
«Questo
modello cambia
radicalmente
lo scenario per la
pianificazione della
mobilità urbana»
modi per adattare il sistema a coloro
che lo usano e viceversa». Azzone
aggiunge: «Questo modello cambia
radicalmente lo scenario per la
pianificazione della mobilità urbana.
In Lombardia, è già disponibile una
matrice origine-destinazione, ma
esclusivamente su scala comunale
(permette cioè di sapere chi viaggia da
Milano a Monza, non da Piola a Duomo)
e la scala temporale è il giorno medio
dell’anno. Il nostro obiettivo invece è
quello di sapere, ogni mezz’ora, quindi
quasi in tempo reale, cosa succede in
ogni fermata della metropolitana e
potenzialmente anche di ogni mezzo
di superficie. Questo è possibile grazie
al modello elaborato dal gruppo del
prof. Secchi e all’utilizzo dei Big Data.
Accoppiando il modello, i dati e la
sensoristica, potremmo addirittura
essere in grado di dire al passeggero su
quale carrozza dovrebbe salire».
Tutto questo assume ancora più
importanza oggi. Non solo per la
necessità di limitare il contagio nella
città di Milano, contenendo allo stesso
tempo gli effetti collaterali sulle
attività sociali e produttive: «Siamo
fermamente convinti che il futuro non
sarà un ritorno alla “vita di prima”»
conclude Azzone. «La sperimentazione
del remote-working sta già cambiando
profondamente il mondo del lavoro e,
per restare sul tema di cui ci occupiamo,
richiederà una mobilità molto più
personalizzata e flessibile. Non
torneremo più a un mondo in cui tutti
usciamo da casa alle otto del mattino e
torniamo alle sette di sera: le persone
non lo vogliono e nemmeno le aziende.
Sia in termini di trasporto interurbano
che urbano, servono forme di mobilità
in grado di rispondere a una richiesta
specifica e non standardizzata, che
cambia nel tempo. Questo complica
molto le attività di chi deve gestirla.
Proprio per questo c’è la necessità di
avere strumenti che, in tempo reale,
consentano l’adattamento sia della
domanda che dell’offerta di mobilità.
La nostra risposta è uno strumento che
permetta di rispondere a una domanda
che sta cambiando, non sappiamo
come cambierà ma saremo pronti».
Fotografie: © Corrada 2019
15
3 RICERCA
#Data
# GeographyOfContagion
LA DOMANDA CHE CI FACCIAMO
TUTTI, IN TUTTO IL MONDO:
DOVE AVVIENE IL CONTAGIO?
Dove avviene maggiormente il contagio e come si muove? Quali
sono i fattori ambientali, territoriali e sociali che ne determinano
la maggiore diffusione? E quali le restrizioni che hanno avuto la
maggiore efficacia nel suo contenimento? Queste le domande alla
base dello studio incentrato sulla geografia del contagio. Ce ne parla
la responsabile della ricerca, la prof. Arianna Azzellino
ARIANNA AZZELLINO
Dipartimento di Ingegneria
Civile e Ambientale
Alumna Ingegneria Sanitaria
Ambientale
Lo studio è finalizzato a ricostruire
la geografia del contagio sulla base
di analisi di correlazione tra i numeri
ufficiali dei contagi e le statistiche
territoriali di densità di popolazione,
mobilità, inquinamento atmosferico,
temperatura e umidità. Perché Lodi
e a seguire Bergamo sono risultate
le province più colpite in Lombardia
a seguito della cosiddetta prima
ondata? E perché il quadro si presenta
differente in questa seconda ondata?
Il punto chiave di questo studio, che
lo distingue da studi similari che
affrontano la tematica dal punto di
vista modellistico, è l’approccio di
tipo “bottom-up” che ricostruisce le
dinamiche di diffusione a partire dai
dati rilevati sul territorio, consentendo
così di tener conto di più fattori rispetto
a quelli mediamente considerati dai
modelli epidemiologici. Una prima
domanda a cui si è cercato di fornire
risposta è stata quella di valutare se
la maggiore o minore diffusione del
contagio fosse associabile a particolari
caratteristiche demografiche delle
province interessate dal maggior
numero di contagi. Ai fini di questa
analisi sono stati considerati gli
indicatori utilizzati dall’ISTAT per il
bilancio demografico annuale che, per
poter essere analizzati in relazione ai
contagi, sono stati sottoposti a tecniche
di riduzione della dimensionalità
(analisi fattoriale), e poi sottoposti ad
analisi di regressione.
L’analisi ha mostrato come i contagi
durante la prima ondata siano stati
più elevati nelle province dalla
popolazione più giovane e con i
maggiori saldi migratori dall’estero e
dall’interno. In pratica, un contesto
territoriale di elevata dinamicità in
termini di trasferimenti di individui
sia interni sia provenienti dall’estero,
province che probabilmente sono
anche poli di pendolari. L’analisi
degli spostamenti di individui è stata
effettuata sulla base della matrice
origine-destinazione disponibile sul
portale degli OPEN DATA della Regione
Lombardia. Gli spostamenti in questo
dataset, attualizzati al 2020, sono
classificati per motivi di lavoro, studio,
occasionali, affari e rientro a casa.
Le province di Milano, Bergamo e
Brescia sono state quelle caratterizzate
dal maggior numero assoluto di
spostamenti. La provincia di Lodi,
pur non essendo tra le più rilevanti
in termini di spostamenti assoluti, è
invece caratterizzata da una percentuale
rilevante di spostamenti extra-provincia
e orbitante principalmente su Milano,
Cremona e Pavia. Allo stesso modo la
Provincia di Milano è un nodo cruciale
della mobilità in Lombardia (34% degli
spostamenti totali). Gli spostamenti
delle merci sono un fattore altrettanto
significativo. Se in termini assoluti i
maggiori movimenti di merci sono stati
quelli relativi alle province di Milano,
Brescia e Bergamo, è interessante
rilevare che Bergamo, Lodi e Cremona,
le province più colpite dalla COVID-19
durante la prima ondata, ricevevano
merci da un gran numero di altre
province lombarde. La diffusione del
contagio durante la prima ondata in
Lombardia sembra associata a una
16
CONTAGI
AL 6 MARZO
popolazione giovane e molto mobile
quale è quella della provincia di Lodi
orbitante soprattutto sulle province di
Milano, Cremona e Pavia e ai movimenti
delle merci che connettono la zona
del primo focolaio nel lodigiano alla
bergamasca e di lì al territorio bresciano.
Una differenza rilevante tra la prima e la
seconda ondata che stiamo vivendo è
il legame con la densità di popolazione
delle province. Se durante la prima
ondata i contagi non correlavano
significativamente con la popolazione
delle province interessate, essendo
ancora fortemente legati ai focolai
iniziali, in questa seconda ondata la
correlazione con la popolosità delle
province appare più evidente, segno
di una diffusione relativamente
omogenea del virus sul territorio,
che al rinstaurarsi delle condizioni
favorevoli per la trasmissione, ha
generato un numero di contagi
dipendente della popolazione delle
province. Costituiscono un’eccezione
nel quadro della seconda ondata le
province di Bergamo e di Brescia che
si presentano decisamente al di sotto
della curva attesa in base alla loro
17
popolazione. Questo è probabilmente
dovuto al maggiore impatto che ebbero
queste province nel corso della prima
ondata e forse anche ad una migliore
gestione locale del contenimento dei
contagi.
Infine, estendendo l’analisi a tutte
le province delle regioni italiane più
popolose, la correlazione con la densità
di popolazione viene confermata e,
come nel caso appena esaminato
delle province lombarde, spiccano
alcune regioni che hanno gestito in
modo migliore la pandemia: L’Emilia-
Romagna e il Veneto che possono
vantare un significativo numero delle
loro province al di sotto della linea di
correlazione tra contagi e densità di
popolazione.
Veneto ed Emilia-Romagna, oltre ad
aver investito molto nella capacità
di analizzare tamponi ed essersi
dotate di risorse specifiche per il
tracciamento dei contatti dei contagi,
vantano anche entrambe una migliore
organizzazione della medicina sul
territorio che ha consentito loro di
gestire meglio di altre regioni sia
la prima che la seconda ondata. In
questo quadro potrebbe sembrare
particolarmente virtuosa anche la
provincia di Napoli anche se, è bene
sottolinearlo, la Campania in base
ai dati ufficiali, processa un numero
di tamponi per abitante molto
più basso rispetto ad altre regioni
altrettanto popolose (es. a fronte
dei 4800 tamponi per 10.000 abitanti
dell’Emilia-Romagna e i 3260 del
Veneto, la Campania ne processa solo
2585) e questo potrebbe spiegare il
numero di positivi inferiore all’atteso
in base alla densità di popolazione
della provincia. Le province di Torino,
Roma e Milano presentano un
numero di contagi significativamente
superiore al valore atteso in base alla
densità di popolazione.
Questi primi risultati, che saranno presto
oggetto di una pubblicazione, ci hanno
convinto ad approfondire lo studio
della diffusione del contagio e quello
delle politiche di contenimento facendo
affidamento anche sull’analisi di dati
telefonici che consentiranno di disporre
di una fotografia reale degli spostamenti
relativa al periodo antecedente e
posteriore all’introduzione delle
restrizioni per il contenimento della
diffusione del virus. Questo studio
avverrà in collaborazione con il
Dipartimento DASTU e sarà l’oggetto di
un dottorato inter-dipartimentale la cui
supervisione è condivisa con la collega
Grazia Concilio. Le attività di ricerca
potranno inoltre beneficiare anche delle
competenze del nucleo transdisciplinare
DATA@TER che riunisce le competenze
dei dipartimenti DESIGN, DEIB, DASTU,
DIG, DABC, DMAT al fine di analizzare
fenomeni socio-ambientali complessi,
e di supportare politiche, strategie e
modelli di governance.
18
# HumanBehaviourInDesign
TELECAMERE TERMICHE
E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
PER L’IDENTIFICAZIONE
PRECOCE DEI SINTOMI
Un gruppo di ricerca del Dipartimento di Meccanica sta studiando
un metodo per contenere il contagio sui luoghi di lavoro attraverso
l’applicazione di metodiche per lo studio di human behaviour in design
NICCOLÒ BECATTINI
Dipartimento di Meccanica
Alumnus PhD Ingegneria
Meccanica
La crisi determinate dalla pandemia
di coronavirus ha fatto emergere
la necessità di nuovi approcci per
garantire la salute e la sicurezza dei
lavoratori, con l’obiettivo di limitare
la diffusione dell’infezione anche
attraverso l’identificazione precoce dei
sintomi. Il prof. Niccolò Becattini, del
Dipartimento di Meccanica, lavora da
anni sul tema dello human behaviour
in design. Il suo gruppo di ricerca ha
sviluppato un metodo di osservazione
e classificazione del comportamento
umano e dei processi cognitivi. «La
ricerca da cui siamo partiti si occupa
del lato umano della progettazione:
cerchiamo cioè di capire come
pensano i progettisti, con l’obiettivo di
sviluppare strumenti più efficaci per
facilitare la progettazione. Negli ultimi
5 anni abbiamo costruito una stanza
attrezzata per queste osservazioni
(tutte le info a questo link: sparkproject.net),
grazie a un finanziamento
della Commissione europea, che
sostanzialmente è una piattaforma
di realtà aumentata proiettata
(Spatial Augmented Reality), dove i
progettisti interagiscono tra loro e con
la tecnologia. I loro comportamenti
vengono registrati e analizzati con
tecniche di image processing e
recognition. Con lo scoppiare della
pandemia, ci siamo accorti che questo
metodo ha una possibile applicazione
nel supportare i protocolli di sicurezza
nei luoghi chiusi, luoghi di lavoro o
istituzioni, dove il rischio di infezione è
molto più alto».
L’obiettivo di Becattini è quello di
progettare un sistema integrato di
telecamere termiche e tecniche di
image processing utilizzabile, per
esempio, negli uffici, in fabbrica o nelle
aule. La fusione e l’analisi in real time
dei dati raccolti sarebbe in grado, grazie
all’intelligenza artificiale, di identificare
movimenti, comportamenti a rischio
e presenza di sintomi da infezione
respiratoria in modo non intrusivo e
garantendo la privacy delle persone.
L’obiettivo è quello di identificare i casi
sospetti per una immediata verifica.
Allo stesso tempo il sistema sarebbe
in grado di certificare che i datori di
lavoro rispettino le misure di sicurezza
imposte per il contenimento del virus.
«Le tecniche per lo studio di human
behaviour in design che abbiamo
sviluppato ci stanno anche dando
informazioni importanti su come
uomo e tecnologia interagiscono, in
particolare nel caso delle tecnologie
collaborative, e come progettare al
meglio questi strumenti anche in caso
di collaborazioni a distanza, come
ci siamo abituati a fare in questo
periodo», conclude Becattini.
19
3 RICERCA
#Home
#Architecture
COVID-HOME: COME
SENTIRSI DI NUOVO A CASA,
IN UNA CASA RINNOVATA
Le pandemie impongono modifiche nella società ma anche negli
edifici: come sono cambiate le case sotto le grandi pandemie a partire
dall’Ottocento e come dovranno cambiare ora? Lo studio Covid-Home
prova a dare una risposta
MICHELA BASSANELLI
Dipartimento di Architettura
e Studi Urbani
Alumna Architettura
«Le case sono diventate luoghi
dell’assenza» dice Michela Bassanelli
del Dipartimento di Architettura e
Studi Urbani del Politecnico di Milano,
riferendosi a chi ha perso un proprio
caro a causa della pandemia. «Anche
da un punto di vista psicologico
credo che saranno dimora di ricordi
da rielaborare, perché gli oggetti
costituiscono il primo legame con la
memoria degli spazi che abitiamo». E
sono proprio le ricadute psicologiche
e sociali della pandemia sull'abitare
a costituire per Bassanelli le
fondamenta del progetto Covid-Home:
«Nell’era pre-Covid eravamo abituati
ad abitare una costellazione di
spazi, sia interni che esterni - spiega
Bassanelli - poi la casa ha assorbito
la nostra intimità così come la nostra
socialità. Alla casa è stato chiesto di
accogliere nuovi ruoli e dare nuove
risposte a diverse necessità: dal
lavorare da casa a fare sport in casa,
ma anche a tramutarsi in luogo di
cura, perché è lì, e non in ospedale,
che molte persone gestiscono il
periodo di durata della malattia».
Da qui, la volontà di interrogarsi sui
cambiamenti degli spazi casalinghi,
a partire da una prima parte di
ricerca storica andando ad analizzare
come l’Architettura ha risposto alle
pandemie che si sono succedute a
partire dall’Ottocento e come sta
invece reagendo oggi. Un esempio
su tutti: «Alla fine dell’Ottocento per
prevenire tutte le infezioni respiratorie
dovute alla tubercolosi, sulla scia delle
prescrizioni mediche che indicavano
la necessità di aerare di frequente
i locali, gli architetti contribuirono
a questo obiettivo eliminando le
sovrabbondanza di tendaggi, tappeti e
panneggi. Gli interni dell’epoca erano
molto intensi, ricchi e decorativi; e
tutto ciò non favoriva un ambiente
salubre e ventilato». La fase successiva
a questa prima esplorazione storica,
sarà quella di realizzare una mappatura
della città di Milano, per andare
a individuare le maggiori criticità
che hanno colpito alcuni moduli
abitativi. «Da questa mappatura
ci focalizzeremo su un caso studio
specifico per redigere un progetto
pilota incentrato sulla riprogettazione
degli spazi abitativi per cercare
infine di proporre delle linee guida e
delle strategie di progettazione che
possano essere estese alle situazioni
di maggiore fragilità sociale». Il team
di Covid-Home coinvolge oltre a
Michela Bassanelli anche altre figure
che lavorano all’interno del DATSU
(prof. Imma Forino, prof. Pierluigi
Salvadeo) coinvolgendo poi per i temi
di psicologia, benessere e disabilità
Licia Sbattella, delegata del rettore
per il Disagio Psicologico, e Davide
Fassi del Dipartimento di Design dei
Servizi. «Più che come progettare
un modello abitativo innovativo -
conclude Bassanelli - dovremo capire
come intervenire sul patrimonio
edilizio esistente e come riadattare
certi luoghi precostituiti che non
sempre hanno avuto una grande
tenuta rispetto alle attuali condizioni,
con infine una particolare cura per
le fasce più fragili della popolazione,
quali anziani e disabili».
20
Petra Blaisse, Maison à Bordeaux, 2011-
2012. Courtesy of: Inside Outside Studio.
Chiara Castellano, Diletta Ciuffi, Giorgia
Concato, Martina Massacesi, Koinè,
Sistema di arredo in autocostruzione
per una residenza multigenerazionale
evolutiva, Architecture of Interiors
Design Studio A.A. 2019/20, proff.
Jacopo Leveratto e Fabrizio Leonforte.
Pierluigi Salvadeo,
Sceneggiature d'interni, 2020.
21
3 RICERCA
#Blockcahin #FinancialInclusion #PublicHealth
BLOCKCHAIN IN TEMPI
DI PANDEMIA E MATEMATICA
APPLICATA AL SERVIZIO
SANITARIO PUBBLICO E PRIVATO
Una ricerca applicata per la digitalizzazione di sistemi di pagamento
tramite blockchain in periodi di emergenza e una ricerca basata
su modelli matematici per analizzare il ruolo dello Stato e del
privato nella gestione del Servizio sanitario nazionale, sempre in
periodi critici: ce ne parla il prof. Emilio Barucci del Dipartimento di
Matematica
EMILIO BARUCCI
Dipartimento di Matematica
FRANCESCA GRASSETTI
Dipartimento di Matematica
DANIELE MARAZZINA
Dipartimento di Matematica
«Il virus SARS-CoV-2 ha portato una
accelerazione alla costruzione di
sistemi di pagamento digitali fuori
dal circuito bancario, e la nostra
prima ricerca è molto concreta»,
annuncia il prof. Emilio Barucci del
Dipartimento di Matematica, che
sta portando avanti questo lavoro in
collaborazione con il prof. Daniele
Marazzina, dello stesso dipartimento,
e con Nadia Fabrizio e Andrea Bracciali
del CEFRIEL e dell’Università di Stirling.
«L’idea è di sfruttare le potenzialità
della blockchain, per utilizzarla come
alternativa per i pagamenti in periodi
di emergenza come quello che stiamo
vivendo». Barucci ci porta un esempio:
«In uno scenario di gravi difficoltà
come questo, lo Stato deve destinare
risorse finanziarie ad un ristorante
che ha chiuso, dunque, piuttosto
che passare da sistemi bancari, che
potrebbero presentare una serie di
problematiche legate alla logistica
e al riconoscimento della persona,
utilizziamo un’alternativa che permette
di identificare il soggetto in modo
preciso, raggiungendo anche chi è fuori
dal circuito bancario». L’obiettivo è
quello della “financial inclusion”, che
si attuerà tramite app su mobile o via
web. «L’ente pubblico - spiega Barucci -
potrà riconoscere chi ha diritto a fondi
22
ad hoc o ad un voucher, per l’asilo nido
o per la spesa. Il vantaggio è che con
questa metodologia potremo ridurre
potenziali elementi di truffa, andando
a scremare chi non ne ha realmente
diritto. In questo modo, ogni passaggio
è meno soggetto a manipolazioni
perché le operazioni si basano su alti
standard crittografici e di sicurezza».
L’idea è di sfruttare le potenzialità
dei token: un token è un insieme di
informazioni digitali all’interno di
una blockchain che conferiscono un
diritto di proprietà a un determinato
soggetto. La tokenizzazione è quindi
la conversione dei diritti di un bene
in un token digitale registrato su
una blockchain. Generando i token
e legandoli ad aiuti economici nel
post-pandemia, potremmo tracciarne
facilmente l’utilizzo, per avere la
certezza che gli aiuti vengano utilizzati
dai reali beneficiari, per le finalità per cui
sono stati pensati. Possiamo pensare ai
token come a dei voucher digitali.
Riguardo alla seconda ricerca,
Barucci racconta: «Con una giovane
ricercatrice del nostro dipartimento,
Francesca Grassetti, siamo partiti
da una considerazione: lo Stato per
fronteggiare la pandemia e garantire
cure adeguate alla popolazione è
intervenuto con pieni poteri, andando
a modulare le risorse del Sistema
Sanitario Nazionale. Ciò che ci
sembra sia emerso è che il sistema
sanitario pubblico può ricorrere a
misure straordinarie in tempi brevi,
ad esempio riconvertire dei reparti
in terapia intensiva; cosa che non è
realizzabile nel privato se non tramite
interventi amministrativi. Abbiamo così
condotto uno studio teorico che ha
dimostrato come, in linea di massima,
il privato funzioni meglio del pubblico,
ma la possibilità di una pandemia
potrebbe portare alla necessità
dell’intervento pubblico».
Il lavoro si basa su scelte di
ottimizzazione in ambiente incerto e
prende in considerazione gli effetti
dell'incompletezza contrattuale.
«Quando lo Stato affida la direzione
di una struttura sanitaria ad un
manager (che sia pubblico o privato),
sottoscrive un contratto. I contratti,
però, non possono specificare ciò che
deve essere fatto per ogni possibile
circostanza futura. Alcune circostanze
non sono neppure prevedibili al
momento della stipula del contratto.
Immaginiamo di essere ancora al
dicembre 2019, di gestire una struttura
sanitaria sovradimensionata rispetto
al bacino d'utenza e di dover decidere
sulla sostituzione di alcuni ventilatori
polmonari. Qual è la scelta corretta?
Oggi la risposta sarebbe scontata. Ma
se l'emergenza coronavirs non fosse
arrivata in Italia (e a dicembre 2019
non se ne aveva certezza), una spesa
ingente per attrezzature inutilizzate
sarebbe stata additata come
l'ennesimo spreco del sistema».
Viene dunque da chiedersi come
comportarsi: «Dipende dagli incentivi
offerti dallo Stato e dalle clausole di
ricontrattazione, differenti in caso di
struttura pubblica o privata. Si tratta
di scelte umane, legate al sistema
legislativo di riferimento. Tale struttura
è però riconducibile ad un modello
matematico. In sintesi, il privato in
generale garantisce i migliori risultati
ma se l’evento crisi porta danni
significativi per la società e lo Stato
interviene molto pesantemente (ad
esempio tramite un lockdown duro)
allora una gestione pubblica può essere
superiore in termini di benessere».
«In sintesi,
il privato in
generale garantisce
i migliori risultati
ma se l’evento
crisi porta danni
significativi per la
società e lo Stato
interviene molto
pesantemente
(ad esempio tramite
un lockdown duro)
allora una gestione
pubblica può essere
superiore in termini
di benessere»
23
3 RICERCA
#Ventilators
#HealthTechnologies
MEV: UN SOLO VENTILATORE
POLMONARE PER DIECI PAZIENTI
Possiamo o non possiamo collegare tanti pazienti allo stesso ventilatore
polmonare? Farlo sul comune ventilatore singolo è un azzardo. Questo è
un grosso limite per le terapie intensive, che devono far fronte a un alto
numero di pazienti in modo del tutto improvviso. Un gruppo di ricerca
del Politecnico di Milano ha progettato MEV (Multiple Emergency
Ventilator): un ventilatore multiplo, che sarebbe in grado di provvedere
alla ventilazione assistita di fino a 10 pazienti contemporaneamente.
Ecco come funziona
GIUSEPPE BASELLI
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria Elettronica
Ulteriori informazioni su MEV
Il cuore di MEV è una fonte di una
miscela di ossigeno a pressione
inspiratoria massima intrinsecamente
sicura (Ppeak), per prevenire il
danno da ventilazione meccanica. La
ventilazione è fornita ad un massimo
di 10 pazienti, assistiti in modo
personalizzato riguardo al volume
controllato e alle durate inspiratorie
ed espiratorie. Il sistema meccanico è
composto da una campana rovesciata
(BJS, Fig.2) con tenuta ad acqua, che
fissa Ppeak in base al principio di
Archimede. La campana, in acciaio inox,
del diametro di 50 cm e con una altezza
di 60/70 cm, è inserita all’interno di un
cilindro, che grazie all’intercapedine
d’acqua mantiene l’ossigeno alla
pressione desiderata. Il gas è distribuito
ai pazienti intubati mediante semplici
tubi di acciaio inox da 2” facilmente
montabili, autoportanti e modulari
per poter essere adattati a diversi
ambienti come triage, ospedali da
campo, ospedali normali (Fig.1). L’intero
sistema di distribuzione è ovviamente
compatibile con alte concentrazioni di
ossigeno.
L’unico “pezzo speciale” nel progetto
del MEV è la campana. Per la linea
comune è composto da elementi
di utilizzo industriale, mentre gli
stacchi inspiratori ad ogni paziente
e la linea espiratoria sono mutuati
dai comuni ventilatori. Tutte le
parti meccaniche possono essere
conservate in magazzino per un tempo
indefinito e sanificate per essere usate
subito nel momento del bisogno, al
contrario dei ventilatori tradizionali
che, se conservati troppo a lungo,
prima dell’uso hanno bisogno di una
manutenzione che può durare fino a
un mese. Specialmente in momenti
di emergenza su larga scala, come
quella occorsa in Italia nel mese di
marzo MEV potrebbe quindi evitare
il congestionamento delle aziende
di manutenzione e provvedere
all’intubazione di emergenza
di un alto numero di pazienti
contemporaneamente.
Il prof. Giuseppe Baselli ha guidato
la progettazione di MEV con un
gruppo di ricercatori dei Dipartimenti
di Meccanica e di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria del
Politecnico di Milano (Francesco
Casella, Simone Cinquemani,
Gianfranco Beniamino Fiore, Roberto
Viganò), in collaborazione con un
team del IRCCS Ca’ Granda Ospedale
Maggiore Policlinico guidato dal prof.
Alberto Zanella. «I volumi di gas che si
trattano per la ventilazione polmonare
sono molto piccoli rispetto a quelli
che si trattano in qualsiasi impianto
industriale e questo aggira il problema
di non poter collegare più pazienti a
un unico respiratore», spiega Baselli.
24
«L’idea è centralizzare la caduta di
pressione da 2/3 atmosfere a quella
che è necessaria per la ventilazione,
che equivale a un centesimo di questa,
e portare l’ossigeno ai pazienti con
tubi di acciaio. Questo sistema è
intrinsecamente sicuro, perché la parte
delicata della ventilazione, quella
da tenere sotto controllo, riguarda le
pressioni polmonari: una pressione più
alta del necessario produce quello che
si chiama barotrauma, che può creare
lesioni irreversibili».
Ventilando più pazienti in parallelo, si
è vincolati a una medesima pressione
di picco respiratorio; sono in corso
studi clinici che, secondo quanto
previsto dalle simulazioni, riusciranno
a dimostrare che questo limite è
adeguatamente compensato dal
controllo personalizzato dei tempi di
ventilazione. Le simulazioni hanno
dimostrato che il notevole volume
del BJS e del sistema di distribuzione
permette un disaccoppiamento
pressoché perfetto fra i vari pazienti
collegati. MEV si configura quindi
come un supporto terapeutico molto
flessibile e in grado di seguire tutto
il ciclo da ventilazione controllato,
dall’intubazione allo svezzamento,
per un alto numero di pazienti.
Nel progetto è previsto un modulo
elettronico per ogni paziente in grado
di monitorare i parametri vitali (respiro
incluso) e controllare individualmente
la ventilazione basandosi su sensori
di pressione e portata nella linea
inspiratoria e in quella espiratoria.
Questi sensori possono essere
facilmente integrati nei monitor
già in uso per monitorare tutti
i parametri del paziente (saturazione
d’ossigeno, ECG, pressione arteriosa,
ecc.), inserendo semplicemente i
comandi alle valvole di ventilazione.
In questo modo il modulo elettronico
può implementare anche le funzioni di
monitor da ICU o pre-ICU.
Le stime indicano che la parte
meccanica del MEV avrebbe un
costo nell’ordine di grandezza dei
2/3000 euro (con la capacità di
ventilare contemporaneamente fino
a 10 pazienti), mentre i ventilatori
tradizionali (uno per paziente)
possono costare tra i 10 e i 40.000
euro. Questo permetterebbe di avere
terapie intensive e pre-intensive con
volumi di riserva molto ampi. Può
così rappresentare una soluzione di
MEV FLEXIBLE LAYOUTS OF BEDS v.6
Layout examples: the central cross element permits 1, 2 or 3 limbs.
Ppeak
plant
Ppeak
plant
cross
connector
right L-shape layout
MEV-BJ WATER SELA PRINCIPLE
Patm
normal
operation
bell level
bell top
p = peak
Δh = Ppeak/(ρg)
safety
escape
Principle of water seal. From left to righ: correct operative condition, with perfect air
tightness; excess of volume at top of dynamic range opens the air escape hole at bell
lower border; air escape will limit Ppeak excess even in the highly improbable case
of an accidental bell blocking. The mild conicity of the bell is to avoid its blocking.
emergenza, di backup rispetto alla
necessità di un ventilatore completo,
in particolare per pazienti che non
sono ancora in terapia intensiva, per
esempio in triage, o anche in scenari
di crisi dove soluzioni veloci e di basso
costo devono surrogare il normale
equipaggiamento di ICU.
Le informazioni relative al progetto
sono disponibili anche sul sito
del Dipartimento di Elettronica,
left L-shape
bell above
uppermost
operation level
Patm
bell top
p = peak
Δh' = P/(ρg)
Patm
clover-shape
Accidental
bell
blocking
bell top
p > Ppeak
Informazione e Bioingegneria in
libera consultazione e possono essere
utilizzate da chiunque per l’impiego
in situazioni emergenziali. Ad oggi è
in corso una richiesta di fondi per
la realizzazione di un prototipo e si
sta procedendo con contatti per il
trasferimento tecnologico ad aziende
del settore. Una pubblicazione
scientifica è in corso di revisione
su un open journal e verrà messo a
disposizione sul sito appena accettato.
fig. 1
fig. 2
25
3 RICERCA
#Modelling
#Econometry
#Epidemiology
#Mobility
UNA FOTOGRAFIA DELL’ITALIA
PRIMA E DOPO IL LOCKDOWN
Alcuni ricercatori del Politecnico di Milano hanno analizzato
la relazione tra contrazione della mobilità e capacità fiscale dei
territori comunali, evidenziando come, dove la mobilità si è ridotta
di più, a maggiori riduzioni della mobilità si accompagnino redditi più
bassi. Lo studio è stato pubblicato su PNAS
GIOVANNI BONACCORSI
Dipartimento di Ingegneria
Gestionale
FABIO PAMMOLLI
Dipartimento di Ingegneria
Gestionale
ANDREA FLORI
Dipartimento di Ingegneria
Gestionale
L’articolo “Economic and Social
Consequences of Human Mobility
Restrictions under COVID-19” è
stato pubblicato sulla rivista PNAS
(Proceedings of the National Academy
of Sciences) dal gruppo di ricercatori
(Giovanni Bonaccorsi, Andrea Flori,
Francesco Pierri) coordinato dal
professor Fabio Pammolli (Impact,
Politecnico di Milano e CADS, il joint
center tra Politecnico di Milano e Human
Technopole), con la collaborazione dei
team di ricerca di Walter Quattrociocchi
Università Ca’ Foscari di Venezia) e
Antonio Scala (CNR).
Lo studio ha analizzato dati
anonimizzati ed aggregati degli
spostamenti di oltre 3 milioni di
italiani che utilizzano il social network
Facebook nel periodo a cavallo del
primo lockdown imposto dal governo,
trovando che le misure di restrizione
hanno determinato una contrazione
media della mobilità del 70%.
Tuttavia, nonostante le restrizioni alla
mobilità abbiano riguardato tutto il
territorio nazionale, la distribuzione
dei cambiamenti di mobilità registrati
presenta differenze consistenti da
zona a zona. In particolare, le regioni
del nord, tra le più colpite dal virus,
hanno registrato riduzioni di mobilità
durante il lockdown che, in termini
relativi, sono state meno intense: nei
comuni di Lombardia e Veneto, infatti,
la riduzione dei flussi di mobilità è
stata, in media, tra il 5% e il 15% più
bassa della media nazionale, anche
26
Per approfondire:
"Time, space and social
interactions: exit mechanisms
for the COVID-19 epidemics"
su Nature Scientific Reports
"After the lockdown: simulating
mobility,public health and
economic recovery scenarios"
su Nature Scientific Reports
" Economic and social
consequences of human mobility
restrictions under COVID-19"
su PNAS
in relazione alla presenza di attività
produttive considerate essenziali e che,
pertanto, hanno continuato l’attività.
Al contrario, in regioni meno colpite
dal virus (nel momento in cui è stata
eseguita l’analisi) come Abruzzo e
Calabria, la contrazione è stata tra 16%
e il 20% più alta della media nazionale.
Per approfondire gli effetti della
riduzione di mobilità sulle condizioni
dei cittadini italiani, i ricercatori
hanno investigato le caratteristiche
economiche e sociali dei comuni
italiani colpiti in misura minore o
maggiore dalla variazione di mobilità.
Con una tecnica di regressione per
quantili, i ricercatori hanno osservato
che per i comuni dove la mobilità si è
ridotta di più, a maggiori riduzioni della
mobilità si accompagnano redditi più
bassi. Tra i comuni in cui la contrazione
di mobilità è stata più intensa vi sono
inoltre quelli che, prima del lockdown,
avevano una capacità fiscale più
elevata. Tra i comuni, invece, meno
colpiti dal lockdown in termini di
riduzione della mobilità, maggiori tassi
di riduzione della mobilità sono stati
stimati per livelli di reddito più alto.
La dinamica dell’evoluzione del
contagio da COVID-19 rispetto a
dimensioni economico-sociali è stata
inoltre approfondita in ulteriori studi (i
lavori hanno coinvolto anche ricercatori
del CNR, Università di Pavia, Università
Ca’ Foscari di Venezia). In particolare,
il lavoro “Time, space and social
interactions: exit mechanisms for
the COVID-19 epidemics” (pubblicato
su Nature Scientific Reports) ha
analizzato l’impatto di meccanismi
di introduzione/rilascio di politiche
di restrizione della mobilità rispetto
a due diverse fonti rilevanti di
eterogeneità: struttura geografica e
demografica. Lo studio propone un
modello di diffusione del contagio
che tiene conto della struttura sociale
dei contatti e delle relazioni tra
territori come drivers per modellizzare
l’impatto di politiche di restrizione/
apertura della mobilità, identificando
in queste due fonti di eterogeneità
dei canali primari per governare la
dinamica del contagio.
Il lavoro “After the lockdown:
simulating mobility, public health
and economic recovery scenarios”
(pubblicato su Nature Scientific
Reports) ha invece analizzato
l’impatto economico delle misure
di restrizione in termini di stima
della perdita di lavoro disponibile in
seguito all’evoluzione del contagio,
alle limitazioni di mobilità e alle
deroghe inerenti ai settori produttivi
essenziali. Il lavoro sviluppa un'analisi
per scenari per mostrare come diversi
gradi di restrizione possono generare
impatti economici eterogenei sul
territorio italiano.
REDDITO MEDIANO PROVINCIALE DEI COMUNI MENO COLPITI
REDDITO MEDIANO PROVINCIALE DEI COMUNI PIÚ COLPITI
23100
23100
21400
21400
19600
19600
17800
17800
16000
16000
14200
14200
12400
Reddito mediano provinciale dei comuni meno colpiti ( )
12400
Reddito mediano provinciale dei comuni più colpiti ( )
27
3 RICERCA
#SystemicApproach
#TechnicalSocialModel
#UnLock
IL MODELLO SISTEMICO
PER LA GESTIONE
DELL’UNLOCK PROPOSTO
DAL POLITENICO DI MILANO
Persona, Impresa, Sanità, Trasporto, Finanza, Scuola, Assistenza:
la task force guidata dal rettore Ferruccio Resta e coordinata dai
proff. Tommaso Buganza e Claudio Dell’Era ha presentato un modello
olistico che mette in relazione tutti questi sistemi socio-tecnici per
delineare una possibile strategia di unlock
TOMMASO BUGANZA
Dipartimento di Ingegneria
Gestionale
Alumnus Ingegneria Gestionale
La crisi che stiamo fronteggiando è
una crisi globale significativamente
diversa da altre che l’hanno preceduta.
Anzitutto, non si tratta di uno shock,
ma uno stato di pressione persistente
nel tempo: effetti ed azioni risolutive
convivono innescando delle dinamiche
nuove. Partiamo quindi dalla
CLAUDIO DELL'ERA
Dipartimento di Ingegneria
Gestionale
Alumnus Ingegneria Gestionale
consapevolezza che conosciamo poco il
problema e dobbiamo imparare giorno
dopo giorno. È inoltre un problema
che coinvolge in maniera aggressiva
e dolorosa la persona, coinvolgendo
tutte le dimensioni principali del
nostro modo di essere umani: la salute,
le relazioni sociali e la partecipazione
al sistema economico. Fare proposte,
oggi, significa quindi cercare un nuovo
assetto sostenibile per le persone: gli
obiettivi e le azioni di contenimento
dei danni devono tenere conto del loro
costo economico e sociale.
Da questo punto di partenza, la task
force guidata dal rettore Ferruccio
Resta, costituita dai proff. Mario
Calderini, Mariano Corso, Giuliano
Noci, Anna Paganoni, Fabio Pammolli,
Alessandro Perego, Renato Rota,
Piercesare Secchi, Paolo Trucco e
supportata metodologicamente dai
proff. Tommaso Buganza e Claudio
Dell’Era propone un modello per
individuare strategie di unlock con tre
obiettivi: la tenuta del sistema sociale,
la tenuta del sistema economico e la
gestione del contagio. «È importante
sottolineare che non è un trade-off
strutturale tra la tenuta del sistema
economico e la salute delle persone.
Indubbiamente la riapertura delle
attività produttive e commerciali
rende più difficile il distanziamento
rispetto al caso base (lockdown)
e potenzialmente incrementerà la
variabile Rt di diffusione del contagio.
Tuttavia, il concetto di tenuta sociale
va oltre quello di sanità COVID-19.
Il modello che proponiamo assume
una prospettiva olistica sul concetto
28
Le proposte vengono
presentate a “pacchetti” così
da valutare il loro impatto
sistemico
Per ogni pacchetto si valuta l’impatto su ciascun
sottosistema, valutando quali variabili vengono
influenzate e quali esiti comporta
Vengono poi analizzate le relazioni tra sottosistemi,
identificando le reciproche influenze
Il risultato dell’analisi viene infine sintetizzato
sui tre obiettivi principali
Lavoro
Sottosistema Persona
Pacchetto A
Sottosistema Impresa
Trasporto
Impresa
tenuta del sistema sociale
tenuta del sistema economico
gestione del contagio
Sottosistema Lavoro
Sottosistema Sanità
Assistenza
Persona
Pacchetto B
Sottosistema Trasporti
Sanità
tenuta del sistema sociale
tenuta del sistema economico
gestione del contagio
Sottosistema Scuola
Finanza
Scuola
Sottosistema Assistenza
Sottosistema Finanza
di tenuta sociale che, se da un
lato prevede di agire per ridurre la
possibilità di contagio, dall’altro
assume che altri effetti negativi (la
perdita del lavoro, la mancanza di
relazioni sociali, l’esclusione dal
sistema scolastico, l’impossibilità
di accedere al SSN, ecc.) debbano
essere prese in considerazione per
valutarne l’impatto sociale» commenta
Buganza. «È opportuno anche un
approfondimento sul concetto di
gestione del contagio – prosegue: la
gestione del contagio dipende sia dal
numero di contagiati che dalla capacità
del sotto-sistema “Sanità” di gestirli
in modo efficace. Il nostro modello è
in grado, da un lato, di valutare azioni
tese a mitigare la crescita del numero
di contagiati (ad esempio agendo sul
distanziamento sui mezzi di trasporto)
e, dall’altro, di valutare l’effetto
delle azioni di gestione dei contagiati
nell’ambito del sotto-sistema “Sanità”
(ad esempio con azioni specifiche di
assistenza domiciliare per la gestione
dei casi non critici)». Tiene inoltre
conto di “effetti collaterali”: per
esempio, azioni che permetteranno di
liberare risorse del SSN attualmente
impegnate nella gestione COVID-19 e di
restituirle alla loro funzione primaria,
impatteranno virtuosamente sulla
tenuta del sistema sociale.
I ricercatori hanno adottato un
approccio sistemico con una particolare
focalizzazione sulle azioni che rendono
un sistema socio-tecnico resiliente
e adattativo. I sistemi socio-tecnici
sono sistemi contraddistinti da sottosistemi
sociali (p.e. persona) e sottosistemi
tecnici (p.e. trasporto) le cui
interrelazioni possono innescare dei
circoli causali positivi (virtuosi) o negativi
(viziosi). «Siamo convinti – continua
Dell’Era – che non sia possibile uscire
dalla crisi determinata da COVID-19
con regole o provvedimenti dedicati
a singoli settori dell’economia o della
società. È al contrario fondamentale
progettare dei pacchetti di intervento
che prendano in considerazioni le
interrelazioni esistenti tra le diverse
componenti del sistema e che siano
in grado di innescare circoli positivi
controllando i contro-effetti negativi».
Il modello è basato su un impianto di
teoria dei sistemi (System-of-Systems)
e descrive le relazioni funzionali di
un sistema di sotto-sistemi, tra cui ci
sono: “Persona” (intesa come tenuta
del sistema individuo e famiglia),
“Impresa” (nella sua accezione più
ampia), “Sanità” (COVID-19 e NO
COVID-19), “Trasporto” (di persone e
merci), “Finanza” (pubblica e privata),
“Assistenza” (principalmente terzo
settore) e “Scuola” (comprensiva nella
sua duplice missione di istruzione e
cura educativa della gioventù).
Lo scopo del modello non è fornire
una soluzione completa per un singolo
sotto-sistema (ad esempio “Scuola”),
ma identificare come le condizioni
dinamiche del sotto-sistema specifico,
in termini di input e output, impattano
(inibendo o abilitando) lo stato e le
prestazioni di altri sotto-sistemi.
Facciamo un esempio: nel sottosistema
“Scuola”, oltre alla funzione di
scolarizzazione, sono state evidenziate
le funzioni di care giving e di supporto
sociale e psicologico, che avranno un
impatto considerevole su altri sottosistemi.
Questi impatti potranno essere
virtuosi, come nel caso del sottosistema
“Persona” (le scuole aperte
permettono ai genitori di lavorare)
o viziosi, come nel caso del sottosistema
“Trasporto” (gli studenti
che si spostano per andare a scuola
impattano sulla capienza dei mezzi
pubblici). Un altro esempio: le regole
di distanziamento impatteranno
negativamente sul sotto-sistema
“Trasporto” riducendone la capacità
di trasporto e di conseguenza
impatteranno negativamente sulla
reale riapertura delle attività produttive,
sulla capacità di consumo, e sulla
tenuta sociale. Al contempo, avranno
un impatto positivo sulla riduzione
della propagazione del contagio. Il
modello mostra la necessità di azioni
specifiche sul sotto-sistema “Impresa”
(turnazioni, 7/24, ecc.) per limitare
l’impatto negativo del distanziamento
sulla capacità di mobilità delle
persone e, di conseguenza, sugli altri
sotto-sistemi che sono influenzati
da tali dinamiche di mobilità.
I ricercatori evidenziano la necessità
di verificare se gli aspetti collaterali
e negativi di alcune proposte siano
effettivamente equilibrati da altre
azioni che possano mitigare gli effetti
indesiderati, permettendo al sistema di
conservare uno stato di equilibrio e di
raggiungere i suoi obiettivi complessivi.
29
3 RICERCA
#HealthGeomatics
COVID-19: UN METODO
INNOVATIVO PER MONITORARE
L’EVOLUZIONE DELLA PANDEMIA
Il numero complessivo di chiamate al 112, correlato a quante
di queste sono per patologie respiratorie e cardiovascolari, può
indicarci quando è iniziata la pandemia e anticipare nuove ondate?
Uno studio cerca di rispondere a questo interrogativo
ENRICO CAIANI
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria
Elettronica
“Mapping Spatiotemporal Diffusion
of COVID-19 in Lombardy (Italy) on the
Base of Emergency Medical Services
Activities” è il titolo dello studio,
apparso su ISPRS International Journal
of Geo-Information e nato nell’ambito
di una borsa inter-dottorale in
Ingegneria Biomedica finanziata dal
Politecnico e assegnata all’ing. Lorenzo
Gianquintieri, in collaborazione con
il team condotto dal prof. Enrico
Caiani, del Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria e
quello della prof. Maria Brovelli del
Dipartimento di Ingegneria Civile e
Ambientale.
Caiani spiega: «Si vuole vedere se,
avendo a disposizione il quantitativo
di chiamate al numero unico di
emergenza (112) e il numero di uscite
di ambulanze legate a patologie
respiratorie e cardiovascolari, sia
possibile ricostruire degli indici che
possano retrospettivamente dirci
quando è iniziata effettivamente
l’epidemia in Italia, e indicarci
e avvisarci prospetticamente se
è in arrivo una nuova ondata,
così da fornire alla politica uno
strumento decisionale». Un metodo
dunque “data driven” che utilizza
le informazioni geolocalizzate di
chiamate e ambulanze quotidiane
per un dato territorio e che ha come
obiettivo, spiega sempre Caiani:
«di evidenziare indici di allerta ad
esse collegate. Il vantaggio di non
essere dipendenti dalla disponibilità
di poter effettuare test diagnostici
(che possono avere limiti legati alla
saturazione della capacità del Sistema
Sanitario Nazionale e introducono un
ritardo di qualche giorno necessario
alle loro analisi)». Lo studio ha preso
in considerazione la Lombardia,
dividendola in distretti di 100.000
abitanti. I dati forniti poi dall’Agenzia
Regionale Emergenza Urgenza (AREU)
hanno evidenziato come il SARS-
CoV-2 fosse molto probabilmente già
diffuso sul territorio lombardo ben
prima dell'individuazione del primo
paziente il 21 febbraio. Nel distretto in
cui è inclusa Codogno la data di inizio
della diffusione è stata identificata
con il 16 febbraio, mentre nei distretti
di Nembro ed Alzano Lombardo tra
il 14 e il 16 febbraio. La metodologia
sviluppata è estendibile ad altri
territori e mostra le potenzialità
di questo tipo di analisi sui dati
dell'emergenza generati dalla azione
del singolo cittadino. Alla luce dei
risultati ottenuti, si sta ora studiando
come poter fornire un’indicazione
di allerta specifica per un dato
territorio, in base alla tendenza dei
giorni precedenti, così da evidenziare
alle autorità competenti le zone
30
Leggi l'articolo pubblicato
su ISPRS International Journal
of Geo-Information
geografiche più critiche.
Il gruppo di ricerca guidato da Caiani,
che da circa sei anni si occupa anche
di nuove tecnologie digitali per la
salute, sta portando avanti altri due
progetti relativi alla COVID-19, in
ambito Health Geomatics. Nel primo
si mette in correlazione l'esposizione
continua a concentrazioni più elevate
di determinati agenti inquinanti con
una maggiore velocità di diffusione del
virus. Il secondo, in collaborazione con
la facoltà di Psicologia dell’Università
Statale di Milano, vuole creare un tool
di supporto tramite mobile health
per operatori sanitari, per limitare
le conseguenze dei disturbi post
traumatici da e del burn out, legati
alla condizione di lavoro in cui medici
e infermieri si trovano quando devono
gestire una situazione di emergenza
come quella appena trascorsa.
31
3 RICERCA
#Finance #DemandShock #DynamicDiscounting #Economy
SUPPLY CHAIN FINANCE:
DIETRO L’EMERGENZA
SANITARIA C’È ANCHE
QUELLA ECONOMICO-SOCIALE
L’osservatorio di Supply Chain Finance del Politecnico di Milano,
guidato dal prof. Federico Caniato, studia le opportunità di
ottimizzazione del capitale circolante e l’accesso al credito fornito
dai servizi e dalle soluzioni di Supply Chain. Un lavoro di ricerca
focalizzatosi, a causa della pandemia, sull’analisi dell’impatto della
rottura sulla supply chain, monitorando la situazione a livello globale,
con un’attenzione particolare ai flussi finanziari e alle possibili
soluzioni per mitigare questi impatti
FEDERICO CANIATO
Dipartimento di Ingegneria
Gestionale
Alumnus Ingegneria
Gestionale
«Ci occupiamo di studiare il tema
della gestione dei flussi finanziari:
dai pagamenti agli incassi, di tutta la
filiera produttiva. Oggi tutte le aziende
acquistano moltissimo esternamente e
di conseguenza dipendono fortemente
dai propri fornitori. Prima di giungere
al prodotto finito, c’è una fitta rete di
fornitura tra le imprese», spiega subito
Federico Caniato, che guida il team di
Supply Chain Finance del Politecnico
di Milano. La pandemia ha innescato
una serie di cambiamenti del sistema
economico-finanziario, andando ad
esasperare una serie di problemi già
precedentemente emersi. «I tempi
di pagamento lunghi fanno sì che le
aziende, soprattutto quelle più piccole,
ricevano ordini ma che non abbiano
poi sufficiente liquidità per far fronte
alle spese giornaliere. Se falliscono,
diventa un problema per tutti, anche
per le grandi aziende, perché vengono
a mancare dei fornitori indispensabili
e i costi complessivi aumentano.
Durante il lockdown il problema
si è acuito portando una serie di
criticità: dal crollo della domanda
alle difficoltà di fornitura. Chi aveva
già venduto qualcosa, non riusciva a
incassare perché i pagamenti erano
stati bloccati; altri avevano prodotto
ma non riuscivano a vendere. Non
si tratta di un tema solo di profitto
ma di sopravvivenza delle imprese,
di tutela dei posti di lavori, con delle
implicazioni sociali molto ampie.
Noi studiamo questi problemi e
proponiamo delle possibili soluzioni».
Parallelamente all’emergenza sanitaria,
dunque, si è andata a creare un’altra
emergenza, altrettanto fondamentale
da sanare: un’emergenza economica
e sociale. «Il nostro lavoro nei mesi
del lockdown - dice Caniato - si è
concentrato sull’esigenza di far fronte
all’emergenza. Un primo esempio
concreto è stato proprio il quadro
degli strumenti e delle iniziative
disponibili in ambito Supply Chain
Finance, che abbiamo costruito con
la nostra ricerca e condiviso con vari
player del settore. Abbiamo continuato
e potenziato la formazione su questi
temi, sia ai nostri studenti universitari,
sia ai manager che frequentano i
nostri corsi al MIP (la business school
32
del Politecnico, ndr), sia con le attività
divulgative dell’Osservatorio».
L'ECOSISTEMA
Gli strumenti messi in campo per
fronteggiare l’emergenza economica
sono molti. La più diffusa è il Reverse
Factoring, grazie al quale una grande
impresa può permettere ai propri
fornitori di cedere il proprio credito a
istituti finanziari convenzionati a tassi
agevolati, perché il credito è garantito
appunto dal cliente, ottenendo così
incassi immediati. Abbiamo osservato
anche una crescita dell’uso del
Dynamic Discounting, che consente
il pagamento anticipato da parte
del cliente a fronte di uno sconto
da parte del fornitore sull’importo
della fattura proporzionale ai giorni di
anticipo, concordato dinamicamente
per ciascuna transazione. Un’altra
soluzione utile è l’Inventory Finance,
un finanziamento di breve termine
delle scorte attraverso una linea di
credito dedicata. Sta avendo grande
impulso anche l’Invoice Trading, un
“marketplace” per l’anticipo delle
fatture, basato su una piattaforma
digitale che consente a terze parti
con disponibilità di capitali (istituzioni
finanziarie e non) di investire nelle
fatture emesse dalle aziende.
Incominciano a svilupparsi anche
soluzioni di Multitier Finance, soluzioni
di finanziamento del capitale circolante
che raggiungono anche i fornitori oltre
il primo livello, supportando gli stadi
più a monte della filiera, che sono
spesso quelli più in difficoltà. «Per
avere informazioni aggiornate abbiamo
coinvolto la nostra “community”
dell’Osservatorio Supply Chain Finance,
fatta di operatori finanziari (banche,
società di factoring, fintech), di aziende
industriali e di servizi di tanti settori
diversi, di information provider, di
technology provider e di società di
consulenza. Le domande che ponevamo
riguardavano sia la situazione del
momento (se le aziende erano attive
o ferme, che impatto avevano avuto
sia dal lockdown cinese prima, sia da
quello italiano ed europeo poi, come si
stavano organizzando, quali soluzioni
stavano mettendo in campo), sia le
prospettive per l’immediato futuro.
Abbiamo monitorato costantemente
anche le fonti secondarie come la
stampa, il web e i report di settore.
Siamo rimasti in costante contatto
con i nostri partner internazionali,
che lavorano sullo stesso tema in altri
paesi (soprattutto in Europa e USA,
ma abbiamo avuto anche contatti con
la Cina), sempre per monitorare la
situazione sia in termini di impatti sia
di risposte».
Una delle aziende con cui si sono
confrontati è stata Luxottica, che come
tutte le aziende del settore moda ha
dovuto fronteggiare un improvviso
crollo della domanda con uno stop
delle produzioni. Molti fornitori però
avevano già prodotto i componenti e
se non fossero stati pagati da Luxottica
avrebbero avuto serie difficoltà a
coprire i costi. «Abbiamo suggerito a
Luxottica di studiare una soluzione
innovativa di supply chain finance,
il Purchase Order Finance, ovvero
concordare con le proprie banche
di offrire ai fornitori la possibilità di
utilizzare gli ordini di acquisto ricevuti
da Luxottica per ottenere degli anticipi
sui pagamenti futuri, garantiti appunto
da Luxottica. L’azienda ha poi trovato
un modo alternativo per raggiungere lo
stesso risultato, sfruttando il Reverse
Factoring che aveva già in essere: in
pratica i fornitori, una volta consegnata
la merce ed emessa la fattura, possono
cederla alla banca partner di Luxottica
e ottenerne il pagamento immediato,
e quindi anticipato rispetto ai tempi di
pagamento contrattuali, a condizioni
molto favorevoli».
Oltre alle collaborazioni strutturate
con grandi aziende, il gruppo è
anche attivo nel supporto di realtà
industriali più piccole. «Vengono da
noi con richieste molto diverse tra
loro. Durante il lockdown, per esempio,
un’azienda ci ha detto: “Vogliamo
donare dei respiratori agli ospedali
ma non sappiamo dove comprarli,
aiutateci a trovare chi li vende”. Così
abbiamo trascorso un weekend,
sfruttando le nostre conoscenze,
per trovare chi potesse fornirli».
A dimostrazione che emergenza
economica e sociale hanno bisogno
innanzitutto della cura delle persone.
33
3 RICERCA
#Demographics #Mobility #UrbanHealth
STRATEGIE PER CITTÀ
RESILIENTI ALLE EPIDEMIE
Il coronavirus ha evidenziato alcune criticità tipiche del contesto
urbano, che oggi ha bisogno di essere ripensato in chiave di
prevenzione: ne parla lo studio “COVID-19 and Cities: from Urban
Health strategies to the pandemic challenge. A Decalogue of Public
Health opportunities”, pubblicato da Acta Biomedica e firmato da un
gruppo multidisciplinare di ricercatori, progettisti ed esperti di sanità
pubblica coordinati dal prof. Stefano Capolongo
STEFANO CAPOLONGO
Dipartimento di Architettura,
Ingegneria delle Costruzioni e
Ambiente Costruito (DABC)
Design & Health Lab
Alumnus Architettura
«L’Architettura ha sempre più
bisogno di strumenti che possano
supportare le scelte progettuali, in
particolare sul modo in cui l’ambiente
costruito influisce sul nostro stato di
salute», spiega subito il prof. Stefano
Capolongo, direttore del Dipartimento
di Architettura, Ingegneria delle
Costruzioni e Ambiente Costruito
(DABC) e coordinatore dell’unità
di ricerca Design & Health Lab. A
fronte dell’emergenza COVID-19, il
Dipartimento ha attivato quattordici
osservatori per studiare il ruolo
dell’ambiente costruito nella fase
di ripartenza: dal turismo alla
digitalizzazione, dalle scuole ai luoghi
per lo sport. In particolare, il Design &
Health Lab sta portando avanti tre linee
di ricerca. La prima riguarda l’edilizia
ospedaliera, sulla quale i ricercatori del
Politecnico stanno lavorando da diversi
anni, anche attraverso lo sviluppo di
strumenti di valutazione multicriteriale.
È un tema che accentra le criticità di
pianificazione sul modello delle città
e che, oggi, deve focalizzarsi in modo
specifico su resilienza, flessibilità e sul
controllo del contagio: per esempio con
la progettazione di percorsi a senso
unico e nuclei modulari facilmente
isolabili e adattabili.
Il secondo tema importante è quello
della stretta relazione che esiste tra
ambiente indoor e benessere della
popolazione. Una ricerca svolta in
collaborazione con l’Università di
Genova ha messo in evidenza e
misurato la correlazione tra qualità
dell’abitazione e salute mentale,
durante il lockdown. «L’elevata
numerosità del campione e le analisi
statistiche hanno permesso una lettura
oggettiva di dati sia quantitativi che
qualitativi, che vanno dalle dimensioni
di un appartamento al numero di
abitanti, fino al comfort percepito e
alla vista di cui si gode dalle finestre»,
continua Capolongo, evidenziando
come l’ambiente costruito possa
svolgere funzioni di prevenzione
nell’insorgere di determinate patologie
e abbia oggi un ruolo importante nella
nostra capacità di rispondere alle
emergenze sanitarie.
La terza linea di ricerca in ambito
urban health è infatti il tema della
pianificazione delle città. «Alcuni
studi, ancora in fase di elaborazione,
dimostrerebbero che esiste una
correlazione tra ambiente costruito e
diffusione della pandemia». Oggi, il
57% della popolazione vive in contesti
urbani e si prevede che nel 2050 questa
proporzione crescerà fino a superare
la soglia del 70%. «Vivere in città
comporta diversi vantaggi dal punto
di vista della salute, contrariamente
a quanto si potrebbe pensare: la
popolazione urbana ha una aspettativa
di vita maggiore di quella che vive in
contesto rurale». Questo è dovuto al
grado di istruzione, mediamente più
elevato in città, e alla maggiore capacità
34
THE NEED TO ASSIGN “PRIORITIES” TO CRITERIA AND ITEMS
THE QUESTIONNAIRE AND THE OUTCOMES
MACRO criteria and items weights
density 16%
diversity 24%
intersections
built-up area
destinations (g. f.)
sidewalk presence
15%
10%
30%
45%
transportation stops
coverage
parking availability
36%
49%
15%
design 60%
street layout
building layout
green layout
61%
15%
24%
MICRO criteria and items weights
comfort 18%
land use mix
active environment
relational environment
14%
30%
56%
universal design
pedestrian/cyclist
safeness elements
relational environment
25%
75%
usefulness 33%
aesthetics 10%
safeness 39%
lanes width
and obstructions
urban furiture
62%
38%
attractveness
cleanliness
50%
50%
35
CURRENT MODEL
SUPERBLOCKS MODEL
Public transport network
Bicycles main network (bike lane)
Bicycles signposts (reverse direction)
Free passage of bicycles
Private vehicle passing
Residents vehicles
Urban services and emergency
dum carriers
Dum proximity area
Access control
Basic traffic network
Single platform (pedestrians priority)
economica. Inoltre, non trascurabile
è la maggiore accessibilità ai servizi:
banalmente, gli ospedali sono vicini
e facilmente raggiungibili. Per contro,
le nostre città sono molto inquinate e
questo incide per un terzo sulla salute
in quanto fattore di rischio. Vivere
in città fa aumentare la probabilità
di sviluppare malattie legate a
uno stile di vita sedentario come il
diabete e l’obesità. Queste patologie
particolarmente diffuse in aree urbane
appartengono alle cosiddette “Non
Communicable Diseases” (NCDs), cioè
malattie cronico degenerative, come
quelle cardiocircolatorie e oncologiche.
Gli studi OMS dimostrano che, in
Europa, globalizzazione, urbanizzazione
e invecchiamento della popolazione
sono responsabili di queste malattie
con un’incidenza dell’87%. Ciò porta
a trasferire sempre più il concetto di
salute da un approccio esclusivamente
medico a un approccio di carattere
sociale: i comportamenti sociali
influiscono notevolmente sulla salute
della popolazione. Questo approccio
è descritto nella review pubblicata
su Acta Biomedica nell’aprile 2020, e
Capolongo commenta: «Interpretiamo
tutte le azioni progettuali, come un
parco, una pista ciclabile, un’area
pedonale, come azioni di prevenzione
dalle malattie e promozione della
salute. Nel caso di COVID-19, la
relazione tra ambiente urbano e
diffusione dell’epidemia sono evidenti.
In prima istanza sembra che ci sia
una correlazione tra inquinamento
atmosferico e propagazione del
virus o gravità dei sintomi. Inoltre,
sembra che il virus abbia colpito
soprattutto la popolazione anziana e
pluripatologica, due fasce anagrafiche
rappresentate nelle città, in particolar
modo in relazione alle patologie
cronico degenerative citate sopra.
Quindi, rendere sicure le città rispetto
a questi elementi potrebbe incidere
sulla nostra capacità di fermare una
seconda ondata. Oggi, la pianificazione
urbana assume una dimensione
urgente, ma COVID-19 ha accelerato
un processo già in atto, ovvero la
necessità di rendere le città sempre
più sostenibili, resilienti e inclusive».
Un parco urbano dunque può essere
interpretato come uno spazio polmone,
dove poter eventualmente collocare
rapidamente funzioni di supporto alla
gestione dell’emergenza: potrebbe
ospitare un ospedale da campo, in
centro città e vicino agli ospedali,
ma ben isolato per non alimentare il
contagio. Il distanziamento è un altro
esempio. «È una pratica antica, in uso
soprattutto quando non esistevano
vaccini e antibiotici: nel corso del
‘900, il progresso in campo medico ha
demandato alla medicina le funzioni
di prevenzione che, in passato,
erano svolte dall’isolamento e dalle
pratiche igieniche. Oggi ci troviamo
nuovamente nella condizione di non
avere (per ora) un vaccino o un rimedio
medico efficace contro questo virus, e
le città possono adattarsi adottando
strumenti “sociali” ovvero strategie
spaziali e organizzative: per esempio,
un piano regolatore degli orari che
permetta di evitare assembramenti
sui mezzi pubblici, senza che per
forza le persone debbano spostarsi in
macchina».
36
Un altro strumento è la pianificazione
dei quartieri: ricreare i servizi di
prossimità della popolazione nell’arco
di percorrenza di tempo massima
di 15 minuti a piedi. «Consentirebbe
di fare attività fisica (limitando la
sedentarietà), permetterebbe una
rivitalizzazione del tessuto urbano
in termini economici (anche questo
elemento che incide sulla salute)
e potrebbe essere di grande aiuto
nel contenere i focolai. I quartierinuclei
sarebbero permeabili tra loro
in condizioni normali, ma in caso di
necessità potrebbero essere isolati
rapidamente, evitando al contempo
chiusure generalizzate e intervenendo
solo dove è necessario e per periodi
brevi, che peserebbero meno sul
sistema economico».
La review pubblicata su Acta Biomedica
contiene un decalogo di proposte
che, a partire dalle riflessioni sulla
pandemia di coronavirus, aprono
scenari interessanti sull’evoluzione
delle nostre città. Le strategie derivanti
da questo studio sono in fase di
applicazione anche all’interno del
progetto di ricerca europeo EIT (Urban
Mobility for more Liveable Urban
Spaces, COVID-19 Crisis response), che
- con un budget complessivo di 720mila
euro - prevede una sperimentazione
progettuale a Saint-Germain En-Laye,
in Francia. «In questo particolare
momento storico - conclude Capolongo
- le città hanno un ruolo importante
nella gestione dell’epidemia e dei suoi
effetti a lungo termine».
"COVID-19 and Cities:
from Urban Health strategies
to the pandemic challenge.
A Decalogue of Public
Health opportunities"
— ACTA Biomedica
37
#SystemsModelling
#ControlTheory
COME CONTROLLARE
L’EPIDEMIA DI SARS-COV-2?
3 RICERCA
Un modello matematico studia la relazione tra i dati epidemiologici
e le strategie di contenimento in diversi paesi colpiti dall’epidemia,
individuando i limiti intrinseci alla controllabilità del processo
sulla base della teoria del controllo e le strategie migliori per
l’implementazione delle restrizioni
FRANCESCO CASELLA
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria Elettronica
La rivista IEEE Control Systems
Letters ha pubblicato un articolo
firmato dal prof. Francesco Casella,
del Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria del
Politecnico di Milano. Il lavoro, dal
titolo "Can the COVID-19 Epidemic Be
Controlled on the Basis of Daily Test
Reports?", analizza la possibilità di
controllare l’epidemia di SARS-CoV-2
attraverso misure di contenimento
basate sui report giornalieri di
tamponi positivi al virus, numero di
casi attivi e casi in totale. Casella ha
sviluppato un modello matematico,
tarato coi dati delle epidemie in Cina,
Italia, Francia e Regno Unito, su cui
applicare alcune tecniche di teoria
del controllo per capire se e in che
misura le restrizioni basate su questi
indicatori possano funzionare o meno.
“La scorsa primavera, le variabili
riportate giornalmente, in particolare
tamponi positivi e numero di
ricoverati, crescevano esponenzialmente
con un tempo di raddoppio sui 4
giorni. In sostanza, senza azioni di
contenimento, in due settimane i
numeri si moltiplicano per 8, in quattro
settimane per 64, e così via. Esiste
anche un lasso di tempo variabile
tra il momento in cui un individuo è
contagioso e il suo tampone viene
registrato dalla Protezione Civile”,
commenta il ricercatore in un
articolo divulgativo su Maddmaths
evidenziando alcune criticità. «Il
problema è che controllare un sistema
che esplode esponenzialmente, con
un ritardo di due settimane tra la
causa (decreti di salute pubblica) e
l’effetto (numero tamponi positivi),
può essere impossibile». Il problema
si pone in maniera simile in occasione
della seconda ondata.
Le strategie di contenimento
hanno alcuni limiti connessi a una
combinazione di ritardo intrinseco
nell’evoluzione della malattia e
nel processo di registrazione dei
casi positivi, unito a incertezza e
instabilità delle dinamiche di reazione.
Programmare solide strategie di
controllo nel momento in cui la
traiettoria del contagio ha Rt > 1.1
è molto difficile. Anche un’azione
drastica che dimezzasse tale ritardo
porterebbe tale limite a Rt > 1.2, limite
ampiamente superato in Italia per
tutto il mese di ottobre 2020. Al di
sopra di tale limite, l’analisi basata
sulla teoria del controllo mostra
come l’unica strategia efficace sia
di introdurre limitazioni abbastanza
drastiche da portare con ragionevole
certezza Rt sotto ad 1, mentre strategie
efficaci di chiusure graduali quando Rt
stia molto sopra 1.1 non sono possibili
per ragioni strutturali.
38
"Can the COVID-19
Epidemic Be Controlled on the
Basis of Daily Test Reports?"
— IEEEXplore
"COVID-19: la situazione
è sotto controllo?"
— MaddMaths
L’analisi può rivelarsi particolarmente
utile nella gestione della seconda
ondata, suggerendo come la strategia
vincente sia l’introduzione iniziale di
forti restrizioni, che portino Rt sotto
ad uno in breve tempo, seguita da una
fase di caute e progressive riaperture,
che è gestibile se si mantiene Rt sotto
ad 1.1 come già avvenuto nel periodo
maggio-giugno. Conforta osservare
come, sia pure tra molte incertezze
e resistenze, questa sia la strategia
attualmente perseguita in Italia.
×10 5 10 20 30 40 50 60 70
2
A r
: Model
A r
: Data
T r
: Model
T r
: Data
1.5
Ar, Tr
1
Lockdown
Restrictions
0.5
Peak
0
0
Time/days
39
3 RICERCA
#Health
#Ventilators
UN RESPIRATORE MECCANICO
SEMPLICE E MENO COSTOSO
PER LE PRE-ICU
Sviluppato in collaborazione con Whirlpool Corporation, il progetto
sarà open source. Ogni esemplare costerà intorno ai 1.000 euro
SIMONE CINQUEMANI
Dipartimento di Meccanica
Alumnus Ingegneria
Meccanica
Il team del Politecnico, coordinato
dai proff. Simone Cinquemani, Luigi
De Nardo e Paolo Rocco, insieme ai
proff. Matteo Corno, Beniamino Fiore
e Raffaele Dellacà, ha progettato un
respiratore meccanico che potrebbe
essere di supporto agli ospedali in
caso di una nuova emergenza sanitaria.
«Durante le prime fasi dell’epidemia
ci siamo scontrati con i limiti di
disponibilità dei respiratori, che sono
MATTEO CORNO
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria Informatica
e PhD Information and
Communication Technology
macchine costose e complesse e la
cui filiera di produzione è lunga»,
commenta Cinquemani, «Il progetto
nasce per dare una risposta allo
scenario nel quale un accesso
massivo ed improvviso di persone
in insufficienza respiratoria richieda
“mani” per guadagnare tempo e
permettere a tutti di essere curati
con un ventilatore che è di facile
utilizzo e che allo stesso tempo ha in
sé la tecnologia per sostituirsi a un
sanitario. Breath4U sfrutta un pallone
ambu (un pallone autoespandibile
per supportare l’attività respiratoria,
ndr) la cui compressione ritmica può
salvare vite se fatta da mani di persone
formate, oppure da un ventilatore che
si sostituisce a quelle mani».
Il dispositivo è stato progettato e
sviluppato in collaborazione con
Whirlpool Corporation, che ha firmato
un accordo quadro con il Politecnico
per la collaborazione su temi di ricerca.
«È uno dei tanti casi in cui l’azienda
vuole mettere in sinergia i propri
interessi in termini di innovazione
con la nostra capacità di fornire le
competenze necessarie, in questo caso
di progettazione meccanica, informatica
e elettronica», aggiunge Cinquemani.
«È stato un progetto impegnativo per la
multidisciplinarietà, che ci ha richiesto
di confrontarci anche con competenze
cliniche e biomedicali, e anche per la
velocità alla quale abbiamo lavorato:
un mese, dal foglio bianco a un layout
facilmente realizzabile in tempi rapidi».
Breath4U è leggero, facile da installare
e i componenti sono molto semplici
e disponibili sul mercato, anche in
fase di lockdown. Costruirne uno
costerebbe intorno a 1.000 euro (per
confronto, un respiratore tradizionale
da ICU costa tra i 10 e i 40mila euro).
La parte meccanica è composta da
un “palloncino” (il classico ambu) che
viene schiacciato in modo automatico
da due pinze motorizzate che
applicano una pressione controllata.
Il moto delle pinze è determinato da
40
una serie di informazioni misurate
sul campo (pressione del paziente,
massima pressione dell’aria, volume
nell’atto respiratorio, ecc.). L’ambu
è collegato a una mascherina di
respirazione tramite un tubo di plastica
(il prototipo non è pensato per una
intubazione invasiva). L’elettronica di
controllo gestisce il movimento delle
pinze: «Mi sono occupato di sviluppare
la legge di controllo», prosegue Corno,
«utilizzando solo componentistica
elettronica standard e facilmente
reperibile».
Il sistema di controllo permette due
funzionalità della macchina: la prima
e più semplice è quella del controllo
volumetrico, che serve nel caso di
pazienti che non sono in grado di
respirare in modo autonomo: il medico
o il personale sanitario impostano
i parametri di respirazione tramite
un’interfaccia grafica: numero di respiri
al minuto e volume da immettere. La
macchina è poi in grado di erogare
l’aria alla velocità e nel volume
indicati, assicurandosi che non
vengano superati i limiti di sicurezza
relativamente alla pressione che i
polmoni compromessi sono in grado
di sopportare. «Il lavoro sulla seconda
funzionalità è stato più complesso»,
continua Corno, «perché abbiamo
dovuto progettare una legge di
controllo per la modalità di aiuto alla
respirazione. La macchina deve saper
ascoltare il paziente per capire quando
sta iniziando a respirare. Breath4U
misura la differenza di pressione tra
la fine dell’atto di espirazione e l’inizio
del respiro successivo. Il paziente
compromesso non è in grado di creare
una sufficiente sottopressione per
inspirare tutta l’aria di cui ha bisogno,
quindi la macchina interviene in suo
aiuto valutando la misura necessaria».
Dopo l’assemblaggio, il prototipo è
stato testato nel TechRes - Laboratory
of Respiration Technologies del
Politecnico di Milano, con un
dispositivo che emula i polmoni del
paziente. Alcuni esemplari sono stati
poi inviati ad enti certificatori per
una valutazione sull’utilizzo sicuro in
ambito ospedaliero, mentre altri sono
in fase di test presso la Fondazione
Poliambulanza Brescia (Dott. G.
Natalini), l’Ospedale Santa Maria della
Misericordia Perugia (Dott. M. Renzini)
e l’Ospedale Provinciale di Macerata
(Dott. F. Corradetti). Il progetto, una
volta perfezionato, sarà reso disponibile
open source per chiunque avesse
bisogno di produrlo velocemente.
41
3 RICERCA
#Diagnosis #Epidemic #Evolution #Numerical #Simulation
I DIAGNOSTICATI COVID SONO
LA PUNTA DELL’ICEBERG.
COSA C’È SOTTO?
Un nuovo modello matematico identifica la dimensione dei contagiati
“sommersi”, cioè non diagnosticati, grazie all’interazione tra
matematica dell’automazione e competenze cliniche. L’articolo,
pubblicato su Nature Medicine, è co-firmato dal prof. Colaneri
del Politecnico di Milano
PATRIZIO COLANERI
Dipartimento di Ingegneria
Elettronica, Informazione e
Bioingegneria
Alumnus Ingegneria
Elettronica
Il 22 aprile 2020 è stato pubblicato
su Nature Medicine l’articolo
“Modelling the COVID-19 epidemia
and implementation of population
wide-interventions in Italy”. Fra gli
autori dell'articolo, che vede anche
la collaborazione delle università
di Trento, di Udine e dei medici
dell’ospedale San Matteo di Pavia,
c’è il prof. Patrizio Colaneri, ordinario
di Automatica al Dipartimento
di Elettronica, Informazione e
Biotecnologia del Politecnico di Milano.
In Italia, alla data del 5 aprile sono
stati registrati 128.948 casi confermati
e 15.887 decessi di persone risultate
positive a SARS-CoV-2. Il controllo
della pandemia globale richiede
l'implementazione di strategie
multiple a livello di popolazione,
incluso distanziamento, tamponi e
tracciamento dei contatti. L'articolo
propone un nuovo modello, definito
SIDARTHE, che predice il corso
dell'epidemia per aiutare a pianificare
un'efficace strategia di controllo.
Il modello considera otto stati di
infezione: suscettibile (Susceptible),
infetto (Infected), diagnosticato
(Diagnosed), malato (Ailing),
riconosciuto (Recognized), minacciato
(Threatened), guarito (Healed) ed
estinto (Extinct).
La distinzione tra individui diagnosticati
e non diagnosticati è importante
perché i primi sono in genere isolati
e, quindi, hanno meno probabilità
di diffondere l'infezione. SIDARTHE
discrimina tra individui infetti, a
seconda che siano stati diagnosticati e
in base alla gravità dei loro sintomi. Si
tratta di un modello di tipo mean-field
compartimentale che estende i modelli
epidemiologici classici SIR/SEIR. Non
distingue le persone sulla base di
caratteristiche anagrafiche, geografiche
o personali (per esempio il genere,
l’età o la compresenza di patologie
pregresse e altro), ma suddivide la
popolazione in otto comparti (stati) in
relazione al contatto con il coronavirus.
Un grafico mette in collegamento questi
stati attraverso i tassi di probabilità di
passare da uno stato all’altro.
«Siamo partiti dai dati messi a
disposizione dalla Protezione Civile,
che però riguardano soltanto le
persone diagnosticate. Il sommerso
va ricostruito. La parte più complessa
è stata quella del fit dei dati per
identificare i parametri», commenta
Colaneri. Proprio la modellazione
del “sommerso”, cioè del numero
di contagiati non diagnosticati, è
l’obiettivo principale di SIDARTHE. In
questo senso è stata determinante
la collaborazione tra competenze
ingegneristiche, matematiche,
statistiche e mediche-infettivologiche.
«L’interazione tra gli strumenti
dell’ingegneria e della matematica
con quelli delle scienze biologiche e
mediche è diventata indispensabile -
continua a spiegare Colaneri - non solo
in relazione all’emergenza COVID: è un
processo di fertilizzazione tra discipline
diverse in atto da anni. L’idea base di
SIDARTHE sul calcolo dell’R0 è quella di
42
descrivere il modello epidemiologico
come un sistema ad anello chiuso
sulla frazione dei suscettibili. Ciò
permette di caratterizzare quella che
noi automatici chiamiamo stabilità
robusta dei sistemi retroazionati. Il
modello, e i risultati delle simulazioni
avevano bisogno di essere validate
dal punto di vista concettuale,
confrontandosi con l’esperienza dei
clinici. Lo sforzo reciproco è stato
quello di scambiare informazioni con
un linguaggio scientifico mutualmente
comprensibile». I risultati sono
buoni dal punto di vista predittivo
e dell’individuazione di scenari
differenti a seconda delle misure di
contenimento. Le conclusioni sulla
letalità e sull’evoluzione del contagio,
pubblicate su Nature Medicine,
mettono in evidenza l’importanza dei
test a tappeto per il tracciamento del
contagio e delle manovre di lockdown
e distanziamento.
«Il prossimo passo - conclude Colaneri
- è un nuovo progetto con il San
Matteo di Pavia, Università di Trento e
CNR. Vogliamo capire come usare i dati
delle analisi sierologiche per costruire
un modello su rete che permetta di
prevedere l'evoluzione delle infezioni
e delle statistiche aggregate a partire
da osservazioni parziali e imprecise,
sfruttando le similarità tra individui
sensibili, attraverso un campionamento
ottimale su rete e stabilendo il numero
minimo effettivo di nodi da osservare
per una previsione accurata».
"Modelling the COVID-19
epidemic and implementation
of population-wide
interventions in Italy"
— Nature Medicine
43
#3DPrinting
3 RICERCA
DI FRONTE ALL’EMERGENZA,
RIDURRE I TEMPI DI REAZIONE
CON LA STAMPA 3D
L’additive manufacturing può servire a stampare dispositivi di
protezione customizzati, in piccoli o grandi numeri a seconda
del bisogno, direttamente in loco e tagliando tempi di produzione
e logistica. «Di fatto ci rende più resilienti», secondo Bianca Maria
Colosimo, docente del Dipartimento di Ingegneria Meccanica,
che insieme al collega Matteo Strano ha diretto la progettazione
dei PoliShields: gli schermi facciali fabbricati con stampa 3D
nei laboratori del Poli
BIANCA MARIA COLOSIMO
Dipartimento di Meccanica
Alumna Ingegneria Gestionale
e Ingegneria Meccanica
MATTEO STRANO
Dipartimento di Meccanica
Alumnus Ingegneria
Industriale e dell'Informazione
PoliShield è uno schermo facciale,
ossia un Dispositivo di Protezione
Individuale (DPI) che ha lo scopo di
proteggere chi lo indossa da aerosol
e goccioline di saliva potenzialmente
infette, possibile veicolo di coronavirus.
«Abbiamo lavorato con ricercatori,
tesisti e dottorandi fin dall’inizio
del lockdown dello scorso marzo
— racconta Bianca Maria Colosimo —
quando le curve di contagio erano
impressionanti, con tanta voglia di dare
una mano. Ci recavamo in Bovisa in tre
turni, per mantenere le condizioni di
sicurezza». I vantaggi della stampa 3D
sul manufacturing tradizionale sono
diversi: per esempio, all’aumentare
della complessità, i costi di produzione
rimangono gli stessi. Inoltre, è facile
lavorare sul design e implementare
in modo immediato piccole o grandi
correzioni. Si presta a qualsiasi design
e a lavorare parallelamente su design e
materiali: per esempio, un DPI potrebbe
essere stampato con materiale dalle
proprietà antibatteriche. Durante il
lockdown, ha permesso agli ospedali di
avere parti di ricambio per respiratori
e persino tamponi molto velocemente.
In particolare, l’additive manufacturing
44
è indicato per la personalizzazione del
prodotto, fondamentale per il comfort
di un oggetto da indossare molte ore
(come nel caso dei DPI). «E soprattutto,
il mondo della stampa 3D è un mondo
fatto di condivisione. Ci sono molti
siti web che raccolgono open design
di mascherine, valvole, schermi, DPI
di varia natura, da laboratori in tutto
il mondo. Per creare il PoliShield
siamo partiti dal modello di un’altra
università e abbiamo fatto un progetto
di re-design, ripensando forme e
materiali in relazione alle esigenze di
certificazione del mercato europeo»,
spiega Colosimo. Matteo Strano, che
si è occupato della certificazione,
aggiunge: «È stato l’aspetto più critico
— spiega — la normativa non fa
differenza tra uno schermo capace di
proteggere da goccioline di aerosol
e uno che possa proteggere da un
proiettile che colpisce il viso. Abbiamo
dovuto adattare il PoliShield per
entrambe le situazioni, tenendo conto
della necessità di uno schermo che
non deformasse le immagini per non
creare problemi alla vista, nemmeno
sul lungo termine».
Oggi PoliShield è certificato e il
progetto pronto per essere scaricato
da chiunque voglia replicarlo. I
ricercatori stanno partecipando a
un bando europeo che ha l’obiettivo
di aumentare la flessibilità e la
riconfigurabilità delle aziende per
facilitare produzione DPI come questo:
«insieme a una cordata di venti partner
— conclude Matteo Strano — vogliamo
rendere possibile la produzione
tramite additive manufacturing, di
DPI customizzati per i cosiddetti
vulnerable groups, per esempio stiamo
progettando mascherine trasparenti
per sordomuti».
«L'additive
manufacturing
ci rende più
resilienti»
45
3 RICERCA
#ArtificialKidney
#PhysicalSimulator
#UremicPatient
UN SIMULATORE FISICO DI
PAZIENTE NEL LABORATORIO
LABS - ARTIFICIAL ORGANS
DEL POLITECNICO DI MILANO
I ricercatori del Politecnico di Milano stanno lavorando a un sistema
integrato per migliorare la terapia della dialisi, anche in relazione alla
necessità di distanziamento fisico, difficile da ottenere nei reparti
ospedalieri in particolare durante la somministrazione di dialisi
MARIA LAURA COSTANTINO
Dipartimento di Chimica,
Materiali ed Ingegneria
Chimica "Giulio Natta"
MEDTEC School
Alumna Ingegneria Meccanica
Il gruppo di ricerca guidato dalla prof.
Maria Laura Costantino si propone di
ottimizzare gli approcci terapeutici in
ambito dialitico al fine di migliorare
la qualità della vita dei pazienti,
ridurre tassi di mortalità e comorbidità,
costruire una piattaforma condivisibile
da diversi centri clinici e facilitare la
domiciliazione della terapia dialitica.
Il gruppo lavora sul tema dal 2007 con
la collaborazione di diversi ospedali e
centri di ricerca.
«Uno dei maggiori problemi riscontrati
dai pazienti in dialisi è l’insorgenza
di effetti collaterali come nausea,
crampi, fino al collasso, dovuti al
fatto che la risposta al settaggio
delle macchine è estremamente
sensibile e paziente-specifica», spiega
Costantino. «Inoltre, in questi mesi
la necessità di recarsi in ospedale
3 volte alla settimana, per le 4 ore di
durata media di somministrazione
della dialisi, rappresenta un grosso
rischio per i pazienti, potenzialmente
esposti al contagio da coronavirus da
parte di altri pazienti che frequentano
i reparti ospedalieri o del personale
medico». I ricercatori del Politecnico
di Milano stanno sviluppando metodi
per facilitare la gestione dei pazienti in
dialisi, cosicché sia più facile dializzarli
anche in ospedali diversi da quello
di pertinenza, ma soprattutto sia
anche possibile trattarli a domicilio.
«Entrambi gli scenari sono ancora
problematici. Ci sono criticità nella
raccolta e interpretazione dei dati
terapeutici, spesso ottenuti con metodi
diversi nei diversi ospedali. Anche
la domiciliazione è critica, sia per la
sensibilità del trattamento, sia per
la necessità di ripensare lo spazio
domestico in funzione della terapia
(per esempio è necessario dotarsi di
un impianto di eliminazione dei reflui
come rifiuti ospedalieri, o di potenziare
l’impianto di erogazione dell’acqua
potabile)».
La prima fase di sviluppo si è conclusa
con la definizione di un modello
matematico multi-compartimentale
che può essere utilizzato dai clinici
per ottimizzare la terapia in modo
personalizzato per ciascun paziente.
Una volta validato clinicamente il
modello, i ricercatori vogliono ampliare
il set di dati misurati sia in ospedale, sia
tra una seduta di dialisi e la successiva,
grazie all’impiego di dispositivi
indossabili. Si integreranno modello e
algoritmi di predizione dell'ipotensione
intradialitica in un unico strumento di
supporto alla decisione clinica. Una
volta verificata la robustezza del nuovo
algoritmo, la capacità predittiva di
tale strumento verrà verificata tramite
studio clinico, coinvolgendo pazienti
che verranno monitorati per due
settimane consecutive.
46
Costantino si propone inoltre di
costruire una piattaforma web alla
quale i clinici possano accedere per
confrontarsi sulle impostazioni della
terapia. «In sostanza, il paziente sarà
dotato di una “carta della dialisi”,
uno strumento che conterrà tutte le
informazioni necessarie alla sua terapia
personalizzata. Dal software i medici
potranno consultare e condividere
le informazioni in modo omogeneo
e standardizzato». L’obiettivo chiave
è quello di una raccolta strutturata
e standardizzata dei dati relativi ai
trattamenti. Questo renderà possibile
la validazione multicentrica di
sistemi di supporto decisionale la
cui integrazione nei protocolli clinici
permetterà di personalizzare la
prescrizione dialitica in tutti i centri
che si appoggeranno al modello.
Il progetto nell’ambito del quale verrà
svolto questo studio, (Progetto Interreg
InterACTIVE-HD 2.0, ID. 1441882), della
durata di 24 mesi e che ha come
capofila Maria Laura Costantino, è
stato finanziato da Regione Lombardia
per 800 mila euro, di cui 500 mila
euro sono destinati al Politecnico di
Milano, e i restanti sono destinati ai
centri ospedalieri Lombardi e Svizzeri
coinvolti. Tra gli investimenti previsti
ci sono assegni di ricerca, un contratto
Co.Co.Co. biennale, e la ri-progettazione
ottimizzata e la costruzione di
un simulatore fisico di paziente;
entrambe queste attività verranno
sviluppate presso il Laoratorio LaBS-
Artificial Organs del Dipartimento
di Chimica, Materiali e Ingegneria
Chimica “Giulio Natta”. In particolare,
«Verrà riprogettato e ottimizzato un
simulatore fisico a due compartimenti
(Two-pool Physical Simulator) degli
scambi di volume di fluidi e soluti tra
i compartimenti corporei del paziente
durante l'emodialisi, per validare i
modelli compartimentali sviluppati
e valutare gli effetti sugli scambi di
massa di diverse impostazioni della
macchina per dialisi. Il simulatore è
progettato utilizzando uno strumento
di calcolo sviluppato internamente e
verrà testato simulando procedure di
emodialisi utilizzando filtri per dialisi
disponibili in commercio. Campioni di
fluido saranno prelevati dal simulatore
per misurare la concentrazione di
elettroliti. I volumi intra - ed extravascolari
saranno invece registrati
direttamente dal set-up. I primi risultati
sperimentali sono stati confrontati con
dati clinici rilevando concentrazioni
in linea con essi. Il nuovo simulatore
servirà per analizzare la risposta
del paziente al trattamento, con il
vantaggio di poter simulare e prevedere
le risposte dinamiche a possibili
cambiamenti nel funzionamento del
filtro di emodialisi».
Oltre a Politecnico di Milano (Dipartimento
di Chimica, Materiali e Ingegneria
Chimica “Giulio Natta” e Dipartimento
di Ingegneria Gestionale , per il quale
coordina la prof. Cristina Masella), i
partner coinvolti sono Fondazione
Politecnico di Milano, Dipartimento di
Nefrologia e Dialisi dell’Ente Ospedaliero
Cantonale, Ospedale Regionale di Lugano,
Dipartimento di Nefrologia e Dialisi del
Kantonsspital Graubünden, Coira, UOC
di Nefrologia e Dialisi dell’ASST dei Sette
Laghi, Varese, UOC di Nefrologia e Dialisi
dell’ASST Lariana, Como, UOC di Nefrologia
e Dialisi dell’ASST della Valtellina e
dell’Alto Lario, Sondrio.
47
3 RICERCA
#NumericalAnalysis
#ModellingAndSimulation
STRATEGIE DI CONTRASTO AL
CORONAVIRUS: AGIRE REGIONE
PER REGIONE FA LA DIFFERENZA
Lo studio: "A network model of Italy shows that intermittent regional
strategies can alleviate the COVID-19 epidemic", di cui è primo
autore il prof. Fabio Della Rossa del Politecnico di Milano e frutto
della collaborazione con l'università Federico II di Napoli, è stato
pubblicato su Nature Communication. Il modello suggerisce di attivare
lockdown intermittenti a livello regionale per controllare la diffusione
dell’epidemia in Italia e contenerne l’impatto economico
FABIO DELLA ROSSA
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria
Matematica
Leggi l'articolo pubblicato
su Nature Communications
Abbiamo intervistato Fabio Della Rossa,
ricercatore al Politecnico di Milano,
primo autore dello studio “A network
model of Italy shows that intermittent
regional strategies can alleviate the
COVID-19 epidemic” recentemente
pubblicato sulla prestigiosa Nature
Communication. Si tratta di un modello
matematico con l’obiettivo di prevedere
scenari epidemiologici di COVID-19 a
partire dalle dinamiche di diffusione
del contagio e dalle politiche di
restrizioni adottate dal governo, con un
focus specifico sul territorio italiano.
Lo studio è attualmente in revisione in
attesa di pubblicazione da parte di una
rivista scientifica. Il modello si basa
sulla dinamica dei sistemi complessi: in
ciascuna delle regioni italiane, utilizza
un modello a compartimenti e descrive
la connettività inter-regionale con un
approccio modellistico basato sulle
reti. «L’Italia ha una politica sanitaria
fortemente localizzata e differente tra
regione e regione - afferma Della Rossa
- a partire da questa lettura, abbiamo
sviluppato un modello data-driven,
andando a scavare i dati per tirarne
fuori tutto il possibile, che tenesse
conto delle differenze tra le regioni e
la possibilità che persone di regioni
diverse potessero o meno spostarsi».
I principali ingredienti del modello sono
tre. Il primo, quello epidemiologico, è
stato costruito e parametrizzato con un
algoritmo ad-hoc, identificato sui dati
resi disponibili dalla protezione civile,
capace di riconoscere cambiamenti
di comportamento significativi (ad
esempio, quelli introdotti dai vari
decreti ministeriali) e di adattarsi per
mantenere la sua capacità predittiva.
Il secondo è relativo ai pattern di
spostamento della popolazione: «I
dati ISTAT riproducono una situazione
diversa da quella anomala in cui ci
troviamo oggi - dice Della Rossa -
per esempio, il dato più completo
sui flussi è il risultato di un’indagine
del 2011. Negli ultimi 9 anni, anche
indipendentemente da COVID, le cose
sono cambiate molto (alta velocità,
collegamenti aerei, trasformazioni
socioeconomiche…). Coprire questo
cambiamento è un compito work-inprogress
che finora ci ha permesso, con
buona approssimazione, di descrivere
la situazione a febbraio 2020. Siamo
partiti da lì, poi abbiamo inserito i
dati di tracciamento della mobilità
GPS rilevati tra febbraio e l’inizio del
lockdown (identificando una riduzione
della mobilità del 70%). Tutti questi
elementi ci hanno portato a una stima
il più plausibile possibile dei flussi
prima e durante il lockdown come di
quelli relativi alla fase 2».
L’ultimo pezzo del lavoro è la stima
dei costi dell’epidemia. Anzitutto i
costi in termine di vite: «Abbiamo
dovuto capire l’evoluzione medica che
ci ha permesso di dare una risposta
ospedaliera sempre più efficace
48
IDENTIFICATION
OF THE AGGREGATE
NATIONAL MODEL
2.5
2
× 10 5
A
1.5
1
Panel (A). Comparison between model
predictions and data collected with time
windows Identified at the end of Step 1 of
the parameter identification process.
0.5
0
23-Feb-2020
04-Mar-2020
14-Mar-2020
24-Mar-2020
03-Apr-2020
13-Apr-2020
23-Apr-2020
03-May-2020
2.5
2
× 10 5
B
1.5
Panel (B). Comparison between model
predictions and data collected with the
merged time windows obtained after Step
2. In both panels the estimated number
of cases predicted by the model C (yellow
solid line) is compared with the avilable
datapoints C (shown as red circles).
1
0.5
0
23-Feb-2020
04-Mar-2020
14-Mar-2020
24-Mar-2020
03-Apr-2020
13-Apr-2020
23-Apr-2020
03-May-2020
al virus. Secondariamente, i costi
economici connessi alle chiusure
delle attività produttive nelle diverse
regioni. Ci siamo basati su una
serie di lavori di econometria usciti
all’inizio del lockdown, che stimavano
la riduzione del valore aggiunto sul
PIL per ciascuna regione. Abbiamo
quindi cercato di stimare una cifra
di merito più sensata possibile, ora
stiamo iniziando a approfondire
questa parte coinvolgendo persone
più esperte di noi in economia. Questa
cifra è particolarmente delicata in una
situazione in cui il governo è chiamato
a decidere tenendo conto della salute
della popolazione e delle necessità
economiche di ciascuna famiglia».
Dopo averlo parametrizzato, il modello
è stato testato per capire quali fossero
i possibili scenari epidemiologici
e di intervento. «Col passare delle
settimane abbiamo verificato che
funzionava bene: la procedura
di identificazione permetteva un
buon adattamento ai cambiamenti,
generando un prodotto con una
buona capacità predittiva». Uno dei
risultati più rilevanti è la misurazione
del vantaggio di attuare misure
coordinate a livello nazionale, che
però permettano a ciascuna regione di
applicare restrizioni e aperture tagliate
su misura. «La conclusione è che una
strategia coordinata a livello nazionale
che permette a ciascuna regione di
utilizzare regole di distanziamento
differenti, è preferibile ad un
lockdown generalizzato sia in termini
di minor costo economico (risparmio
fino al 30%), ma anche in termini di
miglior controllo dell'epidemia, ovvero
minor carico di picco delle strutture
ospedaliere, e minor numero di
deceduti (all'incirca il 25% in meno).
Un risultato che tutto sommato è
abbastanza controintuitivo: spesso
diciamo "l'unione fa la forza". In
questo caso abbiamo mostrato
che per contrastare gli effetti della
pandemia è meglio agire localmente
e bloccare una regione quando il
suo sistema sanitario si avvicina a
una soglia di rischio piuttosto che
ritardare la chiusura e lasciar correre
ancora un po' l'epidemia nella regione
sfruttando il fatto che è possibile
appoggiarsi sulle strutture sanitarie
delle altre regioni».
49
3 RICERCA
#RiskMangement
#RiskAssessment
IL "LATO UMANO" DEL VIRUS:
EXPLORING HUMAN BEHAVIOR IN
A PANDEMIC SCENARIO
Come si comportano le persone durante una pandemia e quali rischi
economici e sanitari sono disposti ad assumersi? Per capirlo, quattro
studenti del corso di Fondamenti di Automatica, guidati dal prof.
Fabio Dercole, hanno sviluppato un modello
FABIO DERCOLE
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria
Informatica
«Si tratta di un’idea che abbiamo
sottoposto ad AXA nell’ambito del
bando Mitigating risk in the wake
of the COVID-19 Pandemic», spiega
Fabio Dercole, docente di Fondamenti
di Automatica, Dinamica dei Sistemi
Complessi e di Analisi di Processi
di Innovazione e Competizione al
Politecnico di Milano. Dercole continua
a raccontare: «Si basa sulla possibilità
di generare un modello in grado di
integrare l’effetto del “lato umano”
della pandemia con i meccanismi di
contatto e mobilità della popolazione
tipici dei modelli epidemiologici
tradizionali. Il nostro comportamento
è contraddistinto da un certo grado di
irrazionalità ma anche da motivazioni
descrivibili matematicamente, in un
contesto in cui la politica impone una
serie di restrizioni della libertà e in
cui noi stessi ce ne imponiamo alcune
e decidiamo di trasgredirne altre, di
fronte al rischio di contagio».
Il progetto, se finanziato, avrà come
Principal Investigator il prof. Fabio
Della Rossa, attualmente ricercatore
a tempo determinato presso lo stesso
dipartimento del prof. Dercole e già
coinvolto in progetti di modellistica
epidemiologica COVID. Della Rossa
spiega la genesi: «L’idea nasce in
classe: da una sfida a tema COVID,
lanciata a quattro studenti motivati del
corso di Fondamenti di Automatica, di
generare un ambiente di gioco capace
di simulare la situazione reale. Nella
simulazione, ogni persona ha di fronte
una serie di scelte quotidiane, più o
meno procastinabili, come vado a fare
la spesa, una visita medica, un giro al
parco, o incontro amici e parenti. Ogni
scelta porta un benefit o una risorsa
alla persona, avere il cibo, per esempio,
ma comporta anche rischi di contagio
e di incorrere nelle sanzioni in caso di
scelte in contrasto con le restrizioni
correnti». L’obiettivo è quello di
capire come le persone si comportino
e quale sia il rischio economico
o di salute che sono disposte ad
assumersi. «A partire da quell’idea,
abbiamo sviluppato lo scheletro di un
modello individual-based, che tenta
di simulare il comportamento della
popolazione andando a modellare il
comportamento di ciascun individuo».
Modelli epidemiologici di questo tipo
sono già stati molto utilizzati, sia in
passato per altre epidemie che ora per
la COVID-19, per tracciare l’evolversi
dell’epidemia e per capire, ad esempio,
quali siano i canali di contatto o
mobilità più importanti nella diffusione
del virus. Nessuno dei modelli proposti
tiene però conto del feedback dato
dal nostro stesso comportamento in
una situazione che è per tutti nuova. Il
modello proposto sarebbe il primo di
carattere socio-epidemiologico.
50
Illustrazione:
United Nations
COVID-19
Response
Creative
Content Hub.
«La particolarità di questo modello,
a differenza degli altri in circolazione,
è che tiene in considerazione il lato
umano, introducendo una parte di
modellistica basata sulla teoria dei
giochi: la decisione di partecipare
o meno ai contatti sociali, di
violare o meno una imposizione è
presa da una persona che agisce
pensando di massimizzare il suo
benessere, secondo modalità che non
conosciamo». Il progetto include lo
sviluppo di una app mobile che offra
un’esperienza ludica ma realistica alla
popolazione, in modo da raccogliere
dati su questo “lato umano” e poter
quindi calibrare il modello previsionale
socio-epidemiologico. «Riteniamo che
questo modello possa essere un utile
supporto alla politica per definire ed
aggiornare prontamente le regole di
gestione delle varie fasi della pandemia
e per prepararci adeguatamente
a simili sfide future», concludono
Dercole e Della Rossa.
51
3 RICERCA
#MachineLearing #GameTheory #VirusTracking
#ArtificialIntelligence
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
AL SERVIZIO DEL TRACCIAMENTO
DEL CONTAGIO
Un gruppo di ricerca del Politecnico di Milano, guidato dal prof.
Gatti, sta lavorando a un nuovo algoritmo che potrebbe essere
determinante nel ricostruire le catene di contagio
"A privacy-preserving tests
optimization algorithm for
epidemics containment"
— arXiv | Cornell Univeristy
NICOLA GATTI
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria
Biomedica
L’intelligenza artificiale è uno
strumento chiave per ricostruire
le catene di contagio, ma è un
campo di ricerca ancora molto
inesplorato. Nicola Gatti (co-direttore
dell’Osservatorio sull’intelligenza
artificiale del Politecnico di Milano), in
un’intervista rilasciata al Sole 24Ore,
ha evidenziato due problemi. Il primo,
legato alla semantica del dato: diversi
metodi di raccolta delle informazioni
inquinano la qualità dell’informazione
e rendono fallaci i tentativi di ricerca
di pattern. Il secondo motivo riguarda
invece la dimensione quantitativa
dei dati. Quella in corso è la prima
pandemia di cui siamo in grado di
raccogliere sistematicamente i dati in
un arco di tempo significativo, senza
avere ancora strumenti collaudati
per la loro interpretazione. Una delle
necessità più urgenti è imparare a
ricostruire le catene di contagio per
identificare tempestivamente gli infetti
asintomatici o pauci-sintomatici. Le
app attualmente in circolazione non
riescono ad aggirare il problema della
privacy e, per tutelarla (giustamente),
rinunciano a una parte della loro
efficacia nel tracciare il contagio:
tutte le informazioni, ad esempio,
devono essere immesse dagli utenti
spontaneamente e in modo omogeneo.
Il gruppo di ricerca guidato da Gatti
sta sviluppando un nuovo algoritmo
decentralizzato che sarebbe in grado
di raccogliere i dati geolocalizzati dai
dispositivi mobili, in modo automatico,
omogeneo e totalmente anonimo
ma riconducibile univocamente a un
utente. «Il sistema identificherebbe
le utenze che hanno una maggiore
probabilità di aver contratto il virus,
ricostruendo la catena a partire dalla
diagnosi di un paziente zero», spiega
Gatti, «si tratta, in sostanza, di un
modello epidemiologico in microscala,
che tratta un gruppo di persone,
identificate dal fatto di avere avuto
contatti con un paziente diagnosticato
COVID-19, come una popolazione». I
risultati preliminari di questo metodo
indicano la possibilità di limitare il
contagio in una misura compresa
tra il 20 e il 50%. Lo studio è stato
pubblicato in preprint sul sito della
Cornell University di New York, con
questo titolo "A privacy-preserving
tests optimization algorithm for
epidemics containment"
52
#OptimalLockdownStrategy
#ControlTheory
#MathematicalModelling
IN CASO DI EPIDEMIA E LOCKDOWN,
COME MEDIARE TRA RISCHIO
SANITARIO E RISCHIO ECONOMICO?
Un articolo pubblicato in pre-print dal prof. Filippo Gazzola, docente di
Analisi al Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano, individua
un nuovo modello matematico in grado di descrivere la strategia ottimale
di lockdown durante un’epidemia
FILIPPO GAZZOLA
Dipartimento di Matematica
pubblicato per esteso su Research Gate
e in attesa di peer-review, si inserisce
in questa cornice e propone un nuovo
problema di controllo ottimo, allo scopo
di individuare la migliore strategia di
lockdown in caso di pandemia.
A partire da modelli logistici non
lineari, che descrivono quello che già
sappiamo sulla propagazione dei virus e
sull’evoluzione delle popolazioni, il prof.
Filippo Gazzola introduce un problema
di controllo ottimo con due parametri in
competizione: la forza produttiva della
regione osservata (con conseguente
capacità economica) e l’efficienza
del suo sistema sanitario. Tramite il
principio di Pontryagin, si ottengono
così indicazioni sulla strategia di
lockdown ottimale. Il paper descrive
alcuni casi emblematici: per esempio,
regioni dall’economia stabile e dal
sistema sanitario efficiente, accessibile
e capillare, subirebbero un grave danno
economico durante un lockdown rigido,
mentre misure restrittive più morbide,
pur producendo una crescita dei contagi,
non provocherebbe gravi danni, poiché
il sistema sanitario sarebbe in grado di
far fronte all’emergenza. D’altra parte,
una regione con una ridotta capacità
produttiva e/o un sistema sanitario
poco efficiente non sarebbe in grado di
far fronte alla crescita dei contagi: un
lockdown rigido è quindi necessario,
anche tenuto conto della minore perdita
economica di fronte al blocco delle
attività produttive. Il valore di questi
due parametri permette di stabilire
quale dei due sia maggiormente critico
e in che misura. L’output dello studio
è il controllo ottimo che descrive la
strategia di lockdown ottimale, in
relazione al rapporto tra parametro
economico e parametro sanitario della
regione considerata.
Le conseguenze economiche di un
lockdown prolungato possono essere
molto gravi, in casi estremi possono
rivelarsi più dannose del virus stesso,
con effetti negativi a lungo termine
sulla regione colpita. I governi hanno il
difficile compito di valutare quando e in
che misura attuare strategie di lockdown,
assumendosi i rischi economici e
sociali del blocco delle attività. Lo
studio “An optimal control problem
for virus propagation and economic
loss”, del quale una versione ridotta,
e inframezzata dalle parole di Gabriel
Garcia Marquez, è disponibile online
(inquadrando il QR code qui accanto) è
Leggi un estratto
dello studio “The Optimal
Lockdown Strategy Against
Virus Propagation and
Economic Loss"
53
3 RICERCA
#Epidemiology #SpatiallyExplicitModels #DiseaseEcology
LA FORZA DELL’INFEZIONE:
MEDIARE TRA LOCKDOWN
E RIPRESA DELLE ATTIVITÀ
I dati dimostrano che le restrizioni alla mobilità durante la scorsa
primavera hanno evitato il ricovero ospedaliero di almeno 200.000
persone. È una delle conclusioni di “Spread and dynamics of the
COVID-19 epidemic in Italy: Effects of emergency containment
measures”, studio che propone il primo modello spazialmente
esplicito per descrivere gli scenari di diffusione del coronavirus.
Marino Gatto, professore di Ecologia del Politecnico di Milano
e primo autore dello studio, lo racconta agli Alumni
MARINO GATTO
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria
Elettronica
È stato pubblicato su PNAS l’articolo
“Spread and dynamics of the COVID-19
epidemic in Italy: Effects of emergency
containment measures”, realizzato dal
prof. Marino Gatto in collaborazione
con un gruppo di scienziati italiani del
Politecnico di Milano (Lorenzo Mari,
Stefano Miccoli, Renato Casagrandi),
Università Ca’ Foscari Venezia,
Università di Zurigo, EPFL di Losanna e
Università di Padova. Lo studio propone
un modello originale spazialmente
esplicito, in grado di descrivere
con grande accuratezza la “forza di
infezione” del coronavirus: cioè quanti
suscettibili si infettano in una unità di
tempo, tenendo conto della mobilità
sul territorio e della interconnessione
tra le province italiane. I ricercatori
hanno stimato i parametri nei termini
di un modello di tipo SEIR (Susceptible
– Exposed – Infected – Recovered)
tipicamente usato per descrivere il
modo in cui si propagano le infezioni.
Hanno però incluso la mobilità,
espressa in un network di 107 province
connesse, e il contributo critico
della capacità di paucisintomatici e
asintomatici nella diffusione della
malattia. A questi due elementi si deve
l’alto valore predittivo del modello.
Un elemento importante messo
in luce da questo modello è la
stima di quantità che non vengono
misurate direttamente: in particolare
il numero dei contagiati non
diagnosticati. I dati disponibili al
momento della pubblicazione, datati
al 25 marzo, permettevano di stimare
che, a quella data, fossero stati
contagiati circa 700 mila italiani.
Secondo il modello, il numero dei
contagiati è stimato essere circa 10
volte superiore rispetto al numero
dei diagnosticati. Questo evidenzia
l’importanza sia delle misure di
lockdown, sia dell’utilizzo dei
dispositivi di protezione (come le
mascherine, che proteggono gli altri
nel caso in cui l’individuo sia infetto
senza saperlo). Inoltre, si mette in
evidenza come siamo ancora molto
lontani da una immunità di gregge
(ammesso che sia possibile), che si
raggiungerebbe, eventualmente, solo
nel caso in cui il virus contagiasse
oltre il 75% della popolazione, con
gravi perdite in termini di vite umane
e con effetti catastrofici sul sistema
sanitario e economico del Paese. Un
fattore in grado di minimizzare la
necessità di bloccare ulteriormente
54
Per approfondire:
"Spread and dynamics of
the COVID-19 epidemic in
Italy: Effects of emergency
containment measures"
— PNAS
"The geography of COVID-19
spread in Italy and implications
for the relaxation of confinement
measures"
— Nature Communications
la mobilità sarebbe una efficace e
tempestiva politica di tracciamento a
tappeto e isolamento dei contagiati.
Inoltre, un secondo articolo sulla
diffusione del coronavirus in Italia in
seguito all’allentamento delle misure
di prevenzione è stato pubblicato su
Nature Communications.
L’andamento dei contagi dei mesi tra
aprile e luglio 2020 in Italia ha evidenziato
come la necessità di riprendere le
attività dopo il lockdown dovesse
essere coordinata con metodologie
di contenimento del virus selettive e
adattabili ai contesti locali. È stato questo
l’oggetto dello studio "The geography of
COVID-19 spread in Italy and implications
for the relaxation of confinement
measures", pubblicato su Nature
Communications e firmato dai docenti
del Politecnico Lorenzo Mari, Stefano
Miccoli, Renato Casagrandi e Marino
Gatto, in collaborazione con i ricercatori
dell’università Ca’ Foscari, dell’Università
di Padova e dell’École Polytechnique
Fédérale de Lausanne. L’articolo
proponeva un modello spazialmente
esplicito in grado di stimare le misure
restrittive necessarie per contenere
l’emergere di nuovi focolai, sulla base
di un’analisi ex-post dei dati relativi al
periodo a cavallo della fine del lockdown
(decessi e ricoveri in oltre 100 province
italiane e indicatore della mobilità
sulla base della geolocalizzazione dei
cellulari). Secondo gli autori, isolare
quotidianamente almeno il 5,5% delle
persone potenzialmente contagiose,
anche asintomatiche e non accertate,
poteva mantenere la trasmissibilità
del virus a un livello compatibile con
i costi economici e sociali, evitando
al contempo una seconda ondata
dell’epidemia (identificata con
l’aumento del tasso di contagio in
misura del 40%). Secondo lo studio,
ciò avrebbe significato, ad esempio,
isolare circa 1200 persone al giorno in
Lombardia, 500 in Emilia-Romagna e 200
in Veneto. Prerequisito per l’applicazione
di questa metodologia era naturalmente
la capacità di tracciare i contatti in
maniera rapida e capillare.
Per saperne di più, si trovano online due
pubblicazioni: "Spread and dynamics of
the COVID-19 epidemic in Italy: Effects
of emergency containment measures"
(su PNAS) e "The geography of COVID-19
spread in Italy and implications for the
relaxation of confinement measures" (su
Nature Communications).
DATA (MAY 1 ST ) MODEL DECREASE OF INFECTIVITY
Hospitalizations/Population
10 -4 10 -3
10 -2 0.3 0.4
55
#FrailtyModels
#AdministrativeData
#Pharmacoepidemiology
#FunctionalDataAnalysis
#HealthAnalytics
#Biostatistics
3 RICERCA
#DeepLearning
#ImbalancedClassification
HEALTH ANALYTICS: I DATI
AL SERVIZIO DELLA SALUTE
La prof. Francesca Ieva e il suo gruppo di ricerca stanno sviluppando modelli
che misurano quali e quante risorse dobbiamo investire per mantenere
il nostro sistema sanitario al passo con le conseguenze della pandemia
FRANCESCA IEVA
Dipartimento di Matematica
Alumna Ingegneria
Matematica
«Sempre più spesso, negli ultimi
anni, gli ospedali non riescono più a
ottenere da semplici dati biostatistici
le analisi e le risposte di cui hanno
bisogno: i dati stanno diventando
sempre più eterogenei e molto
complessi, abbiamo a che fare con
immagini, dati testuali, dati segnale,
dati genomici, big data, real world data,
tutti provenienti da fonti informative
diverse. Sappiamo, come lo sanno i
clinici, che l’informazione in quei dati
c’è, ma per tirarla fuori c’è bisogno di
qualcosa di completamente innovativo:
modelli nuovi, che non sono quelli
che sono stati insegnati, a noi per
primi, negli ultimi vent’anni. Sono
metodi che si stanno sviluppando a
fronte di condivisione e di competenze
transdisciplinari; e un posto come
il Politecnico offre la possibilità
di trovarsi sulla cresta dell’onda
nell’esposizione a tutti i possibili
stimoli che in questo senso possono
arrivare». Francesca leva è docente
di Statistica, Statistica applicata
e Biostatistica al Dipartimento di
Matematica del Politecnico di Milano.
Da oltre dieci anni si occupa di analisi
e modellizzazione statistica di dati
di tipo biomedico e ha sviluppato
diversi metodi di stima, previsione e
dimensionamento per problematiche
derivanti dalle esigenze del sistema
sanitario. «Negli anni abbiamo lavorato
soprattutto a dati relativi a patologie
cardiovascolari, ma questi metodi sono
pensati apposta per essere adattabili a
altri tipi di patologie e, in particolare,
stiamo lavorando a due progetti per
applicarli alla situazione COVID, in
prima battuta in Lombardia, con la
capacità di scalare il modello, una
volta pronto, su qualsiasi dimensione».
La pandemia di coronavirus ha avuto
un impatto importante sulla capacità
del sistema sanitario di erogare i
servizi per la salute, dai processi di
cura alla diagnosi fino ai trattamenti.
Il progetto REVEAL consente di fare
un’analisi interpretativa di come
sia cambiato l’accesso a prestazioni
sanitarie di qualsiasi tipo da parte
della popolazione in Italia e dare una
proiezione di quanta gente sia “rimasta
indietro” a causa della saturazione
del sistema sanitario e delle misure
di lockdown. «È necessario stimare
correttamente la “coda” per un
efficiente utilizzo delle risorse -
precisa Ieva - inoltre, in alcuni casi,
i pazienti non potranno recuperare
perché la loro salute è peggiorata a
causa del mancato intervento, e quindi
impatteranno sul sistema in maniera
maggiore di quanto sarebbe successo
in condizioni normali». A partire da
questi dati, il modello costruisce per
ciascun paziente, mediante algoritmi
di intelligenza artificiale, un indice che
indichi quanto questa persona sia a
rischio di sviluppare eventi avversi
importanti; da un lato, serve alle
istituzioni per stimare correttamente
quali risorse investire nel sistema
56
sanitario, dall’altro è utile ai medici
per a identificare percorsi terapeutici
personalizzati.
«REVEAL prende in considerazione
la storia clinica del paziente, non
solo la situazione attuale. Il metodo
ci consente di sintetizzare questa
storia insieme al presente, in modo
automatico, in un unico output in
grado di categorizzare ogni paziente in
fasce di rischio. Questo indicatore non
intende sostituire i medici, ma fornire
loro uno strumento di supporto che
possa aiutarli a fare delle valutazioni
e ad attivare un iter di monitoraggio o
una terapia ad hoc».
L’obiettivo di REVEAL è quindi quello
di costruire uno strumento decisionale
per medici e istituzioni sanitarie, che
evidenzi possibili scenari di intervento
personalizzati con un uso più razionale
ed efficiente delle risorse: «se effettuo
una stima per cui un certo numero di
pazienti verranno classificati come
“ad alto rischio”, significa che sto
associando a questo altro rischio una
serie di procedure che hanno costi in
termini economici e di risorse umane.
Fare una previsione è fondamentale in
momenti come questo, caratterizzati da
grande incertezza, per fare un corretto
dimensionamento delle risorse che
un sistema sanitario deve mettere a
disposizione, per far fronte alle necessità
e per non ritrovarsi saturato nel
momento dell’emergenza», spiega Ieva.
Anche COVIDEMA il secondo progetto
a cui il gruppo di Ieva sta lavorando,
va nella direzione della medicina
personalizzata e allo stesso tempo
cerca di dare una lettura di sistema
che serva al personale sanitario per
prevedere il possibile insorgere di
situazioni a alto rischio. Se, nel caso
di REVEAL, a essere sotto la lente di
ingrandimento è quanto il sistema
sanitario sia in grado di funzionare in
condizioni estreme, COVIDEMIA studia
le conseguenze di un aspetto più
psicologico e comportamentale della
vita dei pazienti, cioè la loro capacità
di seguire più o meno alla lettera le
indicazioni terapeutiche. Anche in
questo caso, il metodo sviluppato
da Ieva per malattie del sistema
cardiocircolatorio è pronto per essere
traslato in ambito COVID.
«Quando un paziente con patologie
croniche o multiple viene dimesso da
un ospedale, gli viene prescritta una
terapia farmacologica o in generale
una prassi, ma non sempre il paziente
è in grado di seguirla, a volte per
dimenticanza o indolenza, a volte
per esempio per motivi economici,
organizzativi o perché insorgono delle
controindicazioni. COVIDEMIA descrive
degli scenari di sviluppo a partire
da una serie di domande: è stato
prescritto tutto quello che doveva
essere prescritto per la tipologia di
paziente? Il paziente segue la terapia
correttamente? Se non la segue, per
«Gli ospedali
non riescono
più a ottenere
da semplici dati
biostatistici
le analisi e le
risposte di cui
hanno bisogno»
57
quale motivo? Ognuna di queste
opzioni ha un impatto sul sistema
perché un paziente con una buona
terapia viene riospedalizzato meno
e avrà bisogno di meno visite non
programmate, mentre un paziente che
non è aderente alla terapia è probabile
che sviluppi ulteriori problemi. Noi
proviamo a misurare l’impatto di
questo comportamento integrando
modelli statistici e strumenti di
intelligenza artificiale, machine
learning e text mining. Lavoriamo sui
dati con tecniche che ne consentano
un adeguato pre-processing, a cui
segue la fase modellistica e l’analisi
clinico-epidemiologica, tramite modelli
previsionali parametrici e non
parametrici, quali ad esempio, modelli
gerarchici a effetti misti, modelli di
regressione lineare e non lineare,
modelli di sopravvivenza e multistato,
in cui viene integrata l’informazione
longitudinale attraverso tecniche di
Functional Data Analysis».
«Sappiamo,
come lo sanno
i clinici, che
l’informazione
in quei dati c’è,
ma per tirarla
fuori c’è bisogno
di qualcosa di
completamente
innovativo:
modelli nuovi,
che non sono
quelli che sono
stati insegnati,
a noi per primi,
negli ultimi
vent’anni»
58
A partire dalle banche dati
amministrative, i ricercatori analizzano i
dati sanitari e biomedici con l’obiettivo
di capire come comportamenti diversi
si traducano in esiti diversi e in che
misura: «siamo in grado di estrarre
ed integrare dati molto eterogenei,
di tipo clinico o amministrativo.
Questo ci consente di fare analisi di
scenario che descrivono le possibili
evoluzioni dello stato di salute di
un alto numero di pazienti. Usiamo
tecniche di machine learning per
analisi di dati di tipo non strutturato
o di natura diversa da quella
numerica, come testi, immagini o
informazioni genomiche. Tutte queste
informazioni vengono infine elaborate
e opportunamente sintetizzate al
fine di poter essere inserite in un
modello previsionale e fornire un
output accurato ma al tempo stesso
facilmente leggibile. L’ultimo step
del lavoro è il setting di cruscotti
informativi che possa fornire esiti
interpretabili agevolmente anche
da un clinico o dalla persona di
riferimento in sede amministrativa».
Strumenti come REVEAL e COVIDEMIA
sono di grande utilità sia ai medici,
che ottengono criteri oggettivi su cui
basarsi per prendere delle decisioni
terapeutiche per i singoli pazienti, sia
al sistema nel suo complesso, perché
consentono di capire quale potrebbe
essere, a fronte di scenari diversi, la
richiesta di prestazioni sanitare in un
orizzonte temporale di interesse. «Una
cosa importante, quando parliamo
di medicina personalizzata, è la
protezione della privacy. Tutti questi
dati sono sempre forniti e trattati in
maniera totalmente anonima. Ogni
persona è un’unità statistica di cui
si studia il comportamento, ma alla
cui identificazione non si può risalire
direttamente in quanto i possessori
dei dati provvedono ad opportune
criptazioni di identità, in conformità alle
normative sulla tutela della privacy e di
trattamento dei dati sensibili. I risultati
delle analisi vengono poi proiettati in
termini di rischio sul paziente. Nessuno
ha o avrà mai accesso ai dati personali
dei singoli cittadini». Entrambi i progetti
hanno un orizzonte di 18-24 mesi.
59
# WastewaterBasedEpidemiology
COSA C’È SOTTO: LA COVID-19
VISTA DAL SOTTOSUOLO
3 RICERCA
Due progetti di analisi delle acque reflue possono possono svelarci
le zone delle città più critiche e l’avanzare della pandemia
FRANCESCA MALPEI
Dipartimento di Ingegneria
Civile e Ambientale
Alumna Ingegneria
Ambientale
Il mondo di sotto può svelarci molto
del mondo di sopra e di chi lo abita.
«Se all’esordio dell’epidemia, non
appena trascritto per la prima volta
il codice genetico del virus SARS-
CoV-2, avessimo potuto analizzare le
acque reflue di tutta Europa, avremmo
potuto capire che il virus c’era già,
ben prima del famoso caso uno».
A parlare è Francesca Malpei, del
Dipartimento di Ingegneria Civile e
Ambientale che, tornando al primo
lockdown ricorda: «Appena scattato
l’allarme COVID-19, ho chiesto a
MANUELA ANTONELLI
Dipartimento di Ingegneria
Civile e Ambientale
Alumna Ingegneria
Ambientale
diversi gestori del servizio idrico di
raccogliere e conservare campioni
dei reflui in ingresso ai loro impianti
di depurazione; pur nella difficoltà
di quei giorni, tutti hanno risposto
con grande disponibilità». Quindi
Malpei ha promosso e coordinato
l’accordo e progetto “Rete Lombarda
WBE”, che vede la collaborazione tra
il DICA, diverse eccellenze lombarde e
Regione Lombardia. WBE è l’acronimo
di Wastewater Based Epidemiology
(epidemiologia basata sulle acque
reflue), una disciplina di ricerca che
molti gruppi di ricerca internazionali
stanno sviluppando per contribuire al
controllo di questa epidemia. Sempre
Malpei ci spiega di cosa si tratta: «le
acque di fognatura sono lo specchio
del nostro stile di vita, contengono non
solo le nostre deiezioni, ma diverse
altre componenti, quali i prodotti di
detergenza personale e domestica e
le microplastiche rilasciate dai tessuti
sintetici che laviamo. Vi troviamo
anche sostanze in traccia, quali i
residui dei farmaci che usiamo; non
da ultimo, i patogeni e i virus presenti
nelle deiezioni di persone malate.
Questi microrganismi arrivano agli
impianti di depurazione sia integri,
sia come solo frammenti di DNA o
RNA. Ciò dipende anche da fattori
locali quali tempo di permanenza
in fognatura, pH, temperatura e vari
altri. Nel caso del SARS-CoV-2, virus
incapsulato meno resistente di altri
alle condizioni ambientali, si ritrovano
quasi esclusivamente frammenti. La
WBE richiede lavoro di squadra e
competenze interdisciplinari e può
dare un supporto fondamentale
alla gestione delle epidemie. È una
lente di ingrandimento, capace di
rappresentare con una sola misura
lo stato epidemiologico di una
popolazione, con un sicuro anticipo
rispetto al quadro descritto dai dati
clinici e dalla tracciatura con tamponi.
Non è quindi solo un metodo di “early
warning” per tracciare il riaccendersi
di focolai. Le tecniche per la misura
dei frammenti RNA sono del tutto
simili a quelle usate per i tamponi».
Malpei aggiunge: «Le incognite di
ricerca sono, in primo luogo, legate
allo studio dei modelli di correlazione
60
che, dal risultato dell’analisi, stimino il
numero di persone positive e, poi, alla
validazione con il database COVID-19
di Regione Lombardia. Con i modelli
validati e piani di analisi sistematiche,
si potrà avere una fotografia in tempo
reale della presenza complessiva di
positivi, in tempi molto più rapidi e
con costi molto minori rispetto a quelli
della tracciatura con tamponi, effettuati
nella stessa zona. Basterà prelevare
campioni in vari punti della fognatura
o presso i collettori fognari terminali
di singole sedi specifiche (Ospedali,
Scuole, Università, RSA, ecc.)». Mentre
scriviamo, è in corso il ring test tra
i laboratori dell’Università Bicocca,
dell’IRSA CNR, dell’Università Cattolica
di Piacenza e Cremona e dell’Istituto
Zooprofilattico per la messa a punto e
condivisione del metodo di analisi con
PCR, sia Real Time che digitale. A valle,
questi laboratori avvieranno l’analisi
dei moltissimi campioni già disponibili
(circa 700). In parallelo, il Politecnico
di Milano e l’Università di Brescia
stanno studiando e raccogliendo i
dati necessari per lo sviluppo del
modelli di correlazione. «Il gruppo di
lavoro del DICA - specifica Malpei –
sta sviluppando due modelli, quello
descritto in seguito e un altro basato
su analisi statistiche multivariate».
Dello stesso dipartimento di Malpei,
fa parte anche Manuela Antonelli che,
insieme al collega Andrea Turolla e a
un team di DHI, sta implementando un
modello di propagazione del virus in
fognatura, a partire da dati letteratura
per poter descrivere la presenza del
virus dallo scarico fino all’ingresso del
depuratore. Ce lo facciamo raccontare
meglio proprio da Antonelli: «Si tratta
della trasposizione ad un virus di
modelli abitualmente utilizzati per
descrivere il destino dei contaminanti
chimici nelle acque reflue. È quindi
l’integrazione di tre modelli: un
modello di escrezione del virus con
le feci da persone infette, un modello
concettuale che descrive l’idrodinamica
della fognatura e, il terzo, un modello
che descrive il decadimento del virus
61
CONCENTRAZIONE IN USCITA DALLA FOGNATURA /
INGRESSO IMPIANTO DI DEPURAZIONE
5% 75%
25%
Median
95%
Concentrazione di virus (eq/L)
0 2500000 5000000 7500000 10000000 12500000 15000000
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130
Tempo (giorni da inizio tracciamento)
62
in fognatura, basandosi sui processi
coinvolti e le relative equazioni che
definiscono la variazione nel tempo
(e quindi nello spazio) delle variabili
descrittive del processo stesso».
Riguardo ai dati di letteratura,
provenienti da articoli scientifici sul
tema oggetto di studio, Antonelli
spiega: «In letteratura si può ricavare
il coefficiente di decadimento del virus
(SARS-CoV-2 o simili), che assume valori
differenti a seconda dello specifico
studio. Stiamo in parallelo conducendo
un’analisi di incertezza, che è uno
strumento molto potente che consente
di valutare come l’incertezza su uno
o più parametri si propaga all’output
del modello (numero di copie di RNA
virali atteso in testa all’impianto
di depurazione), fornendo quindi
un’indicazione dell’importanza di tale
parametro nel condizionare la stima
del modello. Ad oggi abbiamo già una
prima versione implementata che ci ha
portato qualche interessante risultato
preliminare: l’analisi di incertezza
ha infatti evidenziato l’analisi
microbiologica come aspetto critico.
I dati reperibili in letteratura circa la
presenza di copie di RNA virale, sia
nelle feci che nelle acque di fognatura,
presentano intervalli di variazione
ampi, che si riflettono su una risposta
del modello altrettanto ampia (e
quindi relativamente poco affidabile o
utile). Quella variazione è legata alla
mancanza di un protocollo analitico
validato, ovvero non vi è a oggi una
metodologia ottimizzata che includa
il campionamento, lo stoccaggio del
campione, la sua concentrazione,
l’estrazione di RNA e infine la
quantificazione. Mettere a punto
questo protocollo, permetterebbe
di ridurre le incertezze di stima del
modello migliorandone l’utilizzo come
strumento pratico di intervento. Non
appena il nostro modello sarà validato,
verrà reso disponibile come parte
del software WEST, utilizzato per la
simulazione dei processi depurativi».
Riguardo alle applicazioni future di
questo modello, Antonelli dice che
sono essenzialmente due: «Seguendo
il flusso dell’acqua in fognatura,
il modello permette di verificare
la congruenza tra il dato di infetti
derivato dai tamponi con la presenza
di RNA virale, a supporto dell’efficacia
delle campagne di effettuazione dei
tamponi. Percorrendo invece a ritroso
la fognatura, noto il numero di copie
di RNA virale, si può stimare il numero
di potenziali infetti, indirizzando le
politiche di contrasto alla diffusione
del virus. Il framework di modellazione
utilizzato è di validità generale e di
conseguenza il modello potrà essere
facilmente adattato a differenti tipologie
di virus, oppure, per quello che era il suo
sviluppo originario, alla propagazione
dei farmaci per un miglior controllo
della loro diffusione in ambiente,
anche rispetto alla problematica
dell’antibiotico-resistenza».
63
#MathematicalModeling
#PandemiEvolutionPrediction
#HospitalizedPatients
#NewPositives
#IntesiveCareEmployment
3 RICERCA
#ReturnOfElectionMedicine
#DecisionMaking
#EarlyWarning
LA MATEMATICA PER PREVEDERE
QUANDO NE SAREMO FUORI
O RILEVARE ALLERTE PRECOCI
COVID-19: il prof. Davide Manca pubblica ogni giorno un bollettino di
analisi dati e previsioni che calcolano alcune date chiave relative alla
riduzione dei pazienti in terapia intensiva, dei ricoverati sotto le soglie
di attenzione o l’esaurimento di nuovi casi nelle regioni e in Italia
DAVIDE MANCA
Dipartimento di Chimica,
Materiali e Ingegneria
Chimica "Giulio Natta"
Alumnus Ingegneria Chimica
«La mia parte in questa storia, se così
la si può definire, è iniziata alla fine
di febbraio», racconta Davide Manca
del Dipartimento di Chimica, Materiali
e Ingegneria Chimica “Giulio Natta”
del Politecnico di Milano, «quando
sono stato contattato dal primario di
anestesia e rianimazione dell’istituto
neurologico Carlo Besta di Milano,
che mi ha chiesto: «Con i tuoi modelli
matematici, riesci a predire il numero
di casi di polmonite atipica?». Non
sapevamo ancora cosa ci aspettasse
e la sua domanda, in quel momento,
mi stupì. Non sono un epidemiologo,
insegno Teoria Dello Sviluppo Dei
Processi Chimici. Il primario e io ci
conosciamo da anni perché lavoriamo
allo sviluppo di metodi e strumenti
per automatizzare la somministrazione
di anestetici e analgesici nel corso
dell’anestesia generale in sala
operatoria. Questa collaborazione
continuativa ha aperto un dialogo e ha
dato modo al primario di toccare con
mano la forza e l’utilità dei modelli
matematici applicati alla medicina.
Quando è scoppiata l’epidemia, è stato
lui a chiedermi di analizzare i dati, per
provare a darne un’interpretazione
utile agli ospedali, impegnati a non
collassare sotto la spinta dei numeri in
crescita esponenziale. Ho iniziato per
rispondere a una sua domanda: voleva
sapere a che velocità si sarebbero
riempite le terapie intensive».
Da quel febbraio, e fino al 6 agosto
per poi ripartire dal 18 ottobre,
Davide Manca pubblica un bollettino
quotidiano sul contagio in cui analizza
un set di dati specifici sia a livello
regionale che nazionale. Oltre ai dati
giornalieri, il bollettino anticipa gli
scenari di evoluzione nel breve (entro
3 giorni), medio (15/20 giorni) e lungo
termine (3+ mesi), relativamente alla
crescita di positivi, decessi, ricoverati
e ricoverati in terapia intensiva.
L’obiettivo è offrire agli ospedali uno
strumento per aiutarli nelle stime e nel
dimensionamento delle risorse umane
e materiali che è necessario mettere in
campo per l’allocazione dinamica delle
risorse in funzione dell’evoluzione
pandemica.
La seconda ondata pandemica
iniziata ai primi di ottobre è
caratterizzata da una dinamica
evolutiva che qualitativamente sta
riproducendo quanto avvenuto nella
prima ondata. Quantitativamente, però,
i tempi caratteristici di durata del
periodo di crescita esponenziale, di
raggiungimento del punto di flesso
64
Davide Manca mette a
disposizione tutto il materiale
per approfondire il tema.
Se siete curiosi potete scaricare:
Bollettino giornaliero
— PSE Lab
Software open access (un
semplice file Excel) che chiunque
può usare inserendo i dati
che interessano un territorio
specifico, per fini predittivi
con massimo incremento giornaliero
di pazienti in terapia intensiva, di
ospedalizzati e di decessi sono
differenti sia a livello regionale che
a livello nazionale. Il modello di
Manca stima, per la Lombardia, il
raggiungimento del punto di massimo
lo scorso 22 novembre sia per le
terapie intensive che per i pazienti
ospedalizzati. Per quanto riguarda
invece l’Italia il raggiungimento
del massimo è stimato per il 23-24
novembre per ICU e ospedalizzati.
I decessi giornalieri restano ancora
molto alti nell’ultima decade di
novembre. Si stima che il punto di
flesso, ossia la data di massimo
incremento giornaliero, sia stato
raggiunto il 25 novembre per la
Lombardia e il 6 dicembre per l’Italia.
Il metodo ha rivelato finora una
ottima capacità predittiva, al netto
dell’eventuale emergenza di nuovi
focolai. L’epidemiologia, di solito, si
basa su modelli matematici basati su
equazioni differenziali con condizioni
iniziali, i modelli SIR, SEIR o SEIRD
che permettono di determinare ad
esempio il famoso indice R_0 e più
in generale R_t. «Io non utilizzo quei
modelli – continua Manca – perché,
anche se ottimi per condurre stime
parametriche basate su possibili
scenari evolutivi, viceversa sono meno
adatti e affidabili per quantificare con
precisione quanto possa accadere
sul breve/medio periodo. Meglio
utilizzare dei modelli più semplici
ma intrinsecamente robusti proprio
perché basati sulla regressione non
lineare dei dati reali prodotti ogni
giorno dal Ministero della Salute. Tali
modelli utilizzano un ridotto numero
di parametri adattivi e sono disponibili
in letteratura dalla metà del XIX secolo.
Si parla di curve gaussiane modificate
con esponenziali, logistiche e di
Gompertz che furono sviluppate per
simulare in passato diversi fenomeni
biologici e i ratei di decesso umano a
fini assicurativi e predittivi».
Articolo "Dynamics of ICU
patients and deaths in Italy and
Lombardy due to COVID-19"
— ESAIC
"A simplified math approach
to predict ICU beds and
mortality rate for hospital
emergency planning under
COVID-19 pandemic"
— Science Direct
65
#Management #Statistics #WorkSpace
3 RICERCA
SPAZI DI LAVORO DURANTE
LA PANDEMIA COVID-19:
QUALI IMPATTI SULLA
PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO?
Uno studio interdipartimentale del Politecnico di Milano vuole
dimostrare la correlazione tra spazi di lavoro e attività di ricerca
accademica
CRISTINA ROSSI-LAMASTRA
Dipartimento di Ingegneria
Gestionale
Dopo la fine del lockdown, molti
lavoratori e lavoratrici hanno
continuato le proprie attività lavorative
negli spazi domestici, molti nuclei
familiari, spesso con i bambini e
persone non autosufficienti, si sono
trovati ad affrontare il problema
della condivisione di spazi di lavoro,
con soluzioni talvolta improvvisate.
Cristina Rossi-Lamastra, docente di
Business Industrial Economics del
Dipartimento di Ingegneria Gestionale
(DIG), e Andrea Ciaramella, docente di
Tecnologia dell'Architettura presso il
Dipartimento di Architettura, Ingegneria
delle costruzioni e Ambiente Costruito
(ABC), Chiara Tagliaro, ricercatrice postdoc
di ABC e Massimo G. Colombo,
docente di Imprenditorialità e Finanza
Imprenditoriale al DIG, hanno avviato
un progetto di ricerca per analizzare
il modo in cui questi spazi vengono
utilizzati e suddivisi e come impattano
sulla produttività nel lavoro. Il progetto
è il cuore della tesi di dottorato
di Alessandra Migliore, che ha una
borsa di dottorato interdipartimentale
tra DIG e ABC.
«Partiamo da alcune premesse:
sappiamo che la produttività del
lavoro dipende da molti fattori. Tra
questi c’è la qualità dello spazio di
lavoro», commenta Rossi Lamastra,
«Sappiamo inoltre che gli stereotipi di
genere impattano sul ragionamento
razionale e hanno un effetto misurabile
sull’allocazione delle risorse e che,
durante le crisi economiche di qualsiasi
origine, i gruppi di potere minoritario
(cioè i soggetti più vulnerabili) sono
quelli più colpiti. Con queste premesse,
vogliamo misurare se e come la
produttività delle donne lavoratrici
sia cambiata durante la pandemia
COVID-19, e se questo dipenda dalla
suddivisione degli spazi domestici
durante il lavoro da casa: le donne
hanno in effetti usufruito di spazi
meno idonei al lavoro? Hanno subito
più distrazioni (per esempio avendo
maggiori compiti di cura)? In caso
affermativo, da cosa dipende la scelta
di suddivisione degli spazi e come
ha impattato sulla produttività delle
lavoratrici?».
Nella prima fase dello studio, il
gruppo di ricerca ha somministrato
un questionario a oltre 50 mila
docenti universitari italiani. «La
scelta di iniziare l’indagine con la
popolazione accademica dipende
dalla necessità di avere un gruppo
omogeneo, interamente contattabile
e le cui risposte fossero confrontabili
tra loro. Stimiamo di avere circa 10
mila risposte». Dei risultati di questa
prima fase di studio ci sono già: «Uno
dei primi obiettivi della ricerca è quello
di verificare se e come sono cambiati
i modi e gli spazi di lavoro dopo il
lockdown. La ricerca vuole verificare
quanto un cambiamento spaziale -
da quello on-campus a quello offcampus
- possa influenzare l'attività
di ricerca degli accademici italiani.
Dalle prime evidenze si evince quanto
lo spazio domestico, non pronto
ad accogliere l'attività lavorativa
per molti dei rispondenti, abbia
modificato le abitudini dell'attività di
ricerca, divenuta in generale molto
66
meno collaborativa. Questa negoziazione
tra spazio e attività, ci chiediamo, è
accettabile per i ricercatori italiani?».
Alessandra Migliore, aggiunge:
«L'indagine è stata aperta il 24
Luglio e conclusa il 24 Settembre,
abbiamo inviato il questionario a
52,630 professori strutturati italiani
e abbiamo ottenuto 8,184 riposte
utilizzabili per gli scopi della ricerca
(tasso di risposta 15,55%)».
L’indagine produrrà dunque un report
di statistiche descrittive sugli spazi di
lavoro della popolazione accademica
italiana e su come differiscono lungo
diverse dimensioni: genere, età, ruolo,
reddito, area geografica ecc. I dati
saranno la base per articoli scientifici.
Tra gli obiettivi del progetto c’è quello
di individuare buone pratiche da
condividere con le università italiane
per ulteriori riflessioni ed elaborare
proposte di policy. La ricerca svilupperà
un'analisi rigorosa dei dati: dai risultati
si vogliono costruire non solo delle
buone pratiche per il lavoro del futuro
ma anche delle linee guida per i
campus universitari di domani. Una
delle domande a cui l’indagine conta
di rispondere è la seguente: quali
spazi le università dovranno avere per
supportare l'attività dei ricercatori?
La seconda fase del lavoro prevede di
estendere l’indagine ad altre categorie
di lavoratori. «Ci sono alcune criticità
che dipendono soprattutto dalla
disponibilità dei dati. Abbiamo alcune
indagini pilot svolte in collaborazione
con alcune imprese lombarde, ma i
dati sono per ora insufficienti a fare
un’analisi rigorosa. Stiamo studiando
come accedere a dati che ci consentano
di avere analisi solide e disaggregate per
settore, area geografica, caratteristiche
dei lavoratori e delle lavoratrici». Anche
qui, Alessandra Migliore ci anticipa
alcuni dati emersi: «L’analisi svolta
in collaborazione con una grande
impresa italiana, pur coinvolgendo
una popolazione ridotta, ha mostrato
come il lavoro da casa sia rimasto
prevalente (anche se dopo il lockdown
un parziale ritorno in ufficio era stato
possibile). In questo caso i dipendenti
hanno apprezzato l'esperienza del
lavoro da casa in termini di bilancio
vita-lavoro e produttività, mostrando
però gravissime perdite in termini
efficacia dell'attività collaborativa,
socialità, comunicazione informale
e tacita. Le case hanno dovuto
adattarsi, gli spazi di lavoro sono stati
prevalentemente condivisi con gli altri
membri del nucleo familiare. Stiamo
cercando di coinvolgere altre imprese
per avere una base dati più ampia e
maggiormente affidabile»
Infine, vien da chiedersi come sia stato
lavorare ad uno studio incentrato sugli
spazi di lavoro e sulla produttività,
mentre anche voi stessi vivevate in
una condizione atipica di lavoro.
Rossi-Lamastra conclude: «Abbiamo
colto l'opportunità di studiare il
modo di fare ricerca degli accademici
(spesso tralasciato nell'ambito in
precedenti studi, soprattutto in
ambito spaziale). L'attività di ricerca
ci è sembrata essere l'attività che più
ha subito un impatto dalla situazione
spaziale dopo il lockdown».
67
3 RICERCA
#Supercomputing #VirtualScreening #HPC
È STATO TROVATO UN FARMACO
CANDIDATO A CONTRASTARE
IL VIRUS SARS-COV-2,
RESPONSABILE DELLA COVID-19
Si tratta del Raxilofene ed è stato individuato grazie al progetto
europeo Exsacalte4CoV, con la collaborazione di Politecnico di
Milano, Dompé Farmaceutici, Cineca e altri 15 partner in tutta Europa
GIANLUCA PALERMO
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria
Elettronica
Exscalate4CoV è il progetto europeo
coordinato da Dompé Farmaceutici
che usa la più veloce piattaforma per
la ricerca farmacologica al mondo,
realizzata con la collaborazione dei
docenti Gianluca Palermo e Cristina
Silvano del Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria del
Politecnico di Milano. La piattaforma
CRISTINA SILVANO
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumna Ingegneria
Elettronica
EXSCALATE (EXaSCale smArt pLatform
Against paThogEns) è in grado di
selezionare da un vastissimo archivio
di circa 500 miliardi di molecole
quelle che verificano determinati
requisiti di compatibilità con il virus
SARS-CoV-2. In che modo? Grazie ai
supercomputer del CINECA, i ricercatori
hanno potuto analizzare oltre 10 mila
molecole di farmaci, identificando nel
Raxilofene quello più promettente per
inibire la replicazione del coronavirus
all’interno delle cellule umane. I
test in vitro hanno confermato i
risultati elaborati dalla piattaforma.
Il Raxilofene, utilizzato da anni contro
l’osteoporosi, è ben tollerato dal corpo
umano: questo consentirà di passare
velocemente alla fase di test clinici su
pazienti affetti da COVID-19.
«Una delle fasi computazionalmente
più complesse per il progetto è stata
la modellizzazione 3D delle proteine
del virus, che era sconosciuto fino a
pochi mesi fa», commenta Palermo.
«Adesso abbiamo un buon modello
e la piattaforma Exscalate è in grado
di confrontarlo con oltre 500 miliardi
di molecole in poche settimane,
individuando le più promettenti: cioè
quelle in grado di incastrarsi bene con
le “tasche” presenti nelle proteine,
in modo da inibirne o impedirne la
replicazione».
La prima fase del progetto può
considerarsi conclusa con l'avvio dello
studio clinico. La sperimentazione
del farmaco sull'uomo ha infatti
appena finito l'iter di approvazione
e da fine ottobre le strutture IRCSS
Lazzaro Spallanzani di Roma e IRCSS
Humanitas di Milano coinvolgeranno
fino a 450 pazienti. Nella seconda
fase del progetto verranno analizzate
quasi 500 miliardi di molecole, molte
68
di queste mai usate e non presenti in
natura. In attesa dei risultati, se uno o
più di questi composti si riveleranno
interessanti, passare alla fase clinica
non sarà così veloce: i test per verificare
che una molecola non sia tossica per
l’uomo possono richiedere tra i 5 e i
10 anni. Proprio per questa ragione, il
progetto ha dato priorità all’analisi di
farmaci già in uso per altre patologie.
Immagini: © Exscalate
Proprio in questi giorni il progetto ha
in corso il più grande esperimento
al mondo di screening virtuale
di molecole. L'esperimento, che
coinvolge in prima fila il team di
ricerca del Politecnico di Milano, sarà
portato avanti usando per intero i due
supercomputer più potenti d'Europa:
il sistema HPC5 di ENI e il sistema
Marconi-100 del CINECA. 70miliardi di
molecole valutate in 15 siti attivi di 12
proteine del SARS-CoV-2, per un totale
di oltre mille miliardi di valutazioni.
Questo numero è ben oltre i "soli" 2
miliardi di valutazioni fatti su singola
proteina con lo stesso scopo negli
Stati Uniti all'OakRidge National Lab,
usando il secondo supercomputer
più potente al mondo, e il miliardo
valutato dallo stesso team di lavoro
DOMPE-POLIMI-CINECA contro il virus
Zika, che già erano stati considerati
esperimenti unici.
«La piattaforma EXSCALATE ha come
caratteristica peculiare quello di
essere pensata sin dall'inizio per
situazioni come quella che stiamo
vivendo in questo momento, nel quale
è necessario poter fare del calcolo
d'urgenza con una velocità che solo i
supercomputer possono raggiungere.
Oggi stiamo facendo in pochi giorni
un esperimento che solo lo scorso
anno avrebbe richiesto decine di mesi»
commenta Palermo.
La strategia di Dompè farmaceutici nel
creare questo team multidisciplinare è
risultata una strategia vincente, perchè
permette la continua collaborazione
per lo sviluppo della piattaforma
EXSCALATE da parte del Politecnico di
Milano e di CINECA in tutte le sue fasi
permettendo di accelerare il processo
computazionale per la ricerca di nuovi
farmaci e massimizzarne l’efficienza
sui supercalcolatori di nuova
generazione. «Questa è però solo la
sfida computazionale che ci coinvolge
in prima persona e che ci inebria per
l'unicità del lavoro, ma non meno
importane è il passo successivo che
rende non fine a se stessa la ricerca
fatta. I dati prodotti dalla simulazione
verranno analizzati da Dompé
farmaceutici per identificare molecole
interessanti eventualmente attive su
più proteine, ed inoltre verranno resi
disponibili alla comunità scientifica».
Grazie ai recenti investimenti decisi
dall’Italia e dall’Europa, in ottobre è
stato annunciato che il prossimo anno
presso il CINECA verrà installato un
nuovo supercomputer, Leonardo, che
dovrebbe raggiungere i 250 milioni
di miliardi di calcoli al secondo
(petaflop), 10 volte quella attuale.
Il team del Politecnico di Milano è
già pronto per questa nuova sfida,
anche grazie ad un nuovo progetto
europeo LIGATE (LIgand Generator AT
Exsascale), che vedrà nuovamente la
compagine DOMPE - POLIMI - CINECA
affiancati per altri 3 anni.
69
#Polichina
#Chemistry
3 RICERCA
POLICHINA:
IL LIQUIDO IGIENIZZANTE
MADE IN POLITECNICO, OLTRE
100 MILA LITRI IN DUE MESI
Mariapia Pedeferri, direttore del Dipartimenti di Chimica, Materiali e
Ingegneria Chimica "Giulio Natta”, ci racconta in questo articolo a sua
firma, l’esperienza di aprile e maggio 2020 all’interno dei laboratori del Poli
MARIAPIA PEDEFERRI
Dipartimento di Chimica,
Materiali e Ingegneria
Chimica "Giulio Natta"
Alumna e PhD Ingegneria
Chimica
«Polichina nasce ai primi di marzo,
quando comincia la fase 1 del lockdown»,
racconta Mariapia Pedeferri, «l’11 marzo
abbiamo miscelato i primi componenti,
poche centinaia di litri, definiti dalla
ricetta dell’OMS per produrre soluzione
igienizzante per le mani: alcool etilico
denaturato e acqua ossigenata, i
componenti attivi, glicerolo, per rendere
la soluzione meno aggressiva per la
pelle, e acqua depurata».
In totale abbiamo prodotto oltre
100 mila litri tra l’11 marzo e il 7
maggio: abbiamo iniziato a lavorare
in un piccolo laboratorio di ricerca
nel campus Leonardo, ma già dalla
seconda settimana di produzione è
stato necessario spostarci al campus
Mancinelli per costruire un impianto di
produzione più grande. Abbiamo usato
il laboratorio degli studenti, dove, di
solito, fanno la parte sperimentale
dei corsi di chimica, e che era vuoto
a causa del lockdown. Una delle
maggiori difficoltà dello scale-up
è stata che eravamo attrezzati con
pompe che avevano una portata da
laboratorio, non certo i 100 l/h delle
pompe che sono poi state utilizzate
dalla seconda settimana in poi,
quando abbiamo raggiunto volumi di
produzione di scala industriale.
Abbiamo donato la Polichina agli enti
pubblici che ne hanno fatto richiesta:
protezione civile, comuni, ospedali,
Regione Lombardia, carceri e tante
altre realtà. Abbiamo avuto richieste
anche da Bergamo e Codogno, e ci
ha molto toccati l’idea di essere stati
utili in situazioni così drammatiche.
Questo ci rende molto orgogliosi.
Tanti hanno collaborato dedicando a
questo progetto tempo e energie: dal
personale tecnico ai docenti, ricercatori,
dottorandi e assegnisti, che sono una
grande risorsa del Poli. Il Politecnico ha
sostenuto il grosso delle spese, anche
grazie al sostegno economico degli
Alumni. Un contributo importante è
stato dato dall’Agenzia delle Dogane
e dei Monopoli. L’alcool denaturato
ha delle accise importanti, ADM ha
acconsentito alla loro rimozione per
una quantità di alcool fino a 5000
litri al giorno. Anche i fornitori di
alcool hanno contribuito in modo
sostanziale, provvedendo direttamente
alla denaturazione con l’aggiunta di
glicerolo. L’impianto in Mancinelli si
è poi occupato della miscelazione di
tutti gli ingredienti in totale sicurezza: i
volumi di alcool consegnati la mattina
venivano miscelati e la Polichina
prodotta e consegnata nell’arco di una
stessa giornata.
70
Abbiamo donato
la Polichina agli
enti pubblici
che ne hanno
fatto richiesta:
protezione civile,
comuni, ospedali,
Regione Lombardia,
carceri e tante
altre realtà.
Abbiamo avuto
richieste anche
da Bergamo e
Codogno, e ci
ha molto toccati
l’idea di essere
stati utili in
situazioni così
drammatiche.
Il procedimento è abbastanza
semplice. Le difficoltà sono state di
tipo organizzativo e brillantemente
risolte grazie alle competenze di una
quarantina di persone, che si sono
alternate in laboratorio e, sempre per
ragioni di sicurezza, si sono alternate
in piccoli gruppi. Il dipartimento è
rimasto aperto quasi tutti i giorni
nel periodo della fase 1. Abbiamo
girato un video tutorial online che
spiega come costruire un impianto
pilota a chiunque desideri produrre
questo liquido igienizzante, anche in
condizioni di difficoltà, con capacità
e volumi che possono raggiungere
un picco di 7000 litri al giorno,
come abbiamo fatto noi. Risvolto
interessante: il video è doppiato in
una decina di lingue, sempre grazie
ai dottorandi, specialmente quelli
internazionali, che hanno lavorato per
tradurlo nelle proprie lingue. Dopo
la fine della fase 1, i dipartimenti si
sono ripopolati e la necessità esterna
è calata; oggi stiamo continuando a
produrre Polichina per uso interno al
Politecnico e i laboratori sono tornati
a svolgere il loro ruolo nelle normali
attività di ricerca.
71
3 RICERCA
#Bioengineering #Target #Antiviral #Vaccine #PreclinicalTesting
COME ACCELERARE
LA SCOPERTA DI VACCINI
CONTRO IL CORONAVIRUS?
Alcuni strumenti di bioingegneria sviluppati al Politecnico
di Milano dal gruppo della prof. Manuela Raimondi potrebbero
accelerare il processo senza rischi per la salute dei pazienti
MANUELA RAIMONDI
Dipartimento di Chimica,
Materiali e Ingegneria
Chimica "Giulio Natta"
Alumna Ingegneria Meccanica
e PhD in Bioingegneria
Una review recentemente pubblicata
su Theranostics fornisce un quadro
generale di aggiornamento sugli
strumenti di modellizzazione con
cellule, che fanno luce sui meccanismi
di infezione dovuta al virus SARS-
CoV-2 e potrebbero anche essere
usati per accelerare lo sviluppo di
vaccini e trattamenti terapeutici anti-
COVID. La review è firmata dalla prof.
Manuela Raimondi e dal suo team al
Dipartimento di Chimica, Materiali e
Ingegneria Chimica “Giulio Natta” del
Politecnico di Milano, in collaborazione
con la prof. Stephana Carelli del Centro
di Ricerca Pediatrico, Dipartimento
di Scienze Biomediche e Cliniche “L.
Sacco”, Università degli Studi di Milano.
Sviluppare vaccini e agenti terapeutici
è un processo lungo che comporta
numerose sfide. Ad esempio, un
vaccino utilizzabile sugli esseri umani
può richiedere, dall’idea alla sua
commercializzazione, oltre quindici
anni di sviluppo. In generale, la ricerca
per lo sviluppo di medicinali ha un
tasso di fallimento del 99,9% perché
l’efficacia misurata in vitro non è quasi
mai confermata nell’animale.
Nuovi strumenti di modellizzazione
potrebbero sostituire le fasi di
sperimentazione pre-clinica sia in vitro
che in vivo: per esempio, con l’uso
di supporti 3D per colture cellulari,
camere microfluidiche per la cultura di
organoidi e la microscopia intravitale
nell’animale. Alcuni strumenti di
ricerca sviluppati negli ultimi dieci anni
da Raimondi hanno proprio questo
obiettivo: si tratta di nicchie artificiali
per la coltura di cellule staminali,
bioreattori microfluidici per la coltura
di tessuti, e finestre miniaturizzate per
la microscopia intravitale nell’animale
(ne abbiamo parlato nel numero 6 di
MAP a pagina 32). Il progetto relativo
alle finestre intravitali ha appena vinto
un prestigioso finanziamento europeo,
su bando Horizon 2020 "FET OPEN", per
un progetto denominato IN2SIGHT, del
quale il Politecnico di Milano è la prima
più importante unità operativa.
Raimondi ha messo a punto un modello
di linfonodo, ingegnerizzato all’interno
di un bioreattore miniaturizzato
otticamente accessibile chiamato
“MOAB” e già commercializzato da
una società spin-off del Politecnico di
Milano co-fondata da Raimondi, MOAB
Research, che consente di studiare
meccanismi di immunizzazione come
quelli prodotti dai vaccini. Questi
strumenti di ricerca aprono scenari
concreti per uno sviluppo più rapido
delle terapie anti-COVID, senza rischi
per la salute dei pazienti, e potrebbero
anche sostituire gran parte della
ricerca preclinica attualmente condotta
su animale.
Leggi la review su Theranostics
72
#ComplexSystems
#Resilience
LA CURVA DEL RECUPERO
Un nuovo metodo per analizzare il processo di crescita e riduzione
del tasso di infezione dovuto alla pandemia COVID-19, per stimare
i tempi di recupero
ENRICO ZIO
Dipartimento di Energia
Alumnus Ingegneria
Nucleare e PhD
Un articolo a firma del prof. Enrico
Zio (DENG, Politecnico di Milano) in
collaborazione con il Dr. Romney B.
Duffey (Idaho Falls, ID, USA) è stato
recentemente pubblicato sulla rivista
scientifica internazionale Safety
Science. I due ricercatori hanno
studiato il processo di crescita e
riduzione del tasso di infezione dovuto
alla pandemia di coronavirus.
Nell’articolo viene descritto un
originale approccio basato sulla fisica
statistica che consente di prevedere
i tempi caratteristici del processo di
trasmissione del virus e la traiettoria
del tasso di infezione, in relazione
alle contromisure applicate nelle
diverse regioni del mondo. Il tasso
di infezione è preso come metrica
della quale seguire l’evoluzione per
verificare l’efficacia delle contromisure
adottate per controllare la diffusione
della pandemia. L’analisi è basata
sulla teoria dell’apprendimento, con
basi cognitive e di fisica statistica,
che viene applicata per la prima
volta per caratterizzare la risposta
sociale alla pandemia a livello globale.
L’applicazione della teoria ai dati
pubblicamente disponibili consente
di individuare la curva di recupero di
validità universale che corrisponde al
processo di apprendimento sociale per
la riduzione del rischio.
Il confronto dei risultati dell’applicazione
del metodo ai dati disponibili
evidenzia come la diffusione del virus
e l’andamento del tasso di infezione
associato seguano leggi matematiche
comuni a tutte le regioni prese in esame.
L’analisi consente di valutare gli effetti
dei diversi metodi adottati per la
mitigazione della pandemia, come
l’isolamento sociale e i lockdown, e di
fare previsioni relativamente al tempo
necessario per raggiungere tassi di
infezione socialmente accettabili.
I risultati dell’analisi possono fornire
indicazioni utili per la valutazione
della pandemia in relazione a fattori
che ne influenzano lo sviluppo, incluso
le condizioni ambientali, sociali e
sanitarie della regione di interesse,
e per l’individuazione di adeguate
misure di mitigazione e controllo, e
relative contromisure da adottare,
mantenere o eliminare.
Leggi l'articolo completo
su Science Direct
73
#Mask
#Testing
LE MASCHERINE DI PROTEZIONE
DALL’AEROSPAZIO
3 RICERCA
In pieno lockdown, tre laboratori del Politecnico di Milano erano
in piena attività: si testavano e selezionavano i materiali più idonei
per creare delle mascherine protettive di alta qualità, in accordo
con la regione Lombardia. A raccontarci quei giorni, Giuseppe Sala,
direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali
e a capo del team di lavoro del progetto Polimascherine
GIUSEPPE SALA
Dipartimento di Scienze
e Tecnologie Aerospaziali
Alumnus Ingegneria
Aeronautica
12 marzo 2020: nell’Aula Magna
del Politecnico di Milano si sta
tenendo quella che si rivelerà essere
l’ultima riunione in presenza prima
del lockdown. Tra i partecipanti
c’è Giuseppe Sala, direttore del
Dipartimento di Scienze e Tecnologie
Aerospaziali, che viene convocato
dalla segreteria del rettore. Ferruccio
Resta quel giorno gli comunica
che: “Come Politecnico abbiamo
concordato un’iniziativa congiunta con
Regione Lombardia per canalizzare
la produzione di mascherine
chirurgiche efficienti da distribuire
alla popolazione. Hanno bisogno di
individuare i produttori di materia
prima e garantire la qualità del
prodotto in maniera terza, da parte di
una istituzione scientifica affidabile,
alfine di creare una filiera industriale
che dia un prodotto con adeguate
caratteristiche qualitative per far fronte
all’emergenza COVID-19”. A stretto
giro sul sito di Regione Lombardia
viene pubblicato un invito rivolto alle
aziende trasformatrici e produttrici
per sottoporre i propri materiali
al Politecnico. In poco tempo, ai
laboratori del Politecnico giungono
più di 1800 campioni provenienti da
grandi e piccole aziende del settore
tessile, ma non solo. In quel momento
molte aziende, infatti, decidono di
convertire la propria produzione a
favore delle mascherine. Poliestere,
cotone, polipropilene, sono tra i
materiali da esaminare. «Già dal 14
marzo abbiamo iniziato a lavorare
al progetto Polimascherine», ricorda
Giuseppe Sala. «L’attività di testing
comprendeva cinque diversi tipi di
prove, che comportavano l’attivazione
di diversi laboratori distribuiti su
tre dipartimenti: il Dipartimento di
Scienze e Tecnologie Aerospaziali,
il Dipartimento di Energia e il
Dipartimento di Chimica Giulio Natta.
Il primo test era di pertinenza del
laboratorio del Dipartimento di Scienze
e Tecnologie Aerospaziali e valutava
le caratteristiche dei materiali, la loro
organizzazione e struttura attraverso
il microscopio elettronico». Nello
specifico, questa prova consisteva in
un’analisi con il microscopio elettronico
a scansione (SEM) ed era volta a
misurare il diametro delle microfibre
(pochi micron), nonché la loro giacitura
e organizzazione, essendo queste
caratteristiche decisive per conferire al
materiale effettiva capacità filtrante.
Dei 1800 campioni, solo 400 vengono
ammessi al secondo test sulla
capacità fluidodinamica e traspirante
dei materiali, sempre di pertinenza
del dipartimento diretto da Sala. Il
materiale da valutare veniva disposto
a mo’ di diaframma in una tubazione
74
75
percorsa da un flusso d’aria a portata
controllata», dice Sala. «La differenza
tra i valori di pressione misurati
a monte e a valle del diaframma
permetteva di valutare la traspirabilità
del materiale, ovvero la sua capacità di
consentire una respirazione più o meno
facile a chi indossa la mascherina».
La terza prova, svolta presso il
laboratorio del Dipartimento di Energia,
era il test di efficienza della filtrazione
di particolato (PFE), che valuta quanto
i tessuti siano in grado di filtrare le
particelle submicroniche trasportate
tramite aerosol. «Il materiale in prova»,
spiega Sala, «veniva fatto attraversare
da un aerosol di goccioline fluide
di diametro submicronico. Abbiamo
misurato la quantità di goccioline
(droplets) che erano riuscite a passare.
L’efficienza filtrante veniva misurata
come rapporto tra le goccioline
“partite” e le goccioline “fermate” dal
materiale».
Il quarto test, presso il Dipartimento
di Chimica "Giulio Natta", misurava
l’efficienza della filtrazione batterica
(BFE), ovvero la capacità del tessuto
di fermare le particelle contenenti una
carica virale di batteri. «Qui, il materiale
in prova era attraversato prima da un
flusso di goccioline inoculate da una
popolazione batterica, che venivano
poi raccolte per farne una coltura
batterica per 48 ore e quantificarne
infine l’eventuale proliferazione».
L’ultimo test era quello di splashing,
che mostrava il grado di resistenza del
tessuto nel fermare un getto di fluido.
«Questa prova», racconta Sala, «è stata
fatta al laboratorio di propulsione
spaziale, dove normalmente si
occupano del modo in cui i razzi
vengono propulsi per permettere i
voli spaziali. Sono però attrezzati sia
teoricamente, che sperimentalmente, a
produrre flussi e getti di fluidi, dunque
hanno applicato la loro competenza a
qualcosa d’insolito per quei laboratori:
un fluido attraverso un tessuto». Poi,
spiega bene la dinamica del test: «Un
getto di sangue artificiale», ovvero
un fluido sintetico con le stesse
caratteristiche fluidodinamiche del
sangue biologico, veniva diretto a
velocità e pressione ben definite,
verso un diaframma costituito
dal materiale in prova. Si valutava
quindi la capacità di quest’ultimo
di impedirne il passaggio. Direi che
questo approccio è l’emblema del
progetto Polimascherine, dove ogni
dipartimento aveva le competenze
necessarie da applicare a problemi
nuovi. Ed è una cosa che ho imparato
al Poli: se hai bisogno di qualcuno per
fare una certa cosa, qui lo trovi». Il 16
«Abbiamo
lavorato tutti
a titolo volontario:
dai docenti al
reparto tecnico.
E da nessuno ho
ricevuto un rifiuto.
Anche questo
è il fattore Poli»
76
giugno si è chiusa la fase di test, e solo
15 dei materiali testati hanno avuto
l’ok a procedere per essere inviati
per la certificazione finale all’Istituto
superiore di sanità.
«A valle di questa pandemia, il
Ministero dell’Università e della Ricerca
ha avviato un bando per attività che
propongono ricerche nell’ambito
dello sviluppo di tecniche, materiali
e dispositivi per contrastare il virus»,
aggiunge Sala, «il mio dipartimento
ha avviato tre collaborazioni. La prima
tra il Politecnico e il Dipartimento di
Psicologia dell’Università Bicocca. Due
discipline apparentemente lontane
si propongono di analizzare quanto
l’uso della mascherina diminuisca
l’ossigenazione al cervello, abbassando
di conseguenza la soglia di attenzione,
la prontezza di riflessi e le capacità
cognitive. Ciò è utile per quanti hanno
lavori di responsabilità come, ad
esempio, piloti e autisti. La seconda
collaborazione è con il Dipartimento
di Microbiologia dell’Università Statale
di Milano e si prefigge di valutare la
capacità dei tessuti filtranti di fungere
da barriera ad agenti patogeni. Infine,
una collaborazione interdipartimentale,
con i dipartimenti di Elettronica
e di Architettura, Ingegneria delle
costruzioni e Ambiente costruito,
per lo sviluppo di una poltrona per
dentisti dotata di un sistema che
aspiri immediatamente l’aerosol.
Stiamo partendo al contempo con
progetti riguardanti lo smaltimento,
le mascherine efficienti sono infatti
costituite di microfibre di polimero,
il peggior materiale dal punto di
vista dell’inquinamento. Quindi
stiamo pensando a soluzioni legate
sia alla riciclabilità che a tecniche
di sanificazioni che consentono
di utilizzare i dispositivi per più
tempo». Poi, pensando a quando
tutto ha avuto inizio, Sala conclude:
«Abbiamo lavorato per i tre mesi del
lockdown a titolo volontario. Tutti,
dai docenti al reparto tecnico. E da
nessuno di loro ho ricevuto un rifiuto».
Anche questo è il fattore Poli.
77
#PrivacyPreservingGroupCommunication #5G
#SecureMultipartyComputation
#ContactTracing
3 RICERCA
SECURE MULTIPARTY
COMPUTATION E 5G PER
IDENTIFICARE I FOCOLAI
Uno studio del Politecnico di Milano pubblicato nella conferenza
internazionale IEEE Global Communications descrive un possibile
metodo: un contact tracing sicuro senza bisogno di scaricare app
MASSIMO TORNATORE
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria delle
Telecomunicazioni
GIACOMO VERTICALE
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria delle
Telecomunicazioni
Da quando è scoppiata la pandemia
di coronavirus, in tutto il mondo
i paesi hanno attivato misure di
contenimento, come il lockdown, che
hanno un alto costo sociale. Individuare
tempestivamente i focolai di contagio
grazie al contact tracing potrebbe
contribuire ad abbattere questo
costo sociale.
Il gruppo di ricerca del prof. Massimo
Tornatore (Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria del
Politecnico di Milano) e del prof
Giacomo Verticale, in collaborazione
con la prof. Silvia Giordano della
Scuola Superiore Universitaria
Professionale della Svizzera Italiana,
in questi mesi si è occupato di
studiare possibili applicazioni per una
tecnologia di privacy preserving group
communication, in grado di tracciare a
tappeto i contatti e i contagi tutelando
la privacy dei cittadini. Del gruppo
di ricerca che ha lavorato su questa
tematica fanno parte anche Davide
Andreoletti e Omran Ayoub, due post-doc.
Il gruppo di ricerca si occupa da anni
di privacy in ambiente di computazione
condivisa, tema che oggi è di grande
attualità. «In Italia, l’app Immuni per il
contact tracing tutela la privacy, perché
non si basa sulla geolocalizzazione
mobile – spiega Tornatore. Un
utente inserisce nell’app le proprie
78
informazioni e attiva il Bluetooth;
quando si trova in prossimità di
un’altra persona che ha l’app attiva, i
due profili si scambiano un token che
viene mandato a un server. Il token
contiene unicamente informazioni sul
contatto tra i due utenti, non sulla
posizione al momento del contatto.
Tuttavia, questo tipo di approccio ha
un limite relativo alla sua capacità di
penetrazione. Per funzionare, l’app va
anzitutto scaricata e quindi richiede
un’azione da parte dei cittadini che
non tutti vogliono o possono fare; può
avere problemi di compatibilità con
alcuni modelli di cellulare e, in ogni
caso, il Bluetooth è una funzione che
consuma velocemente la batteria».
Per fare contact tracing è necessario
condividere due tipi di informazione:
l’informazione sanitaria (chi ha il
virus?) e la localizzazione (dove si
trovano i contagiati?). In Italia non
esiste un’unica istituzione che conosca
entrambe le informazioni: l’autorità
sanitaria conosce l’identità degli
infetti, mentre gli operatori mobili
sanno dove si trovano le persone
grazie alle informazioni trasmesse dai
telefoni cellulari. I ricercatori hanno
cercato di sviluppare un meccanismo
che permetta automaticamente
agli operatori di contribuire con
l’informazione della posizione dei
clienti e all’autorità di contribuire con
l’informazione sugli infetti, tutelando
però la privacy dei cittadini. «Ciò
che proponiamo non richiede che
si scarichi alcuna app, non richiede
alcuna azione aggiuntiva da parte
dell’utente né di attivare alcuna
funzionalità dello smartphone (nessun
wifi, Bluetooth o GPS), quindi potrebbe
avere una capacità di penetrazione
molto superiore, funzionerebbe su tutti
i cellulari e non creerebbe problemi
di batteria», continua il ricercatore.
«Abbiamo lavorato su una tecnologia
di secure multiparty computation,
con algoritmi crittografici in grado
di prendere le due informazioni e
confrontarle: una sorta di “somma” di
addendi cifrati che restituisce il risultato
della somma non cifrata».
Anche questo approccio ha un limite.
Con la tecnologia 4G di cui disponiamo al
momento, il posizionamento degli utenti
è nell’ordine del centinaio di metri. «Per
funzionare, questo tipo di architettura ha
bisogno di poterli localizzare in un raggio
di pochi metri. Lo studio ne ha però
dimostrato la fattibilità in ambiente 5G»,
conclude Tornatore.
I risultati sono stati pubblicati
nella conferenza internazionale
IEEE Global Communications
e il paper è già liberamente
consultabile su Arxiv
79
3 RICERCA
#Polisocial #Mobile #Mobility #GPStechnology
SCENARI A CONFRONTO:
UN’ANALISI DELLA MOBILITÀ
IN MOZAMBICO E IN LOMBARDIA
DURANTE LA PANDEMIA
Il nucleo transdisciplinare d’Ateneo Data@ter sta studiando l’impatto
della pandemia sulle abitudini di mobilità delle persone attraverso la
localizzazione dei telefoni cellulari. A partire da un progetto di studio
degli spostamenti, iniziato nel 2018, i ricercatori hanno scattato le
fotografie prima-e-dopo di come le persone si muovono in territori
molto diversi tra loro
SIMONE VANTINI
Dipartimento di Matematica
Alumnus Ingegneria Nucelare
Circa l’80 % della mobilità nelle grandi
città africane si basa su sistemi di
mobilità informale, pochi dispongono
di un’auto e pochi sono i sistemi
di trasporto pubblico. Tale carenza
impatta negativamente sullo sviluppo
economico e sul benessere della
popolazione. Questo era il punto di
partenza del progetto Safari, uno
dei vincitori dell’edizione 2018 del
Polisocial Award, che - tramite l’analisi
dei dati GPS offerti dalla telefonia
mobile - si è posto l’obiettivo di
esplorare soluzioni bottom-up e placebased
per rispondere al problema della
povertà di trasporti. «Monitorando gli
spostamenti degli abitanti volevamo
analizzare la domanda di mobilità e per
trovare soluzioni a basso costo ed alto
impatto basate sulla riorganizzazione
dei servizi di mobilità esistenti sul
territorio», racconta il coordinatore
del progetto Simone Vantini, del
Dipartimento di Matematica, «con
l’emergere della pandemia, abbiamo
colto l’occasione per aggiungere
un importante tassello a questo
progetto». A partire da dicembre 2019
i ricercatori portano avanti un caso
studio parallelo tra Mozambico, dove il
cellulare è diffuso ma gli smartphone
non hanno un’alta penetrazione, e
Lombardia, in un contesto dove invece
questo device è ovunque. «Abbiamo
così avuto l’opportunità di osservare
due territori tecnologicamente
estremi, in un periodo pre-COVID-19 e,
successivamente, durante l’emergenza,
analizzando il modo in cui la pandemia
ha influito sulle abitudini di mobilità
dei territori coinvolti. Abbiamo sfruttato
questi data set per ragionare sui
possibili impatti della pandemia e
valutare gli interventi normativi sulla
mobilità».
Dal 16 febbraio al 16 maggio, ovvero a
partire da dieci giorni prima dell’inizio
della pandemia in Lombardia e fino
a dieci giorni dalla fine del primo
lockdown, è stato monitorato un
campione casuale di cinquantamila
persone in Lombardia. «Abbiamo
tracciato i loro spostamenti nel totale
rispetto della privacy», continua
Vantini. Sia in Mozambico che in
Lombardia i ricercatori hanno lavorato
in collaborazione con Cuebiq, azienda
con sede in USA e Dipartimento di
Ricerca e Sviluppo a Milano, fondata
da Antonio Tomarchio, un altro
Alumnus del Politecnico (ne abbiamo
parlato sul numero 2 di MAP, NdR).
Attualmente è in fase di sviluppo un
database con tutti i dati raccolti, che
verrà reso pubblico e condiviso con la
comunità scientifica. «I dati raccolti da
Cuebiq tramite la tecnologia GPS degli
smartphone riescono a posizionare un
utente (associato a un codice anonimo)
con una precisione fino ad un paio
di metri, possiamo quindi capire ad
esempio su che mezzo di trasporto sta
avvenendo lo spostamento. E non solo,
80
81
82
Utilizzo delle diverse combinazioni di linee di chapas (in alto).
Matrici Origine-Destinazione tra di versi quartieri di Maputo (in basso)
forniamo una matrice tempo variante
in grado di spiegare come cambia la
mobilità nelle varie ore del giorno,
e nei vari giorni della settimana,
confrontandola con gli scenari
prepandemici». Il progetto è portato
avanti dal nucleo transdisciplinare
d’Ateneo Data@ter che include cinque
dipartimenti (Matematica, Architetura
e Studi Urbani, Ingegneria Gestionale,
Design, Elettronica Informazione e
Bioingegneria) e in Mozambico vede
la collaborazione di Vodacom: la telco
che sta fornendo i dati che permettono
la localizzazione degli utenti sulla base
dell’utilizzo delle celle telefoniche,
quindi con una precisione inferiore
a quella GPS ma con un’alta capacità
di penetrazione. «Se inizialmente il
focus era lo studio sulla mobilità in
Mozambico, l’emergere della pandemia
ha aggiunto un secondo obiettivo a
quello originario del progetto: sfruttare
le moderne tecnologie digitali per
avere un’immagine in tempo reale
di ciò che accade e fornire i dati alla
comunità scientifica, dati utili per chi
studia la mobilità e valuta gli impatti
socioeconomici delle misure di
contenimento del contagio. Possiamo
ad esempio stimare quanta gente si è
mossa dalla propria zona verso un’altra
zona, quanti spostamenti ci sono stati
tra diversi comuni, se ci sono delle zone
con particolari addensamenti e se la
normativa riguardo ai confinanti viene
rispettata». Il progetto ha un budget di
198 mila euro ed è stato cofinanziato
dal Politecnico di Milano (attraverso il
Polisocial Award) e dall’Agenzia Italiana
per la Cooperazione allo Sviluppo.
Infografiche tratte da "Urban Mobility
Network-Based Models from Global
Positioning Systems", Celeste Principi
83
3 RICERCA
#Robot #Serological #ClinicalAnalysis
COVID-19: YUMI, IL ROBOT
COLLABORATIVO PER
ANALIZZARE UN MAGGIOR
NUMERO DI TEST SIEROLOGICI
YuMi, il robot collaborativo di ABB, è stato utilizzato in una
applicazione progettata al Politecnico di Milano in collaborazione
con ABB e IEO per supportare gli ospedali nei test sierologici
per il coronavirus. A regime YuMi, potrebbe essere in grado di
automatizzare fino al 77% delle operazioni necessarie per svolgere
i test e analizzare fino a 450 campioni/ora
ANDREA ZANCHETTIN
Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria
Alumnus Ingegneria
Informatica
Della automatizzazione parziale
del protocollo dei test sierologici
si è occupato Andrea Zanchettin,
Dottore di Ricerca con esperienza
nella robotica collaborativa e oggi
professore associato al Dipartimento
di Elettronica, Informazione e
Bioingegneria del Politecnico di Milano.
Zanchettin ha progettato l’applicazione
e programmato YuMi, un robot in
grado di automatizzare il “pipettaggio”
delle piastre a pozzetti usate nei test
sierologici. Per ogni test effettuato
su un singolo paziente, un tecnico di
laboratorio deve azionare il pistoncino
della micropipetta 8 volte: il pollice
umano deve fare circa 2 cm di corsa
con una forza di 1,5 kg.
Fare migliaia di test significa che
l’operatore deve eseguire quel
movimento ripetitivo migliaia di volte.
È un gesto impegnativo, stressante
e usurante che può comportare
patologie cliniche specifiche come
l’infiammazione del tendine che
mantiene il dito in posizione sollevata.
Il test sierologico è stato messo a
punto nei laboratori dell’Istituto
Europeo di Oncologia di Milano dal
gruppo composto da Marina Mapelli
e Sebastiano Pasqualato, biochimici,
e Federica Facciotti, immunologa,
sulla base del protocollo elaborato
al Mount Sinai, New York da Florian
Krammer.
Come funziona il processo?
Il robot ha due bracci: sul sinistro è
montata la micropipetta, sul destro
una “mano” con due dita che serve
a movimentare le piastre. Il tecnico
riempie con il siero del paziente una
piastra a pozzetti, fatta in modo tale
che la componente proteica del virus,
se presente, si attacchi alla plastica.
Affinché il virus si leghi in maniera
stabile alla plastica, è necessario un
certo tempo di incubazione. Poi la
piastra va lavata dell’eccesso: YuMi si
occupa proprio di questo passaggio. Il
tecnico posiziona le piastre da lavare
sopra a un vassoio equipaggiato con
un sensore di peso, che avvisa YuMi
quando deve attivarsi e “pipettare” il
liquido di lavaggio dentro i pozzetti.
Il robot preleva la piastra e la sposta
in posizione, preleva da un serbatoio
la soluzione di lavaggio e riempie la
piastra. Poi ri-preleva la soluzione da
84
ciascun pozzetto e la elimina, questa
operazione viene ripetuta per 3 volte:
in totale impiega circa 3 minuti per
compiere tutta l’operazione. Alla fine,
YuMi riprende la piastra e la mette sul
vassoio delle piastre lavate.
YuMi è un robot collaborativo prodotto
da ABB, che ha una collaborazione
strategica con il Politecnico di Milano
denominata Joint Research Center. Si
tratta di una macchina multifunzione
che può trovare applicazione sia
in ambito industriale che in diversi
contesti operativi, come ospedali
e laboratori di analisi, assicurando
ripetitività. YuMi è certificato per
lavorare in camera bianca (ISO 5). «Le
automazioni collaborative robotizzate
hanno un ampio potenziale nel
settore medicale», afferma Oscar
Ferrato, Collaborative Robots Product
Manager in ABB. «Come ABB siamo
contenti di avere contribuito allo
sviluppo di questo interessante e
innovativo progetto».
Immagini: © ABB
85
#StochasticEpidemicModel
#BranchingRandomWalk
#IncubationTime
3 RICERCA
#VaryingEnvironment
#ReproductionNumber
UNA FOTOGRAFIA
DEL CONTAGIO
GIORNO PER GIORNO
Il prof. Fabio Zucca, del Dipartimento di Matematica, sta studiando un
modello matematico flessibile in grado di adattarsi al variare delle
condizioni per prevedere gli effetti delle possibili misure di contenimento
FABIO ZUCCA
Dipartimento di Matematica
Per poter prevedere l'andamento del
contagio in funzione delle condizioni
ambientali occorre un modello in
grado di adattarsi giornalmente
alle nuove restrizioni messe in atto
localmente. Fabio Zucca sta lavorando
con il Dipartimento di Matematica e
applicazioni dell’Università di Milano-
Bicocca alla generalizzazione di un
modello matematico noto come
Branching Random Walk in Varying
Environment: un classico modello di
replicazione che considera il movimento
casuale di un sistema (random walk) con
diramazione a tempo discreto e legge di
replicazione variabile nel tempo.
«Rispetto al modello classico – ci
spiega Zucca – la generalizzazione a
cui sto lavorando prevede un tempo
di vita (casuale o deterministico)
differente da 1 che rappresenta il
tempo di incubazione della malattia; in
tale intervallo temporale l'individuo è
“libero” di diffondere il contagio, prima
che l’emergere dei sintomi determini
una condizione di isolamento. In una
prima approssimazione, la vita di ogni
singolo individuo (identificata con il
periodo in cui l’individuo è infetto)
è costante ed ogni individuo genera
un numero casuale di contagiati con
media R (dipendente sia dal tempo che
dalla posizione dell’individuo stesso)
prima di venire rimosso ("rimozione"
significa “guarigione / isolamento /
morte” o, più in generale, qualsiasi
azione che impedisca ad un individuo
di indurre nuovi contagi). L’individuo
viene conteggiato solo al momento
della rimozione». Nei casi più semplici,
è noto che l'evoluzione del contagio, a
lungo termine, dipende dal parametro
R: se R>1 si ha una possibile crescita
esponenziale, mentre se R≤1 si ha
una decrescita verso zero. Per poter
modellizzare differenti scenari in cui si
mettono in atto differenti strategie di
contenimento, si deve tener conto di
condizioni ambientali non costanti.
«Ho cercato di formulare un modello
sufficientemente flessibile che potesse
adattarsi alle condizioni ambientali,
in particolare che integrasse i diversi
provvedimenti che si sono susseguiti
lungo le settimane e i mesi, per fornire
in ogni momento una fotografia della
situazione e prevedere le possibili
diramazioni del contagio negli scenari
ipotetici futuri. Quello che vorrei fare
adesso è ottenere una corrispondenza
tra condizioni ambientali e parametri
modello, e determinare in ogni
momento la legge di replicazione,
cioè la probabilità che ogni individuo
infetto contagi altri N individui».
La struttura spaziale del modello
permette di studiare zone non
omogenee (geograficamente o per
tipo di condizioni ambientali locali)
interagenti tra loro. «Sono partito da
una semplificazione del modello priva
86
di struttura spaziale e con tempo di
incubazione deterministico; questo
è un buon modello per una regione
geograficamente omogenea. Quindi
inizialmente ho applicato il modello
ai contagi rilevati coi tamponi in
Lombardia durante la prima ondata.
Tuttavia, la mancanza di organicità
nella raccolta dei tamponi pone un
serio problema. Adesso sto lavorando
a un nuovo fit in cui utilizzerò
prevalentemente i dati relativi ai
ricoveri in terapia intensiva. I risultati
preliminari evidenziano una maggiore
aderenza delle previsioni ai dati relativi
ai contagi giornalieri».
Il modello di Zucca, allo stadio attuale,
ha una criticità correlata al fatto che
è complesso trattare il caso in cui
ogni infetto possa avere un tempo di
incubazione casuale. «Al momento
sto lavorando con un numero fisso
che rappresenta il numero medio di
giorni di incubazione, ma in prospettiva
la legge di replicazione può essere
modificata giorno per giorno». Lo scopo
finale della ricerca è raggiungere una
maggiore generalizzazione del modello
per integrare anche il parametro
delle relazioni spaziali: analizzare
cioè zone non omogenee con diverse
leggi di replicazione. «In questo
senso, sto lavorando con la School of
Mathematics and Statistics – University
of Melbourne, Australia a una robusta
teoria di fitting tra modello e dati»,
conclude il ricercatore.
COMULATIVO CONTAGI CON TAMPONI - LOMBARDIA
Contagi giornalieri
Comulativo contagi
Dati reali
Previsioni modello
CONTAGI GIORNALIERI RILEVATI CON TAMPONI - LOMBARDIA
87
3 4 RICERCA
RESPONSABILIÀ SOCIALE
#Mask #Health #Design
ARIA NUOVA CON NARVALO:
LA NUOVA GENERAZIONE DI
MASCHERINE INTELLIGENTI
Durante un laboratorio della Scuola di Design del
Politecnico di Milano, un laureando, Ewoud Westerduin,
affronta il problema dell’inquinamento urbano
progettando una mascherina in grado di filtrare il 99,9%
di agenti inquinanti. Il progetto viene sviluppato come
tesi di laurea magistrale con l’aiuto del suo relatore,
Venanzio Arquilla, professore del Dipartimento di Design,
e incubato da Polihub. La mascherina diventa uno scudo
hi-tech, anche grazie ad un’app in grado di monitorare
l’aria che ci gira intorno. Poi, arriva la COVID-19
«L’idea iniziale era di produrre una
mascherina performativa, fissata
nel livello più alto di protezione, in
accordo con comfort e usabilità»,
dice il prof. Venanzio Arquilla, cofondatore
e presidente di Narvalo: una
mascherina di sicurezza superiore alle
FFP3 standard, realizzata in materiale
antistrappo, lavabile e dotata di filtri
composti da cinque strati, in grado di
filtrare il 99,9% di virus, batteri, polveri
sottili ed odori. E Narvalo, ad oggi, è a
tutti gli effetti un DPI FFP3 R certificato
CE. «Durante il laboratorio sentivamo
molto il problema dell’inquinamento»,
racconta l’Alumnus Ewoud Westerduin,
fondatore e Head of Design di Narvalo.
«Avevamo fatto una ricerca a livello
europeo su quali fossero i trend
per creare consapevolezza, poiché
spesso si associa l’inquinamento a
luoghi lontani da noi, senza riflettere
che semplicemente spostandoci,
magari per andare in ufficio, siamo
quotidianamente esposti ad agenti
inquinanti. Da qui, abbiamo canalizzato
il lavoro sulla performance respiratoria,
presentando l’embrione del progetto
all’azienda BLS, che ho sviluppato
ulteriormente all’interno di Polifactory
come tesi di laurea magistrale». A
questo punto della storia entra in gioco
infatti un altro Alumnus, Pierpaolo Zani,
General manager di BLS, l’unica azienda
italiana produttrice di DPI per le vie
respiratorie. «Mettiamo in contatto
Ewoud con BLS - specifica Arquilla -
che gli offre lo spazio e l’expertise per
poter sviluppare il prodotto. Ed Ewoud,
che è di origine olandese, decide di
restare in Italia e di investire a sua
volta in Narvalo». Il progetto viene
selezionato per accedere al programma
di accelerazione di PoliHub. Proprio
all’interno di Polifactory iniziano
le sperimentazioni: «Proviamo la
88
89
FILTRO A CINQUE STRATI
Rete idrorepellente
Materiale filtrante
Strato carbone attivo
Coppa
Face fit idrorepellente
e antibatterico
stampa 3D con materiali flessibili,
su polimeri elastici, combinati con il
taglio laser per creare strutture mobili
sui tessuti», puntualizza Westerduin.
«Il tessuto 3D viene ottenuto da un
processo di tessitura a tre livelli,
in cui lo strato superiore e quello
inferiore vengono uniti ad uno strato
intermedio, denominato spacer layer,
dallo spessore variabile a seconda
dell’esigenza». I materiali che elevano
questo prodotto sono però quelli
che non si vedono dall’esterno, «La
parte filtrante - spiega Westerduin -
è composta da vari strati di tessuto
non tessuto a base di polipropilene
che, uniti ad uno strato trattato con il
carbone attivo, sono in grado di filtrare
il 99,9% di particolato, smog, pollini,
batteri, virus ed odori. La parte esterna
è idrorepellente, mentre la fascia
interna, a contatto con la pelle, oltre
ad essere anche questa idrorepellente,
è in materiale anallergico e autosanificante.
Infatti, di solito le
maschere accumulano sudore proprio
in questo punto, creando così una
carica batterica».
A gennaio 2020 cinquanta utenti, scelti
tra runner e ciclisti, partecipano all’user
test. «E poi arriva la COVID-19. E su di
noi ha l’effetto di un acceleratore»,
ricorda Arquilla. «Se infatti inizialmente
i nostri piani erano di essere sul
mercato nell’autunno 2020, decidiamo
di anticipare l’uscita all’estate. Eravamo
tutti d’accordo sul fatto che avremmo
dovuto impegnarci in una maniera
importante per dare una risposta a
questa pandemia». Ed è in questo
preciso momento che la mascherina,
pensata principalmente per il target
dell’urban commuter - colui cioè
che si muove nella metropoli con
responsabilità ambientale e attenzione
alla natura - diventa uno strumento di
protezione per tutti e si fa intelligente.
La maschera prevede un sensore
in grado di leggere tre parametri: la
pressione, la temperatura e l’umidità.
Questi, forniscono una lettura precisa
e in presa diretta della frequenza
respiratoria dell’utente e regolano la
velocità di una ventola. Questa ventola
estrae il calore e l’umidità che di solito
vi si accumulano all’interno, rendendo
«Eravamo
tutti d’accordo:
ci saremmo
dovuti impegnare
in maniera
importante
per dare una
risposta a questa
pandemia con
uno strumento
di protezione
intelligente»
90
più confortevole la respirazione. La
valvola può essere bloccata inserendo
lo speciale tappo COVID-19 - quando
magari ci si trova in un luogo chiuso
- impedendo così la fuoriuscita di
goccioline anche durante l’espirazione.
Westerduin spiega meglio il
funzionamento del sistema elettronico,
che insieme alla valvola rende unico
Narvalo: «Nel momento in cui l’utente
indossa la maschera, il sensore di
pressione rileva il respiro. A questo
punto si connette con l’app dello
smartphone che, a sua volta, si collega
con la stazione di monitoraggio dell’aria
più vicina alla zona in cui si trova
l’utente. L’algoritmo registra intanto il
tempo di percorrenza, la distanza tra il
luogo di partenza e quello di arrivo e
la frequenza respiratoria, comprese le
variazioni del respiro. A fine percorso
tutti i dati vengono combinati andando
a calcolare in modo dettagliato la
quantità di inquinanti. Questi dati sono
di supporto anche perché comunicano
il livello di saturazione del filtro,
segnalando la percentuale di consumo
e quindi il tempo preciso in cui dovrà
essere sostituito per essere protetti al
massimo». (Mentre scriviamo è stato
brevettato il sistema elettronico ed è in
corso di brevettazione anche la parte
relativa al Design di Prodotto, ndr).
Poco dopo il lockdown, i duemila pezzi
del primo lotto vengono esauriti in tre
ore. La seconda versione di Narvalo,
“Active”, che sarà sul mercato nei primi
mesi del 2021, prevede l’integrazione di
componenti elettroniche tra cui della
sensoristica per misurare utente ed
ambiente. Nel dispositivo ACTIVE ci sarà
una valvola elettronica dotata di una
ventola di estrazione intelligente, della
sensoristica in grado di misurare il
flusso respiratorio, una batteria oltre a
tutti gli elementi di controllo necessari.
«Ad oggi non esiste un sistema in grado
di rilevare questo parametro», dice
Arquilla, «Da qui si aprono, in campo
medico e sportivo, scenari nuovi».
Un prodotto pensato per proteggere
e guidare l'utente in maniera non
invasiva e con una tecnologia il più
possibile umanizzata. Un oggetto
che dialoga con gli utenti e che si
auto-regola generando di fatto un
nuovo modello di interazione.
Arquilla conclude: «Tutto è sempre
pensato nell’ottica dell’oggetto che ti
protegge e che ti guida».
VENANZIO ARQUILLA
Narvalo, Founder & President
Dipartimento di Design
Alumnus Design del Prodotto Industriale
EWOUD WESTERDUIN
Narvalo, Founder & Head of Design
Alumnus Integrated Product Design
91
3 4 RICERCA
RESPONSABILIÀ SOCIALE
#SpinOff #TechnologicalTransfer #DataAnalisys #Bioengineering
UN METODO INNOVATIVO
PER LA DIAGNOSI POLMONARE
Dal 2010 Restech, spin-off del Politecnico di Milano,
produce dispositivi non invasivi che permettono di
superare i limiti delle tecniche tradizionali, quali la
spirometria, nella diagnosi e nella prevenzione di alcune
patologie del sistema respiratorio. L’azienda, specializzata
in ricerca e sviluppo, sta supportando due studi clinici
per il trattamento dei pazienti Covid
Il prof. Raffaele Dellacà insegna
elettronica biomedica al Politecnico
di Milano e coordina le attività
del laboratorio di tecnologie per
la respirazione (Technologies for
Respiration – TechRes Lab). «Il nostro
obiettivo come gruppo di ricerca
– ci racconta – è quello di definire
nuovi metodi per lo studio della
funzione respiratoria. Lavoriamo sulla
componente tecnologica a stretto
contatto con medici e fisiologi per
mettere a punto metodi diagnostici
innovativi». A partire dal suo lavoro
di ricerca, nel 2010 Dellacà con il suo
gruppo ha fondato la spin-off Restech
per progettare, produrre e distribuire
in tutto il mondo dispositivi noninvasivi
di diagnostica respiratoria.
Oggi Restech è guidata dai cofondatori
Alessandro Gobbi e Pasquale Pompilio,
ai tempi assegnisti di ricerca del
laboratorio di Dellacà, ai quali si sono
uniti nel tempo alcuni investitori
privati tra i quali Fabio Mosca, Alumnus
Ingegneria Chimica, che, grazie alla sua
esperienza gestionale, sta traghettando
la società verso una riorganizzazione
per consolidarne la crescita. «Restech
nasce nel 2010 per trasferire i risultati
della ricerca accademica verso una
tecnologia utilizzabile in ambito clinico.
Il nostro team è specializzato nella
ricerca e sviluppo, e abbiamo accordi
con partner industriali che si occupano
della parte commerciale e della
distribuzione».
I dispositivi Restech sono già utilizzati
per coadiuvare il trattamento di
malattie respiratorie come broncopatia
polmonare cronica ostruttiva, asma
e in ambito ospedaliero laddove sia
necessario determinare lo stato di
salute del sistema respiratorio. «La
tecnica tradizionale oggi più diffusa è
la spirometria – prosegue il ricercatore
– che però richiede una manovra
forzata, che può essere traumatica o
impossibile per pazienti compromessi
dal punto di vista respiratorio, pazienti
intubati, bambini e persone con
difficoltà cognitive. Se non eseguita
correttamente, la spirometria non
fornisce dati rappresentativi dello
stato del polmone, quindi deve sempre
essere eseguita sotto la supervisione
di personale esperto». Il gruppo di
Restech sviluppa metodi innovativi che
possano complementare o, in alcuni
casi, sostituirsi alla spirometria, tra
i quali il più promettente è la tecnica
92
delle oscillazioni forzate. I dispositivi
producono delle vibrazioni di pressione
e le veicolano al paziente attraverso un
boccaglio durante l’atto respiratorio
normale. La risposta meccanica
del polmone a queste oscillazioni
permette di valutare lo stato di salute
del sistema respiratorio. «L’idea non è
nuova: venne inizialmente ipotizzata
nel 1956, ma, all’epoca, non esistevano
le capacità di calcolo e le conoscenze
di fisiopatologia necessarie per
interpretare i dati ottenuti. Si tratta
infatti di informazioni meccaniche
un po’ complesse che devono
essere associate alle caratteristiche
fisiopatologiche del paziente: è
necessario cioè individuare quali siano
le alterazioni del sistema respiratorio
che producono certi schemi di
variazione nelle vibrazioni misurate. Il
mio gruppo di ricerca lavora su questi
aspetti interpretativi del dato e alla
realizzazione di sistemi di analisi dei
dati innovativi, che includono analisi
della variabilità e tecniche di filtraggio
basate su intelligenza artificiale in
grado di dare informazioni specifiche
su alcune patologie polmonari».
Il vantaggio immediato di questo
metodo è che i dati misurati non
dipendono più dalla capacità del
93
paziente di eseguire il test. Tra le
varie applicazioni c’è il supporto alla
diagnostica ambulatoriale, ma, poiché
la tecnica non richiede assistenza né
sforzo, Restech ha sviluppato anche
un dispositivo per il monitoraggio
domiciliare, che i pazienti possono
usare in autonomia (come si fa con un
qualsiasi sfigmomanometro domestico
nel controllo della situazione
cardiovascolare). «Un paio di anni
fa abbiamo condotto uno studio
clinico multicentrico pubblicato sulla
più importante rivista di medicina
respiratoria internazionale, l’American
Journal of Respiratory and Critical Care
Medicine, dimostrando che l’uso di
questa metodologia domiciliare è in
grado di identificare precocemente la
riacutizzazione dei pazienti con Bronco-
Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO,
una definizione che include pazienti
con enfisema polmonare o bronchite
cronica e che, anche se poco nota al
grande pubblico, è oggi la quarta causa
di morte). I nostri dispositivi tengono
quotidianamente sotto controllo lo
stato dei polmoni di questi pazienti,
allertando i medici in caso di segnali
di riacutizzazione e consentendo
di iniziare la terapia precocemente,
consentendo di limitare la severità
dell’episodio e riducendo o evitando il
ricovero in ospedale».
È attualmente in fase di avanzato
sviluppo un dispositivo portatile, in
collaborazione con un’importante
multinazionale che produce dispositivi
biomedici da banco. Può essere
trasportato in una normale borsetta
ed è pensato per tenere sotto controllo
la salute del sistema respiratorio
di pazienti asmatici. «L’asmatico,
quando è sotto controllo, non ha una
manifestazione sintomatologica di
base, ma le crisi possono avere un
impatto molto grave sia sul sistema
respiratorio sia dal punto di vista
psicologico. I nostri studi ci hanno
permesso di identificare i criteri per
individuare una situazione respiratoria
in peggioramento, diversi giorni prima
che il paziente sviluppi i sintomi
della crisi, e questo consente di
intervenire tempestivamente con la
terapia per prevenirla senza correre
il rischio di un sovradosaggio dei
medicinali (rischio a cui spesso i
pazienti asmatici si sottopongono per
la paura di una crisi)». Infine, un’altra
applicazione a cui il gruppo sta
lavorando ha l’obiettivo di supportare
la respirazione del neonato prematuro,
che tipicamente può soffrire nel
reclutamento del polmone. Sui neonati
RAFFAELE DELLACÀ
Restech, Founder
Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria
Alumnus PhD Bioingegneria
restech.it
94
ALESSANDRO GOBBI
Restech, Founder
Alumnus PhD Bioingegneria
PASQUALE POMPILO
Restech, Founder
Alumnus PhD Bioingegneria
FABIO MOSCA
Restech, President
Alumnus Ingegneria Chimica
le tecniche tradizionali di intubazione
e spirometria non sono applicabili e
una eccessiva pressione esercitata
sull’apparato respiratorio ancora fragile
può creare danni permanenti. Un
dispositivo equipaggiato con emettitore
di oscillazioni è invece in grado di
supportare la respirazione del bambino
fino alla maturazione del polmone.
«Questo è l’ambito di ricerca in cui ci
muoviamo e, quando è scoppiata la
pandemia di coronavirus, il gruppo
si è attivato anche su questo fronte.
Abbiamo ricevuto un finanziamento da
Regione Lombardia per un progetto di
ricerca che coinvolge diversi ospedali,
tra cui il San Paolo. I medici stanno
utilizzando anche i dispositivi Restech
per valutare l’impatto a medio e lungo
termine che COVID-19 ha sui pazienti
che hanno sviluppato un’insufficienza
respiratoria grave causata dalla
polmonite interstiziale». La tecnica
delle oscillazioni forzate consente,
infatti, di caratterizzare in maniera
molto più accurata il danno funzionale
che c’è stato e come avviene il
recupero. Parallelamente il gruppo
sta completando proprio in questi
giorni uno studio in collaborazione
con l’ospedale di Trieste (prof. Marco
Confalonieri e dottoressa Chiara
Torregiani), che è stato tra i tra i pionieri
della terapia con ventilazione noninvasiva
nei pazienti conisufficienza
respiratoria dovuta alla COVID-19.
L’obiettivo è quello di capire come
cambia lo stato del polmone in risposta
ai vari interventi terapeutici nei pazienti
in terapia sub-intensiva che, con la
maschera o il casco, non sono in grado
di eseguire una spirometria. «Dato che
molto spesso la COVID-19 si manifesta
in pazienti con co-morbidità di tipo
respiratorio, l’insufficienza respiratoria
più essere il risultato di diversi fattori.
I medici hanno bisogno di conoscere
le cause per poter definire una terapia
efficace e sicura. Come facciamo a
sapere per quale motivo il sangue non
è ossigenato bene? È un problema
di perfusione o di reclutamento?
C’è ostruzione polmonare, ci sono
trombi? La sperimentazione clinica
dei nostri dispositivi ha dimostrato
di fornire informazioni preziose per
rispondere a queste domande e
rappresentare quindi un importante
strumento diagnostico a supporto
delle decisioni dei medici»,
conclude Dellacà.
95
La ricerca
politecnica
continua…