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La Toscana Nuova con Pola Cecchi

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La Toscana nuova - Anno 4 - Numero 4 - Aprile 2021 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Emozioni visive

a cura di Marco Gabbuggiani

Silenti eroine del quotidiano

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Questa pandemia ci ha permesso di scoprire eroi dei quali

non si parla. Un po’ come le persone che fanno beneficenza

senza sbandierarlo ai quattro venti: comportamenti

encomiabili di cui non si vantano e dei quali nessuno saprà

mai nulla. Anche i miei eroi non appaiono sui giornali

e nessuno gli dedica servizi o trasmissioni. Sono eroi che

non sanno neppure di esserlo, perché il loro amore è infinito

e quello che fanno rientra nella loro normalità. Anche

quando vengono nominati fugacemente dai media, lo fanno

sempre associandoli ai loro figli e ai problemi di questi

“cuccioli” di uomo allontanati improvvisamente dai compagni

di scuola, dallo sport, dagli amici, dalle feste, da

nonni, cugini e parenti. Questi eroi, o meglio, queste eroine

altro non sono che le mamme. Joseph Campbell, saggista

e storico delle religioni, ebbe a dire: «Un eroe è un

normale essere umano che fa la migliore delle cose nella

peggiore delle circostanze». E le mamme, nella drammatica

circostanza della pandemia, seppure preoccupate

come i loro compagni e mariti per il futuro e per il lavoro

e dovendo districarsi con un bilancio familiare sempre più

difficile da far quadrare, si improvvisano giullari, amiche,

insegnanti, clown, confidenti, consolatrici, cuoche provette,

disegnatrici, costruttrici di giochi, scrittrici di canzoni

e mogli sorridenti, spesso sacrificando il proprio lavoro e

talvolta sopprimendo il desiderio di un litigio col partner

pur di non creare tensioni in questo stravolgimento della

vita quotidiana troppo duro e troppo lungo per i loro amati

“cuccioli”. Non voglio togliere nulla ai miei colleghi maschi,

ma anche noi, in molti casi, siamo stati consolati da

“mogli/compagne/mamme” che, nonostante problemi e

ansie, spesso si sforzano di nascondere il loro disagio pur

di mantenere quel sorriso e quell’aspetto felice tanto caro

ai figli già duramente provati. E mentre medici e infermieri

rischiano la vita per salvarci e curarci, le nostre eroine salvano

le menti del nostro futuro. Nell’ombra, come già fanno

ormai da oltre un anno.

marco.gabbuggiani@gmail.com

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APRILE 2021

I QUADRI del mese

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Il Parco di Pinocchio fra arte e paesaggio

George Tatge, il fotografo dei non-luoghi

Dora Maar, un’artista vissuta all’ombra di Picasso

Dante Alighieri e le arti visive in una mostra a Forlì

Intervista a Danilo Fusi, maestro della figurazione toscana

La pittura di Milvio Sodi “di metamorfosi in metamorfosi”

Alessandro Dari: l’arte del gioiello tra filosofia e spiritualità

Curiosità storiche fiorentine: lo Scoppio del Carro

Dimensione salute: tutelarsi dal contagio del virus in auto

Psicologia oggi: il volto oscuro della rabbia

I consigli dell’osteopata: le possibili cause della cervicalgia

I consigli del nutrizionista: perché usare poco sale

Il docufilm di Lorenzo Borghini sulle vittime della strada

Fabio Vettori, lo scultore che fa “vivere” il metallo

Il romanzo giallo “anticonvenzionale” di Stefano Cirri

Augusto Novelli e Nando Vitali, alfieri della comicità in Toscana

Andrea Alfani, l’ultimo dei pittori romantici

I dieci anni della casa editrice di Luca Vitali

Le vibranti espressioni cromatiche di Marino Brogi

Il “new deal” del Club Ferraristi Toscani

Ucio Matticchio, il fabbro dei vip

Il commercio etico del Movimento Life Beyond Tourism

Antichità via dei Fossi, arte e antiquariato a Firenze

Clara Mallegni, un’artista in “perpetuo volo”

Francesco Bandini: percorsi visivi sulle tracce della storia

Orrore e rinascita dopo il Covid nel libro di Stefania Maffei

Tiziano Terzani: la vita sempre in viaggio di un grande fiorentino

Intervista ad Andrea Vignozzi, consulente di arte moderna

Concerto in salotto: Giuseppe Verdi, il genio di Busseto

Paola Beretta, una pittrice attenta al sociale e al femminile

Storia delle religioni: commento all’Enciclica di Papa Francesco

Artidotum, la mostra virtuale contro gli effetti della pandemia

L’avvocato risponde: modificare le condizioni di separazione e divorzio

La tutela dell’ingegno: l’impennata del genio italiano nel 2020

La Fiorentina ieri, oggi e domani secondo Luciano Chiarugi

Di-segni astrologici: Ariete, un guerriero dal cuore sensibile

Toscana a tavola: i fagioli, un legume antico e prezioso

Arte del vino: il gioco degli abbinamenti con i primi di terra

TK Group: servizi finanziari per le imprese all’estero

Consulenza bancaria: i bonus per l’edilizia, un’opportunità da cogliere

Percorsi trekking in Toscana: alla scoperta de “Le Parole d’Oro”

L’arte di produrre vino nell’intervista a Mario Innocenzo Catambrone

Arte del gusto: Mortadella di Prato IGP, un’eccellenza made in Toscana

Il piano di sviluppo internazionale di B&B Hotels

L’iniziativa di Idea Toscana a supporto degli artigiani

Roberta Caprai, Il paradiso nascosto, ovvero Via di Giramonte,

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Claudio Cargiolli, Alla ricerca del Graal (2020), olio su tela e tavola, cm 45x35

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Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

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Anno 4 - Numero 4 - Aprile 2021

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Testi:

Manuela Ambrosini

Luciano Artusi

Ricciardo Artusi

Rosanna Bari

Ugo Barlozzetti

Laura Belli

Paolo Bini

Margherita Blonska Ciardi

Doretta Boretti

Fabrizio Borghini

Erika Bresci

Viktorija Carkina

Jacopo Chiostri

Silvia Ciani

Julia Ciardi

Alessandra Cirri

Nicola Crisci

Maria Grazia Dainelli

Aldo Fittante

Giuseppe Fricelli

Marco Gabbuggiani

Serena Gelli

Stefano Grifoni

Chiara Mariani

Stefano Masini

Elisabetta Mereu

Emanuela Muriana

Luigi Nepi

Daniela Parisi

Lucia Petraroli

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Antonio Pieri

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Roberto Rampone

Barbara Santoro

Michele Taccetti

Franco Tozzi

Foto:

Rosanna Bari

Leonardo Brogioni

Gino Carosella

Julia Ciardi

Maria Grazia Dainelli

Marco Gabbuggiani

Simoni Lapini (ADV photo)

Dora Maar

Maurizio Mattei

Carlo Midollini

Silvano Silvia

George Tatge

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All’interno di questo numero:

Quinta puntata

di

“Giuliacarla Cecchi.

Firenze e la moda.

Un affresco del Novecento”.


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distanziamento ed è dotato di adeguati presidi di prevenzione anticovid.


A cura di

Ugo Barlozzetti

Percorsi d’arte

in Toscana

Il Parco di Pinocchio fra arte e paesaggio

di Ugo Barlozzetti / foto courtesy Parco Monumentale Pinocchio

Venturino Venturi, Mangiafuoco, particolare della Piazzetta dei Mosaici

Emilio Greco, Pinocchio e la Fatina (1956), bronzo, Collodi, Parco monumentale di Pinocchio

Il Parco di Pinocchio a Collodi è un giardino urbano

antologico nato dall’idea del professore

Rolando Anzilotti, sindaco di Pescia, nel 1951,

per commemorare Carlo Lorenzini che aveva usato

come pseudonimo il nome del paese – Collodi

– rendendolo famoso in tutto il mondo. Doveva essere

un monumento che permettesse a bambini e

adulti di rivivere per episodi la narrazione della vicenda

di Pinocchio in una cornice capace di rievocarne

l’atmosfera fiabesca. «Il Parco di Pinocchio,

luogo-monumento e parco ambientale ante litteram

– ha scritto Claudia Maria Bucelli, esperta in Architettura

dei giardini – conobbe contesto, identità

locale e densità storica quali fondamenta portanti

la propria creazione. (…) Esteso luogo-percorso

in veste di giardino ai margini dell’abitato, profon-

damente radicato e in connessione ideologica alla stratificazione

dei luoghi, ai paesaggi narrati nella fiaba e a quelli nei

secoli costruiti dall’attività antropica, nonché paesaggio evocativo

dell’immaginazione di ogni fruitore, il Parco di Pinocchio

nacque infatti circondato e strettamente correlato alla

trama antica del paesaggio agrario e a insediamenti e monumenti

storici». Nel 1953, per il settantesimo anniversario

della pubblicazione di Pinocchio, su iniziativa sempre dell’Anzilotti,

venne indetto un concorso nazionale per la realizzazione

di un monumento al burattino. Il concorso prevedeva

l’abbinamento di architetti e scultori. Tra i centosessantacinque

progetti, esaminati da una commissione composta dal

pittore Gentilini, dagli scultori Griselli e Manzù, dallo storico

dell’arte Enzo Carli e dall’architetto Giovanni Michelucci, risultarono

vincitori ex aequo il gruppo statuario Pinocchio e

la Fatina di Emilio Greco e la Piazzetta dei Mosaici, progettata

dagli architetti Renato Baldi e Lionello De Luigi e realizzata

poi dallo scultore Venturino Venturi. Una prima parte

venne inaugurata da Piero Bargellini il 14 aprile 1956 alla presenza

di Giovanni Gronchi, su un terreno modellato dagli architetti

in cui furono collocate, nella folta e accurata texture

vegetale, le opere realizzate dai due artisti vincitori ex aequo.

Di particolare importanza la Piazzetta dei Mosaici che impegnò

Venturi per tre anni. Lo spazio dedicato è cinto da un

muro sagomato con la faccia interna coperta da 900 mq di

superficie musiva, e un ponte sarebbe stato un trait d’union

con l’adiacente giardino della settecentesca Villa Garzoni. Il

centro della piazza prevedeva un Pinocchio alto cinque metri

in funzione di meridiana, la cui ombra – a rappresentare

la mutevolezza della creatura di Lorenzini, variando di ora in

ora e di giorno in giorno – sarebbe diventata uno straordinario

segnalibro, in relazione con la storia di Pinocchio narrata

sulle pareti del mosaico. La decisione della giuria impedì di

fatto un progetto che avrebbe anticipato, per la geniale intuizione

dei suoi autori, temi che sarebbero diventati anni dopo

centrali per la riflessione di architetti e paesaggisti, ossia

la stretta correlazione tra paesaggio, opera costruita

e realtà umana. Nel 1972 fu completata

una seconda parte, Il Paese dei Balocchi, progettata

dagli architetti Pietro Porcinai, per la scenografia

ambientale, e Marco Zanuso, autore delle

strutture edificate con Augusto “Bobo” Piccoli e

costellata da ventuno sculture realizzate da Pietro

Consagra con lastre metalliche. Alla zona verde

dal 1963 si era aggiunta L’Osteria del Gambero

Rosso (che ospita l’omonimo ristorante), opera di

Giovanni Michelucci. Nel 1986 fu aggiunto Il laboratorio

delle parole e delle figure in seguito rinominato

Laboratorio del Fare e del Dire da uno

schizzo di Giovanni Michelucci, spazio realizzato

nel 1988 dall’architetto Carlo Anzilotti, dove vengono

organizzate mostre sulle illustrazioni per

l’infanzia e laboratori didattici.

IL PARCO DI PINOCCHIO

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I grandi della

Fotografia

A cura di

Maria Grazia Dainelli

George Tatge

Il fotografo dei non-luoghi e delle atmosfere metafisiche

di Maria Grazia Dainelli / foto George Tatge

Ènato ad Istanbul, ha studiato negli Stati Uniti e ha

girato diverse città italiane prima di stabilirsi a Firenze.

Questi continui spostamenti quanto hanno

influenzato il suo occhio fotografico?

Sono nato ad Istanbul, da qui mi sono trasferito a Beirut, Londra,

Tripoli, New York e poi Washington. Finita la parentesi

americana mi sono trasferito in Italia, prima a Roma, poi a Todi

e in ultimo Firenze. I miei spostamenti in giro per il mondo

mi hanno reso adattabile a qualsiasi situazione. La fotografia

ha bisogno di persone flessibili che sappiano accontentare i

committenti. Ho imparato soprattutto che per fare fotografia

non è necessario andare lontano, si può rimanere anche intorno

alla propria casa. La fotografia vive di casualità, ma la

fortuna premia chi s’impegna nella ricerca.

Come si è convertito al colore dopo un lungo feeling col

bianco e nero?

Ho lavorato tutta la vita con il colore, ma mai per le “cose

mie”. La prima volta è accaduta per puro caso nel 2011 al

rientro da un viaggio a Parigi in compagnia di mia madre.

Eravamo stati a visitare la mostra di Odilon Redon, pittore e

incisore francese considerato il maggior rappresentate del

simbolismo in pittura. In questa occasione scoprii che Redon

aveva iniziato a dipingere a colori all’età di sessant’anni

dopo aver realizzato per gran parte della sua vita litografie

in bianco e nero. Al mio rientro in Italia comprai una scatola

di pellicole a colori e rimasi folgorato da questo nuovo modo

di vedere, scoperto per caso.

George Tatge (ph. Carlo Midollini)

La mostra del 2020 a Pistoia Il colore del caso proponeva,

tra l’altro, fotografie con montagne di stracci in contesti

industriali. Quale messaggio voleva trasmettere?

Quella mostra comprendeva scatti realizzati nell’arco di 7 o

8 anni e non era legata ad un tema preciso. È stato il caso a

portarmi in uno dei tanti magazzini di Prato dove c’erano cumuli

di stracci. Ogni stanza mi trasmetteva qualche cosa di

diverso per il colore e per la luce; la mia visione delle

maglie accatastate fu terrificante perché mi rimandava

alla tragicità delle immagini di Auschwitz. Ho

inviato queste foto ad una mostra sulla Shoah dove

sono state molto apprezzate.

La lentezza meditativa delle sue immagini si deve

all’utilizzo della fedele Deardorff?

Sono sempre stato meticoloso nel modo di fotografare

anche quando scattavo con la Nikon, sarà perché nutro

una vera e propria ossessione per i dettagli. Nel passag-

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Tre cumuli di cenci (2013)

8

GEORGE TATGE


Come mai le interessano i luoghi ai margini della città?

Fotografi importanti come Josef Sudek che fotografava il suo

giardino, insegnano che non c’è bisogno di andare in luoghi

esotici per scattare eccellenti fotografie. Anche la Convenzione

europea del paesaggio presentata a Firenze nel 2000

ha stabilito che tutto il paesaggio ha valore, e quindi non solo

il centro storico e i parchi ma anche la periferia che personalmente

trovo molto affascinante.

Quanto conta la cultura nelle sue fotografie?

Scoglio della regina (Livorno, 2019)

gio al banco ottico, mi spaventava l’idea di vedere l’immagine rovesciata

sul vetro smerigliato. Solo dopo essermi innamorato di

questo processo creativo, ho iniziato ad organizzare l’immagine

in modo diverso, valorizzandone la struttura, la composizione e

gli spazi e trovando in questo grande soddisfazione.

Spazi e volumi c'erano già nei suoi primi lavori?

I miei primi interessi nella fotografia riguardavano il ritratto; l’idea

di immortalare il paesaggio e l’architettura è venuta molto

più tardi. Oggi, affascinato dall’idea di tornare al ritratto, dopo

il bagaglio di esperienza maturato con il banco ottico, ho iniziato

a rappresentare il volto in maniera diversa dal passato,

posizionando il cavalletto al mio fianco e cercando di far uscire

l’anima della persona che ho davanti. Il prossimo ottobre

a Todi aprirà una mostra di ritratti scattati tra il 1974 e 1987

quando vivevo là, con una serie di nuovi ritratti. Un modo di vedere

i cambiamenti avvenuti in questi anni.

Ringrazio i miei genitori che mi hanno trasmesso l’amore

per tutte le arti e che mi hanno fatto apprezzare il valore della

cultura. La sensibilità si forgia nell’incontro con le parole

di uno scrittore, l’opera di un pittore, l’ascolto della musica.

Sono momenti di solitudine necessari nella formazione

di un artista.

Dal 1986 al 2003 è stato dirigente tecnico-fotografico della

Fratelli Alinari: cosa le ha lasciato questa esperienza?

Sono stati sedici anni affascinanti di dedizione totale a questo

archivio di livello mondiale che racchiude immagini impressionati.

I primi anni ho organizzato mostre, ho visitato

musei e ville, ho avuto contatti con grandi fotografi, poi sono

partite le campagne fotografiche in giro per l’Italia. La

mia più grande frustrazione è quella di non aver avuto il

tempo di esplorare a fondo gli archivi di questa straordinaria

collezione, alcuni dei quali ancora oggi non sono stati

mai aperti. Spero che la Regione Toscana riesca a valorizzare

al meglio questo patrimonio storico e culturale di enorme

importanza.

Perché l'uomo è assente nelle sue foto?

L’uomo c’è in tutte le mie immagini, ma non fisicamente. Gli

spazi urbani e l’architettura hanno una loro presenza e dignità.

Inserire persone ti spinge anche involontariamente a datare la

foto e quindi perdi quel senso di eternità delle architetture. Se

non ci sono altre persone nell’inquadratura l’invito ad entrare

nell’immagine con i tuoi occhi e la tua mente è più forte.

Che ruolo ha la metafisica per lei?

La parola metafisica indica qualcosa che va oltre l’apparenza

fisica delle cose. Le mie fotografie sono metafisiche proprio

perché vogliono catturare ciò che sta dietro la realtà oggettiva.

Ho dedicato anche un libro a questo tema. L’anno scorso,

in occasione di una mostra a Livorno, ho immortalato alcune

piazze di questa città dove ho provato la stessa strana

sensazione che de Chirico ha provato in Piazza Santa Croce

a Firenze quando ha dipinto il celebre quadro L’enigma di un

pomeriggio d’autunno. Un’esperienza che ha cambiato la vita

del grande artista, segnando l’inizio di un nuovo periodo della

sua pittura. Anche io come lui cerco il mistero nascosto dietro

le cose, il loro volto metafisico.

Piscina e mare (Livorno, 2010)

GEORGE TATGE

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Spunti di critica

Fotografica

A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Dora Maar

Amante e musa di Picasso, è stata una delle più talentuose fotografe

d’avanguardia del Novecento

di Nicola Crisci / foto Dora Maar

Henriette Theodora Marković, meglio nota come

Dora Maar, nasce a Parigi nel 1907 da padre

croato e madre francese; trasferitasi a Buenos

Aires, vi trascorre tutta l’infanzia, prima di tornare a Parigi

per studiare arte e fotografia. Lavora come fotografa

in ambito pubblicitario ed editoriale, con un approccio

molto personale. Negli anni Trenta apre uno studio fotografico

con Pierre Kéfer al 29 di rue d’Astorg nella capitale

francese, dove realizza servizi fotografici di moda e

nudi con le più famose modelle dell’epoca. In questi anni

si dedica anche alla fotografia di strada, catturando

attimi di vita di migliaia di persone ai margini della società:

mendicanti, vagabondi, disperati e madri sole con

figli piccoli diventano protagonisti di immagini surreali e

piene di umanità. Sperimentatrice instancabile, esplora

strade artistiche alternative come la fotografia cinematografica.

Il suo scatto più sorprendente ed originale s’intitola

Monstre sur la plage (Mostro sulla spiaggia) e fa parte della

serie di fotomontaggi da lei creati per raccontare le ansie provocate

dal clima politico di quegli anni e dalla minaccia di guerra.

Verso la fine del 1935 viene assunta come fotografa di scena per

il film Le crime de Monsieur Lange di Jean Renoir. La sua brillante

carriera subisce un arresto quando, nel 1936, incontra Picasso

e ha inizio la loro relazione. Affascinato dall’enigmatica bellezza

di Dora, che era stata ritratta anche da Man Ray in una delle

sue celebri solarizzazioni, Picasso ne fa la sua amante e musa

ispiratrice di molti suoi capolavori come il famoso dipinto Donna

piangente. Un appellativo che alla lunga finisce per identificare la

figura della Maar, facendola passare per una donna fragile e bi-

Dora Maar fotografata da Man Ray nel 1936

sognosa di essere salvata. «Io non sono stata l’amante di Picasso,

lui era soltanto il mio padrone» era solita affermare. E infatti

il loro è stato un rapporto tormentato e morboso, che l’ha portata

ad abbandonare la fotografia e a subire l’influenza del grande

maestro spagnolo. Dopo la fine della relazione avvenuta a

causa dell’infedeltà di Picasso, Dora è consumata dalla depressione

e viene per questo ricoverata in manicomio, dove subisce

trattamenti violenti, incluso l’elettroshock. Trascorre il resto della

propria vita da sola, senza mai smettere di dedicarsi all’arte e

in particolare alla pittura. Muore a Parigi il 16 luglio del 1997. Il

Centre Pompidou l’ha celebrata nel 2019 con una grande retrospettiva

che ne racconta le straordinarie doti artistiche.

Assia e la sua ombra, sua sorella nera

Doppio ritratto con cappello

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DORA MAAR


Mostre in

Italia

Oltre trecento opere a Forlì per celebrare il

rapporto tra Dante Alighieri e le arti visive

Realizzata in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi, la mostra si aprirà il

prossimo 1° aprile ai Musei di San Domenico

di Barbara Santoro

In occasione del settimo centenario della morte del sommo

poeta, i Musei di San Domenico a Forlì ospiteranno,

dall’1 aprile all’11 luglio 2021, la mostra Dante / La visione

dell’arte che illustrerà la figura del padre della Divina Commedia

e della lingua italiana attraverso un percorso espositivo

ricchissimo, con opere dal Medioevo al Novecento: tra queste,

creazioni di Giotto, Beato Angelico, Filippino Lippi, Michelangelo,

Tintoretto, fino ad arrivare a Sartorio, Boccioni,

Casorati e altri maestri della modernità. Circa cinquanta

opere, tra dipinti, sculture e disegni arriveranno dalle Gallerie

degli Uffizi: un corpus di disegni a tema di Michelangelo

e dello Zuccari, i celebri ritratti del poeta di Andrea del

Castagno e di Cristofano dell’Altissimo e poi l’Ottocento

con Pio Fedi, Nicola Monti, Giuseppe Sabatelli e Raffaello

Sorbi e il capolavoro di Vogel von Volgestein Episodi della

Divina Commedia. Prestiti arriveranno inoltre dall’Ermitage

di San Pietroburgo, dalla National Gallery di Sofia, dalla

Walker Art di Liverpool, dalla Staatliche Kunstsammlungen

di Dresda, dai musei di Toledo, Nancy, Tour e Anger, dalla

Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dalla Galleria

Borghese, dai Musei Vaticani, dal Museo di Capodimonte

e da innumerevoli altri musei italiani e stranieri. Frutto di

un robusto sodalizio tra i Musei di San Domenico e le Gallerie

degli Uffizi, l’esposizione non è solo un’occasione per

dare corpo all’anniversario dantesco: nel momento diffici-

Cristofano dell'Altissimo, Ritratto di Dante Alighieri (1552-1568), olio su tavola, cm 60x44, Firenze,

Gallerie degli Uffizi, Collezione Gioviana

le che il mondo intero sta vivendo, questa mostra vuole essere

un simbolo di riscatto e di rinascita del nostro paese e

più in generale del mondo dell’arte e della cultura. Il progetto

nasce da un’idea di Eike Schmidt, direttore delle Gallerie

degli Uffizi, e di Gianfranco Brunelli, direttore delle grandi

mostre della Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì. Curatori

della mostra sono Antonio Paolucci e Fernando Mazzocca,

coadiuvati da un prestigioso comitato scientifico.

La scelta di Forlì come scenario dell’esposizione è parte

di una strategia di valorizzazione di un luogo e di un territorio

che non costituisce solo un ponte naturale tra Toscana

ed Emilia Romagna, ma è anche una città dantesca. A

Forlì Dante trovò rifugio, lasciata Arezzo, nell’autunno del

1302, presso gli Ordelaffi, signori ghibellini della città. E

sempre a Forlì fece ritorno, occasionalmente, anche in seguito.

Per la prima volta, l’intimo rapporto tra Dante e l’arte

viene interamente analizzato e ricostruito presentando gli

artisti che si sono cimentati nella grande sfida di rendere in

immagini la potenza visionaria delle sue opere ed in particolare

della Divina Commedia, oppure che hanno affrontato

tematiche simili a quelle dantesche, oppure ancora che

hanno tratto da lui episodi o personaggi singoli, sganciandoli

dall’intera vicenda e facendoli vivere autonomamente.

Attraverso un percorso antologico, l’esposizione condurrà

il visitatore alla scoperta della crescente leggenda di Dante

nei secoli. La fortuna critica del poeta verrà

mostrata attraverso le prime edizioni della

Commedia e alcuni dei più importanti codici

miniati del XIV e XV secolo. Apposite sezioni

saranno dedicate alla sua fama nella stagione

rinascimentale, alla riscoperta neoclassica e

preromantica del suo genio, alle interpretazioni

romantiche e novecentesche della sua opera ed

eredità. Altre sezioni riguarderanno l’ampia e

fortunata ritrattistica dedicata all’Alighieri nella

storia dell’arte, il tema del rapporto tra Dante

e la cultura classica, e la figura di Beatrice,

che il poeta eleva ad emblema del rinnovamento

dell’arte. Protagonisti della mostra saranno

anche le molteplici raffigurazioni che alcuni tra

i più grandi artisti hanno offerto nel corso della

storia della narrazione dantesca del Giudizio

universale, dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.

Il percorso si concluderà con capolavori

ispirati, nella loro composizione, al XXXIII canto

del Paradiso.

DANTE ALIGHIERI

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Incontri con

l’arte

A cura di

Viktorija Carkina

Danilo Fusi

Intervista ad uno dei massimi rappresentanti della figurazione

toscana contemporanea

di Viktorija Carkina

Èstato nella cerchia dei pittori che formarono il

gruppo Come pittura, attivo presso la Galleria Inquadrature

di Marcello Innocenti. Cosa ricorda di

questo gruppo artistico e degli inizi della sua carriera?

È stata una fortuna aver conosciuto Innocenti. Secondo

me aveva una delle gallerie più importanti d’Italia. Ci hanno

esposto tanti artisti emergenti all’epoca come Alinari e

Bueno. Anche per me gli anni alla Galleria Inquadrature furono

un avvio straordinario del mio percorso con un gallerista

veramente fantastico. Grazie ad Innocenti ho iniziato

ad esporre in gallerie importanti in varie città italiane. Nonostante

ciò, all’inizio la strada è stata lunga e difficile. Piano

piano ho iniziato ad esporre in luoghi di grande prestigio

come Palazzo Strozzi, Palazzo Vecchio, Forte di Belvedere,

Palazzo Medici Riccardi, cominciando ad apparire nelle riviste

accanto a nomi altisonanti come Mario Schifano. Mi

ricordo che quando sono entrato a far parte del gruppo Come

pittura avevo all’incirca trent’anni, ma nonostante questo

le persone mi definivano “il giovane Fusi”. È diventato

una specie di soprannome e anche i giornalisti nei loro articoli

sulle riviste scrivevano “il giovanissimo Fusi”. Hanno

continuato a chiamarmi così anche quando avevo compiuto

ormai cinquant’anni.

Qual è stata la mostra più bella della sua vita?

Danilo Fusi, copia da El Greco, San Bartolomeo (1610), olio su tela, El Greco

Museum, Toledo

Quella inaugurata il 16 settembre del 1988 a Palazzo Strozzi.

Si intitolava Il Museo dei Musei ed era stata organizzata da

Littauer & Littauer, sulla base di un’idea di Jean Baudrillard,

Umberto Eco e Federico Zeri. Per la mostra i curatori invitarono

diversi artisti chiedendogli di realizzare le copie di grandi

capolavori storici. Uno degli artisti convocati ero io. Dipinsi

San Bartolomeo di Domenico Theotokopoulos detto El Greco.

La realizzazione del quadro durò ben sessantaquattro giorni

e fu molto apprezzata da Federico Zeri che disse che per

lui era il quadro più bello della mostra. L’esposizione riscosse

un discreto successo arrivando anche all’estero, come per

esempio in Giappone.

www.florenceartgallery.com

Bacio (2014), olio su tela, cm 80x80

12

DANILO FUSI


L’abbraccio (2019), olio su tela, cm 100x180 C’era una volta in Far West (2017), olio su tela, cm 80x80 Giovane con frutta (2017), olio su tela, cm 100x80

Ha fatto studi accademici?

No, ho studiato pittura da autodidatta. Secondo me gli allievi

di un’accademia diventano spesso seguaci dei loro professori,

rischiando così di perdere lo stile che caratterizza la loro

individualità.

Ha sempre saputo di voler dedicare la vita all’arte?

Sempre, ho disegnato fin da piccolo. Ovviamente, la pittura

non è diventata fin da subito la mia professione. Inizialmente

mi guadagnavo da vivere facendo il pellettiere. Però ho sempre

sognato di fare dell’arte il mio lavoro.

Com’erano i suoi primi disegni?

Fin dall’inizio ho capito che il mio genere pittorico preferito

era il ritratto, per questo motivo mi sono dedicato alla

rappresentazione dei volti umani. Sono opere che esigono

una lunga preparazione, ma non è l’esecuzione a richiede

tanto tempo, quanto la riflessione. Ragiono per giorni sugli

accostamenti fra i colori e sull’armonia della composizione

del quadro.

Come capisce che un quadro è compiuto?

In realtà, nel mio caso, non è quasi mai compiuto. Mi piace

lasciare i quadri non finiti, con il disegno a matita che

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r

50134 Firenze

si intravede. Preferisco che sia lo spettatore a completarli

col potere della fantasia. Secondo me le opere non devono

essere definite perché l’arte non è oggettiva. Ognuno

può vedere in un’opera ciò che sente e capirla a modo proprio.

L’arte deve suscitare non soltanto emozioni, ma anche

dubbi e riflessioni. Per questo motivo preferisco evitare di

dare titoli precisi alle mie opere e preferisco sempre i soggetti

astratti.

Protagoniste dei suoi quadri di solito sono le figure umane:

sono tratte dalla realtà o provengono dalla sua fantasia?

Per i miei ritratti mi ispiro ai volti delle persone reali che mi

fanno da modelli, ma non potrei dire che sono ritratti fedeli

alla realtà al cento per cento. Sono tratti dalla realtà ma

poi rielaborati dalla mia mente, perciò c’è sempre una grande

parte della mia interpretazione.

Quali sono stati gli artisti che l’hanno maggiormente ispirato

ad intraprendere la strada dell’arte?

Apprezzo molti generi e correnti, a partire dai fondi oro,

passando per l’arte rinascimentale e barocca e concludendo

con l’arte contemporanea. La Pop Art italiana mi

era molto vicina. La produzione di Franco Angeli, Schifano

e altri esponenti del gruppo romano mi stava molto a

cuore. Io stesso ho sperimentato a volte la Pop Art nelle

mie opere. Infatti, diversi miei dipinti recano figure classiche

ispirate ai corpi manieristici di Pontormo con accanto

lattine di Coca Cola. Ho fatto anche tanti omaggi a Caravaggio.

Un altro pittore che stimo, e che era anche un

mio caro amico, è Vinicio Berti con il quale abbiamo fatto

diversi scambi artistici perché la stima era reciproca.

Mi ricordo di aver passato tanto tempo con lui a riflettere

sull’essenza e sulla predestinazione dell’arte. Per noi era

molto importante creare opere che rappresentassero il nostro

tempo.

DANILO FUSI

13



A cura di

Daniela Pronestì

Occhio

critico

Milvio Sodi

Un iter pittorico “di metamoforsi

in metamorfosi”

di Daniela Pronestì

«

Ecco che si riannoda il filo che dalla prima monografia

di Milvio Sodi, Le strade di un tempo (1988), è

passato per la successiva di Percezioni (1998) ai

Paesaggi interiori (2013) e si arricchisce ed aggiorna all’oggi Di

metamorfosi in metamorfosi». Così la storica e critica d’arte Roberta

Fiorini esordisce nel testo introduttivo all’ultimo catalogo

di Milvio Sodi, cogliendo fin da subito il fil rouge che accomuna

tutta l’opera dell’artista, ovvero il continuo divenire di stati interiori

e visioni che dal colore e dal dato reale volgono all’ineffabile.

«Avendo avuto la fortuna di seguirlo in tutto questo arco di tempo

– prosegue Roberta Fiorini –, mi accorgo che se in sequenza

cronologica proponessimo d’apertura le sue prime “mareggiate”

e di ultimissima attualità le sue interiorizzazioni, di questi anni

Duemila si produrrebbe una lettura lineare, certo, ma anche riduttiva

e banalizzante, del suo iter espressivo, dalla realtà all’immaginario.

Mentre il suo fare sfugge a questa regola e piuttosto

segue libero un suo andamento sinuoso che persino nei ritorni è

sempre un nuovo viaggio. Non solo in termini di rivelazione figurale

perché la forma non scompare mai definitivamente, semmai

ciò che sempre permea le sue immagini – oggi fondate su nuove

fantastiche valenze cromatiche – è la sottesa suggestione di

una possibile ed ambivalente lettura e si potrebbero definire, citando

i titoli dei suoi fondamentali cicli tematici, come “percezioni”

di inattese “metamorfosi” di “paesaggi interiori”». Di notevole

interesse anche la nota critica in catalogo della storica dell’arte

Giovanna Lazzi, che ben evidenzia sia la continuità tematica sia

gli elementi di novità presenti negli ultimi lavori (2019/2020), con

particolare attenzione agli effetti cromatici e luministici: «Eterne

protagoniste delle composizioni di Milvio Sodi, le rocce dominano

la scena ormai incontrastate. Le figure che nelle esperienze

degli anni passati si affrancavano dalla pesantezza dei massi

sono scomparse, schiacciate e annientate. Affiorano talvolta accennati

abbozzi di corpi evanescenti, appena distinguibili dalle

masse incombenti, ma sembrano quasi ricordi, rimembranze del

passato, tracce che escono quasi inconsapevolmente dalla mano,

in obbedienza ad una abitudine inveterata. (...) Queste ultime

rocce hanno acquistato una tavolozza particolare, a volte violenta

e quasi brutale a volte addolcita e morbida, ora più che mai

hanno bisogno di un elemento fondamentale per la loro stessa

esistenza: la luce. È questa la componente che più colpisce in

questa ultima produzione, questa ulteriore metamorfosi. Luce è

anche una delle parole ricorrenti nei titoli delle opere, assieme

al suo contrario ombra ed è una luce materiale ma riflesso di

una chiarificazione interiore. È davvero un cammino che si è protratto

in tanti anni, con fatica, a prezzo di dolori e anche di gioie

e guizzi dell’animo». Se metamorfosi significa “trasformazione”,

nell’opera di Sodi questa mutazione avviene quindi senza stravolgere

i temi fondanti della sua pittura, ma al contrario indagandone

ancora di più le ragioni profonde, in un percorso artistico ed

esistenziale allo stesso tempo. «Questa analisi di sé, forse nean-

Le sagome del sogno (2010), olio su tela, cm 70x50

Conformazioni (2012), olio su tela, cm 35x35

che sempre lucidamente percepita – continua Giovanna Lazzi –,

magari sperimentata nell’intimo senza gridi assordanti, fuoriesce

ora in queste ultime rocce. Momenti di turbamento, forse di

profondo dolore accendono tonalità fosche e violente che sembrano

altrove placarsi in una visione rasserenata, come un’accettazione

della vita, in una tavolozza più dolce e sfumata, con

morbidezze struggenti. Siamo di fronte ad un momento in cui si

continua in qualche modo a sperimentare ma forse con la sensazione

di star esprimendo delle conquiste acquisite».

MILVIO SODI

15


Botteghe artistiche

in Toscana

A cura di

Rosanna Bari

Alessandro Dari

L’arte del gioiello tra filosofia e spiritualità

di Rosanna Bari / foto Rosanna Bari e

courtesy Alessandro Dari

Diventare parte preziosa di un processo alchemico”

è ciò che comunemente suscita indossare

una creazione del maestro Alessandro

Dari. Orafo, scultore e musicista fiorentino, discendente di

un’antica famiglia di artisti del 1630, animato da una grande

passione per l’arte, che minuziosamente interpreta nelle

sue molteplici sfaccettature, traducendo le antiche tecniche

orafe, da quelle etrusche a quelle rinascimentali, in un nuovo

linguaggio tra realtà e alchimia. Le sue opere più rappresentative

sono esposte al Museo degli Argenti in Palazzo Pitti

e al Museo della Cattedrale di Fiesole. Vincitore del premio

Perseo nell’ambito della manifestazione Artigianato e Palazzo

2003. Nel biennio 2019-2020 riceve i due prestigiosi premi

100 Ambasciatori Nazionali e 100 Eccellenze Italiane, patrocinati

dal Senato della Repubblica e dedicati alle eccellenze del

panorama italiano. Nel suo atelier, ospitato nel quattrocentesco

palazzo Nasi-Quaratesi nel quartiere di San Niccolò, le

numerose collezioni di gioielli, micro sculture e macchinari-gioiello

presenti, sono il frutto di lunghi studi di anatomia

e architettura applicati all’arte orafa. I principali materiali utilizzati

sono: oro, pietre preziose, argento e smalti. Fondatore

della corrente artistica Dinamismo percettivo: percezione

del movimento oltre la forma. I suoi gioielli sono l’espressione

delle emozioni dell’anima ingabbiate nell’inconscio che, liberandosi,

si fondono in una poliedricità di forme che riesce

a trasmettere all’artista quel flusso emozionale capace di imprimere

all’opera il movimento, a cui egli arriva come fase ultima

della creazione. O come una delle ultime, visto che la

creazione, secondo l’artista, non può avere una fine prestabilita.

Il suo museo-bottega rappresenta un percorso percettivo

sensoriale, un luogo fatto di forme statiche e di meccanismi

Etruscan fountain

Musical box

in perenne movimento, dove la favolistica atmosfera fa sì

che il visitatore, come all’interno di una scatola magica, mantenga

per sempre il ricordo di questa singolare esperienza

multisensoriale.

Atelier:

Via San Niccolò, 115 r - Firenze

www.alessandrodari.com

alessandro dari gioielli

dari_alessandro

Collezione della Robbia

Alessandro Dari

16

ALESSANDRO DARI


A cura di

Luciano e Ricciardo Artusi

Curiosità storiche

fiorentine

Lo Scoppio del Carro, una tradizione

pasquale tutta fiorentina

di Luciano e Ricciardo Artusi

La tradizione dello Scoppio del Carro si perde nella notte

dei tempi in quanto risale addirittura alla prima Crociata

indetta da papa Urbano II per togliere il Santo

Sepolcro dal potere dell’Islam. La tradizione-leggenda, ormai

divenuta storia, ci fa sapere che alla spedizione militare dei

cristiani si erano uniti anche duemilacinquecento fiorentini al

comando di Pazzino de’ Pazzi. Il 15 luglio 1099, dopo oltre un

mese d’assedio, Gerusalemme venne espugnata e a salire per

primo sulle mura della Città Santa fu proprio Pazzino de’ Pazzi,

che elevò l’insegna bianca e vermiglia. Per tale atto di valore

Goffredo di Buglione, comandante assoluto della crociata,

concesse a Pazzino il privilegio di adottare il suo stemma, oltre

a donargli tre scaglie di pietra del Santo Sepolcro. Il 16 luglio

1101 Pazzino rientrò a Firenze accolto con solenni onori. Le tre

pietre rimasero custodite nel Palazzo Pazzi in Via del Proconsolo

e poi consegnate alla Chiesa di Santa Maria Sopra Porta,

situata nel Mercato Nuovo, in corrispondenza della porta che

garantiva il passaggio dentro le mura. Santa Maria Sopra Porta

era una delle più antiche chiese della città dove era alloggiata

anche la Martinella, la piccola campana detta “Bellifera”

perché suonava soltanto in tempo di guerra che veniva posta

sul Carroccio. Quando questa chiesa fu soppressa, le sacre reliquie

vennero trasferite prima in quella attigua di San Biagio

e poi in quella dei Santi Apostoli dove si trovano tuttora. Dalle

tre pietre prende origine la tradizione del rito dello Scoppio del

Carro. Oggigiorno, con la nuova liturgia del 2012, la celebrazione

inizia la sera del Sabato Santo quando alle ore 20,30 dalla

Chiesa dei Santi Apostoli le pietre e il portafuoco vengono prelevate

e portate processionalmente nella cattedrale di Santa

Maria del Fiore. Qui, sul sagrato, l’arcivescovo accende il fuoco

in un grande braciere e lo benedice, poi, alla fiamma purificatrice

benedetta – simbolo che evoca la resurrezione del Signore

vincente sulle tenebre della morte – accende il cero pasquale.

La celebrazione ha termine con la custodia in cattedrale del cero

acceso, che all’indomani darà l’avvio allo scoppio. Domenica

di Pasqua dal Piazzale del Prato alle ore 8,00 esce dal suo

alloggio, che lo custodisce dal 1864, il Carro del Fuoco Santo,

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

detto affettuosamente

dai fiorentini “Brindellone”

per la gran mole (altezza

con la girandola

di metri 11,60) dondolante

nel suo procedere,

per essere agganciato a

due coppie di possenti e

candidi buoi con corna e

zoccoli dorati e adornati

con fiori e gualdrappe

gigliate. Scortato da

armati, musici e sbandieratori

del Calcio Storico,

alle 8,30 il carro si

muove attraversando il

centro cittadino. Il variopinto

corteo giunge in

Piazza del Duomo dove

si posiziona sul sagrato, Il carro detto “Brindellone”

mentre il carro si ferma

nello spazio detto “Paradiso”, tra il battistero e la cattedrale. I

buoi vengono staccati e condotti in una zona tranquilla di Piazza

della Signoria. Si provvede così alla sistemazione del lungo

cavetto d’acciaio teso a 7 metri dal suolo, tra il carro e la colonna

di legno appositamente collocata il Venerdì Santo fuori

l’altar maggiore, sul quale scivolerà la Colombina per appiccare

il fuoco ai milleseicento mortaretti disposti sui tre ripiani del

carro. Poco prima del rituale scoppio, che avviene alle 11 al

canto del Gloria, si effettua il sorteggio per determinare gli accoppiamenti

delle squadre che disputeranno nel mese di giugno

il torneo di San Giovanni. Alle 11 l’arcivescovo intona l’inno

del Gloria e col cero pasquale dà fuoco alla miccia che fa partire

la colombina sul cavetto metallico che scivolerà per i centoventi

metri della navata fino a impattare il carro e provocare

l’esplosione dei razzi, delle girandole e dei fuochi pirotecnici.

Le deflagrazioni con fumi e miriadi di scintille di tutti i colori,

sia pure in maniera simbolica, vogliono esprimere la distribuzione

del fuoco benedetto a tutti i presenti e all’intera città. Gli

scoppi raggiungono il massimo della loro potenza man mano

che salgono verso la sommità del carro dove, infine, sibila la

girandola che, al termine dei suoi giri su se stessa, fa aprire tre

piccoli gonfaloni con le insegne di Firenze, dell’Opera del Duomo

e della famiglia Pazzi. Poi tutti alle rispettive mense imbandite

a consumare in primo luogo l’uovo benedetto simbolo di

fertilità e rinascenza, segno della vita che nel mondo cristiano

assume il significato del risorgere spirituale, cioè il buon proposito

di migliorarsi.

LO SCOPPIO DEL CARRO

17


Dimensione

Salute

A cura di

Stefano Grifoni

Come tutelarsi dal contagio del virus in auto

di Stefano Grifoni / foto Carlo Midollini

Come ci si può tutelare da un possibile contagio da

coronavirus in auto con un’altra persona? In venti

minuti di viaggio si scambiano molti più aerosol rispetto

a quanto accade in altri luoghi chiusi. Le particelle

si accumulano nell’aria e circolano all’interno dell’abitacolo

dalla parte posteriore a quella anteriore. Nello scenario

peggiore, quello con i finestrini chiusi, si è visto che circa

l’8% delle particelle emesse da un occupante possono raggiungere

anche l’altro. Lasciando aperti tutti i finestrini, sol-

tanto una piccola percentuale di aerosol finisce per essere

condivisa tra i passeggeri. Quindi favorire la ventilazione riduce

in modo importante le occasioni di contagio. Tenere

abbassato il finestrino accanto a sé è meglio di niente ma

è più efficace ancora che ogni passeggero apra il finestrino

opposto a dove si trova. In questo modo, secondo una

recente ricerca, sembra che si formi una barriera tra i due

passeggeri con forti venti che aiutano a rimuovere le particelle

emesse.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

18

VIRUS IN AUTO


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

Il volto oscuro della rabbia

di Emanuela Muriana / foto Carlo Midollini

«

La rabbia è una breve pazzia»

scriveva Orazio. Volenti

o nolenti, la rabbia fa

parte della nostra dotazione di emozioni

primarie insieme alla paura, al

dolore e al piacere. Tutte le emozioni

primarie innate hanno funzioni adattive,

cioè scattano inconsapevolmente

come risposta a stimoli interni o esterni

per metterci in salvo e contribuire

alla nostra sopravvivenza. La funzione

vitale della rabbia è quella di sprigionare

uno straordinario potenziale di

azione non necessario in stato di tranquillità.

La rabbia è quella che gode di

minor apprezzamento, considerata un

difetto tipico delle persone poco equilibrate,

che finiscono per pentirsi amaramente

dei comportamenti o dalle

parole indotti dall’impulsività rabbiosa.

Bisogna sapere però che è la risposta emozionale a

uno stato di frustrazione, cioè quando non riusciamo ad

ottenere ciò che desideriamo o ciò di cui abbiamo bisogno.

Certo alcune persone che hanno una bassa soglia

di tolleranza alla frustrazione appariranno facilmente irritabili

o inclini ad esplosioni per poco conto. Se al contrario

la soglia di attivazione è molto alta, il soggetto è

in grado di sopportare frustrazioni elevate senza reagire.

È il cosiddetto “temperamento” che è influenzato dalla

percezione soggettiva delle cose. Tutto dipende da come

interpretiamo i fatti. Così di fronte allo stesso stimolo reagiamo

in modi diversi: i rabbiosi sono spesso invitati a

controllarsi, mentre chi teme di perdere il controllo con la

rabbia cerca di controllare se stesso cercando di reprimere

la reazione emotiva. Ma reprimere un’emozione non è

certo facile, diciamo impossibile. È difficile non provare

paura quando siamo nel panico; difficile non provare piacere

se mangiamo qualcosa che ci piace; difficile non provare

dolore per una perdita significativa. Che fare allora?

Non reprimere ma orientare la scarica rabbiosa in una direzione

che ci permetta di farla defluire senza provocare

danni irreparabili. Un modo è quello di ampliare i punti di

vista da cui guardare le cose, assumere il punto di vista

dell’altro fino a ritenere ragionevole e giustificabile anche

ciò che ci disturba. Una capacità che si può ottenere solo

con esercizio e determinazione. Un altro modo è quello

di canalizzare la rabbia: prendere carta e penna e scrivere

in maniera viscerale cosa vorremmo dire o fare a colui

che l’ha provocata. Per chi invece ha paura di perdere il

controllo e fare danni agli altri allora è consigliabile scrivere

dettagliatamente i pensieri brutti e cattivi ogni volta

che si presentano. Tutto questo per evitare di dare inutile

importanza a chi ci fa soffrire. La rabbia mal controllata

è un’emozione che troviamo anche in molti importanti

disturbi: dall’insonnia alla depressione all’usurante ruminazione

mentale. Educare il nostro Orlando furioso è indispensabile

per non subirlo.

Letture consigliate: G. Nardone, Le emozioni, istruzioni

per l’uso (2020); A. Bartoletti, Pensieri brutti e

cattivi (2019); E. Muriana, T. Verbitz, Se sei paranoico

non sei mai solo (2017); E. Muriana, T. Verbitz, I

volti della depressione (2006); G. Nardone, Cavalcare

la propria tigre (2003)

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

RABBIA

19


I consigli

dell’osteopata

A cura di

Stefano Masini

Cervicalgia: lo stomaco e la bocca

i possibili responsabili

di Stefano Masini

Il termine cervicalgia indica una condizione dolorosa del

tratto cervicale della colonna vertebrale. Il rachide cervicale,

costituito da sette vertebre, svolge tre funzioni: sorregge

il cranio tramite la prima vertebra, consente il movimento

del capo in tutte le direzioni dello spazio per favorire gli organi

della vista, dell’udito, dell’equilibrio e dell’olfatto ed infine

accoglie e protegge il midollo spinale. Tra due vertebre

contigue è presente un disco fibro-cartilagineo, una sorta di

“cuscinetto”, che permette il movimento vertebrale e ne ammortizza

il carico. Occorre distinguere tra la cervicalgia comune

o “aspecifica”, la cervicalgia “specifica” e la cervicalgia

secondaria. La prima è definita come un disturbo disfunzionale

delle strutture muscolo-scheletriche del rachide cervicale:

muscoli, tendini, legamenti, capsule articolari, articolazioni e

disco intervertebrale. La cervicalgia specifica è dovuta a gravi

discopatie, spondilolistesi, stenosi canalare e traumi (ad

esempio, il “colpo di frusta”). Le cervicalgie secondarie sono

causate da malattie reumatiche, infettive, viscerali, neoplastiche

e neurologiche. In questo caso ci occuperemo della

cervicalgia comune. Essa riconosce molteplici cause ma valuteremo

in particolare le seguenti: tensioni viscerali,

1

soprattutto

della “catena” stomaco-esofago; disfunzioni dell’articolazione

temporo-mandibolare. Come si vede dalla figura, esiste un

complesso sistema di relazioni tra il rachide cervicale ed altre

strutture osteoarticolari, muscolari e viscerali. L’osso ioide,

la lingua, la mandibola correlano strettamente con il rachide

cervicale. Ecco perché in osteopatia è fondamentale la collaborazione

con lo specialista odontoiatra. L’occlusione dentale,

infatti, condiziona il nostro sistema posturale. La mandibola,

nell’equilibrio del nostro capo, svolge una funzione simile all’asta

del funambolo: il suo spostamento comporta la variazione

di posizione del cranio e, di conseguenza, un necessario adattamento

del rachide cervicale che può facilmente sviluppare,

nel tempo, un quadro doloroso. Sempre dalla figura si evidenzia

la stretta relazione fra il sistema viscerale digerente e il rachide

cervicale. Una gastrite e/o un reflusso gastroesofageo

potrebbero trasmettere una trazione non fisiologica sul rachide

cervicale che, per compensare, dovrà sostenere una tensione

eccessiva. Anche in questo caso sarà probabile lo sviluppo

di una sintomatologia dolorosa. L’intervento osteopatico consisterà,

tramite tecniche fasciali, nel ripristinare la giusta tensione

tra i visceri e la struttura.

3

2

1

2

3

4

4

7

7

1. Testa

2. Mandibola

3. Rachide cervicale

1. Testa

4. Ioide

2. Mandibola

3. Rachide 5. Rachide cervicale dorsale

4. Ioide

6. Cingolo scapolare

5. Rachide dorsale

6. Cingolo 7. Lingua scapolare

7. Lingua

8. Condotto faringe-esofago e laringe-trachea

8. Condotto faringe-esofago e laringe-trachea

5

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Le frecce indicano

formazioni tendinee, muscolari e fasciali

di collegamento

Le frecce indicano

formazioni tendinee, muscolari e fasciali

di collegamento

Diplomato in Educazione Fisica nel 1989 ed in

Fisioterapia nel 1995, Stefano Masini si specializza

in Osteopatia nel 2008. Esercita la professione

dal 1995, prima in centri di riabilitazione e dal

2001 come libero professionista.

Studio Medico San Jacopino

Via Ponte all’Asse 3 A , Firenze

Orario: lun-ven 9.00-12.30 / 15.00-19.00

+ 39 055.354792

masinistefano@hotmail.it

20

CERVICALGIA


A cura di

Silvia Ciani

I consigli del

nutrizionista

Il sale: meglio usarne poco e sempre iodato

di Silvia Ciani

Durante lo scorso mese si è svolta la settimana mondiale

di sensibilizzazione per la riduzione del consumo

alimentare di sale promossa dalla World Action

on Salt & Health (WASH), associazione – con partner in cento

paesi dei diversi continenti – nata con lo scopo di migliorare

la salute delle popolazioni attraverso la graduale riduzione

dell’ingestione di sale (il cloruro di sodio) fino a meno di 5

grammi al giorno (corrispondenti a circa 2 grammi di sodio),

target raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità

(OMS). Un consumo eccessivo di sale favorisce, infatti,

l’aumento della pressione arteriosa, con conseguente incremento

del rischio di insorgenza di gravi patologie come l’infarto

del miocardio e l’ictus cerebrale, ed è stato associato

ad altre malattie cronico-degenerative, quali tumori, in particolare

dello stomaco, osteoporosi e malattie renali. Inoltre,

una dieta particolarmente “salata” è spesso accompagnata

da un maggiore consumo di bevande zuccherate e grassi

saturi, con conseguente rischio di sviluppare sovrappeso

e obesità. A livello globale il consumo giornaliero di sale è

compreso tra gli 8 e i 15 grammi al giorno; in Italia questo valore

è 9,5 g/die per i maschi e 7,2 g/die per le femmine (fonte:

Istituto Superiore di Sanità). Secondo la WASH, se lo si

riducesse a meno di 5 grammi, si potrebbero prevenire circa

2,5 milioni di decessi ogni anno. Forse non per tutti è chiaro

che la maggior parte del sale che assumiamo (circa il 64%)

proviene dai prodotti alimentari presenti sul mercato, quindi,

oltre che sulla tavola, occorre una particolare attenzione ai

prodotti alimentari trasformati e conservati. Ma che tipo di

sale è meglio usare? Sicuramente quello iodato che, sebbene

contenga la stessa quantità di sodio del comune sale da

cucina, è però arricchito in iodio, un elemento essenziale per

il corretto funzionamento della tiroide, ghiandola che presiede

alla regolazione del metabolismo di tutte le nostre cellule.

In Italia si ammalano di gozzo (per carenza di iodio) circa sei

milioni di persone, più del 10% della popolazione del nostro

paese. Il fabbisogno di iodio è particolarmente elevato per le

donne in gravidanza e per i bambini. Secondo le stime attuali,

un neonato su tremila nasce con una forma di malattia tiroidea

che può comprometterne lo sviluppo sia fisico che cognitivo.

In età adulta, le donne sono molto più soggette alle

malattie tiroidee rispetto agli uomini, avendo il 20% di possibilità

in più di sviluppare problemi alla tiroide nel corso della

loro vita. Occhio allo iodio e alle etichette nutrizionali la prossima

volta che andate a fare la spesa.

Le cinque azioni concrete raccomandate da WASH per ridurre il consumo di

sale a meno di 5 grammi al giorno:

1. usa erbe, spezie, aglio e agrumi al posto del sale per aggiungere sapore al cibo

2. scola e risciacqua verdure e legumi in scatola e mangia più frutta e verdura fresca

3. controlla le etichette prima di acquistare per scegliere prodotti alimentari meno salati

4. riduci gradualmente il sale nelle ricette preferite per consentire alle tue papille gustative di adattarsi

5. non mettere a tavola sale e salse salate, in modo che anche i più giovani della famiglia si abituino a non aggiungere sale

Biologa Nutrizionista e specialista in

Scienza dell’alimentazione, si occupa

di prevenzione e cura del sovrappeso

e dell’obesità in adulti e bambini attraverso

l’educazione al corretto comportamento alimentare,

la Dieta Mediterranea, l’attuazione di

percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo

e personal trainer.

Studi e contatti:

artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas

14 d - Firenze / + 39 339 7183595

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Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678

Istituto Medico Toscano - Via Eugenio

Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911

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IL SALE

21


Il cinema

a casa

Strade interrotte

Il docufilm di Lorenzo Borghini sulle vittime della strada

di Luigi Nepi

Uno dei film più importanti che riguardano la sicurezza

nelle strade e la prevenzione degli incidenti

(e il primo di cui ho memoria) è del 1948

ed è di uno dei più grandi autori della storia del cinema:

Carl Theodor Dreyer, che gira su commissione ministeriale

danese lo splendido corto Raggiunsero il traghetto

(De nåede färgen), un piccolo capolavoro di undici minuti

che conserva ancora intatta tutta la sua forza emotiva

e le sue suggestioni tutt’altro che didascaliche. Nel 2013

è la volta di Werner Herzog (altro grande maestro, stavolta

del cinema contemporaneo) che, con il documentario

From One Second to the Next, mostra i risultati di

quella inimmaginabile follia quotidiana che colpisce tutti

coloro che decidono di scrivere messaggi o comunque

di usare il telefono durante la guida. E come dimenticare

la poesia di Canzone per un’amica, dove Francesco Guccini

ci parla di cieli crollati, di silenzi, di lamiere, del (non)

senso di una giovane vita interrotta (e più in generale

della vita stessa). Tutte opere che, in questi tempi pervasi

dal Covid, ci ricordano come continuino a esistere

e persistere moltissime altre emergenze planetarie,

tra cui quella che, ormai da tempo, è la prima causa di

morte negli adolescenti e nei cosiddetti “giovani adulti”,

ovvero l’imprudenza alla guida e di conseguenza gli incidenti

stradali. Un dramma per cui l’Italia solo nel 2016 è

riuscita a darsi una legge che riconosce la giusta dignità

di quelle vittime e che stabilisce la gravità e la particolarità

di quel reato che adesso possiamo finalmente

e propriamente chiamare “omicidio stradale”. È in questo

contesto che si inserisce Strade interrotte, il bel film

di Lorenzo Borghini che posa il suo sguardo proprio su

questa tragedia, affondando le sue immagini in quella

continua e silenziosa strage di giovani che giorno dopo

Alcune foto di scena

22

STRADE INTERROTTE


giorno si consuma sulle strade di tutto il mondo. «Sopravvivere

al proprio figlio è la fine di tutto ciò che esiste» dice l’avvolgente

voce di Maurizio Lombardi durante il potente incipit che

ci prepara all’ascolto delle toccanti storie che vanno a costruire

il mosaico di questo documentario, che, come un’opera musicale,

si compone di tre movimenti. Il primo è il triste adagio

sinfonico dei genitori che ricordano e inevitabilmente rivivono

il momento in cui sono venuti a sapere della morte dei loro figli.

Il secondo è il contrappunto più inaspettato, dove le fredde

e quasi panottiche geometrie del carcere di Sollicciano ci introducono

al racconto di un condannato per omicidio stradale. L’ultimo

movimento invece è la composita suite di coloro che di un

incidente continuano a portare sul proprio corpo i segni, le limitazioni

e le indelebili conseguenze. Completano il quadro due intermezzi

dedicati a chi, per scelta o per professione, si trova a

dovere intervenire sulla scena di un sinistro, come gli agenti della

polizia municipale o la squadra di volontari di un’ambulanza

di pronto intervento. Borghini rifiuta il semplicistico e asettico

format delle talking head, mostrandoci i suoi protagonisti nella

loro quotidianità, mentre raccontano le loro storie di “sopravvissuti

e sopravviventi”, di vittime (a vari livelli) di quella perdita,

di quella distrazione, di quel trauma che li ha costretti e li costringe

attimo per attimo a rimodulare la loro vita, nella disperata

ricerca di un equilibrio, forse impossibile, in quella stessa

precaria quotidianità, dove ogni gesto crea quel cortocircuito in

cui tutto sembra importante e contemporaneamente perdere di

senso. Nonostante e forse proprio per questo Strade interrotte

lascia comunque aperto un varco alla speranza, soprattutto nel

“terzo movimento”, dove la maternità per Giovanna, le amicizie e

il surf per Lorenzo (due giovani rimasti paralizzati agli arti inferiori)

e soprattutto l’incredibile “resurrezione” fisica e muscolare

di Carlo (travolto da un pirata della strada rimasto sconosciuto)

diventano l’occasione per capire quanto sia importante riuscire

a ridefinire costantemente la propria esistenza e anche come

ognuno di noi sia, più o meno consapevolmente, chiamato a

farlo. Alla fine della visione ciò che emerge chiaramente è che

quello di Lorenzo Borghini non è “solo” un documentario a tema,

ma un film a tutto tondo, dove lo stesso regista, soprattutto nelle

immagini realizzate per introdurre le tre parti, non perde l’occasione

di creare rimandi per farci intuire quali siano i suoi punti

di riferimento formali e teorici, così gli spettatori più attenti potranno

sorprendersi a scoprire chiari echi che rimandano a Lynch,

a Malick e anche a certo cinema coreano, che oggi va molto

di moda, ma che evidentemente lui ha già studiato e metabolizzato

da tempo. Insomma un film da vedere, da guardare e soprattutto

da riflettere, perché, come ricorda un esergo contenuto

nella pellicola: «La vita ti offre sempre una seconda possibilità.

Si chiama domani» (Dylan Thomas).

STRADE INTERROTTE

23


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Fabio Vettori

L’arte di rendere “vivo” il metallo

di Daniela Pronestì

Uno dei principali lasciti della scultura del Novecento

è stato legittimare, insieme al moltiplicarsi delle

tecniche artistiche, l’uso di una grande varietà di

materiali, spesso combinati tra loro in un linguaggio votato

all’ibridazione. Passando dal papier collé cubista al “complesso

plastico” futurista e arrivando ancora oltre fino al ready

made duchampiano, l’idea di fondo trasversale a queste

esperienze è che spetti all’artista scegliere quali e quanti materiali

prelevare dal quotidiano per decretarne, attraverso l’atto

creativo, il riscatto estetico. In questa interpretazione della

pratica scultorea come vera e propria ars combinatoria si colloca

l’opera di Fabio Vettori, le cui creazioni nascono infatti

dalla composizione di più materiali, in particolare metalli

nobili e legno. La caratteristica di queste “sculture mosaico”

– così Vettori le definisce – non è soltanto quella di essere

realizzate accordando tra loro diversi elementi, ma è anche e

America America! (1984/1985), metalli misti, h cm 70x27x24

Ascot first cyborg race (2001/2002), metalli nobili sbalzati e assemblati, h cm 56x20x47

24

FABIO VETTORI


Specchio della verità (1983), ottone sbalzato e ossidato, cm 50x18x h 38

Amleto - atto V (1980), ottone sbalzato e ossidato, cm 50x25x h 65

Indomabile (1990), ottone sbalzato e ossidato, cm 80x15x h 40

soprattutto il fatto che questa concertazione avvenga, a differenza

di quanto solitamente accade, senza il supporto di

un disegno preparatorio. In questo caso, infatti, l’intero processo

creativo è affidato alla capacità dell’artista di prefigurarsi

l’opera mentalmente e, sulla base di questa previsione,

passare poi ad eseguirla nella pratica, con tutte le difficoltà

tecnico-formali che la mancanza di un bozzetto comporta.

Operazione in sé già impegnativa resa ancora più ardua

dalle peculiarità di un materiale, il metallo, che, pur essendo

malleabile, richiede diversi passaggi, e tutti di precisione,

per arrivare ad assumere la forma desiderata. Lo scenario

si complica ulteriormente se si considerando sia la resa doviziosa

dei dettagli anatomici e di altri particolari – si pensi

alle criniere dei cavalli – che denotano grande perizia tecnica

nello sbalzo e nel taglio, sia la propensione a privilegiare

soggetti – come ad esempio il gladiatore e il centauro

– che impongono l’uso di metalli diversi per creare effetti alternati

di opacità e lucentezza. Tradurre un’idea astratta in

una forma concreta senza passare dal disegno esige quindi

più che mai – Vettori lo conferma – una conoscenza profonda

dei materiali e delle tecniche, del modo di far confluire

le singole parti in un insieme armonico e coerente, con un

procedimento di assemblaggio eseguito interamente a mano.

Un discorso a parte meritano le sculture ottenute a partire

da un’anima di legno che viene poi in parte rivestita con

lamine metalliche inserite a completamento della figura. Diverse,

anche in questo caso, le soluzioni compositive: si va

dalla scultura in legno con soltanto alcuni dettagli in metallo

all’opera che nel legno vede invece un elemento di raccordo

tra i vari inserti metallici che insieme compongono la figura.

La via intermedia prevede invece che i due materiali abbiano

la stessa importanza nel costruire un racconto in cui il legno

suggerire il dinamismo di una forma viva, mentre il metallo

è chiamato per contrasto ad evocare la fissità di un elemento

inalterabile. Per quanto collocabili nel solco del polimaterismo

introdotto dalle avanguardie del secolo scorso, queste

opere mostrano ben più solidi legami con l’arte della “toreutica”,

ovvero l’antica pratica di lavorare i metalli – soprattutto

rame, bronzo, argento e oro – avvalendosi di tecniche e

strumenti collaudati da una tradizione millenaria. Attingendo,

anche se indirettamente, a questo patrimonio di conoscenze

tramandate dai secoli, Vettori interpreta quelli che per gli

antichi Greci erano significati e valori della tèchne, e quindi

“il saper fare”, l’avere piena padronanza delle regole, l’unire

teoria e pratica attraverso l’elaborazione di un metodo. Tutti

aspetti che in queste sculture convivono insieme ad una

fervida capacità immaginativa, da cui scaturiscono creazioni

certamente uniche e non replicabili.

theartist@vettoriart.com

FABIO VETTORI

25



A cura di

Daniela Parisi e Roberto Rampone

Arte e

Libri

Stefano Cirri

L’ostentatore: un giallo psicologico “anticonvenzionale”

di Daniela Parisi e Roberto Rampone / foto Leonardo Brogioni

Pubblicato a fine febbraio da Mauro Pagliai Editore,

il romanzo si delinea fin da subito per la sua originalità

ed eccentricità. Stefano Cirri, fiorentino, classe

1976, definisce la sua opera “anticonvenzionale”: «Ho

voluto che questa storia fosse difficilmente inquadrabile

in un genere narrativo ben preciso». Niente investigatori,

dunque; niente commissario di Polizia, niente cadaveri,

nessuna indagine ufficiale: grazie a un reclutamento casuale

ai limiti del paradossale, il protagonista entrerà in

contatto con una strana cerchia di analizzatori del comportamento

umano denominata “la banda dei colori”, così tratteggiata

nel libro: «Come in una specie di grottesco gioco

di società, ognuno dei presenti indossa un capo d’abbigliamento

di colore differente: Marazzita ha una camicia gialla

a maniche corte, Bargigli una maglietta rossa, Amato una

specie di giacchetta verde pisello e la Roversi un top di colore

rosa a righe verticali, banalmente simile a quelli che

si usano per andare in palestra. Né più né meno come fossero

pedine del Trivial Pursuit o di un fantomatico gioco di

società di cui ignoro i contenuti». Scritto in prima persona

e raccontato al presente attraverso gli occhi del protagonista

Alessandro Bitossi, il romanzo si focalizza sull’analisi

psicologica di un inquietante personaggio: l’ostentatore,

l’uomo che guida una Ferrari gialla e che tutti i giorni si ferma

davanti a una fabbrica ad aspettare l’uscita degli operai.

E quando Alessandro capisce che la banda dei colori fa

tremendamente sul serio, si lascia totalmente coinvolgere:

lui, trentaduenne programmatore informatico, uomo pragmatico

e razionale, si metterà in gioco al 100%, attratto anche

dall’intrigante Ilaria, «diciannovenne

bisessuale col ciuffo

rosa e il septum al naso»,

che irrompe nella turbolenta

vita coniugale di Alessandro.

Scritto nel 2019, revisionato

nel 2020, L’ostentatore è un

romanzo ricco di spunti narrativi:

come spiega l’autore:

«Questa è una storia piena di

oggetti misteriosi e apparentemente

senza senso, di personaggi

bislacchi, di violenza

subita e di un incalzante e

imprescindibile desiderio di

vendetta».

s.cirri@cdlassociati.net

Stefano Cirri

stefano_cirri

Stefano Cirri

STEFANO CIRRI

27


Dal teatro al

sipario

A cura di

Doretta Boretti

Augusto Novelli e Nando Vitali

Gli alfieri del “Gran Ducato della Comicità”

di Doretta Boretti

Proseguendo il percorso iniziato nel precedente articolo

con l’intervista ad Alessandro Riccio sull’importanza

del testo teatrale, in questo numero si parlerà

invece del valore del “volgare toscano” come patrimonio lin-

guistico nazionale, anche nell’ambito del teatro, attraverso la

rivalutazione che la critica letteraria ha riconosciuto a due

drammaturghi fiorentini: Augusto Novelli e Nando Vitali. Se

molto si sa della vita di Augusto Novelli (nato a Firenze il 17

gennaio 1867 e deceduto a Carmignano il 7 novembre

1927), poco si sa, invece, di Nando Vitali

(nato a Firenze l’11 giugno 1898 e deceduto a

Firenze il 26 marzo 1977). Augusto Novelli è stato

uno dei più significativi esponenti del teatro in

vernacolo; autodidatta, appassionato di scrittura

teatrale, studiò assiduamente nei tredici mesi

di detenzione nel carcere delle Murate a Firenze,

dove era stato recluso per i suoi articoli satirici

pubblicati sul giornale Il Nuovo Monello (1988), di

cui era direttore e nel quale si firmava Il Monellino,

colmando le sue lacune letterarie. Scrisse più

di cinquanta commedie tra cui, nel 1894, Purgatorio,

Inferno e Paradiso, nel 1908 quel piccolo gioiello

de L’acqua cheta e, lo stesso anno, sempre

in vernacolo fiorentino, Casa mia, casa mia…; con

Gallina vecchia, scritta nel 1911, si impose definitivamente

alla drammaturgia nazionale. Dopo

una battuta di arresto in seguito al suicidio della

moglie, riprese il percorso di scrittore lasciando

un importante bagaglio culturale lessicale alla

storia della lingua italiana. Di Nando Vitali ci sono

poche notizie come se i suoi testi dovessero

Augusto Novelli in una foto di Mario Nunes Vais (Fondo Nunes Vais)

L'acqua cheta di Augusto Novelli portata in scena dalla Compagnia Namastè Teatro

28

AUGUSTO NOVELLI E NANDO VITALI


parlare per lui. È certo che se dopo la morte di Novelli non ci

fosse stato Vitali a riprendere in mano la scrittura dialettale

toscana in ambito teatrale, ci sarebbe stato un vuoto importante

nel panorama attuale. Di Nando Vitali

si legge: drammaturgo, poeta, scrittore italiano

e autore di canzonette. Niente di più sulla

sua vita, sui suoi studi o altro. Nel 1927,

al Teatro della Pergola, fu rappresentato il

suo Lo zio d’America. Nello stesso anno, al

Teatro Alfieri di Firenze, fu messa in scena

la commedia Filodrammatici e al Teatro Verdi

Brigata Firenze. Sempre nel 1927 scrisse

Bisognino fa trottar la vecchia e tante altre,

fino ad arrivare al 1930 quando Nando Vitali

scrisse un’opera che ha riscosso sempre

negli anni, per la sua brillantezza, freschezza

dialettale e giocosità teatrale, un enorme

successo: Il gatto in cantina (musicato da

Salvatore Allegra). È giusto fermarsi a questo

piccolo capolavoro in vernacolo fiorentino,

ambientato dopo la battaglia di Novara

(1849), in una piccola villa sulle colline intorno

a Firenze, perché la storia di questa città

e della Toscana non è fatta solo di famiglie

prestigiose, grandi pittori, scultori, scrittori,

ma è fatta anche di persone comuni, del popolo,

della gente che parlava e parla ancora

una lingua che affonda le sue radici in Dante,

Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, e quando

Alessandro Manzoni, nella seconda stesura

dei suoi Promessi Sposi, la utilizzò, il vernacolo

fiorentino ottenne un’identità nazionale.

Augusto Novelli, Nando Vitali, Ferdinando

Paolieri, Giulio Bucciolini, Bruno Carbocci,

Ugo Palmerini e altri ancora ebbero il coraggio

di portare in scena storie di vita familiare

nella loro lingua popolare, dando dignità alla

gente comune e al suo parlato, ispirando anche tanti famosi

artisti contemporanei toscani, così da restituire alla Toscana

il titolo di “Gran Ducato” ma questa volta “della Comicità”.

Foto di scena da Il gatto in cantina interpretato dalla Compagnia Namastè Teatro

AUGUSTO NOVELLI E NANDO VITALI

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Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Andrea Alfani

L’ultimo dei pittori romantici

di Daniela Pronestì

Romantico, figurativo convinto e con un occhio critico

verso il contemporaneo: così l'artista Andrea Alfani si

racconta in questa intervista nel suo studio a Firenze.

Cosa significa per te, nel XXI secolo, essere un pittore romantico?

Significa essere un artista controcorrente. La nostra società

è tutt’altro che romantica, anzi il romanticismo è ritenuto obsoleto.

Tutto oggi si fonda sulla scienza e soprattutto sulla

pretesa della tecnologia di risolvere anche i problemi esistenziali

delle persone. È un retaggio della cultura illuminista dal

quale discende questa tendenza a puntare tutto sugli aspetti

materiali ed edonistici della vita senza lasciare spazio ai

valori spirituali. Se per arte s’intende l’espressione sincera e

libera dell’interiorità, io non posso che esprimermi in maniera

romantica, perché per me essere romantico vuol dire dare

voce alla parte più profonda ed autentica di me stesso, alla

mia essenza spirituale. Tante volte sono stato criticato per

questa mia posizione, ma non m’importa. Un artista è tale

quando ha il coraggio di essere ciò che è, senza allinearsi al

pensiero comune e alle mode.

A proposito di coraggio, in uno scenario artistico che come

quello attuale legittima qualunque espediente espressivo,

quanta determinazione ci vuole ad essere un pittore fieramente

figurativo, uno che sa ancora disegnare?

Mi è capitato spesso di sentirmi dire che la pittura figurativa

è superata e che non occorre saper disegnare. Solo chi

ignora totalmente la storia dell’arte non solo passata ma anche

recente può fare un’affermazione del genere. Si dimentica,

infatti, che senza la figurazione non potrebbe esistere

neanche la pittura astratta, perché “astrarre” significa “tirare

fuori”, cioè estrapolare dalla realtà soltanto alcuni particolari

e ricondurli entro forme universali come avviene con la geometria.

Si tratta, quindi, di due processi diversi, ma non in

conflitto tra loro, perché l’astrazione lavora sottraendo dalla

realtà tutti quegli aspetti che la figurazione invece rappresenta.

L’errore di fondo è credere che ritrarre la realtà sia un’operazione

priva di fantasia, mentre invece l’astrazione richiede

grande capacità immaginativa. Non è affatto così: ritrarre la

realtà significa offrirne un’interpretazione libera e personale

e non limitarsi a riprodurla come si farebbe con una foto.

Mentre ritraggo il mondo, racconto me stesso, quello che sono,

penso e sento. Quanto all’importanza del disegno non ho

dubbi: è l’anima della pittura, il suo presupposto fondamentale.

Anche gli astrattisti dovrebbero saper disegnare proprio

perché il disegno è la base di tutto; se non lo fanno è perché

spesso e volentieri non ne sono capaci. Per questo non gli re-

Sinfonia di primavera (2019), olio su pannello telato, cm 70x50

sta che criticare chi come me invece conosce e pratica il disegno

da sempre.

Nel tuo breve saggio Considerazioni sul significato dell'opera

d'arte pittorica descrivi l’atto creativo come un’esperienza

che coinvolge tutto l’essere dell’artista, la sua vita

spirituale. Come si concilia questa idea con una società governata

dal materialismo?

Viviamo in un mondo dominato dal relativismo, dall’attaccamento

sfrenato ai beni materiali. Non c’è più spazio per tutto ciò che

è spiritualità, tensione verso l’assoluto, ricerca del divino. Da

tempo ormai l’essere umano si è sostituito a Dio, mostrando una

superbia davvero insopportabile. È chiaro che in un contesto del

genere porre lo spirituale a fondamento dell’arte significa essere

tacciati di anacronismo. A me poco importa quello che pensano

gli altri e non per arroganza, ma perché ritengo che sia dovere

dell’artista riportare l’attenzione sulla vita spirituale proprio in un

momento storico come questo. È un atto di coraggio che il vero

artista compie senza sforzo, perché per lui spiritualità significa

libertà, creatività, conoscenza profonda di sé. Nessuna grande

opera del passato è stata concepita senza che alla base vi fosse

una ricerca spirituale dell’artista. È qualcosa che riguarda il

significato autentico dell’arte; pensare di poterne fare a meno

vuol dire negare il senso stesso del fare arte e dell’essere artisti.

Analizzando i tuoi lavori dal 2000 ad oggi, s’intuisce un

passaggio dalla ricercatezza esecutiva dei primi dipinti alla

maggiore sintesi espressiva degli ultimi, è corretto?

Sì, in effetti è così. Dal 2000 ad oggi la mia pittura ha conosciuto

tre fasi diverse ma tutte in continuità tra loro. Le opere del primo

periodo, dal 2000 al 2011, sono caratterizzate da colori vivaci e

30

ANDREA ALFANI


da una rappresentazione minuziosa dei dettagli, con la quale, essendo

allora agli esordi, volevo dimostrare anzitutto a me stesso

di potermi cimentare con successo in veri e propri virtuosismi

pittorici. In questo periodo, inoltre, rifacendomi agli ideali della

cultura romantica dell’Ottocento e in particolare all’opera di Caspar

David Friedrich, mi interessava affrontare il tema del divino

e dell’assoluto inserendo all’interno del quadro simboli opposti e

cercando di farli essere in equilibrio tra loro. Questo perché per i

romantici l’unico modo per esprimere il divino in pittura era raffigurare

una realtà che come Dio abbraccia tutto e tutto contiene,

e quindi anche la dialettica tra gli opposti. Sono opere che all’osservatore

chiedono un notevole sforzo di sintesi e soprattutto la

capacità di non soffermarsi sulle singole cose ma di riunirle insieme

in una visione che evoca l’armonia universale. La seconda

fase, dal 2011 al 2018, è quella che io definisco “chiarista” perché

contraddistinta da un cromatismo morbido e vaporoso che

sfuma i contorni del dato reale e soprattutto dalla presenza di

cieli bianchi che permeano il quadro di un’atmosfera mistica. La

scelta del bianco ovviamente non è casuale: nascendo dalla sintesi

di tutti i colori dello spettro solare, è il più adatto ad indicare

la totalità di Dio. Ecco perché in questi dipinti i cieli sono bianchi

così come bianca è la luce che schiarisce i colori rendendoli eterei.

Proseguendo su questa strada rischiavo di arrivare al bianco

assoluto e quindi, in sostanza, alla negazione stessa della pittura.

Ecco perché nel 2019 è iniziata una nuova fase sempre incentrata

sul valore simbolico della luce, questa volta però espresso

con delle sfere luminose che dal cielo si diffondono nel resto del

dipinto come un’emanazione del divino. L’effetto è quello di conferire

maggiore unitarietà all’insieme, con una sintesi nuova tra

colore, luce e dato oggettivo. Lo si vede bene nell’opera Amor

che intelletto illumini, dove il sole, emblema dell’amore divino, rischiara

il volto della figura femminile e si spande nel resto della

scena comunicando un senso di pace e di armonia. Quello a cui

assistiamo dunque non è un fenomeno atmosferico, ma è un rimando

all’illuminazione interiore che l’individuo conosce quando

accoglie Dio dentro di sé. Non so ancora dire quanto durerà

questa fase, ma credo che fosse un passaggio inevitabile per

muovere verso quella sintesi a cui ogni pittore figurativo giunge

nel corso della propria ricerca.

Pensi che l’arte sia democratica oppure che, in quanto codice

dotato di regole proprie, esiga “scienza e coscienza”

per essere praticata?

No, l’arte non è democratica, nel senso che sono in pochi

quelli che possono definirsi veri artisti. Credere il contrario

significa legittimare il pressappochismo con cui molti oggi si

accostano all’arte credendo che basti imbrattare una tela o

avere critici prezzolati e compiacenti a sostenerli per definirsi

artisti. Ma non è così che funziona: l’arte si rivolge a tutti,

ma non è di tutti. È un dono che alcuni hanno ed altri no,

e non bastano né la tecnica né lo studio per acquisirlo. Più

che artisti, io oggi vedo in giro molti imbonitori che spacciano

la provocazione per talento, il successo per una riprova di

genialità. La vera arte parla allo spirito e a chi ha la sensibilità

per capirla. Tutto il resto sono espedienti supportati dal

mercato e dalla smania di protagonismo di sedicenti artisti.

www.andreaalfani.it

Sul sito, nella sezione Considerazioni dell’artista, è disponibile

il breve saggio Considerazioni sul significato dell’opera

d’arte pittorica.

Antiche rivelazioni (2020), olio su pannello telato, cm 50x37

Amor che intelletto illumini (2021), olio su pannello telato, cm 40x50

ANDREA ALFANI

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Cinzia Pistolesi

Il dono

www.cinziapistolesi.com


A cura di

Elisabetta Mereu

Speciale Mugello e

Valdisieve

I dieci anni della casa editrice di Luca Vitali, primo

editore italiano nel mondo dell’apicoltura

di Elisabetta Mereu / foto courtesy Edizioni Montaonda - Vitali

Si chiama Edizioni Montaonda ed è la realizzazione

di un sogno di gioventù: quello di

Luca Vitali, 59enne milanese, che dopo una

lunga attività come giornalista e traduttore in giro

per il mondo, nel 2011 ha dato vita alla prima e unica

casa editrice in Italia specializzata in tutto ciò

che concerne il rapporto dell’essere umano con le

api. La sede è proprio la sua abitazione, una piccola

colonica a San Godenzo, lungo la strada fra Firenze

e Forlì. «Da quando abito in questa zona della

Toscana – dichiara l’editore – ho totalmente cambiato

stile di vita e ho sentito l’esigenza di dedicarmi

all’ambiente, da sempre la mia passione. Grazie

ad un amico apicoltore ho scoperto il mondo delle

api, sul quale pubblico testi stranieri come quelli

di Padre Adam e dell’Abate Warré, fra le massime

autorità mondiali del passato, ma anche novità, come

i libri del socio-biologo americano Thomas Seeley.

Dei libri mi occupo integralmente, dalla A alla

Z, dalla scelta alla traduzione, dall’impaginazione alla commercializzazione,

cercando di recuperare così uno spirito artigianale.

Sono felice perché ho un lavoro molto vario di cui

riesco a seguire l’intera filiera, a parte la stampa. E mi piace

portare queste pubblicazioni alle fiere o ai mercati perché

la casa editrice vuole seminare libri ed io, proprio come

un contadino, amo consegnare di persona i miei prodotti».

Edizioni Montaonda (che prende il nome dal borgo omonimo

sul crinale appenninico ndr.) con i suoi quarantasette titoli

è diventata, in 10 anni, un punto di riferimento per circa

100.000 apicoltori italiani e per tutti coloro che scrivono di

ecologia e temi ambientali, ma non solo. «Negli ultimi anni

– continua Vitali –, seguendo i consigli di vari amici, ho creato

una collana di libri illustrati per bambini su api e insetti

ed una di narrativa, che ho battezzato con il neologismo “Psicotopìa”,

cercando testi in cui gli autori esprimono l’influsso

Luca Vitali con alcune sue pubblicazioni sulle api

che i luoghi esercitano sulla mente, la personalità e il carattere

di ogni persona». Un esempio interessante è il libro pubblicato

a novembre Una casa in Toscana - Viaggi in una terra

perduta di Wolfgang Schmidbauer, racconto autobiografico

del noto psicanalista e scrittore tedesco che, nel 1966, acquistò

una vecchia colonica nelle campagne sopra Vicchio,

iniziando un pendolarismo fra Baviera e Mugello. Un percorso

introspettivo ma anche sociologico che gli ha consentito

di analizzare la propria vita altalenante fra gli agi del mondo

cittadino schematizzato e frenetico ed i ritmi lenti dell’imprevedibile,

libera e selvaggia natura che, all’estinguersi di

una straordinaria civiltà contadina, in 50 anni è tornata padrona

del territorio. Nel catalogo di Montaonda sta riscuotendo

molti consensi anche la serie I gialli di Marco Vannini,

zoologo fiorentino, ex direttore del Museo della Specola che,

parallelamente alle pubblicazioni di divulgazione scientifica

per i giovani, ha deciso di dedicarsi

anche al genere thriller,

scrivendo undici episodi, l’ultimo

dei quali, Un camper per il morto,

è ambientato proprio in Mugello.

www.edizionimontaonda.it

Edizioni Montaonda

I libri della collana I gialli del Vannini

LUCA VITALI

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Speciale Mugello e

Valdisieve

A cura di

Elisabetta Mereu

Marino Brogi

Le vibranti espressioni cromatiche di

un pittore senza tempo

di Elisabetta Mereu

Ha festeggiato cinquant’anni di carriera artistica lo

scorso anno e, naturalmente, lo ha fatto nel modo a lui

più consono, cioè dipingendo nel suo studio, in attesa

di poter di nuovo esporre in pubblico (al suo attivo più di centocinquanta

mostre collettive e oltre venti personali ndr.). La sua

passione per il disegno e la pittura si è manifestata fin da bambino,

anche se poi la specializzazione e l’affinamento delle tecniche,

per il maestro Marino Brogi (classe 1938), sono avvenuti

in età adulta. Con l’aiuto di illustri maestri d’arte di Firenze come

Antonio Piccini e Walter Campani e del professor Luigi Gai

di Trento, a partire dal 1970, si è cimentato un po’ in tutte le specialità

della pittura, ad iniziare da quelle ad olio e acrilico, riuscendo

a far emergere e a valorizzare la sua predisposizione

naturale per quest’arte. «Se si esclude l’acquerello – racconta

il pittore durante una piacevole conversazione nel salotto della

sua casa di Pratolino, nel comune di Vaglia – posso affermare

di aver sperimentato tutte le tecniche pittoriche, perché mi piace

giocare con i colori che mi consentono di esprimere la cre-

Marino Brogi mentre dipinge il quadro Il campionissimo - Fausto Coppi (2008),

olio su cartone, cm 15x20

atività che ho dentro. Con spatola e pennello riesco a fonderli

in un corposo amalgama che li rende vibranti e vivi con le loro

infinite tonalità». Il critico e storico dell’arte lombardo, Alfredo

Pasolino, ha scritto di lui: «Marino Brogi ha fatto della sua ricca

espressività capolavori in grado di esprimere ciò che si vede;

nelle sue opere di singolare intensità si sente la festosità del colore

con cui l’artista dipinge la natura e la vita quotidiana, abbandonando

le ricerche di stile per concentrarsi su una figurazione

senza tempo». I suoi soggetti preferiti sono i fiori, siano essi

raccolti ordinatamente in un vaso oppure selvaggi e sparsi per i

prati e le colline dell’amato Mugello, fonte inesauribile d’ispirazione

delle opere di Brogi che, dal 1999, fa parte del gruppo Pittori

del Mugello e Valdisieve. Ineguagliabili e di grande impatto

emotivo sono le sue svariate interpretazioni del paesaggio: quadri

espressivi ed avvolgenti che il pittore e critico d’arte francese,

Gerard Argelier, ha paragonato a quelli di Monet. Di notevole

intensità risultano inoltre i dipinti raffiguranti persone e animali

o quelli a sfondo religioso, alcuni dei quali esposti in luoghi di

culto, come la chiesa di Santa Maria Ausiliatrice di Montorsoli,

Composizione floreale, acrilico su pannello, cm 37x53

Nei prati del Mugello, acrilico su pannello, cm 35x50

34

MARINO BROGI


Ponte di Giotto a Vicchio di Mugello, olio e acrilico su tela, cm 40x60

nel comune di Vaglia, e quella di San Giovanni Battista Decollato

a Pian del Mugnone, Fiesole. Opere del maestro Brogi sono raccolte

al Museo Bartali a Ponte a Ema (Firenze) e alla Casa Museo

di Fausto Coppi a Castellania (Alessandria), oltre a far parte

di collezioni private sparse in Italia e all’estero (Germania, Francia,

Inghilterra, Giappone, California e Argentina). Tali successi

di critica e di pubblico derivano dal fatto che i suoi dipinti offrono

sempre sensazioni di armoniosa levità ed esprimono l’infinita

capacità di rielaborazione cromatica di questo talentuoso

artista toscano esponente dell’espressionismo moderno.

www.marinobrogi.it

Alcuni riconoscimenti ricevuti in Italia e all’estero:

- Premio Oscar Città del Tricolore, Reggio Emilia (1989)

- Premio alla Biennale di Venezia, organizzato dall’Ass. Cult. Amici del Quadrato (1990 e 2001)

- Premio Nobel dell’Arte, San Marino (1998)

- 1° classificato al Gran Premio Internazionale di Pittura Città di Bologna, Antoniano di Bologna (1999)

- Premio Quadriennale Oscar dell’Arte, Montecarlo, Principato di Monaco (2001)

- Premio Biennale La Palma d’Oro, Sirmione (2001)

- Grand Prix International de la Côte d’Azur, Nizza (2002)

- Premio Internazionale alla Carriera Lo Scugnizzo del Mediterraneo, Napoli (2002)

- Gran Nomina di Cavaliere dell’Isola di Malta, Accademia Int.le dei Dioscuri, Malta (2009)

- Gran Premio Unità d’Italia (150° anniversario dell’Unità d’Italia), Palazzo Barberini, Roma (2011)

Pubblicazioni:

- Il Quadrato di Milano di Giorgio Falossi (1977, 1978 e 1989)

- Enciclopedia dei pittori e scultori del Novecento (1991)

- Pittori e scultori italiani di importanza europea (1992 e 1999)

- Catalogo degli Artisti, GADARTE (2000)

- Selezione Arte Italiana, Edizioni L’Elite (2001)

- Artisti del Mugello, Toscana Cultura (2006)

- Protagonisti dell’Arte dal XIX secolo ad oggi, a cura di Paolo

Levi, Casa Editrice EA (2014)

Titoli accademici:

- Accademia dei 500, Roma

- Accademia Internazionale dei Dioscuri, Taranto

- Accademia Internazionale delle Arti Marino Greci, Novara

- Accademia Unione della Legion d’Oro, Roma

- Accademia Pontificia Tiberina, Roma

- Accademia Internazionale Il Masaccio, Firenze

- Accademia di Arte, Lettere e Scienze del Verbano, Piemonte

MARINO BROGI

35


Speciale Mugello e

Valdisieve

A cura di

Elisabetta Mereu

Il “new deal” del Club Ferraristi Toscani

di Elisabetta Mereu / foto courtesy Club Ferraristi Toscani

Dopo un anno di pit stop forzato ai box e sporadiche

ripartenze c’è aria di grandi cambiamenti

per il Club Ferraristi Toscani Sieci. «Ad

iniziare dal nuovo direttivo – dichiara il presidente

Enio Turrini – con il quale lavorerò subito perché proprio

in questo mese parte il rinnovo associativo, che

ogni anno di più registra un soddisfacente incremento,

forse perché abbiamo deciso di dare a tutti, anche ai

non possessori di auto, la possibilità di aderire e partecipare

alle nostre iniziative. Lo scopo di un club è

anche fare socializzazione, e quindi, per accogliere al

meglio tutti i nostri soci vecchi e nuovi, prossimamente

cambieremo anche la sede, spostandoci presso il

prestigioso Parco Enzo Pazzagli, facilmente raggiungibile

dall’uscita autostradale di Firenze Sud, in un bel

locale che ci è stato messo a disposizione dalla dirigenza,

in cui appena sarà possibile potremo fare anche

incontri conviviali, com’è nostra consuetudine.

Poi, dopo 48 anni, è arrivato il momento di un refresh

d’immagine – aggiunge sorridendo Turrini – e quindi

alle prossime manifestazioni i nostri soci parteciperanno

con magliette, cappellini, felpe, giubbotti, ombrelli

rinnovati nel logo, nelle linee e nei colori. Un new

look 2021 come segno distintivo del nostro club che, rispetto

ad altri, ha sempre spiccato per la particolarità dei dettagli

esclusivi nell’abbigliamento e l’originalità degli omaggi

realizzati in numero limitato

per i partecipanti alle manifestazioni».

In effetti questo

club, grazie anche alla dedizione

a 360 gradi di questo

presidente multitasking,

negli ultimi anni ha ulteriormente

accresciuto il suo pre-

Enio Turrini, presidente del club

stigio in qualità e visibilità, per l’impegno e la particolare

cura nei dettagli dei propri eventi. Questo modus operandi

così minuzioso, perfettamente in linea con quello della Casa

di Maranello, ha suscitato da qualche anno l’attenzione

e l’interesse anche di alcuni club motoristici, per una fattiva

partnership. «L’ultimo in ordine di tempo è il Club Ducati

DOC Desmo Florence – continua Turrini – con cui a giugno

effettueremo una serie di gemellaggi alla 9^ edizione

del Valdarno Red Passion per festeggiare il passaggio della

Mille Miglia a Montevarchi. Questo è un raduno di Ducati

e Ferrari che, come ha dichiarato il presidente del Club De-

In queste due foto i nuovi gadget per i soci del Club Ferraristi Toscani

36

CLUB FERRARISTI TOSCANI


smo, Luca Fidolini, mette insieme, nella splendida cornice

della vallata valdarnese, due dei marchi più blasonati del panorama

sportivo, gioielli dell’ingegneria meccanica a 2 e a

4 ruote». Insomma l’intento del Club Ferraristi Toscani per

L’intitolazione a Enzo Ferrari del ponte fra Piazza Puccini e Via Baracca a Firenze promossa nel 2021 dal Club

Ferraristi Toscani alla presenza del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani

Da sinistra, Claudio Benevieri, organizzatore del Valdarno Red Passion, e Luca Fidolini, presidente del Club Desmo

questo 2021 è davvero quello di scaldare bene i motori e riuscire

a portare avanti ben più dei tre progetti realizzati lo

scorso anno: l’intitolazione a Enzo Ferrari del ponte fra Piazza

Puccini e Via Baracca a Firenze, il raduno di auto d’epoca

per i 1000 GP della Ferrari a Scarperia

in Mugello e infine il tour delle colline

del Chianti. «Per quanto pochi, date

le restrizioni da pandemia, siamo

riusciti a farli – aggiunge – e perciò

ci tengo a ringraziare le istituzioni fiorentine

e toscane che ci hanno sempre

supportato ed incoraggiato, primo

fra tutti il presidente della Regione

Eugenio Giani. Dietro il successo e i

buoni risultati c’è sempre il lavoro di

un team di tanti professionisti che,

ognuno con le proprie competenze,

hanno sempre contribuito fattivamente

a realizzare le nostre idee, spesso

senza nemmeno apparire. Quindi, anche

a nome dei soci, voglio ringraziare

in primis Aldo Raveggi, con tutto lo

staff del suo eccellente studio grafico

e artistico Waika, poi i responsabili

di ACI, ACI sport e Sara Assicurazioni

e i tipografi che a volte fanno miracoli

per accontentarci. Un sincero

grazie va anche alla bravissima pittrice

Silvia Serafini che ha realizzato ed

esposto con noi molte opere ispirate

al marchio del Cavallino e per quanto

riguarda la comunicazione, ringrazio

il giornalista del quotidiano La Nazione,

Francesco Querusti, oltre che questa

prestigiosa rivista con la quale da

qualche anno collaboriamo per la promozione

e la divulgazione degli eventi,

ai quali invitiamo fin da ora tutti

vostri lettori».

Raduno Ducati e Ferrari a Montevarchi

Programma del 6, 13 e 17 giugno 2021

- iscrizione dei veicoli storici con almeno 20 anni di anzianità

- benedizione di tutti i mezzi partecipanti al raduno

- ritrovo nel centro cittadino di appassionati e proprietari di auto e moto

- tour in alcune frazioni limitrofe: Levane, Poggio Bagnoli, Badia Agnano, Ponte Mocarini,

Bucine, Ponte Leonardo, Mercatale, Pestello e ritorno a Montevarchi.

- esposizione di prototipi di auto da corsa in Piazza Varchi

- aperitivo Aspettando la Mille Miglia

- cerimonie di consegna agli equipaggi di gadget e omaggi anche

- gastronomici

Per info sul raduno scrivere a: info@camev.it oppure a info@ferraristiclubsieci.it

CLUB FERRARISTI TOSCANI

37


Speciale Mugello e

Valdisieve

A cura di

Elisabetta Mereu

Ucio Matticchio, il fabbro dei vip

di Elisabetta Mereu

Il telefono squilla in continuazione e il tempo che può dedicare

all’intervista è davvero esiguo. Deve ultimare un

importante lavoro per la villa di un privato sul Lago di Ginevra

e realizzare tutte le commesse che ogni 10 minuti gli

vengono fatte tramite cellulare o mail. Ucio Matticchio, istriano

d’origine, in Toscana da una generazione, si definisce un

artigiano che di mestiere fa semplicemente il fabbro. In realtà,

osservarlo nella sua officina laboratorio Il fabbro del Borgo

a Vicchio di Mugello, mentre con la forgia plasma il ferro a

suo piacimento facendo scaturire così una nuova creazione,

fa tornare alla mente la frase di San Francesco d’Assisi: «Chi

lavora con le sue mani, la sua testa e il suo cuore è un artista».

E Ucio Matticchio lo è davvero. Sotto le sue mani, armate di

tenaglia, mazzuolo e scalpello, il metallo prende vita con singolari

lavorazioni artistiche che si possono armonizzare con

qualsiasi stile architettonico. Dall’incudine emergono riccioli,

punte di lancia, simboli personalizzati e tutto ciò che la fantasia

suggerisce, che unendosi a barre forate e paletti lavorati

ad arte diventano strutture per balconi, cancelli, scale, letti,

tavoli e lampadari. Oggetti unici che esprimono così l’estro e

la creatività di questo maestro del ferro. Lo hanno capito anche

illustri personaggi internazionali del mondo della cultura e

dell’arte, fra cui un famosissimo maestro di musica e stilisti di

moda di fama mondiale che gli hanno affidato la realizzazio-

Ucio Matticchio al lavoro

L'inferriata di uno storico caffè in Via Tornabuoni a Firenze

Scala a chiocciola all'interno della Villa Poggio Bartoli

38

UCIO MATTICCHIO


ne di complementi d’arredo da interno e da esterno per le loro

abitazioni private. Sue anche le inferriate e i cancelli che circondano

il prestigioso e storico resort Ville sull’Arno a Firenze,

residenza di campagna della famiglia degli Alighieri nel Quattrocento

e bottega d’arte dei Macchiaioli nell’Ottocento. Altri

esempi della sua arte fabbrile sono visibili nella Villa Medicea

Poggio Bartoli in Mugello, nei sontuosi portali del famoso

Caffè di Via Tornabuoni (lo storico Bar Giacosa dove nel 1920

nacque il Negroni ndr.) e in quelli della sede della Fondazione

Cassa di Risparmio di via Bufalini a Firenze, così come nelle

strutture esterne dei due famosi Bar Miraglia, da 80 anni a Prato.

Nelle sue produzioni le tecniche della tradizione artigiana e

il design moderno si uniscono con la finalità di ottenere manufatti

di pregio che durano nel tempo e mantengono l’essenza

dell’alta qualità artigianale, ineguagliabile e dunque irripetibile.

Attraverso la manualità esprime agli altri una parte della

propria eclettica personalità che però non vuole mai ostentare,

perché possiede la tipica umiltà che caratterizza la vita

e il lavoro dei più grandi. «Sono cresciuto in una fucina – dice

meravigliandosi di destare tanta ammirazione – perché anche

i miei antenati erano fabbri e maniscalchi che addirittura

forgiavano a mano i chiodi usati per ferrare i cavalli. Dunque,

fin da bambino, ho respirato le atmosfere e i ritmi di questo

antico mestiere che mi permette di domare il ferro e di dargli

un’anima». Un bel messaggio

che può invogliare www.ilfabbrodelborgo.com

tanti giovani, come i suoi

due collaboratori, ad appassionarsi

a quest’arte

creativa con buone prospettive

di una lunga e

soddisfacente attività.

UCIO MATTICCHIO

39


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

L’offerta commerciale basata sull’agire

etico che supporta i territori

Alla scoperta del Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue

Il mondo di oggi è sempre più provato dagli avvenimenti

che hanno ridefinito le vite quotidiane, specialmente

nell’ultimo anno. La vita è cambiata e le abitudini sono

state riscritte. L’esigenza crescente di conoscere il mondo a

km 0, di essere responsabili nei confronti del prossimo, di

proteggere e preservare quanto il nostro pianeta offre sta

divenendo un aspetto sempre più importante. In questo contesto,

il lavoro del Movimento Life Beyond Tourism Travel to

Dialogue diviene strategico per aiutare nella ripartenza.

Il Movimento infatti è una realtà internazionale che ha costruito

la propria identità e i servizi offerti pensando a coloro che

abitano e lavorano nei territori: artigiani, artisti, istituzioni, residenti

e persino viaggiatori (vale a dire i “residenti temporanei”).

Si tratta di una società Benefit che, in quanto tale, pone

nel suo statuto dei princìpi sociali che si prefigge di portare

avanti con il suo operato parallelamente all’attività commerciale.

Com’è noto, il Movimento Life Beyond Tourism Travel

to Dialogue nasce nel 2018 ed è l’applicazione pratica del lungo

lavoro di studio e ricerca portato avanti dalla Fondazione

Romualdo Del Bianco a partire dal 1989. Questo lavoro ha dato

avvio alla filosofia Life Beyond Tourism di cui il Movimento

si fa portavoce e che realizza attraverso una serie di servizi e

prodotti che partono dalla consulenza.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue si propone

di operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente

nei confronti di persone, territori, ambiente e tutti

coloro che rappresentano le espressioni culturali dei luoghi.

Ecco che l’azienda decide di trasformarsi in azienda Benefit,

una nuova tipologia di società che, oltre a proporre una

nuova offerta commerciale basata sull’agire etico, promuove

una serie di valori umani e sociali che identifica nel proprio

statuto e che sono anche rintracciabili nel Manifesto

Life Beyond Tourism ® 2019.

portanza del patrimonio locale, tangibile e intangibile, da

trasmettere ai viaggiatori. Con il Movimento LBT-TTD cerchiamo

di aiutare le espressioni culturali a valorizzarsi e

a farsi percepire come tali agli occhi dei visitatori esterni,

per sviluppare e trasmettere la consapevolezza del Be local!

e rendere i viaggiatori dei residenti temporanei dei territori

stessi».

Come afferma Carlotta Del Bianco, presidente del Movimento

LBT-TTD: «Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to

Dialogue si è sempre posto sul panorama locale, nazionale

e internazionale come una società basata sull’etica dei valori.

Riteniamo infatti che le espressioni culturali dei territori

siano al centro dell’economia circolare dei territori stessi.

Solo in questo modo è possibile realizzare un modello economico

sostenibile che possa mettere in evidenza l’im-

40

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


Per realizzare questi valori all’interno dei territori, il Movimento

LBT-TTD porta avanti un continuo lavoro di ricerca, promozione,

interpretazione e comunicazione del patrimonio

naturale e culturale, del “fare e saper fare” che in esso viene

custodito, delle conoscenze tradizionali attraverso il sito

www.lifebeyondtourism.org. Questo lavoro di ricerca si concretizza

in una serie di servizi che il Movimento offre per

individuare i prodotti rappresentativi di ogni cultura e per

cercare il giusto modo di diffonderli e pubblicizzarli a vari

livelli, regionale, nazionale e internazionale, creando un’immagine

esclusiva ed esplicativa del territorio e facendo percepire

il valore identitario dietro al singolo prodotto. Inoltre

il Movimento organizza periodicamente degli eventi culturali

internazionali dove coinvolge le espressioni culturali dei territori

per dar loro ulteriori opportunità di visibilità e costruzione

di relazioni, sia commerciali che sociali. Ma non solo.

L’offerta proposta riguarda anche il filone didattico e formativo,

in collaborazione con l’Istituto Internazionale Life Beyond

Tourism. Come si evidenzia nel Manifesto del Movimento, è

Il Movimento LBT-TTD racconta i territori

Toscana, una regione unica

https://www.lifebeyondtourism.org/it/italia-ita/toscana/

importante che i siti patrimonio mondiale diventino “Centri

per la Formazione al Dialogo”. Per fare questo vi sono

una serie di attività didattiche che si concretizzano in diversi

modi: corsi e-learning, tirocini formativi, seminari di approfondimento,

summer e winter camps anche in collaborazione

con varie istituzioni scientifiche e culturali.

Tutte queste attività vengono quotidianamente realizzate tenendo

ben in evidenza il Manifesto Life Beyond Tourism che

contiene i princìpi cardine della nuova offerta commerciale del

Movimento, che mette il patrimonio, le sue persone e le sue

espressioni culturali al centro della propria analisi quali eccezionali

veicoli per costruire la pace a livello mondiale. In tal

senso il patrimonio acquisisce una nuova anima, protegge e

valorizza sé stesso e diviene uno strumento di formazione al

dialogo per i visitatori, i residenti e tutti i soggetti della catena

del viaggio. Tutto ciò si trasforma in un diffuso senso di protezione

di tutto il patrimonio e del pianeta Terra per realizzare l’obiettivo

del millennio: il dialogo tra culture per la pace.

Chi meglio può raccontare un territorio se non coloro che lo abitano,

lo hanno scelto per fare impresa o creare la propria arte? Partendo

da questa premessa abbiamo sviluppato, negli ultimi mesi,

dei focus regionali sul nostro portale www.lifebeyondtourism.org

realizzando ciò che proviamo sempre a fare: costruire reti!

Quali sono gli ingredienti? Il patrimonio culturale e naturale, i

prodotti locali, l’enogastronomia, le mete da non perdere e quelle

che invece conoscono in pochi. Adesso abbiamo bisogno di

più voci: le istituzioni, le aziende, gli artisti e gli artigiani e, ovviamente,

i viaggiatori e i residenti. Entrare nella nostra rete è facile,

aiutaci a raccontare la tua Toscana, scrivi per informazioni

a info@lifebeyondtourism.org

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società

benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,

ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere

e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori

insieme alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali

che custodiscono. Offre proposte di consulenza per lo sviluppo di

progetti di marketing territoriale e turistico, formazione, eventi, comunicazione,

relazioni internazionali.

Per info:

+ 39 055 290730

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

41










Gallerie in

Toscana

Antichità Via dei Fossi

Arte e antiquariato nel cuore di Firenze

Testo e foto di Rosanna Bari

Accomunati dalla passione per l’arte e l’antiquariato,

i coniugi Antonia Antinolfi e Antonio Roberto

danno vita, a inizio anni Novanta, alla loro attività

di antiquari. La loro prima galleria viene inaugurata a Sesto

Fiorentino, dove rimarranno fino all’inizio del Duemila,

quando hanno l’opportunità di spostarsi nel centro di Firenze,

in Via dei Fossi, storica strada di negozi antiquari,

tra Piazza Goldoni e Piazza Santa Maria Novella. Sin dalla

sua apertura, la galleria riscuote un grande successo di

pubblico grazie alle frequenti mostre di artisti contemporanei,

che vengono ospitate in spazi appositamente dedicati

a questo genere di eventi. Con l’apertura all’arte contemporanea

la galleria antiquaria acquista sempre più un nuovo

volto, che rappresenterà un valido biglietto da visita per

presentarsi ad un più vasto e variegato

pubblico. Fra le mostre più rappresentative

che hanno segnato il periodo a partire

dal 2008, ricordiamo quella dedicata

al regista Carlo Lizzani, che illustra l’attività

cinematografica del maestro attraverso

foto, manifesti e locandine di film.

Ricordiamo anche l’importante esposizione

dei pittori Fernando Bernardini e Silvestro

Pistolesi, noti allievi del maestro

Pietro Annigoni. E, in ricordo della pittrice

Fiora Leone, la mostra Gattart Fiora Leone

2011, incentrata sulla figura e sul potere

ammaliante del gatto, uno dei soggetti

animali più adottati nell’arte. Infine, l’attività

della galleria ha sperimentato un

nuovo dinamismo con la mostra collettiva

dal titolo Intrecci preziosi, tra quadri gioielli

e abiti. L’indimenticabile inaugurazione

è stata animata dalla sfilata di moda

dell’importante maison fiorentina Giuliacarla

Cecchi, curata da Pola Cecchi, figlia

della fondatrice della griffe. Ospitare mostre

temporanee negli spazi della galleria

può essere vista come “arte nell’arte”,

capace di trasformare lo statico spazio

espositivo in un punto di incontro vivace

e diretto fra gli artisti e gli appassionati

del settore, donandole così una veste

sempre rinnovata.

Via dei Fossi, 55r - Firenze

+ 39 055 219306

Antonio Roberto + 39 335 6540736

Antonia Antinolfi + 39 333 4022814

galleriaviadeifossi@gmail.com

42

ANTICHITÀ VIA DEI FOSSI


A cura di

Daniela Pronestì

Occhio

critico

Clara Mallegni

Un’artista in “perpetuo volo”

di Daniela Pronestì

Se le opere di Clara Mallegni fossero un rebus, la

prima parola chiave necessaria a decifrarle sarebbe

senza dubbio la parola “libertà”, il cui significato

in questo caso non va inteso in senso astratto ma

come esplicita propensione dell’artista all’esercizio del

pensiero divergente: un vero e proprio salto oltre il conformismo

delle regole compiuto con l’ausilio di un innato

fervore fantastico. Sempre pensando a queste opere

come ad un rebus, la seconda parola chiave – intrinseca-

mente legata alla prima – sarebbe certamente la parola “fantasia”,

che nell’opera della Mallegni designa non solo un modo

di procedere sperimentando tecniche – collage, pittura acrilica,

scultura in legno, resina o acciaio – ed accostando soggetti

con soluzioni sempre nuove e dall’evidente matrice fantastica,

ma significa soprattutto offrire l’immagine di un mondo dominato

dal sogno, dal bello, dal fascino di tutto ciò che sfugge al

rigore della logica. Un mondo nel quale vengono azionate, una

dopo l’altra, tutte le leve dell’immaginazione, a partire da quella

che solleva le cose in un “perpetuo volo”, come le tante figure

rappresentate o scolpite nell’atto di compiere un salto acrobatico.

In questo slancio agile e leggero si condensa la cifra poetica

di un’artista che sceglie di sorvolare sopra gli orrori e le

brutture di una realtà nella quale non si riconosce per coltivare

l’utopia della fiaba, assaporare la meraviglia di chi come lei sa

“passeggiare tra le nuvole” – così recita il titolo di un collage

– e cogliere della vita gli aspetti più sorprendenti e avventurosi.

Tutta l’opera della Mallegni è un richiamo al continuo divenire

delle cose, al loro dinamico e perenne mutare, ma senza la

nota dolente di chi, di fronte al cambiamento, si avvinghia di-

Sapore di mare (2021), collage polimaterico su carta Magnani, cm 50x70

speratamente al ricordo. Al contrario, per la Mallegni quella del

ricordo è un’arte che si impara giorno dopo giorno, misurando

la distanza tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra l’altalena e la

luna, tra il volare alto e il planare con grazia sulle contraddizioni

del mondo. La donna, protagonista di molti suoi lavori, è la

musa di questa “joie de vivre” espressa con sguardi da felino,

corse spensierate in bicicletta, omaggi alle eroine della fiaba o

alle icone pop del nostro tempo. In questo teatro del fantastico

una girandola di sensazioni invita l’osservatore a lanciarsi in

balli scatenati, intraprendere navigazioni interstellari, immergersi

“nel blu dipinto di blu” e sentire sulla pelle l’irresistibile

“sapore di mare”. Quanto basta, quindi, ad essere coinvolti in

un’esperienza da vivere sicuramente con il sorriso ma anche

con la voglia di trovare nell’opera d’arte un’occasione per evadere

dalle limitazioni di una società che sempre più ci ingabbia

entro modelli e stereotipi. Se è vero che in ogni artista sopravvive

il bambino che gioca, Clara Mallegni concede a questa

sua parte bambina lo spazio che merita, affinché il gioco non

abbia mai fine e con esso anche la capacità di volare leggeri

sulle cose del mondo.

Dal 26 giugno al 10 luglio 2021,

Clara Mallegni sarà protagonista

della personale Sapore di mare al

Fortino Lorenese in Piazza Garibaldi

a Forte dei Marmi. Curata da

Lodovico Gierut, con la collaborazione

di Walter Sandroni, la mostra

vedrà esposte trenta opere realizzate

con diverse tecniche, dalla

tela all’acciaio, dal legno alla prestigiosa

carta Magnani, dall’acrilico

alle resine, fino al collage.

Archetipi volanti (2017), acciaio, h cm 60

Sinergy (2019), collage e acquerello su carta Magnani, cm 70x50

www.claramallegni.com

Clara Mallegni Artista

claramallegniarte

Le opere di Clara Mallegni sono in

vendita sul sito della galleria Artistikamente

www.artistikamente.net

CLARA MALLEGNI

43


Claudio De Col

Fioretti

• Miraggi dell’ombra


Le opere di Claudio De Col sono visibili sul sito della galleria Artistikamente di Pistoia

www.artistikamente.net

Art C. De Col

claudiodecol@gmail.com


Ritratti

d’artista

Francesco Bandini

Percorsi visivi sulle tracce della storia

Testo e foto di Maria Grazia Dainelli

Francesco Bandini, laureato in Architettura,

in Urbanistica e in Teologia con indirizzo

Archeologico Biblico alla Facoltà

Teologica dell’Italia centrale presso la quale

svolgerà attività di docente, master in Storia delle

Religioni, socio emerito past President dello

storico Gruppo Donatello, è addetto ai rapporti

con le pubbliche istituzioni. Autore di numerose

pubblicazioni e manuali di metodologia e

tecnica dello scavo (noti i suoi diari di viaggio

nel mondo biblico), è membro permanente della

missione archeologica dell’Università di Firenze

in Giordania. All’indomani della grande alluvione

del 1966, quale responsabile tecnico della Basilica

di San Lorenzo a Firenze, ritrova i resti della

tomba del grande Donatello, dando vita alla

suggestiva cerimonia di omaggio al celebre artista

nel giorno della sua morte (13 dicembre) alla

presenza del Gonfalone della città e delle auto-

Festival delle Religioni, Basilica di San Miniato al Monte, Firenze: Francesco Bandini presenta a

SS. Karekin II, Patriarca Supremo e Chatholikos di tutti gli Armeni, uno dei suoi diari di viaggio

46

FRANCESCO BANDINI


rità civili e militari, con la deposizione delle

tre tradizionali ghirlande. Nel 2002 ha ricevuto,

in Palazzo Vecchio a Firenze, il Fiorino

d’oro per la saggistica e nel 2003 a Roma

il premio nazionale della cultura dalla Presidenza

del Consiglio dei Ministri. Il 17 ottobre

2016 (San Luca) diviene Accademico

d’onore dell’Accademia delle Arti del Disegno.

Nella Basilica di San Miniato al Monte,

in occasione del Festival delle Religioni,

Francesco Bandini presenta a SS. Karekin II,

Patriarca Supremo e Chatholicos di tutti gli

Armeni, uno dei suoi diari di viaggio, dove

viene da lui ritratto in occasione di uno dei

suoi viaggi in Armenia sull’Ararat. Di lui scrive

Francesco Gurrieri, presidente della classe

di Architettura dell’Accademia delle Arti

del Disegno: «Insomma (F. B.), un uomo ancor

prima che un tecnico e uno studioso, per

il quale l’arcobaleno che univa Stonehenge a Samarcanda

era qualcosa che meritava di essere vissuto e che aveva

un valore universale. Qualcosa che oggi sembra essere

stato smarrito».

Francesco Bandini

Via Luigi Carrand, 50133 - Firenze

francescobandini@yahoo.it

+ 39 055 583150 / + 39 338 7115250

Dervisci rotanti dell'Anatolia (2020) Sana'a, Yemen (1989)

FRANCESCO BANDINI

47



I libri del

Mese

Stefania Maffei

Oltre il cancello: un racconto sull’orrore e sulla rinascita

dopo la malattia da Covid-19

di Erika Bresci

Varcare quel cancello significa fare esperienza diretta

del male, guardarlo negli occhi, ascoltarne il

respiro sincopato nelle corsie, calcarne le impronte

lungo i corridoi, piangerlo nel silenzio di una solitudine

che fa paura e allontana anche da se stessi. Per Stefania

Maffei significa prima di tutto riconoscerlo nel suo nome

– Sars-Covid-19 – e sapersi altro da lui, semplicemente

operando in egual modo con coloro che le sono vicini e

condividono il medesimo cammino. Ovvero, nominandoli.

Sia per categorie capaci di racchiudere il senso dell’umano

(le quattro compagne di stanza sono identificate nel

titolo delle storie che le vedono protagoniste come La Livornese,

La Badante, La Testimone di Geova, La Parcheggiata),

sia nei nomi propri di persone speciali – primi tra

tutti i medici Ferdinando e Cristiana –, che le hanno reso

possibile tornare alla vita di sempre, alla normalità dei

giorni al di qua del cancello. Grazie alle due settimane tra-

scorse da degente in una struttura intermedia Covid, «un

lazzaretto da quaranta posti letto», due pazienti per stanza,

Stefania Maffei – che non rinuncia alla propria vocazione

di poeta e intervalla con appassionate, intense liriche,

indirizzate ai “compagni d’avventura” (medici, infermieri,

personale OOSS, pazienti ricoverati), cinque storie che si

incardinano e colloquiano tra loro – torna a riveder le stelle

cambiata dentro, e non solo nel fiato corto lasciato in

dono dalla malattia. Oltrepassato quel cancello (quasi una

personale Porta della Città di Dite, o altri cancelli di triste

e più recente memoria) e scesa agli inferi, recuperata poi

la luce e la salute, davvero si fa spazio in lei una riflessione

più completa sul senso della vita e del vivere con gli altri.

Così, raccolta in sessanta pagine di un diario disperato

e lucidissimo, ne nasce una testimonianza autentica, che

scorre senza indulgere a retorica o sensazionalismi sui binari

di una narrazione rapida e incalzante che si fa vita

vera, parola incarnata e da condividere. All’iniziale orrore

per gli effetti della malattia sul fisico altrui – che sa perfino

di concreta repulsione –, all’egoismo stizzoso di chi

sofferente tra sofferenti prova a dare le spalle ai lamenti

che provengono dal letto accanto, al disagio per un’intimità

costantemente negata, al lugubre refrain che accomuna

i dannati di questo piccolo angolo di mondo – «noi siamo

infetti»; «quelli come me, infettati e pericolosi per il resto

della società», che ricorda tanto l’«Impuro, impuro!» di Levitico,

13 –, Stefania Maffei – paziente e scrittrice – sostituisce

la spinta alla solidarietà, la volontà di comprendere

la storia personale che giace dietro il nome anonimo apposto

su un cartellino in fondo al letto, di intercettare lo

sguardo impaurito di chi le sta accanto e trasformarlo in

speranza, di dare voce e forza a quella stessa speranza,

fino a rallegrarsi per quanti ogni giorno lasciano la temuta,

provvisoria dimora e ad accogliere nella propria stanza

chi vi è appena approdato o chi trova nel suo peregrinare

da una camera ad un’altra, per condividere anche solo una

parola, uno sguardo, un progetto. E allora, «il maledetto virus»

descritto in presa diretta e raccontato a ritmo serrato,

capace quasi di togliere al lettore quello stesso fiato che

manca costantemente all’autrice (e che si chiede se potrà

mai ritrovare), può insegnarci qualcosa che va oltre «la vita

là fuori con il suo fermento e la sua giostra quotidiana»,

quella stessa che riprenderemo, insieme a riti e routine,

una volta scongiurato il male. Può insegnarci a guardare

davvero, ad accogliere, a non giudicare, ad ascoltare,

a fare del tempo un dono e non una condanna. Una storia

attualissima e di grande impatto emozionale, resa ancora

più viva dalle pregevoli illustrazioni di Sara Baudinotti.

STEFANIA MAFFEI

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Personaggi

Tiziano Terzani

La vita sempre in viaggio di un fiorentino che ha fatto la storia

di Serena Gelli / foto courtesy Angela e Folco Terzani

Tiziano Terzani nasce a Firenze nel 1938. Laureatosi

con lode in Giurisprudenza nel 1962 alla Scuola

Normale Superiore di Pisa, tre anni dopo viene

inviato in Giappone dall’azienda Olivetti per tenere alcuni

corsi aziendali. Consegue poi un Master in Affari Internazionali

alla Columbia University di New York, seguendo

corsi di storia e lingua cinese. Dai primi anni Settanta è

corrispondente dall’Asia per il settimanale tedesco Der

Spiegel. Esce nel 1973 il suo libro Pelle di leopardo dedicato

alla guerra in Vietnam. Durante il 1975 resta a Saigon

in Vietnam, assistendo alla presa di potere da parte

dei comunisti: sulla base di questa esperienza scriverà

Giai Phong! La liberazione di Saigon. Nel 1979, dopo quattro

anni passati ad Hong Kong, si trasferisce con la famiglia

a Pechino: per comprendere meglio la realtà cinese

viaggia visitando città e paesi chiusi agli stranieri, facen-

Tiziano Terzani

do frequentare ai suoi figli la scuola pubblica cinese. Il libro

successivo è Holocaust in Kambodsch (1981), in cui

racconta il suo viaggio in Cambogia, a Phnom Penh, dopo

l’intervento vietnamita. Viene espulso dalla Cina nel 1984

con l’accusa di aver commesso “attività controrivoluzionarie”:

racconta il suo dissenso in La porta proibita. Durante

il 1985 risiede ad Hong Kong, poi si trasferisce a Tokyo

dove rimane fino al 1990. Intanto collabora con diverse riviste

italiane – Corriere della Sera, La Repubblica, L’Espresso,

Alisei – e con la radio e tv svizzera in lingua italiana

insieme a Leandro Manfrini. Sul crollo dell’impero sovietico

pubblica nel 1992 Buonanotte, Signor Lenin, selezionato

per il Thomas Cook Award, premio inglese per la letteratura

di viaggio. Nel 1994 si stabilisce in India assieme alla

moglie Angela Staude, scrittrice, e ai due figli. Nel 1995

viene pubblicato Un indovino mi disse, cronaca di un corrispondente

in Asia che per un anno ha

vissuto senza mai prendere aerei: diventerà

un vero e proprio bestseller.

A quest’ultimo lavoro fa seguito il libro

In Asia (1998), a metà tra reportage

e racconto autobiografico. Nel

2002 pubblica Lettere contro la guerra,

sull’intervento militare degli Stati

Uniti in Afghanistan e sul terrorismo:

per i suoi contenuti decisamente forti,

il libro viene rifiutato da tutti gli

editori di lingua anglosassone. Inizia

poi un “pellegrinaggio” che lo porta a

intervenire in diverse scuole e incontri

pubblici, appoggiando Gino Strada

ed Emergency nella causa “Fuori l’Italia

dalla guerra”. Nel 2004 esce Un

altro giro di giostra, viaggio nel bene

e nel male del nostro tempo, alla ricerca

di una cura contro il cancro di

cui Terzani è affetto dal 2002. Il libro

tratta del suo modo di reagire alla

malattia – un tumore all'intestino

–, cioè viaggiare per il mondo e osservare

con lo stesso spirito giornalistico

di sempre le tecniche della più

moderna medicina occidentale come

quelle delle medicine alternative.

Si tratta del viaggio più difficile da

lui affrontato, alla ricerca di una pace

interiore che lo porterà ad accettare

serenamente la morte, avvenuta

ad Orsigna (Pistoia) il 28 luglio 2004.

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TIZIANO TERZANI


Personaggi

Andrea Vignozzi

L’esaltante esperienza di un consulente di arte moderna

di Fabrizio Borghini / foto courtesy Andrea Vignozzi

Com’è nata la passione per l’arte tanto da

trasformarla in un hobby a cui dedichi con

entusiasmo gran parte del tuo tempo?

La scintilla è scoccata quasi per caso quando

lo zio di mia moglie, grande appassionato d’arte

nonché amico di tanti artisti e antiquari fiorentini,

per il nostro matrimonio ci regalò un graziosissimo

disegno, che tuttora custodiamo gelosamente,

e nel consegnarci quel piccolo capolavoro ne

esaltava i particolari evidenziandone le difficoltà

esecutive con una partecipazione che mi contagiò.

Da quel momento ho iniziato in punta di piedi

ad avvicinarmi ad artisti e galleristi importanti

che, insieme ai tanti libri d’arte letti, hanno fatto

maturare in me la convinzione di quanto importante

sia l’arte per l’elevazione delle persone e in

particolare per noi italiani quanta ricchezza possa

produrre: è il nostro petrolio.

Il maestro Paolo Vannini

Ad un giovane che volesse seguire le tue orme, che studi

consiglieresti di intraprendere?

Anche se dedico tutto il mio tempo all’arte, continuo a considerarlo

un hobby e non un traguardo raggiunto; per questo ritengo

che alla base ci debba essere soprattutto la continua

volontà di conoscere, quindi un percorso sofferto e del tutto

individuale. Anche il più grande critico, consulente o storico,

seppur bravissimo, avrà sempre da imparare qualcosa anche

dall’ultimo degli artisti.

Da sinistra, Andrea Vignozzi con il maestro Corsinovi

La Toscana storicamente è una fucina di artisti; chi sono

attualmente quelli che hai messo nell’occhio del tuo mirino?

Il lockdown ha rallentato anche il lavoro di scouting che faccio

andando a visitare mostre e studi d’artista. Però ci sono

due pittori, molto diversi tecnicamente fra loro, che seguo più

assiduamente di altri e che vorrei segnalare all’attenzione dei

lettori: Paolo Vannini e Giorgio Corsinovi. Il primo è un pittore

di lungo corso che è entrato nel gotha nazionale grazie al suo

modo di dipingere, un innovativo figurativo astratto, che guarda

prevalentemente alle grandi avanguardie artistiche

dei primi del Novecento, cubismo da una

parte e l’esperienza fauve dall’altra, e poi l’uso di

colori unici che assecondano le forme e i piani

sui quali si dipana la rappresentazione che coniuga

intensità pittorica ed emotiva. Corsinovi, invece,

è un personaggio bohémien, genere naïf, che

dipinge esclusivamente ad acquerello. Un artista

ispirato sorretto dal pensare per immagini che

scaturiscono da sue ricerche cerebrali, amletici

interrogativi, ermetiche consapevolezze affidate

ora al disegno ora al colore. Di lui apprezzo anche

la mediterranea eleganza dell’impianto cromatico

e le arcane testimonianze che ne fanno

un artista che spicca nel grigiore della contemporaneità.

Per verificare tutto ciò, invito i lettori

ad intervenire alla sua mostra personale che si

terrà a Signa nel palazzo comunale dall’8 maggio

prossimo.

ANDREA VIGNOZZI

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Concerto in

salotto

A cura di

Giuseppe Fricelli

Giuseppe Verdi

Il genio di Busseto

di Giuseppe Fricelli

«

Sono un agricoltore», così Giuseppe

Verdi scrisse nelle caselle

del censimento indicando

la propria professione. A Sant’Agata il

grande compositore trascorreva una vita

semplice accanto alla moglie. Al mattino,

il musicista si alzava alle cinque e girava

per i suoi campi fino alle otto. Poi si

metteva a studiare e comporre. Il pomeriggio

lo trascorreva scrivendo e rispondendo

agli amici. Verdi era pignolo nella

corrispondenza. Faceva copia di ogni lettera.

Dopo il trionfo del Nabucco, il musicista

di Busseto creò con la sua fantasia

musicale una numerosissima quantità di

opere che rimaranno nella storia per il loro

valore artistico.

La prima esecuzione del Nabucco al Teatro

alla Scala di Milano il 9 marzo del 1842

Giovanni Boldini, Giuseppe Verdi (1886), pastello su carta, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

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GIUSEPPE VERDI


A cura di

Laura Belli

Speciale

Pistoia

Paola Beretta

Una pittura attenta al sociale e al mondo femminile

di Laura Belli

Fin dall’infanzia Paola Beretta ha dimostrato

interesse per il disegno e i colori, interesse

che poi si è assopito nel periodo adolescenziale

ma che, attorno ai 25 anni, completati gli studi

linguistici, si è risvegliato più maturo e consapevole

e l’ha spinta a sperimentare nuove tecniche pittoriche

e a dedicarsi anche alla scultura, alla poesia e

alla scrittura. Fondamentale per questa sua crescita

creativa è stata la frequentazione di ambienti artistici

che le hanno favorito la conoscenza e il fertile

confronto con altri artisti contemporanei. Dalle sue

opere s’intuisce che ha saputo ispirarsi anche a correnti

artistiche del passato più affini alle sue esigenze

espressive come il Surrealismo, il Simbolismo e il

Futurismo ma che è riuscita a personalizzare queste

sollecitazioni fino ad elaborare uno stile originale e

inconfondibile. La sua è una pittura che si basa sul

colore: «È il colore che mi dà l’emozione e l’ispirazione»

afferma. E infatti non si avvale di disegni o bozzetti

preparatori ma interviene sulla tavola o sulla

tela direttamente con pennello e colori vivaci e caldi

che mischia in una infinita gamma di sfumature.

Interessanti le sue nature morte perlopiù rappresentate

con un punto di vista aereo, quasi a voler offrire

una visione d’insieme che invita però ad avvicinarsi

anche ai singoli oggetti che la compongono, ricchi

di particolari e di simboli che, una volta compresi,

svelano significati profondi e inattesi. La Beretta ha

a cuore le tematiche riguardanti l’essere umano, i

suoi problemi sociali, le sue delusioni e speranze,

con una particolare attenzione al mondo femminile. Secondo

Paola la funzione dell’artista non è soltanto la ricerca e la

rappresentazione del bello, ma piuttosto il rendere testimonianza

del contemporaneo. Ed ecco allora nelle sue opere l’uso

del collage che, con la sua concretezza tattile e materica,

comunica più facilmente la realtà, oppure la raffigurazione

delle mani dell’artista mentre sta dipingendo, ad evidenziare

l’accettazione della sua funzione di testimone, ed ancora

la tendenza ad introdurre iscrizioni e frammenti di giornale

all’interno dei quadri per un richiamo all’attualità e all’urgenza

dei problemi. Quando comincia a dipingere non si pone

finalità predefinite, ma segue l’ispirazione spontanea, l’emozione

che le regala il colore: «Io faccio queste cose spontaneamente,

lascio lavorare l’inconscio; è meglio non chiedersi, è

meglio fare quello che viene da dentro, dopo ti accorgi cosa

hai voluto esprimere». Nelle quattro tavole dipinte in occasione

della caduta del muro di Berlino, la spinta alla rappresentazione

dell’evento è nata in lei da una sensazione di gioia, di

festa, ma vi si colgono anche espliciti riferimenti anticipatori

delle dolorose conseguenze che sarebbero derivate concre-

Mascherine, olio su tela, cm 50x50

tamente da quell’evento incruento ma fortemente destabilizzante.

La sua prima mostra, nel 1985 a Massa Marittima,

fu un successo; da allora molte mostre personali e collettive

sono seguite, in Italia e all’estero, fino a fare di lei un’artista

stimata e affermata. Il suo nome sarà inserito nell’Atlante

di storia dell’arte contemporanea prossimamente pubblicato

dalla De Agostini e un suo autoritratto è stato scelto da

Vittorio Sgarbi per essere pubblicato sul CAM della Mondadori.

Attualmente è in corso una sua mostra intitolata L’Arte

del Diritto presso uno studio legale e professionale in Piazza

Vittorio Veneto 4 a Firenze. Si tratta di una interessante

iniziativa che favorisce il godimento dell’arte nelle sue varie

forme anche in ambienti non pensati per questo genere di attività.

La mostra purtroppo ha risentito delle restrizioni dovute

alla pandemia e dopo l’inaugurazione non è stato possibile

procedere alle iniziative ad essa collegate. Resterà aperta fino

a giugno, con possibilità di visitarla, per piccoli gruppi su

prenotazione, dal lunedì al venerdì.

paul_etta@hotmail.com

PAOLA BERETTA

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Guido Botticelli

L’arte di plasmare la materia

L'ultimo patriota, bronzo

Testa di donna, terracotta policroma

La donna salverà il mondo, terracotta policroma

Dopo il diploma di Maestro d’arte, Guido Botticelli

ha intrapreso la carriera di restauratore che ha

svolto con passione e soddisfazione, senza tuttavia

abbandonare l’attività artistica. Nelle sue opere

sperimenta materiali e tecniche diverse, spesso

prese a prestito proprio dal mondo del restauro

cosicché le due carriere, professionale ed artistica,

risultano spesso di supporto l’una all’altra: un

dipinto può diventare un’esperienza propedeutica

ad una operazione di restauro, così come trattamenti

o prodotti utilizzati nella conservazione

delle pitture murali possono essere impiegati in

funzione dell’ottenimento di particolari finiture.

È il caso dei suoi affreschi staccati e riportati su

tela oppure delle sculture in calcestruzzo cellulare

trattate con procedimenti a base di prodotti

inorganici già usati nel consolidamento degli affreschi.

I suoi soggetti non nascono da uno studio

o da un piano prestabilito, ma sono spesso dettati

o influenzati dagli stessi materiali compositivi:

l’argilla, facilmente plasmabile, amplifica le potenzialità

espressive con risultati di maggior naturalismo,

mentre il procedimento “per levare” dei

blocchi di calcestruzzo favorisce strutture sintetiche

ed astratte che evocano il soggetto piuttosto

che rappresentarlo direttamente. Per Botticelli la

materia diventa contemporaneamente soggetto e

oggetto della rappresentazione.


A cura di

Stefano Marucci

Storia delle

Religioni

Commento all’Enciclica di Papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia

sociale in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri 2020

In collaborazione con la Parrocchia Santa Maria al Giglio di Montevarchi

3^ e ultima parte

L’apostolo insegna che la libertà che ci è stata donata

con la morte e risurrezione di Gesù Cristo è per ciascuno

di noi una responsabilità per mettersi al servizio

degli altri, soprattutto dei più deboli. Non si tratta di

un’esortazione facoltativa, ma di una condizione dell’autenticità

della fede che professiamo. Il libro del Siracide ritorna

in nostro aiuto: suggerisce azioni concrete per sostenere

i più deboli e usa anche alcune immagini suggestive. Dapprima

prende in considerazione la debolezza di quanti sono

tristi: «Non evitare coloro che piangono» (7,34). Il periodo

della pandemia ci ha costretti a un forzato isolamento, impedendoci

perfino di poter consolare e stare vicino ad amici e

conoscenti afflitti per la perdita dei loro cari. E ancora afferma

l’autore sacro: «Non esitare a visitare un malato» (7,35).

Abbiamo sperimentato l’impossibilità di stare accanto a chi

soffre e, al tempo stesso, abbiamo preso coscienza della fragilità

della nostra esistenza. Insomma, la Parola di Dio non ci

lascia mai tranquilli e continua a stimolarci al bene. “Tendi la

mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di

quanti tengono «le mani in tasca e non si lasciano commuovere

dalla povertà», di cui spesso sono anch’essi complici.

L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Che

differenza rispetto alle mani generose che abbiamo descritto!

Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera

di un computer e spostare somme di denaro da una

parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette

oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere

nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita

di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per

seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra

scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e

nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco

scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto.

E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita

stabiliscono leggi che loro stessi non osservano. In questo

panorama, «gli esclusi continuano ad aspettare; per poter sostenere

uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare

con questo ideale egoistico, si è sviluppata una

globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene,

diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi ai grido

di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma

degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto

fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete»

(Esort. ap. Evangelii gaudium, 54). Non potremo essere

contenti fino a quando queste mani che seminano morte non

saranno trasformate in strumenti di giustizia e di pace per il

mondo intero. «In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine»

(Sir 7,36). È l’espressione con cui il Siracide conclude questa

sua riflessione. Il testo si presta a una duplice interpretazione:

la prima fa emergere che abbiamo bisogno di tenere

sempre presente la fine della nostra esistenza. Ricordarsi il

destino comune può essere di aiuto per condurre una vita

all’insegna dell’attenzione a chi è più povero e non ha avuto

le stesse nostre possibilità. Esiste anche una seconda interpretazione,

che evidenzia piuttosto il fine, lo scopo verso cui

ognuno tende: è il fine della nostra vita che richiede un progetto

da realizzare e un cammino da compiere senza stancarsi.

Ebbene, il fine di ogni nostra azione non può essere altro

che l’amore; è questo lo scopo verso cui siamo incamminati

e nulla ci deve distogliere da esso. Questo amore è condivisione,

dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di

essere noi per primi amati e risvegliati all’amore. Questo fine

appare nel momento in cui il bambino si incontra con il

sorriso della mamma e si sente amato per il fatto stesso di

esistere. Anche un sorriso che condividiamo con il povero è

sorgente di amore e permette di vivere nella gioia. La mano

tesa, allora, possa sempre arricchirsi del sorriso di chi

non fa pesare la propria presenza e l’aiuto che offre,

ma gioisce solo di vivere lo stile dei discepoli di Cristo.

In questo cammino di incontro quotidiano con i poveri

ci accompagna la Madre di Dio, che più di ogni altra è

la Madre dei poveri. La Vergine Maria conosce da vicino

le difficoltà e le sofferenze di quanti sono emarginati,

perché lei stessa si è trovata a dare alla luce il Figlio

di Dio in una stalla. Per la minaccia di Erode, con Giuseppe

suo sposo e il piccolo Gesù è fuggita in un altro

paese, e la condizione di profughi ha segnato per alcuni

anni la Santa Famiglia. Possa la preghiera alla Madre

dei poveri accomunare questi suoi figli prediletti e

quanti li servono nel nome di Cristo. E la preghiera trasformi

la mano tesa in un abbraccio di condivisione e

di fraternità ritrovata.

ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO

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Nuove proposte dell’arte

contemporanea

A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Mostra internazionale Artidotum 3D

Un rimedio artistico al disagio psicologo causato dalla pandemia

di Margherita Blonska Ciardi

La mostra virtuale internazionale Artidotum, inaugurata

lo scorso 13 febbraio, è stata ideata per offrire

con l’arte una speranza e un supporto psicologico

per superare l’attuale periodo di crisi dovuto alla pandemia

globale. L’evento doveva svolgersi inizialmente presso una

prestigiosa location di Roma, coinvolgendo anche alcune reti

televisive locali, ma purtroppo il peggioramento della situazione

sanitaria non ha permesso di realizzare la mostra

in sicurezza. Non volendo però rinunciare a far conoscere

al pubblico le splendide opere di alcuni artisti emergenti, è

nato il progetto Artidotum, che ha permesso di superare le

difficoltà del momento creando una galleria virtuale con la

tecnologia del rendering. Appena la situazione lo consentirà,

la mostra si terrà in presenza a Roma, con una partecipazione

ancora più convinta e numerosa di quella inizialmente

programmata anche perché arricchita da conferenze sul

tema dell’arteterapia e della funzione spirituale dell’arte.

Verranno proposti anche workshop con gli artisti per comunicare

ed integrare esperienze creative diverse e confrontarsi

sulle tecniche e sulle concezioni estetiche di varie parti

del mondo. Artidotum vuole essere un invito a non arrendersi

e a prepararsi al mondo che verrà. Prima o poi sarà

possibile di nuovo stare tutti insieme, organizzare mostre,

concerti, spettacoli, tornare al cinema, ma intanto è necessario

resistere e lavorare per prepararsi al cambiamento. Del

resto, l’arte ha sempre avuto un ruolo importante anche in

tempi difficili, mostrando una via d’uscita ed alleviando il dolore

delle persone. Anche adesso che viviamo confinati nelle

nostre case, l’arte può darci energia ed aiutarci a coltivare

la speranza in un futuro migliore. Nella storia dell’umanità ci

sono sempre state epidemie e il primo rimedio, non disponendo

del progresso scientifico e tecnologico moderno, era

il confinamento della popolazione. Non rimaneva altro che

aspettare inerti che tutto finisse. La popolazione era costretta

a rimanere diversi anni in isolamento, cercando un modo

per sopravvivere. Quando le pandemie

finalmente finivano, la gioia e la gratitudine

erano tali da motivare la realizzazione

di imponenti sculture ai santi

protettori delle città e l’edificazione di

cattedrali e chiese per onorare Dio. Alcune

tra le più straordinarie opere d’arte

di ogni tempo sono nate così. Oggi

a causa del Covid la nostra vita è cambiata

bruscamente e la frenesia della

vita quotidianità ha lasciato posto ai

ritmi lenti del passato. Non siamo più

abituati a questo modo di vivere e soprattutto

al silenzio delle città deserte.

Restando soli e chiusi nelle nostre

case da oltre un anno, con mille problemi da affrontare e

la speranza di ritornare alla vita di prima, siamo inevitabilmente

soggetti alla depressione. È un momento molto difficile

dal punto di vista psicologico specialmente perché non

si può socializzare. Per questo motivo la mostra Artidotum

oltre ad essere virtuale è anche interattiva: ogni settimana

artisti provenienti da diverse parti del mondo si incontrano

“live” sui social per parlare delle loro esperienze lavorative e

pianificare progetti futuri. Questo attribuisce un aspetto più

“umano” alla mostra virtuale, attraverso la quale è possibile

contattare gli artisti ed avere informazioni sia sulle opere

esposte che sull’asta online di arte moderna a cui Artidotum

è collegata e che si svolgerà nei prossimi mesi sulla piattaforma

per aste di oggetti di lusso Wondike. L’intento è ricordare

che dopo ogni temporale arriva un raggio di sole, dopo

ogni disastro la rinascita. Per tutto il periodo della pandemia,

la galleria virtuale dello Studio Artemisia sarà collegata

sia alla piattaforma Wondike che ad altre case d’asta in modo

che gli artisti, oltre ad esporre le proprie opere, potranno

anche essere contattati dai collezionisti. La sezione Arte

moderna della piattaforma Wondike punta soprattutto sulle

opere di artisti contemporanei, mostrando così di condividere

la stessa tendenza del Centro di Cultura Contemporanea

Strozzina di Firenze, dove la performance intitolata La ferita

dell’artista JR, oltre a denunciare il disagio di quanti operano

nella cultura in questo particolare momento storico, ha

dimostrato che nell’immediato futuro ci sarà sempre più interesse

per la produzione artistica del presente. In attesa di

poter realizzare la mostra Artidotum a Roma, in concomitanza

anche di un ciclo di conferenze sull’arteterapia tenute da

architetti e medici per spiegare come i colori e le geometrie

possano, all’interno di uno spazio architettonico, influenzare

il nostro umore e la nostra psiche, è interessante esplorare

l’esposizione virtuale e scoprire le opere dei vari artisti

seguendo le sale.

56

ARTIDOTUM 3D


Partendo dalla prima sala, l’attenzione è catturata dalle opere

dell’artista polacco Krzysztof Konopka che, con i suoi lavori,

dimostra come realtà e mondo interiore siano collegati

dal continuo dialogo fra conscio ed inconscio. Un dialogo

che quest’artista trasferisce sulla tela con pennellate dense

di colore successivamente graffiate, in modo da creare la vibrazione

cromatica degli strati dipinti sulla quale si fonda lo

stile da lui chiamato “Orapismo”. Proseguendo, s’incontrano

le opere dell’astrattista americana Stephanie Holznecht

che, con i suoi vortici dinamici, ci trascina in un universo fatto

di spazi coloristico-energetici, dove è possibile percepi-

re l’essenza dell’emozione estetica. In

questo modo, l’artista intende ricordarci

che bisogna apprezzare la vita per le

cose semplici e saper cogliere la bellezza

ovunque, anche nel riflesso della luce

sull’acqua, guardando al futuro con

ottimismo e fidandosi del naturale percorso

degli eventi, come suggerisce il titolo

dell’opera in mostra April showers

brings May flowers, cioè Dopo le piogge

di aprile arrivano i fiori di maggio. Alma

Sheik dipinge usando i colori della natura,

riprendendo le sfumature delle foglie d’autunno ed elaborando

rilassanti composizioni geometrico-floreali con le

quali comunica a chi guarda la bellezza dei tesori della terra.

L’artista inglese Susan Kerr alza lo sguardo verso il cielo

per trovare tra gli astri e le galassie l’origine dell’uomo

e la presenza di Dio. L’israeliana Michal Ashkenasi si avvale

di un’innovativa tecnica da lui definita “multifusion”, nella

quale unisce pittura, fotografia e arte digitale per creare

visioni di mondi sconosciuti e scrutare i paesaggi dell'anima.

Anche le opere astratto-materiche dell’artista novarese

Mariagrazia Zanetti conducono in un mondo sospeso tra re-

ARTIDOTUM 3D

57


altà e immaginazione e dominato dai colori dei quattro elementi

naturali. Maria Rita Vita, con la sua gioiosa astrazione,

unisce la vivacità coloristica del soggetto floreale alla narrazione

fiabesca. Osservando invece le composizioni dell’artista

lussemburghese Karin Monschauer si entra nel regno

dell’estetica che nasce dalla matematica e dall’arte del ricamo,

riunendo insieme le fantasie geometriche dell’antica

tessitura raqm e la rigorosa bellezza dell’ordine logico. La

seconda sala ospita le suggestive opere dell’artista polacco

Jerzy Komisaruk proveniente da Wroclaw, città multiculturale

per eccellenza e capitale della cultura europea nel 2017.

Le sue tele sorprendono per il particolare

gioco di luci ed ombre grazie al quale

riesce a generare un’aura di mistero

che ricorda alcuni grandi capolavori del

passato. Kim Oberoi, artista di origine

indiana da diversi anni residente a Dubai,

espone fantasiose tele con soggetto

floreale che invitano alla meditazione

e alla ricerca della dimensione spirituale.

L’artista inglese Michael Henry Ferrell,

prossimamente a Venezia per una

mostra personale, espone vedute di citta

d’arte, piazze e strade dove poter vivere

momenti di aggregazione. Questi

luoghi, trasferiti con maestria sulla tela,

ci ricordano quanto eravamo felici quando potevamo ancora

ritrovarci tutti insieme nel contesto cittadino. I paesaggi

con laghi e lagune dell’artista, decoratore e restauratore lombardo

Cesare Triaca ci guidano come un “soffio di vento” fra

le sue vele che navigano paesaggi incontaminati, dove poter

ammirare le bellezze naturali e trovare idealmente rifugio

negli antichi porticcioli baciati dalla luce del tramonto. L’artista

belga Christine Hilarius propone quadri astratti ispirati

alle vedute del mare e dei laghi, nei quali esprime l’essenza

del bello concentrandosi sui riflessi della luce sull’acqua

e sul movimento delle onde. Kinga Lapot Dzierwa, docente

58 ARTIDOTUM 3D


di Arte e Pedagogia all’Università di Cracovia, è presente in

mostra con paesaggi monocromatici che uniscono l’arte figurativa

a quella astratta prendendo ispirazione dai colori e

dalle atmosfere della campagna polacca. Passando al terzo

salone è possibile ammirare il mondo pieno di vitalità dell’artista

venezuelano Jorge Goncalves Romero, secondo il quale

attraverso il ballo è possibile connettersi con la natura e

l’energia del creato. Le tele di Costas Joachim, artista cipriota,

raccontano storie mitologiche di dee e regine rappresentate

in chiave moderna ma con riferimenti alle decorazioni

ellenistiche delle anfore antiche. Le opere di Oretta Rangoni

Machiavelli, discendente dalla famiglia di Niccolò Machiavelli,

mostrano colori e misteri dei fondali marini dominati da

pesci variopinti e preziose gemme. Con i dipinti dello svedese

Fredrik Olsen possiamo tuffarci “nel blu dipinto di blu”, attraversando

mari sconfinati e tempestosi e risalendo in alto

verso le nuvole, che si aprono su nuovi orizzonti. L’architetto

israeliano Uri De Beer, ospite diverse volte della Biennale di

Venezia, immagina il futuro dell’umanità su altri pianeti con

il progetto “Red City”, una città popolata di forme organiche

che secondo l'artista richiamano l'universo vivente. Il cinese

He Si’en, docente e vicerettore dell’Università di Chengdu e

vincitore nel 2017 a Firenze del Premio Fiorino d’Oro per la

Grafica, espone originali litografie che uniscono la moderna

tecnica della stampa digitale all’antica tradizione cinese. Il

suo progetto, intitolato Stone Landscapes, dimostra come la

bellezza si nasconda ovunque, anche in uno scorcio fatto di

sassi ed erba. Infine, le donne mascherate dell’artista inglese

Diana Archer colpiscono per la naturalezza delle figure e

la leggerezza del gesto pittorico.

La mostra Artidotum rimarrà visibile al pubblico fino al prossimo

13 di maggio e vedrà gli espositori partecipare all’asta di

arte contemporanea sulla piattaforma della casa d’aste milanese

Wondike. Per ricevere informazioni dettagliate sulla mostra

o per partecipare all’asta scrivere a: mbstudioarte@gmail.com

ARTIDOTUM 3D

59


Mauro Mari Maris

La forza “selvaggia” del colore

Paesaggio toscano, cm 50×70 (collezione privata M.P.)

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

+ 39 320 1750001


A cura di

Alessandra Cirri

L’avvocato

Risponde

La modifica delle condizioni

di separazione e divorzio

di Alessandra Cirri

Molti clienti si rivolgono al mio studio chiedendomi

se sia possibile modificare gli accordi raggiunti

in sede di separazione o di divorzio, o di quanto

disposto da una sentenza. Ebbene, il diritto di famiglia non

soggiace al principio giuridico rebus sic stantibus che si

applica in tutte le altre materie del diritto. Questo significa

che, una volta terminata la causa, emessa una sentenza

e decorsi i termini per l’impugnazione, tale sentenza non

può essere modificata. Il diritto di famiglia ha invece una

sua peculiarità, in quanto tratta di situazioni volte a continue

evoluzioni e mutamenti. Per tale motivo si può sempre

rivedere quanto pattuito in sede di separazione e di divorzio.

Le ragioni possono essere molteplici, tuttavia è necessario

ed indispensabile che il motivo rivesta il carattere di

“novità” e che sia “sopravvenuto” dopo l’emissione dell’omologa/sentenza

di separazione o di divorzio. Deve trattarsi

di una circostanza non conosciuta o non intervenuta al

momento in cui le parti si sono separate o divorziate, tale

da aver creato uno squilibrio tra i coniugi per le loro condizioni

economiche o per i rapporti con i figli. Si è già esposto,

nello scorso articolo, che i temi da affrontare nelle separazioni

e nei divorzi riguardano sempre: l’affidamento dei figli

minori; l’assegno quale contributo al mantenimento dei

figli; l’assegnazione della casa familiare ed eventualmente

l’assegno di mantenimento o divorzile per il coniuge più debole

e bisognoso. In tutti questi casi si possono verificare

fatti nuovi, basti pensare ad un coniuge che perda il lavoro,

vada in pensione con riduzione di redditi, presenti pa-

tologie, oppure ad un figlio che, collocato prevalentemente

presso un genitore, decida in seguito di andare a vivere con

l’altro genitore. E ancora: un coniuge che costituisca una

nuova famiglia o convivenza, oppure passi a nuove nozze; il

figlio che abbia raggiunto l’indipendenza economica perché

ha trovato un lavoro stabile tale da renderlo autonomo, e

così via. Le fattispecie possono essere le più varie, tuttavia,

una volta verificatesi, non comportano, in modo automatico,

la modifica di quanto è stato pattuito nella separazione

o nel divorzio. La persona che voglia modificare quanto

stabilito in sede di separazione o di divorzio, dovrà adire il

tribunale e instaurare un procedimento di volontaria giurisdizione

in Camera di Consiglio e richiedere le necessarie

modifiche (art. 710 c.p.c. o art. 9 L. 898/1970 modif. da L.

78/1987). Laddove entrambi gli ex coniugi siano concordi

nel modificare le condizioni della loro separazione o del divorzio,

possono proporre un ricorso congiunto al tribunale

competente, oppure ricorrere alla negoziazione assistita (L.

n. 132/2014, modif. L. 164/2014), con una procedura più

celere svolta con l’assistenza di due avvocati e sottoposta

al vaglio e al controllo del pubblico ministero. Con l’art. 4

della legge 08.02.2006 n. 54, le modifiche possono essere

richieste anche da genitori non coniugati in merito alla disciplina

dell’affidamento dei figli, del loro mantenimento o

collocamento, che erano state pattuite con il ricorso per affidamento

dei minori. In questa fattispecie, però, non è possibile

ricorre al procedimento più rapido della negoziazione

assistita, credo per una svista del legislatore.

Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università

di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione

di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto

di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista

dal 2006.

Studio legale Alessandra Cirri

Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze

+ 39 055 0164466

avvalecirri@gmail.com

alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it

SEPARAZIONE E DIVORZIO

61


Massimo Bruni

Collezionista di auto e

moto d’epoca dal 1990

Via della Casina 94 - 52043, Castiglion Fiorentino (FI)

Per informazioni su mezzi d'epoca contattare:

alfasei@hotmail.it

+39 338 7498684


A cura di

Aldo Fittante

La tutela

dell’ingegno

Il genio italiano cresce nonostante

la crisi pandemica

di Aldo Fittante

Gli italiani, popolo di poeti, artisti, navigatori e,

non ultimo, inventori. Volendo citare le invenzioni

italiane che hanno fatto la storia c’è solo

l’imbarazzo della scelta: dall’energia nucleare di Enrico

Fermi nel 1933 al telefono di Antonio Meucci nel

1871, dalla radio di Guglielmo Marconi nel 1896 alla

pila di Alessandro Volta nel 1799, dalla matita meccanica

Aurora nel 1924 al motore a scoppio di Eugenio

Barsanti e Felice Matteucci nel 1835, dalla Vespa

per Piaggio antenata dei moderni e diffusissimi scooter

di Corradino D’Ascanio nel 1946 al polipropilene

isolattico ovvero la più nota plastica di Eugenio Natta

nel 1954, dalla Moka di Luigi De Ponti per Bialetti nel

1933 al microchip di Federico Faggin nel 1971. L’elenco

potrebbe proseguire e potremmo citare molte altre

invenzioni e brevetti del nostro paese: quello che vogliamo

sottolineare è quanto sia innegabile che il genio

creativo italiano abbia davvero cambiato il mondo.

Del resto neppure l’acuirsi della crisi – non solo sanitaria ma

anche ed anzi sempre più socio-economica – determinata

dall’emergenza Coronavirus ha frenato il genio italiano. A dirlo

sono i dati ufficiali dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO).

Ed infatti nonostante la crisi economica ed il calo della fiducia

dei consumatori, durante la pandemia c’è stato un inaspettato

boom di brevetti italiani depositati presso l’Ufficio

Europeo dei Brevetti, dimostrando che l’eccellenza nella ricerca

ed innovazione che tradizionalmente contraddistingue

le imprese italiane resiste ed anzi può offrire una chiave per

uscire dalla crisi che la pandemia ha reso ancor più drammatica.

Dati alla mano, le domande di brevetti provenienti

dall’Italia presso il suddetto ufficio sono cresciute del 2,9%

su base annua nel 2020. In base all’indice europeo dei brevetti

– EPO Patent Index – ufficialmente pubblicato di recente,

il tasso di crescita è stato quasi il doppio rispetto all’anno

precedente (nel 2019 si era infatti registrato un + 1,5%). A

fronte delle circa 4600 domande di brevetto depositate all’E-

PO e riconducibili al nostro paese, il presidente dell’Ufficio

Europeo dei Brevetti Antonio Campinos ha significativamente

osservato: «Nonostante l’Italia sia uno dei paesi più colpiti

dalla pandemia, le aziende e gli inventori italiani sono

riusciti a depositare un numero record di domande di brevetto

nel 2020. Non è un’impresa da poco ed è una notizia incoraggiante

perché sappiamo che sono la ricerca e la scienza

che porteranno a un mondo più sostenibile e che l’innovazione

è il motore della ripresa economica». Il dato dell’aumento

delle domande di brevetto italiane è ancor più eclatante

se si considera che si colloca in controtendenza con quanto

avvenuto nel resto d’Europa: le richieste totali sono infatti

leggermente diminuite nel 2020, segnando una flessione

Una sala della Triennale di Milano, vero e proprio tempio del genio italiano

pari al – 0,7%. Le domande di brevetto giunte da tutti i paesi

del mondo all’Ufficio Europeo dei Brevetti hanno registrato

nell’anno del Covid-19, com’era prevedibile, una crescita

significativa soprattutto nel settore farmaceutico (+ 10,2%),

biotecnologia (+ 6,3%) e tecnologia medica (+ 2,6%). Quanto

all’Italia, nella crescita del 2,9% rispetto all’anno precedente,

nei brevetti richiesti all’EPO è sempre il settore dei trasporti

e della meccanica – in controtendenza rispetto agli altri paesi

– a fare da traino. Nella tecnologia medica gli italiani hanno

depositato il 6% di domande in più di brevetto rispetto al

2019, superando nettamente l’aumento medio complessivo

del 2,6%. La crescita più forte tra i principali settori tecnici si

è però registrata nelle domande di mobili/giochi (+ 6,1%) e di

prodotti farmaceutici, che sono aumentati del 22,4%. Nella

classifica delle imprese italiane che hanno depositato all’E-

PO più domande di brevetto si segnalano con ottantuno domande

il fornitore di macchine per il tabacco GD, seguito dal

produttore di cavi Prysmian (57) e da Pirelli (47), Chiesi Farmaceutici

(38), la società aerospaziale e di sicurezza Leonardo

(29), Ansaldo Energie (26), Freni Brembo (24), Istituto

Italiano di Tecnologia IIT (22), Telecom Italia (22) e Saipem

(21). La notizia dell’aumento delle domande italiane di brevetto

per invenzione ci consente di registrare una nota di ottimismo

in un quadro innegabilmente drammatico. L’Italia ha

dimostrato ancora una volta una grande capacità di reinventarsi.

L’augurio è che, una volta superata l’emergenza sanitaria

che tutti ci auguriamo di poter archiviare al più presto, si

possa far leva sulla propensione alla ricerca e all’innovazione

delle imprese italiane per rispondere velocemente ed efficacemente

anche alla grave situazione economica determinata

dalla pandemia.

GENIO ITALIANO

63


Il super tifoso

Viola

A cura di

Lucia Petraroli

Luciano Chiarugi

La Fiorentina ieri, oggi e domani nell’intervista ad uno dei più

imprevedibili e fantasiosi giocatori della storia viola

di Lucia Petraroli

Lo chiamavano “Cavallo Pazzo” per il suo estro calcistico.

Memorabili i suoi gol direttamente dal calcio

d’angolo. Per lui venne inventata addirittura la parola

“chiarugismo”, che sta a significare un’attitudine simulatoria

alla caduta. Gianni Brera scriveva di lui “lazzi da morituro”. È

stato un campione di classe cristallina Luciano Chiarugi, che

per vent’anni ha giocato da professionista, di cui sei nella Fiorentina

di Bruno Pesaola, dove ha vinto lo storico scudetto

del ’69. Anche dopo aver attaccato gli scarpini al chiodo, è

stata la Fiorentina a dargli l’opportunità di allenare, dai giovani

alla prima squadra, sempre col viola nel cuore.

Ti aspettavi le dimissioni di Prandelli e il ritorno di Iachini?

Si era già capito dalla partita contro il Benevento che qualcosa

non andava, poi ancora di più dopo il Milan. Dispiace per

Cesare e soprattutto per le ricostruzioni non veritiere. Ha avuto

l’onestà di ammettere il suo disagio in questa situazione.

Tutto fatto per il bene della Fiorentina. Va rispettato l’uomo

e la sua decisione, è un gesto nobile. Non so se le dinamiche

della società c’entrino qualcosa, ma credo avrebbero dovuto

stargli più vicino. Oggi un in bocca al lupo va a Iachini per

portare in salvo la squadra.

Come giudichi il momento in casa Fiorentina?

Bisogna stare coi piedi per terra, la classifica ancora non rispecchia

il valore di questa squadra. Abbiamo partite difficili

da disputare, speriamo che la Fiorentina possa farci vedere

buone cose come ha fatto

già in alcune partite.

Come valuta l’attacco viola?

Molto dipende dalle condizioni di Ribery, vero leader che sta

facendo tanto per questa squadra, e di Vlaovich per tirarci

fuori dalle situazioni difficili. Ma anche Eysseric sta facendo

bene, come la difesa con Caceres.

Commisso chiamato a delle scelte, panchina e direttore

sportivo, cosa si aspetta?

Noi abbiamo 10-11 difensori che sono tanti, bisogna sfoltire

questo gruppo e avere più scelta davanti. Sicuramente si

dovrà lavorare sul tecnico per capire se continuare insieme

oppuro no e bisognerà valutare la condizione di Ribery e soprattutto

il futuro di Vlaovich.

Come giudica la gestione Commisso?

Ha una grande voglia di fare ma va rivisto il lavoro dei suoi

stretti collaboratori. C’è una squadra che cambia poco il passo,

a centrocampo giocatori similari e pochi gol da parte dei

giocatori extra attacco.

D’accordo con Commisso sulla questione stadio?

Credo che in primis lui vorrebbe avere buoni risultati dal campo.

Per il resto bisogna stare attenti che il presidente non si

stanchi, la burocrazia italiana dovrebbe cercare di snellire i

percorsi per la realizzazione dei nuovi impianti.

Quali differenze tra questa e la sua Fiorentina?

Luciano Chiarugi in maglia viola

Salvezza sicura?

Dobbiamo ancora soffrire, incontrare

squadre difficili, la

classifica ci può dare ad oggi

una certa tranquillità, ma bisogna

guardare anche quello

che fanno le altre. Togliersi la

paura di dosso ed essere concentrati

è necessario per fare

sul campo partite positive.

Sono due squadre diverse, noi eravamo molto giovani, venivamo

da campionati di alti e bassi, ma avevamo fame, quella

che ci ha permesso di ottenere risultati, cosa che oggi

manca. Oggi i giocatori scendono in campo senza questa

spinta. La Fiorentina non può lottare ogni anno per queste

classifiche.

Il ricordo più bello in maglia viola?

Sicuramente l’esordio. Essendo da sempre un tifoso viola, indossare

la maglia era la mia massima ambizione. Grazie a

Chiappella, poi Pesaola ha plasmato tutto. E poi ancora il gol

scudetto a Torino che ci ha permesso di portare a casa quel

sogno. Vincere uno scudetto per la Fiorentina è una soddisfazione

in più.

64

LUCIANO CHIARUGI


A cura di

Manuela Ambrosini

Di-segni

astrologici

Ariete

Tenace e combattivo come un guerriero, sotto l’armatura

nasconde un cuore sensibile

di Manuela Ambrosini

Entri come la primavera, sbucando alla superficie con i

tuoi colori e con grinta, come un bucaneve che vuole

a tutti i costi affermare la vita, come un guerriero che

brandisce la spada per farsi avanti nella mischia. Senza mezze

misure, tu prendi fuoco all’istante, amico dell’Ariete, e chi non

può tenerti testa è vinto dalle fiamme della tua voglia di esserci,

comunque sia, qualunque sia il prezzo da pagare. A volte forse,

dopo la battaglia, ti chiedi se ne valeva la pena. Conosci il senso

di colpa e ti lambicca il cervello l’idea che avresti potuto aspettare

un momento prima di radere al suolo la città delle aspirazioni

dell’altro, ma non puoi farne a meno e, in fin dei conti, chi ti ama,

ti segua. Tu sei così, prendere o lasciare. Del resto, non hai appena

sfilato la tua spada dalla guaina per salvare un oppresso?

Conta poi tanto l’aver riempito di una distesa di cadaveri la piazza?

Ecco, diciamo che, con l’età e qualche amico/a della Bilancia

a fianco, potresti iniziare a contare fino a dieci prima della

strage, comunque, mi sento di dirti che: ne vale la pena. Perché

tu sei la spontaneità dell’innocenza fatta persona. Sei la sensibilità

che sotto l’armatura possono scorgere solo in pochi, e guai

a fartene parola, è la stessa di un giovane virgulto che si affaccia

alla vita in primavera. Quindi hai diritto al tuo posto al sole,

come tutti gli altri segni, anzi, per primo. Eh sì, perché sei tu,

amico caro, a dare inizio alla

ruota zodiacale e questo

ti conferisce una responsabilità.

Non spetta poi a

te portare avanti il carretto,

che ci pensi il Toro: tu sei

qui per sfondare la porta

della mancanza di opinioni

e sogni, sei qui per dimostrare,

nell’arco temporale

esistenziale, che la vita vincerà

sempre, sopra ogni

cosa. Anche quando la minaccia

più oscura rende il

cammino difficile, tu porti,

come un paladino della

Salvatore Sardisco, Ariete (2020), linearismo

continuo, biro su carta, cm 33x24 notte, le forze del giorno a

www.salvatoresardisco.art / + 39 335.5394664 raccontare la storia più an-

tica del mondo: i buoni e i cattivi che si mettono gli uni contro gli

altri, smarrendo gradualmente il confine di chi fa del bene e chi

fa del male, si trasformano in giustizieri da ambo i lati. Quanta

fatica stare nella verità senza sacrificare la compiacenza, la virtù

di piacere a tutti e in tutte le occasioni, prendendoti la licenza

di risultare egocentrico ed egoista. Ci vuole fegato e a te non

manca il coraggio. Possa la tua energia farsi strumento di benedizione

alla luce dell’amore universale.

Gianni Moramarco, Batman Pop Art, grafica e collage pop up 3D,

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Astrologa, professional counselor, facilitatrice in costellazioni

familiari, è fondatrice del metodo di crescita personale Oasi di

Luce e insegnante di Hatha Yoga. Vive e lavora a Monsummano

Terme, effettua incontri individuali di lettura del tema natale astrologico

e di counseling ed è insegnante del corso online di astrologia

umanistica Eroi di Luce.

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manuela.ambrosini@gmail.com

Solisjoy

Manuela coccole per l’anima

ARIETE

65


Toscana

a tavola

A cura di

Franco Tozzi

I fagioli

Un legume antico e prezioso arrivato in Europa dall’Africa e dall’America

di Franco Tozzi

La culla dei fagioli è l’Africa, poi da lì, in tempi remoti,

sono arrivati in Europa attraverso la Grecia. A

Sparta, ad esempio, erano usati crudi come antipasto.

Virgilio non li apprezzava ritenendoli “cibo da poveri”.

Il fagiolo più antico è quello “con l’occhio” – chiamato dorico

per la provenienza dalla Grecia – che veniva coltivato

a terra, mentre altri tipi venivano fatti crescere su pali

ed avevano, secondo quanto scrive Mattioli, medico e botanico

cinquecentesco, diverse colorazioni o erano “penticchiati”

in diversi colori. Con la scoperta dell’America, ed in

particolare dopo il viaggio di Colombo che approdò a Cuba,

arrivarono in Europa quelli che oggi chiamiamo “cannellini”,

all’epoca detti “fagioli di Spagna”; erano merce preziosa,

tant’è che figurano tra i regali di nozze per il matrimonio

del re di Francia e Caterina de’ Medici. In Toscana furono

portati da Papa Clemente VII, della famiglia Medici, che li

aveva avuti in dono dall’imperatore Carlo V. Un motivo rilevante

del loro successo gastronomico è stato anche il fatto

che la Chiesa, nei tempi antichi, con le sue oltre cinquanta

feste religiose, imponeva di mangiare di magro ed il fagiolo

era un valido sostituto a buon mercato della carne.

Da subito furono impiegati per zuppe e minestre: la più famosa

è la “messciua”, tipica zuppa spezzina fatta con vari

tipi di leguminose e cereali che fuoriuscivano dai sacchi

e che le donne andavano a raccogliere sui moli del porto.

Come molte altre piante alimentari, ogni zona ha selezionato

tipologie diverse di fagioli che oggi rischiano di scomparire.

Le varietà toscane più conosciute sono i cannellini

(tipici quelli di Sorano) ed i borlotti di

Maremma. Esistono poi altre qualità

meno commercializzabili come vari

tipi di bigiolo, la piattella pisana, il

rosso e lo scritto di Lucca, il giallorino,

il seme nero Marconi ed il notissimo

zolfino; abbiamo anche un IGP: il

sorano. La ricetta di un antico risotto

ha come base il fagiolo antico, quello

con l’occhio.

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

La ricetta: risotto ai fagioli con l’occhio

Ingredienti per 4 persone:

- 2,50 etti di fagioli con l’occhio

- 1,50 etti di riso vialone

- 1 ciuffo di cavolo nero

- scalogno

- carota

- sedano

- aglio

- 1 ciuffo di salvia

- 1 ciuffo di ramerino

- ½ bicchiere d’olio di oliva

- sale e pepe q.b.

La sera prima mettere i fagioli in ammollo, aggiungendo salvia

e ramerino. Il giorno dopo metterli a lessare; in una padella

soffriggere lo scalogno, la carota, il sedano e il cavolo

tagliato fine; verso fine cottura aggiungere l’aglio schiacciato

e togliere dal fuoco. Quando i fagioli sono cotti, passarne

la metà, rimettendoli poi nella pentola, con tutto il loro liquido

e far riprendere il bollore; aggiungere riso, sale e pepe. Se

il riso “tira” troppo, aggiungere acqua calda, con molta moderazione.

Servire il risotto con un filo d’olio ed una spruzzata

di pepe.

66

I FAGIOLI


A cura di

Paolo Bini

Arte del

Vino

Il gioco degli abbinamenti: primi di terra

di Paolo Bini

La manifesta italianità, seduti a tavola o

dietro ai fornelli, passa necessariamente

dalla pasta… chi può contestarlo? Il

piatto più rappresentativo del mangiare insieme,

dell’allegria e della fame incontrollabile, resiste

anche in epoca di macrobiotico, microproteico e

vegan continuando a simboleggiare lo spirito nazionale

delle cucine stellate, di quelle casalinghe,

dei ristoratori emigrati all’estero e dei locali lungo

lo stivale con le specialità regionali declinate

in infinite varianti sfiziose e succulente. In Toscana

è resistita la tradizione del “piatto povero”,

oggi fulcro del moderno rinascimento culinario,

grazie a ingredienti che non scardinano le tabelle

nutrizionali amate dai dietologi e la pasta, cibo

cardine della sana alimentazione, è ovunque protagonista sublimandosi

particolarmente nell’entroterra dove i condimenti

sono quei preparati tipici della vita contadina e di caccia. Se

vogliamo ben abbinare un vino a primi piatti di verdura e carne,

come le zuppe o le paste al sugo, occorre avere ben chiaro

cosa significa persistenza del gusto e intensità del sapore.

Una farinata al cavolo nero o una ribollita, si presenteranno

in bocca con aromi ben delineati e di buona ricchezza ma anche

se fossero impreziosite (come talvolta accade) da tocchi

di rigatino, non avranno mai la forza gustativa di un ragù di

selvaggina sulla pasta all’uovo che, in fase di abbinamento,

gradiscono un vino rosso di buona struttura senza però scomodare

i vini epici di lunghissimo invecchiamento. Gli amidi

del frumento danno poi una sensazione morbida che in bocca

pare quasi di dolcezza: più diventa percettibile e più il nostro

vino dovrà avere il fresco brio succoso della gioventù.

Ecco che, una volta valutata la struttura del piatto nonché il

vigore e la lunghezza dei suoi sapori, possiamo andare a scegliere

il corretto abbinamento con gli innumerevoli vini rossi

giovani e di medio corpo che, se proprio vogliamo essere

iper-patriottici, la nostra Toscana ci regala. Chianti, Vino Nobile,

Morellino sono alcune fra le DOCG più rappresentative

che citiamo giusto a mero esempio così come il marchio Toscana

IGP che raccoglie prodotti da ogni angolo regionale.

Toscana IGP Green Label, I Balzini

Rosso di Montalcino DOC, Capanna

È Toscana IGP anche il Green label I Balzini, vino che la nota

azienda di Barberino Tavarnelle (FI) produce con uve Sangiovese

e Mammolo. Il corpo contenuto, la gradevolezza e la

scorrevolezza al palato, dove freschissimi aromi di violetta e

rosa si uniscono a quelli di lampone e ciliegia, sono il miglior

viatico per l’accostamento ai pici all’aglione (che siano con

briciole o ragù) oppure al farro alla casentinese con pancetta.

Se la pasta diventa davvero sostanziosa e il condimento

generoso, ecco che un prodotto come il Rosso di Montalcino

DOC Capanna può fare al caso nostro. Sangiovese 100% con

passaggio in botte grande, il vino ha spessore di tutto rispetto

con una veste rubino lucente da cui escono profumi di frutti

rossi, mammola con tocchi vanigliati e, se giovane, ricordi

di arancia che in bocca sprizzano con piacevole acidità e una

lieve astringenza ideali per bilanciare la tendenza dolce della

pasta e l’untuosità del condimento. Da provare su tortelli

di patate al sugo di anatra o sulle pappardelle al cinghiale.

IL GIOCO DEGLI ABBINAMENTI

67


Eccellenze toscane

in Cina

A cura di

Michele Taccetti

TK Group Srl

Servizi finanziari per l’internazionalizzazione delle imprese

di Michele Taccetti

La TK Group Srl, nata nel 2006 con l’obiettivo di offrire

servizi di consulenza alle imprese attraverso il proprio

gruppo di esperti e un network presente in tutta Italia,

rappresenta l’evoluzione della Tikappa Srl costituita nel 1992.

Uno dei punti di forza del gruppo è senza dubbio l’area della finanza

alle imprese, ovvero il supporto e l’assistenza per la finanza

ordinaria e quella straordinaria, la finanza agevolata, il

leasing, il factoring e la garanzia fidi (www.tkcredigo.it). La società

svolge professionalmente il ruolo di “mediatore creditizio”,

attività che presuppone l’iscrizione in un apposito elenco

tenuto dall’OAM (Organismo degli Agenti e dei Mediatori) a cui

TK è ufficialmente iscritta e quindi accreditata con tutti i requisiti

previsti dalla legge (OAM M145). Il mediatore creditizio è

colui che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza,

banche o intermediari finanziari con la potenziale clientela

per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.

Forse non tutti sanno che svolgere l’attività di agente in un’attività

finanziaria o di mediatore creditizio senza essere iscritto

negli appositi elenchi è punito con la reclusione da 6 mesi

a 4 anni e con una multa da euro 2,065 a euro 10,329. Uno dei

servizi innovativi offerti da TK Group è quello legato alla consulenza

per l’internazionalizzazione delle imprese. Nel 2020 è

stato siglato un accordo di collaborazione con China 2000 Srl

per lo sviluppo dell’internazionalizzazione soprattutto verso la

Repubblica Popolare Cinese, dove China

2000 è stabilmente presente da anni,

ma anche verso altri paesi dove è presente

con i suoi partner. Il punto di forza

di questa collaborazione, già in corso

da tempo, risiede nel core business delle

due società: da un lato TK Group assiste

le imprese per l’accesso al credito e la ricerca di contributi

a fondo perduto o a tasso agevolato per le varie fasi dell’internazionalizzazione

e dall’altro China 2000 mette a disposizione

l’esperienza e la presenza ultradecennale sul mercato cinese.

Questa formula risulta essere vincente nei processi di internazionalizzazione

delle piccole e medie imprese che hanno necessità

di affrontare i mercati del futuro come la Cina, ma sono

prive di risorse umane specializzate e di cash flow. La ripartenza

post Covid necessita di programmazione e solide basi finanziarie

e TK Group, con la sua esperienza ed i suoi partner, è

dalla parte delle imprese per assisterle e guidarle nella ricerca

di strumenti finanziari e commerciali necessari al loro sviluppo

in Italia ed all’estero.

Tk Group Srl

Piazza L. Muratori, 3, 50134 - Firenze

www.tkgroup.it

Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il

Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici

Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di

marketing ed internazionalizzazione.

michele.taccetti@china2000.it

China 2000 srl

@Michele Taccetti

taccetti_dr_michele

Michele Taccetti

68

TK GROUP SRL


A cura di

Jacopo Chiostri

Consulenza

bancaria

I bonus per l’edilizia

Gianluca Bresci, direttore commerciale del Banco Fiorentino,

spiega perché sono un’opportunità da cogliere

di Jacopo Chiostri

Gianluca Bresci, direttore commerciale del Banco

Fiorentino, questi bonus edilizi sono davvero

un’opportunità?

Assolutamente sì, la volontà di riqualificare il patrimonio

immobiliare del paese questa volta si appoggia a misure

economiche concrete; noi consigliamo ai nostri clienti,

e non solo, di profittarne, di rivolgersi quindi a professionisti

qualificati per procedere. È un momento importante

per un salto di qualità su quel bene prezioso che è la casa,

e siamo lieti come sistema finanziario di poter fare la

nostra parte.

Quali sono le tipologie di interventi possibili, con quali agevolazioni?

Fino al 30 giugno 2022 è possibile sfruttare il bonus del

110% per i lavori in casa finalizzati al risparmio energetico

e all’adeguamento antisismico, a prescindere dalla data di

stipula del contratto e dell’inizio dei lavori. Oltre all’aumento

della percentuale di detraibilità, rispetto alle agevolazioni

per riqualificazioni e ristrutturazioni, la novità più importante

è rappresentata dal meccanismo dello sconto in fattura,

accanto alla possibilità di cessione del credito d’imposta alla

banca. L’obiettivo è consentire alle famiglie di effettuare

lavori in casa a costo zero, attraverso due possibili procedure:

anticipo del costo dei lavori, con una successiva cessione

del credito d’imposta alla banca; oppure, si cede il

credito d’imposta all’impresa che realizza i lavori che, a sua

volta, potrà utilizzare la

somma in compensazione

per il pagamento delle imposte

o cederlo a sua volta

senza limiti, e anche alle

banche. Rimane, comunque,

la possibilità di usufruire

dell’ecobonus e del

sismabonus in detrazione

fiscale, con la dichiarazione

dei redditi, per cinque

anni. Da ricordare poi che

sono state prorogate al Gianluca Bresci, direttore commerciale

31/12/2021 le misure del del Banco Fiorentino

cd “bonus ristrutturazioni”

e “bonus facciate” al 90%. Da sottolineare che la possibilità

di cedere il credito a intermediari finanziari consentirà

anche ai soggetti fiscalmente incapienti di adire ai benefici

dei bonus.

Ci sono costi per la cessione del credito alla banca?

L’unico costo previsto per la cessione è la percentuale di

sconto finanziario applicato sul credito e dipendente dalla

durata del medesimo. Ad esempio, la cessione di un credito

relativo al superbonus consente, in linea di massima, di recuperare

nell’immediato l’intero costo dei lavori. La procedura

di cessione è molto semplice, prevede la possibilità di

avere certezza del prezzo e dell’acquisto anche prima dell’inizio

dei lavori. Peraltro, nel caso

in cui non ci sia necessità di finanziamento,

la banca non si avvale di

nessun asseveratore esterno e richiede

un set documentale molto

snello. I tempi di liquidazione

del credito variano a seconda dei

casi e dipendono essenzialmente

dall’attività di riconoscimento del

credito da parte dell’Agenzia delle

Entrate; si va comunque da un minimo

di 5/6 giorni nel caso di credito

già presente nel cassetto fiscale

del cliente, ad un massimo di 4/5

giorni nel caso in cui il credito sia

da comunicare ex novo.

BONUS PER L’EDILIZIA

69


Percorsi trekking

in Toscana

A cura di

Julia Ciardi

Le Parole d’Oro

Un magico sentiero sul versante lucchese del Monte Pisano

Testo e foto di Julia Ciardi

Su consiglio di una cara amica che mi ha raccontato di

aver fatto il percorso detto “Le Parole d’Oro”, ho voluto

anch’io visitare questo luogo dal nome così particolare

che si trova a due passi dall’acquedotto monumentale di

Guamo, visibile dall’autostrada Firenze-Mare A11. Visto che si

è da poco festeggiata la Giornata Mondiale dell’Acqua – il 22

marzo –, è importante ricordare, proprio attraverso questa maestosa

costruzione, il grande valore di questa risorsa naturale

così preziosa e insostituibile. Quello dell’approvvigionamento

idrico è un problema molto sentito a livello globale; per questo

il World Water Development Report (WWDR 2021) raccomanda

un equo utilizzo dell’acqua. Se passando dall’autostrada siete

sempre rimasti affascinati dalle arcate di questo imponente

acquedotto, dopo aver letto l’articolo pianificherete una mezza

giornata da dedicare alla scoperta di questa opera ingegneristica

e del percorso ad essa correlato. Per prima cosa, va

detto che si chiama acquedotto del Nottolini perché prende il

nome dal regio architetto lucchese che lo progettò nel 1822 su

commissione della duchessa di Lucca Maria Luisa di Borbone.

Eretto nei pressi di Guamo, in località San Quirico (LU), è un capolavoro

ingegneristico in stile romano ma di epoca neoclassica.

Da Guamo si può parcheggiare la macchina in una corte

dove c’è un abitato e dei parcheggi non residenziali. Ma anche

se venite in treno o in autobus, non vi preoccupate: c’è un percorso

che comincia proprio fuori dalla stazione ferroviaria di

Lucca. Partendo dall’acquedotto ad alte arcate a tutto sesto

troviamo un’indicazione del CAI che ci indirizza verso destra,

davanti al Tempietto di San Concordio, costruito su un tumulo

di una collina dalla quale si possono

osservare le montagne lucchesi ancora

innevate. Secondo il progetto di

Lorenzo Nottolini, l’acqua, prelevata

da circa diciotto fonti purissime

della Serra Vespaiata, del Rio San

Quirico e del Rio della Valle, veniva

convogliata in questo tempietto-cisterna

a pianta circolare e in stile neoclassico.

Ma riprendiamo il nostro

percorso, che può avere diverse caratteristiche:

può essere intenso,

cominciando dalle mura di Lucca oppure,

se parcheggiate sotto la chiesa

di San Quirico di Guamo, si può optare

per una passeggiata più rilassante

tra storia e natura alla ricerca di

freschezza e di gioielli nascosti che

portano in un luogo fuori dal tempo,

dove gustare i vostri picnic in compagnia

di amici a due e quattro zampe.

Il Tempietto di San Concordio

Il condotto lastricato parallelo al sentiero

70

LE PAROLE D’ORO


Superato il tempietto, si imbocca un sentiero

parallelo ad un condotto in lastricato lungo

il quale appaiono ogni tanto delle casette

(raccoglitori di fonti che drenano l’acqua). Dopo

non più di 2 km veniamo catapultati in un

mondo sperduto, nascosto dalle fronde degli

alberi. Si intravede fin da subito il Ponte dalle

Parole d’Oro, così definito dai contadini che

andavano a riempire le loro borracce d’acqua

a questa fonte. Si tratta, in realtà, di scritte in

ottone che, essendo scambiate per oro, sono

state spesso deturpate nel corso del tempo.

La scritta recita (qui riportiamo la traduzione):

Carlo I Ludovico di Borbone, duca nobilissimo

ed augusto, raccogliendo le acque da diverse

sorgenti e convogliandole con abbondanza

verso i ponti cittadini lasciò memoria eterna

del suo ducato. La spalla del ponte è permeata

da una cascata artificiale costruita in mattoni

che richiamano quelli utilizzati per quasi

tutta l’opera ingegneristica dell’acquedotto. Il

suono dell’acqua che sgorga consente di immergersi

in una dimensione bucolica. Oltre il grande prato che

accoglie i vostri picnic, la passeggiata prosegue rincorrendo la

scia serpentina che taglia a zig-zag la scoscesa montagna del

versante lucchese. L’immenso verde mantenuto in vita dall’acqua

pura ci fa strada in una salita tra mura che la contengono.

Sembra davvero di camminare in uno scenario quasi esotico

che conduce fino alle città di Livorno e Pisa, luoghi portuali che

L'acquedotto del Nottolini

sono stati protagonisti nel corso dei secoli degli incontri tra civiltà

e culture orientali. Che dire: una passeggiata davvero speciale,

con costruzioni uniche e un’attenzione all’ambiente che

anticipa la sensibilità ecologista dei nostri tempi.

Per informazioni sui percorsi:

@dearmoon.ju

In queste due foto il Ponte delle Parole d'Oro

LE PAROLE D’ORO

71


Aziende in

Toscana

L'arte di produrre vino

Ne parliamo con Mario Innocenzo Catambrone, titolare dell’azienda

agricola Podere Papèra

di Doretta Boretti

Nonostante la pandemia, la filiera

del vino continua la sua

corsa: nel primo trimestre del

2021, ipermercati, supermercati e libero

servizio hanno mosso 301,2 milioni

di euro di vino, per 80,8 milioni di litri,

con una crescita, confrontando lo

stesso periodo 2020 (pre-pandemia),

dell’8,4 in volume e 18,6 in valore (dati

GDO, IRI, Italia vino). Per questa intervista,

ci troviamo in un’azienda agricola

nel cuore del Chianti, in compagnia

dell’imprenditore Mario Innocenzo Catrambone,

al quale abbiamo chiesto

di spiegarci quanto lavoro richieda la

produzione di questo nettare prezioso,

soprattutto in un momento così complicato.

Quando è nata questa azienda?

Alla fine degli anni Settanta, io e mio

fratello acquistammo la proprietà che

era stata in parte abbandonata. Ci vollero

alcuni anni per far rinascere alberi,

viti e ulivi, ma a metà degli anni Ottanta

fummo pronti per aprire l’azienda agricola

Podere Papèra.

Sì, ci siamo occupati da subito della produzione del vino e

ad oggi abbiamo 4500 viti e produciamo circa una cinquantina

di quintali di vino Chianti Classico per una cantina con cui

siamo associati.

Mario Innocenzo Catrambone, titolare dell’azienda agricola Podere Papèra

Vi siete occupati da subito di produ-

zione vinicola? Quanto vino producete e con che quantità

di viti?

in inverno, deve essere potata e legata, e se nella filiera alcuni

pali sono stati danneggiati, vanno sostituiti. In primavera

la pianta va concimata e la terra intorno va lavorata.

Ad aprile la pianta inizia a germogliare: questi germogli,

crescendo, producono tralci che, oltre alle foglie, hanno

il grappolino d’uva. Ci sono anche tralci che non producono

uva.

Questo lungo periodo di crisi pandemica ha influito negativamente

anche sulla vostra attività?

No, non ci ha colpito più di tanto. Fortunatamente il lavoro è

andato avanti ugualmente.

Quanto lavoro richiedono le viti per arrivare alla nascita

dell’uva?

La barbatella è la pianta della vite che ha un anno. La vite

inizia a produrre dopo il terzo anno. La pianta, ogni anno,

Dopo la raccolta dell’uva quali sono i passaggi per arrivare

alla produzione del vino?

L’uva viene portata in cantina e versata nella sgramolatrice

che espelle il raspo e manda l’acino insieme al liquido

nella botte (il mosto). Una volta nella botte, il mosto, inizia

la fase di bollitura che dura circa quindici giorni. Durante

la fermentazione viene tolto il liquido dalla botte dal

basso e reinserito nella botte dall’alto, solo i primi giorni,

fino a ottenere il colore voluto. Resta nella botte per perdere

tutto il suo grado zuccherino. Quando ha perso il gra-

72

PODERE PAPÈRA


In questa e nella foto sotto le vigne

do zuccherino viene tolto dalla botte, filtrato e trasferito

in una nuova botte nella quale riposa per circa due mesi.

Nel primo mese viene analizzato il colore, il profumo,

il grado alcolico e l’acidità e vengono effettuati, se necessari,

piccoli interventi di correzione. A dicembre viene trasferito

in una nuova botte, rianalizzato e lasciato maturare

per quattro mesi, ma può essere imbottigliato soltanto dopo

diciotto mesi. Per questo lavoro occorrono costanza,

passione e dedizione, e non ci sono stagioni né feste comandate.

A volte anche il riposo è un lusso, ma la realizzazione

di un prodotto che confermi la qualità del vino

italiano continua a colmarmi di gioia.

PODERE PAPÈRA

73


Arte del

gusto

A cura di

Elena Maria Petrini

La Mortadella di Prato IGP, un’eccellenza

made in Toscana

di Elena Maria Petrini / Foto Gino Carosella e Maurizio Mattei

L’antica Arte dei Beccai, una delle arti minori

dei macellai, si sviluppò in epoca medievale

nella zona di Prato, grazie all’esistenza

di un fitto sistema di gore, riconducibili alle opere

di bonifica di epoca romana, che nel tempo hanno

assolto molteplici funzioni di fondamentale importanza

sia per la diffusione di opifici idraulici denominati

“gualchiere” (dove la lana lavorata e trattata

produceva i cosiddetti “pannilana” esportati già nel

Trecento in tutta Europa), sia per l’utilizzo come forza

motrice per i mulini; quindi condizione ideale per

lo sviluppo dell'attività di macellazione che necessitava

di molta acqua anche per mantenere un buon

livello di igiene. Dalla lavorazione delle carni tutti

i materiali meno pregiati venivano impiegati sin

dall’epoca rinascimentale per la preparazione di un

salume tipico della zona: la Mortadella di Prato. Un

prodotto di nicchia che era quasi scomparso e riscoperto

dopo la seconda guerra mondiale. Riconosciuto

come presidio Slow Food nel 2000, dal 2016

ha ottenuto il riconoscimento del marchio IGP. La

zona di produzione è nel comune di Prato e, in provincia

di Pistoia, nei comuni di Agliana, Montale e

Quarrata. Oggi questo tipico salume toscano viene

preparato con carni di prima scelta solo da cinque

macellerie-salumifici – Fratelli Conti, RO.MA., Mannori,

Marini e Tradizione Salumi – che fanno parte

dell’Associazione per la tutela della Mortadella di

Prato IGP, il cui compito è salvaguardarne la produzione

secondo la tradizione. L’ingrediente che caratterizza

questo tipico salume toscano, oltre alla

varietà di spezie che vengono aggiunte all’impasto,

è proprio l’alchermes.

La ricetta di questo antico

liquore risale al 1743,

anche se veniva preparato

a Firenze già nel XV

secolo ed era molto apprezzato

dalla famiglia

Medici. Di bassa gradazione

alcolica, tra i suoi

ingredienti troviamo cannella,

cardamomo, chiodi

di garofano e molti

altri, ma soprattutto la

cocciniglia ricavata dal

carapace di un insetto,

essiccato e triturato, che

Firenze, Orsanmichele, tondo dell’Arte dei Beccai

Palazzo dell’Arte dei Beccai a Firenze, oggi sede dell’Accademia delle Arti del Disegno

La macellazione dei suini (Taccuino Sanitatis Casanatense)

74

MORTADELLA DI PRATO


(ph.courtesy vetrina.toscana.it)

gli conferisce la tipica colorazione

rossa. Il disciplinare di produzione

consente il solo utilizzo

dell’alchermes prodotto dall’Officina

profumo-farmaceutica di

Santa Maria Novella a Firenze

(appartenente all’omonimo complesso

religioso e ritenuta la farmacia

più antica d’Europa) e

dall’Opificio Nunquam di Prato.

Il suo nome deriva dal termine

arabo “al-qirmiz”, che significa

sia “cremisi” sia “cocciniglia”.

Proprio nei giorni scorsi è stata

designata la nuova presidente

dell’ Associazione per la tutela

della Mortadella di Prato IGP,

Sue Ellen Mannori, che ha sostituito

lo storico predecessore

Carlo Conti.

L’interno dell’Officina profumo - farmaceutica di Santa Maria Novella a Firenze dove viene prodotto l’alchermes usato per la Mortadella di Prato

MORTADELLA DI PRATO

75


B&B Hotels

Italia

Il piano di sviluppo internazionale di B&B Hotels

di Chiara Mariani

B&B Hotels, gruppo internazionale con oltre 550

strutture tra Europa e Brasile, prosegue l’ambizioso

progetto di sviluppo in Europa e su scala globale

rafforzando anche la propria posizione finanziaria con la

ricapitalizzazione dell’assetto societario di 180 milioni di

euro, di cui 100 milioni di debito bancario e 80 milioni in incremento

di capitale sociale. Questa somma consentirà al

gruppo di proseguire con le acquisizioni di immobili e costruzioni

di nuovi hotel nel corso dei prossimi 5/10 anni.

Nonostante l’attuale situazione sanitaria abbia rallentato

gli spostamenti in tutto il mondo, il gruppo B&B Hotels è

fermamente convinto ....possibili: per questo motivo punta

ad essere presente in tutte le destinazioni nelle quali i propri

clienti desidereranno andare. Tra le nuove acquisizioni

del gruppo, si segnala quella conclusasi in Germania della

catena LetoMotel, con l’ingresso di quattro strutture in

portfolio dal 1° marzo: B&B Hotel München-Moosach, B&B

Hotel München-Trudering, B&B Hotel München – Olympiapark

e B&B Hotel Nürnberg City – Süd. Il B&B Hotel Augsburg

– West è attualmente in costruzione e la sua apertura

è prevista a giugno di quest’anno. Con questa acquisizione,

il portafoglio di B&B Hotels vanta attualmente 142 hotel

presenti in 91 città tedesche. Il gruppo si avvicina sempre

più all’obiettivo di espandere il proprio network con il raggiungimento

di 300 hotel in Germania entro il 2030. In totale,

quest’anno sono previste non meno di 70 aperture nel

mondo, di cui diverse previste entro l’estate. «Vorrei ringraziare

i nostri investitori e azionisti – in modo particolare

il nostro principale azionista Goldman Sachs – che hanno

prontamente risposto alla nostra richiesta di incrementare

il capitale. Ciò dimostra che il settore dell’hôtellerie ha un

futuro brillante davanti a sé, nonostante sia stato duramente

colpito dalla crisi sanitaria» afferma Fabrice Collet, presidente

e CEO di B&B Hotels Group, che ha aggiunto: «In B&B

Hotels siamo fermamente convinti che, una volta passata la

crisi, tutti avranno un solo desiderio: viaggiare. Qualunque

sia il motivo, che si tratti di far visita ai parenti, per affari o

semplicemente per un break di piacere, i viaggiatori avranno

bisogno di una sistemazione e B&B Hotels sarà lì, pronta

ad accoglierli ai più elevati standard qualitativi e di igiene,

con protocolli certificati per ogni paese». La crescita si riconferma

costante anche nella nostra penisola, dove B&B

Hotels Italia ha recentemente aperto il B&B Hotel Cortina

Passo Tre Croci, approdando in una destinazione esclusiva

finora presidiata prevalentemente da hotel di lusso e family

hotel e portando una nuova idea di accoglienza, che prevede

comfort e servizi smart per soggiorni in totale sicurezza,

prenotabili al miglior prezzo solo su hotelbb.com, in linea

con la filosofia del gruppo: Only For Everyone. «La strategia

di sviluppo rimane una priorità per B&B Hotels Italia anche

nel 2021 e prevede una pipeline con oltre 10 nuove aperture

nell’anno in città già presidiate e in nuove destinazioni.

In un momento storico complesso continuiamo a investire

sull’Italia e sul turismo, riconfermando la fiducia accordataci

dai nostri investitori e azionisti, e l’apertura del B&B

Hotel Cortina Passo Tre Croci ne è la prova», ha dichiarato

Valerio Duchini, presidente e amministratore delegato di

B&B Hotels Italia.

Valerio Duchini, presidente e amministratore delegato

di B&B Hotels Italia

B&B Hotel Genova

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B&B HOTEL


B&B Hotels Group:

#onlyforeveryone: è questa la promessa

di B&B Hotels da più di

trent’anni. Acquisita dalla società

d’investimento Goldman Sachs

Merchant Banking nel luglio 2019,

il gruppo B&B Hotels è la catena alberghiera

internazionale di segmento

low budget più importante e in

più rapida crescita in Europa. Che

cosa fa la differenza? L’innovazione

costante per il benessere dei

propri clienti e la qualità nell’accoglienza

che ci rendono orgogliosi.

Oggi presente in 12 paesi con più di

550 hotel (47.000 camere), B&B Hotels

ha enormi ambizioni di crescita

e attualmente apre, in media, un

nuovo hotel a settimana. Nel 2020,

B&B Hotels ha ottenuto certificazioni

indipendenti per la gestione dei

rischi sanitari, garantendo il rispetto

di un rigido protocollo sanitario

al fine di accogliere i propri clienti

in assoluta sicurezza (Socotec per

la Francia, Belgio e Svizzera, B.C.O

Consulting per l’Italia, Applus+ in

Spagna e Portogallo, SafeGuard by

Bureau Veritas in Brasile e SYTN-

LAB per la Germania).

In questa e nella foto sotto, il B&B Hotel Cortina Passo Tre Croci

B&B HOTEL

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Benessere e cura

della persona

A cura di

Antonio Pieri

#diamociunamano

L’iniziativa di Idea Toscana a supporto degli artigiani

di Antonio Pieri

Per nostra natura, cerchiamo sempre di essere positivi

e di vedere il lato positivo in ogni cosa. Se guardiamo

alla situazione che stiamo vivendo di lati positivi

ce ne sono ben pochi, ma se andiamo a fondo, una cosa che

questa situazione ci ha insegnato è quella di aiutare gli altri

e cercare di guardare oltre la nostra prospettiva. Con lo stesso

spirito di solidarietà che da sempre ci contraddistingue

abbiamo dato vita all’iniziativa #diamociunamano destinata

agli artigiani del nostro territorio.

Un’eccellenza unica

Come tutti sapete, l’artigianato fiorentino (e toscano in generale)

è un patrimonio unico al mondo. Gli artigiani sono conosciuti

ovunque per la bravura e qualità degli articoli che

realizzano solamente con l’utilizzo delle loro sapienti mani.

Allo stesso tempo questa brutta situazione ha colpito duramente

il settore del turismo e di riflesso tutti gli artigiani che

lavoravano anche grazie ad esso.

Le loro mani: un bene da salvaguardare

Essendo profondamente legati al territorio fiorentino e toscano,

ci siamo chiesti come potessimo aiutare in qualche modo. Ci

siamo resi conto che nessuno si è mai preoccupato di prendersi

cura delle mani dei nostri artigiani. Grazie a quelle mani siamo

famosi in tutto il mondo, grazie a quelle mani i loro meravigliosi

prodotti sono conosciuti e apprezzati ovunque. Quindi noi, che

siamo specialisti della cosmetica naturale e biologica, abbiamo

deciso di prenderci cura delle loro mani e salvaguardarle affinché

possano continuare a esportare bellezza in tutto il mondo.

#diamociunamano

Abbiamo così creato l’iniziativa #diamociunamano. Qualsiasi

artigiano può recarsi nel nostro punto vendita a Firenze

in Borgo Ognissanti 2 e ritirare come omaggio la nostra

Crema Nutritiva Mani e Unghie della linea Prima Spremitura.

Grazie alla sua formulazione completamente naturale

con olio extravergine di oliva toscano IGP biologico, aiuta

a prevenire la secchezza cutanea, mantenendo a lungo la

pelle delle mani morbida e compatta. In cambio ogni artigiano

dovrà scattare una foto nel suo laboratorio con la nostra

crema mani, postarla sui propri canali social taggando

@idea_toscana e @idea_toscana_firenze: così noi potremo

condividerla per farci pubblicità a vicenda.

Sei un artigiano? Allora #diamociunamano!

- passa nel nostro punto vendita a Firenze in Borgo Ognissanti 2

- ritira come omaggio la nostra Crema Nutritiva Mani e Unghie Prima Spremitura con olio extravergine d’oliva toscano IGP biologico

- fai una foto con la crema mani nel tuo laboratorio, condividila sui tuoi canali social e tagga @idea_toscana e @idea_toscana_firenze

- noi la ricondivideremo sui nostri canali facendo pubblicità anche a te!

Ti aspettiamo nel nostro punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a Firenze: #diamociunamano!

Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl

e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,

ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

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#DIAMOCIUNAMANO


Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere

CON OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA TOSCANO “IGP” BIOLOGICO

IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |

Tel. 055.7606635 |info@ideatoscana.it | www.ideatoscana.it


Una banca coi piedi

per terra, la tua.

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