You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
La Toscana nuova - Anno 4 - Numero 4 - Aprile 2021 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
a cura di Marco Gabbuggiani
Silenti eroine del quotidiano
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Questa pandemia ci ha permesso di scoprire eroi dei quali
non si parla. Un po’ come le persone che fanno beneficenza
senza sbandierarlo ai quattro venti: comportamenti
encomiabili di cui non si vantano e dei quali nessuno saprà
mai nulla. Anche i miei eroi non appaiono sui giornali
e nessuno gli dedica servizi o trasmissioni. Sono eroi che
non sanno neppure di esserlo, perché il loro amore è infinito
e quello che fanno rientra nella loro normalità. Anche
quando vengono nominati fugacemente dai media, lo fanno
sempre associandoli ai loro figli e ai problemi di questi
“cuccioli” di uomo allontanati improvvisamente dai compagni
di scuola, dallo sport, dagli amici, dalle feste, da
nonni, cugini e parenti. Questi eroi, o meglio, queste eroine
altro non sono che le mamme. Joseph Campbell, saggista
e storico delle religioni, ebbe a dire: «Un eroe è un
normale essere umano che fa la migliore delle cose nella
peggiore delle circostanze». E le mamme, nella drammatica
circostanza della pandemia, seppure preoccupate
come i loro compagni e mariti per il futuro e per il lavoro
e dovendo districarsi con un bilancio familiare sempre più
difficile da far quadrare, si improvvisano giullari, amiche,
insegnanti, clown, confidenti, consolatrici, cuoche provette,
disegnatrici, costruttrici di giochi, scrittrici di canzoni
e mogli sorridenti, spesso sacrificando il proprio lavoro e
talvolta sopprimendo il desiderio di un litigio col partner
pur di non creare tensioni in questo stravolgimento della
vita quotidiana troppo duro e troppo lungo per i loro amati
“cuccioli”. Non voglio togliere nulla ai miei colleghi maschi,
ma anche noi, in molti casi, siamo stati consolati da
“mogli/compagne/mamme” che, nonostante problemi e
ansie, spesso si sforzano di nascondere il loro disagio pur
di mantenere quel sorriso e quell’aspetto felice tanto caro
ai figli già duramente provati. E mentre medici e infermieri
rischiano la vita per salvarci e curarci, le nostre eroine salvano
le menti del nostro futuro. Nell’ombra, come già fanno
ormai da oltre un anno.
marco.gabbuggiani@gmail.com
Da oltre trent'anni una
realtà per l'auto in Toscana
www.faldimotors.it
APRILE 2021
I QUADRI del mese
7
8
10
11
12
15
16
17
18
19
20
21
22
24
27
28
30
33
34
36
38
40
42
43
46
49
50
51
52
53
55
56
61
63
64
65
66
67
68
69
70
72
74
76
78
Il Parco di Pinocchio fra arte e paesaggio
George Tatge, il fotografo dei non-luoghi
Dora Maar, un’artista vissuta all’ombra di Picasso
Dante Alighieri e le arti visive in una mostra a Forlì
Intervista a Danilo Fusi, maestro della figurazione toscana
La pittura di Milvio Sodi “di metamorfosi in metamorfosi”
Alessandro Dari: l’arte del gioiello tra filosofia e spiritualità
Curiosità storiche fiorentine: lo Scoppio del Carro
Dimensione salute: tutelarsi dal contagio del virus in auto
Psicologia oggi: il volto oscuro della rabbia
I consigli dell’osteopata: le possibili cause della cervicalgia
I consigli del nutrizionista: perché usare poco sale
Il docufilm di Lorenzo Borghini sulle vittime della strada
Fabio Vettori, lo scultore che fa “vivere” il metallo
Il romanzo giallo “anticonvenzionale” di Stefano Cirri
Augusto Novelli e Nando Vitali, alfieri della comicità in Toscana
Andrea Alfani, l’ultimo dei pittori romantici
I dieci anni della casa editrice di Luca Vitali
Le vibranti espressioni cromatiche di Marino Brogi
Il “new deal” del Club Ferraristi Toscani
Ucio Matticchio, il fabbro dei vip
Il commercio etico del Movimento Life Beyond Tourism
Antichità via dei Fossi, arte e antiquariato a Firenze
Clara Mallegni, un’artista in “perpetuo volo”
Francesco Bandini: percorsi visivi sulle tracce della storia
Orrore e rinascita dopo il Covid nel libro di Stefania Maffei
Tiziano Terzani: la vita sempre in viaggio di un grande fiorentino
Intervista ad Andrea Vignozzi, consulente di arte moderna
Concerto in salotto: Giuseppe Verdi, il genio di Busseto
Paola Beretta, una pittrice attenta al sociale e al femminile
Storia delle religioni: commento all’Enciclica di Papa Francesco
Artidotum, la mostra virtuale contro gli effetti della pandemia
L’avvocato risponde: modificare le condizioni di separazione e divorzio
La tutela dell’ingegno: l’impennata del genio italiano nel 2020
La Fiorentina ieri, oggi e domani secondo Luciano Chiarugi
Di-segni astrologici: Ariete, un guerriero dal cuore sensibile
Toscana a tavola: i fagioli, un legume antico e prezioso
Arte del vino: il gioco degli abbinamenti con i primi di terra
TK Group: servizi finanziari per le imprese all’estero
Consulenza bancaria: i bonus per l’edilizia, un’opportunità da cogliere
Percorsi trekking in Toscana: alla scoperta de “Le Parole d’Oro”
L’arte di produrre vino nell’intervista a Mario Innocenzo Catambrone
Arte del gusto: Mortadella di Prato IGP, un’eccellenza made in Toscana
Il piano di sviluppo internazionale di B&B Hotels
L’iniziativa di Idea Toscana a supporto degli artigiani
Roberta Caprai, Il paradiso nascosto, ovvero Via di Giramonte,
Firenze (2021), olio su tela, cm 50x60
Franco Carletti, Influencer - Il mondo ci guarda (2021),
olio su tela, cm 40x50
francocarletti54@gmail.com
In copertina:
Claudio Cargiolli, Alla ricerca del Graal (2020), olio su tela e tavola, cm 45x35
Per gentile concessione della Florence Art Gallery www.florenceartgallery.com
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze
Tel. 333 3196324
lanuovatoscanaedizioni@gmail.com
lanuovatoscanaedizioni@pec.it
Registrazione Tribunale di Firenze
n. 6072 del 12-01-2018
Iscriz. Roc. n. 30907 del 30-01-2018
Partita Iva: 06720070488
Codice Fiscale: BRGFRZ47C29D612I
Anno 4 - Numero 4 - Aprile 2021
Poste Italiane SpA
Spedizione in Abbonamento Postale D.L.
353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n, 46)
art.1 comma 1 C1/FI/0074
Direttore responsabile:
Daniela Pronestì
direzionelatoscananuova@gmail.com
Capo redattore:
Maria Grazia Dainelli
redazionelatoscananuova@gmail.com
Grafica e impaginazione:
Viola Petri
Distribuzione:
Media Servizi srl
via Lombarda, 72 - Località Comeana
59015 - Carmignano (PO)
tel. 055 8716830
www.mediaservizi.net
Abbonamenti e Marketing:
Diletta Biagiotti
abbonamenti.latoscananuova@gmail.com
Stampa:
Nova ArtiGrafiche srl
Via Cavalcanti 9/d - 50058 Signa (Fi)
tel. 055 8734952
Facebook e Instagram:
La Toscana nuova -
Periodico di attualità, arte
e cultura
www.latoscananuova.it
Testi:
Manuela Ambrosini
Luciano Artusi
Ricciardo Artusi
Rosanna Bari
Ugo Barlozzetti
Laura Belli
Paolo Bini
Margherita Blonska Ciardi
Doretta Boretti
Fabrizio Borghini
Erika Bresci
Viktorija Carkina
Jacopo Chiostri
Silvia Ciani
Julia Ciardi
Alessandra Cirri
Nicola Crisci
Maria Grazia Dainelli
Aldo Fittante
Giuseppe Fricelli
Marco Gabbuggiani
Serena Gelli
Stefano Grifoni
Chiara Mariani
Stefano Masini
Elisabetta Mereu
Emanuela Muriana
Luigi Nepi
Daniela Parisi
Lucia Petraroli
Elena Maria Petrini
Antonio Pieri
Daniela Pronestì
Roberto Rampone
Barbara Santoro
Michele Taccetti
Franco Tozzi
Foto:
Rosanna Bari
Leonardo Brogioni
Gino Carosella
Julia Ciardi
Maria Grazia Dainelli
Marco Gabbuggiani
Simoni Lapini (ADV photo)
Dora Maar
Maurizio Mattei
Carlo Midollini
Silvano Silvia
George Tatge
4
All’interno di questo numero:
Quinta puntata
di
“Giuliacarla Cecchi.
Firenze e la moda.
Un affresco del Novecento”.
Urna Semper
Corsi di pittura
giuriscART
ATELIER
di
Giuseppe RIZZO SCHETTINO
via di Peretola, 45 - 50145 Firenze
www.giuriscart.it - giuseppers@gmail.com
055 0500106 - 338 8577794
Acquerello - Olio - Acrilico - Incisione
Corsi base ed Avanzato
la superficie del salone dove si svolgono i corsi consente il massimo del
distanziamento ed è dotato di adeguati presidi di prevenzione anticovid.
A cura di
Ugo Barlozzetti
Percorsi d’arte
in Toscana
Il Parco di Pinocchio fra arte e paesaggio
di Ugo Barlozzetti / foto courtesy Parco Monumentale Pinocchio
Venturino Venturi, Mangiafuoco, particolare della Piazzetta dei Mosaici
Emilio Greco, Pinocchio e la Fatina (1956), bronzo, Collodi, Parco monumentale di Pinocchio
Il Parco di Pinocchio a Collodi è un giardino urbano
antologico nato dall’idea del professore
Rolando Anzilotti, sindaco di Pescia, nel 1951,
per commemorare Carlo Lorenzini che aveva usato
come pseudonimo il nome del paese – Collodi
– rendendolo famoso in tutto il mondo. Doveva essere
un monumento che permettesse a bambini e
adulti di rivivere per episodi la narrazione della vicenda
di Pinocchio in una cornice capace di rievocarne
l’atmosfera fiabesca. «Il Parco di Pinocchio,
luogo-monumento e parco ambientale ante litteram
– ha scritto Claudia Maria Bucelli, esperta in Architettura
dei giardini – conobbe contesto, identità
locale e densità storica quali fondamenta portanti
la propria creazione. (…) Esteso luogo-percorso
in veste di giardino ai margini dell’abitato, profon-
damente radicato e in connessione ideologica alla stratificazione
dei luoghi, ai paesaggi narrati nella fiaba e a quelli nei
secoli costruiti dall’attività antropica, nonché paesaggio evocativo
dell’immaginazione di ogni fruitore, il Parco di Pinocchio
nacque infatti circondato e strettamente correlato alla
trama antica del paesaggio agrario e a insediamenti e monumenti
storici». Nel 1953, per il settantesimo anniversario
della pubblicazione di Pinocchio, su iniziativa sempre dell’Anzilotti,
venne indetto un concorso nazionale per la realizzazione
di un monumento al burattino. Il concorso prevedeva
l’abbinamento di architetti e scultori. Tra i centosessantacinque
progetti, esaminati da una commissione composta dal
pittore Gentilini, dagli scultori Griselli e Manzù, dallo storico
dell’arte Enzo Carli e dall’architetto Giovanni Michelucci, risultarono
vincitori ex aequo il gruppo statuario Pinocchio e
la Fatina di Emilio Greco e la Piazzetta dei Mosaici, progettata
dagli architetti Renato Baldi e Lionello De Luigi e realizzata
poi dallo scultore Venturino Venturi. Una prima parte
venne inaugurata da Piero Bargellini il 14 aprile 1956 alla presenza
di Giovanni Gronchi, su un terreno modellato dagli architetti
in cui furono collocate, nella folta e accurata texture
vegetale, le opere realizzate dai due artisti vincitori ex aequo.
Di particolare importanza la Piazzetta dei Mosaici che impegnò
Venturi per tre anni. Lo spazio dedicato è cinto da un
muro sagomato con la faccia interna coperta da 900 mq di
superficie musiva, e un ponte sarebbe stato un trait d’union
con l’adiacente giardino della settecentesca Villa Garzoni. Il
centro della piazza prevedeva un Pinocchio alto cinque metri
in funzione di meridiana, la cui ombra – a rappresentare
la mutevolezza della creatura di Lorenzini, variando di ora in
ora e di giorno in giorno – sarebbe diventata uno straordinario
segnalibro, in relazione con la storia di Pinocchio narrata
sulle pareti del mosaico. La decisione della giuria impedì di
fatto un progetto che avrebbe anticipato, per la geniale intuizione
dei suoi autori, temi che sarebbero diventati anni dopo
centrali per la riflessione di architetti e paesaggisti, ossia
la stretta correlazione tra paesaggio, opera costruita
e realtà umana. Nel 1972 fu completata
una seconda parte, Il Paese dei Balocchi, progettata
dagli architetti Pietro Porcinai, per la scenografia
ambientale, e Marco Zanuso, autore delle
strutture edificate con Augusto “Bobo” Piccoli e
costellata da ventuno sculture realizzate da Pietro
Consagra con lastre metalliche. Alla zona verde
dal 1963 si era aggiunta L’Osteria del Gambero
Rosso (che ospita l’omonimo ristorante), opera di
Giovanni Michelucci. Nel 1986 fu aggiunto Il laboratorio
delle parole e delle figure in seguito rinominato
Laboratorio del Fare e del Dire da uno
schizzo di Giovanni Michelucci, spazio realizzato
nel 1988 dall’architetto Carlo Anzilotti, dove vengono
organizzate mostre sulle illustrazioni per
l’infanzia e laboratori didattici.
IL PARCO DI PINOCCHIO
7
I grandi della
Fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
George Tatge
Il fotografo dei non-luoghi e delle atmosfere metafisiche
di Maria Grazia Dainelli / foto George Tatge
Ènato ad Istanbul, ha studiato negli Stati Uniti e ha
girato diverse città italiane prima di stabilirsi a Firenze.
Questi continui spostamenti quanto hanno
influenzato il suo occhio fotografico?
Sono nato ad Istanbul, da qui mi sono trasferito a Beirut, Londra,
Tripoli, New York e poi Washington. Finita la parentesi
americana mi sono trasferito in Italia, prima a Roma, poi a Todi
e in ultimo Firenze. I miei spostamenti in giro per il mondo
mi hanno reso adattabile a qualsiasi situazione. La fotografia
ha bisogno di persone flessibili che sappiano accontentare i
committenti. Ho imparato soprattutto che per fare fotografia
non è necessario andare lontano, si può rimanere anche intorno
alla propria casa. La fotografia vive di casualità, ma la
fortuna premia chi s’impegna nella ricerca.
Come si è convertito al colore dopo un lungo feeling col
bianco e nero?
Ho lavorato tutta la vita con il colore, ma mai per le “cose
mie”. La prima volta è accaduta per puro caso nel 2011 al
rientro da un viaggio a Parigi in compagnia di mia madre.
Eravamo stati a visitare la mostra di Odilon Redon, pittore e
incisore francese considerato il maggior rappresentate del
simbolismo in pittura. In questa occasione scoprii che Redon
aveva iniziato a dipingere a colori all’età di sessant’anni
dopo aver realizzato per gran parte della sua vita litografie
in bianco e nero. Al mio rientro in Italia comprai una scatola
di pellicole a colori e rimasi folgorato da questo nuovo modo
di vedere, scoperto per caso.
George Tatge (ph. Carlo Midollini)
La mostra del 2020 a Pistoia Il colore del caso proponeva,
tra l’altro, fotografie con montagne di stracci in contesti
industriali. Quale messaggio voleva trasmettere?
Quella mostra comprendeva scatti realizzati nell’arco di 7 o
8 anni e non era legata ad un tema preciso. È stato il caso a
portarmi in uno dei tanti magazzini di Prato dove c’erano cumuli
di stracci. Ogni stanza mi trasmetteva qualche cosa di
diverso per il colore e per la luce; la mia visione delle
maglie accatastate fu terrificante perché mi rimandava
alla tragicità delle immagini di Auschwitz. Ho
inviato queste foto ad una mostra sulla Shoah dove
sono state molto apprezzate.
La lentezza meditativa delle sue immagini si deve
all’utilizzo della fedele Deardorff?
Sono sempre stato meticoloso nel modo di fotografare
anche quando scattavo con la Nikon, sarà perché nutro
una vera e propria ossessione per i dettagli. Nel passag-
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
www.universofoto.it
Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
Tre cumuli di cenci (2013)
8
GEORGE TATGE
Come mai le interessano i luoghi ai margini della città?
Fotografi importanti come Josef Sudek che fotografava il suo
giardino, insegnano che non c’è bisogno di andare in luoghi
esotici per scattare eccellenti fotografie. Anche la Convenzione
europea del paesaggio presentata a Firenze nel 2000
ha stabilito che tutto il paesaggio ha valore, e quindi non solo
il centro storico e i parchi ma anche la periferia che personalmente
trovo molto affascinante.
Quanto conta la cultura nelle sue fotografie?
Scoglio della regina (Livorno, 2019)
gio al banco ottico, mi spaventava l’idea di vedere l’immagine rovesciata
sul vetro smerigliato. Solo dopo essermi innamorato di
questo processo creativo, ho iniziato ad organizzare l’immagine
in modo diverso, valorizzandone la struttura, la composizione e
gli spazi e trovando in questo grande soddisfazione.
Spazi e volumi c'erano già nei suoi primi lavori?
I miei primi interessi nella fotografia riguardavano il ritratto; l’idea
di immortalare il paesaggio e l’architettura è venuta molto
più tardi. Oggi, affascinato dall’idea di tornare al ritratto, dopo
il bagaglio di esperienza maturato con il banco ottico, ho iniziato
a rappresentare il volto in maniera diversa dal passato,
posizionando il cavalletto al mio fianco e cercando di far uscire
l’anima della persona che ho davanti. Il prossimo ottobre
a Todi aprirà una mostra di ritratti scattati tra il 1974 e 1987
quando vivevo là, con una serie di nuovi ritratti. Un modo di vedere
i cambiamenti avvenuti in questi anni.
Ringrazio i miei genitori che mi hanno trasmesso l’amore
per tutte le arti e che mi hanno fatto apprezzare il valore della
cultura. La sensibilità si forgia nell’incontro con le parole
di uno scrittore, l’opera di un pittore, l’ascolto della musica.
Sono momenti di solitudine necessari nella formazione
di un artista.
Dal 1986 al 2003 è stato dirigente tecnico-fotografico della
Fratelli Alinari: cosa le ha lasciato questa esperienza?
Sono stati sedici anni affascinanti di dedizione totale a questo
archivio di livello mondiale che racchiude immagini impressionati.
I primi anni ho organizzato mostre, ho visitato
musei e ville, ho avuto contatti con grandi fotografi, poi sono
partite le campagne fotografiche in giro per l’Italia. La
mia più grande frustrazione è quella di non aver avuto il
tempo di esplorare a fondo gli archivi di questa straordinaria
collezione, alcuni dei quali ancora oggi non sono stati
mai aperti. Spero che la Regione Toscana riesca a valorizzare
al meglio questo patrimonio storico e culturale di enorme
importanza.
Perché l'uomo è assente nelle sue foto?
L’uomo c’è in tutte le mie immagini, ma non fisicamente. Gli
spazi urbani e l’architettura hanno una loro presenza e dignità.
Inserire persone ti spinge anche involontariamente a datare la
foto e quindi perdi quel senso di eternità delle architetture. Se
non ci sono altre persone nell’inquadratura l’invito ad entrare
nell’immagine con i tuoi occhi e la tua mente è più forte.
Che ruolo ha la metafisica per lei?
La parola metafisica indica qualcosa che va oltre l’apparenza
fisica delle cose. Le mie fotografie sono metafisiche proprio
perché vogliono catturare ciò che sta dietro la realtà oggettiva.
Ho dedicato anche un libro a questo tema. L’anno scorso,
in occasione di una mostra a Livorno, ho immortalato alcune
piazze di questa città dove ho provato la stessa strana
sensazione che de Chirico ha provato in Piazza Santa Croce
a Firenze quando ha dipinto il celebre quadro L’enigma di un
pomeriggio d’autunno. Un’esperienza che ha cambiato la vita
del grande artista, segnando l’inizio di un nuovo periodo della
sua pittura. Anche io come lui cerco il mistero nascosto dietro
le cose, il loro volto metafisico.
Piscina e mare (Livorno, 2010)
GEORGE TATGE
9
Spunti di critica
Fotografica
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Dora Maar
Amante e musa di Picasso, è stata una delle più talentuose fotografe
d’avanguardia del Novecento
di Nicola Crisci / foto Dora Maar
Henriette Theodora Marković, meglio nota come
Dora Maar, nasce a Parigi nel 1907 da padre
croato e madre francese; trasferitasi a Buenos
Aires, vi trascorre tutta l’infanzia, prima di tornare a Parigi
per studiare arte e fotografia. Lavora come fotografa
in ambito pubblicitario ed editoriale, con un approccio
molto personale. Negli anni Trenta apre uno studio fotografico
con Pierre Kéfer al 29 di rue d’Astorg nella capitale
francese, dove realizza servizi fotografici di moda e
nudi con le più famose modelle dell’epoca. In questi anni
si dedica anche alla fotografia di strada, catturando
attimi di vita di migliaia di persone ai margini della società:
mendicanti, vagabondi, disperati e madri sole con
figli piccoli diventano protagonisti di immagini surreali e
piene di umanità. Sperimentatrice instancabile, esplora
strade artistiche alternative come la fotografia cinematografica.
Il suo scatto più sorprendente ed originale s’intitola
Monstre sur la plage (Mostro sulla spiaggia) e fa parte della
serie di fotomontaggi da lei creati per raccontare le ansie provocate
dal clima politico di quegli anni e dalla minaccia di guerra.
Verso la fine del 1935 viene assunta come fotografa di scena per
il film Le crime de Monsieur Lange di Jean Renoir. La sua brillante
carriera subisce un arresto quando, nel 1936, incontra Picasso
e ha inizio la loro relazione. Affascinato dall’enigmatica bellezza
di Dora, che era stata ritratta anche da Man Ray in una delle
sue celebri solarizzazioni, Picasso ne fa la sua amante e musa
ispiratrice di molti suoi capolavori come il famoso dipinto Donna
piangente. Un appellativo che alla lunga finisce per identificare la
figura della Maar, facendola passare per una donna fragile e bi-
Dora Maar fotografata da Man Ray nel 1936
sognosa di essere salvata. «Io non sono stata l’amante di Picasso,
lui era soltanto il mio padrone» era solita affermare. E infatti
il loro è stato un rapporto tormentato e morboso, che l’ha portata
ad abbandonare la fotografia e a subire l’influenza del grande
maestro spagnolo. Dopo la fine della relazione avvenuta a
causa dell’infedeltà di Picasso, Dora è consumata dalla depressione
e viene per questo ricoverata in manicomio, dove subisce
trattamenti violenti, incluso l’elettroshock. Trascorre il resto della
propria vita da sola, senza mai smettere di dedicarsi all’arte e
in particolare alla pittura. Muore a Parigi il 16 luglio del 1997. Il
Centre Pompidou l’ha celebrata nel 2019 con una grande retrospettiva
che ne racconta le straordinarie doti artistiche.
Assia e la sua ombra, sua sorella nera
Doppio ritratto con cappello
10
DORA MAAR
Mostre in
Italia
Oltre trecento opere a Forlì per celebrare il
rapporto tra Dante Alighieri e le arti visive
Realizzata in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi, la mostra si aprirà il
prossimo 1° aprile ai Musei di San Domenico
di Barbara Santoro
In occasione del settimo centenario della morte del sommo
poeta, i Musei di San Domenico a Forlì ospiteranno,
dall’1 aprile all’11 luglio 2021, la mostra Dante / La visione
dell’arte che illustrerà la figura del padre della Divina Commedia
e della lingua italiana attraverso un percorso espositivo
ricchissimo, con opere dal Medioevo al Novecento: tra queste,
creazioni di Giotto, Beato Angelico, Filippino Lippi, Michelangelo,
Tintoretto, fino ad arrivare a Sartorio, Boccioni,
Casorati e altri maestri della modernità. Circa cinquanta
opere, tra dipinti, sculture e disegni arriveranno dalle Gallerie
degli Uffizi: un corpus di disegni a tema di Michelangelo
e dello Zuccari, i celebri ritratti del poeta di Andrea del
Castagno e di Cristofano dell’Altissimo e poi l’Ottocento
con Pio Fedi, Nicola Monti, Giuseppe Sabatelli e Raffaello
Sorbi e il capolavoro di Vogel von Volgestein Episodi della
Divina Commedia. Prestiti arriveranno inoltre dall’Ermitage
di San Pietroburgo, dalla National Gallery di Sofia, dalla
Walker Art di Liverpool, dalla Staatliche Kunstsammlungen
di Dresda, dai musei di Toledo, Nancy, Tour e Anger, dalla
Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dalla Galleria
Borghese, dai Musei Vaticani, dal Museo di Capodimonte
e da innumerevoli altri musei italiani e stranieri. Frutto di
un robusto sodalizio tra i Musei di San Domenico e le Gallerie
degli Uffizi, l’esposizione non è solo un’occasione per
dare corpo all’anniversario dantesco: nel momento diffici-
Cristofano dell'Altissimo, Ritratto di Dante Alighieri (1552-1568), olio su tavola, cm 60x44, Firenze,
Gallerie degli Uffizi, Collezione Gioviana
le che il mondo intero sta vivendo, questa mostra vuole essere
un simbolo di riscatto e di rinascita del nostro paese e
più in generale del mondo dell’arte e della cultura. Il progetto
nasce da un’idea di Eike Schmidt, direttore delle Gallerie
degli Uffizi, e di Gianfranco Brunelli, direttore delle grandi
mostre della Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì. Curatori
della mostra sono Antonio Paolucci e Fernando Mazzocca,
coadiuvati da un prestigioso comitato scientifico.
La scelta di Forlì come scenario dell’esposizione è parte
di una strategia di valorizzazione di un luogo e di un territorio
che non costituisce solo un ponte naturale tra Toscana
ed Emilia Romagna, ma è anche una città dantesca. A
Forlì Dante trovò rifugio, lasciata Arezzo, nell’autunno del
1302, presso gli Ordelaffi, signori ghibellini della città. E
sempre a Forlì fece ritorno, occasionalmente, anche in seguito.
Per la prima volta, l’intimo rapporto tra Dante e l’arte
viene interamente analizzato e ricostruito presentando gli
artisti che si sono cimentati nella grande sfida di rendere in
immagini la potenza visionaria delle sue opere ed in particolare
della Divina Commedia, oppure che hanno affrontato
tematiche simili a quelle dantesche, oppure ancora che
hanno tratto da lui episodi o personaggi singoli, sganciandoli
dall’intera vicenda e facendoli vivere autonomamente.
Attraverso un percorso antologico, l’esposizione condurrà
il visitatore alla scoperta della crescente leggenda di Dante
nei secoli. La fortuna critica del poeta verrà
mostrata attraverso le prime edizioni della
Commedia e alcuni dei più importanti codici
miniati del XIV e XV secolo. Apposite sezioni
saranno dedicate alla sua fama nella stagione
rinascimentale, alla riscoperta neoclassica e
preromantica del suo genio, alle interpretazioni
romantiche e novecentesche della sua opera ed
eredità. Altre sezioni riguarderanno l’ampia e
fortunata ritrattistica dedicata all’Alighieri nella
storia dell’arte, il tema del rapporto tra Dante
e la cultura classica, e la figura di Beatrice,
che il poeta eleva ad emblema del rinnovamento
dell’arte. Protagonisti della mostra saranno
anche le molteplici raffigurazioni che alcuni tra
i più grandi artisti hanno offerto nel corso della
storia della narrazione dantesca del Giudizio
universale, dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.
Il percorso si concluderà con capolavori
ispirati, nella loro composizione, al XXXIII canto
del Paradiso.
DANTE ALIGHIERI
11
Incontri con
l’arte
A cura di
Viktorija Carkina
Danilo Fusi
Intervista ad uno dei massimi rappresentanti della figurazione
toscana contemporanea
di Viktorija Carkina
Èstato nella cerchia dei pittori che formarono il
gruppo Come pittura, attivo presso la Galleria Inquadrature
di Marcello Innocenti. Cosa ricorda di
questo gruppo artistico e degli inizi della sua carriera?
È stata una fortuna aver conosciuto Innocenti. Secondo
me aveva una delle gallerie più importanti d’Italia. Ci hanno
esposto tanti artisti emergenti all’epoca come Alinari e
Bueno. Anche per me gli anni alla Galleria Inquadrature furono
un avvio straordinario del mio percorso con un gallerista
veramente fantastico. Grazie ad Innocenti ho iniziato
ad esporre in gallerie importanti in varie città italiane. Nonostante
ciò, all’inizio la strada è stata lunga e difficile. Piano
piano ho iniziato ad esporre in luoghi di grande prestigio
come Palazzo Strozzi, Palazzo Vecchio, Forte di Belvedere,
Palazzo Medici Riccardi, cominciando ad apparire nelle riviste
accanto a nomi altisonanti come Mario Schifano. Mi
ricordo che quando sono entrato a far parte del gruppo Come
pittura avevo all’incirca trent’anni, ma nonostante questo
le persone mi definivano “il giovane Fusi”. È diventato
una specie di soprannome e anche i giornalisti nei loro articoli
sulle riviste scrivevano “il giovanissimo Fusi”. Hanno
continuato a chiamarmi così anche quando avevo compiuto
ormai cinquant’anni.
Qual è stata la mostra più bella della sua vita?
Danilo Fusi, copia da El Greco, San Bartolomeo (1610), olio su tela, El Greco
Museum, Toledo
Quella inaugurata il 16 settembre del 1988 a Palazzo Strozzi.
Si intitolava Il Museo dei Musei ed era stata organizzata da
Littauer & Littauer, sulla base di un’idea di Jean Baudrillard,
Umberto Eco e Federico Zeri. Per la mostra i curatori invitarono
diversi artisti chiedendogli di realizzare le copie di grandi
capolavori storici. Uno degli artisti convocati ero io. Dipinsi
San Bartolomeo di Domenico Theotokopoulos detto El Greco.
La realizzazione del quadro durò ben sessantaquattro giorni
e fu molto apprezzata da Federico Zeri che disse che per
lui era il quadro più bello della mostra. L’esposizione riscosse
un discreto successo arrivando anche all’estero, come per
esempio in Giappone.
www.florenceartgallery.com
Bacio (2014), olio su tela, cm 80x80
12
DANILO FUSI
L’abbraccio (2019), olio su tela, cm 100x180 C’era una volta in Far West (2017), olio su tela, cm 80x80 Giovane con frutta (2017), olio su tela, cm 100x80
Ha fatto studi accademici?
No, ho studiato pittura da autodidatta. Secondo me gli allievi
di un’accademia diventano spesso seguaci dei loro professori,
rischiando così di perdere lo stile che caratterizza la loro
individualità.
Ha sempre saputo di voler dedicare la vita all’arte?
Sempre, ho disegnato fin da piccolo. Ovviamente, la pittura
non è diventata fin da subito la mia professione. Inizialmente
mi guadagnavo da vivere facendo il pellettiere. Però ho sempre
sognato di fare dell’arte il mio lavoro.
Com’erano i suoi primi disegni?
Fin dall’inizio ho capito che il mio genere pittorico preferito
era il ritratto, per questo motivo mi sono dedicato alla
rappresentazione dei volti umani. Sono opere che esigono
una lunga preparazione, ma non è l’esecuzione a richiede
tanto tempo, quanto la riflessione. Ragiono per giorni sugli
accostamenti fra i colori e sull’armonia della composizione
del quadro.
Come capisce che un quadro è compiuto?
In realtà, nel mio caso, non è quasi mai compiuto. Mi piace
lasciare i quadri non finiti, con il disegno a matita che
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r
50134 Firenze
si intravede. Preferisco che sia lo spettatore a completarli
col potere della fantasia. Secondo me le opere non devono
essere definite perché l’arte non è oggettiva. Ognuno
può vedere in un’opera ciò che sente e capirla a modo proprio.
L’arte deve suscitare non soltanto emozioni, ma anche
dubbi e riflessioni. Per questo motivo preferisco evitare di
dare titoli precisi alle mie opere e preferisco sempre i soggetti
astratti.
Protagoniste dei suoi quadri di solito sono le figure umane:
sono tratte dalla realtà o provengono dalla sua fantasia?
Per i miei ritratti mi ispiro ai volti delle persone reali che mi
fanno da modelli, ma non potrei dire che sono ritratti fedeli
alla realtà al cento per cento. Sono tratti dalla realtà ma
poi rielaborati dalla mia mente, perciò c’è sempre una grande
parte della mia interpretazione.
Quali sono stati gli artisti che l’hanno maggiormente ispirato
ad intraprendere la strada dell’arte?
Apprezzo molti generi e correnti, a partire dai fondi oro,
passando per l’arte rinascimentale e barocca e concludendo
con l’arte contemporanea. La Pop Art italiana mi
era molto vicina. La produzione di Franco Angeli, Schifano
e altri esponenti del gruppo romano mi stava molto a
cuore. Io stesso ho sperimentato a volte la Pop Art nelle
mie opere. Infatti, diversi miei dipinti recano figure classiche
ispirate ai corpi manieristici di Pontormo con accanto
lattine di Coca Cola. Ho fatto anche tanti omaggi a Caravaggio.
Un altro pittore che stimo, e che era anche un
mio caro amico, è Vinicio Berti con il quale abbiamo fatto
diversi scambi artistici perché la stima era reciproca.
Mi ricordo di aver passato tanto tempo con lui a riflettere
sull’essenza e sulla predestinazione dell’arte. Per noi era
molto importante creare opere che rappresentassero il nostro
tempo.
DANILO FUSI
13
A cura di
Daniela Pronestì
Occhio
critico
Milvio Sodi
Un iter pittorico “di metamoforsi
in metamorfosi”
di Daniela Pronestì
«
Ecco che si riannoda il filo che dalla prima monografia
di Milvio Sodi, Le strade di un tempo (1988), è
passato per la successiva di Percezioni (1998) ai
Paesaggi interiori (2013) e si arricchisce ed aggiorna all’oggi Di
metamorfosi in metamorfosi». Così la storica e critica d’arte Roberta
Fiorini esordisce nel testo introduttivo all’ultimo catalogo
di Milvio Sodi, cogliendo fin da subito il fil rouge che accomuna
tutta l’opera dell’artista, ovvero il continuo divenire di stati interiori
e visioni che dal colore e dal dato reale volgono all’ineffabile.
«Avendo avuto la fortuna di seguirlo in tutto questo arco di tempo
– prosegue Roberta Fiorini –, mi accorgo che se in sequenza
cronologica proponessimo d’apertura le sue prime “mareggiate”
e di ultimissima attualità le sue interiorizzazioni, di questi anni
Duemila si produrrebbe una lettura lineare, certo, ma anche riduttiva
e banalizzante, del suo iter espressivo, dalla realtà all’immaginario.
Mentre il suo fare sfugge a questa regola e piuttosto
segue libero un suo andamento sinuoso che persino nei ritorni è
sempre un nuovo viaggio. Non solo in termini di rivelazione figurale
perché la forma non scompare mai definitivamente, semmai
ciò che sempre permea le sue immagini – oggi fondate su nuove
fantastiche valenze cromatiche – è la sottesa suggestione di
una possibile ed ambivalente lettura e si potrebbero definire, citando
i titoli dei suoi fondamentali cicli tematici, come “percezioni”
di inattese “metamorfosi” di “paesaggi interiori”». Di notevole
interesse anche la nota critica in catalogo della storica dell’arte
Giovanna Lazzi, che ben evidenzia sia la continuità tematica sia
gli elementi di novità presenti negli ultimi lavori (2019/2020), con
particolare attenzione agli effetti cromatici e luministici: «Eterne
protagoniste delle composizioni di Milvio Sodi, le rocce dominano
la scena ormai incontrastate. Le figure che nelle esperienze
degli anni passati si affrancavano dalla pesantezza dei massi
sono scomparse, schiacciate e annientate. Affiorano talvolta accennati
abbozzi di corpi evanescenti, appena distinguibili dalle
masse incombenti, ma sembrano quasi ricordi, rimembranze del
passato, tracce che escono quasi inconsapevolmente dalla mano,
in obbedienza ad una abitudine inveterata. (...) Queste ultime
rocce hanno acquistato una tavolozza particolare, a volte violenta
e quasi brutale a volte addolcita e morbida, ora più che mai
hanno bisogno di un elemento fondamentale per la loro stessa
esistenza: la luce. È questa la componente che più colpisce in
questa ultima produzione, questa ulteriore metamorfosi. Luce è
anche una delle parole ricorrenti nei titoli delle opere, assieme
al suo contrario ombra ed è una luce materiale ma riflesso di
una chiarificazione interiore. È davvero un cammino che si è protratto
in tanti anni, con fatica, a prezzo di dolori e anche di gioie
e guizzi dell’animo». Se metamorfosi significa “trasformazione”,
nell’opera di Sodi questa mutazione avviene quindi senza stravolgere
i temi fondanti della sua pittura, ma al contrario indagandone
ancora di più le ragioni profonde, in un percorso artistico ed
esistenziale allo stesso tempo. «Questa analisi di sé, forse nean-
Le sagome del sogno (2010), olio su tela, cm 70x50
Conformazioni (2012), olio su tela, cm 35x35
che sempre lucidamente percepita – continua Giovanna Lazzi –,
magari sperimentata nell’intimo senza gridi assordanti, fuoriesce
ora in queste ultime rocce. Momenti di turbamento, forse di
profondo dolore accendono tonalità fosche e violente che sembrano
altrove placarsi in una visione rasserenata, come un’accettazione
della vita, in una tavolozza più dolce e sfumata, con
morbidezze struggenti. Siamo di fronte ad un momento in cui si
continua in qualche modo a sperimentare ma forse con la sensazione
di star esprimendo delle conquiste acquisite».
MILVIO SODI
15
Botteghe artistiche
in Toscana
A cura di
Rosanna Bari
Alessandro Dari
L’arte del gioiello tra filosofia e spiritualità
di Rosanna Bari / foto Rosanna Bari e
courtesy Alessandro Dari
“
Diventare parte preziosa di un processo alchemico”
è ciò che comunemente suscita indossare
una creazione del maestro Alessandro
Dari. Orafo, scultore e musicista fiorentino, discendente di
un’antica famiglia di artisti del 1630, animato da una grande
passione per l’arte, che minuziosamente interpreta nelle
sue molteplici sfaccettature, traducendo le antiche tecniche
orafe, da quelle etrusche a quelle rinascimentali, in un nuovo
linguaggio tra realtà e alchimia. Le sue opere più rappresentative
sono esposte al Museo degli Argenti in Palazzo Pitti
e al Museo della Cattedrale di Fiesole. Vincitore del premio
Perseo nell’ambito della manifestazione Artigianato e Palazzo
2003. Nel biennio 2019-2020 riceve i due prestigiosi premi
100 Ambasciatori Nazionali e 100 Eccellenze Italiane, patrocinati
dal Senato della Repubblica e dedicati alle eccellenze del
panorama italiano. Nel suo atelier, ospitato nel quattrocentesco
palazzo Nasi-Quaratesi nel quartiere di San Niccolò, le
numerose collezioni di gioielli, micro sculture e macchinari-gioiello
presenti, sono il frutto di lunghi studi di anatomia
e architettura applicati all’arte orafa. I principali materiali utilizzati
sono: oro, pietre preziose, argento e smalti. Fondatore
della corrente artistica Dinamismo percettivo: percezione
del movimento oltre la forma. I suoi gioielli sono l’espressione
delle emozioni dell’anima ingabbiate nell’inconscio che, liberandosi,
si fondono in una poliedricità di forme che riesce
a trasmettere all’artista quel flusso emozionale capace di imprimere
all’opera il movimento, a cui egli arriva come fase ultima
della creazione. O come una delle ultime, visto che la
creazione, secondo l’artista, non può avere una fine prestabilita.
Il suo museo-bottega rappresenta un percorso percettivo
sensoriale, un luogo fatto di forme statiche e di meccanismi
Etruscan fountain
Musical box
in perenne movimento, dove la favolistica atmosfera fa sì
che il visitatore, come all’interno di una scatola magica, mantenga
per sempre il ricordo di questa singolare esperienza
multisensoriale.
Atelier:
Via San Niccolò, 115 r - Firenze
www.alessandrodari.com
alessandro dari gioielli
dari_alessandro
Collezione della Robbia
Alessandro Dari
16
ALESSANDRO DARI
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
Curiosità storiche
fiorentine
Lo Scoppio del Carro, una tradizione
pasquale tutta fiorentina
di Luciano e Ricciardo Artusi
La tradizione dello Scoppio del Carro si perde nella notte
dei tempi in quanto risale addirittura alla prima Crociata
indetta da papa Urbano II per togliere il Santo
Sepolcro dal potere dell’Islam. La tradizione-leggenda, ormai
divenuta storia, ci fa sapere che alla spedizione militare dei
cristiani si erano uniti anche duemilacinquecento fiorentini al
comando di Pazzino de’ Pazzi. Il 15 luglio 1099, dopo oltre un
mese d’assedio, Gerusalemme venne espugnata e a salire per
primo sulle mura della Città Santa fu proprio Pazzino de’ Pazzi,
che elevò l’insegna bianca e vermiglia. Per tale atto di valore
Goffredo di Buglione, comandante assoluto della crociata,
concesse a Pazzino il privilegio di adottare il suo stemma, oltre
a donargli tre scaglie di pietra del Santo Sepolcro. Il 16 luglio
1101 Pazzino rientrò a Firenze accolto con solenni onori. Le tre
pietre rimasero custodite nel Palazzo Pazzi in Via del Proconsolo
e poi consegnate alla Chiesa di Santa Maria Sopra Porta,
situata nel Mercato Nuovo, in corrispondenza della porta che
garantiva il passaggio dentro le mura. Santa Maria Sopra Porta
era una delle più antiche chiese della città dove era alloggiata
anche la Martinella, la piccola campana detta “Bellifera”
perché suonava soltanto in tempo di guerra che veniva posta
sul Carroccio. Quando questa chiesa fu soppressa, le sacre reliquie
vennero trasferite prima in quella attigua di San Biagio
e poi in quella dei Santi Apostoli dove si trovano tuttora. Dalle
tre pietre prende origine la tradizione del rito dello Scoppio del
Carro. Oggigiorno, con la nuova liturgia del 2012, la celebrazione
inizia la sera del Sabato Santo quando alle ore 20,30 dalla
Chiesa dei Santi Apostoli le pietre e il portafuoco vengono prelevate
e portate processionalmente nella cattedrale di Santa
Maria del Fiore. Qui, sul sagrato, l’arcivescovo accende il fuoco
in un grande braciere e lo benedice, poi, alla fiamma purificatrice
benedetta – simbolo che evoca la resurrezione del Signore
vincente sulle tenebre della morte – accende il cero pasquale.
La celebrazione ha termine con la custodia in cattedrale del cero
acceso, che all’indomani darà l’avvio allo scoppio. Domenica
di Pasqua dal Piazzale del Prato alle ore 8,00 esce dal suo
alloggio, che lo custodisce dal 1864, il Carro del Fuoco Santo,
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
detto affettuosamente
dai fiorentini “Brindellone”
per la gran mole (altezza
con la girandola
di metri 11,60) dondolante
nel suo procedere,
per essere agganciato a
due coppie di possenti e
candidi buoi con corna e
zoccoli dorati e adornati
con fiori e gualdrappe
gigliate. Scortato da
armati, musici e sbandieratori
del Calcio Storico,
alle 8,30 il carro si
muove attraversando il
centro cittadino. Il variopinto
corteo giunge in
Piazza del Duomo dove
si posiziona sul sagrato, Il carro detto “Brindellone”
mentre il carro si ferma
nello spazio detto “Paradiso”, tra il battistero e la cattedrale. I
buoi vengono staccati e condotti in una zona tranquilla di Piazza
della Signoria. Si provvede così alla sistemazione del lungo
cavetto d’acciaio teso a 7 metri dal suolo, tra il carro e la colonna
di legno appositamente collocata il Venerdì Santo fuori
l’altar maggiore, sul quale scivolerà la Colombina per appiccare
il fuoco ai milleseicento mortaretti disposti sui tre ripiani del
carro. Poco prima del rituale scoppio, che avviene alle 11 al
canto del Gloria, si effettua il sorteggio per determinare gli accoppiamenti
delle squadre che disputeranno nel mese di giugno
il torneo di San Giovanni. Alle 11 l’arcivescovo intona l’inno
del Gloria e col cero pasquale dà fuoco alla miccia che fa partire
la colombina sul cavetto metallico che scivolerà per i centoventi
metri della navata fino a impattare il carro e provocare
l’esplosione dei razzi, delle girandole e dei fuochi pirotecnici.
Le deflagrazioni con fumi e miriadi di scintille di tutti i colori,
sia pure in maniera simbolica, vogliono esprimere la distribuzione
del fuoco benedetto a tutti i presenti e all’intera città. Gli
scoppi raggiungono il massimo della loro potenza man mano
che salgono verso la sommità del carro dove, infine, sibila la
girandola che, al termine dei suoi giri su se stessa, fa aprire tre
piccoli gonfaloni con le insegne di Firenze, dell’Opera del Duomo
e della famiglia Pazzi. Poi tutti alle rispettive mense imbandite
a consumare in primo luogo l’uovo benedetto simbolo di
fertilità e rinascenza, segno della vita che nel mondo cristiano
assume il significato del risorgere spirituale, cioè il buon proposito
di migliorarsi.
LO SCOPPIO DEL CARRO
17
Dimensione
Salute
A cura di
Stefano Grifoni
Come tutelarsi dal contagio del virus in auto
di Stefano Grifoni / foto Carlo Midollini
Come ci si può tutelare da un possibile contagio da
coronavirus in auto con un’altra persona? In venti
minuti di viaggio si scambiano molti più aerosol rispetto
a quanto accade in altri luoghi chiusi. Le particelle
si accumulano nell’aria e circolano all’interno dell’abitacolo
dalla parte posteriore a quella anteriore. Nello scenario
peggiore, quello con i finestrini chiusi, si è visto che circa
l’8% delle particelle emesse da un occupante possono raggiungere
anche l’altro. Lasciando aperti tutti i finestrini, sol-
tanto una piccola percentuale di aerosol finisce per essere
condivisa tra i passeggeri. Quindi favorire la ventilazione riduce
in modo importante le occasioni di contagio. Tenere
abbassato il finestrino accanto a sé è meglio di niente ma
è più efficace ancora che ogni passeggero apra il finestrino
opposto a dove si trova. In questo modo, secondo una
recente ricerca, sembra che si formi una barriera tra i due
passeggeri con forti venti che aiutano a rimuovere le particelle
emesse.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
18
VIRUS IN AUTO
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Il volto oscuro della rabbia
di Emanuela Muriana / foto Carlo Midollini
«
La rabbia è una breve pazzia»
scriveva Orazio. Volenti
o nolenti, la rabbia fa
parte della nostra dotazione di emozioni
primarie insieme alla paura, al
dolore e al piacere. Tutte le emozioni
primarie innate hanno funzioni adattive,
cioè scattano inconsapevolmente
come risposta a stimoli interni o esterni
per metterci in salvo e contribuire
alla nostra sopravvivenza. La funzione
vitale della rabbia è quella di sprigionare
uno straordinario potenziale di
azione non necessario in stato di tranquillità.
La rabbia è quella che gode di
minor apprezzamento, considerata un
difetto tipico delle persone poco equilibrate,
che finiscono per pentirsi amaramente
dei comportamenti o dalle
parole indotti dall’impulsività rabbiosa.
Bisogna sapere però che è la risposta emozionale a
uno stato di frustrazione, cioè quando non riusciamo ad
ottenere ciò che desideriamo o ciò di cui abbiamo bisogno.
Certo alcune persone che hanno una bassa soglia
di tolleranza alla frustrazione appariranno facilmente irritabili
o inclini ad esplosioni per poco conto. Se al contrario
la soglia di attivazione è molto alta, il soggetto è
in grado di sopportare frustrazioni elevate senza reagire.
È il cosiddetto “temperamento” che è influenzato dalla
percezione soggettiva delle cose. Tutto dipende da come
interpretiamo i fatti. Così di fronte allo stesso stimolo reagiamo
in modi diversi: i rabbiosi sono spesso invitati a
controllarsi, mentre chi teme di perdere il controllo con la
rabbia cerca di controllare se stesso cercando di reprimere
la reazione emotiva. Ma reprimere un’emozione non è
certo facile, diciamo impossibile. È difficile non provare
paura quando siamo nel panico; difficile non provare piacere
se mangiamo qualcosa che ci piace; difficile non provare
dolore per una perdita significativa. Che fare allora?
Non reprimere ma orientare la scarica rabbiosa in una direzione
che ci permetta di farla defluire senza provocare
danni irreparabili. Un modo è quello di ampliare i punti di
vista da cui guardare le cose, assumere il punto di vista
dell’altro fino a ritenere ragionevole e giustificabile anche
ciò che ci disturba. Una capacità che si può ottenere solo
con esercizio e determinazione. Un altro modo è quello
di canalizzare la rabbia: prendere carta e penna e scrivere
in maniera viscerale cosa vorremmo dire o fare a colui
che l’ha provocata. Per chi invece ha paura di perdere il
controllo e fare danni agli altri allora è consigliabile scrivere
dettagliatamente i pensieri brutti e cattivi ogni volta
che si presentano. Tutto questo per evitare di dare inutile
importanza a chi ci fa soffrire. La rabbia mal controllata
è un’emozione che troviamo anche in molti importanti
disturbi: dall’insonnia alla depressione all’usurante ruminazione
mentale. Educare il nostro Orlando furioso è indispensabile
per non subirlo.
Letture consigliate: G. Nardone, Le emozioni, istruzioni
per l’uso (2020); A. Bartoletti, Pensieri brutti e
cattivi (2019); E. Muriana, T. Verbitz, Se sei paranoico
non sei mai solo (2017); E. Muriana, T. Verbitz, I
volti della depressione (2006); G. Nardone, Cavalcare
la propria tigre (2003)
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
RABBIA
19
I consigli
dell’osteopata
A cura di
Stefano Masini
Cervicalgia: lo stomaco e la bocca
i possibili responsabili
di Stefano Masini
Il termine cervicalgia indica una condizione dolorosa del
tratto cervicale della colonna vertebrale. Il rachide cervicale,
costituito da sette vertebre, svolge tre funzioni: sorregge
il cranio tramite la prima vertebra, consente il movimento
del capo in tutte le direzioni dello spazio per favorire gli organi
della vista, dell’udito, dell’equilibrio e dell’olfatto ed infine
accoglie e protegge il midollo spinale. Tra due vertebre
contigue è presente un disco fibro-cartilagineo, una sorta di
“cuscinetto”, che permette il movimento vertebrale e ne ammortizza
il carico. Occorre distinguere tra la cervicalgia comune
o “aspecifica”, la cervicalgia “specifica” e la cervicalgia
secondaria. La prima è definita come un disturbo disfunzionale
delle strutture muscolo-scheletriche del rachide cervicale:
muscoli, tendini, legamenti, capsule articolari, articolazioni e
disco intervertebrale. La cervicalgia specifica è dovuta a gravi
discopatie, spondilolistesi, stenosi canalare e traumi (ad
esempio, il “colpo di frusta”). Le cervicalgie secondarie sono
causate da malattie reumatiche, infettive, viscerali, neoplastiche
e neurologiche. In questo caso ci occuperemo della
cervicalgia comune. Essa riconosce molteplici cause ma valuteremo
in particolare le seguenti: tensioni viscerali,
1
soprattutto
della “catena” stomaco-esofago; disfunzioni dell’articolazione
temporo-mandibolare. Come si vede dalla figura, esiste un
complesso sistema di relazioni tra il rachide cervicale ed altre
strutture osteoarticolari, muscolari e viscerali. L’osso ioide,
la lingua, la mandibola correlano strettamente con il rachide
cervicale. Ecco perché in osteopatia è fondamentale la collaborazione
con lo specialista odontoiatra. L’occlusione dentale,
infatti, condiziona il nostro sistema posturale. La mandibola,
nell’equilibrio del nostro capo, svolge una funzione simile all’asta
del funambolo: il suo spostamento comporta la variazione
di posizione del cranio e, di conseguenza, un necessario adattamento
del rachide cervicale che può facilmente sviluppare,
nel tempo, un quadro doloroso. Sempre dalla figura si evidenzia
la stretta relazione fra il sistema viscerale digerente e il rachide
cervicale. Una gastrite e/o un reflusso gastroesofageo
potrebbero trasmettere una trazione non fisiologica sul rachide
cervicale che, per compensare, dovrà sostenere una tensione
eccessiva. Anche in questo caso sarà probabile lo sviluppo
di una sintomatologia dolorosa. L’intervento osteopatico consisterà,
tramite tecniche fasciali, nel ripristinare la giusta tensione
tra i visceri e la struttura.
3
2
1
2
3
4
4
7
7
1. Testa
2. Mandibola
3. Rachide cervicale
1. Testa
4. Ioide
2. Mandibola
3. Rachide 5. Rachide cervicale dorsale
4. Ioide
6. Cingolo scapolare
5. Rachide dorsale
6. Cingolo 7. Lingua scapolare
7. Lingua
8. Condotto faringe-esofago e laringe-trachea
8. Condotto faringe-esofago e laringe-trachea
5
8
5
8
6
6
Le frecce indicano
formazioni tendinee, muscolari e fasciali
di collegamento
Le frecce indicano
formazioni tendinee, muscolari e fasciali
di collegamento
Diplomato in Educazione Fisica nel 1989 ed in
Fisioterapia nel 1995, Stefano Masini si specializza
in Osteopatia nel 2008. Esercita la professione
dal 1995, prima in centri di riabilitazione e dal
2001 come libero professionista.
Studio Medico San Jacopino
Via Ponte all’Asse 3 A , Firenze
Orario: lun-ven 9.00-12.30 / 15.00-19.00
+ 39 055.354792
masinistefano@hotmail.it
20
CERVICALGIA
A cura di
Silvia Ciani
I consigli del
nutrizionista
Il sale: meglio usarne poco e sempre iodato
di Silvia Ciani
Durante lo scorso mese si è svolta la settimana mondiale
di sensibilizzazione per la riduzione del consumo
alimentare di sale promossa dalla World Action
on Salt & Health (WASH), associazione – con partner in cento
paesi dei diversi continenti – nata con lo scopo di migliorare
la salute delle popolazioni attraverso la graduale riduzione
dell’ingestione di sale (il cloruro di sodio) fino a meno di 5
grammi al giorno (corrispondenti a circa 2 grammi di sodio),
target raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS). Un consumo eccessivo di sale favorisce, infatti,
l’aumento della pressione arteriosa, con conseguente incremento
del rischio di insorgenza di gravi patologie come l’infarto
del miocardio e l’ictus cerebrale, ed è stato associato
ad altre malattie cronico-degenerative, quali tumori, in particolare
dello stomaco, osteoporosi e malattie renali. Inoltre,
una dieta particolarmente “salata” è spesso accompagnata
da un maggiore consumo di bevande zuccherate e grassi
saturi, con conseguente rischio di sviluppare sovrappeso
e obesità. A livello globale il consumo giornaliero di sale è
compreso tra gli 8 e i 15 grammi al giorno; in Italia questo valore
è 9,5 g/die per i maschi e 7,2 g/die per le femmine (fonte:
Istituto Superiore di Sanità). Secondo la WASH, se lo si
riducesse a meno di 5 grammi, si potrebbero prevenire circa
2,5 milioni di decessi ogni anno. Forse non per tutti è chiaro
che la maggior parte del sale che assumiamo (circa il 64%)
proviene dai prodotti alimentari presenti sul mercato, quindi,
oltre che sulla tavola, occorre una particolare attenzione ai
prodotti alimentari trasformati e conservati. Ma che tipo di
sale è meglio usare? Sicuramente quello iodato che, sebbene
contenga la stessa quantità di sodio del comune sale da
cucina, è però arricchito in iodio, un elemento essenziale per
il corretto funzionamento della tiroide, ghiandola che presiede
alla regolazione del metabolismo di tutte le nostre cellule.
In Italia si ammalano di gozzo (per carenza di iodio) circa sei
milioni di persone, più del 10% della popolazione del nostro
paese. Il fabbisogno di iodio è particolarmente elevato per le
donne in gravidanza e per i bambini. Secondo le stime attuali,
un neonato su tremila nasce con una forma di malattia tiroidea
che può comprometterne lo sviluppo sia fisico che cognitivo.
In età adulta, le donne sono molto più soggette alle
malattie tiroidee rispetto agli uomini, avendo il 20% di possibilità
in più di sviluppare problemi alla tiroide nel corso della
loro vita. Occhio allo iodio e alle etichette nutrizionali la prossima
volta che andate a fare la spesa.
Le cinque azioni concrete raccomandate da WASH per ridurre il consumo di
sale a meno di 5 grammi al giorno:
1. usa erbe, spezie, aglio e agrumi al posto del sale per aggiungere sapore al cibo
2. scola e risciacqua verdure e legumi in scatola e mangia più frutta e verdura fresca
3. controlla le etichette prima di acquistare per scegliere prodotti alimentari meno salati
4. riduci gradualmente il sale nelle ricette preferite per consentire alle tue papille gustative di adattarsi
5. non mettere a tavola sale e salse salate, in modo che anche i più giovani della famiglia si abituino a non aggiungere sale
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
Studi e contatti:
artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas
14 d - Firenze / + 39 339 7183595
Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -
Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678
Istituto Medico Toscano - Via Eugenio
Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911
www.nutrizionistafirenze.com
silvia_ciani@hotmail.com
IL SALE
21
Il cinema
a casa
Strade interrotte
Il docufilm di Lorenzo Borghini sulle vittime della strada
di Luigi Nepi
Uno dei film più importanti che riguardano la sicurezza
nelle strade e la prevenzione degli incidenti
(e il primo di cui ho memoria) è del 1948
ed è di uno dei più grandi autori della storia del cinema:
Carl Theodor Dreyer, che gira su commissione ministeriale
danese lo splendido corto Raggiunsero il traghetto
(De nåede färgen), un piccolo capolavoro di undici minuti
che conserva ancora intatta tutta la sua forza emotiva
e le sue suggestioni tutt’altro che didascaliche. Nel 2013
è la volta di Werner Herzog (altro grande maestro, stavolta
del cinema contemporaneo) che, con il documentario
From One Second to the Next, mostra i risultati di
quella inimmaginabile follia quotidiana che colpisce tutti
coloro che decidono di scrivere messaggi o comunque
di usare il telefono durante la guida. E come dimenticare
la poesia di Canzone per un’amica, dove Francesco Guccini
ci parla di cieli crollati, di silenzi, di lamiere, del (non)
senso di una giovane vita interrotta (e più in generale
della vita stessa). Tutte opere che, in questi tempi pervasi
dal Covid, ci ricordano come continuino a esistere
e persistere moltissime altre emergenze planetarie,
tra cui quella che, ormai da tempo, è la prima causa di
morte negli adolescenti e nei cosiddetti “giovani adulti”,
ovvero l’imprudenza alla guida e di conseguenza gli incidenti
stradali. Un dramma per cui l’Italia solo nel 2016 è
riuscita a darsi una legge che riconosce la giusta dignità
di quelle vittime e che stabilisce la gravità e la particolarità
di quel reato che adesso possiamo finalmente
e propriamente chiamare “omicidio stradale”. È in questo
contesto che si inserisce Strade interrotte, il bel film
di Lorenzo Borghini che posa il suo sguardo proprio su
questa tragedia, affondando le sue immagini in quella
continua e silenziosa strage di giovani che giorno dopo
Alcune foto di scena
22
STRADE INTERROTTE
giorno si consuma sulle strade di tutto il mondo. «Sopravvivere
al proprio figlio è la fine di tutto ciò che esiste» dice l’avvolgente
voce di Maurizio Lombardi durante il potente incipit che
ci prepara all’ascolto delle toccanti storie che vanno a costruire
il mosaico di questo documentario, che, come un’opera musicale,
si compone di tre movimenti. Il primo è il triste adagio
sinfonico dei genitori che ricordano e inevitabilmente rivivono
il momento in cui sono venuti a sapere della morte dei loro figli.
Il secondo è il contrappunto più inaspettato, dove le fredde
e quasi panottiche geometrie del carcere di Sollicciano ci introducono
al racconto di un condannato per omicidio stradale. L’ultimo
movimento invece è la composita suite di coloro che di un
incidente continuano a portare sul proprio corpo i segni, le limitazioni
e le indelebili conseguenze. Completano il quadro due intermezzi
dedicati a chi, per scelta o per professione, si trova a
dovere intervenire sulla scena di un sinistro, come gli agenti della
polizia municipale o la squadra di volontari di un’ambulanza
di pronto intervento. Borghini rifiuta il semplicistico e asettico
format delle talking head, mostrandoci i suoi protagonisti nella
loro quotidianità, mentre raccontano le loro storie di “sopravvissuti
e sopravviventi”, di vittime (a vari livelli) di quella perdita,
di quella distrazione, di quel trauma che li ha costretti e li costringe
attimo per attimo a rimodulare la loro vita, nella disperata
ricerca di un equilibrio, forse impossibile, in quella stessa
precaria quotidianità, dove ogni gesto crea quel cortocircuito in
cui tutto sembra importante e contemporaneamente perdere di
senso. Nonostante e forse proprio per questo Strade interrotte
lascia comunque aperto un varco alla speranza, soprattutto nel
“terzo movimento”, dove la maternità per Giovanna, le amicizie e
il surf per Lorenzo (due giovani rimasti paralizzati agli arti inferiori)
e soprattutto l’incredibile “resurrezione” fisica e muscolare
di Carlo (travolto da un pirata della strada rimasto sconosciuto)
diventano l’occasione per capire quanto sia importante riuscire
a ridefinire costantemente la propria esistenza e anche come
ognuno di noi sia, più o meno consapevolmente, chiamato a
farlo. Alla fine della visione ciò che emerge chiaramente è che
quello di Lorenzo Borghini non è “solo” un documentario a tema,
ma un film a tutto tondo, dove lo stesso regista, soprattutto nelle
immagini realizzate per introdurre le tre parti, non perde l’occasione
di creare rimandi per farci intuire quali siano i suoi punti
di riferimento formali e teorici, così gli spettatori più attenti potranno
sorprendersi a scoprire chiari echi che rimandano a Lynch,
a Malick e anche a certo cinema coreano, che oggi va molto
di moda, ma che evidentemente lui ha già studiato e metabolizzato
da tempo. Insomma un film da vedere, da guardare e soprattutto
da riflettere, perché, come ricorda un esergo contenuto
nella pellicola: «La vita ti offre sempre una seconda possibilità.
Si chiama domani» (Dylan Thomas).
STRADE INTERROTTE
23
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Fabio Vettori
L’arte di rendere “vivo” il metallo
di Daniela Pronestì
Uno dei principali lasciti della scultura del Novecento
è stato legittimare, insieme al moltiplicarsi delle
tecniche artistiche, l’uso di una grande varietà di
materiali, spesso combinati tra loro in un linguaggio votato
all’ibridazione. Passando dal papier collé cubista al “complesso
plastico” futurista e arrivando ancora oltre fino al ready
made duchampiano, l’idea di fondo trasversale a queste
esperienze è che spetti all’artista scegliere quali e quanti materiali
prelevare dal quotidiano per decretarne, attraverso l’atto
creativo, il riscatto estetico. In questa interpretazione della
pratica scultorea come vera e propria ars combinatoria si colloca
l’opera di Fabio Vettori, le cui creazioni nascono infatti
dalla composizione di più materiali, in particolare metalli
nobili e legno. La caratteristica di queste “sculture mosaico”
– così Vettori le definisce – non è soltanto quella di essere
realizzate accordando tra loro diversi elementi, ma è anche e
America America! (1984/1985), metalli misti, h cm 70x27x24
Ascot first cyborg race (2001/2002), metalli nobili sbalzati e assemblati, h cm 56x20x47
24
FABIO VETTORI
Specchio della verità (1983), ottone sbalzato e ossidato, cm 50x18x h 38
Amleto - atto V (1980), ottone sbalzato e ossidato, cm 50x25x h 65
Indomabile (1990), ottone sbalzato e ossidato, cm 80x15x h 40
soprattutto il fatto che questa concertazione avvenga, a differenza
di quanto solitamente accade, senza il supporto di
un disegno preparatorio. In questo caso, infatti, l’intero processo
creativo è affidato alla capacità dell’artista di prefigurarsi
l’opera mentalmente e, sulla base di questa previsione,
passare poi ad eseguirla nella pratica, con tutte le difficoltà
tecnico-formali che la mancanza di un bozzetto comporta.
Operazione in sé già impegnativa resa ancora più ardua
dalle peculiarità di un materiale, il metallo, che, pur essendo
malleabile, richiede diversi passaggi, e tutti di precisione,
per arrivare ad assumere la forma desiderata. Lo scenario
si complica ulteriormente se si considerando sia la resa doviziosa
dei dettagli anatomici e di altri particolari – si pensi
alle criniere dei cavalli – che denotano grande perizia tecnica
nello sbalzo e nel taglio, sia la propensione a privilegiare
soggetti – come ad esempio il gladiatore e il centauro
– che impongono l’uso di metalli diversi per creare effetti alternati
di opacità e lucentezza. Tradurre un’idea astratta in
una forma concreta senza passare dal disegno esige quindi
più che mai – Vettori lo conferma – una conoscenza profonda
dei materiali e delle tecniche, del modo di far confluire
le singole parti in un insieme armonico e coerente, con un
procedimento di assemblaggio eseguito interamente a mano.
Un discorso a parte meritano le sculture ottenute a partire
da un’anima di legno che viene poi in parte rivestita con
lamine metalliche inserite a completamento della figura. Diverse,
anche in questo caso, le soluzioni compositive: si va
dalla scultura in legno con soltanto alcuni dettagli in metallo
all’opera che nel legno vede invece un elemento di raccordo
tra i vari inserti metallici che insieme compongono la figura.
La via intermedia prevede invece che i due materiali abbiano
la stessa importanza nel costruire un racconto in cui il legno
suggerire il dinamismo di una forma viva, mentre il metallo
è chiamato per contrasto ad evocare la fissità di un elemento
inalterabile. Per quanto collocabili nel solco del polimaterismo
introdotto dalle avanguardie del secolo scorso, queste
opere mostrano ben più solidi legami con l’arte della “toreutica”,
ovvero l’antica pratica di lavorare i metalli – soprattutto
rame, bronzo, argento e oro – avvalendosi di tecniche e
strumenti collaudati da una tradizione millenaria. Attingendo,
anche se indirettamente, a questo patrimonio di conoscenze
tramandate dai secoli, Vettori interpreta quelli che per gli
antichi Greci erano significati e valori della tèchne, e quindi
“il saper fare”, l’avere piena padronanza delle regole, l’unire
teoria e pratica attraverso l’elaborazione di un metodo. Tutti
aspetti che in queste sculture convivono insieme ad una
fervida capacità immaginativa, da cui scaturiscono creazioni
certamente uniche e non replicabili.
theartist@vettoriart.com
FABIO VETTORI
25
A cura di
Daniela Parisi e Roberto Rampone
Arte e
Libri
Stefano Cirri
L’ostentatore: un giallo psicologico “anticonvenzionale”
di Daniela Parisi e Roberto Rampone / foto Leonardo Brogioni
Pubblicato a fine febbraio da Mauro Pagliai Editore,
il romanzo si delinea fin da subito per la sua originalità
ed eccentricità. Stefano Cirri, fiorentino, classe
1976, definisce la sua opera “anticonvenzionale”: «Ho
voluto che questa storia fosse difficilmente inquadrabile
in un genere narrativo ben preciso». Niente investigatori,
dunque; niente commissario di Polizia, niente cadaveri,
nessuna indagine ufficiale: grazie a un reclutamento casuale
ai limiti del paradossale, il protagonista entrerà in
contatto con una strana cerchia di analizzatori del comportamento
umano denominata “la banda dei colori”, così tratteggiata
nel libro: «Come in una specie di grottesco gioco
di società, ognuno dei presenti indossa un capo d’abbigliamento
di colore differente: Marazzita ha una camicia gialla
a maniche corte, Bargigli una maglietta rossa, Amato una
specie di giacchetta verde pisello e la Roversi un top di colore
rosa a righe verticali, banalmente simile a quelli che
si usano per andare in palestra. Né più né meno come fossero
pedine del Trivial Pursuit o di un fantomatico gioco di
società di cui ignoro i contenuti». Scritto in prima persona
e raccontato al presente attraverso gli occhi del protagonista
Alessandro Bitossi, il romanzo si focalizza sull’analisi
psicologica di un inquietante personaggio: l’ostentatore,
l’uomo che guida una Ferrari gialla e che tutti i giorni si ferma
davanti a una fabbrica ad aspettare l’uscita degli operai.
E quando Alessandro capisce che la banda dei colori fa
tremendamente sul serio, si lascia totalmente coinvolgere:
lui, trentaduenne programmatore informatico, uomo pragmatico
e razionale, si metterà in gioco al 100%, attratto anche
dall’intrigante Ilaria, «diciannovenne
bisessuale col ciuffo
rosa e il septum al naso»,
che irrompe nella turbolenta
vita coniugale di Alessandro.
Scritto nel 2019, revisionato
nel 2020, L’ostentatore è un
romanzo ricco di spunti narrativi:
come spiega l’autore:
«Questa è una storia piena di
oggetti misteriosi e apparentemente
senza senso, di personaggi
bislacchi, di violenza
subita e di un incalzante e
imprescindibile desiderio di
vendetta».
s.cirri@cdlassociati.net
Stefano Cirri
stefano_cirri
Stefano Cirri
STEFANO CIRRI
27
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Augusto Novelli e Nando Vitali
Gli alfieri del “Gran Ducato della Comicità”
di Doretta Boretti
Proseguendo il percorso iniziato nel precedente articolo
con l’intervista ad Alessandro Riccio sull’importanza
del testo teatrale, in questo numero si parlerà
invece del valore del “volgare toscano” come patrimonio lin-
guistico nazionale, anche nell’ambito del teatro, attraverso la
rivalutazione che la critica letteraria ha riconosciuto a due
drammaturghi fiorentini: Augusto Novelli e Nando Vitali. Se
molto si sa della vita di Augusto Novelli (nato a Firenze il 17
gennaio 1867 e deceduto a Carmignano il 7 novembre
1927), poco si sa, invece, di Nando Vitali
(nato a Firenze l’11 giugno 1898 e deceduto a
Firenze il 26 marzo 1977). Augusto Novelli è stato
uno dei più significativi esponenti del teatro in
vernacolo; autodidatta, appassionato di scrittura
teatrale, studiò assiduamente nei tredici mesi
di detenzione nel carcere delle Murate a Firenze,
dove era stato recluso per i suoi articoli satirici
pubblicati sul giornale Il Nuovo Monello (1988), di
cui era direttore e nel quale si firmava Il Monellino,
colmando le sue lacune letterarie. Scrisse più
di cinquanta commedie tra cui, nel 1894, Purgatorio,
Inferno e Paradiso, nel 1908 quel piccolo gioiello
de L’acqua cheta e, lo stesso anno, sempre
in vernacolo fiorentino, Casa mia, casa mia…; con
Gallina vecchia, scritta nel 1911, si impose definitivamente
alla drammaturgia nazionale. Dopo
una battuta di arresto in seguito al suicidio della
moglie, riprese il percorso di scrittore lasciando
un importante bagaglio culturale lessicale alla
storia della lingua italiana. Di Nando Vitali ci sono
poche notizie come se i suoi testi dovessero
Augusto Novelli in una foto di Mario Nunes Vais (Fondo Nunes Vais)
L'acqua cheta di Augusto Novelli portata in scena dalla Compagnia Namastè Teatro
28
AUGUSTO NOVELLI E NANDO VITALI
parlare per lui. È certo che se dopo la morte di Novelli non ci
fosse stato Vitali a riprendere in mano la scrittura dialettale
toscana in ambito teatrale, ci sarebbe stato un vuoto importante
nel panorama attuale. Di Nando Vitali
si legge: drammaturgo, poeta, scrittore italiano
e autore di canzonette. Niente di più sulla
sua vita, sui suoi studi o altro. Nel 1927,
al Teatro della Pergola, fu rappresentato il
suo Lo zio d’America. Nello stesso anno, al
Teatro Alfieri di Firenze, fu messa in scena
la commedia Filodrammatici e al Teatro Verdi
Brigata Firenze. Sempre nel 1927 scrisse
Bisognino fa trottar la vecchia e tante altre,
fino ad arrivare al 1930 quando Nando Vitali
scrisse un’opera che ha riscosso sempre
negli anni, per la sua brillantezza, freschezza
dialettale e giocosità teatrale, un enorme
successo: Il gatto in cantina (musicato da
Salvatore Allegra). È giusto fermarsi a questo
piccolo capolavoro in vernacolo fiorentino,
ambientato dopo la battaglia di Novara
(1849), in una piccola villa sulle colline intorno
a Firenze, perché la storia di questa città
e della Toscana non è fatta solo di famiglie
prestigiose, grandi pittori, scultori, scrittori,
ma è fatta anche di persone comuni, del popolo,
della gente che parlava e parla ancora
una lingua che affonda le sue radici in Dante,
Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, e quando
Alessandro Manzoni, nella seconda stesura
dei suoi Promessi Sposi, la utilizzò, il vernacolo
fiorentino ottenne un’identità nazionale.
Augusto Novelli, Nando Vitali, Ferdinando
Paolieri, Giulio Bucciolini, Bruno Carbocci,
Ugo Palmerini e altri ancora ebbero il coraggio
di portare in scena storie di vita familiare
nella loro lingua popolare, dando dignità alla
gente comune e al suo parlato, ispirando anche tanti famosi
artisti contemporanei toscani, così da restituire alla Toscana
il titolo di “Gran Ducato” ma questa volta “della Comicità”.
Foto di scena da Il gatto in cantina interpretato dalla Compagnia Namastè Teatro
AUGUSTO NOVELLI E NANDO VITALI
29
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Andrea Alfani
L’ultimo dei pittori romantici
di Daniela Pronestì
Romantico, figurativo convinto e con un occhio critico
verso il contemporaneo: così l'artista Andrea Alfani si
racconta in questa intervista nel suo studio a Firenze.
Cosa significa per te, nel XXI secolo, essere un pittore romantico?
Significa essere un artista controcorrente. La nostra società
è tutt’altro che romantica, anzi il romanticismo è ritenuto obsoleto.
Tutto oggi si fonda sulla scienza e soprattutto sulla
pretesa della tecnologia di risolvere anche i problemi esistenziali
delle persone. È un retaggio della cultura illuminista dal
quale discende questa tendenza a puntare tutto sugli aspetti
materiali ed edonistici della vita senza lasciare spazio ai
valori spirituali. Se per arte s’intende l’espressione sincera e
libera dell’interiorità, io non posso che esprimermi in maniera
romantica, perché per me essere romantico vuol dire dare
voce alla parte più profonda ed autentica di me stesso, alla
mia essenza spirituale. Tante volte sono stato criticato per
questa mia posizione, ma non m’importa. Un artista è tale
quando ha il coraggio di essere ciò che è, senza allinearsi al
pensiero comune e alle mode.
A proposito di coraggio, in uno scenario artistico che come
quello attuale legittima qualunque espediente espressivo,
quanta determinazione ci vuole ad essere un pittore fieramente
figurativo, uno che sa ancora disegnare?
Mi è capitato spesso di sentirmi dire che la pittura figurativa
è superata e che non occorre saper disegnare. Solo chi
ignora totalmente la storia dell’arte non solo passata ma anche
recente può fare un’affermazione del genere. Si dimentica,
infatti, che senza la figurazione non potrebbe esistere
neanche la pittura astratta, perché “astrarre” significa “tirare
fuori”, cioè estrapolare dalla realtà soltanto alcuni particolari
e ricondurli entro forme universali come avviene con la geometria.
Si tratta, quindi, di due processi diversi, ma non in
conflitto tra loro, perché l’astrazione lavora sottraendo dalla
realtà tutti quegli aspetti che la figurazione invece rappresenta.
L’errore di fondo è credere che ritrarre la realtà sia un’operazione
priva di fantasia, mentre invece l’astrazione richiede
grande capacità immaginativa. Non è affatto così: ritrarre la
realtà significa offrirne un’interpretazione libera e personale
e non limitarsi a riprodurla come si farebbe con una foto.
Mentre ritraggo il mondo, racconto me stesso, quello che sono,
penso e sento. Quanto all’importanza del disegno non ho
dubbi: è l’anima della pittura, il suo presupposto fondamentale.
Anche gli astrattisti dovrebbero saper disegnare proprio
perché il disegno è la base di tutto; se non lo fanno è perché
spesso e volentieri non ne sono capaci. Per questo non gli re-
Sinfonia di primavera (2019), olio su pannello telato, cm 70x50
sta che criticare chi come me invece conosce e pratica il disegno
da sempre.
Nel tuo breve saggio Considerazioni sul significato dell'opera
d'arte pittorica descrivi l’atto creativo come un’esperienza
che coinvolge tutto l’essere dell’artista, la sua vita
spirituale. Come si concilia questa idea con una società governata
dal materialismo?
Viviamo in un mondo dominato dal relativismo, dall’attaccamento
sfrenato ai beni materiali. Non c’è più spazio per tutto ciò che
è spiritualità, tensione verso l’assoluto, ricerca del divino. Da
tempo ormai l’essere umano si è sostituito a Dio, mostrando una
superbia davvero insopportabile. È chiaro che in un contesto del
genere porre lo spirituale a fondamento dell’arte significa essere
tacciati di anacronismo. A me poco importa quello che pensano
gli altri e non per arroganza, ma perché ritengo che sia dovere
dell’artista riportare l’attenzione sulla vita spirituale proprio in un
momento storico come questo. È un atto di coraggio che il vero
artista compie senza sforzo, perché per lui spiritualità significa
libertà, creatività, conoscenza profonda di sé. Nessuna grande
opera del passato è stata concepita senza che alla base vi fosse
una ricerca spirituale dell’artista. È qualcosa che riguarda il
significato autentico dell’arte; pensare di poterne fare a meno
vuol dire negare il senso stesso del fare arte e dell’essere artisti.
Analizzando i tuoi lavori dal 2000 ad oggi, s’intuisce un
passaggio dalla ricercatezza esecutiva dei primi dipinti alla
maggiore sintesi espressiva degli ultimi, è corretto?
Sì, in effetti è così. Dal 2000 ad oggi la mia pittura ha conosciuto
tre fasi diverse ma tutte in continuità tra loro. Le opere del primo
periodo, dal 2000 al 2011, sono caratterizzate da colori vivaci e
30
ANDREA ALFANI
da una rappresentazione minuziosa dei dettagli, con la quale, essendo
allora agli esordi, volevo dimostrare anzitutto a me stesso
di potermi cimentare con successo in veri e propri virtuosismi
pittorici. In questo periodo, inoltre, rifacendomi agli ideali della
cultura romantica dell’Ottocento e in particolare all’opera di Caspar
David Friedrich, mi interessava affrontare il tema del divino
e dell’assoluto inserendo all’interno del quadro simboli opposti e
cercando di farli essere in equilibrio tra loro. Questo perché per i
romantici l’unico modo per esprimere il divino in pittura era raffigurare
una realtà che come Dio abbraccia tutto e tutto contiene,
e quindi anche la dialettica tra gli opposti. Sono opere che all’osservatore
chiedono un notevole sforzo di sintesi e soprattutto la
capacità di non soffermarsi sulle singole cose ma di riunirle insieme
in una visione che evoca l’armonia universale. La seconda
fase, dal 2011 al 2018, è quella che io definisco “chiarista” perché
contraddistinta da un cromatismo morbido e vaporoso che
sfuma i contorni del dato reale e soprattutto dalla presenza di
cieli bianchi che permeano il quadro di un’atmosfera mistica. La
scelta del bianco ovviamente non è casuale: nascendo dalla sintesi
di tutti i colori dello spettro solare, è il più adatto ad indicare
la totalità di Dio. Ecco perché in questi dipinti i cieli sono bianchi
così come bianca è la luce che schiarisce i colori rendendoli eterei.
Proseguendo su questa strada rischiavo di arrivare al bianco
assoluto e quindi, in sostanza, alla negazione stessa della pittura.
Ecco perché nel 2019 è iniziata una nuova fase sempre incentrata
sul valore simbolico della luce, questa volta però espresso
con delle sfere luminose che dal cielo si diffondono nel resto del
dipinto come un’emanazione del divino. L’effetto è quello di conferire
maggiore unitarietà all’insieme, con una sintesi nuova tra
colore, luce e dato oggettivo. Lo si vede bene nell’opera Amor
che intelletto illumini, dove il sole, emblema dell’amore divino, rischiara
il volto della figura femminile e si spande nel resto della
scena comunicando un senso di pace e di armonia. Quello a cui
assistiamo dunque non è un fenomeno atmosferico, ma è un rimando
all’illuminazione interiore che l’individuo conosce quando
accoglie Dio dentro di sé. Non so ancora dire quanto durerà
questa fase, ma credo che fosse un passaggio inevitabile per
muovere verso quella sintesi a cui ogni pittore figurativo giunge
nel corso della propria ricerca.
Pensi che l’arte sia democratica oppure che, in quanto codice
dotato di regole proprie, esiga “scienza e coscienza”
per essere praticata?
No, l’arte non è democratica, nel senso che sono in pochi
quelli che possono definirsi veri artisti. Credere il contrario
significa legittimare il pressappochismo con cui molti oggi si
accostano all’arte credendo che basti imbrattare una tela o
avere critici prezzolati e compiacenti a sostenerli per definirsi
artisti. Ma non è così che funziona: l’arte si rivolge a tutti,
ma non è di tutti. È un dono che alcuni hanno ed altri no,
e non bastano né la tecnica né lo studio per acquisirlo. Più
che artisti, io oggi vedo in giro molti imbonitori che spacciano
la provocazione per talento, il successo per una riprova di
genialità. La vera arte parla allo spirito e a chi ha la sensibilità
per capirla. Tutto il resto sono espedienti supportati dal
mercato e dalla smania di protagonismo di sedicenti artisti.
www.andreaalfani.it
Sul sito, nella sezione Considerazioni dell’artista, è disponibile
il breve saggio Considerazioni sul significato dell’opera
d’arte pittorica.
Antiche rivelazioni (2020), olio su pannello telato, cm 50x37
Amor che intelletto illumini (2021), olio su pannello telato, cm 40x50
ANDREA ALFANI
31
Cinzia Pistolesi
Il dono
www.cinziapistolesi.com
A cura di
Elisabetta Mereu
Speciale Mugello e
Valdisieve
I dieci anni della casa editrice di Luca Vitali, primo
editore italiano nel mondo dell’apicoltura
di Elisabetta Mereu / foto courtesy Edizioni Montaonda - Vitali
Si chiama Edizioni Montaonda ed è la realizzazione
di un sogno di gioventù: quello di
Luca Vitali, 59enne milanese, che dopo una
lunga attività come giornalista e traduttore in giro
per il mondo, nel 2011 ha dato vita alla prima e unica
casa editrice in Italia specializzata in tutto ciò
che concerne il rapporto dell’essere umano con le
api. La sede è proprio la sua abitazione, una piccola
colonica a San Godenzo, lungo la strada fra Firenze
e Forlì. «Da quando abito in questa zona della
Toscana – dichiara l’editore – ho totalmente cambiato
stile di vita e ho sentito l’esigenza di dedicarmi
all’ambiente, da sempre la mia passione. Grazie
ad un amico apicoltore ho scoperto il mondo delle
api, sul quale pubblico testi stranieri come quelli
di Padre Adam e dell’Abate Warré, fra le massime
autorità mondiali del passato, ma anche novità, come
i libri del socio-biologo americano Thomas Seeley.
Dei libri mi occupo integralmente, dalla A alla
Z, dalla scelta alla traduzione, dall’impaginazione alla commercializzazione,
cercando di recuperare così uno spirito artigianale.
Sono felice perché ho un lavoro molto vario di cui
riesco a seguire l’intera filiera, a parte la stampa. E mi piace
portare queste pubblicazioni alle fiere o ai mercati perché
la casa editrice vuole seminare libri ed io, proprio come
un contadino, amo consegnare di persona i miei prodotti».
Edizioni Montaonda (che prende il nome dal borgo omonimo
sul crinale appenninico ndr.) con i suoi quarantasette titoli
è diventata, in 10 anni, un punto di riferimento per circa
100.000 apicoltori italiani e per tutti coloro che scrivono di
ecologia e temi ambientali, ma non solo. «Negli ultimi anni
– continua Vitali –, seguendo i consigli di vari amici, ho creato
una collana di libri illustrati per bambini su api e insetti
ed una di narrativa, che ho battezzato con il neologismo “Psicotopìa”,
cercando testi in cui gli autori esprimono l’influsso
Luca Vitali con alcune sue pubblicazioni sulle api
che i luoghi esercitano sulla mente, la personalità e il carattere
di ogni persona». Un esempio interessante è il libro pubblicato
a novembre Una casa in Toscana - Viaggi in una terra
perduta di Wolfgang Schmidbauer, racconto autobiografico
del noto psicanalista e scrittore tedesco che, nel 1966, acquistò
una vecchia colonica nelle campagne sopra Vicchio,
iniziando un pendolarismo fra Baviera e Mugello. Un percorso
introspettivo ma anche sociologico che gli ha consentito
di analizzare la propria vita altalenante fra gli agi del mondo
cittadino schematizzato e frenetico ed i ritmi lenti dell’imprevedibile,
libera e selvaggia natura che, all’estinguersi di
una straordinaria civiltà contadina, in 50 anni è tornata padrona
del territorio. Nel catalogo di Montaonda sta riscuotendo
molti consensi anche la serie I gialli di Marco Vannini,
zoologo fiorentino, ex direttore del Museo della Specola che,
parallelamente alle pubblicazioni di divulgazione scientifica
per i giovani, ha deciso di dedicarsi
anche al genere thriller,
scrivendo undici episodi, l’ultimo
dei quali, Un camper per il morto,
è ambientato proprio in Mugello.
www.edizionimontaonda.it
Edizioni Montaonda
I libri della collana I gialli del Vannini
LUCA VITALI
33
Speciale Mugello e
Valdisieve
A cura di
Elisabetta Mereu
Marino Brogi
Le vibranti espressioni cromatiche di
un pittore senza tempo
di Elisabetta Mereu
Ha festeggiato cinquant’anni di carriera artistica lo
scorso anno e, naturalmente, lo ha fatto nel modo a lui
più consono, cioè dipingendo nel suo studio, in attesa
di poter di nuovo esporre in pubblico (al suo attivo più di centocinquanta
mostre collettive e oltre venti personali ndr.). La sua
passione per il disegno e la pittura si è manifestata fin da bambino,
anche se poi la specializzazione e l’affinamento delle tecniche,
per il maestro Marino Brogi (classe 1938), sono avvenuti
in età adulta. Con l’aiuto di illustri maestri d’arte di Firenze come
Antonio Piccini e Walter Campani e del professor Luigi Gai
di Trento, a partire dal 1970, si è cimentato un po’ in tutte le specialità
della pittura, ad iniziare da quelle ad olio e acrilico, riuscendo
a far emergere e a valorizzare la sua predisposizione
naturale per quest’arte. «Se si esclude l’acquerello – racconta
il pittore durante una piacevole conversazione nel salotto della
sua casa di Pratolino, nel comune di Vaglia – posso affermare
di aver sperimentato tutte le tecniche pittoriche, perché mi piace
giocare con i colori che mi consentono di esprimere la cre-
Marino Brogi mentre dipinge il quadro Il campionissimo - Fausto Coppi (2008),
olio su cartone, cm 15x20
atività che ho dentro. Con spatola e pennello riesco a fonderli
in un corposo amalgama che li rende vibranti e vivi con le loro
infinite tonalità». Il critico e storico dell’arte lombardo, Alfredo
Pasolino, ha scritto di lui: «Marino Brogi ha fatto della sua ricca
espressività capolavori in grado di esprimere ciò che si vede;
nelle sue opere di singolare intensità si sente la festosità del colore
con cui l’artista dipinge la natura e la vita quotidiana, abbandonando
le ricerche di stile per concentrarsi su una figurazione
senza tempo». I suoi soggetti preferiti sono i fiori, siano essi
raccolti ordinatamente in un vaso oppure selvaggi e sparsi per i
prati e le colline dell’amato Mugello, fonte inesauribile d’ispirazione
delle opere di Brogi che, dal 1999, fa parte del gruppo Pittori
del Mugello e Valdisieve. Ineguagliabili e di grande impatto
emotivo sono le sue svariate interpretazioni del paesaggio: quadri
espressivi ed avvolgenti che il pittore e critico d’arte francese,
Gerard Argelier, ha paragonato a quelli di Monet. Di notevole
intensità risultano inoltre i dipinti raffiguranti persone e animali
o quelli a sfondo religioso, alcuni dei quali esposti in luoghi di
culto, come la chiesa di Santa Maria Ausiliatrice di Montorsoli,
Composizione floreale, acrilico su pannello, cm 37x53
Nei prati del Mugello, acrilico su pannello, cm 35x50
34
MARINO BROGI
Ponte di Giotto a Vicchio di Mugello, olio e acrilico su tela, cm 40x60
nel comune di Vaglia, e quella di San Giovanni Battista Decollato
a Pian del Mugnone, Fiesole. Opere del maestro Brogi sono raccolte
al Museo Bartali a Ponte a Ema (Firenze) e alla Casa Museo
di Fausto Coppi a Castellania (Alessandria), oltre a far parte
di collezioni private sparse in Italia e all’estero (Germania, Francia,
Inghilterra, Giappone, California e Argentina). Tali successi
di critica e di pubblico derivano dal fatto che i suoi dipinti offrono
sempre sensazioni di armoniosa levità ed esprimono l’infinita
capacità di rielaborazione cromatica di questo talentuoso
artista toscano esponente dell’espressionismo moderno.
www.marinobrogi.it
Alcuni riconoscimenti ricevuti in Italia e all’estero:
- Premio Oscar Città del Tricolore, Reggio Emilia (1989)
- Premio alla Biennale di Venezia, organizzato dall’Ass. Cult. Amici del Quadrato (1990 e 2001)
- Premio Nobel dell’Arte, San Marino (1998)
- 1° classificato al Gran Premio Internazionale di Pittura Città di Bologna, Antoniano di Bologna (1999)
- Premio Quadriennale Oscar dell’Arte, Montecarlo, Principato di Monaco (2001)
- Premio Biennale La Palma d’Oro, Sirmione (2001)
- Grand Prix International de la Côte d’Azur, Nizza (2002)
- Premio Internazionale alla Carriera Lo Scugnizzo del Mediterraneo, Napoli (2002)
- Gran Nomina di Cavaliere dell’Isola di Malta, Accademia Int.le dei Dioscuri, Malta (2009)
- Gran Premio Unità d’Italia (150° anniversario dell’Unità d’Italia), Palazzo Barberini, Roma (2011)
Pubblicazioni:
- Il Quadrato di Milano di Giorgio Falossi (1977, 1978 e 1989)
- Enciclopedia dei pittori e scultori del Novecento (1991)
- Pittori e scultori italiani di importanza europea (1992 e 1999)
- Catalogo degli Artisti, GADARTE (2000)
- Selezione Arte Italiana, Edizioni L’Elite (2001)
- Artisti del Mugello, Toscana Cultura (2006)
- Protagonisti dell’Arte dal XIX secolo ad oggi, a cura di Paolo
Levi, Casa Editrice EA (2014)
Titoli accademici:
- Accademia dei 500, Roma
- Accademia Internazionale dei Dioscuri, Taranto
- Accademia Internazionale delle Arti Marino Greci, Novara
- Accademia Unione della Legion d’Oro, Roma
- Accademia Pontificia Tiberina, Roma
- Accademia Internazionale Il Masaccio, Firenze
- Accademia di Arte, Lettere e Scienze del Verbano, Piemonte
MARINO BROGI
35
Speciale Mugello e
Valdisieve
A cura di
Elisabetta Mereu
Il “new deal” del Club Ferraristi Toscani
di Elisabetta Mereu / foto courtesy Club Ferraristi Toscani
Dopo un anno di pit stop forzato ai box e sporadiche
ripartenze c’è aria di grandi cambiamenti
per il Club Ferraristi Toscani Sieci. «Ad
iniziare dal nuovo direttivo – dichiara il presidente
Enio Turrini – con il quale lavorerò subito perché proprio
in questo mese parte il rinnovo associativo, che
ogni anno di più registra un soddisfacente incremento,
forse perché abbiamo deciso di dare a tutti, anche ai
non possessori di auto, la possibilità di aderire e partecipare
alle nostre iniziative. Lo scopo di un club è
anche fare socializzazione, e quindi, per accogliere al
meglio tutti i nostri soci vecchi e nuovi, prossimamente
cambieremo anche la sede, spostandoci presso il
prestigioso Parco Enzo Pazzagli, facilmente raggiungibile
dall’uscita autostradale di Firenze Sud, in un bel
locale che ci è stato messo a disposizione dalla dirigenza,
in cui appena sarà possibile potremo fare anche
incontri conviviali, com’è nostra consuetudine.
Poi, dopo 48 anni, è arrivato il momento di un refresh
d’immagine – aggiunge sorridendo Turrini – e quindi
alle prossime manifestazioni i nostri soci parteciperanno
con magliette, cappellini, felpe, giubbotti, ombrelli
rinnovati nel logo, nelle linee e nei colori. Un new
look 2021 come segno distintivo del nostro club che, rispetto
ad altri, ha sempre spiccato per la particolarità dei dettagli
esclusivi nell’abbigliamento e l’originalità degli omaggi
realizzati in numero limitato
per i partecipanti alle manifestazioni».
In effetti questo
club, grazie anche alla dedizione
a 360 gradi di questo
presidente multitasking,
negli ultimi anni ha ulteriormente
accresciuto il suo pre-
Enio Turrini, presidente del club
stigio in qualità e visibilità, per l’impegno e la particolare
cura nei dettagli dei propri eventi. Questo modus operandi
così minuzioso, perfettamente in linea con quello della Casa
di Maranello, ha suscitato da qualche anno l’attenzione
e l’interesse anche di alcuni club motoristici, per una fattiva
partnership. «L’ultimo in ordine di tempo è il Club Ducati
DOC Desmo Florence – continua Turrini – con cui a giugno
effettueremo una serie di gemellaggi alla 9^ edizione
del Valdarno Red Passion per festeggiare il passaggio della
Mille Miglia a Montevarchi. Questo è un raduno di Ducati
e Ferrari che, come ha dichiarato il presidente del Club De-
In queste due foto i nuovi gadget per i soci del Club Ferraristi Toscani
36
CLUB FERRARISTI TOSCANI
smo, Luca Fidolini, mette insieme, nella splendida cornice
della vallata valdarnese, due dei marchi più blasonati del panorama
sportivo, gioielli dell’ingegneria meccanica a 2 e a
4 ruote». Insomma l’intento del Club Ferraristi Toscani per
L’intitolazione a Enzo Ferrari del ponte fra Piazza Puccini e Via Baracca a Firenze promossa nel 2021 dal Club
Ferraristi Toscani alla presenza del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani
Da sinistra, Claudio Benevieri, organizzatore del Valdarno Red Passion, e Luca Fidolini, presidente del Club Desmo
questo 2021 è davvero quello di scaldare bene i motori e riuscire
a portare avanti ben più dei tre progetti realizzati lo
scorso anno: l’intitolazione a Enzo Ferrari del ponte fra Piazza
Puccini e Via Baracca a Firenze, il raduno di auto d’epoca
per i 1000 GP della Ferrari a Scarperia
in Mugello e infine il tour delle colline
del Chianti. «Per quanto pochi, date
le restrizioni da pandemia, siamo
riusciti a farli – aggiunge – e perciò
ci tengo a ringraziare le istituzioni fiorentine
e toscane che ci hanno sempre
supportato ed incoraggiato, primo
fra tutti il presidente della Regione
Eugenio Giani. Dietro il successo e i
buoni risultati c’è sempre il lavoro di
un team di tanti professionisti che,
ognuno con le proprie competenze,
hanno sempre contribuito fattivamente
a realizzare le nostre idee, spesso
senza nemmeno apparire. Quindi, anche
a nome dei soci, voglio ringraziare
in primis Aldo Raveggi, con tutto lo
staff del suo eccellente studio grafico
e artistico Waika, poi i responsabili
di ACI, ACI sport e Sara Assicurazioni
e i tipografi che a volte fanno miracoli
per accontentarci. Un sincero
grazie va anche alla bravissima pittrice
Silvia Serafini che ha realizzato ed
esposto con noi molte opere ispirate
al marchio del Cavallino e per quanto
riguarda la comunicazione, ringrazio
il giornalista del quotidiano La Nazione,
Francesco Querusti, oltre che questa
prestigiosa rivista con la quale da
qualche anno collaboriamo per la promozione
e la divulgazione degli eventi,
ai quali invitiamo fin da ora tutti
vostri lettori».
Raduno Ducati e Ferrari a Montevarchi
Programma del 6, 13 e 17 giugno 2021
- iscrizione dei veicoli storici con almeno 20 anni di anzianità
- benedizione di tutti i mezzi partecipanti al raduno
- ritrovo nel centro cittadino di appassionati e proprietari di auto e moto
- tour in alcune frazioni limitrofe: Levane, Poggio Bagnoli, Badia Agnano, Ponte Mocarini,
Bucine, Ponte Leonardo, Mercatale, Pestello e ritorno a Montevarchi.
- esposizione di prototipi di auto da corsa in Piazza Varchi
- aperitivo Aspettando la Mille Miglia
- cerimonie di consegna agli equipaggi di gadget e omaggi anche
- gastronomici
Per info sul raduno scrivere a: info@camev.it oppure a info@ferraristiclubsieci.it
CLUB FERRARISTI TOSCANI
37
Speciale Mugello e
Valdisieve
A cura di
Elisabetta Mereu
Ucio Matticchio, il fabbro dei vip
di Elisabetta Mereu
Il telefono squilla in continuazione e il tempo che può dedicare
all’intervista è davvero esiguo. Deve ultimare un
importante lavoro per la villa di un privato sul Lago di Ginevra
e realizzare tutte le commesse che ogni 10 minuti gli
vengono fatte tramite cellulare o mail. Ucio Matticchio, istriano
d’origine, in Toscana da una generazione, si definisce un
artigiano che di mestiere fa semplicemente il fabbro. In realtà,
osservarlo nella sua officina laboratorio Il fabbro del Borgo
a Vicchio di Mugello, mentre con la forgia plasma il ferro a
suo piacimento facendo scaturire così una nuova creazione,
fa tornare alla mente la frase di San Francesco d’Assisi: «Chi
lavora con le sue mani, la sua testa e il suo cuore è un artista».
E Ucio Matticchio lo è davvero. Sotto le sue mani, armate di
tenaglia, mazzuolo e scalpello, il metallo prende vita con singolari
lavorazioni artistiche che si possono armonizzare con
qualsiasi stile architettonico. Dall’incudine emergono riccioli,
punte di lancia, simboli personalizzati e tutto ciò che la fantasia
suggerisce, che unendosi a barre forate e paletti lavorati
ad arte diventano strutture per balconi, cancelli, scale, letti,
tavoli e lampadari. Oggetti unici che esprimono così l’estro e
la creatività di questo maestro del ferro. Lo hanno capito anche
illustri personaggi internazionali del mondo della cultura e
dell’arte, fra cui un famosissimo maestro di musica e stilisti di
moda di fama mondiale che gli hanno affidato la realizzazio-
Ucio Matticchio al lavoro
L'inferriata di uno storico caffè in Via Tornabuoni a Firenze
Scala a chiocciola all'interno della Villa Poggio Bartoli
38
UCIO MATTICCHIO
ne di complementi d’arredo da interno e da esterno per le loro
abitazioni private. Sue anche le inferriate e i cancelli che circondano
il prestigioso e storico resort Ville sull’Arno a Firenze,
residenza di campagna della famiglia degli Alighieri nel Quattrocento
e bottega d’arte dei Macchiaioli nell’Ottocento. Altri
esempi della sua arte fabbrile sono visibili nella Villa Medicea
Poggio Bartoli in Mugello, nei sontuosi portali del famoso
Caffè di Via Tornabuoni (lo storico Bar Giacosa dove nel 1920
nacque il Negroni ndr.) e in quelli della sede della Fondazione
Cassa di Risparmio di via Bufalini a Firenze, così come nelle
strutture esterne dei due famosi Bar Miraglia, da 80 anni a Prato.
Nelle sue produzioni le tecniche della tradizione artigiana e
il design moderno si uniscono con la finalità di ottenere manufatti
di pregio che durano nel tempo e mantengono l’essenza
dell’alta qualità artigianale, ineguagliabile e dunque irripetibile.
Attraverso la manualità esprime agli altri una parte della
propria eclettica personalità che però non vuole mai ostentare,
perché possiede la tipica umiltà che caratterizza la vita
e il lavoro dei più grandi. «Sono cresciuto in una fucina – dice
meravigliandosi di destare tanta ammirazione – perché anche
i miei antenati erano fabbri e maniscalchi che addirittura
forgiavano a mano i chiodi usati per ferrare i cavalli. Dunque,
fin da bambino, ho respirato le atmosfere e i ritmi di questo
antico mestiere che mi permette di domare il ferro e di dargli
un’anima». Un bel messaggio
che può invogliare www.ilfabbrodelborgo.com
tanti giovani, come i suoi
due collaboratori, ad appassionarsi
a quest’arte
creativa con buone prospettive
di una lunga e
soddisfacente attività.
UCIO MATTICCHIO
39
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
L’offerta commerciale basata sull’agire
etico che supporta i territori
Alla scoperta del Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
Il mondo di oggi è sempre più provato dagli avvenimenti
che hanno ridefinito le vite quotidiane, specialmente
nell’ultimo anno. La vita è cambiata e le abitudini sono
state riscritte. L’esigenza crescente di conoscere il mondo a
km 0, di essere responsabili nei confronti del prossimo, di
proteggere e preservare quanto il nostro pianeta offre sta
divenendo un aspetto sempre più importante. In questo contesto,
il lavoro del Movimento Life Beyond Tourism Travel to
Dialogue diviene strategico per aiutare nella ripartenza.
Il Movimento infatti è una realtà internazionale che ha costruito
la propria identità e i servizi offerti pensando a coloro che
abitano e lavorano nei territori: artigiani, artisti, istituzioni, residenti
e persino viaggiatori (vale a dire i “residenti temporanei”).
Si tratta di una società Benefit che, in quanto tale, pone
nel suo statuto dei princìpi sociali che si prefigge di portare
avanti con il suo operato parallelamente all’attività commerciale.
Com’è noto, il Movimento Life Beyond Tourism Travel
to Dialogue nasce nel 2018 ed è l’applicazione pratica del lungo
lavoro di studio e ricerca portato avanti dalla Fondazione
Romualdo Del Bianco a partire dal 1989. Questo lavoro ha dato
avvio alla filosofia Life Beyond Tourism di cui il Movimento
si fa portavoce e che realizza attraverso una serie di servizi e
prodotti che partono dalla consulenza.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue si propone
di operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente
nei confronti di persone, territori, ambiente e tutti
coloro che rappresentano le espressioni culturali dei luoghi.
Ecco che l’azienda decide di trasformarsi in azienda Benefit,
una nuova tipologia di società che, oltre a proporre una
nuova offerta commerciale basata sull’agire etico, promuove
una serie di valori umani e sociali che identifica nel proprio
statuto e che sono anche rintracciabili nel Manifesto
Life Beyond Tourism ® 2019.
portanza del patrimonio locale, tangibile e intangibile, da
trasmettere ai viaggiatori. Con il Movimento LBT-TTD cerchiamo
di aiutare le espressioni culturali a valorizzarsi e
a farsi percepire come tali agli occhi dei visitatori esterni,
per sviluppare e trasmettere la consapevolezza del Be local!
e rendere i viaggiatori dei residenti temporanei dei territori
stessi».
Come afferma Carlotta Del Bianco, presidente del Movimento
LBT-TTD: «Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to
Dialogue si è sempre posto sul panorama locale, nazionale
e internazionale come una società basata sull’etica dei valori.
Riteniamo infatti che le espressioni culturali dei territori
siano al centro dell’economia circolare dei territori stessi.
Solo in questo modo è possibile realizzare un modello economico
sostenibile che possa mettere in evidenza l’im-
40
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Per realizzare questi valori all’interno dei territori, il Movimento
LBT-TTD porta avanti un continuo lavoro di ricerca, promozione,
interpretazione e comunicazione del patrimonio
naturale e culturale, del “fare e saper fare” che in esso viene
custodito, delle conoscenze tradizionali attraverso il sito
www.lifebeyondtourism.org. Questo lavoro di ricerca si concretizza
in una serie di servizi che il Movimento offre per
individuare i prodotti rappresentativi di ogni cultura e per
cercare il giusto modo di diffonderli e pubblicizzarli a vari
livelli, regionale, nazionale e internazionale, creando un’immagine
esclusiva ed esplicativa del territorio e facendo percepire
il valore identitario dietro al singolo prodotto. Inoltre
il Movimento organizza periodicamente degli eventi culturali
internazionali dove coinvolge le espressioni culturali dei territori
per dar loro ulteriori opportunità di visibilità e costruzione
di relazioni, sia commerciali che sociali. Ma non solo.
L’offerta proposta riguarda anche il filone didattico e formativo,
in collaborazione con l’Istituto Internazionale Life Beyond
Tourism. Come si evidenzia nel Manifesto del Movimento, è
Il Movimento LBT-TTD racconta i territori
Toscana, una regione unica
https://www.lifebeyondtourism.org/it/italia-ita/toscana/
importante che i siti patrimonio mondiale diventino “Centri
per la Formazione al Dialogo”. Per fare questo vi sono
una serie di attività didattiche che si concretizzano in diversi
modi: corsi e-learning, tirocini formativi, seminari di approfondimento,
summer e winter camps anche in collaborazione
con varie istituzioni scientifiche e culturali.
Tutte queste attività vengono quotidianamente realizzate tenendo
ben in evidenza il Manifesto Life Beyond Tourism che
contiene i princìpi cardine della nuova offerta commerciale del
Movimento, che mette il patrimonio, le sue persone e le sue
espressioni culturali al centro della propria analisi quali eccezionali
veicoli per costruire la pace a livello mondiale. In tal
senso il patrimonio acquisisce una nuova anima, protegge e
valorizza sé stesso e diviene uno strumento di formazione al
dialogo per i visitatori, i residenti e tutti i soggetti della catena
del viaggio. Tutto ciò si trasforma in un diffuso senso di protezione
di tutto il patrimonio e del pianeta Terra per realizzare l’obiettivo
del millennio: il dialogo tra culture per la pace.
Chi meglio può raccontare un territorio se non coloro che lo abitano,
lo hanno scelto per fare impresa o creare la propria arte? Partendo
da questa premessa abbiamo sviluppato, negli ultimi mesi,
dei focus regionali sul nostro portale www.lifebeyondtourism.org
realizzando ciò che proviamo sempre a fare: costruire reti!
Quali sono gli ingredienti? Il patrimonio culturale e naturale, i
prodotti locali, l’enogastronomia, le mete da non perdere e quelle
che invece conoscono in pochi. Adesso abbiamo bisogno di
più voci: le istituzioni, le aziende, gli artisti e gli artigiani e, ovviamente,
i viaggiatori e i residenti. Entrare nella nostra rete è facile,
aiutaci a raccontare la tua Toscana, scrivi per informazioni
a info@lifebeyondtourism.org
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società
benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,
ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere
e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori
insieme alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali
che custodiscono. Offre proposte di consulenza per lo sviluppo di
progetti di marketing territoriale e turistico, formazione, eventi, comunicazione,
relazioni internazionali.
Per info:
+ 39 055 290730
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
41
Gallerie in
Toscana
Antichità Via dei Fossi
Arte e antiquariato nel cuore di Firenze
Testo e foto di Rosanna Bari
Accomunati dalla passione per l’arte e l’antiquariato,
i coniugi Antonia Antinolfi e Antonio Roberto
danno vita, a inizio anni Novanta, alla loro attività
di antiquari. La loro prima galleria viene inaugurata a Sesto
Fiorentino, dove rimarranno fino all’inizio del Duemila,
quando hanno l’opportunità di spostarsi nel centro di Firenze,
in Via dei Fossi, storica strada di negozi antiquari,
tra Piazza Goldoni e Piazza Santa Maria Novella. Sin dalla
sua apertura, la galleria riscuote un grande successo di
pubblico grazie alle frequenti mostre di artisti contemporanei,
che vengono ospitate in spazi appositamente dedicati
a questo genere di eventi. Con l’apertura all’arte contemporanea
la galleria antiquaria acquista sempre più un nuovo
volto, che rappresenterà un valido biglietto da visita per
presentarsi ad un più vasto e variegato
pubblico. Fra le mostre più rappresentative
che hanno segnato il periodo a partire
dal 2008, ricordiamo quella dedicata
al regista Carlo Lizzani, che illustra l’attività
cinematografica del maestro attraverso
foto, manifesti e locandine di film.
Ricordiamo anche l’importante esposizione
dei pittori Fernando Bernardini e Silvestro
Pistolesi, noti allievi del maestro
Pietro Annigoni. E, in ricordo della pittrice
Fiora Leone, la mostra Gattart Fiora Leone
2011, incentrata sulla figura e sul potere
ammaliante del gatto, uno dei soggetti
animali più adottati nell’arte. Infine, l’attività
della galleria ha sperimentato un
nuovo dinamismo con la mostra collettiva
dal titolo Intrecci preziosi, tra quadri gioielli
e abiti. L’indimenticabile inaugurazione
è stata animata dalla sfilata di moda
dell’importante maison fiorentina Giuliacarla
Cecchi, curata da Pola Cecchi, figlia
della fondatrice della griffe. Ospitare mostre
temporanee negli spazi della galleria
può essere vista come “arte nell’arte”,
capace di trasformare lo statico spazio
espositivo in un punto di incontro vivace
e diretto fra gli artisti e gli appassionati
del settore, donandole così una veste
sempre rinnovata.
Via dei Fossi, 55r - Firenze
+ 39 055 219306
Antonio Roberto + 39 335 6540736
Antonia Antinolfi + 39 333 4022814
galleriaviadeifossi@gmail.com
42
ANTICHITÀ VIA DEI FOSSI
A cura di
Daniela Pronestì
Occhio
critico
Clara Mallegni
Un’artista in “perpetuo volo”
di Daniela Pronestì
Se le opere di Clara Mallegni fossero un rebus, la
prima parola chiave necessaria a decifrarle sarebbe
senza dubbio la parola “libertà”, il cui significato
in questo caso non va inteso in senso astratto ma
come esplicita propensione dell’artista all’esercizio del
pensiero divergente: un vero e proprio salto oltre il conformismo
delle regole compiuto con l’ausilio di un innato
fervore fantastico. Sempre pensando a queste opere
come ad un rebus, la seconda parola chiave – intrinseca-
mente legata alla prima – sarebbe certamente la parola “fantasia”,
che nell’opera della Mallegni designa non solo un modo
di procedere sperimentando tecniche – collage, pittura acrilica,
scultura in legno, resina o acciaio – ed accostando soggetti
con soluzioni sempre nuove e dall’evidente matrice fantastica,
ma significa soprattutto offrire l’immagine di un mondo dominato
dal sogno, dal bello, dal fascino di tutto ciò che sfugge al
rigore della logica. Un mondo nel quale vengono azionate, una
dopo l’altra, tutte le leve dell’immaginazione, a partire da quella
che solleva le cose in un “perpetuo volo”, come le tante figure
rappresentate o scolpite nell’atto di compiere un salto acrobatico.
In questo slancio agile e leggero si condensa la cifra poetica
di un’artista che sceglie di sorvolare sopra gli orrori e le
brutture di una realtà nella quale non si riconosce per coltivare
l’utopia della fiaba, assaporare la meraviglia di chi come lei sa
“passeggiare tra le nuvole” – così recita il titolo di un collage
– e cogliere della vita gli aspetti più sorprendenti e avventurosi.
Tutta l’opera della Mallegni è un richiamo al continuo divenire
delle cose, al loro dinamico e perenne mutare, ma senza la
nota dolente di chi, di fronte al cambiamento, si avvinghia di-
Sapore di mare (2021), collage polimaterico su carta Magnani, cm 50x70
speratamente al ricordo. Al contrario, per la Mallegni quella del
ricordo è un’arte che si impara giorno dopo giorno, misurando
la distanza tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra l’altalena e la
luna, tra il volare alto e il planare con grazia sulle contraddizioni
del mondo. La donna, protagonista di molti suoi lavori, è la
musa di questa “joie de vivre” espressa con sguardi da felino,
corse spensierate in bicicletta, omaggi alle eroine della fiaba o
alle icone pop del nostro tempo. In questo teatro del fantastico
una girandola di sensazioni invita l’osservatore a lanciarsi in
balli scatenati, intraprendere navigazioni interstellari, immergersi
“nel blu dipinto di blu” e sentire sulla pelle l’irresistibile
“sapore di mare”. Quanto basta, quindi, ad essere coinvolti in
un’esperienza da vivere sicuramente con il sorriso ma anche
con la voglia di trovare nell’opera d’arte un’occasione per evadere
dalle limitazioni di una società che sempre più ci ingabbia
entro modelli e stereotipi. Se è vero che in ogni artista sopravvive
il bambino che gioca, Clara Mallegni concede a questa
sua parte bambina lo spazio che merita, affinché il gioco non
abbia mai fine e con esso anche la capacità di volare leggeri
sulle cose del mondo.
Dal 26 giugno al 10 luglio 2021,
Clara Mallegni sarà protagonista
della personale Sapore di mare al
Fortino Lorenese in Piazza Garibaldi
a Forte dei Marmi. Curata da
Lodovico Gierut, con la collaborazione
di Walter Sandroni, la mostra
vedrà esposte trenta opere realizzate
con diverse tecniche, dalla
tela all’acciaio, dal legno alla prestigiosa
carta Magnani, dall’acrilico
alle resine, fino al collage.
Archetipi volanti (2017), acciaio, h cm 60
Sinergy (2019), collage e acquerello su carta Magnani, cm 70x50
www.claramallegni.com
Clara Mallegni Artista
claramallegniarte
Le opere di Clara Mallegni sono in
vendita sul sito della galleria Artistikamente
www.artistikamente.net
CLARA MALLEGNI
43
Claudio De Col
Fioretti
• Miraggi dell’ombra
Le opere di Claudio De Col sono visibili sul sito della galleria Artistikamente di Pistoia
www.artistikamente.net
Art C. De Col
claudiodecol@gmail.com
Ritratti
d’artista
Francesco Bandini
Percorsi visivi sulle tracce della storia
Testo e foto di Maria Grazia Dainelli
Francesco Bandini, laureato in Architettura,
in Urbanistica e in Teologia con indirizzo
Archeologico Biblico alla Facoltà
Teologica dell’Italia centrale presso la quale
svolgerà attività di docente, master in Storia delle
Religioni, socio emerito past President dello
storico Gruppo Donatello, è addetto ai rapporti
con le pubbliche istituzioni. Autore di numerose
pubblicazioni e manuali di metodologia e
tecnica dello scavo (noti i suoi diari di viaggio
nel mondo biblico), è membro permanente della
missione archeologica dell’Università di Firenze
in Giordania. All’indomani della grande alluvione
del 1966, quale responsabile tecnico della Basilica
di San Lorenzo a Firenze, ritrova i resti della
tomba del grande Donatello, dando vita alla
suggestiva cerimonia di omaggio al celebre artista
nel giorno della sua morte (13 dicembre) alla
presenza del Gonfalone della città e delle auto-
Festival delle Religioni, Basilica di San Miniato al Monte, Firenze: Francesco Bandini presenta a
SS. Karekin II, Patriarca Supremo e Chatholikos di tutti gli Armeni, uno dei suoi diari di viaggio
46
FRANCESCO BANDINI
rità civili e militari, con la deposizione delle
tre tradizionali ghirlande. Nel 2002 ha ricevuto,
in Palazzo Vecchio a Firenze, il Fiorino
d’oro per la saggistica e nel 2003 a Roma
il premio nazionale della cultura dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri. Il 17 ottobre
2016 (San Luca) diviene Accademico
d’onore dell’Accademia delle Arti del Disegno.
Nella Basilica di San Miniato al Monte,
in occasione del Festival delle Religioni,
Francesco Bandini presenta a SS. Karekin II,
Patriarca Supremo e Chatholicos di tutti gli
Armeni, uno dei suoi diari di viaggio, dove
viene da lui ritratto in occasione di uno dei
suoi viaggi in Armenia sull’Ararat. Di lui scrive
Francesco Gurrieri, presidente della classe
di Architettura dell’Accademia delle Arti
del Disegno: «Insomma (F. B.), un uomo ancor
prima che un tecnico e uno studioso, per
il quale l’arcobaleno che univa Stonehenge a Samarcanda
era qualcosa che meritava di essere vissuto e che aveva
un valore universale. Qualcosa che oggi sembra essere
stato smarrito».
Francesco Bandini
Via Luigi Carrand, 50133 - Firenze
francescobandini@yahoo.it
+ 39 055 583150 / + 39 338 7115250
Dervisci rotanti dell'Anatolia (2020) Sana'a, Yemen (1989)
FRANCESCO BANDINI
47
I libri del
Mese
Stefania Maffei
Oltre il cancello: un racconto sull’orrore e sulla rinascita
dopo la malattia da Covid-19
di Erika Bresci
Varcare quel cancello significa fare esperienza diretta
del male, guardarlo negli occhi, ascoltarne il
respiro sincopato nelle corsie, calcarne le impronte
lungo i corridoi, piangerlo nel silenzio di una solitudine
che fa paura e allontana anche da se stessi. Per Stefania
Maffei significa prima di tutto riconoscerlo nel suo nome
– Sars-Covid-19 – e sapersi altro da lui, semplicemente
operando in egual modo con coloro che le sono vicini e
condividono il medesimo cammino. Ovvero, nominandoli.
Sia per categorie capaci di racchiudere il senso dell’umano
(le quattro compagne di stanza sono identificate nel
titolo delle storie che le vedono protagoniste come La Livornese,
La Badante, La Testimone di Geova, La Parcheggiata),
sia nei nomi propri di persone speciali – primi tra
tutti i medici Ferdinando e Cristiana –, che le hanno reso
possibile tornare alla vita di sempre, alla normalità dei
giorni al di qua del cancello. Grazie alle due settimane tra-
scorse da degente in una struttura intermedia Covid, «un
lazzaretto da quaranta posti letto», due pazienti per stanza,
Stefania Maffei – che non rinuncia alla propria vocazione
di poeta e intervalla con appassionate, intense liriche,
indirizzate ai “compagni d’avventura” (medici, infermieri,
personale OOSS, pazienti ricoverati), cinque storie che si
incardinano e colloquiano tra loro – torna a riveder le stelle
cambiata dentro, e non solo nel fiato corto lasciato in
dono dalla malattia. Oltrepassato quel cancello (quasi una
personale Porta della Città di Dite, o altri cancelli di triste
e più recente memoria) e scesa agli inferi, recuperata poi
la luce e la salute, davvero si fa spazio in lei una riflessione
più completa sul senso della vita e del vivere con gli altri.
Così, raccolta in sessanta pagine di un diario disperato
e lucidissimo, ne nasce una testimonianza autentica, che
scorre senza indulgere a retorica o sensazionalismi sui binari
di una narrazione rapida e incalzante che si fa vita
vera, parola incarnata e da condividere. All’iniziale orrore
per gli effetti della malattia sul fisico altrui – che sa perfino
di concreta repulsione –, all’egoismo stizzoso di chi
sofferente tra sofferenti prova a dare le spalle ai lamenti
che provengono dal letto accanto, al disagio per un’intimità
costantemente negata, al lugubre refrain che accomuna
i dannati di questo piccolo angolo di mondo – «noi siamo
infetti»; «quelli come me, infettati e pericolosi per il resto
della società», che ricorda tanto l’«Impuro, impuro!» di Levitico,
13 –, Stefania Maffei – paziente e scrittrice – sostituisce
la spinta alla solidarietà, la volontà di comprendere
la storia personale che giace dietro il nome anonimo apposto
su un cartellino in fondo al letto, di intercettare lo
sguardo impaurito di chi le sta accanto e trasformarlo in
speranza, di dare voce e forza a quella stessa speranza,
fino a rallegrarsi per quanti ogni giorno lasciano la temuta,
provvisoria dimora e ad accogliere nella propria stanza
chi vi è appena approdato o chi trova nel suo peregrinare
da una camera ad un’altra, per condividere anche solo una
parola, uno sguardo, un progetto. E allora, «il maledetto virus»
descritto in presa diretta e raccontato a ritmo serrato,
capace quasi di togliere al lettore quello stesso fiato che
manca costantemente all’autrice (e che si chiede se potrà
mai ritrovare), può insegnarci qualcosa che va oltre «la vita
là fuori con il suo fermento e la sua giostra quotidiana»,
quella stessa che riprenderemo, insieme a riti e routine,
una volta scongiurato il male. Può insegnarci a guardare
davvero, ad accogliere, a non giudicare, ad ascoltare,
a fare del tempo un dono e non una condanna. Una storia
attualissima e di grande impatto emozionale, resa ancora
più viva dalle pregevoli illustrazioni di Sara Baudinotti.
STEFANIA MAFFEI
49
Personaggi
Tiziano Terzani
La vita sempre in viaggio di un fiorentino che ha fatto la storia
di Serena Gelli / foto courtesy Angela e Folco Terzani
Tiziano Terzani nasce a Firenze nel 1938. Laureatosi
con lode in Giurisprudenza nel 1962 alla Scuola
Normale Superiore di Pisa, tre anni dopo viene
inviato in Giappone dall’azienda Olivetti per tenere alcuni
corsi aziendali. Consegue poi un Master in Affari Internazionali
alla Columbia University di New York, seguendo
corsi di storia e lingua cinese. Dai primi anni Settanta è
corrispondente dall’Asia per il settimanale tedesco Der
Spiegel. Esce nel 1973 il suo libro Pelle di leopardo dedicato
alla guerra in Vietnam. Durante il 1975 resta a Saigon
in Vietnam, assistendo alla presa di potere da parte
dei comunisti: sulla base di questa esperienza scriverà
Giai Phong! La liberazione di Saigon. Nel 1979, dopo quattro
anni passati ad Hong Kong, si trasferisce con la famiglia
a Pechino: per comprendere meglio la realtà cinese
viaggia visitando città e paesi chiusi agli stranieri, facen-
Tiziano Terzani
do frequentare ai suoi figli la scuola pubblica cinese. Il libro
successivo è Holocaust in Kambodsch (1981), in cui
racconta il suo viaggio in Cambogia, a Phnom Penh, dopo
l’intervento vietnamita. Viene espulso dalla Cina nel 1984
con l’accusa di aver commesso “attività controrivoluzionarie”:
racconta il suo dissenso in La porta proibita. Durante
il 1985 risiede ad Hong Kong, poi si trasferisce a Tokyo
dove rimane fino al 1990. Intanto collabora con diverse riviste
italiane – Corriere della Sera, La Repubblica, L’Espresso,
Alisei – e con la radio e tv svizzera in lingua italiana
insieme a Leandro Manfrini. Sul crollo dell’impero sovietico
pubblica nel 1992 Buonanotte, Signor Lenin, selezionato
per il Thomas Cook Award, premio inglese per la letteratura
di viaggio. Nel 1994 si stabilisce in India assieme alla
moglie Angela Staude, scrittrice, e ai due figli. Nel 1995
viene pubblicato Un indovino mi disse, cronaca di un corrispondente
in Asia che per un anno ha
vissuto senza mai prendere aerei: diventerà
un vero e proprio bestseller.
A quest’ultimo lavoro fa seguito il libro
In Asia (1998), a metà tra reportage
e racconto autobiografico. Nel
2002 pubblica Lettere contro la guerra,
sull’intervento militare degli Stati
Uniti in Afghanistan e sul terrorismo:
per i suoi contenuti decisamente forti,
il libro viene rifiutato da tutti gli
editori di lingua anglosassone. Inizia
poi un “pellegrinaggio” che lo porta a
intervenire in diverse scuole e incontri
pubblici, appoggiando Gino Strada
ed Emergency nella causa “Fuori l’Italia
dalla guerra”. Nel 2004 esce Un
altro giro di giostra, viaggio nel bene
e nel male del nostro tempo, alla ricerca
di una cura contro il cancro di
cui Terzani è affetto dal 2002. Il libro
tratta del suo modo di reagire alla
malattia – un tumore all'intestino
–, cioè viaggiare per il mondo e osservare
con lo stesso spirito giornalistico
di sempre le tecniche della più
moderna medicina occidentale come
quelle delle medicine alternative.
Si tratta del viaggio più difficile da
lui affrontato, alla ricerca di una pace
interiore che lo porterà ad accettare
serenamente la morte, avvenuta
ad Orsigna (Pistoia) il 28 luglio 2004.
50
TIZIANO TERZANI
Personaggi
Andrea Vignozzi
L’esaltante esperienza di un consulente di arte moderna
di Fabrizio Borghini / foto courtesy Andrea Vignozzi
Com’è nata la passione per l’arte tanto da
trasformarla in un hobby a cui dedichi con
entusiasmo gran parte del tuo tempo?
La scintilla è scoccata quasi per caso quando
lo zio di mia moglie, grande appassionato d’arte
nonché amico di tanti artisti e antiquari fiorentini,
per il nostro matrimonio ci regalò un graziosissimo
disegno, che tuttora custodiamo gelosamente,
e nel consegnarci quel piccolo capolavoro ne
esaltava i particolari evidenziandone le difficoltà
esecutive con una partecipazione che mi contagiò.
Da quel momento ho iniziato in punta di piedi
ad avvicinarmi ad artisti e galleristi importanti
che, insieme ai tanti libri d’arte letti, hanno fatto
maturare in me la convinzione di quanto importante
sia l’arte per l’elevazione delle persone e in
particolare per noi italiani quanta ricchezza possa
produrre: è il nostro petrolio.
Il maestro Paolo Vannini
Ad un giovane che volesse seguire le tue orme, che studi
consiglieresti di intraprendere?
Anche se dedico tutto il mio tempo all’arte, continuo a considerarlo
un hobby e non un traguardo raggiunto; per questo ritengo
che alla base ci debba essere soprattutto la continua
volontà di conoscere, quindi un percorso sofferto e del tutto
individuale. Anche il più grande critico, consulente o storico,
seppur bravissimo, avrà sempre da imparare qualcosa anche
dall’ultimo degli artisti.
Da sinistra, Andrea Vignozzi con il maestro Corsinovi
La Toscana storicamente è una fucina di artisti; chi sono
attualmente quelli che hai messo nell’occhio del tuo mirino?
Il lockdown ha rallentato anche il lavoro di scouting che faccio
andando a visitare mostre e studi d’artista. Però ci sono
due pittori, molto diversi tecnicamente fra loro, che seguo più
assiduamente di altri e che vorrei segnalare all’attenzione dei
lettori: Paolo Vannini e Giorgio Corsinovi. Il primo è un pittore
di lungo corso che è entrato nel gotha nazionale grazie al suo
modo di dipingere, un innovativo figurativo astratto, che guarda
prevalentemente alle grandi avanguardie artistiche
dei primi del Novecento, cubismo da una
parte e l’esperienza fauve dall’altra, e poi l’uso di
colori unici che assecondano le forme e i piani
sui quali si dipana la rappresentazione che coniuga
intensità pittorica ed emotiva. Corsinovi, invece,
è un personaggio bohémien, genere naïf, che
dipinge esclusivamente ad acquerello. Un artista
ispirato sorretto dal pensare per immagini che
scaturiscono da sue ricerche cerebrali, amletici
interrogativi, ermetiche consapevolezze affidate
ora al disegno ora al colore. Di lui apprezzo anche
la mediterranea eleganza dell’impianto cromatico
e le arcane testimonianze che ne fanno
un artista che spicca nel grigiore della contemporaneità.
Per verificare tutto ciò, invito i lettori
ad intervenire alla sua mostra personale che si
terrà a Signa nel palazzo comunale dall’8 maggio
prossimo.
ANDREA VIGNOZZI
51
Concerto in
salotto
A cura di
Giuseppe Fricelli
Giuseppe Verdi
Il genio di Busseto
di Giuseppe Fricelli
«
Sono un agricoltore», così Giuseppe
Verdi scrisse nelle caselle
del censimento indicando
la propria professione. A Sant’Agata il
grande compositore trascorreva una vita
semplice accanto alla moglie. Al mattino,
il musicista si alzava alle cinque e girava
per i suoi campi fino alle otto. Poi si
metteva a studiare e comporre. Il pomeriggio
lo trascorreva scrivendo e rispondendo
agli amici. Verdi era pignolo nella
corrispondenza. Faceva copia di ogni lettera.
Dopo il trionfo del Nabucco, il musicista
di Busseto creò con la sua fantasia
musicale una numerosissima quantità di
opere che rimaranno nella storia per il loro
valore artistico.
La prima esecuzione del Nabucco al Teatro
alla Scala di Milano il 9 marzo del 1842
Giovanni Boldini, Giuseppe Verdi (1886), pastello su carta, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
52
GIUSEPPE VERDI
A cura di
Laura Belli
Speciale
Pistoia
Paola Beretta
Una pittura attenta al sociale e al mondo femminile
di Laura Belli
Fin dall’infanzia Paola Beretta ha dimostrato
interesse per il disegno e i colori, interesse
che poi si è assopito nel periodo adolescenziale
ma che, attorno ai 25 anni, completati gli studi
linguistici, si è risvegliato più maturo e consapevole
e l’ha spinta a sperimentare nuove tecniche pittoriche
e a dedicarsi anche alla scultura, alla poesia e
alla scrittura. Fondamentale per questa sua crescita
creativa è stata la frequentazione di ambienti artistici
che le hanno favorito la conoscenza e il fertile
confronto con altri artisti contemporanei. Dalle sue
opere s’intuisce che ha saputo ispirarsi anche a correnti
artistiche del passato più affini alle sue esigenze
espressive come il Surrealismo, il Simbolismo e il
Futurismo ma che è riuscita a personalizzare queste
sollecitazioni fino ad elaborare uno stile originale e
inconfondibile. La sua è una pittura che si basa sul
colore: «È il colore che mi dà l’emozione e l’ispirazione»
afferma. E infatti non si avvale di disegni o bozzetti
preparatori ma interviene sulla tavola o sulla
tela direttamente con pennello e colori vivaci e caldi
che mischia in una infinita gamma di sfumature.
Interessanti le sue nature morte perlopiù rappresentate
con un punto di vista aereo, quasi a voler offrire
una visione d’insieme che invita però ad avvicinarsi
anche ai singoli oggetti che la compongono, ricchi
di particolari e di simboli che, una volta compresi,
svelano significati profondi e inattesi. La Beretta ha
a cuore le tematiche riguardanti l’essere umano, i
suoi problemi sociali, le sue delusioni e speranze,
con una particolare attenzione al mondo femminile. Secondo
Paola la funzione dell’artista non è soltanto la ricerca e la
rappresentazione del bello, ma piuttosto il rendere testimonianza
del contemporaneo. Ed ecco allora nelle sue opere l’uso
del collage che, con la sua concretezza tattile e materica,
comunica più facilmente la realtà, oppure la raffigurazione
delle mani dell’artista mentre sta dipingendo, ad evidenziare
l’accettazione della sua funzione di testimone, ed ancora
la tendenza ad introdurre iscrizioni e frammenti di giornale
all’interno dei quadri per un richiamo all’attualità e all’urgenza
dei problemi. Quando comincia a dipingere non si pone
finalità predefinite, ma segue l’ispirazione spontanea, l’emozione
che le regala il colore: «Io faccio queste cose spontaneamente,
lascio lavorare l’inconscio; è meglio non chiedersi, è
meglio fare quello che viene da dentro, dopo ti accorgi cosa
hai voluto esprimere». Nelle quattro tavole dipinte in occasione
della caduta del muro di Berlino, la spinta alla rappresentazione
dell’evento è nata in lei da una sensazione di gioia, di
festa, ma vi si colgono anche espliciti riferimenti anticipatori
delle dolorose conseguenze che sarebbero derivate concre-
Mascherine, olio su tela, cm 50x50
tamente da quell’evento incruento ma fortemente destabilizzante.
La sua prima mostra, nel 1985 a Massa Marittima,
fu un successo; da allora molte mostre personali e collettive
sono seguite, in Italia e all’estero, fino a fare di lei un’artista
stimata e affermata. Il suo nome sarà inserito nell’Atlante
di storia dell’arte contemporanea prossimamente pubblicato
dalla De Agostini e un suo autoritratto è stato scelto da
Vittorio Sgarbi per essere pubblicato sul CAM della Mondadori.
Attualmente è in corso una sua mostra intitolata L’Arte
del Diritto presso uno studio legale e professionale in Piazza
Vittorio Veneto 4 a Firenze. Si tratta di una interessante
iniziativa che favorisce il godimento dell’arte nelle sue varie
forme anche in ambienti non pensati per questo genere di attività.
La mostra purtroppo ha risentito delle restrizioni dovute
alla pandemia e dopo l’inaugurazione non è stato possibile
procedere alle iniziative ad essa collegate. Resterà aperta fino
a giugno, con possibilità di visitarla, per piccoli gruppi su
prenotazione, dal lunedì al venerdì.
paul_etta@hotmail.com
PAOLA BERETTA
53
Guido Botticelli
L’arte di plasmare la materia
L'ultimo patriota, bronzo
Testa di donna, terracotta policroma
La donna salverà il mondo, terracotta policroma
Dopo il diploma di Maestro d’arte, Guido Botticelli
ha intrapreso la carriera di restauratore che ha
svolto con passione e soddisfazione, senza tuttavia
abbandonare l’attività artistica. Nelle sue opere
sperimenta materiali e tecniche diverse, spesso
prese a prestito proprio dal mondo del restauro
cosicché le due carriere, professionale ed artistica,
risultano spesso di supporto l’una all’altra: un
dipinto può diventare un’esperienza propedeutica
ad una operazione di restauro, così come trattamenti
o prodotti utilizzati nella conservazione
delle pitture murali possono essere impiegati in
funzione dell’ottenimento di particolari finiture.
È il caso dei suoi affreschi staccati e riportati su
tela oppure delle sculture in calcestruzzo cellulare
trattate con procedimenti a base di prodotti
inorganici già usati nel consolidamento degli affreschi.
I suoi soggetti non nascono da uno studio
o da un piano prestabilito, ma sono spesso dettati
o influenzati dagli stessi materiali compositivi:
l’argilla, facilmente plasmabile, amplifica le potenzialità
espressive con risultati di maggior naturalismo,
mentre il procedimento “per levare” dei
blocchi di calcestruzzo favorisce strutture sintetiche
ed astratte che evocano il soggetto piuttosto
che rappresentarlo direttamente. Per Botticelli la
materia diventa contemporaneamente soggetto e
oggetto della rappresentazione.
A cura di
Stefano Marucci
Storia delle
Religioni
Commento all’Enciclica di Papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia
sociale in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri 2020
In collaborazione con la Parrocchia Santa Maria al Giglio di Montevarchi
3^ e ultima parte
L’apostolo insegna che la libertà che ci è stata donata
con la morte e risurrezione di Gesù Cristo è per ciascuno
di noi una responsabilità per mettersi al servizio
degli altri, soprattutto dei più deboli. Non si tratta di
un’esortazione facoltativa, ma di una condizione dell’autenticità
della fede che professiamo. Il libro del Siracide ritorna
in nostro aiuto: suggerisce azioni concrete per sostenere
i più deboli e usa anche alcune immagini suggestive. Dapprima
prende in considerazione la debolezza di quanti sono
tristi: «Non evitare coloro che piangono» (7,34). Il periodo
della pandemia ci ha costretti a un forzato isolamento, impedendoci
perfino di poter consolare e stare vicino ad amici e
conoscenti afflitti per la perdita dei loro cari. E ancora afferma
l’autore sacro: «Non esitare a visitare un malato» (7,35).
Abbiamo sperimentato l’impossibilità di stare accanto a chi
soffre e, al tempo stesso, abbiamo preso coscienza della fragilità
della nostra esistenza. Insomma, la Parola di Dio non ci
lascia mai tranquilli e continua a stimolarci al bene. “Tendi la
mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di
quanti tengono «le mani in tasca e non si lasciano commuovere
dalla povertà», di cui spesso sono anch’essi complici.
L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Che
differenza rispetto alle mani generose che abbiamo descritto!
Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera
di un computer e spostare somme di denaro da una
parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette
oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere
nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita
di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per
seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra
scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e
nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco
scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto.
E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita
stabiliscono leggi che loro stessi non osservano. In questo
panorama, «gli esclusi continuano ad aspettare; per poter sostenere
uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare
con questo ideale egoistico, si è sviluppata una
globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene,
diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi ai grido
di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma
degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto
fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete»
(Esort. ap. Evangelii gaudium, 54). Non potremo essere
contenti fino a quando queste mani che seminano morte non
saranno trasformate in strumenti di giustizia e di pace per il
mondo intero. «In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine»
(Sir 7,36). È l’espressione con cui il Siracide conclude questa
sua riflessione. Il testo si presta a una duplice interpretazione:
la prima fa emergere che abbiamo bisogno di tenere
sempre presente la fine della nostra esistenza. Ricordarsi il
destino comune può essere di aiuto per condurre una vita
all’insegna dell’attenzione a chi è più povero e non ha avuto
le stesse nostre possibilità. Esiste anche una seconda interpretazione,
che evidenzia piuttosto il fine, lo scopo verso cui
ognuno tende: è il fine della nostra vita che richiede un progetto
da realizzare e un cammino da compiere senza stancarsi.
Ebbene, il fine di ogni nostra azione non può essere altro
che l’amore; è questo lo scopo verso cui siamo incamminati
e nulla ci deve distogliere da esso. Questo amore è condivisione,
dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di
essere noi per primi amati e risvegliati all’amore. Questo fine
appare nel momento in cui il bambino si incontra con il
sorriso della mamma e si sente amato per il fatto stesso di
esistere. Anche un sorriso che condividiamo con il povero è
sorgente di amore e permette di vivere nella gioia. La mano
tesa, allora, possa sempre arricchirsi del sorriso di chi
non fa pesare la propria presenza e l’aiuto che offre,
ma gioisce solo di vivere lo stile dei discepoli di Cristo.
In questo cammino di incontro quotidiano con i poveri
ci accompagna la Madre di Dio, che più di ogni altra è
la Madre dei poveri. La Vergine Maria conosce da vicino
le difficoltà e le sofferenze di quanti sono emarginati,
perché lei stessa si è trovata a dare alla luce il Figlio
di Dio in una stalla. Per la minaccia di Erode, con Giuseppe
suo sposo e il piccolo Gesù è fuggita in un altro
paese, e la condizione di profughi ha segnato per alcuni
anni la Santa Famiglia. Possa la preghiera alla Madre
dei poveri accomunare questi suoi figli prediletti e
quanti li servono nel nome di Cristo. E la preghiera trasformi
la mano tesa in un abbraccio di condivisione e
di fraternità ritrovata.
ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO
55
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Mostra internazionale Artidotum 3D
Un rimedio artistico al disagio psicologo causato dalla pandemia
di Margherita Blonska Ciardi
La mostra virtuale internazionale Artidotum, inaugurata
lo scorso 13 febbraio, è stata ideata per offrire
con l’arte una speranza e un supporto psicologico
per superare l’attuale periodo di crisi dovuto alla pandemia
globale. L’evento doveva svolgersi inizialmente presso una
prestigiosa location di Roma, coinvolgendo anche alcune reti
televisive locali, ma purtroppo il peggioramento della situazione
sanitaria non ha permesso di realizzare la mostra
in sicurezza. Non volendo però rinunciare a far conoscere
al pubblico le splendide opere di alcuni artisti emergenti, è
nato il progetto Artidotum, che ha permesso di superare le
difficoltà del momento creando una galleria virtuale con la
tecnologia del rendering. Appena la situazione lo consentirà,
la mostra si terrà in presenza a Roma, con una partecipazione
ancora più convinta e numerosa di quella inizialmente
programmata anche perché arricchita da conferenze sul
tema dell’arteterapia e della funzione spirituale dell’arte.
Verranno proposti anche workshop con gli artisti per comunicare
ed integrare esperienze creative diverse e confrontarsi
sulle tecniche e sulle concezioni estetiche di varie parti
del mondo. Artidotum vuole essere un invito a non arrendersi
e a prepararsi al mondo che verrà. Prima o poi sarà
possibile di nuovo stare tutti insieme, organizzare mostre,
concerti, spettacoli, tornare al cinema, ma intanto è necessario
resistere e lavorare per prepararsi al cambiamento. Del
resto, l’arte ha sempre avuto un ruolo importante anche in
tempi difficili, mostrando una via d’uscita ed alleviando il dolore
delle persone. Anche adesso che viviamo confinati nelle
nostre case, l’arte può darci energia ed aiutarci a coltivare
la speranza in un futuro migliore. Nella storia dell’umanità ci
sono sempre state epidemie e il primo rimedio, non disponendo
del progresso scientifico e tecnologico moderno, era
il confinamento della popolazione. Non rimaneva altro che
aspettare inerti che tutto finisse. La popolazione era costretta
a rimanere diversi anni in isolamento, cercando un modo
per sopravvivere. Quando le pandemie
finalmente finivano, la gioia e la gratitudine
erano tali da motivare la realizzazione
di imponenti sculture ai santi
protettori delle città e l’edificazione di
cattedrali e chiese per onorare Dio. Alcune
tra le più straordinarie opere d’arte
di ogni tempo sono nate così. Oggi
a causa del Covid la nostra vita è cambiata
bruscamente e la frenesia della
vita quotidianità ha lasciato posto ai
ritmi lenti del passato. Non siamo più
abituati a questo modo di vivere e soprattutto
al silenzio delle città deserte.
Restando soli e chiusi nelle nostre
case da oltre un anno, con mille problemi da affrontare e
la speranza di ritornare alla vita di prima, siamo inevitabilmente
soggetti alla depressione. È un momento molto difficile
dal punto di vista psicologico specialmente perché non
si può socializzare. Per questo motivo la mostra Artidotum
oltre ad essere virtuale è anche interattiva: ogni settimana
artisti provenienti da diverse parti del mondo si incontrano
“live” sui social per parlare delle loro esperienze lavorative e
pianificare progetti futuri. Questo attribuisce un aspetto più
“umano” alla mostra virtuale, attraverso la quale è possibile
contattare gli artisti ed avere informazioni sia sulle opere
esposte che sull’asta online di arte moderna a cui Artidotum
è collegata e che si svolgerà nei prossimi mesi sulla piattaforma
per aste di oggetti di lusso Wondike. L’intento è ricordare
che dopo ogni temporale arriva un raggio di sole, dopo
ogni disastro la rinascita. Per tutto il periodo della pandemia,
la galleria virtuale dello Studio Artemisia sarà collegata
sia alla piattaforma Wondike che ad altre case d’asta in modo
che gli artisti, oltre ad esporre le proprie opere, potranno
anche essere contattati dai collezionisti. La sezione Arte
moderna della piattaforma Wondike punta soprattutto sulle
opere di artisti contemporanei, mostrando così di condividere
la stessa tendenza del Centro di Cultura Contemporanea
Strozzina di Firenze, dove la performance intitolata La ferita
dell’artista JR, oltre a denunciare il disagio di quanti operano
nella cultura in questo particolare momento storico, ha
dimostrato che nell’immediato futuro ci sarà sempre più interesse
per la produzione artistica del presente. In attesa di
poter realizzare la mostra Artidotum a Roma, in concomitanza
anche di un ciclo di conferenze sull’arteterapia tenute da
architetti e medici per spiegare come i colori e le geometrie
possano, all’interno di uno spazio architettonico, influenzare
il nostro umore e la nostra psiche, è interessante esplorare
l’esposizione virtuale e scoprire le opere dei vari artisti
seguendo le sale.
56
ARTIDOTUM 3D
Partendo dalla prima sala, l’attenzione è catturata dalle opere
dell’artista polacco Krzysztof Konopka che, con i suoi lavori,
dimostra come realtà e mondo interiore siano collegati
dal continuo dialogo fra conscio ed inconscio. Un dialogo
che quest’artista trasferisce sulla tela con pennellate dense
di colore successivamente graffiate, in modo da creare la vibrazione
cromatica degli strati dipinti sulla quale si fonda lo
stile da lui chiamato “Orapismo”. Proseguendo, s’incontrano
le opere dell’astrattista americana Stephanie Holznecht
che, con i suoi vortici dinamici, ci trascina in un universo fatto
di spazi coloristico-energetici, dove è possibile percepi-
re l’essenza dell’emozione estetica. In
questo modo, l’artista intende ricordarci
che bisogna apprezzare la vita per le
cose semplici e saper cogliere la bellezza
ovunque, anche nel riflesso della luce
sull’acqua, guardando al futuro con
ottimismo e fidandosi del naturale percorso
degli eventi, come suggerisce il titolo
dell’opera in mostra April showers
brings May flowers, cioè Dopo le piogge
di aprile arrivano i fiori di maggio. Alma
Sheik dipinge usando i colori della natura,
riprendendo le sfumature delle foglie d’autunno ed elaborando
rilassanti composizioni geometrico-floreali con le
quali comunica a chi guarda la bellezza dei tesori della terra.
L’artista inglese Susan Kerr alza lo sguardo verso il cielo
per trovare tra gli astri e le galassie l’origine dell’uomo
e la presenza di Dio. L’israeliana Michal Ashkenasi si avvale
di un’innovativa tecnica da lui definita “multifusion”, nella
quale unisce pittura, fotografia e arte digitale per creare
visioni di mondi sconosciuti e scrutare i paesaggi dell'anima.
Anche le opere astratto-materiche dell’artista novarese
Mariagrazia Zanetti conducono in un mondo sospeso tra re-
ARTIDOTUM 3D
57
altà e immaginazione e dominato dai colori dei quattro elementi
naturali. Maria Rita Vita, con la sua gioiosa astrazione,
unisce la vivacità coloristica del soggetto floreale alla narrazione
fiabesca. Osservando invece le composizioni dell’artista
lussemburghese Karin Monschauer si entra nel regno
dell’estetica che nasce dalla matematica e dall’arte del ricamo,
riunendo insieme le fantasie geometriche dell’antica
tessitura raqm e la rigorosa bellezza dell’ordine logico. La
seconda sala ospita le suggestive opere dell’artista polacco
Jerzy Komisaruk proveniente da Wroclaw, città multiculturale
per eccellenza e capitale della cultura europea nel 2017.
Le sue tele sorprendono per il particolare
gioco di luci ed ombre grazie al quale
riesce a generare un’aura di mistero
che ricorda alcuni grandi capolavori del
passato. Kim Oberoi, artista di origine
indiana da diversi anni residente a Dubai,
espone fantasiose tele con soggetto
floreale che invitano alla meditazione
e alla ricerca della dimensione spirituale.
L’artista inglese Michael Henry Ferrell,
prossimamente a Venezia per una
mostra personale, espone vedute di citta
d’arte, piazze e strade dove poter vivere
momenti di aggregazione. Questi
luoghi, trasferiti con maestria sulla tela,
ci ricordano quanto eravamo felici quando potevamo ancora
ritrovarci tutti insieme nel contesto cittadino. I paesaggi
con laghi e lagune dell’artista, decoratore e restauratore lombardo
Cesare Triaca ci guidano come un “soffio di vento” fra
le sue vele che navigano paesaggi incontaminati, dove poter
ammirare le bellezze naturali e trovare idealmente rifugio
negli antichi porticcioli baciati dalla luce del tramonto. L’artista
belga Christine Hilarius propone quadri astratti ispirati
alle vedute del mare e dei laghi, nei quali esprime l’essenza
del bello concentrandosi sui riflessi della luce sull’acqua
e sul movimento delle onde. Kinga Lapot Dzierwa, docente
58 ARTIDOTUM 3D
di Arte e Pedagogia all’Università di Cracovia, è presente in
mostra con paesaggi monocromatici che uniscono l’arte figurativa
a quella astratta prendendo ispirazione dai colori e
dalle atmosfere della campagna polacca. Passando al terzo
salone è possibile ammirare il mondo pieno di vitalità dell’artista
venezuelano Jorge Goncalves Romero, secondo il quale
attraverso il ballo è possibile connettersi con la natura e
l’energia del creato. Le tele di Costas Joachim, artista cipriota,
raccontano storie mitologiche di dee e regine rappresentate
in chiave moderna ma con riferimenti alle decorazioni
ellenistiche delle anfore antiche. Le opere di Oretta Rangoni
Machiavelli, discendente dalla famiglia di Niccolò Machiavelli,
mostrano colori e misteri dei fondali marini dominati da
pesci variopinti e preziose gemme. Con i dipinti dello svedese
Fredrik Olsen possiamo tuffarci “nel blu dipinto di blu”, attraversando
mari sconfinati e tempestosi e risalendo in alto
verso le nuvole, che si aprono su nuovi orizzonti. L’architetto
israeliano Uri De Beer, ospite diverse volte della Biennale di
Venezia, immagina il futuro dell’umanità su altri pianeti con
il progetto “Red City”, una città popolata di forme organiche
che secondo l'artista richiamano l'universo vivente. Il cinese
He Si’en, docente e vicerettore dell’Università di Chengdu e
vincitore nel 2017 a Firenze del Premio Fiorino d’Oro per la
Grafica, espone originali litografie che uniscono la moderna
tecnica della stampa digitale all’antica tradizione cinese. Il
suo progetto, intitolato Stone Landscapes, dimostra come la
bellezza si nasconda ovunque, anche in uno scorcio fatto di
sassi ed erba. Infine, le donne mascherate dell’artista inglese
Diana Archer colpiscono per la naturalezza delle figure e
la leggerezza del gesto pittorico.
La mostra Artidotum rimarrà visibile al pubblico fino al prossimo
13 di maggio e vedrà gli espositori partecipare all’asta di
arte contemporanea sulla piattaforma della casa d’aste milanese
Wondike. Per ricevere informazioni dettagliate sulla mostra
o per partecipare all’asta scrivere a: mbstudioarte@gmail.com
ARTIDOTUM 3D
59
Mauro Mari Maris
La forza “selvaggia” del colore
Paesaggio toscano, cm 50×70 (collezione privata M.P.)
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
A cura di
Alessandra Cirri
L’avvocato
Risponde
La modifica delle condizioni
di separazione e divorzio
di Alessandra Cirri
Molti clienti si rivolgono al mio studio chiedendomi
se sia possibile modificare gli accordi raggiunti
in sede di separazione o di divorzio, o di quanto
disposto da una sentenza. Ebbene, il diritto di famiglia non
soggiace al principio giuridico rebus sic stantibus che si
applica in tutte le altre materie del diritto. Questo significa
che, una volta terminata la causa, emessa una sentenza
e decorsi i termini per l’impugnazione, tale sentenza non
può essere modificata. Il diritto di famiglia ha invece una
sua peculiarità, in quanto tratta di situazioni volte a continue
evoluzioni e mutamenti. Per tale motivo si può sempre
rivedere quanto pattuito in sede di separazione e di divorzio.
Le ragioni possono essere molteplici, tuttavia è necessario
ed indispensabile che il motivo rivesta il carattere di
“novità” e che sia “sopravvenuto” dopo l’emissione dell’omologa/sentenza
di separazione o di divorzio. Deve trattarsi
di una circostanza non conosciuta o non intervenuta al
momento in cui le parti si sono separate o divorziate, tale
da aver creato uno squilibrio tra i coniugi per le loro condizioni
economiche o per i rapporti con i figli. Si è già esposto,
nello scorso articolo, che i temi da affrontare nelle separazioni
e nei divorzi riguardano sempre: l’affidamento dei figli
minori; l’assegno quale contributo al mantenimento dei
figli; l’assegnazione della casa familiare ed eventualmente
l’assegno di mantenimento o divorzile per il coniuge più debole
e bisognoso. In tutti questi casi si possono verificare
fatti nuovi, basti pensare ad un coniuge che perda il lavoro,
vada in pensione con riduzione di redditi, presenti pa-
tologie, oppure ad un figlio che, collocato prevalentemente
presso un genitore, decida in seguito di andare a vivere con
l’altro genitore. E ancora: un coniuge che costituisca una
nuova famiglia o convivenza, oppure passi a nuove nozze; il
figlio che abbia raggiunto l’indipendenza economica perché
ha trovato un lavoro stabile tale da renderlo autonomo, e
così via. Le fattispecie possono essere le più varie, tuttavia,
una volta verificatesi, non comportano, in modo automatico,
la modifica di quanto è stato pattuito nella separazione
o nel divorzio. La persona che voglia modificare quanto
stabilito in sede di separazione o di divorzio, dovrà adire il
tribunale e instaurare un procedimento di volontaria giurisdizione
in Camera di Consiglio e richiedere le necessarie
modifiche (art. 710 c.p.c. o art. 9 L. 898/1970 modif. da L.
78/1987). Laddove entrambi gli ex coniugi siano concordi
nel modificare le condizioni della loro separazione o del divorzio,
possono proporre un ricorso congiunto al tribunale
competente, oppure ricorrere alla negoziazione assistita (L.
n. 132/2014, modif. L. 164/2014), con una procedura più
celere svolta con l’assistenza di due avvocati e sottoposta
al vaglio e al controllo del pubblico ministero. Con l’art. 4
della legge 08.02.2006 n. 54, le modifiche possono essere
richieste anche da genitori non coniugati in merito alla disciplina
dell’affidamento dei figli, del loro mantenimento o
collocamento, che erano state pattuite con il ricorso per affidamento
dei minori. In questa fattispecie, però, non è possibile
ricorre al procedimento più rapido della negoziazione
assistita, credo per una svista del legislatore.
Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università
di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione
di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto
di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista
dal 2006.
Studio legale Alessandra Cirri
Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze
+ 39 055 0164466
avvalecirri@gmail.com
alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it
SEPARAZIONE E DIVORZIO
61
Massimo Bruni
Collezionista di auto e
moto d’epoca dal 1990
Via della Casina 94 - 52043, Castiglion Fiorentino (FI)
Per informazioni su mezzi d'epoca contattare:
alfasei@hotmail.it
+39 338 7498684
A cura di
Aldo Fittante
La tutela
dell’ingegno
Il genio italiano cresce nonostante
la crisi pandemica
di Aldo Fittante
Gli italiani, popolo di poeti, artisti, navigatori e,
non ultimo, inventori. Volendo citare le invenzioni
italiane che hanno fatto la storia c’è solo
l’imbarazzo della scelta: dall’energia nucleare di Enrico
Fermi nel 1933 al telefono di Antonio Meucci nel
1871, dalla radio di Guglielmo Marconi nel 1896 alla
pila di Alessandro Volta nel 1799, dalla matita meccanica
Aurora nel 1924 al motore a scoppio di Eugenio
Barsanti e Felice Matteucci nel 1835, dalla Vespa
per Piaggio antenata dei moderni e diffusissimi scooter
di Corradino D’Ascanio nel 1946 al polipropilene
isolattico ovvero la più nota plastica di Eugenio Natta
nel 1954, dalla Moka di Luigi De Ponti per Bialetti nel
1933 al microchip di Federico Faggin nel 1971. L’elenco
potrebbe proseguire e potremmo citare molte altre
invenzioni e brevetti del nostro paese: quello che vogliamo
sottolineare è quanto sia innegabile che il genio
creativo italiano abbia davvero cambiato il mondo.
Del resto neppure l’acuirsi della crisi – non solo sanitaria ma
anche ed anzi sempre più socio-economica – determinata
dall’emergenza Coronavirus ha frenato il genio italiano. A dirlo
sono i dati ufficiali dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO).
Ed infatti nonostante la crisi economica ed il calo della fiducia
dei consumatori, durante la pandemia c’è stato un inaspettato
boom di brevetti italiani depositati presso l’Ufficio
Europeo dei Brevetti, dimostrando che l’eccellenza nella ricerca
ed innovazione che tradizionalmente contraddistingue
le imprese italiane resiste ed anzi può offrire una chiave per
uscire dalla crisi che la pandemia ha reso ancor più drammatica.
Dati alla mano, le domande di brevetti provenienti
dall’Italia presso il suddetto ufficio sono cresciute del 2,9%
su base annua nel 2020. In base all’indice europeo dei brevetti
– EPO Patent Index – ufficialmente pubblicato di recente,
il tasso di crescita è stato quasi il doppio rispetto all’anno
precedente (nel 2019 si era infatti registrato un + 1,5%). A
fronte delle circa 4600 domande di brevetto depositate all’E-
PO e riconducibili al nostro paese, il presidente dell’Ufficio
Europeo dei Brevetti Antonio Campinos ha significativamente
osservato: «Nonostante l’Italia sia uno dei paesi più colpiti
dalla pandemia, le aziende e gli inventori italiani sono
riusciti a depositare un numero record di domande di brevetto
nel 2020. Non è un’impresa da poco ed è una notizia incoraggiante
perché sappiamo che sono la ricerca e la scienza
che porteranno a un mondo più sostenibile e che l’innovazione
è il motore della ripresa economica». Il dato dell’aumento
delle domande di brevetto italiane è ancor più eclatante
se si considera che si colloca in controtendenza con quanto
avvenuto nel resto d’Europa: le richieste totali sono infatti
leggermente diminuite nel 2020, segnando una flessione
Una sala della Triennale di Milano, vero e proprio tempio del genio italiano
pari al – 0,7%. Le domande di brevetto giunte da tutti i paesi
del mondo all’Ufficio Europeo dei Brevetti hanno registrato
nell’anno del Covid-19, com’era prevedibile, una crescita
significativa soprattutto nel settore farmaceutico (+ 10,2%),
biotecnologia (+ 6,3%) e tecnologia medica (+ 2,6%). Quanto
all’Italia, nella crescita del 2,9% rispetto all’anno precedente,
nei brevetti richiesti all’EPO è sempre il settore dei trasporti
e della meccanica – in controtendenza rispetto agli altri paesi
– a fare da traino. Nella tecnologia medica gli italiani hanno
depositato il 6% di domande in più di brevetto rispetto al
2019, superando nettamente l’aumento medio complessivo
del 2,6%. La crescita più forte tra i principali settori tecnici si
è però registrata nelle domande di mobili/giochi (+ 6,1%) e di
prodotti farmaceutici, che sono aumentati del 22,4%. Nella
classifica delle imprese italiane che hanno depositato all’E-
PO più domande di brevetto si segnalano con ottantuno domande
il fornitore di macchine per il tabacco GD, seguito dal
produttore di cavi Prysmian (57) e da Pirelli (47), Chiesi Farmaceutici
(38), la società aerospaziale e di sicurezza Leonardo
(29), Ansaldo Energie (26), Freni Brembo (24), Istituto
Italiano di Tecnologia IIT (22), Telecom Italia (22) e Saipem
(21). La notizia dell’aumento delle domande italiane di brevetto
per invenzione ci consente di registrare una nota di ottimismo
in un quadro innegabilmente drammatico. L’Italia ha
dimostrato ancora una volta una grande capacità di reinventarsi.
L’augurio è che, una volta superata l’emergenza sanitaria
che tutti ci auguriamo di poter archiviare al più presto, si
possa far leva sulla propensione alla ricerca e all’innovazione
delle imprese italiane per rispondere velocemente ed efficacemente
anche alla grave situazione economica determinata
dalla pandemia.
GENIO ITALIANO
63
Il super tifoso
Viola
A cura di
Lucia Petraroli
Luciano Chiarugi
La Fiorentina ieri, oggi e domani nell’intervista ad uno dei più
imprevedibili e fantasiosi giocatori della storia viola
di Lucia Petraroli
Lo chiamavano “Cavallo Pazzo” per il suo estro calcistico.
Memorabili i suoi gol direttamente dal calcio
d’angolo. Per lui venne inventata addirittura la parola
“chiarugismo”, che sta a significare un’attitudine simulatoria
alla caduta. Gianni Brera scriveva di lui “lazzi da morituro”. È
stato un campione di classe cristallina Luciano Chiarugi, che
per vent’anni ha giocato da professionista, di cui sei nella Fiorentina
di Bruno Pesaola, dove ha vinto lo storico scudetto
del ’69. Anche dopo aver attaccato gli scarpini al chiodo, è
stata la Fiorentina a dargli l’opportunità di allenare, dai giovani
alla prima squadra, sempre col viola nel cuore.
Ti aspettavi le dimissioni di Prandelli e il ritorno di Iachini?
Si era già capito dalla partita contro il Benevento che qualcosa
non andava, poi ancora di più dopo il Milan. Dispiace per
Cesare e soprattutto per le ricostruzioni non veritiere. Ha avuto
l’onestà di ammettere il suo disagio in questa situazione.
Tutto fatto per il bene della Fiorentina. Va rispettato l’uomo
e la sua decisione, è un gesto nobile. Non so se le dinamiche
della società c’entrino qualcosa, ma credo avrebbero dovuto
stargli più vicino. Oggi un in bocca al lupo va a Iachini per
portare in salvo la squadra.
Come giudichi il momento in casa Fiorentina?
Bisogna stare coi piedi per terra, la classifica ancora non rispecchia
il valore di questa squadra. Abbiamo partite difficili
da disputare, speriamo che la Fiorentina possa farci vedere
buone cose come ha fatto
già in alcune partite.
Come valuta l’attacco viola?
Molto dipende dalle condizioni di Ribery, vero leader che sta
facendo tanto per questa squadra, e di Vlaovich per tirarci
fuori dalle situazioni difficili. Ma anche Eysseric sta facendo
bene, come la difesa con Caceres.
Commisso chiamato a delle scelte, panchina e direttore
sportivo, cosa si aspetta?
Noi abbiamo 10-11 difensori che sono tanti, bisogna sfoltire
questo gruppo e avere più scelta davanti. Sicuramente si
dovrà lavorare sul tecnico per capire se continuare insieme
oppuro no e bisognerà valutare la condizione di Ribery e soprattutto
il futuro di Vlaovich.
Come giudica la gestione Commisso?
Ha una grande voglia di fare ma va rivisto il lavoro dei suoi
stretti collaboratori. C’è una squadra che cambia poco il passo,
a centrocampo giocatori similari e pochi gol da parte dei
giocatori extra attacco.
D’accordo con Commisso sulla questione stadio?
Credo che in primis lui vorrebbe avere buoni risultati dal campo.
Per il resto bisogna stare attenti che il presidente non si
stanchi, la burocrazia italiana dovrebbe cercare di snellire i
percorsi per la realizzazione dei nuovi impianti.
Quali differenze tra questa e la sua Fiorentina?
Luciano Chiarugi in maglia viola
Salvezza sicura?
Dobbiamo ancora soffrire, incontrare
squadre difficili, la
classifica ci può dare ad oggi
una certa tranquillità, ma bisogna
guardare anche quello
che fanno le altre. Togliersi la
paura di dosso ed essere concentrati
è necessario per fare
sul campo partite positive.
Sono due squadre diverse, noi eravamo molto giovani, venivamo
da campionati di alti e bassi, ma avevamo fame, quella
che ci ha permesso di ottenere risultati, cosa che oggi
manca. Oggi i giocatori scendono in campo senza questa
spinta. La Fiorentina non può lottare ogni anno per queste
classifiche.
Il ricordo più bello in maglia viola?
Sicuramente l’esordio. Essendo da sempre un tifoso viola, indossare
la maglia era la mia massima ambizione. Grazie a
Chiappella, poi Pesaola ha plasmato tutto. E poi ancora il gol
scudetto a Torino che ci ha permesso di portare a casa quel
sogno. Vincere uno scudetto per la Fiorentina è una soddisfazione
in più.
64
LUCIANO CHIARUGI
A cura di
Manuela Ambrosini
Di-segni
astrologici
Ariete
Tenace e combattivo come un guerriero, sotto l’armatura
nasconde un cuore sensibile
di Manuela Ambrosini
Entri come la primavera, sbucando alla superficie con i
tuoi colori e con grinta, come un bucaneve che vuole
a tutti i costi affermare la vita, come un guerriero che
brandisce la spada per farsi avanti nella mischia. Senza mezze
misure, tu prendi fuoco all’istante, amico dell’Ariete, e chi non
può tenerti testa è vinto dalle fiamme della tua voglia di esserci,
comunque sia, qualunque sia il prezzo da pagare. A volte forse,
dopo la battaglia, ti chiedi se ne valeva la pena. Conosci il senso
di colpa e ti lambicca il cervello l’idea che avresti potuto aspettare
un momento prima di radere al suolo la città delle aspirazioni
dell’altro, ma non puoi farne a meno e, in fin dei conti, chi ti ama,
ti segua. Tu sei così, prendere o lasciare. Del resto, non hai appena
sfilato la tua spada dalla guaina per salvare un oppresso?
Conta poi tanto l’aver riempito di una distesa di cadaveri la piazza?
Ecco, diciamo che, con l’età e qualche amico/a della Bilancia
a fianco, potresti iniziare a contare fino a dieci prima della
strage, comunque, mi sento di dirti che: ne vale la pena. Perché
tu sei la spontaneità dell’innocenza fatta persona. Sei la sensibilità
che sotto l’armatura possono scorgere solo in pochi, e guai
a fartene parola, è la stessa di un giovane virgulto che si affaccia
alla vita in primavera. Quindi hai diritto al tuo posto al sole,
come tutti gli altri segni, anzi, per primo. Eh sì, perché sei tu,
amico caro, a dare inizio alla
ruota zodiacale e questo
ti conferisce una responsabilità.
Non spetta poi a
te portare avanti il carretto,
che ci pensi il Toro: tu sei
qui per sfondare la porta
della mancanza di opinioni
e sogni, sei qui per dimostrare,
nell’arco temporale
esistenziale, che la vita vincerà
sempre, sopra ogni
cosa. Anche quando la minaccia
più oscura rende il
cammino difficile, tu porti,
come un paladino della
Salvatore Sardisco, Ariete (2020), linearismo
continuo, biro su carta, cm 33x24 notte, le forze del giorno a
www.salvatoresardisco.art / + 39 335.5394664 raccontare la storia più an-
tica del mondo: i buoni e i cattivi che si mettono gli uni contro gli
altri, smarrendo gradualmente il confine di chi fa del bene e chi
fa del male, si trasformano in giustizieri da ambo i lati. Quanta
fatica stare nella verità senza sacrificare la compiacenza, la virtù
di piacere a tutti e in tutte le occasioni, prendendoti la licenza
di risultare egocentrico ed egoista. Ci vuole fegato e a te non
manca il coraggio. Possa la tua energia farsi strumento di benedizione
alla luce dell’amore universale.
Gianni Moramarco, Batman Pop Art, grafica e collage pop up 3D,
cm 62,5x62,5x7,5
Opera acquistabile presso:
Boîte-en-valise Arte
Via del Battistero 54 - 55100 Lucca
info@boite-en-valise.it
www.boite-en-valise.it
Boîte En Valise Arte Lucca
@boite.en.valise.arte.lucca
Astrologa, professional counselor, facilitatrice in costellazioni
familiari, è fondatrice del metodo di crescita personale Oasi di
Luce e insegnante di Hatha Yoga. Vive e lavora a Monsummano
Terme, effettua incontri individuali di lettura del tema natale astrologico
e di counseling ed è insegnante del corso online di astrologia
umanistica Eroi di Luce.
+ 39 3493328159
www.solisjoy.com
manuela.ambrosini@gmail.com
Solisjoy
Manuela coccole per l’anima
ARIETE
65
Toscana
a tavola
A cura di
Franco Tozzi
I fagioli
Un legume antico e prezioso arrivato in Europa dall’Africa e dall’America
di Franco Tozzi
La culla dei fagioli è l’Africa, poi da lì, in tempi remoti,
sono arrivati in Europa attraverso la Grecia. A
Sparta, ad esempio, erano usati crudi come antipasto.
Virgilio non li apprezzava ritenendoli “cibo da poveri”.
Il fagiolo più antico è quello “con l’occhio” – chiamato dorico
per la provenienza dalla Grecia – che veniva coltivato
a terra, mentre altri tipi venivano fatti crescere su pali
ed avevano, secondo quanto scrive Mattioli, medico e botanico
cinquecentesco, diverse colorazioni o erano “penticchiati”
in diversi colori. Con la scoperta dell’America, ed in
particolare dopo il viaggio di Colombo che approdò a Cuba,
arrivarono in Europa quelli che oggi chiamiamo “cannellini”,
all’epoca detti “fagioli di Spagna”; erano merce preziosa,
tant’è che figurano tra i regali di nozze per il matrimonio
del re di Francia e Caterina de’ Medici. In Toscana furono
portati da Papa Clemente VII, della famiglia Medici, che li
aveva avuti in dono dall’imperatore Carlo V. Un motivo rilevante
del loro successo gastronomico è stato anche il fatto
che la Chiesa, nei tempi antichi, con le sue oltre cinquanta
feste religiose, imponeva di mangiare di magro ed il fagiolo
era un valido sostituto a buon mercato della carne.
Da subito furono impiegati per zuppe e minestre: la più famosa
è la “messciua”, tipica zuppa spezzina fatta con vari
tipi di leguminose e cereali che fuoriuscivano dai sacchi
e che le donne andavano a raccogliere sui moli del porto.
Come molte altre piante alimentari, ogni zona ha selezionato
tipologie diverse di fagioli che oggi rischiano di scomparire.
Le varietà toscane più conosciute sono i cannellini
(tipici quelli di Sorano) ed i borlotti di
Maremma. Esistono poi altre qualità
meno commercializzabili come vari
tipi di bigiolo, la piattella pisana, il
rosso e lo scritto di Lucca, il giallorino,
il seme nero Marconi ed il notissimo
zolfino; abbiamo anche un IGP: il
sorano. La ricetta di un antico risotto
ha come base il fagiolo antico, quello
con l’occhio.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
La ricetta: risotto ai fagioli con l’occhio
Ingredienti per 4 persone:
- 2,50 etti di fagioli con l’occhio
- 1,50 etti di riso vialone
- 1 ciuffo di cavolo nero
- scalogno
- carota
- sedano
- aglio
- 1 ciuffo di salvia
- 1 ciuffo di ramerino
- ½ bicchiere d’olio di oliva
- sale e pepe q.b.
La sera prima mettere i fagioli in ammollo, aggiungendo salvia
e ramerino. Il giorno dopo metterli a lessare; in una padella
soffriggere lo scalogno, la carota, il sedano e il cavolo
tagliato fine; verso fine cottura aggiungere l’aglio schiacciato
e togliere dal fuoco. Quando i fagioli sono cotti, passarne
la metà, rimettendoli poi nella pentola, con tutto il loro liquido
e far riprendere il bollore; aggiungere riso, sale e pepe. Se
il riso “tira” troppo, aggiungere acqua calda, con molta moderazione.
Servire il risotto con un filo d’olio ed una spruzzata
di pepe.
66
I FAGIOLI
A cura di
Paolo Bini
Arte del
Vino
Il gioco degli abbinamenti: primi di terra
di Paolo Bini
La manifesta italianità, seduti a tavola o
dietro ai fornelli, passa necessariamente
dalla pasta… chi può contestarlo? Il
piatto più rappresentativo del mangiare insieme,
dell’allegria e della fame incontrollabile, resiste
anche in epoca di macrobiotico, microproteico e
vegan continuando a simboleggiare lo spirito nazionale
delle cucine stellate, di quelle casalinghe,
dei ristoratori emigrati all’estero e dei locali lungo
lo stivale con le specialità regionali declinate
in infinite varianti sfiziose e succulente. In Toscana
è resistita la tradizione del “piatto povero”,
oggi fulcro del moderno rinascimento culinario,
grazie a ingredienti che non scardinano le tabelle
nutrizionali amate dai dietologi e la pasta, cibo
cardine della sana alimentazione, è ovunque protagonista sublimandosi
particolarmente nell’entroterra dove i condimenti
sono quei preparati tipici della vita contadina e di caccia. Se
vogliamo ben abbinare un vino a primi piatti di verdura e carne,
come le zuppe o le paste al sugo, occorre avere ben chiaro
cosa significa persistenza del gusto e intensità del sapore.
Una farinata al cavolo nero o una ribollita, si presenteranno
in bocca con aromi ben delineati e di buona ricchezza ma anche
se fossero impreziosite (come talvolta accade) da tocchi
di rigatino, non avranno mai la forza gustativa di un ragù di
selvaggina sulla pasta all’uovo che, in fase di abbinamento,
gradiscono un vino rosso di buona struttura senza però scomodare
i vini epici di lunghissimo invecchiamento. Gli amidi
del frumento danno poi una sensazione morbida che in bocca
pare quasi di dolcezza: più diventa percettibile e più il nostro
vino dovrà avere il fresco brio succoso della gioventù.
Ecco che, una volta valutata la struttura del piatto nonché il
vigore e la lunghezza dei suoi sapori, possiamo andare a scegliere
il corretto abbinamento con gli innumerevoli vini rossi
giovani e di medio corpo che, se proprio vogliamo essere
iper-patriottici, la nostra Toscana ci regala. Chianti, Vino Nobile,
Morellino sono alcune fra le DOCG più rappresentative
che citiamo giusto a mero esempio così come il marchio Toscana
IGP che raccoglie prodotti da ogni angolo regionale.
Toscana IGP Green Label, I Balzini
Rosso di Montalcino DOC, Capanna
È Toscana IGP anche il Green label I Balzini, vino che la nota
azienda di Barberino Tavarnelle (FI) produce con uve Sangiovese
e Mammolo. Il corpo contenuto, la gradevolezza e la
scorrevolezza al palato, dove freschissimi aromi di violetta e
rosa si uniscono a quelli di lampone e ciliegia, sono il miglior
viatico per l’accostamento ai pici all’aglione (che siano con
briciole o ragù) oppure al farro alla casentinese con pancetta.
Se la pasta diventa davvero sostanziosa e il condimento
generoso, ecco che un prodotto come il Rosso di Montalcino
DOC Capanna può fare al caso nostro. Sangiovese 100% con
passaggio in botte grande, il vino ha spessore di tutto rispetto
con una veste rubino lucente da cui escono profumi di frutti
rossi, mammola con tocchi vanigliati e, se giovane, ricordi
di arancia che in bocca sprizzano con piacevole acidità e una
lieve astringenza ideali per bilanciare la tendenza dolce della
pasta e l’untuosità del condimento. Da provare su tortelli
di patate al sugo di anatra o sulle pappardelle al cinghiale.
IL GIOCO DEGLI ABBINAMENTI
67
Eccellenze toscane
in Cina
A cura di
Michele Taccetti
TK Group Srl
Servizi finanziari per l’internazionalizzazione delle imprese
di Michele Taccetti
La TK Group Srl, nata nel 2006 con l’obiettivo di offrire
servizi di consulenza alle imprese attraverso il proprio
gruppo di esperti e un network presente in tutta Italia,
rappresenta l’evoluzione della Tikappa Srl costituita nel 1992.
Uno dei punti di forza del gruppo è senza dubbio l’area della finanza
alle imprese, ovvero il supporto e l’assistenza per la finanza
ordinaria e quella straordinaria, la finanza agevolata, il
leasing, il factoring e la garanzia fidi (www.tkcredigo.it). La società
svolge professionalmente il ruolo di “mediatore creditizio”,
attività che presuppone l’iscrizione in un apposito elenco
tenuto dall’OAM (Organismo degli Agenti e dei Mediatori) a cui
TK è ufficialmente iscritta e quindi accreditata con tutti i requisiti
previsti dalla legge (OAM M145). Il mediatore creditizio è
colui che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza,
banche o intermediari finanziari con la potenziale clientela
per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.
Forse non tutti sanno che svolgere l’attività di agente in un’attività
finanziaria o di mediatore creditizio senza essere iscritto
negli appositi elenchi è punito con la reclusione da 6 mesi
a 4 anni e con una multa da euro 2,065 a euro 10,329. Uno dei
servizi innovativi offerti da TK Group è quello legato alla consulenza
per l’internazionalizzazione delle imprese. Nel 2020 è
stato siglato un accordo di collaborazione con China 2000 Srl
per lo sviluppo dell’internazionalizzazione soprattutto verso la
Repubblica Popolare Cinese, dove China
2000 è stabilmente presente da anni,
ma anche verso altri paesi dove è presente
con i suoi partner. Il punto di forza
di questa collaborazione, già in corso
da tempo, risiede nel core business delle
due società: da un lato TK Group assiste
le imprese per l’accesso al credito e la ricerca di contributi
a fondo perduto o a tasso agevolato per le varie fasi dell’internazionalizzazione
e dall’altro China 2000 mette a disposizione
l’esperienza e la presenza ultradecennale sul mercato cinese.
Questa formula risulta essere vincente nei processi di internazionalizzazione
delle piccole e medie imprese che hanno necessità
di affrontare i mercati del futuro come la Cina, ma sono
prive di risorse umane specializzate e di cash flow. La ripartenza
post Covid necessita di programmazione e solide basi finanziarie
e TK Group, con la sua esperienza ed i suoi partner, è
dalla parte delle imprese per assisterle e guidarle nella ricerca
di strumenti finanziari e commerciali necessari al loro sviluppo
in Italia ed all’estero.
Tk Group Srl
Piazza L. Muratori, 3, 50134 - Firenze
www.tkgroup.it
Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il
Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici
Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di
marketing ed internazionalizzazione.
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
taccetti_dr_michele
Michele Taccetti
68
TK GROUP SRL
A cura di
Jacopo Chiostri
Consulenza
bancaria
I bonus per l’edilizia
Gianluca Bresci, direttore commerciale del Banco Fiorentino,
spiega perché sono un’opportunità da cogliere
di Jacopo Chiostri
Gianluca Bresci, direttore commerciale del Banco
Fiorentino, questi bonus edilizi sono davvero
un’opportunità?
Assolutamente sì, la volontà di riqualificare il patrimonio
immobiliare del paese questa volta si appoggia a misure
economiche concrete; noi consigliamo ai nostri clienti,
e non solo, di profittarne, di rivolgersi quindi a professionisti
qualificati per procedere. È un momento importante
per un salto di qualità su quel bene prezioso che è la casa,
e siamo lieti come sistema finanziario di poter fare la
nostra parte.
Quali sono le tipologie di interventi possibili, con quali agevolazioni?
Fino al 30 giugno 2022 è possibile sfruttare il bonus del
110% per i lavori in casa finalizzati al risparmio energetico
e all’adeguamento antisismico, a prescindere dalla data di
stipula del contratto e dell’inizio dei lavori. Oltre all’aumento
della percentuale di detraibilità, rispetto alle agevolazioni
per riqualificazioni e ristrutturazioni, la novità più importante
è rappresentata dal meccanismo dello sconto in fattura,
accanto alla possibilità di cessione del credito d’imposta alla
banca. L’obiettivo è consentire alle famiglie di effettuare
lavori in casa a costo zero, attraverso due possibili procedure:
anticipo del costo dei lavori, con una successiva cessione
del credito d’imposta alla banca; oppure, si cede il
credito d’imposta all’impresa che realizza i lavori che, a sua
volta, potrà utilizzare la
somma in compensazione
per il pagamento delle imposte
o cederlo a sua volta
senza limiti, e anche alle
banche. Rimane, comunque,
la possibilità di usufruire
dell’ecobonus e del
sismabonus in detrazione
fiscale, con la dichiarazione
dei redditi, per cinque
anni. Da ricordare poi che
sono state prorogate al Gianluca Bresci, direttore commerciale
31/12/2021 le misure del del Banco Fiorentino
cd “bonus ristrutturazioni”
e “bonus facciate” al 90%. Da sottolineare che la possibilità
di cedere il credito a intermediari finanziari consentirà
anche ai soggetti fiscalmente incapienti di adire ai benefici
dei bonus.
Ci sono costi per la cessione del credito alla banca?
L’unico costo previsto per la cessione è la percentuale di
sconto finanziario applicato sul credito e dipendente dalla
durata del medesimo. Ad esempio, la cessione di un credito
relativo al superbonus consente, in linea di massima, di recuperare
nell’immediato l’intero costo dei lavori. La procedura
di cessione è molto semplice, prevede la possibilità di
avere certezza del prezzo e dell’acquisto anche prima dell’inizio
dei lavori. Peraltro, nel caso
in cui non ci sia necessità di finanziamento,
la banca non si avvale di
nessun asseveratore esterno e richiede
un set documentale molto
snello. I tempi di liquidazione
del credito variano a seconda dei
casi e dipendono essenzialmente
dall’attività di riconoscimento del
credito da parte dell’Agenzia delle
Entrate; si va comunque da un minimo
di 5/6 giorni nel caso di credito
già presente nel cassetto fiscale
del cliente, ad un massimo di 4/5
giorni nel caso in cui il credito sia
da comunicare ex novo.
BONUS PER L’EDILIZIA
69
Percorsi trekking
in Toscana
A cura di
Julia Ciardi
Le Parole d’Oro
Un magico sentiero sul versante lucchese del Monte Pisano
Testo e foto di Julia Ciardi
Su consiglio di una cara amica che mi ha raccontato di
aver fatto il percorso detto “Le Parole d’Oro”, ho voluto
anch’io visitare questo luogo dal nome così particolare
che si trova a due passi dall’acquedotto monumentale di
Guamo, visibile dall’autostrada Firenze-Mare A11. Visto che si
è da poco festeggiata la Giornata Mondiale dell’Acqua – il 22
marzo –, è importante ricordare, proprio attraverso questa maestosa
costruzione, il grande valore di questa risorsa naturale
così preziosa e insostituibile. Quello dell’approvvigionamento
idrico è un problema molto sentito a livello globale; per questo
il World Water Development Report (WWDR 2021) raccomanda
un equo utilizzo dell’acqua. Se passando dall’autostrada siete
sempre rimasti affascinati dalle arcate di questo imponente
acquedotto, dopo aver letto l’articolo pianificherete una mezza
giornata da dedicare alla scoperta di questa opera ingegneristica
e del percorso ad essa correlato. Per prima cosa, va
detto che si chiama acquedotto del Nottolini perché prende il
nome dal regio architetto lucchese che lo progettò nel 1822 su
commissione della duchessa di Lucca Maria Luisa di Borbone.
Eretto nei pressi di Guamo, in località San Quirico (LU), è un capolavoro
ingegneristico in stile romano ma di epoca neoclassica.
Da Guamo si può parcheggiare la macchina in una corte
dove c’è un abitato e dei parcheggi non residenziali. Ma anche
se venite in treno o in autobus, non vi preoccupate: c’è un percorso
che comincia proprio fuori dalla stazione ferroviaria di
Lucca. Partendo dall’acquedotto ad alte arcate a tutto sesto
troviamo un’indicazione del CAI che ci indirizza verso destra,
davanti al Tempietto di San Concordio, costruito su un tumulo
di una collina dalla quale si possono
osservare le montagne lucchesi ancora
innevate. Secondo il progetto di
Lorenzo Nottolini, l’acqua, prelevata
da circa diciotto fonti purissime
della Serra Vespaiata, del Rio San
Quirico e del Rio della Valle, veniva
convogliata in questo tempietto-cisterna
a pianta circolare e in stile neoclassico.
Ma riprendiamo il nostro
percorso, che può avere diverse caratteristiche:
può essere intenso,
cominciando dalle mura di Lucca oppure,
se parcheggiate sotto la chiesa
di San Quirico di Guamo, si può optare
per una passeggiata più rilassante
tra storia e natura alla ricerca di
freschezza e di gioielli nascosti che
portano in un luogo fuori dal tempo,
dove gustare i vostri picnic in compagnia
di amici a due e quattro zampe.
Il Tempietto di San Concordio
Il condotto lastricato parallelo al sentiero
70
LE PAROLE D’ORO
Superato il tempietto, si imbocca un sentiero
parallelo ad un condotto in lastricato lungo
il quale appaiono ogni tanto delle casette
(raccoglitori di fonti che drenano l’acqua). Dopo
non più di 2 km veniamo catapultati in un
mondo sperduto, nascosto dalle fronde degli
alberi. Si intravede fin da subito il Ponte dalle
Parole d’Oro, così definito dai contadini che
andavano a riempire le loro borracce d’acqua
a questa fonte. Si tratta, in realtà, di scritte in
ottone che, essendo scambiate per oro, sono
state spesso deturpate nel corso del tempo.
La scritta recita (qui riportiamo la traduzione):
Carlo I Ludovico di Borbone, duca nobilissimo
ed augusto, raccogliendo le acque da diverse
sorgenti e convogliandole con abbondanza
verso i ponti cittadini lasciò memoria eterna
del suo ducato. La spalla del ponte è permeata
da una cascata artificiale costruita in mattoni
che richiamano quelli utilizzati per quasi
tutta l’opera ingegneristica dell’acquedotto. Il
suono dell’acqua che sgorga consente di immergersi
in una dimensione bucolica. Oltre il grande prato che
accoglie i vostri picnic, la passeggiata prosegue rincorrendo la
scia serpentina che taglia a zig-zag la scoscesa montagna del
versante lucchese. L’immenso verde mantenuto in vita dall’acqua
pura ci fa strada in una salita tra mura che la contengono.
Sembra davvero di camminare in uno scenario quasi esotico
che conduce fino alle città di Livorno e Pisa, luoghi portuali che
L'acquedotto del Nottolini
sono stati protagonisti nel corso dei secoli degli incontri tra civiltà
e culture orientali. Che dire: una passeggiata davvero speciale,
con costruzioni uniche e un’attenzione all’ambiente che
anticipa la sensibilità ecologista dei nostri tempi.
Per informazioni sui percorsi:
@dearmoon.ju
In queste due foto il Ponte delle Parole d'Oro
LE PAROLE D’ORO
71
Aziende in
Toscana
L'arte di produrre vino
Ne parliamo con Mario Innocenzo Catambrone, titolare dell’azienda
agricola Podere Papèra
di Doretta Boretti
Nonostante la pandemia, la filiera
del vino continua la sua
corsa: nel primo trimestre del
2021, ipermercati, supermercati e libero
servizio hanno mosso 301,2 milioni
di euro di vino, per 80,8 milioni di litri,
con una crescita, confrontando lo
stesso periodo 2020 (pre-pandemia),
dell’8,4 in volume e 18,6 in valore (dati
GDO, IRI, Italia vino). Per questa intervista,
ci troviamo in un’azienda agricola
nel cuore del Chianti, in compagnia
dell’imprenditore Mario Innocenzo Catrambone,
al quale abbiamo chiesto
di spiegarci quanto lavoro richieda la
produzione di questo nettare prezioso,
soprattutto in un momento così complicato.
Quando è nata questa azienda?
Alla fine degli anni Settanta, io e mio
fratello acquistammo la proprietà che
era stata in parte abbandonata. Ci vollero
alcuni anni per far rinascere alberi,
viti e ulivi, ma a metà degli anni Ottanta
fummo pronti per aprire l’azienda agricola
Podere Papèra.
Sì, ci siamo occupati da subito della produzione del vino e
ad oggi abbiamo 4500 viti e produciamo circa una cinquantina
di quintali di vino Chianti Classico per una cantina con cui
siamo associati.
Mario Innocenzo Catrambone, titolare dell’azienda agricola Podere Papèra
Vi siete occupati da subito di produ-
zione vinicola? Quanto vino producete e con che quantità
di viti?
in inverno, deve essere potata e legata, e se nella filiera alcuni
pali sono stati danneggiati, vanno sostituiti. In primavera
la pianta va concimata e la terra intorno va lavorata.
Ad aprile la pianta inizia a germogliare: questi germogli,
crescendo, producono tralci che, oltre alle foglie, hanno
il grappolino d’uva. Ci sono anche tralci che non producono
uva.
Questo lungo periodo di crisi pandemica ha influito negativamente
anche sulla vostra attività?
No, non ci ha colpito più di tanto. Fortunatamente il lavoro è
andato avanti ugualmente.
Quanto lavoro richiedono le viti per arrivare alla nascita
dell’uva?
La barbatella è la pianta della vite che ha un anno. La vite
inizia a produrre dopo il terzo anno. La pianta, ogni anno,
Dopo la raccolta dell’uva quali sono i passaggi per arrivare
alla produzione del vino?
L’uva viene portata in cantina e versata nella sgramolatrice
che espelle il raspo e manda l’acino insieme al liquido
nella botte (il mosto). Una volta nella botte, il mosto, inizia
la fase di bollitura che dura circa quindici giorni. Durante
la fermentazione viene tolto il liquido dalla botte dal
basso e reinserito nella botte dall’alto, solo i primi giorni,
fino a ottenere il colore voluto. Resta nella botte per perdere
tutto il suo grado zuccherino. Quando ha perso il gra-
72
PODERE PAPÈRA
In questa e nella foto sotto le vigne
do zuccherino viene tolto dalla botte, filtrato e trasferito
in una nuova botte nella quale riposa per circa due mesi.
Nel primo mese viene analizzato il colore, il profumo,
il grado alcolico e l’acidità e vengono effettuati, se necessari,
piccoli interventi di correzione. A dicembre viene trasferito
in una nuova botte, rianalizzato e lasciato maturare
per quattro mesi, ma può essere imbottigliato soltanto dopo
diciotto mesi. Per questo lavoro occorrono costanza,
passione e dedizione, e non ci sono stagioni né feste comandate.
A volte anche il riposo è un lusso, ma la realizzazione
di un prodotto che confermi la qualità del vino
italiano continua a colmarmi di gioia.
PODERE PAPÈRA
73
Arte del
gusto
A cura di
Elena Maria Petrini
La Mortadella di Prato IGP, un’eccellenza
made in Toscana
di Elena Maria Petrini / Foto Gino Carosella e Maurizio Mattei
L’antica Arte dei Beccai, una delle arti minori
dei macellai, si sviluppò in epoca medievale
nella zona di Prato, grazie all’esistenza
di un fitto sistema di gore, riconducibili alle opere
di bonifica di epoca romana, che nel tempo hanno
assolto molteplici funzioni di fondamentale importanza
sia per la diffusione di opifici idraulici denominati
“gualchiere” (dove la lana lavorata e trattata
produceva i cosiddetti “pannilana” esportati già nel
Trecento in tutta Europa), sia per l’utilizzo come forza
motrice per i mulini; quindi condizione ideale per
lo sviluppo dell'attività di macellazione che necessitava
di molta acqua anche per mantenere un buon
livello di igiene. Dalla lavorazione delle carni tutti
i materiali meno pregiati venivano impiegati sin
dall’epoca rinascimentale per la preparazione di un
salume tipico della zona: la Mortadella di Prato. Un
prodotto di nicchia che era quasi scomparso e riscoperto
dopo la seconda guerra mondiale. Riconosciuto
come presidio Slow Food nel 2000, dal 2016
ha ottenuto il riconoscimento del marchio IGP. La
zona di produzione è nel comune di Prato e, in provincia
di Pistoia, nei comuni di Agliana, Montale e
Quarrata. Oggi questo tipico salume toscano viene
preparato con carni di prima scelta solo da cinque
macellerie-salumifici – Fratelli Conti, RO.MA., Mannori,
Marini e Tradizione Salumi – che fanno parte
dell’Associazione per la tutela della Mortadella di
Prato IGP, il cui compito è salvaguardarne la produzione
secondo la tradizione. L’ingrediente che caratterizza
questo tipico salume toscano, oltre alla
varietà di spezie che vengono aggiunte all’impasto,
è proprio l’alchermes.
La ricetta di questo antico
liquore risale al 1743,
anche se veniva preparato
a Firenze già nel XV
secolo ed era molto apprezzato
dalla famiglia
Medici. Di bassa gradazione
alcolica, tra i suoi
ingredienti troviamo cannella,
cardamomo, chiodi
di garofano e molti
altri, ma soprattutto la
cocciniglia ricavata dal
carapace di un insetto,
essiccato e triturato, che
Firenze, Orsanmichele, tondo dell’Arte dei Beccai
Palazzo dell’Arte dei Beccai a Firenze, oggi sede dell’Accademia delle Arti del Disegno
La macellazione dei suini (Taccuino Sanitatis Casanatense)
74
MORTADELLA DI PRATO
(ph.courtesy vetrina.toscana.it)
gli conferisce la tipica colorazione
rossa. Il disciplinare di produzione
consente il solo utilizzo
dell’alchermes prodotto dall’Officina
profumo-farmaceutica di
Santa Maria Novella a Firenze
(appartenente all’omonimo complesso
religioso e ritenuta la farmacia
più antica d’Europa) e
dall’Opificio Nunquam di Prato.
Il suo nome deriva dal termine
arabo “al-qirmiz”, che significa
sia “cremisi” sia “cocciniglia”.
Proprio nei giorni scorsi è stata
designata la nuova presidente
dell’ Associazione per la tutela
della Mortadella di Prato IGP,
Sue Ellen Mannori, che ha sostituito
lo storico predecessore
Carlo Conti.
L’interno dell’Officina profumo - farmaceutica di Santa Maria Novella a Firenze dove viene prodotto l’alchermes usato per la Mortadella di Prato
MORTADELLA DI PRATO
75
B&B Hotels
Italia
Il piano di sviluppo internazionale di B&B Hotels
di Chiara Mariani
B&B Hotels, gruppo internazionale con oltre 550
strutture tra Europa e Brasile, prosegue l’ambizioso
progetto di sviluppo in Europa e su scala globale
rafforzando anche la propria posizione finanziaria con la
ricapitalizzazione dell’assetto societario di 180 milioni di
euro, di cui 100 milioni di debito bancario e 80 milioni in incremento
di capitale sociale. Questa somma consentirà al
gruppo di proseguire con le acquisizioni di immobili e costruzioni
di nuovi hotel nel corso dei prossimi 5/10 anni.
Nonostante l’attuale situazione sanitaria abbia rallentato
gli spostamenti in tutto il mondo, il gruppo B&B Hotels è
fermamente convinto ....possibili: per questo motivo punta
ad essere presente in tutte le destinazioni nelle quali i propri
clienti desidereranno andare. Tra le nuove acquisizioni
del gruppo, si segnala quella conclusasi in Germania della
catena LetoMotel, con l’ingresso di quattro strutture in
portfolio dal 1° marzo: B&B Hotel München-Moosach, B&B
Hotel München-Trudering, B&B Hotel München – Olympiapark
e B&B Hotel Nürnberg City – Süd. Il B&B Hotel Augsburg
– West è attualmente in costruzione e la sua apertura
è prevista a giugno di quest’anno. Con questa acquisizione,
il portafoglio di B&B Hotels vanta attualmente 142 hotel
presenti in 91 città tedesche. Il gruppo si avvicina sempre
più all’obiettivo di espandere il proprio network con il raggiungimento
di 300 hotel in Germania entro il 2030. In totale,
quest’anno sono previste non meno di 70 aperture nel
mondo, di cui diverse previste entro l’estate. «Vorrei ringraziare
i nostri investitori e azionisti – in modo particolare
il nostro principale azionista Goldman Sachs – che hanno
prontamente risposto alla nostra richiesta di incrementare
il capitale. Ciò dimostra che il settore dell’hôtellerie ha un
futuro brillante davanti a sé, nonostante sia stato duramente
colpito dalla crisi sanitaria» afferma Fabrice Collet, presidente
e CEO di B&B Hotels Group, che ha aggiunto: «In B&B
Hotels siamo fermamente convinti che, una volta passata la
crisi, tutti avranno un solo desiderio: viaggiare. Qualunque
sia il motivo, che si tratti di far visita ai parenti, per affari o
semplicemente per un break di piacere, i viaggiatori avranno
bisogno di una sistemazione e B&B Hotels sarà lì, pronta
ad accoglierli ai più elevati standard qualitativi e di igiene,
con protocolli certificati per ogni paese». La crescita si riconferma
costante anche nella nostra penisola, dove B&B
Hotels Italia ha recentemente aperto il B&B Hotel Cortina
Passo Tre Croci, approdando in una destinazione esclusiva
finora presidiata prevalentemente da hotel di lusso e family
hotel e portando una nuova idea di accoglienza, che prevede
comfort e servizi smart per soggiorni in totale sicurezza,
prenotabili al miglior prezzo solo su hotelbb.com, in linea
con la filosofia del gruppo: Only For Everyone. «La strategia
di sviluppo rimane una priorità per B&B Hotels Italia anche
nel 2021 e prevede una pipeline con oltre 10 nuove aperture
nell’anno in città già presidiate e in nuove destinazioni.
In un momento storico complesso continuiamo a investire
sull’Italia e sul turismo, riconfermando la fiducia accordataci
dai nostri investitori e azionisti, e l’apertura del B&B
Hotel Cortina Passo Tre Croci ne è la prova», ha dichiarato
Valerio Duchini, presidente e amministratore delegato di
B&B Hotels Italia.
Valerio Duchini, presidente e amministratore delegato
di B&B Hotels Italia
B&B Hotel Genova
76
B&B HOTEL
B&B Hotels Group:
#onlyforeveryone: è questa la promessa
di B&B Hotels da più di
trent’anni. Acquisita dalla società
d’investimento Goldman Sachs
Merchant Banking nel luglio 2019,
il gruppo B&B Hotels è la catena alberghiera
internazionale di segmento
low budget più importante e in
più rapida crescita in Europa. Che
cosa fa la differenza? L’innovazione
costante per il benessere dei
propri clienti e la qualità nell’accoglienza
che ci rendono orgogliosi.
Oggi presente in 12 paesi con più di
550 hotel (47.000 camere), B&B Hotels
ha enormi ambizioni di crescita
e attualmente apre, in media, un
nuovo hotel a settimana. Nel 2020,
B&B Hotels ha ottenuto certificazioni
indipendenti per la gestione dei
rischi sanitari, garantendo il rispetto
di un rigido protocollo sanitario
al fine di accogliere i propri clienti
in assoluta sicurezza (Socotec per
la Francia, Belgio e Svizzera, B.C.O
Consulting per l’Italia, Applus+ in
Spagna e Portogallo, SafeGuard by
Bureau Veritas in Brasile e SYTN-
LAB per la Germania).
In questa e nella foto sotto, il B&B Hotel Cortina Passo Tre Croci
B&B HOTEL
77
Benessere e cura
della persona
A cura di
Antonio Pieri
#diamociunamano
L’iniziativa di Idea Toscana a supporto degli artigiani
di Antonio Pieri
Per nostra natura, cerchiamo sempre di essere positivi
e di vedere il lato positivo in ogni cosa. Se guardiamo
alla situazione che stiamo vivendo di lati positivi
ce ne sono ben pochi, ma se andiamo a fondo, una cosa che
questa situazione ci ha insegnato è quella di aiutare gli altri
e cercare di guardare oltre la nostra prospettiva. Con lo stesso
spirito di solidarietà che da sempre ci contraddistingue
abbiamo dato vita all’iniziativa #diamociunamano destinata
agli artigiani del nostro territorio.
Un’eccellenza unica
Come tutti sapete, l’artigianato fiorentino (e toscano in generale)
è un patrimonio unico al mondo. Gli artigiani sono conosciuti
ovunque per la bravura e qualità degli articoli che
realizzano solamente con l’utilizzo delle loro sapienti mani.
Allo stesso tempo questa brutta situazione ha colpito duramente
il settore del turismo e di riflesso tutti gli artigiani che
lavoravano anche grazie ad esso.
Le loro mani: un bene da salvaguardare
Essendo profondamente legati al territorio fiorentino e toscano,
ci siamo chiesti come potessimo aiutare in qualche modo. Ci
siamo resi conto che nessuno si è mai preoccupato di prendersi
cura delle mani dei nostri artigiani. Grazie a quelle mani siamo
famosi in tutto il mondo, grazie a quelle mani i loro meravigliosi
prodotti sono conosciuti e apprezzati ovunque. Quindi noi, che
siamo specialisti della cosmetica naturale e biologica, abbiamo
deciso di prenderci cura delle loro mani e salvaguardarle affinché
possano continuare a esportare bellezza in tutto il mondo.
#diamociunamano
Abbiamo così creato l’iniziativa #diamociunamano. Qualsiasi
artigiano può recarsi nel nostro punto vendita a Firenze
in Borgo Ognissanti 2 e ritirare come omaggio la nostra
Crema Nutritiva Mani e Unghie della linea Prima Spremitura.
Grazie alla sua formulazione completamente naturale
con olio extravergine di oliva toscano IGP biologico, aiuta
a prevenire la secchezza cutanea, mantenendo a lungo la
pelle delle mani morbida e compatta. In cambio ogni artigiano
dovrà scattare una foto nel suo laboratorio con la nostra
crema mani, postarla sui propri canali social taggando
@idea_toscana e @idea_toscana_firenze: così noi potremo
condividerla per farci pubblicità a vicenda.
Sei un artigiano? Allora #diamociunamano!
- passa nel nostro punto vendita a Firenze in Borgo Ognissanti 2
- ritira come omaggio la nostra Crema Nutritiva Mani e Unghie Prima Spremitura con olio extravergine d’oliva toscano IGP biologico
- fai una foto con la crema mani nel tuo laboratorio, condividila sui tuoi canali social e tagga @idea_toscana e @idea_toscana_firenze
- noi la ricondivideremo sui nostri canali facendo pubblicità anche a te!
Ti aspettiamo nel nostro punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a Firenze: #diamociunamano!
Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
78
#DIAMOCIUNAMANO
Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere
CON OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA TOSCANO “IGP” BIOLOGICO
IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |
Tel. 055.7606635 |info@ideatoscana.it | www.ideatoscana.it
Una banca coi piedi
per terra, la tua.
www.bancofiorentino.it