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INDICE
5. MOSTRA FOTOGRAFICA/DOCUMENTALE
23. IL NOTARIATO TRA VERITÀ E REALTÀ
di Mario Mistretta
30. FORMAZIONE PERSONALE
E IMPEGNO COMUNITARIO E INTERCULTURALE
di Gianfranco Ravasi
39. DECISIONE ROBOTICA:
CONSIDERAZIONI SUL RUOLO
DEGLI ALGORITMI NELLE
NEGOZIAZIONI FINANZIARIE
di Alessandra Carleo
46. BENEFIT CORPORATION
di Paolo Di Cesare
59. UNA RIVOLUZIONE E
QUATTRO RIVELAZIONI
di Maurizio Ferraris
70. QUALCHE NOTA SUL PRESENTE
E SUL FUTURO DEL GIURIDICO
AD USO DELL’ANTICA
PROFESSIONE DEI NOTAI
di Ugo Mattei e Alessandra Quarta
88. LA STORIA, FONDAMENTO DEL FUTURO
di Lauretta Casadei
97. L’ASSOCIAZIONISMO E LE RETI: FUTURO
DELLA PROFESSIONE NOTARILE?
di Paolo Broccoli
105. LA “FONDAZIONE” PER IL NOTARIATO
DEL FUTURO
di Alessandro Corsi
108. WELFARE DEL SAPERE E
SPECIALIZZAZIONE DEL NOTAIO
di Tommaso Del Freo
111. RIFLESSIONI A MARGINE DEL
CENTENARIO DELLA CASSA NAZIONALE
DEL NOTARIATO
di Andrea Dello Russo
115. QUALE SARA’ IL FUTURO DEL NOTARIATO?
PROPOSTA DI UN NOTAIO
DI PROSSIMITA’: IL NOTAIO DEI “CITTADINI”
di Paola Ghiglieri
118. IL NOTARIATO NEL FUTURO E DUE
DIRETTRICI SU CUI RIFLETTEREI
di Giovanni Liotta
121. LE NUOVE TECNOLOGIE ED IL FUTURO
DELLE PROFESSIONI
di Eliana Morandi
128. IL NOTAIO DIGITALE AL CENTRO
DI UN MONDO DIGITALE
di Michele Nastri e Giampaolo Marcoz
138. ACCESSO ALLA PROFESSIONE E SUE
PROSPETTIVE
di Angelo Nigro
142. TAVOLA ROTONDA: QUALI SERVIZI PER
QUALI NOTAI
di Adele Raiola
144. IL VALORE DELLA MEMORIA
di Grazia Buta
147. LA CASSA: IL PASSATO CHE SI FA FUTURO
di Francesco Giambattista Nardone
151. IL BOLLETTINO: OFFICINA DI IDEE E DI
INFORMAZIONI
di Alessandro de Donato
154. MEDAGLIA DEL PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA
155. IL MONDO PICCOLO DI UN NOTAIO
RURALE
di Carlo Carosi
190. 100 ANNI DI CDA
IL NOTARIATO
TRA VERITÀ E REALTÀ
Mario Mistretta
(Presidente della Cassa Nazionale del Notariato)
Il centenario della Cassa Nazionale del Notariato costituisce l’occasione per una pluralità
di riflessioni su di una professione, il Notariato, e il suo essere nella società di oggi.
Rappresenta l’opportunità di osservarlo nell’età dell’ incertezza, nell’età della iperconnessione,
nell’età dei dati che si fanno diritti. Uno sguardo che parte dal passato diventa contemporaneamente
uno sguardo verso il futuro. I pensieri veloci del mondo dei social
devono far posto ai pensieri lenti che consentono di guardare lontano. Il racconto del
nostro passato, i cento anni di storia e la testimonianza del nostro vissuto professionale
illuminano di valori il nostro presente. Allontanano il potenziale deserto etico della
Lichtung, della “radura dell’essere” nella prospettiva del nichilismo interiore di Heidegger.
La storia dà la forza di leggere il futuro in percorsi di verità e di realtà. La storia diventa
una forma essenziale di conoscenza del nostro tempo, così da comprendere processi
segmentati e non lineari, movimenti complessi e imprevisti. La storia permette di individuare
quello che non cambia sotto le grandi e piccole trasformazioni. Il presente, dalla
percezione agostiniana di “attimo che grida a gran voce di non avere durata”, si fa sintesi
consapevole dei processi vicini e lontani. La memoria di tante esperienze, di tanti saperi,
di tante emozioni di uomini e donne, ai quali è accaduto di essere Notai, è descritta nel
sintagma “Cassa Nazionale del Notariato”. Quella memoria dà conto di vicende passate
che si fanno per noi presente. Consentono la conoscenza del mondo di oggi che corre
inesorabilmente verso il futuro. Marc Augè ha detto: “Il futuro è il tempo di una coniugazione,
il tempo più concreto della coniugazione, se è vero che il presente è inafferrabile,
sempre travolto dal tempo che passa, e il passato sempre oltrepassato, irrimediabilmente
compiuto o dimenticato. Il futuro è la via che si vive individualmente” per conoscere
insieme il mondo. Le stratificazioni di memoria registrate, che il nostro centenario ci consegna,
ci portano a descrivere la contemporaneità, ormai orfana sia della modernità sia
della postmodernità, con l’utilizzo di tre participi: connessa, bloccata insieme, annodata.
Tre participi che descrivono un itinerario tra vari presenti.
Da una realtà di crescenti collegamenti reciproci e delle relative potenzialità, ma sottoposti
al semaforo dell’ “in” o dell’ “out” delle nostre scelte consapevoli, si è passati alle
connessioni automatiche e ai loro intrecci. Cento anni danno dimostrazione e testimonianza
dell’avverarsi della profezia di Leo Strauss che, nei primi anni 50, ha sostenuto
come ci siano sempre stati e sempre ci saranno mutamenti improvvisi e inaspettati della
concezione del mondo, che mutano il senso di tutte le conoscenze possedute in precedenza.
Non vi è infatti una concezione totalizzante, la quale possa accreditarsi di essere
immodificabile in una validazione universale.
Il Presidente della Cassa Nazionale
del Notariato, Mario Mistretta
***
Non possiamo dimenticare che la nostra modernità nasce dal dubbio cartesiano sulla
verità e dalla sua metodologia. Risuona ancora oggi, in noi e per noi, l’eco della domanda
scettica di Pilato a Gesù: “quid est veritas?” (Giovanni 18,38). Il desiderio di trovare il
vero si è scontrato e si scontra con la tragicità della storia degli ultimi cento anni. Da una
idea di verità sbagliata, manifestata dal potere politico, sono derivate violenza e intolleranza.
I nostri cento anni hanno visto salire al potere Mussolini, Hitler, Stalin e l’affermarsi
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di idee verità che hanno portato ai genocidi, con flebile resistenza da parte della metodologia
del dubbio. Mi piace ricordare che nello stesso anno, in cui Hitler conquista il
potere in Germania (1933), un giovane pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, ventisettenne
docente di teologia all’università di Berlino, contestò apertamente la politica razzista
del governo tedesco, sul problema ebraico, e l’atteggiamento di parte della Chiesa
protestante Tedesca, che voleva escludere dalla stessa i cristiani di origine ebraica.
Risultato di quella protesta fu che nel 1936 gli vietarono l’insegnamento universitario, nel
1940 gli vietarono di parlare in pubblico, nell’aprile del 1943 la Ghestapo lo arrestò. La
mattina del 9 aprile 1945 fu impiccato. Questo non impedì al grande teologo tedesco di
scrivere, un saggio dal titolo Che cosa significa dire la verità?. Bonhoeffer parla ancora
oggi alla nostra inquietudine di come essere nel mondo. È oggi il tempo nel quale la
nostra autenticità, la verità di noi, è giocata in una realtà dove le nostre scelte raccontano
di pensieri e opere suggeriti da n algoritmi ai nostri smartphone geolocalizzati.
Sorprendentemente ci soccorre Bonhoeffer con un suo lontano racconto sulla verità contenuto
in quel saggio 1 . Un professore chiede a un ragazzo, dinanzi a tutta la classe, se
è vero che suo padre a volte torni a casa ubriaco. La circostanza è esatta, ma il ragazzo
la nega. Alla domanda del Professore risponde con una menzogna, ma contemporaneamente
esprime una verità più profonda: la famiglia è un’istituzione sui generis nella quale
il professore non ha diritto di intromettersi. La risposta del ragazzo è formalmente una
bugia, ma sostanzialmente contiene la verità di tutelare il suo diritto alla riservatezza. La
sua risposta è più conforme alla verità che non avere ammesso davanti a tutta la classe
la debolezza paterna. Ma la vicenda non finisce così. In quella classe vi sono due ragazzi
che abitano vicino all’interrogato e conoscono la realtà dei fatti. Il primo dei due interviene
e dichiara che il padre dell’interrogato è spesso ubriaco. Il secondo invece dice che
il primo si confonde con un’altra persona. Chi fra questi due ragazzi vince il premio della
verità? Bonhoeffer ci dà una risposta spiazzante. Non è il primo, il quale incarna l’atteggiamento
di “colui che pretende di dire la verità dappertutto in ogni momento a chiunque...
(ma) è un cinico che esibisce soltanto un morto simulacro della verità”. Il premio
lo vince il secondo. Il suo intervento, apparentemente falso, dà della verità un valore relazionale:
la colloca all’interno di un dialogo che sorregge la qualità dei rapporti tra esseri
e contestualizza i fatti in una prospettiva dinamica. La tutela della dignità del ragazzo è
una verità profonda 2 . Nel mondo Ebraico il termine verità viene indicata con la parola
“emet”, la cui radice deriva dal verbo “aman” che significa essere solido, essere l’appoggio
che non viene meno. Ricordo che il motto contenuto nel logo del Consiglio Nazionale
del Notariato è “fidei et veritatis anchora”. Verità e Notariato sono uniti nel descrivere il
segmento di realtà che ci coinvolge. Dove l’essere di noi Notai nel mondo, come uomini
e donne che portano le regole dello Stato nelle dinamiche degli interessi contrattuali, ci
fa vicini alla complessità della verità profonda: gli egoismi si fanno comune riconoscimento
di un equilibrio, dai Notai garantito, che accresce la qualità e il valore degli interessi
originali. La verità dell’equilibrio raggiunto diviene essa stessa nuovo valore ricono-
1 Dietrch Bonhoeffer, Che cosa significa dire la verità? (1942), in appendice a Etica, tr.it. di Aldo
Comba, Milano, 1983, pp.310-311
2 Vito Mancuso, La vita autentica, Milano 2009, p.118, il quale ricorda come la “verità è qualcosa
che si muove, esattamente come si muove la vita perché la verità è la vita buona, la vita
autentica. Verità è un concetto integrale, che riguarda tutte le dimensioni umane...è in grado di
contenere in sé anche il negativo, anche il falso e l’errore, ed è davvero universale”.
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scibile sia dal punto di vista esistenziale sia dal punto di vista economico. I cento anni
della Cassa raccontano di centinaia di milioni di operazioni nelle quali quell’equilibrio e
quella verità si sono cercati e si sono raggiunti. Raccontano di una capacità a saper leggere
gli interessi della vita e a intermediarli con le regole del diritto. Questo sguardo, che
proviene da lontano (dai cento anni), dà conto di innumerevoli testimonianze di un diritto
pronto a registrare, nei suoi strati profondi, quei valori che costruiscono, come dice Paolo
Grossi 3 , l’esperienza giuridica, pur nel mutamento, con parole di solidità, resistenza e
quindi di verità. L’età della Mobile Economy, l’età dello smartphone ci fanno consapevoli
di vivere una evoluzione epocale, come quelle create dalla nascita della stampa, dalla
macchina a vapore, dal motore a scoppio e dai computer. Questo impone problemi
potenzialmente ardui a chi vuole tutelare diritti e soggetti nelle immense periferie digitali.
***
Nel nostro tempo l’aporia più rilevante è quella data da miliardi di informazioni disponibili
per noi e dalla contemporanea afasia sulle domande di senso sulla vita.
La quantità di informazioni, da cui siamo bombardati, invece di darci più sapere e più
consapevolezza rende rarefatte quelle domande. L’iperinformazione debole ci fa distanti
da un riconoscimento di noi. Lo strumento del diritto appare affaticato, in ritardo nel riconoscere
e valutare l’esplosione di processi socio- economici nelle piattaforme digitali.
Domina l’asimmetria a favore delle procedure informatiche e versus le regole giuridiche.
Viene confutato il paradosso di Achille e della tartaruga: il veloce mondo digitale (Achille)
raggiunge la tartaruga (le regole giuridiche) e l’acutezza di Zenone viene sconfitta dalla
capacità iperveloce della gestione di un incommisurabile numero dei dati. Sono la connessione
rapida istantanea e contemporanea tra miliardi di soggetti, l’utilizzo di milioni di
applicazioni, l’uso di n algoritmi tra loro intrecciati (intelligenza artificiale) a trasformare n
miliardi di dati in valori economici, oggetto di transazioni. Assistiamo, così, a procedure
di estrazione da tante miniere digitali, che ogni giorno vengono scoperte nel mondo di
internet. Nulla di tutto ciò avviene in un mercato di informazioni perfette, in una simmetria
di conoscenza e consapevolezza da parte di tutti i potenziali attori e spettatori. Il fenomeno
del capitalismo digitale tende ad assumere i contorni del monopolio ed a incrementare
radicali differenze nella allocazione della ricchezza.
***
La disintermediazione nei contratti, conclusi da procedure algoritmiche, colloca
l’intervento delle volontà negoziali in un remoto logico e temporale, probabilmente nella
volontà dei creatori delle procedure non in quella degli utilizzatori delle applicazioni. Tutto
questo non è avvenuto all’improvviso. I cento anni di storia ci aiutano a ricostruire i meccanismi
e la cultura giuridica che hanno permesso al capitalismo di essere il fenomeno
globalizzato di oggi. Gli innumerevoli eventi, che sono descritti dall’espressione “età della
3 Paolo Grossi, Ritorno al diritto, Bari 2015 p.XI
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digitalizzazione”, e la loro relazione con le regole giuridiche possono essere compresi
solo se si presta attenzione non solo ai rapidi accadimenti, avvenuti in un tempo breve,
ma anche alle tendenze che hanno avuto inizio in epoche lontane. Un rapido riferimento
alla storia dello strumento classico dell’economia capitalistica, la società per azioni, ci
aiuta in questa assunzione di consapevolezza. Le due società di questo tipo, che hanno
rappresentato il primo clamoroso successo operativo di soggetti di diritto distinti dalle
persone fisiche nell’esercizio di attività commerciali, sono state fondate nel 1600, a due
anni di distanza una dell’altra. Si sono ispirate a due principi organizzativi diversi, uno
democratico e l’altro oligarchico. La prima, inglese, fu la Compagnia delle Indie, fondata
a Londra proprio nel 1600 e retta da principi democratici. Quella costituzione formalizzò
in un meccanismo giuridico i finanziamenti dei viaggi di navi inglesi da e per le Indie. I
finanziatori facevano proprio il rischio del viaggio, anticipando tutte le spese, e in cambio
ricevevano un numero di azioni. Al ritorno a Londra delle navi le merci trasportate venivano
vendute all’asta e i guadagni divisi fra gli azionisti. Il fenomeno fu rivoluzionario. Si
allentò la relazione diretta tra soggetto e bene, la relazione divenne indiretta e mediata
da un bene di secondo grado, l’azione. La gestione dell’operazione veniva affidata dagli
azionisti a un numero ristretto di soggetti, gli amministratori: quest’ultimi, attraverso un
sistema di regole organizzative, si interessavano della manutenzione delle navi, della
individuazione delle rotte, della acquisizione dei beni in India e dell’organizzazione delle
aste in Inghilterra. Gli amministratori rispondevano agli azionisti che potevano controllare
l’opera dei primi. La riduzione della proprietà, da bene diretto a bene indiretto, era controbilanciata
dal controllo democratico della gestione, sancito e difeso dallo statuto societario.
Così accade che, nel 1624 la richiesta di Re Giacomo I di far parte della società
venne cortesemente respinta con la motivazione che la posizione del Re avrebbe potuto
condizionare la gestione dell’impresa collettiva. La seconda società fu costituita nel 1602
in Olanda e divenne la Compagnia delle Indie Olandesi. La società nacque dall’alto, da
una autorizzazione dello Stato. Gli amministratori, nominati dall’autorità politica, avevano
un potere gestorio assoluto. Non era previsto alcun obbligo di rendicontazione agli azionisti.
Il tutto era retto da regole di tipo oligarchico. In queste due società esisteva sostanzialmente
un solo interesse, quello di incassare dividendi.
26
***
Il fenomeno del commercio internazionale è rimasto governato unicamente dalle
regole organizzative da società di capitali fin quando, con la rivoluzione industriale,
la necessità di cospicui finanziamenti ha fatto entrare nello scenario economico un
nuovo soggetto e i suoi interessi, il sistema bancario. L’entrata del capitalismo finanziario
ha comportato il superamento dell’alternativa tra organizzazione democratica,
secondo il modello della Compagnia delle Indie Inglese, e organizzazione autocratica
della Compagnia Olandese, con il prevalere di un terzo strumento di governo, un nuovo
itinerario, quello del contrattualismo. È così accaduto che nel capitalismo finanziario
maturo, con innumerevoli teorizzazioni nella letteratura economica e giuridica nordamericana,
le società per azioni sono state qualificate come un fascio di contratti (nexus of
contracts). Le relazioni tra manager e azionisti, tra società e risparmiatori, tra società e
banche sono state declinate unicamente con regole contrattuali. L’attuale presente delle
dinamiche economiche dà conto di un’ampio dominio da parte del neo contrattualismo
digitale. L’attenuazione della distinzione tra imprese e consumatori (con potenziale
superamento tra chi riceve le cose e chi fa le cose), ha trovato contemporaneamente
riscontro in un vastissimo e capillare bargaining cioè nel fenomeno di una contrattazione
continua 4 . Lo sviluppo enorme dei processi informatici ha accentuato le tecniche di
dematerializzazione dei diritti. L’economia si è affrancata dall’antico dominio della politica
e della sovranità degli stati. Ha creato forme di globalismo giuridico, con la nascita di
principi e schemi contrattuali completamente nuovi, sconosciuti allo sguardo normativista
dei codici e delle leggi: sempre più economia e regole autocostruite, sempre meno
Stato. Nell’età del superamento del postmoderno si conferma la prevalenza, sotto il profilo
giuridico, dell’effettività creativa dello spontaneismo economico, rispetto alla validità
conformata a modelli generali, autoritariamente imposti dalla legge 5 . Nell’età del dominio
digitale sta accadendo altro. L’alternativa tra giudizi di validità e giudizi di effettività
viene radicalmente superata dalla tendenza da parte dei processi decisionali algoritmici
in un’area giuridica: la soluzione dei potenziali conflitti tra procedimenti digitali, portatori
di interessi contrapposti, viene a posizionarsi all’interno delle stesse procedure automatiche
di scelta e nelle loro reciproche relazioni di auto apprendimento.
***
La realtà dei smartcontracts non nasce improvvisamente. Si inserisce in un percorso
antico. Affonda le sue origini nel contrattualismo del capitalismo finanziario che ha riscoperto
il rapporto bilaterale, senza intermediazioni tra i soggetti del diritto e i beni, all’interno
del filone culturale del “lasciar fare”. Il contrattualismo moderno ha sempre presupposto
interventi degli Stati il più possibile limitati. Tutto questo presenta pericoli, nella tutela
delle posizioni deboli, a causa della asimmetria di informazioni che coinvolge ognuno di
noi nel momento nel quale si voglia esercitare la libera razionalità nelle scelte. Pericolo
accresciuto dalla esponenziale potenza predittiva degli algoritmi dei Big Date. La massimizzazione
dell’interesse proprio di ogni agente, che ha dominato la letteratura economica
contemporanea nella descrizione di un mercato in potenziale perfetto equilibrio
paretiano 6 , ora deve fare i conti con una realtà nella quale il raggiungimento di obbiettivi
socio-economici voluti è fortemente condizionata da quella asimmetria di libertà, che colloca
la razionalità e la coerenza delle scelte in luoghi distanti dalla volontà di ognuno di
noi. Hannah Arendt ci ha ammonito che “spesso un’epoca imprime in maniera più marcata
il suo sigillo su chi ne è stato meno improntato essendone più lontano, dovendo perciò
soffrirne di più.” 7 . Nel contempo il suo grande amico Walter Benjamin ci ha rammentato
che “la storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non forma il tempo omogeneo
e vuoto, ma quello pieno di adesso” 8 . Questi pensieri profetici interrogano i cento anni
4 Guido Rossi, Il gioco delle regole Milano, 2006, p.36
5 Paolo Grossi, Ritorno al diritto, op.cit,p.28, ha segnalato come“Nella modernità il diritto veniva
sottoposto alle forche caudine della validità, un setaccio spietato perché esigeva che giuridicità
fosse soprattutto corrispondenza a un modello generale e autoritario confezionato in alto, con
la condanna alla irrilevanza della maggior parte della proliferazione fattuale. Il post moderno
valorizza al contrario la effettività , con la disponibilità ad ampliare i confini della giuridicità fino
a ricomprendervi tutti quei fatti che , muniti di forza interiore , sono capaci di incidere sulla realtà
circostante”.
6 Amartya Sen, Razionalità e libertà Bologna, 2005, p.29
7 Hannah Arendt, Walter Benjamin, L’angelo della storia, testi, lettere, documenti, Firenze, 2017,p.82
8 Hannah Arendt, Walter Benjamin, L’angelo della storia, testi, lettere, documenti, op cit, p.145
27
di storia dei Notai, interrogano il nostro presente e la nostra capacità di costruire futuro.
Nell’età delle diseguaglianze digitali e delle diseguaglianze sociali vi sono enormi potenzialità
per tre parole, che vengono da lontano e che possono andare lontano, capaci di
descrivere il passato di noi Notai e illuminare le nostre strade future: competenza, indipendenza
e lealtà.
La competenza necessaria da parte dei Notai, per rispondere con regole efficaci alle
potenziali domande di tutela dell’oggi, non è solamente quella di un giurista tecnicamente
preparato a dare forma giuridica adeguata alla volontà negoziale delle parti, all’organizzazione
dell’impresa, agli assetti familiari e successori. Occorre qualcosa di più: essere
tutti noi Notai i nodi intelligenti e sensibili, ai quali affidare la certezza e il valore anche
di entità positive esistenti nella realtà digitale. La forza delle tecnologie e delle procedure
digitali, il geometrico incremento della capacità di trasmissione di dati e di calcolo, secondo
la legge di Moore 9 , impongono la presenza di presidi di tutela per i diritti e per i valori
in gioco, presidi nei quali i Notai possono avere un ruolo non marginale. Le parole indipendenza
e lealtà, che costituiscono la cifra identitaria di cento anni di presenza del
Notariato nella società, sono qualità antiche e contemporaneamente estremamente
moderne. Danno sostanza a quei nodi di interconnessione ,dove registrare le informazioni
che si fanno valore e il cui valore deve permanere nel tempo. Competenza, indipendenza
e lealtà costituiscono le virtù professionali con le quali gestire interessi contrapposti
e impedire conflitti di interesse. Occorre, quindi, un di più che aiuti ad individuare
e tutelare tutte quelle posizioni deboli, che la negoziazione di diritti e di obblighi presenta
nell’economia di mercato iperdigitalizzata. Le nuove tecnologie multiuso hanno
reso la comunicazione di massa economica e abbondante. Le forze connettive hanno
intrecciato la nostra società. Tutto questo ha influito sulla diffusione delle idee, il cui volume,
la cui varietà e ricchezza si sono obbiettivamente incrementate. Noi viviamo in un
flusso continuo di informazioni che possono rimanere solo un rumore di fondo incomprensibile,
oppure possono diventare lo stimolo per accrescere qualitativamente il nostro
essere individuale e complessivo. Il di più di competenza per noi è quella di avere l’attitudine
a comprendere quelle gigantesche linee di forza, che muovono la società dell’informazione
diffusa. I nodi di garanzia, nella società liquida, si costruiscono dal basso.
Ma perché siano trasparenti e indipendenti occorrono coesioni qualitative: la storia di noi
Notai evidenzia l’esistenza, nelle nostre correlazioni, di questa circostanza. Le coesioni
qualitativamente efficienti consentono di realizzare un sistema di nodi retti da competenza,
indipendenza e trasparenza. Tutto ciò ha bisogno di impegno e di scelte. Occorre
mettersi in viaggio e affrontare la complessità della contemporaneità con coraggio. Per
essere nel futuro e portare in dono gli esiti positivi, del nostro essere Notai nella storia,
occorre la consapevolezza dei segni dei tempi.
9 Nel 1965, il cofondatore di Intel , Gordon Moore, osservò che il numero di transistor che la sua
azienda poteva inserire all’interno di un chip per computer (e quindi la potenza di calcolo del
chip)raddoppiava ogni due anni circa. La cosiddetta “legge di Moore”, nome con cui questa osservazione
è diventata famosa, è tuttora valida.
28
***
Il senso del nostro centenario è quello di confermarci nella vocazione ad essere le regole
dello Stato che si fanno vita vissuta tra sentimenti, desideri, aspirazioni, diritti e obblighi
dei nostri concittadini. Il coraggio delle scelte deve essere conquistato ogni giorno e in
ogni momento. Il viaggio presuppone non solo avere una meta, ma sapere anche da
dove si proviene. Non occorre diventare altri e non occorre snaturarsi. Non occorre essere
uomini e donne “inventati”. Non occorre essere novelli Mattia Pascal che recidono “di
netto ogni memoria”. È sufficiente essere fedeli ai valori della nostra storia. Tutto ciò ci
consente di capire dove dirigere nella contemporaneità il nostro percorso. Soren
Kierkegaard ci suggerisce la necessità di scegliere per dare un senso al nostro essere
nel mondo e così scrive nelle prime pagine di Aut aut 10 . “Immagina un capitano sulla
sua nave nel momento in cui deve dar battaglia; forse egli potrà dire, bisogna fare questo
o quello; ma se non è un capitano mediocre, nello stesso tempo si renderà conto che la
nave, mentre egli non ha ancora deciso, avanza colla solita velocità, e che così è solo
un istante quello in cui sia indifferente se egli faccia questo o quello. Così anche l’uomo,
se dimentica di calcolare la velocità, alla fine giunge a un momento in cui non ha più
libertà della scelta, ma perché non l’ha fatto”. Tutto questo è il nostro rischio: essere incapaci
a scegliere e, quindi, incapaci a valorizzare il nostro passato come portatore di futuro.
L’età dell’incertezza tende a costringere tutti noi a una faticosa autoformazione e
autoaffermazione. Questo percorso sconta, a causa della complessità del tempo dell’informazione
illimitata, una strisciante paura di inadeguatezza. L’apparente semplificazione
della trasformazione dei dati analogici in dati digitali, attraverso l’assegnazione di
semplicissimi valori numerici (stringhe di 0 e 1, chiamate bit ), non attenua quella inadeguatezza.
Anzi la smaterializzazione dei contenuti, la capacità di comprimerli e di trasferirli
istantaneamente accentuano i sentimenti di difficoltà. Assistiamo alla narrazione del
mito della misteriosa palingenesi rivoluzionaria del mondo di internet. Ma ne abbiamo
paura. Guardiamo al presente, al mondo iperdigitalizzato, con gli occhi rivolti al passato
come l’Angelus Novus. Dice Walter Benjamin: “C’è un quadro di Klee che s’intitola
Angelus Novus. Un angelo v’è raffigurato che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa
su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la sua bocca è aperta e
dispiegate sono le sue ali. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Il viso è rivolto
al passato. Laddove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, là egli vede un’unica
catastrofe, che accumula incessantemente macerie su macerie e se le scaraventa
ai suoi piedi”. 11 Ma il nostro angelo della storia non è quello di Benjamin, è quello che ci
infonde il coraggio di guardare avanti con le nostre intelligenze e con i nostri valori, per
noi e per il nostro paese: Anchora fidei et veritatis.
10 Soren Kierkegaard aut aut, Milano,2016,p.10
11 Hannah Arent, Walter Benjamin, L’Angelo della storia, op. cit, p.137.
29
FORMAZIONE PERSONALE E
IMPEGNO COMUNITARIO
E INTERCULTURALE
S.E. Card. Gianfranco Ravasi
(Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura)
S.E. Card. Gianfranco Ravasi
UNA PREMESSA
La persona umana di sua natura è necessariamente in rapporto dialogico ma talora
anche conflittuale con la comunità. Analizzare questo legame è un’impresa complessa
e vasta che ammette infiniti percorsi di approfondimento e risultati molteplici.
È indubbio, perciò, che la nostra potrà essere solo una riflessione emblematica all’interno
della quale si aprono spazi bianchi, passibili di ulteriori e ampie considerazioni.
Procederemo, dunque, in modo quasi didascalico con un’ampia premessa e un corpus
successivo di quattro ideali “punti cardinali”, iscritti su una mappa che suppone evidentemente
altre definizioni orientative.
Iniziamo con la premessa che sviluppa alcune coordinate generali. Lo scrittore cattolico
inglese Gilbert K. Chesterton affermava: “Tutta l’iconografia cristiana rappresenta i santi
con gli occhi aperti sul mondo, mentre l’iconografia buddhista rappresenta ogni essere
con gli occhi chiusi”. Si tratta, quindi, di due differenti tipologie riguardo al nostro tema.
Da un lato, c’è una concezione più squisitamente trascendentale, assoluta, che cerca di
andare, chiudendo gli occhi, oltre il mondo, la storia, il tempo e lo spazio, con la sua fragilità,
la sua finitudine, i suoi limiti, la sua pesantezza.
Dall’altro lato, invece, c’è la visione cristiana profondamente innervata all’interno della
società e della cultura, tanto da costituire una presenza imprescindibile, a volte perfino
esplosiva. Infatti, come è noto, la tesi centrale del cristianesimo resta l’Incarnazione: “Il
Verbo divenne carne” (Giovanni 1,14). Si tratta di una contrapposizione radicale rispetto
alla concezione greca che non ammetteva che il lógos si confondesse, si stingesse
immergendosi nella sarx, la carne, ossia la storia. Nel cristianesimo si ha, invece, un
intreccio tra fede e storia e, perciò, un contatto tra religione e vita civile.
Trattare, perciò, un tema simile rientra nei fondamenti stessi dell’esperienza ebraico-cristiana,
e quindi della Bibbia, che tra l’altro è anche il “grande Codice” della nostra cultura
occidentale. È noto che Goethe riteneva il cristianesimo la “lingua materna” dell’Europa,
perché rappresenta una sorta di “imprinting” che noi tutti ci portiamo dietro. Per alcuni
forse potrà essere un peso; per altri, invece, rimane un’eredità preziosa. Sono, comunque,
significativi ai nostri giorni alcuni cambi di paradigma culturali, sociali e religiosi che
vorremmo ora evocare.
1. Il primo riguarda lo stesso concetto di cultura che non ha più l’originaria accezione
intellettuale illuministica di aristocrazia delle arti, scienze e pensiero, ma ha assunto
caratteri antropologici trasversali a tutti i settori del pensare e agire umano, recuperando
l’antica categoria di paideia (“educazione, formazione”) e humanitas, i due termini
che indicavano nella classicità la cultura (vocabolo allora ignoto se non per
l’“agri-cultura”). Per questo il perimetro del concetto è molto ampio e coinvolge ad
esempio, la cultura industriale, contadina, di massa, femminile, giovanile e così via.
Essa si esprime, poi, oltre che nelle civiltà nazionali e continentali, anche in linguaggi
comuni e universali, veri e propri nuovi “esperanto”, come la musica, lo sport, la
moda, i media.
30
Conseguenza evidente è nel fenomeno del multiculturalismo, che è però un concetto
statico di pura e semplice coesistenza tra etnie e civiltà differenti: più significativo
è quando diventa interculturalità, categoria più dinamica che suppone un’interazione
forte con cui le identità entrano in dialogo, sia pure faticoso, tra loro. Questo incontro
è favorito dall’urbanesimo sempre più dominante. Al dato positivo dell’osmosi tra le
culture si associano alcuni corollari problematici tra loro antitetici. Da un lato, il sincretismo
o il “politeismo dei valori” che incrina i canoni identitari e gli stessi codici
etici personali; d’altro lato, la reazione dei fondamentalismi, dei nazionalismi, dei
sovranismi, dei populismi, dei localismi (tant’è vero che ora si parla di “glocalizzazione”
che sta minando l’ancora dominante globalizzazione).
2. L’erosione delle identità culturali, morali e spirituali e la stessa fragilità dei nuovi
modelli etico-sociali e politici, la mutevolezza e l’accelerazione dei fenomeni, la loro
fluidità quasi aeriforme (codificata ormai nella simbologia della “liquidità” prospettata
da Baumann) incidono evidentemente anche sull’antropologia. Tra le varie questioni
connesse, indichiamo solo il fenomeno dell’io frammentato, legato al primato delle
emozioni, a ciò che è più immediato e gratificante, all’accumulo lineare di cose più
che all’approfondimento dei significati. La società, infatti, cerca di soddisfare tutti i
bisogni ma spegne i grandi desideri ed elude i progetti a più largo respiro, creando
così uno stato di frustrazione e soprattutto la sfiducia in un futuro. La vita personale
è sazia di consumi eppur vuota, stinta e talora persino spiritualmente estinta.
Fiorisce, così, il narcisismo, ossia l’autoreferenzialità che ha vari emblemi simbolici
come il “selfie”, la cuffia auricolare, o anche l’omologazione delle mode. Ma si ha
anche la deriva antitetica del rigetto radicale espresso attraverso la protesta fine a
se stessa o la violenza verbale e iconica sulle bacheche social, oppure l’indifferenza
generalizzata.
3. Si configura, quindi, un nuovo fenotipo di società. Per tentare un’esemplificazione
significativa – rimandando per il resto alla sterminata documentazione sociologica
elaborata in modo continuo – proponiamo una sintesi attraverso una battuta del filosofo
Paul Ricoeur: “Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde
l’atrofia dei fini”. Domina, infatti, il primato dello strumento rispetto al significato,
soprattutto se ultimo e globale. Pensiamo alla prevalenza della tecnica (la cosiddetta
“tecnocrazia” ) sulla scienza; oppure al dominio della finanza sull’economia; all’aumento
di capitale più che all’investimento produttivo e lavorativo; all’eccesso di specializzazione
e all’assenza di sintesi, in tutti i campi del sapere, compresa la teologia;
alla mera gestione dello Stato rispetto alla vera progettualità politica; alla strumentazione
virtuale della comunicazione che sostituisce l’incontro personale;
alla riduzione dei rapporti alla mera sessualità che emargina e alla fine elide l’eros e
l’amore; all’eccesso religioso devozionale che intisichisce anziché alimentare la fede
autentica e così via.
Un altro esempio “sociale” (ma nel senso di social) che anticipa il discorso più specifico,
che svolgeremo successivamente, è quello espresso da un asserto da tempo
formalizzato: “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”, asserto che coinvolge un
tema fondamentale come quello di verità (e anche di “natura umana”). Il filosofo
Maurizio Ferraris, studiandone gli esiti sociali nel saggio Postverità e altri enigmi
(Mulino 2017), commentava: “Frase potente e promettente questa sul primato dell’interpretazione,
perché offre in premio la più bella delle illusioni: quella di avere
31
sempre ragione, indipendentemente da qualunque smentita”. Si pensi al fatto che
ora i politici più potenti impugnano senza esitazione le loro interpretazioni e postverità
come strumenti di governo, le fanno proliferare così da renderle apparentemente
“vere”. Ferraris concludeva: “Che cosa potrà mai essere un mondo o anche semplicemente
una democrazia in cui si accetti la regola che non ci sono fatti ma solo interpretazioni?”.
Soprattutto quando queste fake news sono frutto di una manovra
ingannatrice ramificata lungo le arterie virtuali della rete informatica?
4. Infine affrontiamo solo con un’evocazione la questione religiosa. Come si vedrà più
avanti, la “secolarità” è un valore tipico del cristianesimo sulla base dell’assioma
evangelico “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Proprio
per questo ogni teocrazia o ierocrazia non è cristiana, come non lo è il fondamentalismo
sacrale, nonostante le ricorrenti tentazioni in tal senso. C’è, però, anche un
“secolarismo” o “secolarizzazione”, fenomeno ampiamente studiato (si veda, ad
esempio, l’imponente e famoso saggio L’età secolare di Charles Taylor, tradotto da
Feltrinelli nel 2009) che si oppone nettamente a una coesistenza e convivenza con
la religione. E questo avviene attraverso vari percorsi: ne facciamo emergere due
più sottili (la persecuzione esplicita è, certo, più evidente ma è presente in ambiti
circoscritti).
Il primo è il cosiddetto “apateismo”, cioè l’apatia religiosa e l’indifferenza morale per
le quali che Dio esista o meno è del tutto irrilevante, così come nebbiose, intercambiabili
e soggettive sono le categorie etiche. È ciò che è ben descritto da papa
Francesco nell’Evangelii gaudium: “Il primo posto è occupato da ciò che è esteriore,
immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede posto all’apparenza...
Si ha l’invasione di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente
sviluppate ma eticamente indebolite” (n. 62). Il pontefice introduce anche il secondo
percorso connettendolo al precedente: “Esso tende a ridurre la fede e la Chiesa
all’ambito privato e intimo; con la negazione di ogni trascendenza ha prodotto una
crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e
sociale e un progressivo aumento del relativismo, dando luogo a un disorientamento
generalizzato” (n. 64).
Sottolineiamo la prima frase della dichiarazione papale: in pratica si avalla la concezione
secondo cui la religiosità è solo una spiritualità interiore e personale, è un’esperienza
da relegare tra le volute degli incensi e il brillare dei ceri nello spazio sacro
dei tempi, separata dal pulsare della piazza. Questi due aspetti del “nuovo ateismo”
non escludono, certo, la presenza di un ateismo più conservatore ancora vincolato
all’attacco critico e fin sarcastico (alla Hitchens, Dawkins, Onfray, Odifreddi e così
via), oppure la figura dei cosiddetti nones, che cancellano ogni religiosità, affidandosi
però paradossalmente a rituali pagani...
5. Sono solo alcuni spunti di analisi riguardo a fenomeni che diventano altrettante sfide
culturali e religiose e che si allargano a temi ulteriori rilevanti come i citati concetti
di “natura umana” e di “verità”, con la relativa questione del gender, o come i problemi
sollevati dall’ecologia e dalla sostenibilità (si veda la Laudato si’), o l’incidenza
dell’economia appiattita sulla finanza che crea l’accumulo enorme di capitali ma
anche la loro fragilità “virtuale”, generando crisi sociali gravi e, in connessione,
la piaga della disoccupazione o della sotto-occupazione mal retribuita. Pensiamo
anche a temi più specifici come il nesso tra estetica e cultura, in particolare il rilievo
32
dei nuovi linguaggi musicali per i giovani e, a più largo raggio, il legame tra arte
e fede e così via.
Importante, però, è ribadire che l’attenzione ai cambi di paradigma socio-culturali
non dev’essere mai né un atto di mera esecrazione, né la tentazione di ritirarsi in
oasi sacrali, risalendo nostalgicamente a un passato mitizzato. Il mondo in cui ora
viviamo è ricco di fermenti e di sfide rivolte alla fede, ma è anche dotato di grandi
risorse umane e spirituali: basti solo citare la solidarietà vissuta, il volontariato, l’universalismo,
l’anelito di libertà, la vittoria su molte malattie, il progresso straordinario
della scienza, l’autenticità testimoniale richiesta alle religioni e alla politica e così via.
I
IL PRINCIPIO PERSONALISTA
A questo punto cerchiamo, come si era annunciato, di approfondire quattro componenti
o principi emblematici della formazione della persona e del suo impegno comunitario e
interculturale. La prima concezione radicale che proponiamo potrebbe essere definita
come il “principio personalista”. Il concetto di persona, alla cui nascita hanno contribuito
anche altre correnti di pensiero, acquista infatti nel mondo ebraico-cristiano una particolare
configurazione attraverso un volto che ha un duplice profilo e che ora rappresenteremo
facendo riferimento a due testi biblici essenziali che sono quasi l’incipit assoluto
dell’antropologia cristiana e della stessa antropologia occidentale.
Il primo testo proviene da Genesi 1,27, quindi dalle prime righe della Bibbia: “Dio creò
l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò”. Di solito
questa frase è incisa all’interno della tradizione – basti pensare a s. Agostino – come
dichiarazione implicita dell’esistenza dell’anima: l’immagine di Dio in noi è la spiritualità.
Tutto ciò è, però, assente nel testo, anche perché l’antropologia biblica non ha particolare
simpatia per la concezione anima/corpo separati.
Qual è, allora, la caratteristica fondamentale che definisce l’uomo nella sua dignità più
alta, “immagine di Dio”? La struttura tipica di questa frase, costruita secondo le norme
della stilistica semitica, rivela un parallelismo: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine
di Dio lo creò: maschio e femmina (è, questo, il parallelo di “immagine”) li creò”.
Ma forse Dio è sessuato? Nella concezione biblica la dea madre è sempre esclusa,
in polemica con la cultura dei popoli circostanti. E allora, come mai l’essere maschio e
femmina è la rappresentazione più alta della nostra dignità trascendente?
Appare qui la prima dimensione antropologica: essa è “orizzontale”, cioè la grandezza
della natura umana è situata nella relazione tra maschio e femmina. Si tratta di una relazione
feconda che ci rende simili al Creatore perché, generando, l’umanità in un certo
senso continua la creazione. Ecco, allora, un primo elemento fondamentale: la relazione,
l’essere in società è strutturale per la persona. L’uomo non è una monade chiusa in
sé stessa, ma è per eccellenza un “io ad extra”, una realtà aperta. Solo così egli raggiunge
la sua piena dignità, divenendo l’“immagine di Dio”. Questa relazione è costituita
dai due volti diversi e complementari dell’uomo e della donna che si incontrano.
Sempre restando nell’ambito del principio personalista, passiamo alla seconda dimensione
non più orizzontale, ma “verticale” che illustriamo ricorrendo sempre a un’altra
frase della Genesi: “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo”. Ciò è tipico di
tutte le cosmologie orientali ed è una forma simbolica per definire la materialità dell’uomo.
Ma si aggiunge: “e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere
33
vivente” (2,7). Per intuire il vero significato del testo è necessario risalire all’originale
ebraico: nishmat hayyîm, locuzione che nell’Antico Testamento è applicata solo a Dio e
all’uomo, mai agli animali. Questa specifica categoria antropologica è spiegata da un
passo del libro biblico dei Proverbi: “La nishmat hayyîm è una lampada del Signore:
essa scruta dentro, fin nell’intimo” (20,27).
Com’è facile immaginare, mediante tale simbologia, si arriva a rappresentare la capacità
dell’uomo di conoscersi, di avere una coscienza e perfino di entrare nell’inconscio. Si
tratta della rappresentazione dell’interiorità ultima, profonda. Che cosa, dunque, Dio
insuffla in noi? Una qualità che solo egli ha e che noi condividiamo con lui e che possiamo
definire come “autocoscienza”, ma anche “coscienza etica”. Subito dopo, infatti,
sempre nella stessa pagina biblica, l’uomo viene presentato solitario sotto “l’albero della
conoscenza del bene e del male”, un albero evidentemente metaforico, metafisico,
etico, in quanto rappresentazione della morale.
Abbiamo, così, identificato un’altra dimensione: l’uomo, “orizzontalmente” in legame
col prossimo, possiede una capacità ulteriore trascendente che lo porta a essere unito
“verticalmente” a Dio stesso. È la possibilità di penetrare in se stesso, di avere un’interiorità,
un’intimità, una spiritualità. La duplice rappresentazione etico-religiosa molto
semplificata della persona, finora descritta, potrebbe essere delineata con un’immagine
molto suggestiva del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951) nel suo
Tractatus logico-philosophicus.
Egli affermava che era sua intenzione investigare i contorni di un’isola, ossia l’uomo
circoscritto e limitato. Ma ciò che aveva scoperto alla fine erano le frontiere dell’oceano.
La parabola è chiara: se si cammina su un’isola e si guarda solo da una parte, verso la
terra, si riesce a circoscriverla, a misurarla e a definirla. Ma se lo sguardo è più vasto e
completo e si volge anche dall’altra parte, si scopre che su quella linea di confine battono
anche le onde dell’oceano. In sostanza, come affermano le religioni, nell’umanità
c’è un intreccio fra la finitudine limitata e un qualcosa di trascendente, comunque poi lo
si voglia definire.
II
IL PRINCIPIO DI AUTONOMIA TRA FEDE E POLITICA
Il secondo principio dell’ideale mappa socio-antropologica che stiamo delineando è
parallelo al precedente ed è, come quello, duplice. Potrebbe essere detto “di autonomia”
e, per illustrarlo, ricorreremo a un testo che è fondamentale non solo nella religiosità ma
anche nella stessa memoria della cultura occidentale, sebbene non sia stato sempre
correttamente interpretato. Si tratta di un celeberrimo passo evangelico, già da noi evocato
nella premessa: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di
Dio” (Matteo 22,21). Una formulazione lapidaria, l’unico vero pronunciamento politicosociale
di Cristo, mentre tutti gli altri sono più indiretti e meno espliciti. Per comprendere
correttamente questa affermazione, bisogna entrare nella mentalità semitica che ricorre
molto spesso alle cosiddette “parabole in azione” attraverso le quali il messaggio viene
formulato con un gesto, con una serie di comportamenti simbolici e non solo con le
parole.
Cristo, infatti, all’inizio dice ai suoi interlocutori: “Datemi la moneta”, facendo seguire una
domanda fondamentale: “Di chi è l’immagine e l’iscrizione?”. E la risposta è: “Di
Cesare”. Di conseguenza: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare”. La prima parte
34
della frase di Cristo riconosce, dunque, un’autonomia alla politica. Una vera concezione
cristiana dovrebbe sempre escludere qualsiasi tipo di teocrazia sacrale. Non appartiene
all’autentico spirito cristiano l’unione fra trono e altare, anche se nella storia,
purtroppo, il cristianesimo l’ha favorita in molte occasioni.
La concezione giuridica islamica, nella forma più conosciuta della shariyyah, è estranea
allo spirito cristiano: il codice di diritto canonico non può essere automaticamente il
codice di diritto civile o penale, così come la carta costituzionale di uno stato nazionale
non può essere il Vangelo. Si tratta di realtà che devono rimanere sempre ben distinte.
La politica, l’economia, la società civile hanno un loro spazio di autonomia, al cui interno
si sviluppano norme, scelte, attuazioni dotate di una loro immanenza, sulle quali non
devono interferire altri ambiti esterni.
Ma le parole di Cristo non finiscono qui: c’è una seconda parte implicita, sempre basata
sul tema dell’“immagine”. Gesù, infatti, chiedendo di chi sia l’“immagine” a proposito
della moneta, indirettamente fa riferimento al testo biblico già da noi presentato riguardante
l’uomo come “immagine” di Dio. Ecco, allora, una seconda dimensione: la creatura
umana deve, sì, rispettare le norme proprie della pólis, della società, ma, al tempo
stesso, non deve dimenticare di essere dotata di una dimensione ulteriore. È, questo,
l’ambito specifico della religione e della morale, nel quale emergono le questioni della
libertà, della dignità umana, della realizzazione della persona, della vita, dell’interiorità,
dei valori, dell’amore.
Tutti questi temi hanno una loro precisa autonomia e non ammettono prevaricazioni
o sopraffazioni da parte del potere politico-economico. Infatti, se è vero, che non ci
dev’essere una teocrazia, è altrettanto inammissibile una statolatria che incomba
secolaristicamente sull’altro ambito, svuotandolo o addirittura annullandolo. È facile
comprendere quanto sia complessa e fin ardua la declinazione concreta di tale autonomia,
come lo è il contrappunto fra queste due sfere perché unico è il soggetto a cui
entrambe si dedicano, cioè la persona umana e la comunità sociale.
III
IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ, GIUSTIZIA E AMORE
Giungiamo, così, al terzo principio che è fondamentale per il cristianesimo e per tutte le
altre religioni, anche se con accenti diversi. Ritorniamo al ritratto del volto umano che,
come abbiamo detto, ha la dimensione di maschio e femmina, ossia ha alla base il
rapporto interpersonale. Nel capitolo 2 della Genesi la vera ominizzazione non si ha solo
con la qualità trascendente della creatura umana; non la si ha neppure soltanto con
l’homo technicus che “dà il nome agli animali”, ossia si dedica alla scienza e al lavoro.
L’uomo è veramente completo in sé quando incontra – come dice la Bibbia – “un aiuto
che gli sia simile”, in ebraico kenegdô, letteralmente “che gli stia di fronte” (2,18.20).
L’uomo, dunque, tende verso l’alto, l’infinito, l’eterno, il divino secondo la concezione
religiosa e può tendere anche verso il basso, verso gli animali e la materia. Ma diventa
veramente se stesso solo quando si trova con “gli occhi negli occhi” dell’altro. Quando
incontra la donna, cioè il suo simile, può dire: “Costei è veramente carne dalla mia
carne, osso dalle mie ossa” (2, 23), è la mia stessa realtà.
E qui si ha il terzo punto cardinale che formuliamo con un termine moderno la cui
sostanza è già nella tradizione cristiana, vale a dire “il principio di solidarietà”. Il fatto di
essere tutti “umani” viene espresso nella Bibbia col vocabolo “Adamo”, che in ebraico è
35
36
ha-’adam con l’articolo (ha-) e significa semplicemente “l’uomo”. Perciò, esiste in tutti
noi una “adamicità” comune. Il tema della solidarietà è, allora, strutturale alla nostra
realtà antropologica di base. La religione esprime questa unitarietà antropologica con
due termini che sono due categorie morali: giustizia e amore. La fede assume la solidarietà,
che è anche alla base della filantropia laica, ma procede oltre. Infatti, stando al
Vangelo di Giovanni, nell’ultima sera della sua vita terrena Gesù pronuncia una frase
stupenda: “Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per la persona che ama”
(Giovanni 15,13).
È molto più di quanto si dichiarava nel libro biblico del Levitico, che pure Cristo aveva
citato e accolto: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (19,18). Nelle parole di Gesù
sopra citate ritorna quell’“adamicità”, ma con una tensione estrema che spiega, ad
esempio, la potenza dell’amore di una madre o di un padre pronti a dare la propria
vita per salvare il figlio. In tal caso, si va anche contro la stessa legge naturale dell’amare
se stessi, dell’“egoismo” pur legittimo, insegnato dalla natura e dall’etica di molte
culture, si va oltre la pura e semplice solidarietà. Evitando lunghe analisi, illustriamo ora
simbolicamente in chiave religiosa le due virtù morali della giustizia e dell’amore con due
esempi attinti a culture religiose diverse.
Il primo esempio è un testo sorprendente riguardante la giustizia: “La terra – (è il tema
della destinazione universale dei beni, e quindi della giustizia) – è stata creata come un
bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri. Perché, allora, o ricchi, vi arrogate un
diritto esclusivo sul suolo? Quando aiuti il povero, tu, ricco, non gli dai il tuo, ma gli rendi
il suo. Infatti, la proprietà comune che è stata data in uso a tutti, tu solo la usi. La terra
è di tutti, non solo dei ricchi, dunque quando aiuti il povero tu restituisci il dovuto, non
elargisci un tuo dono”. Davvero suggestiva questa dichiarazione che risale al IV secolo
ed è formulata da s. Ambrogio vescovo di Milano nel suo scritto De Nabuthe.
Questo forte senso della giustizia dovrebbe essere un monito e una spina che la religione
innesta nel fianco della società, l’annuncio di una giustizia che si attua nella destinazione
universale dei beni. Essa non esclude un sano ed equo concetto di proprietà
privata che, però, rimane solo un mezzo – spesso contingente e insufficiente – per
attuare il principio fondamentale dell’universale dono dei beni all’intera umanità da parte
del Creatore. In questa linea, volendo ricorrere ancora una volta alla Bibbia, è spontaneo
risentire la voce autorevole e severa dei Profeti (si legga, ad esempio, il potente
libretto di Amos con le sue puntuali e documentate denunce contro le ingiustizie del
suo tempo).
La seconda testimonianza che vogliamo evocare riguarda l’amore e, nello spirito di un
dialogo interreligioso, la desumiamo dal mondo tibetano, mostrando così che le culture
religiose, per quanto diverse, hanno in fondo punti di incontro e di contatto. Si tratta
di una parabola dove si immagina una persona che, camminando nel deserto, scorge
in lontananza qualcosa di confuso. Per questo comincia ad avere paura, dato che
nella solitudine assoluta della steppa una realtà oscura e misteriosa – forse un animale,
una belva pericolosa – non può non inquietare. Avanzando, il viandante scopre, però,
che non si tratta di una bestia, bensì di un uomo. Ma la paura non passa, anzi aumenta
al pensiero che quella persona possa essere un predone. Tuttavia, si è costretti a
procedere fino a quando si è in presenza dell’altro. Allora il viandante alza gli occhi e, a
sorpresa, esclama: “È mio fratello che non vedevo da tanti anni!”.
La lontananza genera timori e incubi; l’uomo deve avvicinarsi all’altro per vincere quella
paura per quanto comprensibile essa sia. Rifiutarsi di conoscere l’altro e di incontrarlo
equivale a rinunciare a quell’amore solidale che dissolve il terrore e genera la vera
società. Qui fiorisce l’amore che è l’appello più alto del cristianesimo per l’edificazione
di una pólis diversa (il rimando scontato è al celebre inno paolino all’agápe-amore presente
nel capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinzi). Ma risuona anche – soprattutto ai
nostri giorni – il monito della Legge biblica anticotestamentaria riguardo all’accoglienza
dello straniero, un tema che sarà esaltato nella visione cristiana. Ecco due commi legislativi
biblici molto sorprendenti nella loro forza precettiva: “Vi sarà una sola legge per
il nativo e per il forestiero che soggiorna in mezzo a voi... Quando uno straniero dimorerà
presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Lo straniero dimorante fra voi
lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi
siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Esodo 12,49; Levitico 19,33-34).
IV
IL PRINCIPIO DI VERITÀ
Giungiamo, così all’ultimo principio, quello che denomineremo con un termine divenuto,
se non proprio obsoleto, certamente fonte di equivoci e di contrasto, quello di verità.
La cultura, infatti, si fonda sostanzialmente sulla conoscenza che comporta appunto
l’importante profilo della verità, categoria base del conoscere. Se partiamo dalla concezione
contemporanea, anticipata però nei secoli precedenti, si scopre un filo costante
che ora cercheremo di semplificare ed esemplificare.
Se noi seguiamo il percorso culturale di questi ultimi secoli, infatti, possiamo dire che il
concetto di verità è diventato sempre più soggettivo fino ad arrivare alla paradossale
adozione del termine “post-verità” a cui abbiamo accennato in premessa. Si pensi,
ad esempio, alla famosa frase abbastanza significativa e spesso citata, attinta all’opera
Leviathan del filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679): Auctoritas, non veritas
facit legem. In ultima analisi è, questo, il principio del contrattualismo, secondo il quale
l’autorità, sia civile sia religiosa, può decidere la norma e, quindi, indirettamente la verità,
in base alle convenienze della società e ai vantaggi del potere.
Tale concezione fluida della verità è ormai abbastanza acquisita, basti pensare all’antropologia
culturale. Il filosofo francese Michel Foucault (1926-1984), studiando le diverse
culture, invitava caldamente ad accentuare questa dimensione soggettiva e mutevole
della verità, simile a una medusa cangiante, che muta aspetto continuamente a
seconda dei contesti e delle circostanze. Questo soggettivismo è sostanzialmente ciò
che Benedetto XVI chiamava “relativismo”: è curioso notare come la pensatrice americana,
Sandra Harding, faceva il verso alla celebre frase del Vangelo di Giovanni (8,32):
“La verità vi farà liberi”, affermando al contrario in un suo noto saggio che “La verità non
vi farà liberi”, poiché essa viene concepita come una cappa di piombo, come una
pre-comprensione, come una sterilizzazione della dinamicità e dell’incandescenza del
pensiero.
Tutte le religioni, e in particolare il cristianesimo, hanno invece una concezione trascendente
della verità: la verità ci precede e ci eccede; essa ha un primato di illuminazione,
non di dominio. Il filosofo tedesco Theodor Adorno (1903-1969) nella sua opera Minima
moralia parlava della verità comparandola alla felicità e dichiarava: “La verità non la si
ha, vi si è”, cioè si è immersi in essa. Lo scrittore austriaco Robert Musil (1880-1942),
nel suo famoso romanzo L’uomo senza qualità, al protagonista faceva dire una frase
interessante: “La verità non è come una pietra preziosa che si mette in tasca, la verità
37
è come un mare nel quale ci si immerge e si naviga”.
Si tratta, fondamentalmente, della classica concezione del filosofo Platone espressa nel
suo dialogo Fedro mediante l’immagine della “pianura della verità”: la biga dell’anima
corre su questa pianura per conoscerla e conquistarla, mentre in un altro dialogo,
Apologia di Socrate, egli mette in bocca al suo maestro, Socrate appunto, questo aforisma:
“Una vita senza ricerca non merita di essere vissuta”. È proprio questo l’itinerario
che la persona singola deve compiere nell’orizzonte oggettivo della verità. Da tale punto
di vista le religioni sono nette: la verità ha un primato che ci supera, la verità è trascendente,
compito dell’uomo è essere pellegrino all’interno dell’assoluto della verità. E questo
è talmente decisivo da far sì che il cristianesimo applichi a Cristo l’identificazione con
la verità per eccellenza (Giovanni 14,6: “Io sono la Via, la Verità, la Vita”).
CONCLUSIONE
La tetralogia di principi che abbiamo delineato in modo discorsivo non esaurisce, certo,
la complessità delle relazioni e le stesse tensioni che intercorrono tra la persona e la
comunità. Altri principi si potrebbero allegare, altrettanto rilevanti e delicati. Pensiamo,
ad esempio, alla citata categoria “natura” umana, al concetto di “bene comune”, alla
questione del rapporto etica-diritto, alla prospettiva progettuale dell’“utopia”.
La nostra è stata solo un’introduzione attorno a quattro assi antropologici. Al centro,
infatti, c’è sempre la persona umana nella sua dignità, nella sua libertà e autonomia, ma
anche nella sua relazione all’esterno di sé, e quindi verso la trascendenza e il prossimo.
Tenere insieme le varie dimensioni della creatura umana nell’ambito della vita sociale e
politica è spesso difficile e la storia ospita una costante attestazione delle crisi e delle
lacerazioni.
Eppure, la necessità di connettere “simbolicamente” (da greco syn-bállein, “mettere
insieme”) queste differenze è indiscutibile, se si vuole edificare una persona e una
società in dialogo tra loro, evitando di spezzarle “diabolicamente” (dal greco dia-bállein,
“separare”) in frammenti fondamentalisticamente opposti l’uno all’altro. È ciò che vogliamo
delineare sinteticamente, in conclusione, ricorrendo a un’altra testimonianza di indole
etico-religiosa desunta ancora una volta da una cultura diversa dalla nostra occidentale.
Ci riferiamo a un settenario proposto da Gandhi che definisce in modo folgorante
questa “simbolicità” di valori necessaria a impedire la distruzione della persona e della
convivenza sociale.
“L’uomo si distrugge con la politica senza principi; l’uomo si distrugge con la ricchezza
senza fatica e senza lavoro; l’uomo si distrugge con l’intelligenza senza la sapienza;
l’uomo si distrugge con gli affari senza la morale; l’uomo si distrugge con la scienza
senza umanità; l’uomo si distrugge con la religione senza la fede (il fondamentalismo
insegna); l’uomo si distrugge con un amore senza il sacrificio e la donazione di sé”.
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DECISIONE ROBOTICA:
CONSIDERAZIONI SUL RUOLO DEGLI
ALGORITMI NELLE NEGOZIAZIONI
FINANZIARIE 1
P
Alessandra Carleo
(Professore Associato di matematica Finanziaria, Finanza delle assicurazioni e dei fondi pensione,
valutazione Finanziaria e gestione del rischio - Università degli Studi “Roma Tre”)
REMESSA
I “robot” sono (e saranno) sempre più in grado di affiancare e – secondo alcuni, in
alcuni ambiti – “sostituire” l’azione umana in molteplici attività. I fattori determinanti
di questo fenomeno sono ben noti: l’aumento della quantità e della qualità dei dati
disponibili, e della velocità di elaborarli grazie all’uso di algoritmi efficienti, diffusi e
“intelligenti”. Non a caso si evoca, in proposito, il termine “intelligenza artificiale”, e si
rimanda all’uso di algoritmi che sono in grado di apprendere e decidere “autonomamente”.
Alcuni degli effetti di questa “rivoluzione robotica” sono già nel nostro quotidiano:
si pensi, ad esempio, ai mezzi di trasporto a guida automatica o agli algoritmi
utilizzati per gestire settori di produzione industriale, nell’assistenza alle persone
anziane, nella medicina, nella negoziazione di contratti finanziari.
In questa ambientazione risuonano domande, dalla storia della scienza e del diritto:
possono le macchine pensare? 2 ; la decisione giudiziale può essere robotica? 3 .
1 Si riprendono elementi da Carleo, A., Sugli algoritmi, nel contratto (finanziario)? per ridurre il contenzioso?,
in Carleo, A., (a cura di), Decisione robotica, Bologna, il Mulino, in corso di pubblicazione.
2 “È una domanda che – in riferimento al calcolo automatico – ricorre dai tempi di Pascal e Leibniz
… “La scienza sta tentando di costruire l’intelligenza. Questa operazione è animata da due sottintesi
di fondo: che si sappia che cos’è l’intelligenza e che l’intelligenza – insieme all’uomo e alle cose –
sia qualcosa di costruibile. Non è poco” … è insostenibile il punto di vista che il pensiero umano sia
«fondamentalmente equivalente all’azione di qualche computer» anche se molto complesso e
molto potente; la mera esecuzione di un algoritmo non può suscitare la “consapevolezza cosciente”.
In un quadro puramente computazionale manca qualcosa di essenziale: “le qualità più poetiche
o soggettive che associamo al termine “mente”“ (De Felice, M., Decisione robotica negoziale. Nuovi
‘punti di presa’ sul futuro, in Carleo, A., (a cura di), Decisione robotica, Bologna, il Mulino, in corso
di pubblicazione).
3 Senza escludere la possibilità di utili applicazioni (in particolari ambiti) del “giudizio formalizzato”,
notava Cass Sunstein: “at the present state of the art artificial intelligence cannot engage in analogical
reasoning or legal reasoning”; ma “(t)here’s no reason (…) in principle to think that in the long
run computers won’t be able to make the empirical and principled judgments that a good analogizer
has to make”, “(i)f a computer can win chess games against pretty good chess players (…) If
they’re doing that, then they’re engaging in legal reasoning. Not yet.” (in Ashley, K., Branting, K.,
Margolis, H., Sunstein, C.R., Legal Reasoning and Artificial Intelligence: How Computers “Think”
Like Lawyers, The University of Chicago Law School Roundtable, vol. 8: Iss. 1, Article 2, 2001, pagg
19, 21).
La Professoressa Alessandra Carleo
39
In questo lavoro si propongono alcune considerazioni sulla decisione robotica di tipo
negoziale 4 . Si discute, in particolare, del ruolo degli algoritmi in casi tipici di negoziazione
finanziaria.
GLI “ALGORITMI DI VALUTAZIONE”, LA “GIUSTIZIA DEL PREZZO”
Un “algoritmo di valutazione”, quando coinvolto nella caratterizzazione di un contratto
finanziario da negoziare, è utilizzato per due finalità:
1. definire formalmente il flusso di cassa (scadenzato nel tempo) generato dal
contratto;
2. calcolare il valore del flusso di cassa.
La complessità (logica, formale, computazionale) delle azioni 1 e 2 dipende dal
numero e dal tipo di “variabili” da considerare per una “rappresentazione adeguata”
degli importi e per una “caratterizzazione soddisfacente” della funzione valore.
In generale si opera in condizioni di incertezza, per cui è necessario trattare in modo
più o meno esplicito con distribuzioni di probabilità e aspettative. Le espressioni “rappresentazione
adeguata” e “caratterizzazione soddisfacente” alludono all’esigenza
di surrogare con un modello la struttura del contratto e le dipendenze del suo valore.
In generale il modello non è “unico”, né si hanno criteri “oggettivi” per definirlo adeguato
o soddisfacente (garantita la correttezza tecnica, anche l’appello alle prassi –
alla best practice – lascia aperto il problema del consensus). È il problema della definizione
(scelta) del modello che rende quella domanda “cruciale”.
40
4 Una decisione è robotica se coinvolge gli algoritmi (in forma di software, gestito dal computer).
Con il termine algoritmo “intendiamo ogni procedimento di calcolo, ossia un complesso di
regole con cui si può operare su certi simboli” (de Finetti, B., Matematica logico intuitiva, Roma,
Edizioni Cremonese, 1959, pagine 27-28). L’algoritmo è anche il mezzo per dare istruzioni di
calcolo al computer (“is basic to all computer programming”); in senso più generale è l’insieme
di regole che definiscono la sequenza delle azioni atte a risolvere un particolare problema.
È usato come sinonimo (in senso esteso) di ricettario, processo, metodo (computazionale),
tecnica, procedura, routine, rigmarole (Knuth, D.E., The Art of Computer Programming.
I – Fundamental Algorithms, New York, Addison-Wesley, 1997, pagine 1, 4.). “È mezzo di conoscenza:
nulla è compreso in modo più approfondito di ciò che si deve insegnare a una macchina,
ovvero di ciò che va espresso tramite un algoritmo. Va costruito con metodo “euristico”:
comprendere il problema, compilare un piano (per l’azione risolutiva), sviluppare il piano, verificare
il risultato e il procedimento” (Pólya, G., How to solve it, Princeton, Princeton University
Press, 1945; edizione italiana: Pólya, G., Come risolvere i problemi di matematica. Logica ed
euristica nel metodo matematico, Milano, Feltrinelli, 1967, pagine 11-13). Nella pratica si richiede
che un algoritmo (di calcolo) sia “buono”: la “bontà” (“goodness”) è caratterizzata innanzitutto
dal tempo necessario alla sua esecuzione; entrano poi nel giudizio l’adattabilità dell’algoritmo
a diversi tipi di computer, la sua semplicità e eleganza. L’“algorithmic analysis” fornisce i criteri
per giudicare le caratteristiche (“quantitative behavior”) dell’algoritmo e per scegliere il migliore
tra più. (De Felice, M., Decisione robotica negoziale. Nuovi ‘punti di presa’ sul futuro, in Carleo,
A., (a cura di), Decisione robotica, Bologna, il Mulino, in corso di pubblicazione).
L’ambito privilegiato (più ricco di significati, implicazioni e difficoltà) di utilizzo di un
algoritmo di valutazione è quello delle contrattazioni “fuori mercato” (over the counter);
sebbene la disponibilità dell’“algoritmo” (del modello) possa essere giovevole
anche come sostegno per valutare l’equità di prezzi quotati (dal mercato), nel confronto
con opinioni soggettive (e coerenti) sul futuro. Ma come definire l’impianto
modellistico per la valutazione?
Per i contratti finanziari, la funzione di valutazione (il modello) dipende da grandezze
“osservabili” sul mercato (i risk-driver individuati dalle clausole contrattuali), o che da
grandezze osservabili sono ricavate; possono entrare in gioco anche le correlazioni
tra queste grandezze.
La gamma dei modelli disponibili è oramai ampia, a diversi livelli di specificità e complessità:
in un manuale considerato di riferimento, sono analizzati nove “classical
time-homogeneous short-rate models”, per avviare un “guided tour” (tra modelli su
altre fonti di rischio, oltre ai tassi di interesse) lungo più di novecento pagine 5 .
La scelta del modello di valutazione non si riduce soltanto a scegliere l’assetto algoritmico
(la formula o l’insieme di formule) per il calcolo del valore. È necessario definire
(scegliere anche) i processi di calibrazione: quali tecniche di stima dei parametri
che entrano nelle formule, su quali dati applicare le stime (definendo tipologia e
ampiezza delle serie storiche), e come (eventualmente) stimare e gestire le correlazioni.
Tipo di modello e tecniche di stima ovviamente incidono sul livello del valore. In
genere le scelte si restringono tra alternative in linea di principio “equivalenti”, tutte
giustificabili nel senso di un’“adeguata approssimazione”. È sul giudizio di adeguatezza
che va cercato l’accordo tra le parti, e quindi arrivare a definire modello e tecniche
di stima come “convenzione concordata” su cui stipulare l’accordo 6 .
Così complessivamente definito l’impianto modellistico, sarebbe possibile l’analisi
dettagliata delle componenti di valore, con una trasparenza che avrebbe evitato
tante dispute, e notevolmente ridotto l’attività dei tribunali 7 .
Resta la domanda: gli algoritmi di valutazione possono (debbono) entrare nel contratto?
L’impostazione discussa non nega la possibilità di un accordo diretto sul prezzo di
5 Brigo, D., Mercurio, F., Interest Rate Models – Theory and Practice. With Smile, Inflation and
Credit, Berlin, Springer, 2006; i “classical time-homogeneous short-rate models” da cui si parte
sono rappresentati formalmente nella tabella a pagina 57.
6 Carleo, A., Mottura, C., Calcolo giuridico e mercati finanziari, in Carleo, A. (a cura di),
Calcolabilità giuridica, Bologna, il Mulino, 2017, pagina 104.
7 Si pensi al “movimento dei procedimenti civili” delle 26 corti di appello e dei 140 tribunali relativi
ai contratti bancari: nel 2017 sono 26.330 i procedimenti “sopravvenuti”; 25.810 quelli
“Definiti”; 80.498 i “Pendenti finali” (Ministero della giustizia - Direzione statistica e analisi organizzativa).
41
scambio: vale sempre il principio per cui “(l)a giustizia del prezzo è nella legalità della
sua formazione: in ciò, che venditori e compratori abbiano osservato le regole della
gara.” 8 . Ma potrebbe essere utile prassi nella fase pre-contrattuale (con ciò tutelando
l’eventuale interesse a mantenere il “segreto industriale” sul processo di valutazione).
IL LINGUAGGIO FORMALE NELL’ANALISI DEL CONTRATTO: IL CASO DEI
CONTRATTI A TASSO VARIABILE “CON LIMITAZIONI”
Si considera un contratto a tasso variabile “con limitazione”. Si pensi, ad esempio, a
un mutuo o a una obbligazione indicizzata al tasso Euribor, che preveda che il tasso
di riferimento della regola di indicizzazione sia “limitato” superiormente, inferiormente
o possa assumere solo livelli all’interno di prefissato corridoio contrattuale.
Dal punto di vista del linguaggio, la regola di indicizzazione non è semplice da enunciare
a parole; ma è immediata con la scrittura in formula 9 ; e il linguaggio formale è
quello da adottare se l’analisi del contratto è impostata dal punto di vista della finanza.
Da questo punto di vista, infatti, il contratto a tasso variabile “con limitazioni” è
tecnicamente analizzato come se fosse un contratto “strutturato”, ossia come un
“portafoglio” costituito da più componenti contrattuali elementari individuabili per
“scomposizione” (unbundling); e, in origine, sono le proprietà matematiche delle funzioni–
coinvolte nella descrizione (formale) della quota interesse caratteristica del
contratto (max; min) – che determinano la “nascita” (tra le componenti contrattuali
elementari) di un cosiddetto “derivato implicito” e, anche, questioni interpretative del
contratto “primario”. Si pensi, ad esempio, a un contratto indicizzato con “limitazione
inferiore”, interpretabile come un contratto a tasso variabile (puro) o a tasso fisso in
funzione del tipo di scomposizione adottata (di tipo put o di tipo call) 10 . Ovviamente,
al di fuori di questo tipo di analisi (finanziaria), nata per rispondere a esigenze di tipo
8 Irti, N., L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, Laterza, 1988, pagine 69-70.
42
9 Si pensi, ad esempio, ad un contratto indicizzato - in cui il tasso contrattuale (Ik) è uguale, in
ogni scadenza (k), a un tasso variabile (ik, parametro di indicizzazione o indice, che supponiamo
letto direttamente) più uno spread (s) - con clausola “collar”, essendo le limitazioni riferite
all’indice e non all’indice più spread. In tale tipo di contratto, la clausola collar limita il tasso
variabile (ik) tra un minimo (f, solitamente detto “floor”) e un massimo (c, solitamente detto
“cap”). Volendo enunciare a parole la regola contrattuale, bisognerebbe affermare che «in ciascun
periodo, il tasso da aggiungere allo spread per ottenere il tasso contrattuale è: uguale al
tasso variabile se il tasso variabile ik è compreso tra un limite inferiore (floor f) e un limite superiore
(cap c), uguale al limite inferiore se il tasso variabile ik è minore di tale limite inferiore,
uguale al limite superiore se il tasso variabile ik è maggiore di tale limite superiore.». In formule:
Ik=max[min(ik,c),f]+s oppure, equivalentemente, Ik=min[max(ik,f),c]+s.
10 Nel contratto indicizzato con “limitazione inferiore” dell’indice, utilizzando la stessa simbologia
della nota 9, il tasso contrattuale è Ik=max (ik,f)+s. Date le proprietà matematiche della funzione
max, si possono utilizzare, per finalità finanziario-contabili, due diverse scomposizioni del
contratto in un “contratto base” più “opzione (con sottostante ik e valore di esercizio f)”. La
scomposizione di tipo put, dove Ik=ik+s+max(f-ik,0) interpretabile come un contratto a tasso
variabile (puro) con spread più opzione put. La scomposizione di tipo call, dove Ik=f+s+max(ikf,0)
interpretabile come un contratto a tasso fisso con spread più opzione call.
contabile 11 , il “derivato implicito” non esiste né nel contratto né nella sua rappresentazione
formale 12 .
Si tratti di casi in cui la rappresentazione algoritmica degli importi garantirebbe chiarezza
al contratto, senza cedere a quella che fu definita «superfetazione tecnica»
nell’interpretazione del flusso di cassa 13 . L’algoritmo impone chiarezza, distrugge
ambiguità, può evitare dispute.
L’impostazione ha valore generale. Qualsiasi importo futuro è, infatti, aleatorio.
All’estremo (di aleatorietà non esplicita nel contratto) anche il pagamento delle cedole
e del capitale di un’obbligazione qualificata “a reddito fisso” può diventare di valore
incerto per il default dell’emittente (e la rischiosità è comunque testimoniata – implicitamente,
nel contratto – con la dichiarazione del rating). La rischiosità dei contratti
non può essere quindi oggetto di retorica o di classificazione nominalistica: va valutata
con accortezza, e esplicitata (resa trasparente) con valutazioni adeguate; e
anche qui gli algoritmi possono avere ruolo decisivo.
DECISIONE ROBOTICA E USURA
Si discute della verifica usuraria di un’operazione finanziaria, basata sul calcolo del
tasso effettivo globale (teg) dell’operazione. Si consideri, ad esempio, il caso di una
“apertura di credito in conto corrente”.
Come noto: (i) l’operazione finanziaria deve essere classificata secondo quanto previsto
nelle Istruzioni della Banca d’Italia 14 ; (ii) il calcolo del teg si basa sulla “formula”
espressa e discussa nelle Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale
medio ai sensi della Legge sull’usura emanate dalla Banca d’Italia (e nelle relative
note esplicative)15; (iii) la legge stabilisce che l’operazione non debba essere considerata
usuraria se il suo teg non eccede il cosiddetto “tasso soglia” per la forma tecnica
considerata, come calcolato periodicamente dall’Istituto di vigilanza 16 .
11 Cfr OIC32, Appendice C – scorporo dei derivati incorporati, Casi di derivati incorporati strettamente
correlati allo strumento primario (da non scorporare), C11: Un contratto floor o cap su
tassi d’interesse incorporato in un contratto di debito o in un contratto assicurativo è considerato
strettamente correlato al contratto sottostante, se il cap è uguale o maggiore del tasso d’interesse
di mercato e se il floor è uguale o inferiore al tasso d’interesse di mercato quando il
contratto è emesso.
12 Carleo, A., Mottura, C., Considerazioni tecniche su alcuni precedenti recenti in casi finanziari,
in Carleo, A. (a cura di), Il vincolo giudiziale del passato. I precedenti, Bologna, il Mulino,
2018, pagine 67-69.
13 De Felice M., Su probabilità, “precedente” e calcolabilità giuridica, in Carleo, A. (a cura di), Il vincolo
giudiziale del passato. I precedenti, Bologna, il Mulino, 2018, pagine 50-51.
14 Ad esempio, il fido per apertura di credito è classificato nella “Cat. 1. Apertura di credito in conto
corrente”, e distinto in funzione della “classe di importo” in cui ricade l’ammontare dell’operazione.
15 La formula: teg = interessi*36.500 /numeri debitori + oneri su base annua*100 /Accordato.
16 Ai sensi della legge 108/96 e del D.L. 70/2011, il tasso soglia è così determinato: (i) fino al
1° trimestre 2011: aumentando della metà i tassi di interesse effettivi globali medi (TEGM) rilevati
trimestralmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; (ii) dal 2° trimestre 2011:
aumentando di un quarto i tassi di interesse effettivi globali medi (TEGM) rilevati trimestralmente
dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e aggiungendo ulteriori 4 punti percentuali, purchè
l’incremento totale rispetto al TEGM non superi gli 8 punti percentuali.
43
Sembrerebbe un classico caso di decisione robotica sulla differenza tra teg e tasso
soglia. Ma esistono ambiguità definitorie, in particolare nella definizione degli “oneri”
(se e quali voci siano da considerare nel calcolo del teg 17 ). Si tratta di ambiguità che
rendono la decisione tutt’altro che automatica, e che sono all’origine delle (numerose)
dispute presenti in Italia in questo ambito.
Si tratterebbe dunque, in questi casi, di risolvere ex-lege le possibili ambiguità definitorie.
AMMORTAMENTO E ANATOCISMO
Critiche e dispute sono sorte sull’utilizzazione della legge degli interessi composti, in
particolare nella costruzione del piano di ammortamento. È un caso tecnicamente
irrilevante, ma istruttivo da considerare poiché insegna come sia da privilegiare il
principio logico, prima di arrivare alla considerazione degli effetti algoritmici (ovvi, in
particolare sulla “chiusura del piano” 18 ).
L’alternativa da sciogliere è tra capitalizzazione composta e capitalizzazione semplice.
Per risolvere sono sufficienti poche considerazioni (riprese da un mirabile articolo
“divulgativo” di de Finetti 19 ). Capitalizzazione semplice significa che un capitale produce
un interesse sempre lo stesso per intervalli di tempo uguali: è “come se” l’interesse
venisse accumulato in un conto a parte, che non produce interessi.
“Non c’è nessuna ragione – scrive de Finetti – perché del denaro lasciato in deposito
(si chiami pure “interesse” o come altro si voglia) non debba dar diritto a interessi.
Perciò la capitalizzazione semplice non può venir considerata che una semplificazione
di calcolo, comoda sì, ma tollerabile soltanto finché l’interesse relegato in un
“conto infruttifero” rimane praticamente trascurabile rispetto al “capitale”. Il modo
logico ed esatto di procedere consiste nel far affluire senz’altro l’interesse nel conto
stesso del capitale rendendolo fruttifero istantaneamente. È questa la capitalizzazione
continua”. Naturalmente sono lecite approssimazioni: “si può pensare che gli interessi
vengano aggiunti al capitale, se non istantaneamente, alla fine di periodi fissi,
più o meno brevi”. Chiarito il punto logico, l’impostazione vale comunque: per datore
o prenditore di fondi, per un mutuo o un conto corrente.
Di conseguenza, in questi casi, occorrerebbe (almeno) chiarire i riferimenti alle diverse
“fonti” normative.
17 Ad esempio, per un’apertura di credito in conto corrente: se rientrino tra gli “oneri” le voci
44
non direttamente riferibili all’operazione oggetto di analisi (spese per invio degli estratti conto e
dei documenti di sintesi); se taluni oneri siano o meno collegati a eventi di tipo “occasionale” (il
che ne determina l’eventuale calcolo su base annua anziché periodale).
18 Esempi di calcolo si hanno in Fersini, P., Olivieri, G., Sull’“anatocismo” nell’ammortamento
francese, Banche e Banchieri, 2/2015.
19 de Finetti, B., Tre personaggi della matematica, Le Scienze, 7(1971), 35, pagina 87.
Considerazioni ampie e approfondite sono in de Finetti, Lezioni di matematica finanziaria,
Roma, Edizioni Ricerche, 1956, in particolare nel capitolo sesto.
PER CONCLUDERE
Per concludere, alcuni spunti sul “governo” degli algoritmi nelle contrattazioni finanziarie.
Il riferimento è alle contrattazioni algoritmiche nei mercati finanziari, in particolare
alla diffusione degli scambi “a alta frequenza” che rappresentano oltre il 50% del
volume totale delle operazioni concluse nel mercato azionario nordamericano.
I sistemi ad alta frequenza possono inviare alle piattaforme di negoziazione anche
più di 5.000 ordini di contrattazione in un secondo. Gli ordini assumono la forma di
“impulsi”: il più veloce scambio realizzato sull’indice Nasdaq è avvenuto in 100
microsecondi (0,1 millisecondi, un lasso di tempo impercettibile per l’essere umano);
e per “aumentare” ulteriormente la velocità degli scambi si sta studiando lo sfruttamento
di raggi laser in sostituzione dei cavi a fibre ottiche. Se, da una parte, la maggior
parte della letteratura accademica è concorde nell’identificare i principali vantaggi
di questo tipo di scambi (aumento della liquidità a disposizione dei partecipanti al
mercato; diminuzione dei costi di transazione, aumento dell’efficienza informativa dei
prezzi, aumento dei collegamenti inter-market), dall’altra, alcune delle strategie di
trading a alta frequenza possono essere utilizzate in modo “perverso”, o produrre
meccanicamente “perversioni”, come anche testimoniano recenti flash crash osservati
sui mercati finanziari.
Si tratta di un fenomeno tecnico, preoccupante e impegnativo per le Autorità di vigilanza:
operativamente, per vigilare sul corretto funzionamento dei nuovi mercati
finanziari è avvertita dall’autorità, forte, l’esigenza di disporre di algoritmi di controllo
(degli algoritmi), nel senso di dotarsi di strumenti di controllo che siano idonei al
nuovo contesto 20 .
Si pongono nuove questioni nella definizione dei contratti nonché nell’attribuzione di
responsabilità. La ricerca delle possibili soluzioni si ritiene non possa che muovere
dalla consapevolezza sulla necessità di “innovazione”, giuridica prima che tecnica.
20 Mottura C., Decisione robotica negoziale e mercati finanziari. Contrattazione algoritmica,
nuovi abusi di mercato, algoritmi di controllo (degli algoritmi), in Carleo, A., (a cura di),
Decisione robotica, Bologna, il Mulino, in corso di pubblicazione.
45
BENEFIT CORPORATION
Paolo Di Cesare
(Co-founder di Nativa srl società benefit)
“Le Benefit Corporation sono imprese a duplice finalità e avranno risultati
economici migliori rispetto a tutti gli altri tipi di impresa.”
Robert Shiller – Premio Nobel per l’Economia, 2013
Paolo Di Cesare
QUALCOSA STA ACCADENDO
Non ricordo esattamente quando accadde, ma ero certamente un bambino. Per la
prima volta sentii parlare di “astronave terra”. A quel tempo, guardavo in televisione il
telefilm Spazio 1999 e per me un’astronave era un mezzo di trasporto per viaggiare da
un mondo a un altro, per incontrare nuove specie. Non capivo perché la terra potesse
essere associata ad un’astronave.
Negli anni, crescendo, ho approfondito il tema e ho appreso uno dei concetti più importanti
della mia vita e che avrebbe poi contributo alla mia formazione e alla mia professione,
il pianeta in cui viviamo ha una caratteristica fondamentale in comune con un’astronave:
la terra è un sistema chiuso per materia e aperto per energia. Il sole raggiunge
la superficie terrestre penetrando l’atmosfera e garantendo la vita, mentre la materia è
la stessa da sempre. A parte qualche asteroide che l’ha colpita e qualche sonda spaziale
che l’ha abbandonata, sulla Terra c’è la stessa materia di 2 o 3 miliardi di anni fa. è
un sistema chiuso, esattamente come la stazione spaziale internazionale che orbita
attorno alla terra da più di 20 anni.
Fig. 1- La Stazione Spaziale Internazionale e l’Astronave Terra (Fonte Nasa - Creative Commons)
46
Se nell’astronave l’allarme di uno dei sistemi di controllo dovesse cominciare a lampeggiare,
l’equipaggio si adopererebbe immediatamente per risolvere il problema.
Conosciamo la scena: tutti sanno esattamente cosa fare e dove intervenire, con competenza
e sincronia degne di una sala operatoria. Il problema è affrontato senza indugio
e risolto per garantire la sopravvivenza dell’equipaggio.
Vediamo cosa succede sull’astronave terra...e partiamo dall’equipaggio.
Non siamo mai stati così tanti sulla terra, con una popolazione di 7,5 miliardi di persone
che si stabilizzerà a 9,5 miliardi nel 2050. Sono nato nel 1970 e poco meno di 50 anni
fa, gli abitanti erano 3,4 miliardi: sono raddoppiati. Sono addirittura triplicati dalla nascita
di mio padre, erano infatti 2,5 miliardi nel 1932.
LA POPOLAZIONE MONDIALE
1 miliardo
di persone
3,8 Mrd di anni
1804
2 Mrd
123 a
1927
3 Mrd
33 a
1959
4 Mrd
5 Mrd
6 Mrd
7 Mrd
15 a
13 a
12 a
12 a
1974
1987
1999
2011
Elaborazione Nativa su dati bbc.co.uk
Fig. 2 - Crescita della popolazione mondiale. Ci sono voluti 3,8 miliardi di anni perché la popolazione terrestre raggiungesse,
nel 1804, 1 miliardo di abitanti. Poi, 123 anni, per aggiungere un ulteriore miliardo di abitanti, poi 33 anni
per il terzo, 15 anni per il quarto…
L’equipaggio è impegnato a produrre sempre di più. Il 55% di tutto ciò che è stato
prodotto dall’uomo nel corso degli ultimi duemila anni, è stato prodotto nel XX secolo, il
24 % nei soli primi 10 anni del XXI secolo. Mantenendo costante il tasso attuale, a fine
secolo il XXI secolo avrà largamente superato il secolo precedente e rappresenterà il
75% del totale mentre (il XX rappresenterà il 15%).
47
GLOBAL ECONOMIC OUTPUT AS % OF TOTALE (YEAR 0 TO 2010)
60
50
40
30
20
10
0
Global Economic Output as % of Total (year 0 to 2010)
Elaboration by Nativa - Data by Angus Maddison and United Nations
Fig. 3 - Distribuzione dell’output economico nel corso degli ultimi 20 secoli.
Non siamo tutti uguali. Nel 2016, 8 individui sono arrivati a possedere la ricchezza dei
3,5 miliardi di persone più povere sul pianeta, erano 388 nel 2010. Sempre nel 2016 per
la prima volta nella storia, l’1% della popolazione terrestre è arrivata a possedere la ricchezza
del restante 99% (dati Oxfam, 2017). Il 10% delle persone a più alto reddito è
responsabile di tante emissioni di gas serra quanto il restante 90%.
Questi sono solo alcuni dei trend che mostrano accelerazioni rapidissime, di carattere
esponenziale, e che stanno emergendo, contemporaneamente, in questo secolo.
Una curva esponenziale mostra un andamento poco significativo nella sua prima traccia,
lasciando credere che nulla stia accadendo, mentre cresce rapidamente dopo aver
superato un punto critico. Pensate alla preparazione dei pop corn. Nulla sembra accadere
nel 95% del tempo, per poi esplodere nella sua ultima parte. Eppure i chicchi di
granturco erano in fase di riscaldamento fin dal primo istante. Questa è un’immagine
utile per provare a comprendere un fenomeno esponenziale.
L’astronave terra vive una moltitudine di fenomeni esponenziali che stanno emergendo
contemporaneamente in questi anni.
48
Fig.4 - Trend esponenziali. (Fonte: “Great Acceleration graphs”. Steffen et al. 2015 - Creative Commons)
è anche vero che non abbiamo mai vissuto un’era così prospera, in cui i livelli di povertà
sono ai minimi e gli indici di educazione, democrazia, longevità sono ai massimi di tutti
i tempi. Il modello economico capitalista è stato il motore di tutto questo: prosperità da
una parte e sfide ambientali – inquinamento, sovrasfruttamento delle risorse, cambiamenti
climatici antropogenici – e sociali dall’altra.
IL PRIMATO DEGLI AZIONISTI
Il business è una tecnologia inventata dall’uomo e come tale ha le proprie regole di funzionamento,
un sistema operativo. La regola di base è basata su un’equazione estremamente
semplice e che ne ha decretato il successo: gli amministratori sono eletti dagli
azionisti e da essi ricevono la piena autorità per gestire l’impresa; questa autorità è soggetta
all’unica finalità per cui l’impresa nasce: creare un ritorno finanziario per gli azionisti
secondo obblighi fiduciari e di fedeltà. Questo paradigma è spesso chiamato “primato
degli azionisti”.
Gli stakeholder, o più in generale la società e l’ambiente, non sono contemplati in questa
equazione. Sono state promulgate leggi che stabiliscono le regole, esistono imprenditori
e manager che pongono grande attenzione alle persone, alle comunità in cui le loro
imprese operano così come all’impatto ambientale che determinano. Tuttavia, codice
civile alla mano, l’unico scopo per cui l’azienda esiste è la distribuzione dei dividendi agli
azionisti. Come conseguenza, a tendere, è inevitabile un sistematico degrado della
società e dell’ambiente, semplicemente perché questi “fattori” non fanno parte dell’equazione.
I sistemi ambientali sono in rapido e sistematico declino, anche perché ad
un’azienda oggi è permesso fare profitti anche se questi derivano dall’avere causato un
danno sociale o ambientale, che fino ad oggi non è stato né misurato né contabilizzato.
49
Ad esempio, è legale produrre combustibili fossili, ma la scienza ci dimostra che sono
milioni, ogni anno, le persone che muoiono per le conseguenze dirette del loro utilizzo
e di come siano una delle cause principali del cambiamento climatico.
Cosa potrebbe accadere se l’equazione alla base del business includesse anche gli altri
portatori di interesse e prevedesse la misura del beneficio apportato nei loro confronti
con lo stesso rigore con il quale viene misurato il ritorno degli azionisti? Qualche anno
fa alcuni imprenditori americani hanno cominciato a rispondere a questa domanda con
lo scopo ultimo di far compiere un salto evolutivo alla tecnologia che esprime la forza
più potente sul nostro pianeta: il business.
COSA SONO LE B CORP E LE BENEFIT CORPORATION?
“Tra cinque o dieci anni guardando indietro diremo: questo è stato l’inizio di una
rivoluzione perché il paradigma esistente non funziona più. Questo è il futuro.”
Yvon Chouinard, Fondatore Patagonia,
prima azienda californiana a diventare Benefit Corporation nel 2011
Le B Corp sono aziende for profit che da aziende a singola finalità (il profitto) si trasformano
in aziende a duplice finalità: profitto e impatto positivo su società e ambiente e
insieme formano un movimento globale che ha l’obiettivo di diffondere un paradigma di
business più evoluto.
La visione del movimento delle B Corp (www.bcorporation.net) è di usare il Business
come forza positiva per creare una prosperità durevole e condivisa. Per questo è necessario
che a) le aziende siano misurate in maniera completa, trasparente e rigorosa per
i loro risultati totali, non solo quelli economici ma anche gli impatti sulla società e sull’ambiente
e b) sia disponibile un nuovo modello giuridico che renda esplicita la loro doppia
finalità.
Il movimento delle B Corp è nato nel 2006 negli USA, quando alcuni imprenditori decisero
che era indispensabile tentare di cambiare il modello dominante e di promuovere
una radicale evoluzione del capitalismo come lo conosciamo oggi. Da allora, l’organizzazione
non profit B Lab ha sviluppato con il sostegno di grandi fondazioni il più robusto
e diffuso protocollo al mondo di misura degli impatti, il B Impact Assessment (BIA).
Il BIA è uno strumento di analisi disponibile online (www.bimpactassessment.net) già
adottato da più di 70.000 aziende nel mondo appartenenti a 140 settori. Lo strumento
fornisce indicazioni sulla performance economica, sociale e ambientale dell’azienda
prendendo in considerazione 5 macro aree di analisi: governance, comunità, persone,
ambiente e modello di business. L’analisi consente di ottenere una misura numerica,
compresa tra 0 e 200 punti, dell’impatto prodotto dall’impresa, il suo profilo d’impatto e
le aree di possibile miglioramento. Le aziende che superano il punteggio di 80/200, una
volta certificata l’analisi attraverso una verifica da parte del team di Review di B Lab,
vengono premiate come Certified B Corp®.
50
Punteggio BIA
Break Even
assoluto
Azienda
Rigenerativa
80
Azienda
Estrattiva
0
Fig. 5 - Break Even Assoluto: il B Impact Assessment (BIA) consente di ottenere un punteggio tra
0 e 200 relativo all’impatto determinato da un’impresa. 80 punti costituisce il punto di equilibrio,
superato il quale l’impresa dimostra di avere un impatto positivo dal punto di vista sociale, ambientale
ed economico
Ogni impresa nell’esercizio della propria attività economica utilizza delle risorse come
input e restituisce del valore per i propri stakeholder come output. Il punteggio di 80 punti
rappresenta il punto di pareggio, oltre il quale l’azienda sta creando valore diffuso non
solo dal punto di vista economico ma anche sociale e ambientale, secondo una prospettiva
di Triple Bottom Line.
A ottobre 2018, le oltre 70.000 aziende che hanno condotto l’analisi hanno raggiunto un
punteggio medio di 55 punti e solo 2.500 hanno superato il punteggio minimo di 80, a
dimostrazione che l’attività di impresa nasce su presupposti molto diversi.
MEDIA
55
70.000 aziende
nel mondo
(ottobre 2018)
2655 B
Corp
MIN
80
TOP
160
MAX
200
Fig. 6 - Ad ottobre 2018 più di 70.000 aziende nel mondo hanno misurato il proprio impatto sociale,
ambientale ed economico. 2655 di queste, poco più del 4% del totale, mostra di avere un impatto
positivo superando 80 punti. La media totale è di 55.
51
Oltre allo strumento di misura, B Lab ha promosso fin dal 2008 l’adozione di una forma
giuridica ad hoc per riconoscere la duplice finalità: Benefit Corporation. Lo Stato USA ad
adottarla per primo è stato il Maryland nel 2010. Ad oggi le Benefit Corporation sono
riconosciute dalla legge in 34 stati USA e, dal gennaio 2016 anche in Italia con la denominazione
di Società Benefit. Nell’Aprile del 2018 anche la Colombia si è aggiunta a
questa lista e 12 Paesi nel mondo hanno processi legislativi in corso.
B Corp ®
• Certificazione di eccellenza
riconosciuta dalla non profit
B Lab
• Un’azienda che soddisfa i più
alti standard di performance
sociale, ambientale e economica.
Si impegna anche da
un punto di vista legale a
tenere in considerazione tutti
gli stakeholder.
• Tutte le imprese for profit
in qualsiasi Paese possono
perseguire la certificazione
B Corp
www.bcorporation.net
Benefit Corporation (US)
Società Benefit (Italia)
• Forma di società a scopo di
lucro, a duplice finalità espressamente
dichiarato: profitto e
impatto positivo su società e
ambiente. Caratterizzata da un
livello più alto di trasparenza,
accountability e scopo.
• Una entità legale che protegge
una missione duplice e considera
gli impatti verso gli stakeholder
e non solo gli shareholder.
• Disponibile in 34 Stati degli
USA, in Italia e in Colombia.
www.benefitcorp.net
www.societabenefit.net
Le B Corp rappresentano una soluzione concreta, operativa e scalabile, perché superano
il più pesante limite del Capitalismo, la sostanziale esclusione delle persone e del
pianeta come stakeholder, senza metterne in discussione i punti di forza: la libertà di
fare profitto per gli shareholder, l’imprenditorialità, la libera iniziativa, l’innovazione, la
competizione, il libero mercato. Costituiscono un esempio concreto di passaggio da una
Shareholder Economy a una Stakeholder Economy, e fanno volontariamente oggi quello
che in futuro tutte le aziende dovranno necessariamente fare per ottenere e mantenere
la license to operate.
52
NATIVA, LA PRIMA B CORP E BENEFIT CORPORATION IN EUROPA
“Gli innovatori fanno cose normali.
Prima degli altri”
- Anonimo
Fig. 7 – Il logo di Nativa rappresenta l’impronta del palmo della mano (handprint). Mentre il footprint
di solito è accidentale, l’handprint è intenzionale ed esprime la volontà di generare un impatto positivo
sulle persone che ci lavorano e sulla società e di rigenerare la Biosfera. (www.nativalab.com)
Con il mio amico Eric Ezechieli sono fondatore di Nativa, una design company dedicata
all’innovazione ‘a prova di futuro’. Nativa opera attraverso ‘Benefit Unit’ che svolgono
attività di strategic advisory, design e consulenza architettonica, sviluppo software, promozione
delle B Corp e attività di comunicazione affrontando i temi da un nuovo punto
di vista che mette al centro la sostenibilità. Nativa inoltre sviluppa nuovi progetti imprenditoriali
che abbiano un impatto positivo sulle persone e sull’ambiente.
Abbiamo fondato Nativa nel 2012 scrivendo, tra le altre cose nell’oggetto sociale che lo
scopo sarebbe stata la Felicità di chi ci lavora. Solo ad anni di distanza ci siamo resi
contro che non solo avevamo creato la prima Benefit Corporation in Europa ma avevamo
di fatto anche costituito un’azienda ‘oltre la legge’ (o forse ‘fuorilegge’ anche se con
questo termine potremmo dare origine ad equivoci).
Lo statuto di Nativa, nella primavera del 2012, fu redatto a partire da una prima traduzione
e adattamento del modello giuridico di Benefit Corporation, che allora esisteva
solo in una decina di stati degli USA. Ci sembrava ovvio scrivere che lo scopo, l’oggetto
sociale di un’azienda, fosse di generare un impatto positivo sulla società e sulle persone,
oltre alla divisione degli utili. Solo che quello che era ovvio per noi non lo era per la
Legge italiana. Dopo alcune ricerche, identificammo un notaio di Milano il dott. Bastrenta
che decise di collaborare con noi per la costituzione. Fin qui tutto bene. Nei giorni successivi,
come di prassi, inviammo il nostro statuto alla Camera di Commercio di Milano
per la registrazione e qui le cose andarono diversamente. Il diligente funzionario registrò
Nativa, tuttavia si premurò di cancellare per intero lo scopo che avevamo esplicitato
nell’oggetto sociale. Rimanevano le attività, ma lo scopo, la ragione per cui avevamo
creato Nativa, non poteva essere messo agli atti, perché la legge non lo contemplava.
Ci rifiutammo di accettare questa ‘amputazione’ e presentammo di nuovo lo statuto originale
per altre tre volte fino a quando, di fronte alla nostra insistenza il funzionario
accettò le richieste integrali, crediamo per sfinimento.
53
Oggetto sociale
Oggetto sociale
LO SCOPO ULTIMO DELLA SOCIETÀ È LA FELICITÀ DI TUTTI QUANTI NE FACCIANO PARTE,
SIA COME SOCI CHE IN ALTRI RUOLI, ATTRAVERSO UN MOTIVANTE E
SODDISFACENTE IMPEGNO IN UN’ATTIVITÀ ECONOMICA DI SUCCESSO.
LA SOCIETÀ VUOLE ACCELERARE UNA TRASFORMAZIONE POSITIVA NEI PARADIGMI
ECONOMICI, DI PRODUZIONE, CONSUMO E CULTURALI, IN MODO CHE TENDANO VERSO LA
SISTEMATICA RIGENERAZIONE DEI SISTEMI NATURALI E SOCIALI.
LE SUE ATTIVITÀ MIRANO A CREARE UN BENEFICIO - INTESO COME UN IMPATTO
POSITIVO - SULLE PERSONE CON CUI INTERAGIRE, SULLA SOCIETÀ E SULL’AMBIENTE DI
CUI È PARTE.
Registro Imprese - Archivio Ufficiale delle CCIAA
Documento n. T 107275383 del 31/07/2012
Pagina 3 di 9
Fig. 8- Stralcio dell’oggetto sociale originario di Nativa, respinto 4 volte nel luglio 2012 dalla Camera di Commercio
di Milano, prima di essere registrato alla quinta presentazione. La Felicità non era ritenuta uno scopo consono per
un’attività economica.
Da questa e altre esperienze è maturata in noi la determinazione che ci ha portato a far
si che nel 2016 venisse introdotta in Italia la legislazione che riconosce le Società
Benefit, oltre 400 oggi in Italia. Subito dopo l’approvazione della legge, abbiamo trasformato
Nativa in Società Benefit e in questo modo abbiamo riportato Nativa, un’azienda
‘fuorilegge’, all’interno delle leggi vigenti. L’essenza dello statuto non è cambiata e questa
volta la Camera di Commercio lo ha registrato esattamente come scritto alla prima
presentazione. Tra le specifiche finalità di Beneficio comune abbiamo esplicitato “- la
promozione e diffusione di modelli e sistemi economici e sociali a prova di futuro, in particolare
il modello di B Corp e la forma giuridica di società benefit in diversi settori economici
italiani”.
Oggetto sociale
LO SCOPO ULTIMO DELLA SOCIETÀ È LA FELICITÀ DI TUTTI QUANTI NE FACCIANO
PARTE, SIA COME SOCI CHE IN ALTRI RUOLI, ATTRAVERSO UN MOTIVANTE E
SODDISFACENTE IMPEGNO IN UN’ATTIVITÀ ECONOMICA.
IN QUALITÀ DI SOCIETÀ BENEFIT LA SOCIETÀ INTENDE PERSEGUIRE UNA O PIÙ
FINALITÀ DI BENEFICIO COMUNE E OPERARE IN MODO RESPONSABILE, SOSTENIBILE E
TRASPARENTE NEI CONFRONTI DI PERSONE, COMUNITÀ, TERRITORI E AMBIENTE, BENI E
ATTIVITÀ CULTURALI E SOCIALI, ENTI E ASSICURAZIONI ED ALTRI PORTATORI DI
INTERESSE.
Fig. 9 - Estratto della visura camerale di Nativa Srl Società Benefit, registrata a inizio 2016, che riporta l’oggetto sociale
‘benefit’ del nuovo statuto.
Nativa è nata come espressione di una nostra chiara visione: da anni lavoravamo assieme
nella realizzazione di progetti strategici di innovazione sostenibile ed entrambi avevamo
un background imprenditoriale. Credevamo anche che il modello classico di business
fosse limitato e per le nostre attività di strategic advisory operavamo come ramo
54
italiano di una delle più autorevoli organizzazioni non profit in questo campo, The
Natural Step Italia, parte del network internazionale che opera in 10 paesi del mondo.
Vivevamo il paradosso di un modello definito da una negazione: ci chiedevamo perché
le nostre attività dovessero essere definite come quello che non eravamo, da un ‘non’
(profit), invece che da qualcosa che correttamente definisse la nostra visione e le nostre
azioni.
Ci siamo allora dedicati a trovare una soluzione a questo paradosso, non ritenevamo
adeguato il modello ‘profit’ classico, perché ci sembrava che gli mancasse un pezzo fondamentale:
lo scopo. Un imprenditore, infatti, non è tenuto secondo la legge ad esplicitare
lo scopo per cui svolge la propria attività: secondo il codice civile e nella nostra cultura
le società esistono con l’unico scopo di distribuire dividendi agli azionisti. Non sono
ammesse altre finalità e se perseguite non sono vincolanti per azionisti e management.
Esistono poi dei vincoli di legge e delle prescrizioni da rispettare, pagare le tasse, non
violare una serie di norme che regolano l’attività d’impresa e i suoi impatti verso le persone
e l’ambiente. Tuttavia, questi limiti di legge stabiliscono soltanto una soglia di ‘compliance’,
di ‘conformità’, che è assolutamente inadeguata per fare si che le attività economiche
abbiano un impatto positivo sul mondo e che possano concorrere così ad
affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Era necessario un modello più evoluto. Era
indispensabile. Già dal 2009 avevamo iniziato a definire il nostro lavoro ‘For Benefit’, termine
anche riportato in alcune interviste, e a parlare di ‘Beneficio’ creato, senza sapere
che altrove nel mondo già esistevano ed erano state codificate le Benefit Corporation.
Quando abbiamo conosciuto le Benefit, abbiamo finalmente trovato un modello che ci
rappresenta e in cui poterci riconoscere.
Nativa nel Febbraio 2013 è diventata la prima azienda in Europa a diventare Certified B
Corp. è stata dunque la prima azienda nel continente a misurare i propri impatti attraverso
il B Impact Assessment e a validare la misurazione con B Lab. Ora in Europa si
contano oltre 600 B Corp certificate.
Data la sua proattività, B Lab ha invitato Nativa a ricoprire il ruolo di Country Partner
per l’Italia e da allora siamo diventati il principale catalizzatore e promotore del movimento
B Corp italiano, che attualmente sta crescendo più rapidamente che in qualsiasi
altro paese d’Europa. Nativa nel 2016 ha anche ricevuto da B Lab il più importante
riconoscimento nella intera comunità globale delle B Corp, il ‘Most Valuable
Player Award’: i progressi del movimento italiano B Corp ispirano e accelerano
l’intero movimento globale.
Nativa oggi conta su un team multidisciplinare di 15 persone e coordina una rete di specialisti,
selezionati e formati negli anni, occupandoci esclusivamente di ‘purpose driven
innovation’, ovvero innovazione verso uno scopo di rigenerazione delle persone e della
natura. Il nostro lavoro consiste nel portare innovazione nelle aziende in modo che queste
migliorino i loro risultati economici, migliorando al contempo, gli impatti ambientali e
sociali delle proprie attività. Così facendo le aziende diventano ‘a prova di futuro’.
Applichiamo metodologie e strumenti che abbiamo sviluppato in decenni di attività e
abbiamo contribuito a creare decine di casi che fanno scuola nel mondo. Lavoriamo
soprattutto con aziende di dimensioni medio grandi e, partendo dai vertici e dalla proprietà,
ne acceleriamo il cammino di evoluzione, andando a ridisegnare la strategie e i
modelli di business, approfondendo a 360° tutte le attività che l’azienda svolge.
55
LE SOCIETÀ BENEFIT ITALIANE
“Le B Corp restituiscono all’imprenditore il comando integrale sull’impulso
originario che muove in profondità l’agire umano: produrre un beneficio,
creare un’innovazione positiva per sé, la comunità e l’ambiente. Fondere
indissolubilmente questa tensione con la ricerca del profitto libera da
condizionamenti culturali negativi che spesso portano le imprese a divorare
quella che dovrebbe essere la loro vera mission”
- Senatore Mauro Del Barba -
Primo Firmatario del DDL 1882/2015 sulle Società Benefit
L’Italia è dunque il primo paese europeo e il primo Stato sovrano al mondo ad aver introdotto,
dal gennaio 2016, l’equivalente della Benefit Corporation, denominata Società
Benefit. Questa forma legale rappresenta una modifica permanente del DNA dell’azienda
e ne protegge la missione in caso di entrata di nuovi investitori, cambi di leadership
e passaggi generazionali. L’articolo 1 della Legge recita “La presente legge ha lo scopo
di promuovere la costituzione e favorire la diffusione di società, denominate società
benefit, che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili,
perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile,
sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni
ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse.”
Una Società Benefit è chiamata a redigere una relazione annuale – da pubblicare insieme
al bilancio di esercizio – che descrive e misura, utilizzando lo standard internazionale
del B Impact Assessment, l’impatto generato dal perseguimento del beneficio comune
dichiarato nello statuto dell’azienda.
Fig. 10 - Paolo Di Cesare (a destra) e Eric Ezechieli (a sinistra) in senato, il 22 Dicembre 2015, con
il Senatore Mauro Del Barba, pochi minuti dopo l’approvazione della legge di Stabilità 2016, che
ha introdotto in Italia le Società Benefit.
56
Ad oggi centinaia di imprese private italiane hanno scelto questo nuovo modello o sono
prossime alla trasformazione. Dopo Nativa, aziende come Aboca, Chiesi Farmaceutici,
Davines, Herbatint Antica Erboristeria, Fratelli Carli, Assimoco, Slow Food, Damiano,
Zordan, Filippi, Dermophisiologique, Arkage, Litte Genius International, Zordan,
Croqqer, D-Orbit, NWG, Singularity University Italia, VITA e Mondora da semplici S.r.l. o
S.p.A. diventano Società Benefit. Il numero è in rapida crescita ed è possibile consultare
l’elenco aggiornato sul sito www.societabenefit.net.
Il modello di azienda a duplice finalità si adatta perfettamente alla vocazione e alla mission
delle aziende di gestione di servizi pubblici in forma societaria, sia a capitale privato
che a capitale misto, così come ad aziende concessionarie di beni e servizi pubblici.
La legge 208/2015, di cui uno dei punti cardine è il concetto di trasparenza, ben di adatta
anche a quello che è l’impianto normativo che regola le aziende pubbliche (in primis la
l.190/2012 e il d.lgs 33/2013).
In un suo articolo Luciano Cimbolini scrive: (…) Il concetto di società benefit sembra
tagliato su misura soprattutto per le gestioni di servizi pubblici in forma societaria, sia a
capitale in tutto o in parte privato, sia, molto più spesso, a proprietà interamente pubblica
e affidamento “in house providing”. In questi casi, difatti, si tratta dei settori dell’acqua,
dei rifiuti, dei trasporti, dell’energia ecc., ossia di servizi collegati direttamente o indirettamente
ai diritti della persona costituzionalmente garantiti.
Sembra quasi doveroso, dunque, introdurre nell’oggetto sociale di queste imprese
monopolistiche, che oltretutto traggono le loro risorse da tariffe e bilanci pubblici, scopi
diversi dalla (teorica) massimizzazione dei profitti. Trattandosi spesso di gestioni in
pesante perdita, tuttavia, si dovrebbe mirare, più prosaicamente, a un equilibrio economico
unito al benessere della comunità e alla tutela dell’ambiente. (…).
Da questa intuizione, ad esempio, l’amministrazione di Firenze ha deciso di promuovere
il modello Benefit per fare di Firenze la prima città in Italia a recepire in modo ampio questa
importante innovazione. Il 20 marzo 2018 è nata così la prima Società Benefit al
mondo a capitale misto pubblico privato: AFAM SpA Società Benefit (Farmacie
Comunali Firenze), mentre altre aziende partecipate in tutta Italia si stanno muovendo
per intraprendere la stessa evoluzione.
Oggi purtroppo non è possibile conoscere esattamente il numero di Società Benefit nate
in Italia. Per questa ragione riteniamo indispensabile che si provveda all’istituzione di
una Sezione Speciale nel Registro Ufficiale delle imprese per le Società Benefit.
CONCLUSIONI
“C’è una cosa più forte di tutti gli eserciti del mondo,
e questa è un’idea il cui momento è ormai giunto.”
- Victor Hugo -
Immaginiamo per un momento che tutte le aziende del mondo fossero ispirate in un sol
colpo a trasformarsi in Benefit Corporation. Che siano chiamate ad esprimere la propria
vocazione e a trascriverla nello Statuto dell’impresa come un impianto di DNA. Che
siano così chiamate a bilanciare l’interesse degli azionisti e l’interesse degli altri portatori
57
d’interesse e a pianificare azioni volte a perseguire questa vocazione.
Assisteremmo probabilmente alla più grande ondata di innovazione nella storia dell’umanità,
al più grande impatto positivo sulla società e nella biosfera, a un nuovo
Rinascimento.
Siamo convinti che le Benefit Corporation rappresentino l’inizio di una rivoluzione e che
presto le aziende NON benefit perderanno la licenza di operare, non importa se da parte
del legislatore o dei consumatori o da altri stakeholder. Quello che per noi è certo è che
accadrà presto.
Approfondimenti
Le B Corp e SB in due minuti: VIDEO
Chi è B Lab
https://www.bcorporation.net/what-are-b-corps/about-b-lab
Chi è B Lab: Storia
https://www.bcorporation.net/what-are-b-corps/the-non-profit-behind-b-corps/our-history
B Lab, l’inventore del ‘paradigma Benefit’: Case Study di Harvard
https://hbr.org/product/b-lab-building-a-new-sector-of-the-economy/411047-PDF-ENG
B Corps & business results: HBR
https://hbr.org/2016/12/it-pays-to-become-a-b-corporation
Guide sulle B Corp e Benefit Corporation: Yale & Patagonia.
http://cbey.yale.edu/sites/default/files/BCORP_Digital%20version.pdf
B Corps & Media:
https://www.bcorporation.net/news-media/articles
Strumenti delle Benefit a disposizione degli operatori finanziari
http://b-analytics.net/
Altri Standard di misurazione degli impatti
http://benefitcorp.net/businesses/how-do-i-pick-third-party-standard
Le Benefit Corporation negli USA: sito ufficiale di informazione curato da B Lab
http://benefitcorp.net/
Le Società Benefit Italiane: sito ufficiale di informazione curato da B Lab
http://www.societabenefit.net
Benefit Corporation e B Corp nelle Università: Risorse per gli educatori
https://www.bcorporation.net/educators
Il Manuale delle B Corp e Società Benefit
https://bookabook.it/prodotto/manuale-delle-b-corp/
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UNA RIVOLUZIONE
E QUATTRO RIVELAZIONI
Maurizio Ferraris
(Professore Ordinario di Filosofia Teoretica Università degli Studi di Torino)
La moltiplicazione, classificazione e messa a frutto dei dati è il capitale del XXI
secolo. Rispetto a questa trasformazione si insiste molto su problemi di privacy e
di diritti umani, ma forse c’è un errore di prospettiva. Il problema non sono i diritti
umani (che è qualcosa a cui si rinuncia facilmente: si pensi al fenomeno macroscopico
della cessione gratuita dei dati personali sui social), bensì qualcosa che sta più
in alto o più in basso, e che ha a che fare con il lavoro, con una mobilitazione che
produce valore (i dati come capitale, appunto) e di cui non si ha consapevolezza.
Questo perché la situazione presenta delle caratteristiche così originali da non essere
ancora state messe nella giusta prospettiva. Da una parte, si lavora molto meno,
eppure cresce la quantità di lavoro implicito, di servizi che eroghiamo senza saperlo
o senza pensarci, così come aumenta esponenzialmente un enorme lavoro sommerso,
cioè appunto la mobilitazione che ha luogo in ogni istante e in ogni fascia d’età.
Questi dati, oltre a costituire una ricchezza in sé, hanno anche un enorme valore
politico, perché rendono estremamente facile, per i partiti che abbiano comprato
informazioni da agenzie specializzate, l’intercettazione degli umori dell’elettorato;
dunque, diventa relativamente facile confezionare programmi elettorali vincenti, ma
è poi impossibile esercitare un’azione di governo, visto che l’esecutivo deve essere
sensibile alle minime variazioni d’umore dell’elettorato.
In tutto questo, si verificano due fenomeni contraddittori. Da una parte, cresce lo
scontento sociale, generato dalla oscura percezione che ciò che si produce si cede
gratuitamente e che non viene ricompensato né riconosciuto dalle compagnie. Tra i
dati disponibili agli utenti comuni e quelli a disposizione delle compagnie si crea così
quello che propongo di definire “plusvalore documediale”, una differenza quantitativa
e qualitativa a cui sinora non si è prestato attenzione concentrandosi su fenomeni
tutto sommato marginali. Dall’altra, però, almeno in Occidente, si assiste a una crescita
media del benessere individuale, sebbene si abbia l’impressione che non
sia così; ciò dipende dal fatto che effettivamente i servizi offerti dal web migliorano
la vita delle persone. La prova empirica si ottiene proponendo di ritornare agli anni
Cinquanta: nessuno vorrebbe farlo.
Il Professore Maurizio Ferraris
IL COMPITO DEL NOTARIATO
In questo quadro c’è un enorme lavoro da fare per l’università e per le professioni,
a partire da quelle che, come il Notariato, sono tradizionalmente designate alla
comprensione, composizione, conservazione e gestione dei documenti, evitando
che l’innovazione abbia luogo solo in pochi e circoscritti spazi dell’industria, e facendo
sì che le soluzioni proposte dalla politica si basino su competenze certe e possano
quindi fornire soluzioni innovative. Il gesto preliminare per questo obiettivo è la
reale comprensione della trasformazione in corso. Ora, il mondo degli ultimi due
secoli è stato compreso filosoficamente da Marx come il mondo del capitale industriale:
quest’ultimo produceva merci, generava alienazione, faceva rumore, quello
delle fabbriche. Poi è stata la volta del capitale finanziario: produceva ricchezza,
59
generava adrenalina e faceva ancora un po’ di rumore, quello delle sedute di borsa.
Oggi si sta facendo avanti un nuovo capitale, il Capitale Documediale: produce documenti,
genera mobilitazione e non fa rumore. Il suo ambiente, e la sua condizione di
possibilità, è il web, che ha prodotto una rivoluzione, che chiamo rivoluzione documediale
1 , innescata dall’incontro fra una sempre più potente documentalità (così
chiamiamo la sfera di documenti da cui dipende l’esistenza della realtà sociale 2 ) e
una medialità diffusa e pervasiva, sia quantitativamente (i cellulari sono due miliardi)
sia qualitativamente (grazie ai social media, ogni ricettore è anche un broadcaster).
Il web, si legge 3 , è una rivoluzione, la quarta, dopo Copernico, Darwin e Freud. Si
dice anche che quella del web sia una rivoluzione silenziosa. Si intende con questo,
a ragione, che è una rivoluzione sottovalutata e incompresa, perché non fa rumore.
Ma, ecco il punto, non fa rumore perché usa una tecnica silenziosa, la registrazione.
Questa rivoluzione antropologica è al tempo stesso, e del tutto significativamente,
una rivoluzione tecnologica 5 in qualche modo correlata con la scrittura (la prima
essendo l’invenzione della scrittura, la seconda il passaggio dal codice al libro, la
terza la stampa con caratteri mobili). Così, il web appare un punto di partenza che
promette dei risultati molto più ampi di quanto non siano quelli che ordinariamente ci
si attende dall’esame di un apparato tecnico.
Ecco perché si rende necessaria una rivoluzione copernicana, che al tempo stesso
riveli le strutture della realtà sociale: invece di chiederci come siano l’umano e il
sociale in se stessi, domandiamoci piuttosto come si manifestino attraverso l’espressività
tecnologica – rivoluzione tanto più significativa in ambito sociale e antropologico
perché, diversamente che nell’ambito naturale indagato da Kant, non c’è ragione
di postulare una essenza dell’umano e del sociale diversa dalla loro apparenza, cioè
dalle loro forme concrete di manifestazione. Dunque, che cosa è cambiato? Qual è
la trasformazione tecnologica da cui dipende questa rivoluzione antropologica?
L’ESPLOSIONE DELLA REGISTRAZIONE
Tutto, nella sua parte decisiva, ha inizio meno di nove anni fa, il 4 dicembre 2009,
quando Google avvisa che inizierà a personalizzare gli avvisi in base agli utenti: se
cerchi “calcio”, in base alle tue navigazioni ti può venir fuori “Juve” o “Roma” (e se
cerchi spread, reddito di cittadinanza, vaccini, Junker che barcolla, avrai risposte
coerenti con le tue credenze, o almeno abitudini). Perché tutto questo ha un valore
epocale? Perché da quel momento si è compreso che la funzione capitale del web
era registrare molto più che comunicare. Chi accede al web ha fisicamente l’impressione
di guardare la televisione, ma in realtà tra il guardare un video in tv o sul telefonino
ha luogo una rivoluzione copernicana. Nel primo caso, siamo noi che guardiamo
il video. Nel secondo, per così dire, è il video che guarda noi, nel senso che
annota quello che guardiamo, i commenti che facciamo, le persone a cui inviamo il
1 T. Piketty, Capital in the Twenty-First Century (2013), Belknap, Cambridge (MA)-London 2014.
2 M. Ferraris, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Laterza, Roma-Bari 2009.
3 L. Floridi, The Fourth Revolution. How the Infosphere is Reshaping Human Reality, Oxford
University Press, Oxford 2014.
4 M. Bunz, The Silent Revolution. How Digitalization Transforms Knowledge, Work, Journalism and
Politics without Making Too Much Noise, Palgrave Macmillan, London 2013.
5 G. Roncaglia, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, Laterza, Roma-Bari 2010.
60
link, la frequenza con cui ci ritorniamo. Ecco cosa manca nella pletora di libri che
escono sul web, prima entusiastici, ora per lo più critici, ma che lasciano sempre l’impressione
di non aver colto il punto e di parlare di uno strano oggetto di cui non si è
ancora compresa la natura, e nemmeno i confini.
L’interrogativo che dobbiamo porci non riguarda un semplice apparato tecnico o una
qualche scienza della comunicazione, ma pone un problema non diverso da quello
che si è posto a Marx quando si è confrontato con il capitale. Il web è una fabbrica
di registrazioni ed è per questo che, almeno ai miei occhi, riveste un interesse filosofico
peculiare. In effetti, da un quindicennio a questa parte ho proposto una lettura
del mondo sociale come costitutivamente dipendente dall’esistenza di registrazioni 6 .
Il più grande apparato di registrazione che la storia abbia conosciuto sin qui, e il più
potente. D’accordo con la legge fondamentale della ontologia sociale che vengo proponendo
da quindici anni a questa parte, la definizione degli oggetti sociali è Oggetto
= Atto Registrato: un oggetto sociale è il risultato di un atto sociale (tale da coinvolgere
almeno due soggetti, un soggetto e una macchina delegata, o due macchine
delegate) che ha la caratteristica di essere registrata su un qualche supporto.
Ora, se nel caso della rivoluzione industriale l’impulso tecnologico fondamentale
veniva dalla forza propulsiva del vapore e degli apparati meccanici, in quello della
rivoluzione documediale abbiamo a che fare con l’esplosione della registrazione.
Non è mai stato così facile registrare, in maniera economica, automatica, ubiqua.
Ognuno di noi porta con sé potentissimi apparati di registrazione e di diffusione di
quanto abbiamo registrato, ogni transazione sul web lascia traccia; si sta costituendo
un archivio senza precedenti di tutti gli atti dell’umanità. Nei paesi sviluppati, e progressivamente
in tutto il mondo, atti come comprare un biglietto, fare una telefonata,
accedere a un contenuto sul web, che sino a un passato recentissimo sarebbero
scomparsi nel nulla, vengono capitalizzati. Se infatti gli oggetti sociali (cioè quegli
oggetti che non esisterebbero in assenza di società: denaro, titoli, status…) sono atti
registrati, la crescita della registrazione comporta una crescita proporzionale degli
oggetti sociali, dunque il sorgere di un capitale più ubiquo, informato e potente di
quello che la storia abbia conosciuto, cioè appunto il capitale documediale.
Nella storia dell’uomo, non è mai stato così facile registrare né farlo in maniera più
economica, automatica, ubiqua. Ogni nostro atto sociale, anche minimo, è potenzialmente
registrato sul web. Una umanità abituata a vivere con una scarsità di documenti
ora ne dispone in un modo sovrabbondante. Questo è il vero capitale della
nostra epoca, che insieme getta luce sulla natura di ogni capitale precedente, rivelandone
la natura documentale: il capitale non è stato, nel tempo, che una forma particolare
di archivio, ma nel momento in cui, come oggi, tutta l’interazione sociale può
essere archiviata, appare evidente che si assiste alla capitalizzazione della interazione
sociale, e precisamente di ciò che chiamo “mobilitazione” 7 , il sistema di azioni
6 M. Ferraris, Dove sei? Ontologia del telefonino, Bompiani, Milano 2005 e Id., Documentalità:
perché è necessario lasciar tracce, Laterza, Roma-Bari 2009.
7 M. Ferraris, “Total Mobilization”, in The Monist, vol. 97, n. 2, 2014 April 1, pp. 200–221.
61
che ognuno di noi opera attraverso il web. La rivoluzione documediale, come sempre
avviene nel caso di una rivoluzione tecnologica e sociale, permette dunque l’emergenza
di strutture fondamentali che erano presenti sin dall’origine della civiltà
umana. Agire politicamente in modo efficace all’interno di questo contesto richiede
consapevolezza teorica, e a questo fine è importante mettere a fuoco la natura del
capitale quale emerge dalla rivoluzione documediale.
Il cambiamento non è solo quantitativo (si stima che negli ultimi due anni si siano
prodotte più registrazioni che in tutta la storia precedente), ma è anche, e soprattutto,
qualitativo. Se prima del web e delle tecnologie che lo hanno reso possibile l’informazione
era la norma, e la registrazione l’eccezione, nel senso che poteva anche
non aver luogo, ora perché ci sia informazione è necessaria, preliminarmente, una
registrazione 8 . In altri termini, se nell’epoca precedente il web la registrazione era un
atto successivo alla comunicazione, ora ogni comunicazione suppone una registrazione,
che appare come un atto preliminare e trascendentale. Nell’analogico la registrazione
era a monte (per comunicare occorre un codice, e il codice richiede registrazione)
e a valle (la comunicazione è ineffettuale senza memoria, e in particolare,
nel caso del performativo, senza memoria non si possono produrre oggetti sociali).
Nel digitale, che in questo senso rivela l’essenza nascosta dell’analogico, la registrazione
è la condizione di possibilità tecnica della comunicazione, che avviene attraverso
pacchetti di informazione registrata che vengono ricomposti per generare
comunicazione.
Di qui possibilità di capitalizzazione del dato inimmaginabili all’epoca dell’analogico,
giacché nel digitale l’archiviazione è preliminare alla comunicazione, dunque è sempre
disponibile non solo per una classificazione, ma anche per una manipolazione e
rielaborazione, senza considerare poi che l’archivio non comprende soltanto i dati
propriamente detti, ma anche i metadati, raramente accessibili all’utente e generati
automaticamente che registrano il luogo e la data di composizione del documento,
chi ha visto il documento, chi l’ha linkato, chi l’ha taggato.
DAL WEB TOLEMAICO AL WEB COPERNICANO
Come la comprensione marxiana del capitale industriale e delle sue ripercussioni
sociali ed economiche doveva prendere le mosse dalle condizioni materiali di produzione
del capitale, così l’analisi del capitale documediale non può prescindere dall’esame
del web e dalla comprensione delle sue caratteristiche fondamentali, che contraddicono
sistematicamente l’interpretazione mainstream. Invece di pensare a una
registrazione che segue l’informazione – fuorviati dalla visione tradizionale della
scrittura come registrazione della voce – pensiamo che è la registrazione a precedere
e a rendere possibile la comunicazione, giacché il messaggio viene registrato preliminarmente
per poter venire trasmesso e spacchettato 9 .
Tuttavia, la comprensione del web è ancora tolemaica 10 : il web tolemaico interpreta
8 A. Badia, The Information Manifold, forthcoming.
9 B. Bachimont, Between Formats and Data: When Communication Becomes Recording, in
62
Towards a Philosophy of Digital Media, a cura di A. Romele e E. Terrone, Palgrave MacMillan,
Basingstoke 2018.
10 L. Floridi, The Fourth Revolution. How the Infosphere Is Reshaping Human Reality, Oxford
University Press, Oxford 2014.
se stesso come una tecnologia della informazione, cioè come la semplice evoluzione
digitale della televisione del tipo amnesico dominante nella metà del secolo scorso.
Lo stesso acronimo ICT, che designa le tecnologie del web, è eloquente sotto questo
profilo: Information and Communication Technologies. In questa prospettiva, la “onlife”,
la vita sul web 11 non è quello con cui abbiamo a che fare – ossia la nostra vita,
povera di virtuale, piena di reale, e circondata da bufale –, bensì una vita puramente
conoscitiva che ha luogo in una infosfera 12 , un termine che richiama in modo significativo
la “noosfera” di cui parlava all’inizio del secolo scorso Pierre Teilhard de
Chardin per designare l’ambito del pensiero umano, una “sfera di riflessione, di
invenzione consapevole e di anime coscienti” 13 .
Se applicata al web, questa concezione interpreta la società documediale come una
società liquida 14 , in cui si danno appuntamento le idee, e non come il campo di una
vita che – se non è “solitaria, povera, brutta, brutale, breve”, d’accordo con l’immagine
della vita dell’uomo fuori della società secondo Hobbes –, di certo è più faticosa,
meno informata e meno trasparente di quanto si vorrebbe. Quel che più conta, però,
è che l’infosfera sottostima la circostanza per cui il web, da un punto di vista ontologico,
non è una rappresentazione della società, bensì è la società, in quanto per l’appunto
la società si compone di oggetti sociali come atti registrati, e la registrazione
ha oggi luogo in modo sempre crescente sul web. Infatti il web è molto più che una
super-televisione che sposta e comunica informazioni passivamente ricevute dall’utente.
Il web registra e archivia, e mentre nei casi della parola e dei vecchi media ci può
essere comunicazione senza archiviazione (la registrazione si perde), con l’avvento
della scrittura, così come del web e dei nuovi media che ne dipendono, la registrazione
è conservata e si dà persino archiviazione senza comunicazione.
Si tratta dunque di spostare il fuoco dalla informazione alla registrazione, in quanto
sua condizione di possibilità. Ecco allora, in forma schematica, le linee guida che
stanno alla base della mia lettura:
1. il web è anzitutto registrazione, e non solo comunicazione; funziona non come
una televisione, ma come un archivio;
2. è azione e performatività prima che informazione, non si limita ad accumulare
conoscenza, ma definisce uno spazio in cui hanno luogo atti sociali come promesse,
impegni, ordini;
3. è reale prima che virtuale, ossia non è una semplice estensione immateriale della
realtà sociale, ma si definisce come lo spazio elettivo per la costruzione della
realtà sociale;
4. è mobilitazione prima che emancipazione, ossia non fornisce immediatamente
liberazione (come si credeva quando il web mosse i suoi primi passi) né semplicemente
si configura come uno strumento di dominio, ma è piuttosto un apparato
che mobilita, ossia fa compiere delle azioni;
11 L. Floridi (a cura di), The Onlife Manifesto. Being Human in a Hyperconnected Era, Springer
International, London 2015.
12 L. Floridi, Infosfera. Etica e filosofia nell’età dell’informazione, Giappichelli, Torino 2009.
13 P. Teilhard de Chardin, Hominization, in Id., The vision of the past, Harper & Row, New York
1923, p. 71.
14 Z. Bauman, Modernità liquida (2000), Laterza, Roma-Bari 2011.
63
5. è emergenza molto più che costruzione, nel senso che non è il progetto deliberato
di qualcuno, ma piuttosto il risultato di molte componenti che sono venute
convergendo in forma non programmatica;
6. infine, è opacità e non trasparenza, ossia non si chiarisce da solo ma, al contrario,
chiede di essere chiarito, anche in questo caso rivelando uno stretto isomorfismo
con la realtà sociale, e in particolare con quella sua punta emersa che è il
capitale.
Questo cambio di prospettiva permette di comprendere ciò che altrimenti era inspiegabile.
In quanto registrazione, il web interviene in modo essenziale nella genesi del
capitale (è esso stesso il principio di formazione del capitale). In secondo luogo,
comprendiamo perché il web sia alla base delle trasformazioni del lavoro, che sempre
più si caratterizza come mobilitazione; il web funziona infatti come un archivio
che tiene traccia delle nostre azioni acquisendo così la forza normativa di un documento,
che spinge a nuove azioni (a titolo di esempio, si pensi alla doppia spunta su
WhatsApp: il messaggio è stato ricevuto e letto, rispondere a questo punto diviene
pressoché obbligatorio). Infine, la registrazione spiega il passaggio dalla visione
postmodernista a quella neorealista. Il postmodernismo si configurava come una
modernità tollerante e senza memoria. Quello che è emerso, invece, è il più potente
archivio di tutti i tempi, che moltiplica e perfeziona il potere della realtà sociale, e che
va dunque interpretato in termini realistici. In concreto, il fatto che l’informazione non
sia data, ma vada estratta e interpretata, mostra che il capitale documediale non è
di per sé un capitale cognitivo – per i mobilitati è un archivio, e diviene una enciclopedia,
la migliore della storia, solo per i mobilitanti. Dopo aver chiarito il ruolo centrale
della registrazione nella costruzione della realtà sociale, possiamo procedere all’esame
dei suoi effetti sul Capitale, sul Lavoro e sul Sapere.
DALLE MERCI AI DOCUMENTI
Per quanto riguarda il capitale, abbiamo a che fare con un passaggio dalle merci ai
documenti. Il principio di base della teoria della documentazione, secondo cui “tutto
può essere documento” 15 , ha trovato una attuazione massiccia proprio nell’età della
rivoluzione documediale: dop, doc, tracciabilità dei processi di produzione e modalità
della produzione sono immediatamente accessibili; brand e logo fanno apparire il
produttore nel prodotto; cataloghi come quelli di Amazon realizzano il sogno barocco
di un dizionario ontologico. Questo principio non è nuovo, in fondo già il catasto degli
immobili (che ora, ovviamente, è trasferito sul web, dopo essere stato di carta per
secoli) trasformava la casa in un documento. Nuova è la crescita esponenziale del
fenomeno: basterà confrontare l’acquisto in un negozio tradizionale, che consisteva
semplicemente nella richiesta di prodotti, con l’acquisto in un supermercato, che è
un lungo compulsare documenti, dalla data di scadenza all’apporto calorico.
15 S. Briet, Qu’est-ce que la documentation?, Édit, Paris 1951. Oltre a Briet, testi fondamentali per
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la definizione moderna del documento sono P. Otlet, Traité de documentation: le livre sur le livre:
théorie et pratique, Mundaneum, Bruxelles 1934; R. Pagès, “Transformations documentaires et
milieu culturel”, in Review of Documentation, XV, 1948, fasc. 3; M.K. Buckland, “What is a ‘document’?”,
in Journal of the American Society for Information Science (1986-1998), Sept. 1998, 48,
9; R. Day, The Modern Invention of Information: Discourse, History, and Power, Southern Illinois
University Press, Edwardsville 2001.
Di qui una conseguenza difficile da sottovalutare. Se una volta (cioè sino a non molto
tempo fa) l’oblio era la regola e la traccia l’eccezione, oggi vale l’opposto. Questa
possibilità, immanente alla natura del web, è emersa nel momento in cui le piattaforme
internet hanno iniziato a raccogliere i dati dei consumatori per profilarli. In questo
senso, il web è stato considerato come una sorta di panopticon 16 . Ma in effetti manifestandosi
come registrazione il web si è qualificato come la forma attuale della
realtà sociale, che consiste per l’appunto in una sfera di atti registrati e definiti come
documentalità. Il web ha cessato di essere considerato com e ovviamente virtuale 17 ;
mentre persistono lotte di retroguardia tra fautori del carattere reale 18 o almeno in
parte reale 19 , appare evidente che, solo lasciandosi dietro queste dispute accademiche,
si può cogliere l’essenza filosofica ed effettuale del web. Il web è un grande
apparato di registrazione, e dalla registrazione trae il proprio potere e la propria forza
normativa.
Oggi, diventa perfettamente chiaro che l’archivio vale perché contiene dei documenti
che sono infinitamente più ricchi della moneta perché tengono traccia di ogni atto
dell’umanità, e insieme riescono a interpretare l’archivio attraverso degli algoritmi
che trasformano quella che in sé è una biblioteca di Babele, un caos privo di significato,
in una fonte di predizione e di conoscenza dei comportamenti umani. Si potrebbe
aggiungere che l’interazione sociale non si riduce ai libri contabili e alla registrazione
dei patrimoni, ma include il Code Napoléon, la Bibbia, il Corano e la biblioteca
di Babele del web (già Weber aveva visto la religione all’origine del capitalismo, ma
aveva omesso di considerare che all’origine di quella specifica religione, il calvinismo,
c’era appunto la privatizzazione della coscienza generata dalla diffusione a
stampa della Bibbia).
La rivoluzione documediale ha reso potenzialmente marginale quel documento informativamente
povero che è la moneta: la moneta, che rappresentava in modo incompleto
l’archivio, è stata sostituita dall’archivio. Se le cose stanno in questi termini, il
documento appare come una supermoneta, avendo le stesse caratteristiche della
moneta, oltre a molte altre proprietà che la moneta non possiede: non stupisce, dunque,
che un capitale documentale sia infinitamente più potente di un capitale finanziario.
Il capitale, come vedremo, si può infatti rappresentare nella forma di una lavagna
universale, in cui siano annotati tutti gli atti sociali (tali che avvengano almeno
tra due persone) in forma indelebile e accessibile alla intera umanità. Se una simile
lavagna fosse realizzabile, non avremmo bisogno né di documenti né di quel tipo
peculiare di documento che è il denaro.
Nel mondo sociale sta dunque sorgendo un nuovo macro-oggetto, quasi un nuovo
mondo, che potenzialmente conterrà tutti gli altri. Si tratta del capitale documediale,
un nuovo capitale più ricco di quello finanziario che avrà un impatto senza precedenti
sul concetto di creazione del valore, sui rapporti sociali e sull’organizzazione della
16 M. Andrejevic, K. Gates, “Big Data Surveillance. Introduction”, in Surveillance & Society 12,
No. 2, 2014: 185-196.
17 R. Rogers, Digital Methods, The MIT Press, Cambridge, MA 2013.
18 B. Latour et al., Enquête sur les modes d’existence: uneanthropologie des modernes,
La Decouverte, Paris 2012.
19 N. Marres, Digital Sociology, Polity Press, Cambridge 2017, p. 106-115.
65
vita delle persone. Sebbene ancora oggi più di un essere umano su due non possieda
un cellulare, è significativo osservare che il numero di dispositivi connessi è pari
a 23 miliardi: più di tre volte la popolazione mondiale. Questa connessione, ogni giorno,
produce un numero di oggetti socialmente rilevanti maggiore di quanto non ne
producano tutte le fabbriche del mondo: una mole immane di atti, contatti, transazioni
e tracce codificati in 2.5 quintilioni (2.5 x 10 30 ) di bytes.
DAL LAVORO ALLA MOBILITAZIONE
Questo capitale, in apparenza, non ha bisogno del nostro lavoro, almeno in ciò che
– ormai in modo così vago – chiamiamo “Occidente”. Il World Economic Forum prevede
che nei prossimi anni si creeranno 2 milioni di posti di lavoro, ma che se ne perderanno
7 milioni. Ciò che fa riflettere è che a sparire non sono i lavori manuali, bensì
quelli burocratici. Non si svuoteranno le fabbriche (vuote da tempo e a volte riconvertite
in magazzini di Amazon), ma gli uffici, poiché il web si propone come forma di
mediazione universale che elimina l’intermediario della burocrazia e, tendenzialmente,
dello Stato.
Tuttavia, sebbene in apparenza il Capitale Documediale richieda pochissimo lavoro
(qualche tecnico, qualche magazziniere, un po’ di fattorini) in realtà mette al lavoro il
mondo intero, e senza retribuirlo. Se il capitale industriale consisteva nella forza
lavoro (retribuita) e nei mezzi di produzione (messi a disposizione dal capitalista) il
Capitale Documediale consiste nella mobilitazione (non retribuita) e nei mezzi di
registrazione (comprati dai mobilitati). Quello che il capitalista documediale mette di
suo sono i mezzi di interpretazione, che costituiscono realmente gli strumenti di un
capitale cognitivo che però (diversamente da quanto credono i teorici del capitalismo
cognitivo) non consiste in alcun modo in una conoscenza diffusa ma, proprio al contrario,
trae vantaggio dalla conoscenza centralizzata e riservata di una mobilitazione
diffusa.
Il nuovo lavoro richiesto dal web, tuttavia, non è automatizzato – come sono stati
automatizzate da tempo molte funzioni (computer invece che operai di massa,
segretarie, impiegati d’ordine, postini, centralinisti, tipografi, cassieri, giornalisti) – ma
trasferito altrove: nella vita degli utenti. L’utente utilizza i propri apparecchi e nel farlo
produce dati e con ciò una quantità enorme di lavoro non riconosciuto né concettualizzato
che propongo di chiamare mobilitazione: il lavoro che tutti noi compiamo
quando, pensando di usare privatamente il nostro tempo, surroghiamo le funzioni di
banche, giornali o agenzie di viaggi. Ma il lavoro non scompare: cambia e si trasferisce
altrove, ovvero nella vita degli utenti, divenendo mobilitazione.
Ecco il grande mistero della nostra epoca. Mentre pensiamo di vivere la nostra vita
extralavorativa, di soddisfare i nostri bisogni, di inseguire i nostri desideri e di esprimere
le nostre idee, surroghiamo le funzioni di banche, giornali, pubblicità e agenzie
di viaggi. Soprattutto, stiamo riempiendo archivi sconosciuti con dossier dettagliatissimi
sui nostri gusti e i nostri guai, sulle nostre abitudini e sugli strappi alla regola che
ci rendono imprevedibili per chi non li conosce (cioè anche per noi stessi), sulla
nostra salute e sulle nostre inclinazioni politiche e sessuali. Non un secondo di que-
66
sto tempo, ovviamente, è retribuito (da quando in qua si pagano le persone per il
solo fatto di vivere?) eppure produce una ricchezza molto superiore a quella dei
soldi, perché si limita a dare informazioni su quanto possiamo spendere, ma su quello
che siamo e quello che vogliamo, su quello che il denaro non solo non può comprare,
ma neppure è in grado di rappresentare dettagliatamente.
La mobilitazione non è una nuova versione dell’alienazione tecnologica, tema su cui
sono stati scritti milioni di pagine con l’unico risultato di incrementare la deforestazione
e dunque la produzione e vendita di motoseghe. Piuttosto che una alienazione, questa
mobilitazione ha generato una rivelazione. D’accordo con il principio secondo cui la tecnologia,
ben lungi dal deformare una ipotetica essenza dell’uomo, la manifesta, visto
che l’umano non è tale se non dispone di supplementi tecnologici, la trasformazione in
corso è stata una rivelazione dell’essenza. Questa essenza si è rivelata strettamente
dipendente dai mezzi di registrazione: il Capitale accumula documenti, il Lavoro (e quella
forma più ampia di lavoro che è la Mobilitazione) li produce, la Conoscenza li interpreta.
Se le cose stanno in questi termini, non c’è ragione di stupirsi del fatto che l’enorme
incremento dei mezzi di registrazione prodotto dal web abbia determinato il gigantesco
cambiamento sociale che abbiamo sotto gli occhi.
IL PLUSVALORE DOCUMEDIALE
Quanto siamo consapevoli di questo cambiamento? Ancora nel 2013 Piketty 20 riconosceva
nello sviluppo del capitale finanziario il destino del capitale nel XXI secolo,
in base all’assunto secondo cui il denaro farebbe guadagnare più di qualunque altra
merce e la finanza sia uno spazio di libero gioco della immaginazione umana 21 , una
sfera di pura costruzione che esalta il carattere presuntamente iper-dinamico e fluido
del mondo sociale. Questa idea trascura tuttavia la circostanza per cui i dati, ora,
possono far guadagnare molto più del denaro, costituendosi come una super-moneta
iper-informativa. Abbiamo una registrazione generalizzata che dà vita a una docusfera
nella quale le registrazioni fanno saltare tutte le distinzioni tradizionali e le attività
caratterizzanti tanto nel capitale, quanto nel lavoro, quanto nella conoscenza.
Più niente è come prima, ed è questo cambiamento che si tratta di intercettare e
comprendere. Ma per capire la portata della trasformazione, conviene considerare
che la forza sviluppata dal web non è che il potenziamento di una forza antichissima,
immanente alla registrazione, di cui possiamo trovare le testimonianze all’origine dell’ominizzazione.
I documenti, che sono la base per la costruzione della realtà sociale (non c’è società
senza memorie, archivi, denaro) vengono ora prodotti, grazie alle nuove tecnologie
– che si caratterizzano per una forza di archiviazione, molto più che di comunicazione,
senza precedenti – in forma il più delle volte automatica; la loro produzione costituisce
l’attività prevalente, volontaria e involontaria, della umanità attuale (una economia
di servizi è definita da documenti: persino il viaggio diviene “pacchetto di viaggio”);
sta inoltre alla base di quelle attività paralavorative e non lavorative, ma che
producono profitto, che hanno luogo sui social network; attraverso processi come la
creazione del bitcoin si impossessano di prerogative tradizionalmente appartenenti
20 T. Piketty, Capital in the Twenty-First Century (2013), Belknap, Cambridge (MA)-London 2014.
21 J. R. Searle, Creare il mondo sociale: la struttura della civiltà umana (2010), Raffaello
Cortina, Milano 2010.
67
agli stati; più in generale, il web si candida con successo a diventare una forma di
intermediazione universale, alternativa e competitiva rispetto all’industria tradizionale
e alle modalità classiche di incontro fra produzione, lavoro e impresa. Questa intermediazione
universale e distribuita non può essere descritta come un individuo o uno
spazio: è un processo più che una cosa, è un documentare più che un archiviare.
L’esplosione della registrazione fa saltare tutte le distinzioni tradizionali e le caratterizzazioni
produttive. Come i computer possono tendenzialmente fare tutto, tecnicamente,
così la registrazione permette la conversione di tutto in tutto: le merci diventano
documenti, i documenti merci e le attività caratteristiche vengono meno: paghi
le multe in tabaccheria, Amazon diventa una banca, Google una biblioteca e una
agenzia di viaggi, iWatch un centro diagnostico…Questo è dunque il nuovo capitale
con cui dobbiamo fare i conti, non con gli spettri di banksters di altri tempi. Qual è il
mercato prevalente di Amazon? L’esplosione della registrazione fa saltare la nozione
di attività prevalente nel capitale, nel lavoro e nella conoscenza, e questo venir meno
della prevalenza deriva dallo stesso motivo per cui il computer è una macchina universale,
che può sostituire tutte le altre macchine, rappresentando l’essenza della
tecnologia come registrazione. Se ha portato a compimento l’essenza, il Capitale
non ha più bisogno di realizzazioni specifiche, ma può saltare ogni forma di intermediazione
determinata e ogni forma di attività prevalente per proporsi come l’intermediazione
universale.
Nel momento in cui ogni cosa, dal battito cardiaco alle pratiche religiose, può effettivamente
diventare documento, perché ogni atto può essere registrato, si scopre
che quelli che sono prodotti dalle nostre interazioni sul web non sono solo big data,
ma rich data 22 . Le grandi multinazionali che controllano i server destinati alla raccolta
dei rich data dispongono quindi di un capitale più dettagliato di quello monetario,
capace di feed-back, autocorrezione e continuo potenziamento. Questi dati, in altre
parole, non parlano solo di se stessi (spesso millantando), come avviene nel capitale
finanziario, ma raccontano (se raccolti e interpretati a dovere) la vita di miliardi di persone
(coloro che li hanno prodotti) con una estensione quantitativa che può trasformarsi
in una precisione qualitativa che si spinge a conoscere gli individui meglio e
più di quanto si conoscano essi stessi. Se dunque il capitale industriale produceva
merci per il tramite di macchine e forza lavoro, e se il capitale finanziario produceva
moneta attraverso moneta (o quantomeno si augurava di farlo), il Capitale
Documediale produce moneta attraverso i dati che ognuno di noi genera sul web.
Quel che è più importante è però che questi dati non sono costruiti, ma emergono in
seguito alla nostra attività sul web. Google non può stampare dati come la Banca
d’America può stampare dollari; a meno che voglia produrre fake data, può soltanto
raccoglierli registrando la nostra mobilitazione, che è perciò la ricchezza di GAFAM.
Questa cruciale differenza tra quello che diamo alle piattaforme (informazioni abbondanti,
dettagliate, veritiere) e quello che ne riceviamo (informazioni selezionate,
generiche, e magari fake) spesso non è neppure percepita, ma è potentissima: produce
quello che chiamo “plusvalore documediale”, una grande asimmetria che va
riconosciuta, così come va riconosciuto (e retribuito dalle piattaforme) il lavoro che
22 Mayer-Schönberger, T. Ramge, Reinventare il capitalismo nell’era dei big data (2018), Egea,
Milano 2018.
68
eroghiamo sul web. A questa ricchezza capitalizzata dalle piattaforme noi non abbiamo
accesso e dobbiamo accontentarci di Wikipedia e delle previsioni del tempo.
Questa differenza è carica di conseguenze. Sul piano del capitale, proprio perché i
dati non sono trasparenti e pubblici, è necessario, filosoficamente e politicamente,
riconoscere il Plusvalore Documediale. In secondo luogo e correlativamente, sul
piano del lavoro, si tratta di far emergere il Pluslavoro Documediale, la produzione di
ricchezza attraverso una mobilitazione che non è neppure riconosciuta come lavoro,
e che invece va remunerata, ridistribuendo gli utili del Capitale Documediale e dando
una risposta onesta e intelligente allo scontento cavalcato dal populismo.
69
QUALCHE NOTA SUL PRESENTE E SUL
FUTURO DEL GIURIDICO AD USO DEL-
L’ANTICA PROFESSIONE DEI NOTAI
Il Professore
Ugo Mattei
La Professoressa
Alessandra Quarta
Ugo Mattei 1
(Professore di Diritto Internazionale e Comparato Hastings College of the Law Università della California)
e
Alessandra Quarta 1
(Professoressa di Diritto Civile Università degli Studi di Torino)
LA GRANDE DIPENDENZA
Negli ultimi anni, grosso modo a partire dalla seconda decade del ventunesimo secolo,
la maggioranza dell’umanità è caduta in uno stato di tossicodipendenza collettiva:
3.8 miliardi di persone sono costantemente online e non possono più fare a meno di
esserlo. Questa maggioranza dell’umanità accende il cellulare entro quindici minuti
dal suo risveglio al mattino e trascorre in media otto ore al giorno fissando lo schermo
di un dispositivo smart collegato a internet. La dipendenza si manifesta in sintomi
che ciascuno di noi ha sperimentato su se stesso. Quando siamo all’estero e il collegamento
in roaming costa tantissimo ci sentiamo, almeno inizialmente, molto a
disagio nel non poter controllare liberamente WhatsApp, Twitter, Facebook o la posta
elettronica. Spesso afferriamo automaticamente il cellulare prima di renderci conto di
averlo prudentemente lasciato in modalità aerea. La crisi di astinenza è gravissima
se abbiamo dimenticato il cellulare prima di un viaggio e rischiamo volentieri di perdere
il treno pur di recuperarlo. Del resto un viaggio d’affari senza gli indirizzi e i
numeri di telefono delle persone con cui dobbiamo incontrarci diventerebbe inutile
perché giunti a destinazione forse nemmeno saremmo in grado di ricordarci l’albergo
in cui dobbiamo alloggiare.
È studiato: il nostro cervello non memorizza dati che sa di poter agevolmente ritrovare
e nel nostro cellulare c’è tutto a portata di mano per cui chi mai si ricorderà a
memoria l’indirizzo del collega da visitare o il nome dell’osteria dove abbiamo appuntamento?
Come ogni altra esperienza umana anche la tossicodipendenza è una
relazione sociale con perdenti e vincitori. La c.d. low battery sindrome, ansia da
telefonino quasi scarico (altra esperienza che tutti noi abbiamo provato) consente a
Uber, che ne è al corrente a causa dei segnali che gli arrivano dal nostro cellulare,
di proporci una corsa ad un prezzo personalizzato più alto che noi accetteremo per
paura di non riuscire più a chiamare un taxi in seguito (visto che le cabine telefoniche
sono praticamente scomparse). Le conseguenze politiche di questi piccoli sintomi
(che dobbiamo prima di tutto riconoscere in noi stessi) sono ben più serie della piccola
perdita di denaro che ci viene inflitta dal c.d. discriminatory pricing, praticato
ormai da ogni corporation (lo abbiamo sperimentato tutti anche acquistando online i
biglietti aerei) e teorizzato come efficiente dai soliti micro-economista delle principali
università Statunitensi. La nostra dipendenza prende infatti la fattezza del multitasking,
ossia del fare più cose contemporaneamente (seguire una lezione universitaria,
controllare la mail e i social, acquistare un biglietto aereo, controllare lo stato di
un date su Tinder o partecipare a un’asta di eBay) cosa di cui chiunque abbia non
70
1 Questo scritto si fonda in gran parte sul nostro volume Punto di svolta. Ecologia, tecnologia
e diritto privato. Dal capitale ai beni comuni, Tr. It. Aboca 2018.
dico esperienza di didattica ma anche solo di rapporto quotidiano coi figli adolescenti,
si potrà agevolmente rendere conto. Il multitasking comporta l’impossibilità di
restare a lungo concentrati, di fare davvero attenzione e di pensare profondamente
cosa che personalmente avevo intuito anni fa essendo fra i primi a attirarmi le ire
degli studenti americani vietando l’uso dei computer portatili e dei cellulari in classe.
Non prestare attenzione significa non vedere quanto succede intorno a noi e subire,
senza abbozzare alcuna resistenza costruttiva, il fatto che i nostri spacciatori di
screen culture (cultura dello schermo, altro modo di chiamare il debordiano spettacolo
nella sua forma attuale) siano riusciti a trasformarci in massa in docili consumatori
dello status quo incapaci o disinteressati a capirne i processi politici. Né si creda
che questo stato di dipendenza sia riservato alla generazione dei nativi digitali. Tutti
noi prestiamo meno attenzione politica di quanto sarebbe necessario in questa fase
drammatica del cammino dell’umanità; ognuno di noi è costantemente interrotto da
stimoli elettronici che ci distraggono e che ci illudono di essere in relazione con altri,
presenti non a uno ma a più dibattiti. In realtà, la screen culture ci imprigiona in una
gigantesca camera dell’eco, una filter bubble creata ad arte per noi dai nostri spacciatori
(divenuti infinitamente ricchi) attraverso il sapiente uso di algoritmi e big data.
Questa bolla funziona come una vera e propria ruota per criceti. Ruota che ovviamente
ci viene “regalata” e con cui non si baloccano affatto soltanto gli adolescenti
ma anche, cosa ben più preoccupante, la maggioranza dei leader politici mondiali, a
loro volte tecno-dipendenti e come ogni tossico in uno stato di diniego della propria
condizione.
Questo poche riflessioni non hanno l’ambizione di raccontare nulla che già non sia
abbondantemente documentato in una letteratura non estesissima ma piuttosto
esauriente che si interroga sullo status quo tecnologico. Quello che qui faremo, ad
uso di una professione che storicamente ha svolto una funzione di protezione di soggetti
illetterati, è mettere in connessione questa evoluzione tecnologica capace di
modificare l’antropologia politica contemporanea, con alcuni sviluppi tecnico-giuridici
che l’hanno accompagnata, determinata e che a loro volta da questa sono stati
determinati. È una riflessione su una fase storica, quella attraversata da un adulto
della mia generazione, che ha portato l’umanità a passare da un mondo privo di
computer (il primo computer grande come una stanza fu l’ENIAC del 1946) ad uno
in cui la computazione è ovunque ed in cui, come dicevo in apertura 3.8 miliardi di
persone sono in stato di dipendenza da internet ed in cui la grande maggioranza
degli occidentali si informano soltanto tramite questo mezzo così come presentato
loro dagli spacciatori.
Il Notaio, nella sua quotidianità incontra persone che vivono oggi in questo contesto.
Come cent’anni fa egli doveva proteggere l’analfabeta nei confronti della controparte
più sofisticata, così oggi egli ha di fronte masse di analfabeti informatici, insipienti dei
linguaggi e dei processi che ne determinano i comportamenti. Egli stesso deve
attrezzarsi per comprendere queste dinamiche se vorrà ancora esistere (insieme alla
stessa idea di diritto) da qui a cent’anni.
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72
NEOLIBERALISMO: UN NUOVO CULTO DELLA PROPRIETÀ PRIVATA.
La mentalità estrattiva della modernità sviluppò la visione del singolo proprietario
considerato una “parte”, visione legittimata dalla teoria che lo riteneva individuo titolare
di un diritto soggettivo assoluto che gli consentiva di agire liberamente ed egoisticamente,
senza prendersi affatto cura degli interessi del “tutto”. Nell’ambito di questo
schema, furono stabilite le regole predefinite del moderno diritto della proprietà.
Quando nelle fasi iniziali dell’industrializzazione e conseguente urbanizzazione tale
ideologia vittimizzò eccessivamente il proletariato (i non proprietari), emersero movimenti
rivoluzionari dei lavoratori, coronati da successo in Unione Sovietica e in altri
paesi tra cui la Cina, che in un certo senso domarono il capitalismo e imposero lo
sviluppo di uno stato amministrativo assistenziale. Il processo raggiunse l’apice negli
Anni Settanta del Novecento, che segnarono l’apogeo della limitazione dei diritti di
proprietà del capitale nell’interesse dei non abbienti (i lavoratori e forse anche l’ambiente).
Verso la fine di quel decennio, si verificò un sovvertimento nello scenario
geo-politico mondiale, mentre negli ultimi dieci anni del ventesimo secolo, una trasformazione
tecnologica di primaria importanza (Internet) acuì ulteriormente l’equilibrio
(o lo squilibrio) tra capitale e lavoro, in passato all’origine delle riforme sociali
introdotte nei regolamenti che sostenevano lo sviluppo capitalistico. L’infrastruttura
giuridica fondamentale sulla quale questa nuova trasformazione esercitò il maggior
impatto fu il diritto privato; si trattò di un cambiamento che, se osservato nell’ottica
del diritto di proprietà nella nuova frontiera globale che il capitalismo aprì a se stesso,
rappresentò un “secondo movimento delle recinzioni (enclosures)”.
La fine degli Anni Settanta del ventesimo secolo rappresentò un importante punto di
svolta nella storia economica e sociale mondiale. Nel 1978 in Cina, l’accesso al potere
di Deng Xiaoping, con le sue coraggiose riforme volte all’accumulazione di capitale
e la sua apertura ai leader occidentali, isolò soprattutto l’Unione Sovietica dallo
scenario politico mondiale, proprio alcuni mesi prima dell’inizio della disastrosa guerra
da essa condotta per un decennio in Afghanistan. Nel maggio 1979, Margaret
Thatcher divenne primo ministro del Regno Unito, mentre l’anno successivo Ronald
Reagan fu eletto presidente degli Stati Uniti. Entrambi si impegnarono a favore di
una ripresa delle economie nei rispettivi paesi da attuarsi attraverso una politica economica
reazionaria, nota in seguito sotto il nome di neoliberismo. Esso sfruttò l’occasione
offerta dal cambiamento a livello mondiale nell’equilibrio di poteri tra capitalismo
e socialismo per distruggere il compromesso dello stato sociale, celebrando la
libertà imprenditoriale, i liberi mercati e il libero commercio, che dovevano essere
tutti pienamente garantiti al fine di assicurare il benessere individuale. I governi,
secondo questa teoria, dovevano esclusivamente limitarsi a tutelare la proprietà privata,
interpretata ancora una volta al di fuori di ogni funzione sociale, come diritto
soggettivo illimitato (garante di tutti gli altri diritti) di estrazione e accumulo. Questo
tipo di proprietà privata (delle persone fisiche e delle società) rappresenta la condizione
fondamentale per lo sviluppo del mercato. L’idea di uno stato minimo (visione
elaborata filosoficamente dal pensatore di Harvard Robert Nozick) e parole chiave
nella politica programmatica, quali deregolamentazione, riduzione, esternalizzazione,
liberalizzazione e privatizzazione divennero rapidamente gli elementi salienti del
cosiddetto Consenso di Washington. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, sotto l’in-
fluenza di istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo
Monetario Internazionale, il neoliberismo, che comportò anche massicci trasferimenti
di risorse al settore militare, raggiunse a livello mondiale lo status di “fine della storia”.
Friedrich von Hayek (1899-1992) e Milton Friedman (1912-2006) furono i due
più influenti teorici neoliberisti e soprattutto cercarono di rafforzare il rapporto tra
libertà e proprietà privata, considerate prerequisiti del libero mercato.
Quest’insieme di dottrine politiche ed economiche fu sviluppato negli anni immediatamente
successivi alla Seconda Guerra Mondiale da un consesso informale di economisti
di destra, la Mont Pelerin Society. Il neoliberismo iniziò come reazione alla
politica economica keynesiana che, all’indomani della Grande Depressione degli
Anni Trenta del secolo scorso, era divenuta la corrente di pensiero dominante nel
mediare il succitato compromesso tra capitale e lavoro. Durante il periodo keynesiano,
l’intervento del governo sul mercato era molto esteso e interessava nuovi settori,
dall’industria mineraria, alla chimica, al sistema creditizio, portando all’emergere di
numerose imprese pubbliche. Il blocco capitalista ricercò l’obiettivo di una crescita
economica coerente con un tentativo di compromesso tra mercato e democrazia,
fatto che si rivelò impossibile al di fuori dell’equilibrio mondiale bipolare. Di conseguenza,
gli ultimi anni del ventesimo secolo sono stati caratterizzati da una tendenza
diversa, in cui il settore pubblico – stato e autorità locali – si è progressivamente
indebolito a favore di grandi società private (principalmente multinazionali), che si
sono arricchite in seguito alle privatizzazioni, concentrando enormi capitali nella proprietà
privata e acquisendo un potere politico molto significativo.
La conseguente cattura del sistema politico ha trasformato il neoliberismo in un progetto
fatto proprio da maggioranza ed opposizione, accolto da Clinton, Blair e praticamente
da ogni rappresentante politico in carica negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna. Il neoliberismo è divenuto un vero regime del sapere, dominando la cultura
nei media e nelle scienze sociali. La sua logica e le sue dinamiche hanno raggiunto
settori tradizionalmente al di fuori della logica del libero scambio (basti pensare al
mercato dei diritti di inquinamento ai sensi del Protocollo di Kyoto), mostrando così
come l’“oggetto” dei diritti di proprietà può essere artificialmente creato, se solo i giuristi
sono della partita. L’analisi economica del diritto era pronta per assolvere a questa
funzione, sviluppando i sofisticati strumenti del diritto e l’ideologia giuridica dell’efficienza
necessari per subordinare ogni interesse alla logica di mercato e alle sue
modalità di ragionamento. Ciò significa, nel diritto di proprietà, che le “cose” possono
essere considerate soltanto in funzione del loro valore di scambio. Tutto può avere
un prezzo fin tanto che la tecnologia permette l’esclusione: l’acqua, l’aria, il cibo, la
cultura, il genoma umano, le sementi e le orbite spaziali. sono state soggette a questa
logica. Le recinzioni delle terre descritte da Karl Polanyi nella Grande trasformazione
sono oggi rese possibili dalla tecnologia per moltissime cose, mentre per i giuristi
non è difficile cavalcare questa tendenza economica. Basta tornare alla visione
della proprietà quale diritto soggettivo, che precedette il generoso tentativo di elaborare
la funzione sociale del diritto di proprietà. Si rivela però molto più difficile creare
e imporre idee giuridiche che resistano a questa nuova e devastante ondata di estrazione
e sfruttamento.
In tale scenario, l’aspetto della funzione sociale è molto debole (lo stesso diritto si
rivela impotente a proteggere i perdenti nei processi sociali) e non può rappresentare
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una forma forte di tutela per i non proprietari o per i beni comuni sfruttati nel mondo.
In effetti, anche laddove sia presente in un testo costituzionale, non basta a garantire
parità di accesso alla proprietà in un contesto in cui l’esclusione e la disuguaglianza
sono legittimate da corti composte da giudici neoliberali. Val la pena osservare che
nelle più recenti definizioni legislative dei diritti di proprietà a livello europeo, questa
disposizione non è nemmeno contemplata all’Articolo 1 del Protocollo n.1 allegato
alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), né all’Articolo 17 della Carta
dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. La giurisprudenza europea ricorre a
questa esclusione testuale per colpire le legislazioni degli stati membri ancora ispirate
dalla funzione sociale della proprietà, a favore di visioni vieppiù ispirate al diciannovesimo
secolo, dove la proprietà è considerata un diritto fondamentale dello sviluppo
estrattivo.
CITTADINO, CONSUMATORE, MERCE
La comprensione generale delle grandi linee evolutive del diritto civile si rivela cruciale
per qualsiasi operatore giuridico nell’attuale fase di nuova e drammatica trasformazione
tecnologica, ritenuta da molti della stessa portata di quella descritta da
Polanyi e verificatasi agli albori dell’era moderna. Ci riferiamo alla “rivoluzione” di
internet, metamorfosi tecnologica, iniziata grosso modo alla fine della Guerra
Fredda, che ha aperto una nuova frontiera culturale ed economica. Chiaramente, la
portata e la velocità della comunicazione ormai possibili, il grado di concentrazione
di potere e la possibilità di danni di qualità ed entità inimmaginabili hanno ripercussioni
sul diritto privato.
L’ipotesi da noi avanzata altrove suggerisce che la modernità – anziché fornire una
più ampia gamma di strumenti giuridici per affrontare contatti sociali – progressivamente
abbia invece ridotto la varietà qualitativa dei rimedi sociali. Il diritto ha svolto
un ruolo piuttosto importante in questa evoluzione, in quanto ha sostituito la vecchia
struttura di prevenzione ex ante, esistente sia sotto forma di controllo dell’individuo
da parte della collettività, sia sotto forma di tipologie impermeabili di protezione del
diritto di proprietà (compresa l’autotutela), tipiche della struttura del diritto antico, con
la responsabilità ex post.
Da un punto di vista giuridico, la modernità può essere quindi descritta quale era di
liberazione degli istinti estrattivi (a volte denominati individualismo possessivo), attraverso
i quali l’essere umano assume effettivamente il controllo fisico della natura. Il
diritto, anzi, ha fornito gli incentivi per sviluppare la natura. La proprietà individuale
delle terre e la trasformazione di quest’unica porzione di Terra in capitale, determinò
le condizioni dello “sviluppo”, processo incrementale di estrazione tramite il quale in
brevissimo tempo è stato raggiunto l’Antropocene. Lo sviluppo, termine con connotazioni
suggestive anche oggi, era considerato ragionevole per sé, mentre il diritto
civile si trovava lì, bell’e pronto, per esentare da ogni responsabilità coloro che, in
tale processo trasformativo producessero danni. Naturalmente, dato l’antropocentrismo
strutturale, gli unici danni considerati legalmente rilevanti (o addirittura concepibili)
erano quelli che colpivano gli altri esseri umani, non tutti, ma soltanto coloro che
avessero la possibilità formale e sostanziale di rivendicare in tribunale la violazione
di propri diritti individuali.
Lo status di individuo libero, potenzialmente legittimato a far valere i propri diritti,
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divenne vieppiù la base della cittadinanza, condizione giuridica che formalizzava il
nesso tra proprietà e rappresentanza politica: soltanto i cittadini potevano esercitare
i diritti civili e politici. La stessa resistenza contro un governo oppressivo – ancora un
obbligo collettivo delle magistrature inferiori tra gli eruditi giuristi Ugonotti (i protestanti
francesi) del diciassettesimo secolo – divenne un diritto individuale
nell’Illuminismo. Questa interpretazione di cittadinanza, sebbene diffusamente salutata
quale progresso verso l’emancipazione dell’umanità (essa portò in ultima analisi
al suffragio universale e all’accesso alla giustizia per tutti) implicava anche che erano
dimenticati tutti gli altri: divenivano pertanto invisibili i non cittadini, le creature non
umane e gli individui non ancor nati, soggetti che invece, nelle nozioni premoderne
di comunità erano stati considerati legalmente rilevanti. Lo sviluppo avveniva (come
tuttora accade) a loro spese. Infatti, una volta spostato l’equilibrio tra individuo e
comunità nella direzione che conferisce piena libertà al primo, sembrano legittimi
soltanto i controlli ex post, nel senso che ogni singolo titolare di diritti può fare ciò che
meglio gli aggrada. Solamente se ex post risulta che la sua libertà abbia leso quella
di un analogo titolare di diritti, il danneggiante dovrà risarcire i danni ed essere (forse)
inibito dallo svolgere quell’azione. La libertà individuale viene celebrata quale prerequisito
della creatività individuale, la quale a sua volta viene osannata quale condizione
preliminare del progresso, che, insieme allo sviluppo è decantato come valore
per sé. Senza dubbio, il progresso tecnologico fu reso possibile da tale apparato
ideologico e giuridico.
Al progresso tecnologico seguì la produzione di massa e in brevissimo tempo si
crearono così le condizioni favorevoli all’Antropocene. Nel 2015, la stima (in costante
crescita) del numero di automobili in circolazione nel mondo era di un miliardo e
mezzo, mentre cifre altrettanto impressionanti valgono per altri simboli della modernità:
frigoriferi, lavastoviglie, televisori e personal computer. Il progresso tecnologico,
unito alle condizioni di produzione di massa (il cosiddetto fordismo) determinarono
importanti trasformazioni nel diritto. Nella sfera del diritto privato, la responsabilità
civile è stata l’ambito più esposto al terremoto tecnologico, viste le sue profonde relazioni
con il processo di produzione e la trasformazione industriale. La modernità ci
ha resi una società di amanti del rischio, mentre il diritto civile sembrava essere il
campo più idoneo a gestire questo fenomeno in cui rischi inimmaginabili soltanto
alcuni decenni fa, divengono perfettamente normali e di conseguenza ragionevoli.
Basti pensare alla velocità e potenza sempre maggiori delle auto, rispetto ai veicoli
precedenti, oppure all’esistenza dei droni o di altri dispositivi di intelligenza artificiale
introdotti sul mercato con atti di libertà imprenditoriale incontrollata.
Un aspetto strutturalmente problematico del diritto civile, se analizzato in una prospettiva
sistemica (e dalla parte delle vittime dello sviluppo estrattivo) è dato dalla già
discussa sua natura individualistica. Situato dai giuristi moderni nell’ambito della giustizia
commutativa, con un chiaro disconoscimento dell’elemento distributivo, il diritto
civile, per la maggior parte della sua storia moderna, è rimasto distante dalle questioni
più generali di organizzazione sociale e di politica generale. Ovviamente la
definizione dei criteri giuridici (per esempio colpa, responsabilità oggettiva, responsabilità
per fatto altrui) validi per imporre la responsabilità è una finzione e riflette una
valutazione politica, in base alla quale le società decidono quali tipologie di danno
siano risarcibili. Soltanto recentemente sono riemerse questioni di politica generale
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legate al diritto civile, quando quest’ultimo è stato oggetto (soprattutto negli Stati
Uniti) di un approfondito dibattito accademico impostato sull’efficienza microeconomica
e la ripartizione dei rischi. L’esito finale del confronto tra posizioni favorevoli alla
colpa e sostenitori della responsabilità oggettiva è stato assai poco promettente per
i rappresentanti di interessi tradizionalmente non tutelati (l’ambiente e le generazioni
future), dato che la discussione si è improntata sul principio dell’efficienza economica,
concetto altamente estrattivo (e simile nella sua natura a quelli di sviluppo e progresso).
Come prevedibile, sono state avanzate proposte di “riforma della responsabilità
civile” volte a garantire la compatibilità della legislazione in materia con i requisiti
dell’estrazione capitalistica e soprattutto per opporsi alle conquiste ottenute dai
movimenti sociali attraverso l’attivismo, il contenzioso, il lobbismo e la partecipazione
politica.
Non si rivela semplice il tentativo di riassumere la lunga e complessa storia della
sensibilizzazione della cittadinanza dinanzi alle condotte illecite delle grandi imprese
alle frontiere dello sviluppo capitalistico. Il movimento denominato dei cittadini-consumatori
iniziò negli Stati Uniti all’indomani della Grande Depressione con una serie
di scioperi e boicottaggi attuati da varie comunità politicamente marginalizzate al fine
di trasformare il loro potere di acquisto in capitale politico. Sono degni di nota i boicottaggi
da parte delle donne afro-americane di Harlem contro le aziende che discriminavano
i lavoratori di colore o in opposizione alle prassi inique ad opera dell’industria
del confezionamento delle carni, che vendevano il loro prodotto a prezzi proibitivi.
Questa sorta di “ginnastica democratica”, frutto della natura collettiva delle proteste,
fu forse all’origine della straordinaria capacità dimostrata dalla comunità dei
neri nel promuovere i diritti civili attraverso occupazioni, boicottaggi e altri atti di resistenza
negli Anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Sicuramente, essa creò
le condizioni favorevoli al successo dei movimenti dei consumatori guidati dall’avvocato
attivista Ralph Nader (in seguito candidato alla presidenza degli Stati Uniti)
durante tutti gli Anni Sessanta. È questo il punto di partenza della responsabilità civile
sul prodotto, reazione alla produzione di massa deregolamentata. Il movimento
dei cittadini-consumatori ottenne un successo straordinario negli Stati Uniti attraverso
l’organizzazione collettiva e partecipò efficacemente all’elaborazione del diritto
civile quale strumento cui potessero ricorrere in gruppo le vittime danneggiate.
Certo, ciò fu reso possibile grazie ad alcuni aspetti specifici del sistema istituzionale
statunitense (per esempio le azioni collettive risarcitorie, class actions, i danni punitivi,
punitive damages, ed efficaci strumenti istruttori a disposizione delle parti), ma
la fattispecie civilistica sostanziale è stata effettivamente ampliata dai suoi utenti politicizzati,
mentre molta giurisprudenza in materia è stata la risposta a reali domande
sociali.
Se sostenuto da un esercizio attivistico di “cittadinanza”, il diritto civile potrebbe
dar adito ad una certa emancipazione dal capitalismo fuori controllo; tuttavia, non
appena si allenta la pressione dal basso, esso viene facilmente domato e cooptato.
Le garanzie di piena soddisfazione del consumatore, introdotte dalla grande distribuzione
mostrano la straordinaria capacità mimetica delle istituzioni capitalistiche, che
non soltanto hanno potuto trarre vantaggi organizzativi da tali trasformazioni favorevoli
ai consumatori, ma hanno anche depoliticizzato e placato il cittadino-consumatore.
Con l’avvento del neoliberalismo, il cittadino è stato trasformato in consumatore
passivo, pronto per essere sfruttato nella successiva trasformazione tecnologica.
Per esempio, tort reform (riforma della responsabilità extracontrattuale) è divenuto il
nome dato negli Stati Uniti a una serie di strategie volte ad alienare il cittadino dal
diritto civile di modo che lo strumentario giuridico attivabile dal privato non divenga
mai più pericoloso per il capitale organizzato. Tra le riforme più efficaci, vi sono state
l’introduzione di un massimale sui danni punitivi, restrizioni sulla class certification
(certificazione della classe, prerequisito per la class action), i vari obblighi di mediazione,
la riduzione effettiva e sistematica del ruolo degli avvocati della parte civile
(soprannominati azzeccagarbugli) e l’esclusione o la riduzione dei processi con giuria
attraverso svariate tecniche, e ciò nonostante la garanzia costituzionale offerta
dalla giuria.
Oggi il consumatore è passivo, ammansito ed ha a disposizione strumenti giuridici
inefficaci. Inoltre, avendo perso capacità di organizzarsi politicamente (il numero di
associati alle organizzazioni dei consumatori è precipitato ovunque nel mondo capitalistico),
si trova impossibilitato a resistere all’attuale metamorfosi che lo rende una
merce. Quest’ultima trasformazione, da cittadino, a consumatore a merce è stata
consentita dai mutamenti sociali, di incredibile portata, provocati da Internet. Sin dai
suoi inizi, ma soprattutto dalla fase 2.0, la rete ha trasformato le nostre modalità interattive.
Gli smartphone, i social media, Internet delle cose e innumerevoli altre applicazioni
hanno praticamente abolito ogni necessità di contatto tra attori del mercato
e individui. Gli utenti dello smart internet costantemente e disinteressatamente lavorano
per il capitale, effettuando essi stessi una serie di attività precedentemente
svolte da altri (si pensi agli agenti di viaggio, ai commessi delle librerie, al personale
delle segreterie universitarie, ai contabili, ai cassieri, ai traduttori e a molte altre professioni
che presto faranno parte della “vecchia economia” ...persino forse i notai che
molti considerano sostituibili attraverso la blockchain.
Non vi è ambito in cui la trasformazione da consumatore a merce sia più visibile che
in quello dei cosiddetti big data. Il valore di mercato sbalorditivo di aziende quali
Amazon, Google o Facebook e la derivante quantità scandalosa di ricchezza accumulata
dai loro proprietari e amministratori delegati è spiegabile unicamente quale
risultato economico di tale trasformazione. I consumatori di aggeggi high-tech, molto
spesso dipendenti e certo ammansiti, solitari (quasi autistici) e pienamente soddisfatti
fruiscono “gratuitamente” di svariati servizi, quali la comunicazione sui social
media e di conseguenza operano costantemente verso la mercificazione della loro
vita personale, in quanto gratuitamente regalano idee, emozioni, creatività e socialità
a piattaforme digitali di proprietà di grandi multinazionali, definite dal filosofo informatico
Jaron Lanier “server sirene”. Le aziende che ricevono tali contributi individualizzati
gratuiti debbono semplicemente ricombinarli quale aggregato e immetterli sul
mercato, dove enti pubblici e privati sono interessati a conoscerli. Quando qualcosa
è gratis, è perché voi siete la merce!
Si tratta di una trasformazione socio-politica di grande attualità e in fortissima crescita.
Il libero sviluppo e l’introduzione sul mercato della tecnologia intelligente e dei
dispositivi di intelligenza artificiale stanno profondamente modificando le relazioni
sociali di base nelle società avanzate. Per esempio, è forse la prima volta nella storia
dell’umanità che le generazioni più anziane debbono imparare da quelle più giovani,
per le quali la tecnologia è praticamente innata. Ne deriva che i vecchi hanno pochis-
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simo da insegnare ai giovani in termini di conoscenze preziose socialmente, dato
che l’unico sapere che pare importante oggi è quello tecnologico. Inoltre, mentre
Internet 2.0 presumibilmente agevola la comunicazione politica (ed è quindi di ausilio
alle pratiche democratiche), la verità storica è che i movimenti sociali non hanno
beneficiato durevolmente dell’accresciuta possibilità di comunicazione dovuta agli
smartphone e ai social media. In realtà, l’illusione di essere politicamente attivi twittando
è di per sé un concetto problematico, suscettibile di produrre maggiore apatia
politica. Inoltre, in ragione del passaggio a Internet 2.0, alcuni enti privati controllano
dati che generano un fortissimo potere politico ed elevatissimo potenziale di controllo.
Un’ulteriore mutazione fondamentale indotta dalla tecnologia è visibile in alcuni
dei pilastri dell’organizzazione giuridica moderna, e cioè nel rapporto tra pubblico e
privato. Certamente la trasformazione da cittadino, a consumatore a merce presenta
una sfida senza precedenti agli istituti del diritto, sempre più manifestamente incapaci
di domare le decisioni estrattive, di breve termine e potenzialmente devastanti
assunte da enti privati fuori controllo. L’entità dei disastri potenziali supera la nostra
immaginazione, dato che buona parte delle nostre vite è determinata da dinamiche
on line che seguono un’evoluzione tecnologica svolgentesi al di fuori da ogni vigilanza
politica.
In questo triste scenario, si situano le difficoltà degli stati nel determinare criteri giuridici
per il risarcimento dei danni provocati negli spazi virtuali e dai dispositivi tecnologici.
Il miglior esempio del primo punto riguarda la responsabilità del fornitore della
rete: negli Stati Uniti e in Europa, esso non è responsabile dei contenuti ospitati e
prodotti dagli utenti. Agli inizi dell’era di Internet, tale schermo posto dal diritto era il
simbolo della libertà della rete; oggi, però, questa posizione viene criticata per via
della violenza di molti contenuti e del ruolo delle piattaforme digitali nell’economia
immateriale. Il secondo punto è emblematico del primato dell’economia sul regno del
diritto: le piattaforme possono realizzare profitti assumendosi pochi rischi legati agli
investimenti e non internalizzano i costi della produzione perché sono immateriali! Il
diritto civile oggi – in ragione della natura immateriale del capitalismo cognitivo – non
è più in grado di adattarsi alle trasformazioni industriali. Tale difficoltà è realmente
problematica, se prendiamo in considerazione le trasformazioni rivoluzionarie prodotte
dalla tecnologia nella nostra vita. Le automobili senza conducente, la robotizzazione
del lavoro e le stampanti tridimensionali rappresentano soltanto tre esempi
di casi in cui risulta praticamente impossibile risolvere nuovi problemi con i vecchi
strumenti. Essi necessitano innanzitutto di una definizione politica, al fine di comprendere
se la miglior soluzione consista nell’ampliamento della sfera della responsabilità
del produttore, oppure nell’ideazione di un nuovo quadro per il diritto in materia
di responsabilità civile, che affronti anche i problemi etici causati dalla tecnologia.
Il proseguire pedissequamente utilizzando strumenti modellati su schemi individualistici
antichi (in primis la privacy) rende il diritto civile straordinariamente inefficace ed
i suoi operatori sempre più agevolmente marginalizzabili.
ALLA FRONTIERA DELL’ECONOMIA DI PIATTAFORMA.
Oggi, la frontiera digitale genera una nuova trasformazione dell’impresa. Aziende
quali Google, Facebook, Twitter, colonizzano in qualità di monopolisti la frontiera di
Internet, fornendo nuovi servizi e creando comunità virtuali. Nell’era neoliberale, l’e-
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gemonia giuridica americana ci ha insegnato a descrivere un’azienda come un
nesso di contratti. Questo cambiamento paradigmatico rispetto alla visione istituzionale
sviluppata in Europa a partire dall’inizio del ventesimo secolo, porta ad un’ancor
più forte deresponsabilizzazione dell’impresa nei confronti dei portatori di interesse,
quali i lavoratori. Infatti, la maggior parte del valore dei giganti nel campo delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione è estratta dagli utenti, mentre la
maggioranza dei lavoratori non mantiene una relazione stabile con l’azienda. Inoltre,
i monopolisti di internet creano un nuovo insieme di regole che disciplinino la vita virtuale
degli utenti: rispetto ad un semplice contratto di servizi, i termini e le condizioni
divengono più incomprensibili e meno concreti, mentre è previsto un sistema autonomo
per la composizione delle controversie, gestito da autorità e meccanismi privati.
Non vi è spazio per la regolamentazione pubblica e in questo quadro le strutture
giuridiche tradizionali dimostrano la loro profonda debolezza.
Contemporaneamente, viene ridotto il rischio di impresa. Per esempio, aziende quali
Uber possono realizzare enormi affari con investimenti comparativamente molto
ridotti, scaricando i costi del servizio sugli autisti che lo forniscono. In tal modo, il
lavoro viene interamente mercificato grazie a una applicazione falsamente presentata
come figlia della logica della produzione tra pari. Nella maggior parte dei casi, le
aziende che investono nell’economia di piattaforma, fanno propria l’idea di condivisione
(proprio come è accaduto con l’economia verde), trasformandola in una nuova
frontiera dello sfruttamento.
Se osserviamo Deliveroo, piattaforma basata in Gran Bretagna, con una vastissima
presenza internazionale, possiamo comprendere questo paradosso. Il ciclista è un
lavoratore precario, che usa la propria bicicletta per la consegna dei pasti; riceve sul
suo smartphone le ordinazioni dall’azienda; nella maggior parte dei casi non ha alcuna
copertura assicurativa. In questo modo, si esternalizza sul lavoratore una porzione
significativa dei costi e rischi legati alla produzione, senza alcuna responsabilità
per l’azienda. Il fenomeno è generalmente descritto come uberificazione del lavoro,
neologismo che sta ad indicare la frontiera digitale della precarietà del lavoro.
Aziende quali la Uber rifiutano di considerare i taxisti loro dipendenti, mentre le autorità
pubbliche preferiscono rendere illegale il servizio, piuttosto che introdurre obblighi
e responsabilità per grandi società di questo tipo. I tribunali sono stati investiti
della vertenza e fino ad ora nelle decisioni in giudizio ci si è pronunciati a favore
dell’idea che gli autisti fossero dipendenti di Uber: tre decisioni diverse – due negli
Stati Uniti e una espressa dal Tribunale del Lavoro di Londra 130 — rappresentano le
uniche frontiere di resistenza del diritto contro questa strategia di sfruttamento.
Nell’Unione Europea, va segnalata la pronunzia della Corte di Giustizia nella causa
C-434/15 Asociación Profesional Elite Taxi contro Uber Systems Spain SL che ha
ritenuto il servizio della piattaforma digitale rientrante nel settore dei trasporti.
Nell’aprile 2018, poi, nella causa C-320/16, Uber France SAS, la Corte ha stabilito
che gli Stati membri possono proibire e anche punire penalmente l’esercizio illegale
di attività trasporto senza dover preventivamente informare la Commissione. La decisione
più attesa, però, è quella che potrebbe pronunciarsi sullo status dei drivers di
Uber, considerandoli dei lavoratori subordinati della piattaforma e limitando, così, le
ipotesi di sfruttamento. Dinanzi ad istituzioni politiche facilmente controllabili, tali
decisioni si riveleranno cruciali nel definire il ruolo di aziende di questo genere sul
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mercato unico europeo. Una decisione della Corte Europea di Giustizia conforme
agli esempi statunitense e britannico, e quindi che andasse nella direzione di riconoscere
la subordinazione dei drivers, potrebbe trasformare le frontiere dell’economia
di piattaforma e determinarne il futuro sviluppo, cambiare l’organizzazione di Uber ed
accrescerne la responsabilità nei confronti dei portatori di interesse, un primo passo,
forse, nella giusta direzione. Tuttavia, il vero rischio che permane è che i nuovi sovrani
onnipotenti sempre più sfoderino tecnologie al posto dei giuristi al fine di evitare
del tutto l’impatto del diritto sulla loro attività.
L’economia di condivisione, o collaborativa, rappresenta lo sviluppo più recente dei
mercati digitali: gli individui possono scambiare o condividere i beni sottoutilizzati,
godendo delle loro capacità in eccesso. Parallelamente, tali beni svolgono un ruolo
fondamentale per la prestazione di servizi: Uber rappresenta il miglior esempio in
questo campo, sebbene sia caratterizzato da molte contraddizioni.
L’economia di condivisione si basa sull’idea che ciascuno possa produrre qualcosa
e assumere un ruolo attivo nel sistema: in questo mercato, tutti gli individui coinvolti
sono considerati pari, diremmo uguali tra loro, in ragione del loro potenziale produttivo
identico. Per questo motivo, i ruoli classici di professionisti e consumatori non
sono idonei a descrivere e disciplinare il nuovo mercato, meglio rappresentato dal
cosiddetto prosumatore, figura ibrida che può assumere il doppio ruolo di produttore
professionista e consumatore. Tali relazioni sono abilitate dalle piattaforme digitali,
che rappresentano gli spazi virtuali per lo scambio e la condivisione di beni e servizi
e sono disciplinate da autorità private, che organizzano tecnologicamente l’interazione
dei prosumatori. Solitamente, grandi aziende gestiscono le piattaforme, fatto che
dimostra l’importanza di tale trasformazione tecnologica ai fini dell’estrazione capitalistica.
Possiamo notare immediatamente che questa descrizione di base supera il
tradizionale squilibrio nel potere di acquisto, rappresentato da un problema di informazione
asimmetrica: nelle relazioni di condivisione, tipo quelle tra guidatore e passeggero
in BlaBla Car, infatti, le parti sono pari e non siamo quindi in grado di identificare
un soggetto più forte e uno più debole che necessiti di tutela giuridica.
Questa forma di “uguaglianza produttiva” poggia sulla struttura, molto enfatizzata, di
rete aperta costituita da internet. Secondo i suoi entusiastici fautori, internet consente
di effettuare transazioni mondiali e di far funzionare il sistema reputazionale. Il
modello dell’economia di condivisione, infatti, si basa su meccanismi di fiducia, dato
che due estranei possono usare qualcosa in comune soltanto se si fidano l’uno dell’altro.
Internet rappresenta un archivio mondiale di informazioni (occasionalmente,
come si sa, false), consultabili dal prosumatore prima che si vincoli.
L’abbondanza attuale di dati e informazioni spiega la trasformazione più recente del
capitalismo. In effetti, stiamo vivendo una fase di transizione dal capitalismo industriale
a quello dell’informazione. Le aziende investono in informazioni e dati, trasformandoli
in una nuova forma di ricchezza. L’interpretazione dominante del fenomeno
suggerisce che l’abbondanza di informazioni andrà a vantaggio di tutta la popolazione,
perché da un lato permetterà di ridurre i costi di produzione, indirizzandosi verso
una società a costo marginale zero. Dall’altro, l’accesso alle informazioni dovrebbe
rendere consumatori e utenti più consapevoli rispetto al passato.
Quest’ultimo punto è di interesse per il diritto contrattuale, in cui gli unici limiti accettabili
alla libertà sono giustificati in quanto protezione della parte debole che si trova
in situazione di svantaggio a causa degli squilibri nell’informazione. La disuguaglianza
si riduce quindi all’informazione asimmetrica: colmando tale lacuna, è possibile
eliminare il sistema di protezione elaborato dal diritto contrattuale nell’ambito della
sua impostazione formale relativa all’idea di giustizia (che si fonde con l’efficienza).
Nell’economia di piattaforma, ipotizziamo che le parti siano in grado di risolvere autonomamente
l’asimmetria problematica con il ricorso alle banche dati reputazionali e
a internet. Se non è più possibile identificare differenze tra di esse, non occorrono
allora più strumenti di giustizia distributiva per garantire l’equilibrio. Secondo la dottrina
dell’economia di piattaforma, infatti, l’avvento dei prosumatori, insieme alla possibilità
di raccogliere informazioni attraverso la rete, rende inutile ogni regolamentazione
pubblica della concorrenza, nonché l’introduzione di speciali obblighi di protezione.
In questo nuovo mercato, quindi, l’unico modo di evitare i contratti ingiusti consiste
in un’ulteriore individualizzazione. La parte debole può essere identificata soltanto:
a) dalla possibilità che ha in concreto di raccogliere informazioni; b) dalle sue
condizioni economiche reali; e c) dalla possibilità che divenga un venditore professionista.
Quando però, da un lato dell’accordo l’attività è permanente e riguarda un
gran numero di beni, come per esempio nel caso del proprietario di molteplici appartamenti
locati tramite Airbnb, è improbabile che si tratti ancora di un rapporto tra pari.
Questo soggetto, infatti, non sarà paragonabile allo studente squattrinato che inserisce
la sua camera nella stessa piattaforma i fine settimana, ma dovrà essere considerato
più vicino a un professionista. L’unico modo – che tuttavia per definizione
rende il diritto insostenibile a causa della mancanza di generalizzazione e astrazione
– consiste nel verificare la situazione concreta delle parti, per controllare se sia presente
uno squilibrio socio-economico tale da influire sul contenuto del contratto. Al
contempo, la probabilità di un’azione in giudizio è piuttosto ridotta, in ragione del
prezzo generalmente basso corrisposto per le transazioni nell’economia di condivisione:
per questo motivo, fino a questa fase dello sviluppo, il ruolo del giudiziario è
piuttosto limitato (opportunità di intervento ex ante per i notai?).
L’unica strategia giuridica da noi adottabile oggi consiste nel difendere il diritto dei
consumatori e la giustizia distributiva nei casi in cui sorgano dubbi circa la loro applicazione.
In tal senso, il rapporto tra piattaforma e prosumatori è un accordo tradizionale
da azienda a consumatori (Business to Consumer, B2C), nel quale i prosumatori
costituiscono la parte debole del contratto (che solitamente include termini e condizioni
relative all’accesso e all’uso della piattaforma). Questo chiarimento non è
considerato acquisito, come lo dimostra il notevole dibattito sulla regolamentazione
dell’economia di condivisione: qualsiasi certezza consente di orientare il legislatore
nella definizione del quadro giuridico di un settore in grande trasformazione, ma
indubbiamente possiamo iniziare applicando la normativa già esistente, quale il
diritto dei consumatori.
GLI SMART CONTRACT
Il capitalismo dell’informazione e la nuova economia improntata sui dati si basano su
nuove infrastrutture digitali da essi sviluppate. Uno degli esempi migliori è la tecnologia
blockchain, che ha reso possibile il funzionamento di criptovalute alternative,
quali Bitcoin o Ethereum. Essa permette di avere sistemi decentrati di pagamento e,
contemporaneamente di archiviare e trasferire automaticamente i dati, offrendo così
81
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una soluzione alternativa in molti settori, in cui solitamente tali operazioni necessitano
di un intermediario. Oggi sono in corso parecchie sperimentazioni volte a utilizzare
blockchain per la gestione di grandi quantità di dati pubblici, o nell’ambito del censimento
delle proprietà immobiliari, eliminando così il catasto e i notai, grazie alla
creazione di un catasto basato su blockchain, al di fuori di ogni interazione umana.
Con blockchain è anche possibile determinare accordi (contratti?) conclusi, attuati e
resi esecutivi da parte di un computer, mediante l’applicazione di un algoritmo e la
conservazione dei dati in un archivio su di esso basato.
L’ascesa di questa tecnologia rappresenta una sfida importante al diritto contrattuale
tradizionale. Infatti, sebbene l’automazione non sia una novità in ambito giuridico,
blockchain permette una trasformazione inattesa con gli smart contracts. Sono
accordi automatici generati, attuati e resi esecutivi da un computer o da una macchina:
se li confrontiamo con i contratti che possiamo stipulare con un distributore automatico
a moneta, scopriamo che esiste una differenza fondamentale. Le macchine
tradizionali hanno infatti bisogno dell’interazione umana: l’utente inserisce la moneta,
sceglie l’articolo che desidera acquistare e in seguito la macchina accetta la moneta
ed eroga il prodotto. L’automazione caratterizza soltanto l’attività di una delle parti
nell’accordo. Gli smart contract, invece, sono interamente automatizzati grazie alla
tecnologia blockchain e non è necessaria partecipazione umana. Nell’ottica del diritto
contrattuale, la nuova sfida consiste nel fatto che l’intero iter del contratto è generato
ed eseguito da una macchina. La prestazione di entrambe le parti è automatizzata,
mentre anche la loro volontà (in notevole misura) è sostituita dalla macchina.
Possiamo spiegare il fenomeno mediante un esempio. Un gruppo di agricoltori decide
di creare un fondo di risorse quale assicurazione contro le calamità naturali e
desidera gestirlo tramite uno smart contract. Anziché consultare un avvocato, si reca
da un codificatore e acquista un algoritmo informatico in grado di eseguire automaticamente
il contratto. La macchina, verificando le condizioni meteorologiche e in
generale raccogliendo dati via internet e incrociandoli con le informazioni inserite
nello smart contract, può prevedere il disastro naturale. Così, quando questo ha
luogo, può automaticamente distribuire le risorse del fondo tra gli agricoltori. Questo
esempio ci permette di capire come il fattore umano sia eliminato dall’accordo e possiamo
notare anche altri elementi interessanti. Innanzitutto, l’evoluzione del diritto
contrattuale sia stata caratterizzata dalla ricerca di un quadro condiviso, tale da rendere
le promesse umane vincolanti. L’ordinamento giuridico, l’idea di consenso e in
generale tutte le disposizioni che regolamentano tale ambito, rappresentano l’infrastruttura
comune per la costruzione della reciproca fiducia tra le parti.
Relativamente agli smart contract, la tecnologia e l’algoritmo raggiungono questo
obiettivo e proprio per questo motivo molti giuristi discutono oggi la vera natura di
questi accordi. Sono contratti? La risposta affermativa alla domanda significa che
dobbiamo riconoscere un cambiamento paradigmatico fondamentale nel diritto contrattuale
tradizionale. L’esecuzione dei contratti, infatti, è garantita da condizioni particolari
che li legano a un fatto speciale (potremmo dire una condizione tradizionale).
Queste sono redatte secondo il linguaggio e la sintassi dei computer, per cui vi è
un’importante separazione tra la volontà delle parti e la sua espressione, assegnata
a una macchina e a un codice speciale. La conseguenza è grave: il testo non è comprensibile
ad una persona umana e non vi è quindi alcun margine interpretativo.
Al contempo, non si può prendere in considerazione un cambiamento di circostanze
(che può influire sull’accordo originario), né è concepibile una violazione: lo smart
contract è “un pacta sunt servanda in forma assoluta”. Tali caratteristiche strutturali
del pensiero e del funzionamento delle macchine inducono molti giuristi a rifiutare l’idea
che gli smart contract siano contratti in senso tradizionale; secondo loro, la tecnologia
sottesa, rappresenta un’alternativa all’intero sistema giuridico. Come dice
Laurence Lessig, il codice è diritto e quindi la tecnologia è una regola che disciplina
il comportamento degli utenti secondo la propria logica. In un certo senso, questo
è un fenomeno di portata più generale. Se permetto a una tecnologia di decidere
per me e in tal modo perdo la capacità di controllarne il funzionamento, sono completamente
governato da essa, anziché il contrario: non sono più io ad adoperarla.
Si pensi all’uso di Google Maps che ha reso la maggior parte delle persone, soprattutto
i “nativi digitali” incapaci di usare le cartine stradali tradizionali che, nel giro di
pochi anni spariranno, proprio come accaduto alle cabine telefoniche in seguito
all’avvento dei telefoni cellulari. Google decide allora il mio percorso e mi farà raggiungere
il punto B partendo dal punto A in maniera tale che io passi accanto a ristoranti,
negozi o servizi disposti a pagare questa ricerca molto proattiva di clientela.
Sarà l’algoritmo di collegamento di Google con i suoi clienti che stabilirà il mio cammino,
non naturalmente nel mio interesse, ma alla luce del mio valore come cliente,
la merce reale nel capitalismo cognitivo. La sostituzione del fattore umano nell’esecuzione
del contratto determinerà anche la sostituzione progressiva della volontà e
discrezionalità umane.
Ecco perché gli smart contract segnalano pericolosamente la morte del contratto per
riprendere la famosa espressione di Grant Gilmore, o, meglio forse, la loro mutazione
evoluzionistica in una nuova specie (magari al servizio della nuova forma di
merce umana). Grazie a uno strumento tecnologico, gli smart contract realizzano
semplicemente il mito della neutralità, sostituendo le idee generali di equità, giustizia
e protezione della parte più debole con l’efficienza quale massimizzazione della ricchezza
(del capitale). Certezza, efficacia e prevedibilità sono valori più o meno ideologici
introdotti nell’equazione che esclude semplicemente la capacità umana di decidere.
Nel diritto contrattuale intelligente, l’ideologia meccanicistica raggiunge l’apice
attraverso il calcolo informatico. A causa di questa relazione pericolosa tra ideologia
capitalistica promossa dall’efficienza, individualizzazione e disponibilità generale ad
accettare la nostra trasformazione in merci e tecnologia codificata nell’interesse delle
grandi aziende che investono in intelligenza artificiale, gli smart contract sferrano un
ulteriore attacco, forse definitivo, alla sopravvivenza della giustizia contrattuale. Il
profilo auto-esecutorio non lascia alcun margine a valutazioni condotte nei termini
della giustizia, nozione per definizione relazionale e altamente soggettiva e di conseguenza
bisognosa di un’interpretazione umana empatica. L’efficienza è garantita
da un uso incontestabile della matematica attraverso programmi di calcolo e algoritmi
che applicano la propria logica di estrazione indotta dal capitalismo.
Ovviamente, come in qualsiasi ambito alla frontiera dello sviluppo umano, non esistono
promesse o rischi derivanti dalla tecnologia arrivati a un punto tale in cui non
possano essere più sovvertiti o impiegati in un progetto contro-egemonico. Gli smart
contract sono programmati nel modo odierno perché il diritto contrattuale è evoluto
progressivamente verso l’efficienza economica e altri valori favorevoli al capitalismo.
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In contesto neoliberale, la critica di questa evoluzione è stata molto debole. Gli smart
contract oggi non possono andare a sostituire i contratti tradizionali in tutti i mercati;
però, come già avvenuto nella storia, ciò che avviene nella frontiera finisce per conquistare
la terra madre.
CONTROEGEMONIA E NUOVE FRONTIERE DEL DIRITTO DI PROPRIETÀ?
Il diritto di proprietà rappresenta ancora una volta il cuore profondo del diritto moderno:
ne pervade la struttura, è trasversale a tutte le sue categorie. In un sistema capitalistico
la funzione stessa della legge consiste nel garantirlo, tutelarlo e limitarlo.
Oggi, un secolo dopo la Rivoluzione russa e l’inizio dell’esperimento sovietico, sembra
inconcepibile per i giuristi immaginare un ordinamento giuridico senza diritto di
proprietà, confermando, paradossalmente, e ottant’anni dopo la sua tragica esecuzione,
la verità della visione di Evgeny Pashukanis (1891-1937). Secondo il più stimato
giurista socialista del ventesimo secolo, la moderna professione del diritto è
inestricabilmente connessa con la società mercantile borghese, poiché emerge
come inevitabile ossatura dello scambio economico (e dello sfruttamento). In una
società socialista, in seguito all’abbandono della sovranità statale e alla costituzione
di un ordine economico socialista, il diritto sarà inesorabilmente destinato al declino
e in ultima analisi all’estinzione. L’antagonista storico di Pashukanis, Andrey
Vyshinsky (1883-1954) argomentava che il diritto socialista, pur liberandosi del mercato
ed attuando un’economia pianificata, nonostante il suo stretto legame con un
inevitabile stato sovrano, se paragonato al diritto borghese, doveva essere considerato
progresso e non decadenza. Pashukanis cadde in disgrazia nel momento in cui
Stalin ritenne necessario rinunciare all’ambizione internazionalista della rivoluzione
socialista, nel tentativo di consolidarla all’interno delle frontiere sovrane sovietiche.
All’epoca, il dibattito non fu necessariamente accademico, come lo testimonia il suo
tragico esito. Oggi, l’urgenza e la necessità di una rivoluzione ecologica del diritto,
rendono nuovamente attuale e di importanza cruciale la ripresa della discussione.
Giuristi professionisti (in primis i notai) possono allora interpretare il diritto di proprietà,
nucleo centrale del diritto capitalista e in notevole misura prodotto dello stato
centrale, in una maniera compatibile con i bisogni di sopravvivenza della civiltà
umana sulla terra, in un sistema di diritto privato ecologico conciliabile con la proprietà
privata?
La letteratura sui beni comuni, che recentemente ha riaperto questo fondamentale
dibattito, ha affrontato la questione seguendo due impostazioni principali. Da un lato,
e soprattutto negli Stati Uniti, ha sviluppato teorie che interpretano i beni comuni
come una forma diversa di proprietà collettiva, meglio adatta a gestire alcune tipologie
di risorse (le cosiddette risorse comuni) rispetto alla proprietà privata o al potere
normativo (pubblico) del governo. Secondo tale concezione, il diritto dei beni comuni
scaturisce dal basso ed evita la famosa “tragedia”, anche se occupa soltanto uno
spazio relativamente ristretto. L’altra impostazione vede nei beni comuni una struttura
politica, economica e istituzionale incompatibile con il capitalismo, in quanto esistente
al di là della dicotomia tra privato e pubblico e quindi necessariamente disgregativa
dell’attuale ordine giuridico nel suo processo costituente. La nostra posizione
considera, vista la situazione odierna, la necessità di adottare una visione fautrice di
trasformazioni radicali, ma compatibile, almeno da un punto di vista tattico, con la
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struttura corrente dell’ordinamento giuridico. In altre parole, suggeriamo un’interpretazione
contro-egemonica del diritto di proprietà esistente, una riflessione che lo colleghi
intrinsecamente e sistematicamente ai bisogni di riproduzione dei beni comuni
anziché alla produzione di capitale. Se nella prima modernità la proprietà assoluta
ed esclusiva si sviluppò quale potente incentivo all’accumulo di capitale, estraendo
e trasformando le risorse comuni e altre forme di cooperazione sociale, la teoria della
proprietà (e in generale del diritto civile) che riteniamo la professione notarile debba
contribuire a forgiare a pena di non celebrare un prossimo centenario, è volta a rendere
nuovamente il capitale (valore di scambio) bene comune (valore d’uso). Se gli
interpreti professionisti (avvocati, giudici e notai) dovessero condividere una visione
più eco-alfabetizzata (e critica) della realtà, parteciperebbero come classe allo sviluppo
di un corpus del diritto civile generativo e non estrattivo. Pur senza sbarazzarsi
della proprietà privata, l’interpretazione contro-egemonica la opporrebbe agli eccessi
dell’accumulo capitalistico, così letali per la sopravvivenza dell’umanità. Per esempio,
il diritto della proprietà generativa distinguerebbe chiaramente la proprietà intesa
come tutela del valore d’uso e degli interessi della vita privata dalla proprietà ossatura
giuridica dell’accumulazione infinita derivante dalla produzione economica e dal
valore di scambio. Svelerebbe l’ideologia insita nella strategia capitalistica,
che sfrutta il desiderio generalizzato di ciascun individuo di vedersi garantita la sfera
privata e la sicurezza del possesso dei beni di base per organizzare invece il consenso
politico necessario a proteggere l’accumulo di valore da parte delle società
multinazionali, gli investimenti internazionali e l’estrazione di risorse considerate
“proprietà”.
Tutela della proprietà non significa necessariamente difesa di un ordine sociale che
tolleri le disuguaglianze generate dall’accumulazione eccessiva. Possiamo avere un
sistema di proprietà ben ordinato, anche senza proteggere l’iniqua parte di risorse
accumulate dai Bezos, Buffet, Zuckerberg e Gates in seguito all’estrazione di valore
sociale ed ecologico. Un’interpretazione contro-egemonica, quindi, si rivela cruciale
per avvalersi del diritto di proprietà quale limite all’estrazione e all’accumulo capitalistici.
È paradossale che, quando la sovranità viene dirottata da interessi privati costituiti,
soltanto i diritti di proprietà sono in grado di resistere a ulteriori privatizzazioni:
una fondazione o un trust creati nell’interesse delle generazioni future costituiscono
uno strumento di protezione istituzionale di un parco molto più efficace del suo essere
pubblica proprietà. Inoltre, quando, come oggi, la proprietà intellettuale è fortemente
concentrata nelle mani delle multinazionali, soltanto la piena tutela del valore
d’uso di un dispositivo intelligente tramite il vecchio e fuori moda diritto di proprietà,
può offrire al suo proprietario la possibilità di contrastare legalmente gli abusi da
parte di tali società. Anche in questo caso, ci troviamo dinanzi a un uso contro-egemonico,
reso necessario dal ritmo e dalla forza travolgenti delle trasformazioni tecnologiche
che avvengono sotto il controllo delle multinazionali. Infine, interpretazioni
eco-alfabetizzate si rivelano di importanza cruciale per difendere il patrimonio culturale,
il territorio e le bellezze naturali dagli eccessi di uno sviluppo insostenibile.
Difficilmente si possono ottenere le medesime tutele con la regolamentazione pubblica,
perché è prigioniera del sistema.
Negli anni che ci separano dalla rivoluzione scientifica, dalla nascita della modernità
e dalla Rivoluzione Industriale, è emersa una nozione di proprietà vista come zona
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di autonomia dell’individuo su un oggetto, protetta dalla legge. Celebrata quale
libertà del proprietario, è stata descritta nel tempo in termini più o meno enfatici
(famosissima, nel mondo anglofono, la definizione di potere “unico e despotico” di
Sir Wiliam Blackstone, precedentemente citata) e limitata in maggiore o minor misura
a favore di altri soggetti, dalla nota metafora del “fascio di prerogative” all’idea più
radicale della Costituzione di Weimar, in cui si dava risalto agli obblighi del proprietario,
quale corrispettivo del suo potere. Nonostante questo ricchissimo dibattito tra
giuristi della tradizione occidentale, nel loro immaginario è talmente dominante la
nozione archetipica di proprietà privata quale potere di esclusione da ingerenze non
desiderate da parte di terzi e senza il consenso del proprietario, che solo recentemente
qualcuno ha potuto notare le trasformazioni radicali in atto nella fase corrente
dello sviluppo capitalistico, in cui tale zona di autonomia si sta progressivamente
riducendo, perturbando il mondo tradizionalmente tranquillo della teoria e della prassi
giuridica. In realtà, nell’era delle trasformazioni tecnologiche della portata dei big
data e del cosiddetto “Internet delle cose”, la proprietà privata in senso tradizionale
è praticamente morta. Il fatto di possedere un tablet o un telefono cellulare è del tutto
inutile se non ne accettiamo le condizioni d’uso fissate dall’azienda produttrice. Il
sistema tradizionale “decentrato” dei diritti di proprietà è quindi sostituito dal potere
decisionale sempre più centralizzato di grandi concentrazioni di entità capitalistiche,
che in remoto “decidono” sul dispositivo che hanno appena venduto in proprietà.
Anzi, si può già considerare in fieri, alla frontiera tecnologica sempre più importante
di internet, un’organizzazione sociale in cui al potere decisionale decentrato della
proprietà privata si sostituisce quello centralizzato di grandi aziende. E certamente,
la proprietà di un dispositivo intelligente, da un telefono cellulare a una TV dell’ultima
generazione a un frigorifero o una smart car, ha pochissimo in comune con la proprietà
tradizionale, vecchio stile. Il proprietario di un dispositivo di questo tipo connesso
a Internet, in effetti non ha né potere di esclusione né potere decisionale su
molti suoi usi. Infatti, quando per esempio accendiamo il nostro nuovo tablet e clicchiamo
un certo numero di volte su “accetto” (e non vi è alternativa se desideriamo
usarlo), conferiamo all’azienda venditrice, titolare dei diritti di proprietà intellettuale,
il potere di intervenire in remoto su di esso. Le case automobilistiche possono far
spegnere il motore della macchina, mentre stiamo guidando, se siamo morosi nel
pagamento della rata; le aziende produttrici di televisori intelligenti sono in grado di
decidere cosa possiamo o non possiamo guardare ed effettuare indagini sul nostro
uso del televisore, per venderne poi i risultati alle aziende di pubblicità che sanno
esattamente quali programmi guardiamo e a quale ora; la Apple può denunciarci se
cerchiamo di modificare abusivamente il nostro dispositivo, per renderlo compatibile
con altri che non vuole farci usare (è addirittura un reato); e non possiamo togliere
la batteria da un cellulare di nuova generazione senza romperlo, fatto che ci impedisce
allora di difenderci in ultima analisi da apparati di sorveglianza. Amazon non ci
lascia rivendere un libro in formato elettronico che abbiamo acquistato per leggerlo
sul Kindle, come invece faremmo con un libro normale in formato cartaceo. Tutte
queste pratiche sono protette dai tribunali mediante accordi di arbitrato, così appositamente
strutturati contro gli interessi del proprietario, che praticamente nessuno se
ne serve per risolvere le controversie. Ciò significa che alla nuova frontiera del capitalismo
non vi è zona di autonomia individuale tutelata legalmente riguardo ai beni
personali molto essenziali che possediamo; questo varrà anche per la proprietà
immobiliare, in ragione delle nuove tecniche dell’edilizia intelligente. Dov’è il potere
fondamentale di esclusione nei confronti delle multinazionali che ci vendono il dispositivo,
ma mantengono il controllo nei confronti dei loro licenziatari? Dov’è il potere
di modificare un oggetto secondo i nostri desideri? E quello di venderlo una volta che
non ci interessa più? Non sono più attributi essenziali della proprietà, ma dipendono
da quanto “accettiamo” di trasferire al venditore o al suo licenziatario, la prima volta
che facciamo funzionare il nostro dispositivo.
Queste trasformazioni fondamentali già in corso richiedono da parte nostra un ripensamento
fondamentale non solo della proprietà ma di tutte le istituzioni fondamentali
del diritto civile che da essa derivano. In effetti, il capitalismo può benissimo sopravvivere
senza la proprietà privata moderna, tradizionale, cosa che già accade nella
frontiera on line. Una volta comprese le trasformazioni dirompenti che si stanno verificando
molto velocemente, potremo effettivamente pensare ad alternative alla proprietà
privata nell’interesse delle persone (e degli ecosistemi viventi) e non del capitale
(e dell’ecosistema on line). Potrebbe forse aver un senso proteggere la proprietà
privata tradizionale da tali trasformazioni della struttura giuridica ad opera delle multinazionali,
di modo da poter sviluppare interpretazioni contro-egemoniche e generative
contro l’illegalità sfrenata del capitalismo e la legge del più forte.
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LA STORIA,
FONDAMENTO DEL FUTURO
Lauretta Casadei
(Consigliere della Cassa Nazionale del Notariato)
isogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il
“B futuro” questa frase dello storico greco Tucidide riassume il filo
conduttore di tutte le iniziative che hanno caratterizzato la celebrazione
del Centenario della istituzione della Cassa del Notariato e che cercheremo
di descrivere cercando di riprodurre, più che i fatti, le emozioni.
Il primo incontro con il centenario è avvenuto a Roma il 18 gennaio
2019 nella cornice di Villa Miani, una delle più belle ville di Roma
con il convegno “Futuro, Diritti e Globalizzazione asimmetrica”.
In una delle sale è stata allestita una “Mostra fotografica/documentale”
Il Notaio Lauretta Casadei
Villa Miani, Roma
sulla storia della Cassa e del Notariato in generale con flash sulla società
civile, in modo da permettere a ciascun visitatore, prima di iniziare ad
ascoltare le importanti relazioni di “conoscere il passato” e partecipare
con una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’evento.
Le tavole rotonde del convegno sono state totalmente incentrate
sul Futuro perché, in linea con quanto abbiamo già detto, la memoria
deve rappresentare anche l’inizio di una nuova storia, che utilizzi l’esperienza
per continuare ad evolversi e diventare futuro.
In particolare nella mattinata ciascun relatore ha esaminato, con diversa
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angolatura, il rapporto tra
futuro, diritti, tecnologia e
globalizzazione, definita
“asimmetrica” perché non sta
garantendo la democrazia che
aveva promesso, governata
ormai da poteri economici e
tecnologici concentrati in
poche mani. Spunti sul futuro
“del diritto” e “dei diritti”,
quindi, in un mondo sempre
più globalizzato e in un
momento in cui la realtà presente
è superata con velocità
sempre maggiore a causa
dello sviluppo tecnologico ma
anche dalla mentalità che si
trasforma conseguentemente.
In questo panorama
una domanda è stata inevitabile:
i Notai in questo contesto
che ruolo svolgono e svolgeranno?
Nelle relazioni della tavola
rotonda del pomeriggio alcune
risposte e alcuni suggerimenti
di Notai per i Notai perché il
futuro e il cambiamento siano
governati e non subiti.
Ma le eccellenti relazioni,
tutte contenute nel presente
volume, non sarebbero riuscite
da sole a testimoniare la
parte celebrativa del convegno
e di questo intenso anno. Per
questo ogni evento è stato
riprodotto sul sito www.cassanotariato.it
a partire dal
video introduttivo, realizzato
sui temi della tecnologia e
globalizzazione, che suggerisce
quale risposta alla sfida
del futuro i valori da sempre
difesi dal Notariato.
Tante iniziative sono state organizzate per rendere il giusto tributo a
questo importante appuntamento e alcune sono ancora in corso. Abbiamo
La tavola rotonda del mattino
La tavola rotonda del pomeriggio
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Il video realizzato per il centenario
La mostra documentale e fotografica
del centenario
già accennato alla mostra documentale
e fotografica, riprodotta
nelle prime pagine del volume,
realizzata da una giovane Notaio
con grafica moderna, in modo da
consentire di avere una visione
d’insieme e di “passeggiare”
attraverso questi 100 anni osservandone
le “tappe fondamentali,
le sfide e i personaggi”. La mostra
ha rappresentato il punto finale
di tanti mesi di ricerca di documenti
rinvenuti soprattutto nei
verbali del Consiglio di
Amministrazione della Cassa, nei
libri editi in occasione di ricorrenze
importanti, come quelli per i
50 e 90 anni della Cassa e per i 50
anni del CNN. E’ stata inoltre
arricchita da documenti, foto e
ricordi personali condivisi da singoli
colleghi La ricerca non è stata
facile e forse andrebbe approfondita
e ampliata a vantaggio delle
generazioni future perché “La storia
ci insegna a capire le dinamiche
del presente, a relativizzarne le
problematiche e ad inserire i fatti
all’interno di un processo di evoluzione
continuo. Essa può essere la
migliore maestra, a patto che la
sua memoria sia sempre rinfrescata”.
E per rinfrescare questa
memoria siamo partiti dai padri
fondatori della Cassa, i Notai
Antonio Russo Ajello e
Giuseppe Micheli che attraverso
le righe della rivista “Il
Notaro” hanno dato avvio ai
dibattiti sulla previdenza e sulla
solidarietà professionale già dal
1913, sei anni prima che con il
Regio Decreto del 9/11/1919 n.
2239 venisse approvato il testo istitutivo della Cassa Nazionale del
Notariato, nata per assistere con un assegno integrativo i Notai titolari
di sedi disagiate ma che poi assumerà anche finalità pensionistiche con
90
il decreto legge n.1324 del 27 maggio 1923. Tutte le notizie riportate sono
degne di nota ma particolare attenzione va prestata a quelle che riportano
la testimonianza del Notariato durante la seconda guerra mondiale
(1943), la nascita delle Riviste per eccellenza, Rivista del
Notariato e Vita Notarile (1947), l’istituzione del Consiglio
Nazionale del Notariato (1949) e delle prime scuole di Notariato, la
commemorazione dei primi 50 anni della Cassa con i vecchi ritagli dei
giornali e le foto delle personalità intervenute alla celebrazione, la
Privatizzazione nel 1993 con la legge n.573 di delega al Governo.
Una particolare attenzione è riservata alla presenza delle
donne, non numerose all’inizio ma presenti fin dal 1927. L’attuale
femminilizzazione parte da una coraggiosa prima donna Notaio, Elisa
Resignani, divenuta Notaio quando le donne non avevano ancora neanche
diritto al voto e prima di lei, dalla dottoressa Adele Pertici che ingaggiò
una lunga battaglia legale perché le donne fossero ammesse nel
Notariato.
Una mostra per “Conoscere il passato”, un regalo di esperienza per tutti.
E a proposito di regali non possiamo non segnalare il racconto inedito,
“Il mondo piccolo di un Notaio rurale” scritto dal Notaio Carlo Carosi
ultimo contributo nel presente Volume, nel quale viene descritta
attraverso la vita del
Notaio “Italo D.”e dei suoi
discendenti, la storia del
Notariato e dell’Italia in
questi 100 anni.
“Il regio Notaio Italo D. fu
Alvaro era nato e cresciuto in
un paese arroccato lungo una
strada statale, poco lontano
da un importante valico
dell’Appennino. Un paese
come tanti….” . Lo consigliamo
perché anche questo racconto
accompagna il lettore
lungo la storia di questi 100
anni con una minuziosa ricostruzione
storica calata nella
vita quotidiana familiare e
professionale di questo simpatico
Notaio.
Per il logo del centenario è
stato indetto un concorso che è stato vinto da una studentessa del liceo
artistico Felice Casorati di Novara: Alessia Albertin.
Ci è sembrato importante e utile coinvolgere i giovani di settori lontani
al Notariato per scoprire il loro punto di vista. Il risultato è stato soddisfacente
e nei lavori dei partecipanti abbiamo scoperto un inaspettato
Da sinistra i Notai Antonio Caputo,
Alessandro Corsi in rappresentanza del
Notaio Carlo Corsi, Alessandro de Donato
e Giulia Proietti
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Da sinistra: il Preside del Liceo Artistico di
Novara “Felice Casorati”, Arch. Salvatore
Palvetti, la studentessa Alessia Albertin,
vincitrice del concorso per la realizzazione
di un bozzetto per annullo filatelico e
coniazione di una medaglia e il Presidente
della Cassa, Notaio Mario Mistretta
Il sondaggio SWG
interesse alla nostra professione
rappresentata spesso, nel logo
vincitore, con penna e calamaio,
simboli tradizionali di una professione
autorevole, resi attuali con
computer e reti. A riprova di
quanto detto la spiegazione del
logo vincitore recita: ”La lente di
ingrandimento sottolinea l’importanza
e la centralità della Cassa
Nazionale del Notariato”. Il logo
vincitore è stato riprodotto nella
medaglia coniata dalla Zecca
dello Stato e nell’annullo
postale effettuato il 18 gennaio
2019. Per il 9 novembre, inoltre,
è prevista una cerimonia per l’emissione
del francobollo per il
centenario, ulteriore importante
simbolo da noi voluto e concesso
dal MISE. In questa occasione
sarà consegnato a tutti i presenti
un Folder contenente il francobollo
e la Busta Primo Giorno. Al
convegno sono stati anche presentati
i risultati di un sondaggio
della SWG sulla Cassa con interessanti
riflessioni sul futuro
dell’Ente.
Ma oltre alle “testimonianze”
dei documenti e all’importanza
delle “cose” il valore di questi
100 anni è data dalle persone, dai
Notai che hanno reso grande
il Notariato. Per questo abbiamo
voluto dedicare una sezione del
convegno alla premiazione, consegnando
il presente Volume e la
Medaglia a quei Notai, o ai loro
eredi, con un significato simbolico
ben più alto del dono consegnato.
E così abbiamo invitato sul palco
gli eredi dei Notai Micheli e
Ajello, padri della Cassa, i Notai
“centenari”, le prime donne
Notaio elette in Consiglio
92
Nazionale e in Cassa, i più
giovani Notai d’Italia, i Notai
che hanno contribuito alla
preparazione del centenario, i
Presidenti del Consiglio
Nazionale del Notariato, i
Presidenti della Cassa
Nazionale dalla sua privatizzazione.
Una grande emozione vedere
sul palco tutti insieme questi
protagonisti della
nostra storia, rivivere con i
loro commenti l’emozione e la
responsabilità di aver condotto
il Notariato nel corso degli
anni, nei momenti di successo
e in quelli di crisi. Le foto di
questa premiazione ma
soprattutto le foto con tutti i
presidenti valgono più di ogni
commento, rappresentano la
nostra storia nelle persone
di coloro che hanno traghettato
il Notariato fino
ad oggi. E, con una attitudine
controcorrente in un
mondo che dimentica spesso
di farlo, questa mi sembra
l’occasione giusta per ringraziare
questi uomini e
donne che insieme hanno
dato al Notariato una grandissima
opportunità: quella di
essere ancora oggi tutori della
legalità.
.”La Cassa …...rappresenta la
sicurezza per i propri iscritti,
la certezza del loro futuro,
come ha dimostrato nei primi
cento anni della sua esistenza
osservando e dando corpo al
patto intergenerazionale fondamento
della nostra
Previdenza” (Notaio Prospero Mobilio) “un modello di Previdenza efficiente
e sostenibile, retto da un patto intergenerazionale che va mantenuto
Il Presidente Mistretta con i Presidenti del
CNN Lombardo, D’Errico, Mariconda,
Barone, Laurini e Piccoli
Franco Di Mare e il Presidente Mistretta
consegnano medaglia e volume ai
Presidenti Cassa Mobilio e Attaguile
93
Il Notaio Massimo Panvini Rosati nipote
del Notaio A. Russo Ajello
La figlia del Notaio centenario Giovanni
Del Gaudio
e rafforzato e che si distingue nel
panorama delle Casse professionali
per la qualità e la quantità
dei servizi che eroga ai suoi iscritti”
(Notaio Francesco Attaguile)
“La Cassa è la nostra memoria
storica, è l’eredità che ci è pervenuta
dalle generazioni dei Notai che
si sono succeduti per un secolo e i
Notai hanno il dovere non solo
istituzionale ma anche etico di
amministrarla con saggezza…”
(Notaio Paolo Pedrazzoli) “I cento
anni sono il luogo dove, al di là di
ogni sapere tecnico, si sono unite
una moltitudine di capacità che si
sono fatte competenza profonda.
Sono la lungimiranza, il riconoscimento
del rischio e la sua mitigazione.
…..Sono una storia di
futuro, il nostro futuro” (Notaio
Mario Mistretta)
“La Cassa in questi cento anni è
stata amministrata con saggezza,
prudenza e lungimiranza; sono
state adottate tutte le misure volte
ad assicurare l’equilibrio tra
entrate contributive e spese per
prestazioni pensionistiche ed è
ottimamente patrimonializzata…
….. Il nostro passato deve rappresentare
la rampa di lancio da cui
partire per disegnare il nostro
futuro, per migliorare il nostro
sistema previdenziale rendendolo
più rispondente alle mutate esigenze
e aspettative dei Notai……
.”.(Notaio Francesco Giambattista
Nardone)
Ci è sembrato giusto concludere
con le parole degli ultimi cinque
Presidenti della Cassa, dalle quali
traspare la loro visione e il senso
profondo di responsabilità nell’amministrare
la Cassa. Mi piace
aggiungere il ricordo del momento
94
I Notai Maria Pantalone Balice, Flavia Pesce Mattioli e Matilde
Atlante le prime consigliere di Cassa e CNN
I giovani Notai Gabriele Scaglia e Greta Feroleto De Maria ricevono la
medaglia e il volume del centenario
I Notai Attaguile, Mobilio, Corsi, Buta, Mistretta, Montali, Simone, Nardone e il giornalista Franco Di Mare
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96
finale della celebrazione del 18 gennaio in cui tutti i componenti degli
ultimi due CDA presieduti da Mario Mistretta sono stati da lui chiamati
sul palco per ricevere il suo ringraziamento da estendere a tutti i
CDA di questi 100 anni e all’intero staff dei dipendenti, nella consapevolezza
che nessun Presidente avrebbe potuto ben amministrare né potrà
farlo nel futuro senza una squadra competente, efficiente e collaborativa.
L’ASSOCIAZIONISMO E LE RETI:
FUTURO DELLA PROFESSIONE
NOTARILE?
Paolo Broccoli
(Notaio in Colognola ai Colli - Verona)
Oggi il mondo notarile si trova a dover affrontare due sfide che viaggiano
su livelli diversi, una tattica che investe i temi della politica e una strategica
che dipende dalle scelte individuali, che potrebbero convergere in una
strategia comune, dei notai.
La prima sfida è quella della politica. E’ almeno un decennio che
l’ideologia liberista si è tradotta in una serie di scelte politiche che hanno
profondamente inciso sul mondo professionale, dall’abrogazione delle tariffe
professionali a tutta una serie di provvedimenti che hanno cambiato radicalmente
il nostro modo di lavorare.
Con l’abrogazione delle tariffe professionali, il mercato è diventato selvaggio
per tre motivi fondamentali, a cui ne va aggiunto un quarto che riguarda
specificatamente il mondo notarile.
Il primo motivo è che i contraenti forti hanno fatto valere la loro
forza di mercato per cui le prestazioni professionali rese nei loro confronti
sono crollate economicamente e questo ha creato spesso problemi anche di
abbassamento della qualità.
Il secondo motivo è la mancanza da parte della maggioranza dei
notai di conoscenze atte a costruire e comunicare “valore” relativo alla prestazione
professionale in modo efficace al cliente, mancanza attribuibile al
fatto che il notaio quale pubblico ufficiale non ritiene di dover “vendere” la
propria professionalità. Questo perché i notai sono “tecnici” (bravissimi nel
loro settore) abituati per decenni ad avere una tariffa nella quale era lo
Stato a stabilire il compenso per la pubblica funzione. Pochissimi professionisti
hanno nozioni di marketing o di comunicazione, di strategia di posizionamento
nel mercato, sono tutti temi non previsti nel percorso professionale
per diventare notai ma che forse oggi diventano fondamentali per esercitare
la professione.
Il terzo motivo è simmetrico al secondo, e riguarda le asimmetrie
informative dei cittadini acquirenti dei servizi notarili. Se un notaio non è
in grado di comunicare il valore del proprio servizio, l’asimmetria informativa
del cittadino acquirente dei servizi farà sì che spesso lui percepirà i servizi
dei vari professionisti come indifferenziati, quasi delle commodities, e
quando si sceglie una commodity la scelta razionale del consumatore è principalmente
fatta in base al prezzo.
Il quarto motivo, peculiare del mondo notarile, è che molto spesso
si arriva dal notaio dopo aver incontrato altri professionisti che sempre più
spesso cercano di intermediare anche l’opera professionale del notaio addirittura
cercando di intervenire sui preventivi di spesa senza peraltro toccare
i propri compensi, cercando, in altri termini, di offrire anche l’eventuale
“sconto” sul compenso del notaio come propria opera professionale ben
pagata.
Il Notaio Paolo Broccoli
97
98
Come si esce da questa dinamica?
Va chiarito subito che, secondo chi scrive, la soluzione non è la reintroduzione
della tariffa, ma la declinazione in termini moderni del valore economico
ed oggettivo della prestazione: se il professionista vale è giusto che sia pagato
per quello che vale e per quello che riesce a far percepire al suo cliente
come valore della sua opera. Dove i professionisti devono lavorare è, quindi,
sulla comunicazione del loro valore e sulla differenziazione.
In questa ottica credo sia fondamentale il ruolo dell’Ordine che deve favorire
innovazione e differenziazione qualitativa all’interno delle categoria. In
primo luogo con i codici deontologici, da elaborare principalmente per favorire
la differenziazione professionale sulla qualità e dare garanzie ai cittadini
che fruiscono dei servizi: questa dovrebbe essere prima di tutto la loro
funzione sociale.
Una differenziazione sulla qualità, che si nutre per forza di una
comunicazione efficiente, è a vantaggio dell’intera categoria professionale,
perché l’innovazione sarà presa a spunto da altri che proveranno a loro volta
a migliorarla e questo in ultima analisi farà progredire la categoria tutta
(funzione maieutica dell’innovazione). Andare in senso contrario, oltre ad
essere antistorico, costringerebbe tutte la categoria a competere esclusivamente
sul prezzo e questo non può fare il bene della categoria stessa.
Veniamo alla seconda sfida: la rivoluzione digitale. Questa è ancora
più “disruptive” di quella politica, perché non ha bisogno di leggi, passa
sopra le teste della politica e cambia le regole di mercato. Pensiamo a cosa
è stato Uber per i tassisti oppure a cosa è stato immobiliare.it nel mondo
immobiliare, o ancora Mutui online per i mutui o Moneyfarm per il settore
del risparmio. Una volta nati, hanno per sempre alterato le dinamiche di
questi settori.
Immobiliare.it ha reso più fruibile e semplice la vendita e ricerca di immobili
per i cittadini, ma al tempo stesso ha intermediato profondamente il settore
per gli agenti immobiliari; Mutuionline.it ha reso semplice la comparazione
dei tassi di interesse e delle offerte di mutui tra più banche per i cittadini,
ma ha spinto ad una concorrenza sui prezzi che ha ovviamente ridotto di
molto i margini del mondo bancario e lo stesso sta avvenendo nel mondo del
risparmio con Moneyfarm.it.
Il mondo del digitale corre velocissimo, a dei ritmi di cui noi professionisti
non siamo consapevoli e quando ci accorgiamo della novità spesso è
già tardi.
Vediamo un esempio concreto: immobiliare.it. Il suo modello di business si
struttura principalmente nell’offrire gratuitamente ai privati la possibilità
di pubblicare annunci, incrementando così il portale, mentre lo stesso servizio
è a pagamento per gli agenti immobiliari, che sono in ogni caso obbligati
a usarlo perché la visibilità del portale è tale che altrimenti non fanno una
pubblicità adeguata del bene. In sostanza immobiliare.it non è una vera e
propria disintermediazione perché non elimina un intermediario dal mercato,
ma ne riduce solo i margini. Adesso però è arrivata Homepal.it, che al
contrario può essere considerata come una vera e propria disintermediazio-
ne nel settore immobiliare, perché a differenza di immobiliare.it, prova ad
eliminare gli operatori immobiliari dal mercato. Si tratta di una piattaforma
online per la compravendita e l’affitto di immobili residenziali tra privati, un
vero e proprio marketplace perché permette di arrivare fino alla chiusura
della transazione senza mediazione immobiliare.
“Ma tanto noi siamo professionisti, questo a noi non può succedere”. Siamo
proprio sicuri?
In realtà stanno sorgendo alcuni portali, ad esempio dottori.it, che cercano
di portare i meccanismi ormai da tutti utilizzati per scegliere un viaggio o
un ristorante anche alla scelta del professionista.
Come mai molte delle start up nel mondo professionale operano sul settore
dei marketplace e della comunicazione? La risposta è semplice: i professionisti
hanno dei limiti molto rigorosi sulla comunicazione, per cui queste
start up approfittano dei limiti dei professionisti per autoimporsi e cercare
di occupare questi spazi.
In sintesi alcune realtà digitali cercano, in ogni caso, di occupare spazi dell’attività
del professionista: o quello del posizionamento nei rapporti con la
clientela oppure direttamente quello dei servizi professionali sia offrendo
direttamente servizi non soggetti a riserva di legge sia trasformando il professionista
in un subfornitore del servizio offerto dal portale.
Come reagire a queste dinamiche?
In primo luogo a queste dinamiche concorrenziali esterne si deve necessariamente
reagire con gli stessi strumenti, altrimenti si è per forza perdenti,
perciò diviene fondamentale che gli Ordini consentano, con norme deontologiche
liberali, ai professionisti di poter competere con i concorrenti esterni
alla professione perché per regolare in modo troppo rigido il mercato interno
ai fini del controllo si rischia di condannare i professionisti rispetto ai nemici
esterni (che sono i più pericolosi perché spesso dietro di loro ci sono multinazionali
e grandi operatori finanziari).
Come si reagisce alle sfide politiche e digitali?
Ci sono due modalità di reazione: una organizzativa e una digitale.
Per quanto riguarda quella organizzativa, in realtà in qualunque settore
liberalizzato un operatore razionale reagisce aggregandosi, come ad esempio
accaduto nel mondo bancario, quindi la razionalità vorrebbe che anche i
professionisti andassero in questa direzione, ma questo spesso non avviene
perché tendono a far prevalere aspetti individualistici rispetto a quelli strategici.
Da un’aggregazione i professionisti avrebbero tutto da guadagnare,
infatti sicuramente i singoli studi da soli possono molto poco perché hanno
minore forza economica ed know-how per poter competere con il digitale e le
sfide della concorrenza.
Le strade organizzative sono sostanzialmente due. La prima di queste
riguarda la creazione di grandi associazioni che consentano sinergie sia
99
professionali che economiche. L’associazionismo si scontra però con la
necessità di trovare equilibri economici sulla ripartizione del fatturato non
sempre facili da gestire con la necessaria anche se minima cessione di
sovranità che spesso impedisce o fa andare in crash le strutture stesse
Oggi la maggioranza del notariato è composta da tantissime monadi individualistiche
ed un associazionismo fatto nella maggioranza dei casi da associazioni
legate a logiche tradizionali, padri e figli, mariti e mogli, fratelli e
cugini et similia, molto lontane da un’idea di moderno associazionismo.
Questo tipo di organizzazione del notariato non è altro che il riflesso di un’epoca
in cui, vigente la tariffa, la necessità di sinergie era molto poco avvertita
dagli studi notarili, ma oggi tutto è cambiato nel mondo notarile, per cui
è naturale pensare a forme di organizzazione diverse, che favoriscano il contrario
dell'individualismo e cioè la rete e l'associazionismo.
Eppure ogni volta che si parla di questi temi arrivano i timori, le
obiezioni, si dice che l'associazione non risolva nulla, che anzi costituirà una
prevaricazione dei grandi sui piccoli, senza comprendere che questo fenomeno,
ineluttabile, o lo si governa e favorisce, ed allora sarà maggiormente
democratico, o lo si subisce ed allora sarà una vera e propria acquisizione.
Il notariato nel futuro, secondo il punto di vista di chi scrive, è fatto da grosse
associazioni su base territoriale che possono realizzare sinergie ed economie
di scala, federate in reti di rilievo nazionale, perché l’associazionismo
che ha maggiori prospettive strategiche è quello di dimensioni maggiori,
come ad esempio non più di 4/5 studi per distretti di 100 notai ed in questo
modo anche gli effetti sulla valorizzazione della prestazione sarebbero
rilevanti.
Al contrario oggi la maggior parte delle strutture associative sono di tipo
artigianale e non aziendale e questo non consente di potersi strutturare e
fare quegli investimenti tecnologici e di formazione necessari. Gli studi non
dovrebbero essere composti da 2/3 professionisti, ma essere strutture da
almeno 8/10 professionisti perché solo in questo modo si passa a dinamiche
aziendali, che consentono investimenti e stemperano le criticità che possono
sorgere nelle strutture artigianali, garantendo agli associati un legittimo
vantaggio competitivo.
Gli stessi Ordini dovrebbero favorire, anche deontologicamente, le
associazioni perché i professionisti che fanno quel percorso di maturazione
culturale che porta verso la cessione di sovranità devono poter fruire di un
vantaggio competitivo.
Vediamo ora in concreto i vantaggi dell’associazione.
In primo luogo un associazionismo territoriale ben fatto offrirebbe
ai cittadini/clienti un servizio più efficiente e qualitativamente elevato,
determinato dal numero dei notai disponibili nello studio e dall’incremento
di know-how derivante dalla collaborazione tra gli stessi. Un altro effetto
positivo dell’associazionismo è la razionalizzazione delle strutture e dei
costi.. Da grandi associazioni si produrrebbero economie di scala molto rilevanti,
razionalizzazioni dei costi che abbasserebbero il costo medio per atto,
100
aumentando l’utile marginale anche senza un aumento dei prezzi. Queste
strutture più grandi, inoltre, potrebbero permettersi investimenti in professionisti
del settore che consentirebbero di rendere davvero efficienti gli
studi, perché spesso il singolo non ha le dimensioni economiche ed il know
how per poter procedere ad una razionalizzazione.
Ovviamente l'associazionismo non può e non deve essere coatto, ma
deve essere frutto di una libera scelta volontaria dettata dalla lungimiranza
di chi crede nel progetto. Quello che potrebbero fare le istituzioni notarili è
favorire lo sviluppo di queste strutture perché moderne e adeguate ai tempi.
Ma non solo per questo, c’è un fondamento etico oltre che economico alla
base dell’associazione: la rinuncia alla sovranità individuale per qualcosa di
più grande presuppone un processo di maturazione culturale, una rinuncia
al proprio ego, che consentirà
anche un legittimo vantaggio
competitivo, derivante dalla
sinergia, rispetto a coloro che,
altrettanto legittimamente,
questa scelta decidono di non
fare.
Strettamente connesso
a questo vi è anche il tema, da
non eludere, della democraticità
delle strutture associative.
Oggi siamo in una situazione
di mercato che consente ancora
la creazione di strutture associative
a base democratica perché
le dinamiche associative si
esauriscono nella dialettica tra
notai.
Una struttura associativa
democratica consente una
crescita anche al collega giovane
che ne fa parte , crescita però inscindibilmente collegata al crescere delle
sue responsabilità all’interno della struttura. Fuori da questo schema il
rischio è un’associazionismo verticale con notai partner e notai quasi- dipendenti
e questo non è compatibile con la funzione notarile anche se , di fatto,
esistono già alcune associazioni c.d. asimmetriche.
I relatori della tavola rotonda
del pomeriggio
Perché è ora il momento delle associazioni?
Oggi il mercato interno ed esterno consente ancora la nascita di queste
strutture, domani potrebbero aumentare le differenze tra professionisti o
arrivare concorrenti esterni tali da renderle più complesse, perciò è oggi il
momento di realizzarle.
Una minima diversità di ruolo in un’associazione all’inizio può essere anche
ragionevole perché comunque l’ingresso in un’associazione consente al
101
notaio di avere un vantaggio immediato. Ciò che conta è che all’interno della
struttura ci siano meccanismi meritocratici che consentano la crescita economica
al crescere delle responsabilità.
D’altronde gli atti oggi sono più complessi e fonte di potenziali
responsabilità di quanto erano anche solo 15 anni fa. Oggi è tutto molto più
complesso e richiede un livello di competenza che il singolo notaio fa molta
fatica a raggiungere: il mercato chiede risposte rapide a problemi sempre
più difficili. Ed è di tutta evidenza che l’associazione, creando una sinergia
di competenze, consente di risolvere questioni complesse in tempi più rapidi,
di diversificare i servizi e tutto questo va nella giusta direzione di ritrovare
centralità agli occhi del cliente.
Si andrà verso la “superspecializzazione", il notaio tuttologo one man show
farà sempre più fatica .mentre l’associato potrà rimanere punto di riferimento
del proprio cliente in ogni materia attraverso la propria associazione.
La reazione all’omologazione
L'associazionismo è anche un elemento di differenziazione. Nella categoria
dei notai c’è chi pensa che i notai non debbano differenziarsi Ma, come già
detto , la competenza elevata di tutti i notai tende a trasformarsi in un ostacolo
alla giusta remunerazione.
Negli ultimi vent’anni il messaggio che si è voluto dare all'esterno è
che i notai ed i loro atti sono tutti uguali, oltretutto questo è anche confermato
dalla bassa percentuale di contenzioso, anche se crescente, per cui il
messaggio si è sedimentato nell'immaginario collettivo. Il cittadino che compra
i nostri servizi standard ritiene con qualche fondamento dal suo punto
di vista che i notai siano tutti uguali. Se tutti i notai sono egualmente bravi
valgono lo stesso e quindi io consumatore vado dal meno caro. Già oggi questo
non è vero, ogni notaio ha un rapporto diverso con il proprio cliente e
molti già oggi scelgono con altri criteri che non è il solo compenso.
Sicuramente la comunicazione della complessità del lavoro del notaio
potrebbe già bastare a modificare questa percezione ma bisogna operare
anche nella direzione della differenziazione in quanto escluso il ritorno alla
tariffa che appartiene alla speranza e non alla realtà, occorre cercare qualcos’altro
per rompere questo stallo. La differenziazione deve essere intesa
come un modo più moderno ed adeguato al mercato di erogare il servizio e
di gestire il cliente, per fare questo bisogna investire in formazione del personale
e dei notai e nella comunicazione del nostro valore professionale.
Ed è di tutta evidenza che un processo del genere possa essere realizzato
in modo più efficace in una struttura associativa per due motivi fondamentali:
il fatturato di una struttura associativa consente investimenti
formativi, strategici e tecnologici e all’interno dell’associazione ci sono diverse
competenze ed è molto più facile dedicare risorse ad hoc al tema della differenziazione
anche sfruttando il digitale.
E riprendendo quanto sopra già anticipato la creazione ed il successo
di un’associazione dipende anche dalla cessione di sovranità.
Il notaio è abituato ad esser il dominus assoluto del suo studio, l’associazio-
102
ne mette in crisi questo dogma. Associarsi significa condividere ma anche
accettare che ci sia qualcuno più bravo di noi a fare qualcosa, ecco che diventa
fondamentale il tema delle deleghe interne che se viste in un’ottica
costruttiva generano un vantaggio, dove ognuno viene valorizzato per le sue
migliori attitudini.
Quando tre anni fa ci eravamo associati con Alessia Fabbri la mia socia prematuramente
scomparsa la delega per l’organizzazione interna di studio era
di esclusiva competenza sua, e per me nonostante avessi molti anni in più
di notariato, era naturale seguire le sue direttive sul tema, semplicemente
perché era la più brava a fare quel lavoro, io avevo altri compiti come la formazione
e la comunicazione.
Il vantaggio di un’associazione moderna è proprio quello di valorizzare le
peculiarità di ciascuno nell’interesse comune, con un corretto sistema di
deleghe interne in cui ognuno trovi la realizzazione delle sue attitudini.
Le reti
In aggiunta alle associazioni territoriali ma anche in alternativa per chi proprio
non riesce a dividere lo studio altro strumento che può sicuramente
essere usato oggi nella direzione di efficientamento e diminuzione dei costi
è la rete tra professionisti.
Ricordiamo che lo stesso legislatore con il Jobs Act delle professioni ha previsto
espressamente la possibilità di costituire reti tra professionisti, che
potrebbe essere intesa come non limitata ai soli appalti pubblici.
Il contratto di rete, che nasce proprio dalla necessità di coniugare l'individualismo
tipico delle PMI italiane con le esigenze dettate dalla globalizzazione,
potrebbe essere lo strumento da adattare al nostro mondo per coniugare
sinergie ed autonomia, in modo da non privarsi della propria soggettività
ma per fruire dei vantaggi della sinergia.
Quali sono i vantaggi della rete rispetto ad una struttura associativa
tradizionale?
In primo luogo la flessibilità. La rete consente di fare sinergie in settori strategici
per i professionisti senza dover scontare le difficoltà delle associazioni
tradizionali in materia di conflitti economici e di sovranità, e già oggi molti
notai stanno provando a sperimentare l’esperienza della rete con ottimi
riscontri.
Per costruire una rete che sia un progetto solido bisogna partire da
valori condivisi, da comunicare poi in modo efficace per creare unione tra
coloro che appartengono alla rete e differenziazione di qualità nella categoria
professionale.
La rete può essere anche uno strumento prodromico a creare una
struttura associativa, perché se si lavora assieme e si condividono per un
certo periodo valori e strategie sarà molto più facile poi fare il percorso verso
l’associazionismo e questo non può che essere un bene per la categoria.
Tanto l’associazionismo che la rete possono essere strumenti fondamentali
per investire nel settore strategico per il futuro della professione: il
103
I partecipanti alla tavola rotonda: “Quale futuro, quali servizi, per quali Notai”
digitale.
Seppur non è questa la sede per approfondire il tema, come meriterebbe,
teniamo solo presente che ben presto diventeranno clienti i “nativi digitali”
e a quel punto bisognerà essere capaci di intercettare le loro esigenze nel
digitale e di soddisfarle utilizzando anche strumenti digitali, in caso contrario
semplicemente per loro non esisteremo e la domanda di servizi professionali
rischierà di essere assorbita da altri competitor.
Perciò l’innovazione, che apparentemente è una scelta, è in realtà
un percorso obbligato per la categoria. Non c’è cosa più pericolosa che continuare
a fare le cose come sono sempre state fatte.
Alla sfida del digitale si deve rispondere con le stesse armi dei competitors
esterni perché solo offrendo un servizio altrettanto efficace potremo
reggere la sfida.
Ben vengano quindi le iniziative professionali volte a creare portali digitali
che offrano gli stessi servizi di alcuni dei nostri competitors esterni e quando
mi sono occupato del tema nella commissione innovazione del consiglio
nazionale del notariato ho fatto le mie proposte proprio in questa direzione.
Ciò che bisogna fare è essere coraggiosi ad innovare. Puntando sulle
associazioni, sui valori differenzianti, sulla superspecializzazione e sulla
relazione con le persone utilizzando anche gli strumenti digitali, se sapremo
farlo in modo efficace sono convinto che il futuro ci sorriderà.
Siccome il tempo scorre costantemente, innovare è l’unico modo per restare
contemporanei.
104
LA “FONDAZIONE” PER
IL NOTARIATO DEL FUTURO
Alessandro Corsi
(Consigliere della Cassa Nazionale del Notariato - Vice Presidente della Fondazione Italiana del Notariato)
Il tema del Notaio del futuro non può prescindere dall’interrogarsi sul ruolo
della Fondazione Italiana del Notariato, la quale è stata costituita per promuovere
iniziative idonee a migliorare le qualità professionali e culturali dei
notai, non in modo corporativo, ma con la finalità di garantire i diritti del
cittadino.
In questa prospettiva va letta l'indagine che la Fondazione conduce
sul ruolo del notaio, tesa a valorizzarne la funzione. Questa indagine, recentemente,
si è particolarmente soffermata sul fenomeno, evidente agli occhi
del giurista, della fine del monismo legislativo e dell’emergere del pluralismo
delle fonti.
L’affermazione dello Stato come unica fonte del diritto, nata con la rivoluzione
francese, dalla seconda metà del secolo scorso va perdendo forza a vantaggio
di una concezione pluralista delle fonti di diritto.
In tal senso si osservano una serie di fenomeni che hanno messo in crisi la
primitiva concezione: l’attuazione dei dettati costituzionali, il sorgere delle
Regioni; il nascere della legislazione europea e le sentenze della Corte di
Giustizia; la globalizzazione; l'affermarsi delle figure alternative di risoluzione
delle controversie, di natura privatistica (arbitrato - ADR) - le prassi
del commercio internazionale; l'attività della Autorità Indipendenti,
tutto ciò ha favorito l'affermarsi della concezione pluralista delle fonti del
diritto, alla quale si è accompagnato il diffondersi della visione del giudice
non più quale esegeta, applicatore della legge in base a mere deduzioni sillogistiche,
ma quale inventore (da invenire - ricercare) e quindi creatore
della norma.
La stessa evoluzione si può osservare nell’attività del notaio: la giurisprudenza
sulla responsabilità giuridica del notaio ci ha ormai da anni
insegnato che il notaio non è un mero documentatore, ma è responsabile dell'interpretazione
da lui scelta tra le tante possibili.
La recente ricerca della Fondazione dal Titolo "Crisi della legge e produzione
privata del diritto" curata da Massimo Palazzo e dal Prof. Giuseppe
Conte, ha avuto ad oggetto proprio il tema del pluralismo delle fonti.
Va ribadito il prevalente ruolo che la legge ha in una società complessa
quale la nostra; ma occorre recuperare quel pluralismo giuridico che è rimasto,
per troppi aspetti, un disegno sepolto nel testo costituzionale.
Da tale contesto emerge l’attività del notaio quale artefice del diritto, al pari
dei giudici, ma in maniera preventiva, interprete e non semplice documentatore.
Da decenni ormai il notaio non è più quel mero diligente certificatore dipinto
nella legge del 1913, e a cui farebbe pensare la collocazione sistematica del
codice civile del '42; egli è invece un fine interprete della legge, e come tale
creatore di regole nel mondo del diritto.
Il Notaio Alessandro Corsi
105
106
E ciò in forza di una prassi negoziale che non nasce dall'attività di un singolo
soggetto, ma da una evoluzione di pensiero della categoria notarile, che, con
diversi metodi, in maniera non subitanea, ma riflettuta, si orienta ad accogliere
determinate figure giuridiche, avallandole con la sua competenza.
Per dare al discorso quella concretezza che si addice ad un pratico, ricorderò
figure negoziali che sono state piegate a nuove esigenze, quali la permuta di
cosa presente con cosa futura, le servitù di non edificare onde disciplinare le
cessioni di cubatura, figure nuove, talvolta poi fatte proprie dal legislatore,
quali i contratti di affidamento fiduciario, i vincoli di destinazione, il rent to
buy.
Una menzione particolare meritano le massime notarili, che molti consigli
notarili e comitati interdistrettuali periodicamente emanano, che sono la
più compiuta espressione del formarsi di un pensiero notarile comune; esse
non sono soltanto l'opinione di stimata dottrina, ma godono del supporto dell'esperienza
pratica, che ne fa un autorevole esempio della c.d "soft law".
Tirando la fila di quanto si è detto fin qui e tornando alla domanda iniziale:
"quale futuro, quali servizi, per quali notai” la prima risposta della
Fondazione del notariato è di supporto all’immagine del notariato, come
categoria di autorevoli giuristi e di veicolo di tale realtà al fine di diffonderla
nel mondo dell'Accademia, della politica e della società civile.
Il notaio che immaginiamo per il futuro è un notaio sempre più colto e professionalmente
preparato, sempre più aggiornato e in grado di rispondere
alle richieste dei cittadini e delle imprese, e cioè in grado di rispondere alle
esigenze della società in cui vive.
In questa direzione si muove fin dal suo sorgere l'attività della Fondazione.
Il mondo della cultura notarile deve muoversi nella direzione di supportare
il notaio per essere non solo dominus dell'atto che egli è chiamato a redigere,
ma dominus dell'operazione economica in cui l'atto si colloca.
Questo consentirebbe di ribaltare la tendenza, propria di altre professioni,
a rivolgersi al notaio quando le soluzioni dei problemi sono già state
effettuate senza possibilità, a quel punto, di percorrere strade e scelte diverse.
E’ ancora da osservare come la pubblica funzione che caratterizza l'attività
notarile richieda che i cittadini possano rivolgersi al notaio (o, meglio, richiedere
il servizio notarile) qualunque sia il campo del diritto interessato; nel
momento attuale pare opportuno incentivare l'associazione fra notai, i quali
potrebbero approfondire ciascuno un determinato settore, per fornire risposte
sempre più immediate e di eccellenza. In linea con questo scopo nel presente
e nel futuro del notaio vediamo anche il c.d. Welfare innovativo o attivo
(e lungimirante): con questo termine, caro all’attuale Presidente della
Cassa Mario Mistretta, vogliamo intendere un Welfare teso più che a sostenere
associati in difficoltà (come il nostro assegno di integrazione), a favorire
un migliore e più proficuo esercizio della professione.
In altre parole un intervento teso non a soccorrere il notaio che sia
venuto a trovarsi in difficoltà economica, ma a fornire gli strumenti per renderlo
più competititivo e ad evitare che possa venire a trovarsi in difficoltà.
E’ evidente che tale tema chiami in causa soprattutto la Cassa Nazionale del
Notariato e la Fondazione che, in effetti, hanno effettuato un primo esperimento
in questo senso offrendo al notariato italiano la possibilità di frequentare
un seminario di apprendimento delle tecniche di accesso ai fondi comunitari
europei.
Recentemente, inoltre, la Fondazione, sempre in collaborazione con la
Cassa, si è aggiudicata un bando di ricerca della Commissione Europea per
lo sviluppo della lingua giuridica comune nell'ambito giudiziario europeo,
mediante la formazione di formatori (notai e magistrati) che poi svolgeranno
il ruolo di docenti della lingua giuridica inglese nei confronti dei propri colleghi.
Ciò non significa l'abbandono dell'istituzione dell'assegno di integrazione
(che costituisce la prima pietra del nostro edificio assistenziale/previdenziale)
o di altre forme di assistenza attualmente in vigore, ma un'apertura
verso un settore nuovo di intervento.
Dovrà trattarsi di attività che muovendo sul piano culturale e della formazione,
forniscano occasioni di perfezionamento dell'attività del notaio, a
beneficio di tutti gli appartenenti alla categoria.
Mi piace accennare ad un progetto in discussione in questi giorni nel Cda
della Fondazione e del Consiglio nazionale del Notariato (nello specifico
della Commissione Accesso): mi riferisco all'aiuto da offrire ai futuri notai
nella preparazione al concorso, mediante la costituzione di un'apposita scuola,
in collaborazione con le attuali scuole dei Consigli Notarili.
Da ultimo, vorrei ricordare il recentissimo accordo tra la
Fondazione e l'Accademia della Crusca, teso a diffondere nel mondo del
notariato un uso della lingua italiana che rinnovi le tralaticie, e talvolta un
pò astruse, formule dei nostri atti, che forse non sono in linea con la figura
dinamica attuale del notaio essendo convinti che un uso corretto e snello
della lingua possa, anch'esso, concorrere a dare un contributo alla cultura
giuridica che, come abbiamo detto dovrà essere uno degli aspetti che il
notaio del futuro dovrà curare.
Da destra i Notai: Buta, Corsi, Dello Russo, Nigro, Ghiglieri, Morandi e Marcoz
107
WELFARE DEL SAPERE
E SPECIALIZZAZIONE DEL NOTAIO
Tommaso Del Freo
(Notaio in Firenze)
Il Notaio Tommaso Del Freo
Quando si affronta il tema della specializzazione di un professionista, è
necessario preliminarmente definirne i contorni e valutarne le modalità
di attuazione. Se, infatti, l’acquisto di competenze specifiche e settoriali permette
di ritagliarsi spazi di lavoro a “concorrenza ridotta”, spesso tale fenomeno
si accompagna all’abbandono della competenza generica; è innegabile,
infatti, che la cifra della modernità sia la complessità e che tale complessità
abbia bisogno di strumenti nuovi per essere compresa e affrontata: tutto sta
nell’individuare quelli corretti.
Nel caso del Notariato italiano, il tema della specializzazione deve
essere declinato alla luce delle peculiarità del nostro sistema in cui il Notaio
è un pubblico ufficiale nell’esercizio di funzioni che vengono svolte con organizzazione
di mezzi propri. Il Notaio è chiamato a dare alle pattuizioni private
la forza di legge su espressa delega dello Stato che affida allo stesso tale
prerogativa pubblicistica sul presupposto, verificato dal concorso, che il
livello di cultura giuridica dello stesso sia alto, si rivolga indifferentemente
a tutti gli atti che gli possano essere richiesti, e venga svolto in qualunque
parte della nazione in cui ce ne sia bisogno.
Se, quindi, sviluppiamo il tema della specializzazione del notaio italiano
sulla base delle elementari considerazioni sopra svolte, risulta del tutto evidente
che il mantenimento della delega dello Stato e delle prerogative di
pubblico ufficiale sussistono (o lo dovrebbero) fintanto che il notai assicuri
in ogni parte dello “stivale” la possibilità che il cittadino acceda ad un servizio
giuridico di alta qualità ed avente ad oggetto tutti gli atti di cui l’utenza
possa aver bisogno 1 .
Si comprende, quindi, che la specializzazione debba essere intesa come
capacità di approfondire tematiche complesse senza la perdita della competenza
generica; come capacità di interpretare la complessità di situazioni
particolari senza perdere di vista il fatto che le stesse sono pur sempre
espressione di un fenomeno più generale.
Un’ulteriore riflessione da svolgere è quella di comprendere se la
necessità della specializzazione sia questione che interessi solo il singolo
professionista o se, invece, la stessa sia un problema collettivo, di categoria.
La prima risposta ovviamente sarebbe quella di delegare a ciascuno l’onere
di delineare i confini del proprio sapere sul presupposto, anche questo da
verificare, che solo su quest’ultimo ricadranno le conseguenze delle proprie
scelte; se l’affermazione rispondesse al vero, sarebbe innegabile propendere
per la soluzione appena delineata; ma ogni sistema ordinistico vede convivere
le capacità del singolo con la fiducia che la collettività ripone nella cate-
1 Diversamente in Olanda dove l’abolizione del numero chiuso ha portato il notariato locale
ad adottare la soluzione della “settorialità” degli studi notarili la cui competenza è limitata ed
esclusiva a determinate materie.
108
goria generalmente intesa. Una categoria che non merita la fiducia della collettività
affonda solitamente anche il migliore dei professionisti, così come
una categoria efficiente e stimata riuscirà a tollerare anche l’esistenza di
casi isolati di incompetenza.
Se questo è vero, si comprende come il tema della specializzazione sia un
tema non solo e soltanto del singolo ma anche una esigenza dell’intera categoria.
E’ proprio in questa ottica che è possibile affrontare il tema in oggetto
e comprendere perché lo stesso venga svolto nell’ambito di una giornata
di approfondimento sui temi del welfare di categoria interrogandosi, intelligentemente,
su quale sia la connessione tra specializzazione del professionista
e prestazioni assistenziali di una cassa privata di previdenza.
Credo che la risposta sia nella necessità di introdurre un concetto
nuovo, “innovativo”, di Welfare: il “welfare del sapere”; un welfare basato su
un diritto soggettivo alla formazione e alla specializzazione come soluzione
di continuità per garantire e mantenere inalterate competenze, redditi e
flussi di lavoro. Non è più il tempo in cui le casse di previdenza impegnino
le proprie risorse per erogare in favore dei propri iscritti somme di denaro a
fondo perduto, ma è il tempo in cui le stesse si adoperino perché questi ultimi
possano sempre meglio competere in un mondo globalizzato, complesso,
in continuo divenire, dove il singolo tende a sparire e dove le formazioni
aggregate e i grandi operatori economici dettano le regole.
Tale Welfare va inteso come diritto alla conoscenza continuativa lungo tutto
l’arco della vita professionale per far fronte alle sfide poste dai nuovi saperi
e dalle nuove tecnologie; la condivisione del sapere può essere il tessuto connettivo
tra le diverse anime e generazioni della professione perché tutti, a
loro modo e per diverse ragioni, hanno lacune verso la direzione che prende
il mondo.
Come, quindi, attuare questo “welfare del sapere”? In concreto,
volendo affrontare la problematica come esigenza di categoria, al fine di permettere
a tutti la migliore e più facile modalità di approfondimento non
lasciando indietro nessuno, serve istituire una Scuola Superiore del
Notariato che non sia rivolta solo alla formazione degli aspiranti notai, ma
sia l’ente di formazione principale dei notai in esercizio.
La Scuola Superiore del Notariato (SSN), come espressione della fondazione
italiana del Notariato, (e quindi espressione paritetica degli organismi istituzionali
del Notariato italiano) deve accentrare ogni aspetto della formazione
e divulgazione notarile.
La SSN, abbandonando la logica del convegno (salvo per finalità di contatto
con l’accademia e le altre professioni) deve organizzare corsi, seminari,
master di alto profilo tenuti da docenti di chiara fama. Al termine di tali
occasioni di studio, deve esservi un vero e proprio esame al cui solo superamento
segue il rilascio di un attestato (titolo) che il Notaio possa “spendere”
in quanto certificazione di una competenza ulteriore acquisita.
Nell’epoca della globalizzazione è assolutamente necessario poter vantare
competenze peculiari e specialistiche ed aver, nel contempo, attestazioni
109
Da sinistra i Notai: Mistretta, Raiola, Liotta, Broccoli, Del Freo e Nastri
curricolari che all’esterno possano confermare il percorso formativo intrapreso
e tradursi in una comunicazione, non millantata, che crea la “reputazione”,
anche digitale, del Notaio.
La SSN potrebbe essere anche l’editore delle riviste e delle pubblicazioni
(oggi private) notarili che sono alimentate, per la maggior parte, dai
contributi scientifici dei colleghi.
Del pari potrebbe rendersi parte attiva della formazione informatica
del Notaio volta, tra l’altro, alla implementazione dei sistemi di gestione
dei flussi di lavoro promuovendo l’analisi aziendalistica dell’organizzazione
dello studio notarile e l’utilizzo di sistemi di monitoraggio del work-flow.
Nell’ottica del Welfare, la Cassa Nazionale del Notariato potrebbe
finanziare l’istituzione e la gestione iniziale della SSN (anche mettendo a
disposizione della sede della scuola uno degli immobili in patrimonio) ed
abbattere le quote di partecipazione ai corsi.
Volendo poi introdurre un ulteriore riflessione e quindi sviluppare
ulteriormente il ragionamento precedente secondo cui il tema della formazione,
ed il suo rapporto con il welfare, sia questione “di categoria”, probabilmente
dovremmo ricordarci che il sistema previdenziale notarile è caratterizzato,
nell’attualità, da una contribuzione solidaristica pura; è allora
opportuno quantomeno chiedersi quale sia il danno, per tutti, di un notaio
impreparato e quali sia il vantaggio, per tutti, di un notaio specializzato.
Qualora, come credo, l’analisi portasse a comprovare i riverberi sulla categoria
della formazione del singolo, dovremmo anche chiederci se questo
possa o debba avere un riflesso nella contribuzione valutando diversità di
regimi per chi non si aggiorna e/o sgravi contributivi per chi lo fa: una categoria
inefficiente o impreparata è un costo per la Cassa; specularmente, una
categoria performante è garanzia di contribuzione e quindi di sostenibilità.
110
RIFLESSIONI A MARGINE
DEL CENTENARIO DELLA CASSA
NAZIONALE DEL NOTARIATO
Andrea Dello Russo
(Notaio in Cervia - Ravenna)
Buongiorno a tutti. Grazie per l’invito e soprattutto grazie al Presidente
Mistretta e a questo Consiglio di Amministrazione, che ha organizzato
un evento collegato a questo irripetibile anniversario della nostra Cassa.
Lascio da parte le proposte di miglioramento del nostro sistema previdenziale,
che nel tempo ho elaborato e affidato agli organi della Cassa, augurandomi
possano trovare i loro frutti, per entrare subito nel merito del mio
intervento, andando a trattare nello specifico un argomento che mi auguro
in futuro possa essere sempre più oggetto di approfondimento.
Si tratta dell’importanza della informazione e della formazione previdenziale
.
Cercherò pertanto di evidenziare l’importanza di conoscere il tema previdenziale,
anche fornendo alcuni dati che riguardano la nostra Cassa e alcune
utili (spero) informazioni previdenziali.
Era il Congresso Nazionale del Notariato 2014 a Roma quando lanciai l’idea
che fosse opportuno vi fosse almeno un evento annuale che parlasse di previdenza
notarile e il 27 giugno 2016 ho avuto l’onore e l’onere di essere il promotore
a Roma del primo evento in tema di previdenza notarile, dove relatori
di primo piano nel mondo previdenziale e non solo, hanno animato, per
la prima volta in seno al Notariato, un dibattito in tema di previdenza.
Ed è partendo dalle considerazioni operate in quell’occasione da Maurizio
Sacconi e Cesare Damiano, nonché dai presidenti dell’Adepp e di
Confprofessioni: Alberto Oliveti e Gaetano Stella che intendo prendere le
mosse. Gli stessi hanno fatto capire, in maniera esplicita, l’importanza di
parlare di previdenza, al pari di ogni questione giuridica, anche perché, se
da un lato, la voce Cassa Nazionale del Notariato, soprattutto in assenza di
una tariffa, incide molto sul bilancio di ogni studio notarile, dall’altro, è
importante che ciascuno conosca il proprio sistema pensionistico, per non
trovarsi di fronte ad eventuali e inaspettate sorprese al termine della propria
vita lavorativa, in un momento in cui si è sicuramente più deboli per
poter affrontare qualsiasi tipo di sfida.
E’ oggettivo che dal 2007 ad oggi vi è stata:
• un’erosione delle nostre competenze esclusive, che ha portato tra l’altro
all’eliminazione di settori come quello del trasferimento dei veicoli e
delle cancellazioni ipotecarie. Solo queste due voci hanno, da sole, immediatamente
diminuito le entrate della Cassa per il 12% ;
• dal 2007 al 2016 le compravendite, e in genere gli atti notarili, si sono
dimezzati e, per poter continuare a pagare le pensioni con le entrate correnti,
le aliquote contributive sono quasi raddoppiate, rendendo quasi
insostenibili gli atti di valore inferiore ai 37.000 euro;
• un aumento esponenziale del numero dei notai, senza contare che di qui
ad un anno e mezzo vi saranno altri 500 nuovi notai in esercizio (che
Il Notaio Andrea Dello Russo
111
equivale ad un aumento del 40% circa in 10 anni).
Fino al 2008 i nostri contributi pesavano circa il 14% del fatturato, ma da
allora essi sono aumentati al 18%, arrivando in alcuni casi fino al 29% (stante
la mancanza di tariffe e i prezzi a cui alcuni colleghi propongono la loro
opera professionale).
Peraltro ben il 34% dei notai è iscritto da meno di 5 anni e ben presto
tale quota supererà il 50%, ponendo così un problema pensionistico non
indifferente che riguarderà le nuove generazioni.
E’ importante dunque conoscere il tema previdenziale. Ed è importante che
uno degli obiettivi della nostra Cassa sia implementare la formazione e
l’informazione previdenziale, non solo per i componenti della Cassa, ma per
tutti gli iscritti.
Pochi sanno ad esempio che nel 2017 con decreto del Ministro dell’Economia
e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e
della ricerca e con quello dello sviluppo economico, in attuazione della legge
n. 15/2017, è stato istituito il Comitato per la programmazione e il coordinamento
delle attività di educazione finanziaria, che ha lo scopo di promuovere
e coordinare iniziative utili a innalzare tra la popolazione la conoscenza e le
competenze finanziarie, assicurative e previdenziali e migliorare per tutti la
capacità di fare scelte coerenti con i propri obiettivi e le proprie condizioni.
Se ci si collega all’indirizzo http://www.quellocheconta.gov.it/it/strumenti/previdenziali/
si possono trovare diverse informazioni, che permettono
di valutare l'opportunità di integrare la pensione di base per migliorare
il tenore di vita futuro. Esistono varie forme di previdenza complementare
a cui aderire in base alle proprie esigenze ed è importante conoscere le diverse
possibilità prima che ci si trovi in età pensionabile, perché in quel
momento si potrà non essere più in grado di modificare la propria condizione.
Per confrontare la diversa onerosità degli strumenti previdenziali che il
mercato offre si può visitare il sito web della COVIP, dove vi è l’elenco delle
Schede dei costi e il Comparatore dei costi di tutte le forme pensionistiche
(http://www.covip.it/isc_dinamico/). Si trovano facilmente gli esempi in tema
di previdenza complementare per un 35 enne e un 50 enne.
Ma torniamo alla nostra Cassa.
La Cassa eroga prestazioni previdenziali e assistenziali:
• prestazioni previdenziali che sono costituite da: Pensione diretta,
Pensione indiretta e di reversibilità, Indennità di cessazione, Assegno
di integrazione, Riscatto e Ricongiunzione , Totalizzazione, Cumulo;
• prestazioni assistenziali che sono costituite da: Indennità di maternità,
Contributo apertura studio Assegni di studio e profitto Assegni assistenziali
Contributi fitti sedi Consigli Notarili, Polizza Sanitaria.
Il trattamento pensionistico unitamente all'indennità di cessazione e l'indennità
di maternità rappresentano il 98% circa del totale delle prestazioni
erogate dalla Cassa.
Il patrimonio delle casse professionali, secondo l’ultimo rapporto sulle attività
finanziarie presentato nel novembre 2017 dall’Adepp (l’Associazione
112
che raggruppa le 19 Casse professionali), supera gli 80 miliardi di euro,
patrimonio che per il 58% rimane investito in Italia.
Il patrimonio della nostra Cassa, che ammonta a circa 1,5 miliardi,
risulta investito come segue:
• 110 milioni di euro circa in titoli di stato solo italiani
• 15 milioni di euro circa di obbligazioni a capitale garantito
• 37 milioni di euro circa di altre obbligazioni
• 1 miliardo di euro circa in fondi comuni di investimento e gestioni patrimoniali.
Il patrimonio immobiliare ha un valore di 252 milioni circa, con un rendimento
di circa 11 milioni.
Dai documenti depositati risulta che le rendite patrimoniali, al netto dei
relativi costi di produzione, garantiranno presumibilmente alla Cassa nel
2019 un’entrata netta di 18,081 milioni di euro (22,894 milioni di euro nelle
proiezioni finali 2018) che coprirà solo parzialmente la spesa derivante dall’
indennità di cessazione, prevista per il prossimo anno in 41,050 milioni di
euro. In merito al computo degli oneri per le indennità di cessazione si ricorda
che il 31 dicembre 2017 è scaduta la normativa transitoria introdotta
nell’ambito dell’art. 26 del Regolamento per l’attività di Previdenza e di
Solidarietà che ha modificato la modalità di corresponsione delle indennità
nel quadriennio 2014/2017 per coloro che hanno deciso di porsi in quiescenza
a domanda, prima del compimento del 75° anno di età.
Attualmente se però da un lato non si riesce a coprire l’indennità di
cessazione con le rendite patrimoniali, dall’altro la nostra Cassa riesce a
coprire tranquillamente il pagamento delle prestazioni correnti con i contributi
incassati, grazie anche all’attenzione con la quale i nostri organi amministrano
il patrimonio .
I contributi incassati nel 2018 ammontano a 290 milioni di euro circa.
I costi per le prestazioni correnti istituzionali sono quantificati per il 2019
in 217,745 milioni di euro (214,580 milioni di euro per la previdenza e 3,165
milioni di euro per l’assistenza).
Le prestazioni di quiescenza continuano ad evidenziare un andamento
crescente legato fondamentalmente a fattori demografici e all’aumento
della vita media della popolazione. Il trend di crescita delle prestazioni
a domanda, che aveva subito un rallentamento nel 2015/2016 in occasione
dell’incremento dei repertori notarili, dal 2017 sembrerebbe essere tornato
a salire, anche se a livelli significativamente inferiori rispetto ai periodi
della crisi 2013/2014.
Concludo ribadendo la necessità che il futuro della nostra Cassa sia
orientato a fornire un costante aggiornamento formativo previdenziale sia
internamente che esternamente.
E’ fondamentale che coloro che intendono candidarsi al CdA della Cassa
seguano corsi preventivi di formazione in tema di previdenza e assistenza,
così come è importante che corsi di formazione vegano seguiti periodicamente
dagli stessi consiglieri eletti e da coloro che fanno parte dell’assemblea dei
rappresentanti, in modo che tutti possano adottare decisioni con maggiore
113
consapevolezza.
Corsi di formazione che potrebbero essere organizzati anche a favore dei singoli
notai, in modo da poter rendere gli stessi edotti e consapevoli del proprio
futuro pensionistico e fare in modo che tale consapevolezza possa orientare
le proprie scelte, essendo utile, in determinati casi, affiancare in tempo una
previdenza complementare, che possa aumentare l’importo della propria
pensione.
Non tutti sanno ad esempio che se si aspira ad un tasso di sostituzione
del 20 – 25 %, occorre accantonare ogni anno almeno il 10% della base
reddituale imponibile.
Così come in tale ottica sarebbe utile organizzare e istituzionalizzare un
incontro annuale nazionale in cui si possa discutere di previdenza e assistenza,
come peraltro questo Consiglio ha iniziato a fare.
Utile sarebbe altresì istituire un servizio e un software che, sulla
falsa riga della busta arancione Inps, permetta di simulare quella che sarà
presumibilmente l’importo della propria pensione che si riceverà al termine
della propria vita lavorativa e che possa permettere eventualmente al soggetto
di ricorrere in tempo alla previdenza complementare, nonchè individuare
nuove forme di assistenza che non si traducano in un contributo a
fondo perduto, ma che possano coadiuvare gli iscritti a trovare occasioni
vantaggiose sul mercato e a individuare e sfruttare i finanziamenti non solo
europei, ma anche regionali e/o locali e infine individuare forme di contributi
che possano favorire forme di associazionismo tra Colleghi e che possano
rendere più competitivi gli studi notarili e il Notariato tutto.
Da sinistra i Notai: Marcoz, Morandi, Ghiglieri, Nigro, Dell Russo, Corsi e Buta
114
QUALE SARÀ IL FUTURO
DEL NOTARIATO? PROPOSTA
DI UN NOTAIO DI PROSSIMITÀ:
IL NOTAIO DEI “CITTADINI”
Paola Ghiglieri
(Notaio in Villa Cidro - Cagliari)
Siamo chiamati ad effettuare una riflessione approfondita, con lo sguardo
volto al futuro, per capire che cosa possiamo portare con noi, della
nostra professione, in questo viaggio nel tempo che sarà.
La domanda è, dunque, cosa riteniamo possa essere ancora attuale,
quali i correttivi da apportare e quali le nuove proposte da suggerire.
La mia risposta è: il notaio vicino ai cittadini, che privilegia il rapporto
umano con il cliente e che annulla le distanze, con la sua presenza costante
e rassicurante.
Quale Sara' Il Futuro Del Notariato?
Proposta Di Un Notaio Di Prossimita': Il Notaio Dei Cittadini
Domani sarò ciò che oggi ho scelto di essere. Lo schema-messaggio più
attuale, che possiamo portare ancora di più nel futuro, si racchiude nelle
parole:
Il Notaio Paola Ghiglieri
TUTELA
COMPRENSIONE
SUPPORTO
DEDIZIONE
SORRISO
Concetti senza tempo...........
Questo dovrebbe essere il format standard e obbligante da offrire ai nostri
interlocutori.
Il mondo cambia e noi, insieme all'evoluzione delle tecniche, abbiamo capito
e messo in pratica le esigenze che abbiamo percepito: l'aspetto umano.
Oggi viviamo in un'era che si fa sempre più digitale ed in qualche modo lontana
dalle persone; noi dobbiamo continuare a ridurre questa distanza,
seguendo il cambiamento, anzi precedendolo ed indirizzandolo, con la nostra
impronta.
Cosa cercano oggi le persone?
• in primo luogo un'assistenza globale, al fine di proteggere e difendere le
proprietà e l'attività lavorativa;
• in seconda battuta informazioni VERE e non solo FORMALI, per capire
appieno le operazioni da compiere, in modo da poter scegliere in modo
sereno;
• infine un supporto costante e concreto, che crei sicurezza.
La risposta è: IL NOTAIO.
Quali, dunque, dovrebbero essere le linee guida?
• il professionista deve stare in mezzo alle persone;
• deve offrire contatto ed empatia;
• deve consentire un approccio più semplice, quasi "familiare", con una
115
I notai Ghiglieri e Nigro
maggiore disponibilità al dialogo ed alla spiegazione;
• deve consentire una maggiore comprensione delle operazioni svolte;
• deve dare certezza ed offrire informazione;
• deve creare, in ultimo, soddisfazione e gratificazione.
Dobbiamo modificare l'immagine con la quale i clienti percepivano la nostra
categoria: venivamo visti come professionisti indiscutibilmente molto preparati
e competenti, ma poco vicini alle persone nonché considerati una figura
professionale molto seria, magari non tanto empatica. In ogni caso apparivamo
molto complicati, quasi enigmatici e non venivamo compresi appieno.
Tutto questo veniva accettato come normale, anche perché va evidenziato
che l'intera società era diversa.
Le proposte per il futuro potrebbero essere queste:
1 la continua presenza umana: l'automazione ed i computers
ci aiutano a svolgere il lavoro, con tempi ed efficienze
maggiori, ma non sostituiscono la competenza poliedrica
e imprescindibile del notaio;
2 un contatto, anche da remoto, con il cliente che, comodamente,
anche da casa può ricevere una consulenza ed un
supporto importante;
3 il lavoro mobile e la consulenza personalizzata on-line.
La nostra professione deve essere un servizio di consulenza
personalizzato per il cliente, un prodotto su misura, come un
vestito di sartoria. La mia esperienza professionale si svolge
anche in un centro di provincia, dove il rapporto diretto con le
persone è fondamentale e fa la differenza. Mi capita di ascoltare
tante storie, divertenti o tristi, storie di persone che
hanno lavorato all'estero, con tutta la famiglia, storie di sacrifici,
di impegni, di rinunce, di nostalgie, tutte importanti allo
stesso modo. Con il mio lavoro mi sento di valorizzare queste
realtà.
Dobbiamo mettere il cittadino al centro dei nostri interessi,
con l'altissima qualità delle nostre prestazioni; facciamo
anche capire il nostro lavoro, rendendo noto ciò che si verifica
nel back stage. Rendiamo vivo il nostro mondo, non fatto solo
di aride norme e gelide regole, ma fatto di persone, con un
cuore, un'anima ed una grande sensibilità. Siamo notai, ma
anche suggeritori, arbitri, portatori di pace, perché si tratta di
un lavoro svolto con passione, al servizio dello stato e delle
persone, talvolta anche con un fine sociale. Il cliente non è un
contenitore da riempire di nozioni, ma è come un allievo: va
preso per mano.
Questo importante messaggio è passato anche ai ragazzi delle scuole,
elementari, medie e superiori, nelle quali ho tenuto, con altri colleghi, per
due anni di seguito, le lezioni sulla legalità e sulle professioni di magistrato,
avvocato e notaio: dovete essere informati.
Informare significa dare forma alla mente, perché quando ottieni informa-
116
Villa Miani in Roma, sede della celebrazione del Centenario della Cassa
zioni crei delle idee.
Riporto, per sorridere, ma anche per riflettere, quanto contenuto in un cartello
appeso nella sala d'attesa di un medico:
1) Vorrei ricordare che la mia laurea in medicina non è paragonabile alla
vostra ricerca su Internet;
2) Coloro che si sono già diagnosticati da soli tramite Google, ma desiderano
un secondo parere, per cortesia controllino su Yahoo.com.
Anche per noi non esiste il notaio fai - da - te e noi dobbiamo essere capaci
di porgere bene le nostre consulenze e la nostra attività, in modo da portarla
anche nel futuro, con orgoglio e competenza.
Possiamo scegliere di cambiare il mondo. Noi siamo le nostre scelte.
Scegliamo bene.
WHY NOT(AIO) sarà una risposta, non solo una domanda................e non è
tutto........
117
IL NOTARIATO NEL FUTURO
E DUE DIRETTRICI
SU CUI RIFLETTERE
Giovanni Liotta
(Notaio in Spadafora - Messina)
Il Notaio Giovanni Liotta
La Tavola rotonda organizzata nel Congresso per i 100 anni della Cassa
ha tra i suoi obiettivi immaginare o suggerire una possibile visione del
notariato che verrà.
La mia presenza quale presidente di Federnotai, il sindacato dei notai italiani
da oltre quaranta anni e la personale esperienza nel notariato internazionale,
mi inducono a muovermi in una duplice dimensione e a lanciare
anche delle provocazioni. Il notariato del futuro deve certamente avere le
sue radici nel passato e conservare la sua essenza ma non può guardare
sempre e solo al suo passato per continuare a rendere il suo servizio. E sottolineo
la formula “continuare a rendere il suo servizio” perché troppo spesso
leggo o ascolto proposte di riforma o di restaurazione che servirebbero a far
“sopravvivere” il notariato. Tuttavia non credo che sopravvivere sia ciò che
ciascuno di noi si augura per la nostra professione; credo che ciò che ciascuno
voglia per il notariato è un maggior riconoscimento della nostra funzione
e un ampliamento dei servizi che essa può rendere.
Due sono i temi che pongo all’attenzione dei colleghi per una riflessione
pacata e tenuto conto anche della ripartizione dei compiti che sono
stati dati ai partecipanti della Tavola rotonda: la crescita dimensionale e
culturale degli studi notarili e il nuovo salto digitale con il tema dell’atto a
distanza o su piattaforma web e dell’atto (come già un paio di volte ho scritto
1 e detto in altre occasioni pubbliche) multimediale, esaminando alcuni
esempi europei.
Crescita dimensionale dello studio notarile: la sempre maggior
complessità della normativa, l’assenza di sistematica e coerenza con il
resto del sistema normativo, i continui cambiamenti in particolare nella
materia fiscale, con innumerevoli contrasti tra le posizioni dell’Agenzia delle
Entrate e della giurisprudenza della Corte di Cassazione, sono fattori che
rendono impegnativo in modo esponenziale il nostro lavoro. Se a tutto ciò
sommiamo l’incremento delle pretese risarcitorie dei clienti verso i notai,
con una giurisprudenza che allunga potenzialmente all’infinito la data di
decorrenza del termine di prescrizione e trasforma la prestazione sempre
più di risultato e sempre meno di mezzi, si può ammettere che il rischio di
non riuscire a esser pronti e preparati appare concreto per il singolo notaio
da solo nel suo studio. Indipendentemente dalla sede notarile, grande città
o piccolo centro (e chi scrive ha avuto a lungo entrambe le esperienze), nell’arco
della stessa giornata ci si potrà imbattere nell’esame delle norme più
1 Il notariato tra tradizione e innovazione: formula vuota o ipotesi di lavoro in Infonews –
Newsletter di informazione trimestrale di Notartel società informatica del notariato, n. 4 dicembre
2017, reperibile a questo link:
http://www.infonews.notartel.it/opencms/infonews/articoli/n4_2017/n4_17_editoriale.html?hn
=4&hd=1514459220000&categoria=Editoriale&indice_cat=0
118
varie. Potrà esser necessaria la lettura del Regolamento UE sulle successioni
internazionali con l’onere di conoscenza del diritto straniero, anche solo
per poi presentare una dichiarazione di successione (telematica!) e fare una
tradizionale donazione da padre a figlio o un testamento e, poche ore più
tardi, costituire una S.r.l., tradizionale anch’essa si spera, con attività costituente
l’oggetto sociale che richiede complesse verifiche per i minimi di capitale
o le riserve. E, tra queste due temi da studiare, potrà esser necessario
verificare alla luce del diritto dell’informatica, la possibilità di rilasciare un
estratto di libri digitali o di pagina web.
Si può fare tutto da soli? All’inizio dell’attività forse si, ma con il
tempo forse no. L’esperienza delle altre professioni ci dimostra che le strutture
associate o in rete riescono a offrire maggiori servizi e, probabilmente,
un livello medio di preparazione più certo. Non si tratta di avere notai specializzati
che siano in grado di fare una fusione ma non una donazione, ma
un insieme di notai che, con un reciproco e quotidiano scambio di conoscenze,
rendono ciascun appartenente alla struttura più rapidamente e facilmente
preparato e aggiornato. Anche per non assistere più all’imbarazzante
proliferare di post su social network o forum con la classica domanda che
lascia intravedere un’improvvisazione nel fissare la data di stipulazione di
un atto. Ma come far crescere gli studi di dimensione? Non reputo utile una
sola opzione. Di contro immagino un ventaglio di strumenti che, in base
all’ubicazione della sede e al carattere di ciascun notaio, si utilizzeranno. Si
potrà ricorrere al modello dell’art. 82 della legge notarile o ammettere forme
societarie ritornando alla c.d. società civile del vecchio codice sul modello, se
occorre, dell’esperienza in tal senso del notariato francese. Si potranno e
dovranno prevedere modelli, specifici per i notai se occorre, derivati dal contratto
di rete tra imprese o dal più tradizionale consorzio. E occorrerà
accompagnare la regolamentazione di tali modelli, flessibili, con un idoneo
e favorevole trattamento fiscale nonché, molto probabilmente, con eventuale
deroga alle norme sull’ufficio secondario. In quest’ultima prospettiva, se si
condivide l’utilità della crescita aggregativa, migliorando l’attuale e sibillino
rapporto tra l’art. 26 e l’art. 82 della legge notarile e per stimolare alla creazione
di strutture associate, si potrebbe immaginare di non conteggiare gli
studi degli associati – a certe condizioni o entro certi limiti da studiare a
fondo – nel numero degli uffici secondari.
Atto digitale: la stipulazione con modalità informatiche di un atto notarile
è ormai un fatto acquisto a livello normativo; purtroppo lo è meno a livello
pratico. Non è questa la sede per affrontare le ragioni di questa ritrosia del
notaio a utilizzare l’atto informatico con la firma grafometrica in particolare
2 . La prospettiva che qui s’intende indicare è diversa: trasformare l’atto
informatico da mera conversione del cartaceo in file pdf/A a file multimedia-
2 Federnotai ha presentato al Cnn una serie di proposte dirette a promuovere l’atto informatico
e con firma grafometrica mediante la semplificazione di alcune fasi della procedure e l’introduzione
di una norma che – sulla base della prassi dei notai francesi – consenta una postilla
elettronica dopo la stipula dell’atto a cura del notaio e da allegare alle pratiche telematiche per
Agenzia Entrate e Registro delle Imprese.
119
le che possa aggregare altri dati o produrre nuovi effetti a servizio dei clienti
e della pubblica amministrazione; ragionare sulla possibilità di stipulare
atti a distanza come forma evoluta dell’atto al telefono della nostra legge
notarile.
Sul primo profilo e ci si collega anche al tema degli smart contracts, l’atto
multimediale è da immaginare come uno strumento che contenga i dati per
aggiornare gli archivi dello stato civile per la residenza o le utenze dei servizi
domestici quali luce, gas o internet o, ancora, che al verificarsi di una
certa condizione o termine, potrà essere ciò che autorizza e consenta un
pagamento da parte della banca dell’acquirente in favore del venditore,
senza dover ricorre ad altre attività dopo la firma davanti al notaio.
Sul secondo profilo un notariato che vuole provare a proporre una visione
del proprio futuro deve, a mio avviso, iniziare a parlare di atto a distanza.
Le nuove generazioni con molta probabilità lo riterranno quasi una ovvietà
ma già oggi la Commissione Europea con una serie di proposte normative,
tra le quali il Digital Single Market che potrebbe rivoluzionare il modo di
creare e far vivere le società in ambito UE, ci impone di discuterne senza
pregiudizi. Altri notariati lo stanno facendo o lo hanno già fatto: mi riferisco
tra gli altri al notariato austriaco che ha realizzato e ha già operativo un
sistema per costituire le società senza la presenza fisica dei clienti e al notariato
francese che sta lavorando concretamente a questa modalità per gli
atti immobiliari. Sperimentare appare necessario insieme a proposte di
aggiornamento delle norme su errore, violenza e dolo per tale tipologia di
“forma”.
Le direttrici di queste brevi note e il mio auspicio per una loro realizzazione
dovranno, ovviamente, esser discusse, approfondite, studiate tra
i notai e dai vertici politici degli stessi. Ciò che credo non debba accadere è
ciò che ormai in modo ingiustificabile, di contro, accade: impedire il dibattito,
accusare chi fa proposte o suggerisce temi di riflessione non condivisi di
essere nemico del notariato dal suo interno, ricorrere ad attacchi personali
o verbali, presumere la mala fede. O ancora ritenere che solo una proposta
condivisa all’unanimità possa essere promossa e presentata allo Stato.
Accade anche questo tra i notai ma significa abdicare alle regole della democrazia,
al rispetto delle altrui libertà e alla funzione stessa della delega che
con il nostro voto abbiamo dato e daremo al Consiglio Nazionale del
Notariato cui, per legge, spettano precisi compiti. Per dirla da notai, significa
tradire quel principio di legalità che attuiamo ogni giorno con le nostre
firme sugli atti notarili. Nel mio breve articolo sulla newsletter di Notartel 3
concludevo così “Far convivere tradizione e innovazione nel notariato, di
fronte ad azioni dirette a considerarci come parte solo della tradizione e del
passato, impone a ciascuno di noi di navigare oltre le colonne di Ercole dell’attuale
modo d’immaginare, non il notaio, ma gli strumenti con i quali ciascuno
svolge la sua ancor attuale funzione. D’altronde Cristoforo Colombo
nel suo viaggio verso le Indie aveva con sé un Notaio.”.
Mi sembra applicabile anche allo spirito della Tavola rotonda.
3 V. nota 1.
120
LE NUOVE TECNOLOGIE ED
IL FUTURO DELLE PROFESSIONI
Eliana Morandi
(Notaio in Trento)
Le mie riflessioni sulla prevedibile evoluzione della nostra professione
nel prossimo futuro si incentrano su due filoni: uno nuovo, l’altro ricorrente,
entrambi rilevabili anche sullo scenario internazionale, che quindi
può costituire un palcoscenico interessante, sia perché i fenomeni che in esso
si verificano si riflettono inevitabilmente (almeno in parte) anche nel nostro
ordinamento; sia per poterne trarre alcuni stimoli e suggerimenti per evitare,
se possibile, di incorrere in errori che altri hanno già fatto.
I due filoni di cui intendo parlare sono:
• Innovazione tecnologica: Incombente pericolo o straordinaria opportunità?
• Innovazione normativa europea
Law Tech: l’innovazione tecnologica e l’impatto sulla funzione
notarile e/o sulle sue modalità di svolgimento.
L’innovazione tecnologica è il primo elemento - addirittura rivoluzionario -
che a livello internazionale viene richiamato con sempre maggiore frequenza
e, da molti, anche preoccupazione. Il suo sviluppo rapidissimo, travolgente,
da molti temuto come incontrollabile, può o potrà avere conseguenze non
del tutto prevedibili sulla nostra vita, come già rilevato – per fermarsi a due
esperti del settore – da Stephen Hawkings e Elon Musk.
Per quanto qui ci interessa, chi è familiare con la stampa anglofona sa bene
che da almeno due – tre anni il mondo legale angloamericano è in grande
fermento proprio per i timori che lo sviluppo tecnologico sta sollevando,
paventandosi la “sostituzione” dei legali – ma anche dei notai e dei commercialisti,
e più in generale delle professioni intellettuali – da parte della evoluzione
tecnologica e, in questo ampio campo, in particolare dalla temutissima
“Intelligenza Artificiale – acronimo inglese A.I.” E poiché il mondo
anglo-americano è tecnologicamente più avanti di noi (almeno in apparenza),
questa profonda preoccupazione ci deve indurre a riflettere sul fenomeno.
Si parla di Legal technology o Legal Tech o LawTech (di cui esistono in
Italia 2 gruppi di studio universitari: a Trento e Pavia) ricomprendendovi
tutte le varie forme di innovazione informatica che influiscono su, e con cui
possono essere svolte determinate funzioni tipiche del mondo legale.
Si parla, quindi: di cloud ed edge computing; Internet delle cose (IoT) (scarpe
Nike e seggiolino che avverte del bambino in macchina, sveglia che suona
prima perché c’è un blocco di traffico), Mobility, performance tracking, On-
Line communities, Robo-lawyers, Blockchain, ChatBot, TAR (technology
assisted Research), machine learning/analytics e soprattutto AI (artificial
Intelligence)….
In che modo, in concreto, l’innovazione tech quindi incide o può incidere oggi
Il Notaio Eliana Morandi
121
sulle attività legali?
1 Piattaforme (cloud e edge computing) che garantiscono e consentono
trasparenza e maggiore comparabilità tra notai, maggiore mobilità al
notaio, maggiore efficienza e “vicinanza” tra studio e cliente : quindi i
notai devono partecipare ed essere presenti con gli strumenti ai quali gli
utenti sono abituati (ad esempio le Chat Bot: possibilità di dialogo – più
o meno in diretta – tra utente e studio; possibilità per il notaio di interrogare
vocalmente la propria banca dati totale (tutte le pratiche); possibilità
di fare acquisire documenti nella pratica grazie a invii fatti direttamente
dal cliente con il proprio smartphone o tablet;
2 Contratti autocompilati: ci sono quelli di affitto in rete; ci sono quelli
delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), ma dubito che in
Italia qualcuno si fiderebbe a compilare da solo, con la controparte, un
contratto di acquisto di casa; per alcune grandi compagnie (JPMorgan
e Clifford Chance) questi contratti autocompilati sono diventati un
grande business, a cui applicano la c.d. freemium price strategy. In
sostanza, sul sito delle società sono disponibili gratuitamente alcune
bozze di contratto che, mediamente, dovrebbero soddisfare le esigenze
del cliente. Poi però, se il cliente vuole essere sicuro di avere il contratto
giusto e completo, naturalmente deve affidarsi ai legali delle società, a
pagamento. Così, in sintesi, le società guadagnano di più perché ricavano
gli stessi compensi impegnando un minor costo/uomo.
3 Revisione automatizzata dei contratti: il programma LawGeex (USA)
può individuare molto rapidamente quali clausole manchino, siano inusuali
o malformulate in tempi rapidissimi; i principali clienti di
LawGeex sono avvocati di impresa. Noi, come notai, la utilizziamo già:
e’ quello che fanno i programmi estrattori di dati per preparare gli
adempimenti o per fare il controllo sulle formalità di legge notarile.
Ovviamente richiede che ci siano regole prefissate. Certamente stanno
progredendo molto in termini di capacità e rapidità di ricerca.
L’americana JP Morgan ha affermato che il loro programma ha revisionato
contratti commerciali (i più standardizzati in assoluto) risparmiando
360.000 ore/anno di avvocati e dipendenti. A parte valutare l’attendibilità
di JPM (è una delle 5 shadow banks che hanno generato la
crisi finanziaria mondiale…) è davvero difficile immaginare come poter
fare una controprova , ed essendo molto standardizzati potrebbero mancare
date, sigle, etc. Lo stesso studio legale Clifford Chance riconosce
che non si persegue più la precisione, bensì il bilanciamento tra costo e
sicurezza: se vuoi pagare meno, devi accettare un margine di errore più
alto.
4 Il c.d. Robo-lawyer, Arbitration and mediation: consultazioni, decisioni
stragiudiziali e giudiziali fatte da AI, tramite procedimenti di machine
learning (autoapprendimento). In sostanza ci si può concentrare su due
strumenti su cui si basano tutte le innovazioni che possono maggiormente
influenzare l’attività notarile (o, più ampiamente, legale). AI:
per intelligenza artificiale, in termini semplici e forse semplicistici,
122
si intende lo sviluppo e l’utilizzo di programmi che pongono in essere
attività che normalmente richiedono l’intervento dell’intelligenza
umana. In questo momento storico e nel futuro prossimo, l’AI può raggiungere,
attuare o superare solo alcune, ma non tutte le funzioni cognitive
umane. Non ha senso preoccuparsi per la maggior parte degli
ambiti legali, per il nostro in particolare ma anche per quello forense e
giudiziale perché il grado di sviluppo che in questo momento ha raggiunto
l’intelligenza artificiale nel settore legale comunque comporta
che restino ampiamente indispensabili il giudizio umano, l’intuito, il
buon senso, le capacità di relazione interpersonale e quindi in realtà
l’intelligenza artificiale in questo momento non sembra possa essere un
pericolo ma, al contrario, uno straordinario strumento lavorativo. E’,
infatti, in grado di analizzare e verificare a velocità irraggiungibili un
numero spropositato di dati, che per un umano richiederebbero giorni di
lavoro… però non è
in grado di cogliere
le sfumature, le differenze,
perché non
può riconoscere ciò
che il suo programmatore
non ha inserito
nel suo software
e il programmatore
non può inserire
tutte le possibili,
infinite variabili. Ci
sono poi un numero
crescente di questioni
legali nate dall’utilizzo
di queste tecnologie,
soprattutto
legate alla responsabilità
dei danni che
esse in qualunque
modo provocassero,
non essendo affatto
chiaro in capo a chi
dovrebbero ricadere.
Ma la principale domanda di fondo è: come si può garantirne l’accuratezza,
la legalità e la correttezza giuridica, se non sappiamo chi scrive le
regole e chi controlla le regole di autoapprendimento? Un autore americano
ironicamente si è chiesto se dovremo, quindi, chiamare alla sbarra
dei testimoni queste macchine per farle deporre sui criteri indipendenti
che hanno utilizzato nelle loro decisioni. Non è un caso se, per la prima
volta a livello mondiale, la Commissione europea per l’efficienza della
giustizia (CEPEJ) del Consiglio d’Europa ha promulgato la “carta etica
I Notai: Marcoz, Morandi e Ghiglieri
123
europea sull’uso dell’intelligenza artificiale (IA) nei sistemi giudiziari e
negli ambiti connessi”. Machine learning: lo sviluppo dell’A.I. porta al
machine learning, vale a dire alla ideazione di programmi di intelligenza
artificiale che si auto addestrano, ed imparano qualcosa da ogni esperienza
che fanno per migliorare la prestazione nella successiva. Ma,
ancora una volta, il problema di fondo, che non tutti focalizzano, è che
le regole con cui scegliere gli elementi da cui imparare e come utilizzarli
(algoritmi di auto-apprendimento) vengono scritti da uomini che ne
hanno il vero, totale ed invisibile controllo, impercettibile e inafferrabile
da chi li “subisce”, mentre chi utilizza l’AI autodidatta è nelle mani di
chi lo ha programmato! Sono già emersi, al riguardo, anche problemi di
“errori involontari”, di “pregiudizi inconsapevoli” che il programmatore
inserisce nei programmi che scrive.
Come è stato ben sintetizzato: Bias data, Bias results. Se entrano criteri
“distorti”, escono regole “distorte”.
Ironicamente, potremmo dire che al già famoso GI-GO (Garbage In –
Garbage Out), lo sviluppo ha affiancato anche la locuzione acronima Bi-BO
(Bias In – Bias Out)
Ad esempio una ricercatrice dell’MIT (Joy Buolamwini) che si occupava di
programmi di riconoscimento facciale si è resa conto che il programma riconosceva
più facilmente e più esattamente visi maschili e di pelle chiara,
rispetto a visi femminili e di pelle più scura. Dato che i programmi di riconoscimento
facciale sono sempre più usati nella vita quotidiana (ad esempio
nella ricerca di persone scomparse, nella sicurezza etc.) questa circostanza
è molto importante.
Ha segnalato la cosa ai colleghi dell’MIT, che hanno corretto gli algoritmi
per escludere questi insospettati “bias”, ma i rimedi si sono dimostrati inefficaci
nel 60% dei casi.
Cos’hanno, dunque, in comune tutti gli strumenti di Law-tech?
La mancanza di sicurezza, la mancanza di privacy e la mancanza di
affidabilità:
o perché sono violabili tecnicamente; o perché manca qualsiasi controllo sui
contenuti immessi in catene che magari sono inviolabili, ma non si sa cosa
contengano e chi abbia immesso il contenuto; o perché dietro un’apparente
“assoluta oggettività e razionalità (machine learning)” ci sono pur sempre
algoritmi (cioè regole di apprendimento) stabilite da uomini, non si sa chi,
non si sa come e non si sa con quali finalità.
Quindi, in sintesi, ci si può chiedere quale possa essere la reale utilità di dati
di cui non si conosce l’origine e l’affidabilità: come già detto: garbage in, garbage
out (GI-GO), Bias in Bias Out (BI-BO).
La tecnologia non ha poteri taumaturgici.
La funzione notarile, se ben esercitata, ne esce esaltata: garantisce la qualità
e la affidabilità giuridica dei dati immessi in una catena ed in registri
accessibili a tutti. Dominando la tecnologia, ne rende davvero fruibili i vantaggi
in termini di rapidità di trasmissione ed accesso, e quindi di reale effi-
124
cienza, assumendone la piena, riconoscibile ed indiscutibile responsabilità.
Conclusioni
Dalla lettura della letteratura in materia (sia italiana che straniera) (solo)
due elementi si ritrovano costantemente:
1 Cambiano e devono cambiare le modalità con cui si esercitano le professioni
legali e la notarile in particolare; ma, devo aggiungere, perché per
noi la tecnologia sia una straordinaria opportunità di affermazione (e
non un pericolo esiziale) è essenziale che rimanga invariata – ed anzi
venga rafforzata – la funzione di controllo e garanzia che ci spetta. Il
notaio deve rimanere il dominus, deve mantenere il dominio sugli strumenti
tecnologici. E ciò vale ancora di più per la funzione notarile: la
tecnologia, qualunque forma assuma, mostra sempre lo stesso punto
debole: opacità e mancanza di trasparenza e controllo su chi realmente
“scrive le regole” (algoritmi); insicurezza, vulnerabilità agli attacchi,
incertezza. La funzione notarile ne può uscire fortemente rafforzata, ma
deve essere rigorosamente protetta contro i danneggiatori interni.
Quindi mi sembra indispensabile che venga rafforzato il controllo sull’esercizio
corretto della funzione, perché chi la mette in discussione mette
in pericolo tutta la categoria. Noi dobbiamo, senza eccezioni, garantire
sicurezza, certezza e responsabilità dei dati e delle transazioni.
2 È essenziale la formazione (riskilling e upskilling) nelle nuove tecnologie:
sia per il notaio, sia per il personale. Tutto il mondo intorno a noi sta
adottando e adotterà sempre di più queste tecnologie, quindi bisogna
assolutamente imparare a conoscerle ed utilizzarle, e insegnare al proprio
personale a conoscerle ed utilizzarle, perché è necessario dominarla
per farla rimanere al suo posto che è quello di fantastico strumento, che
deve rimanere STRUMENTO. Lo sviluppo tecnologico che rappresenta
la quarta rivoluzione ci costringe ad un salto culturale enorme, che
impone al notaio stesso di conoscere e saper utilizzare (almeno saper
comprendere) gli strumenti che le nuove tecnologie offrono, perché è
necessaria una nuova forma di leadership, quella inclusiva, per cui è il
leader (notaio) che motiva la squadra nell’utilizzo degli strumenti tecnologici
che verranno messi a disposizione. E questo è indispensabile perché
la categoria deve apparire sempre, all’esterno, tecnologicamente
all’avanguardia. Ma anche, se vogliamo, perché il migliore utilizzo degli
strumenti (chatbot, mobility, performance tracking, Customer satisfaction
report, Technology Assisted Research) consentirà al singolo notaio
di essere più efficiente e soddisfare di più il cliente. E dobbiamo cominciare
subito, perché questo grande salto culturale richiede tempo. La
tecnologia sta arrivando: se non la padroneggiamo e il nostro personale
non la padroneggia, ne diventiamo vittime. Sarebbe molto opportuno
anche inserire queste materie nei corsi di formazione dei praticanti
notai e/o nel concorso notarile, nei corsi di aggiornamento professionale
per i notai dei notai (come la deontologia).
Voglio chiudere con due notazioni.
125
Una è la nota esortazione di Robert Kennedy, ancora attuale, secondo
cui: “Il solo fatto che non vediamo la fine della strada non giustifica che
non iniziamo il viaggio. Al contrario, un grande cambiamento domina il
mondo e, se non ci muoviamo con il cambiamento, ne diventeremo vittime.”
Infine una buona notizia, apparsa sul Corriere della Sera del 17
gennaio 2019: un famoso albergo giapponese, entrato nel Guiness dei
primati nel 2015 per aver utilizzato i più grande numero di androidi, ha
licenziato metà personale: facchini, addetti alla reception, alle pulizie ed
al room service si ammalavano troppo spesso, costavano troppo ed infastidivano
gli ospiti con il loro comportamento. Era accaduto che l’albergo
aveva “utilizzato” 243 androidi, che però si sono manifestati inadeguati:
non sapevano consigliare luoghi da visitare, fornire informazioni su
come arrivare in tempo all’aeroporto; si inciampavano facendo i gradini,
se prendevano umidità si bloccavano e una “assistente” da camera ha
continuato ad infastidire il cliente tutta la notte continuando a chiedergli
”ripeti per favore, non ho capito la domanda” mentre il poveretto stava
russando.. e non è riuscito in nessun modo a risolvere il problema…
Quindi sembrerebbe che anche per mansioni relativamente semplici gli
androidi siano ancora abbastanza lontani dal poter realmente sostituire
l’umano, anche se possono senz’altro essere per l’uomo strumenti di
enorme utilità come “espansione” della sua velocità di elaborazione e
capacità di conservazione ed analisi di dati.
INNOVAZIONE NORMATIVA:
Europa e riforme delle professioni protette (regulated professions)
Da almeno 20 anni la UE cerca in tutti i modi, ripetutamente, di promuovere
riforme delle professioni protette e delle riserve di competenze, in nome
di una asserita ricerca di maggiore competitività ed efficienza e quindi di
vantaggi per i consumatori.
Da ultimo vengono in evidenza, in questo senso, il rapporto OECD che regolarmente
cerca di promuovere riforme delle professioni protette, sulla base
della apodittica affermazione di una correlazione tra diminuzione della
regolamentazione delle professioni ed aumento della produttività del sistema,
nonché dei vantaggi per i consumatori.
Non si può poi dimenticare la Direttiva 2018/958, che obbliga gli Stati ad un
test di proporzionalità prima dell’adozione di nuove normative di regolamentazione
delle professioni. La Direttiva ha, appunto, lo scopo di promuovere
l’analisi delle restrizioni vigenti al fine di eliminarle per quanto più
possibile. Senza dilungarsi troppo, è importante ricordare due documenti
che concludono, invece, che non esistono dati che supportino chiaramente ed
inequivocabilmente l’affermazione dell’ OECD.
Il primo è della Direzione Generale Mercato Interno e Servizi: “Study to
provide an inventory of reserves of Activities linked to professional requirements
in 13 EU Member States and assessing their economic impact”, Final
126
Sala interna di Villa Miani, Roma
Report 2012, Centre for Strategy and Evaluation Services, DG Internal
Market and Services. Tra le altre, si leggano le pagg. 97, 111 e 113, dove
viene rilevata una connessione tra la maggiore regolamentazione e una
minore produttività, ma poi si riconosce che tale correlazione è statisticamente
insignificante.
Il secondo è uno studio commissionato dal Ministero dell’Economia
Olandese ad una società di ricerca (Ecorys) con lo scopo di valutare quali
normative relative alle professioni avrebbero dovuto essere riformate per
rendere più efficienti le professioni e dare maggiori vantaggi ai consumatori.
La società “Ecorys” ha rilasciato il suo rapporto “Modernising regulated professions,
Economic importance and impact” nel 2014. Il rapporto ha svolto
un esemplare lavoro di raccolta di tutti (o certamente tutti i più importanti)
studi svolti in questa materia, giungendo alla conclusione che tutti gli studi
fatti finora dichiarano che riforme normative di vario genere (eliminazione
dei limiti di accesso, eliminazione degli obblighi di iscrizione ad albi e quindi
eliminazione delle riserve di competenze o delle corrispondenti riserve di
titolo) produrrebbero miglioramenti in termini di efficienza (e ognuno dà i
numeri che vuole….) ma, utilizzando criteri e metodi di valutazione diversi
e pervenendo a dati numerici diversi, finora nessuno studio è riuscito a
dimostrare in modo scientificamente convincente che sia realmente così, né,
tantomeno, si è preoccupato di analizzare e dimostrare che l’eliminazione o
riduzione di regolamentazione – che sono ovunque dirette alla tutela di interessi
pubblici – non finirebbe, invece, per danneggiarli irreparabilmente, ad
esempio riducendo la qualità delle prestazioni.
Lo studio conclude, quindi, con l’insufficienza assoluta di dati per corroborare
riforme di tal genere e la necessità di valutarne, comunque, anche tutti i
possibili effetti negativi, tenendo presenti gli interessi pubblici che con tali
normative vengono perseguiti.
127
IL NOTAIO DIGITALE AL CENTRO
DI UN MONDO DIGITALE
Michele Nastri e Giampaolo Marcoz
(Consiglieri del Consiglio Nazionale del Notariato)
Il Notaio Michele Nastri
Il nostro proposito è di rispondere, nel limitato tempo a disposizione, al
quesito posto dalla tavola rotonda delineando alcuni degli scenari che si
prospettano nel breve e nel medio periodo.
E’ necessario però far precedere l’esame degli argomenti che riteniamo
esemplari da due considerazioni di carattere generale:
• Il passaggio alla contrattazione informatica diffusa, superata la fase
della sola documentazione, pone problemi nuovi, come quelli della
gestione delle identità digitali, che attengono all’essenza stessa delle
funzioni notarili, e che devono essere gestiti in modo nuovo e senza
indugio. Ciò richiede una metamorfosi culturale e di preparazione del
notariato che richiederà un grande sforzo negli anni a venire e senza il
quale siamo destinati a soccombere;
• La gestione della sicurezza della contrattazione informatica anche a
distanza, del documento informatico, della sua autenticità, della sua
conservazione, richiedono mezzi e capitali che non sono alla portata dei
singoli notai; questo richiede un ripensamento strutturale dell’organizzazione
del notariato, per trovare un giusto equilibrio tra ciò che deve
essere compito degli organi di categoria (si pensi alla conservazione
degli atti notarili informatici) e ciò che deve essere invece lasciato alla
libertà dei singoli e delle associazioni.
Per raggiungere questi obiettivi (che sono di sopravvivenza) e trovare nuovi
equilibri, occorre una condivisione che occorre costruire nella dialettica
interna, a partire dalla formazione delle nuove generazioni.
L’impatto dell’intelligenza artificiale
L’utilizzo della Intelligenza Artificiale è entrato, senza che noi ce ne siamo
resi conto, nei nostri studi professionali: ogni volta che chiediamo al nostro
programma operativo di estrarre i dati dall’atto per predisporre l’adempimento
unico stiamo utilizzando un sistema di intelligenza artificiale.
Il Notaio Giampaolo Marcoz
L’utilizzo sempre più diffuso di tale strumento a servizio dei professionisti
avrà sicuramente un impatto significativo sulla nostra professione, che inciderà
sia sulla quantità che sulla qualità della nostra attività professionale;
si passerà “dal lavoro morto al lavoro vivo” (Ferraris) con più tempo da
impegnare nelle attività intellettuali importanti; nel nostro ambito giuridico
“l’informatica potrà essere d’aiuto nel fornire ed elaborare i precedenti in
modo da trarre da ciò che fu deciso indici di prevedibilità di ciò che si deciderà”
(Marchetti).
La diffusione di strumenti tecnologici di intelligenza artificiale e il
loro impatto sulle professioni e sulla occupazione in generale ha imposto alle
autorità competenti di riflettere sul tema per dettare alcuni principi di
128
carattere etico che disciplinino e limitino anche l’evoluzione tecnologica; con
la “Carta etica europea sull'uso dell'intelligenza artificiale (AI) nei sistemi
giudiziari e in ambiti connessi”, (https://rm.coe.int/ethical-charter-en-forpublication-4-december-2018/16808f699c
), la Commissione europea per l'efficienza
della giustizia (Cepej) del Consiglio d'Europa ha dettato alcuni principi
da applicare al trattamento automatizzato delle decisioni e dei dati giudiziari,
sulla base di tecniche di AI.
L’utilizzo di sistemi di AI deve avvenire in modo responsabile, nel rispetto
dei seguenti principi fondamentali:
• la protezione dei dati personali;
• il rispetto dei diritti umani e la non discriminazione;
• la qualità e sicurezza nelle metodologie di analisi e nel trattamento
automatizzato delle decisioni giudiziarie che devono provenire da originali
certificati,
• la trasparenza, l’imparzialità e l’equità nel trattamento delle decisioni
giudiziarie;
• il controllo dell’utente, che deve essere informato, in un linguaggio
chiaro e comprensibile, e sulle diverse opzioni disponibili.
La Commissione informatica del Consiglio Nazionale e la Notartel
hanno iniziato e stanno compiendo le prime attività di approfondimento sull’impatto
che l’intelligenza artificiale potrà avere nella quotidianità del lavoro
notarile. Tali progetti, che vedranno la luce nel primo semestre dell’anno
2019, si incentrano principalmente sui seguenti temi:
• Elaborazione del Linguaggio Naturale: la tecnologia di ELN si
pone il traguardo di poter leggere i testi liberi scritti da persone “qualunque”
e di poterli interpretare in maniera corretta e di fare evolvere
un contratto notarile in uno Smart Contract, cioè nella “traduzione”
o “trasposizione” in codice di un contratto, al fine di verificare in automatico
l’avverarsi di determinate condizioni (controllo di dati di base del
contratto) e di auto-eseguire in automatico azioni (o dare disposizione
affinché si possano eseguire determinate azioni) nel momento in cui le
condizioni determinate tra le parti sono raggiunte e verificate. In altre
parole, lo Smart Contract è basato su un codice che “legge” sia le clausole
che sono state concordate sia la condizioni operative nelle quali
devono verificarsi le condizioni concordate e si auto-esegue automaticamente
nel momento in cui i dati riferiti alle situazioni reali corrispondono
ai dati riferiti alle condizioni e alle clausole concordate.
• Creazione di una Banca Dati Notarile Predittiva: attraverso un
sistema di Apprendimento Automatico, più conosciuto come Machine
Learning, si cerca di “insegnare” alla banca dati di analizzare il contenuto
dell’atto notarile al fine di valutarne la correttezza e la completezza.
L’atto informatico a distanza
Il tema dell’atto a distanza, intendendosi per tale un atto notarile concluso
129
non alla presenza fisica del notaio, ma attraverso il collegamento dello stesso
ai clienti con strumenti telematici, è di straordinaria delicatezza e complessità,
riguardando argomenti quali la formazione della volontà delle
parti, l’espressione della stessa, la funzione di adeguamento notarile, la personalità
della prestazione e la competenza territoriale dei notai al fine della
corretta diffusione del servizio ai cittadini.
Prima di entrare nel merito delle questioni occorre chiarire che il
tema viene affrontato solo de jure condendo, in quanto l’attuale testo dell’art.
47 della legge notarile, richiedendo che l’atto sia ricevuto in presenza
delle parti, prescrive senza dubbio alcuno, per ragioni sistematiche prima
che storiche, la presenza fisica dinanzi al notaio, e non consente nessuna
forma di telepresenza. Non essendo questa la sede per un approfondimento
di carattere tecnico giuridico, sarà importante limitarsi a precisare che le
forme di contrattazione a distanza, o più in generale di relazione giuridica a
distanza, attraverso strumenti di telepresenza, nei casi in cui è richiesta la
contestuale presenza di più soggetti, costituiscono ad oggi ancora fenomeni
eccezionali dal punto di vista sistematico: le decisioni degli organi collegiali
delle società di capitali, della presenza nell’udienza penale ai sensi dell’art.
146 disp. Att. C.p.p. e delle prassi (invero come minimo praeter legem) per
il rilascio a distanza dei dispositivi per la firma digitale.
Ciò non toglie che l’argomento sia divenuto ormai di pressante
attualità, al punto che appare immaginabile che il diffondersi di simili previsioni
normative possa nel tempo arrivare ad invertire il rapporto
regola/eccezione. Tutto questo, in mancanza di un’idonea regolamentazione,
potrebbe avere effetti destabilizzanti per la funzione notarile.
A conferma della tendenza ordinamentale verso la progressiva
ammissibilità della contrattazione in telepresenza, è la presentazione dell’ancora
non approvato emendamento alla Direttiva 2017/1132 (cd.
Company Law Package) tendente ad introdurre, per facilitare gli scambi
transfrontalieri, la possibilità di costituire società con sistemi di contrattazione
in telepresenza, attraverso quindi la preventiva digitalizzazione dell’atto
costitutivo.
Occorre quindi una strategia complessiva per l’atto a distanza,
peraltro già possibile oggi in presenza di tanti notai quanti sono i luoghi in
cui si trovano le varie parti. Tale strategia che dovrà essere accuratamente
valutata dal Consiglio Nazionale potrà per esempio ipotizzare un’introduzione
graduale dello stesso, non essendo totalmente prevedibili e controllabili le
conseguenze e le insidie di una tale forma di contrattazione. Si potrà ad
esempio ammetterlo inizialmente solo per alcune categorie di atti, o solo in
caso di consenso unanime delle parti, o con particolari accorgimenti quanto
all’identificazione e alle modalità di formazione della volontà. Quello che è
certo è che si tratta di una questione che dovrà essere affrontata in modo
organico e per tempo, essendo illusorio ogni tentativo di fermare la diffusione
di tali forme di contrattazione o di limitarla a settori come quello societario.
Il punto cardine di ogni ragionamento sull’atto a distanza non deve però
130
essere la tecnologia utilizzata, ma la salvaguardia e la valorizzazione
della funzione sociale del notaio, attraverso meccanismi anche normativi
che incrementino i profili di personalità della prestazione finalizzata
alla funzione di adeguamento in questa nuova operatività.
Sviluppi dell’atto informatico e conservazione: la postilla elettronica
L’utilizzo dell’informatica, nato come sistema per rendere più efficienti
dapprima le procedure interne agli studi (risalgono alla fine degli anni ’70
dello scorso secolo i primi software per l’automazione degli studi notarili), si
è via via esteso alla predisposizione degli adempimenti rivolti alla
pubblica amministrazione, quali in particolare la registrazione e l’esecuzione
della pubblicità immobiliare e commerciale attraverso, in un primo
tempo, la preparazione attraverso strumenti informatici di adempimenti
destinati ad un passaggio su carta, pur se nati da (e destinati a) sistemi
informatici (si pensi alle note di trascrizione meccanizzate che, fino a buona
parte degli anni 90, erano predisposte informaticamente nello studio del
notaio, stampate, e riacquisite negli uffici dei registri immobiliari, con gran
dispendio di energie e possibilità di errori). Successivamente l’informatizzazione
si è estesa, con strumenti dapprima solo informatici e poi gradualmente
telematici, alla trasmissione degli adempimenti, ferma restando la redazione
su carta dell’atto notarile, che con la sua copia, costituiva, e costituisce,
il punto fondante della validità delle procedure.
Il vero snodo è stato l’introduzione della firma digitale: risolta
in questo modo la questione fondamentale della imputabilità del documento
ai firmatari anche nell’ambito della contrattazione informatica, e non
dovendosi così più ricorrere ad artifizi di vario genere, ma soprattutto a
sistemi chiusi le cui condizioni fossero o accettate dall’unanimità degli utenti,
o imposte da una norma, si è potuto procedere dapprima alla trasmissione
di documenti aventi il valore sostanziale e probatorio dell’atto notarile (le
copie) e successivamente alla redazione di veri e propri atti notarili. Ciò in
base ad una evoluzione normativa che trova tuttora i suoi capisaldi nel CAD
(codice dell’amministrazione digitale, D.Lgs. 82/2005) e nella novella alla
legge notarile contenuta nel D.Lgs. 110/2010, che ha definitivamente introdotto
nel nostro ordinamento l’atto notarile informatico.
Questo è stato, almeno dal punto di vista ordinamentale, il vero
punto di svolta nel passaggio dalla carta all’informatica, anche se dobbiamo
riconoscere che si tratta ancora di un’incompiuta. L’atto informatico,
infatti, è tuttora diffuso meno di quanto sarebbe lecito aspettarsi, a causa
probabilmente di un fattore di resistenza culturale tuttora presente non solo
e non tanto nel notariato, quanto nella società tutta, ed anche delle permanenti
rigidità formali contenute nell’impianto della legge notarile, che mal si
adattano alla documentazione informatica (si pensi alla fisica impossibilità,
in presenza di firme digitali apposte al documento, di rimediare anche nell’immediatezza
ad errori materiali senza ricorrere all’atto di rettifica).
Ciò nondimeno numerosi passi avanti sono stati fatti ed altri sono prossimi:
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132
accanto alla firma digitale è stata introdotta la possibilità, per le parti dell’atto,
di una firma grafometrica, che facilita di molto il procedimento di sottoscrizione,
attraverso il software iStrumentum. La firma di un atto informatico
avviene quindi ora in una sessione che non deve tenere conto delle
tecnologie delle diverse firme digitali delle parti, e non necessita di una predisposizione
dello strumentario tecnologico, essendo ormai sufficiente l’installazione
di un unico software.
Altro snodo, che costituisce per il Notariato un vero punto di forza,
anche in relazione alla situazione del sistema-Paese, è la conservazione
del documento informatico: la conservazione documentale, intesa anche
come mezzo di prova nel processo civile, è una delle funzioni principali dell’attività
notarile, ed è prevista addirittura all’articolo 1 della legge professionale;
gli atti notarili costituiscono un bene pubblico la cui perdita è severamente
sanzionata, e sono destinati ad essere conservati a tempo indeterminato,
dopo la cessazione del notaio dall’esercizio, presso gli Archivi
Notarili. Nel passaggio all’atto informatico, con il D.Lgs. 110/2010, è stato
introdotto l’articolo 62 bis della legge notarile, che prevede un sistema di
conservazione a norma dedicato alla conservazione degli atti notarili, tenuto
dai singoli notai presso una struttura centrale tenuta a cura del Consiglio
Nazionale del Notariato, conforme alla normativa vigente in materia di conservazione
del documento informatico, e contenente gli originali degli atti
notarili informatici, muniti delle annotazioni prescritte dalla legge, e le
copie certificate conformi di tutti gli atti notarili cartacei. Per i notai cessati
dall’esercizio è prevista la realizzazione di analogo archivio da parte
dell’Amministrazione degli Archivi Notarili. La scelta di centralizzare la
struttura, ma non gli archivi, che restano nella disponibilità esclusiva del
notaio fino alla cessazione dall’esercizio nel distretto, è dettata dall'esigenza
di garantire la massima sicurezza nella conservazione dei dati, demandando
ad un soggetto pubblico la predisposizione e la gestione delle infrastrutture
necessarie. E’ infatti risultata evidente la difficoltà, per i singoli notai, di
dotarsi di una struttura autonoma che dia uguali garanzie in conformità
alla normativa vigente. La struttura centralizzata assicura poi l’unicità
degli originali informatici dei notai, nonché l’individuazione dell’archivio
informatico di deposito, evitando dispersioni degli atti e duplicazioni di
archivi. E’ evidente che il documento informatico, per sua natura duplicabile
all’infinito senza possibilità di distinzione tra originale e copia, rende una
patologia di tale tipo molto più semplice rispetto a quanto può accadere con
il documento tradizionale cartaceo, con evidenti conseguenze negative sul
complesso dell’attività notarile, ed in particolare sulla sua controllabilità e
sulla garanzia che la conservazione del documento notarile fornisce al sistema
giuridico nel suo complesso, nell’ambito del sistema delle prove e della
pubblicità legale. Inoltre è necessario assicurare, oltre che la sicurezza, l’uniformità
tecnica di archivi informatici destinati a confluire nell’unico grande
archivio pubblico costituito dal complesso degli atti conservati dagli
archivi notarili. Il sistema, la cui attivazione avrebbe dovuto attendere l’emanazione
dei decreti di cui all’art. 68 bis, è pienamente operativo dal gen-
naio del 2013, quando sono stati depositati i primi atti informatici a norma
dell’art. 6 comma 5, del d.l. 18.10.2012 n. 179, convertito, con modificazioni,
dalla l. 17.12.2012 n. 221 il quale recita: 5. Fino all'emanazione dei decreti
di cui all'articolo 68-bis della legge 16 febbraio 1913, n. 89, il notaio, per la
conservazione degli atti di cui agli articoli 61 e 72, terzo comma della stessa
legge n. 89 del 1913, se informatici, si avvale della struttura predisposta e
gestita dal Consiglio nazionale del notariato nel rispetto dei principi di cui
all'articolo 62-bis della medesima legge n. 89 del 1913 e all'articolo 60 del
decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in conformita' alle disposizioni degli
articoli 40 e seguenti del medesimo decreto legislativo. Ai fini dell'esecuzione
delle ispezioni di cui agli articoli da 127 a 134 della legge n. 89 del 1913
e del trasferimento agli archivi notarili degli atti formati su supporto informatico,
nonché per la loro conservazione dopo la cessazione del notaio dall'esercizio
o il suo trasferimento in altro distretto, la struttura di cui al presente
comma fornisce all'amministrazione degli archivi notarili apposite
credenziali di accesso. Con provvedimento del Direttore generale degli
archivi notarili viene disciplinato il trasferimento degli atti di cui al presente
comma presso le strutture dell'Amministrazione degli archivi notarili.”
Tale norma, unitamente al citato comma 3 del medesimo articolo dello stesso
decreto, che obbliga alla modalità informatica per la conclusione di appalti
pubblici, ha reso pienamente operativo l’atto pubblico informatico e la sua
conservazione nella struttura, peraltro da tempo predisposta a cura del
Consiglio nazionale del Notariato.
Il sistema di conservazione del CNN costituisce oggi un’eccellenza
nel campo della P.A., fornisce ospitalità all’amministrazione degli archivi
notarili per la conservazione degli atti informatici dei notai cessati, e costituisce
(assieme al Ministero della Difesa) una delle due eccellenze che costituiscono
la base della Rete dei Poli di Conservazione della P.A., della cui
creazione si sta occupando l’AGID in collaborazione con l’Archivio Centrale
dello Stato.
Questo, molto in breve, lo stato dell’arte.
Quali saranno a questo punto i prossimi passi che ci attendono, riassunti in
poche parole? L’integrazione di tutta l’attività notarile in procedure informatiche
capaci di dialogare tra loro, lo sviluppo di nuove attività in grado di
intercettare le mutate esigenze della società che cambia e la modifica conseguenziale
in chiave evolutiva di competenze e ruoli, senza perdere di vista
la funzione essenziale di garanzia delle contrattazioni e degli scambi.
Individuiamo gli elementi essenziali di questa prossima evoluzione e, per
la parte futuribile, le prospettive più probabili su cui si sta lavorando.
Quali sono i punti fermi di questo sviluppo?
In primo luogo la piena diffusione dell’atto informatico attraverso
il miglioramento delle procedure e la crescita culturale di tutti gli
utenti (notai e clienti).
In secondo luogo la sviluppo della conservazione documentale,
anche al di là dell’atto notarile, intesa non solo e non tanto come sicurezza
della memoria, ma come strumento di tutela dei diritti.
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134
Importantissime sono inoltre le attività che portano all’inserimento del
notaio, quanto più possibile sin dalla fase delle trattative, nella filiera immobiliare
in questa fase di transizione verso la contrattazione via web ed in
tutte le attività di interscambio documentale (si pensi alle piattaforme per
l’interrelazione col sistema bancario, ma anche con i clienti di grandi dimensioni,
in un’ottica più evoluta che punti non solo all’interscambio documentale,
ma alla gestione dei dati e delle transazioni).
La tematica della contrattazione su web porta la necessità di fare i
conti con una tracciabilità allo stesso tempo totale e dispersiva, e la riflessione
sull’utilizzo (in parte ineluttabile) di tecnologia presentate come salvifiche
come la Blockchain e che pure non possono essere acriticamente accettate.
In questa area di interessi si inseriscono anche le iniziative del notariato
in materia di nuovi pubblici registri, e di pubblici registri sussidiari,
che devono purtroppo fare i conti con un sistema paese arretrato, lento, e
troppo burocratizzato.
Lo sviluppo dell’uso dell’atto pubblico informatico, e più in generale,
degli strumenti informatici nell’attività notarile, suggeriscono un intervento
normativo di semplificazione relativo alle modalità di formazione
dell’atto notarile, in aggiunta ed a specificazione di quanto già previsto
dall’art. 59 bis della legge 16 febbraio 1913 n. 89, introdotto dal D.Lgs. 2
luglio 2010, n.110. In particolare si ravvisa l’utilità di consentire al notaio di
intervenire a sanare errori materiali, quali indicazioni relative alle parti ed
agli oggetti dell’atto, ed errori ed omissioni relativi a prescrizioni specifiche
dell’ordinamento del notariato, che siano per loro stessa natura oggettivamente
rilevabili e che siano effettivamente rilevati in pendenza del termine
utile per l’esecuzione degli adempimenti di registrazione e pubblicità. Ciò al
fine di evitare inutili aggravi di costi e tempi per la redazione di atti di rettifica
o certificazioni ex art. 59 bis l.n.. Tale attività si svolge tramite una
certificazione che costituisce allegato successivo all’atto, secondo una procedura
già consolidata e mutuata dall’ordinamento francese. La redazione di
tale certificazione non riguarderebbe le menzioni e gli adempimenti obbligatori
previsti da altri settori dell’ordinamento quali quelli previsti dalla legislazione
urbanistica e da quella in materia di conformità catastale, la cui
mancanza determina nullità sanabile ai sensi delle specifiche discipline di
settore (art. 40 L. 28 febbraio 1985 n, 47, art. 46 D.P.R. 6 giugno 2001 n.
380, art. 29 ter L. 27 febbraio 1985 n. 52).
Altro settore in sviluppo continuo è quello della conservazione
documentale. Accanto alla conservazione degli atti notarili è stato
recentemente rilasciato un sistema di conservazione che consentirà ad
ogni notaio di conservare la documentazione informatica di tipo sostanziale
(es. fascicoli, corrispondenza, documenti depositati fiduciariamente)
e fiscale, sia propria che dei clienti. Si apre un campo nuovo di attività,
da svolgersi quindi sia nell’ambito dei compiti tradizionali del
notaio, sia in direzione di nuove funzioni. Alcuni colleghi si stanno già
muovendo in questa direzione, in una prospettiva creativa del diritto e
delle fattispecie giuridiche che è sempre stata tradizionalmente propria
del notaio, utilizzando nuove forme per lo sviluppo della funzione.
La notarchain
Da alcuni anni uno dei temi dominanti nel dibattito sull’innovazione tecnologica
è costituito da blockchain, criptovalute (bitcoin, ethereum etc.) e
smartcontracts. Si afferma spesso (anche se in verità sempre meno man
mano che i temi vengono approfonditi), che questa tecnologia, indipendente
da chi la usa e sostanzialmente neutrale, renda inutili i controlli e le garanzie
umane, e quindi, nel settore dei contratti e dei registri pubblici, l’intervento
del notaio. Blockchain è presentata come una tecnologia autoportante,
in cui è essa stessa a garantire l’immodificabilità del dato e la sua permanenza
nel tempo da parte di chi la usa, per ciò stesso idonea alla gestione di
registri. Essa sicuramente costituisce un’opportunità di sicurezza e semplificazione,
ma, come tutte le tecnologie, può avere utilizzi con finalità opposte.
Una Blockchain può essere permissionless o permissioned, con la conseguenza
nel primo caso che tutti possano essere miners, ovvero nodi dell’infrastruttura
(ma a quali costi per chi partecipa e con quali rischi sul controllo
del sistema se si affermano attori troppo forti? l’uso dei bitcoin per fini criminali
sta emergendo come preoccupante realtà) oppure, nel secondo caso,
che possano esserlo solo alcuni (ma a quali condizioni e poste da chi?).
Bisogna, quindi, chiedersi cosa comporti l’adozione di nuove tecnologie
in termini di sicurezza e tutela dei diritti delle persone, e se queste
siano effettivamente neutre o non possano favorire alcuni (in genere i più
forti) a discapito di altri. L’analisi condotta porta alla conclusione che la
blockchain nulla può aggiungere al sistema dei pubblici registri, laddove la
garanzia dello Stato e l’immissione dei dati a mezzo di intermediari qualificati
(notai) garantisca l’affidabilità, e può anzi risultare più costoso e meno
efficiente; ciò nonostante vi possono essere situazioni in cui la creazione del
registro ha necessità di prescindere da un’autorità centrale (come in caso di
registri transnazionali).
Il notariato ha individuato alcuni settori nei quali è immaginabile
l’intervento del notaio con un uso virtuoso della tecnologia Blockchain, assumendo
un ruolo fortemente proattivo nell’analisi delle possibili applicazioni
delle blockchain, anche in relazione alla costatazione che tale tecnologia, che
potrebbe aprire nuove prospettive alla categoria, allo stato trova principalmente
applicazione in attività collegate al settore dei pagamenti elettronici.
Le aziende informatiche stesse sono in una fase di ricerca di campi applicativi.
Bisogna tenere conto che elementi imprescindibili di ogni valutazione sono:
• la salvaguardia del ruolo notarile con la sua funzione di tutela della
volontà delle parti e delle funzioni legate alla pubblicità degli atti;
• la differenza tra gli ordinamenti giuridici (civil law e common law), che
rendono le applicazioni non sempre adattabili a diversi contesti normativi;
• le norme sulla tracciabilità dei pagamenti;
• le prassi e le dotazioni informatiche in essere.
Le attività d’interesse del notariato con riferimento all’applicazione dei
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sistemi di blockchain si sono concentrate su:
1. analisi di applicazioni innovative in diversi settori economici che, grazie
allo sviluppo delle applicazioni telematiche, richiedono procedure che
prevedono la registrazione di atti da parte di diversi soggetti qualificati,
dotati di poteri autonomi di registrazione. In questo contesto nasce la
necessità della condivisone di informazioni non privando i soggetti delle
proprie autonomie e prerogative relativamente ai poteri di registrazione.
Sono applicazioni per cui non è previsto dalla norma un registro unico;
2. la funzione notarile nello sviluppo di attività basate su smart contract.
Le proposte sono state analizzate con contatti diretti con operatori del settore
informatico e con potenziali Enti interessati.
Le attività svolte si possono classificare in tre principali filoni:
a) albo unico dei professionisti. Il progetto in fase realizzazione è basato
su una rete di nodi autonomi operanti in blockchain, gestiti dai singoli
ordini professionali. Tale progetto, approvato dal CNN, è svolto sotto la
guida della Commissione Informatica, che ha dato grande impulso per
definire le attività con gli altri o ordini professionali, e dalla Notartel per
quanto attiene alla realizzazione tecnologica. Il progetto è un’efficace
applicazione della realizzazione di un registro tra soggetti qualificati,
che può essere gestito solo mediante meccanismi di condivisione tra
ordini nel rispetto della norma;
b) analisi di proposte innovative provenienti da soggetti operanti nel settore
delle applicazioni della Blockchain. Tale attività è stata condotta
attraverso un hackathon del CNN in cui sono emerse 12 proposte, che
sono in fase di valutazione per l’individuazione di Enti realmente interessati
a partecipare alla realizzazione di nuove applicazioni. Le proposte
di maggiore interesse sono quelle relative alla possibilità di un ruolo
attivo dei notai nella gestione ed esecuzione degli smart contract e di
supporto alla tracciabilità dei pagamenti elettronici;
c) studio di proposte di attività sperimentali con qualificate aziende del
settore informatico (IBM e SAP). I progetti sono stati analizzati in termini
di definizione di nuove applicazioni rilevanti per il ruolo notarile,
subordinando l’attuazione dei progetti: alla reale disponibilità di coinvolgimento
di altri Enti, interessati alle applicazioni, alla partecipazione
a sistemi di registrazione operanti in blockchain, all’analisi dei costi e
dell’impatto tecnologico sulle infrastrutture informatiche del notariato.
Tali attività sono state condotte mediante incontri (Design Thinking) nei
quali il Notariato ha avuto modo di essere protagonista, proprio nella specificazione
delle possibili applicazioni con i relativi vincoli normativi di grande
interesse anche per le aziende, che non avevano tali specifiche competenze
nei loro gruppi di lavoro.
Le proposte analizzate con IBM sono relative all’esecuzione e alla gestione
dell’intero fenomeno successorio nel quale il Notaio svolge un ruolo essenziale
e al deposito di opere d’ingegno con il possibile collegamento a smart
contract per la definizione di rapporti relativi allo sfruttamento dei diritti
d’autore. Questa seconda proposta ridefinisce quella precedentemente svi-
luppata con la collaborazione della stessa IBM. In questo caso le parti, a
seguito di un confronto, hanno condiviso la necessità di riformulare il progetto
iniziale negli obiettivi e nelle specifiche, riservandosi successivamente
di valutare gli aspetti implementativi alla luce delle possibilità di coinvolgimento
degli altri partecipanti alla blockchain e alle preesistenze del notariato,
così come anche rappresentato dai partecipanti agli incontri e dalla
Notartel.
La proposta analizzata con SAP è relativa al reperimento della
documentazione per la formulazione di un atto e alle possibilità di interazione
con le compagnie pubbliche (acqua, luce, gas, tassa rifiuti) per la gestione
degli adempimenti successivi alla stipula di un atto di compravendita.
Inoltre il notariato tutto dovrà muovere verso la gestione dell’attività
in rete attraverso iniziative come quelle dei registri sussidiari. Lo scopo
pratico dell’istituzione dei registri sussidiari (in fase iniziale quelli delle
Designazioni degli amministratori di sostegno, dei testamenti olografi fiduciariamente
depositati, e delle procure generali, ma la disponibilità del notariato
in materia di registro pubblico delle DAT è parte di tale strategia), in
funzione di un interesse generale, è quello di consentire la reperibilità di
documenti necessari in momenti delicati delle vite delle persone. Lo sviluppo
di tali registri è stato sinora frenato dalla necessità di un definitivo chiarimento
con il Garante Privacy, e si spera di poter giungere ad una soluzione
che consenta lo sviluppo di servizi di sicuro interesse pubblico.
Cardini dell’iniziativa sui registri pubblici sussidiari sono da una
parte la presenza di un sistema centralizzato e controllato lì dove manca
l’intervento diretto dello Stato, dall’altra la garanzia della qualità del dato
inserito attraverso il notaio. L’affidabilità di qualunque registro, infatti,
dipende dalla qualità e attendibilità di chi lo gestisce e di chi lo alimenta, a
partire dalla identificabilità per arrivare all’attribuzione di pubbliche funzioni
o pubblici poteri. Per questo è necessaria una funzione di controllo e
garanzia da parte di soggetti che siano terzi e non attori del sistema, ed in
questo contesto si inquadra un ruolo tecnologicamente evoluto del notaio.
I risultati positivi sono attesi in termini di:
sicurezza: risponde a questa esigenza il registro delle procure e delle
relative revoche. Il registro conterrà, quanto meno nella prima fase, le sole
procure generali. Si tratta di atti per i quali non esiste un sistema di conoscibilità
legale, ma per i quali è previsto un onere di conoscenza;
fiducia e conoscibilità da parte dei cittadini e di alcuni altri soggetti
qualificati (es. magistrati) di informazioni e documenti oggi difficilmente
reperibili: testamenti olografi, designazioni di amministratore di sostegno
ricevuta dai notai mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata ai
sensi dell’art. 408 c.c.; per entrambe queste ipotesi attualmente non vi è
alcuna forma di pubblicità;
valorizzazione della funzione del notaio come centro di servizi per il
cittadino e come garante della conservazione di dati ed informazioni.
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ACCESSO ALLA PROFESSIONE
E SUE PROSPETTIVE
Angelo Nigro
(Notaio in Olevano Romano - Roma)
Il mio intervento riguarderà riflessioni e proposte di riforma per l’accesso
alla Professione da intendere in senso ampio e non semplicisticamente
riferite al concorso. Impegnato sempre a riflettere sulle sfide che ogni giorno
occorre affrontare per rispondere alle aspettative della società, il Notariato
è chiamato oggi ad affrontare e a interrogarsi sul tema esistenzialmente più
importante qual è la formazione dei Notai di domani.
Il Notaio Angelo Nigro
La mutazione genetica dell’aspirante Notaio.
L’animale concorsuale, “meccanicamente” e “ in termini di casistica”
più pronto a rimanere in pista nei fatidici tre giorni, ha sviluppato capacità
tali da superare ostacoli quali case mobili o comparenti che parlano solo in
dialetto, divisioni senza la presenza di tutti i condividenti, giusto per citare
qualche recente esempio.
Sarebbe a mio avviso tuttavia opportuno chiedersi se abbia una
proporzionale e matura consapevolezza del ruolo che è chiamato a svolgere
il solo minuto dopo avere ottenuto il sigillo.
Se abbia la consapevolezza che il Notariato è una categoria professionale
talmente particolare per funzioni e ruolo che l’operare quotidiano di
ciascuno dei suoi componenti, nel bene e nel male, riguarderà tutti coloro
che ne fanno parte.
Se nei momenti, tanti, in cui viene assalito da dubbi e incertezze
abbia la possibilità di confrontarsi con chi si è fatto carico della sua formazione
oppure se ritenga preferibile, forse per assenza di alternative, porre
qualsiasi tipo di domanda in ambienti “social” talmente “smart” da ridurre
spesso il tutto ad un “like”.
Cosa si vuole per il Notariato?
Quale tipo di percorso formativo si ritiene più utile proporre per il
Notariato del domani?
Chi si occupa di formazione deve solo limitarsi a fare da navigatore
al concorrente/pilota anticipando quali birilli potrebbe trovare sul percorso
ad ostacoli dei tre giorni oppure dovrebbe proporre percorsi di preparazione
teorica sì ma nel contempo assolutamente agganciati a quella che sarà la
realtà della professione con cui l’allievo sarà chiamato a confrontarsi fin dal
primo giorno di esercizio e quindi, necessariamente, orientati anche all’insegnamento
della materia deontologica?
Io credo che ormai non sia più rinviabile il confronto con quella corrente
di pensiero, radicata purtroppo sempre più negli aspiranti notai e
spesso avallata e alimentata da alcuni corsi di preparazione, secondo cui il
superamento del concorso notarile possa prescindere da qualsiasi ancoraggio
alla realtà professionale.
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A me sembra che l'articolo 5 comma 6 bis della legge 89/1913 riguardante
l’obbligo di tirocinio post superamento del concorso sia stato esso stesso
un’ammissione di colpa.
A chi è rivolto infatti il Tirocinio se non al vincitore di concorso che
abbia frequentato poco o nulla uno studio Notarile per la prescritta pratica?
Non s’intende con ciò assolutamente discutere della preparazione
dei colleghi i quali scelgono fin dal primo giorno di esercitare poco o molto
poco la Professione Notarile e di dedicarsi, invece, all’organizzazione di corsi
privati di preparazione. Tra birilli e purtroppo, anche in questo caso, assenze
di comparenti che vorremmo interessati all’argomento, a questi colleghi
va di certo riconosciuta una notevole capacità organizzativa accompagnata
da arguzia imprenditoriale.
Non s’intende neanche giudicare che ciò lo si faccia appunto a pagamento
con un giro di affari presumibilmente di sensibile rilevanza - sebbene
qualche imbarazzo e riflessione autocritica in termini previdenziali da parte
di questi maestri delle nuove generazioni non sarebbe del tutto fuori luogo
– credo invece che sia arrivato il momento di essere chiari su quale sentiero
si intenda incamminarsi.
Osservare impassibili questa realtà senza fare una necessaria
riflessione non giova di certo al futuro del Notariato.
In altri termini è dalla visione che si vuole dare del Notariato a partire
dal suo accesso che occorrerebbe partire.
Un Notariato che s’interroghi giustamente sul suo futuro ma che
con pari attenzione non indaghi quale possa essere il suo nuovo punto di
partenza risulterebbe comunque un Notariato miope con la possibile conseguenza
che esso diventi sempre più una scelta praticata da chi ha alle spalle
un’azienda Notarile familiare o da chi, senza falsi moralismi e ipocrisie,
possa rendersi cessionario di uno studio già avviato oppure, cosa ancor meno
augurabile, da chi ritenga un obiettivo verso cui mirare quello di farsi assumere
da studi avviati e molto strutturati magari inseriti in realtà associative
notarili di cui tanto si parla ma che, in assenza di adeguata regolamentazione,
potrebbero fare l’occhiolino al modello “Airbnb” contribuendo a stravolgere
il tessuto umano-professionale notarile.
In occasione di questo confronto per il quale mi sembra giusto e
doveroso ringraziare il Consiglio di Amministrazione della Cassa Nazionale
del Notariato è stato chiesto di produrre proposte evitando inutili lamentele
sempre poco costruttive.
Sull’argomento quindi mi permetto di portare all’attenzione riflessioni
e proposte frutto di molte ore impiegate insieme a tanti colleghi, esercenti
quotidianamente la professione notarile, che testardamente continuano
a credere nel ruolo fondamentale che le scuole di preparazione “istituzionali”
potrebbero e dovrebbero avere durante la formazione del candidato
notaio.
Nel più ampio processo di Riforma dell’accesso alla professione, le
scuole istituzionali potrebbero ben assumere un ruolo determinante quali
tutor certificatori di un compiuto percorso formativo propedeutico alla par-
139
tecipazione al concorso.
Potrebbe immaginarsi un percorso di formazione professionale in cui non
solo la pratica ma anche la frequenza di un corso scolastico istituzionale sia
certificato con previsione del “libretto del praticante”. Di seguito una proposta
operativa di riforma:
1 Al momento dell’iscrizione presso il Consiglio Notarile competente nel
Registro dei Praticanti, verrebbe consegnato al praticante il “libretto
della pratica” valido per i 18 mesi già prescritti dalla legge.
2 Il “libretto della pratica” dovrebbe contenere mese per mese durante i
18 mesi di pratica l’indicazione delle attività di studio compiute.
3 Il praticante dovrebbe conseguire, durate i 18 mesi di pratica, un numero
di crediti formativi da stabilire indispensabile per poter ottenere il
certificato definitivo di compiuta pratica che quindi non deriverà unicamente
dalla corretta certificazione bimestrale della compiuta pratica
ma anche dal raggiungimento del punteggio minimo da stabilire di crediti
formativi.
4 In ipotesi di mancata raggiungimento del punteggio minimo da stabilire
di crediti formativi, si potrebbe prevedere il prolungamento del periodo
di pratica (minimo per un bimestre) fino al raggiungimento almeno del
minimo previsto.
5 Le attività svolte durante il periodo di pratica andrebbero annotate dal
praticante nel “libretto della pratica”, corredate dalle relative attestazioni
di cui in seguito al fine del conteggio dei crediti formativi.
6 Le attestazioni delle attività compiute con conseguente riconoscimento
di crediti formativi potrebbero essere le seguenti:
a) attestazione del Notaio circa l’effettiva frequenza in studio per un
minimo di ore settimanali da stabilirsi;
b) attestazione del Notaio che certifichi il profitto del praticante in relazione
all’attività dello studio da un minimo ad un massimo di punti
da stabilirsi;
c) attestato di frequenza dei corsi di studio istituiti presso le Scuole
Istituzionali del Notariato per un minimo di un anno con riconoscimento
di punti da stabilire in ragione di un numero di punti per ciascun
anno;
d) attestato di partecipazione a convegni e giornate di studi (a cui il praticante
potrà partecipare sempre gratuitamente) organizzati da
organismi istituzionali del notariato con riconoscimento di un numero
di punti da stabilire uguale per ogni partecipazione e relativo
accreditamento ad opera dall’organismo organizzatore.
Con riferimento ai punti a) e b) e in alternativa a quanto in essi indicato,
il compito di avere praticanti in giro per il proprio studio e di “certificarne”
la frequentazione, compito spesso percepito come gravoso da parte di
tanti notai, potrebbe essere assunto dalle medesime scuole istituzionali previa
frequentazione da parte del praticante di appositi “corsi - laboratorio”
che le stesse scuole, a mezzo dei propri docenti, potrebbero assumersi il compito
di organizzare.
140
L’Inno Nazionale ad apertura dei lavori del convegno
Concludo con una riflessione basata sulla mia esperienza maturata
nel corso di questi anni a più vario titolo (prima come allievo poi come docente
infine come componente del Direttivo di una scuola istituzionale):
nelle scuole dei consigli Notarili l’incontro tra docenti di diverse
generazioni, di diversa sensibilità giuridica ed esperienza produce un circuito
virtuoso il cui valore, spesso poco considerato, rappresenta un vantaggio
non solo per gli allievi ma per l’intera categoria che - anche grazie a queste
scelte di campo - potrebbe riappropriarsi di una propria identità
Professionale in cui riconoscersi e da custodire ancor prima del sigillo.
Il testo di una canzone che mi piace sempre ricordare nelle occasioni, sempre
troppo poche, in cui si parla di futuro del notariato recita:
“La storia siamo noi, attenzione nessuno si senta escluso”
141
QUALI SERVIZI PER QUALI NOTAI
Adele Raiola
(Notaio in Milano)
Il Notaio Adele Raiola
Le relazioni e gli interventi della sessione mattutina hanno evidenziato
come sia cambiata la società in cui viviamo, nonché come questo
inarrestabile processo di evoluzione avanzi a velocità sostenuta.
Il cambiamento è progresso ed innovazione e rifiutare il cambiamento
sarebbe da miopi.
L’evoluzione a cui assistiamo potrebbe rischiare di travolgerci se decidiamo
di rimanere fermi e di non accettare questa sfida.
Dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che non possiamo pensare
di arrestare questo processo, non possiamo fermare il cambiamento,
bensì dobbiamo cambiare noi stessi. “Dobbiamo diventare il cambiamento
che vogliamo vedere.”
E allora dobbiamo interrogarci e chiederci quali notai dovremmo essere?
Come conservare il ruolo e l’autorevolezza della nostra funzione?
I diversi argomenti analizzati dai colleghi sono sicuramente notevoli;
rappresentano, difatti, gli ingredienti necessari per creare la ricetta del
ruolo del notaio nei prossimi anni.
Tuttavia, a mio avviso, l’elevata specializzazione e le competenze richieste
nel settore informatico ed internazionale non possono bastare.
Dobbiamo interpretare la realtà e capire la società in quale direzione va.
Dobbiamo cogliere le nuove esigenze della collettività.
Il ruolo del notaio è stato, senza dubbio, scalfito dall’ingombrante presenza
di altri professionisti che, spinti anche dal momento storico di crisi,
cavalcando l’onda del malcontento, aiutati da interventi legislativi e proposte
di riforma, hanno compiuto un’invasione di campo, cercando di far
confinare il nostro ruolo a livelli marginali, alimentando i pregiudizi presenti
quanto meno nel sentire comune.
Al contrario è indispensabile superare tali luoghi comuni ed essere percepiti,
così come realmente siamo stati e continuiamo ad essere, indispensabili
al processo di un futuro che non sacrifichi i diritti e questo
anche e soprattutto nella digitalizzazione. Ovviamente, in quest’ottica
fondamentale è la comunicazione con i clienti, attraverso il contatto
diretto e l’ascolto che ci contraddistinguono.
Il ruolo del notaio è indiscutibilmente cambiato rispetto alla Legge del
1913, ma non per questo è diventato, ai nostri giorni, meno importante.
Anzi, l’aumento dell’uso della tecnologia e degli strumenti informatici
rende, di fatto, necessario e rilevante l’intervento di una figura come
quella del notaio che assuma le vesti di un filtro interpretativo, e cioè
quelle di un soggetto che, dotato di alte competenze specifiche, attraverso
lo strumento informatico, si renda mediatore tra le specifiche esigenze e
i diversi interessi in gioco, da un lato, e le norme generali e astratte,
142
dall’altro lato.
Inoltre, non deve pensarsi che la digitalizzazione renda meno importante
l’atto pubblico notarile. Tutt’altro. Ancora più che in passato, in un contesto
come quello attuale di dematerializzazione dei documenti, si avverte
la necessità dell’atto pubblico notarile in quanto in grado
di conferire quella certezza documentale che non può essere
garantita dal web, in considerazione della struttura
delle reti telematiche e della facilità del loro accesso.
Si avverte, così, l’esigenza di un interprete imparziale, di
un mediatore tra le dinamiche dei fatti e il diritto, sempre
in continua evoluzione.
Uscendo fuori dal mondo del diritto, basti pensare che una
delle più grandi aziende mondiali, Facebook, che ha fondato
tutta la sua essenza sul mondo del digitale, si è dovuta
ricredere e ha affidato a delle persone, in particolare alla
figura professionale del Community Moderator, il controllo
dei contenuti dei post sulle singole bacheche, in quanto ha
avuto modo di constatare che la medesima attività demandata
ai computer, sulla base di automatismi e algoritmi
preimpostati, non è stata in grado di dare la stessa garanzia,
in quanto talvolta sono sfuggite a detto controllo alcune
parole o frasi che non potevano essere tradotte in un
mero codice binario.
Allo stesso modo, il notaio si pone quale mediatore tra le
mutevoli istanze della società e i principi astratti, tra la
volontà delle parti e il testo legislativo, assumendo in alcuni
casi un ruolo da protagonista nella costruzione della
soluzione negoziale.
Di fronte ai bisogni nuovi della realtà contemporanea in
continuo cambiamento, il notaio, bilanciando e componendo
i diversi interessi in conflitto, può trovare la soluzione tecnica adeguata
alle situazioni concrete, addirittura arrivando a svolgere il ruolo di
creatore del diritto, proprio come è avvenuto con alcuni istituti poi tipizzati
dal Legislatore, come per il caso del rent to buy.
Il notaio giacché è calato nella realtà del vivere quotidiano, è in grado di
intercettare le istanze della società e di fornire, altresì, soluzioni adeguate
ai problemi che gli si rappresentano, essendo, in questo senso, “un
passo avanti” rispetto al Legislatore.
Ciò soprattutto in considerazione del fatto che in una società, come la
nostra, incentrata sulla prestazione di servizi, le professioni sono oramai
sempre più proiettate verso la consulenza. E noi possiamo essere, più degli
altri, in grado di fornire una consulenza altamente qualificata, che sia tale
da farci distinguere all’interno di un panorama così vasto e affollato di professionisti;
compito nostro nei nostri studi ma anche dei nostri organi rappresentativi
sarà quello di far conoscere e percepire tutto questo come valore
aggiunto che proprio per questo deve essere adeguatamente retribuito.
Da sinistra: i Notai Mistretta, Raiola,
Liotta, Broccoli, Del Freo e Nastri
143
IL VALORE DELLA MEMORIA
Grazia Buta
(Segretario Consigliere della Cassa Nazionale del Notariato)
Il Notaio Grazia Buta
La Cassa Nazionale del Notariato, istituita con R.D. del 9 novembre
1919, festeggia quest’anno il suo centenario, un anniversario davvero
significativo per la nostra categoria, che celebra l’origine del nostro sistema
previdenziale, nato da un’idea di “mutuo soccorso” tra i Notai d’Italia
e da sempre caratterizzato da un forte spirito di solidarietà.
Ma perché ricordare? E perché ricordare un fatto lontano nel tempo?
Domande di fronte alle quali ci pone il tema della ricorrenza: l’uomo ha
sempre portato sulle proprie spalle il ricordo e il peso del passato, non
potendolo cancellare dal proprio presente.
Se spesso ci interroghiamo sul nostro futuro e sui cambiamenti che la
tecnologia e la rivoluzione digitale hanno portato nelle nostre vite e
nella nostra professione, non meno importante è l’attenzione al passato,
perché la memoria riveste un ruolo di primaria importanza nello sviluppo,
nel progresso e nel progetto per il futuro.
Il legame che intratteniamo con la nostra memoria fonda l’idea stessa
che abbiamo della storia, che spinge ognuno di noi a comprendere il passato
e di conseguenza il presente, perché i luoghi del passato rappresentano
una vasta esperienza delle varietà umane, un luogo di incontro
degli uomini. Senza il passato non potremmo costruire alcun presente e,
di conseguenza, alcun futuro, perché privi delle basi necessarie. Sarebbe
come costruire una casa, senza aver prima edificato solide fondamenta.
Uno dei più grandi filosofi del ‘900, Martin Heidegger, definisce “storicità
autentica” l’assunzione dell’eredità del passato, la ripresa volontaria e
consapevole delle possibilità tramandate, senza però commettere l’errore
di cadere in una inutile restaurazione di ciò che è già stato. Heidegger
invita alla consapevolezza di dover determinare noi stessi partendo da
chi eravamo e costruendo su basi soggettive la nostra vita futura: unica
via per non ‘scadere nel presente’.
Non è quindi possibile sciogliere il tema delle ricorrenze da quello della
memoria. Tanti sono gli eventi che vengono celebrati, eppure sono niente
rispetto a quelli che cadono nell’oblio della storia. Allora ricordare e
dimenticare appaiono legati a doppio filo: l’oblio del proprio passato
modifica l’identità di un popolo, plasmata non solo dal patrimonio di
memorie ereditato, ma anche da quanto si dimentica o si è obbligati a
dimenticare.
Cosa, quindi, illumina i fatti del passato che sfuggono all’oblio del trascorrere
del tempo? Il significato che NOI attribuiamo ai fatti stessi.
Possiamo considerare le ricorrenze come la periodica “liturgia” di un
gruppo che si riconosce nel valore attribuito ad un evento.
Sono molti gli anniversari di grande importanza che cadono in questo
anno. Per tutti, 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, artista, inge-
144
gnere, scienziato, genio dalla creatività inesauribile; 100 anni dalla
nascita di Primo Levi, il quale, con la consapevolezza del grande pensatore,
esortava a considerare l’Olocausto come ‘una pagina del libro
dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria’;
90 anni dalla nascita di Anna Frank, il cui diario è divenuto uno
degli strumenti più potenti ed importanti della memoria di ciò che è stata
la brutalità dell’Olocausto e della guerra; 50 anni dalla strage di Piazza
Fontana, 40 anni dagli omicidi del giudice Emilio Alessandrini e
dell’Avv. Giorgio Ambrosoli, 80 anni dalla nascita di Giovanni Falcone,
che ci ricordano gli anni bui del terrorismo e le stragi di mafia; 30 anni
dalla caduta del muro di Berlino, che segna la fine della Guerra Fredda;
e ancora 30 anni dalla nascita del web, che ha portato un profondo cambiamento
in ogni settore della nostra società, rivoluzionando per sempre
l’accesso all’informazione; e infine 100 anni dalla istituzione della nostra
Cassa Nazionale del Notariato, prima Cassa di Previdenza di professionisti,
che, dall’idea innovativa e rivoluzionaria per l’epoca di alcuni
Colleghi di fornire uno strumento di sostegno ai Notai in difficoltà, ha
creato le basi per la nascita della previdenza professionale.
E nel nostro Centenario, che ha a cuore il valore della legalità e della
memoria, tutti questi argomenti, creatività e genio artistico e scientifico,
legalità “ferita” da leggi razziali,
Olocausto, omicidi di magistrati
e uomini che hanno sacrificato la
loro vita a servizio del nostro
Paese, terrorismo, globalizzazione,
rivoluzione digitale, appaiono
in qualche modo legati tra
loro: sono segni di un tempo che
sentiamo ancora importante, che
ci riguarda nel profondo, che va
ricordato per trasmettere ai più
giovani un patrimonio di memorie,
in cui identificarsi e riconoscersi,
senza ripetere gli errori
del passato.
In questa età dell’iperconnessione
e dell’informazione veloce e
spesso superficiale, il senso di
questa celebrazione degli anniversari e delle ricorrenze va inteso, pertanto,
non come sguardo nostalgico al passato, ma come orientamento e
responsabilità per la costruzione del futuro. Ecco allora che risuonano
come un avvertimento le parole del premio Nobel per la letteratura José
Saramago, “noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci
assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse
non meritiamo di esistere”.
E se algoritmi, tecnologia e intelligenza artificiale vanno studiati ed ana-
145
146
lizzati per governare il cambiamento e l’evoluzione, senza esserne travolti,
la conoscenza della storia, la bellezza dell’arte e della creatività
umana, l’insegnamento che ci deriva da avvenimenti lontani nel tempo
ci consentono di costruire la nostra identità di cittadini consapevoli e
responsabili.
Memoria e storia costituiscono il nostro presente, rafforzano il profilo
“passionale” della nostra “identità collettiva”; la conoscenza del nostro
passato e delle ragioni che hanno fondato le nostre scelte ci permette,
come Notai, di rafforzare quel senso di appartenenza alla categoria e ai
suoi valori di solidarietà, legalità e imparzialità che sono stati alla base
della nascita della nostra Cassa e del sistema previdenziale, consolidando
l’unità della categoria, per consentirci di affrontare le sfide dei prossimi
cento anni, con il contributo di autorevolezza, competenza e prestigio
che il Notariato ha sempre garantito alla società.
LA CASSA: IL PASSATO CHE SI FA
FUTURO
Francesco Giambattista Nardone
(Presidente della Cassa Nazionale del Notariato)
Il 9 novembre 1919, a pochi anni di distanza dall’emanazione della
legge sull’ordinamento del notariato, fu promulgato il Regio Decreto
Legge istitutivo della Cassa Nazionale del Notariato che attuava un progetto
unico nella storia delle professioni e fortemente innovativo perché
prevedeva (e prevede tutt’ora) un sostegno diretto al reddito dei Notai
con integrazione degli onorari percepiti.
Celebrare la sua nascita non deve assumere una connotazione nostalgica,
tutt’altro. Deve essere l’occasione per interrogarsi sugli strumenti con
cui affrontiamo il presente e costruiamo il futuro perché non si può
costruire il suo futuro, senza memoria di quanto di grande e giusto abbiamo
ereditato da chi ci ha preceduto.
Se oggi la Cassa è quella Istituzione che noi tutti ben conosciamo lo dobbiamo
a quei colleghi che, animati da un grande spirito di solidarietà
umana, lottarono per ottenerne l’istituzione. La sua istituzione rappresentò
una conquista non tanto di carattere economico quanto di alto valore
morale. Fu anche una straordinaria iniziativa di avanguardia sul
piano sociale e un’opera di grande generosità perché la solidarietà che
oggi appare del tutto ovvia rientrando, nelle sue declinazioni dell’assistenza
e della previdenza, fra i compiti dello Stato, cento anni fa non lo
era affatto.
L’impostazione solidaristica costituisce l’anima del nostro sistema
previdenziale e rappresenta in maniera sintetica il ruolo del notaio,
la sua funzione identica in tutto il territorio, la sua vicinanza e appartenenza
allo Stato, e si erge a difesa della pubblica funzione, dell’autonomia
e dell’indipendenza dei notai. Perdere il senso di questa solidarietà
e di questa unità significa dimenticare la nostra storia e la nostra identità
e non ci aiuta ad orientarci in un futuro che dobbiamo affrontare, con
apertura a cambiamento e innovazioni, ma tenendo presenti le nostre
connotazioni essenziali e i valori di cui siamo portatori.
Il Notaio Francesco Giambattista Nardone
In questo secolo di vita la Cassa ha sempre rispettato il progetto originario
e, nonostante i periodi di crisi, che pure ha dovuto affrontare, ha
avuto la capacità di adeguare nel corso del tempo le proprie attività alle
diverse condizioni e alle esigenze che via via cambiavano. Se analizziamo
le prestazioni che oggi vengono erogate nel campo previdenziale e in
quello assistenziale ci rendiamo conto di come la Cassa nel corso di questi
lunghi anni sia stata capace di migliorare continuamente l’intuizione
iniziale adattandola ai tempi nuovi. E questa capacità di adattamento
non può che rappresentare “l’occhiale” che anche noi amministratori di
oggi dobbiamo indossare per disegnare il futuro.
147
Viviamo in un tempo di trasformazioni straordinarie che si susseguono
a un ritmo davvero incalzante: si modificano i bisogni, cambiano
le esigenze. Decifrare la nostra contradditoria contemporaneità e capire
meglio il senso e la direzione dei cambiamenti non è certo facile ma in
ogni caso i cambiamenti vanno letti attentamente perché possono rappresentare
un’opportunità soprattutto per i più giovani che, giustamente,
hanno più desiderio di futuro ma anche maggiori preoccupazioni
Negli ultimi venti anni il Notariato ha vissuto una stagione difficile a
causa del susseguirsi di provvedimenti legislativi che, volendo liberalizzare
e semplificare per rilanciare l’economia, sono intervenuti pesantemente
sul mondo delle libere professioni e hanno inciso in modo significativo
sulla funzione notarile (sottrazione di alcune competenze, eliminazione
della tariffa, aumento del numero dei notai) e sulla previdenza
notarile; il tutto inserito in un contesto di crisi economica senza precedenti
per gravità e durata che ha causato, tra l’altro, una decisa riduzione
dei redditi della categoria notarile e delle entrate contributive, conseguenza
questa che ha costretto la Cassa ad adottare misure non indolori
per i notai ma necessarie per il mantenimento dell’equilibrio gestionale.
Il tema della previdenza notarile è sempre di grandissima attualità
e rilevanza.
Alla nostra Cassa sono riconosciute solidità economica, efficienza della
gestione, stabilità finanziaria sia nel breve che nel lungo periodo, bilanci
in regola; gli addetti ai lavori ci assicurano che non vi sono motivi di
apprensione circa la sostenibilità della nostra previdenza.
Ma i dati economici che conosciamo, nonostante la positiva inversione di
tendenza registrata nell’ultimo quadriennio, ci devono suggerire di mantenere
alta l’attenzione e di non abbassare la guardia. La sicurezza assoluta
circa il futuro non esiste, così come non esiste in alcun settore della
nostra società e sarebbe presunzione sostenere che tutto andrà sempre
bene o addirittura meglio per la nostra Cassa.
La politica previdenziale della Cassa è esposta a rischi di natura demografica
(longevità e aumento degli attivi), di natura economica (diminuzione
delle contribuzioni) e di natura finanziaria (andamento sfavorevole
dei mercati, rischio di tasso di interesse, rischio derivante dal disallineamento
tra scadenze future delle attività e delle passività). Per fronteggiare
gli effetti dei rischi cui è esposta, la Cassa ha realizzato nel tempo
diversi interventi: a sostegno delle entrate ha aumentato l’aliquota contributiva,
a contenimento delle uscite ha bloccato la perequazione pensionistica,
ha modificato le modalità di erogazione dell’indennità di cessazione,
ha contenuto i costi assistenziali, ha innalzato l’età pensionabile e
nell’ambito della gestione del proprio portafoglio si è dotata di una struttura
di asset-liability management.
È innegabile che a seguito dell’azionamento di queste leve il
148
sistema previdenziale notarile è stato messo in sicurezza ma oggi non
possiamo limitarci a constatare tale situazione, dobbiamo iniziare a
ragionare insieme, con coraggio e senza preconcetti, del nostro futuro
previdenziale per modificarlo, se necessario, per migliorarlo, se possibile.
L’obiettivo che connota l’impegno degli amministratori è di conservare
una Cassa sempre più forte e impermeabile ai diversi attacchi esterni. In
questo percorso il Notariato deve essere non solo presente ma anche partecipare
ai problemi senza paura di indicare soluzioni. La prima forza e
motore di un Ente è, infatti, la convinta anche se, talvolta, critica partecipazione
dei propri iscritti e la conoscenza e consapevolezza da parte
loro dei problemi e della realtà della Cassa.
Iniziamo il secondo secolo di vita della Cassa con coerenza, forte
determinazione e tenacia, convinti che la Cassa continuerà a contribuire
al processo di evoluzione del Notariato, che riuscirà ad adeguare le sue
politiche alle esigenze e ai bisogni di una società in continuo e rapido
cambiamento nelle sue condizioni sociali, economiche e culturali, che,
come per il passato, trovi la forza e l’energia per affrontare e superare
momenti difficili e dimostri, anche nell’emergenza, la sua capacità di realizzare
progetti sociali, economici, solidali di ampio respiro e innovativi
per il futuro previdenziale dei notai.
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150
IL BOLLETTINO:
OFFICINA DI IDEE
E DI INFORMAZIONI
Alessandro de Donato
(Direttore del Bollettino)
Il Bollettino della Cassa Nazionale del Notariato nasce nel 2005 come
“notiziario di informazione dei servizi offerti alla categoria e delle attività
svolte dalla Cassa nell’interesse degli iscritti, trattando argomenti attinenti
ai fini per i quali venne istituito l’Ente” (D.A. Zotta), con cadenza trimestrale.
Il primo Direttore Responsabile è stato il Notaio Domenico Antonio
Zotta; dal 2007 (n. 3/2007) ho assunto io la carica di Direttore Responsabile.
Nel corso degli anni sono stati nominati nel Comitato di Redazione vari
Notai, i cui nominativi sono elencati in calce al presente intervento; il
Comitato di Redazione si è avvalso della preziosa collaborazione dei giornalisti
Franco Albanese e Gianfranco Astori (consulenti editoriali), ai quali
devo quel po’ di “mestiere” che ho appreso.
Nei vari numeri sono presenti le vignette dalla bellezza, non facile
né immediata, “inintenzionale” del notaio Salvatore La Rosa (Toto).
Nell’articolo di presentazione dell’iniziativa editoriale il Notaio Adriano
Crispolti (Coordinatore della Commissione Rapporti esterni, immagine e
comunicazione) ha spiegato la scelta non casuale del nome: il termine “bollettino”,
giornalisticamente umile, è parso “il più appropriato ad evidenziare
il carattere informativo del periodico”; non una vera e propria rivista, ma
una struttura comunicativa tesa ad avvicinare amministratori ed amministrati.
Il linguaggio oggi, rispetto al passato, richiede l’utilizzazione di
spartiti differenti sempre tuttavia in armonia con il messaggio che si intende
trasferire; la complessità dei dati ed il flusso di notizie, in campo previdenziale,
richiedono inevitabilmente che si articoli un argine alla confusa
tendenza a semplificare della comunicazione digitale.
La grande tela di ragno che ci avvolge (M. McLuhan) può sorreggerci o
annientarci; i codici di ogni rete comunicativa devono essere diretti, trasparenti
e facilmente fruibili; la linearità del linguaggio deve essere sostenuta
da ritmo e contenuti.
L’urto comunicativo non ha mai offuscato il flusso narrativo delle parole;
con un metodo che si è rivelato diverso nel tempo, progettato e a volte
casuale, la dimensione del comunicare ha sottratto alla scrittura lo spazio
per immagini, grafici, diagrammi, cercando sempre di saldare astrazione e
concretezza. Il Bollettino ha sempre mantenuto una propria identità; la corporalità
carnale della carta e del segno scritto sono stati non l’emblema di
uno stile, ma una forma di linguaggio auto-significante, una strategia d’uso
per sottrarre alla contingenza dell’attualità il messaggio.
E, così, il nostro piccolo scrigno racchiude memorie e storie; il ricordo,
il mondo di ieri, diventano il luogo stesso della costruzione del futuro e
il destino del nostro “essere” resta plasmato dalla possibilità di un’idea
comune.
Il Notaio Alessandro de Donato
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Se la verità è sempre un rischio, il rischio aumenta con frasi dal forte impatto
emotivo e diminuisce con ragionamenti per convincere.
La scelta dell’immagine che, a lungo, è stata il logo della testata rappresentava,
per simbolo, la cornice strategica della Cassa, custode del nostro futuro,
“con i piedi fissi nella tradizione e lo sguardo rivolto al futuro” (Et la
Providenza regge il timone di noi stessi e da speranza al viver nostro).
La Previdenza come Giano, l’antica divinità romana degli inizi e dei passaggi,
portatore della civiltà, ha due volti che guardano in direzioni opposte: l’inizio
e la fine, il passato ed il futuro.
Ma Ianus è anche il dio del passaggio, che si compie in origine attraverso
una porta (in latino ianua), rappresentando così la coscienza del tempo (E.
Husserl); ed essere nel tempo radicalizza le priorità del futuro e consente di
intrecciare numeri ed emozioni, algoritmi ed ideali.
Il senso primario della temporalità (essere-stato, essere-presente,
futuro) presenta in una visione statica il venire a sè, nel senso di un continuo
diventare sempre se stessi e così del tornare ciclicamente a sè, pur nel
costante variare dei vissuti.
La nostalgia di quelle straordinarie stagioni del passato, dove tutto sembrava
possibile e, in fondo, era possibile, offriva ai giovani Notai, con la sola vittoria
del concorso, opportunità crescenti di lavoro e affermazione professionale.
Ora sono cambiati profondamente non solo i costumi e le modalità di
approccio al lavoro, ma anche il livello condiviso di un comune sentire, con
la convinzione che il mercato e le leve economiche da soli potessero bastare
a metter ordine nelle cose.
Presi dalla spirale dell’incertezza, si è spinti ad esaltare le sole logiche
individuali; un’idea libertario-individualista, senza limiti, che rischia di
generare disordine e sconcerto. Ma la libertà individuale “se non vuol perdersi
nel labirinto che essa stessa costruisce” (G. Simmel), deve vestire l’abito
della responsabilità sociale.
Non può sopravvivere il concetto stesso di Notaio, se non sopravvive il concetto
di Notariato come un insieme di idee e di valori, di immagini, di rappresentazioni,
che costruisce se stesso in modo unitario.
La strada che costruisce il presente e progetta il futuro non può non
partire da una contaminazione di idee e da una condivisone di valori.
Occorre analizzare senza pregiudizi le diffuse criticità, scovare e liberarsi
da illusioni, risentimenti, invidie, per ridiventare ciò che siamo e tornare ad
avere il senso dell’oltre, resistendo al dominio delle cose e dei numeri con la
giusta gerarchia dei valori.
La crisi dei filtri istituzionali di mediazione delle diversità porta a
valutare con prudenza se esista ancora un luogo di composizione di identità
anche non coerenti; il primo passo è rinunziare all’illusione che la salvezza
possa arrivare “da fuori” (K.Kavafis).
L’essenza, la radice umana della nostra previdenza può essere sintetizzata
da un antico auspicio: homo homini deus est (Erasmo da Rotterdam).
Comitato di Redazione del Bollettino
luglio 2005 – maggio 2007
Notaio Domenico Antonio Zotta (Direttore Responsabile)
Notaio Francesco Maria Attaguile
Notaio Paolo Chiaruttini
Notaio Adriano Crispolti
Dott. Valter Pavan
Prof. Franco Albanese
maggio 2007 – maggio 2010
Notaio Alessandro de Donato (Direttore Responsabile)
Notaio Francesco Maria Attaguile
Notaio Paolo Chiaruttini
Notaio Adriano Crispolti
Notaio Salvatore La Rosa
Dott. Valter Pavan
Prof. Franco Albanese
maggio 2010 – maggio 2013
Notaio Alessandro de Donato (Direttore Responsabile)
Notaio Brunella Carriero
Notaio Salvatore La Rosa
Notaio Giuseppe Mammi
Notaio Domenico Antonio Zotta
Dott. Valter Pavan
Prof. Franco Albanese
maggio 2013 – maggio 2016
Notaio Alessandro de Donato (Direttore Responsabile)
Notaio Brunella Carriero
Notaio Giuseppe Mammi
maggio 2016 – maggio 2019
Notaio Alessandro de Donato (Direttore Responsabile)
Notaio Grazia Buta
Notaio Brunella Carriero
Notaio Lauretta Casadei
Comitato di redazione in carica
Notaio Alessandro de Donato (Direttore Responsabile)
Notaio Grazia Buta
Notaio Lauretta Casadei
Notaio Mario Mele
153
MEDAGLIA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Medaglia che il Capo dello Stato
ha voluto destinare, quale suo
premio di rappresentanza, al
Convegno “Futuro, diritti e
globalizzazione asimmetrica”,
promosso in occasione del
Centenario della Cassa
Nazionale del Notariato svoltosi
a Roma il 18 gennaio 2019.
154
IL MONDO PICCOLO
DI UN NOTAIO RURALE
Carlo Carosi
(Notaio)
Il regio notaro Italo D. fu Alvaro era nato e cresciuto in un paese arroccato
lungo una strada statale, poco lontano da un importante valico
dell’Appennino. Un paese come tanti, con l’antica chiesa in stile romanico,
l’oratorio della confraternita, il santuario mariano, l’ufficio postale, la
stazione dei carabinieri, i ruderi delle mura e del castello medievale. Gli
unici divertimenti per la gente di lassù erano costituiti dalle feste patronali
e dalle serate musicali in piazza ad opera del barbiere che suonava il clarinetto,
al quale si univano il medico condotto con il suo mandolino e il droghiere che
era stato da giovane un autentico virtuoso della fisarmonica. Il portalettere,
dotato di una bella voce baritonale, si cimentava spesso nelle più note arie
verdiane. Quando sullo spiazzo usato per il mercato del bestiame veniva
alzato il tendone del circo equestre era una festa per tutti, grandi e piccini.
Se il giro d’Italia passava da quelle parti, la gente accorreva a vedere i girini
arrancare a fatica lungo i tornanti fino al valico. Lungo quella strada si svolgevano
di frequente anche le gare di automobili e la gente accorreva per
vedere sfrecciare fra nuvole di polvere quei bolidi rombanti. Ogni tanto, nelle
sere d’estate, un giovane signore di città veniva sin lassù, sfoggiando la sua
Fiat 501 nuova di zecca, a far visita alla nonna, una nobildonna ottuagenaria
che abitava nella villa di famiglia, in alto sul Poggio, fuori dall’abitato. Il
nipote arrivava accompagnato di solito da ragazze e da amici studenti universitari
che, nel salone della villa, facevano notte con i balli di moda.
Le vicende del campionato di calcio erano vissute un po’ da lontano
perché, per vedere giocare le grandi squadre, bisognava andare allo stadio in
città; però nel terreno di proprietà del santuario era stato ricavato un
campetto ove si svolgevano animati tornei fra i seminaristi ed i giovani dei
dintorni. In quel borgo, Italo aveva cominciato gli studi (“che freddo nelle
aule del seminario minore, e come si battevano i denti, la notte, in quelle
camerate!...”), vi si era fidanzato e poi sposato, e conosceva in pratica tutti i
suoi conterranei. Appassionato di opera lirica, andava spesso in casa del farmacista
che possedeva un grammofono a tromba e alcuni rari dischi di
Caruso.
Un brutto giorno, dopo quasi due anni dall’entrata in guerra, era
stato richiamato alle armi, come sottufficiale degli alpini. Aveva dovuto
abbandonare il lavoro, la moglie Lucia, la piccola Angelica ancora da svezzare,
per vivere la terribile esperienza della guerra in alta montagna a difesa
della patria. Era stato un colpo terribile per lui e per la sua famiglia, rimasta
senza fonti di reddito costretta a sopravvivere con il sussidio militare e l’aiuto
dei parenti e degli amici.
Per fortuna, era arrivata la legge sul Fondo Comune. La bella
notizia gli era giunta mentre si trovava in trincea in un avamposto
sull’Ortigara. Con la posta militare gli era stata recapitata una lettera della
Il Notaio Carlo Carosi
155
156
moglie con una copia del periodico Il Notaro del 15 giugno 1917. Aveva
appreso che gli onorari di tariffa superiori alle 10 lire erano stati aumentati
del 15% e che tale aumento era devoluto per intero alla formazione di un
Fondo comune. Ogni notaio del distretto avrebbe dovuto versare al fondo
anche il 20 % dei propri onorari. Aveva calcolato che, nel suo caso, l’assegno
avrebbe potuto giungere fino ad un massimo di 200 lire al mese: una cifra
modesta, tutto sommato (due dozzine di uova costavano 3 lire e 50, un chilo
di zucchero 3 lire e 20 e un chilo di carne di manzo 10 lire), ma si trattava
comunque di un aiuto provvisorio concesso in tempo di guerra per affrontare
i gravi disagi economici, una forma di associazione obbligatoria alla quale
tutti i notai del distretto avrebbero dovuto aderire contribuendo in proporzione
ai rispettivi repertori. Nel suo distretto, per la verità, c’erano molti
colleghi che, come lui, avevano dei repertori da fame, ma per fortuna non
mancavano, nella città capoluogo, alcuni notai che stipulavano atti di
grande valore e che avrebbero potuto contribuire al Fondo con generosità.
Secondo quanto aveva letto nelle pagine de Il Notaro, l’associazionismo
obbligatorio era un provvedimento avversato dai cd. “plutocrati” della categoria
ma auspicato soprattutto dai notai del Meridione d’Italia e dei centri
rurali periferici, titolari (come lui) di sedi improduttive: veri e propri “proletari
del Notariato”.
Ritornato a casa, dopo la fine della guerra, aveva dovuto ricominciare
da capo a prendere contatto con la clientela, anche se la cosa gli era costata
molta fatica a causa dei tanti cambiamenti che vi erano stati nella società. I
traffici rimanevano molto scarsi. Alcuni suoi ex clienti benestanti si rivolgevano
ormai ai notai della città, anche a costo di fare ore di strada polverosa
per scendere con ampi tornanti verso la pianura, perché pensavano che in
città, come erano più alte le case, così fossero più alti gli intelletti dei professionisti.
Ma soprattutto quello che incideva negativamente era l’inflazione. Il
costo della vita si era quadruplicato rispetto a quello di anteguerra, mentre
le tariffe erano rimaste in sostanza quelle del 1913, e gli atti annotati ogni
mese a repertorio dal nostro notaio si contavano sulle dita di una mano.
La risorsa del Fondo comune, nel suo distretto, si era rivelata illusoria dal
momento che erogava cifre del tutto insufficienti ad assicurare una vita dignitosa.
Sperava che fossero presi provvedimenti urgenti ed era molto preoccupato
perché, in caso contrario, la famiglia si sarebbe trovata a mal partito:
un chilo di zucchero costava adesso 4 lire e 90 e un chilo di carne di manzo
11 lire. Gli atti annotati a repertorio erano sempre più scarsi: soltanto
qualche compravendita di terreni per lo più boschivi di scarso valore. Non
era possibile andare avanti con le misere somme provenienti dal Fondo
comune del suo distretto, alimentato in pratica soltanto dai versamenti dei
colleghi esercenti in città.
Quando qualche collega gli faceva osservare che con la legge del ’13
non c’era più l’obbligo di rimanere ancorato alla propria sede e che avrebbe
potuto lavorare anche in altri luoghi del distretto, aprendo ad esempio un
recapito in città, ribatteva che ciò avrebbe comportato soltanto nuove ingenti
spese e che non se la sentiva di subire le intromissioni di avvocati, mediatori,
speculatori, faccendieri e mestieranti che si aggirano di solito attorno alle
contrattazioni immobiliari. E poi, non vantava aderenze politiche, non aveva
la tessera di un partito e non apparteneva ad alcuna setta, quindi sarebbe
partito sfavorito nella gara per fare incetta di clientela, ed avrebbe dovuto
soccombere di fronte a quelli che si accaparravano il lavoro ricorrendo ad
espedienti contrari alla legge notarile. La città, in poche parole, non faceva
per lui, non era il suo ambiente, egli voleva rimanere lì, nel suo paese, e lavorare
al servizio della sua gente, anche a rischio di passare intere giornate
senza che nessuno bussasse alla porta della sua abitazione (non aveva uno
studio vero e proprio e riceveva i clienti in casa sua). Gli capitava di trascorrere
intere giornate facendo lunghe passeggiate nei viali al di là delle mura,
nella zona del seminario minore, o all’osteria nella piazza della chiesa a giocare
a scopone con gli amici. Non mancava di fare una capatina alla bottega
del barbiere dove si dava appuntamento, per discutere quasi esclusivamente
di politica, il solito gruppetto di intellettuali: l’avvocato, seguace di Turati, il
parroco, simpatizzante del partito fondato da don Sturzo, il medico condotto,
acceso nazionalista conquistato dai discorsi di D’Annunzio sulla cd. “vittoria
mutilata” e sulla dignità italiana offesa dal cedimento dei vili “rinunciatari”
di fronte al problema dell’italianità della Dalmazia e di Fiume.
Al sabato sera, tempo permettendo, dirigeva in piazza il coro dei suoi
ex commilitoni che si esibiva in canti di guerra come Il testamento del capitano
e Tapum, o accompagnava al pianoforte il cugino dell’avvocato, applauditissimo
interprete di canzoni allora in voga come Addio mia bella signora
e Come pioveva. Era stato sul punto di lasciarsi convincere da quei colleghi
che avrebbero voluto fare del notaio un impiegato stipendiato dallo stato, ma
aveva messo da parte quel genere di prospettiva, più che altro, per il timore
che ciò comportasse l’eventualità di essere trasferito d’ufficio lontano dalla
sua terra. Anche l’altra soluzione ventilata da parecchi colleghi, circa la
restrizione della competenza al territorio del mandamento, non l’aveva convinto
perché ciò non avrebbe risolto il problema economico, dato che nella
maggioranza dei comuni, anche se gli affari fossero stati affidati tutti quanti
al notaio titolare della sede, non avrebbero prodotto un reddito sufficiente
neppure per i più elementari bisogni della vita. Né riteneva che la panacea
fosse costituita dalla cd. associazione obbligatoria, con la messa in comune
dei guadagni a livello distrettuale (“mio nonno diceva che la miseria, anche
se divisa in parti uguali, non può mai trasformarsi in agiatezza”). Si sentiva
sicuramente più vicino a chi parlava di solidarietà universale, di un imperativo
morale per cui i notai più agiati e favoriti dalla fortuna, titolari di
grossi repertori, avrebbero dovuto contribuire a risolvere il problema
del disagio economico in cui versavano, senza colpa, i tanti loro colleghi
meno fortunati. Sperava particolarmente nel lavoro della Commissione
ministeriale e guardava con estrema simpatia al progetto di assicurare a
tutti i notai un reddito minimo di sussistenza, mediante erogazione di un
assegno che andasse ad integrare i repertori di coloro che non avessero raggiunto
una certa quota minima prestabilita.
Riponeva tutta la sua fiducia nella politica condotta al riguardo dal
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notaio Giuseppe Micheli (“l'ho conosciuto personalmente quando è venuto
qui in uno dei suoi giri elettorali per il Partito Popolare”), e soprattutto nella
campagna di stampa condotta dal notaio Russo-Ajello sul quindicinale Il
Notaro. Sperava che si riuscisse a far approvare quella legge con la massima
urgenza, e che il notaio Serina, relatore del progetto di legge, presidente del
Consiglio notarile di Milano, non tenesse conto delle critiche provenienti in
particolare dal notaio Federico Guasti che, in un articolo del quotidiano Il
Sole, aveva affermato che quella legge avrebbe consentito a chiunque di assicurarsi
un certo reddito a vita, soltanto procurandosi la nomina in una delle
tante sedi improduttive.
Il giorno in cui i colleghi incontrati all’Ufficio del Registro gli avevano
mostrato la prima pagina de Il Notaro che annunciava con toni trionfali
l’istituzione di una Cassa Nazionale per assicurare ogni anno a ciascun
notaio un minimo di 4.000 lire di onorari di rogito, gli era parso di essere
uscito da un incubo e aveva salutato tutti in gran fretta per correre al paese
dalla moglie e festeggiare insieme quella bella notizia. Tuttavia, lungo la
strada del ritorno, pensando alla pratica attuazione di quel provvedimento,
aveva finito per riempirsi la testa di pensieri inquietanti. Le sue preoccupazioni
erano costituite dal fatto che l’amministrazione dei fondi sarebbe
passata a Roma e che gli assegni di integrazione sarebbero stati pagati posticipatamente
e con cadenza annuale. Lo spaventava l’idea che le domande
di integrazione confluissero tutte presso il Ministero della Giustizia e che
l’iter di liquidazione diventasse lento e complicato a causa delle pastoie burocratiche
e dei tanti moduli che di sicuro sarebbero stati richiesti. Lo atterriva
il pensiero che, una volta cessata la risorsa del Fondo comune, la sua
famiglia potesse rimanere priva di entrate sin tanto che il Consiglio distrettuale
non avesse trasmesso a Roma alla Commissione amministratrice i dati
contabili necessari per approvare la domanda di integrazione.
Si augurava ardentemente che, in ogni caso, la gestione dei fondi non passasse
in mano ai funzionari del Ministero, perché quello era denaro versato
dai notai ed era giusto che ad amministrarlo fossero i notai stessi, soprattutto
per controllare che non venisse impiegato per scopi diversi da quelli previsti
dalla legge istitutiva.
Era arrivato a casa piuttosto perplesso sull’efficacia dei nuovi
provvedimenti. Ne avevano parlato a lungo con la moglie, quella sera, dopo
aver messo a letto la bambina, e alla fine avevano concluso che, tutto sommato,
la riforma era positiva non soltanto perché istituiva l’assegno di integrazione,
ma anche perché prevedeva la costituzione di un “fondo speciale”
da utilizzare ogni anno per sovvenire alle necessità dei notari cessati dall’esercizio
o alle loro famiglie, realizzando finalmente un progetto, avanzato sin
dal lontano 1905, di creare una forma di solidarietà e di previdenza esclusiva
per il ceto notarile.
Nei mesi seguenti, si erano manifestati sintomi di una ripresa degli
affari soprattutto nel settore delle compravendite di terreni. Anche il suo
repertorio aveva registrato un significativo incremento, essendo sempre più
spesso richiesto di ricevere atti di vendita di aziende agricole da parte di piccoli
proprietari che, usciti a fatica dalla crisi provocata dalla guerra, erano
stati messi alle corde dalla recente ondata di scioperi ed occupazioni e
preferivano disfarsi delle loro proprietà prima che si arrivasse, come in
Russia, alla socializzazione delle terre. Nella bottega del barbiere, ci si
accalorava in discussioni interminabili in merito alle notizie dei disordini,
delle agitazioni, delle occupazioni delle fabbriche e delle terre incolte, delle
serrate e degli scioperi e si sfogliavano le pagine dei giornali che riportavano
i nomi dei manifestanti rimasti uccisi o feriti negli scontri con le forze dell’ordine.
Si stava diffondendo il timore che anche da noi potesse scoppiare una
vera e propria rivoluzione. In quelle giornate burrascose del ’21, mentre si
correva il primo Gran premio automobilistico d’Italia, le giornate del notaio
erano turbate dalle notizie di continui episodi di violenza.
Gruppi di squadristi armati e “militarizzati”, affiancati dagli affiliati
ai Fasci Italiani di Combattimento fondati da Benito Mussolini, incendiavano
municipi, devastavano camere del lavoro e sedi delle cooperative,
combattevano le leghe contadine, aggredivano i socialisti, soffocavano con
violenza la libertà di stampa ed ogni forma di protesta sindacale. Dopo una
campagna elettorale funestata da violenze di ogni genere, erano entrati in
parlamento i primi 35 deputati fascisti confluiti nelle liste del cd. blocco
nazionale capeggiato dai conservatori e dai liberali. Mentre a Livorno, in
seguito alla scissione dei socialisti, era nato il Partito Comunista italiano, a
Roma i Fasci italiani di combattimento si erano trasformati nel Partito
Nazionale Fascista. Si prevedeva che gli scontri si sarebbero ripetuti anche
a livello parlamentare.
Quell’anno, le tariffe notarili erano state finalmente raddoppiate nel
tentativo di adeguarle al costo della vita, ed il nostro notaio aveva riscosso
dalla Cassa Nazionale il suo primo assegno d’integrazione. Si trovava in
buona compagnia, visto che, per quell’anno, ben 1219 colleghi non avevano
raggiunto il reddito minimo di 4 mila lire (“un quarto dei notai del Regno si
trovano nella mia stessa situazione, capite?...”). Aveva appreso questa notizia
durante l’ultima assemblea del suo collegio, nel corso della quale il presidente
aveva anche detto che l’importo complessivo erogato dalla Cassa per le
integrazioni era stato pari a 2.300.000 lire, mentre le entrate, superando le
aspettative, avevano toccato i 13 milioni di lire e tutto lasciava supporre che
al termine dell’anno le eccedenze avrebbero raggiunto i 20 milioni. Il presidente
aveva anche spiegato che quegli ottimi risultati dipendevano dall’efficace
metodo di riscossione previsto dalla legge, collegato alla registrazione
degli atti ed affidato ai Ricevitori del Registro (incentivati con l’aggio del 2%
sulle somme riscosse) e che si era rivelata molto opportuna, ai fini della
liquidazione degli onorari, la parificazione degli atti privati autenticati a
quelli ricevuti in forma pubblica. Il nostro notaio si era unito ad altri colleghi
presenti in assemblea per chiedere che la Cassa utilizzasse subito le cospicue
entrate soprattutto per aumentare l’assegno d’integrazione e che il capitale
accantonato sul “fondo speciale” servisse per dare una pensione ai notai dispensati
per malattia o per vecchiaia ovvero alle vedove e ai figli minorenni dei
colleghi defunti. Un collega aveva poi esternato il sospetto che le lungaggini
dipendessero dal fatto che la Commissione amministratrice della Cassa era
di nomina governativa e aveva proposto che i Commissari fossero eletti dalla
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base, per modo che il denaro versato dai notai fosse amministrato da rappresentanti
designati direttamente dai colleghi, sia pure sotto il controllo degli
organi dello stato. Le critiche più feroci avanzate da quel collega riguardavano
la figura del presidente della Commissione amministratrice, avvocato
Antonini, direttore generale del Notariato e dei Servizi di Cancelleria presso
il Ministero, colpevole di aver dichiarato che il denaro della Cassa, essendo
pagato dai cittadini ai notai in forza di una tariffa stabilita dalla legge, era
“denaro pubblico” e che spettava quindi al governo riscuoterlo ed amministrarlo
in piena autonomia.
In occasione di una successiva riunione tenutasi nella sede del
Consiglio distrettuale, si era ampiamente discusso su tutti questi argomenti
ed il rappresentante di zona della Federazione Notarile Italiana aveva
riferito ai colleghi sull’incontro avuto a Roma con i componenti della
Commissione amministratrice della Cassa. Alle richieste avanzate dalla
Federazione di utilizzare integralmente la cospicua eccedenza dei fondi della
Cassa per corrispondere immediatamente una congrua pensione ai notai cessati
dall’esercizio e alle vedove e figli dei notai defunti, era stato risposto che
bisognava attendere l’espletamento di numerose e complesse indagini statistiche
e attuariali necessarie per stabilire il fabbisogno in rapporto al
numero dei futuri assegnatari e alla misura dell’assegno pensionistico.
L’anno seguente, cedendo alla pressione della Federazione e della
redazione de Il Notaro, il Guardasigilli aveva finito per stabilire che, a partire
dal ’23, le rendite del fondo speciale costituitosi con le eccedenze degli
anni passati sarebbero state destinate alla erogazione di “assegni pensionistici”
a favore dei notari o ai loro familiari superstiti. Il nostro notaio aveva
accolto quella novità con una punta di orgoglio: per la prima volta, nelle
libere professioni, si prevedeva la creazione di una forma di previdenza che
si basava esclusivamente su un principio di mutua solidarietà, prevedendo
l’erogazione di importi diversificati soltanto in base agli anni di effettivo
esercizio e all’età del beneficiario, del tutto indipendenti perciò dalla storia
contributiva individuale del medesimo. Anche se gli importi degli assegni
previsti da quel decreto erano piuttosto bassi, era sicuro che quello fosse un
primo passo significativo verso un settore destinato ad espandersi negli anni
futuri, compatibilmente con le entrate della Cassa. Lo stesso giorno in cui era
giunta notizia dell’elezione del nuovo papa Pio XI, c’era stata l’aggressione
subita dall’avvocato ad opera di una squadraccia di fascisti arrivata dalla
città a bordo di un autocarro. Quella sera, in casa del notaio c’era stata burrasca.
La moglie lo rimproverava per il fatto di aver pronunciato in pubblico
alcune parole di condanna per quella vile aggressione, perché a suo parere
quelli erano tempi difficili e i discorsi a difesa della legge e della giustizia si
dovevano mettere da parte, se si volevano scongiurare guai seri. Si era già
inimicato i proprietari terrieri della zona per aver difeso le riforme sui terreni
agricoli promosse dal notaio onorevole Micheli, nella veste di ministro dell’agricoltura
dei governi Nitti e Giolitti: di questo passo avrebbe finito per
perdere anche quella poca clientela che gli era rimasta. Prima di tutto doveva
pensare agli interessi della famiglia (“prima di aprir bocca, prima di
esporti e metterti nei guai, pensaci bene Italo e non dimenticare di avere una
moglie e una figlia!”).
Nei mesi seguenti, all’indomani del misero fallimento di quel “patto
di pacificazione”, che sua moglie aveva sperato ponesse fine alle tante violenze,
il nuovo governo presieduto dall’onorevole Facta si era mostrato ancor
meno capace e autorevole dei precedenti e il Paese era sull’orlo della guerra
civile. Ogni giorno, il notaio trovava sulle prime pagine dei giornali notizie
di continue aggressioni alle leghe rosse, di incendi alle camere del lavoro e ai
consigli di fabbrica, e di scioperi di protesta funestati da gravi episodi di
violenza. Molto clamore aveva destato la minaccia pronunciata durante
l’adunata fascista di Napoli dall’onorevole Mussolini: “o ci daranno il governo,
o lo prenderemo calando su Roma!”.
In quelle giornate d’ottobre del ’22, aveva visto mobilitarsi, anche nel
suo paese, un gruppetto di concittadini, piuttosto in là negli anni e corpulenti,
che, in camicia nera, il fez in testa, pugnali alla cintura, armati di vecchi
moschetti e fucili da caccia, sfidando il ridicolo, erano saliti su di un camion
requisito al povero grossista di granaglie, sventolando gagliardetti con teschi
e tibie incrociate, per raggiungere il centro di raccolta delle “legioni” pronte
a marciare sulla capitale. Dopo un decina di giorni, avevano fatto ritorno,
fieri di poter raccontare agli amici che Sua Maestà aveva preferito rinunciare
alla proclamazione dello stato d’assedio, che erano sfilati per le vie di Roma
sotto la guida dei quadrumviri e che Mussolini aveva ricevuto l’incarico
di formare il governo.
A differenza di molti suoi concittadini, il notaio non era convinto che
il passaggio del potere in mano al Partito Nazionale Fascista avrebbe portato
alla pace sociale e soprattutto che gli squadristi, quantunque inquadrati
nella nuova Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, avrebbero desistito
dal fare ricorso ai loro metodi abituali. Evitava però di parlare in pubblico
di politica e riservava le sue critiche alle discussioni casalinghe con la sua
Lucia che sembrava propensa a prestar fede a quel nuovo governo, soprattutto
perché aveva promesso di ristabilire l’ordine e la tranquillità sociale.
Del resto, anche molti colleghi e la stessa stampa di categoria, avevano
assunto un atteggiamento favorevole nei riguardi del nuovo corso politico,
specialmente dopo che, nei primi mesi del 1923, il ministro Guardasigilli
Oviglio aveva firmato un decreto legge per la riforma della Cassa Nazionale
(predisposto dal suo sottosegretario, il cattolico Fulvio Milani) che accoglieva
gran parte degli emendamenti richiesti a gran voce dalla categoria nel corso
di quegli anni. Nel ceto notarile, lo sdegno verso gli episodi di violenza e di
intolleranza nei confronti delle opposizioni era stato messo da parte per
applaudire alle misure prese dal governo con il decreto Oviglio, giungendo
perfino a manifestazioni di entusiastica adesione e di incondizionato consenso.
Tutto ciò aveva suscitato profondo fastidio nell’animo del nostro notaio il
quale pensava che gli organi rappresentativi della categoria non dovessero
fiancheggiare questo o quel partito, ma avere sempre di mira soltanto gli
interessi del Notariato ed in particolare le giuste aspirazioni dei numerosi
notai assegnati alle sedi improduttive. Nelle rare riunioni collegiali alle
quali aveva partecipato, la sua voce era stata sovrastata però da chi guardava
con simpatia alle prime misure poste in essere dalla nuova compagine
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ministeriale. Ammirava sinceramente il notaio Micheli che, in segno di dissenso
verso il fascismo, aveva deciso di rinunciare ad ogni incarico ufficiale
professionale e politico.
In famiglia, il notaio trascorreva le poche ore di libertà dal lavoro in
occupazioni non impegnative: aiutava la bimba a fare i compiti, si immergeva
nella lettura dell’ultimo romanzo di Italo Svevo, si dedicava a piccoli
lavoretti manuali canticchiando le canzoni in voga come Silenzio cantatore
e Addio tabarin, seguiva i resoconti del campionato di calcio italiano e la
squadra del Genoa che si avviava a conquistare il nono titolo nazionale, si
aggiornava sulle tappe del Giro d’Italia, reso interessante dalla sfida tra
Girardengo e Brunero e si esaltava per l’impresa di Libero Ferrario, campione
iridato di ciclismo su strada. Nelle serate in casa del farmacista, messa al
bando la politica, si parlava fino alle ore piccole delle opere di Mascagni e di
Puccini e dei grandi successi di Beniamino Gigli al Metropolitan. In quell’anno,
il notaio aveva cominciato ad usare il linimento Sloan per il mal di
schiena, la lozione Migone a base di petrolio contro la caduta dei capelli e la
nuova pasta dentifricia Odol che prometteva alito fresco e denti bianchissimi
anche per quelli, come lui, che fumavano il sigaro.
L’anno dopo, la Commissione amministratrice della Cassa aveva
ottenuto che il ministro firmasse il decreto per l’istituzione formale della
Cassa pensioni, un evento osannato dalla stampa di categoria come “alto e
nobile istituto che poneva al coperto delle ingrate sorprese del tempo la condizione
personale e famigliare dei sacerdoti del Tabellione” e come «una di
quelle felici creazioni del genio italico che gli stranieri, ammirati, potevano
bene invidiarci ed imitare». Anche il nostro notaio era decisamente fiero di
quel risultato, soprattutto perché la pensione, erogata con fondi accantonati
dai notai, senza alcun contributo da parte dello stato, si basava sul principio
rigoroso della mutualità già attuato per gli assegni d’integrazione:
nonostante la notevole differenza dei contributi versati dai singoli iscritti, la
misura dell’assegno dipendeva sempre e soltanto dalla durata dell’esercizio
professionale. Verso il Guardasigilli, poi, egli nutriva una certa simpatia
dopo che in una sua allocuzione aveva riconosciuto che “Il Notaro invero
eccelleva fra tutte le altre classi forensi, perché, mentre l’avvocato interveniva
nella controversia, egli invece coll’opera sua la preveniva, concorrendo
a dare alla legge una efficace funzione di equilibrio sociale, e, coll’eliminazione
delle cause di dissenso, divenendo così un elemento integratore della
prosperità nazionale”.
L’aumento del 50% dell’importo delle pensioni, concesso dopo solo un
anno dal nuovo Guardasigilli professor Alfredo Rocco, era stato, a suo
parere, il mezzo posto in essere per ingraziarsi il ceto notarile, dopo che
Mussolini si era assunto la responsabilità politica, morale e storica del rapimento
e dell’uccisione di Giacomo Matteotti, suscitando l’indignazione della
popolazione e dei mezzi di informazione che vi avevano dedicato le prime
pagine per parecchi giorni. L’avvenimento aveva generato nella famiglia del
notaio la convinzione che la nazione stesse per precipitare in una avventura
assai pericolosa ed avevano deciso di sottrarsi a qualsiasi manifestazione
esteriore che potesse far pensare ad una adesione al regime.
Era stato uno dei rari abitanti del suo paese a non provare soddisfazione
per la cd. Battaglia del grano propagandata dal regime con trasmissioni
radiofoniche, allora agli esordi, e soprattutto con i documentari prodotti
dall’Istituto LUCE, anche se le misure varate dal governo per favorire il
credito agrario, gli avevano indirettamente procurato un incremento di
lavoro. Gli era parso scandaloso il manifesto degli intellettuali fascisti promosso
dal filosofo Giovanni Gentile, mentre aveva letto con soddisfazione
quello redatto da Benedetto Croce e pubblicato il primo di maggio sui giornali
Il Mondo e Il Popolo. Piena d’orgoglio nazionale per l’impresa ciclistica
di Bottecchia, vincitore per la seconda volta consecutiva del Tour de France,
la sua gente aveva subito senza reagire nuove assurde imposizioni come ad
esempio l’abolizione della festa del primo maggio sostituita con quella del
natale di Roma, e l’obbligo del saluto romano nei rapporti con i superiori.
Una nuova questione si era aperta, in famiglia, quando si era
presentato il problema dell’adesione al sindacato notarile fascista, dal
momento che la Federazione, dopo aver messo in chiaro di non essere affatto
ostile al fascismo “che aveva dato prova di sapere incamminare la Nazione
nella via retta che potrà guidarla alla sua redenzione”, aveva lasciato libero
ciascun notaio di iscriversi o meno al sindacato, precisando che l’adesione
era aperta a tutti ad eccezione degli iscritti ai partiti socialista e repubblicano.
Alla fine, aveva prevalso ancora una volta il punto di vista della
moglie, incline a considerare l’adesione al sindacato un passo per incrementare
la clientela ed accrescere ulteriormente il repertorio (“ringraziando
il Cielo, negli ultimi tempi hai potuto lavorare ed avere un reddito abbastanza
buono. Ora ti prego di non fare imprudenze. Ho la sensazione che se non
ti iscrivi al sindacato, potresti avere molti fastidi anche per il tuo lavoro...”).
Non meno infuocata era stata la schermaglia a proposito
dell’iscrizione di Angelica al reparto delle Piccole italiane. Il notaio aveva
cercato di opporsi a quel passo perché non voleva che sua figlia partecipasse
a quelle squallide manifestazioni di regime, ma aveva finito per cedere da un
lato all’insistenza della figlia, ansiosa di indossare l’uniforme con il berretto
in maglia di seta nera, la camicetta a maniche lunghe in piqué bianco e la
gonna nera, e dall’altro ai rimproveri della moglie (“non puoi impedire alla
bimba di partecipare a quei corsi di ginnastica, di cui ha tanto bisogno per
crescere, e non devi esporla, poverina, alle critiche velenose delle sue
amichette!”).
Sulle prime pagine dei giornali giganteggiavano le fotografie di
Alfredo Binda, campione del mondo, e di Lindbergh, l’audace solitario
trasvolatore dell’Atlantico, mentre la stampa di categoria, impegnata ad
illustrare la nuova legge sul concorso per esami e quella sulla riforma dei
Consigli (non più elettivi ma di nomina governativa), dedicava largo spazio
all’introduzione della dispensa d’ufficio con il compimento dei 75 anni d’età,
provvedimento che era stato contestato anche da parte del nostro notaio
(“questa idea di mandare in pensione la gente coattivamente, di obbligare un
professionista a lasciare il lavoro da un giorno all’altro, di imporgli di rinunciare
alla clientela conquistata con anni e anni di sacrifici, è qualcosa di
profondamente ingiusto e inaccettabile!”).
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Negli ultimi tempi, si era accorto che la gente lo trattava con maggior
rispetto per il fatto di avere legami di parentela con personaggi del
potentato locale (“lo fanno, secondo me, perché mio cugino è diventato membro
della Milizia Forestale ed un lontano parente di mia moglie è stato nominato
podestà in sostituzione del sindaco”). L’unica persona con cui poteva
arrischiarsi a fare discorsi di politica era il farmacista, nel corso delle periodiche
serate dedicate alla musica lirica, nelle quali potevano entrambi dare libero
sfogo alle loro antipatie verso il regime e criticare pesantemente le leggi
eccezionali liberticide varate di recente dopo l’attentato a Mussolini. Anche
l’avvocato era stato vittima del giro di vite voluto dal regime: dopo che era
stato portato via in manette dalle camicie nere e tutti i suoi libri erano stati
bruciati nella piazzetta sotto le finestre del suo studio, di lui non si era più
avuto alcuna notizia.
Uno di quei giorni, mentre il barbiere gli tagliava i capelli e gli
aggiustava baffi e barba, aveva assistito ad una accesa discussione fra il
macellaio, strenuo difensore della cd. Tassa sul celibato, e il giovane portalettere
che ne parlava come di un iniquo ed inutile balzello. La discussione s’era
interrotta soltanto al momento in cui tutti quanti si erano raccolti attorno
all’apparecchio radio per ascoltare la radiocronaca della partita con cui
Italia e Ungheria disputavano a Roma la finale per la Coppa internazionale
di calcio, vinta dalla nostra nazionale per 4 a 2.
Nel mese di maggio del ’28, la piccola Angelica aveva trepidato per
la sorte dei superstiti della sfortunata spedizione del dirigibile Italia ed era
rimasta col cuore sospeso per le difficili operazioni di soccorso del generale
Nobile e degli altri superstiti della tenda rossa, ma il padre aveva ben altro
in mente.
Era molto felice perché la sua Lucia aveva scoperto di essere incinta:
Angelica non sarebbe rimasta figlia unica e avrebbe avuto un fratellino o
una sorellina a cui fare da mammina. Nei mesi seguenti, ai momenti sereni
in cui la futura mamma, piena di vita e di salute, cantava le canzoni di
moda come Balocchi e profumi o il Tango delle capinere, si erano alternate
giornate di tensione per le nausee e i dolori alla schiena. La rottura delle
acque era arrivata all’improvviso in una notte del febbraio del ’29, quando il
freddo aveva toccato livelli mai raggiunti in Italia sino ad allora. Quella
notte, il paese dormiva sotto una spessa coltre di neve e tutte le strade erano
bloccate per il gelo. Si era temuto che la levatrice non potesse arrivare in
tempo e che Lucia dovesse partorire assistita soltanto dalle vicine di casa,
prontamente accorse alle sue richieste di aiuto. Quando Angelica aveva
avuto il permesso di prendere in braccio il grosso involto di coperte da cui
spuntava a fatica il visino del fratellino, i raggi del sole indoravano le candide
cime dell’Appennino. La levatrice era giunta in tempo e il parto si era
svolto regolarmente. Lucia, quasi distrutta ma felice, lo aveva voluto abbracciare
stretto a sé e insieme avevano ringraziato il Signore con le lacrime agli
occhi.
Per la scelta del nome da dare al neonato questa volta aveva prevalso
la sua opinione e il piccolo, anziché essere chiamato, secondo la consuetudine,
con il nome del nonno paterno, era stato battezzato con il nome di
Libero (“mio figlio sarà sempre contrario ad ogni forma di tirannia!”).
Nei primi mesi, il piccolo aveva avuto qualche problemino e piangeva
di frequente, anche la notte, tenendo sveglia l’intera famiglia. La sorellina,
malgrado ciò le fosse stato proibito dai genitori, cercava in tutti i modi di
calmarlo (“devi lasciarlo stare nella sua culla e non devi dargli vizi, altrimenti
lui se ne approfitta e piange di continuo fino a che qualcuno non lo
prende in braccio; hai capito?”). Col tempo, la vita in famiglia aveva ripreso
il suo ritmo. Il bimbo cresceva a vista d’occhio ed era in buona salute.
Angelica a trascorreva ore e ore a giocare con il fratellino. Il lavoro, per fortuna,
non mancava e il notaio, tutto sommato, era soddisfatto. Un giorno,
aveva trovato nella stampa di categoria la notizia della prima donna-notaio,
la ventisettenne Elisa Resignani, figlia di un alto magistrato del Regno,
iscritta a ruolo in un paesino nella zona di Vercelli, e di ciò aveva discusso a
lungo con la moglie. Lucia era stata favorevole alla novità (“è giusto, secondo
me, che la donna sia promossa e valorizzata in tutti i campi, compreso quello
professionale”), mentre il marito era stato al riguardo molto più cauto (“come
potrà curarsi del marito e dei figli, se deve dedicarsi totalmente alla professione?
E poi, te la immagini una donna capace di tenere per sé notizie riservate,
senza parlarne con le sue amiche?”). Quando aveva ricevuto copia della
circolare ministeriale che imponeva ai notai di aggiungere nella data di ogni
rogito l’anno dell’era fascista accanto a quello dell’era cristiana, la cosa gli
aveva provocato un profondo disgusto ed avvertito i primi problemi al fegato
per cui era diventato abituale consumatore di rabarbaro, una radice cinese
reclamizzata come speciale rimedio per le disfunzioni epatiche. Nel frattempo,
gli erano giunte brutte notizie in merito al bilancio della Cassa
Nazionale: le entrate registravano continue diminuzioni. Si dava la colpa di
tale situazione non soltanto alla grave depressione che colpiva l’economia del
Paese, ma anche ai pesanti reiterati tagli degli onorari operati dal governo
per favorire questa o quella categoria sociale a danno naturalmente del ceto
notarile (“continuano a ridurci gli onorari a metà, ad un terzo, ad un quarto,
ad un quinto...e in qualche caso ci chiedono addirittura di lavorare gratis!”).
A tutto ciò si erano aggiunte le leggi che, con i governi precedenti ed in particolare
con quello in carica, avevano operato l’attribuzione di competenze
notarili ai funzionari di numerosi enti statali e parastatali. Erano ancora
assai numerosi i notai che, vittime dell’illecita concorrenza e del
“recapitismo” incontrollato, non riuscivano a trarre dalla professione un reddito
sufficiente, al punto che la rivista Il Notaro aveva chiesto ai lettori di
suggerire il modo per assicurare un minimo di lavoro a ciascun notaio,
rispettando i diritti dei singoli e bandendo ogni proposta demagogica e teorica.
Lo stesso ministro Rocco, che nell’aprile del 1930 aveva emanato il testo
unico in materia di pensioni nel quale, per la prima volta, erano stati previsti
sussidi a favore dei notai in esercizio in caso di gravi ed eccezionali bisogni,
nel suo intervento al primo Consiglio nazionale del sindacato notarile, tenutosi
a Roma nel gennaio del ’32, aveva dichiarato “di ben conoscere la situazione
penosa in cui si dibattevano i tanti notai di provincia che si dovevano
accontentare del reddito minimo assicurato dalla Cassa notarile”. Gli
amministratori della Cassa, dal canto loro, recentemente trasferitisi nel
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moderno edificio di Via Flaminia, constatando che le eccedenze annue di
bilancio diminuivano paurosamente, allarmati dalle stime attuariali effettuate
dagli esperti, nel maggio 1934, avevano ottenuto, fra roventi polemiche,
l’approvazione di un decreto ministeriale per la riduzione delle pensioni.
Angelica era diventata ormai una signorinetta e si era trasferita in
città presso una parente del padre per frequentare il liceo. Partecipava di frequente
con le sue compagne di scuola alle sfilate e alle manifestazioni ginniche
organizzate per la visita di qualche gerarca, e quando in città era venuto
in visita il duce in persona, alla parata aveva dovuto assistere suo malgrado
anche il notaio, perché la moglie voleva portare il piccolo Libero a
vedere la sorella sfilare con la divisa delle giovani italiane.
Negli ultimi tempi, superati i difficili momenti provocati anche in
Italia dalla grande crisi economica americana del ’29, il tenore di vita della
famiglia era sensibilmente migliorato. Potevano permettersi il lusso di frequentare
il teatro in città per la stagione lirica e di andare nella sala cinematografica
aperta di recente in un locale di proprietà della parrocchia, per
commuoversi con Luci della città di Charlie Chaplin, per divertirsi con Gli
uomini che mascalzoni interpretato da Vittorio De Sica che cantava Parlami
d’amore Mariù, o per assistere, con il bimbo, alla proiezione dei cartoni animati
di Walt Disney. Avevano rinnovato l’arredamento del salotto con un
grande divano ed una libreria in noce. Le due novità più importanti erano
costituite, comunque, dal bel telefono in bachelite nera e da un apparecchio
radio dotato di un grazioso mobiletto. Come regalo di compleanno, avevano
abbonato il figlio agli album di Topolino pubblicati dalla Mondadori. Lucia
era entrata nel gruppo delle signore che si riuniva ogni settimana in casa del
direttore dell’Ufficio postale per prendere il tè e giocare a ramino.
Durante quelle partite si parlava soprattutto delle mirabolanti imprese
aviatorie di Italo Balbo, del premio nobel conferito a Pirandello, dei misteriosi
esperimenti condotti da Marconi sulla nave Elettra nel golfo del
Tigullio, della Giornata della fede in cui alcune di loro avevano donato alla
patria le proprie fedi nuziali per sostenere i costi della guerra in Africa
Orientale e dello strascico dell’abito da sposa di Edda Ciano che si diceva
fosse lungo addirittura cinque metri.
Il notaio aveva seguito con grande interesse le vicende del campionato
mondiale di calcio, e il giorno in cui la nazionale di Vittorio Pozzo aveva
vinto ai tempi supplementari la finale con la Cecoslovacchia, si era unito alla
gente che esultava per le strade sventolando il tricolore.
Continuava a frequentare il farmacista e nei loro incontri gli argomenti
trattati, oltre naturalmente la questione del discutibile finale di
Turandot scritto da Franco Alfano, erano le voci dei grandi tenori come
Lauri Volpi, Gigli, Malipiero, Martinelli e Pertile, i concerti lirici sponsorizzati
dalla ditta Martini & Rossi trasmessi alla radio tutti i lunedì sera, e il
comportamento del mitico maestro Toscanini che aveva subito l’aggressione
delle camicie nere per essersi rifiutato di eseguire Giovinezza e la Marcia
Reale al Teatro Comunale di Bologna. Da qualche tempo, il farmacista era
solito sfidare il notaio in lunghe partite a scacchi, nel corso delle quali, fra
l’altro, parlavano spesso della inquietante situazione politica della
Germania, dopo l’ascesa al potere del partito nazionalsocialista guidato da
Adolfo Hitler. Il motivo di allarme era costituito soprattutto dalle persecuzioni
antisemite, dal momento che il farmacista, membro autorevole della
piccola comunità ebraica locale, temeva che anche in Italia si scatenasse
un’ondata di odio razzista.
I giornali di quei giorni dedicavano largo spazio alla nostra vittoria
in Africa Orientale, alla nascita dell’impero, alle olimpiadi di Berlino, alla
guerra civile in Spagna e alla presentazione da parte della FIAT della vetturetta
Topolino, messa in vendita al prezzo di 8.900 lire, equivalenti a venti
volte lo stipendio medio di un operaio specializzato. Al circolo delle signore,
nei pomeriggi del tè e delle partite di ramino, si commentava con orgoglio
l’impresa della nostra Ondina Valla, medaglia d’oro olimpica negli 80 metri
a ostacoli, e si gridava allo scandalo per l’abdicazione del re Edoardo VIII a
causa della sua storia d’amore con Wallis Simpson (“vi rendete conto? un
membro della casa reale che vuole unirsi ad una americana di umili origini,
due volte divorziata!”). Ma, in famiglia, quell’anno era ricordato soprattutto
come quello in cui Libero si era preso il morbillo ed aveva rischiato serie complicazioni,
e Angelica aveva cominciato ad interessarsi dei compagni di università
e a tenere un diario.
All’inizio del 1938, appena era stata chiara per tutti l’intenzione
del governo di adottare quanto prima leggi razziali antisemite come quelle
naziste, l’amico farmacista era corso da lui per stipulare il contratto di
cessione della farmacia e l’indomani aveva fatto imballare il grammofono,
i dischi, la radio e le altre poche cose di valore che possedeva ed era partito
alla volta della Svizzera dove lo attendevano altri membri della comunità
ebraica. Dopo alcune settimane, i giornali avevano dato enorme risalto alle
nuove leggi, firmate dal capo del Governo e promulgate da Vittorio
Emanuele III a difesa della razza e della “documentata continuità storica
dell’unità razziale raggiunta dal nostro popolo sin dal tempo della grandezza
augustea di Roma”. Quella volta, anche Lucia era stata d’accordo con lui
nel condannare le inique assurde discriminazioni poste in essere contro
intere famiglie con le quali avevano stretto da molto tempo legami di sincera
amicizia. In quel tempo, ai notai del regno era stato rivolto l’invito ad astenersi
dal ricevere atti di alienazione di immobili e di aziende da parte di
appartenenti alla razza ebraica fino all’emanazione di ulteriori norme regolatrici
della materia, ma il nostro notaio non aveva obbedito (“questi signori
non possono obbligarmi a fare cose contrarie al dovere professionale!”).
Aveva continuato a stipulare atti di acquisto di immobili a favore di ebrei,
limitandosi a darne notizia all’ufficio distrettuale delle imposte, e si era spinto
fino a ricevere atti di alienazione di immobili da parte di ebrei, anche
prima che l’Intendenza di Finanza li dichiarasse compresi nella ‘parte consentita’
(5 mila lire d’estimo per i terreni e lire 20 mila d’imponibile per i fabbricati),
se i venditori erano suoi concittadini ed amici di vecchia data (“non
mi serve la certificazione dell’Intendenza, so benissimo che questo è l’unico
immobile di proprietà del venditore!”).
La radio e i giornali diffondevano notizie sempre più allarmanti e il
nostro notaio era di pessimo umore (“..qui va a finire che il duce, abbagliato
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dai successi militari di Hitler, ci trascinerà in un’altra guerra”), e se la prendeva
anche con la moglie per il fatto di aver accettato che il figlio frequentasse
le riunioni dei Balilla dove i ragazzini erano addestrati ad imbracciare
il moschetto come veri e propri soldatini. Fra le tante notizie negative,
una soltanto gli era parsa di segno opposto e cioè che la Commissione
amministratrice della Cassa nel luglio del 1939 avesse riportato a soli 10
anni l’esercizio minimo dei notai per il diritto alla pensione (“la cosa non mi
riguarda, perché non penso neppure lontanamente alla pensione, ma mi fa
piacere sapere che i soldi che versiamo alla Cassa sono amministrati
oculatamente nell’interesse dei colleghi cessati dall’esercizio o dei loro eredi”).
L’anno dopo, vi era stato l’incontro con l’anziano regio notaio
Giovanni M. fu Luigi. Era stato quest’ultimo a fargli visita, una mattina di
luglio. Si era presentato con aria familiare, dicendogli di trovarsi lì, nella
villa ereditata dai suoi nonni, per un breve periodo di vacanza e per riposare
qualche giorno prima di ritornare al suo studio. Gli aveva ricordato che il
suo era uno dei tre studi professionali più grandi del capoluogo, nel quale
lavoravano ben cinque impiegati e che richiedeva un carico di lavoro eccessivo
per uno come lui, avanti negli anni e vicino alla dispensa per limiti d’età.
Il discorso, poco alla volta, si era spostato sulle vicende della Cassa
Nazionale ed entrambi si erano trovati d’accordo nell’elogiare la
Commissione amministratrice per l’opera svolta in quegli anni per difendere
le prerogative dell’ente di fronte a concezioni demagogiche e massimaliste e
per opporsi ai tentativi di “fagocitazione” da parte della Confederazione
nazionale delle corporazioni sindacali dei professionisti e dell’Istituto
Nazionale Assicurazioni. Avevano scoperto di essere entrambi soddisfatti per
il cambio di passo operato dalla Commissione in materia di pensioni, con il
ritorno ad un trattamento pensionistico simile a quello già in vigore prima
dei tagli del ’34, e di avere accolto con favore i recenti decreti del nuovo
guardasigilli Dino Grandi, con cui erano stati concessi aumenti agli onorari
di tariffa ed erano state revocate le autorizzazioni ad esercitare funzioni
notarili già concesse ai diversi enti e istituzioni. Terminati quei discorsi,
l’anziano collega, senza ulteriori preamboli, aveva cambiato argomento e gli
aveva chiesto se era disposto a venirgli in aiuto, concludendo con lui un
accordo di collaborazione che gli avrebbe assicurato una importante percentuale
dei redditi dello studio. Sorpreso ed incredulo di fronte a quella
inattesa proposta giunta come fulmine a ciel sereno, egli aveva formulato sul
momento poche frasi di ringraziamento per la fiducia accordatagli e si era
riservato di dargli al più presto una risposta, dopo averne discusso in
famiglia.
La moglie aveva accolto la notizia con estremo favore, dal momento
che la loro vita sarebbe cambiata radicalmente e molti sogni sarebbero diventati
realtà: immaginava di poter avere un tenore di vita agiato, di avere a
disposizione finalmente un appartamento in cui non vi fosse l’andirivieni
della clientela e in cui invitare persone influenti, possedere una bella automobile
e permettersi perfino il lusso di una cameriera. Anche Angelica era
favorevole ed entusiasta perché ciò le avrebbe permesso di frequentare tutte
le lezioni universitarie e soprattutto di incontrarsi ogni giorno con un certo
studente di medicina del quale di recente si era invaghita. La prospettiva di
cambiar vita, al contrario, non piaceva affatto a Libero, perché ciò avrebbe
significato lasciare per sempre il suo mondo, le scorribande con i compagni,
le levatacce per andare nei boschi con il papà in cerca di funghi, le battute di
pesca alla trota nelle acque del torrente, le spedizioni alla vecchia casa
abbandonata in cui si diceva ci fossero i fantasmi, i combattuti incontri di
calcio con gli ospiti del seminario. Non gli andava soprattutto l’idea di
trasformarsi in uno di quei “signorini” che d’estate venivano a trascorrere
qualche giorno lassù per togliersi dall’afa della città e che costituivano il
bersaglio preferito delle loro prese in giro. Anche il padre era molto perplesso,
soprattutto perché ciò lo avrebbe costretto a cambiare radicalmente il suo
modo di esercitare le professione. Non si sentiva pronto ad affrontare problematiche
inconsuete come quelle riguardanti il mondo delle grandi imprese,
delle società quotate, dei gruppi industriali e finanziari; non era mai
stato padrone del formulario di alcuni contratti atipici usati soltanto negli
studi delle grandi città; non immaginava neppure come avrebbe dovuto comportarsi
con i dipendenti dello studio; non gli riusciva di accettare l’idea che
gran parte del lavoro potesse essere delegato a questi ultimi e che, in pratica,
il notaio conoscesse la clientela soltanto al momento della stipula.
Quel fatidico 10 di giugno del ’40, a toglierli d’impaccio era giunto
un avvenimento di straordinaria importanza per l’intera nazione: con un
discorso del duce, diffuso dalla radio, seguito da un proclama del re e imperatore,
era stata annunciata l’entrata in guerra dell’Italia, a fianco del
Fuhrer. Lo scenario era cambiato, in famiglia si era cominciato ad avere la
sensazione che stava per aprirsi una stagione di rinunce e di sacrifici. Il
notaio era sicuro che l’economia di guerra, prima o poi, avrebbe reso necessario
il razionamento dei generi di prima necessità e la partecipazione dell’intera
popolazione allo sforzo bellico, che la politica di autarchia avrebbe
fatto crescere l’inflazione e richiesto sempre maggiori privazioni. Molto
meglio rimanere nel paese natale piuttosto che trasferirsi in città fra persone
sconosciute (“qui, almeno, saremo fra gente amica, pronta a venirti in aiuto
in caso di necessità”). Al termine di una lunga discussione, anche Lucia ed
Angelica s’erano convinte che quello non era il momento adatto per aderire
alla proposta del collega. In ogni caso bisognava fargli capire che, se la guerra
fosse terminata presto (“così dicono i giornali, ma, secondo me, non è vero:
è tutta propaganda di regime!”), la sua proposta sarebbe stata presa in seria
considerazione. Il collega s’era mostrato assai comprensivo ed aveva condiviso
le loro perplessità. Al momento del commiato, mentre gli stringeva la
mano, aveva osservato che, nello stesso momento in cui la nazione era entrata
in guerra, il ceto notarile stava esultando per l’aumento delle pensioni: per
chi avesse maturato 40 anni di esercizio, l’assegno pensionistico lordo
avrebbe raggiunto le 8 mila lire all’anno, pari a 1500 lire al mese (la canzone
diceva: Se potessi avere mille lire al mese...)
Angelica, dopo essersi laureata in lettere e filosofia, aveva cominciato
a frequentare un suo coetaneo membro di una famiglia dell’alta borghesia
cittadina che stava preparando la tesi di laurea in medicina, ma Piermaria
(questo il nome del futuro medico) era stato arruolato e spedito in Grecia
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(“non piangere tesoro, spero di tornare presto in licenza... Appena possibile ti
manderò una lettera con il mio indirizzo…”) e così da quel momento ebbe
inizio un faticoso scambio di lettere divenuto sempre più aleatorio in seguito
alle disastrose vicende del fronte balcanico.
Quell’anno, mentre la sorella attendeva invano notizie dalla Grecia,
Libero aveva ricevuto in dono a Natale una bellissima bicicletta Bianchi da
corsa, con la quale si era procurato una paurosa caduta con lussazione della
spalla ed escoriazioni varie alla gamba destra.
Gli anni di guerra avevano segnato un crescendo di difficoltà per la
famiglia del nostro notaio. La moglie aveva avuto il suo daffare alle prese con
il razionamento dello zucchero (mezzo chilo al mese procapite), dell’olio, del
burro e dello strutto (quattro etti al mese pro-capite), della pasta, della fari