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Momenti

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G I U S E P P E B A L L A R I N I

A Giuliana

mia moglie


Ballarini ad una personale

col pittore Gallucci.


“...bisogna che la pittura

faccia pensare

più di quel che lasci vedere”

Leon Battista Alberti

1404 - 1472


Grafica e impaginazione

Daniela Marchini

Fotografia

Michele Alberto Sereni

Fotolito

Fotolito Artistica Città di Castello

Stampa

Grapho 5 - Fano

Finito di stampare nel mese di Febbraio 2001


I N D I C E

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Introduzione a Giuseppe Ballarini

di Mario Omiccioli

Lettera

di Alessandro Gallucci

di Alessandro Gallucci

di Cesarina Gerunzi Zanucchi

di Francesco Carnevali

Articolo

di Marco Zonghetti

di Marcello Cocco

di Nando Cecini

di Iolanda D’Annibale

di Giancarlo Nicolini

di Ivana Baldassarri

di Gilberto Lisotti

di Claudio Ferri

di Ivana Baldassarri

di Mario Omiccioli

Presentazione in catalogo

di Valerio Volpini

di Giorgio Braga

di Francesco Carnevali

di Nando Cecini

di Athos Tombari

di Ivana Baldassarri

Testimonianze

Opere

Momenti

Biografia e mostre

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I N T R O D U Z I O N E A G I U S E P P E B A L L A R I N I

“Pepino

dla Maria dla maestra”. Pepino dla Maria dla Maestra: così

potrebbe essere il titolo di questo libro.

Nome, nonna e madre: una sigla popolare per rispondere alla

comune domanda “ma di chi parli? ma chi è?”

Non per definire l’essenza di un uomo: con un po’ di libero arbitrio

(molto poco) o di fortuna (quasi niente), o di casualità (moltissima), un

DNA avvolgente e determinante.

Lui, il Peppino nato il 26 Dicembre del ‘26 a Montecchio, agrimensore e

pittore di figurine viste dalle finestre di case o di borghi agresti, delle strade

antiche, delle marine solitarie, dei prati con lenzuola stese al sole e di

grandi querce. Immagino che lui abbia voluto questa mia prefazione al

suo libro perché anch’io sono una sigla popolare: Mario de Vitori de

Ragnota.

I miei erano cordai (ragnota da ragno con desinenza gallica) lungo il

porto canale fanese: la “mannella” legata alla coscia destra, i calzoni sostenuti

da una rete attorciliata come una serpe (anche per salpare la tratta),

una pezzuola bagnata per meglio far correre la canapa nella mano.

Tutto quello che non abbiamo dimenticato, non abbiamo lasciato, perché

origine e cuore. Dice Elias Canetti: “Il destino degli uomini viene semplificato

dai loro nomi”. Ego aggiungo, anche dai loro soprannomi.

Così Peppino appartiene a un mondo dato che in parte è anima del

passato, delle sue immagini di persone o personaggi, di figure e figurine,

di caratteri e sentimenti, di cose e paesaggi, di una vita semplice e talvolta

giocosa, pericolosa e tragica.

E continiuamo con i nomi, di artisti, scrittori, critici e giornalisti della

nostra periferia riuniti in queste pagine come in coro.

C’è Alessandro Gallucci e Francesco Carnevali, grandissimi, e anime

nascoste, timorose e agitate, sentimentali. Qualcosa li ugualiava a

Giuseppe Ballarini: si rispecchiavano in un mondo di natura e società, in

una bolla di riflessi e di immagini, con una certa poesia delicata, talora

evanescente.

Gallucci aveva capito il temperamento duplice di questo pittore: “La

sua dote predominante è la sobrietà sia disegnatoria che pittorica, quale

si addice ad uno spirito prevalentemente drammatico, anche se qualche

volta ti sorprende con genuini accenti di tenerezza, quando il colore si fa

delicatissimo quale non ti saresti aspettato dopo aver sentito la quasi

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“petrangole”. In questo libro non c’è solo il momentaneo o il provvisorio,

c’è anche il sacro. E alla fine c’è una sorpresa, alcuni “momenti” - così lui li

chiama - in prosa o poesia, momenti quasi pascoliani, rivelatori del suo far

pittura.

O del cercare un suo assoluto.

Leggete questo “Senza fine”. “Avere ottant’anni o più/ interrare una piccola

ghianda/ e attendere che la quercia/ si faccia così grande da godere/

supino sull’erba/ di lunghe soste/ alla sua ombra”.

Anche questo è infinito.

Ha scritto Elias Canetti: “Vivere come se si avesse dinnanzi a sé un

tempo illimitato. Appuntamenti da qui a cento anni”.

Il libro è dedicato a Giuliana, la moglie. Una donna gelosissima del suo

Pino pittore, non delle modelle che non aveva, ma della natura stessa,

immagini e colore.

Aveva gli occhi azzurri. Un colore che ha lasciato negli occhi dei suoi

nipoti. Quando cominciò a soffrire, cominciò a morire.

E con quegli occhi di cielo i bimbi continuano la vita: e guardando i

quadri del nonno lodano una finestra, quasi alla Henri Matisse, con un

gatto nero. (Vero Claudia, Carlotta, Lorenza e Giuseppe?)

Una immagine sulla continuità di una fine e di un principio, un piccolo

infinito umano, un dentro e un fuori del tempo nel racconto famigliare,

un’altra ghianda da veder crescere per la nostra ombra.

Mario Omiccioli

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aggressiva potenza dei neri essenziali contorni di altri lavori”.

E così Carnevali sulla stesura di questo colore: “Il valore probante oltreché

della costruzione della “figura”, che in alcuni casi si contorce e scatta,

è dato - a me sembra - da questa atmosfera-spazio che la avvolge e la

tiene. E sono azzurrini e grigi, azzurri cupi, oppure gialli rossastri come di

terra; a volte una nota di vivo rosso puntualizza un centro, e bianchi e

rosei e parchi tocchi di altri colori, e invece scale di bruni e più intensi

grigi fino a raggiungere un nero...”

Ho scritto sulla pittura di Ballarini, molto tempo fa: “Questo dialogo in

contrasto non ha necessità di una definizione: è come se per dipingere

abbia bisogno di una altalena”.

Ma i nomi sono anche altri, né li voglio tutti enumerare e vagliare. Non

posso trascurare però Valerio Volpini che mi è stato amico di scuola, di

banco e di tenda e di ribellione patriottica; né la cara dolce Ivana

Baldassarri, generosa di parole significative e amichevoli, concentrate a

rivelare, forse prima d’altri, lo sviluppo degli artisti locali. In varia misura

tutti quei nomi hanno delineato e definito il carattere, il segno (e il sogno)

pittorico ed esistenziale di Giuseppe Ballarini.

Molti hanno evocato Marino Moretti crepuscolare, romanziere e poeta

di queste parti. La madre tanto amata ed evocata, figura spesso centrale

nei suoi racconti, era una pesarese, maestrina andata ad insegnare nella

vicina Romagna, dove nacque Marino, a Cesenatico il 18 Luglio 1885.

Anche il Moretti ha la sua piccola gente, semplice e spesso umiliata che

lui chiamava “le parti di fianco”.

E nella pittura di Ballarini c’è anche il nostro Fabio Tombari, nei suoi

temporali, nelle burrasche che squassano le coste e le scogliere, salgono

con le ondate alle “bilance” e ai “quader”, distruggono le barche nelle

marine non più ridenti.

Non ricordate quel tale che disegnava cavalli sui muri con l’acqua che

gli usciva dalla pistola? Anche Peppino lo disegna questo “coso”.

“Non capì più niente; schiumava di rabbia, tutto rosso vedeva: e con la

scusa di annaffiare il muro, si piantò sotto la costellazione dell’Orsa, rampognando

il Fato...” Un tombariano davvero metafisico.

Guardate la donna o il prete nel vento e nella pioggia con le gonne

alzate: Peppino ci ha fatto vedere anche questo.

Ma cercarle tutte non finirei più. In molti mazzi di carte ci sono molte

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L E T T E R A

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lettera

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lettera


L E T T E R A

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L E T T E R A

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A R T I C O L O

La riviera delle muse - Il serio impegno pittorico di

Giuseppe Ballarini - Retrospettiva del fratello Mario,

immaturamente scomparso

Giuseppe Ballarini ritrova la sua calda vena pittorica a quaranta

anni suonati; l’aveva scoperta nel 1938, ma poi gli eventi

della guerra, le preoccupazioni professionali e una certa inclinazione

alla ritrosia l’hanno indotto al silenzio. Tuttavia si

può riconoscere al pittore, originario di S’Angelo in Lizzola ma residente a

Pesaro da vari decenni, un attaccamento all’arte che ha qualcosa di estremamente

serio; l’approccio è stato meditato a lungo, la tecnica è stata

assorbita esperienza dietro esperienza.

Ballarini ammette di dipingere per puro godimento interiore, come un

fatto personale e basta. C’è invece nella sua arte un messaggio di grande

suggestione, che si estende al pubblico, ai visitatori: la serietà dell’impegno.

Per Ballarini si può ammettere un forte attaccamento al filone neofigurativo,

un ritrovato gusto per il netto contorno degli oggetti, a sottolinearne

la presenza effettiva nello spazio, ovunque indefinibile e squallido,

dalle tinte efficacemente morte: una sistemazione dell’individuo reale

entro una cornice di inespressa atmosfera, il vuoto che ci circonda, l’anomalia

socio-culturale che ci tortura, lo spazio entro cui si vorrebbe costruire

e perpetuare un nostro disegno. Nascono così, nel solitario splendore

di un lacerante deserto, i ragazzi e gli adulti, i lavoratori e i condannati

che svolgono un proprio ruolo allegorico nell’economia dell’opera, nella

sapiente compostezza d’impaginazione e nello slancio ascensionale della

costruzione. Potenti i riflessi impressionisti nel paesaggio campagnolo;

intensi i ritratti, alcuni dei quali iconografici; meno nuovi, anche se strutturalmente

solidi, i grandi oli su lepri e fagiani.

La mostra è allestita nella piccola galleria comunale; vi si ammirano

anche alcuni disegni e tempere di Mario Ballarini, fratello dell’artista,

scomparso nel 1953. Sono schizzi e bozzetti che rivelano una passione

per l’arte, repentinamente troncata da un incidente.

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A R T I C O L O

La riviera delle muse - Pitture ad olio

Forse, il più grande regalo che io potessi fare al serio rigoroso e pur

“vibrantissimo” pittore Ballarini, sarebbe il “riportare” per intero lo

scritto di Sandro Gallucci pubblicato nel catalogo a mo’ di presentazione

- scritto singolare e non soltanto per l’autorevolezza del

giudizio ma anche per la forma linda gradevole e ricca di proprietà linguistica

(specie nell’aggettivazione precisa e felice).

Ma così facendo priverei l’artista espositore di un altro scritto sulla sua

opera (assai meno autorevole, ma al quale, bontà sua, pare tenga molto).

Dice Ballarini: “Per decenni ho dipinto in piena solitudine, in maniera

quasi furtiva, dialogando con me stesso”. Per decenni! Ma quanti anni ha

questo pittore che dopo decenni di lavoro in solitudine, espone la prima

volta nel maggio ‘71?

Pare ne abbia 45, ne dimostra 30 - ma non ha importanza. Importante

invece è la sua opera, e più ancora la sua rara umiltà che l’ha stranamente

consigliato a tenere quasi nascosti per un quarto di secolo, dipinti che

possono fare la felicità degli intenditori più affinati ed esigenti. Delle

tante pitture (esposte e no), le più valide per essenzialità e resa del

“momento più vero”, a me sembrano i ritratti: Luca, Francesca, Gallucci,

Claudia, Alessandra - e specialmente un autoritratto veramente “robustoso

e forte”.

Un poco frettolose e non sempre trasfigurate, invece, talune cose più

recenti; sicché qualche volta di esse rimane soltanto la “malinconia” (o la

tenerezza) che il tema suggerisce. Gallucci scrive che “la scoperta di questo

pittore ci esalta e ci conforta” - lo penso anch’io.

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A R T I C O L O

Nel segno di una tradizione pittorica

Nell’arco delle feste di fine d’anno, nella sala Laurana del Palazzo

Ducale di Pesaro, espone Giuseppe Ballarini. È la terza mostra

che organizza a Pesaro. La prima, all’inizio degli anni settanta,

passò inosservata; la seconda nel 1971 non fece vendere al pittore

nessun quadro, ma gli valse il riconoscimento e la stima di

Alessandro Gallucci; questa terza, dopo aver ottenuto successi a Bologna

e a Roma, dovrebbe far conoscere a Pesaro un suo autentico pittore, per

altro già noto alla critica più attenta.

Giuseppe Ballarini, cinquant’anni portati bene, una folta barba brizzolata,

su di un viso aperto e cordiale, ha l’atelier nella soffitta della sua casa

in via Manzoni. Sono andato a curiosare per vedere come vive.

La sua casa è un tipico esempio di quelle costruzioni che, non più di

mezzo secolo fa, erano il suburbio della città, a ridosso delle mura roveresche,

fuori Porta Fano. Erano case cittadine, ma con le finestre spalancate

sui campi e sugli orti. Proprio un orto racchiuso dalle mura di cinta, illumina

la casa del pittore ed è ricco di ligustri ed allori. Vicino ad una fontana

arcaica un giuggiolo prepotente trama il breve orizzonte chiuso dalle

nuove costruzioni della città in espansione.

Ballarini mi apre la parte più recondita della sua casa.

Nell’atelier il solito quadro incompiuto sul cavalletto riempie la stanza.

Una presenza che qualifica un modo di sentire, e apre interessanti illuminazioni

sulla pittura del Ballarini, è la sua biblioteca con cataloghi d’arte

e libri di poesia (Hoffman, Lorca, Pascoli) e la raccolta di dischi, soprattutto

musica sinfonica e da camera.

Guardo in anteprima le tele pronte per la mostra.

Sono tre anni di lavoro, di difficile ricerca sperimentale. Si vede subito

la vocazione alla pittura, non certo un’evasione da tempo libero. E poi il

mestiere, nel disegno soprattutto, essenziale, pulito, immediato. Si osservi

la vecchietta in ciabatte, che torna dalla messa con le scarpe buone in

mano, per non consumarle.

Una linea armonica riesce a creare un’atmosfera spirituale, un mondo

di poche cose con una dignità e al di sopra di tutto una poetica sottile,

crepuscolare.

La pittura di Ballarini è una poesia crepuscolare, sfumata nei colori

spenti della sua tavolozza.

Ho pensato a Marino Moretti delle “Poesie scritte col lapis”. La sottile tri-

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ARTICOLO

stezza dei pomeriggi domenicali nell’autunno piovoso, la quiete apparente

di certe piazze di paese con la porta aperta dell’unico caffè, la silenziosa

presenza di spalle di due fanciulli seduti su un muro, l’interno di una stanza

con una donna in attesa, sono atmosfere crepuscolari visualizzate nella

pittura di Ballarini, con un segno preciso e con colori di sfumate tonalità.

Ballarini ama le cose semplici della periferia e i personaggi che vivono in

essa carichi di umanità, che a volte è dolore, altre permettono divagazioni

ironiche, altre ancora una sfuggente notazione poetica. La pittura di

Ballarini raccoglie queste impressioni e le rielabora in immagini esemplari

per nitore di forma ed essenzialità di colore. Nel fondo poi traspare evidente

la partecipazione umana dell’artista attento a questa realtà che lo

cir-conda per trasferirla nel magico mondo dell’arte.

È chiaro che la pittura di Ballarini non è improvvisazione di facili annotazioni

bozzettistiche, ma è il risultato di un’appassionata ricerca e in controluce

rivela una tradizione culturale di tutto rispetto, come può essere la

scuola pesarese del novecento, ancora in grande parte da scoprire e da

studiare. Le ascendenze di Ballarini sono evidenti sia nella tecnica che nel

vigore morale della ispirazione. Si è già detto dell’amicizia di Alessandro

Gallucci, che vede in Ballarini un autentico pittore e annota in una letterapresentazione

come la “sua dote predominante è la sobrietà sia disegnatoria

che pittorica”. Queste affermazioni di un maestro schivo come Gallucci

sono qualcosa di più di un semplice riconoscimento di circostanza, ma

avvallano in un discepolato ideale la continuità di una scuola, che annovera

Gallucci tra i suoi autori più espressivi.

Nel filone del novecento pesarese incontriamo altri nomi a cui la pittura

di Ballarini può essere ricondotta più che per esaltanti derivazioni, per lo

spirito che la informa. Penso in particolare a certi olii di Francesco

Carnevali intorno agli anni venti, alcuni paesaggi della periferia pesarese,

le marine con le barche in secca, le processioni, i ritratti di una umanità

sofferente, quelli dei propri cari. Anche Ballarini si richiama a quel mondo

e la sensibilità di interpretazione è la stessa. È in questa continuità di una

tradizione qualificata nella tecnica e ancor più nel rigore interiore della

ispirazione che la pittura di Giuseppe Ballarini è degna di rispetto e di

ammirazione e trova un suo spazio di autentica, indimenticabile poesia.

Periodico “Il Marchigiano” Dicembre 1974

Nando Cecini

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A R T I C O L O

Ballarini è ancorato ad una ricerca figurativa di carattere popolaresco;

comunque, la sua figura non é vecchia e non rappresenta

una sopravvivenza arcaica. Il taglio delle opere é semplice, chiaro

ed incisivo; le figure umane si muovono con proprietà, rifuggendo

gesti ed atteggiamenti stereotipati, tipici in certa pittura odierna.

Ballarini ci mostra una espressione condensata, principalmente su un

colore opaco, terroso, tutto giocato sui grigi, sulle ocre, sugli azzurri nerastri.

La sua opera assume, nella stessa materia, le proprietà del significato.

In questo mondo rarefatto, dove sembra di sentire ancora profumo e

sapore, si agita una plebe stanca, rassegnata, succube di un destino

ingrato, nel quale scaturisce la miseria di fondo, la sacra povertà.

L’intenzionalità formale si determina subito, senza incertezza; diventa

un fascio di luce che dirige quanto è intorno a sé: l’oggetto scoperto

viene messo a fuoco con una particolare vena poetica.

La sua sicurezza non scompare mai: pittura antica che guarda alla stessa

tradizione pittorica marchigiana e non manca, tuttavia, di una personale

visione, di un proprio rigore.

Ballarini, sempre presente e vigile nei suoi contenuti - dalla lontana “Via

Crucis” alle attuali composizioni - ricontempla una realtà ormai lontana.

Si può affermare che Ballarini è vero pittore; egli sa cogliere la profondità

dei sentimenti e del cuore umano, in special modo quello più umile.

Vitalità e forza scaturiscono dalla materia: artista nitido come l’alba, ci

offre la luce fresca della sua tavolozza. La figura sta all’origine della sua

fabulazione fantastica, opera nel subcosciente e determina il processo

creativo.

Da Esquire & Derby, 1975

Iolanda D’Annibale

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A R T I C O L O

Accanto agli artisti autentici, creatori, molto rari, vi sono, osservò

Benedetto Croce, folte schiere di anime artistiche: personalità

che non hanno vera forza ed autonomia, incapaci di dire qualcosa

di nuovo, ma tuttavia sensibili all’arte e di essa, sia pure in

misura minore partecipi. E come in ogni campo della attività artistica

dell’uomo, anche nella pittura esistono naturalmente pittori che durano

quanto una stagione (e questi sono i dilettanti della pittura) e pittori che

invece hanno la consistenza del sasso, perché veri artisti nel senso più

completo della parola. A quest'ultima categoria appartiene Giuseppe

Ballarini. Fra i pittori marchigiani della nuova generazione l’artista pesarese

è già figura di rilievo: creatore solitario, Giuseppe Ballarini è un solista

che corre su una strada tutta sua, uno spirito che, qualunque cosa faccia

si muove sempre dentro se stesso, per quel pizzico di orgoglio ma soprattutto

di umiltà e di verità di restare fedele.

Del resto, ciò che ha sempre fatto gli somiglia molto e i dipinti esposti

alla Sala Laurana di Palazzo Ducale di Pesaro più degli altri.

Sebbene sia un uomo quasi “invisibile” per la sua indole riservata, taciturna

e riflessiva, la pittura del Ballarini non è altro che il lungo racconto

del come egli partecipa all’esistere degli altri. Dice bene Valerio Volpini in

catalogo: “i suoi quadri sono quasi sempre pagine aperte sull’uomo”.

Le sue figure sole, i suoi volti immobili, quel senso di carne patita che le

riveste come la scorza degli alberi, sono figurazioni emblematiche e notturne

con rapidi squarci di illuminazione che ne accrescono il mistero,

cariche come sono di loro forza inventiva e di un vivace dettato di poesia.

Numerosi sono i pittori che hanno affrontato la figura umana: chilometri

di tela dipinta raccontano lo stesso tema. Ma pochi sono stati capaci

come il Ballarini di infondere a questi corpi stagliati, asciutti, un animo

così difficile, struggente e appassionato.

Nel mondo dell’artista pesarese sfuma un indicibile tormento interiore,

le sofferenze e il dramma di una umanità tormentata che è costretta a

vivere in un mondo pieno di contraddizioni e contrasti.

Di qui, quel senso di attesa, come se le sue creature attendessero di

conoscere il perché di tutto: di essere, di vivere, di andare lentamente

verso la morte.

Un pittore vivo quindi, che lavora per il difficile piacere di esprimere

fino in fondo una emozione.

23


ARTICOLO

E più un pittore è vivo e più sono le domande che uno può rivolgersi

leggendo i suoi lavori.

Le risposte vere a qualsiasi interrogativo sono “i dipinti stessi”. E quelli

riprodotti nei grandi e piccoli formati alla sala Laurana ci confermano la

verità e la lealtà di Giuseppe Ballarini: dipinti che ci vengono incontro con

genuina immediatezza, desiderosi di essere capiti ed amati, così come

sono nati dalla fresca ispirazione dell’autore.

E non è poco. Se il pittore continua ad ascoltarsi, come ha sempre fatto

e tutt’ora sta facendo, per molti ci sarà ancora una bella isola di poesia.

Corriere Adriatico, Gennaio 1975

Giancarlo Nicolini

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A R T I C O L O

Via Crucis: tre suggestive interpretazioni di pittori.

Tre pittori pesaresi, Mariotti, Gallucci e Ballarini per un argomento

quanto mai complesso, ricco di significati e di interpretazioni che

in duemila anni ha mantenuto autentica e viva, la tensione profetica

del richiamo di Cristo.

Parliamo della Via Crucis di Fernando Mariotti (nella chiesa parrocchiale

della Madonna di Loreto) e di quella di Sandro Gallucci (nella chiesa di S.

Carlo Borromeo) alle quali si è aggiunta, pochi giorni fa, quella di

Giuseppe Ballarini nella bella chiesa di Cristo Risorto.

L’opera di Mariotti rivela una calda partecipazione ad un evento che la

tradizione ha arricchito di spunti popolari; l’artista ha rivissuto la Via

Crucis con l’ottica dei “puri di cuore” o forse attraverso i ricordi delle sue

prime pratiche religiose nelle immagini che esse gli destavano ancora. Il

pianto delle donne, il dolore della Madre, la forza del Cireneo, il rosso

gonfio e ricco delle vesti, la bulica indifferenza di Pilato e la livida, grigia

solitudine di Cristo e la tristezza di un sacrificio che sembra abbandono.

La Via Crucis di Gallucci (doppiamente sacrificata sia per la limitante

sistemazione binaria, sia per la posizione troppo rialzata sulle fredde

vetrate della Chiesa di San Carlo), sembra che sia stata liberata da ogni

consonante umana e religiosa, in una visione rarefatta e dissanguata;

nell’originale stesura compiuta direttamente sulla tela bianca con un

segno acuto e sapientissimo, sembra essere rimasta viva solo l’idea del

dolore, del sacrificio; dell’immolazione, della segreta e misteriosa offerta;

e proprio all’ultima stazione, quando tutto è stato veramente e interamente

compiuto, Gallucci non lascia sulla tela che la parvenza dei personaggi

e dell’ambiente; nell’aria trasparente ed opalina la speranza di una

mistica realtà; quella della Resurrezione.

Ai nomi di questi due nostri grandi pittori, va aggiunto ora quello di

Giuseppe Ballarini che già nel 1972 si era cimentato nella inquietante e

misteriosa storia della Via della Croce. Ora le sue quattordici stazioni, scarne,

essenziali, intense, si possono ammirare, disposte in maniera tutta

nuova e inusitata, nella chiesa parrocchiale di Muraglia (chiesa che, come

poche, riesce a mantenere con un equilibrio davvero raro una severa e

serena spiritualità senza tentazioni di inutili e disarmonici abbellimenti).

A chi domanda cosa pensasse durante la stesura della Via della Croce,

Ballarini risponde che aveva sempre presente sua madre durante la recita

del Rosario.

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ARTICOLO

La spiritualità delle sue figure nasce dalla dimensione stessa dell’esistenza

umana anziché da motivazioni concettuali e ideali.

Questo suo Cristo, che riusciamo a vedere in viso solo nella sepoltura,

matura stazione per stazione, con profonda intensità la partecipazione di

Dio all’inquietudine che turba ogni uomo contemporaneo: ma tanto

scandaloso umiliarsi di Dio non può essere per nulla. Il mistero di questo

mistico subire chiodi e legno e solitudine e incomprensione, porta necessariamente

al mistero della Fede che non è testimonianza di cultura, ma

coraggioso e totale abbandono nell’Amore.

Ogni personaggio configura nella stilizzazione dei corpi, nelle smisurate

gestualità, nelle severe solitudini questa ricerca di Fede coraggiosa. Il

segno, istintivo e sicuro, libero da ogni accademismo, testimonia che

l’emozione autentica dell’artista fa nascere sempre un rapporto quasi fisico

fra opera e fruitore rendendo possibile un discorso eloquente pur nella

sua estrema semplicità, il discorso di Cristo.

Il Resto del Carlino, Dicembre 1976

Ivana Baldassarri

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A R T I C O L O

Una sinfonia zingaresca come riscatto degli umili.

Giuseppe Ballarini, pittore pesarese dell’umiltà, noto per avere

riempito le sue tele con le spalle più o meno chine di tanta

piccola gente della nostra periferia, ha fatto suo il mondo

degli Zingari. Si è innamorato degli Zingari. Se n’è lasciato

affascinare, ammaliare, stregare. Li ha cercati a lungo, di giorno e di sera,

ai margini delle strade; li ha, più o meno furtivamente, osservati nelle loro

apparizioni fugaci; li ha studiati nei loro accampamenti pittoreschi, fra le

tende, i cavalli, i fuochi notturni, gli stracci multicolori; li ha spiati di spalle,

li ha fissati nel viso e negli occhi; li ha frugati nell’anima, giovani e vecchi,

donne e bambini, zingari e cavalli. E ne ha creato una sua nuova sinfonia

pittorica. Una sinfonia di marroni bruciati, con chiarori di fuochi e nero di

occhi, che un giorno d’inverno, sotto le feste natalizie, ha presentato, a

Pesaro, nella Sala Laurana.

Zingari ritratti solo come figure dal portamento eretto, dagli occhi

“magici”, dai profili “fantastici”?

Zingari come “straccioni”?

Zingari come “ladri” e “stregoni”? Come nelle leggende, che una volta

terrorizzavano i bambini?

No. Niente nella pittura del Ballarini, sempre scarna e drammatica, sempre

sofferta, sempre intenta a una ricerca del reale umano, a una indagine

psicologica e sociologica insieme; niente di ispirato al puro gusto della

bellezza fisica o del folclore.

Zingari come popolo errante. Come “gente in continuo andare”, ci dice

il pittore. Ma gente in continuo andare per maledizione. Senza nessun

anelito al viaggiare. Nessuna ansia di scoprire il mondo. Nessuna voglia

ardente di goderselo. E nessun gusto del paesaggio vario. Nessuna contemplazione

di monti o di mari. Nessuna gioia per i colori. Intorno alle

figure degli Zingari, nient’altro che aloni di luce, tra ombre e penombre

indistinte.

Dunque, che cosa, del mondo zingaresco, ha ammaliato il pittore?

Gli Zingari al Palazzo Ducale.

Ero entrato a vederli per pura curiosità. Lui, Ballarini, in mezzo al salone,

in piedi, sorridente ai “Bravo!” di un maestro della pittura pesarese: Sandro

Gallucci. Alle quattro pareti, la sua sinfonia zingaresca. Come una giostra,

un carosello, un convegno. Ma senza aria di festa. Zingari come ombre

meste nella penombra rossastra della sera. Sagome infreddolite, intorno a

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ARTICOLO

fuochi nella notte. Davanti alle tende, occhi di zingari e vampe di fuoco,

come spiriti purganti tra le fiamme del purgatorio. E gran silenzio. Zingari

muti. Senza parole tra loro. Zingari soli. Come nel deserto. Soli, impenetrabili,

corazzati di un dolore atavico, separati dagli altri uomini da un’indifferenza

reciproca, come da una sabbia invalicabile. Zingari dolenti, ma

senza alcuna attesa di pietà. Senza alcun lamento o rimpianto.

Zingari come uomini. Come squarcio di umanità. Non come mondo

pittoresco. Uomini, scavati nell’anima. Occhi, visi, membra del corpo, solo

come espressione di una tensione intima. Terre d’ombra bruciate con

nero di occhi e chiarore di fuochi, come segni di una concentrazione

drammatica. Occhi e labbra taglienti, spalle erette, gomiti serrati ai fianchi,

come a difesa di un orgoglio ferito. Uomini drammatici, ma senza teatro.

Dolore senza grido, come senza grido il dolore accettato dal Cristo

che porta la sua Croce nella “Via Crucis”, dipinta dal Ballarini per la chiesa

di Cristo Risorto.

Zingari come uomini di coraggio. Fieri nella maledizione. Alteri.

Nel dipingere altri uomini dolenti, gli uomini umili, i vinti della periferia,

il Ballarini non aveva mai osato rivelarne il volto. Pudico, rispettoso del

dolore altrui, poiché il dolore, la miseria, la sventura umiliano ancora, il

Ballarini aveva ritratto la sua piccola gente solo di spalle. Solo spalle

chine, struggenti, sfuggenti. E niente visi. Nel ritrarre gli Zingari, no. Non

ha più avuto timore. Negli Zingari ha incontrato visi e occhi dolenti, sì, ma

senza ombra di pianto. Occhi da sfida.

A mio avviso, è questa sfida che l’ha ammaliato. Una sfida, che il pittore,

così partecipe del dolore altrui, ha sentito come una rivincita. Una rivincita

di tutti gli offesi. Un riscatto inatteso, gioioso. Un riscatto, che non può

non avere un riscontro anche autobiografico, perché in ogni suo zingaro

è lui, come era lui in ogni piccolo uomo della periferia che, schivo, volgeva

le spalle nelle sue tele. Ogni ritratto dipinto dal pittore è, consapevolmente

o no, un suo autoritratto. Altrimenti non si spiegherebbe il fascino

esercitato dagli zingari su di lui, né l’evidente forza lirica delle sue figurazioni

artistiche.

“Il Resto del Carlino” Pesaro, Marzo 1977

Gilberto Lisotti

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A R T I C O L O

L’impressione di “respirare” il colore

Se vai a visitare la mostra di pittura di Giuseppe Ballarini al Palazzo

Ducale, la prima impressione che provi è quella di “respirare” il colore

(il leonardesco lume universale senza sole) che pervade l’animo,

prima ancora di colpire l’occhio. Se l’effetto che provi è, appunto,

questo, se la ovattata morbidezza dei colori suggerisce qualcosa di nuovo

e di bello o, meglio, il pieno godimento estetico, vuol dire che Giuseppe

Ballarini ha estrinsecato la sua personalità come forse nemmeno lui stesso

se l’aspettava, in maniera intensa ed elevata, nel momento giusto, in

quel preciso stato di grazia in cui anche ai pittori (e non solo ai poeti)

capita eccezionalmente di toccare il cielo col dito.

Dagli “appunti poetici” ai paesaggi, dai ricordi del “piccolo paese” alle

“strade bianche”, dal mondo ingenuo e patetico dei ragazzini a quello

semplice e bello che si intravvede al di là delle “tre finestre”, sprigiona una

forza espressiva che ti assale d’impeto, ma ti avvince, ti trascina, ti affascina

senza che tu te ne avveda.

E c’è di più. C’è persino il recupero, in maniera insolita, perciò originale,

della poesia crepuscolare (chi non ricorda “La signorina Felicita” o “L’amica

di nonna Speranza” di Guido Gozzano?) con toni garbati che lasciano

assaporare espressioni ed atteggiamenti tendenzialmente sentimentali,

non privi, però, di un disincantato distacco dalle cose del mondo piccoloborghese

ed ottocentesco della “vetrinetta” con le suppellettili, le foto e le

patetiche rievocazioni del passato.

La nota dominante, comunque, nella pittura di Ballarini è e rimane il

colore che non è solo un aspetto epidermico della realtà, ma anche un

appropriato commento lirico dell’“altro da sé” sentito e sofferto in termini

talvolta idilliaci o, meglio, in chiave psicologica.

Il disegno stesso, che affiora dal tenue contrasto cromatico, ha sì una

formale precisione anatomica, ma non costringe la realtà entro limiti forzati

ed angusti, anzi l’avvalora e la idealizza. Disegno, colore e racconto

esprimono dunque, momenti diversi in un unico messaggio, momenti nei

quali è dato avvertire il senso della vita, accompagnata da una gioia contenuta

e da una solitudine pensosa. L’uomo, la natura e le cose non sono

la semplice rappresentazione emblematica del reale: ogni uomo, ogni

spazio dell’universo, ogni oggetto hanno una vita propria, sono immagini

non astratte, ma concrete: sono essere, sono cose che hanno una loro storia,

un distinto profilo psicologico e naturale.

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ARTICOLO

E, infine, da notare che Giuseppe Ballarini ha brillantemente commentato

con i suoi disegni “Qualca goccia tel mer”, un volumetto di poesie in vernacolo

di Carlo Pagnini, presentato ai lettori con raffinata eleganza da

Vinicio Marini. Il libro è stato distribuito ai visitatori e alle autorità in occasione

della “vernice”. Il pubblico presente nella Sala Laurana non solo ha

dimostrato di accogliere favorevolmente l’iniziativa di Carlo Pagnini “da

molti anni applauditissimo interprete di teatro dialettale e di cortometraggi”,

ma ha anche molto apprezzato di Ballarini “l’omaggio a Gallucci”,

l’artista pesarese che da molti anni occupa un posto preminente nel

campo delle arti figurative.

“Il Resto del Carlino” Pesaro, Novembre 1979

Claudio Ferri

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A R T I C O L O

Per arrivare alla soffitta di Giuseppe Ballarini si sale una bella,

grande scala di legno scuro; sul muro bianco, rustico e poroso

che ci accompagna per due piani fra libri e oggetti di una quotidianità

contadina ormai scomparsa, i suoi quadri. È privilegio di

pochi o di pochissimi salire quella scala per entrare in quella soffitta.

Giuseppe Ballarini è un solitario tenace camuffato da creatura socievolissima:

offre subito l’illusione di donarti la sua confidenza, di farti partecipe

dei suoi pensieri e dei suoi progetti, poi scompare per anni in una totale

assenza, protetto da un silenzio fitto e sdegnoso per il quale riuscirà a

rimproverarti al primo casuale incontro, come se tu fossi l’unico colpevole

di quella interruzione di dialogo. Ma se la sorte ti sarà favorevole e salirai

quella scala di legno scuro fino alla sua soffitta vasta e accogliente e se

riuscirai a carpire dai suoi quadri i sentimenti e le tensioni, i tumulti e le

debolezze, le seduzioni e i palpiti inconfessati che li hanno configurati,

allora ti sarà amico. Per sempre.

Giuseppe Ballarini è pittore per inderogabile vocazione, per sfida nei

confronti della sua stessa vita, e per l’insopprimibile desiderio di raccontare

con i segni e i colori tutte le emozioni che via via la sua acuta e attenta

percezione gli procura: la sua professione lo porta quotidianamente

lungo le strade della nostra provincia che egli conosce palmo a palmo e

di quelle strade ama gli alberi, i campi che vi si affacciano, i profili dolci

delle colline, la solidità antica dei paesini in controluce e come nessuno sa

raccontare l’atmosfera ormai svaporata e irreale di quei paesini dove vivono

ancora i preti con la tonaca lunga e lucida, il cappello tondo e largo e

le vecchiette con il fazzoletto annodato sotto il mento e le ciabatte di

panno e bambini pensierosi che si stupiscono ancora del correre delle

nubi, del brontolio del temporale e di una fiaba, raccontata sul far della

sera sui gradini di casa da una nonna che non guarda la TV.

Pittura di nostalgia e di memoria, quasi un ricomporre attraverso le

immagini della coscienza, un mondo semplice e sano intessuto di rustica,

intensa tenerezza: a questo mondo Ballarini ha dedicato moltissimi quadri,

nei quali alla configurazione solida delle figure fa contrasto l’evanescenza

dell’ambientazione resa determinata e riconoscibile solo da particolari

improvvisi e rari: una seggiola, un rosario, un vaso di fiori, una finestra,

una ringhiera e il profilo di un vecchio castello: i colori si riscaldano,

si arrossano quasi ad assorbire e riflettere la luce del sole che scandisce

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ARTICOLO

la porta della soffitta sui tetti di via Manzoni era sempre aperta; a lui

Ballarini confidava con autentico abbandono ed incondizionata fiducia

emozioni e progetti, confessava incertezze e limiti, registrava maturazioni

e progressi.

Ora che ha la barba tutta bianca, Giuseppe Ballarini vuole, forse ricordando

cari e lunghi discorsi fatti con Gallucci, dipingere grandi quadri

che sappiano “raccontare” non più aneddoti, luoghi e personaggi, ma le

emozioni, i riflessi interiori, i palpiti, le folgorazioni, le malinconie che ha

accumulato in tanto tempo di silenzio: e sarà certamente la luce a diventare

base espressiva della sua pittura, non in quanto rappresentata, ma

come principio generatore ed operante: quella luce in trasparenza, già

protagonista indiretta di tante sue opere, che rende diafani e timbrati i

colori, che sospende come a mezz’aria i confini delle forme, che permette

il sovrapporsi dei toni diversi, come velature.

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ARTICOLO

sovrano i tempi di un vivere al suo tramonto storico; gli spazi si dilatano

come sogni fra spessori di nebbie opaline accogliendo alberi, case e

pagliai in un universo nuovo e trasfigurato dove il vento è dramma e

festa.

Qualche anno fa Giuseppe Ballarini si innamorò degli zingari; fu un

amore incandescente, totale e insensato e che, come tutti i grandi amori,

invase gli spazi mentali della sua attenzione e della sua emotività e fu

forse l’espressione di un lacerante desiderio di trasgressione e di fuga, di

libertà e di avventura. E la sua soffitta fu piena di cavalli e di fuochi, di

gonne co-loratissime di femmine nomadi sfuggenti e maestose, di gesti

selvaggi, di canzoni tzigane e di pressanti interrogativi su una realtà che

pur sfuggendogli, invischiava ogni suo pensiero. Fu una malia: dipinse

con il tumulto nel cuore; il cromatismo si rabbuiò anche se a tratti il giallo

e il rosso e l’azzurro esplodevano come incendi; la materia pittorica si raddensò

in una concentrazione quasi carnale; il segno si fece più veloce e

rapido ritmato dall’incalzare delle immagini. Ballarini sembrò aver dimenticato

la dimessa mitologia del suo universo paesano, ma quando la travolgente

passione per gli zingari per il loro vivere sfrontato e nomade si

quietò, gli rimase per un po’, sotterranea e dolorosa la paura di aver perduto

la capacità di sognare e per qualche tempo si identificò forse in quel

grande guerriero riverso e ferito con le mani abbarbicate alla terra quasi a

riacquistare coscienza di una realtà e di una verità abbandonate per inseguire

le forme seducenti e splendide dell’immaginario: visione calda di

sole, confortata dal contatto solitario e silenzioso con la terra viva e accogliente

e a dimostrazione di una nuova maturità artistica conquistata,

trova con l’andamento obliquo delle pennellate una stesura più lieve,

quasi inconsistente che offre al volume della figura distesa l’espressione

dinamica. Con “il Guerriero” Ballarini forse si stacca dalla preoccupazione

del raccontare, per raggiungere con un’intuizione più sottile e trasfigurante

(pur nella perdurante coscienza figurativa) la ricreazione di un’immagine

compiuta in se stessa anche se lacunosa rispetto alle apparenze

naturali.

Nel suo lungo e solitario cammino artistico Giuseppe Ballarini si affiancò

per qualche anno all’ormai anziano pittore pesarese Alessandro

Gallucci che gli fu unico confidente, amico e maestro; a lui non si sottraeva

per fastidio o per distrazione, con lui non recitava socievolezza, per lui

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A R T I C O L O

Ballarini e l’ottocento ritrovato

Se uno si affida al sentimento, il tempo passato è più facile ritrovarlo.

E come un intreccio di venti, il contrasto in noi stessi ci fa variare

tra memorie diverse. E così lo stile gli vien dietro.

Ognuno si accorge che c’è un Ballarini dei piccoli quadri, ritratti

critici, umoristici, di personaggi e d’atmosfera, vedutine e scenette deliziose

del quotidiano, agrodolci o solo patetiche: gli sposi, la coppia in

vacanza, le anziane, i marinai, le donne appoggiate al muro, il curato e la

perpetua, donne, ombrelli e mutande nel vento e così via. Vi domina un

azzurrino e verde ma soprattutto un personale rosa o rosso-rosa.

E proprio per contrasto vien fuori l’altro che è in una dimensione più

lontana e più grande e perciò meno critica, più storica ma colma di significati.

Talora ottocentesca, quasi preraffaellita, o neogotica nel guerriero

caduto in una terra erbosa e solitaria e definitiva, soprattutto di aria

romantica, come con evidenza nel violinista, tra cupi cipressi e un biancore

di scena o nelle sequenze degli zingari, specie donne con volti scuri,

gonne verdi e bianche, fuochi e cavalli, passi di danza o come la zingara

sporca o morata e nuda in un cielo rosa, o la bella giovane triste e amorosa,

immersa nella malinconia del paesaggio, quasi un segno di una libertà

illusoria, amara e dolorosa.

Proprio perché è una ricerca nel tempo sentimentale, c’è una pittura

rupestre e la ricerca del simbolo, come nella grande barca di legno, spezzata

alla riva del mare, con l’onda che la penetra e la sommerge, o nella

tempesta di mare sulla scogliera dove regge l'urto un capanno di pescatori.

Ma lo stesso simbolo è nei grandi quadri di querce di variate colorazioni,

con le vecchie che guardano bianche lenzuola ad asciugarsi nei

prati, una grande natura per piccole cose. Le diverse e contrastanti suggestioni

di Ballarini, si uniscono così tra uomini e natura, tra il piccolo e il

grande, il prossimo e il distante. Questo dialogo in contrasto non ha bisogno

di una definizione: è come se per dipingere abbia bisogno di un’altalena.

O anche di ascoltare più voci e alternandole ritrovare un nuovo sentimento.

Il piacere buono di dipingere e di vivere. Un sentimento da

vedersi con gli occhi, con colori grandeggianti, tumultuanti o un piccolo

alone d’oro.

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P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O

Conosco Ballarini da venticinque anni; uomo di poche parole e

schivo, appartiene al numero di quegli amici coi quali ci si trova

d’accordo e con cui ci si mantiene legati anche se passano intere

stagioni senza vedersi. In un mondo che affoga nelle parole,

in messaggi e smancerie, il suo modo di essere contegnoso, sino alla

riservatezza, m’è sempre sembrato la prova di un qualcosa in più che egli

potesse avere.

Lo conosco come professionista, preparato e scrupoloso, ed ora quasi di

colpo lo trovo pittore, con un racconto già spedito e significativo. È stata

per me una rivelazione e capisco adesso anche il suo modo di fare e di

essere.

La sua pittura è il lungo racconto del come egli partecipa all’esistere

degli altri. Chi, come me, fa professione non di critico d’arte ma si occupa

di letteratura, è facilitato dalla lettura dei suoi quadri proprio perché si

tratta sempre di pagine aperte sull’uomo. E si entra immediatamente nel

significato della sua pittura così come si legge una pagina schietta un

poco ingenua e intensamente poetica.

Il suo racconto tocca inquietudini e sofferenze; le figure amare o solitarie,

con quel tanto di alone patetico da cui sono evidenziate, esprimono

una cronaca che talvolta assume anche toni di particolare violenza.

Ballarini è tutto inteso allo scavo della condizione interiore dei protagonisti:

vede l’atteggiamento cadente e stanco delle creature (si noterà

come li ritrae quasi sempre di spalle, come si allontanassero da un centro,

da una luce) e le circonda di profonda pietà che non è solo sentimento

ma anche dramma e richiamo alla fatica del vivere. Che egli voglia cogliere

solo questo nodo del racconto lo si vede dall’assenza di altre prospettive

e nell’essenzialità di un movimento figurativo anche grottesco, anche

iperbolico.

È il mondo di una periferia simbolica facilmente identificabile nella sua

memoria e da questa la partecipazione si fa più struggente e a volte

ansiosa, come quando in certi quadri - confessandosi - colloca le sue creature

solitarie di fronte alla croce.

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P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O

Poeta della piccola gente

Vdella natura incorrotta. Ed esportata, diviene solo un modo di

evasione, come lo fu il mito del buon selvaggio, all’epoca della

rivoluzione francese.

Pittura dialettale? Forse si, se al termine dialettale non si

imprime quella connotazione di sufficienza, che ad esso danno coloro

che da una sola generazione hanno imparato a parlare in lingua, e vogliono

scrollare da se il ricordo di come parlavano i loro padri.

Certo si, se nel dialetto si crede come mezzo per raggiungere l’universale

attraverso il quotidiano: cioè l’uomo che è grande, pur nella sua piccolezza.

Il quotidiano della “umile Italia”, per dirla con Dante, che non si

spauriva certo di fronte al grandioso.

Pittura che chiede che ci si accosti ad essa con amore, senza chiedere

folgorazioni ma neppure compiacenze crepuscolari. Così come la piccola

gente, che sa quanto sia logorata la vita senza gesti, e si raggruma in se

stessa, chiedendo comprensione a quanti tentano di vivere.

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PRESENTAZIONE IN CATALOGO

ecchie vestite, come fossero in lutto. Giochi innocenti di bimbi. Poveri

amanti. Preti dalla tonaca lisa. Personaggi di periferia. Ecco la “piccola

gente”, che incontriamo nei quadri di Ballarini.

Piccola gente che non ha dalla sua, come i proletari del Nord, la forza

contrattuale ed i profeti dell’avvenire. E neppure l’alone della disperazione,

come i sottoproletari del Sud, cui fa eco il compianto di registi e di

romanzieri neorealisti. Per comprenderla occorre, appunto, uscire dalla

dialettica delle due italie, quella settentrionale, industrializzata e moderna,

e l’altra, quella meridionale, sottosviluppata e tradizionale. Qui siamo

in quell’area, che si estende dalle Romagne alla porte di Roma, che ha

conosciuto le autonomie comunali, in cui l’umanesimo ha trovato il

primo sostentamento ed il rinascimento il massimo splendore.

Una terza Italia che si è poi addormentata come in un sogno, ignorando

la rivoluzione industriale. Da ciò la “piccola gente”, che vive di una gracile

economia, ma che è intrisa di civiltà secolare, ed ha ancora un proprio

spazio vitale, scavato alla sua dimensione.

Un mondo che il pittore tratta con un disegno scarnito, che procede

lungo l’argine sottile che divide la malinconia acre dal grigiore del quotidiano.

Disegno che riempie campiture di toni smorti, con qualche macchia

di nero. Sinfonie di grigi, condotte con estremo riserbo.

Una tecnica la quale rifiuta ogni estrosa ricerca, per essere più aderente

ai propri soggetti.

Un riserbo che è il riflesso del pudore con cui questa piccola gente, che

vive nell’ombra di un grande passato e quasi ne è intrisa, ricopre le proprie

miserie, dando loro umana dignità.

Nei poveri amanti, vi sono, forse, i figli di quelli narrati da Pratolini. Le

figure di periferia sono, forse, tratteggiate con il “lapis” di Marino Moretti.

Il prete dalla tonaca lisa è (addirittura?) il fratello minore di quel curato di

campagna, figlio di un’altra (ma non dissimile) provincia, che Bernanos ha

cantato.

Gli aquiloni librati nei versi del Pascoli si innalzano nuovamente, emblemi

della fanciullezza, anzi della memoria della fanciullezza.

Impresa non facile quella del Ballarini. Poiché si tratta di una pittura

“altra”, sia da quella della contestazione espressionista che discende dal

Nord, che da quella che risale dal Sud, pregna di umori populisti. E neppure

si tratta di pittura “naive”, poiché questa vuole dietro di se il mito

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P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O

Il nome di Giuseppe Ballarini non è affatto nuovo a chi segua lo svolgersi

della pittura contemporanea nella nostra provincia. Egli più volte

si è cimentato a pubblico giudizio in Pesaro dove risiede ma anche in

grandi città come Roma, Bologna, Milano, quasi volesse ricevere conferma

alla valutazione del proprio operare, e le voci con le quali il risultato

del suo lavoro è stato accolto sono pressoché concordi. A presentarlo

sarebbero quindi bastate alcune di queste voci di cui conosco il peso, giacchè

poco potrò aggiungere ad un multiplo consenso. Eppure mi piace di

parlarne agli amici di Urbino molto semplicemente nel tentativo di definire

questa sua pittura tanto coerente con la sua umanissima persona.

Egli dipinge tutto teso ad un intimo ascolto e riesce a dirci quanto si

aggira ed urge nel suo pensiero: una specie di racconto della vita quale a

lui si presenta ed egli richiama da incontri avvenuti, da stati d’animo evocati,

da acute osservazioni sul nostro ciclico andare, condotto ad immediata

evidenza, schivo di sovrastrutture e scabro nella strutturazione, e pur

gentile di tono quasi dimesso (tanto che taluno e non impropriamente ha

fatto il nome di Marino Moretti) e a volte doloroso (tanto che taluno ha

scritto di “spirito prevalente drammatico”). L’uomo vi è colto in rapide sintetiche

annotazioni con una giustezza di moti, che pur nascondendone

quasi sempre il volto, ne cogli un carattere, ne puntualizzi una età; e le

figure o figurette vivono in spazi che , si tratti di aperture su vasti orizzonti

o di chiuse mura di ambienti - non altro rappresentano che la proiezione

di una condizione umana o di un fuggevole stato d’animo; ed è sufficiente

che egli renda verosimili i luoghi con alcuni elementi ora ben definiti ora

accennati e li immerga in stesure di colore modulate e svarianti, sì da

avvolgere ogni parte, per esprimere quanto intende rappresentare o evocare:

e, allorché l’accordo fra gli essenziali elementi è direi “istintivamente”

dosato, l’equilibrio è raggiunto, nulla che potresti toccare, il dipinto vive. Il

valore probante oltreché dalla costruzione della “figura” che in alcuni casi

si contorce o scatta, è dato - a me sembra, - da questa atmosfera - spazio

che la avvolge e la tiene. E sono azzurrini e grigi, azzurri cupi, oppure gialli

rossastri come la terra; a volte una nota di vivo rosso puntualizza un centro,

e bianchi e rosei parchi tocchi di altri colori, e invece scale di bruni e

più intensi grigi fino a raggiungere un nero, rivestono le figure o determinano

pareti ed ombre.

Questo è apparso a me , che osservavo la serie di tele condotte a termine

dal pittore negli ultimi mesi, e vorrei indicare alla vostra attenzione

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PRESENTAZIONE IN CATALOGO

l’episodio delle tre vecchine nel gran paesaggio innevato o quello dei tre

ragazzi intenti a seguire dietro l’impannata la minaccia del temporale; o la

nonna e il nipotino dalla proda del campo diversamente incantati dall’irridente,

tanto lontano fuoco d’artificio; o quell’andare dei vecchi con le

grosse braccia e le ruvide mani ripiegate al dorso o il giocatore di bocce

pronto al lancio della palla; o quel confessionale dalla tenda rossa

nell’umile chiesa; o la salma della giovinezza stroncata giacente bianca in

un turbinoso vento di terra; oppure l’anziana donna sola nella camera

matrimoniale, o la vecchia ansiosa di rivedere un tenue guizzo di vita nel

fuoco-fatuo, oltre il cancello del cimiterino; o i due, fanciullo e fanciulla,

che siedono sull’alto del muro in beato rapimento e la indifferenza o peggio

la soddisfazione di un “bisogno corporale” dei ragazzi accanto alla casa

bruciata o contro il grande edificio in rovina, o anche - e mi sembra l’unico

caso in cui un volto scopertamente appaia - il dolce viso e il delicato braccio

di donna in trepida sottomissione piegata ad accogliere sia pur con

violenza, seme di nuova vita.

Vi accorgerete come queste figure e figurine nulla contengono di studiato

accademico, ma pervengono direttamente dal “vivo”, osservazione

esatta

(e più che osservazione direi “trasmissione”) rattenuta dalla memoria e in

rapido tocco con giustezza tonale fermata e racchiusa nell’atmosfera “sentimentale”.

Vi prego di non sorridere sull’uso di un aggettivo considerato stantio e

malfamato (non ho saputo trovarne altri) giacché credo che l’intimo moto

e non altro abbiano generato queste figurazioni di Giuseppe Ballarini.

Ascoltandolo parlare di una sua professione di tecnico agrimensore e

costruttore di case nella campagna, a contatto con umile gente in luoghi

sperduti e con la vicenda delle stagioni, oppure della propria famiglia -

parlare in termini schietti di una semplice vita di lavoro e di ansie - e poi

con sommesso calore, quasi temente di mostrarsi, cennare a questa sua

passione per la pittura, in lui giacente forse da sempre, coltivata in segreto

e da poco condotta allo scoperto - ecco l’uomo riflettersi nel suo modo di

dipingere con quelle note di illusioni e di ripiegamenti, di scatti di vitalità e

di umili accettazioni, che si leggono nel “segnare”, e a volte sottolineare

con un denso nero una forma che si contorce o balza, oppure nell’includerla

con delicato tocco nella stesura di quegli spazii che sembrano fluire

in musicale svariare di gradazioni, fino a raggiungere luce o a profondare

nel buio.

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P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O

La maturità di Ballarini

Giuseppe Ballarini, pittore a Pesaro, ha avuto l’intelligenza di

uscire allo scoperto con le sue opere nella piena maturità. È

ancora vivo lo stupore suscitato dalla prima mostra con una

indimenticabile “Via Crucis”, nel segno della più schietta religiosità.

La critica fu unanime nel giudicare Ballarini un autentico pittore.

Seguirono altre mostre, in Italia e all’estero, con sempre maggiori consensi.

Tra i tanti, il più caro al Ballarini resta quello di Alessandro Gallucci, un

autentico maestro di quella scuola pittorica pesarese del novecento

ancora tutta da scoprire e da sistemare criticamente.

Inserito in questo filone il Ballarini può rappresentare una continuità

ideale della scuola pesarese, dividendo il campo con altri pochi nomi

riconducibili ad analoghe esperienze pittoriche e di cultura.

Sotto le spoglie di una grammatica elementare e di un declinante piccolo

mondo provinciale, in realtà la pittura di Ballarini nasconde un fitto

retroterra culturale, teso nella sperimentazione di nuove tecniche e di

nuove espressioni.

Le mostre succedute hanno puntualmente registrato questa ricerca.

Della prima “Via Crucis” si è detto. Seguì una pittura di annotazioni marginali

sugli uomini e sulle cose della periferia pesarese, colte in rarefatte

atmosfere di bianche luci iridescenti. Ci fu chi volle leggervi precisi riferimenti

letterari, in particolare certe poesie di Marino Moretti, che ha nel

sangue precise ascendenze pesaresi.

Nel proseguio della sua ricerca indirizzata verso un’umanità sofferente

ed emarginata, Ballarini si è incontrato con il mondo degli zingari. Ne è

venuta fuori una mostra rilucente di colori, vivace e sapiente l’uso dei

rossi, sovrabbondante di figure colte nella esuberante vitalità, ma con

negli occhi la fatale tristezza che accompagna i nomadi.

E siamo al quarto tempo della pittura di Ballarini. Tre anni di lavoro, una

settantina di quadri.

La mostra si apre con un omaggio ad Alessandro Gallucci. È qualcosa di

più del riconoscimento di un discepolato ideale. Vuole essere un tentativo

di lettura di quelle “marine”, che tanta parte hanno nella pittura gallucciana.

Il mare è parte del paesaggio pesarese e anche Ballarini tenta la sua

interpretazione, confessando candidamente che è molto difficile rendere

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PRESENTAZIONE IN CATALOGO

il mare in pittura. Lo si capisce per i colori sfuggenti dell’Adriatico, tra il

verde e l’azzurro in un’altalena da caleidoscopio.

Poi Ballarini torna sul retroterra che non ha mai dimenticato.

Lo percorre attraverso il fitto reticolo delle strade bianche di campagna,

alla scoperta di paesaggi che sono il volto di una terra.

Le finestre che si aprono su questi paesaggi sono un tenue diaframma,

che separa ancora il piacere della scoperta dalla autentica partecipazione.

Ballarini, infine, ritrova in questi paesaggi l’umanità che predilige: i fanciulli,

le vecchiette, i personaggi di paese. Dalle finestre, diventate quadri,

Ballarini ci ridona il piacere di ritrovare un mondo ancora vivo nel quieto

paesaggio tra l’Adriatico e l’Appennino.

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P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O

Ho rivisto “Peppe” Ballarini dopo trent’anni di assenza dalla

nostra città, l’ho incontrato in occasione della sua ultima

mostra tenuta al Palazzo Ducale di Pesaro nel novembre ‘79

e mi è ancora vivo lo stupore per averlo lasciato agrimensore

e ritrovato affermato pittore.

Osservando i suoi dipinti profusi di giuochi luminosi “dei più accorti” ho

capito che ama teneramente la sua terra, i luoghi di meditazione, i suoi

colori. Il vincolo che lo tiene legato a Pesaro ha origini ancestrali; il suo

modo di vedere e sentire la natura è amore per le cose quotidiane e semplici

che, rappresentate sulla tela, riescono a comunicare emozioni cariche

di luminoso cromatismo e di genuina ispirazione artistica.

Il suo disegno lindo e inciso, ha completezza di costruzione, acutezza di

analisi e di sintesi, caratteristiche queste che lo qualificano come un pittore

che sa esprimere un suo linguaggio. Nei suoi dipinti ha fermato le emozioni,

cogliendo il significato più profondo svelandone le semplici ispirazioni.

Ballarini riesce a riaffermare unitamente ai perduti valori di un

tempo la riscoperta di nuove sensazioni traducendoli con un linguaggio

aderente alla realtà delle “cose”.

“Peppe” Ballarini trovandosi solo con se stesso, ha riscoperto le campagne

da tempo dimenticate, le verdi marine autunnali, le vecchie imbarcazioni

sulla battigia, oppure i naufraghi tronchi depositati dal mare sulle

nostre spiaggie; le tranquille vecchiette di Novilara o i giuochi dei bambini

di un tempo a noi lontano.

Le sue inquadrature dell’entroterra pesarese rispecchiano la sua autentica

condizione di pittore vissuto in spontaneità, anche se qualche sua

marina o paesaggio cantano di colore più sognato che realistico.

L’acutezza cromatico-disegnativa e la esattezza descrittiva dei suoi dipinti

rappresentano il desiderio e volontà di definizione del valore pittorico

che per Ballarini è costante ricerca di cogliere nella natura tutto ciò che è

di reale.

La sua pittura ha un sapiente uso di caldi colori che conferiscono alle

inquadrature una forza fantasiosa di toni di valida espressione estetica e

di rigorosa coerenza espressiva.

Con la pittura Ballarini ha riscoperto la sua autenticità di uomo non

estraneo alle alienazioni del nostro tempo, ma dimostrandosi capace di

possedere profondi valori umani e pittorici quali la bellezza e l’armonia.

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P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O

Èda una condizione di solitudine subita e voluta insieme che Ballarini,

nel suo dipingere, filtra con coscienza riflessiva le emozioni, i contrasti,

i desideri, le seduzioni della vita perché possano diventare

“Racconto”, proposito e stilema di tutto il suo ormai lungo cammino

artistico. Giuseppe Ballarini ha sempre raccontato con la sua pittura: da una

ormai lontana e mai dimenticata “Via della Croce” alle composizioni di vecchi e

bimbi stretti in un rapporto di muto reciproco amore, dalla incandescente e

sensuale follia degli “Zingari”, alla tenera figurazione del passerotto sulla neve,

Ballarini ha sempre raccontato solo sé stesso; pittura quindi di evocazione, di

introspezione, di ricordo e non di mimesi.

I cieli, gli alberi, gli spazi non sono agitati da venti atmosferici, ma da rimpianti,

da passioni, da orgasmi: la tensione sospesa, opalina, trepidante dei

suoi quadri è sempre pronta a precipitare, a trasformare i cieli, alberi, spazi

polverizzandoli in una ebbrezza silenziosa, improvvisa, disperante. Racconti

come canzoni che cantano sempre lo stato tenero e crudele della sua contraddittoria

solitudine.

Per questo trepido raccontare la materia pittorica si trasforma, si impenna, si

adagia, sia rabbruna, si raddensa perché sa di diventare strumento e tramite di

messaggio: e nella tensione del raccontare il colore, il segno, il gesto, si liberano

del “vero” con un progressivo distacco dal motivo naturale e, diventando protagonisti,

configurano una verità più poetica, misteriosa e seducente.

Le catene del racconto cadono e si libera la felicità del raccontare; in questa

libertà che è inconsapevole e smemorante superamento di ogni vincolo formale,

Ballarini illumina e risolve la sua scontrosa solitudine offrendo una calda

mitologia di personaggi feriali e anonimi, spesso senza volto, incastonati in un

mondo vasto e silenzioso dove pace e malinconia, collere e carezze, memorie e

abbandoni tessono la loro fitta trama umana attorno alla nostra distratta esistenza.

Raccontare i silenzi della natura, il rabbuiarsi dei cieli, lo svolgersi degli spazi

sconfinati che si stendono oltre i limiti angusti delle abitudini, dei percorsi

obbligati, delle chiusure mentali e perdersi in opalescenti e vaghe geografie:

aprire finestre, allargare orizzonti, fuggire da sé alla ricerca di precognizioni, di

sogni, di sortilegi che continuano a sottrarsi da sempre alla conoscenza dell’uomo.

Ecco che le forme del reale, la trama del racconto, si confondono e si compenetrano

al mistero seducente dell’immaginario, all’imprevedibile accendersi dei

43


PRESENTAZIONE IN CATALOGO

desideri, alla certa consapevolezza di vivere da sempre nei frammenti di ogni

cosa in un ripetersi rinnovato di trionfi e di cadute, di illusioni e di nostalgie, di

rivolte e di adesioni. Raccontare la vita con colori che si esaltano e si confondono

e si sovrappongono in uno sfoggio cromatico di sfumature e di rimandi, con

luci improvvise e vivide come fiammate o estremamente spoglie e sfrangiate,

con immagini traslate, per frammenti, nel breve spazio di un dipinto, quasi per

pudore, quasi per paura.

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T E S T I M O N I A N Z E

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TESTIMONIANZE

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TESTIMONIANZE


TESTIMONIANZE

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TESTIMONIANZE


TESTIMONIANZE

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TESTIMONIANZE


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TESTIMONIANZE


TESTIMONIANZE

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TESTIMONIANZE


TESTIMONIANZE

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TESTIMONIANZE

...Le finestre.

La pioggia faceva colare sui vetri

i suoi capelli rossigni, lunghi e tristi.

Con la sigaretta incollata al labbro

io dentro di me canticchiavo.

Mi piace la voce della pioggia

più che la mia...

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TESTIMONIANZE

60


61

TESTIMONIANZE



63



M O M E N T I

Maternità 1938

Olio su tavola

cm 28 x 38

Il cavallo morto 1945

Olio su tela

cm 32 x 24

65


Momenti

Esecuzione 1971

Olio su tela

cm 40 x 60

Il vecchio e il bambino 1971

Olio su tela

cm 40 x 60

66


Momenti

Partire 1971

Olio su tela

cm 40 x 50

La persiana 1973

Olio su tela

cm 60 x 40

67


Momenti

Dove vanno 1975

Olio su tela

cm 150 x 100

Notturno 1975

Olio su tela

cm 50 x 70

68


Momenti

Sudario 1975

Olio su tela

cm 100 x 80

Il prete sulla neve 1975

Olio su tela

cm 80 x 100

69


Momenti

Primo amore 1975

Olio su tela

cm 80 x 100

Il seme 1975

Olio su tela

cm 100 x 80

70


Momenti

Infanticidio 1977

Olio su tela

cm 80 x 100

Controluce 1978

Olio su tela

cm 80 x 100

71


Momenti

Passeggiata con la maestra 1978

Olio su tela

cm 25 x 35

L’aquilone 1978

Olio su tela

cm 80 x 100

72


Momenti

Processione alla Pieve 1982

Olio su tela

cm 70 x 50

Temporale d’estate 1983

Olio su tela

cm 60 x 80

73


Momenti

Vento di scirocco 1983

Olio su tela

cm 60 x 80

Don Chisciotte innamorato 1986

Olio su tavola

cm 179 x 34

74


Momenti

Il guerriero caduto 1986

Olio su tela

cm 120 x 80

Bucolico 1987

Olio su tela

cm 120 x 80

75


Momenti

La mora nuda 1987

Olio su tela

cm 80 x 120

Concerto 1987

Olio su tela

cm 120 x 80

76


Momenti

Il cappello

del prete 1988

Olio su tela

cm 60 x 80

I figli 1989

Olio su tela

cm 120 x 80

77


Momenti

Paese antico 1989

Olio su tela

cm 40 x 30

Il roseto 1994

Olio su tela

cm 60 x 80

78


Momenti

Oltre il giardino 1994

Olio su tela

cm 60 x 60

Scalinata in grigio 1994

Olio su tela

cm 30 x 40

79


Momenti

La suora bella di Talamello 1995

Olio su tela

cm 50 x 50

80


Momenti

Tre roselline

e un ritratto 1995

Olio su tela

cm 80 x 60

L’orologio

a pendolo 1995

Olio su tela

cm 50 x 50


Momenti

Silente 1995

Olio su tela

cm 50 x 70

Temporale al crepuscolo

sul mare 1995

Olio su tela

cm 60 x 60


Momenti

L’arco azzurro 1995

Olio su tela

cm 25 x 35

Corteo sotto la neve 1996

Olio su tela

cm 50 x 50

83


Momenti

È nevicato 1996

Olio su tela

cm 60 x 60

84

Vespro 1997

Olio su tela

cm 60 x 80


Momenti

Finestra sul mare 1997

Olio su tela

cm 60 x 80

Stanotte,

il vento di bora

m’ha sparso sui vetri

stelline di sale,

e raccontato

antiche storie di mare.

Finestra sulle nebbie

del colle 1997

Olio su tela

cm 60 x 80

Come diceva quella vecchia

cara poesia ricordo poco,

raccontava di mare,

di nebbia,

di vini, di tini e cacciatori

e poi... e poi qualcosa

sui pensieri.

85


Momenti

Finestra in un giorno

di pioggia 1997

Olio su tela

cm 60 x 80

Piccole dita che battono sui vetri,

lacrime che scendono in rivoli lucidi

dai sempre nuovi percorsi

cento giorni di pioggia

potrebbero svelarmi

il perché di ogni cosa

o farmi impazzire.

86


Momenti

Il pettirosso 1998

Olio su tela

cm 40 x 50

La siepe e le lenzuola 1998

Olio su tela

cm 50 x 50

87


Momenti

Il grano

e i cipressi 1998

Olio su tela

cm 60 x 60

Il cardellino 1999

Olio su tela

cm 60 x 80

88


P A E S E

Bocciofilo 1973

Olio su tela

cm 60 x 100

Le scarpe buone 1974

Olio su tela

cm 60 x 100

89


PAESE

I richiami 1974

Olio su tela

cm 60 x 100

Sera di mezza estate

al bar della Carlotta 1974

Olio su tela

cm 100 x 60

90


PAESE

La banda 1979

Olio su tela

cm 25 x 35

Il diavolo 1981

Olio su tela

cm 70 x 50

91


PAESE

Serenata 1981

Olio su tela

cm 40 x 50

Vecchietta e pagliai 1981

Olio su tela

cm 40 x 50

92


PAESE

I ceri 1982

Olio su tela

cm 40 x 60

La pipì sul muro 1983

Olio su tela

cm 60 x 80

93


PAESE

Le parrocchiane 1983

Olio su tela

cm 44 x 54

In nome

del padre 1984

Olio su tela

cm 70 x 50

94


PAESE

L’acquasantiera 1984

Olio su tela

cm 70 x 50

Il maiale ucciso 1986

Olio su tela

cm 60 x 80

95


PAESE

Dalle mura 1987

Olio su tela

cm 25 x 35

Il curato e le vecchiette 1987

Olio su tela

cm 25 x 35

96


PAESE

La perpetua 1987

Olio su tela

cm 25 x 35

Temporale sul borgo 1988

Olio su tela

cm 25 x 35

97


PAESE

Gli sposi 1988

Olio su tela

cm 25 x 35

Il cacciatore 1988

Olio su tela

cm 25 x 35

98


PAESE

Il pulpito 1992

Olio su tela

cm 50 x 50

Concerto in piazza 1992

Olio su tela

cm 50 x 50

99


PAESE

Passeggiata con la maestra 1994

Olio su tela

cm 44 x 54

Dopo l’arco 1996

Olio su tela

cm 25 x 35

100


PAESE

A mattutino 2000

Olio su tela

cm 80 x 100

101


S A C R O

La via della Croce 1971 - Olii su tela - cm 50 x 70

Staz. I - La clamide scarlatta

Staz. II - La croce addosso

Staz. III - L’uomo cade

Staz. IV - La madre


SACRO

Staz. V - Simone di Cirene

Staz. VI - Veronica

Staz. VII - L’uomo cade

Staz. VIII - Le donne


SACRO

Staz. IX - L’uomo cade

Staz. X - Lo spogliarono delle vesti

Staz. XI - Lo inchiodarono alla croce

Staz. XII - Elì, Elì, Lemà sabactani?


Sacro

Staz. XIII - Giuseppe e Nicodemo

Staz. XIV - La Sindone

Studio sulla via della croce 1988 - Olio su tela - cm 120 x 80 105


SACRO

La clamide scarlatta 1998

Olio su tela

cm 80 x 100

106


Sacro

La leggenda

del pettirosso 1998

Olio su tela

cm 120 x 80

Il sepolcro vuoto 1986

Olio su tavola

cm 114 x 27

107


Z I N G A R I

La doma 1976

Olio su tela

cm 100 x 80

Viso di zingara 1976

Olio su tela

cm 25 x 35


zingari

Zingara danzante 1976

Olio su tela

cm 25 x 35

109

Zingarella con

cavalli 1976

Olio su tela

cm 35 x 25


zingari

Le figlie del vento 1976

Olio su tela

cm 80 x 100

Grande madre 1977

Olio su tela

cm 80 x 100

110


zingari

L’accampamento 1985

Olio su tela

cm 120 x 80

Lo zingaro

e il cavallo 1986

Olio su tavola

cm 65 x 36

111


zingari

Zingara con fuoco 1988

Olio su tela

cm 80 x 120

Zingare sulla spiaggia 1996

Olio su tela

cm 40 x 40

112


zingari

Zingara con carro 1998

Olio su tela

cm 80 x 120

Zingare sul sagrato 2000

Olio su tavola

cm 90 x 120

113


F I N E S T R E

Finestra su paese antico 1979

Olio su tela

cm 80 x 100

Finestra con fiori 1980

Olio su tela

cm 50 x 70

114


FINESTRE

Finestra 1980

Olio su tela

cm 60 x 80

Il gatto nero 1995

Olio su tela

cm 50 x 70

115


finestre

La sottana rossa 1996

Olio su tela

cm 50 x 50

Ventoso 1997

Olio su tela

cm 50 x 50

116


Finestre

Finestra su paese innevato

e pettirosso 1998

Olio su tela

cm 80 x 100

I fidanzatini 1998

Olio su tela

cm 80 x 100

117


finestre

Temporale sul borgo 1998

Olio su tela

cm 80 x 100

Corteo sotto la neve 1998

Olio su tela

cm 80 x 100

118


Finestre

La notte delle streghe 1998

Olio su tela

cm 60 x 60

Un bel mattino d’inverno 1999

Olio su tavola

cm 73 x 30

119


R I T R A T T O

Viso di giovane 1939

Olio su tavola

cm 22 x 50

La Linda 1945

Olio su tela

cm 22 x 35

120


ritratto

Autoritratto 1948

Olio su tela

cm 30 x 40

Giuliana 1957

Olio su tela

cm 40 x 60

121


ritratto

Donna Teresa 1957

Olio su tela

cm 31 x 41

Riccarda 1962

Olio su tela

cm 35 x 45

122


ritratto

Detta 1963

Olio su tela

cm 40 x 50

Riccarda 1971

Olio su tela

cm 40 x 60

123


ritratto

Alessandro Gallucci 1971

Olio su tela

cm 40 x 50

Claudio 1971

Olio su tela

cm 30 x 40

124


ritratto

Mario 1972

Olio su tela

cm 40 x 50

Maria Teresa 1972 - Olio su tela cm 40 x 60

Luca 1972 - Olio su tela cm 35 x 45


ritratto

Ragazza con camiciola turchese 1979

Olio su tela

cm 25 x 35

Bambina con ciliegie 1982

Olio su tela

cm 35 x 45

126


ritratto

Maria Pia 1982

Olio su tela

cm 40 x 60

Autoritratto “Poi” 1984 - Il Balilla

Olio su tela

cm 35 x 45

127


ritratto

La Mina 1987

Olio su tela

cm 60 x 80

128

Ragazza somala 1988

Olio su tela

cm 25 x 35


ritratto

Spazzola 1995

Olio su tela

cm 30 x 40

Autoritratto 1999

Olio su tela

cm 44 x 54

129


ritratto

Donna con orecchino 1999

Olio su tavola

cm 34 x 47

Carlo Pagnini 2000

Olio su tela

cm 40 x 50

Alda 1997

Olio su tela

cm 40 x 50


ritratto

Occhi azzurri 2000

Olio su tavola

cm 83 x 73

131


N A T U R A M O R T A

Natura morta

con violino 1940

Olio su tela

cm 33 x 41

Natura morta

con pesce 1940

Olio su tela

cm 30 x 41

132


Natura morta

Natura morta

con lepre 1957

Olio su tela

cm 70 x 100

Natura morta con

fagiano e starna 1957

Olio su tela

cm 80 x 70

133


natura morta

Natura morta

con melagrane 1990

Olio su tela

cm 40 x 30

134

Natura morta

l’autunno 1995

Olio su tela

cm 40 x 59


natura morta

Il Tordo da richiamo 1995

Olio su tela

cm 30 x 40

L’anatra germano 1996

Olio su tela

cm 60 x 60

135


natura morta

Girasoli su finestra 1999

Olio su tela

cm 50 x 50

Foglie bacche e melagrane

su finestra 1999

Olio su tela

cm 50 x 50

136


natura morta

Aglio e cipolla su finestra 1999

Olio su tela

cm 50 x 50

Lucerna e pigne su finestra 1999

Olio su tela

cm 50 x 50

137


A G R E S T E

Campagna romana 1952

Olio su tela

cm 23 x 30

Il gelso 1957

Olio su tela

cm 49 x 40

138


agreste

Pagliaio 1957

Olio su tela

cm 30 x 39

Quercia dopo la

pioggia 1986

Olio su tela

cm 120 x 80

139


agreste

Quercia e lenzuola 1987

Olio su tela

cm 80 x 120

La quercia antica 1987

Olio su tela

cm 120 x 80

140


agreste

Il querciolo 1991

Olio su tela

cm 40 x 25

I pini sull’Ardizio 1995

Olio su tela

cm 40 x 50

141


agreste

Agreste con figura 1995

Olio su tela

cm 50 x 50

Il bucato 1995

Olio su tela

cm 60 x 60

142


agreste

Il calanco e il querciolo 1996

Olio su tela

cm 40 x 40

Il grano e la quercia 1996

Olio su tela

cm 40 x 40

143


agreste

Le betulle 1997

Olio su tela

cm 50 x 50

I girasoli 1997

Olio su tela

cm 60 x 60

144


agreste

Dal San Bartolo al mare 1999

Olio su tela

cm 50 x 50

Mare di grano 1999

Olio su tela

cm 60 x 80

145


L a m a r i n a

Il pittore 1977

Olio su tela

cm 80 x 100

Omaggio a Gallucci

146


la marina

Capanno sugli scogli al porto 1987

Olio su tela

cm 80 x 120

Vento di bora 1987

Olio su tela

cm 80 x 120

147


la marina

Relitto 1988

Olio su tela

cm 120 x 80

Porto canale 1989

Olio su tela

cm 70 x 50

148


la marina

Cantiere al porto 1989

Olio su tela

cm 50 x 70

Domenica al mare 1994

Olio su tela

cm 60 x 60

149


la marina

Donne sulla battigia 1994

Olio su tavola

cm 102 x 25

Passeggiata 1995

Olio su tela

cm 50 x 50

150


la marina

Settembre 1995

Olio su tela

cm 60 x 80

151


la marina

Sotto l’ombrellone 1996

Olio su tela

cm 30 x 40

Radice dal mare 1998

Olio su tela

cm 50 x 50

152


la marina

Nudo su radice dal mare 1998

Olio su tela

cm 120 x 80

153


la marina

Bonaccia al porto 1998

Olio su tela

cm 50 x 50

La vela e il gabbiano 1998

Olio su tela

cm 40 x 60

154


la marina

L’uomo e il mare 1998

Olio su tela

cm 100 x 80

Le vele 1998

Olio su tela

cm 80 x 60

155


la marina

Maretta al molo 1999

Olio su tela

cm 60 x 80

156


la marina

Al mare sulla riva 1999

Olio su tavola

cm 99 x 25

Mare e cavalli 1999

Olio su tavola

cm 82 x 31

157


la marina

Al molo di levante ricordo un faro quasi fatto così 2000

Olio su tela

cm 60 x 80

158


Tecnica a graffito su

cartonfeltro e gesso

colorazione a olio.

Madre terra 1990

cm 60 x 60

La donna di Ammone 1990

cm 60 x 60

159


Mille e

poi mille 1990

cm 60 x 60

Tracce 1990

cm 60 x 60


Relitto con tenda sulla battigia 1998

cm 120 x 40

Su antica tavola da soffitto.

Colorazione a olio con porzioni

di legno lasciate a nudo.

Sul retro della stessa tavola:

Zingara 1999 - cm 120 x 40

161


I millenni 1999

Olio su legno

cm 42 x 44

spessore cm 8

Portello di antico forno in

legno di quercia. La superficie

dipinta, opposta al fuoco, reca

affascinanti segni di tormento.

162


Tavole ricavate,

con taglio longitudinale,

da grossi alberi di acero.

Il giocatore di bocce 2000

Olio su tavola

cm 70 x 190

spessore cm 4

163


164

Temporale 2000

Olio su tavola

cm 60 x 190

spessore cm 4


La zingara bella 2000

Olio su tavola

cm 60 x 190

spessore cm 4

165


166

La clamide 2000

Olio su tavola

cm 57 x 187

spessore cm 4


Controluce 2000

Olio su tavola

cm 73 x 192

spessore cm 4

167


Il curato 2000

Olio su tavola

cm 54 x 185

spessore cm 4

La Cesira 2000

Olio su tavola

cm 58 x 198

spessore cm 4

168


Su porzioni di pareti circolari di botti da vino.

Gregoriano 2000 - Olio su tavola cm 104 x 39 - spessore cm 4

Temporale sul convento 2000 - Olio su tavola cm 104 x 39 - spessore cm 4

Alleluia 2000 - Olio su tavola cm 104 x 39 - spessore cm 4

169



171



M O M E N T I

“Come

un intreccio di venti, il contrasto in noi stessi ci fa variare

tra memorie diverse...”

Qualcuno l’ha detto e mi sono ritrovato.

Scontro e intreccio fra venti e memorie diverse, i primi

come spinte emotive, pulite e generose sempre, le seconde come fatti ad

esse conseguenti e perlopiù punite sempre, così che il vivere e il dipingere

scorrono fra momenti di ingenua e meravigliosa estasi per ciò che mi

circonda e di timore insieme.

Solo quando affronto temi specifici tengo saldi il fatto e gli attori e il

momento e l’ambiente e l’atmosfera adatti, preoccupato a non travisarne

o interrompere il percorso, o come si dice, “a non uscir di tema” ma quando

così non debbo, mi lascio andare, ed è allora che le diverse memorie si

uniscono a venti diversi e il mio collocamento, nel tempo e nello stile più

difficile.

Questo mio lasciarmi andare e a volte perdermi, è un tipo d’esame che

mi son sempre fatto, sino a ferocemente criticarmi ma poi, inevitabilmente,

torno felice alle mie contraddizioni, alle mie molteplici memorie per

unirle a venti diversi, alle molte emozioni, ai turbamenti, anch’essi molteplici,

che mi conducono e prendono anche nella stessa giornata di lavoro

e a volte in spazi di minor tempo.

I miei “momenti”.

“Mi viene allora di pensare se ogni uomo non sia costretto a vivere,

oltre il suo presente, anche tutto il passato della propria specie e ritrovarsi,

nelle sue espressioni artistiche, trasportato dalle immutate emozioni

sue di sempre, in luoghi e tempi lontani”.

173


MOMENTI

Sessantottesco

La quercia ha da far mele e non ghianda.

L’ortica è rughetta

e le edere fan frutti di mare.

Le donne si realizzano,

non partoriscono e sparano revolverate.

Tutto impazzisce e non so cosa fare.

Se appena lo dico

mi danno del fascista.

Quando mai

Quando mai,

il sole nascendo

t’ha chiesto compensi!

e la luna e la pioggia

e il vento e le messi

e la terra che calpesti

da sempre.

Quando mai

t’hanno ricordato

il loro dare!

174


MOMENTI

A dispetto

Nevica!

Pulisco i vetri

per meglio vederla scendere

contro il verde cupo

dell’alloro.

Metto il cavalletto

di traverso la finestra

e altra legna nel camino...

Non nevica più.

Quasi scherzo

Ogni cosa è così ben distribuita

dalla natura,

che in ogni comunità,

pur piccola che sia,

non abbiano mai a mancare

uno zoppo,

un musico,

un cretino e...un pittore.

175


MOMENTI

Pace

Osservo il mio gatto dormire

e mi da pace.

Annullarmi in uguale

profondissimo sonno

che sa d’eterno,

misterioso e impalpabile

come certi pensieri frantumati.

Se anche tu

Se anche tu lo dicessi

che come me ami

la primavera

per i piccoli fiori di campo,

L’autunno

per i colori delle foglie morte,

L’inverno

per i suoi cieli di piombo

e il giungere del pettirosso,

L’estate

per il girasole ubriaco di luce,

Se anche tu lo dicessi

e lo sentissi vero

Io sarei immortale!

176


MOMENTI

Già sera

L’aurora brilla di rugiada

cantando il giorno

...ed è già sera.

Pensiero notturno

Importante è

che sorga il giorno

così che cessi

la mia paura e scoprire,

il mattino,

che il tuono udito

lontano

non era un fulmine caduto

sulla bella quercia antica

vicino a casa mia.

177


MOMENTI

La casa demolita

Che io guardi bene

quest’ultima parete

prima che anch’essa

rovini con lamento

e tu, aspetta a cadere

ti prego.

Voglio leggere

nei colori delle tue stanze.

Sudario

Pavese di lenzuola

gonfie di scirocco siciliano

Sudari immacolati

stesi a raccogliere vento

per danzare

col garrire dei rondoni neri.

Era giugno,

era giugno e tu scopristi,

d’improvviso, che di giovinezza

si può morire.

E io con te

178


MOMENTI

Senza fine

Avere ottant’anni o più

interrare una piccola ghianda

e attendere che la quercia

si faccia così grande da godere,

supino sull’erba,

di lunghe soste

alla sua ombra.

Se piove

Bisogno di buona musica

da ascoltare

che mi sia compagna

nell’opera e nei pensieri.

Da sempre!

Se però piove

spengo la radio.

179


MOMENTI

Sogno

Del lungo sogno di stanotte

mi resta la paura,

del suo fatto

ricordo poco.

Mi pare che la terra

avesse detto al sole

di non volere più in grembo

semi da nutrire e crescere.

Il sole allora si mutò in melone,

giallo prima, verde poi

e infine nero.

Mi sono svegliato

pieno di freddo.

Preghiera

Come giunga

all’ultimo mio tratto

poco importa

se mi lasci ancora trepidare

al vedere l’erba tenera

che cresce.

180


MOMENTI

Vorrei

Essere tramonto

di quelli tinti di rosso

e annegare nel mare

Essere vento

per fuggire lontano

e perdermi nel cielo

Essere fiore morente

coi petali tinti di bruno

e cadere senza spargere semi.

Vorrei...

Vorrei essere pittore

e dipingere l’eterno.

181


MOMENTI

È nevicato

A me compagni

delle lunghe notti:

gemito di banderuola

che fa all’amore col vento,

mugghiare di mare

e rintocco di campana,

correr di treno e dal porto

lamento di sirena.

Tutto stanotte più lontano

quasi bisbigliato.

E’ nevicato.

Mattino

La terra

sta partorendo il giorno

che già vedo scherzare,

con piccole dita di luce,

sulla persiana verde

di casa mia.

182


MOMENTI

Un bel mattino d’inverno

Odore di buccia di mela

che sfrigoli sul fuoco,

un po’ di neve che cada,

un pettirosso che batta moneta

alle molliche di pane

ch’hai sparso per terra.

Caccia alla volpe

Bam...bam

da verso lo stagno,

Bam...bam

da sotto il siepone

Bam...bam

il fosso dell’inferno...

la tana.

Sangue rosso su pelo fulvo,

due leccate, un giorno vissuto.

Da fuori

bestemmie per la mia morte

che s’allontana.

183


MOMENTI

La Tina

“pepino dla Maria dla Maestra”

La Tina Pepino

a so la Tina...t’arcord?...la Tina!

Piccola vecchina canuta e ingobbita

ti ricordo

Avevi dodici anni

forse meno, una vestina rosso sbiadito

e un nastro bianco nei capelli neri.

Eri bellina, ti ricordo.

Mi guardi e aspetti che ti dica,

lo vedo, che non sei poi tanto cambiata.

Provo a farlo, te ne accorgi

e il viso tuo vizzito si rattrista.

E anch’io.

184


MOMENTI

Piccolo paese antico

Io ti amo

piccolo paese antico,

capezzolo delle mie colline.

Per le tue mura e la porta ad arco

di rosso mattone consumato

per le piccole case ammucchiate a difesa

col muschio sui coppi,

per i vicoli selciati

e le scalette di pietra viva.

E ti amo per quella chiesa

lassù accovacciata,

il campanile con l’orologio

e la torre merlata.

Ancora di più ti amo

verso sera,

quando il lucignolo tremolante

del giorno che muore

ti fa tutto vibrare e ogni rumore cessa,

come per magia.

Anch’io mi fermo e sento, preciso,

il bisbigliare sommesso

di conosciute orazioni

all’Ave Maria.

185


MOMENTI

Finestra sul mare

Stanotte

il vento di bora

m’ha sparso sui vetri

stelline di sale,

e raccontato

antiche storie di mare.

Finestra sulle nebbie del colle

Come diceva quella vecchia

cara poesia, ricordo poco,

raccontava di mare

di nebbia

di vini, di tini e cacciatori

e poi...e poi qualcosa

sui pensieri.

Finestra in un giorno di pioggia

Piccole dita che battono sui vetri,

lacrime che scendono in rivoli lucidi

dai sempre nuovi percorsi.

Cento giorni di pioggia

potrebbero svelarmi

il perché di ogni cosa.

O farmi impazzire.

186


MOMENTI

Il maiale ucciso

Hanno ucciso il maiale

sull’aia coperta di neve.

Neve e sangue

mi fanno pensare a una rossa

granita d’estate

tutti fan festa

e ne ho subito contagio.

187



B I O G R A F I A E M O S T R E

Giuseppe Ballarini nasce il 26 dicembre 1926 a Montecchio e

dall’anno 1938 risiede a Pesaro.

Sin da giovanissimo, il suo linguaggio preferito sono stati il

disegno e la pittura (vedi lavori datati 1938).

Autodidatta puro è maturato con severa e costante autocritica, scoprendo

in solitudine e silenzio tecniche e linguaggi pittorici a lui consoni.

Ha esposto i suoi lavori solo in età matura, è infatti dell’aprile 1971 la

sua prima mostra personale tenuta presso la “Piccola Galleria comunale”

in Pesaro.

Tanta attesa per esporre, gli hanno permesso una severa preparazione

e studio del “proprio dire dipingendo” così da presentarsi già con un suo

discorso e personale stile.

L’incontro con il maestro Alessandro Gallucci avviene proprio in occasione

di questa sua prima mostra.

“Non so chi lei sia, di certo però sento che lì c’è un pittore”.

Questo il saluto del Gallucci alle opere esposte, e per Ballarini è un

nuovo camminare, consapevole ora di non essere più solo e che il proprio

sentire può divenire dialogo con gli altri.

Il lavoro si fa più intenso, lo studio più severo e la ricerca diventa pensiero

costante.

Le mostre e rassegne che seguono, raccolgono puntuali consensi di critica

autorevoli e interesse di pubblico.

Ed è ormai un lungo cammino.

189


MOSTRE

Mostre personali

1971

1972

1972

1973

1974

1975

1975

1976

1976

1976

1977

1978

1979

1979

1980

1984

1988

1997

Piccola Galleria Comunale - Pesaro

Saletta Rossini - Pesaro

Galleria d’arte NF I “Margutta” - Roma

Galleria d’arte “Il torchio” - Bologna

Sala Laurana Palazzo Ducale - Pesaro

Galleria d’arte “Le firme” - Milano

Teatro delle Fortune - Pennabilli

Casa di Raffaello - Bottega di G. Santi - Urbino

Galleria “Mouffe” - Parigi

Galerie “Vallombreuse” - Biarritz

Sala Laurana - Palazzo Ducale - Pesaro

Galleria d’arte Malatestiana - Rimini

Galleria “Verrocchio 2” - Pescara

Sala Laurana - Palazzo Ducale - Pesaro

Galleria “S. Arcangelo” - Fano

Galleria “G. Carducci” - Pescara

Sala Laurana - Palazzo Ducale - Pesaro

Saletta “Maselli” - Pesaro

Mostre collettive e rassegne

1973

1973

1973

1973

1975

1975

1975

1976

1977

1978

Gran Premio internazionale Genova - Vienna

Galleria Palazzo D’oria - Genova

Accademia delle belle arti - Vienna

I a Mostra di pittura “Pesaro produce” - Pesaro

I a Biennale d’arte sacra - Abbazia di Pomposa - Codigoro

VI a Biennale “Modigliani” Boscoreale - Napoli

Mostre Asta “Pittori contemporanei”

Galleria d’arte A. Manzoni - Milano

VI a Biennale “Gruppo 7” - Pesaro

Mostra di pittura “Gemellaggio artistico Pesaro-Parma” - Parma

II a Mostra di pittura “Marche producono” - Pesaro

VII a Biennale “Gruppo 7” - Pesaro

IV a Biennale d’arte sacra - S. Giovanni Rotondo

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PUBBLICAZIONI

Pubblicazioni nei testi specializzati

Catalogo Nazionale “Bolaffi” - Ed. Bolaffi

Archivio Storico Artisti Italia - Ed. I.E.D.A.

Pittori italiani contemporanei - Ed. il Centauro

Annuaire de l’Art International 1975/76 - Ed. Patrick Sermadiras, Parigi

Annuario dell’Arte italiana - Ed. E.S.A.

L’Arte Italiana nel XX secolo - Ed. Le due Torri, Bologna

Esquire & Derby - Ed. Cesare Beltrami, Milano

Annuario Comanducci - Ed. Comanducci

Praxis Artistica - Ed. Omega Arte, Rimini

Catalogo della Grafica Italiana - Ed. Giorgio Mondadori

Gli anni 60 e 70 dell’Arte Italiana - Ed. Studio Arte, Piacenza

Pittori e Pittura Contemporanea. 1973. - Ed. Il Quadrato, Milano

Dizionario dei Pittori, Scultori, Incisori - Ed. Alba, Ferrara

Eco della critica 1973/74 - Ed. Donadei

La Maternità nell’Arte - Ed. Nuova Europa, Firenze

L’Arte del Nudo - Ed. Nuova Europa, Firenze

Dizionario dei Pittori, Poeti, Scrittori dei nostri giorni - Ed. Nuova europa Firenze

Guida all’Arte contemporanea 1974 - Ed. Bugatti, Ancona

Catalogo Internazionale d’Arte Moderna - Ed. Galleria Borgo Pinti

Foto d’artisti - Appunti di visita - Quaderno n° 1 - 1997 di Luciano Dolcini

Numerose opere si trovano in collezioni private, presso Gallerie Nazionali,

Estere e Enti Pubblici.

Presso la Chiesa di Cristo Risorto in Pesaro, Via Matteucci, è collocata la Via

Crucis eseguita nell’anno 1971, consistente in 14 dipinti, olio su tela, 50 x 70.

Dipinti di proprietà Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro olii su tela: n. 4

cm 25 x 35, n. 1 cm 50 x 70 e n. 1 cm 60 x 80.

Illustrazione e commento del volume “Qualca gòccia tel mer” di Carlo Pagnini,

prefazione di Vinicio Marini con poesie in vernacolo pesarese, editrice Azienda

Autonoma di Soggiorno, stampato in Pesaro, Tipografia Belli, Novembre 1979.

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