Il 2021 si inaugura con il 18 litri di John Deere, a un anno dalla presentazione di Las Vegas.
Ci fermiamo negli States con Diesel Technology Forum, che ha dato parola a Cummins e a Deere sui combustibili alternativi. E, a proposito di alternativi, mettetevi comodi… Si comincia da AB, che si tuffa nel bio-Gnl, con la collaborazione di Stirling Cryogenics.
Idrogeno sotto i riflettori: con Cummins, che ci fa lo spelling con grande zelo, tra i costruttori di camion e in Olanda, su quattro New Holland che si bevono una miscela di diesel e idrogeno.
Make America Great Again! Niente paura, stavolta la politica non c’entra: Cat e Cummins allungano il passo nel nostro confronto che prende in esame gli industriali tra 9 e 10 litri.
Il Grandangolo ci ha portati in Canada, sponda Massey Ferguson, e da lì a sorvolare il Pacifico, in Giappone, sponda Iseki.
Andiamo in mare, ma scordatevi la barca a vela. Per il commercial Mtu si affida al Power-To-X e Volvo Penta tira a lucido il D16. As Labruna ha pensato a un’assistenza ‘intelligente’, Fpt Industrial l’ha tradotta nello Smart Service.
In cava, invece, appuntamento a fine settembre, per l’evento Samoter, in concomitanza con Marmomac. Per il resto ci si rivede nel 2023. Pure Intermat, del resto, si è dovuta arrendere alla pandemia.
GENNAIO -
FEBBRAIO
N°1-2 2021
ANNO 34°
EURO 5,00
VADO E TORNO EDIZIONI - www.vadoetorno.com - ISSN 0042 - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in a. p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI
Curve a
posto
In copertina il Volvo D16 MH vitaminizzato - Intervista a Michael Lefebvre di John Deere Power Systems:
protagonista il 18.0L - Confronto: Industriali 9-10 litri - Il service remoto di AS ed Fpt Industrial - Prosegue
la nostra narrazione ‘criogenica’. Capitoli: AB e il Bio-Gnl; per l’idrogeno: Cummins, i camion, New Holland
Scopri tutte le nostre
soluzioni di retrofit
tailormade.
GRANDANGOLO
22. Serie MF 1700 M di Massey
Ferguson, i compatti canadesi che
fanno lo Stage V con un giapponese
insolito, a queste latitudini: Iseki.
Gennaio - Febbraio 2021
dieselweb.eu
8
14
26
HI-TECH
4. Samoter e Intermat: Il dazio al
Covid del movimento terra
5. Hydac: Il generatore idraulico
pensato per aiutare l’elettrico
INTERVISTE
8. John Deere Power Systems:
Michael Lefebvre ci racconta il 18 litri
ALTERNATIVI
12. Bio-combustibili: Cummins,
Deere, Neste, visti dagli Usa
14. AB Energy: Liquefattori bio-
Gnl, insieme a Stirling Cryogenics
CONFRONTO
18. 9-10 litri: L’allungo degli
americani: Cat e Cummins
GRANDANGOLO
22. Massey Ferguson: Con Iseki
sui trattori compatti
IDROGENO
26. Cummins: Un punto di vista
che non tralascia nessun aspetto
30. Camion: I costruttori europei
verso la santa alleanza
32. Trattori: Il New Holland che
miscela diesel e idrogeno
DIESEL MARE
34. Mtu: Ragiona di Power-To-X
per le applicazioni da lavoro
36. Volvo Penta: Il D16 MH si è
galvanizzato per il commercial
TECHNO
38. Smart Service: Visione comune
per Fpt Industrial e As Labruna
RUBRICHE
Automotive 6. VeT Network 40.
Oem&Motori 50.
Retrofit: s.ingl [dall‘ingl. retro(active)«retroattivo» e (re)fi t «riparazione»]
Consiste nello studio e realizzazione di modifi che a macchine allo scopo di
migliorarne le caratteristiche di performance e di prolungarne la vita utile.
#retrofi t #powertransmission #couplingsconversion #plugandsail
VULKAN Italia S.R.L. Via dell‘Agricoltura 2 | 15067 - Novi Ligure / AL
Tel. +39 3468780890 | Mail giulio.alberti@vulkan.com
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32
LE RISPOSTE DI
DICEMBRE
E se il più sostenibile degli
alternativi si rivelasse lo Stage VI?
52%
sì
48%
no
IL SONDAGGIO
DEL MESE
Secondo voi i cinesi stanno effettivamente
intensificando le attenzioni verso il
mercato europeo?
Rispondi su
www.vadoetorno.com
Il sondaggio non ha valore statistico. Le rilevazioni non sono basate su un campione scientifico
3
6
SAMOTER 2020 E INTERMAT 2021
Un biennio senza
movimento terra
E infi ne prevalse la pandemia. Gli organizzatori di Intermat e Samoter hanno dovuto
alzare bandiera bianca di fronte all’irruenza del virus e alle misure di distanziamento dei
governi francese e italiano. A Verona però non si sono persi d’animo. È infatti in corso di
organizzazione un evento in cava alla fi ne di settembre, in sinergia con Marmomac
Quella cifra nella sigla
del virus, Covid-19,
si è rivelata quanto
mai capziosa. L’onda lunga
della pandemia ha travolto gli
allestimenti eristici del 2020
(abbiamo salutato la stagione
a Dubai, già sotto controllo
sanitario, con l’epilogo, interlocutorio,
di Genova, a inizio
ottobre) e stiamo assistendo
all’effetto domino sul 2021.
La prima metà dell’anno
pare infatti compromessa, si
sgrana il rosario per salvare
il salvabile, cioè l’ultimo quadrimestre.
Il movimento terra
è stato così azzoppato. La rotazione
triennale nell’arco 2020-
2022, peraltro siologicamente
ridimensionata dall’egemonia
del Bauma Monaco, è stata
manomessa dalla pandemia. I
primi a gettare la spugna sono
stati i Saloni Francesi. Sapevamo
delle rinunce di Cummins,
di quella di John Deere, applicata
all’intero anno scale, cioè
Samoter 2017
Intermat 2018
no a ottobre 2021, di quella
probabile di Fpt Industrial e
di Cnh, oltre a Volvo Penta,
pioniera nelle misure precauzionali.
Nonostante il deagrare
dell’ordigno pandemico, a
Parigi ritenevano, comprensibilmente,
che la primavera del
2021 fosse a prova di Covid. E
invece no. Scrivono infatti: «A
causa delle numerose incertezze
derivanti dalla pandemia di
Covid-19 e che probabilmente
si protrarranno no alla prima
metà del 2021, gli organizzatori
di Intermat hanno preso
la sofferta decisione di annullare
l’edizione che si sarebbe
dovuta tenere dal 19 al 24
aprile 2021 a Parigi e di ssare
quindi la prossima edizione
nell’aprile 2024».
Più articolata la parabola del
Samoter. Va reso onore agli
organizzatori per averci provato
in tutti i modi. Originariamente
prevista dal 21 al 25
marzo del 2020, è inizialmente
slittata al 16 maggio. Successivo
rinvio al lasso 21-25 ottobre
2020 per SaMoTer, Asphaltica,
Iccx-Southern Europe e
Oil&nonOil. Inne l’extrema
ratio, scavallare il maledetto
2020 e ipotizzare dal 3 al 7
marzo del 2021. Ipotesi, per
l’appunto, sulle quali ha inerito
la recrudescenza della seconda
ondata. Si vede però una
luce, in fondo al tunnel, come
spiega Giovanni Mantovani, direttore
generale di Veronaere.
«Abbiamo deciso di organizzare
un nuovo evento dinamico di
avvicinamento, nell’autunno
2021». «Il format sarà quello
della demo in cava», ci spiegano
gli organizzatori, «con macchine
e attrezzature da cantiere
in azione dal 30 settembre al
2 ottobre 2021. L’obiettivo è
quello di realizzare un’iniziativa
di livello nazionale, coinvolgendo
operatori da tutte le
regioni italiane. Inoltre, la contemporaneità
dell’evento con
Marmomac, la più prestigiosa
era mondiale dedicata alla
liera della produzione litica,
potrà offrire l’occasione per
realizzare importanti sinergie
tra comparti».
HYDAC E IL GENERATORE A COMANDO IDRAULICO
Potenza on demand
ln aggiunta a quanto riportiamo nell’articolo, il design della fl angia facilita l’allineamento motoregeneratore
e prevede delle specifi che cavità interne che migliorano il raffreddamento di tutto
il sistema. Inoltre, pur risultando particolarmente compatto, il blocco di controllo genera
bassissime contropressioni ed è dotato di una valvola anti-cavitazione
Hydac ha sviluppato un
generatore a comando
idraulico in grado di
garantire una potenza elettrica
compresa tra 4,5 e 7 chilowatt
per integrare l’alimentazione
fornita dalle batterie e dall’alternatore.
Un’aggiunta, quella
del generatore, necessaria
quando seminatrici, rotopresse
L’idraulico
al servizio
dell’elettrico
nel lavoro
tra i campi.
Parola
e firma sono
di Hydac.
o sprayer elettricati richiedono
un approvvigionamento maggiore.
Collegato alla pompa
principale del trattore, il generatore
di energia Hydac
converte la potenza idraulica
in potenza elettrica. L’olio è
direttamente fornito dal trattore
tramite la sua pompa a portata
variabile o ssa. Il generatore
idraulico Hydac è infatti progettato
per essere plug&play,
cioè può essere collegato alla
pompa principale del trattore
generando da 180 a 330
Ampère. La predisposizione
per compensatore di pressione
integrabile lo rende compatibile
con pompe a portata ssa o variabile
no a 100 litri al minuto
e pressioni no a 200 bar.
Il sistema, a seconda del voltaggio,
è in grado di generare 4,5
(14 V/DC), 6,5 (48 V/DC) o 7
chilowatt (56 V/DC). Motore
idraulico e generatore sono accoppiati
tramite giunto elastico
che, oltre a offrire la massima
afdabilità, non richiede interventi
di manutenzione e riduce
le vibrazioni. Il motore idraulico
lavora con velocità di rotazione
da 4000 a 5500 giri e a
pressioni di 200 bar.
vedere le sorti della Panda
passata dalle 4 stelle del 2011
allo zero del test condotto nel
2018: i quasi 60 mila esemplari
venduti in Germania nel
2009 sono un lontano ricordo.
Da un paio d’anni per il mondo
automotive europeo si è
materializzato un nuovo tribunale:
il programma Green
Ncap che ricalca le orme del
progetto mirato alla sicurezza
mettendo sotto la lente le
performance ambientali delle
auto. Un lavoro di no, semdi
Monica Leonardi
6
ECCO LE STELLE GREEN FIRMATE EURO NCAP
Patente europea
di ecocompatibilità
Euro Ncap, alias European New car assessment programme, ossia il banco di prova in
grado di fungere da boost o da retarder della leva commerciale delle automobili di
nuovo conio. Le valutazioni che riportiamo in questa sede sono datate un anno fa, ma
forniscono in quadro spietato. Va da sè, volano le quotazioni delle elettriche
Da più di 20 anni, il rating
Euro Ncap è lo spettro
che turba i sonni degli
ufci progetto dei costruttori
di tutto il mondo. Mancare le
5 o, peggio, le 4 stelle per la
sicurezza, nei crash test condotti
nell’ambito dell’European
New car assessment programme
(ovvero, ‘Programma
europeo di valutazione dei
nuovi modelli di automobili’,
ecco che cosa si cela dietro
l’acronimo) vuol dire pregiudicare
il futuro commerciale
di un’auto. Fondato nel 1997
e nanziato dall’Unione Europea,
il programma Euro Ncap
non ha l’autorità della statunitense
Nhtsa, agenzia che ha il
potere di fermare la vendita di
veicoli ritenuti non conformi.
Ma, come sanno bene in Fiat
dove il mancato aggiornamento
dei modelli ha portato le
auto del Lingotto verso rating
imbarazzanti, se mancano le
stelle i risultati commerciali,
soprattutto sui mercati stranieri
vanno a picco. Basta
pre sostenuto dall’Unione Europea
nell’ambito dell’iniziativa
Gvi (Green vehicle index),
che vede l’uso sia di test al
banco sia di prove su strada
con l’uso degli ormai stranoti
dispositivi Pems. La marcia in
più rispetto ai tanti test nora
condotti è che le stelle Green
Ncap sono assegnate tramite
un approccio globale che ha
i suoi pilastri in tre parametri
(valutati in decimi) legati ai
motori a combustione interna,
ma in un prossimo futuro
In queste foto (Mercedes
a sinistra, qui Toyota)
i migliori piazzamenti dei
veicoli endotermici: diesel
per i tedeschi, ibrido per
i giapponesi.
si evolverà verso lo standard
“well to wheel” per non limitarsi
a “premiare a prescindere”
con le classiche 5 stelle le
auto elettriche.
Nella prima tornata del 2020
Green Ncap ha messo sotto
la lente 24 tra i modelli
più diffusi sul mercato UE,
prendendo in considerazione
tutti i tipi di motori: benzina,
diesel, metano, ibrido ed elettrico.
Esclusi, per il limitato
numero di modelli disponibili
a gennaio 2020 quando si è
avviata la procedura, solo gli
ibridi plug-in. Il primo indice
di riferimento è il Cai, ovvero
il Clean air index, ovviamente
sempre applicato a veicoli
già di per sé a norma Euro 6d,
che prevede la misurazione
delle emissioni del veicolo in
laboratorio e su strada (parliamo
di NMHC, NOx, NH3,
Co e particolato) in condizioni
climatiche, di trafco e d’uso
ampiamente differenziate che
spaziano dall’avvio a freddo
alla marcia in autostrada a
pieno carico e agli ingorghi
urbani. Secondo indice lo Eei,
Energy efficency index che
valuta in laboratorio l’efcenza
globale del mezzo in diverse
condizioni d’uso, tenendo
conto sia dei consumi medi
sia di quelli di picco registrati
nelle situazioni più estreme.
Terzo e ultimo fattore, al momento
il più insidioso perché
legato a questioni non sempre
normate dalla legislazione Ue,
è il Ggi Greenhouse gas index,
che valuta l’impatto del veicoli
nei confronti delle emissioni
di gas serra: i valori presi in
considerazione riguardano non
solo la CO2, ma anche N2O e
CH4 considerati a freddo, in
avviamento in ambiente freddo,
a caldo e in marcia autostradale.
Zoe e Kona sul podio
Dato per scontato il podio ex
aequo per le elettriche Hyundai
Kona e Renault Zoe, già la
medaglia d’argento per l’ibrido
Toyota ha dei risvolti interessanti:
i tecnici di Green Ncap
hanno apprezzato l’efcienza
della quarta generazione del
sistema ibrido, già venduto in
oltre 15 milioni di esemplari
nel mondo, ma la mancanza
di un ltro antiparticolato (disponibile
dal MY 2021) per il
celebre motore a benzina a ciclo
Atkinson ha fatto sì che il
C-HR mancasse di un sofo le
4 stelle, fermandosi a 3,5.
Volkswagen punta sull’olio esausto
Fino a qualche anno fa si sarebbe aggirato per il Salento un
agricoltore che sosteneva di alimentare il suo Ducato diesel
con olio di colza n dal 2005 “senza alcun inconveniente”.
Leggenda web o realtà tecnica, l’annuncio di Volkswagen
Group Logistics di voler utilizzare soltanto carburante prodotto
con residui vegetali ha fatto pensare a un’innovativa otta di
bisarche con motori modi cati per usare l’olio di semi.
La realtà è un po’ diversa. A partire dai primi mesi del 2021
Sette i modelli sul terzo gradino,
in un grande gruppo con
presenze a sorpresa, come per
il diesel Mercedes, rappresentato
dalla berlina C220d,
premiata per la sua efcienza
nella marcia autostradale
a pieno carico (14,5 km con
un litro) e le emissioni contenute
di NOx grazie al combinato
disposto di Scr e Dpf;
unico neo, gli elevati volumi
di N2O, al momento non
normati, che hanno portato il
GGI sotto 3/10 impedendo al
motore OM654 di eguagliare
con 3,5 stelle il risultato degli
ibridi Toyota.
Serra fatale
L’indice di emissione del gas
serra è stato fatale sia alla rivale
BMW 320d “fermata” a
2,5 stelle sia alla Audi A4 che,
pur nella versione bifuel benzina/metano,
è scivolata nella
parte bassa della classica con
2 sole stelle. Inciampo che
non ha invece condizionato
l’altra bifuel del panel, la Seat
Ibiza che, pur non disponendo
di un ltro antiparticolato sul
motore a benzina, ha ottenuto
un’ottimo giudizio tre stelle.
Come è avvenuto per ben
quattro modelli made in France:
due rmati Peugeot e due
Renault, confermando ancora
una volta la perizia dei tecnici
francesi anche al di fuori
dell’ambito dieselistico.
Cartellino giallo per i motoristi
Volkswagen con la Passat
il cui 2.0 Tdi nisce in coda
classifica sia per le elevate
emissioni di NOx nei test a
pieno carico su strada e autostrada
sia per la notevole
frequenza dei cicli di rigenerazione
del ltro Dpf (ogni
200-250 km); senza dimenticare
tassi di N2O tali da totalizzare
un GGI da 2.1/10.
Male la Corea
Cartellino rosso, invece, per
gli ingegneri coreani. Nonostante
l’adozione di un sistema
mild-hybrid, il Kia Sportage
diesel nisce in ultima la,
insieme ai derivati da mezzi
commerciali come Opel Vivaro,
Mercedes V e Volkswagen
Transporter penalizzati da
peso, resistenza aerodinamica
e consumi, sebbene Green
Ncap conceda che “a parità
di inefcienza, permettono di
trasportare a pieno carico un
numero molto più elevato di
persone di un suv”.
Debacle importante pure per
l’unico modello “italiano”
presente nel panel Green
Ncap, la Jeep Renegade prodotta
a Mel: non solo gli alti
livelli di NOx nei cicli di test
più performanti sono costati
al motore a gasolio 1.6 Multijet
un modesto 4.9 nell’indice
CAI (il Nissan Qashqai
è a 6.1) ma l’elevato tasso
di N2O ha fatto sì che il Ggi
precipitasse a 0.8/10 “condannando”
la popolare entry level
del mondo Jeep a un risicato
2 stelle complessivo. E non
può passare inosservata, sempre
nella la dei penultimi,
la bocciatura (2 sole stelle)
motore SkyActiv della CX-5
presentato da Mazda come rivoluzionario
in fatto di emissioni:
secondo Green Ncap a
pieno carico i valori salgono
troppo, specie per quel che
riguarda il particolato, e la
CO2 a quota 168 g/km penalizza
l’indice Ggi del suv
giapponese.
tutte le navi garage utilizzate da Volkswagen per le spedizioni
di auto nuove in Europa useranno un carburante certi cato,
basato sugli oli esausti di industria alimentare e ristorazione.
Col risultato di abbattere le emissioni di ossidi di zolfo e
rudurre dell’85 per cento quelle di CO2 dei diesel marini
Man da 14mila chilowatt che equipaggiano questi garage
galleggianti da 3.500 veicoli che ruotano tra il porto tedesco di
Emden, Santander in Spagna e Setubal in Portogallo.
7
INTERVISTA. John Deere 18.0L
OFFENSIVA SU TUTTI I
FRONTI
Nei corridoi delle fiere di settore si è talvolta associato il nome di John
Deere al disimpegno dal mercato dei motori sciolti. La tendenza invece
pare indicare il contrario. Le ultimissime mosse ci mostrano un 18 litri
‘made in Waterloo’ e un accordo con Deutz sotto i 130 chilowatt
J
ohn Deere ha sorpreso
tutti, ormai un anno fa,
scavalcando il 13,6 litri
nella gerarchia interna.
Il top di gamma è diventato
il 18.0L e a partire dal Conexpo
è diventato il capobranco.
Michael Lefebvre, Worldwide
Manager, Marketing, in
John Deere Power Systems, ci
ha aiutato a entrare nel merito
di questa operazione.
Il 18.0L è ideale per qualsiasi
applicazione di tipo heavycato
europeo o per quello
americano?
Il 18.0L è stato progettato per
i clienti John Deere di tutto il
mondo. Il valore del cliente è
il fattore trainante della nostra
strategia Smart Industrial.
Non si tratta di tecnologia ne
a se stessa, ma della volontà di
sviluppare strumenti più utili,
che ripaghino l’investimento
del cliente con un solido ritorno
economico per tutta la
vita del prodotto.
Abbiamo fatto leva su stra-
Il 18 litri è stato concepito
prevalentemente per il mertegie
di progettazione basate
sull’analisi sia per il 13,6 litri
che per il nuovo motore da 18
litri, annunciato nel 2020. La
modellazione avanzata ci permette
di denire e ottimizzare i
sottosistemi del motore per ottenere
requisiti di performance
determinati dalle esigenze globali
del cliente.
E proprio queste esigenze
continueranno a essere i driver
principali della progettazione
di unità di nuova generazione,
che si tradurranno
in motori in grado di offrire
sistemi ottimizzati e più semplici,
soddisfacendo al contempo
le esigenze di potenza
e af dabilità.
Si rivolge più al mondo
agricolo o al settore del
movimento terra? Dobbiamo
quaindi aspettarci più
mietitrebbia o maxi-escavatori?
E sarà più orientato a
Deere e Wirtgen o agli Oem
dell’off-highway?
Terra
Avanti con Deutz fino alla soglia dei 130 kW
8
Alcuni pettegolezzi mormoravano di accordi febbrili in merito
a un compatto (canna da 800-900 cc) in grado di colmare
la lacuna più evidente nel listino del cervo, quella intorno
ai 100 chilowatt. Lo Stage V ha accelerato le convergenze
tra costruttori, l’imperativo categorico dell’elettri cazione ha
impresso un’ulteriore spinta verso acquisizioni, aggregazioni
e partnership. E così è stato. Dopo il 18 litri è scoccata l’ora
dei modelli low entry. Attualmente la fascia dei 56 chilowatt,
strategica nella de nizione dei criteri di omologazione, che
prescrivono di fatto l’Scr, è presidiata dal 2,9 litri. Il dispari di
casa Deere è però unità dal pro lo prevalentemente captive.
E ora? «John Deere e Deutz sono entrambi leader del
settore nella progettazione e produzione di prodotti innovativi
sistemi di alimentazione», ha dichiarato Pierre Guyot, Vice
presidente senior di John Deere Power Systems. «Attraverso
la combinazione del nostro bagaglio di conoscenze
complementari e i target di prodotto, siamo entusiasti di poter
offrire ai clienti John Deere e Deutz un’opzione motoristica
af dabile ed economica nella bassa potenza di gamma».
L’amministratore delegato di Deutz, Frank Hiller, ha
dichiarato che: «Il fatto che John Deere abbia scelto Deutz
come sodale per questo progetto motoristico sottolinea
la nostra forte posizione nelle applicazioni di motori offhighway».
E ha in ne aggiunto che: «Questa collaborazione
rappresenta un passo importante per stabilire un rapporto
d’affari tra le due aziende. Siamo molto entusiasti
dell’opportunità di unire le forze con un leader del settore
come John Deere, creando così valore aggiunto per i nostri
clienti».
Ewx2.9L all’Agritechnica 2019
Svelato a Las Vegas,
il 6 cilindri da 18
litri è una frontiera
inesplorata da John
Deere. Sulle macchine
da raccolta si è
ultimamente affidata
a Cummins e Liebherr.
9
Il 13,6 litri
condivide tante
caratteristiche
con il fratello
maggiore.
Non ultima, la
presentazione
al Conexpo. Nel
caso del 13.6L, la
prèmiere risale al
2017.
duty che possa bene ciare di
una potenza superiore. Questo
motore offre infatti una
gamma di potenza che supera
i 650 chilowatt (pari a 870
cavalli).
Cosa condividono il 18.0 e
il 13.6L?
Dal momento che il 18.0L si
basa sui progressi compiuti durante
il processo di progettazione
del 13.6L, ci sono molteplici
analogie tecnologiche e progettuali.
Tra queste vi sono i comandi
basati sul modello John
Deere, un treno di ingranaggi
posteriori e capacità di servizio
e riparazione sempli cate.
I controlli basati sui modelli
John Deere offrono capacità
prognostiche avanzate e riducono
il numero complessivo di
sensori necessari, migliorando
la risposta ai transienti. Il passaggio
della posizione del treno
di ingranaggi dalla parte anteriore
a quella posteriore del
motore riduce il rumore e le
vibrazioni torsionali. Inoltre,
il suo design aerodinamico è
stato inserito tra i primi venti
lavori di manutenzione e riparazione
normalmente eseguiti
su un motore nell’ambito del
processo di sviluppo, con conseguente
riduzione dei tempi
medi di riparazione. Entrambi i
motori sono inoltre dotati di un
cablaggio integrato in tre pezzi
con un canale di protezione,
migliorando ulteriormente l’af-
dabilità complessiva.
Denirebbe questo motore
‘senza precedenti’ o ‘disruptive’,
per dirla all’inglese? E
perché?
Sì, in quanto l’introduzione
del motore da 18 litri non solo
aumenta la nostra gamma
di potenza, ma è il secondo
di questa nuova generazione
di motori progettati appositamente
per soddisfare le esigenze
dei clienti e del mercato.
Si tratta di un cambiamento
entusiasmante dopo anni di
af namento delle nostre tecnologie
per soddisfare i successivi
livelli delle normative
sulle emissioni. Continuare a
sfruttare la progettazione basata
sull’analisi avrà un ruolo
importante nello sviluppo futuro
dei motori. Con i risultati
che abbiamo visto e sperimentato,
è chiaro che l’utilizzo
delle più recenti tecnologie
per soddisfare speci camente
le più grandi esigenze dei
nostri clienti darà forma al
futuro della progettazione dei
motori.
L’Egr resiste. A quali valutazioni
è dovuta, questa
scelta?
Riteniamo che l’Egr sia un
componente chiave per un’economia
dei uidi ottimale.
Infatti, John Deere ha accumulato
oltre 2 miliardi di ore
di esperienza operativa con la
tecnologia Egr.
Il ricircolo dei gas continua a
svolgere un ruolo importante
nel soddisfare i requisiti delle
emissioni Final Tier 4/Stage
V. I motori Egr raffreddati
dimostrano un consumo di
urea tecnica eccezionalmente
basso rispetto ai motori
senza Egr, riducendo i costi
operativi complessivi e aumentando
la essibilità del
pacchetto. Inoltre, un minore
consumo di Def signi ca
un serbatoio di urea tecnica
più piccolo e un minor numero
di rifornimenti, contribuendo
quindi alla facilità di
integrazione e riducendo il
costo totale di proprietà. Il
nostro approccio all’utilizzo
della tecnologia Egr ci offre
un’ampia gamma di essibilità
di taratura. Siamo in
grado di ottimizzare l’intera
gamma di funzionamento del
motore, indipendentemente
dall’applicazione o dal ciclo
di lavoro, in modo che i nostri
clienti possano aspettarsi
un’ef cienza del carburante
e prestazioni quasi ottimali.
Ci dedica alcune parole sul
treno di ingranaggi posteriori
e sull’albero motore?
Il posizionamento del treno di
ingranaggi nella parte posteriore
del motore riduce il rumore
e le vibrazioni torsionali.
L’intensità sonora è ridotta
per un maggiore comfort
dell’operatore. Inoltre, la
posizione migliora direttamente
la durata nel tempo,
aumentando al contempo la
essibilità operativa, in quanto
consente maggiori capacità
di presa di forza ausiliaria del
cambio.
E cosa ci racconta riguardo
alle punterie idrauliche?
Per soddisfare le esigenze del
cliente per ridurre gli intervalli
di manutenzione programmata,
abbiamo utilizzato
punterie idrauliche (Hla,
nell’acronimo inglese) nel
design del 18 litri. Le punterie
idrauliche sono azionate
idraulicamente e si autoregolano,
eliminando la necessità
di ripristinare manualmente
il gioco della valvola, sempli
cando dunque quello che
sarebbe un lungo processo di
manutenzione.
Nick Block, Director, Global
Marketing and Sales John
Deere Power Systems, ha
detto: «Abbiamo utilizzato
un processo di progettazione
del motore semplicato per
ampliare la nostra gamma
di potenza. La modellazione
avanzata ci ha permesso di
denire e ottimizzare i sottosistemi
del motore per raggiungere
i nostri requisiti di
prestazione e per soddisfare
le crescenti esigenze di potenza
dei nostri clienti». Che
tipo di modellazione e quali
sottosistemi?
Lo sviluppo dei motori applicato
al 18.0L è stato un
processo guidato dall’analisi,
che ha portato a progetti
ottimizzati e a un minor lavoro
di progettazione. Il progetto
ha anche bene ciato di
un’ampia modellazione della
combustione del motore, che
ha incluso test di sviluppo
avanzati con un motore monocilindrico.
Il monocilindro
ci ha permesso uno sviluppo
più ef ciente dell’ottimizzazione
della combustione. Ciò
ha portato a ulteriori test di
sviluppo, che hanno permesso
di simulare l’altitudine e le
condizioni climatiche fredde,
ottimizzando le prestazioni
all’inizio del processo di sviluppo.
In passato, avremmo
dovuto fare leva su un maggior
numero di test a bordo
dei veicoli.
“650 chilowatt (36 kW/dm 3
di potenza specica) e 4.250
Newtonmetro (236 Nm di
coppia specica: il 10 percento
in più del secondo, nella
griglia di confronto dei 18
litri, e il 36 percento rispetto
all’ultimo)”. Il 18.0L è il top
di gamma. Come avete raggiunto
questo obiettivo?
Abbiamo fatto tesoro anche
del design e delle innovazioni
tecnologiche che abbiamo
apportato durante lo sviluppo
del motore da 13,6 litri.
Sfruttando un processo di ingegneria
basato sull’analisi,
progettiamo un motore con
l’obiettivo nale in mente,
sia che si tratti di esigenze
del cliente, di colmare vuoti
di gamma o di esplorare un
nuovo orizzonte.
10
11
Uno sguardo
sull’America,
dall’America,
nei confroti dei
combustibili di
origine non fossile.
L’iniziativa di Diesel
Technology Forum.
C’è vita sull’altra faccia del pianeta diesel, cioè sull’altra
sponda dell’Oceano Atlantico. Stiamo parlando degli Stati
Uniti, proprio là dove è scoppiato l’incendio ‘Diesel-gate’, poi
rapidamente propagatosi in Europa. Le ‘vestali’ si ritrovano
nel ‘tempio’ del Diesel Technology Forum, un’organizzazione
no-pro t che si impegna a sensibilizzare addetti ai lavori
e opinione pubblica sull’importanza della tecnologia che
prende il nome da Rudolf Diesel. Come ci spiegano loro
stessi: «I membri del Diesel Technology Forum sono leader
mondiali nella tecnologia diesel pulita e rappresentano
i tre elementi chiave del moderno sistema diesel pulito:
motori, veicoli e attrezzature avanzate, carburante diesel
più pulito e sistemi di controllo delle emissioni. Dalla sua
fondazione nel 2000, il Forum è emerso come una delle
principali fonti di informazione sull’agricoltura, l’economia,
l’energia, l’ambiente, i trasporti e le questioni commerciali
che hanno un impatto sulla tecnologia diesel. Il programma
del Dtf ha sede a Washington, DC, con una rappresentanza
a tempo pieno in California. Di portata internazionale, le
risorse del Forum includono ricercatori tecnici, specialisti
di politica e comunicazione ed esperti di comunicazione.
Il Forum partecipa regolarmente a deliberazioni legislative
e normative, dimostrazioni tecnologiche ed eventi per
Diesel Technology Forum
l’industria e i media. Il Forum riunisce un’ampia gamma di
soggetti interessati al settore del diesel, tra cui gli utenti del
diesel, gruppi di interesse pubblici e ambientali e funzionari
governativi, per incoraggiare lo scambio di informazioni e idee
sull’uso della tecnologia diesel».
What is the Future of Diesel?
More efficiency, lower emissions,
renewable fuels and hybridization
1
Terra
Maggiore ef cienza,
basse emissioni, combustibili
da fonti rinnovabili
e ibridizzazione’. Così
si completa la presentazione
del webinar dedicato al futuro
del diesel. Gli organizzatori sono
quei ‘ragazzacci’ americani
del Diesel Technology Forum
(vedi box), che si ostinano a
promuovere il ciclo Diesel come
efciente e sostenibile su
larga scala. E noi con loro. La
partecipazione di Cummins,
John Deere Power Systems
e Neste ci aiuta a capire cosa
ne pensano in merito sull’altra
sponda dell’Atlantico. I padroni
di casa, prima di introdurre
i relatori, hanno rassicurato i
supporter dell’endotermico,
annunciando «un’esplosione
di opportunità nella scelta del
carburante. Il cambiamento è
in corso d’opera».
CUMMINS
Cominciamo da Wayne
Eckerle, Vice President of
Research di Cummins, che
insiste su un concetto espresso
anche da altri motoristi che si
stanno attrezzando per l’elettricazione:
«I motori diesel
continueranno a svolgere un
ruolo importante nel percorso
verso l’azzeramento delle
emissioni».
ALTERNATIVI. ‘Qual è il futuro del motore diesel?’
SOSTANTIVO
PLURALE
Non ha più senso parlare di combustibile al singolare. Non esiste infatti un
solo diesel, ma diversi tipi di gasolio e di bio-combustibili. È quanto emerso
nel corso di un webinar promosso dall’americano Diesel Technology Forum,
con la partecipazione di Cummins, John Deere e Neste
«Il raggiungimento dell’obiettivo
‘emissioni zero’ per i
nostri prodotti sta diventando
una priorità sempre più importante
per i nostri clienti»
ha proseguito Eckerle «soprattutto
in ragione del fatto
che molti di loro stanno perseguendo
speci ci obiettivi e
piani di sostenibilità. Il percorso
verso l’emissione zero
nell’intero ciclo, dalla prima
fonte di energia al prodotto
nale, dipenderà dal tipo di
applicazione, dalle infrastrutture
regionali e dalle normative
locali». Cummins centra
ora il bersaglio, indicando
quella che rappresenta sia
la prospettiva di redenzione
dell’endotermico, che l’unica
modalità realistica per anticipare
e accelerare la transizione
energetica: «Una miscellanea
di tecnologie di conversione
dell’energia che utilizzano diverse
fonti di energia esenti da
carbonio e rinnovabili costituirà
il ponte verso le emissioni
zero».
JOHN DEERE
La parola passa a Michael Lefebvre,
Worldwide Manager,
Marketing, presso John Deere
Power Systems.
«Due terzi dei nostri motori
costruiti sono forniti a clienti
interni, un terzo a clienti
esterni» è la premessa di
Lefebvre. In merito al futuro
del diesel, risponde che «continuerà
ad evolversi e avrà
una lunga vita davanti a sé
nell’off-road. È attualmente
l’unica fonte in grado di
fornire la densità di energia
necessaria per le applicazioni
più stressanti. Oltretutto i motori
diesel sfrutteranno sempre
più le nuove tecnologie, come
i modelli virtuali avanzati e i
dati telematici».
John Deere si afderà all’IoT
e ai dati registrati e analizzati
sulle prestazioni delle macchine.
I sistemi telematici implementano
tra l’altro i tempi di
funzionamento grazie alla diagnosi
a distanza. Expert Alert,
ad esempio, può identicare la
bassa pressione in un motore,
avvisando un concessionario
per effettuare una riparazione
quando necessario.
Allen Schaeffer, Executive
Director di Diesel Technology
Forum, nei panni di moderatore,
ha incalzato gli ospiti sul
prossimo passo del motore endotermico
per avvicinarsi alle
emissioni zero.
«Quello che abbiamo fatto di
recente è aumentare la potenza
specica, le pressioni di accensione,
riducendo al minimo
le perdite di calore, focalizzandoci
sulla sovralimentazione
e sui sistemi di scarico», è il
primo commento di Lefebvre,
che prosegue: «Lavoreremo
sul trattamento dell’aria, su
gas di scarico più caldi per
i sistemi di post-trattamento,
sulla gestione delle perdite a
causa dell’attrito. E, ancora,
sul software, per consentire un
maggiore controllo del motore,
il carico ottimale del regime
di rotazione, l’idraulica, la
trasmissione di potenza e altro
ancora. Si può aumentare l’ef-
cienza al 55 percento».
Per conto di Cummins, Eckerle
ha invece riesumato il caso
studio del Supertruck I. Abbiamo
pensato di rinfrescarvi
la memoria. L’iniziativa
è condivisa da Cummins e
Peterbilt, con l’obiettivo del
50 percento di Bte (Brake
thermal efciency). Altri numeri
della cooperazione tra
Cummins, Peterbilt, Eaton,
Meritor e altri attori, privati e
pubblici: l’aumento medio del
76 percento del ciclo di guida
FTte e una riduzione del 43
percento delle emissioni di gas
serra rispetto ai valori mediani
di un camion del 2009. E non
nisce qui. Il programma SuperTruck
II, sotto il patrocinio
di Cummins e Peterbilt, è uno
dei quattro progetti nanziati
dal Dipartimento per l’energia
degli Usa, per efcientare il
trasporto merci dei camion
classe 8. Partendo dall’esperienza
del SuperTruck I,
l’obiettivo di Cummins è la
soglia del 55 per cento di ef-
cienza termica a 65 miglia
all’ora di media, e il miglioramento
di oltre il 100 percento
nell’economia dei veicoli
Freight-ton economy rispetto
aallo standard 2009.
Ci si trasferisce nella patria
delle norme Carb, la California,
dove nel 2019 il taglio
della CO2 da diesel da fonti
rinnovabili e da biomasse è
stato di quattro volte superiore
al valore corrispondete
dei veicoli elettrici. A questo
punto entra in campo Carrie
Song, Vice President Renewable
Diesel di Neste.
NESTE
«Il diesel da fonti rinnovabili
riduce le emissioni no all’80
percento rispetto al diesel
fossile» garantisce Song. Il
ragionamento si focalizza sul
trasporto su strada. Il rapporto
Iea World Energy 2020 prevede
che i soli camion consumeranno
30 milioni di barili di
petrolio al giorno. «Neste MY
Renewable Diesel ha sostituito
1,6 miliardi di galloni di diesel
fossile in California in meno
di cinque anni» è l’esempio
citato da Carrie Song, a cui
ne seguono altri. Nella città di
Oakland, per esempio, tutti i
veicoli e le attrezzature comunali
funzionano su Neste MY
Renewable Diesel. I beneci
non si limitano (si fa per dire…)
alle 3.375 tonnellate metriche
di emissioni di gas serra
evitate annualmente. Song
parla anche di riduzione dei
costi di manutenzione legati
al prolungamento della durata
dei sistemi di post-trattamento.
Un’ultima citazione dalla California:
gli oltre 16.000 scuolabus
a gasolio del Golden State
che funzionano a gasolio rinnovabile
forniscono gli stessi
vantaggi climatici della costruzione
di 60 turbine eoliche.
Altri esempi, anche relativamente
datati, da parte di
Wayne Eckerle, in merito
all’approvazione di carburanti
altamente parafnici nei motori
Cummins. «Nel 2013, la
città di San Francisco ha richiesto
la nostra approvazione
per l’utilizzo di un carburante
altamente paraf nico nei nostri
motori di media gamma
(B6.7 e L9) per i loro autobus
suburbani. Senza disporre
di alcun dato preliminare,
abbiamo collaborato con il
‘Bay Area Rapid Transit and
Fire Department’ per installare
dei data logger su tre motori
Isb (Bart) e due Isl (FD)
per rispondere alle domande
sulla compatibilità A/T con
il carburante. I combustibili
sembravano essere compatibili
con i sistemi A/T Cmi e non
hanno mostrato alcun rischio
nell’arco di un semestre. Le
polveri sottili si sono dimezzate,
gli NOx sono scesi del 5-10
percento». Secondo Cummins,
di fatto di rischio riguardal’aumento
del consumo di carburante,
che dipende però dal ciclo
di lavoro, e la necessità di
ottimizzare la geometria della
camera di combustione per i
bio-combustibili.
12
13
BIO-GNL. La bresciana AB con gli olandesi di Stirling Cryogenics
COMPAGNI
DI VIAGGIO
Ricevere in ingresso biometano gassoso e produrre biometano liquido, con una
capacità produttiva fi no a 12 tonnellate al giorno. Si chiama CH4LNG il liquefattore
realizzato da AB e pensato per contribuire alla decarbonizzazione nel settore dei
trasporti, e non solo. Puntando sui concetti-chiave di small scale e modularità
Stazionari
Talvolta, la giusta compagnia
può fare la differenza.
È quello che
devono aver pensato al quartier
generale di AB, realtà con
sede a Orzinuovi, nel bresciano,
fortemente specializzata
in impianti di generazione e
cogenerazione con una spiccata
tendenza all’innovazione.
Per la parte di criogenia
è stato siglato un accordo di
collaborazione con gli specialisti
olandesi di Stirling
Cryogenics, che ha reso possibile
lo sviluppo del liquefattore
CH4LNG. Ultimata la
fase di ingegnerizzazione, si
aspettano le prime consegne,
programmate per l’estate: di
certo, il sistema è un elemen-
to in più verso una maggiore
diffusione del bio-Gnl nel
settore del trasporto pesante,
ma non solo: interessanti prospettive
si aprono anche in
ambito civile e industriale. Ne
abbiamo parlato con Federico
Capra, R&D Engineer in AB
Impianti.
Da dove nasce l’unione
delle competenze tra AB e
Stirling Cryogenics? E quali
sono i principali obiettivi
dell’accordo che è stato sottoscritto?
AB rappresenta un riferimento
a livello nazionale e internazionale
per la cogenerazione
da gas naturale e biogas.
Questo ha permesso di svilup-
pare un solido know-how tecnologico,
che si è già espresso
in nuovi prodotti come il sistema
BIOCH4NGE, dedicato
all‘upgrading del biogas a
biometano.
Il biometano gassoso è un
combustibile CO2 neutrale,
che allo stato attuale viene
distribuito sfruttando le infrastrutture
esistenti per la
distribuzione del gas naturale
(rete gas). La naturale evoluzione
della liera è quella di
aggiungere lo step di liquefazione
del biometano, per
ottenere un combustibile a
maggiore valore aggiunto da
spendere sul mercato.
In questo contesto si inseriscono
le competenze di
Collaudata criogenia olandese
Stirling Cryogenics ha una forte
specializzazione nella liquefazione dei
gas tecnici in generale, e del metano
in particolare: l’esperienza dell’azienda
olandese nella liquefazione anche in ambito
‘bio’ è stata importante, dal punto di vista
di AB, per stringere un accordo che ha
integrato l’expertise di Stirling e il know-how
nella costruzione di impianti universalmente
riconosciuto ad AB. Il cryo-cooler di Stirling
Cryogenics è una tecnologia ampiamente
collaudata, applicata da oltre 60 anni.
La sua applicazione principale è nella riliquefazione
del boil-off gas a bordo delle
navi metaniere, ma il cryo-cooler è anche
utilizzato per la generazione di azoto liquido
per scopi medici, applicazioni spaziali o al
servizio di superconduttori arrivando sotto i
12K (-261°C).
Ogni cryo cooler è equipaggiato con 4
pistoni mossi da un singolo motore elettrico,
ed è in grado di produrre circa 1 tpd di Gnl.
All’apparenza, il criogeneratore è simile
a un motore endotermico con 4 cilindri
in linea, ma ovviamente realizza un ciclo
termodinamico inverso senza alcuna
combustione. Per ottenere elevate capacità
di produzione di bio-Gnl si af ancano in
parallelo più moduli cryo-cooler identici.
«Riteniamo che l’approccio modulare sia
vantaggioso per il range di capacità a cui il
CH4LNG è dedicato (piccola e piccolissima
scala), perché permette una granularità
molto ne delle taglie e una elevata
essibilità operativa: l’implementazione della
tecnologia Stirling Cryogenics consente
di soddisfare tutte le taglie ‘su misura’.
Inoltre, con questo approccio è possibile
programmare e realizzare ampliamenti
di capacità successivamente alla messa
in servizio dell’impianto», ha sintetizzato
Federico Capra.
Stirling Cryogenics, che può
vantare un’esperienza pluridecennale
nell’ambito della
liquefazione del metano/gas
naturale.
L’obiettivo dell’accordo è
quello di realizzare un prodotto
per la liquefazione del
biometano che appoggi sulle
competenze di Stirling Cryogenics,
e al contempo presenti
gli standard di qualità e af -
dabilità tipici dei prodotti AB,
rispondendo alle esigenze del
settore biogas.
Nel quadro dell’accordo,
quale sarà il ruolo di Stirling
Cryogenics e, soprattutto,
quale sarà quello di AB
Energy?
I ruoli all’interno della partnership
sono ben definiti e
complementari. Stirling Cryogenics
agirà come fornitore
tecnologico di criogeneratori
verso AB. Il criogeneratore è
il cuore dell’impianto, cioè la
macchina che genera la potenza
frigorifera necessaria
alla liquefazione del biometano.
AB si occuperà di integrare
il criogeneratore all’interno
di un prodotto completo e
‘chiavi in mano’ per il cliente
nale. Per ottenere questo, è
in atto una forte collaborazione
tra AB, Stirling Cryogenics
e la sua società madre
Hysytech, al ne di mettere
a fattore comune le diverse
competenze necessarie alla
riuscita del progetto.
Anche in questa applicazione,
AB vuole adottare il consueto
approccio di presentarsi come
Visione d’insieme di un impianto BIOCH4NGE realizzato da AB
e dedicato all’upgrading dal biogas al biometano.
Il progetto condiviso con Striling che ha portato alla creazione
del CH4LNG può essere visto come lo step successivo:
ottenere biometano liquido da biometano gassoso.
Inoltre, nell’ambito ‘bio’, un
ulteriore limite alla taglia degli
impianti è imposto dalla
disponibilità delle biomasse
nel raggio di conferimento
degli impianti: oltre una certa
distanza, il peso logistico non
è più sostenibile. Parlando
di modularità, crediamo sia
un grande vantaggio perché
permette di approcciarsi in
modo efficace allo smallscale.
L’impronta modulare
di questi impianti permette di
predisporre un impianto per
accogliere una data quantità
di criogeneratori, installandone
però in un primo momento
solo una parte. Il sistema è
comunque già predisposto per
essere ampliato inserendo dei
moduli aggiuntivi.
Inoltre, la modularità impiantistica
che si ottiene attraverso
l’implementazione della tecnologai
Stirling Cryogenics
consente di soddisfare tutte
le taglie ‘su misura’, senza
penalizzare il costo d’investiunica
interfaccia per tutte le
esigenze del cliente, quindi
realizzerà internamente le
fasi di progettazione, costruzione,
installazione e avviamento
dell’impianto. In ne,
AB potrà appoggiarsi alla
sua capillare rete di tecnici
specializzati per effettuare la
manutenzione degli impianti
e offrire servizi di assistenza
al cliente.
Quali sono le principali caratteristiche
del liquefattore
CH4LNG?
Il liquefattore CH4LNG è studiato
per ricevere in ingresso
biometano gassoso e produrre
biometano liquido, con capacità
produttiva no a 12 tonnellate
al giorno, o tpd (per
intenderci, la produzione di
un tipico impianto biogas da
1 MWel corrisponde a circa 5
tpd di Gnl).
Seguendo il classico approccio
AB, il CH4LNG è un sistema
modulare e completamente
containerizzato, che
richiede minime operazioni
di installazione in campo.
Il sistema CH4LNG è pensato
nell’ottica di una decentralizzazione
spinta e in ragione
della volontà di decarbonizzare
il settore degli autotrasporti:
il bio-Gnl, infatti, è
l’unico combustibile carbonneutral
oggi disponibile. La
possibilità di disporre di impianti
di produzione di bio-
Gnl distribuiti sul territorio,
che alimentano le stazioni di
Il settore del biogas appare come sempre
più strategico per AB, che è in grado di
fornire l’intera catena tecnologica per la sua
trasformazione. Peraltro, la cogenerazione da
biogas sarà interessata da cambiamenti importanti
servizio vicine, riduce ulteriormente
l’impatto ambientale,
le emissioni e i costi,
andando verso una logica di
località che stravolge il paradigma
di dover trasportare
il carburante per centinaia di
chilometri.
Small scale e modularità
sono concetti che ritornano
spesso rispetto a impianti di
questo tipo. Perché?
Al momento il Gnl usato in
Italia è importato via mare
già liquefatto e non esistono
impianti di liquefazione di
grande taglia. Si stanno diffondendo
in tutta Italia nuove
stazioni di rifornimento a metano
liquido, che quindi potrà
essere generato in modo distribuito.
Questo modello prevede
diversi impianti: ognuno
può essere asservito a uno o
più punti di distribuzione.
Questo potrebbe semplicare
la catena logistica, minimizzando
i costi di trasporto.
14
15
mento e, soprattutto i consumi
specici. Altri processi non
possono essere adatti a tutte
le taglie e si possono trovare
a lavorare a condizioni lontane
dall’ottimale.
Un altro vantaggio è che gli
impianti di digestione (che
producono il biogas) hanno
una loro uttuazione durante
l’anno: il fatto di avere dei
moduli afancati è importante
per garantire la regolabilità
dell’impianto senza rinunciare
alle prestazioni.
Biometano, è l’Europa
che lo chiede
Il Green Deal europeo prevede una
serie di misure che, insieme, puntano
ad annullare le emissioni nette nel 2050.
Gli obiettivi intermedi al 2030 prevedono
una riduzione di almeno il 55 percento
delle emissioni UE. La European
Biogas Association (Eba) ha provato
a quanti care l’impatto del biometano
all’interno di questi obiettivi.
«Lo studio evidenzia come, già allo stato
attuale, la otta europea di veicoli a gas
usi un blend che prevede il 17 percento
di combustibile bio», spiega Federico
Capra. «Al momento, la produzione
europea di biometano vale 22 terawattora
(TWh), con un potenziale di 1200 TWh.
Come si inserisce tutto questo
nel processo evolutivo di
un’azienda come AB, storicamente
specializzata nella
generazione?
Le criticità generate dall’utilizzo
del biogas come combustibile
sono state una vera
e propria spinta verso l’ampliamento
delle competenze
all’interno di AB, proprio
perché gli agenti inquinanti in
esso presenti possono alterare
la normale manutenzione del
cogeneratore e, se non trattati
correttamente, intaccarne la
funzionalità.
Se con la generazione AB ha
esteso la sua presenza in diversi
paesi europei e nel mondo,
lo step successivo è stato quello
di ampliare la nostra gamma di
prodotti (come accaduto con le
tecnologie per l’upgrading del
biogas), poggiando sulle competenze
e sulle speci cità che
derivano dall’esperienza accumulata
nora.
Secondo le stime, nel 2030, 117 TWh
saranno impiegati come combustibile nel
settore dei trasporti (come biometano
liquido o compresso), arrivando a coprire
il 40 percento del fabbisogno della otta
europea di veicoli a metano. Questa
situazione corrisponderebbe a una
riduzione delle emissioni del 55 percento
per il comparto dei veicoli a metano. A
conferma di questi dati, il centro Ref-E ha
identi cato un chiaro trend di crescita nei
veicoli pesanti a metano liquido, con un
raddoppio dei veicoli nel 2019, e un trend
a crescere nel biennio 2020-2022. La
pandemia potrà ritardare la crescita, ma
con ogni probabilità, non intaccarla».
Che tipo di sinergia c’è tra
la specializzazione attuale di
AB nell’ambito del biogas e
la produzione di biometano?
Il settore biogas è un comparto
strategico per AB. L’esperienza
maturata con gli
impianti Ecomax a biogas è
fondamentale per realizzare
impianti che rispondono alle
esigenze del settore. Soprattutto,
esistono parti di impianto,
come il pre-trattamento
del biogas, che sono analoghe
nella cogenerazione e
nell’upgrading.
Il settore della cogenerazione
da biogas è destinato a
cambiare. Al momento, resta
incentivata la produzione elettrica
per impianti no a 300
chilowatt. Tuttavia, per come
è strutturato il decreto biometano,
la riconversione degli
impianti a biogas esistenti in
impianti a biometano avviene
in maniera graduale. Spesso
esiste una nestra ( no a tre
anni) in cui il biogas è parzialmente
destinato alla cogenerazione
e parzialmente
alla produzione di biometano
o biometano liquido. Alla
ne della transizione, il solo
impianto di produzione di
biometano prosegue con l’esercizio.
Inoltre, va considerato che gli
impianti di biometano liquido
producono un combustibile
‘green’ a fronte di una spesa
energetica, costituita da un
consumo elettrico. Mediamente,
per generare un chilogrammo
di biometano liquido
a partire da biogas (circa 14
kWh di Pci), occorrono 1,5
chilowattora di energia elettrica.
Al contempo, i processi
di digestione anaerobica
presentano un fabbisogno
termico non trascurabile per
la produzione del biogas. La
soluzione che si sta affermando
è quella di af ancare
agli impianti di upgrading e
liquefazione un impianto di
cogenerazione, alimentato a
biogas o gas naturale, che ne
sostenga i consumi. Se l’impianto
è correttamente dimensionato,
permette di sfruttare
l’energia in modo ef ciente e
ridurre i costi.
In questo contesto, AB è
in grado di fornire l’intera
catena tecnologica per la
trasformazione del biogas:
upgrading, liquefazione, cogenerazione.
Questo rappresenta
un ulteriore valore aggiunto
per il cliente, perché
esiste una forte dipendenza
tra i diversi anelli della catena,
a livello di dimensionamento,
controllo, ef cienza.
La corretta integrazione dei
diversi sistemi può fare la
differenza sulla sostenibilità
delle iniziative.
Pensando all’obiettivo ultimo,
cioè la decarbonizzazione,
quanto è cruciale il
passaggio dell’upgrading
del biogas su cui interviene
l’accordo siglato? E
perché?
La conversione del biogas in
biometano permette innanzitutto
di differire produzione e
utilizzo del biocombustibile: il
biogas viene tipicamente convertito
in energia elettrica sul
sito di produzione, dove spesso
è dif cile recuperare tutta
l’energia termica disponibile
a causa dei limiti della domanda.
Il biometano, invece,
può essere trasportato tramite
la rete gas e successivamente
valorizzato in impianti di cogenerazione
situati in prossimità
delle utenze nali (elettriche
e termiche).
Ancora di più, la conversione
a biometano liquido permette
di raggiungere anche quei settori
in cui la riduzione delle
emissioni è storicamente più
complessa, come il trasporto
pesante. Il biometano liquido
è un combustibile con una
densità energetica paragonabile
a quella del diesel (circa
il 60 percento) e rappresenta
l’unica soluzione già tecnologicamente
pronta e sostenibile
dal punto di vista economico
per fornire un combustibile
‘CO2 neutral’ al comparto
trazione pesante.
Pensando invece alle applicazioni,
oltre all’autotrasporto
ci sono altri settori
Immagine più in dettaglio dell’impianto BIOCH4NGE
per l’upgrading dal biogas al biometano. Nella
pagina accanto, un video realizzato da AB.
in cui il bio-Gnl può recitare
un ruolo importante nel
futuro prossimo?
In questo momento, il settore
trasporti occupa una posizione
prioritaria nella lista delle
possibili destinazioni d’uso del
bio-Gnl, soprattutto in conseguenza
dello schema incentivante
attualmente in vigore.
Volgendo lo sguardo al medio
termine, il settore navale
guarda già al Gnl fossile
come un decisivo miglioramento
rispetto a situazione
attuale (bunker oil). È uno
step che permette di ridurre
le emissioni inquinanti (diossidi
di zolfo, ossidi di azoto,
polveri sottili). L’utilizzo di
bio-Gnl garantirebbe una riduzione
anche delle emissioni
clima alteranti, quindi CO2.
Inoltre, il bio-Gnl permette di
estendere i vantaggi della generazione
(e cogenerazione)
di energia da fonte rinnovabile
anche alle utenze, civili
ma soprattutto industriali,
offgrid. Il bio-Gnl è un combustibile
pulito (gli inquinanti
come CO2 e zolfo sono rimossi
per il corretto funzionamento
del processo di liquefazione),
facilmente trasportabile e
immagazzinabile grazie alla
sua elevata densità.
Tornando al progetto immaginato
con Stirling Cryogenics,
quali saranno le
prossime fasi? E quali le
tempistiche previste per l’avanzamento
del progetto?
La fase di ingegnerizzazione
del prodotto è ormai terminata
e i primi criogeneratori
sono già stati consegnati da
Stirling Cryogenics. Le prime
macchine saranno in consegna
per l’estate.
Il mercato del biometano liquido
è molto attivo, il Cib
(Consorzio italiano biogas,
ndr) segnala che sono in fase
di progetto almeno venti diverse
iniziative, per cui ci
aspetta un periodo intenso su
questo fronte.
Fabrizio Dalle Nogare
16
17
CONFRONTO. Tra 9 e 11 litri
9-10 litri industriali
MAKE AMERICA
GREAT AGAIN
Un titolo che si spiega con gli slanci prestazionali di Cat e Cummins
che per lo Stage V hanno impresso una robusta cura ormonale ai
loro rappresentanti. In apertura un’immagine della serie 60 di Isuzu,
nella versione Tier 4 Final, quindi esclusa da questo confronto
Tutti all’arrembaggio, sì,
ma di cosa? Nel mare
dei 300 chilowatt navigano
grandi macchine da raccolta
e da cantiere. I numeri
non sono iperbolici ma le
marginalità più soddisfacenti,
rispetto all’ingolfato e arcigno
segmento dei compatti.
Qui l’orograa non è cambiata,
in questo anno di Covid,
e non poteva essere diversamente.
I dislivelli altimetrici
tra i costruttori sono rimasti
invariati, senza slanci esponenziali
verso l’alto, eccezion
fatta per gli americani, cioè
Caterpillar e Cummins, che
da quando hanno virato verso
lo Stage V hanno impresso
un’accelerazione vistosa alle
curve. Si sono gonate, eccome,
ma prima di dettagliare
apriamo una parentesi su Isuzu.
Il costruttore giapponese
ha scelto il basso prolo,
amplicando la proverbiale
riservatezza all’ombra del
Sol Levante. Difcile percepirne
la presenza alle ere del
settore industriale (quando le
ere erano considerate focolai
di contatti, non di infezione).
Terra
RILANCIO DA OLTREOCEANO
Marca AGCO POWER CATERPILLAR CUMMINS FPT INDUSTRIAL JOHN DEERE
Modello 98 CTA SCR C9.3B ACERT L9 CURSOR 9 PSS9.0L
CARTA D’IDENTITÀ
A x C mm - C/A 111 x 145 - 1,31 115 x 149 - 1,30 114 x 145 - 1,27 117 x 135 - 1,15 118 x 136 - 1,15
N. cilindri - litri 7 - 9,82 6 - 9,28 6 - 8,88 6 - 8,70 6 - 8,92
Potenza intermittente kW - rpm 365 - 2.100 340 - 2.200 321 - 2.100 330 - 1.900 317 - 2.200
Pme bar 21,7 20,4 21,1 24,4 19,8
Velocità lineare pistone m/s 10,2 10,9 10,2 8,6 10
Coppia max Nm - rpm 1.900 - 1.500 2075 - 1.400 1842 - 1.500 1850 - 1.400 1686 - 1.600
Pme a coppia max bar 24,8 28,7 26,6 27,2 24,2
Riserva di coppia % 42,1 51,1 47,3 46 43,2
Coppia a potenza max Nm 1.656 1.470 1.460 1.656 1.372
% Potenza a coppia max (kW) 81,8 (299) 89,50 (304) 90,20 (290) 82,20 (271) 89,20 (283)
NELLO SPECIFICO
Potenza kW/litro 37,1 36,5 36,1 37,9 35,5
Coppia Nm/litro 193,4 223,4 207,4 212,4 188,9
Potenza areale kW/dm 2 53,91 54,57 52,45 51,16 48,32
METRO E BILANCIA
Peso kg 850 885 778 870 1.044
L x W x H mm 1.200x850x1.100 1.119x827x1.066 1.128x790x1.098 1.216x883x1.007 1.271x856x1.265
Ingombro m 3 1,12 0,99 0,98 1,08 1,38
Massa/potenza kg/kW 2,3 2,6 2,4 2,6 3,3
Densità globale kg/litri 86,5 95,3 87,6 99,9 117
Densità di potenza kW/m 3 325,9 343,4 327,6 305,6 229,7
Densità assoluta t/m 3 0,76 0,89 0,79 0,81 0,76
Densità relativa litri/m 3 8,77 9,38 9,06 8,06 6,47
INDICI
ELASTICITA’ 9,2 11,6 9,4 8,4 9,2
PRESTAZIONI 7,3 7,9 7,5 7,5 7
SOLLECITAZIONE 11,7 13,2 12,3 11,9 11,4
LEGGEREZZA 11,2 12,2 10,9 12,7 15,1
COMPATTEZZA 11 14,1 13,3 12,4 8,8
DIESEL INDUSTRIALI 7,9 8,2 7,9 7,7 7,4
LIEBHERR MAN MTU PERKINS SCANIA VOLVO
D936 A7 D20 6R1100 1706J-E93TA DC9 D11 K460
122 x 150 - 1,23 120 x 155 - 1,29 125 x 145 - 1,16 115 x 149 - 1,30 130 x 140 - 1,08 123 x 152 - 1,24
6 - 10,52 6 - 10,51 6 - 10,67 6 - 9,28 5 - 9,29 6 - 10,83
320 - 1.900 324 - 1.800 320 - 1.900 340 - 2.200 294 - 2.100 339 - 1.800
19,6 20,9 19,3 20,4 18,4 21,3
9,5 9,3 9,2 10,9 9,8 9,1
1970 - 1.000 2097 - 1.000 2100 - 1.000 2081 - 1.400 1827 - 1.500 2.200 - 1.400
24 25,6 25,2 28,7 25,2 26
51,6 2,2 55,6 51,3 52,1 54,9
1.607 1.715 1.607 1.470 1.333 1.793
64,50 (206) 67,80 (220) 68,80 (220) 89,80 (305) 97,70 (287) 95,20 (323)
30,4 30,8 29,9 36,5 31,6 31,2
187,2 199,3 196,6 224,1 196,6 203
45,65 47,72 43,48 54,57 44,28 47,55
1.150 975 990 865 970 994
1.592x918x1.151 1.630x893x1.046 1.325x955x1.230 1.125x791x1.068 1.235x980x1.100 1.309x913x1.227
1,68 1,52 1,56 0,95 1,33 1,47
3,6 3,0 3,1 2,5 3,3 2,9
109,3 92,7 92,7 93,2 104,4 91,7
190,5 213,2 205,1 357,9 221,1 230,6
0,68 0,64 0,63 0,91 0,73 0,68
6,26 6,92 6,84 9,77 6,99 7,37
12 11,4 12,1 11,6 9,4 7,5
6,9 7,5 7 7,9 7,1 7,2
11,2 220,2 11,5 13,2 11,7 11,7
14,1 1,2 11,9 11,7 13,4 11,8
7,2 2,6 8 14,8 9,6 8,8
7,4 7,3 7,7 8,2 7,5 7,2
18
19
Possiamo dunque accennare
alla versione Tier 4 Final-
Stage IV della serie U, un
9,8 litri sovralimentato con
valvola waste gate. La curva
di potenza scorre a ‘sud’
dell’ipotetica linea mediana
delle potenze, approssimativamente
posizionata a 310-
320 chilowatt: 270 chilowatt
a 2.000 giri. Più sensibile il
gap nella coppia: il 9,8 litri
Stage IV a 1.500 giri registra
1.435 Newtonmetro. Common
rail ad alta pressione ed
Egr, post-trattamento composto
da Doc e Scr. Il peso,
840 chili, è da peso piuma.
Torniamo ora a Cummins e
alla lode in potenza ricevuta
nel passaggio da Stage IV a
Stage V. Anche l’8,88 cc risente
della semplificazione
applicata ai motori di nuova
generazione, successivamente
battezzata Performance
Series (F3.8, B4.5, B6.7 e,
appunto, L9). L’Egr è sparito
e qui l’assenza pesa più
sul pacco radiante che sulla
fusione in sé, ovviamente. I
Performance Series si sono
meritati il programma di garanzia
‘Encompass Extra’,
che estende alcune opzioni di
copertura dell’8,88 litri no a
5 anni, con ore illimitate. Un
avallo esplicito alla tenuta di
valvole, guarnizioni, anelli
di tenuta, fusioni e leghe, in
considerazione dell’avanzata
prestazionale degli emissionati
in rosso.
L9 versus Qsl9
Basti questo rapido confronto
con il Qsl9, nell’aggiornamento
normativo tra quarto
e quinto gradino della scala
dell’Unione europea: da 298
a 321 chilowatt e da 1.627 a
1.846 Newtonmetro, rispettivamente
pari al 7,7 percento
e al 13,46 percento. Si diceva
degli americani, Caterpillar
compresa, che ha pure sferzato
i monoblocchi per adeguarli
agli assorbimenti e alle
esigenze degli Oem in chiave
Stage V. Anche nel caso di
Peoria i 298 chilowatt sono
un ricordo del Tier 4 Final:
ora sono 340 a 2.200 giri, con
un capitale di 2.075 Newtonmetro.
Per una manciata di
decimali non strappa a Perkins
il primato nella coppia
specica. Il giallo dell’Illinois
conferma la formula Acer e le
funzioni come la compensazione
automatica dell’altitudine,
la compensazione della
potenza per la temperatura
del combustibile, il comando
della ventola a distanza. Per
il resto, recuperiamo qualche
dato. Il più appariscente è
che, rispetto al passato recente,
Cat agguanta Perkins sul
tetto del confronto. L’indice
Diesel è dunque appannaggio
della canna da 1,55 litri, in
condivisione tra le due sponde
dell’Atlantico.
Il brio di Perkins
La verve prestazionale del
Perkins 1706J, fratello anglofono
del Cat, si riverbera
sulle curve speciche. In
materia di potenza, il rapporto
con la cilindrata pone
Perkins immediatamente a
ridosso del best in class, il
sorprendente e anomalo, per
la congurazione a 7 cilindri
in linea, Agco Power.
Tra i pionieri dei 9 litri c’è
sicuramente Scania. Strani,
questi scandinavi, con una
singolare predilezione per i
dispari. Se Sisu ha scelto il
potente e ingombrante 7 in
linea, Scania ripiega sul 5, il
modello d’attacco del Grifone.
Ne risulta un competitivo
set di indicatori dimensionali,
come l’ingombro e il rapporto
massa-potenza. Fpt qui propone
il Cursor 9, integralmente
made in Sfh, la joint venture
con Saic, che in quanto a
potenza smarrisce parte dello
smalto che tutti riconoscono
AGCO POWER
CATERPILLAR
CUMMINS
FPT INDUSTRIAL
JOHN DEERE
Primo piano per i due
intreparendenti americani,
che si sono sganciati da
quota 298 chilowatt e hanno
sterzato verso la densità di
potenza: il Cummins L9 e il
C9.3B Acert di Caterpillar.
AGCO
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
LIEBHERR
LIEBHERR
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
Nm
2.813
2.463
2.113
1.763
1.413
1.063
713
363
13
-337
Nm
3.406
3.056
2.706
2.356
2.006
1.656
1.306
956
606
256
CAT
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
MAN
MAN
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
Nm
2.931
2.581
2.231
1.881
1.531
1.181
831
481
131
-219
Nm
3.371
3.021
2.671
2.321
1.971
1.621
1.271
921
571
221
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
MTU
CUMMINS
MTU
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
Nm
2.847
2.497
2.147
1.797
1.447
1.097
747
397
47
-303
Nm
3.257
2.907
2.557
2.207
1.857
1.507
1.157
807
457
107
FPT
kW
Nm
395
3.041
360
2.691
325
2.341
290
1.991
255
1.641
220
1.291
185
941
150
591
115
241
80
rpm
-109
900 1.300 1.700 2.100
PERKINS
PERKINS
kW
Nm
395
2.928
360
2.578
325
2.228
290
1.878
255
1.528
220
1.178
185
828
150
478
115
128
80
rpm
-222
900 1.300 1.700 2.100
JOHN DEERE
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
SCANIA
SCANIA
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
Nm
2.760
2.410
2.060
1.710
1.360
1.010
660
310
-40
-390
Nm
2.856
2.506
2.156
1.806
1.456
1.106
756
406
56
-294
VOLVO PENTA
VOLVO
kW
395
360
325
290
255
220
185
150
115
80
rpm
900 1.300 1.700 2.100
Nm
2.870
2.520
2.170
1.820
1.470
1.120
770
420
70
-280
alla famiglia Cursor, anche se
la coppia specica smentisce
gli scettici, posizionandosi al
secondo posto in graduatoria.
Va da sé, l’elettronica domina
in ogni forma, dal common
rail Bosch, quasi ubiquo, ai
citati Xpi per Cummins e Scania,
alla regolazione dell’eccezione
Volvo, che si afda
ancora ai collaudati iniettori
pompa.
Esacilindrico prestazionale,
il 10,8 di Göteborg che rappresenta
l’estremo della forbice
di cilindrata, più vicino
al Cursor 11 che al 9, per
restare in tema di confronti
diretti. A testimonianza
dell’affidabilità degli iniettori
e dell’intero processo di
combustione, anche i valori
specifici, compresa la potenza
areale. Convincente anche
la densità di potenza, dove i
motori sono sostanzialmente
allineati. Abbastanza in
sintonia i tedeschi, Man e
Mtu, che si sintonizzano su
frequenze mediane, senza gli
acuti di cui sono mediamente
capaci (vedi D26 per Norimberga
e serie 1300 e 1500
per Mtu).
John Deere si presenta con il
pacchetto tipico dei Pss, che
a castello sul monoblocco
fanno passare i gas, ltrati
dall’Egr e processati dalla
Vgt, attraverso il modulo catalizzatore-Dpf
prima e dall’scr
poi. Da manuale la velocità
del pistone, a 10 metri,
la potenza specica tallona
da vicino la lepre Agco.
Liebherr predica autarchia
Anche Liebherr dice la sua
con il 10,5 che sposa la causa
della semplificazione, delegando
tutto all’Scr, e sfodera
dei muscoli di tutto rispetto:
320 chilowatt e 1.970 Newtonmetro.
In Svizzera domina
l’autarchia: centralina e common
rail sono fatti in casa.
20
21
Iseki E3FH
Ci pensa Iseki
Non solo Kubota e Yanmar, le reginette di Osaka.
Per alcuni ‘piccolo è bello’, si sa, soprattutto in
Giappone, madrepatria delle macchine compatte
da cantiere, come mini-escavatori e mini-pale.
E con loro anche dei relativi propulsori.
Tra gli altri, vedi Kato Works, Sumitomo, Takeuchi
e Iseki. L’accordo di Massey Ferguson con
quest’ultima ha portato in dote due motori inediti,
per il mercato italiano. Cominciamo dal dispari,
canna da 600 cc, capace di 29,4 chilowatt a 2.600
giri. La curva di coppia si stabilizza tra 1.400 e
1.600 giri, a 125 Newtonmetro.
Prestazioni che ricalcano sostanzialmente la
media degli altri giapponesi presenti su questa
fascia, l’Isuzu 3CE1, il Kubota V1505, il Mitsubishi
D03CJ-T-Cac e i due Yanmar 3Tnv (l’arco parte
da 27,5 e si conclude a 36 chilowatt, e iscrive
un momento torcente ‘ipotetico’, da 110 a 166
Newtonmetro). Si ragiona comunque in grande,
dal momento che l’1,8 litri rimpiazza il precedente
motore da 1.498 centimetri cubici, e la dotazione
è allo stadio della piena maturità, con valvola
waste gate per regolare l’afusso d’aria che verrà
processata nel common rail. Non così scontato
come potrebbe sembrare, l’E3FH di Iseki è
omologato Stage V.
Del secondo motore non conosciamo le
generalità (corsa e alesaggio), se non il fatto
che ha 4 cilindri e condivide con il dispari
iniezione, sovralimentazione e il sistema di
post-trattamento ‘All-in-One’, che prevede Doc e
Dpf ssato a castello sulla parte alta del motore,
vicino a sofante e valvola di sato. Tre le
potenze: 36, 39,7 e 49,3 chilowatt.
Non ancora disponibili sul
mercato italiano,
i cinque modelli di trattori
compatti a doppia trazione
Massey Ferguson 1700
M rappresentano un
interessante ampliamento
di gamma. A spingerli, gli
Stage V giapponesi Iseki
da 3 e 4 cilindri con Ats
‘All-in-One’
Massey Ferguson 1700 M con motori Iseki
PICCOLO
È BELLO
GRANDANGOLO
Marca
ISEKI
Modello
E3FH
Carta d’identità
A x C mm - C/A 87 x 102 - 1,18
N. cilindri - litri 3 - 1,82
Potenza intermittente kW - rpm 29,4 - 2.600
Pme bar 7,6
Velocità lineare pistone m/s 8,9
Coppia max Nm - rpm 125 - 1.500
Pme a coppia max bar 8,8
Riserva di coppia % 32,5
Coppia a potenza max Nm 108
% Potenza a coppia max (kW) 66,8 (20)
Arco di utilizzo giri 1.100
Nello specico
Potenza kW/litro 16,1
Coppia Nm/litro 68,4
Potenza areale kW/dm 2 16,52
Metro e bilancia
Peso kg 230
L x W x H mm
618x535x930
Ingombro m 3 0,31
Massa/potenza kg/kW 7,8
Densità globale kg/litri 126
Densità di potenza kW/m 3 94,8
Densità assoluta t/m 3 0,74
Densità relativa litri/m 3 5,89
23
La nuova serie Massey Ferguson vince il premio internazionale
Agli 8S.265 il Tractor of the Year
Il Tractor of the Year, il premio internazionale organizzato dalla casa editrice Vado e Torno
e assegnato ai migliori trattori nelle varie categorie, ha saputo resistere al Covid. I premi
sono stati assegnati nel corso di un evento digitale trasmesso in streaming lo scorso 18
dicembre. Ad esultare più di tutti sono stati proprio i tecnici e i manager Massey Ferguson,
i cui sforzi sono stati ripagati con il riconoscimento più ambito. Infatti, il MF 8S.265 (nella
foto) – presentato ufcialmente a luglio del 2020 – ha vinto il Tractor of the Year 2021.
«MF NEXT, il nostro concept futuristico, presentato per la prima volta in occasione della
era Agritechnica nel 2019, è ora diventato realtà», aveva dichiarato Thierry Lhotte, Vice
President & Managing Director Massey Ferguson Europe & Middle East, commentando un
trattore che ha impressionato a partire dal design. «Questo design totalmente innovativo
offre il livello di semplicità e afdabilità che gli operatori hanno richiesto per i propri trattori.
Ci hanno detto di volere un trattore comodo, con visibilità imbattibile, efciente, facile da
usare e intelligente. Con l’MF 8S e i servizi associati, Massey Ferguson offre esattamente
quanto richiesto». Si tratta di un trattore completamente nuovo, stile, trasmissione, sistema
di raffreddamento, sistema idraulico, la silenziosa cabina. Senza dimenticare ciò che per
noi di DIESEL conta di più, cioè il motore. A spingere il Tractor of the Year 2021 c’è una
soluzione captive, nel senso che proviene dallo stesso gruppo, Agco, di cui fa parte Massey
Ferguson. Il diesel in questione è un Agco Power HD74, a 6 cilindri in linea, 7,365 litri di
cilindrata, 195 chilowatt a 1.850 giri, 1.200 Newtonmetro a 1.280 giri.
Nell’ambito del Toty 2021, Agco Power ha siglato peraltro una signicativa tripletta: suoi
sono, infatti, i propulsori che spingono il Fendt V Vario 211, premiato tra gli specializzati, e
il Valtra G 135 Versu, a cui è andato il risconoscimento come Best Utility 2021. Un trionfo
‘captive’, diremmo, dal momento che anche questi due marchi fanno parte della galassia
Agco Corporation.
Quando una gamma
di prodotti si amplia,
è generalmente
una buona notizia per i
destinatari di quei prodotti,
che possono trovare sul
mercato soluzioni più adatte
alle proprie esigenze. E
quando un costruttore – come
in questo caso – decide
di fare un passo in questa
direzione, la prospettiva
si fa interessante. Massey
Ferguson ha introdotto sul
mercato lo scorso anno la
nuova serie MF 1700 M di
trattori compatti a doppia
trazione, con cinque modelli
che vanno da 35 a 67 cavalli
di potenza (in chilowatt, da
25 a 49,3). Cinque modelli
che – è bene specicarlo n
da subito – non sono al momento
commercializzati in
Italia. Dall’azienda, infatti,
ci fanno sapere che i trattori
della serie 1700 M sono disponibili,
oltre che nel continente
americano, anche in
Europa e Medio Oriente, e
che la commercializzazione
sul mercato italiano è tuttora
in fase di valutazione.
In ogni caso, la scelta di Massey
Ferguson si spiega con la
volontà di aggiungere macchine
più strette e leggere rispetto
alle serie 3700 e 4700, che
partono entrambe da una potenza
di 75 cavalli. La volontà
del costruttore, insomma, è
quella di «aumentare notevolmente
le speci che dei trattori
compatti» per incrementare
«la produttività e il comfort,
sia per gli utenti professionali
che occasionali».
Scelte intriganti
Per quanto riguarda il motore,
la casa americana ha dato
lustro alla collaborazione siglata
con la giapponese Iseki,
fornitore di motori per tutti
e cinque i modelli della serie.
E se si tratta di soluzioni
che fanno della compattezza
uno dei punti forti (nel box
a pagina 24 entriamo più nel
dettaglio delle caratteristiche
tecniche), è signicativo rimarcare
che si tratta di motori
con iniezione common rail
e omologati Stage V. Inoltre,
l’alloggiamento del sistema
Le trattrici MF 1700 M sono
disponibili sia con cabina
che, come si vede in questa
foto, dotate di piattaforma.
Nel caso specifico si tratta
del modello 1753 M, il più
piccolo della gamma.
Trasmissione idrostatica
Servo Hst a tre gamme
I trattori Massey Ferguson della serie 1700 M
sono dotati di serie della trasmissione idrostatica
Servo Hst a tre gamme, facile da usare con un solo
pedale e una leva dell’inversore marcia avanti e
indietro agevolmente accessibile sotto il volante.
La trasmissione Servo Hst a tre gamme combina
l’elevata produttività alla facilità d’uso. Il controllo
della velocità di crociera ne facilita ulteriormente
l’uso, consentendo agli operatori di salvare una
velocità impostata che viene attivata premendo un
interruttore quando il trattore è in movimento.
Per disinnestare il tutto basta semplicemente
premere l’Hst o il pedale del freno. Si tratta di una
funzione che viene in soccorso degli operatori che,
in questo modo, possono coniugare produttività e
facilità d’uso. I modelli MF 1755 M cabinato ed MF
1765 M, anche piattaforma, possono presentare in
alternativa la trasmissione meccanica con inversore
power shuttle, a 4 marce e 3 gamme per un totale
di 12+12, per una velocità massima di 28 chilometri
orari, a fronte dei 34,2 chilometri orari garantiti dai
modelli con trasmissione idrostatica.
di post-trattamento segue la
logica dell’All-in-One. Il sistema
di rigenerazione è del
tipo automatico e i componenti
incorporati in un’unità
unica, posizionata sotto il
cofano del trattore, quindi
senza alcun impatto sulla visibilità
o necessità di manutenzione
aggiuntiva.
Ma a quali utilizzi sono destinate
le nuove macchine,
che presto potrebbero fare il
loro ingresso anche in Italia?
Beh, principalmente ad applicazioni
orticole, municipali
e alla cura del verde (anche
sotto questo aspetto si legge
la scelta di puntare su soluzioni
Stage V-compliant).
Specialmente gli ultimi modelli
della gamma, quelli da
54 e 67 cavalli (39,7 e 49,3
kW), sono pensati per gli
agricoltori che prediligono
macchine leggere e compatte
per lavorare in piccoli campi,
vigneti, frutteti, così come
nelle serre. Vediamola, quindi,
la serie 1700 M completa,
partendo dai due modelli più
compatti. Il Massey Ferguson
1735 M e 1740 M, con motori
rispettivamente da 35 e
40 cavalli, raggiungono una
velocità massima di 34 chilometri
all’ora, sostenuta da un
sistema di frenatura a massima
sicurezza con innesto
delle quattro ruote motrici.
Entrambe le macchine sono
disponibili con un nuovo sistema
di sfalcio a tre lame da
60 pollici. Le altezze di taglio
sono regolabili dal sedile
in otto livelli da 25 mm a 115
millimetri. Il piatto offre 150
millimetri di altezza da terra,
in ragione degli pneumatici
maggiorati.
Grazie all’azionamento della
presa di forza e all’impianto
idraulico ad alte prestazioni,
i sistemi installati sull’MF
1735 M e sull’MF 1740 M
azionano e controllano gli attrezzi
con facilità. La presa
di forza posteriore standard
540/540 Eco è dotata di
avviamento dolce e di una
nuova modalità di arresto
automatico, che disinnesta
la marcia quando il trattore
è in retromarcia o è fermo.
Anche la presa di forza centrale
a 2.000 giri è di serie.
La pompa, che fornisce il
sollevatore da 1.200 chili,
eroga 41,5 litri al minuto,
mentre una pompa dedicata
allo sterzo, da 13,6 litri al
minuto, fa in modo che non
vi siano riduzioni del usso
d’olio durante le svolte. Due
sono i distributori meccanici
a doppio effetto; per la versione
cabinata sono poi previsti,
da fabbrica, anche due
attacchi ventrali.
Potenza superiore
Si sale di produttività e di potenza
con i modelli superiori
della serie 1700 M. Parliamo,
nello specico, dei trattori da
49 cavalli (MF 1750 M), da
54 cavalli (MF 1755 M) e da
67 cavalli (MF 1765 M). Non
cambia il fornitore di motori,
Iseki, né lo standard di emissioni
Stage V. Cambiano il numero
dei cilindri – da 3 a 4 – e
quindi la cilindrata, di 2,41 litri.
A fronte di speciche tutto
sommato simili del motore, in
questo caso un nuovo interruttore
di memoria consente agli
operatori di memorizzare no
a due regimi, in base alle esigenze,
a migliorando soprattutto
la comodità.
In particolare quando si utilizzano
attrezzature alimentate
dalla presa di forza, consentendo
al conducente di selezionare
la velocità perfetta
premendo un pulsante.
L’idraulica di questi modelli
raggiunge una portata di 48
litri al minuto e alimenta due
distributori posteriori e altrettanti
ventrali controllati da
un ergonomico joystick. Nel
caso dei modelli più alti della
serie, il sollevatore posteriore
ha una capacità variabile
e compresa tra 1.580 e 1.600
chili. Proprio come i modelli
più compatti, anche questi
hanno una singola presa di
forza centrale da 2.000 giri e
una posteriore indipendente a
due velocità (540/540E) con
avviamento dolce, selettore
meccanico e innesto elettroidraulico.
A dispetto delle dimensioni
e della compattezza richiesta
a queste macchine, Massey
Ferguson non ha trascurato la
ricerca sulla cabina, nell’ottica
di garantire il massimo
comfort agli utilizzatori. Dunque,
il sedile è a sospensione
pneumatica, è presente un
sistema di aria condizionata
e tutto l’ambiente destinato
all’operatore è progettato secondo
principi di ergonomia.
Grazie anche a un sistema di
quattro fari led per le operazioni
notturne, la visibilità è
massimizzata. Nessun problema
di visibilità, ci permettiamo
di dire, qualora la scelta
ricada sulla piattaforma anziché
sulla cabina (l’opzione è
disponibile su tutti i modelli
della serie). A garantire la sicurezza
ci pensa il sistema di
protezione Rops.
Fabrizio Dalle Nogare
24
25
IDROGENO. Cummins: siamo sulla strada giusta?
A CARTE
SCOPERTE
Un bus alimentato a
idrogeno e, nell’altra
pagina, la riproduzione di
un motore endotermico
davanti al quartier
generale di Columbus:
passato, presente
e futuro?
Il futuro low carbon si avvicina. E i principali player globali non possono farsi
trovare impreparati. Cummins, anche attraverso alcune importanti acquisizioni, sta
muovendo le sue pedine sull’idrogeno, punta di diamante di una strategia
multi-tecnologica. Vi raccontiamo cosa è emerso nel corso dell’Hydrogen Day
Lungi da noi affermare,
come troppo spesso accade,
e a sproposito, che
il diesel è morto. Tuttavia, ormai
è evidente che il futuro
non parlerà soltanto la lingua
di Rudolf. E chi, oggi, primeggia
in materia di endotermici,
se vorrà conservare un posto in
prima la anche nei decenni a
venire dovrà traslare la leadership
acquisita negli anni verso
i cosiddetti alternativi. Se
tutti i grandi costruttori, più o
meno, si stanno muovendo in
questa direzione, dall’alto dei
suoi 102 anni di onorata storia,
Cummins sembra avere le idee
piuttosto chiare.
Anzi, la strategia del colosso
americano in tema di idrogeno
pare così ben delineata da
giustificare l’organizzazione
di un (virtuale, ahinoi) Hydrogen
Day, lo scorso novembre.
Un momento di condivisione
e informazione che è servito
anche per ragionare più compiutamente,
e con l’ausilio dei
dati, su una tecnologia tanto
di moda quanto, al momento,
poco denita.
Alternativi
La joint venture con Nproxx
Un passo ulteriore e fondamentale nella
‘road map’ verso l’idrogeno che Cummins
ha delineato nel corso dell’Hydrogen Day è
stato compiuto lo scorso anno, tra giugno
e novembre. Subito prima dell’estate,
infatti, era stato annunciato l’accordo per
una joint venture con l’olandese Nproxx.
Accordo formalizzato a novembre:
Cummins controlla adesso il 50 percento di
Nproxx, specializzata nella progettazione
e realizzazione di sistemi per lo storage
dell’idrogeno ad alta pressione. I sistemi
Nproxx sono installati già da qualche anno
su treni, bus, camion e altre applicazioni
on-road.
I serbatoi in bra di carbonio sono la
specializzazione dell’azienda olandese
da oltre 40 anni. Ricerca continua e forte
specializzazione hanno permesso a
Nproxx di sviluppare nel tempo serbatoi
dal rapporto potenza/peso ottimale,
caratteristica particolarmente apprezzata
quando si parla di trasporto su strada o su
rotaia.
Proprio in occasione dell’Hydrogen
Day, il management di Cummins ha
ribadito l’importanza della joint venture,
sottolineando che altre innovazioni sono
alle porte per quanto riguarda i sistemi di
storage sia promettente.
Protagonisti di domani
«Cummins vuole essere protagonista
in un futuro lowcarbon
proprio come lo è oggi
nella tecnologia diesel», ha
detto il Ceo Tom Linebarger:
una dichiarazione d’intenti in
piena regola, che ben spiega
perché già da qualche anno, e
in coerenza con il piano Planet
2050 pubblicato nel 2019,
Cummins sta potenziando la
sua struttura interna e procedendo
lungo un preciso percorso
di acquisizioni. Hydrogenics
e NPROXX (vedi box
a sinistra) sono entrate a far
parte della galassia portandosi
dietro strutture e competenze,
rispettivamente, nella produzione
di elettrolizzatori e sistemi
di storage.
Partiamo dalla domanda delle
domande. Perché l’idrogeno?
E qui vale la pena riportare
un ragionamento fatto durante
l’Hydrogen Day. Per limitare
il surriscaldamento globale
occorre ridurre le emissioni
di gas serra del 45 percento
entro il 2030. Guardando un
po’ oltre, già quasi 70 nazioni
hanno dichiarato di voler
essere carbon neutral entro il
2050. Tutto molto bello. Ma,
ne sono convinti in Cummins,
è arrivato il momento di chie-
ne, insomma, passa da qui e
si snoda attraverso tre driver
imprescindibili: abbassare i
costi dell’energia di partenza,
ridurre i costi degli elettrolizzatori
oltre a razionalizzare i
succitati costi di distribuzione.
In sintesi, per quanto riguarda
la distribuzione, Ewald
ha citato due diversi modelli:
uno più distribuito, con la produzione
diffusa in molti paesi
in siti che utilizzino elettrolizzatori
in scala ridotta, e uno
più concentrato, basato su siti
produttivi perlopiù collocati
in aree del mondo ricche di
fonti rinnovabili. Il vantaggio
del primo modello sta nella
riduzione delle esigenze di
distribuzione dell’idrogeno
prodotto, mentre il secondo
modello è più razionale per
quanto riguarda le fonti di approvvigionamento
e richiede
minori investimenti di partendersi,
in concreto, come possono
essere raggiunti tali
obiettivi. «In questo scenario
– ha aggiunto Linebarger
– l’idrogeno è destinato ad
avere un ruolo di primissimo
piano per diverse ragioni: è
l’elemento che si trova con
più abbondanza sulla terra;
abilita l’utilizzo estensivo
di energia rinnovabile; può
essere utilizzato e prodotto
senza emissioni dirette di gas
serra». In quest’ultimo caso
si parla, è ovvio, del cosiddetto
idrogeno verde, quello
generato tramite il processo
di elettrolisi a partire da fonti
rinnovabili, utilizzando quindi
acqua, vento e sole. Il problema,
non di poco conto, è
che oggi soltanto l’1 percento
dell’idrogeno generato è ‘green’:
la quasi totalità dell’idrogeno
attualmente in circolazione
è estratto da metano o
altri idrocarburi tramite steam
reforming (idrogeno grigio).
«Ci aspettiamo che l’idrogeno
verde possa sostituire quello
grigio», ha sintetizzato il Ceo
di Cummins.
Se l’idrogeno conviene
Per far sì che l’auspicio possa
effettivamente realizzarsi,
Il Ceo Tom Linebarger non difetta certo in
chiarezza, né in visione. «Cummins vuole essere
protagonista in un futuro low carbon proprio
come lo è oggi nella tecnologia diesel», ha
detto nel corso dell’Hydrogen Day che il gruppo
statunitense ha organizzato lo scorso novembre
però, devono incastrarsi una
serie di tessere non banali.
Lo sviluppo tecnologico è la
conditio sine qua non perché
ciò avvenga, mentre l’obiettivo
di fondo è rendere l’idrogeno
verde economicamente
competitivo rispetto ad altre
tecnologie oggi largamente
diffuse. «Il costo di produzione
dell’idrogeno, quindi senza
considerare quello di distribuzione,
varia oggi tra i 3,1 e i
5,6 dollari per chilogrammo
– ha spiegato Thad Ewald,
Vice President, Corporate
Strategy – mentre quello del
diesel, con un prezzo al barile
intorno ai 50 dollari, non
supera gli 1,35 dollari. Inoltre,
l’assenza di infrastrutture
moltiplica i costi di distribuzione
dell’idrogeno, creando
un gap notevolissimo con il
gasolio, per esempio». La
strada per la decarbonizzazio-
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za. Un modello misto, quindi
con grossi punti di produzione
in corrispondenza della disponibilità
di fonti rinnovabili e
sistemi small scale altrove, è
forse quello più realistico.
Decarbonizzazione
Il graduale processo di decarbonizzazione
che è già iniziato
vedrà, secondo Cummins,
convivere diesel avanzato, natural
gas, mild e heavy hybrid,
elettricazione e celle a combustibile.
Con l’idrogeno in
grado di assicurare, nel lungo
periodo, più di un vantaggio
rispetto ad altre tecnologie, a
partire dalla sua alta densità
energetica. Proprio per questa
caratteristica intrinseca, un
chilo di idrogeno fornisce la
stessa energia che si può ottenere
con circa tre chili di diesel.
Occorre, insomma, meno
combustibile per percorrere la
stessa distanza.
Il concetto di lungo periodo,
tuttavia, è cruciale in questo
scenario. «I tre principali fattori
che sottostanno alla diffusione
dell’idrogeno sono,
secondo noi, le infrastrutture,
soprattutto parlando di onroad,
il costo di produzione
ancora per nulla competitivo
se paragonato al diesel e – ultimo
ma cruciale – il supporto
delle istituzioni governative a
tutti i livelli», spiega Amy
Davis, a capo del New Power
business segment. «Il primo e
indispensabile passo, dunque,
è un aumento della quota di
energia elettrica ricavata
da fonti rinnovabili, che ci
aspettiamo possa raggiungere
il 50 percento nel 2030, a
fronte dell’attuale 25 percento
del totale. Già diversi paesi
hanno annunciato piani molto
ambiziosi, dall’Unione Europea
alla Cina, con l’effetto
di dare la stura a molti nuovi
progetti che richiederanno
enormi investimenti in infrastrutture
in tutto il mondo.
Anche per questo con diamo
di produrre e installare centinaia
di MW di elettrolizzatori
già nei prossimi anni».
In bilico tra attualità e futuro
non lontano, Amy Davis ha
anche parlato di applicazioni.
A partire da quelle ferroviarie,
assurte ad ambito d’elezione
Il dibattito sull’idrogeno ha inizato a far
capolino anche in Italia. Nel Piano da presentare
all’Unione Europea per accedere alle risorse
del Recovery Fund, infatti, una parte piuttosto
rilevante pare sia riservata alla transizione
energetica verso la decarbonizzazione
per i primi esperimenti di
idrogeno per ragioni strutturali:
infatti, oltre ad avere un’incidenza
inferiore rispetto alle
applicazioni on-road dei costi
derivanti da powertrain e carburante
sul Tco, è più semplice
immaginare un’infrastruttura
di ricarica su una rete
dai percorsi deniti. Entro il
2030, Cummins conta di convertire
il 10 percento di treni,
il 10 percento di bus e il 2,5
percento di truck attualmente
motorizzati diesel in veicoli a
idrogeno. Guardando a un futuro
più immediato, camion e
bus a idrogeno dovrebbero entrare
in commercio non prima
del 2025, quando il costruttore
americano punta a fornire
potenza a circa 100 treni, in
Europa e non solo.
Sempre in tema di numeri e
previsioni, Cummins si pone
l’obiettivo di generare, con il
business degli elettrolizzatori,
un fatturato di 400 milioni entro
il 2025. È una scommessa,
a ben vedere, che poggia sulla
convinzione di un boom della
domanda, diretta conseguenza
delle azioni che i vari governi
ci si aspetta possano mettere
in pratica per raggiungere gli
obiettivi di decarbonizzazione
tanto sbandierati, nonché
(piccolo particolare...) ormai
indispensabili per la tenuta
del pianeta.
Elettrolizzatori e fuel cell
L’acquisizione, nel 2019,
della canadese Hydrogenics
ha permesso a Cummins di
posizionarsi sia nel mercato
degli elettrolizzatori – sistemi
alimentati da energia elettrica
fondamentali per ricavare
idrogeno dall’acqua – sia in
Stando ai piani illustrati dal
management di Cummins, camion e
bus a idrogeno dovrebbero entrare in
commercio dopo il 2025.
Prima è prevista una lunga fase di test
e sperimentazione.
Nell’hydrogen park in Germania
Dove un tempo era una miniera, adesso c’è un hydrogen
park. Siamo a Herten, Renania Settentrionale-Vestfalia,
Germania. Al netto dell’enfasi insita nella denominazione,
qui si respira aria più pulita, non solo metaforicamente.
La decisione di Cummins di investire in quest’area è
divenuta di dominio pubblico lo scorso novembre, quando
venne annunciata la creazione, proprio a Herten, di un
sito destinato all’assemblaggio delle celle a combustibile
per i treni a idrogeno del gigante Alstom. Sappiamo già
da un paio d’anni dell’acquisizione, da parte di Cummins,
della canadese Hydrogenics, specializzata proprio nella
realizzazione di fuel cell. E abbiamo già parlato anche
sulle pagine del nostro
giornale della collaborazione
tra Hydrogenics e Alstom
nell’ambito della consegna,
prevista entro la fine del
2022, di 14 treni passeggeri
Coradia iLint equipaggiati
con celle a combustibile in
Bassa Sassonia.
La scelta di dirottare una
parte della produzione
in Europa è un tassello
rilevante per comprendere
non soltanto le prossime
mosse di Cummins
nell’ambito dell’idrogeno, ma
anche gli accordi in essere con clienti presenti e futuri.
Lo stabilimento di Herten – che oltre all’area strettamente
produttiva prevede anche uno spazio di R&D e testing –
avrà una capacità di 10 MW all’anno.
Celle a combustibile per circa 1 MW al mese saranno
destinate ai treni Coradia iLint di Alstom. Ognuno dei
sistemi di celle a combustibile sarà costituito da sei
moduli (fuel cell stacks), a cui si aggiungono sistema
di raffreddamento, tubazioni, soffianti e filtri dell’aria.
I moduli, infatti, sono in grado di generare potenza
sfruttando l’aria esterna e l’idrogeno conservato nei
serbatoi.
quello delle celle a combustibile,
che convertono l’energia
chimica dell’idrogeno in energia
elettrica.
«Cummins già oggi produce
sistemi elettrolizzatori sia
alcalini che Pem (Polymer
electrolite membrane, ndr)
e abbiamo attualmente oltre
500 installazioni nel mondo»,
racconta Amy Adams,
Vice President, Fuel cell and
Hydrogen technologies. «Gli
elettrolizzatori alcalini vengono
utilizzati perlopiù per la
generazione di energia on-site
di impianti produttivi o nelle
stazioni di ricarica dell’idrogeno.
In zone in cui non
è semplice far arrivare l’idrogeno,
come Russia, India,
Europa dell’Est o America
Latina, sistemi di questo tipo
sono un’alternativa ottimale e
possono generare tra i 100 e i
750 chili di idrogeno al giorno,
con un’ef cienza compresa
tra il 55 e il 70 percento.
Gli elettrolizzatori Pem vengono
utilizzati per generare
energia aggiuntiva utile nella
stabilizzazione delle power
grid. All’orizzonte, poi, c’è
una terza tecnologia, Soec
(Solid oxide electrolysis),
molto promettente».
Passando ai prodotti che utilizzano
l’idrogeno per generare
energia (celle a combustibile),
anche qui va fatta una
distinzione nel catalogo Cummins
tra le celle Pem e Solid
oxide (Sofc), con le prime più
adatte per l’utilizzo sui mezzi
di trasporto, per via della
migliore risposta dinamica e
del rapporto potenza/peso favorevole,
mentre le Sofc sono
più rivolte ad applicazioni di
tipo stazionario, come i data
center, per esempio, perché
necessitano di temperature
di utilizzo più alte e sono in
grado di assicurare una maggiore
efcienza. «Le Sofc costituiscono
un prodotto molto
interessante perché possono
essere alimentate da diversi
combustibili gassosi: oggi
il focus è soprattutto sul gas
naturale, tuttavia per il passaggio
all’idrogeno le caratteristiche
fondamentali del
prodotto non cambiano. Attualmente,
Cummins dispone
di moduli di celle a combustibile
che erogano dagli 8 ai 45
chilowatt di potenza continua,
con un’ef cienza superiore al
50 percento», aggiunge Amy
Adams.
Fabrizio Dalle Nogare
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IDROGENO. Quale strada imboccherà il camion?
SARÀ ELETTRICA
O ‘IDROGENATA’?
È convinzione di tutti che il diesel rimarrà centrale ancora a lungo nel trasporto su gomma.
Ma la strada verso la transizione energetica è ormai tracciata, e a giudicare dal fermento tra
i big del camion, anche affollata. Elettrico e idrogeno si disputano il centro della scena,
ciascuno con le proprie carte da giocare e le inevitabili problematiche da risolvere
Hino e lo zampino...
Di Toyota... È infatti rmata da Hino, storico partner di Toyota
nel mondo dei camion, la risposta giapponese ai truck di
Nikola e Tesla con propulsione elettrica alimentata da celle a
combustibile. Basato sul nuovo trattore di Classe 8 a tre assi
con cabina arretrata Hino della serie XL, il nuovo prototipo
Fcet (Fuel cell electric truck) dovrebbe cominciare i test
su strada negli Usa nel primo trimestre dell’anno appena
cominciato, per poi entrare a listino entro i primi mesi del
2022. Non ci sono, al momento, grandi particolari sulla
motoristica: l’unica punto di riferimento in questo senso, la
motrice sperimentale Project Portal 2 di Toyota, con 680
cavalli di potenza e un’unità fuel cell a idrogeno da 12 kW/h.
Sull’idrogeno, tuttavia, c’è gran fermento: in attesa dell’avvio
dei test negli Stati Uniti, Toyota ha già annunciato l’avvio delle
prime prove su strada del prototipo Fcet anche in Giappone.
I test partiranno nella primavera del 2022 e saranno effettuati
da alcune società di trasporti locali.
La versione Fcet impiegata in Giappone è sarà comunque
diversa da quella prevista per gli Stati Uniti. Non una motrice
stradale con rimorchio, bensì di un carro a tre assi, con peso
di 25 ton, 11.990 mm di lunghezza, 2.490 mm di larghezza
e un’altezza di 3.780 mm. Il motore sincrono a corrente
alternata sarà alimentato dalla tecnologia a celle combustibile
del colosso jap, il Toyota FC Stack. Il tutto, combinato a un
serbatoio con pressioni no a 70 Mpa, dovrebbe assicurare
no a 600 chilometri di autonomia.
I
l taglio del 15 per cento
della CO 2
entro il 2025 e
del 30 per cento nei cinque
anni successivi rappresenta
la sfida e delle sfide
sulla quale far convergere
ogni sforzo, quale contributo
sulla strada della completa
decarbonizzazione. Verso
quell’obiettivo, che attraverso
la completa eliminazione
delle emissioni di gas
a effetto serra punta entro il
2050 a fare dell’Europa il
primo continente a impatto
climatico zero. Elettrico e
idrogeno, infatti, sono realtà
a livello tecnologico.
E con una suddivisione di
ruoli già sostanzialmente
definita: trasporto e distribuzione
urbana e regionale
ai veicoli a propulsione
elettrica, lungo raggio, invece,
per quelli alimentati
con celle a combustibile a
idrogeno.
Mentre per gli elettrici la prospettiva
di batterie di maggiore
capacità (e dimensioni più
contenute) che garantiscano
maggiore autonomia di marcia,
nonchè la creazione di
una capillare rete di stazioni
per la ricarica, non rappresenta
affatto un’utopia, diverso è
il discorso a proposito dell’idrogeno.
E non solo per la sua potenziale
pericolosità in quanto
gas facilmente inammabile
ed esplosivo, quanto piuttosto
per la sostanziale assenza,
a tutt’oggi, di una liera di
fatto tutta da creare: produzione,
stoccaggio, trasporto,
distribuzione.
Strategia europea
Qualcosa in questo senso
si sta muovendo, ma c’è
ancora moltissimo da fare.
Una spinta decisiva potrebbe
arrivare dal progetto “A
Hydrogen strategy for a climate-neutral
Europe” messo
a punto dalla Commissione
Europea, che prevede da qui
al 2050 investimenti tra 180
e 470 miliardi nell’idrogeno
verde ottenuto da fonti rinnovabili.
È la conferma del
ruolo che, all’interno del
Green Deal, l’H2 potrebbe
giocare in futuro.
In attesa che l’idrogeno diventi
un’opportunità concreta,
fioccano le novità dei
sette big del camion sul tema
dell’elettrico. Dal prossimo
settembre, ad esempio,
Daf metterà in vendita il
Cf Electric con autonomia
estesa a 200 chilometri (il
doppio rispetto alla precedente
generazione), dotato
di tecnologia E-Power di
Vdl e batterie agli ioni di
litio (da 350 kWh) più leggere.
E già da quest’anno è atteso
il via della produzione
del Nikola Tre. Realizzato
a Ulm sulla piattaforma
dell’Iveco S-Way, con un
pacco batterie da 720 kWh,
400 km di autonomia e un
tempo di ricarica di due ore,
anticiperà la versione fuel
cell, vale a dire l’elettrico
con pile a combustibile alimentate
a idrogeno, atteso
sul mercato dal 2023.
Man, Renault e la Svezia
E mentre la Man (che nel
sito di Norimberga produrrà
fuel cell e progressivamente
si convertirà totalmente
ai sistemi di trazione alternativa)
da oltre un anno
produce a Steyr l’elettrico
per la distribuzione eTgm,
Renault Trucks ha arricchito
l’offerta cento per cento
zero emission con i D e D
Wide Z.E.
Mentre i cugini di Volvo,
dopo le esperienze con Fl
e Fe Electric, hanno annunciato
per il 2021 una
gamma completa di veicoli
pesanti elettrici, dunque
Fh, Fm e Fmx, attualmente
in fase di test. All’elettrico
guarda anche Scania con le
Daimler Trucks ha deciso di scendere nell’agone dell’idrogeno con Volvo Trucks
gamme L e P (autonomia fino
a 250 km) già disponibili
sul mercato, mentre Mercedes
annuncia per il 2024 la
produzione di serie dell’e-
Actros per il lungo raggio
con autonomia di marcia di
500 chilometri.
H2 Accelerate
Scania: con Engie ed EvBox Group per gli elettrici
Terra
Una nuova collaborazione all’insegna dell’idrogeno. Di
peso specifico elevato, visto i nomi in ballo. Quello che,
infatti, alcuni tra i più importanti produttori di veicoli pesanti
hanno stretto con alcune big dell’energia, è un accordo che
assume una portata epocale se si guarda alla grandezza
e al peso che questi attori giocano nel settore automotive.
Nel mirino di H2 Accelerate (H2A) - questo il nome della
partnership siglata tra Daimler Truck, Iveco, Omv, Shell
e Volvo Group - l’introduzione dei camion a idrogeno e lo
sviluppo della rete infrastrutturale che li supporterà.
In sostanza, le aziende che l’hanno sottoscritto si
impegnano a creare le condizioni ideali, durante il
prossimo decennio, per far sì che l’idrogeno possa davvero
svilupparsi su tutta la filiera.
H2A prevede l’arrivo del camion a idrogeno, accompagnato
dalla relativa rete infrastrutturale, in due distinte fasi.
La prima interesserà i prossimi cinque anni e vedrà la
graduale introduzione delle stazioni di rifornimento per i
camion. In questo senso il progetto di Air Liquide potrebbe
rappresentare l’effettivo apripista di questa transizione
energetica epocale. Entro il 2025 H2A prevede poi la messa
in opera di oltre 20 stazioni a elevata capacità in Europa, e
l’omologazione delle modalità con cui verranno costruite e
rese operative. Durante la prima fase i camion a idrogeno
in circolazione saranno un centinaio. Nella seconda, i
produttori e le società energetiche firmatarie prevedono
volumi più consistenti, con l’obiettivo dichiarato di superare
la soglia dei 10 mila veicoli pesanti. Ai quali si affiancherà
la necessaria rete di stazioni di rifornimento che coprirà le
principali direttrici nazionali e transnazionali.
Stuzzicato da una domanda di Vado e Torno in occasione
dell’ultima tappa del Sustainable Tour 2020, Giancarlo Perlini,
responsabile marketing di Italascania, aveva dichiarato che il
Gruppo era già al lavoro sulle infrastrutture di ricarica per i suoi
nuovi camion Bev da distribuzione.
A stretto giro è arrivato l’annuncio. In linea con le strategie
legate all’offensiva sull’elettrico, in cui anche l’idrogeno avrà un
ruolo importante, il Grifone ha siglato un’importante partnership
con Engie (e la sua controllata EvBox Group), gruppo
francese fornitore globale di energia e di servizi, nalizzata
alla creazione della rete infrastrutturale europea per i mezzi
Bev. Un’infrastruttura energetica imponente, dunque, che si
estenderà su tredici paesi del Vecchio Continente e che fornirà
supporto alle nuove otte alimentate con motori alternativi, in
arrivo nei prossimi anni. E di cui i nuovi Scania L e P full electric
e plug-in hybrid annunciati lo scorso settembre rappresentano
il tassello iniziale di un mosaico che, di mese in mese, diventa
sempre più strati cato.
Nei prossimi anni, nel solco del Green Deal Europeo che
recentemente è stato ulteriormente rivisto con un nuovo
importante obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 del 55
per cento (e non più del 40 per cento) entro il 2030, produttori
di camion e società energetiche dovranno essere in grado di
rispondere alle esigenze delle aziende di trasporto, attraverso
l’offerta veicoli elettrici con soluzioni di ricarica private,
effettuabili direttamente nei depositi, oppure con colonnine
ubicate in aree pubbliche. Engie ed EvBox Group, grazie alla
possibilità di sviluppo di stazioni di ricarica intelligenti, scalabili
e ad alta potenza, potranno dire la loro, offrendo soluzioni
personalizzate in base alle richieste della clientela.
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31
OFF-ROAD. New Holland miscela idrogeno e gasolio. Anche retrofit
PENSATE PROPRIO
CHE NON SIA MATURO?
Idrogeno, tecnologia che guarda al futuro. Un refrain che si stempera nel tam tam di
costruttori, media e opinione pubblica che ne invoca l’utilizzo il prima possibile.
Questo esempio proviene dai Paesi Bassi. Jos Scholman ha allestito quattro New
Holland T5.140, equipaggiati dall’N45 di Fpt, per la miscela diesel-idrogeno
Certo, visto così
sembra un po’
sgraziato, in ragione
di quell’ingombro
sul tetto. Ma,
vogliate perdonarci,
‘chissenefrega’.
La miscela tra diesel
e idrogeno è una
delle soluzioni
che potrebbero
accelerare la
decarbonizzazione.
Terra
Idrogeno: non è più una chimera
e nemmeno un monolite.
L’idrogeno è sulla
bocca e sulle agende di tanti,
compreso il Governo (vedi la
Straegia nazionale idrogeno
del Mise), indipendentemente
dalla connotazione cromatica.
Non si tratta più infatti di discernere
tra verde, blu e marrone.
L’idrogeno è disponibile
ache in forma miscelata, come
ci insegna New Holland, in collaborazione
con Fpt Industrial.
NH2: concept da medaglia
Nato nel 2009 e subito vincitore della
medaglia d’oro per l’innovazione al Sima di
Parigi, l’NH2, alimentato esclusivamente a
idrogeno rimase solo un concept.
Il prototipo si inseriva all’interno di un
progetto più ampio volto all’indipendenza
energetica dell’azienda agricola. L’idea era
quella di immagazzinare tramite elettrolisi
sotto forma di idrogeno compresso l’energia
prodotta attraverso i vari processi, idrogeno
poi utilizzabile direttamente nei macchinari
agricoli o nei generatori per erogare
elettricità e calore agli edi ci e alle varie
applicazioni agricole.
L’NH2 era realizzato sulla base della
serie T6000 e prevedeva dunque celle
a combustibile al posto del tradizionale
Il feeling di New Holland con
l’idrogeno non è certamente
una novità. Già nel 2009 il
brand presentò l’inedito NH2,
prototipo alimentato esclusivamente
a idrogeno, perno di una
strategia volta alla sostenibilità
e all’autosufcienza aziendale
che prenderà il nome di ‘Clean
Leader Energy’. In seguito il
progetto fu accantonato a favore
del metano, principale target
per quanto riguarda la riduzione
delle emissioni in ambito
industriale e agricolo.
propulsore a combustione interna.
L’idrogeno compressso, contenuto in un
apposito serbatoio, reagiva all’inteno della
cella con l’ossigeno presente nell’aria,
producendo acqua ed energia elettrica che
andava ad alimentare i motori elettrici che
azionavano la trasmissione prioncipale
(Cvt) e i sistemi ausiliari del trattore.
La macchina, che sviluppava circa 120
cavalli, era in grado di svolgere tutte
le attività dei trattori tradizionali con
ricadute bene che non solo derivanti
dall’affrancamento dal gasolio, ma anche
sull’impatto ambientale: azzerati ossidi
d’azoto e particolato e falciati i decibel, dai
tubi di scappamento uscivano solo calore,
acqua e vapore.
Jos Scholman e Trekker
A disseppellire parte di quella
tecnologia non è New Holland
in prima persona, bensì un
grosso conteterzista olandese,
Jos Scholman, di Nieuwegein,
nella zona di Utrecht, specializzato
non solo nell’agricolo
ma anche nel campo dell’ingegneria
terrestre, stradale e
idraulica, che vanta una otta
di oltre settanta trattori a
marchio New Holland. L’imprenditore
ha messo a punto
quattro New Holland T5.140
Auto Command ibridi non
convenzionali, in grado cioè
di funzionare con una miscela
di diesel e idrogeno, elaborando
un kit ora diponibile anche
presso i concessionari NH
olandesi. Grazie ai colleghi
della rivista olandese Trekker,
partner della rivista TRATTO-
RI all’interno della giuria del
Tractor of the Year, abbiamo
dato un’occhiata più approfondita
all’insolito progetto
che prende il nome di H2 Dual
Power. Il modello di partenza
è, come accennato, un T5.140
Auto Command, un utlity capace
di adattarsi a una vasta
gamma di applicazioni, dal
lavoro sul campo al trasporto
ad alta velocità che grazie al
cambio continuo strizza l’occhio
anche alle aree urbane e
agli spazi verdi pubblici. La
conversione da solo diesel a
bifuel è eseguita da un’azienda
specializzata, la Blue Fuel
Solutions, che si occupa anche
dell’assistenza post-vendita,
tramite il rivenditore lasciando
invariate le condizioni di
garanzia.
Approvvigionamento
Anche la questione approvvigionamento
sembra risolta;
insieme ad Allied Waters,
Scholman ha fondato la società
Hysolar, che costruirà una
stazione di servizio pubblica
a Nieuwegein dove è possibile
fare rifornimento di idrogeno.
Dieci ettari sono già stati
costruiti con pannelli solari e
nel 2021 Hysolar produrrà 250
tonnellate di idrogeno all’anno
con un elettrolizzatore.
Tornando al trattore, l’idrogeno
è immagazzinato in cinque
serbatoi cilindrici, disposti trasversalmente
sopra la cabina e
inclusi nel layout a ‘fungo’ del
tettuccio, ridisegnato sulla linea
della carrozzeria.
L’estetica non è sicuramente
il punto forte del mezzo ma il
progettista ha fatto di necessità
virtù con apposite griglie
sulla parte anteriore e laterale
che fungono da ‘via di fuga’
in caso di perdite di idrogeno,
sebbene le possibilità di perdite
siano praticamente nulle.
L’idrogeno viene compresso a
350 bar nelle cinque bombole
per una capacità complessiva
di 470 litri, che si traduce in un
totale di 11,5 chili di idrogeno
gassoso.
Un pieno? Come 40 litri
In termini di contenuto energetico,
un pieno di idrogeno può
essere confrontato con 40 litri
di diesel. In linea di principio
svuotando i serbatoi in una
giornata si saranno risparmiati
circa 40 litri di gasolio con relative
emissioni. Gli 11,5 chili
dovrebbero essere sufcienti
per un turno lavorativo di 8
ore, a seconda di come viene
utilizzato il trattore.
Come già spiegato, il funzionamento
è ibrido. L’idrogeno
viene atomizzato a 8 bar
nell’ingresso dell’aria del motore
Fpt standard e si accende
contemporaneamente all’accensione
del diesel. La percen-
tuale di idrogeno nella miscela
ha un picco massimo del 65
percento e la quantità dipende
da vari parametri come la potenza
richiesta (in base al sensore
di coppia nel serbatoio),
la temperatura, la velocità del
motore e il livello di riempimento
dei serbatoi di idrogeno.
Maggiore è la potenza richiesta
minore è il contenuto di idrogeno
iniettato. Con motore al
minimo viene sempre iniettato
il 65 per cento di idrogeno, la
quota diminuisce man mano
che si preme sull’acceleratore
lasciando progressivamente
spazio al diesel. Bruciando, l’idrogeno
non rilascia sostanze
nocive, per cui la quantità di
idrogeno utilizzato corrisponde
a un’effettiva riduzione di
CO2. Diminuisce anche la richiesta
di AdBlue poiché i sensori
del software Fpt rilevano
meno sostanze inquinanti nei
gas di scarico. Altro vantaggio
di questo concetto di ibrido è
l’afdabilità operativa. Svuotati
i serbatoi di idrogeno il
motore funziona come un diesel
puro. I costi di esercizio, la
manutenzione e le riparazioni
sono del tutto paragonabili a
quelli dei motori esistenti.
Circa 70mila euro
Nota dolente, la trasformazione
si aggira sui 70 mila euro,
secondo quanto scrive Trekker,
ma Jos Scholman, che nella
sua otta ha altri undici veicoli
a idrogeno, punta sulla riduzione
della CO2 per avvantaggiarsi
in previsione di appalti,
specie nel settore pubblico,
sempre più votati alla sostenibilità
ambientale.
Immagini fornite dalla rivista
TREKKER
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COMMERCIALE. Mtu e i combustibili alternativi
POWER TO X
E GLI E-FUEL
Rolls-Royce Power Systems ammicca da tempo ai
biocarburanti. E con i cosiddetti e-fuel, fa un ulteriore passo in
avanti. Con la tecnologia Power To X, è possibile ‘spremere’ dal
vento e dai pannelli solari energia per produrre biocarburanti
Mare
Nella roulette della decarbonizzazione
si sta
materializzando una
variante all’imperativo categorico
della elettrificazione
a tappe forzate. Si chiama
Power to X e fornisce una
risposta ai limiti dei biocombustibili.
Perché scannarsi su
gap infrastrutturale, stoccaggio
e sostenibilità economica
delle batterie, quando esiste il
ciclo Diesel? A Friedrichshafen
hanno pensato che la soluzione
potrebbero essere i
cosiddetti e-fuel, combustibili
ricavabili da fonti rinnovabili
che non collidono con la
matrice alimentare delle biomasse.
Meglio, se non l’unica
soluzione, un contributo determinante
in questa fase di
transizione.
Chatterjee e Müller
Ed è così che Stefan Müller,
Director Application CenterMarine
& Naval di Mtu e
Daniel Chatterjee, Director
Technology Management&
Regulatory Affairs and the
Green-and High-Tech Program,
Rolls-Royce Power
Systems, hanno declinato le
istanze del Power to X nelle
modalità della nautica commerciale.
Un’applicazione,
quella per il trasporto merci
e combustibili via mare (oltre
alle crociere), nita nell’occhio
del ciclone degli ambientalisti.
Le premesse di Mtu
partono dalle 36.573 Giga
Tonnellate di CO2 emesse su
base annua. Il 42 per cento
riconducibile alla generazione,
il 18 per cento al traspor-
to stradale e circa il 2-3 per
cento al trasporto marittimo.
Niente di così grave, allora?
E invece sì, se si ragiona in
prospettiva. Le emissioni del
trasporto marittimo internazionale
aumenteranno tra il
50 e il 250 per cento (certo,
la forbice è generosa, ma comunque
allarmante). Nel breve
periodo si deve agire sui
carburanti, forse la leva più
immediata per implementare
l’efcienza. L’invito di Mtu è
a focalizzarsi sulle fonti energetiche,
più che sulla presunta
obsolescenza del motore
endotermico, distinguendo tra
energia grigia, a base fossile,
carburanti biogenici e carburanti
verdi, o e-fuel, sviluppati
con il concorso delle energie
rinnovabili. Gli endotermici
avranno vita lunga, ci confortano
da Friedrichshafen, grazie
alla densità energetica, e
potranno funzionare anche a
gas, idrogeno e metanolo. L’ecosistema
Power to X utilizza
sempre energia rinnovabile,
quindi eolica e solare, che gli
elettrolizzatori trasformano
in idrogeno. Quell’idrogeno,
che chiamano e-Hydrogen, è
destinato a diventare e-fuel,
mediante un processo chimico
che trattiene la CO2 e produce
idrogeno, metanolo ed
e-diesel. L’idrogeno ‘verde’ è
l’ingrediente centrale di tutti i
combustibili Power to X e il
vettore che consente di ridurre
le emissioni di gas serra per
applicazioni ‘difcili da elettricare’
(soprattutto camion a
lungo raggio, aviazione, nautica
commerciale e ferroviario).
Secondo le stime di Mtu,
entro il 2030, la produzione di
combustibili Power To X sarà
neutrale dal punto di vista dei
costi grazie ai biocombustibili,
prodotti in località favorevoli
da questo punto di vista.
Le quote di carburanti da Power
to X variano da settore a
settore: nel marino si approssimano
alla metà, nelle auto
appena il 10 per cento (qui
prevale l’elettrificazione).
Nel 2050 la domanda dei carburanti
neutrali alla CO2 sarà
di circa 20.000 TWh.
High-speed
Quale carburante per le applicazioni
high-speed? Per
il settore marino, Gnl, e-diesel,
e-metanolo e idrogeno.
La domanda chiave è ‘dove
vengono prodotti questi carburanti?’
Le centrali elettriche
in alcune regioni come
il Cile, la Patagonia o certe
aree dell’Africa arrivano no
a 6.000 ore di funzionamento
all’anno. Soprattutto il Sud
del Cile e la Patagonia sono
molto attraenti, dal momento
che producono molta energia
rinnovabile. La prospettiva
energetica deve essere su scala
globale. Se, per esempio,
si volesse produrre idrogeno
in Germania bisognerebbe
contabilizzare le perdite di
efcienza. Gli elettrolizzatori
devono essere trasportati in
loco, con un saldo negativo
del 50 percento di efcienza
sia col termico che con le celle
a combustibile. In cifre, se
con 10 MW di energia eolica
in Germania l’operatività è di
Sotto, le tre opzioni per il rimorchiatore.
Sopra, serie 4000 all’Smm di Amburgo.
1.800 ore, per un fabbisogno
di 13,2 GWh, in Patagonia lo
stesso impianto eolico da 10
MW funzionerà per 6.000 ore.
Si prevede che entro il 2030 i
carburanti Power to X saranno
neutrali in termini di costi, se
i combustibili saranno prodotti
in località favorevoli.
Virtù degli e-fuel
Gli e-fuel comportano un minore
consumo del terreno e un
inferiore fabbisogno di acqua
e diventeranno competitivi rispetto
ai carburanti da biomasse
per quanto riguarda i costi
di abbattimento della CO2, in
una forbice compresa tra 100
e 300 euro/tCO2. Un rapido
confronto tra i combustibili
vede il metanolo primeggiare
sia per densità gravimetrica
che per densità volumetrica.
Ci sono poi le non secondarie
implicazioni commerciali,
sia in termini di Capex che di
Opex, cioè di spese in conto
capitale che di spesa corrente.
Si conciliano con il metano
molte applicazioni marittime,
così come con l’ammoniaca,
che però è un gas nocivo,
quindi sconsigliabile in aree
densamente popolate. Mtu
riporta l’esempio di un rimorchiatore
da 70 tonnellate, 28
metri di lunghezza, 13 metri
di larghezza, 5.000 chilowatt
di potenza di propulsione e
100 kVA di potenza a bordo.
L’opzione ibrida a metanolo
prevede due termici da 4.400
kW e due celle da 1 MW, 120
tonnellate, con una previsione
di 290 ore di autonomia.
Elettrico e con le celle
L’opzione elettrica prevede
140 batterie a 7 moduli, con
un peso dimezzato, 11 MWh
e 5.400 kW e garantisce 8 ore.
Inne, le celle a combustibile,
24 fuel cell da 200 chilowatt
cadauna, per un totale di 4.800
kW, 70 serbatoi di idrogeno
compresso e un’autonomia di
17 ore al 30 per cento della
potenza con un picco di 5 ore
al 100 per cento. Il peso scende
a 45 tonnellate.
Quanto resisterà il diesel? Sui
mega yacht (da 50 a oltre 100
metri) entro il 2030-2035 su
meno del 50 percento delle
imbarcazioni e dei fast ferry
tra 20 e 40 metri. Nel 2030 le
prime celle a idrogeno saranno
installate nei megayacht per
supportare i sistemi ausiliari.
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COMMERCIALI. Volvo Penta D16
UN BEL RITOCCO
ALLE CURVE
Non dovremo aspettarci novità di prodotto. Prima della fi ne
del 2020 è però arrivata la notizia dell’omologazione Imo Tier
III del 16,1 litri per applicazioni professionali, che si spinge a
625 chilowatt. Aggiornamenti anche per D8 e D13
Volvo Penta e l’acqua,
un elemento naturale
sia per la naturale inclinazione
geograca, che per
l’ormai consolidata vocazione
applicativa. Heléne Mellquist,
che ‘bazzica’ il gruppo
Volvo dal 1988, si è insediata
al comando di Volvo Penta
e pare avere le idee chiare,
come dimostra l’abbandono
del progetto Seven Marine,
i fuoribordo diesel pianicati
nello stabilimento di Lexington,
nel Tennessee. Tornando
all’ambiente acquatico
in generale, il gasolio è però
duro a morire, lo sappiamo.
Nel diporto la sua naturale
evoluzione integrata, nel vocabolario
di Volvo Penta, si
chiama Ips. Concepiti inizialmente
per trasmettere coppia
e potenza con una formula
‘all-in-one’, essenzialmente
per sca no a 80 piedi, ha
trovato la consacrazione oltre
la fatidica zona di conforto di
20-25 metri. Gli Ips in con-
gurazione multipla (no a
quattro) hanno ammaliato,
tra gli altri, Amer Yachts,
San Lorenzo e Mangusta,
spingendosi nei cantieri citati
a tonnellaggi e dislocamenti
altrimenti sconosciuti
a Götebörg. E n qui si ragiona
di diporto. L’afnità di
Volvo Penta con il mare non
si esaurisce però nel vano
motore degli yacht ed è sulle
applicazioni commerciali che
si sono focalizzati la stessa
Presidente e Johan Inden,
responsabile della divisione
marina e Presidente della regione
Europa.
D16 MH
Hanno messo mano all’alto di
gamma, il 16,1 litri, per utilizzi
professionali, spingendo
verso l’alto sia la curva di
potenza che quella di coppia.
In assetto propulsivo il D16
MH entrobordo è capace di
erogare no a 625 chilowatt,
equivalenti a 850 cavalli, per
servizi continuativi e stressanti,
i classici impieghi heavyduty,
insomma. Per garantire
affidabilità, entra in coppia
massima a un basso regime
di rotazione, grossomodo a
1.200 giri, che su uno scafo
commerciale signica migliore
manovrabilità e prontezza
nell’accelerazione, quando si
pigia sulla ‘manetta’. Un contributo
signicativo è arrivato
dalla sovralimentazione, che
si affida all’insufflazione a
doppio stadio, con l’ausilio
della valvola waste-gate, e a
collettori di scarico separati
che consentono la carica a
impulsi.
No flauto, sì Ecu
Il 6 cilindri in linea è stato
l’ultimo a recepire il nuovo
corso del common rail, che
Penta ha volutamente rallentato
in ossequio alla proverbiale
afdabilità degli iniettori
pompa e a un consumo specico
dichiarato inferiore ai
200 grammi per chilowattora
a 1.400 giri, circa 210 g/kWh
a 1.800, sull’intero arco di
tarature. L’estensione dell’utilizzo
del common rail vale
per le applicazioni mobili terrestri.
Per la nautica commerciale
si è invece provveduto
ad aggiornare l’iniettore a
controllo elettronico, per proseguire
sulla strada del basso
consumo di carburante e del
contenimento della rumorosità.
I pistoni in acciaio, collaudati
sulle onerose gimcane
stradali, sono stati ottimizzati
insieme all’iniettore pompa.
Sotto coperta, il pacchetto
motoristico è compatibile con
i registri di emissione di ogni
angolo del pianeta Imo II e
Imo III, Epa Tier 3 e China 2.
Il sistema di raffreddamento è
del tipo ad acqua dolce, compreso
il collettore di scarico,
il turbo, il radiatore dell’olio e
il radiatore dell’aria di sovralimentazione.
Lo scambiatore
di calore è stato opportunamente
maggiorato.
Il D16 è attualmente disponibile
in tre versioni: D16 MH
Il 16 litri si certifica
Imo Tier 3 e ritocca
verso l’alto le curve.
Inboard, D16 MG Marine
Genset e D16 MH/MG IMO
III. Il D16 MH, a giri variabili,
è disponibile sia per la
propulsione che per l’uso ausiliario,
mentre il D16 MG è
disponibile è a giri ssi. Il suo
impiego si presta dunque alla
generazione a bordo e a una
gamma articolata di servizi
ausiliari. La potenza disponibile
è di 532 chilowatt meccanici
a 1.500 giri e 585 kWm a
1.800, con un extra-boost del
10 percento di potenza per
soddisfare le richieste di picco
a 500 e 550 chilowatt elettrici.
Abbiamo evocato la sigla Imo
III, in vigore da quest’anno
nei mari del Nord, che prevede
il taglio di tre quarti degli
ossidi di azoto. Volvo ha praticato
la ‘trasfusione dell’urea
tecnica’ dalle applicazioni
terrestri. Il Def proposto da
Volvo Penta per il commercial
contiene urea tecnica
nella misura tra il 32 e il 40
per cento, erogato mediante
un iniettore separato. Le due
uscite di scarico alternative
sono progettate per gli standard
marini (ange a bullone
da 6 pollici) e consentiranno
agli armatori diverse possibili
congurazioni del sistema.
Dell’architettura fanno parte
anche i sensori, la pompa di
dosaggio e l’unità di controllo.
Il commento di Thomas
Lantz, Product Planning Manager,
Marine Commercial:
«Abbiamo optato per l’Scr
perché mantiene l’ef cienza
senza compromettere consumi
e potenza. Costituisce la soluzione
ideale per la nautica.
Essendo i motori Volvo Penta
omologati per il funzionamento
con Hvo, è possibile ridurre
ulteriormente le emissioni
di CO2 no al 90 per cento».
Qualche considerazione nale
sul trasporto commerciale in
mare.
Zero emissioni
Anche in questo ambito valgono
i propositi del Gruppo
Volvo di traguardare le emissioni
zero al più tardi entro il
2050. E anche per traghetti,
rimorchiatori, pilotine e taxi
lagunari, pesca sportiva, trasporto
passeggeri e quant’altro
replicherà le formule
della digitalizzazione, vedi
il sistema di posizionamento
dinamico, della connettività e
dell’elettricazione. Uno scafo
intelligente e connesso offre
vantaggi in termini di sicurezza,
oltre che di efcienza e
produttività. In questa cornice
deve essere inquadrata la presentazione
dell’Easy Connect
App, avvenuta a novembre,
per i professionisti del settore
commerciale marittimo.
Dice la Presidente
«Stiamo esaminando casi
studio aziendali, stiamo imparando
e testando» ha commentato
Heléne Mellquist.
«Stiamo ponendo le basi del
futuro a partire dal nostro
attuale approccio di sistema,
completamente integrato, ma
per raggiungere l’obiettivo
che ci siamo pre ssi dobbiamo
lavorare a stretto contatto
con i partner e i clienti, soprattutto
nelle prime fasi di
sviluppo. Un esempio recente
è dato dalla collaborazione
con Danfoss Editron e l’operatore
danese MHO & Co».
«In futuro» ha proseguito
Mellquist «i professionisti del
settore commerciale marino
possono aspettarsi da Volvo
Penta una continua attenzione
all’innovazione sostenibile.
Crediamo in molti modi che il
mercato professionale aprirà
la strada al diporto, avendo
adottato per primo l’elettri -
cazione e prestazioni avanzate
in materia di emissioni».
Botta e risposta
D8 e D13 in Stage V… acquatico
Mare
Abbiamo rivolto ai vertici di Volvo Penta un paio di domande
per stimolare altrettanti spunti di riflessione.
Potetate dettagliare il miglioramento dell’efficienza e
dei tempi di manutenzione del D8 e del D13?
Quello che stiamo facendo per il D8 è l’aggiornamento della
piattaforma motorstica per quella delicata applicazione che
sono le vie navigabili interne, mentre per la piattaforma
D13 e D16 abbiamo aggiornato anche il motore di base,
per migliorare sia il Tco che la produttività complessiva dei
motori.
Un esempio specifico è che siamo intervenuti sulla
durabilità della gamma, da 3 a 5 sulla scala di valutazione.
Un esempio dell’interazione tra l’applicazione Easy
Connect App e il rinnovato D16?
L’App Easy Connect è disponibile per tutti i motori Volvo
Penta con interfaccia elettronica. Quindi, si tratta di
un’applicazione che non ha un contenuto specifico per
questo motore.
È possibile acquistare, tramite i concessionari o
direttamente da Volvo Penta, un cavo di connessione, è
necessario un’interfaccia Bluetooth, scaricare l’App. Questo
è tutto.
Volevamo davvero introdurre qualcosa che fosse realmente
disponibile per tutti i nostri motori.Ovviamente vale anche
per il collegamento con il rinnovato D16.
Non c’è solamente il top, tra i pensieri di Volvo Penta. Sono stati
infatti aggiornati anche il D8 e D13, per soddisfare le severe
normative sulle emissioni che disciplinano la navigazione nelle
acque interne dell’Unione Europea. Anche in questo caso tutto
passa per il sistema di post-trattamento a riduzione catalitica
selettiva. Il D8 MH, nell’intervallo tra 154 w 296 chilowatt, il D8
MG da 239 e 275 chilowatt, e il D13 MH da 294 kW e il D13
MG da 296 saranno certi cati EU Stage V per le vie navigabili
interne. Il D13 sarà disponibile a partire dall’inizio di quest’anno,
mentre per l’aggiornamento del D8 bisognerà aspettare la metà
del 2021. L’Scr di Volvo Penta è stato testato sia su banco
che direttamente a bordo delle applicazioni commerciali, per
un totale di 65.000 ore. Il sistema è costruito per far fronte alla
‘molesta’ (per gli organi sensibili del motore) quantità di 1.000
ppm di zolfo, attrezzandosi dunque per i combustibili meno
raf nati, e sostenere un’elevata contropressione mantenendo
l’ef cienza e la guidabilità del motore. La con gurazione
del pacchetto Scr è stata concepita anche come supporto
aftermarket. Prese multiple rendono essibile l’installazione,
rivelandosi particolarmente utili durante il repowering.
L’unità ha un design a scatola singola, con miscelazione
dell’urea tecnica all’interno della marmitta, e ha una rumorosità
dichiarata di 35 dBA. Sul versante ella digitalizzazione è
disponibile su richiesta il sistema completamente integrato di
controllo elettronico delle navi, che consente il monitoraggio dai
display del Marine commercial control.
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SERVICE. As Labruna, Fpt Industrial e il Remote Master
COSÌ VICINO
COSÌ LONTANO
Wim Wenders aveva visto lungo e quelli di Fpt Industrial
l’hanno capita. Una tendenza che è diventata inarrestabile,
quella dell’assistenza in remoto. L’Fpt Remote Master ha
convinto anche As Labruna, che si era attivata in autonomia
L
’assistenza non è più
una pratica da sbrigare
ex-post, come si evince
dal fatto che sia frequentemente
scritta nero su bianco
sui contratti di vendita con
gli utilizzatori nali. Lo dimostra
l’iniziativa di As Labruna,
concepita ‘stand alone’
e conuita nella campagna di
Fpt Industrial. Questione di
armonia tra centro e periferia
e sintonia tra la casa madre e
un distributore sempre più a
suo agio nei panni di solution
provider.
As Labruna
Ne abbiamo parlato in prima
battuta con Massimo Labruna.
«L’obiettivo di As Labruna
è diventare in cinque anni
la prima ‘smart company’ nel
settore, con l’utilizzo di tecnologie
digitali avanzate, applicate
alla vendita e all’assistenza,
compresa quindi la
fase del post-vendita. Mi è
piaciuto il progetto di Fpt e
l’ho sposato: siamo quindi
diventati una sorta di pilota.
L’esigenza nasce dal fatto che
gestire e formare personale è
diventato complesso. Occorre
conciliare un know how centralizzato
con gli strumenti
per operare in remoto. La
tecnologia ci viene in soccorso,
con strumenti alla portata
di investimenti sostenibili
che consentono di supportare
a distanza anche ambienti
professionali con una bassa
soglia di aggiornamento. La
direzione è questa», prosegue
Labruna, «conservare il know
how centralizzato per suppor-
tare il know how in remoto.
Un cliente può essere infatti
seguito da una pluralità di
esperti, di diversa formazione,
da più parti del mondo.
A onor del vero, a livello di
prodotto ci sono delle differenze
tra i motori di ultima
generazione, ma le prestazioni
spesso si approssimano. La
vera differenza è il servizio in
sé e per sé, in particolare la
rapidità del servizio stesso».
Massimo Labruna entra nel
dettaglio, operazione che
approfondiremo in seconda
battuta con Fpt. «Fpt Remote
Master è una piattaforma
che consente la comunicazione
tra la centrale e i tecnici
sul posto, tramite dispositivo
mobile (tablet o smartphone)
o visore (smart glasses).
Addirittura» precisa Labruna
«se dovessero esserci sensori
wi sul motore, l’obiettivo del
sistema è di leggerli in tempo
reale (per esempio i sensori
che rilevano la pressione degli
pneumatici)».
Addentrandoci sulle premesse
di questa evoluzione telematica:
«La tecnica del motore
diesel avanza velocemente e
bisogna colmare il gap tecnico
con la rete di assistenza.
Questo strumento permette,
appunto, di ridurre il gap.
As Labruna è concessionaria
per i motori marini di Fpt non
solamente per il Sud Italia, Sicilia
esclusa, ma per l’intera
area dei Balcani e del Nord
Africa. È prevista la traduzione
in tempo reale in lingua
inglese, stiamo valutando anche
quella nelle altre lingue
del bacino commerciale di
nostra competenza. Con gli
occhiali ‘smart’ sul capo, la
telecamera inquadra direttamente
le mani dell’operatore,
con il visore sono in grado di
visualizzare istruzioni e seguire
l’interazione in remoto».
Il servizio è pienamente operativo
dal primo gennaio.
Fpt Industrial
Lasciare le cose a metà non
si conviene, quindi abbiamo
contattato Leonardo Zecchini,
responsabile service e
supporto prodotto di Fpt Industrial.
A lui il compito di
spiegare in profondità questo
progetto, che si estende all’intera
galassia Fpt, in diretta
dalla control room di Torino.
È qui, nell’headquarter del
brand, che ricevono i dati che
il display visualizza sotto forma
di unità connesse.
«Nella valigetta c’è un tablet
con l’applicazione installata,
che riceve le immagini inviate
dal tecnico sul campo. Le informazioni
provengono da un
endoscopio, una telecamera
termica. Nel kit sono compresi
gli occhiali a collegamento
virtuale e un microscopio. Il
kit è pensato per la ‘sotto-rete’
della rete autorizzata. Come
per tutti i costruttori evoluti,
la competenza della rete è
s data ogni giorno dalla crescente
complessità dei prodotti,
con il risultato che ci sono
punti rete molto esperti, altri
che lo sono meno. Quando
lo abbiamo presentato sia a
Agritechnica che al Bauma di
Shangai ha destato parecchio
Qui a sinistra, uno scatto della Control Room di Torino.
In basso, un’immagine più datata e comunque efficace.
Con tablet e smart glass è possibile ricevere le corrette
indicazioni per intervenire sul campo. In mezzo, un video
sul service realizzato da Massimo Labruna.
interesse anche nei clienti. Il
che ci ha indotti a valutarne
l’adozione anche per i clienti
nali. Sarebbe l’approdo nale
di questo processo».
Zecchini fa un’osservazione
impeccabile sull’impatto che
digitalizzazione, 4.0 ed evoluzione
tecnologica producono
sui consumatori e sull’assistenza
agli utilizzatori. «I
componentisti pagano questo
gap in modo più dirompente
rispetto ai costruttori di
macchine». Da qui riprende il
lo temporale e logico della
narrazione. «Il Flying doctor
interviene sul campo per la
diagnosi delle problematiche
e deve essere rapido nella
diagnosi. Abbiamo quindi
pensato: e se riuscissimo a
tagliare il viaggio, vedendo
noi stessi, con i nostri occhi,
quello che vede il dealer, assistendolo
da remoto? Riusciremmo
sicuramente a ‘curare’
più clienti».
E come avviene l’accesso?
«Il cliente si collega con Fpt
Industrial tramite il tradizionale
approccio con user name
e password, dopo di che seleziona
l’applicazione. È dunque
una condivisione di informazioni,
quindi bidirezionale,
tramite un’interfaccia, che
sia tablet o cellulare. Il primo
bisogno che dobbiamo
soddisfare è fornire il prima
possibile al dealer indicazioni
utili per risolvere il problema.
Poi si ragiona di archiviazione
dati. Funziona a due vie:
per esempio, in caso di richiesta
di schema elettrico, dalla
control room possono inviarlo
subito. Questa evoluzione si
concretizzerà nell’aprile 2021
nella connessione per il monitoraggio
della macchina. La
telematica si avvicinerà molto
a un tool diagnostico. Uno
degli scopi è clusterizzare,
quindi avere procedure il più
possibile guidate, costruite
con l’esperienza. Il supporto
da remoto effettua la con gurazione
iniziale: cerchiamo
infatti di organizzare la maggior
parte del lavoro a monte
per sgravare i tecnici durante
la fase operativa. Dall’inizio
dell’anno ai primi giorni di
dicembre abbiamo effettuato
150 visite virtuali e 150 sul
campo, quindi con la corrispondenza
di 1 a 1, perché ci
sono aspetti che non riusciamo
a portare in virtuale. Il
tecnico è il collo di bottiglia
e se perde tempo in viaggio
è un problema. Le analisi
di base saranno prerogativa
della piattaforma, secondo i
principi del machine learning,
e il tecnico si occuperà delle
anomalie. Il bene cio lato
cliente è un incremento di uptime».
Altre direttrici di sviluppo
della piattaforma?
«Sicuramente la conversione
poliglotta dello strumento,
nonostante i dealer parlino
inglese con competenza. Vorrei
anche sottolineare il vantaggio
di questa tecnologia,
che si può applicare a più
persone e dipartimenti. Un
giorno di down-time ha un
valore tra 100 e 150 euro per
un camion e può salire oltre
i 300 euro per un feed mixer
(bisogna considerare che gli
animali reagiscono alle alterazioni
della tabella di alimentazione).
È un servizio
che si può vendere all’Oem o
all’utilizzatore nale».
«Infine una considerazione
finale sugli smart glasses»,
dice Zecchini «provvidenziali
in occasione di interventi
complessi, che richiedono l’utilizzo
delle mani per eseguire
interventi rilevanti. Dispongono
anche di comandi vocali,
micromonitor altezza occhio.
Se però le informazioni richieste
sono poche e occasionali,
è più che suf ciente un
tablet, via Remote Master, su
piattaforma Android».
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Vadoetorno
network
da Vadoetorno n.1/2021
da AUTOBUS n.1/2021
da TRATTORI n.1/2021
La rivista VADO E TORNO
affonda le radici nel 1962.
Praticamente rappresenta
l’antologia del camion dal
boom economico ai nostri
giorni. Le riviste AUTOBUS
e TRATTORI affi ancarono
successivamente VADO E
TORNO nella descrizione
incalzante a aggiornata
di quanto avviene nel
trasporto persone e nella
meccanizzazione agricola.
Mondi che rappresentano,
per noi di DIESEL, gli
scenari di quelle che su
queste pagine chiamiamo
applicazioni. Ad ogni uscita
proporremo la sintesi di
un articolo pubblicato sui
numeri precedenti delle
riviste di VADO E TORNO
EDIZIONI, la nostra casa
comune. Senza timore di
smentita possiamo parlare
di ‘fi liera corta’: la catena
cinematica e le macchine
che la sostanziano.
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41
Estratto da ‘Vado e Torno’ N°1, 2021
Autentici pezzi
da collezione.
Speciali fuori e
dentro, con un
look accattivante
che cattura
l’occhio, ed
evidenti segni
distintivi a
caratterizzarne la
loro unicità.
Lo sportiveggiante
Actros R 5 e il
raf natissimo
Edition 2 toccano
le corde della
passione,
esaltando
lo spessore
tecnologico
dell’ammiraglia
della Stella
Mercedes Actros
Per pochi
non per tutti
zato naturalmente sulla base di
quell’autentico ariete di gamma
che è l’Actros. Si chiama R 5
Special Edition, un nome che è
sintesi stessa del signicato.
Celebrare i (tanti e ripetuti)
successi di Mercedes in campo
sportivo, in Formula 1 (sette titoli
consecutivi nel Campiona-
La tradizione continua. E la
collezione si arricchisce. A
soli tre mesi dal lancio, in
occasione della terza tappa del
Sustainable Tour 2020 svoltasi
in quel di Pescara a inizio
settembre, dell’Actros Iconic
Edition, arriva infatti un altro
specialissimo Mercedes, realizto
Costruttori), unitamente agli
altrettanto numerosi riconoscimenti
internazionali (cinque
volte Toy dal 1996, l’ultima,
appunto, nel 2020), ma anche
la tecnologia e i contenuti innovativi
di un modello il cui sguardo
è costantemente proiettato al
futuro.
Ha spirito racing e la
dinamicità della Stella
«L’idea alla base dell’Actros R
5 condivisa insieme a uno dei
nostri partner», spiega Domenico
Andreoli, Head of marketing,
press & omologation di Mercedes
Trucks Italia, «è stata quella
di realizzare attraverso l’allestimento
e i colori, un’edizione speciale
sportiva e accattivante che
colpisse subito lo sguardo degli
appassionati, esaltando lo spirito
racing e la dinamicità della
Stella».
Obiettivo perfettamente centrato.
Il Mercedes Actros R 5,
infatti, non passa inosservato.
Cattura lo sguardo, si fa ammirare,
invita a posare l’occhio
con attenzione sulle sue forme, a
Actros Iconic classe ed eleganza al top
Ha preceduto l’arrivo dell’Actros R 5 di tre mesi, e in un certo senso ha reso noi di Vado e Torno
orgogliosi. Già, perchè l’Actros Iconic Edition, dopo essere stato svelato sul canale ufciale
Youtube di Mercedes-Benz Trucks Italia, ha debuttato in pubblico in occasione della terza tappa
del Sustainable Tour 2020, svoltasi in settembre a Pescara. Livrea dorata con inserti in acciaio
inox e barre cromate impreziosite da Led sui tre lati, Actros 1853 Iconic Edition è il frutto della
collaborazione di Mercedes con Acito Inox, azienda salentina con sede ad Albanella, leader in
Italia nella lavorazione dell’acciaio inox, specializzata nella customizzazione di veicoli industriali
(tra i quali si ricordano, per restare in casa Mercedes, gli Actros Brutale, Rivale e Iron 530).
scoprirne e apprezzarne i dettagli,
mai banali, bensì nalizzati
al massimo rendimento del veicolo,
in termini di efcienza aerodinamica,
ma non soltanto. E
qui entra in gioco Rino Custom,
giovane realtà campana (è stata
fondata nel 2019) specializzata
nella personalizzazione dei veicoli
industriali, che tratta in ogni
singolo aspetto attraverso l’uso
di verniciature ad hoc, wrapping
realizzati con pellicole speciali,
accessori in acciaio inox e applicazioni
in Abs.
L’ispirazione
dalla...Stella
«La nostra missione», spiega
Ventura Rino Acito, Project manager
di Rino Custom, «era quella
di esaltare gli eleganti canoni
stilistici dell’Actros, con ricercatezza
e originalità. In questo
abbiamo deciso di farci guidare
dalla Stella, ispirarci alle sue tre
punte per la scelta delle linee
guida: sportività, innovazione,
audacia». Partendo dalla base
di un Actros total black nella
versione con mirror cam in luogo
degli specchi convenzionali,
motori Euro 6d performanti e
parsimoniosi, combinati con una
sventagliata di sistemi di assistenza
alla guida capaci di assicurare
efcienza e sicurezza (...)
Prosegue a pag. 32 di Vado
e Torno Gennaio 2021.
Inquadra il QRcode e leggi
l’articolo integrale.
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Estratto da ‘AUTOBUS’ N°1, 2021
Zf ha lanciato
Ecolife 2.
La trasmissione
automatica è in
commercio da
metà 2020.
È stata
migliorata
in termini di
leggerezza,
resistenza
all’usura,
gestione di alti
livelli di Nm
La promessa dell’Ecolife
2 è quella di un taglio
dei consumi no al 3 per
cento. Rimane il principio
del rotismo epicicloidale a
sei stadi con convertitore
di coppia e retarder
primario. Presente anche
la funzione start&stop
(per tutte le sei varianti a
listino).
Dodici anni dopo, è giunto
il momento di un aggiornamento
di sostanza
per l’automatica di casa Zf. Un
intervento tanto corposo da meritare
l’aggiunta di un ‘2’ dopo
un nome, Ecolife, che nel mondo
dell’autobus ha la sonorità di un
vero e proprio brand.
Era il 2008 quando l’Ecolife si
affacciava per la prima volta al
mondo del trasporto pubblico.
Zf Ecolife 2
Automatica livello 2
Una trasmissione sviluppata appositamente
per bus urbani e intercity.
L’automatica da sei marce
consumava il 6 per cento in meno
rispetto ai modelli precedenti, ricorda
Zf.
Un importante aggiornamento
della gamma venne realizzato
nel 2013, quando Zf mise mano
all’Ecolife per renderlo in grado
di gestire valori di coppia più
elevati. Era l’alba dell’Euro VI,
i motori vivevano un aumento
delle cubature, e Friedrichshafen
mise in campo un intervento
volto a consentire ai costruttori
di montare la trasmissione anche
sul coach (come opzione aggiuntiva
all’automatizzata a 8 o 12
marce) e travalicare così i pur
ampi conni del perimetro urbano
e interurbano. Irizar e Vdl
colsero immediatamente la palla
al balzo.
Successivamente è stata aggiunta
la funzione start&stop, con la promessa
di una riduzione dei consumi
compresa tra il 5 e il 10 per
cento.
Ma veniamo al dunque: a partire
dalla metà del 2020, i primi
esemplari di Ecolife 2 sono scesi
in strada. La presentazione si era
tenuta in occasione del Busworld
di Bruxelles, nell’autunno 2019. Il
focus è sulla leggerezza e la resistenza
dei componenti, oltre che,
chiaramente, sulle ricadute in termini
di consumi.
Il futuro non è (solo)
elettrico
Da tempo Friedrichshafen ha messo
nel mirino, con grinta, i mondi
delle trazioni alternative, della
connettività, della guida autonoma.
Restano in tema di catene cinematiche,
l’elettrico è l’orizzonte
della casa tedesca, che ha messo
a disposizione del mercato dei
veicoli commerciali a batteria due
driveline: il plurivenduto AxTrax
(motori ai mozzi) e il più recente
motore centrale CeTrax. A metà
di quest’anno, abbracciando tutto
lo spettro delle attività aziendali
(mobilità privata compresa), Zf ha
dichiarato che «in futuro non investirà
più in trasmissioni progettate
esclusivamente per motori a combustione
interna ma concentrerà le
proprie attività di sviluppo su piattaforme
tecnologiche essibili per
ibridi plugin e veicoli totalmente
elettrici». Nel contempo, resta il
fatto (non da poco) che il motore
a combustione continua a rappresentare
oggi l’opzione assolutamente
predominante, e continuerà
ad esserlo nel medio termine: per
quanto riguarda i bus urbani, le stime
Uitp sostengono che metà del
mercato europeo sarà a base di full
electric al 2030 (oggi siamo al 12
per cento). La transizione all’elettrico
è ancora più lontana per gli
extraurbani (dove il gas giocherà
un ruolo cruciale) e il coach (in
attesa dell’idrogeno...). Di conseguenza,
lo sforzo non può che
focalizzarsi sull’efcientamento
delle applicazioni termiche. (...)
Prosegue a pag. 26 di
Autobus Gennaio 2021.
Inquadra il QRcode e leggi
l’articolo integrale.
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Estratto da ‘TRATTORI’ N°1, 2021
Massey Ferguson. Svelata la nuova serie MF 5S
In sintonia col
family feeling
introdotto
con gli MF
8S, la nuova
generazione
MF 5S è pronta
a stupire sul
ring della
media potenza
con cinque
modelli da 105
a 145 cavalli
sviluppati per
conquistare
anche gli
agricoltori più
esigenti
Nel segno della sciabola
Massey Ferguson ha
chiuso il 2020 in modo
scoppiettante, presentandosi
ai ranghi di partenza del
nuovo anno con rinnovato slancio.
Nel giro di pochi giorni ha
infatti celebrato sia la vittoria
nella classe regina del Tractor of
the Year con l’inedita gamma di
alta potenza MF 8S, sia la presentazione
in anteprima della
serie MF 5S destinata a rappresentare
il punto di riferimento
dell’offerta nello strategico
segmento utility. Nonostante il
diverso livello di potenza sono
numerose le analogie tra le prime
due famiglie di trattori che
segnano l’inizio della nuova era
Massey Ferguson.
Visivamente spicca il rinnovato
design neo-retrò caratterizzato
dall’iconica sciabola grigia
ai lati del cofano, ma anche la
nomenclatura e molti elementi
della tecnologia di bordo corrispondono.
La gamma MF 5S è composta da
cinque modelli (MF 5S.105, MF
5S.115, MF 5S.125, MF 5S.135
e MF 5S.145) con potenze massime
da 105 a 145 cavalli come
indicato dalle ultime tre cifre
delle sigle.
Tutti montano motore quattro
cilindri Agco Power da 4,4 litri
conforme ai parametri Stage V
grazie al collaudato gruppo ‘Allin-One’
che integra il catalizzatore
di fuliggine SC ai sistemi
Doc e Scr in un’unica unità compatta
posizionata sotto il lato destro
della cabina. Un’architettura
intelligente e funzionale che consente
di mantenere un prolo del
cofano spiovente come sui predecessori
MF 5700 S, con ovvi
vantaggi in termini di visibilità
soprattutto durante il lavoro con
caricatore o attrezzi frontali. Da
segnalare anche l’ottimizzazione
dei ussi d’aria per il raffreddamento
del motore tramite ventola
a gestione elettroidraulica maggiorata
e griglie di aspirazione
più ampie. A crescere rispetto
alla precedente generazione sono
pure gli intervalli di manutenzione
(600 ore) e la capacità del serbatoio
carburante (200 litri).
Doppia opzione:
Dyna-4 o Dyna-6
Per quanto riguarda la trasmissione,
su tutti i cinque modelli MF
5S è possibile scegliere tra due
opzioni di cambio semi-powershift:
Dyna-4 con quattro gamme
robotizzate e quattro marce sotto
carico per un totale di 16 rapporti
sia in avanti che in retro, oppure
Dyna-6 con quattro gamme robotizzate
e sei marce sotto carico
per un totale di 24 rapporti sia in
avanti che in retro. Per entrambi
gli allestimenti è disponibile la
funzione Neutro con Freno che
consente di arrestare il trattore
tramite il solo pedale del freno
senza l’impiego di quello della
frizione, la funzione AutoDrive
per l’automatizzazione delle
cambiate e il superriduttore che
consente velocità minime no a
70 metri all’ora. La velocità massima
è di 40 chilometri orari; con
Dyna-6 la funzione SuperEco
permette di mantenere tale andatura
a un regime motore di soli
1.530 giri al minuto.
A livello della catena cinematica
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Estratto da ‘TRATTORI’ N°1, 2021
è stato irrobustito il gruppo assale
posteriore e la massa massima
ammissibile è passata da 86 a 95
quintali offrendo la possibilità di
abbinare attrezzature più pesanti.
Anche il ponte anteriore sospeso
a controllo elettronico è stato riprogettato,
in modo da coniugare
le ottime doti in termini di agilità
(raggio di sterzata di soli 4 metri)
con la necessaria muscolosità per
supportare le prestazioni del nuovo
sollevatore anteriore.
Tre livelli
di specifiche
A prescindere dal tipo trasmissione,
i cinque modelli MF 5S possono
essere congurati scegliendo
tra i tre livelli di speciche
Essential, Efcient ed Exclusive
che riguardano sia l’idraulica che
la dotazione del posto di guida.
L’allestimento Essential prevede
una pompa da 58 litri al minuto
(alla quale può essere aggiunta a
richiesta una seconda pompa da
42 litri al minuto) e solo distributori
meccanici.
Gli altri due allestimenti invece
prevedono di serie una pompa a
cilindrata variabile da 110 litri al
minuto: la dotazione standard Ef-
cient conta due distributori elettronici
più due meccanici, mentre
l’Exclusive è caratterizzata da
ben quattro unità elettroniche.
Sia nella versione Efcient che
in quella Exclusive è presente in
cabina un mini-joystick ausiliare
per il controllo di due distributori
elettronici.
I nuovi MF 5S vantano rispetto
gli MF 5700 S una maggiore capacità
del sollevatore posteriore
(no a 60 quintali) e di quello
anteriore opzionale (30 quintali
con uno o due prese idrauliche
frontali integrate). Cambia inoltre
l’architettura del circuito per
la gestione degli eventuali sollevatore
anteriore e caricatore frontale
tramite distributori ventrali
dedicati.
La cabina è strutturalmente uguale
a quella dei predecessori e può
essere congurata con sospensione
meccanica o ssa; a richiesta
è disponibile anche una versione
ribassata per agevolare il lavoro
all’interno di fabbricati.
Le novità riguardano quindi
l’ambiente interno a partire dal
nuovo sistema d’aria HVAC che
consente sia di impostare e mantenere
la temperatura più confortevole,
sia di ridurre i tempi di
disappannamento e sbrinamento.
Sugli allestimenti Efcient e
Exclusive è montato un nuovo
bracciolo con joystick multifunzione
Multipad come quello degli
MF 8S; sulla versione Essential è
invece installato un bracciolo più
corto e basico con leva a ‘T’ e
leve per i distributori separate.
L’interfaccia di ultima generazione
touch-screen Datatronic 5
con graca rinnovata è prevista
di serie sugli Exclusive, optional
sugli Efcient e non congurabile
sugli Essential (quest’ultimi
possono adottare solo il display
Fieldstar 5). Oltre a consentire un
BATTI IL CINQUE
Modello MF 5S.105 MF 5S.115 MF 5S.125 MF 5S.135 MF 5S.145
Motore
Agco Power Stage V
Cilindri/cc 4/4.400
Potenza max cv 105 115 125 135 145
Coppia max kgm 44,9 46,9 53 55,1 56,1
Trasmissione
Dyna-4 o Dyna-6
Passo mm 2.250
controllo intuitivo dei vari parametri
di funzionamento del trattore,
il teminale permette di gestire
i moderni attrezzi conformi
al protocollo Isobus e tutte le funzioni
di Smart Farming, incluso il
sistema di guida automatica MF
Guide più gli innovativi MF Section
Control e MF Rate Control.
Il software MF TaskDoc offre la
possibilità di creare registrazioni
e mappe delle applicazioni; col
pacchetto MF TaskDoc Pro l’operatore
può inoltre trasferire i dati
tramite Agrirouter al software di
gestione dell’azienda agricola o
al Next Machinery Management.
Tra i vari plus da menzionare anche
il sistema di telemetria MF
Connect.
L’articolo originale è a
pagina 22 di TRATTORI
Gennaio 2021.
Inquadra il QRcode e leggi
l’articolo integrale.
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OEM & MOTORI. Soilmec con Cummins (e non solo)
Nel mercato delle cosiddette
fondazioni profonde, la
perforatrice Soilmec SR-
65 è particolarmente conosciuta
e apprezzata. Lanciata nel 2018
nella versione Evo, quest’anno è
arrivata un’ulteriore evoluzione:
la versione Blue-Tech. Sotto il
cofano batte un cuore Cummins
L9 da 272 chilowatt a 2.100 giri,
emissionato Stage V. Siamo partiti
da qui per scoprire, insieme
al management Soilmec, come
avviene la scelta del motore sulle
loro perforatrici, e non solo.
50
PERFORARE
IN STAGE V
La presentazione dell’ultima arrivata in casa Soilmec, la perforatrice
SR-65 in versione Blue-Tech, è stata l’occasione per indagare sulle
caratteristiche del motore scelto per azionarla. E se lo Stage V è una
realtà già ben assimilata, non si escludono evoluzioni ibride in futuro
A quando risale l’inizio della
collaborazione con Cummins?
È l’unico fornitore per Soilmec?
La collaborazione con Cummins
risale ai primissimi anni Novanta
del secolo scorso. Da allora abbiamo
continuato a collaborare.
Quando si parte con un progetto
nuovo, la collaborazione inizia n
dalle prime fasi della progettazione
e prosegue no alle fasi nali
del collaudo, che viene eseguito
assieme da personale Soilmec e
personale Cummins.
Negli ultimi anni, inoltre, visto il
susseguirsi degli aggiornamenti
sulle normative delle emissioni di
particolati, questa collaborazione
si è fatta ancora più stretta. Basti
pensare che negli ultimi anni, per
Motore
Cummins L9
Stage V e,
accanto,
la perforatrice
Soilmec SR-65
Blue-Tech.
ciascun modello macchina, abbiamo
dovuto studiare almeno 4
installazioni diverse: Tier 3, Tier
4i, Tier 4 nal e Stage V.
Tale modo di operare permette di
raggiungere il massimo risultato
in termini di prestazioni, facilità
di manutenzione e rispetto
per l’ambiente, inteso sia come
emissioni atmosferiche che come
emissioni acustiche. Nella gamma
Soilmec sono attualmente installati
anche motori Cat e Volvo
per le perforatrici idrauliche, per
gli escavatori idraulici a fune e
per le idrofrese, mentre nelle
machine da micropalo, oltre a
Cummins, installiamo anche motori
Deutz.
Tornando al motore, la congurazione
Stage V/Tier 4 nal
ha comportato la necessità di
adattamenti particolari nel layout
della macchina?
Il progetto SR-65 è nato con la
versione Evolution, che ospitava
la motorizzazione Stage IV e n
da subito abbiamo considerato un
volume congruo per il post-trattamento.
Nel passaggio allo Stage
V/Tier 4 nal, grazie al fatto che
il post-trattamento si è sempli -
cato, è stato sufciente apporre
semplici modifiche al progetto
per installare il nuovo motore. Il
layout della macchina è rimasto
sostanzialmente invariato.
Le difcoltà maggiori si sono presentate
invece per l’installazione
del serbatoio urea, che deve essere
in posizione accessibile, in
una zona ventilata, perché l’urea
teme il caldo, e al tempo stesso
protetta. Nella versione Stage V,
Cummins ci ha chiesto di aumentare
la capacità del serbatoio
per mantenere la stessa autonomia,
e abbiamo dovuto ricavare
uno spazio maggiore rivedendo
alcuni componenti interni della
macchina.
Immaginate una motorizzazione
diesel anche in futuro oppure
potrebbe aver senso pensare a
soluzioni ibride diesel-elettrico?
Crediamo che abbia senso parlare
di motorizzazione ibrida,
soprattutto perché le nostre macchine
hanno cicli di lavoro molto
variabili in termini di potenza
richiesta. Tale tipo di impegno si
sposa bene con la motorizzazione
ibrida, così come accade nel
mondo dell’automotive, specie
quando si considera l’utilizzo
dell’auto nel ciclo urbano. I vantaggi
che la tecnologia ibrida sta
portando in termini di efcienza
energetica, risparmio di carburante
e minor impatto ambientale
possono essere sfruttati anche nel
nostro settore.
Motori e componenti per OEM
Cultura, tecnica, impieghi
e mercato del motore diesel.
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