You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
G I U S E P P E B A L L A R I N I
A Giuliana
mia moglie
Ballarini ad una personale
col pittore Gallucci.
“...bisogna che la pittura
faccia pensare
più di quel che lasci vedere”
Leon Battista Alberti
1404 - 1472
Grafica e impaginazione
Daniela Marchini
Fotografia
Michele Alberto Sereni
Fotolito
Fotolito Artistica Città di Castello
Stampa
Grapho 5 - Fano
Finito di stampare nel mese di Febbraio 2001
I N D I C E
9
13
15
16
17
18
19
21
22
23
25
27
29
31
33
35
36
38
40
42
43
45
63
171
189
Introduzione a Giuseppe Ballarini
di Mario Omiccioli
Lettera
di Alessandro Gallucci
di Alessandro Gallucci
di Cesarina Gerunzi Zanucchi
di Francesco Carnevali
Articolo
di Marco Zonghetti
di Marcello Cocco
di Nando Cecini
di Iolanda D’Annibale
di Giancarlo Nicolini
di Ivana Baldassarri
di Gilberto Lisotti
di Claudio Ferri
di Ivana Baldassarri
di Mario Omiccioli
Presentazione in catalogo
di Valerio Volpini
di Giorgio Braga
di Francesco Carnevali
di Nando Cecini
di Athos Tombari
di Ivana Baldassarri
Testimonianze
Opere
Momenti
Biografia e mostre
7
I N T R O D U Z I O N E A G I U S E P P E B A L L A R I N I
“Pepino
dla Maria dla maestra”. Pepino dla Maria dla Maestra: così
potrebbe essere il titolo di questo libro.
Nome, nonna e madre: una sigla popolare per rispondere alla
comune domanda “ma di chi parli? ma chi è?”
Non per definire l’essenza di un uomo: con un po’ di libero arbitrio
(molto poco) o di fortuna (quasi niente), o di casualità (moltissima), un
DNA avvolgente e determinante.
Lui, il Peppino nato il 26 Dicembre del ‘26 a Montecchio, agrimensore e
pittore di figurine viste dalle finestre di case o di borghi agresti, delle strade
antiche, delle marine solitarie, dei prati con lenzuola stese al sole e di
grandi querce. Immagino che lui abbia voluto questa mia prefazione al
suo libro perché anch’io sono una sigla popolare: Mario de Vitori de
Ragnota.
I miei erano cordai (ragnota da ragno con desinenza gallica) lungo il
porto canale fanese: la “mannella” legata alla coscia destra, i calzoni sostenuti
da una rete attorciliata come una serpe (anche per salpare la tratta),
una pezzuola bagnata per meglio far correre la canapa nella mano.
Tutto quello che non abbiamo dimenticato, non abbiamo lasciato, perché
origine e cuore. Dice Elias Canetti: “Il destino degli uomini viene semplificato
dai loro nomi”. Ego aggiungo, anche dai loro soprannomi.
Così Peppino appartiene a un mondo dato che in parte è anima del
passato, delle sue immagini di persone o personaggi, di figure e figurine,
di caratteri e sentimenti, di cose e paesaggi, di una vita semplice e talvolta
giocosa, pericolosa e tragica.
E continiuamo con i nomi, di artisti, scrittori, critici e giornalisti della
nostra periferia riuniti in queste pagine come in coro.
C’è Alessandro Gallucci e Francesco Carnevali, grandissimi, e anime
nascoste, timorose e agitate, sentimentali. Qualcosa li ugualiava a
Giuseppe Ballarini: si rispecchiavano in un mondo di natura e società, in
una bolla di riflessi e di immagini, con una certa poesia delicata, talora
evanescente.
Gallucci aveva capito il temperamento duplice di questo pittore: “La
sua dote predominante è la sobrietà sia disegnatoria che pittorica, quale
si addice ad uno spirito prevalentemente drammatico, anche se qualche
volta ti sorprende con genuini accenti di tenerezza, quando il colore si fa
delicatissimo quale non ti saresti aspettato dopo aver sentito la quasi
9
“petrangole”. In questo libro non c’è solo il momentaneo o il provvisorio,
c’è anche il sacro. E alla fine c’è una sorpresa, alcuni “momenti” - così lui li
chiama - in prosa o poesia, momenti quasi pascoliani, rivelatori del suo far
pittura.
O del cercare un suo assoluto.
Leggete questo “Senza fine”. “Avere ottant’anni o più/ interrare una piccola
ghianda/ e attendere che la quercia/ si faccia così grande da godere/
supino sull’erba/ di lunghe soste/ alla sua ombra”.
Anche questo è infinito.
Ha scritto Elias Canetti: “Vivere come se si avesse dinnanzi a sé un
tempo illimitato. Appuntamenti da qui a cento anni”.
Il libro è dedicato a Giuliana, la moglie. Una donna gelosissima del suo
Pino pittore, non delle modelle che non aveva, ma della natura stessa,
immagini e colore.
Aveva gli occhi azzurri. Un colore che ha lasciato negli occhi dei suoi
nipoti. Quando cominciò a soffrire, cominciò a morire.
E con quegli occhi di cielo i bimbi continuano la vita: e guardando i
quadri del nonno lodano una finestra, quasi alla Henri Matisse, con un
gatto nero. (Vero Claudia, Carlotta, Lorenza e Giuseppe?)
Una immagine sulla continuità di una fine e di un principio, un piccolo
infinito umano, un dentro e un fuori del tempo nel racconto famigliare,
un’altra ghianda da veder crescere per la nostra ombra.
Mario Omiccioli
10
aggressiva potenza dei neri essenziali contorni di altri lavori”.
E così Carnevali sulla stesura di questo colore: “Il valore probante oltreché
della costruzione della “figura”, che in alcuni casi si contorce e scatta,
è dato - a me sembra - da questa atmosfera-spazio che la avvolge e la
tiene. E sono azzurrini e grigi, azzurri cupi, oppure gialli rossastri come di
terra; a volte una nota di vivo rosso puntualizza un centro, e bianchi e
rosei e parchi tocchi di altri colori, e invece scale di bruni e più intensi
grigi fino a raggiungere un nero...”
Ho scritto sulla pittura di Ballarini, molto tempo fa: “Questo dialogo in
contrasto non ha necessità di una definizione: è come se per dipingere
abbia bisogno di una altalena”.
Ma i nomi sono anche altri, né li voglio tutti enumerare e vagliare. Non
posso trascurare però Valerio Volpini che mi è stato amico di scuola, di
banco e di tenda e di ribellione patriottica; né la cara dolce Ivana
Baldassarri, generosa di parole significative e amichevoli, concentrate a
rivelare, forse prima d’altri, lo sviluppo degli artisti locali. In varia misura
tutti quei nomi hanno delineato e definito il carattere, il segno (e il sogno)
pittorico ed esistenziale di Giuseppe Ballarini.
Molti hanno evocato Marino Moretti crepuscolare, romanziere e poeta
di queste parti. La madre tanto amata ed evocata, figura spesso centrale
nei suoi racconti, era una pesarese, maestrina andata ad insegnare nella
vicina Romagna, dove nacque Marino, a Cesenatico il 18 Luglio 1885.
Anche il Moretti ha la sua piccola gente, semplice e spesso umiliata che
lui chiamava “le parti di fianco”.
E nella pittura di Ballarini c’è anche il nostro Fabio Tombari, nei suoi
temporali, nelle burrasche che squassano le coste e le scogliere, salgono
con le ondate alle “bilance” e ai “quader”, distruggono le barche nelle
marine non più ridenti.
Non ricordate quel tale che disegnava cavalli sui muri con l’acqua che
gli usciva dalla pistola? Anche Peppino lo disegna questo “coso”.
“Non capì più niente; schiumava di rabbia, tutto rosso vedeva: e con la
scusa di annaffiare il muro, si piantò sotto la costellazione dell’Orsa, rampognando
il Fato...” Un tombariano davvero metafisico.
Guardate la donna o il prete nel vento e nella pioggia con le gonne
alzate: Peppino ci ha fatto vedere anche questo.
Ma cercarle tutte non finirei più. In molti mazzi di carte ci sono molte
11
L E T T E R A
13
lettera
14
15
lettera
L E T T E R A
16
L E T T E R A
17
A R T I C O L O
La riviera delle muse - Il serio impegno pittorico di
Giuseppe Ballarini - Retrospettiva del fratello Mario,
immaturamente scomparso
Giuseppe Ballarini ritrova la sua calda vena pittorica a quaranta
anni suonati; l’aveva scoperta nel 1938, ma poi gli eventi
della guerra, le preoccupazioni professionali e una certa inclinazione
alla ritrosia l’hanno indotto al silenzio. Tuttavia si
può riconoscere al pittore, originario di S’Angelo in Lizzola ma residente a
Pesaro da vari decenni, un attaccamento all’arte che ha qualcosa di estremamente
serio; l’approccio è stato meditato a lungo, la tecnica è stata
assorbita esperienza dietro esperienza.
Ballarini ammette di dipingere per puro godimento interiore, come un
fatto personale e basta. C’è invece nella sua arte un messaggio di grande
suggestione, che si estende al pubblico, ai visitatori: la serietà dell’impegno.
Per Ballarini si può ammettere un forte attaccamento al filone neofigurativo,
un ritrovato gusto per il netto contorno degli oggetti, a sottolinearne
la presenza effettiva nello spazio, ovunque indefinibile e squallido,
dalle tinte efficacemente morte: una sistemazione dell’individuo reale
entro una cornice di inespressa atmosfera, il vuoto che ci circonda, l’anomalia
socio-culturale che ci tortura, lo spazio entro cui si vorrebbe costruire
e perpetuare un nostro disegno. Nascono così, nel solitario splendore
di un lacerante deserto, i ragazzi e gli adulti, i lavoratori e i condannati
che svolgono un proprio ruolo allegorico nell’economia dell’opera, nella
sapiente compostezza d’impaginazione e nello slancio ascensionale della
costruzione. Potenti i riflessi impressionisti nel paesaggio campagnolo;
intensi i ritratti, alcuni dei quali iconografici; meno nuovi, anche se strutturalmente
solidi, i grandi oli su lepri e fagiani.
La mostra è allestita nella piccola galleria comunale; vi si ammirano
anche alcuni disegni e tempere di Mario Ballarini, fratello dell’artista,
scomparso nel 1953. Sono schizzi e bozzetti che rivelano una passione
per l’arte, repentinamente troncata da un incidente.
18
A R T I C O L O
La riviera delle muse - Pitture ad olio
Forse, il più grande regalo che io potessi fare al serio rigoroso e pur
“vibrantissimo” pittore Ballarini, sarebbe il “riportare” per intero lo
scritto di Sandro Gallucci pubblicato nel catalogo a mo’ di presentazione
- scritto singolare e non soltanto per l’autorevolezza del
giudizio ma anche per la forma linda gradevole e ricca di proprietà linguistica
(specie nell’aggettivazione precisa e felice).
Ma così facendo priverei l’artista espositore di un altro scritto sulla sua
opera (assai meno autorevole, ma al quale, bontà sua, pare tenga molto).
Dice Ballarini: “Per decenni ho dipinto in piena solitudine, in maniera
quasi furtiva, dialogando con me stesso”. Per decenni! Ma quanti anni ha
questo pittore che dopo decenni di lavoro in solitudine, espone la prima
volta nel maggio ‘71?
Pare ne abbia 45, ne dimostra 30 - ma non ha importanza. Importante
invece è la sua opera, e più ancora la sua rara umiltà che l’ha stranamente
consigliato a tenere quasi nascosti per un quarto di secolo, dipinti che
possono fare la felicità degli intenditori più affinati ed esigenti. Delle
tante pitture (esposte e no), le più valide per essenzialità e resa del
“momento più vero”, a me sembrano i ritratti: Luca, Francesca, Gallucci,
Claudia, Alessandra - e specialmente un autoritratto veramente “robustoso
e forte”.
Un poco frettolose e non sempre trasfigurate, invece, talune cose più
recenti; sicché qualche volta di esse rimane soltanto la “malinconia” (o la
tenerezza) che il tema suggerisce. Gallucci scrive che “la scoperta di questo
pittore ci esalta e ci conforta” - lo penso anch’io.
19
A R T I C O L O
Nel segno di una tradizione pittorica
Nell’arco delle feste di fine d’anno, nella sala Laurana del Palazzo
Ducale di Pesaro, espone Giuseppe Ballarini. È la terza mostra
che organizza a Pesaro. La prima, all’inizio degli anni settanta,
passò inosservata; la seconda nel 1971 non fece vendere al pittore
nessun quadro, ma gli valse il riconoscimento e la stima di
Alessandro Gallucci; questa terza, dopo aver ottenuto successi a Bologna
e a Roma, dovrebbe far conoscere a Pesaro un suo autentico pittore, per
altro già noto alla critica più attenta.
Giuseppe Ballarini, cinquant’anni portati bene, una folta barba brizzolata,
su di un viso aperto e cordiale, ha l’atelier nella soffitta della sua casa
in via Manzoni. Sono andato a curiosare per vedere come vive.
La sua casa è un tipico esempio di quelle costruzioni che, non più di
mezzo secolo fa, erano il suburbio della città, a ridosso delle mura roveresche,
fuori Porta Fano. Erano case cittadine, ma con le finestre spalancate
sui campi e sugli orti. Proprio un orto racchiuso dalle mura di cinta, illumina
la casa del pittore ed è ricco di ligustri ed allori. Vicino ad una fontana
arcaica un giuggiolo prepotente trama il breve orizzonte chiuso dalle
nuove costruzioni della città in espansione.
Ballarini mi apre la parte più recondita della sua casa.
Nell’atelier il solito quadro incompiuto sul cavalletto riempie la stanza.
Una presenza che qualifica un modo di sentire, e apre interessanti illuminazioni
sulla pittura del Ballarini, è la sua biblioteca con cataloghi d’arte
e libri di poesia (Hoffman, Lorca, Pascoli) e la raccolta di dischi, soprattutto
musica sinfonica e da camera.
Guardo in anteprima le tele pronte per la mostra.
Sono tre anni di lavoro, di difficile ricerca sperimentale. Si vede subito
la vocazione alla pittura, non certo un’evasione da tempo libero. E poi il
mestiere, nel disegno soprattutto, essenziale, pulito, immediato. Si osservi
la vecchietta in ciabatte, che torna dalla messa con le scarpe buone in
mano, per non consumarle.
Una linea armonica riesce a creare un’atmosfera spirituale, un mondo
di poche cose con una dignità e al di sopra di tutto una poetica sottile,
crepuscolare.
La pittura di Ballarini è una poesia crepuscolare, sfumata nei colori
spenti della sua tavolozza.
Ho pensato a Marino Moretti delle “Poesie scritte col lapis”. La sottile tri-
20
ARTICOLO
stezza dei pomeriggi domenicali nell’autunno piovoso, la quiete apparente
di certe piazze di paese con la porta aperta dell’unico caffè, la silenziosa
presenza di spalle di due fanciulli seduti su un muro, l’interno di una stanza
con una donna in attesa, sono atmosfere crepuscolari visualizzate nella
pittura di Ballarini, con un segno preciso e con colori di sfumate tonalità.
Ballarini ama le cose semplici della periferia e i personaggi che vivono in
essa carichi di umanità, che a volte è dolore, altre permettono divagazioni
ironiche, altre ancora una sfuggente notazione poetica. La pittura di
Ballarini raccoglie queste impressioni e le rielabora in immagini esemplari
per nitore di forma ed essenzialità di colore. Nel fondo poi traspare evidente
la partecipazione umana dell’artista attento a questa realtà che lo
cir-conda per trasferirla nel magico mondo dell’arte.
È chiaro che la pittura di Ballarini non è improvvisazione di facili annotazioni
bozzettistiche, ma è il risultato di un’appassionata ricerca e in controluce
rivela una tradizione culturale di tutto rispetto, come può essere la
scuola pesarese del novecento, ancora in grande parte da scoprire e da
studiare. Le ascendenze di Ballarini sono evidenti sia nella tecnica che nel
vigore morale della ispirazione. Si è già detto dell’amicizia di Alessandro
Gallucci, che vede in Ballarini un autentico pittore e annota in una letterapresentazione
come la “sua dote predominante è la sobrietà sia disegnatoria
che pittorica”. Queste affermazioni di un maestro schivo come Gallucci
sono qualcosa di più di un semplice riconoscimento di circostanza, ma
avvallano in un discepolato ideale la continuità di una scuola, che annovera
Gallucci tra i suoi autori più espressivi.
Nel filone del novecento pesarese incontriamo altri nomi a cui la pittura
di Ballarini può essere ricondotta più che per esaltanti derivazioni, per lo
spirito che la informa. Penso in particolare a certi olii di Francesco
Carnevali intorno agli anni venti, alcuni paesaggi della periferia pesarese,
le marine con le barche in secca, le processioni, i ritratti di una umanità
sofferente, quelli dei propri cari. Anche Ballarini si richiama a quel mondo
e la sensibilità di interpretazione è la stessa. È in questa continuità di una
tradizione qualificata nella tecnica e ancor più nel rigore interiore della
ispirazione che la pittura di Giuseppe Ballarini è degna di rispetto e di
ammirazione e trova un suo spazio di autentica, indimenticabile poesia.
Periodico “Il Marchigiano” Dicembre 1974
Nando Cecini
21
A R T I C O L O
Ballarini è ancorato ad una ricerca figurativa di carattere popolaresco;
comunque, la sua figura non é vecchia e non rappresenta
una sopravvivenza arcaica. Il taglio delle opere é semplice, chiaro
ed incisivo; le figure umane si muovono con proprietà, rifuggendo
gesti ed atteggiamenti stereotipati, tipici in certa pittura odierna.
Ballarini ci mostra una espressione condensata, principalmente su un
colore opaco, terroso, tutto giocato sui grigi, sulle ocre, sugli azzurri nerastri.
La sua opera assume, nella stessa materia, le proprietà del significato.
In questo mondo rarefatto, dove sembra di sentire ancora profumo e
sapore, si agita una plebe stanca, rassegnata, succube di un destino
ingrato, nel quale scaturisce la miseria di fondo, la sacra povertà.
L’intenzionalità formale si determina subito, senza incertezza; diventa
un fascio di luce che dirige quanto è intorno a sé: l’oggetto scoperto
viene messo a fuoco con una particolare vena poetica.
La sua sicurezza non scompare mai: pittura antica che guarda alla stessa
tradizione pittorica marchigiana e non manca, tuttavia, di una personale
visione, di un proprio rigore.
Ballarini, sempre presente e vigile nei suoi contenuti - dalla lontana “Via
Crucis” alle attuali composizioni - ricontempla una realtà ormai lontana.
Si può affermare che Ballarini è vero pittore; egli sa cogliere la profondità
dei sentimenti e del cuore umano, in special modo quello più umile.
Vitalità e forza scaturiscono dalla materia: artista nitido come l’alba, ci
offre la luce fresca della sua tavolozza. La figura sta all’origine della sua
fabulazione fantastica, opera nel subcosciente e determina il processo
creativo.
Da Esquire & Derby, 1975
Iolanda D’Annibale
22
A R T I C O L O
Accanto agli artisti autentici, creatori, molto rari, vi sono, osservò
Benedetto Croce, folte schiere di anime artistiche: personalità
che non hanno vera forza ed autonomia, incapaci di dire qualcosa
di nuovo, ma tuttavia sensibili all’arte e di essa, sia pure in
misura minore partecipi. E come in ogni campo della attività artistica
dell’uomo, anche nella pittura esistono naturalmente pittori che durano
quanto una stagione (e questi sono i dilettanti della pittura) e pittori che
invece hanno la consistenza del sasso, perché veri artisti nel senso più
completo della parola. A quest'ultima categoria appartiene Giuseppe
Ballarini. Fra i pittori marchigiani della nuova generazione l’artista pesarese
è già figura di rilievo: creatore solitario, Giuseppe Ballarini è un solista
che corre su una strada tutta sua, uno spirito che, qualunque cosa faccia
si muove sempre dentro se stesso, per quel pizzico di orgoglio ma soprattutto
di umiltà e di verità di restare fedele.
Del resto, ciò che ha sempre fatto gli somiglia molto e i dipinti esposti
alla Sala Laurana di Palazzo Ducale di Pesaro più degli altri.
Sebbene sia un uomo quasi “invisibile” per la sua indole riservata, taciturna
e riflessiva, la pittura del Ballarini non è altro che il lungo racconto
del come egli partecipa all’esistere degli altri. Dice bene Valerio Volpini in
catalogo: “i suoi quadri sono quasi sempre pagine aperte sull’uomo”.
Le sue figure sole, i suoi volti immobili, quel senso di carne patita che le
riveste come la scorza degli alberi, sono figurazioni emblematiche e notturne
con rapidi squarci di illuminazione che ne accrescono il mistero,
cariche come sono di loro forza inventiva e di un vivace dettato di poesia.
Numerosi sono i pittori che hanno affrontato la figura umana: chilometri
di tela dipinta raccontano lo stesso tema. Ma pochi sono stati capaci
come il Ballarini di infondere a questi corpi stagliati, asciutti, un animo
così difficile, struggente e appassionato.
Nel mondo dell’artista pesarese sfuma un indicibile tormento interiore,
le sofferenze e il dramma di una umanità tormentata che è costretta a
vivere in un mondo pieno di contraddizioni e contrasti.
Di qui, quel senso di attesa, come se le sue creature attendessero di
conoscere il perché di tutto: di essere, di vivere, di andare lentamente
verso la morte.
Un pittore vivo quindi, che lavora per il difficile piacere di esprimere
fino in fondo una emozione.
23
ARTICOLO
E più un pittore è vivo e più sono le domande che uno può rivolgersi
leggendo i suoi lavori.
Le risposte vere a qualsiasi interrogativo sono “i dipinti stessi”. E quelli
riprodotti nei grandi e piccoli formati alla sala Laurana ci confermano la
verità e la lealtà di Giuseppe Ballarini: dipinti che ci vengono incontro con
genuina immediatezza, desiderosi di essere capiti ed amati, così come
sono nati dalla fresca ispirazione dell’autore.
E non è poco. Se il pittore continua ad ascoltarsi, come ha sempre fatto
e tutt’ora sta facendo, per molti ci sarà ancora una bella isola di poesia.
Corriere Adriatico, Gennaio 1975
Giancarlo Nicolini
24
A R T I C O L O
Via Crucis: tre suggestive interpretazioni di pittori.
Tre pittori pesaresi, Mariotti, Gallucci e Ballarini per un argomento
quanto mai complesso, ricco di significati e di interpretazioni che
in duemila anni ha mantenuto autentica e viva, la tensione profetica
del richiamo di Cristo.
Parliamo della Via Crucis di Fernando Mariotti (nella chiesa parrocchiale
della Madonna di Loreto) e di quella di Sandro Gallucci (nella chiesa di S.
Carlo Borromeo) alle quali si è aggiunta, pochi giorni fa, quella di
Giuseppe Ballarini nella bella chiesa di Cristo Risorto.
L’opera di Mariotti rivela una calda partecipazione ad un evento che la
tradizione ha arricchito di spunti popolari; l’artista ha rivissuto la Via
Crucis con l’ottica dei “puri di cuore” o forse attraverso i ricordi delle sue
prime pratiche religiose nelle immagini che esse gli destavano ancora. Il
pianto delle donne, il dolore della Madre, la forza del Cireneo, il rosso
gonfio e ricco delle vesti, la bulica indifferenza di Pilato e la livida, grigia
solitudine di Cristo e la tristezza di un sacrificio che sembra abbandono.
La Via Crucis di Gallucci (doppiamente sacrificata sia per la limitante
sistemazione binaria, sia per la posizione troppo rialzata sulle fredde
vetrate della Chiesa di San Carlo), sembra che sia stata liberata da ogni
consonante umana e religiosa, in una visione rarefatta e dissanguata;
nell’originale stesura compiuta direttamente sulla tela bianca con un
segno acuto e sapientissimo, sembra essere rimasta viva solo l’idea del
dolore, del sacrificio; dell’immolazione, della segreta e misteriosa offerta;
e proprio all’ultima stazione, quando tutto è stato veramente e interamente
compiuto, Gallucci non lascia sulla tela che la parvenza dei personaggi
e dell’ambiente; nell’aria trasparente ed opalina la speranza di una
mistica realtà; quella della Resurrezione.
Ai nomi di questi due nostri grandi pittori, va aggiunto ora quello di
Giuseppe Ballarini che già nel 1972 si era cimentato nella inquietante e
misteriosa storia della Via della Croce. Ora le sue quattordici stazioni, scarne,
essenziali, intense, si possono ammirare, disposte in maniera tutta
nuova e inusitata, nella chiesa parrocchiale di Muraglia (chiesa che, come
poche, riesce a mantenere con un equilibrio davvero raro una severa e
serena spiritualità senza tentazioni di inutili e disarmonici abbellimenti).
A chi domanda cosa pensasse durante la stesura della Via della Croce,
Ballarini risponde che aveva sempre presente sua madre durante la recita
del Rosario.
25
ARTICOLO
La spiritualità delle sue figure nasce dalla dimensione stessa dell’esistenza
umana anziché da motivazioni concettuali e ideali.
Questo suo Cristo, che riusciamo a vedere in viso solo nella sepoltura,
matura stazione per stazione, con profonda intensità la partecipazione di
Dio all’inquietudine che turba ogni uomo contemporaneo: ma tanto
scandaloso umiliarsi di Dio non può essere per nulla. Il mistero di questo
mistico subire chiodi e legno e solitudine e incomprensione, porta necessariamente
al mistero della Fede che non è testimonianza di cultura, ma
coraggioso e totale abbandono nell’Amore.
Ogni personaggio configura nella stilizzazione dei corpi, nelle smisurate
gestualità, nelle severe solitudini questa ricerca di Fede coraggiosa. Il
segno, istintivo e sicuro, libero da ogni accademismo, testimonia che
l’emozione autentica dell’artista fa nascere sempre un rapporto quasi fisico
fra opera e fruitore rendendo possibile un discorso eloquente pur nella
sua estrema semplicità, il discorso di Cristo.
Il Resto del Carlino, Dicembre 1976
Ivana Baldassarri
26
A R T I C O L O
Una sinfonia zingaresca come riscatto degli umili.
Giuseppe Ballarini, pittore pesarese dell’umiltà, noto per avere
riempito le sue tele con le spalle più o meno chine di tanta
piccola gente della nostra periferia, ha fatto suo il mondo
degli Zingari. Si è innamorato degli Zingari. Se n’è lasciato
affascinare, ammaliare, stregare. Li ha cercati a lungo, di giorno e di sera,
ai margini delle strade; li ha, più o meno furtivamente, osservati nelle loro
apparizioni fugaci; li ha studiati nei loro accampamenti pittoreschi, fra le
tende, i cavalli, i fuochi notturni, gli stracci multicolori; li ha spiati di spalle,
li ha fissati nel viso e negli occhi; li ha frugati nell’anima, giovani e vecchi,
donne e bambini, zingari e cavalli. E ne ha creato una sua nuova sinfonia
pittorica. Una sinfonia di marroni bruciati, con chiarori di fuochi e nero di
occhi, che un giorno d’inverno, sotto le feste natalizie, ha presentato, a
Pesaro, nella Sala Laurana.
Zingari ritratti solo come figure dal portamento eretto, dagli occhi
“magici”, dai profili “fantastici”?
Zingari come “straccioni”?
Zingari come “ladri” e “stregoni”? Come nelle leggende, che una volta
terrorizzavano i bambini?
No. Niente nella pittura del Ballarini, sempre scarna e drammatica, sempre
sofferta, sempre intenta a una ricerca del reale umano, a una indagine
psicologica e sociologica insieme; niente di ispirato al puro gusto della
bellezza fisica o del folclore.
Zingari come popolo errante. Come “gente in continuo andare”, ci dice
il pittore. Ma gente in continuo andare per maledizione. Senza nessun
anelito al viaggiare. Nessuna ansia di scoprire il mondo. Nessuna voglia
ardente di goderselo. E nessun gusto del paesaggio vario. Nessuna contemplazione
di monti o di mari. Nessuna gioia per i colori. Intorno alle
figure degli Zingari, nient’altro che aloni di luce, tra ombre e penombre
indistinte.
Dunque, che cosa, del mondo zingaresco, ha ammaliato il pittore?
Gli Zingari al Palazzo Ducale.
Ero entrato a vederli per pura curiosità. Lui, Ballarini, in mezzo al salone,
in piedi, sorridente ai “Bravo!” di un maestro della pittura pesarese: Sandro
Gallucci. Alle quattro pareti, la sua sinfonia zingaresca. Come una giostra,
un carosello, un convegno. Ma senza aria di festa. Zingari come ombre
meste nella penombra rossastra della sera. Sagome infreddolite, intorno a
27
ARTICOLO
fuochi nella notte. Davanti alle tende, occhi di zingari e vampe di fuoco,
come spiriti purganti tra le fiamme del purgatorio. E gran silenzio. Zingari
muti. Senza parole tra loro. Zingari soli. Come nel deserto. Soli, impenetrabili,
corazzati di un dolore atavico, separati dagli altri uomini da un’indifferenza
reciproca, come da una sabbia invalicabile. Zingari dolenti, ma
senza alcuna attesa di pietà. Senza alcun lamento o rimpianto.
Zingari come uomini. Come squarcio di umanità. Non come mondo
pittoresco. Uomini, scavati nell’anima. Occhi, visi, membra del corpo, solo
come espressione di una tensione intima. Terre d’ombra bruciate con
nero di occhi e chiarore di fuochi, come segni di una concentrazione
drammatica. Occhi e labbra taglienti, spalle erette, gomiti serrati ai fianchi,
come a difesa di un orgoglio ferito. Uomini drammatici, ma senza teatro.
Dolore senza grido, come senza grido il dolore accettato dal Cristo
che porta la sua Croce nella “Via Crucis”, dipinta dal Ballarini per la chiesa
di Cristo Risorto.
Zingari come uomini di coraggio. Fieri nella maledizione. Alteri.
Nel dipingere altri uomini dolenti, gli uomini umili, i vinti della periferia,
il Ballarini non aveva mai osato rivelarne il volto. Pudico, rispettoso del
dolore altrui, poiché il dolore, la miseria, la sventura umiliano ancora, il
Ballarini aveva ritratto la sua piccola gente solo di spalle. Solo spalle
chine, struggenti, sfuggenti. E niente visi. Nel ritrarre gli Zingari, no. Non
ha più avuto timore. Negli Zingari ha incontrato visi e occhi dolenti, sì, ma
senza ombra di pianto. Occhi da sfida.
A mio avviso, è questa sfida che l’ha ammaliato. Una sfida, che il pittore,
così partecipe del dolore altrui, ha sentito come una rivincita. Una rivincita
di tutti gli offesi. Un riscatto inatteso, gioioso. Un riscatto, che non può
non avere un riscontro anche autobiografico, perché in ogni suo zingaro
è lui, come era lui in ogni piccolo uomo della periferia che, schivo, volgeva
le spalle nelle sue tele. Ogni ritratto dipinto dal pittore è, consapevolmente
o no, un suo autoritratto. Altrimenti non si spiegherebbe il fascino
esercitato dagli zingari su di lui, né l’evidente forza lirica delle sue figurazioni
artistiche.
“Il Resto del Carlino” Pesaro, Marzo 1977
Gilberto Lisotti
28
A R T I C O L O
L’impressione di “respirare” il colore
Se vai a visitare la mostra di pittura di Giuseppe Ballarini al Palazzo
Ducale, la prima impressione che provi è quella di “respirare” il colore
(il leonardesco lume universale senza sole) che pervade l’animo,
prima ancora di colpire l’occhio. Se l’effetto che provi è, appunto,
questo, se la ovattata morbidezza dei colori suggerisce qualcosa di nuovo
e di bello o, meglio, il pieno godimento estetico, vuol dire che Giuseppe
Ballarini ha estrinsecato la sua personalità come forse nemmeno lui stesso
se l’aspettava, in maniera intensa ed elevata, nel momento giusto, in
quel preciso stato di grazia in cui anche ai pittori (e non solo ai poeti)
capita eccezionalmente di toccare il cielo col dito.
Dagli “appunti poetici” ai paesaggi, dai ricordi del “piccolo paese” alle
“strade bianche”, dal mondo ingenuo e patetico dei ragazzini a quello
semplice e bello che si intravvede al di là delle “tre finestre”, sprigiona una
forza espressiva che ti assale d’impeto, ma ti avvince, ti trascina, ti affascina
senza che tu te ne avveda.
E c’è di più. C’è persino il recupero, in maniera insolita, perciò originale,
della poesia crepuscolare (chi non ricorda “La signorina Felicita” o “L’amica
di nonna Speranza” di Guido Gozzano?) con toni garbati che lasciano
assaporare espressioni ed atteggiamenti tendenzialmente sentimentali,
non privi, però, di un disincantato distacco dalle cose del mondo piccoloborghese
ed ottocentesco della “vetrinetta” con le suppellettili, le foto e le
patetiche rievocazioni del passato.
La nota dominante, comunque, nella pittura di Ballarini è e rimane il
colore che non è solo un aspetto epidermico della realtà, ma anche un
appropriato commento lirico dell’“altro da sé” sentito e sofferto in termini
talvolta idilliaci o, meglio, in chiave psicologica.
Il disegno stesso, che affiora dal tenue contrasto cromatico, ha sì una
formale precisione anatomica, ma non costringe la realtà entro limiti forzati
ed angusti, anzi l’avvalora e la idealizza. Disegno, colore e racconto
esprimono dunque, momenti diversi in un unico messaggio, momenti nei
quali è dato avvertire il senso della vita, accompagnata da una gioia contenuta
e da una solitudine pensosa. L’uomo, la natura e le cose non sono
la semplice rappresentazione emblematica del reale: ogni uomo, ogni
spazio dell’universo, ogni oggetto hanno una vita propria, sono immagini
non astratte, ma concrete: sono essere, sono cose che hanno una loro storia,
un distinto profilo psicologico e naturale.
29
ARTICOLO
E, infine, da notare che Giuseppe Ballarini ha brillantemente commentato
con i suoi disegni “Qualca goccia tel mer”, un volumetto di poesie in vernacolo
di Carlo Pagnini, presentato ai lettori con raffinata eleganza da
Vinicio Marini. Il libro è stato distribuito ai visitatori e alle autorità in occasione
della “vernice”. Il pubblico presente nella Sala Laurana non solo ha
dimostrato di accogliere favorevolmente l’iniziativa di Carlo Pagnini “da
molti anni applauditissimo interprete di teatro dialettale e di cortometraggi”,
ma ha anche molto apprezzato di Ballarini “l’omaggio a Gallucci”,
l’artista pesarese che da molti anni occupa un posto preminente nel
campo delle arti figurative.
“Il Resto del Carlino” Pesaro, Novembre 1979
Claudio Ferri
30
A R T I C O L O
Per arrivare alla soffitta di Giuseppe Ballarini si sale una bella,
grande scala di legno scuro; sul muro bianco, rustico e poroso
che ci accompagna per due piani fra libri e oggetti di una quotidianità
contadina ormai scomparsa, i suoi quadri. È privilegio di
pochi o di pochissimi salire quella scala per entrare in quella soffitta.
Giuseppe Ballarini è un solitario tenace camuffato da creatura socievolissima:
offre subito l’illusione di donarti la sua confidenza, di farti partecipe
dei suoi pensieri e dei suoi progetti, poi scompare per anni in una totale
assenza, protetto da un silenzio fitto e sdegnoso per il quale riuscirà a
rimproverarti al primo casuale incontro, come se tu fossi l’unico colpevole
di quella interruzione di dialogo. Ma se la sorte ti sarà favorevole e salirai
quella scala di legno scuro fino alla sua soffitta vasta e accogliente e se
riuscirai a carpire dai suoi quadri i sentimenti e le tensioni, i tumulti e le
debolezze, le seduzioni e i palpiti inconfessati che li hanno configurati,
allora ti sarà amico. Per sempre.
Giuseppe Ballarini è pittore per inderogabile vocazione, per sfida nei
confronti della sua stessa vita, e per l’insopprimibile desiderio di raccontare
con i segni e i colori tutte le emozioni che via via la sua acuta e attenta
percezione gli procura: la sua professione lo porta quotidianamente
lungo le strade della nostra provincia che egli conosce palmo a palmo e
di quelle strade ama gli alberi, i campi che vi si affacciano, i profili dolci
delle colline, la solidità antica dei paesini in controluce e come nessuno sa
raccontare l’atmosfera ormai svaporata e irreale di quei paesini dove vivono
ancora i preti con la tonaca lunga e lucida, il cappello tondo e largo e
le vecchiette con il fazzoletto annodato sotto il mento e le ciabatte di
panno e bambini pensierosi che si stupiscono ancora del correre delle
nubi, del brontolio del temporale e di una fiaba, raccontata sul far della
sera sui gradini di casa da una nonna che non guarda la TV.
Pittura di nostalgia e di memoria, quasi un ricomporre attraverso le
immagini della coscienza, un mondo semplice e sano intessuto di rustica,
intensa tenerezza: a questo mondo Ballarini ha dedicato moltissimi quadri,
nei quali alla configurazione solida delle figure fa contrasto l’evanescenza
dell’ambientazione resa determinata e riconoscibile solo da particolari
improvvisi e rari: una seggiola, un rosario, un vaso di fiori, una finestra,
una ringhiera e il profilo di un vecchio castello: i colori si riscaldano,
si arrossano quasi ad assorbire e riflettere la luce del sole che scandisce
31
ARTICOLO
la porta della soffitta sui tetti di via Manzoni era sempre aperta; a lui
Ballarini confidava con autentico abbandono ed incondizionata fiducia
emozioni e progetti, confessava incertezze e limiti, registrava maturazioni
e progressi.
Ora che ha la barba tutta bianca, Giuseppe Ballarini vuole, forse ricordando
cari e lunghi discorsi fatti con Gallucci, dipingere grandi quadri
che sappiano “raccontare” non più aneddoti, luoghi e personaggi, ma le
emozioni, i riflessi interiori, i palpiti, le folgorazioni, le malinconie che ha
accumulato in tanto tempo di silenzio: e sarà certamente la luce a diventare
base espressiva della sua pittura, non in quanto rappresentata, ma
come principio generatore ed operante: quella luce in trasparenza, già
protagonista indiretta di tante sue opere, che rende diafani e timbrati i
colori, che sospende come a mezz’aria i confini delle forme, che permette
il sovrapporsi dei toni diversi, come velature.
32
ARTICOLO
sovrano i tempi di un vivere al suo tramonto storico; gli spazi si dilatano
come sogni fra spessori di nebbie opaline accogliendo alberi, case e
pagliai in un universo nuovo e trasfigurato dove il vento è dramma e
festa.
Qualche anno fa Giuseppe Ballarini si innamorò degli zingari; fu un
amore incandescente, totale e insensato e che, come tutti i grandi amori,
invase gli spazi mentali della sua attenzione e della sua emotività e fu
forse l’espressione di un lacerante desiderio di trasgressione e di fuga, di
libertà e di avventura. E la sua soffitta fu piena di cavalli e di fuochi, di
gonne co-loratissime di femmine nomadi sfuggenti e maestose, di gesti
selvaggi, di canzoni tzigane e di pressanti interrogativi su una realtà che
pur sfuggendogli, invischiava ogni suo pensiero. Fu una malia: dipinse
con il tumulto nel cuore; il cromatismo si rabbuiò anche se a tratti il giallo
e il rosso e l’azzurro esplodevano come incendi; la materia pittorica si raddensò
in una concentrazione quasi carnale; il segno si fece più veloce e
rapido ritmato dall’incalzare delle immagini. Ballarini sembrò aver dimenticato
la dimessa mitologia del suo universo paesano, ma quando la travolgente
passione per gli zingari per il loro vivere sfrontato e nomade si
quietò, gli rimase per un po’, sotterranea e dolorosa la paura di aver perduto
la capacità di sognare e per qualche tempo si identificò forse in quel
grande guerriero riverso e ferito con le mani abbarbicate alla terra quasi a
riacquistare coscienza di una realtà e di una verità abbandonate per inseguire
le forme seducenti e splendide dell’immaginario: visione calda di
sole, confortata dal contatto solitario e silenzioso con la terra viva e accogliente
e a dimostrazione di una nuova maturità artistica conquistata,
trova con l’andamento obliquo delle pennellate una stesura più lieve,
quasi inconsistente che offre al volume della figura distesa l’espressione
dinamica. Con “il Guerriero” Ballarini forse si stacca dalla preoccupazione
del raccontare, per raggiungere con un’intuizione più sottile e trasfigurante
(pur nella perdurante coscienza figurativa) la ricreazione di un’immagine
compiuta in se stessa anche se lacunosa rispetto alle apparenze
naturali.
Nel suo lungo e solitario cammino artistico Giuseppe Ballarini si affiancò
per qualche anno all’ormai anziano pittore pesarese Alessandro
Gallucci che gli fu unico confidente, amico e maestro; a lui non si sottraeva
per fastidio o per distrazione, con lui non recitava socievolezza, per lui
33
A R T I C O L O
Ballarini e l’ottocento ritrovato
Se uno si affida al sentimento, il tempo passato è più facile ritrovarlo.
E come un intreccio di venti, il contrasto in noi stessi ci fa variare
tra memorie diverse. E così lo stile gli vien dietro.
Ognuno si accorge che c’è un Ballarini dei piccoli quadri, ritratti
critici, umoristici, di personaggi e d’atmosfera, vedutine e scenette deliziose
del quotidiano, agrodolci o solo patetiche: gli sposi, la coppia in
vacanza, le anziane, i marinai, le donne appoggiate al muro, il curato e la
perpetua, donne, ombrelli e mutande nel vento e così via. Vi domina un
azzurrino e verde ma soprattutto un personale rosa o rosso-rosa.
E proprio per contrasto vien fuori l’altro che è in una dimensione più
lontana e più grande e perciò meno critica, più storica ma colma di significati.
Talora ottocentesca, quasi preraffaellita, o neogotica nel guerriero
caduto in una terra erbosa e solitaria e definitiva, soprattutto di aria
romantica, come con evidenza nel violinista, tra cupi cipressi e un biancore
di scena o nelle sequenze degli zingari, specie donne con volti scuri,
gonne verdi e bianche, fuochi e cavalli, passi di danza o come la zingara
sporca o morata e nuda in un cielo rosa, o la bella giovane triste e amorosa,
immersa nella malinconia del paesaggio, quasi un segno di una libertà
illusoria, amara e dolorosa.
Proprio perché è una ricerca nel tempo sentimentale, c’è una pittura
rupestre e la ricerca del simbolo, come nella grande barca di legno, spezzata
alla riva del mare, con l’onda che la penetra e la sommerge, o nella
tempesta di mare sulla scogliera dove regge l'urto un capanno di pescatori.
Ma lo stesso simbolo è nei grandi quadri di querce di variate colorazioni,
con le vecchie che guardano bianche lenzuola ad asciugarsi nei
prati, una grande natura per piccole cose. Le diverse e contrastanti suggestioni
di Ballarini, si uniscono così tra uomini e natura, tra il piccolo e il
grande, il prossimo e il distante. Questo dialogo in contrasto non ha bisogno
di una definizione: è come se per dipingere abbia bisogno di un’altalena.
O anche di ascoltare più voci e alternandole ritrovare un nuovo sentimento.
Il piacere buono di dipingere e di vivere. Un sentimento da
vedersi con gli occhi, con colori grandeggianti, tumultuanti o un piccolo
alone d’oro.
34
P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O
Conosco Ballarini da venticinque anni; uomo di poche parole e
schivo, appartiene al numero di quegli amici coi quali ci si trova
d’accordo e con cui ci si mantiene legati anche se passano intere
stagioni senza vedersi. In un mondo che affoga nelle parole,
in messaggi e smancerie, il suo modo di essere contegnoso, sino alla
riservatezza, m’è sempre sembrato la prova di un qualcosa in più che egli
potesse avere.
Lo conosco come professionista, preparato e scrupoloso, ed ora quasi di
colpo lo trovo pittore, con un racconto già spedito e significativo. È stata
per me una rivelazione e capisco adesso anche il suo modo di fare e di
essere.
La sua pittura è il lungo racconto del come egli partecipa all’esistere
degli altri. Chi, come me, fa professione non di critico d’arte ma si occupa
di letteratura, è facilitato dalla lettura dei suoi quadri proprio perché si
tratta sempre di pagine aperte sull’uomo. E si entra immediatamente nel
significato della sua pittura così come si legge una pagina schietta un
poco ingenua e intensamente poetica.
Il suo racconto tocca inquietudini e sofferenze; le figure amare o solitarie,
con quel tanto di alone patetico da cui sono evidenziate, esprimono
una cronaca che talvolta assume anche toni di particolare violenza.
Ballarini è tutto inteso allo scavo della condizione interiore dei protagonisti:
vede l’atteggiamento cadente e stanco delle creature (si noterà
come li ritrae quasi sempre di spalle, come si allontanassero da un centro,
da una luce) e le circonda di profonda pietà che non è solo sentimento
ma anche dramma e richiamo alla fatica del vivere. Che egli voglia cogliere
solo questo nodo del racconto lo si vede dall’assenza di altre prospettive
e nell’essenzialità di un movimento figurativo anche grottesco, anche
iperbolico.
È il mondo di una periferia simbolica facilmente identificabile nella sua
memoria e da questa la partecipazione si fa più struggente e a volte
ansiosa, come quando in certi quadri - confessandosi - colloca le sue creature
solitarie di fronte alla croce.
35
P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O
Poeta della piccola gente
Vdella natura incorrotta. Ed esportata, diviene solo un modo di
evasione, come lo fu il mito del buon selvaggio, all’epoca della
rivoluzione francese.
Pittura dialettale? Forse si, se al termine dialettale non si
imprime quella connotazione di sufficienza, che ad esso danno coloro
che da una sola generazione hanno imparato a parlare in lingua, e vogliono
scrollare da se il ricordo di come parlavano i loro padri.
Certo si, se nel dialetto si crede come mezzo per raggiungere l’universale
attraverso il quotidiano: cioè l’uomo che è grande, pur nella sua piccolezza.
Il quotidiano della “umile Italia”, per dirla con Dante, che non si
spauriva certo di fronte al grandioso.
Pittura che chiede che ci si accosti ad essa con amore, senza chiedere
folgorazioni ma neppure compiacenze crepuscolari. Così come la piccola
gente, che sa quanto sia logorata la vita senza gesti, e si raggruma in se
stessa, chiedendo comprensione a quanti tentano di vivere.
36
PRESENTAZIONE IN CATALOGO
ecchie vestite, come fossero in lutto. Giochi innocenti di bimbi. Poveri
amanti. Preti dalla tonaca lisa. Personaggi di periferia. Ecco la “piccola
gente”, che incontriamo nei quadri di Ballarini.
Piccola gente che non ha dalla sua, come i proletari del Nord, la forza
contrattuale ed i profeti dell’avvenire. E neppure l’alone della disperazione,
come i sottoproletari del Sud, cui fa eco il compianto di registi e di
romanzieri neorealisti. Per comprenderla occorre, appunto, uscire dalla
dialettica delle due italie, quella settentrionale, industrializzata e moderna,
e l’altra, quella meridionale, sottosviluppata e tradizionale. Qui siamo
in quell’area, che si estende dalle Romagne alla porte di Roma, che ha
conosciuto le autonomie comunali, in cui l’umanesimo ha trovato il
primo sostentamento ed il rinascimento il massimo splendore.
Una terza Italia che si è poi addormentata come in un sogno, ignorando
la rivoluzione industriale. Da ciò la “piccola gente”, che vive di una gracile
economia, ma che è intrisa di civiltà secolare, ed ha ancora un proprio
spazio vitale, scavato alla sua dimensione.
Un mondo che il pittore tratta con un disegno scarnito, che procede
lungo l’argine sottile che divide la malinconia acre dal grigiore del quotidiano.
Disegno che riempie campiture di toni smorti, con qualche macchia
di nero. Sinfonie di grigi, condotte con estremo riserbo.
Una tecnica la quale rifiuta ogni estrosa ricerca, per essere più aderente
ai propri soggetti.
Un riserbo che è il riflesso del pudore con cui questa piccola gente, che
vive nell’ombra di un grande passato e quasi ne è intrisa, ricopre le proprie
miserie, dando loro umana dignità.
Nei poveri amanti, vi sono, forse, i figli di quelli narrati da Pratolini. Le
figure di periferia sono, forse, tratteggiate con il “lapis” di Marino Moretti.
Il prete dalla tonaca lisa è (addirittura?) il fratello minore di quel curato di
campagna, figlio di un’altra (ma non dissimile) provincia, che Bernanos ha
cantato.
Gli aquiloni librati nei versi del Pascoli si innalzano nuovamente, emblemi
della fanciullezza, anzi della memoria della fanciullezza.
Impresa non facile quella del Ballarini. Poiché si tratta di una pittura
“altra”, sia da quella della contestazione espressionista che discende dal
Nord, che da quella che risale dal Sud, pregna di umori populisti. E neppure
si tratta di pittura “naive”, poiché questa vuole dietro di se il mito
37
P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O
Il nome di Giuseppe Ballarini non è affatto nuovo a chi segua lo svolgersi
della pittura contemporanea nella nostra provincia. Egli più volte
si è cimentato a pubblico giudizio in Pesaro dove risiede ma anche in
grandi città come Roma, Bologna, Milano, quasi volesse ricevere conferma
alla valutazione del proprio operare, e le voci con le quali il risultato
del suo lavoro è stato accolto sono pressoché concordi. A presentarlo
sarebbero quindi bastate alcune di queste voci di cui conosco il peso, giacchè
poco potrò aggiungere ad un multiplo consenso. Eppure mi piace di
parlarne agli amici di Urbino molto semplicemente nel tentativo di definire
questa sua pittura tanto coerente con la sua umanissima persona.
Egli dipinge tutto teso ad un intimo ascolto e riesce a dirci quanto si
aggira ed urge nel suo pensiero: una specie di racconto della vita quale a
lui si presenta ed egli richiama da incontri avvenuti, da stati d’animo evocati,
da acute osservazioni sul nostro ciclico andare, condotto ad immediata
evidenza, schivo di sovrastrutture e scabro nella strutturazione, e pur
gentile di tono quasi dimesso (tanto che taluno e non impropriamente ha
fatto il nome di Marino Moretti) e a volte doloroso (tanto che taluno ha
scritto di “spirito prevalente drammatico”). L’uomo vi è colto in rapide sintetiche
annotazioni con una giustezza di moti, che pur nascondendone
quasi sempre il volto, ne cogli un carattere, ne puntualizzi una età; e le
figure o figurette vivono in spazi che , si tratti di aperture su vasti orizzonti
o di chiuse mura di ambienti - non altro rappresentano che la proiezione
di una condizione umana o di un fuggevole stato d’animo; ed è sufficiente
che egli renda verosimili i luoghi con alcuni elementi ora ben definiti ora
accennati e li immerga in stesure di colore modulate e svarianti, sì da
avvolgere ogni parte, per esprimere quanto intende rappresentare o evocare:
e, allorché l’accordo fra gli essenziali elementi è direi “istintivamente”
dosato, l’equilibrio è raggiunto, nulla che potresti toccare, il dipinto vive. Il
valore probante oltreché dalla costruzione della “figura” che in alcuni casi
si contorce o scatta, è dato - a me sembra, - da questa atmosfera - spazio
che la avvolge e la tiene. E sono azzurrini e grigi, azzurri cupi, oppure gialli
rossastri come la terra; a volte una nota di vivo rosso puntualizza un centro,
e bianchi e rosei parchi tocchi di altri colori, e invece scale di bruni e
più intensi grigi fino a raggiungere un nero, rivestono le figure o determinano
pareti ed ombre.
Questo è apparso a me , che osservavo la serie di tele condotte a termine
dal pittore negli ultimi mesi, e vorrei indicare alla vostra attenzione
38
PRESENTAZIONE IN CATALOGO
l’episodio delle tre vecchine nel gran paesaggio innevato o quello dei tre
ragazzi intenti a seguire dietro l’impannata la minaccia del temporale; o la
nonna e il nipotino dalla proda del campo diversamente incantati dall’irridente,
tanto lontano fuoco d’artificio; o quell’andare dei vecchi con le
grosse braccia e le ruvide mani ripiegate al dorso o il giocatore di bocce
pronto al lancio della palla; o quel confessionale dalla tenda rossa
nell’umile chiesa; o la salma della giovinezza stroncata giacente bianca in
un turbinoso vento di terra; oppure l’anziana donna sola nella camera
matrimoniale, o la vecchia ansiosa di rivedere un tenue guizzo di vita nel
fuoco-fatuo, oltre il cancello del cimiterino; o i due, fanciullo e fanciulla,
che siedono sull’alto del muro in beato rapimento e la indifferenza o peggio
la soddisfazione di un “bisogno corporale” dei ragazzi accanto alla casa
bruciata o contro il grande edificio in rovina, o anche - e mi sembra l’unico
caso in cui un volto scopertamente appaia - il dolce viso e il delicato braccio
di donna in trepida sottomissione piegata ad accogliere sia pur con
violenza, seme di nuova vita.
Vi accorgerete come queste figure e figurine nulla contengono di studiato
accademico, ma pervengono direttamente dal “vivo”, osservazione
esatta
(e più che osservazione direi “trasmissione”) rattenuta dalla memoria e in
rapido tocco con giustezza tonale fermata e racchiusa nell’atmosfera “sentimentale”.
Vi prego di non sorridere sull’uso di un aggettivo considerato stantio e
malfamato (non ho saputo trovarne altri) giacché credo che l’intimo moto
e non altro abbiano generato queste figurazioni di Giuseppe Ballarini.
Ascoltandolo parlare di una sua professione di tecnico agrimensore e
costruttore di case nella campagna, a contatto con umile gente in luoghi
sperduti e con la vicenda delle stagioni, oppure della propria famiglia -
parlare in termini schietti di una semplice vita di lavoro e di ansie - e poi
con sommesso calore, quasi temente di mostrarsi, cennare a questa sua
passione per la pittura, in lui giacente forse da sempre, coltivata in segreto
e da poco condotta allo scoperto - ecco l’uomo riflettersi nel suo modo di
dipingere con quelle note di illusioni e di ripiegamenti, di scatti di vitalità e
di umili accettazioni, che si leggono nel “segnare”, e a volte sottolineare
con un denso nero una forma che si contorce o balza, oppure nell’includerla
con delicato tocco nella stesura di quegli spazii che sembrano fluire
in musicale svariare di gradazioni, fino a raggiungere luce o a profondare
nel buio.
39
P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O
La maturità di Ballarini
Giuseppe Ballarini, pittore a Pesaro, ha avuto l’intelligenza di
uscire allo scoperto con le sue opere nella piena maturità. È
ancora vivo lo stupore suscitato dalla prima mostra con una
indimenticabile “Via Crucis”, nel segno della più schietta religiosità.
La critica fu unanime nel giudicare Ballarini un autentico pittore.
Seguirono altre mostre, in Italia e all’estero, con sempre maggiori consensi.
Tra i tanti, il più caro al Ballarini resta quello di Alessandro Gallucci, un
autentico maestro di quella scuola pittorica pesarese del novecento
ancora tutta da scoprire e da sistemare criticamente.
Inserito in questo filone il Ballarini può rappresentare una continuità
ideale della scuola pesarese, dividendo il campo con altri pochi nomi
riconducibili ad analoghe esperienze pittoriche e di cultura.
Sotto le spoglie di una grammatica elementare e di un declinante piccolo
mondo provinciale, in realtà la pittura di Ballarini nasconde un fitto
retroterra culturale, teso nella sperimentazione di nuove tecniche e di
nuove espressioni.
Le mostre succedute hanno puntualmente registrato questa ricerca.
Della prima “Via Crucis” si è detto. Seguì una pittura di annotazioni marginali
sugli uomini e sulle cose della periferia pesarese, colte in rarefatte
atmosfere di bianche luci iridescenti. Ci fu chi volle leggervi precisi riferimenti
letterari, in particolare certe poesie di Marino Moretti, che ha nel
sangue precise ascendenze pesaresi.
Nel proseguio della sua ricerca indirizzata verso un’umanità sofferente
ed emarginata, Ballarini si è incontrato con il mondo degli zingari. Ne è
venuta fuori una mostra rilucente di colori, vivace e sapiente l’uso dei
rossi, sovrabbondante di figure colte nella esuberante vitalità, ma con
negli occhi la fatale tristezza che accompagna i nomadi.
E siamo al quarto tempo della pittura di Ballarini. Tre anni di lavoro, una
settantina di quadri.
La mostra si apre con un omaggio ad Alessandro Gallucci. È qualcosa di
più del riconoscimento di un discepolato ideale. Vuole essere un tentativo
di lettura di quelle “marine”, che tanta parte hanno nella pittura gallucciana.
Il mare è parte del paesaggio pesarese e anche Ballarini tenta la sua
interpretazione, confessando candidamente che è molto difficile rendere
40
PRESENTAZIONE IN CATALOGO
il mare in pittura. Lo si capisce per i colori sfuggenti dell’Adriatico, tra il
verde e l’azzurro in un’altalena da caleidoscopio.
Poi Ballarini torna sul retroterra che non ha mai dimenticato.
Lo percorre attraverso il fitto reticolo delle strade bianche di campagna,
alla scoperta di paesaggi che sono il volto di una terra.
Le finestre che si aprono su questi paesaggi sono un tenue diaframma,
che separa ancora il piacere della scoperta dalla autentica partecipazione.
Ballarini, infine, ritrova in questi paesaggi l’umanità che predilige: i fanciulli,
le vecchiette, i personaggi di paese. Dalle finestre, diventate quadri,
Ballarini ci ridona il piacere di ritrovare un mondo ancora vivo nel quieto
paesaggio tra l’Adriatico e l’Appennino.
41
P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O
Ho rivisto “Peppe” Ballarini dopo trent’anni di assenza dalla
nostra città, l’ho incontrato in occasione della sua ultima
mostra tenuta al Palazzo Ducale di Pesaro nel novembre ‘79
e mi è ancora vivo lo stupore per averlo lasciato agrimensore
e ritrovato affermato pittore.
Osservando i suoi dipinti profusi di giuochi luminosi “dei più accorti” ho
capito che ama teneramente la sua terra, i luoghi di meditazione, i suoi
colori. Il vincolo che lo tiene legato a Pesaro ha origini ancestrali; il suo
modo di vedere e sentire la natura è amore per le cose quotidiane e semplici
che, rappresentate sulla tela, riescono a comunicare emozioni cariche
di luminoso cromatismo e di genuina ispirazione artistica.
Il suo disegno lindo e inciso, ha completezza di costruzione, acutezza di
analisi e di sintesi, caratteristiche queste che lo qualificano come un pittore
che sa esprimere un suo linguaggio. Nei suoi dipinti ha fermato le emozioni,
cogliendo il significato più profondo svelandone le semplici ispirazioni.
Ballarini riesce a riaffermare unitamente ai perduti valori di un
tempo la riscoperta di nuove sensazioni traducendoli con un linguaggio
aderente alla realtà delle “cose”.
“Peppe” Ballarini trovandosi solo con se stesso, ha riscoperto le campagne
da tempo dimenticate, le verdi marine autunnali, le vecchie imbarcazioni
sulla battigia, oppure i naufraghi tronchi depositati dal mare sulle
nostre spiaggie; le tranquille vecchiette di Novilara o i giuochi dei bambini
di un tempo a noi lontano.
Le sue inquadrature dell’entroterra pesarese rispecchiano la sua autentica
condizione di pittore vissuto in spontaneità, anche se qualche sua
marina o paesaggio cantano di colore più sognato che realistico.
L’acutezza cromatico-disegnativa e la esattezza descrittiva dei suoi dipinti
rappresentano il desiderio e volontà di definizione del valore pittorico
che per Ballarini è costante ricerca di cogliere nella natura tutto ciò che è
di reale.
La sua pittura ha un sapiente uso di caldi colori che conferiscono alle
inquadrature una forza fantasiosa di toni di valida espressione estetica e
di rigorosa coerenza espressiva.
Con la pittura Ballarini ha riscoperto la sua autenticità di uomo non
estraneo alle alienazioni del nostro tempo, ma dimostrandosi capace di
possedere profondi valori umani e pittorici quali la bellezza e l’armonia.
42
P R E S E N T A Z I O N E I N C A T A L O G O
Èda una condizione di solitudine subita e voluta insieme che Ballarini,
nel suo dipingere, filtra con coscienza riflessiva le emozioni, i contrasti,
i desideri, le seduzioni della vita perché possano diventare
“Racconto”, proposito e stilema di tutto il suo ormai lungo cammino
artistico. Giuseppe Ballarini ha sempre raccontato con la sua pittura: da una
ormai lontana e mai dimenticata “Via della Croce” alle composizioni di vecchi e
bimbi stretti in un rapporto di muto reciproco amore, dalla incandescente e
sensuale follia degli “Zingari”, alla tenera figurazione del passerotto sulla neve,
Ballarini ha sempre raccontato solo sé stesso; pittura quindi di evocazione, di
introspezione, di ricordo e non di mimesi.
I cieli, gli alberi, gli spazi non sono agitati da venti atmosferici, ma da rimpianti,
da passioni, da orgasmi: la tensione sospesa, opalina, trepidante dei
suoi quadri è sempre pronta a precipitare, a trasformare i cieli, alberi, spazi
polverizzandoli in una ebbrezza silenziosa, improvvisa, disperante. Racconti
come canzoni che cantano sempre lo stato tenero e crudele della sua contraddittoria
solitudine.
Per questo trepido raccontare la materia pittorica si trasforma, si impenna, si
adagia, sia rabbruna, si raddensa perché sa di diventare strumento e tramite di
messaggio: e nella tensione del raccontare il colore, il segno, il gesto, si liberano
del “vero” con un progressivo distacco dal motivo naturale e, diventando protagonisti,
configurano una verità più poetica, misteriosa e seducente.
Le catene del racconto cadono e si libera la felicità del raccontare; in questa
libertà che è inconsapevole e smemorante superamento di ogni vincolo formale,
Ballarini illumina e risolve la sua scontrosa solitudine offrendo una calda
mitologia di personaggi feriali e anonimi, spesso senza volto, incastonati in un
mondo vasto e silenzioso dove pace e malinconia, collere e carezze, memorie e
abbandoni tessono la loro fitta trama umana attorno alla nostra distratta esistenza.
Raccontare i silenzi della natura, il rabbuiarsi dei cieli, lo svolgersi degli spazi
sconfinati che si stendono oltre i limiti angusti delle abitudini, dei percorsi
obbligati, delle chiusure mentali e perdersi in opalescenti e vaghe geografie:
aprire finestre, allargare orizzonti, fuggire da sé alla ricerca di precognizioni, di
sogni, di sortilegi che continuano a sottrarsi da sempre alla conoscenza dell’uomo.
Ecco che le forme del reale, la trama del racconto, si confondono e si compenetrano
al mistero seducente dell’immaginario, all’imprevedibile accendersi dei
43
PRESENTAZIONE IN CATALOGO
desideri, alla certa consapevolezza di vivere da sempre nei frammenti di ogni
cosa in un ripetersi rinnovato di trionfi e di cadute, di illusioni e di nostalgie, di
rivolte e di adesioni. Raccontare la vita con colori che si esaltano e si confondono
e si sovrappongono in uno sfoggio cromatico di sfumature e di rimandi, con
luci improvvise e vivide come fiammate o estremamente spoglie e sfrangiate,
con immagini traslate, per frammenti, nel breve spazio di un dipinto, quasi per
pudore, quasi per paura.
44
45
T E S T I M O N I A N Z E
47
TESTIMONIANZE
48
49
TESTIMONIANZE
TESTIMONIANZE
50
51
TESTIMONIANZE
TESTIMONIANZE
52
53
TESTIMONIANZE
TESTIMONIANZE
54
55
TESTIMONIANZE
TESTIMONIANZE
56
57
TESTIMONIANZE
TESTIMONIANZE
58
TESTIMONIANZE
...Le finestre.
La pioggia faceva colare sui vetri
i suoi capelli rossigni, lunghi e tristi.
Con la sigaretta incollata al labbro
io dentro di me canticchiavo.
Mi piace la voce della pioggia
più che la mia...
59
TESTIMONIANZE
60
61
TESTIMONIANZE
63
M O M E N T I
Maternità 1938
Olio su tavola
cm 28 x 38
Il cavallo morto 1945
Olio su tela
cm 32 x 24
65
Momenti
Esecuzione 1971
Olio su tela
cm 40 x 60
Il vecchio e il bambino 1971
Olio su tela
cm 40 x 60
66
Momenti
Partire 1971
Olio su tela
cm 40 x 50
La persiana 1973
Olio su tela
cm 60 x 40
67
Momenti
Dove vanno 1975
Olio su tela
cm 150 x 100
Notturno 1975
Olio su tela
cm 50 x 70
68
Momenti
Sudario 1975
Olio su tela
cm 100 x 80
Il prete sulla neve 1975
Olio su tela
cm 80 x 100
69
Momenti
Primo amore 1975
Olio su tela
cm 80 x 100
Il seme 1975
Olio su tela
cm 100 x 80
70
Momenti
Infanticidio 1977
Olio su tela
cm 80 x 100
Controluce 1978
Olio su tela
cm 80 x 100
71
Momenti
Passeggiata con la maestra 1978
Olio su tela
cm 25 x 35
L’aquilone 1978
Olio su tela
cm 80 x 100
72
Momenti
Processione alla Pieve 1982
Olio su tela
cm 70 x 50
Temporale d’estate 1983
Olio su tela
cm 60 x 80
73
Momenti
Vento di scirocco 1983
Olio su tela
cm 60 x 80
Don Chisciotte innamorato 1986
Olio su tavola
cm 179 x 34
74
Momenti
Il guerriero caduto 1986
Olio su tela
cm 120 x 80
Bucolico 1987
Olio su tela
cm 120 x 80
75
Momenti
La mora nuda 1987
Olio su tela
cm 80 x 120
Concerto 1987
Olio su tela
cm 120 x 80
76
Momenti
Il cappello
del prete 1988
Olio su tela
cm 60 x 80
I figli 1989
Olio su tela
cm 120 x 80
77
Momenti
Paese antico 1989
Olio su tela
cm 40 x 30
Il roseto 1994
Olio su tela
cm 60 x 80
78
Momenti
Oltre il giardino 1994
Olio su tela
cm 60 x 60
Scalinata in grigio 1994
Olio su tela
cm 30 x 40
79
Momenti
La suora bella di Talamello 1995
Olio su tela
cm 50 x 50
80
Momenti
Tre roselline
e un ritratto 1995
Olio su tela
cm 80 x 60
L’orologio
a pendolo 1995
Olio su tela
cm 50 x 50
Momenti
Silente 1995
Olio su tela
cm 50 x 70
Temporale al crepuscolo
sul mare 1995
Olio su tela
cm 60 x 60
Momenti
L’arco azzurro 1995
Olio su tela
cm 25 x 35
Corteo sotto la neve 1996
Olio su tela
cm 50 x 50
83
Momenti
È nevicato 1996
Olio su tela
cm 60 x 60
84
Vespro 1997
Olio su tela
cm 60 x 80
Momenti
Finestra sul mare 1997
Olio su tela
cm 60 x 80
Stanotte,
il vento di bora
m’ha sparso sui vetri
stelline di sale,
e raccontato
antiche storie di mare.
Finestra sulle nebbie
del colle 1997
Olio su tela
cm 60 x 80
Come diceva quella vecchia
cara poesia ricordo poco,
raccontava di mare,
di nebbia,
di vini, di tini e cacciatori
e poi... e poi qualcosa
sui pensieri.
85
Momenti
Finestra in un giorno
di pioggia 1997
Olio su tela
cm 60 x 80
Piccole dita che battono sui vetri,
lacrime che scendono in rivoli lucidi
dai sempre nuovi percorsi
cento giorni di pioggia
potrebbero svelarmi
il perché di ogni cosa
o farmi impazzire.
86
Momenti
Il pettirosso 1998
Olio su tela
cm 40 x 50
La siepe e le lenzuola 1998
Olio su tela
cm 50 x 50
87
Momenti
Il grano
e i cipressi 1998
Olio su tela
cm 60 x 60
Il cardellino 1999
Olio su tela
cm 60 x 80
88
P A E S E
Bocciofilo 1973
Olio su tela
cm 60 x 100
Le scarpe buone 1974
Olio su tela
cm 60 x 100
89
PAESE
I richiami 1974
Olio su tela
cm 60 x 100
Sera di mezza estate
al bar della Carlotta 1974
Olio su tela
cm 100 x 60
90
PAESE
La banda 1979
Olio su tela
cm 25 x 35
Il diavolo 1981
Olio su tela
cm 70 x 50
91
PAESE
Serenata 1981
Olio su tela
cm 40 x 50
Vecchietta e pagliai 1981
Olio su tela
cm 40 x 50
92
PAESE
I ceri 1982
Olio su tela
cm 40 x 60
La pipì sul muro 1983
Olio su tela
cm 60 x 80
93
PAESE
Le parrocchiane 1983
Olio su tela
cm 44 x 54
In nome
del padre 1984
Olio su tela
cm 70 x 50
94
PAESE
L’acquasantiera 1984
Olio su tela
cm 70 x 50
Il maiale ucciso 1986
Olio su tela
cm 60 x 80
95
PAESE
Dalle mura 1987
Olio su tela
cm 25 x 35
Il curato e le vecchiette 1987
Olio su tela
cm 25 x 35
96
PAESE
La perpetua 1987
Olio su tela
cm 25 x 35
Temporale sul borgo 1988
Olio su tela
cm 25 x 35
97
PAESE
Gli sposi 1988
Olio su tela
cm 25 x 35
Il cacciatore 1988
Olio su tela
cm 25 x 35
98
PAESE
Il pulpito 1992
Olio su tela
cm 50 x 50
Concerto in piazza 1992
Olio su tela
cm 50 x 50
99
PAESE
Passeggiata con la maestra 1994
Olio su tela
cm 44 x 54
Dopo l’arco 1996
Olio su tela
cm 25 x 35
100
PAESE
A mattutino 2000
Olio su tela
cm 80 x 100
101
S A C R O
La via della Croce 1971 - Olii su tela - cm 50 x 70
Staz. I - La clamide scarlatta
Staz. II - La croce addosso
Staz. III - L’uomo cade
Staz. IV - La madre
SACRO
Staz. V - Simone di Cirene
Staz. VI - Veronica
Staz. VII - L’uomo cade
Staz. VIII - Le donne
SACRO
Staz. IX - L’uomo cade
Staz. X - Lo spogliarono delle vesti
Staz. XI - Lo inchiodarono alla croce
Staz. XII - Elì, Elì, Lemà sabactani?
Sacro
Staz. XIII - Giuseppe e Nicodemo
Staz. XIV - La Sindone
Studio sulla via della croce 1988 - Olio su tela - cm 120 x 80 105
SACRO
La clamide scarlatta 1998
Olio su tela
cm 80 x 100
106
Sacro
La leggenda
del pettirosso 1998
Olio su tela
cm 120 x 80
Il sepolcro vuoto 1986
Olio su tavola
cm 114 x 27
107
Z I N G A R I
La doma 1976
Olio su tela
cm 100 x 80
Viso di zingara 1976
Olio su tela
cm 25 x 35
zingari
Zingara danzante 1976
Olio su tela
cm 25 x 35
109
Zingarella con
cavalli 1976
Olio su tela
cm 35 x 25
zingari
Le figlie del vento 1976
Olio su tela
cm 80 x 100
Grande madre 1977
Olio su tela
cm 80 x 100
110
zingari
L’accampamento 1985
Olio su tela
cm 120 x 80
Lo zingaro
e il cavallo 1986
Olio su tavola
cm 65 x 36
111
zingari
Zingara con fuoco 1988
Olio su tela
cm 80 x 120
Zingare sulla spiaggia 1996
Olio su tela
cm 40 x 40
112
zingari
Zingara con carro 1998
Olio su tela
cm 80 x 120
Zingare sul sagrato 2000
Olio su tavola
cm 90 x 120
113
F I N E S T R E
Finestra su paese antico 1979
Olio su tela
cm 80 x 100
Finestra con fiori 1980
Olio su tela
cm 50 x 70
114
FINESTRE
Finestra 1980
Olio su tela
cm 60 x 80
Il gatto nero 1995
Olio su tela
cm 50 x 70
115
finestre
La sottana rossa 1996
Olio su tela
cm 50 x 50
Ventoso 1997
Olio su tela
cm 50 x 50
116
Finestre
Finestra su paese innevato
e pettirosso 1998
Olio su tela
cm 80 x 100
I fidanzatini 1998
Olio su tela
cm 80 x 100
117
finestre
Temporale sul borgo 1998
Olio su tela
cm 80 x 100
Corteo sotto la neve 1998
Olio su tela
cm 80 x 100
118
Finestre
La notte delle streghe 1998
Olio su tela
cm 60 x 60
Un bel mattino d’inverno 1999
Olio su tavola
cm 73 x 30
119
R I T R A T T O
Viso di giovane 1939
Olio su tavola
cm 22 x 50
La Linda 1945
Olio su tela
cm 22 x 35
120
ritratto
Autoritratto 1948
Olio su tela
cm 30 x 40
Giuliana 1957
Olio su tela
cm 40 x 60
121
ritratto
Donna Teresa 1957
Olio su tela
cm 31 x 41
Riccarda 1962
Olio su tela
cm 35 x 45
122
ritratto
Detta 1963
Olio su tela
cm 40 x 50
Riccarda 1971
Olio su tela
cm 40 x 60
123
ritratto
Alessandro Gallucci 1971
Olio su tela
cm 40 x 50
Claudio 1971
Olio su tela
cm 30 x 40
124
ritratto
Mario 1972
Olio su tela
cm 40 x 50
Maria Teresa 1972 - Olio su tela cm 40 x 60
Luca 1972 - Olio su tela cm 35 x 45
ritratto
Ragazza con camiciola turchese 1979
Olio su tela
cm 25 x 35
Bambina con ciliegie 1982
Olio su tela
cm 35 x 45
126
ritratto
Maria Pia 1982
Olio su tela
cm 40 x 60
Autoritratto “Poi” 1984 - Il Balilla
Olio su tela
cm 35 x 45
127
ritratto
La Mina 1987
Olio su tela
cm 60 x 80
128
Ragazza somala 1988
Olio su tela
cm 25 x 35
ritratto
Spazzola 1995
Olio su tela
cm 30 x 40
Autoritratto 1999
Olio su tela
cm 44 x 54
129
ritratto
Donna con orecchino 1999
Olio su tavola
cm 34 x 47
Carlo Pagnini 2000
Olio su tela
cm 40 x 50
Alda 1997
Olio su tela
cm 40 x 50
ritratto
Occhi azzurri 2000
Olio su tavola
cm 83 x 73
131
N A T U R A M O R T A
Natura morta
con violino 1940
Olio su tela
cm 33 x 41
Natura morta
con pesce 1940
Olio su tela
cm 30 x 41
132
Natura morta
Natura morta
con lepre 1957
Olio su tela
cm 70 x 100
Natura morta con
fagiano e starna 1957
Olio su tela
cm 80 x 70
133
natura morta
Natura morta
con melagrane 1990
Olio su tela
cm 40 x 30
134
Natura morta
l’autunno 1995
Olio su tela
cm 40 x 59
natura morta
Il Tordo da richiamo 1995
Olio su tela
cm 30 x 40
L’anatra germano 1996
Olio su tela
cm 60 x 60
135
natura morta
Girasoli su finestra 1999
Olio su tela
cm 50 x 50
Foglie bacche e melagrane
su finestra 1999
Olio su tela
cm 50 x 50
136
natura morta
Aglio e cipolla su finestra 1999
Olio su tela
cm 50 x 50
Lucerna e pigne su finestra 1999
Olio su tela
cm 50 x 50
137
A G R E S T E
Campagna romana 1952
Olio su tela
cm 23 x 30
Il gelso 1957
Olio su tela
cm 49 x 40
138
agreste
Pagliaio 1957
Olio su tela
cm 30 x 39
Quercia dopo la
pioggia 1986
Olio su tela
cm 120 x 80
139
agreste
Quercia e lenzuola 1987
Olio su tela
cm 80 x 120
La quercia antica 1987
Olio su tela
cm 120 x 80
140
agreste
Il querciolo 1991
Olio su tela
cm 40 x 25
I pini sull’Ardizio 1995
Olio su tela
cm 40 x 50
141
agreste
Agreste con figura 1995
Olio su tela
cm 50 x 50
Il bucato 1995
Olio su tela
cm 60 x 60
142
agreste
Il calanco e il querciolo 1996
Olio su tela
cm 40 x 40
Il grano e la quercia 1996
Olio su tela
cm 40 x 40
143
agreste
Le betulle 1997
Olio su tela
cm 50 x 50
I girasoli 1997
Olio su tela
cm 60 x 60
144
agreste
Dal San Bartolo al mare 1999
Olio su tela
cm 50 x 50
Mare di grano 1999
Olio su tela
cm 60 x 80
145
L a m a r i n a
Il pittore 1977
Olio su tela
cm 80 x 100
Omaggio a Gallucci
146
la marina
Capanno sugli scogli al porto 1987
Olio su tela
cm 80 x 120
Vento di bora 1987
Olio su tela
cm 80 x 120
147
la marina
Relitto 1988
Olio su tela
cm 120 x 80
Porto canale 1989
Olio su tela
cm 70 x 50
148
la marina
Cantiere al porto 1989
Olio su tela
cm 50 x 70
Domenica al mare 1994
Olio su tela
cm 60 x 60
149
la marina
Donne sulla battigia 1994
Olio su tavola
cm 102 x 25
Passeggiata 1995
Olio su tela
cm 50 x 50
150
la marina
Settembre 1995
Olio su tela
cm 60 x 80
151
la marina
Sotto l’ombrellone 1996
Olio su tela
cm 30 x 40
Radice dal mare 1998
Olio su tela
cm 50 x 50
152
la marina
Nudo su radice dal mare 1998
Olio su tela
cm 120 x 80
153
la marina
Bonaccia al porto 1998
Olio su tela
cm 50 x 50
La vela e il gabbiano 1998
Olio su tela
cm 40 x 60
154
la marina
L’uomo e il mare 1998
Olio su tela
cm 100 x 80
Le vele 1998
Olio su tela
cm 80 x 60
155
la marina
Maretta al molo 1999
Olio su tela
cm 60 x 80
156
la marina
Al mare sulla riva 1999
Olio su tavola
cm 99 x 25
Mare e cavalli 1999
Olio su tavola
cm 82 x 31
157
la marina
Al molo di levante ricordo un faro quasi fatto così 2000
Olio su tela
cm 60 x 80
158
Tecnica a graffito su
cartonfeltro e gesso
colorazione a olio.
Madre terra 1990
cm 60 x 60
La donna di Ammone 1990
cm 60 x 60
159
Mille e
poi mille 1990
cm 60 x 60
Tracce 1990
cm 60 x 60
Relitto con tenda sulla battigia 1998
cm 120 x 40
Su antica tavola da soffitto.
Colorazione a olio con porzioni
di legno lasciate a nudo.
Sul retro della stessa tavola:
Zingara 1999 - cm 120 x 40
161
I millenni 1999
Olio su legno
cm 42 x 44
spessore cm 8
Portello di antico forno in
legno di quercia. La superficie
dipinta, opposta al fuoco, reca
affascinanti segni di tormento.
162
Tavole ricavate,
con taglio longitudinale,
da grossi alberi di acero.
Il giocatore di bocce 2000
Olio su tavola
cm 70 x 190
spessore cm 4
163
164
Temporale 2000
Olio su tavola
cm 60 x 190
spessore cm 4
La zingara bella 2000
Olio su tavola
cm 60 x 190
spessore cm 4
165
166
La clamide 2000
Olio su tavola
cm 57 x 187
spessore cm 4
Controluce 2000
Olio su tavola
cm 73 x 192
spessore cm 4
167
Il curato 2000
Olio su tavola
cm 54 x 185
spessore cm 4
La Cesira 2000
Olio su tavola
cm 58 x 198
spessore cm 4
168
Su porzioni di pareti circolari di botti da vino.
Gregoriano 2000 - Olio su tavola cm 104 x 39 - spessore cm 4
Temporale sul convento 2000 - Olio su tavola cm 104 x 39 - spessore cm 4
Alleluia 2000 - Olio su tavola cm 104 x 39 - spessore cm 4
169
171
M O M E N T I
“Come
un intreccio di venti, il contrasto in noi stessi ci fa variare
tra memorie diverse...”
Qualcuno l’ha detto e mi sono ritrovato.
Scontro e intreccio fra venti e memorie diverse, i primi
come spinte emotive, pulite e generose sempre, le seconde come fatti ad
esse conseguenti e perlopiù punite sempre, così che il vivere e il dipingere
scorrono fra momenti di ingenua e meravigliosa estasi per ciò che mi
circonda e di timore insieme.
Solo quando affronto temi specifici tengo saldi il fatto e gli attori e il
momento e l’ambiente e l’atmosfera adatti, preoccupato a non travisarne
o interrompere il percorso, o come si dice, “a non uscir di tema” ma quando
così non debbo, mi lascio andare, ed è allora che le diverse memorie si
uniscono a venti diversi e il mio collocamento, nel tempo e nello stile più
difficile.
Questo mio lasciarmi andare e a volte perdermi, è un tipo d’esame che
mi son sempre fatto, sino a ferocemente criticarmi ma poi, inevitabilmente,
torno felice alle mie contraddizioni, alle mie molteplici memorie per
unirle a venti diversi, alle molte emozioni, ai turbamenti, anch’essi molteplici,
che mi conducono e prendono anche nella stessa giornata di lavoro
e a volte in spazi di minor tempo.
I miei “momenti”.
“Mi viene allora di pensare se ogni uomo non sia costretto a vivere,
oltre il suo presente, anche tutto il passato della propria specie e ritrovarsi,
nelle sue espressioni artistiche, trasportato dalle immutate emozioni
sue di sempre, in luoghi e tempi lontani”.
173
MOMENTI
Sessantottesco
La quercia ha da far mele e non ghianda.
L’ortica è rughetta
e le edere fan frutti di mare.
Le donne si realizzano,
non partoriscono e sparano revolverate.
Tutto impazzisce e non so cosa fare.
Se appena lo dico
mi danno del fascista.
Quando mai
Quando mai,
il sole nascendo
t’ha chiesto compensi!
e la luna e la pioggia
e il vento e le messi
e la terra che calpesti
da sempre.
Quando mai
t’hanno ricordato
il loro dare!
174
MOMENTI
A dispetto
Nevica!
Pulisco i vetri
per meglio vederla scendere
contro il verde cupo
dell’alloro.
Metto il cavalletto
di traverso la finestra
e altra legna nel camino...
Non nevica più.
Quasi scherzo
Ogni cosa è così ben distribuita
dalla natura,
che in ogni comunità,
pur piccola che sia,
non abbiano mai a mancare
uno zoppo,
un musico,
un cretino e...un pittore.
175
MOMENTI
Pace
Osservo il mio gatto dormire
e mi da pace.
Annullarmi in uguale
profondissimo sonno
che sa d’eterno,
misterioso e impalpabile
come certi pensieri frantumati.
Se anche tu
Se anche tu lo dicessi
che come me ami
la primavera
per i piccoli fiori di campo,
L’autunno
per i colori delle foglie morte,
L’inverno
per i suoi cieli di piombo
e il giungere del pettirosso,
L’estate
per il girasole ubriaco di luce,
Se anche tu lo dicessi
e lo sentissi vero
Io sarei immortale!
176
MOMENTI
Già sera
L’aurora brilla di rugiada
cantando il giorno
...ed è già sera.
Pensiero notturno
Importante è
che sorga il giorno
così che cessi
la mia paura e scoprire,
il mattino,
che il tuono udito
lontano
non era un fulmine caduto
sulla bella quercia antica
vicino a casa mia.
177
MOMENTI
La casa demolita
Che io guardi bene
quest’ultima parete
prima che anch’essa
rovini con lamento
e tu, aspetta a cadere
ti prego.
Voglio leggere
nei colori delle tue stanze.
Sudario
Pavese di lenzuola
gonfie di scirocco siciliano
Sudari immacolati
stesi a raccogliere vento
per danzare
col garrire dei rondoni neri.
Era giugno,
era giugno e tu scopristi,
d’improvviso, che di giovinezza
si può morire.
E io con te
178
MOMENTI
Senza fine
Avere ottant’anni o più
interrare una piccola ghianda
e attendere che la quercia
si faccia così grande da godere,
supino sull’erba,
di lunghe soste
alla sua ombra.
Se piove
Bisogno di buona musica
da ascoltare
che mi sia compagna
nell’opera e nei pensieri.
Da sempre!
Se però piove
spengo la radio.
179
MOMENTI
Sogno
Del lungo sogno di stanotte
mi resta la paura,
del suo fatto
ricordo poco.
Mi pare che la terra
avesse detto al sole
di non volere più in grembo
semi da nutrire e crescere.
Il sole allora si mutò in melone,
giallo prima, verde poi
e infine nero.
Mi sono svegliato
pieno di freddo.
Preghiera
Come giunga
all’ultimo mio tratto
poco importa
se mi lasci ancora trepidare
al vedere l’erba tenera
che cresce.
180
MOMENTI
Vorrei
Essere tramonto
di quelli tinti di rosso
e annegare nel mare
Essere vento
per fuggire lontano
e perdermi nel cielo
Essere fiore morente
coi petali tinti di bruno
e cadere senza spargere semi.
Vorrei...
Vorrei essere pittore
e dipingere l’eterno.
181
MOMENTI
È nevicato
A me compagni
delle lunghe notti:
gemito di banderuola
che fa all’amore col vento,
mugghiare di mare
e rintocco di campana,
correr di treno e dal porto
lamento di sirena.
Tutto stanotte più lontano
quasi bisbigliato.
E’ nevicato.
Mattino
La terra
sta partorendo il giorno
che già vedo scherzare,
con piccole dita di luce,
sulla persiana verde
di casa mia.
182
MOMENTI
Un bel mattino d’inverno
Odore di buccia di mela
che sfrigoli sul fuoco,
un po’ di neve che cada,
un pettirosso che batta moneta
alle molliche di pane
ch’hai sparso per terra.
Caccia alla volpe
Bam...bam
da verso lo stagno,
Bam...bam
da sotto il siepone
Bam...bam
il fosso dell’inferno...
la tana.
Sangue rosso su pelo fulvo,
due leccate, un giorno vissuto.
Da fuori
bestemmie per la mia morte
che s’allontana.
183
MOMENTI
La Tina
“pepino dla Maria dla Maestra”
La Tina Pepino
a so la Tina...t’arcord?...la Tina!
Piccola vecchina canuta e ingobbita
ti ricordo
Avevi dodici anni
forse meno, una vestina rosso sbiadito
e un nastro bianco nei capelli neri.
Eri bellina, ti ricordo.
Mi guardi e aspetti che ti dica,
lo vedo, che non sei poi tanto cambiata.
Provo a farlo, te ne accorgi
e il viso tuo vizzito si rattrista.
E anch’io.
184
MOMENTI
Piccolo paese antico
Io ti amo
piccolo paese antico,
capezzolo delle mie colline.
Per le tue mura e la porta ad arco
di rosso mattone consumato
per le piccole case ammucchiate a difesa
col muschio sui coppi,
per i vicoli selciati
e le scalette di pietra viva.
E ti amo per quella chiesa
lassù accovacciata,
il campanile con l’orologio
e la torre merlata.
Ancora di più ti amo
verso sera,
quando il lucignolo tremolante
del giorno che muore
ti fa tutto vibrare e ogni rumore cessa,
come per magia.
Anch’io mi fermo e sento, preciso,
il bisbigliare sommesso
di conosciute orazioni
all’Ave Maria.
185
MOMENTI
Finestra sul mare
Stanotte
il vento di bora
m’ha sparso sui vetri
stelline di sale,
e raccontato
antiche storie di mare.
Finestra sulle nebbie del colle
Come diceva quella vecchia
cara poesia, ricordo poco,
raccontava di mare
di nebbia
di vini, di tini e cacciatori
e poi...e poi qualcosa
sui pensieri.
Finestra in un giorno di pioggia
Piccole dita che battono sui vetri,
lacrime che scendono in rivoli lucidi
dai sempre nuovi percorsi.
Cento giorni di pioggia
potrebbero svelarmi
il perché di ogni cosa.
O farmi impazzire.
186
MOMENTI
Il maiale ucciso
Hanno ucciso il maiale
sull’aia coperta di neve.
Neve e sangue
mi fanno pensare a una rossa
granita d’estate
tutti fan festa
e ne ho subito contagio.
187
B I O G R A F I A E M O S T R E
Giuseppe Ballarini nasce il 26 dicembre 1926 a Montecchio e
dall’anno 1938 risiede a Pesaro.
Sin da giovanissimo, il suo linguaggio preferito sono stati il
disegno e la pittura (vedi lavori datati 1938).
Autodidatta puro è maturato con severa e costante autocritica, scoprendo
in solitudine e silenzio tecniche e linguaggi pittorici a lui consoni.
Ha esposto i suoi lavori solo in età matura, è infatti dell’aprile 1971 la
sua prima mostra personale tenuta presso la “Piccola Galleria comunale”
in Pesaro.
Tanta attesa per esporre, gli hanno permesso una severa preparazione
e studio del “proprio dire dipingendo” così da presentarsi già con un suo
discorso e personale stile.
L’incontro con il maestro Alessandro Gallucci avviene proprio in occasione
di questa sua prima mostra.
“Non so chi lei sia, di certo però sento che lì c’è un pittore”.
Questo il saluto del Gallucci alle opere esposte, e per Ballarini è un
nuovo camminare, consapevole ora di non essere più solo e che il proprio
sentire può divenire dialogo con gli altri.
Il lavoro si fa più intenso, lo studio più severo e la ricerca diventa pensiero
costante.
Le mostre e rassegne che seguono, raccolgono puntuali consensi di critica
autorevoli e interesse di pubblico.
Ed è ormai un lungo cammino.
189
MOSTRE
Mostre personali
1971
1972
1972
1973
1974
1975
1975
1976
1976
1976
1977
1978
1979
1979
1980
1984
1988
1997
Piccola Galleria Comunale - Pesaro
Saletta Rossini - Pesaro
Galleria d’arte NF I “Margutta” - Roma
Galleria d’arte “Il torchio” - Bologna
Sala Laurana Palazzo Ducale - Pesaro
Galleria d’arte “Le firme” - Milano
Teatro delle Fortune - Pennabilli
Casa di Raffaello - Bottega di G. Santi - Urbino
Galleria “Mouffe” - Parigi
Galerie “Vallombreuse” - Biarritz
Sala Laurana - Palazzo Ducale - Pesaro
Galleria d’arte Malatestiana - Rimini
Galleria “Verrocchio 2” - Pescara
Sala Laurana - Palazzo Ducale - Pesaro
Galleria “S. Arcangelo” - Fano
Galleria “G. Carducci” - Pescara
Sala Laurana - Palazzo Ducale - Pesaro
Saletta “Maselli” - Pesaro
Mostre collettive e rassegne
1973
1973
1973
1973
1975
1975
1975
1976
1977
1978
Gran Premio internazionale Genova - Vienna
Galleria Palazzo D’oria - Genova
Accademia delle belle arti - Vienna
I a Mostra di pittura “Pesaro produce” - Pesaro
I a Biennale d’arte sacra - Abbazia di Pomposa - Codigoro
VI a Biennale “Modigliani” Boscoreale - Napoli
Mostre Asta “Pittori contemporanei”
Galleria d’arte A. Manzoni - Milano
VI a Biennale “Gruppo 7” - Pesaro
Mostra di pittura “Gemellaggio artistico Pesaro-Parma” - Parma
II a Mostra di pittura “Marche producono” - Pesaro
VII a Biennale “Gruppo 7” - Pesaro
IV a Biennale d’arte sacra - S. Giovanni Rotondo
190
PUBBLICAZIONI
Pubblicazioni nei testi specializzati
Catalogo Nazionale “Bolaffi” - Ed. Bolaffi
Archivio Storico Artisti Italia - Ed. I.E.D.A.
Pittori italiani contemporanei - Ed. il Centauro
Annuaire de l’Art International 1975/76 - Ed. Patrick Sermadiras, Parigi
Annuario dell’Arte italiana - Ed. E.S.A.
L’Arte Italiana nel XX secolo - Ed. Le due Torri, Bologna
Esquire & Derby - Ed. Cesare Beltrami, Milano
Annuario Comanducci - Ed. Comanducci
Praxis Artistica - Ed. Omega Arte, Rimini
Catalogo della Grafica Italiana - Ed. Giorgio Mondadori
Gli anni 60 e 70 dell’Arte Italiana - Ed. Studio Arte, Piacenza
Pittori e Pittura Contemporanea. 1973. - Ed. Il Quadrato, Milano
Dizionario dei Pittori, Scultori, Incisori - Ed. Alba, Ferrara
Eco della critica 1973/74 - Ed. Donadei
La Maternità nell’Arte - Ed. Nuova Europa, Firenze
L’Arte del Nudo - Ed. Nuova Europa, Firenze
Dizionario dei Pittori, Poeti, Scrittori dei nostri giorni - Ed. Nuova europa Firenze
Guida all’Arte contemporanea 1974 - Ed. Bugatti, Ancona
Catalogo Internazionale d’Arte Moderna - Ed. Galleria Borgo Pinti
Foto d’artisti - Appunti di visita - Quaderno n° 1 - 1997 di Luciano Dolcini
Numerose opere si trovano in collezioni private, presso Gallerie Nazionali,
Estere e Enti Pubblici.
Presso la Chiesa di Cristo Risorto in Pesaro, Via Matteucci, è collocata la Via
Crucis eseguita nell’anno 1971, consistente in 14 dipinti, olio su tela, 50 x 70.
Dipinti di proprietà Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro olii su tela: n. 4
cm 25 x 35, n. 1 cm 50 x 70 e n. 1 cm 60 x 80.
Illustrazione e commento del volume “Qualca gòccia tel mer” di Carlo Pagnini,
prefazione di Vinicio Marini con poesie in vernacolo pesarese, editrice Azienda
Autonoma di Soggiorno, stampato in Pesaro, Tipografia Belli, Novembre 1979.
191