TuttoBallo20 Febbraio 2022.EnjoyArt
Carissimi Amici, eccoci giunti alla pubblicazione del numero di febbraio…il mese del Carnevale, delle frappe e castagnole, della buona cucina, ma ricco anche di tanti nuovi appuntamenti d’Arte, con molte novità ed interviste a nuovi personaggi, oramai nostri amici, che vogliamo presentarvi con i loro consigli e le loro idee, e ad amici “di vecchia data” per voi tutti, che già conoscete e che ci allieteranno con le loro riflessioni. Purtroppo il mese inizia con la scomparsa di una grandissima Artista del panorama cinematografico italiano, Monica Vitti, a cui dedichiamo questo numero, poiché ci ha lasciato, insieme a tanti altri Artisti scomparsi negli ultimi tempi, un grande patrimonio che, speriamo, noi amici dell’Arte, riusciremo a custodire come un grande tesoro! Allora, siete pronti con le sorprese di febbraio? E viaaa… scaricate gratuitamente il numero della Rivista Tuttoballo, ricordando sempre il nostro motto: Tuttoballo, la Rivista che ti informa e ti tiene in forma! Buona lettura a tutti!
Carissimi Amici, eccoci giunti alla pubblicazione del numero di febbraio…il mese del Carnevale, delle frappe e castagnole, della buona cucina, ma ricco anche di tanti nuovi appuntamenti d’Arte, con molte novità ed interviste a nuovi personaggi, oramai nostri amici, che vogliamo presentarvi con i loro consigli e le loro idee, e ad amici “di vecchia data” per voi tutti, che già conoscete e che ci allieteranno con le loro riflessioni.
Purtroppo il mese inizia con la scomparsa di una grandissima Artista del panorama cinematografico italiano, Monica Vitti, a cui dedichiamo questo numero, poiché ci ha lasciato, insieme a tanti altri Artisti scomparsi negli ultimi tempi, un grande patrimonio che, speriamo, noi amici dell’Arte, riusciremo a custodire come un grande tesoro!
Allora, siete pronti con le sorprese di febbraio?
E viaaa… scaricate gratuitamente il numero della Rivista Tuttoballo, ricordando sempre il nostro motto: Tuttoballo, la Rivista che ti informa e ti tiene in forma!
Buona lettura a tutti!
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25
TuttoBallo20 - Febbraio 2022 - n. 25
Copertina: Casanova Opera Pop - foto di Jarno - Gian Marco Schiaretti
e Angelica Cinquantini.
TuttoBallo20 - Febbraio 2022 - n. 25
Editore "Stefano Francia" EnjoyArt
Direttore - Fabrizio Silvestri
Vice direttore - Eugenia Galimi
Segretaria di redazione - Pina delle Site
Redazione - Marina Fabriani Querzè
COLLABORATORI: Maria Luisa Bossone, Antonio Desiderio, Francesco
Fileccia, David Bilancia, Giovanni Fenu, Mauri Menga, Sandro Mallamaci,
Walter Garibaldi, David Iori, Giovanni Battista Gangemi Guerrera, Lara
Gatto, Lucia Martinelli, Patrizia Mior, Ivan Cribiú, Danilo Pentivolpe,
Alessia Pentivolpe, Carlo De Palma, Rita Martinelli, Assia Karaguiozova,
Federico Vassile, Elza De Paola, Giovanna Delle Site, Jupiter, Francesca
Meucci, Alberto Ventimiglia.
Fotografi: Luca Bartolo, Elena Ghini, Cosimo Mirco Magliocca
Photographe Paris, Monica Irma Ricci, Luca Valletta, Raul Duran,
DsPhopto, Raul, Alessio Buccafusca, Alessandro Canestrelli, Alessandro
Risuleo.
Le foto concesse da uffici stampa e/o scaricate dalle pagine social dei
protagonisti.
Le immagini e le fotografie qui presentate, nel rispetto del diritto d’autore,
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direttore. I collaboratori cedono all'editore i loro elaborati a titolo gratuito.
Testata giornalistica non registrata di proprietà: ©ASS: Stefano Francia EnjoyArt
per contattare la redazione Tuttoballo20@gmail.com
Contro Copertina
Carissimi lettori, febbraio… il mese del carnevale,
il mese di manifestazioni artistiche e sportive di
una certa rilevanza: Il Festival di Sanremo ha
decretato vincitori Mahmood e Blanco davanti a
Elisa e Gianni Morandi; a Pechino 2022,
Francesca Lollobrigida e la staffetta mista dello
short track aprono il medagliere italiano, il 14
febbraio San Valentino e... molte le iniziative e
attività artistiche in programma (teatro, danza,
mostre)…
La copertina è dedicata proprio ad uno di questi
eventi: CASANOVA OPERA POP scritta dal grande
Red Canzian. Abbiamo scelto quest'opera perché
nasce dalla creatività di tanti artigiani dell'arte a
partire dai figli e moglie di Red. Comunione di
intenti, obiettivi comuni, nascono sempre dall'idea
maturata all'interno di un singolo e poi condivisa
con gli altri artigiani.
La contro copertina invece, d'obbligo è per i
vincitori della 72 edizione del Festival di Sanremo
Mahmood e Blanco.
Un festival di trionfi, di inclusioni, di brani originale
pronti a formare playlist adatte a tutta la famiglia.
Questa è l'edizione più seguita del festival dal
1997 quando vinsero a sorpresa i Jalisse... Infine,
il ricordo della grande attrice Monica Vitti...
© F R E E P R E S S O N L I N E r i p r o d u z i o n e r i s e r v a t a - D I R E T T A D A F A B R I Z I O S I L V E S T R I - S E G R E T E R I A D I R E D A Z I O N E P I N A D E L L E S I T E - T U T T O B A L L O 2 0 @ G M A I L . C O M - e d i z i o n e " S t e f a n o F r a n c i a E n j o y A r t "
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Massimo Polo
Direzione Artistica
TuttoBallo
TuttoBallo
GALA
CARLA FRACCI
Adieu… Au revoir
A un anno dalla scomparsa, il Teatro Carcano ospita una serata commemorativa per ricordare Carla Fracci, una delle più
celebrate ballerine del ventesimo secolo, artista di immenso talento, nonché donna piena di grazia e concretezza.
L’entourage e il marito Beppe Menegatti, che ha condiviso con lei più di cinquant’anni di vita artistica e privata, saranno
supporto e fonte di ispirazione per lo spettacolo.
Il Gala ripercorrerà la carriera di Carla Fracci, un percorso di tenacia, duro lavoro e inestinguibile passione che porterà
l’esile figlia di un tranviere milanese a calcare i palcoscenici più prestigiosi del mondo e ad essere celebrata come stella di
prima grandezza.
La serata offrirà brani scelti dai balletti di repertorio di cui Carla Fracci è stata immortale protagonista e sarà illuminata dalla
presenza di étoiles di prim’ordine, provenienti dai più blasonati teatri internazionali quali il Teatro dell’Opera di Budapest, il
Teatro alla Scala di Milano, l’American Ballet Theatre di New York, il Teatro dell’Opera di Vienna, il Teatro dell’Opera di
Stara Zagora (Bulgaria), il Teatro dell’Opera di Brno.
Sul palcoscenico anche gli allievi della Scuola Danza Accademia e del Centro Studi Corografici Teatro Carcano diretto dal
maestro Aldo Masella.
Prevista anche la presenza della Voce narrate dell'attore Walter Nudo.
Management & Direzione artistica Antonio Desiderio
Assistente Direzione artistica e MaÎtre de Ballet Sabrina Bosco. Regia e supervisione Beppe Menegatti
Acquista il tuo biglietto per il
GALA CARLA FRACCI
al Teatro Carcano il 04 Marzo 2022
Biglietti on line su:
www.teatrocarcano.com
www.happyticket.it
www.vivaticket.it
E D I T O R I A L E
Carissimi amici e lettori, eccoci arrivati a febbraio … il mese del carnevale, il mese di manifestazioni artistiche di una certa
rilevanza: Sanremo ha decretato Mahmood e Blanco vincitori davanti a Elisa e Gianni Morandi; Pechino 2022, in onda su
Rai2, Francesca Lollobrigida e la staffetta mista dello short track aprono il medagliere italiano, San Valentino e... molte le
iniziative e attività artistiche in programma (teatro, danza, mostre) …
Oltre a tutto ciò, confrontandoci, noi artigiani dell’arte abbiamo fatto una riflessione che, seppur scontata, non è poi così
banale.
É, infatti, questo, il tempo dei cambiamenti, il tempo della conclusione di un momento storico importante, che sta
destabilizzando, per alcuni versi, ma ristabilizzando per altri ancora, la vita di una generazione, della nostra società. Di
un’epoca: la pandemia, con tutto ciò che ne consegue, i cambiamenti politici, l’elezione del Presidente della Repubblica che,
seppur la stessa persona, inizierà un nuovo mandato, con nuove problematiche da affrontare ed una nuova parentesi storica
da costruire…tutto ciò che sta cambiando oggi, sarà storia da studiare, giudicare, criticare, un domani. Solo una cosa, però,
non cambia mai: la potenza dell’arte.
Essa si adegua agli stati d’animo, alla storia, alla vita, alle esigenze correnti, ma la sua essenza è sempre uguale a sé
stessa, perché non cambia, come non cambia il suo valore, la sua forza ed il suo sostegno per ciascuno di noi.
Si legge un po' ovunque che un adolescente su 4 soffre di depressione per via degli effetti sociali, oltre che sanitari,
economici etc., causati dalla pandemia; e chi o cosa può aiutarli ad uscire da questo stato di non-vita? Certamente l’arte. Sia
essa la danza, la musica, la fotografia, la scrittura… Ecco quindi anche il senso della nostra rivista: oltre ad essere
informazione, curiosità, conoscenza, vogliamo che essa diventi per noi tutti anche un momento di condivisione! E allora
rinnoviamo sempre più forte l’invito a voi tutti di interagire con noi, contattandoci e scrivendoci per darci idee, per consigliarci
miglioramenti, per esprimere anche perplessità su ciò che vi proponiamo, perché anche voi, insomma, diveniate amici della
grande famiglia degli artigiani dell’arte.
Il nostro regalo, dunque è quello di comunicarvi il nostro indirizzo e-mail tuttoballo20@gmail.com, che diventerà anche il
regalo che voi farete a noi creando un forum, uno spazio di scambio di idee, di emozioni, di gioie e di dolori inespressi.
Augurandovi una buona lettura di articoli bellissimi che la rivista vi propone anche questo mese, vi aspettiamo numerosi con
le vostre e-mail.
MONICA VITTI
IL CINEMA ITALIANO PERDE UN’ALTRA GRANDE ATTRICE
di Walter Garibaldi
Monica Vitti è “per sempre” andata via.
In realtà, il suo definitivo abbandono dalle scene pubbliche fu nel 2002 in
seguito al progredire di una lenta ma, inesorabile, malattia.
È stato confortante saperla ancora tra di noi e quando si parla di
immensi professionisti dello spettacolo è certo che continuino a rimanere
attraverso il loro operato.
Così, la “prima attrice italiana dalla divertente verve comica” come viene
erroneamente definita (il mito Anna Magnani, ad esempio, dimostrò la
sua innegabile versatilità in molteplici commedie) lascia una traccia
indelebile che, attraverso molti lavori, possiamo ancora visionare,
valutare, ed ammirare con immutato piacere.
Purtroppo, si parla troppo attraverso slogan, senza andare dritti alla
sostanza ed ecco che bisogna obbligatoriamente trovare termini di
paragone scomodi.
Non c’è alcuna classifica da fare, si nasce, chi prima e chi dopo e si
dimostra la propria arte ed il proprio essere artisti.
Monica Vitti l’ha ampiamente attestato; tra i film meno ricordati
dell’attrice, “Teresa la ladra” regia di Carlo Di Palma e “La Tosca”
per la regia di Luigi Magni, entrambi del 1973.
Nel primo la Vitti, versione mora, interpreta Teresa Numa, donna del
basso popolo, nata ad Anzio nella povertà più atroce. La storia si delinea
impiegando uno sfondo storico devastante. Senza fronzoli, si addentra
dentro molteplici tematiche sociali, presentando con grande coraggio e
verità, uno spaccato quasi orrorifico dei tempi. Su questo tessuto, Monica
Vitti alterna profonda drammaticità ad una magistrale dolcezza,
compiendo un perfetto percorso evolutivo del personaggio assegnatole.
Bistrattato ingiustamente dai critici quando uscì, è da recuperare
assolutamente.
“La Tosca” per quanto vide il Maestro Luigi Magni uscirne spazientito, in
seguito ai numerosi scontri con la prima attrice, è adorabile commedia
musicale su composizioni di Armando Trovajoli. Il brano “Mi madre è
morta tisica” eseguito dalla Vitti in coppia con Gigi Proietti è quanto di
meglio la tecnica possa raggiungere, tra virtuosismi e sottointesi, legati
ad una espressività e padronanza dei gesti superlativa.
Contemporaneamente al percorso cinematografico, la musa di Antonioni
ha continuato a calcare instancabilmente i palcoscenici, esibendosi nelle
grandi città, così come in misconosciuti comuni. Sul mestiere dell’attore
affermava: “Non ho fatto le cose per il successo. Questo bisogno che ho
di esprimermi, di rappresentare vite che non sono la mia mi fa andare
avanti. Credo che se uno ce la mette tutta, in qualunque campo, ce la fa”.
Il rispetto che le si deve è eterno.
di Giovanni Fenu
Sanremo, il Festival dei fiori, delle canzoni... e degli scandali: eh sì, perché la lunga storia della kermesse
sanremese non è condita soltanto di apprezzate o meno interpretazioni canore ma anche, e forse soprattutto, di
scandali, polemiche e, alcune volte, persino tragedie sfiorate o, come nel caso di Tenco, purtroppo concretizzatesi.
Anche perché diciamocelo, chi di noi guarderebbe il Festival se tutto andasse liscio, se tutto fosse, come si suol dire,
“rose e fiori”? Quindi confessiamolo: in fin dei conti ogni anno ci posizioniamo lì davanti allo schermo anche per poter
assistere, magari, a qualche fuori programma, ci sintonizziamo su “mamma Rai” in qualsiasi orario diurno, non
perdiamo nemmeno un programma che parli del Festival, per tenere le orecchie ben protese, pronti a captare il gossip
circolante intorno alla gara canora. Una “perversa” voglia di scandalo e quant’altro “figlia” di... Sanremo; sin dai suoi
albori, infatti, è stata proprio la competizione canora a “regalarci” avvenimenti più o meno scandalosi, rivalità e gelosie
tra gli artisti in gara e tutto ciò che fa del Festival un avvenimento che travalica il semplice ambito musicale,
coinvolgendo anche la sfera più “gossippara”. Ma procediamo con ordine e vediamo alcuni degli avvenimenti clou che
hanno interessato il Festival sin dai suoi albori.
Il primo scandalo sanremese ci viene offerto già dalla seconda edizione quando il Salone delle feste del
Casinò è, suo malgrado, teatro di un’accesa zuffa tra Gino Latilla e il maestro Cinico Angelini, frutto della
rivalità dei due, entrambi innamorati di Nilla Pizzi. Trascorrono sette anni e nel 1959 è invece Jula De Palma a
suscitare scandalo, nell’Italia moralista e bacchettona del tempo, a causa di un look e un’esibizione ritenuti troppo
“sensuali” dai dirigenti Rai e da diversi giornali; la sua Tua ottiene un ottimo quarto posto finale, ma viene ben presto
censurata per via di quel rapporto fisico tra un uomo e una donna di cui parla, non troppo velatamente, il testo. Per la
De Palma, invece, quell’esibizione è un macigno sulla propria carriera e sulla sua vita privata: l’artista, infatti, nei giorni
successivi riceve migliaia di lettere di protesta cariche di offese, subendo persino un’ aggressione per strada. Gli anni
Sessanta si aprono confermando la vena “polemica” del Festival: nel 1961 un giovanissimo Adriano Celentano, già il
“molleggiato”, si presenta in gara con 24mila baci – che giungerà seconda – lo scandalo è presto servito: l’artista
milanese, infatti, pensa bene di esibirsi dando le spalle al pubblico che ovviamente non apprezza. Sempre in
quell’edizione, una giovanissima Mina è in gara con Io amo tu ami quando, siamo nella seconda serata di gara,
prende una “stecca” clamorosa che la induce ad abbandonare il palco prima di terminare l’esibizione; per la giovane
cantante è un dramma: scossa dal fatto e dalle polemiche che la travolgono, si ripromette di non prendere più parte al
Festival... parola mantenuta.
Nel 1964 Bobby Solo si esibisce con la
sua Una lacrima sul viso con gli occhi
truccati, il gossip non si è ancora
scatenato che subito un altro scandalo lo
travolge: l’artista, infatti, pare si sia esibito
in playback per una, si dice, falsa laringite;
lo stesso Solo ha di recente confessato
che non era malato, ma che già dalla
prima serata aveva – su idea di Vincenzo
Micocci, direttore artistico della Ricordi –
cantato in playback. Lo stratagemma non
evita al cantante la squalifica che, tuttavia,
“promuove” ancor di più il brano che nelle
settimane successive vende ben 1 milione e
800mila copie. Protagonista dell’edizione del
1966, condotta da Mike Bongiorno, è Carla
Maria Puccini, che insieme a Paola Penni
affianca nella conduzione il presentatore,
la quale pensa bene di fingere uno
svenimento sul palco che tuttavia non
perturba assolutamente il “buon” Mike
che imperterrito prosegue come se nulla
fosse. Tempo dopo si verrà a sapere che a
organizzare la “gag” del finto svenimento è
stato Renzo Arbore, uno degli autori di
quell’edizione. L’anno successivo, con alla
guida ancora Bongiorno, Sanremo vive la sua
pagina più triste e fosca: la morte irrompe al
Festival; Luigi Tenco, giovane cantautore
ligure, viene infatti ritrovato morto nella sua
stanza d’albergo; una tragica fine sulla quale
si dibatte ancora oggi con molti interrogativi
circa le vere motivazioni che si celano dietro
a quel gesto estremo ed alcuni pronti a
sostenere la tesi dell’omicidio. Fatto sta che
una cappa oscura avvolge la kermesse; alla
base del gesto del cantante – si afferma in
quei giorni – pare vi sia l’eliminazione della
sua – presentata in coppia con Dalidà – Ciao amore, ciao; è la prima serata e per l’artista il colpo è troppo duro: in un bigliettino ritrovato
nella stanza, accanto al corpo, ha lasciato scritto: «Faccio questo come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le
rose – cantata da Orietta Berti, nda – in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione». La gara è appena cominciata, lo
scandalo ulteriore è che nessuno ritiene opportuno chiuderla lì: insomma, the show must go on, e così Mike Bongiorno, dopo aver dato
sommariamente la notizia al pubblico, prosegue come se nulla fosse accaduto. Gli anni Settanta si distinguono soprattutto per il
boicottaggio delle grandi case discografiche in occasione dell’edizione del 1975; gli Ottanta, invece, come vedremo, riservano nuova
“linfa” vitale al gossip sanremese. È il 1980 quando un giovane, vulcanico Roberto Benigni affianca Claudio Cecchetto nella conduzione;
con loro vi è anche l’attrice Olimpia Carlisi. L’istrionico Roberto non manca di esibirsi in una delle sue “toscanate” e così, dopo una lunga
dichiarazione d’amore si fionda sul volto della Carlisi (all’epoca sua compagna, nda) e la bacia, in un tête-à-tête destinato a durare ben
45 secondi. Nel 1982 altro violento scandalo: il “reuccio” Claudio Villa con la sua Facciamo la pace, viene eliminato alla prima
serata; un verdetto che scatena le ire del grande cantante romano il quale chiede a Ravera, “patron” del Festival, in un acceso e
“drammatico” confronto, di riammettere la sua canzone tra i “big” malgrado la rosa fosse già chiusa. Una richiesta non
esaudita; tuttavia, su suggerimento di Claudio Cecchetto, Ravera decide di far partecipare Villa alla categoria “giovani”: la sua
enorme popolarità, pensa, lo farà vincere: ma le cose non vanno come sperato, con il “reuccio” che viene eliminato e che,
furioso, chiede di conoscere l’ubicazione e la composizione delle giurie che lo avevano escluso; la vicenda si allarga,
coinvolgendo anche il comune di Sanremo – responsabile, secondo Ravera, della gestione delle giurie – alla fine Villa, che aveva
richiesto la sospensione del Festival, accetta il verdetto: Sanremo può proseguire; Michele Zarrillo, sorteggiato tra gli esclusi della gara
per potersi esibire – non competendo – durante la serata finale, come chiesto da Villa, non si presenta sul palco per volere delle case
discografiche, non intenzionate a dare ulteriore visibilità all’accaduto. Nel 1983 Vasco Rossi, in gara con Vita spericolata, pensa bene di
abbandonare il palco in anticipo svelando così al pubblico in sala e a casa la “sacrilega” verità: gli artisti in gara si esibiscono in playback.
Nel 1986 la grintosa Loredana Bertè fa scandalo cantando Re –
scritta da Mango – indossando un finto pancione; è il 13 febbraio,
serata inaugurale del Festival, e la cantante crea scandalo con quella
sua trovata che spiazza tutti, giornalisti e organizzatori. Così
successivamente avrebbe spiegato quel suo gesto: «Era
un’ammissione di verità e personalità della donna nella sua dimensione
più vera. Forse la gente crede che la donna incinta debba per forza
soffrire in un letto e aspettare il lieto evento con un medico e una
levatrice a fianco, invece che ballare, cantare, ed essere se stessa
soprattutto in quei momenti così importanti per lei». Ma è, quella,
un’Italia che seppur non più “bacchettona”, ancora non è pronta a un
gesto simile e così la polemica è servita. Nel 1987 ancora note
funeste: è la sera della finalissima, il 7 febbraio, quando un
distrutto Pippo Baudo interrompe la gara per dare al pubblico in
sala e a casa la notizia della morte di Claudio Villa; subito un lancio
straripante di fiori verso il palco per ricordare il grande cantante
romano, più volte protagonista a Sanremo e che, incredibilmente, si
congeda dalla vita e dal suo pubblico proprio il giorno della finalissima.
Arrivano gli anni Novanta e gli scandali non si placano; un sarcastico
film di Pier Francesco Pingitore del 1992, Gole ruggenti, dà una sua
personalissima interpretazione del Festival, tra raccomandazioni,
pressioni dei discografici, finti allarmi bomba e chi più ne ha più ne
metta, non andando, a pensarci bene, troppo lontano dalla realtà.
Sempre in quel 1992, ci pensa Pupo a creare scandalo; dopo essersi
visto eliminare con il suo brano La mia preghiera, l’artista fa una
rivelazione scioccante, affermando di essersi comprato il quarto posto
all’edizione del 1984 – con la sua Un amore grande – acquistando
schedine del Totip per un totale di 75 milioni di Lire. È un Sanremo,
quell’anno, che non smette di far parlare di sé: nella serata inaugurale,
infatti, il palco dell’Ariston vede l’intrusione di “cavallo pazzo” – al
secolo Mario Appignani – ultrà romanista, noto disturbatore “seriale” di
molte trasmissioni e partite di calcio, il quale riuscendo a eludere la
sorveglianza, si fionda da Pippo Baudo e grida: «Questo festival è
truccato e lo vince Fausto Leali», prima di essere braccato dalla
sicurezza. Un’azione che lo stesso Appignani avrebbe poi detto essere
stata organizzata con lo stesso Baudo (la mattina “cavallo pazzo”
aveva avvisato il conduttore che sarebbe salito sul palco, nda), ma la
cosa viene smentita. Più probabile la non “genuinità” di quanto
avvenuto nel 1995, in un Festival da record per ascolti, ancora a guida
Baudo, un Baudo che diviene “SuperPippo” “salvando” un uomo – Pino
Pagano – che, arrampicatosi oltre la balaustra della galleria, si siede
penzoloni sul bordo minacciando di gettarsi di sotto. L’intervento del
conduttore è celere: Pippo Baudo si fionda verso l’aspirante suicida,
disperato per la mancanza di lavoro, e convince il poveretto a rientrare
e desistere così dal proprio intento; tra gli applausi di un Ariston
attonito, Baudo porta a termine con successo l’operazione. Un episodio
destinato a entrare di diritto nella storia di Sanremo e che già
all’indomani accende aspre critiche tra gli addetti ai lavori, molti dei
quali non credono alla “genuinità” del tutto. E in effetti i sospetti che si
trattasse di un qualcosa di organizzato sono molti; anni dopo il diretto
interessato, Pino Pagano, svela l’arcano, affermando che si trattò
di un gesto concordato e per il quale avrebbe ottenuto ben 20
milioni di Lire e di essere riuscito a “tirare a campare” con
qualche lavoretto proprio grazie alla notorietà rimediata dopo
quell’incredibile Festival.
Negli anni Duemila a destare scalpore è, nell’edizione del
2009, Giuseppe Povia che con la sua Luca era gay che
parla di un giovane gay che diviene eterosessuale, si attira
le aspre critiche del movimento LGBT. L’anno successivo
la gara annovera tra i partecipanti persino un “reale”:
Emanuele Filiberto di Savoia, che insieme a Pupo e Luca
Canonici conquista un sorprendente secondo posto con
Italia amore mio; un piazzamento d’onore che non va giù
agli orchestrali i quali, per contestare l’esito del televoto,
stracciano gli spartiti gettandoli in aria. Arriviamo infine
all’incredibile edizione 2020 destinata a restare indelebile,
come quella dell’abbandono di Bugo. È la quarta serata
quando Bugo e Morgan si presentano sul palco per cantare
Sincero; il giorno prima i due si sono esibiti nella serata
riservata all’omaggio verso le canzoni che hanno fatto la
storia del Festival, eseguendo il brano di Sergio Endrigo
Canzone per te. Adesso ripropongono il loro pezzo ma pochi
istanti dopo l’inizio dell’esibizione, ecco Bugo abbandonare –
sotto gli occhi increduli di Amadeus – il palco; quello che
segue è un quadretto perfino comico: Morgan continua a
cantare per un po' e poi, accortosi del fatto, eccolo andare a
cercare, insieme ad Amadeus e Fiorello, il proprio partner
musicale. Bugo non torna sul palco, a questo punto
l’organizzazione non può far altro che squalificare il brano e i
due artisti; a provocare l’ira di Bugo le modifiche apportate
alla versione cantata quella sera da Morgan: parole che lo
umiliano, dandogli dell’approfittatore e del maleducato. È
l’apice di un malcontento fra i due iniziato già prima dell’inizio
del Festival e che tocca in quel 7 febbraio 2020 il punto più
profondo. L’edizione 2021, causa Covid19 rischia di saltare:
Dopo tante trattative Amadeus riesce a realizzare l’edizione
numero 71. Per la prima volta niente pubblico all’Ariston, i
posti in platea sono occupati da palloncini di varie forme, e
scoppia lo scandalo del “Palloncino”. Non passa
inosservato infatti il palloncino a forma fallica. La questione è
subito affrontata in diretta da Fiorello nella seconda parte
della serata: "Abbiamo fatto una ca***ta. Preferivo la
platea vuota, era poeticamente spettacolare". Lo
showman spiega la situazione ad Ama: "Pare che ci sia un
palloncino a forma di... cosa fischia l'arbitro? Dai dillo...
resta da capire perché sia lì in mezzo". Scherzando ha
aggiunto: "Ringraziamo per la solidarietà anche il
presidente della Regione Toti che li ha gonfiati uno a
uno". E’ l’anno dei gruppi e l’attenzione cade sui vincitori
Maleskin, un nome che Orietta Berti confonde con i
Naziskin… Questi sono naturalmente soltanto alcuni degli
scandali che hanno costellato la lunga vita del Festival di
Sanremo; avvenimenti che a volte ci fanno sorridere, altri più
drammatici, ma che, a ben vedere, costituiscono l’anima del
Festival, rendendolo tanto caro a milioni di italiani pronti a
seguire (e giudicare) gli artisti in gara ma anche, e forse
soprattutto, pronti a spettegolare o gridare allo scandalo
appena se ne presenti l’occasione. Edizione 2022 ricca di
successi oltre quelli musicali anche quelli personali di Ama
che dopo 27 anni riporta gli ascolti a livellis da record.
Mahmood e Blanco vincono davanti ad Elisa e Gianni
Morandi. Iva Zanicchi, Orietta Berti, Massimo Ranieri
hanno dato lezione di stile e canto agli altri concorrenti, i
quali si sono esibiti con outfit e canzoni originali.
Comunque vada, diceva Chiambretti negli anni 90, sarà
un successo. Nel Bene o nel male purché se ne parli
Sanremo... è Sanremo.
A 10 anni esatti dalla vittoria con il brano “Non è l’Inferno”,
EMMA, dopo aver co-condotto il Festival di Sanremo nel
2015 con Carlo Conti ed aver calcato più volte il palco del
Teatro Ariston come super ospite, è tornata in gara, al
Festival di Sanremo, con una canzone dal titolo “OGNI
VOLTA È COSÌ” (Polydor/Universal Music Italy), brano
scritto dalla stessa Emma insieme a Davide Petrella,
composto da Davide Petrella e Dario Faini e prodotto da
Dorado Inc. Il singolo sarà contenuto in un imperdibile 45
giri da collezione in uscita venerdì 18 febbraio
Sul palco accanto a Emma c’era la collega Francesca
Michielin, che oltre a dirigerla ha accompagnato Emma
nella serata delle cover:«Quando Francesca mi ha detto
che le sarebbe piaciuto dirigere l’orchestra per me a
Sanremo non ho avuto nessuna esitazione, ho detto sì.
Condividere quel palco con un’altra artista amica mi ha
dato la giusta carica, in quelle serate ho vissuto
perfettamente il mio modo di vivere l’arte a 360 gradi in
tutte le sue forme. Sono felice e onorata che Francesca sia
stata al mio fianco in questa avventura! Un modo per
festeggiare anche i suoi 10 anni di carriera e per
dimostrare ancora quanto siamo coraggiose e quanto
amiamo la musica».
Francesca Michielin sorridente ha sottolineato: «Per me
è stata una nuova prima volta a Sanremo. Sono tornata in
Riviera, ma in una veste inedita, quella di direttrice
d’orchestra. Sono orgogliosa di aver condiviso questa
esperienza con Emma, un’artista che stimo da sempre, di
cui ho seguito la carriera fin da quel suo primo provino che
vidi in tv solo pochi mesi prima di affrontare il mio, che mi
ha cambiato la vita. Ho sempre considerato Emma una
persona diretta, senza retropensieri. Adoro il suo modo di
essere e di fare. Inoltre sono onorata di essermi
confrontata con un’orchestra di grandi maestri e di aver
vissuto il festival da un’altra prospettiva, orchestrando,
imparando, vivendo con i musicisti la dinamica e
l’interpretazione di un pezzo bellissimo».
Selfie di Francesca Michielin e Emma a Sanremo 2022
GIUSY
FERRERI
"MIELE"
SAPORI RETRÒ
“MIELE”, il brano presentato alla 72 edizione del Festival di Sanremo sarà incluso nel nuovo album di inediti di
prossima uscita di Giusy Ferreri, un album scritto da Takagi & Ketra, Federica Abbate e Davide Petrella.
A proposito del brano Giusy ha commentato così «È una parentesi musicale romantica dal sapore retrò. Quando lo
canto mi sembra di vivere uno spostamento spazio-temporale, come un magico e dolce viaggio nell’attesa del
ritorno di un amore».
“MIELE” e “GLI OASIS DI UNA VOLTA”, sono i primi assaggi del nuovo percorso artistico che la Ferreri ha
intrapeso. “GLI OASIS DI UNA VOLTA”, è una ballad che evidenzia il lato più profondo e rockeggiante della voce
dell’artista, con un testo malinconico e introspettivo che avvicina il brano alle origini della sua produzione.
Dal suo clamoroso esordio del 2008 ad oggi, Giusy Ferreri ha collezionato risultati straordinari costruendo una
carriera di traguardi e record, tra hit radiofoniche, 1 disco di diamante e 18 dischi di platino.
Sono 5, ad ora, gli album in studio, e innumerevoli, invece, i brani che negli anni, hanno mostrato l’incredibile
capacità della Ferreri di interpretare generi e stili più disparati, spaziando dal rock al pop, dal blues alla world
music, tra cui, solo per citarne alcuni, “Non ti scordar mai di me”, “Novembre”, “Il Mare Immenso”, “Ti Porto A Cena
Con Me”, “Partiti Adesso”, “Volevo Te”.
Una vita segnata da grandi successi e importanti collaborazioni con alcuni dei nomi più rilevanti del panorama
italiano quali Tiziano Ferro, Nicola Piovani, Marco Masini, Michele Canova, Sergio Cammariere, Takagi & Ketra,
Corrado Rustici, Federico Zampaglione, Bungaro e molti altri, e con Linda Perry autrice internazionale.
ana
mena
la hermosa chica del pop urban
Dopo essersi fatta conoscere e
amare dal pubblico italiano
collaborando con artisti come Rocco
Hunt, Fred De Palma e Federico
Rossi, ANA MENA convince meno il
palco del FESTIVAL DI SANREMO
con il brano “DUECENTOMILA
ORE”, scritto a sei mani da Rocco
Hunt, Zef e Federica Abbate e
prodotto da Zef. Il ritmo rap
neomelodico, poco calzante con la
personalità della cantante spagnola
che prima del festival ha inciso
un’inedita versione in spagnolo del
grande successo “Musica
Leggerissima”, presentato proprio al
Festival di Sanremo da Colapesce
Dimartino e diventato uno dei brani
più ascoltati del 2021.
Nella serata dedicate alle cover,
Ana Mena ha duettato con Rocco
Hunt in un medley sulla grande
musica italiana. Anche se è arrivata
24esima siamo certi che sarà uno
dei tormentoni primaverili.
Ana Mena si sta affermando come
una delle artiste più amate nella
nuova scena pop e urban con
un’importante allure internazionale
grazie ai successi che sta ottenendo
in America Latina, Francia e Italia,
oltre che in Spagna. Ed è proprio nel
suo paese d’origine che si è
affermata come cantante attrice,
prima recitando in programmi di
successo sul piccolo schermo e poi
conquistando anche il cinema dove
ha debuttato con una parte nel film
“La pelle che abito” di Pedro
Almodóvar, insieme ad Antonio
Banderas.
A 24 anni, la popstar spagnola vanta
numeri da record con 36 dischi di
PLATINO, 2 dischi d’ORO, oltre 5
milioni e mezzo di ascoltatori mensili
su Spotify e oltre 1 miliardo e mezzo
di views totali su YouTube.
Considerazioni che il pubblico di
Sanremo non ha preso in
considerazioni posizionandola
all'ultimo posto della classifica. Una
posizione che con dati storici alla
mano porterebbe molta fortuna.
Chissà se la bionda spagnola avrà
la stessa sorte di Zucchero e Vasco
Rossi?
DITONELLAPIAGA
RETTORE
è questione di chimica!
Chimica è il brano con cui Ditonellapiaga e
Rettore hanno conquistato la 72 edizione
del Festival di Sanremo.
Il brano è stato scritto da Margherita
Carducci, in arte Ditonellapiaga, e
Donatella Rettore, le musiche sono state
composte dalla stessa Ditonellapiaga,
Benjamin Ventura, Alessandro Casagni,
Valerio Smordoni e Edoardo Castroni.
Una vera hit che richiama le atmosfere
della Disco come appare chiaro dalla
copertina ispirata a certe sonorità anni
‘70/’80. Un pezzo scatenato e irriverente
che ha rivelatola profonda sintonia nata
fra due artiste di generazioni diverse e che
hanno fatto ballare il pubblico della
kermesse. Il ritorno a Sanremo della
Rettore ha riportato molti di noi indietro
nel tempo, facendoci fischiettare successi
come "Splendido Splendente" , "Kobra"
"Lamette", "Amore Stella".
Questa è questione di Chimica...
SETTE SPOSE PER SETTE FRATELLI
Diana Del Bufalo e Baz,
nuovissima coppia del
teatro musicale italiano
Sette Spose per sette Fratelli è uno dei
titoli di musical più amati dal pubblico
italiano, tratto dall’omonimo film prodotto da
MGM e diretto da Stanley Donen, un cult
riproposto da sempre in tv con grandi
ascolti.
FDF Entertainment con la compagnia Roma
City Musical e la regia di Luciano Cannito
portano in scena una nuova e
divertentissima edizione di 7 Spose per 7
Fratelli ispirata al celebre film di Hollywood,
con uno sguardo ai personaggi ed alle
ambientazioni del mondo ironico dei
western di Quentin Tarantino. Il grande
impianto scenografico firmato da Italo
Grassi e i meravigliosi costumi di Silvia
Aymonino sono stati progettati e creati
secondo i canoni estetici e spettacolari
di Broadway e di West End.
Un cast di 22 interpreti, orchestra dal vivo
con la direzione musicale di Peppe
Vessicchio e con protagonisti Diana Del
Bufalo e Baz, nuovissima coppia del teatro
musicale italiano, esplosivi, divertenti,
vulcanici, dal talento vocale dirompente.
Siamo nell’Oregon del 1850; in una
fattoria tra le montagne vivono i sette fratelli
Pontipee: Adamo, Beniamino, Caleb,
Daniele, Efraim, Filidoro e Gedeone. Adamo
il fratello maggiore, si rende conto che è
arrivata l’ora di trovare una moglie che si
occupi della casa e della cucina.
Un giorno si reca in città per vendere pelli e
conosce Milly, la cameriera della locanda
del villaggio. Tra i due scocca il colpo di
fulmine. Adamo e Milly si sposano e partono
per la fattoria.
Arrivati a casa Pontipee, Milly ha la sgradita
sorpresa; scopre, infatti, che dovrà
prendersi cura non solo del marito, ma
anche dei suoi fratelli, sei rozzi montanari
rissosi e refrattari all’igiene personale e alle
buone maniere.
Dopo una certa fatica iniziale, Milly comincia
a mettere in riga i sei ragazzi e vedendoli
migliorare grazie alle sue cure, Milly
comincia segretamente a progettare di unire
i sei cognati con le sue amiche del paese.
L'occasione propizia si presenta nel corso di
una festa annuale in cui durante il ballo i sei
fratelli Pontipee, puliti e ben vestiti, danno
prova della loro abilità nella danza alle
amiche di Milly. La festa vedrà opposte le
squadre dei cittadini e dei montanari,
degenerando ben presto in una violenta
rissa. I cittadini, gelosi per il successo dei
fratelli Pontipee con le ragazze, provocano
costantemente i boscaioli fin quando non
cedono. I fratelli Pontipee tornano
sconsolati alla loro fattoria e Milly scopre
che i sei ragazzi si sono innamorati delle
sue amiche. Sanno però che i genitori delle
ragazze non acconsentiranno mai alle
nozze, così organizzano un rapimento,
proprio come fecero i romani con il ratto
delle sabine. Una valanga impedisce ai
parenti di raggiungere le rapite, così passa
l'inverno. Quando padri, fratelli e ex
fidanzati le raggiungono a primavera, le
ragazze ormai sono a loro volta innamorate.
Non resta così che un matrimonio generale.
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NOTRE DAME DE PARIS - dal 3 al 20 MARZO 2022
ro
È il 19 gennaio 2002 quando il sipario del Teatro Arcimboldi, nato per accogliere le stagioni
del Teatro alla Scala, si apre per la prima volta. In scena La traviata di Giuseppe Verdi, diretta
dal Maestro Riccardo Muti. Sei minuti di applausi finali accolgono con successo il temporaneo
trasferimento in Bicocca del teatro più̀ famoso del mondo. Gli applausi e le emozioni non si
fermano e sottolineano il legame profondo che unisce il teatro alla città di Milano e non solo.
Ospitando in esclusiva i concerti dei grandi protagonisti della musica, le anteprime
internazionali dei più importanti spettacoli teatrali e le popolari puntate della trasmissione
televisiva Zelig, Arcimboldi arriva al cuore di tutta Italia, diventando tempio dello spettacolo
con una programmazione di prim’ordine. Vent’anni indimenticabili, durante i quali abbiamo
potuto condividere con tutto il nostro pubblico le emozioni regalate dai grandi artisti italiani e
internazionali che, scegliendo il TAM, ne hanno consolidato il prestigio a livello mondiale.
L’Arcimboldi ha visto calcare il proprio palcoscenico da migliaia di artisti unici, da Sylvie
Guillem, Angelin Preljocaj, Michael Nyman a Uri Caine, Alvin Curran, Joan Baez, Mark
Knopfler e Roberto Bolle; celebrità della canzone e della musica tra cui Neil Young, Tom
Waits, Liza Minnelli, Bob Dylan, Tom Jones, Diana Krall, Leonard Cohen, Charles Aznavour,
B.B. King, Goran Bregovich, Elton John, Sting, Ludovico Einaudi, David Gilmor, Burt
Bacharach, Lang Lang, Ornella Vanoni, Paolo Conte, Fiorella Mannoia. Centinaia le prime
nazionali di compagnie di danza come Ballet National de Marseille, Béjart Ballet Lausanne, gli
spettacoli di Matthew Bourne , Akram Khan, Carolyn Carlson , Bob Wilson e tutti i colori dei
grandi musical come Notre Dame de Paris, The Beauty and the Beast, Ghost, Priscilla.
Oggi, grazie a tutti voi, TAM Teatro Arcimboldi Milano è il luogo di eccellenza dello spettacolo
dal vivo, ma anche un hub culturale dove Teatro Arte e Musica si rincorrono e si fondono
grazie a una programmazione aperta alla città e al mondo tra intrattenimento, formazione e
servizio: un calendario fitto di importanti spettacoli e celebri artisti musicali, lezioni di danza e
di performing arts presentate da STM Scuola del teatro musicale e da AUB Accademia
Ucraina di Balletto, due nuovi ristoranti interni per un mix di cucina italiana, offerta al TAMO
Bistrò, e dei sapori fusion preparati dallo chef Roberto Okabe nel nuovo Finger’s Arts e tante
iniziative legate all’arte e al design come la prossima riprogettazione del giardino e del
bookshop firmati da prestigiosi studi milanesi e soprattutto il progetto Vietato l’Ingresso che nei
mesi scorsi ha visto prestigiose firme del mondo della progettazione di interni ridisegnare i
diciassette camerini del teatro richiamando l’attenzione da parte del mondo dell’architettura
che lo ha definito “uno dei progetti più originali del Fuorisalone”.
LUCA ARGENTERO in è QUESTA LA VITA CHE SOGNAVO DA BAMBINO?
21 MARZO 2022
SERGEI POLUNIN - AN EVENING OF DANCE AND CONVERSATION
28 FEBBRAIO 2021
Red Canzian:
Casanova Opera Pop, 2 ore di spettacolo in due atti, con oltre 30 cambi scena costruiti con una tecnica di proiezioni ad
altissima definizione dall’effetto immersivo, 120 costumi disegnati da Desirée Costanzo e realizzati dall’Atelier Stefano
Nicolao (nomination per i costumi del film da Oscar Eyes Wide Shut), e con la regia di Emanuele Gamba, racconta
Giacomo Casanova in un’età intorno ai 35 anni, al rientro dall’esilio e strenuo difensore di Venezia dai giochi di potere
che la vorrebbero venduta allo straniero.
Red Canzian, direttore artistico e compositore, racconta: “Ho cullato a lungo l’idea di comporre un’opera musicale
dedicata alla Città di Venezia, forse l’unica al mondo di tale notorietà a non avere un ‘suo’ musical, e a Giacomo
Casanova, uno dei personaggi italiani universalmente conosciuti, ma finora raccontato in una chiave sempre un po’
monotematica, mentre io volevo rappresentarlo nelle tante sfumature che fanno di lui una delle figure storiche più
interessanti che l’Italia e Venezia in particolare possono vantare”.
Nella parte di Giacomo Casanova troviamo Gian Marco
Schiaretti, uno dei talenti più puri cresciuti in Italia e di
successo anche all’estero. Accanto a lui, nella parte
dell’incantevole e volitiva Francesca Erizzo, destinata a
conquistarne il cuore, la giovane e già affermata Angelica
Cinquantini, volto familiare della fiction televisiva. Il ruolo
dei malvagi, pronti ad approfittare di un momento di
fragilità della Serenissima e del Doge che la governa, è
affidato a Gipeto, ovvero il potente e corrotto Inquisitore
Pietro Garzoni che senza il minimo scrupolo è pronto a
spazzare via con ogni mezzo tutto ciò che gli è da
ostacolo per ottenere il potere del porporato, e a Manuela
Zanier, ovvero la perfida Contessa Von Steinberg,
nobile austriaca non insensibile al fascino di Casanova,
ma pronta a tessere trame mortali per inseguire il proprio
interesse ed esercitare il proprio fascino secondo
convenienza.
Con loro in scena, a dipingere il quadro di una Venezia la cui
storia e salvezza si giocano fra i bácari popolati da varia
umanità e i ricchi Palazzi del potere, una serie di personaggi
dalle sfaccettature diverse. Quindi un pacioso e brontolone
Frate Balbi, interpretato da Paolo Barillari; il fidanzato offeso
Alvise pronto a sfidare Casanova a duello e il nobile Mocenigo
entrambi interpretati da Jacopo Sarno; il perfido Zago al
quale Roberto Colombo presta il volto e una fisicità
trasformata dalla perfidia; il Doge Loredan e il nobile di
lignaggio e di cuore Bragadin, entrambi interpretati da
Antonio Orler; fino al vasto mondo femminile tanto
affascinato da Casanova, quanto indispensabile a sciogliere i
nodi della storia. Quindi Elena da Padova, la cortigiana
favorita di Casanova interpretata da Silvia Scartozzoni; la
bella Rosa, padrona della Cantina do Mori e capace di
interpretare i segnali che nascondono le oscure trame, nelle
cui vesti troviamo Rosita Denti; infine la malinconica e
sfortunata Gretchen, con il volto di Alice Grasso, cameriera
della Contessa e vittima predestinata della perfidia senza
scrupoli dell’Inquisitore e dell’asservito Zago.
Il cast si completa con un corpo di ballo di 10 ballerini
acrobati - Mirko Aiello, Cassandra Bianco, Alberto
Chianello, Eleonora Dominici, Federica Esaminato, Mattia
Fazioli, Filomena Fusco, Raffaele Guarino, Vittoria Markov
e Olaf Olguin - che nelle coreografie dallo stile guerriero di
Martina Nadalini e Roberto Carrozzino, nei vari momenti
interpretano le Ombre, i Veneziani al Carnevale, i nobili in
festa e i momenti corali della storia. Completano il team
creativo Chiara Canzian, alla direzione canti e resident
director di Casanova Opera Pop durante il tour, e due
professionisti provenienti dal Teatro La Fenice: il lighting
designer Fabio Barettin e il direttore degli allestimenti scenici
Massimo Checchetto. Le loro vere e proprie opere d’ingegno
sono la cornice di quello che Red ha concepito come
allestimento scenico immersivo, fatto di fotografie scattate
nella Venezia deserta durante la pandemia e trattate in modo
da restituire ambientazioni della città e dei suoi luoghi di un
iperrealismo spiazzante, capace di trasportare gli spettatori
dentro i luoghi di una Venezia settecentesca, i bacari, le calli, i
Palazzi della nobiltà, le Cattedrali, Piazza San Marco, la
laguna, la prigione dei Piombi, e quelli della fuga fra i boschi e
i Castelli del Nord Italia prima del ritorno di Casanova da
salvatore della Serenissima nella Venezia del Doge e
innamorato – finalmente – della giovane Francesca, figlia
dell’aristocrazia veneziana ma, come il suo amato, dal cuore
assetato di giustizia e libertà.
Casanova Opera Pop è prodotto da Blu Notte, ovvero dallo stesso Red
Canzian, che in questo ruolo segue la Direzione Artistica, e da sua moglie
Beatrix Niederwieser, che dello spettacolo segue tutti gli aspetti operativi,
avvalendosi della collaborazione di Retropalco alla produzione esecutiva.
Dopo il debutto a Venezia il tour si chiude il 13 marzo 2022 A Torino
passando per il Teatro Nuovo Giovanni da Udine a Udine, il TAM Teatro
Arcimboldi Milano dal 9 al 20 febbraio, al Teatro Comunale Mario del
Monaco di Treviso nella settimana dal 22 al 25 febbraio e al Teatro Alfieri
di Torino dall’8 al 13 marzo.
Casanova Opera Pop è disponibile anche in una lussuosa confezione
contenente due CD, con i 35 brani inediti dello spettacolo interpretati dal
cast e introdotti dal prologo recitato dallo stesso Red Canzian, i relativi
testi, le foto degli interpreti e l’opera originale a colori che Milo Manara
ha disegnato per l’artwork del musical.
Sito ufficiale: www.casanovaoperapop.it.
o
Equilibrio, il festival dedicato alla danza contemporanea che per 15 anni ha portato in Auditorium il meglio delle coreografie internazionali,
torna dopo due anni di stop forzato.
Il festival riprende vita con un programma sfaccettato: 7 grandi serate in Sala Petrassi, 10 titoli per altrettante compagnie, 5 coreografe e
3 coreografi, 3 leoni d’oro, una compositrice, 4 prime italiane, una performance per famiglie e una Notte all’Auditorium per bambini e
bambine, un percorso per le scuole superiori, una nuova produzione con il Parco della Musica Contemporanea Ensemble, un intervento
di danza verticale nella città e poi ancora incontri e documenti. Tra i nomi internazionali spiccano quelli dell’israeliana Sharon Eyal con
Tanzmainz, della storica esponente della nouvelle danse Maguy Marin, della compositrice e performer Pamela Z, dell’iconico Marcos
Morau e – per la prima volta a Roma – del Ballet of Difference di Richard Siegal, coreografo dal tratto distintivo, recentemente invitato a
creare un nuovo spettacolo per il Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch.
Gli italiani sono il Leone d’oro Alessandro Sciarroni, l’ironica Silvia Gribaudi, la supercinetica Francesca Pennini e Cristiana Morganti,
artista romana, già interprete di Pina Bausch, di cui Equilibrio ha seguito il percorso autoriale fin dagli esordi. Per un cammeo si inserisce
inoltre il nome straordinario di Anne Teresa de Keersmaeker in un percorso di ri-creazione condotto dall’Accademia Nazionale di Danza
attorno a un estratto dello spettacolo “Rosas danst Rosas”, che proprio Equilibrio aveva presentato in prima italiana nel 2009.
Una prestigiosa anteprima del Festival vedrà la collaborazione della Fondazione Musica per Roma con il Teatro di Roma - Teatro
Nazionale nell'ambito di Grandi Pianure, per la co-realizzazione della prima apparizione romana del coreografo greco Dimitris
Papaioannou: le tre repliche di Transverse Orientation saranno un’anteprima di Equilibrio 2022 all’interno della stagione del Teatro di
Roma. Ideatore del programma di questa edizione è il nuovo curatore della rassegna, Emanuele Masi, attuale direttore artistico di
Bolzano Danza, già direttore artistico del Teatro Comunale di Bolzano e consulente di istituzioni culturali nazionali, con progetti che
continuano a ricevere importanti riconoscimenti. “Un'edizione in perfetto equilibrio tra poli in continua attrazione – spiega il curatore - un
equilibrio tra estetica ed etica, tra idealismo e concretezza, tra progetti inediti e attesi ritorni, tra ecologia e tecnologia, tra danza italiana e
coreografia internazionale, tra dinamismo e sostenibilità, tra tradizione e ibridazione, tra cultura “alta” e folclore, tra virtuosismo e
semplicità, tra corpo e ragione”.
o
Accogliendo le richieste e i richiami giunti dai principali
protagonisti del settore, il ministro della Cultura Dario
Franceschini ha istituito presso la Direzione generale
Spettacolo del Mic un tavolo permanente del settore, con il
compito di approfondire le tematiche e le problematiche
della danza in Italia e per formulare proposte in materia. Il
tavolo opererà senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica. Non sono previsti compensi per i componenti, né
gettoni di presenza, rimborsi spese o altri emolumenti. “La
danza è un’eccellenza della cultura italiana riconosciuta in
tutto il mondo. Insieme alle fondazioni lirico-sinfoniche,
come altri settori dello spettacolo dal vivo, ha sofferto in
questo periodo di limitazioni ed è giusto che il Governo e
le istituzioni siano vicine e lavorino al massimo per trovare
delle soluzioni”, ha dichiarato Franceschini.
Dell’organismo, presieduto da Roberto Giovanardi, fanno
parte: il direttore generale Spettacolo; il presidente
dell’Associazione Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche
(Anfols); il presidente dell’Accademia Nazionale di danza;
un rappresentante dell’Accademia di danza del Teatro alla
Scala di Milano; un rappresentante dell’Accademia di
danza dell’Opera di Roma; un rappresentante
dell’Accademia di danza del Teatro San Carlo di Napoli; il
presidente dell’Associazione italiana danza attività di
formazione (Aidaf); il presidente dell’Associazione italiana
danza attività di produzione (Aidap); il presidente
dell’Associazione danza Esercizio e Promozione (Adep); il
presidente Associazione Italiana Teatri di Tradizione (Atit);
il presidente di ItaliaFestival; il coordinatore del ‘Tavolo
danza’ di C.Re.S.Co – Coordinamento delle Realtà della
Scena Contemporanea; il direttore del ballo del Balletto
del Teatro alla Scala di Milano; il direttore del ballo del
Balletto dell’Opera di Roma; il direttore del ballo del
Balletto del Teatro San Carlo di Napoli; il direttore del ballo
del Balletto del Teatro Massimo di Palermo; il
sovrintendente del Teatro Carlo Felice di Genova; un
rappresentante di Nid-New Italian Dance Platform; un
rappresentante del Liceo Coreutico Statale di Torino; il
presidente della Federazione nazionale danza sportiva
(Fids); Amedeo Amodio; Mauro Bigonzetti; Roberto Bolle;
Vittoria Cappelli; Liliana Cosi; Donatella Ferrante.
fonte «Agenzia DiRE» «www.dire.it»
o
MAMMA MIA!
In scena al Sistina fino a San Valentino…
o
Al Sistina il pubblico è sempre più pazzo di "Mamma Mia!", il celebre
musical firmato Massimo Romeo Piparo con le canzoni degli Abba che,
dal suo ritorno in teatro lo scorso 7 dicembre, sta riscuotendo un
grandissimo consenso, tenendo fede alla sua lunga storia di record e
incredibili successi. Nelle 32 repliche andate in scena dal giovedì alla
domenica (dalla "prima" fino al 23 gennaio) sono infatti 41.560 gli
spettatori che hanno affollato il teatro: una risposta importante ed
entusiastica, che ripaga l'impegno e inorgoglisce tutti coloro che lavorano
al Sistina e che ha spinto il direttore Piparo a decidere di proseguire le
vendite fino al 14 febbraio. In piena sicurezza grazie alle misure adottate
e al restauro recente degli spazi, il grande pubblico di "Mamma Mia!" - tra
fedelissimi sostenitori e "nuovi" spettatori - avrà quindi ancora qualche
settimana per godere delle emozioni di un musical amatissimo, uno dei
"gioielli" tra le produzioni della PeepArrow Entertainment: l'ultima replica a
Roma sarà proprio lunedì 14 febbraio, nel giorno di San Valentino, per
celebrare insieme la festa degli innamorati con una commedia romantica
in cui l'amore e la passione hanno un ruolo fondamentale. Interpretato
dall’ormai mitico trio di protagonisti Luca Ward, Paolo Conticini e Sergio
Muniz, accanto a Sabrina Marciano, a un cast di oltre 30 artisti e
all'Orchestra dal vivo diretta da Emanuele Friello, "Mamma Mia!" con
la sua messa in scena ricca e spettacolare è davvero lo spettacolo giusto
per ritornare alla bellezza del teatro dopo i lunghi mesi di chiusura a causa
della pandemia. Dopo Roma, "Mamma Mia!" proseguirà il suo cammino
anche in estate, toccando i palcoscenici delle principali arene italiane: un
nuovo regalo per il pubblico di tutte età, dai ragazzi ai genitori fino ai
nonni, per divertirsi, sognare insieme e immergersi nella magia di un
musical dalle atmosfere mediterranee ballando al ritmo di 24
indimenticabili hit, come Mamma Mia!, Dancing Queen, The Winner
Takes it All, Super Trouper.
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Il grande balletto torna a Parma
Danza, la rassegna dedicata alla
musica classica e
contemporanea, per emozionare
e incantare il pubblico grazie a 7
imperdibili appuntamenti.
Fino a maggio 2022 il Teatro
Regio ospiterà compagnie e
danzatori provenienti da tutto il
mondo: Ezralow Dance, con un
attesissimo debutto a Parma,
Compagnia del Balletto di
Roma, Almamia Dance Project,
Parsons Dance, Balletto
Yacobson di San Pietroburgo,
Compagnia del Balletto di
Parma.
A inaugurare Parma Danza è
stato "Open", lo spettacolo di
Ezralow Dance, per la regia e
coreografia di Daniel Ezralow,
scritto a quattro mani con la
moglie Arabella Holzbog. "Open"
è un patchwork di piccole storie:
numeri a effetto, multimedialità,
ironia e umorismo sono gli
ingredienti di uno spettacolo
che, sulle musiche di Bach,
Beethoven, Chopin e Rossini e
con i costumi firmati American
Apparel, intreccia fantasia ed
emozione all’insegna del puro
intrattenimento, coniugando il
linguaggio neoclassico e la
modern dance.
Il 5 febbraio è la volta di "Carmen. Passo a due di un amore contemporaneo", prodotto da Almamia Dance Project. Il
coreografo Mauro Bigonzetti interpreta le vicende di Carmen e Don José, protagonisti della novella omonima di Prosper Merimée
che ha dato vita alla celebre opera di Georges Bizet, in un pas-de-deux costruito sulla coppia di danzatori Camilla Colella e
Octavio De La Roza..
Il 15 febbraio tornano a ParmaDanza i ballerini di Parsons Dance, la compagnia statunitense fondata dal coreografo David
Parsons. Nella sua nuova tournée italiana porterà in scena, al fianco del leggendario "Caught", alcuni brani inediti per il pubblico
italiano.
Il 31 marzo va in scena "Giselle", balletto fantastico in due atti, interpretato dal Balletto Yacobson di San Pietroburgo. Un vero
caposaldo del balletto classico composto nel 1841 su musiche di Adolphe Adam, libretto Jules-Henri Vernoy De Saint-Georges,
Théophile Gautier, Jean Coralli, coreografia Jean Coralli, Jules Perrot, Marius Petipa.
Il 6 maggio l'appuntamento è con i danzatori della Compagnia del Balletto di Parma, con due titoli di due giovani coreografi:
"What They See Is Not What We See" (di Nnamdi Christopher Nwagw, sul conflitto tra le diverse percezioni della propria identità)
e "CarneViva" (di Francesco Gammino, racconto della Sicilia, attraverso i ricordi, le musiche popolari, i colori).
Il 28 maggio è la volta di "Quartetto per la fine del tempo", lo spettacolo del NuovO BallettO di ToscanA realizzato su
commissione del Teatro Regio di Parma in occasione di Parma Capitale Italiana della Cultura 2021. Gran debutto per la
coreografia di Mario Bermudez Gil che traduce in danza le tinte apocalittiche del "Quatuor pour la fin du Temps", composto da
Olivier Messiaen nel 1941, mentre era prigioniero a Görlitz, nel campo tedesco nella Polonia occupata dai nazisti.
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TAKEWAY
A distanza di 7 mesi dalla morte di Libero di
Rienzo, morto nella sua casa di Roma il 15
luglio del 2021, è uscito nelle sale
cinematografiche l’ultimo film dove l’attore
romano è coprotagonista con accanto Carlotta
Antonelli, Primo Reggiani, Paolo Calabresi,
Anna Ferruzzo, Camillo Grassi, Camillo
Ventola, Ivan Polidoro.
Tra amore, droga e doping, il film si apre con gli
speaker di una radio che commentano il
fallimento di un istituto bancario britannico.
Siamo nel 2008, agli albori della grande crisi
finanziaria globale. Maria è un’atleta (Carlotta
Antonelli), una marciatrice. L’orgoglio di papà
(Paolo Calabresi), che vorrebbe vederla
coronare un sogno di successo. La mamma
(Anna Ferruzzo), invece, è più scettica,
sebbene Johnny (Libero De Rienzo), compagno
della ragazza, che ha quasi il doppio dei suoi
anni, sappia come tenere vivo il sogno di Maria
e dei suoi genitori. Per questo motivo Johnny ha
il frigo pieno di boccette, avendo aiutato molti
giovani con sostanze illegali, nel suo passato da
preparatore atletico. Tom (Primo Reggiani) è
uno di questi e sta cercando Johnny,
ritenendolo responsabile del fatto che il doping
gli ha rovinato carriera e salute. Ma i piani di
vendetta di Tom si infrangono quando lui e
Maria iniziano una relazione e i dubbi di lei
crescono, come una febbre incontrollabile. La
resa dei conti è inevitabile in un ambiente così
ristretto, così come nel mondo esterno, scosso
da debiti e fallimenti in cui si diffonde un
bisogno urgente di nuove speranze.
Libero De Rienzo, nell'ultimo ruolo da
coprotagonista, riesce a rendere fisica la
frustrazione e il bisogno di rivalsa di un uomo
che ha smesso da tempo di vedere lo sport
come una competizione pulita. Carlotta
Antonelli, per parte sua, con un'andatura
doverosamente oscillante da marciatrice, finisce
con il rappresentare quasi simbolicamente lo
stato d'animo di Maria.
L’ULTIMO FILM DI LIBERO DI RIENZO.
o
ENNIO: L'OMAGGIO
DEL PREMIO OSCAR
Dopo un ‘anteprima di due giorni presentata a fine
gennaio, esce nei cinema “Ennio” un documentario sul
grande maestro Morricone firmato dal premio Oscar
Giuseppe Tornatore.
Il documentario racconta il musicista premio Oscar alla
carriera nel 2007 e autore di oltre 500 colonne sonore.
Giuseppe Tornatore, premio Oscar con il film Nuovo
Cinema Paradiso, omaggia l’amico Ennio con questa
lunga conversazione dalla quale emergono molti aspetti
del maestro, gli incontri con i cineasti più importanti al
mondo, il rapporto con la musica, la vita privata e il
rapporto d’amicizia vissuto mentre i due premi oscar
lavoravano insieme. Ad accompagnare questo intenso
dialogo ci sono anche testimonianze di artisti e registi che
hanno avuto l’onore di lavorare con Morricone, come
Bertolucci, Montaldo, Bellocchio, Argento, i Taviani,
Verdone, Barry Levinson, Roland Joffè, Oliver Stone,
Quentin Tarantino. Non mancano scene di fiction, musiche
e immagini d’archivio. Ennio è anche un’indagine volta a
svelare ciò che di Morricone si conosce poco. Come la sua
passione per gli scacchi, che forse ha misteriosi legami
con la sua musica. Ma anche l’origine realistica di certe
sue intuizioni musicali come accade per l’urlo del coyote
che gli suggerisce il tema de Il buono il brutto, il cattivo, o il
battere ritmato delle mani su alcuni bidoni di latta da parte
degli scioperanti in testa ad un corteo di protesta per le vie
di Roma che gli ispira il bellissimo tema di Sostiene
Pereira. Un’attitudine all’invenzione che trova conferma nel
suo costante amore per la musica assoluta, e la sua
vocazione a una persistente sperimentazione.
La pellicola, presentata per la prima volta in occasione
della 78esima Mostra del Cinema di Venezia Fuori
Concorso, arriva in tutti i cinema dal 17 febbraio, distribuito
da Lucky Red in collaborazione con timvision.
Giuseppe Tornatore: “Ho lavorato venticinque anni con
Ennio Morricone. Ho fatto con lui quasi tutti i miei film, per
non contare i documentari, gli spot pubblicitari e i progetti
che abbiamo cercato di mettere in piedi senza riuscirci.
Durante tutto questo tempo il nostro rapporto di amicizia si
è consolidato sempre di più. Così, film dopo film, man
mano che la mia conoscenza del suo carattere di uomo e
di artista si faceva più profonda, mi sono sempre chiesto
che tipo di documentario avrei potuto fare su di lui. E oggi
si è avverato il mio sogno. Mi sono soffermato sul ‘mio’
Ennio Morricone, raccontando anche il metodo molto
speciale con cui abbiamo affrontato il nostro lavoro dai
tempi di Nuovo Cinema Paradiso sino all’ultimo La
corrispondenza, l’argomento preferito dai giornalisti in ogni
intervista
#InMoltiSogni
OFFICINA DELLE ARTI PIER PAOLO PASOLINI
Un nuovo mese di appuntamenti sotto il titolo
#InMoltiSogni a Officina Pasolini, il Laboratorio creativo
di alta formazione e HUB culturale della Regione Lazio. Da
martedì 8 febbraio, al Teatro Eduardo De Filippo alle
21.00, tanti nuovi ospiti e appuntamenti di musica, teatro,
lezioni concerto, proiezioni e incontri di approfondimento
sul mondo della letteratura. SI parte con la proiezione del
film Dio è donna e si chiama Petrunya, pellicola diretto
dalla regista e attivista femminista macedone Teona
Strugar Mitevska e ritenuto da critica e pubblico il film
rivelazione della Berlinale 2019: Petrunya è la storia di
una giovane donna in lotta contro il sistema patriarcale e
sociale diventa una vicenda universale capace di parlare a
un’intera generazione. Da non perdere o da rivedere una
seconda volta.
Giovedì 10 nuovo appuntamento con gli attori di
Superficie Live Show, ideata e condotta da Matteo
Santilli, è composta da monologhi teatrali, brevi video con
racconti e testimonianze di attori, registi, sceneggiatori
affermati in un mix di spettacolo che unisce le forme di
recitazione che siamo abituati a vedere: Fabio Antonelli,
Angela Ciaburri, Elisabetta Ventura, Alberto Paradossi,
Simone Corbisiero, Lucio De Francesco, Bianca
Mastromonaco, Lorenzo Terenzi. L’ospite speciale
sarà Paola Minaccioni.
Lunedì 14 Giorgio Cappozzo incontra la consolidata e
amatissima coppia composta da Massimo Lopez e
Tullio Solenghi. Attori, showman, imitatori, artisti poliedrici
e versatili, pilastri del glorioso Trio che vedeva al loro
fianco un’indimenticabile Anna Marchesini. Una serata di
racconti tra aneddoti, dietro le quinte e ricordi per
ripercorrere un lungo viaggio artistico di successi, comicità
intelligente, dialoghi esilaranti e tanti personaggi entrati
nella storia della tv.
Martedì 15 un ciclo di appuntamenti dedicato ai nuovi
artisti della canzone italiana. Condotto da Riccardo
Zianna, speaker di Radio Sonica, mc di uno dei più noti
format di concerti della nuova musica Spaghetti
Unpuggled.
Mercoledì 16 a Prospettive d’autore, Valentina
Farinaccio, parlerà insieme con l’autore di Sempre
tornare, Daniele Mencarelli, poeta e scrittore, ha composto
negli ultimi anni
Venerdì 18 il consueto incontro di Enrico Deregibus
sarà con Ron, personaggio fra i più popolari della nostra
canzone, che dopo l’esordio da enfant-prodige al Sanremo
1970 ha inanellato una lunga serie di esperienze e di
successi, da "Una città per cantare" a "Non abbiam
bisogno di parole", da "Vorrei incontrarti fra cent’anni" a
"Joe Temerario". È uscito nei mesi scorsi, in vista di un
nuovo album, un singolo intitolato "Sono un figlio", in cui
l’artista lombardo parla, per la prima volta, della grande
storia d’amore dei suoi genitori, nata durante la seconda
guerra mondiale. Nell’incontro si parlerà di questo e di
molto altro, di Lucio Dalla, dei tanti Sanremo a cui ha
partecipato, dell’amore per i cantautori americani. E non
mancherà una manciata di canzoni fatte live.
o
LA GENTILEZZA DELLA CARTA
La sostenibilità è bellezza
fino al 27 febbraio la mostra di abiti di carta di Caterina Crepax
Resterà aperta al pubblico anche a febbraio la mostra “La Gentilezza
della Carta. La sostenibilità è bellezza”, ideata e realizzata da Caterina
Crepax per la Fondazione Fashion Research Italy, che avrebbe dovuto
chiudersi oggi. Il successo di pubblico ha spinto il Cavalier Alberto
Masotti, in accordo con l’artista, a prorogare fino a domenica 27
febbraio l’esposizione che intende riflettere, attraverso la lente della
bellezza, sul tema della sostenibilità.
I 18 abiti-scultura, realizzati dalla Crepax in carta prodotta con il 100%
di fibre riciclate dalla storica cartiera Cordenons, mettono in scena più
di 60 soggetti grafici provenienti dal prezioso archivio di textile design
che la Fondazione custodisce nei suoi caveaux e che mette a
disposizione del mondo moda e interior design. Disegni tessili antichi e
moderni di cui l’artista ha stravolto i connotati accostandoli in un
equilibrio di forme e colori che dà vita al suo immaginario multiforme e
onirico, dove decorativismi del mondo orientale sono accostati alle
bellezze della natura o a grattacieli e mappe di città.
Un universo senza fine di elementi d'ispirazione che, tra le mani della
Crepax, si fondono per rinascere in forme nuove. La sua passione è
infatti da sempre la carta, che, grazie alla fantasia e alla manualità
ereditata dal padre — il celebre fumettista Guido Crepax — riesce a
trasformare in vere e proprie opere d’arte.
Una materia funzionale che, con le sue infinite vite, può diventare
sempre altro da sé, fino a trasformarsi in sostanza di una
immaginazione feconda. Esaltando il fascino dell’Italian style, “La
Gentilezza della Carta” restituisce quindi anche una riflessione contro lo
spreco. Anche i manichini su cui sono modellati gli abiti sono prodotti
dall’azienda Bonaveri, in materiale da fonte rinnovabile e
biodegradabile.
La mostra è stata realizzata in occasione dell’inaugurazione di Punto
Sostenibilità, il più completo archivio italiano, sia fisico che digitale, di
materiali tessili, accessori e soluzioni di packaging sostenibili per la
moda: l’ultimo progetto green della Fondazione ospita il meglio
dell’innovazione nell’ambito della sostenibilità nel settore moda, dai
tessuti riciclati e rigenerati ai complementi in alluminio riciclato,
provenienti da un centinaio di aziende su tutto il territorio nazionale in
grado di fornire materiali immediatamente disponibili per la produzione
in piccola o larga scala.
“Il tema della sostenibilità è da sempre centrale nel mio lavoro – dice
Caterina Crepax – e la carta di riciclo e riuso è il materiale che più di
altri diventa metafora della gentilezza che dovremmo usare nei
confronti del nostro pianeta. Per questo progetto ho cambiato il mio
usuale approccio creativo, che normalmente concepisce l’idea finale
dell’opera, per realizzare la quale poi cerco carte di ogni tipo, dagli
scarti tipografici ai vecchi libri ai pirottini per i dolci. In questa occasione
invece il punto di partenza è stato il magnifico Fondo Brandone, e la
sfida è stata quella di creare abiti che valorizzassero le splendide
grafiche dell’archivio, mixandole per arrivare a un’armonia di colori e
forme: in un certo senso per la prima volta mi sono improvvisata, per
così dire, stilista, un approccio che mi ha stimolato e divertito
moltissimo”.
“Sono passati molti anni da quando ho letto i primi report
sull’inquinamento prodotto dall'industria della moda, ma ricordo ancora
lo sconcerto che ho provato – spiega il Presidente della Fondazione
FRI Alberto Masotti. - Il settore in cui lavoravo e che tanto amavo era la
seconda attività più inquinante del mondo e ancora oggi, purtroppo, la
strada verso l’evoluzione green è lunga. Mi consola vedere che le
nuove generazioni sono più attente a questi temi e ne sentano
l’urgenza. Spero che la mostra – che parla ai cuori attraverso il
linguaggio universale dell’arte – possa far riflettere e trasmetta un
concetto in cui credo profondamente: la sostenibilità è bellezza, è un
valore e un dovere imprescindibile”.
La mostra è accessibile durante i tour guidati negli spazi della
Fondazione, di norma chiusa al pubblico, ogni sabato e domenica su
prenotazione. Tutte le informazioni e la prevendita su
www.mybologna.app/FFRI.
Particolare attenzione alle scolaresche a cui sono riservate visite
guidate anche durante la settimana.
CATERINA CREPAX
Nasce a Milano nel 1964 e cresce in un ambiente ricco di suggestioni, estro
e creatività, fondamentale per la sua preparazione. Fin da bambina ì gira
per casa munita di matite, forbici, fogli e cartoncini cercando di riprodurre la
meraviglia dei libri pop up che riceve in regalo. La formazione di architetto
influenza notevolmente il suo approccio alla tridimensionalità, all'attenzione e
alla ricerca dell'equilibrio tra insieme e dettagli, tra struttura portante ed
elementi decorativi, tra vuoti e pieni, ma si completa di una visionarietà che è
tipica dell’artista. Il suo processo creativo parte da schizzi e bozzetti delle
forme, poi arricchite di dettagli che, in relazione tra loro, riescono a evocare
tutto il mondo che alimenta la sua ispirazione. Caterina Crepax si dedica alla
carriera artistica solo a partire dagli anni ‘90, grazie all’incontro con il
designer Nicola Gallizia che, in occasione del Salone del Mobile, le permette
di creare il suo primo grande allestimento, interamente realizzato con carta
di recupero. Da allora, porta la sua arte nelle scuole, nei musei e nelle
aziende, collaborando con artisti e fotografi e realizza sfilate ed eventi in
Italia e all'estero, affinando sempre più una visione sostenibile dell’arte e
della vita.
o
Shōzō Shimamoto
Grandi Opere
in mostra a Foligno fino fino al 1° maggio 2022
Il successo di presenze in questi mesi e la grande richiesta di
poterla ancora visitare siglano la proroga della mostra al Centro
Italiano Arte Contemporanea di Foligno. L’ampia retrospettiva
“Shōzō Shimamoto. Grandi Opere" resterà visitabile fino a domenica
1° maggio 2022. L’esposizione ha registrato già oltre 2000 visitatori
ed è stata scenario anche di eventi collaterali e attività per
famiglie. Il suggestivo percorso al CIAC, curato da Italo Tomassoni,
presenta la produzione del Maestro giapponese Shōzō Shimamoto:
dalle prime opere con il gruppo Gutai alle esplosioni di colore dei
lavori realizzati in Italia.
La retrospettiva, progetto espositivo della Fondazione Morra di
Napoli, voluto e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di
Foligno, con il supporto tecnico, logistico e organizzativo
dell’Associazione Shōzō Shimamoto, intende evidenziare la
grandezza della superficie pittorica su cui l’artista ha sempre agito,
rendendo la dimensione dell’opera elemento che non ne costituisce
la totale pienezza, ma confine da superare, a favore di una sempre
più ampia visione della dirompente materialità. Da sempre nell’opera
del Maestro giapponese la dimensione è considerata un punto di
vista altro, l’opera si compone ad una distanza tale che tra cielo e
terra il suo gesto artistico trova una connessione che va oltre il
tempo e lo spazio.
Il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno,
Umberto Nazzareno Tonti: “Siamo molto soddisfatti dell’andamento di
questa mostra d’arte, un successo importante per la Fondazione
Cassa di Risparmio di Foligno, per il polo museale CIAC e frutto della
preziosa sinergia con la Fondazione Morra che ringraziamo per aver
rinnovato la disponibilità ad estendere il prestito.
Riscontriamo la presenza di un pubblico variegato di ogni età e
proveniente da tutta Italia; un interesse che abbiamo potuto
apprezzare anche a livello di comunicazione con tante riviste di
settore e i quotidiani che hanno dedicato ampie recensioni alla
mostra e al progetto culturale. La proroga ci permetterà anche di
poter presentare adeguatamente, emergenza sanitaria permettendo,
il catalogo di mostra in via di definizione. Con l’occasione, vogliamo
evidenziare che sono stati molto partecipati anche gli eventi
collaterali all’interno della mostra: i focus di approfondimento
organizzati dal gestore del polo museale Maggioli Cultura, i percorsi
didattici per bambini del progetto “Innesti Lab, connessioni tra arte
e digitale al museo”, promossi dalla Fondazione Carifol e curati dalla
Cooperativa Densa nonché il concerto "Il tempo del sogno - L’altro
Novecento tra cinema e opera lirica” con le musiche di
UmbriaEnsemble organizzato sempre dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Foligno.” Per informazioni sulla mostra: tel. 0742.340090
– e-mail ciacfoligno@gmail.com
Museo e Real Bosco di Capodimonte
presenta il progetto espositivo di Andrea Bolognino
Per il settimo appuntamento con il ciclo di mostre-focus Incontri Sensibili, il
Museo e Real Bosco di Capodimonte presenta il progetto espositivo di Andrea
Bolognino, i cui disegni sono posti in dialogo con uno dei capolavori più noti
della collezione, la Parabola dei ciechi (1568) di Pieter Brueghel il Vecchio. La
mostra Cecità, accecamento, oltraggio propone fin dal titolo una stretta
relazione con l’enigmatico dipinto del maestro fiammingo. Ne derivano tre temi
che Bolognino ha riunito sotto una più ampia riflessione sul rapporto tra arte e
scienza: la simulazione della rappresentazione scientifica, con l’inserimento di
schemi e grafici, la simulazione del disturbo della visione, attraverso un disegno
abbreviato e oscuro, l’ipervisione, effetto degli sviluppi tecnologici
contemporanei. In mostra sono esposti 24 disegni (tra cui un trittico composto
da tre fogli) in cui l’artista concilia disegno oggettivo e soggettivo per
evidenziare la relazione tra rappresentazione artistica e conoscenze
scientifiche. Alcune delle opere, realizzate su carta a matita, carboncino,
pastello, acquerello e acrilico diluito, sono disposte su basi inclinate, in
continuità con la logica espositiva del Gabinetto dei disegni, del quale è
presente a Capodimonte un esempio tra i più ricchi e prestigiosi in Italia. Infine,
il grande trittico che completa l’allestimento è dedicato all’accecamento inteso
come caduta fisica e simbolica, del quale l’artista coglie le diverse fasi:
abbandono, percezione della caduta, tentativo di rialzarsi.
Nel video presente in mostra, Bolognino illustra così il suo lavoro: “Tutte le volte che
sto per iniziare un nuovo progetto, parto sempre dalla creazione di un archivio di
immagini. Mi servo del computer, della ricerca di immagini, per sviluppare una sorta
di archivio digitale di riferimenti. Da questo archivio di immagini, parto poi nella
costruzione del mio immaginario. Questa costruzione non può prescindere dal
“fare”. La mano diventa a quel punto uno strumento che, andando a braccetto con
l'occhio, costruisce un panorama, un paesaggio di figure, segni e livelli che
dialogano tra di loro e costantemente si sovrappongono e si confondono. Questa
tecnica mi permette di donare quella sensazione di movimento che nelle mie
immagini è cosi presente”.
Poi relativamente a questa mostra dice: “Cecità, accecamento e oltraggio: questi
sono i temi su cui ho lavorato per lo sviluppo di questa mostra. Il tema della cecità fa
parte della mia ricerca artistica ormai da molto tempo. Intendo infatti il disegno,
come un tuffo nell'invisibilità. Un cercare di tracciare un sentiero all'interno di una
caverna buia. L'accecamento invece si riferisce ad un graduale processo di perdita
della vista. Mi sono interrogato infatti, sulle diverse e numerose problematiche della
vista umana e ho cercato di sviluppare, a partire da quelle, una nuova visione che
potesse comprenderle, traducendole nella forma del disegno. Il termine oltraggio, in
passato, indicava semplicemente un eccesso di azione, un andare oltre qualcosa, e
lo troviamo con quest'accezione anche in Dante, come eccesso di visione, come
luce che acceca. Dal mio punto di vista l'eccesso di visione proviene invece dalla
sovrabbondanza di immagini e di sguardi a cui siamo costantemente esposti e
sottoposti. Ho provato quindi a mettere insieme quest’oltraggio della visione con la
tematica della cecità”.
“Con questa mostra mettiamo a confronto un grande maestro del passato come
Brueghel e un giovane artista napoletano come Bolognino e mettiamo a confronto
due diversi linguaggi artistici: la pittura e il disegno contemporaneo. Il rapporto tra
arte e scienza rimane comune nella favola di Bruegel e nella ricerca di Andrea
Bolognino. Lo sguardo, la vista, l'occhio sono da sempre un tema centrale delle arti
visive. La mostra ‘Cecità, accecamento, oltraggio’, interpreta profondamente il
format "Incontri sensibili", ponendo in dialogo la contemporaneità e la collezione
storica di Capodimonte” afferma il direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte
Sylvain Bellenger. Il progetto di allestimento della mostra è di Lucio Turchetta, la
progettazione grafica di Francesco Giordano.
o
Indizi di Design
Dettagli che (di)segnano il percorso creativo nel e del tempo
Non si tratta sempre di evoluzione ma, piuttosto, di stili appartenenti ad un determinato (e talvolta determinante) periodo.
Certe caratteristiche andrebbero riprese e ricontestualizzate nell’epoca attuale, integrandole con i progressi svolti.
Percettibile il grande entusiasmo ogni volta che si (ri)presenta il Salone ‘Auto e Moto d’Epoca’. Solitamente alle fiere si va
per cogliere l’innovazione, qui ci si ritorna con lo sguardo (forse nostalgico) rivolto verso il passato e nella direzione degli
anni più generosi per l’aspetto progettuale, quando molto era ancora da inventare
Vizi e Virtù
La simbologia interpretata da Giotto
Alla Cappella degli Scrovegni, magnifico luogo d’incanto e di pace, di arte e storia, Giotto contrappone (come percorso di salvezza) davanti al
Giudizio Universale, verso l’Inferno - i Vizi (a sinistra) e verso il Paradiso: le Virtù (a destra) - sette di qua e sette di là:
Stoltezza - Prudenza
Incertezza - Fortezza
Ira - Temperanza
Ingiustizia - Giustizia
Infedeltà - Fede
Invidia - Carità
Disperazione - Speranza
Infinity Mirror Rooms
Yayoi Kusama at the Tate Modern Gallery
A full immersion into the Kusama’s emotional World - towards Infinity
Perdersi per ritrovarsi - Yayoi Kusama alla Tate Modern - essere uno di quei punti nell’Universo
Grande attesa per l’interessante e particolare rappresentazione teatrale di Andrea De Rosa, il 5 e 6 febbraio 2022 presso il
Teatro Tor di Nona di Roma.
“Interessante e particolare”, per vari motivi: perché è uno spettacolo che racconta una storia che potrebbe sembrare surreale,
vista l’ambientazione in cui essa si svolge, un coffeshop appunto, ad Amsterdam, lontani chilometri e chilometri dalla propria
casa, dove si incontrano un avvocato italiano che vuole sfuggire ai problemi quotidiani, a sua moglie, ed una prostituta; i due
iniziano a parlarsi ed a sfogarsi tra sostanze allucinogene che sembrano sottrarli alla realtà, ma che, invece, nella realtà li
riporteranno, certamente cambiati, depurati interiormente, grazie alla comparsa di un Jolly … Come? Beh come e cosa
succederà dovremo andare a vederlo di persona nelle serate!
E’ “interessante e particolare” anche per un altro motivo: tutto lo spettacolo è stato concepito, scritto, portato in scena, diretto dal
nostro amico Andrea De Rosa che, oltre a tutto ciò, interpreta il personaggio del Jolly, personaggio chiave, che continua a
dirigere, all’interno della storia gli altri due personaggi interpretati rispettivamente da Luis Molteni e Flavia Martino.
In tale lavoro, Andrea ha dimostrato di essere tutto: autore, regista, attore … insomma, un vero e proprio “artigiano dell’Arte” a
360°; allora abbiamo deciso di scambiare due chiacchiere con lui per saperne un po’ di più.
TuttoBallo
Ciao Andrea e grazie per aver accettato di scambiare qualche
chiacchiera con noi. Grande attesa, dunque, per il tuo debutto a
Roma, con questo spettacolo tutto tuo. Abbiamo accennato,
velocemente, alla trama di “Coffeshop”; a cosa ti sei ispirato
scrivendo una storia così particolare, importante nel suo
significato e, soprattutto, cosa ti ha ispirato il “Jolly” che tu
stesso interpreti?
Stavo leggendo un libro dal titolo “L’enigma del solitario” di Jostein
Gaarder. L’ho richiuso e sono rimasto qualche secondo a fissare la
figura sulla copertina: un Jolly. Istintivamente ho pensato a questa
carta che prende vita, si fa uomo… e appare sotto forma di
allucinazione a due persone che fumano “per dimenticare”… dentro
un Coffeeshop di Amsterdam: una prostituta triste e un avvocato in
fuga dalla moglie… Non ti dico nient’altro…
Ti ho definito un autentico “artigiano dell’Arte” perché questo
spettacolo è una “creatura “tutta tua, che hai seguito ed
accompagnato, dal punto di vista artistico, dal momento in cui è
stata concepita, sino a quando sarà rappresentata (e
sicuramente applaudita ed ammirata!). Cosa ha significato per te,
più fatica nel dover ricoprire ruoli diversi contemporaneamente
(autore, regista, attore) o più emozione?
Più o meno tutte e due le cose... Per essere precisi: da un lato si
sente il peso della responsabilità, perchè hai più situazioni da gestire,
ma allo stesso tempo senti la libertà di poterlo fare a modo tuo,
mettendoci dentro qualcosa che vuoi raccontare...e il risultato finale
sarà, nel bene e nel male, figlio tuo.
Torneresti a fare cinema? Se si, quale trama e quale ruolo
immagineresti in questo momento per te?
In questo momento non ho un ruolo specifico che sogno di
fare...l'importante per me è farne sempre uno nuovo, cercando di
evitare di riciclare quelli del passato... infatti a maggio torno al
cinema... e sarò in un thriller a episodi, un ruolo inedito...almeno per
me...
Ultima, ma fondamentale domanda: cosa significa per Andrea
recitare?
Cercare di essere utile a qualcuno facendo qualcosa che senti come
una vocazione... e farla, quindi, con spirito di servizio. noi di
Tuttoballo, come promesso, saremo in prima fila ad applaudirti e poi
… solita trattoria… Che ne dici?
Scoppiamo entrambe a ridere, acconsentendo con un occhiolino….
GIORDANO VANONE
E
CATIA ANTONIOLI
Giordano Vanone e Catia Antonioli
sono una coppia nella vita e nella danza.
Nella loro lunga carriera professionale ed
artistica sono stati insegnanti di
moltissimi campioni di danza nazionali e
mondiali. Top Dance nel corso degli anni
è stato un brand di successo e qualità.
Giordano e Catia, come vi siete
conosciuti? Tra di voi è nato prima
l’amore o il ballo?
Dopo essere ritornato dalla Germania,
nel 1985 andavo a Venezia a prepararmi
per poter diventare un maestro di ballo
con riconoscimento AMB; è stato
proprio lì che il maestro Rolando mi
propose un talento del ballo italiano che
all'epoca era campionessa CISBA. A
questa sua offerta non potevo mancare,
pertanto, presi appuntamento nel
dicembre del 1986, presso la scuola di
Rolando a Venezia con Catia. A questo
punto direi che l'amore per il ballo è nato
per primo e poi tutto il resto ha fatto il
suo percorso.
Per quanti anni avete ballato insieme?
Abbiamo trascorso un anno di intensa
preparazione con vari maestri inglesi e
tedeschi di fama internazionale e poi ci
siamo dedicati alle gare per ben 6 anni
fino che una embolia polmonare, nel
1993, a malincuore mi ha indotto
concludere la mia carriera da
competitore professionista
Qual è la gara che vi è rimasta
maggiormente nel cuore?
Catia: Senz’altro Blackpool la gara per
eccellenza per la sua maestosità e
atmosfera. Seguita subito dopo
dall’International; solo entrare al Royal
Albert Hall ti faceva sentire speciale
E quella più negativa?
Giordano: non penso che ci siano gare
negative ma bensì più sofferte.
Senz'altro i campionati italiani
professionisti dove, per la prima volta, ho
notato che la politica aveva la sua forza.
Secondo voi, nel corso di questi anni
come è cambiato il ballo?
Giordano: secondo me, come in tutte le
cose, c'è un'evoluzione sia positiva sia
negativa. L'importante è perfezionarsi
durante il tragitto, correggendo i propri
errori per poi trovare un giusto
bilanciamento.
Vanone Giordano e Paul Holmes.
Voi girate il mondo, tra lezioni e gare. Come è percepita la
cultura del ballo negli altri paesi.
Giordano: il ballo segue di pari passo la cultura del proprio
Paese, della propria Regione .
Ad esempio in America del Nord il ballo è concepito come
educazione del corpo; in America del Sud è espressione del
corpo, senza regole, ma dove domina la spntaneità;
in Russia la danza classica è punto di riferimento, dove regole
chiare, duro lavoro, disciplina sono fondamentali per una buona
riuscita. In Asia il ballo è forma artistica basata sulla flessibilità
sul rispetto e disciplina e, soprattutto confronto; in Europa si è,
invece, più legati alla tradizione.
Secondo voi, perché in Italia la danza è considerata la
cenerentola di tutte le arti e ora anche dello sport?
Giordano: non penso che la danza sia considerata la
Cenerentola di tutte le arti ma è sempre stata vista più come
divertimento che come un’attività di carriera.
Voi, siete insegnanti internazionali, molte delle vostre
coppie sono diventate campioni del mondo. Come si
individua un potenziale campione?
Giordano: individuare un campione non è certo facile,
nonostante l'esperienza che una persona possa avere, perché
sono molti i fattori che giocano un ruolo importante ma
certamente l'individualità e la naturalezza hanno un ruolo
fondamentale
Chiunque può diventare Campione?
Giordano: intanto facciamo la differenza fra campione e il
campione. Sì, penso che chiunque possa diventare campione
con grande impegno e costanza, poi diventare il campione unico
ed irripetibile non è certo facile
Quali caratteristiche deve avere un ballerino?
Penso che ognuno di noi è particolare, pertanto penso che sia
fondamentale che ognuno di noi esprima con il corpo il proprio
modo di sentire la musica dando forma alla propria espressione
Giordano, alla luce dei cambiamenti che si stanno
verificando, quale futuro avrà la danza italiana?
Spero che l'Italia abbia la forza di poter unire i propri
professionisti e atleti perché sarà questo a decidere le sorti nella
danza italiana
La politica internazionale del ballo in quale direzione sta
andando?
Spero che il mondo della politica e il mondo del ballo trovino un
modo per dialogare e arrivare a dei compromessi come marito e
moglie…
Caro Mario benvenuto! Facciamo conoscere al meglio la tua persona partendo,come sempre facciamo,dai tuoi esordi.
Raccontaci della tua infanzia e di come ti sei avvicinato alla Danza.
Sono nato a Montreal (Canada) , da genitori emigrati dall’Italia, dopo essere sopravvissuti alle persecuzioni razziali e per cercare
altre opportunità. I miei genitori hanno sempre danzato quickstep, foxtrot, valzer lento, tango , boogie woogie, e mia madre ha
interrotto una carriera di cantante a causa della situazione economica in cui si trovava. Ho studiato canto da piccolo e partecipato
a numerose esibizioni di canto, poi, ginnastica artistica ed in seguito danza. Dalla prima lezione ho capito che avrei voluto
studiare da professionista, comincando lo studio della danza classica e modernaa Torino, con Susanna Egrie Sara Acquarone,
poi alla Alvin Ailey School e Martha Graham School a New York.
I tuoi primi lavori. Quali ricordi conservi?
Da danzatore ho iniziato a Torino al Teatro Regio, poi, con Sara Acquarone, con gran parte delle compagnie di ricerca italiane,
in seguito con Momix e Lindsay Kemp Company.Come coreografo ho iniziato presentando i miei primi lavori ai concorsi Nazionali
e Internazionali di Coreografia, che mi hanno permesso di essere premiato a Londra, Parigi, ed iniziare le mie prime produzioni.
Ho iniziato ad essere invitato come coreografo dal M°Poliakov al Maggiodanza, poi al Teatro Regio di Torino, Parma, Cremona ed
ho cominciato un percorso creativo alla continua ricerca di nuovi contenuti, convinto di voler creare evento performativo tra danza,
canto, teatro, teatro-danza, tecnologia, verso un Teatro di Danza inclusivo e come evento comunicativo e linfa vitale per la
comprensione di concetti e sentimenti di interesse universale
Hai fatto tante creazioni per importanti nomi della Danza e Teatri. Tra questi la grande diva Carla Fracci…..
Sono alla continua ricerca di stimoli e mi interessa moltissimo l’esperienza professionale ed artistica degli Artisti con cui ho
collaborato e con cui lavorerò, in modo da poter scoprirla radice unica del talento, del modo unico che questi artisti sono in grado
di emanare dal proprio modo di danzare. Carla Fracci era ed è unica e con lei ho realizzato molte creazioni. Abbiamo avuto una
importante collaborazione creativa, unica ed irripetibile, come “Dio salvi la Regina “ al Teatro dell’Opera di Roma . Abbiamo avuto
una collaborazione stimolante, creativa, eccitante, unica, creando un Team creativo con il M°Beppe Menegatti e con il M°Ludovic
Party, e portando in scena numerose mie creazioni.
A Roma hai registrato sold out e primati continui con il tuo Schiaccianoci per il Balletto di Roma per oltre 10 anni. Quale
segreto?
La verità. Saper raccontare, evocare attraverso la danza tematiche di interesse universale in cui le persone possono riconoscersi
e poter ragionare, commuovendosi e ridendo. Un metodo compositivo che è caratteristico del mio modo di far Coreografia.
Oltre l'Italia anche grandi produzioni all'estero per importantissime compagnie, come il Ballet de France, il Teatro
dell'Opera di Stara Zagora, il Balletto di Sofia e anche New York...
Continuando il mio percorso artistico, sempre alla ricerca di nuovi modi espressivi , naturalmente cerco di essere sempre
stimolato da nuove avventure creative collaborando con teatri, Compagnie di Danza, Compagnie di Danza di Teatri d’Opera e,
così, ho continuato a creare nuove produzioni, spaziando dalla musica colta alla musica popolare, dalla musica classica alla
musica jazz, cercando nuove espressioni danzate, ispirandomi comunque a concetti espressi da Platone, Rudolf Von Laban,
sistemi compositivi ispirati a Cunningham, o a quelli legati alla video arte.
Oltre la tua attività di coreografo internazionale, sei da qualche anno anche docente presso l' AccademiaNazionale di
Danza di Roma. Come vivi questo ruolo nei confronti dei giovani con cui ti rapporti?
…Da quando ho iniziato il mio percorso professionale nella danza, ho cercato di sviluppare nel migliore dei modi il mio modo di
intendere l’Arte della Danza legato alla consapevolezza, alla tecnica, all’inclusione, al rispetto e alla massima libertà creativa .
Insegnare l’arte della coreografia è uno degli aspetti del mio percorso artistico in continua evoluzione e neanche io posso capire
dove potrà arrivare ed approdare perché ho sete di novità e scoperte che cerco di trasmettere agli studenti e ai danzatori
professionisti con cui lavoro. Studiate, cercate di apprendere al massimo ogni tipo di conoscenza tecnica per poi potervi
esprimere dopo aver nutrito il vostro sapere.
Progetti Futuri?
All’inizio del 2022 andrà in scena per la 150° replica il mio Ghetto in una nuova versione (Estero), visto il notevole successo che lo
accompagna e, di questo, sono grato al pubblico che riempie i Teatri in cui si rappresenta. Poi, in Maggio, ci sarà la “Prima” di
“Notre Dame de Paris”, prodotto dal Teatro dell’Opera di Stara Zagora con un cast eccezionale . In seguito due produzioni
italiane, nella seconda metà del 2022, legate alla letteratura ( di questo ne riparleremo).
Cosa rappresenta per te la Danza in una sola parola?
Il mio modo per esprimere l’Amore .
Dancer Carillodol
ph. Monica Irma Ricci
Make-up Mauri Menga
Dancer Carillodol /ph. Monica Irma Ricci /Make-up Mauri Menga
ELISA AMENDOLA
PH. Monica Irma Ricci
Makeup: Mauri Menga
Elisa Amendola è una giovane promessa
della danza. Romana, classe 2000 ha
iniziato a studiare danza all'età di 5 anni in
una scuola privata. A 14 ha preso una
decisione importante per la sua carriera e
ha deciso di continuare i suoi studi presso
l’accademia di balletto classico di Perm
(Russia).
Dopo il diploma, nel 2019 entra nel corpo
di ballo dell’Astra Roma Ballet diretta da
Diana Ferrara e partecipa a diverse
produzioni: Sulle punte e no,I tesori del
cuore, Dante sommo poeta in giro per
l’Italia.
Dalla collaborazione con i colleghi Kevin
Arduini e Fausto Paparozzi, che ricoprono
il ruolo di direttori artistici, nasce la
compagnia Danza d’Autore. La compagnia
al suo esordio ha portato in scena “Il
Poeta libero”, uno spettacolo omaggio a
Fabrizio De André interamente realizzato
con le sue musiche.
Frequenta il corso universitario di
Mediazione linguistica e in futuro il suo
sogno è portare avanti questo lavoro e la
danza, senza rinunciare e nessuno dei
due sogni.
Elisa è una persona molto dolce e
determinata e come consiglio a chi vuole
intraprendere il mestiere di ballerino è
credere in se stessi e nelle proprie
potenzialità e di affidarsi a un buon
insegnante. Il mondo della danza è molto
duro, tanti sono gli ostacoli ma è convinta
che l’arma vincente è puntare e credere
su se stessi, perchè così si è già a metà
dell’opera.
PH. Monica Irma Ricci
Dancer: Giorgia Montepaone
Alessandro Scavella
Makeup: Mauri Menga
www.istagram.com/i.r.m.a19
www.istagram.com/eli_amendola
www.facebook.com/maurimenga
www.istagram.com/linea_b_
Giorgia Montepaone nasce a Genzano di Roma nel 1994, si
avvicino alla danza moderna all’età di 7 anni e alla danza
classica all’età di 10 e inizia a danzare ad Anzio, dove vive.. Nel
2009 tramite una borsa di studio inizia a studiare alla scuola del
Teatro Greco Dance Studio di Roma, dove approfondisce gli
studi della danza classica, contemporanea e jazz. Dal 2014
frequenta il Triennio Classico all’Accademia Nazionale di Danza
di Roma dove nel 2018 consegue la Laurea Triennale di I livello
in Discipline Coreutiche indirizzo Danza Classica. In questi anni
ha l’opportunità di studiare con importanti maestri e coreografi e
di partecipare ad eventi e spettacoli. Nell’anno 2018/2019 lavora
in quattro produzioni della compagnia Astra Roma Ballet diretta
dall’Etoile internazionale Diana Ferrara: - Serata di Gala “Sulle
punte e no” dove interpreta la bambola nel passo a due Muñecos
del coreografo Alberto Mėndez; - il personaggio di Papagena ne
Il Flauto Magico e la Gazza ne La gazza ladra entrambe
creazioni del coreografo Paolo Arcangeli; - I tesori del cuore, in
stile neoclassico, della violinista Anyla Kraja con musica dal vivo.
Molti sono gli spettacoli e i festival ai quali partecipa sia in Italia
che all’estero come all’Auditòrio Fernando Lopes – Graça ad
Almada in Portogallo; o anche al Théâtre Régional d’Oran e al
Sala Ibn Zeydoun di Algeri in Algeria. Per citarne alcuni. Nel
2020 lavora come ballerina nel corpo di ballo dello State Opera
Stara Zagora in Bulgaria dove danza nel balletto di repertorio
Chopiniana nel teatro dell’opera stessa. Nell’anno 2020/2021
inizia il Biennio specialistico per l’insegnamento all’Accademia
Nazionale di Danza di Roma per conseguire la Laurea di II livello
in Didattica delle discipline coreutiche indirizzo Danza
Classica.Lavora inoltre nella nuova tournée estiva della
compagnia Astra Roma Ballet con la nuova produzione Dante,
sommo Poeta.
Parallelamente ha partecipato come danzatrice a produzioni
cinematografiche come:
- la serie TV Medici: Masters of Florence 2 regia di Jon Cassar
con le coreografie di Gianni Santucci,
- The start up – Accendi il tuo futuro regia di Alessandro D’Alatri,
- la serie TV Rai Carosello Carosone regia di Lucio Pellegrini,
nonché la più recente produzione Walt Disney ancora in uscita,
con la Compagnia Nazionale di Danza Storica di Nino Graziano
Luca
Alessandro Scavella, ha 25 anni e vive a Roma. Sin da piccolo
ha iniziato a muovere i primi passi di danza e appena ascoltava
una musica cercava di accompagnarla attraverso dei movimenti
che spontaneamente prendevano forma e creava una piccola
coreografia. Tutto è nato che aveva solo 6 anni quando, nelle
spensierate giornate delle vacanze estive, partecipava entusiasta
ai balli di gruppo che si organizzano sulla spiaggia e così i genitori
lo iscrissero ad una scuola di danza. I primi anni di studio sono
stati caratterizzati più che altro dal gioco; considerava le lezioni
come un passatempo e come una distrazione dai compiti
scolastici, però bisogna riflettere sul fatto che tutto quel tempo
trascorso a relazionare assieme ad altri bambini e poi adolescenti
ha contribuito a farlo diventare la persona socievole, educata e
disciplinata che è oggi. Tutto questo è andato avanti sino ai 14
anni quando ha sentito che quel passatempo stava diventando
una vera e propria passione, soprattutto per quanto riguarda gli
stili classico e contemporaneo. Non resisteva più di un paio d’ore
davanti ai libri di scuola ma poteva rimanere anche mezza
giornata a scuola di danza allenandosi sia fisicamente, prendendo
parte alle lezioni, che mentalmente, osservando altri insegnanti e
assorbendo come una spugna le correzioni che indicavano agli
altri allievi per poi metterle in pratica. Sino alla maggiore età sono
stati anni molto difficili, ha sempre cercato di osservare e studiare
con gli allievi dei corsi più grandi per rincorrere e raggiungere al
più presto il loro livello, ma ciò ha richiesto molti sacrifici. Spesso
ha dovuto rinunciare alle uscite con gli amici per recuperare i
compiti e lo studio arretrato; raramente i suoi genitori potevano
comprargli ciò che desiderava perché già si occupavano della
scuola di danza. Ha frequentato il Centro Danza Kiki Urbani
diretto dal maestro Giuseppe Urbani e poi il Centro Danza Fausta
Spada a Roma, che per lui è stato e continua ad essere una
grande famiglia alla quale rimarrà sempre legato.
Successivamente è stato ammesso alla Scuola di Danza del
Teatro dell’Opera di Roma ed ha perfezionato i suoi studi
soprattutto con il maestro Denis Ganio, Etoile del Teatro
dell’Opera di Parigi. Sono poi iniziati gli anni delle audizioni e del
lavoro che gli hanno permesso di viaggiare davvero molto per
tutta l’Italia ma anche all’estero in Spagna e in Germania. Nel
2018 ha preso parte alle produzioni del Balletto di Siena diretto da
Marco Batti ballando ne “Il Lago dei Cigni” e “Notre Dame de
Parìs”.Nel 2020 è stato finalista del prestigioso concorso “Premio
Roma Danza” prendendo parte all’opera “Happy Goodnight To
You” di Giada Primiano. Nel 2021 ha collaborato con la
compagnia “Almatanz” diretta da Luigi Martelletta ed ha preso
parte alle produzioni dell’“Art Dance Theatre” diretto da Franco
Franchi e Gloria Imperi ballando in “Carmina Burana” e “Bolero”
con le coreografie di Tuccio Rigano. Ha partecipato a numerosi
Galà di danza nazionali ed internazionali come ballerino solista e
ha collaborato con numerose scuole di danza in tutta Italia sia
come insegnante che come ballerino ospite. Dal 2019 ad oggi è
un ballerino solista della compagnia “Astra Roma Ballet” diretta
dall’Etoile del Teatro dell’Opera di Roma Diana Ferrara,
prendendo parte alle produzioni “La Gazza Ladra”, “I Tesori del
Cuore”, “Dante Sommo Poeta”.
La fotografia come terapia o scopo
esistenziale
Davide Bilancia
Fotografare non è solo cogliere un'immagine.
Avvicinarsi alla fotografia e fotografare è un atto d'aiuto per se stessi.
Non per forza mi impongo di pubblicare o sovraprodurre immagini, né sono legato
alla concezione di successo.
Molti fotografi rimangono nel buio come Vivian Maier, divenuta famosa anni dopo
la sua morte.
Fotografare è la ricerca del sé più autentico, per cercare e prendere, cogliere, le
immagini che più ci cercano a loro volta. È un disegno del destino che talvolta ci
pare di vedere.
Ferdinando Scianna dice che il fotografo guarda e talvolta vede qualcosa.
La mente, l'anima, l'inconscio usano e vivono di immagini e spesso sento dentro
me che è come se fossi distaccato dal resto del mio essere.
Qualcuno ha detto che è come se io fossi un tutt'uno con la macchina fotografica
ed è vero, è un'affermazione che sento particolarmente mia.
Si ricerca affinità con il destino, con se stessi, mediante la fotografia.
Le immagini non sono tutte buone nel senso che non sono tutte utili alla
pubblicazione o a diventare opere d'arte o ad essere esposte; bensì credo,
vivendolo, che un fotografo debba prima ricercare se stesso nelle immagini che
cerca attivamente o attira a sé e, per questo, dico che è la mia vocazione, il mio
mantra, il mio credo più profondo.
Spesso mi pare che l'immagine e l'impressione percettiva di essa io l'abbia già
dentro e, nel momento in cui avvicino la macchina fotografica all'occhio, succeda
qualcosa dentro di me, e nello stesso momento premo il pulsante che aziona
l'otturatore e qualcosa di magico accade.
Quell'immagine catturata resta per sempre nella mia memoria ed alla fine, solo alla
fine, avrò il quadro completo della mia esistenza, poiché ciò che faccio è stare nel
cammino esistenziale raccogliendo delle impressioni vitali quando lo sento dentro.
Fotografare mi porta a crescere coltivando la mia essenza, nutrendola di immagini
affini.
Questo percorso comporta gioia e presenza in qualcosa che esiste ma non lo
senti.
Il rapporto tra me e la fotografia è simbiotico e, talvolta, umanamente distaccato
nel senso che mi affido agli astri alle sensazioni alle premonizioni al sapere innato
del mio inconscio che mi guida facendone strada lungo il percorso al quale sono
destinato.
È pura magia. È inspiegabile poiché vivo.
Sento l'essenza della mia anima nel momento in cui il mio essere si allinea con
l'universo. Non sento errori né fallimenti, percepisco l'esperienza vitale.
Non mi importa di diventare qualcuno o qualcosa di cui poter parlare; la fotografia
è intima, è la materia più importante che ho, tant'è che questo lato di me è
nascosto nel buio, al sicuro, come un seme nella terra che si prepara a
germogliare.
Qualunque sia la vostra arte, vivetela.
Create e distruggete ogni volta, anche gli stessi strumenti di lavoro o le vostre tele
o parole che siano esse in musica o in qualche quaderno riposto nei cassetti.
Nella vita non c'è una soluzione o una risoluzione, c'è un processo e questo è il
mio, la fotografia.
Cosa ci insegna il Tango a proposito dell’amore? Indubbiamente i testi di tango sono lo specchio di una vera e propria filosofia
popolare sulla vita e molti di essi affrontano questo sentimento imprescindibile per l’essere umano con diverse declinazioni. Se
l’amore non viene espressamente menzionato in una canzone, non si può dire che nel testo sia assente un contenuto amoroso,
quindi potremmo dire che l’80% dei brani di Tango parla d’amore.
La storia del Tango, le sue origini e le biografie delle persone che lo fecero, ci spiegano come poeti e parolieri di questo mondo
si siano concentrati su tre domande principali: “Che cosa è l’amore?”, “Perché si soffre così tanto per amore?” e “Come si
gestisce?”. Un primo risultato di tanta dedizione nel comprendere e descrivere questo tema così complesso, risiede nella
raccolta di testi scritti per il Tango in più di un secolo di vita, una sorta di compendio sull’amore sparso in decine di migliaia di
versi.
La metafora è lo strumento principale per approcciare l’amore. Questa tecnica è comune nel mondo anglosassone come in
quello ispano-americano; pertanto, questo sentimento viene spesso accostato ad un “nutrimento” che porta le persone ad
avvertirlo come una necessità (“Estaba sedienta de amor”; “Esta relación no me llena totalmente”), o come l’unione di due parti
complementari, secondo un’accezione occidentale di stampo platonico (“Estamos hechos el uno para el otro”; “Es mi media
naranja”; “Ella y yo somos uno”) che conduce l’essere umano a concepire l’amore come uno stato idilliaco e di armonia perfetta.
Ancora, le lingue europee descrivono l’amore come un fluido con la capacità di impregnare totalmente qualcuno (“Estoy lleno de
amor”; “Esta relación no me llena del todo”).
Nei testi di Tango si incontrato tutte queste metafore, ma il Tango va anche oltre, costruendo nuove e peculiari immagini che
vanno ad arricchire la visione filosofica e psicologica dell’amore.
Secondo il Tango, ad esempio, l’amore è un palazzo (“El amor es un castillo”; “El palacio de mis sueños”; “Construyamos entre
los dos un nuevo mundo”), un luogo che ci protegge dal mondo esteriore (“Volvamos a nuestro nido”) e dove possiamo
ubriacarci (“Tu boca que embriaga”; “La vida es corta y hay que vivirla, dejando a un lado la realidad”), una magia (“Me encanta
esa mujer, está encantada”) che a volte riesce a stregarci o condurci alla follia (“Tus ojos que hechizan, y que perturban mi
razón”; “La enfermedad del amor”). Ma l’amore è anche veleno (“decí, ¡por Dios!, ¿qué me has dao?”; “¡sírveme en la copa
rota!, quiero sangrar, gota a gota, el veneno de su amor”; “en sus pupilas guarda el veneno de la pasión”), una luce che ci
illumina e può essere una guida nel cammino della vita, così come un miraggio (“Mentíme al oído la fábula dulce, de un mundo
querido, soñado y mejor”). Infine, l’amore viene spesso accostato ad un essere vivente in grado di nutrirsi, crescere, svilupparsi,
maturare, ammalarsi e morire, oppure ad un paradiso fragile come una bolla di sapone (“más frágil que el cristal fue mi amor
junto a ti… cristal tu corazón, tu mirar, tu reír… Ya nunca volveré, lo sé bien, nunca más, tal vez me esperarás, junto a Dios,
más allá”).
Le cause dell’amore sono spesso ricorrenti nei testi di Tango e fanno riferimento ad elementi “feticisti” che sono presenti
all’inizio stesso di molti amori: il sorriso, gli occhi, i capelli, le labbra, la pelle (“Vi en tus ojos, un mundo de ilusiones
desconocido”). Molti tanghi attribuiscono l'amore al partner che ha gusti e modi di essere che l'amante apprezza, sebbene non
coincidano necessariamente con i propri; in altri casi si valuta che la persona amata sia complice del gioco della vita, che in
qualche modo ne esalta le capacità, coerentemente con la metafora dell'amore come lotta contro la vita. Molti altri tanghi
associano l'attrazione amorosa, non a cause esterne, ma ad una spinta interiore, di origine sconosciuta o sprannaturale (“Te
quiero, porque te quiero”; “Es insondable el modo de querernos, que se escapa a la razón de quien nos mira, es profundo y
tiene algo de eterno, como si hubiera recorrido muchas vidas”).
È evidente come le metafore del tango ci offrano una visione
enormemente ricca di cosa sia l'amore. Esse sono abbastanza lassiste
da descrivere tutti gli aspetti più importanti del fenomeno, quelli che ci
colpiscono di più, ma allo stesso tempo hanno una coerenza reciproca
relativamente alta, al punto da avere anche un interesse filosofico.
Il tango non si ferma alla descrizione di questo complesso fenomeno
che è l'amore, ma ci fornisce una serie di consigli utili per affrontare
questa complessità e sopravvivere. In particolare, raccomanda una
serie di atteggiamenti con i quali è possibile ottenere il meglio
dell'amore. Tra i tanti atteggiamenti consigliati, ce ne sono quattro che
spiccano perché coincidono con quelli che il tango suggerisce anche
per affrontare le durezze della vita: atteggiamento baudelairiano;
atteggiamento romantico; atteggiamento nietzschiano; atteggiamento
prospettico distaccato.
L'atteggiamento baudelairiano consisterebbe nel godere dell'ebbrezza
amorosa finché dura, essendo consapevoli della sua natura "artificiale"
e "volatile" e, quando per quella natura intrinsecamente volatile,
quell'ebbrezza si dissipa, si ritorna ad ubriacarsi ancora una volta con
un altro amore, con vino, con la musica, o con qualsiasi altro paradiso
artificiale. La felicità e l'euforia che derivano dall'essere intossicati dalla
passione sono ben descritte nel Tango “Cantemos corazón”.
L'atteggiamento romantico consisterebbe nel godere dell'espressione
dei sentimenti sopraffatti che l'amore e la vita mettono in gioco, e farne
un'opera d'arte. Ma, oltre a ciò, può essere anche fondamentale non
prestare attenzione agli altri e a ciò che diranno, e concentrarsi solo su
ciò che se stessi (e il partner amorevole) considerano eticamente ed
esteticamente prezioso.
L'atteggiamento nietzscheano consisterebbe nell'accettare la vita,
anche nei suoi aspetti più duri e instabili, e non solo nei suoi aspetti
positivi, perché entrambi gli aspetti non possono essere sezionati
senza che la vita scompaia. Alcuni tanghi dicono esattamente la
stessa cosa: “Yo nací para querer, aunque tenga que sufrir”, “Sufrir
por una mujer es la dicha de vivir”; in altre parole, vivere e soffrire
d'amore sono praticamente sinonimi e non possono essere separati:
“chi vuole vivere soffre”, dice un altro tango.
L'atteggiamento distaccato e prospettico consisterebbe nell'imparare a
cogliere la “doppia faccia” che hanno le cose. La realtà esterna non è
predefinita una volta per tutte, ma ha una certa ambiguità. E la
prospettiva che assume il soggetto davanti a sé è fondamentale per
dare un colore o l'altro, una tonalità finale o un'altra, a quella realtà.
Vorrei concludere con una bella frase di Silvio Rodriguez, che recita
così: “Que me tenga cuidado el amor, que le puedo cantar su canción”
(Che l’amore mi protegga, che possa cantargli la sua canzone).
TuttoBallo
Quanto manca a Carnevale? Beh, se a chiederlo e a rispondere sono due uruguaiani, in realtà il Carnevale sta per iniziare. Sì
perché a Montevideo dura quanto la Quaresima: 40 giorni, da fine gennaio a inizio marzo. E, soprattutto, 40 notti. E se credete che
quello di Rio de Janeiro sia festoso e colorato, allora vale la pena conoscere anche quello del piccolo e troppo spesso sconosciuto
paese incastonato proprio tra Brasile e Argentina.
Anche in Uruguay, come in tutto il mondo, il Carnevale è momento di rovesciamento, il giorno in cui i subalterni possono liberarsi
simbolicamente del loro giogo e sbeffeggiare i padroni, il giorno in cui è concesso tutto. A Montevideo il Carnevale è principalmente
una lunga competizione tra gruppi di murgas.
Immaginatevi una città tappezzata di tablados, piccoli palchi dagli assi di legno montati in ogni quartiere dove si avvicendano più
gruppi amatoriali nella stessa sera. Per quaranta giorni. Appunto, le murgas. Una murga è una banda amatoriale di strada
rappresentante solitamente un quartiere della città e composto da diciassette membri, rigorosamente: tredici cantanti, un
direttore/solista e tre percussionisti, con i loro tamburi di diverse dimensioni, bombo, platillo e redoblante. Tutti sono truccati e
mascherati, in uno stile che ricorda le maschere veneziane ma deformate in versione ironica e satirica.
L’origine di questo stile di festeggiare (perché se è vero che il periodo centrale è quello del Carnevale, è altrettanto vero che le
murgas fanno pratica tutto l’anno e, le più conosciute, si esibiscono in occasioni particolari, sempre festose) è spagnolo e si deve a
un gruppo musicale andaluso che a inizio ‘900 arrivò in Uruguay per esibirsi, ‘La Gaditana’. Essendo i locali delle esibizioni troppo
piccoli o particolarmente alta la richiesta da parte del pubblico o, al contrario, troppo scarsa, la banda prese a suonare girando per le
strade della città. Dall’anno successivo un primo gruppo amatoriale volle omaggiare e parodiare gli spagnoli creando ‘La murga La
Gaditana que se va’; da lì in poi nacquero tantissimi gruppi di murga, sempre con l’intento parodistico e sempre con nomi che già
rendono idea del clima: ‘Los Domadores de Suegras’ (I Domatori di Suocere), ‘Salimos por No Quedarnos a Casa’ (Usciti per Non
Starcene in Casa), ‘Tírame la Punta del Naso’ (Tira la Punta del Naso) e molti altri. Lo stile della murga è rimasto questo: parodiare,
parodiare tutto: il potere, la società, i fatti principali accaduti nell’anno… tutto. Perché a Carnevale vale tutto e tutto si può.
Alla murga si affianca il candombé, o candombe, un ballo frenetico e festoso, una danza-lotta in stile capoeira, di origine africana.
Ma l’Uruguay che cosa c’entra? Siamo abituati a conoscerlo come un paese di immigrati europei, una seconda casa per gli italiani,
al pari dell’Argentina, una sorta di avamposto della cultura europea in America meridionale… E invece la cultura africana è molto
presente in Uruguay, specialmente nel settore musicale.
Anche sulle sponde del Rio de la Plata sono arrivate navi spagnole cariche di deportati africani, ovviamente, ma è il 1852 quando
l’Uruguay abolisce la schiavitù, giusto una quarantina d’anni prima che lo stesso avvenga in Brasile (1888) e in anticipo anche
rispetto ad altre ex colonie spagnole. Questo fa sì che molti schiavi che riuscivano a fuggire o molti afro-americani che non erano
più formalmente schiavi ma non godevano ancora dei pieni diritti di cittadinanza cercassero di raggiungere l’Uruguay.
TuttoBallo
Lì sarebbero stati semplicemente dei cittadini. Ecco uno dei motivi principali della forte presenza di afroamericani in Uruguay
rispetto, ad esempio, all’Argentina. Ovviamente, come tutti gli esseri umani che si spostano, anch’essi portarono con sé il proprio
bagaglio culturale che, naturalmente, comprendeva anche la musica. E questo seme cresce in luoghi specifici, gli unici dove
potessero vivere degli ex schiavi, ovvero i conventillos. Un conventillo non è altro che un intero edificio a più piani con dei ballatoi
che si affacciano su uno o più cortili interni. Ogni piano è composto da più appartamenti, generalmente formati da una o due
stanze e sempre senza bagno, che è in comune giù in cortile. In Italia c’è stato qualcosa di simile nelle città del nord, soprattutto
Milano e Torino, con le cosiddette “case di ringhiera”, e proprio come quelle, anche i conventillos erano destinati a immigrati o,
appunto, ex schiavi. È in uno di questi conventillos, precisamente nel ‘Medio Mundo’, in calle Cuareim 1080, a Montevideo, che
viene storicamente datata la nascita del candombé uruguaiano.
A differenza della murga, il candombé ha un’intensità di satira e di rovesciamento sociale minore, per quanto comunque presente;
si concentra di più sull’aspetto festoso, essendo una rievocazione dell’incoronazione dei Re dell’antico Congo prima e dei Re Magi
poi. Come la murga, anche il candombé ha una sua struttura piuttosto rigida: ogni comparsa, ossia ogni gruppo, è composto dalle
maschere storiche della tradizione africana: La Mama Vieja, ossia la donna regina del Carnevale, che rappresenta la saggezza, il
rispetto per l’anzianità e l’importanza della linea matriarcale nelle culture africane; El Gramillero, ossia lo stregone, a
rappresentare il rispetto per l’anzianità e la vita tribale, quindi ancora una volta il legame con la tradizione africana; El Escobero,
ossia colui che, bastone o scopa alla mano, in passato apriva, guidava e chiudeva la comparsa, rappresentando l’uomo, il
guerriero della tribù: infatti si scontrava a duello con El Escobero di un’altra comparsa cercando di farlo cadere ballando e
agitando la scopa. A queste maschere si aggiungono un nutrito corpo di ballo e un minimo di cinquanta suonatori di tambores, che
sono di tre dimensioni: in ordine crescente, chico, repique e piano. Ogni tipologia di tamburo ha un suo modo di essere suonato,
un proprio ruolo all’interno della musica e, soprattutto, ogni comparsa ha il proprio stile e il proprio ritmo in rappresentanza di ogni
quartiere della città, senza distinzione di ceto; ogni quartiere ha la propria comparsa. Partendo da diversi angoli dei tradizionali
quartieri cittadini abitati da neri, iniziano le llamadas, le ‘chiamate’: le corde dei tamburi vengono “tirate” al calore del fuoco e i
tamburi cominciano a dialogare per preparare il pubblico e poi partire in sfilata insieme ai ballerini chiamando, appunto, la gente a
unirsi alla festa. Tutte le comparsas si radunano poi nello stesso punto per la sfilata congiunta, che in realtà è una gara a ritmo
tribale, tra tamburi impazziti e balli scatenati che richiamano la trance delle musiche tradizionali africane. Una
ricchezzariconosciuta anche dall’UNESCO, che ha decretato il candombé Patrimonio immateriale dell’Umanità.
Con la murga e la sua satira scherzosa e dissacrante, il candombé e la sua festosità sfrenata, il Carnevale uruguaiano è una vera
occasione di gioia, leggerezza e divertimento per tutta una comunità, una città e un intero paese.
David Iori
traduttore ispanoamericano e portoghese
www.ilcontaconti.wordpress.com
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Mi chiamo Martina Bruzzone, ho 31 anni e vivo a Genova. La mia passione? ... la fotografia! ...una passione che è entrata nella
mia vita fin da piccola e che a poco a poco ha preso mano, o meglio si è fatta spazio giorno dopo giorno, anno dopo anno. Da
bambina mi incuriosivano i particolari di tutto ciò che mi stava attorno, volevo poterli guardare e riguardare per "scoprirli" sempre
meglio ad ogni sguardo ... ero guidata dalla curiosità! È per il mio essere immensamente curiosa che ho iniziato con le vecchie
macchinette usa e getta; le portavo nelle gite scolastiche e in vacanza. Inizialmente fotografavo totalmente a caso, ma in fin dei
conti devo dire che quelle prime fotografie non erano poi così male. Crescendo la passione è cresciuta insieme a me; mi sono
comprata la prima macchina fotografica digitale compatta e dopo anni ho acquistato la mia prima Nikon reflex: per me
un’emozione unica ... la trattavo come il bene più prezioso che avessi mai avuto! Amavo fotografare ed amavo le fotografie che
realizzavo, ma osservandole provavo per ognuna una costante sensazione di insoddisfazione, sembrava mancasse qualcosa che
ne completasse il significato. Ho deciso di approfondire la tecnica fotografica, così mi sono iscritta a vari corsi di fotografia e a
gruppi fotografici; grazie a queste esperienze ho potuto imparare tutte le tecniche ed ho avuto preziosi consigli sull' inquadratura
scoprendo nuovi punti di vista che non avevo ancora considerato o messo in pratica. Sono state esperienze che mi hanno
arricchito molto soprattutto perché mi sono resa conto di quanto in realtà sia complesso il mondo della fotografia e quante cose
dovessi ancora imparare. Prima, quando mi approcciavo a fotografare, lo facevo seguendo l’istinto, ora stavo per tuffarmi a pieno
nel mondo della fotografia. Sono sempre stata attratta più dalla ritrattistica che dal paesaggio; per me la fotografia ha sempre
rappresentato il fermare un’istante, un momento, un ricordo, un’emozione; riprendere dopo anni un'istantanea doveva
rappresentare l'oggetto magico che fosse in grado di riportare alla memoria un attimo, far riaffiorare la stessa sensazione, forte ...
come un'onda che sembrava essersi allontanata per sempre, ma che tornava più irruenta e travolgente che mai. Fotografia dopo
fotografia ho voluto cogliere e portare nel tempo letture di storie, messaggi e sentimenti. Fotografo ritratti perché mi piace
immortalare le emozioni che la persona può trasmettere con il proprio corpo, con ogni suo gesto, con ogni piccolo elemento
espressivo, che sia un fascio di luce nello sguardo, una ruga più profonda o un sopracciglio più inarcato ...un sorriso celato. Tutto
nel volto umano contiene un profondo messaggio. Chi guarda le mie foto potrebbe dire che appaiono oltre un velo di tristezza: è
vero! Amo cogliere nelle persone la loro fragilità, quella parte che tendenzialmente tutti preferiamo non mostrare agli altri che però
è insita in ognuno di noi. Nel mondo di oggi è diffusa la tendenza a mostrarsi sempre felici e perfetti, ma la realtà non è così.
Tristezza, frustrazione, sofferenza e rabbia sono emozioni che ci accompagnano: non c’è niente di male nel provarle, l’importante
è conoscersi nel profondo per saperle affrontare. Vedo attorno a me le persone, le osservo oltre il primo sguardo cercando di
"leggerle" nel loro volto ed in base a ciò che percepisco penso quale tipo di foto posso far nascere, crescere e fissare. Non amo
cercare la persona adatta alla foto che vorrei scattare, sarebbe un prodotto sterile, sarebbe l'impoverimento del messaggio
fotografico. Guardo le mie foto e in alcune colgo imprecisioni nell' inquadratura o altre imperfezioni e le apprezzo perché
anch'esse rendono la mia fotografia semplicemente ciò che volevo realizzare, come fosse il racconto dell'animo umano, questo
avviene perché quando scatto, ancora oggi, non penso ad altro che a lasciarmi guidare da quell’istinto che mi accompagna da
sempre. Amo le fotografie ricche di storie e significati oltre l'apparire, un amore che sviluppo da anni, ma che non sento né
completo né certo; sento dopo ogni scatto il desiderio di scoprire altro, oltre altri volti ed altre vite: è una ricerca continua, appare
infinita... una ricerca che ormai fa parte di me, una spinta continua che ho dentro e che sarà la fedele compagna della mia vita.
bruzzo18@hotmail.t
Martina GeGe Bruzzone
FUSION&LOSA
Nuraghe ispirazione coreutica
foto di Luca di Bartolo
Testo Francesca Cara
www.lucadibartolo.it
L'intento di Luca Di Bartolo è di portare la danza in
tutte le sue forme nei luoghi di importanza storica e
paesaggistica della Sardegna, per promuoverne il
territorio e le arti coreutiche attraverso la libera
espressione artistica di danzatrici e danzatori
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Il complesso nuragico Losa si erge sull'altopiano basaltico nel territorio di Abbasanta; la sua struttura imponente è costituita da
un nuraghe trilobato risalente all'età del Bronzo medio, e da un antemurale più i resti di un villaggio di successiva costruzione.
Ha una storia millenaria, ha subito numerose trasformazioni, è testimone silenzioso del susseguirsi della storia. Nell'avvicinarsi
sembra un grande essere dormiente, si tende a centellinare le parole, ad attutire anche i suoni dei propri passi per non
svegliarlo. La scelta del luogo che ci avrebbe ospitato per una nuova tappa del Sardinia@dance di Luca Di Bartolo è ricaduta
su questa maestosa struttura.
L'intento di Luca Di Bartolo è di portare la danza in tutte le sue forme nei luoghi di importanza storica e paesaggistica della
Sardegna, per promuoverne il territorio e le arti coreutiche attraverso la libera espressione artistica di danzatrici e danzatori.
Prendere parte a questo progetto è stato per me un'esperienza preziosa; nel conoscerne i tratti distintivi mi sono rispecchiata
nei suoi propositi. Ho dato la mia disponibilità seguendo la mia curiosità, la mia voglia di sperimentare e di condividere con la
mia terra e la fotografia di Luca la forma d'arte alla quale mi dedico da tanti anni.
La fusion belly dance è uno stile nato recentemente negli Stati Uniti ma che vede i suoi sviluppi in tutto il mondo. E' frutto di
una fusione consapevole di vari stili di danza, principalmente danze orientali, flamenco e danze indiane, ed aperto a tante
altrettanto consapevoli contaminazioni guidate dall'esperienza di chi la sperimenta, con l'intento di lanciare un messaggio di
inclusione e solidarietà, è un invito all'abbattimento delle barriere culturali.
Portarla all'interno di un complesso nuragico è stata un'esperienza singolare: apparentemente distante da ciò ch'è stata la
cultura nuragica, nella mia personale visione questo stile coreutico è una commistione della storia del mondo che, un vecchio
patriarca dell'antica culla mediterranea come il nuraghe Losa, può facilmente accogliere ed accompagnare verso la sua futura
evoluzione. Con il maggior rispetto possibile abbiamo sperimentato questa unione inedita; le mie origini sarde, la sensibilità di
Luca, il suo sguardo delicato e attento, la sua preziosa accoglienza, la nostra inossidabile convinzione che anche ciò che
appare diametralmente opposto possa avere una storia in comune hanno fatto da robusto collante per quello che è stato poi il
risultato: un lavoro gratificante realizzato nella più totale serenità e armonia.
Il nuraghe Losa ha ascoltato la nostra arte, introducendoci nella sua storia e nelle sue più intime memorie, ingurgitandoci nelle
sue silenziose viscere, accogliendo per l'ennesima volta i cambiamenti del mondo, la fallibilità umana, la meraviglia e lo
stupore che accomunano gli artisti di ogni provenienza. Le sue mura basaltiche si confermano solido scrigno della nostra
storia, impenetrabile custode di tutto ciò che si nasconde tra le pieghe della nostra esistenza, sostegno solido per le nostre
fragilità.
Francesca Cara è danzatrice, coreografa e
insegnante di fusion belly dance, si forma e
lavora in Italia e in diversi paesi europei.
Si impegna in progetti che si dispiegano
abbracciando diversi ambiti, in percorsi di
contaminazione tra generi di danza e culture, e
di ricerca di nuove forme di espressione tra
danza e teatro.
NPOTY
Concorso fotografico.
Lascia parlare la natura
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Nature Photographer of the Year è un concorso di fotografia naturalistica che celebra la bellezza della fotografia naturalistica.
Al vincitore vanno € 3.000,- in contanti, oltre ad altri fantastici premi in denaro e fantastiche attrezzature fotografiche.
Partecipando al concorso di sostengono vari progetti di conservazione della natura. La cerimonia di premiazione si svolge
all'annuale Nature Talks Photo Festival. Per il 2022 il concorso è già iniziarto. Le iscrizioni termineranno domenica 29 maggio
2022 (23:59 CEST). Le immagini vincitrici vengono esposte in una mostra fotografica al festival e successivamente nei Paesi
Bassi, Belgio e Francia. Lascia parlare la natura! Tutte le infonmrazioni sono scritte nel sito del concorso:
https://naturephotographeroftheyear.com/enter-contest/npoty-2022/
Per l’anno 2021 il vincitore assoluto è stato il fotografo e guida di Levanger, Norvegia centrale Terje Kolaas con Migrazione
invernale. Lo stesso autore ha descritto così la foto: "Ho il privilegio di avere migliaia di oche dai piedi rosa letteralmente nel
mio giardino diversi mesi all'anno. Più di 80.000 fanno scalo qui nel sistema delle zone umide del fiordo di Trondheim durante il
viaggio tra i terreni di svernamento in Danimarca e Paesi Bassi e i terreni di riproduzione di Spitsbergen ogni primavera e in
autunno e l'intero scenario è semplicemente spettacolare. Li fotografo da più di 20 anni, e ad un certo punto ho esaurito le idee
e ho avuto la sensazione che «tutto» con le oche fosse già fatto. Così quello che ora?!"
NPOTY - 2021 Terje Kolaas con Migrazione invernale -
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CATEGORIA ALTAMENTE RACCOMANDATA ALTRI ANIMALI
Csaba Daróczi| Siamo in rete
Ungheria
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VINCITORE RUNNER CATEGORIA BIANCO E NERO
Roie Galitz | Matrimonio in bianco
Tel Aviv, Israele.
L I B R I
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LA RAGAZZA FUGGITA DA AUSCHWITZ
Recensione di Paola Clerico
Rubrica a cura del blog
"Il COLORE DEI LIBRI"
http://ilcoloredeilibri.blogspot.com/
LA RAGAZZA FUGGITA DA AUSCHWITZ
di Ellie MIDWOOD
Prezzo: 9,90 € | Ebook: 4,99 € |
Pagine: 384 | Genere: Romanzo storico |
Editore: Newton Compton |
Data di pubblicazione: 21 0ttobre 2021
TRAMA
Mala Zimetbaum, numero 19880, e Edward
“Edek” Galiński, numero 531, sono due
prigionieri di Auschwitz-Birkenau. Mala parla sei
lingue ed è una Läuferin, una staffetta, e la sua
condizione le permette di mantenere molti
privilegi, come i suoi bei boccoli biondi e i vestiti,
ma anche di potersi muovere liberamente nel
campo e di ricevere cibo vero, privilegi che
utilizza per aiutare (e salvare) più persone
possibili, riuscendosi a procurare quasi qualsiasi
cosa all’interno del campo, tramite la fervente
attività di contrabbando.
Edek è un prigioniero di guerra, un veterano di
Auschwitz.
Si conoscono per caso nell’anus mundi, e
quell’incontro cambierà la loro vita per sempre,
colorando di speranza tutto l’orrore che li
circonda e spingendoli a cercare di scappare da
tutto quel dolore, promettendosi di fuggire
insieme oppure morire insieme.
Un altro libro sui campi di concentramento e sugli orrori della deportazione. Un’altra
storia vera. Un altro romanzo che emoziona e commuove.
Leggo sempre volentieri i romanzi ambientati in questo contesto storico e anche “La
ragazza fuggita da Auschwitz” non mi ha delusa affatto.
La narrazione incede a tratti lenta e indolente, ma non per questo la lettura procede
nello stesso modo: il romanzo si lascia divorare, mentre gli orrori e la sofferenza
investono il lettore, sedimentando, sporcandolo e lasciandolo sgomento e spossato.
Il tema e l’ambientazione sono simili ad altri romanzi del genere, i soprusi, i
crematori, le violenze sono già stati trattati in altri libri o film, ma ogni volta provo lo
stesso magone, la stessa impotenza, assorbo lo stesso dolore dei personaggi e
soffro con loro.
Lavori forzati, la fabbrica della morte, violenza, disumanizzazione, … contro
comportamento abietto, depravazione, feroce crudeltà e sadico piacere nel torturare
e uccidere, con l’odio ideologico nazista rivolto a chi ha commesso l’unica colpa di
appartenere alla razza o alla nazionalità sbagliate.
Gli internati sono considerati animali inferiori, “feccia subumana”, “feccia ebrea”, e le
SS non perdono l’occasione per insultare la “lingua da maiali” polacca o per
considerare subumani i prigionieri e aspettarsi che si comportino da tali.
Tuttavia, accanto a denutrizione, malattie, sofferenza, fame, dolore, e rassegnata
apatia, spiccano intensi e vigorosi la voglia di resistere e combattere, tanto che si
crea una Resistenza segreta che raccoglie diversi membri di nazionalità e religione
diverse, uniti dalla speranza e dalla voglia di sopravvivere. Fioriscono anche il
mercato nero, il contrabbando, e gli scambi di ogni tipo, con la corruzione lecita di
chi combatte per sfuggire alla morte, alimentati dall’odio e dall’astuzia.
Ciò che dà speranza, inoltre, in un luogo dove il mondo si è capovolto e dove gli
ultimi brandelli di speranza sono stati cancellati a colpi di bastone e le vite
precedenti interrotte e spazzate via, e dove gli animi sono spezzati e umiliati, è la
VITA, in contrasto a tutto il resto, perché c’è comunque spazio per cose belle che
permettono ancora di avere sogni per il futuro: risate, amore, amicizia, lealtà,
coraggio, musica, sorrisi, emozioni.
Inoltre, qualcuno ha conservato umanità nonostante le brutture da cui è circondato,
riuscendo ancora a mantenere un comportamento umano e dimostrare
compassione.
In questa cornice di repulsione, disgusto, odio puro e violento e umiliazione nasce la
storia d’amore tra Mala e Edek, un amore totalizzante che lotta per il suo diritto alla
vita; l’amore tra due giovani che sognano ciò che dovrebbe spettare loro di diritto: la
libertà.
Ellie Midwood è una gran narratrice, non risparmia i particolari più strazianti (pur
evitando dettagli troppo macabri) e catapulta il lettore ad Auschwitz. Anche i
personaggi sono molto ben caratterizzati e si fanno amare senza riserve.
La storia è inventata, come la stessa autrice scrive in una nota alla fine del
romanzo, ma ispirata a fatti accaduti realmente e a personaggi realmente esistiti:
vale la pena leggere anche la nota stessa, perché è molto istruttiva e contiene
anche spunti di approfondimento sull’argomento.
Un romanzo commovente e intenso, che nonostante gli orrori riesce a trasmettere lo
stesso speranza e coraggio e fa riflettere sulla storia, su quanto l’uomo possa
essere brutale e inumano, su quanto possa cadere in basso, senza rimorsi.
Fermiamoci a meditare su ciò che è davvero importante nelle nostre vite, e
ricordiamoci che tutto questo è davvero accaduto.
Lo consiglio vivamente.
DI SONIA LIPPI -
giterrandoblog.blogspot.com
Il genio della chiterra
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Vi racconto una storia tratta i da un bellissimo libro che
vi consiglio di leggere dal titolo:
“Django. Vita e musica di una leggenda zingara.”
Di Michael Dregni edito da EDT editore.
Un libro che mi ha fatto innamorare di questa
meravigliosa anima musicale chiamata Django.
Parigi 26 ottobre 1928 un carrozzone manouche va a
fuoco.
Dentro vi si trova un promettente banjoista appena
rientrato da un suo concerto, felice per aver ricevuto
una grande proposta, quella di entrare a far parte
nell’orchestra jazz di Jach Hylton.
Una banale distrazione e una candela caduta sopra dei
fiori finti, trasformano una serata perfetta in una
tragedia.
In quell’incendio Django Reinhardt perde l’uso
dell’anulare e del mignolo della mano sinistra.
Sia la sua famiglia che i suoi colleghi sono sopraffatti
dalla tristezza, sanno che la sua carriera è finita.
Ma la musica è la sua vita; non può accettare il fatto di
non poter suonare più, così con testardaggine e
impegno, non si arrende alla disabilità.
Per mesi si allena tenacemente, invece di suonare
scale e arpeggi orizzontalmente come di norma, cerca
di ricrearli correndo su e giù per il manico della chitarra
regalatagli dal padre.
Crea nuove forme di accordi, inventa la rullata di scala
cromatica con un solo dito e sorprendendo tutti, non
solo torna a suonare, ma diventa un mito che ancora
oggi continua ad affascinare generazioni di chitarristi.
Jean-Baptiste Reinhardt (1910-1953) detto Django, che
in lingua romanì significa “colui che sa,“ ha reso
possibile l’unione tra musica tradizionale Manouches e
il Jazz americano.
Nel Jazz di quel tempo la chitarra era relegata nella
sessione ritmica, ma Django con le sue improvvisazioni
geniali le dette un ruolo predominante.
Fu lui ad inventare lo Swing-Musette e fu un
originalissimo solista, realizzando una perfetta fusione
tra la musica romanò e lo swing.
Nel 1931 alla Croix du Sud, punto d’incontro per
appassionati del jazz, Django sente suonare il violino di
Stephane Grappelli. Rimane affascinato dal suo stile e
dal suo modo di improvvisare, ma solo nel 1934
riuscirono a formare un orchestra.
Il Quintette du Hot Club de France acquista subito
un'importanza internazionale e attraverso le proprie
registrazioni si impone come il primo importante gruppo
jazz non americano.
Nel 1940, fu proposto a Django di arrangiare i suoi brani
per una big band, era la realizzazione di un sogno.
Django però, non avendo mai studiato musica, non
sapeva ne leggere gli spartiti ne tantomeno scriverli,
chiese quindi al suo clarinettista Gerard Leveque di
fargli da trascrittore, passando nottate intere a
fischiettare e a cantare le parti per tutta la big band.
Poteva sentire in testa tutto il tessuto orchestrale, e
Grappelli ne rimase così colpito da affermare che
“Django sentisse più musica di quella che poteva
essere suonata da un orchestra al completo”. Con la
big band viene registrata in quel periodo una delle
composizioni più famose di Django, “Nuages,” che oggi
è considerato uno standard gipsy jazz.
Stephane diventa il suo punto di riferimento per quanto
riguarda la mondanità e non solo.
Essendo Django completamente analfabeta, chiede a
Stephane di insegnargli a scrivere il suo nome, così da
poter firmare gli autografi.
Nonostante la notorietà, Django rimane sempre uno
spirito libero, in alcune occasioni si reca ai concerti
senza portarsi il suo strumento e suonando qualsiasi
chitarra “d’emergenza” che gli viene messa a
disposizione, in maniera egregia.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Stéphane
e Django si trovano a Londra. Nonostante il clima di
persecuzione razziale nei confronti delle persone di
etnia Rom nella Francia occupata dai nazisti, Django
decide di ritornare a Parigi.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, viene invitato
negli Stati Uniti da Duke Ellington, che lo presenta
come ospite in alcuni dei suoi concerti, l’ultimo dei
quali alla Carnegie Hall di New York.
Tornato in Europa, Django e Stéphane si troveranno
ancora a suonare, sia in Francia sia in Inghilterra, fino
al 1948, trasferendosi poi a Roma nel 1949 per un
lungo ingaggio.
In quegli anni produsse varie incisioni, ne ricordiamo
alcune come“R Vingt-Six”,una corsa mozzafiato tra
continui cambi di armonizzazione; “Del Salle” elegante
e malizioso, un piccolo capolavoro solistico fatto di
raffiche di arpeggi e intervalli esotici; “Babik” che si
può definire il suo primo pezzo bebop.
Dopo la morte del secondo figlio, Django appende la
chitarra al chiodo in segno di lutto, e si dedica alla
pittura immergendocisi con passione.
Riprende a suonare sporadicamente, e durante una
breve turnee in svizzera inizia ad avere forti mal di
testa che lo paralizzano.
Non andrà mai in ospedale a fare accertamenti, la sua
fobia per le iniezioni e il ricordo dei mesi passati in
clinica lo terranno lontano dai medici.
Morirà improvvisamente per un emorragia cerebrale il
16 maggio 1953, lasciando famiglia, amici e colleghi
immersi nello sconforto.
Alcuni anni dopo suo fratello Joseph, anche lui
musicista, sentendo suonare un giovanissimo Bireli
Lagreene, tra le lacrime affermerà che “Django è
risorto”.
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Tre nuove collane musicali per la cura del copro, dell’anima e della mente.
Prodotte dall’associazione Stefano Francia EnjoyArt, Pomodoro Studio
Edizioni Musicale - Always Record e composte dalla compositrice
americana Judie Collins e dal maestro Ciro Vinci.
Dopo il successo di "Dillo Alla Danza vol 2" pubblicato in occasione della Giornata
Mondiale della Danza, l'associazione Stefano Francia EnjoyArt, lancia una nuova
produzione discografica dedicata ai ritmi di tutti gli stili di danza. La collana
discografica, disponibile su ogni digital store (Spotify, Deezer, Amazon Music, Apple
Music… ) sarà composta da vari volumi, ognuno dei quali studierà il ritmo di una
singola danza. I primi 3 volume sono dedicati al ritmo del Cha Cha Cha e Rumba e un
volume dedicato al relax e meditazione.
"Rhythm" è studiata per agevolare l'insegnamento musicale e coreutico di ogni
singolo ballo. In ogni volume amatori e professionisti possono sviluppare la loro
tecnica seguendo il ritmo della danza selezionata…
"Relaxing" invece, è una collana che raccoglie brani composti per accompagnare il
danzatore nell’ attività di rilassamento quotidiano e meditazione composte a 432 Hz.
L’accordo a 432 Hertz (Hz) risuona con le frequenze fondamentali del vivente: battito
cardiaco, replicazione del DNA, sincronizzazione cerebrale, e con la Risonanza di
Schumann e la geometria della creazione.
“Musicoterapia” La musicoterapia è una disciplina basata sull'uso della musica come
strumento educativo, riabilitativo o terapeutico. Basandosi su questa definizione il
Pianista, musicoterapista, compositore, vocal coach, Ciro Vinci, persenta il suo primo
abum sul benssere dell’essere umano intitolandolo “Musicoterapia”, un lavoro
composto da 8 track con lo scopo di educare, riabilitare e accrescere la cultura del
benessere. Diversi studi hanno dimostrato che la musica influenza il cervello ed il
corpo, l’ascolto delle note musicali sono utile per alleviare lo stress, ridurre la
depressione e contrastare stati mentali negativi. Molte ricerche sull’argomento hanno
evidenziato che alcuni dei principali modi in cui la musica può aiutarci a sentirci
meglio, è ridurre l’ansia, migliorando l’ accettazione di sé e facilitando la
comunicazione e le relazioni con gli altri, ascoltare musica è altamente legato
all’aumento di stati di felicità. La musica a questa frequenza è stata utilizzata per
migliaia di anni come musico terapia anche se è decollato nei primi anni 2000.
Le pubblicazioni discografiche prodotte dalla Stefano Francia EnjoyArt sonos state
composte scegliendo melodie musicali, concentrate sui ritmi accompagnati da solo
armonie per sviluppare maggiore concentrazione e apprendere meglio il rimo di un
ballo. Oggi avere una conoscenza di base della musica, e in particolare del ritmo,
aiuta nei movimenti e armonia del copro. Una base ritmica è il giusto supporto per
memorizzare la coreografia, per migliorare la coordinazione con il partner o i partner
e, soprattutto, a muoverci a tempo. Ogni singola Album è utile ai principianti, agli
amatori ai professionisti, ai semplici appassionati di musica, e ai coach. L’utilizzo della
musica nell’apprendimento sviluppa maggiori endorfine rendendolo più facile. Il
progetto è stato realizzato da Fabrizio Silvestri e Bernardo Lafonte. La produzione è
affidata al Pomodoro Studio Edizioni Musicale e la distribuzione, negli store digitali,
alla Always Record. La composizione delle basi musicali ritmiche di latini, standard,
liscio e ballo da sala e caraibici è affidata all’artista Americana Julie Collins, mentre la
musico terapia al maestro Ciro Vinci, Pianista, musicoterapista, compositore, vocal
coach. La sua musica innovativa ed elegante dotata d’intensa espressività è frutto di
una ricerca profonda ed elaborata di contaminazioni sonore che si aprono al new age,
al jazz, alla musica mediterranea e la rendono pienamente compatibile come colonna
sonora d’ immagini surreali. Dal 2019 compone musiche per programmi televisivi in
onda su “La 7” e per spot pubblicitari per reti nazionali e Web. Gli album sono
disponibili su tutti i digital store.
Il mito dei Bronzi di Riace
“Uno dei grandi misteri della storia”
Conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio
Calabria, i Bronzi di Riace sono tra i capolavori scultorei più
significativi dell’arte greca, oltre che un ormai simbolo della città
calabrese. Eppure, nonostante anni di ricerche e studi, sono
ancora molti i misteri che circondano la loro origine e il loro
significato: “Per poterli comprendere immergerli nel loro mito”.
I bronzi di Riace: dal fondale del Mar Ionio al Museo
Archeologico di Reggio Calabria
Un ritrovamento avvenuto il 16 agosto 1972 da un appassionato
subacqueo romano, Stefano Mariottini, durante un’immersione a
circa duecento metri dalla costa e alla profondità di otto metri.
Due statue mantenute in uno straordinario stato di conservazione
sul fondale del Mar Ionio. I Bronzi di Riace rappresentano una
delle testimonianze più significative dell’arte greca classica.
Con un peso di 160 chili e un’altezza di quasi due metri, i Bronzi
di Riace raffigurano due corpi bronzei maschili, dalla barba e i
capelli ricci definiti in ogni forma, il braccio sinistro piegato ed il
destro disteso lungo il fianco. Entrambi indossavano un elmo e la
posizione delle mani e degli arti superiori indica la presenza
originaria di una lancia o una spada e uno scudo. Elementi che
ad oggi non sono presenti, uno dei tanti misteri che circondano il
ritrovamento delle statue. Si può affermare con certezza che i
Bronzi di Riace siano stati realizzati nel V secolo a.C. La
somiglianza fra le due statue avvalora l’ipotesi della loro
realizzazione da parte dello stesso Maestro o di maestranze
diverse ma appartenenti alla stessa bottega, artisti di cui però
ancora non è certa l’identità. È certa invece la provenienza delle
statue da Argo, nel Peloponneso; la prova è l’argilla con cui
furono creati i modelli poi utilizzati per gli stampi in cera in cui
veniva colato il bronzo. Proprio nella tecnica di fusione del
bronzo e nella perfezione della loro fattura si racchiude una delle
più impeccabili prove di abilità arrivate a noi dai tempi antichi.
Il segreto della loro intramontabile perfezione
L’eccezionale bellezza dei corpi è dovuta alla cura dei dettagli
che li caratterizzano. Oltre al bronzo, sono presenti particolari in
argento come i denti della prima statua. Per imitarne il colore
naturale, è stato usato il rame su labbra, capezzoli e ciglia di
entrambe le statue che, si pensa, in origine fossero bionde e
dorate. Ma ciò che più cattura l’attenzione dello spettatore sono
indubbiamente gli occhi dei due Bronzi. La loro sclera è infatti
composta in calcite bianca, le iridi in pasta di vetro, materiali
grazie ai quali i loro sguardi appaiono tutt’oggi vivi.
Nonostante le informazioni che sono in nostro possesso, a oggi
non esistono reali punti fermi nella conoscenza della storia di
quest’ opera. Vista la somiglianza stilistica tra le due statue, è
certo che i due Bronzi siano stati ideati per essere guardati
insieme. Destano molti dubbi le teorie susseguitesi negli anni che
affermano l’appartenenza di altre statue alla stessa opera. Per
diversi studiosi, infatti, vi sarebbero altri Bronzi.
Il fascino dei Bronzi di Riace tra storia e leggenda
Secondo una delle ipotesi più accreditate, recentemente formulata dal
professor Daniele Castrizio, originariamente le statue sarebbero state
cinque. I due Bronzi oggi conservati al Museo Archeologico di Reggio
Calabria farebbero dunque parte di un gruppo statuario che rappresenta
il momento precedente al duello fra Eteocle e Polinice, fratelli di
Antigone, dal Mito dei Sette a Tebe.
Tra mito e realtà, dunque, cercano una risposta le molte domande che
circondano queste opere. Da chi furono realizzate le statue? Chi
rappresentano? Guerrieri, dei, eroi classici. Quante sono veramente? E
perché sono finite nelle acque dello Ionio? Domande che oramai
risuonano come veri e propri misteri. Incognite che contribuiscono a
conferire fascino alla storia di cui i Bronzi di Riace sono protagonisti.
di Sandro Mallamaci
Non è certo il teatro dell'Opera di Roma, né il San Carlo di Torino, né tantomeno la Scala di Milano, ma è solo il teatro comunale Francesco
Cilea di Reggio Calabria.
È il più grande teatro della Calabria, con la classica forma a ferro di cavallo che, con un bellissimo soffitto a cupola e i quattro livelli di palchi, è
una delle più belle e funzionanti strutture teatrali d'Italia, capace di ospitare fino a 1500 spettatori che ogni anno possono assistere alle
rappresentazioni messe in scena dalle più importanti compagnie teatrali. Certo, da quando questo incubo è cominciato questo luogo è rimasto
a lungo chiuso, interdetto a qualunque tipo di manifestazione. Ma sul finire dello scorso anno, grazie alle concessioni delle autorità sanitarie, si
sono riaperte le porte dell'elegante foyer con i suoi raffinati arredi, i grandi lampadari di cristallo e le colonne di marmo scuro. L'occasione è
stata propiziata dall'amministrazione comunale che ha voluto fare un regalo a tutta la cittadinanza organizzando uno spettacolo in due serate
per cercare di alleggerire il pesante clima che si è stati costretti a respirare per quasi due anni. Niente di particolarmente impegnativo, non è
stato certo un evento di quelli che fanno la storia del teatro, ma il festival metropolitano della comicità; è stato proprio quello che ci voleva.
Ovviamente, snobbato dai cultori dell'Opera, è stato invece molto gradito da tutti coloro che avevano una gran voglia di risate. Cancellare per
un paio d'ore i brutti ricordi e i brutti pensieri che ancora oggi riempiono le nostre menti. Essere spensierati, nel vero senso letterale del
termine, è stato lo spirito che ha accomunato gli spettatori che hanno affollato, nei limiti consentiti, la platea e palchi del teatro. Risate a
perdere sulle battute e le freddure degli artisti di fama nazionale che si sono alternati sul palco. Risate liberatorie, quasi a voler scacciare le
negatività accumulate per tanto tempo, che avevano spento il cuore di molti, e ricaricarsi di speranza nell'idea, che ormai si era fatta strada,
della fine del buio, nel miraggio di una luce in fondo al tunnel. Mai immaginando che invece ancora oggi ci saremmo ritrovati in piena
emergenza, amplificata a dismisura dalla macchina impietosa dell'informazione che ci bombarda tutti i giorni con notizie e previsioni nefaste. E
allora, ricordando con piacere quelle serate leggere e spensierate, stringiamo i denti nella certezza di tornare a sorridere, non solo per qualche
ora alle battute di un comico a teatro, ma nella vita di tutti i giorni futuro
di Rita Martinelli
L'Orto Botanico di Roma è un luogo nascosto. C'è una energia, in tanti rivoli, la avverti subito e, più ti inoltri, più lo conosci, più ti regala
sorprese e storie.
Siamo alle falde del Gianicolo - ai tempi di Giulio Cesare era parte della sua immensa tenuta - gli Horti di Cesare - che comprendeva gran
parte di Trastevere e, poi, salendo, tutta l'area dove oggi si dipanano i tornanti di via Dandolo, il santuario siriaco - angolo misterioso e
impraticabile (nel senso che la Soprintendenza Archeologica non consente accesso, in quanto sito ritenuto insicuro - da anni), Villa Sciarra,
il Gianicolo.
E, sempre alle pendici del Gianicolo, c'era la Villa (e il Palatium) che comprendeva anche l'area dove sorge, attualmente, quel gioiello che
è la Farnesina (sede di rappresentanza dell'Accademia dei Lincei). Il Palatium sarà la reggia-residenza di Cleopatra, nel suo breve
soggiorno romano (dal 46 al 44 a.C.). Donna intelligente, colta, poliglotta, dalla conversazione affascinante. Una regina che arriva da
Alessandria d'Egitto... E una Regina dal profondo Nord...
Nella Roma del '600, quando l'attuale Palazzo Corsini era ancora Villa Riario, l'Orto Botanico era il giardino della Villa. E, dal 1660 fino al
1689 (a parte i periodi in cui è in viaggio), il palazzo è la residenza di Cristina di Svezia (Stoccolma 1626 - Roma 1689). Educata secondo
la ferrea disciplina nordica - esercitazioni militari, intemperie e fatiche, come un uomo - è una donna coltissima, parla oltre a latino e greco,
francese, italiano, spagnolo, inglese, tedesco e danese. Poco più che ventenne, discute di filosofia con Cartesio. La sua biblioteca (i codici,
circa 2200 sono oggi raccolti nel Fondo Reginense, uno dei più importanti della Biblioteca Vaticana) conteneva codici, libri di teologia,
filosofia, storia, letteratura e scienze, di medicina (tra cui il Canon Medicinae di Avicenna), opere di scienze naturali, botanica, matematica,
astronomia (Tolomeo, Copernico, Tycho Brahe, G. Galilei), astrologia, manoscritti ebraici, turchi e arabi, numerosi testi sull'ermetismo e di
alchimisti famosi.
Uno spirito libero - Svezia e religione luterana le andavano strette. Rinuncia al trono e cede la corona al cugino Carlo Gustavo. Sceglie
Roma - nella sua posizione, non può che convertirsi al cattolicesimo - e, nel 1655, entra trionfalmente da Porta del Popolo che, per
l'occasione, papa Alessandro VII (Fabio Chigi) fa restaurare dal Bernini (nel lato interno, sull'attico, c'è l'epigrafe in suo onore "Felici
faustoque ingressui", sotto al simbolo araldico dei Chigi, avvolto dai fasci di spighe dei Vasa). Fra i suoi molteplici interessi, c'è anche
quello per la botanica: si dedica ai giardini, fa arrivare piante esotiche - ancora oggi, sono rimasti due platani orientali, piantati da lei, a lato
della Fontana degli 11 Zampilli. E, all'entrata della Serra Corsini (realizzata nel 1800, è la prima serra calda del giardino Corsini) c'è una
vasca da bagno - elegante ed essenziale - di Cristina. Ogni volta che la guardo mi viene in mente Josif Aleksandrovič Brodskij - lui
trascorreva, ogni anno, il mese di novembre a Venezia (affittava un appartamento sempre nel sestiere di Castello) - e a chi gli chiedeva -
ma perché vai a Venezia sempre in novembre - rispondeva: "ma perché è come Greta Garbo al bagno..."
Queen Christina è il titolo del film (1933) in cui Greta Garbo interpreta Cristina di Svezia.
Gli Appennini sono per me
un pezzo meraviglioso del
creato. Alla grande pianura
della regione padana segue
una catena di monti che si
eleva dal basso, per
chiudere verso sud il
continente fra i due mari.
Johann Wolfgang von Goethe.
Con l’anno nuovo si aprono nuove strade, nascono nuovi cammini o semplicemente si decide
di percorrere quelli che qualcuno, spesso molto lontano nel tempo, ha percorso prima di noi
per respirarne l’essenza. Il viaggio a piedi, infatti, risale alle origini dell’uomo e se prima
poteva essere una necessità dovuta allo spostamento, oggi si compie per fare
un’esperienza. Ecco, dunque, una carrellata di cammini indimenticabili da fare durante
l’anno con lo zaino in spalla da soli a passo lento.
Il cammino dei Sanniti: Safinim! Seguendo le tracce rimaste, della confederazione dei
popoli italici guidata dai Sanniti contro Roma nel 91 a.C., questo viaggio di 81 chilometri
da fare in 8 giorni nella regione meno conosciuta d’Italia è riservato a chi sa
suggestionarsi: mura ciclopiche, il Santuario della Nazione, la città del Toro Sacro, la
Pietra-che-viene-avanti, l’antro di Kerres... Al grido di “Safinim!”. Passeggiata in uno dei
tratturi principali che collegavano Abruzzo, Molise e Puglia per il trasferimento stagionale
delle greggi.
TuttoBallo
Il Sentiero del Viandante:Denominato Via Regia, o Via Ducale nei documenti
storici, il tracciato dell’attuale Sentiero del Viandante in Lombardia unisce Lecco alla
Valtellina, percorso di 44 chilometri da fare anche in 4 giorni. L’itinerario, ricco di
vestigia storiche come il Castello di Vezio e il borgo di Corenno Plinio offre anche un
panorama lacustre che infonde calma e invita alla lentezza. Il cammino classico inizia
ad Abbadia Lariana (LC) e consiste in quattro tappe che si inoltrano nell’entroterra in
ripida salita per poi tornare, con conseguenti discese, sulle rive lariane a Lierna,
Varenna, Dervio e, infine, Colico.
Lucania, dalle gravine ai calanchi: Questo cammino percorre per circa 144 chilometri gli
antichi tratturi di una terra meridiana aspra e accogliente, piena di sfumature, contraddizioni e
magia. Qui si incontrano paesi e borghi che, in lontananza appaiono minuti, ma sono il fulcro di
antichi riti collettivi popolari che ancora oggi sopravvivono: le transumanze, le maschere e le
danze che richiamano credenze del passato, i canti e gli strumenti rudimentali che alleviavano
le fatiche quotidiane dei contadini di allora e, ancora oggi, di quelli odierni. Si parte dalle
gravine di Matera, e si attraversano borghi e luoghi storici come il Castello del Malconsiglio,
teatro di congiura contro Ferdinando I e Ferrandina, uno dei principali epicentri del brigantaggio
postunitario, per poi proseguire in direzione di Craco, vero e proprio borgo fantasma.
La Via del Tratturo: 110 chilometri alla scoperta dei tratturi, le grandi strade d’erba, che
collegavano l’Appennino abruzzese e il Tavoliere delle Puglie e venivano percorse dai pastori e
dalle loro greggi per portare gli animali in terre meno fredde.Alfonso D’Aragona nel 1447
rivitalizzò quelle strade su cui si muovevano le pecore e creò una grande rete tratturale, i regi
tratturi, che avevano una larghezza ben definita, sessanta passi napoletani, corrispondenti a
111 metri. Tra questi Pescasseroli – Candela e il Castel di Sangro – Lucera. La riscoperta dei
tratturi, le lunghe vie d’erba che collegavano l’Abruzzo montano con il Tavoliere di Puglia è una
esperienza unica che si articola in un cammino di media/alta difficoltà da fare in 8 giorni. Per
orientarsi si può anche consultare il sito: www.viadeltratturo.it
La Regina Viarum: l’Appia. – Questo cammino ripercorre 119 chilometri da fare in 7 giorni sui
tratturi, le carrarecce e i sentieri tra Basilicata, Campania e Puglia fino ad arrivare a Gravina in
Puglia, ultima statio romana lungo l’Appia per il rifornimento di grano e di vino. Nel mezzo, si
incontra la Lucania, Venosa, luogo simbolo e città che diede ai natali al poeta Quinto Orazio
Flacco e Melfi con il Monte Vulture a fare da guardiano e bussola. Si cammina su sentieri e
tratti di asfalto: qui, sotto i propri piedi, si sente la memoria delle moltitudini che ci sono
passate, la Storia, perché come riporta Orazio: “ci regali la certezza di andare nella giusta
direzione
La Via Lauretana Senese -. Camminare lungo i 115 chilometri che da Siena portano a Cortona
significa percorrere con i propri passi una delle più antiche vie di collegamento e di commercio
della Toscana che, sin da epoca Etrusca, ha segnato la fortuna e lo sviluppo di questo territorio:
la Valdichiana. Si parte da Siena e si cammina per 6 giorni in un cammino di media difficoltà che
passa attraverso le Crete senesi e le sue Biancane di Leonina che conferiscono al paesaggio
l’aspetto lunare conosciuto anticamente come Deserto di Accona, per raggiungere prima Asciano
e poi Serre di Rapolano. Proseguendo, un esteso paesaggio campestre si apre al cammino per
incontraresi. Si incontrano borghi come Montepulciano e Torrita di Siena, e Valiano e le sue
Leopoldine, strutture architettoniche rurali che raccontano un pezzo di storia della Valdichiana.
La via delle vigne di confine -. C’era una volta la cortina di ferro: divideva Gorizia in due. Fu
eretta molti anni prima del muro di Berlino e ha cessato di esistere appena nel 2004. Eppure tra
tutte le zone di confine nell’estremo lembo est d’Italia, quella che va da Gorizia a Cividale è la
più amabile, la più gentile. Terra chiamata "ponka", dove regnano le viti, i ciliegi, i peschi, e le
linee morbide delle colline danno vita a un paesaggio di quiete e grazia. Il cammino sulle orme
della prima e seconda guerra mondiale si sviluppa dal Collio ai Colli Orientali del Friuli Venezia
Giulia tra le ombre di contadini, dei soldati e dei pellegrini in un percorso di media difficoltà che
si percorre in 5 giorni.
C U C I N A
Ivrea la bella che le rossi
torri specchia sognando a la
cerulea Dora nel largo seno,
fósca intorno è l’ombra di re
Arduino.
“Giosuè Carducci”
TuttoBallo
Ed eccoci a Febbraio, il mese della purificazione, dal latino “februare” che significa appunto purificare, porre rimedio agli
errori. Ma è anche il mese del Carnevale e di San Valentino, la festa degli innamorati.
Ricorrenze allegoriche ci riportano in tour per il mondo, saltando da una città all’altra tra colori, maschere e feste. Una
delle città più caratteristiche d’Italia in questo meraviglioso mese è Ivrea, regina del Canavese.
Ricca di storia ed elegante, Ivrea è una cittadina piacevole ed animata, legata con la storia all’Olivetti. Terra di sapori e di
panorami, Ivrea e dintorni è una meta perfetta per chi vuole trascorrere una vacanza rilassante all’insegna della cultura e
della gastronomia.
Eporedia, nome antico della città, ha una storia millenaria che fonda le sue radici su un popolo di origine celtica, i Salassi
nel V sec. a.C.
Intorno all’anno 1000,Re Arduino creò il Regnum Italicum, un primo abbozzo di quello che, nei secoli seguenti, sarebbe
diventato il Regno d’Italia. Nel XIV secolo la città passò in mano ai Savoia.
Circondata da un anfiteatro morenico, fra i più noti d'Europa, formatosi durante le grandi glaciazioni che attraverso il ritiro
del ghiacciaio Balteo diede origine al cordone morenico della Serra d'Ivrea, che si estende per 25 km, ed ai numerosi
bacini idrici che circondano la città, come i cinque laghi d'Ivrea e quelli di Candia Canavese e di Viverone. La città è
bagnata dall’affluente del Po, la Dora Baltea, che attraversa la città creando romantici ed inaspettati scorci per
meravigliose fotografie e quadri naturali.
Innumerevoli sono i luoghi da visitare tra i quali ricordo: il castello d’Ivrea, il vero simbolo della città, poderosa fortezza
fatta costruire da Amedeo VI di Savoia nel 1358, chiamato dal Carducci “il castello dalle rossi torri”; il Municipio e la
piazza Nazionale con il borgo antico; il Duomo di Santa Maria Assunta del I° secolo D.C. in stile romanico/barocco e
neoclassico; la sinagoga; il ponte Vecchio ed il borghetto; l’anfiteatro romano del I° secolo D.C.; la torre di Santo Stefano,
campanile dell’omonima abbazia benedettina dell’ XI secolo in stile romanico canevesano; il teatro Giacosa; il cinema
Giuseppe Boario del 1910, uno dei primi cinema nati in Italia; il MAAM, il museo aperto di architettura moderna; il museo
Civico Pier Alessandro Garda, dove si possono trovare reperti archeologici, etnografici ed artistici di varie epoche e
culture; il laboratorio/museo “TECNOLOGICAMENTE” che rivive la storia delle tecnologie maccanico/elettriche
susseguitesi nell’arco dei secoli.
Ma, come non ci si può dimenticare dell’evento annuale che ha reso famosa la città in tutto il mondo,lo Storico Carnevale
di Ivrea, che affonda le sue radici nel Medio Evo; è un Carnevale i cui riti primari, la Zappata e l’abbruciamento degli
Scarli condotti dagli Abbà sino alla fine del ‘700, sono stati tramandati oralmente fino al 1808, anno in cui appare la prima
trascrizione di una cerimonia ne “I Libri dei Processi Verbali a futura memoria”.
Il Carnevale di Ivrea è un evento unico in cui storia e leggenda si intrecciano per dar vita ad una grande festa civica
popolare dal forte valore simbolico, durante la quale la comunità di Ivrea celebra la propria capacità di
autodeterminazione, ricordando un episodio di affrancamento dalla tirannide di medievale memoria.
Noto ai più per la spettacolare Battaglia delle arance, che si svolge per tre giorni nelle principali piazze cittadine, il
Carnevale eporediese si caratterizza per un complesso cerimoniale che attinge a diverse epoche storiche fino a culminare
nel Corteo Storico. Vera protagonista è la Vezzosa Mugnaia, simbolo di libertà ed eroina della festa sin dalla sua
apparizione nel 1858. Ad accompagnarla il Generale, di origine napoleonica, che guida il brillante Stato Maggiore e, a
seguire, il Sostituto Gran Cancelliere, cerimoniere e rigido custode della tradizione, i giovanissimi Abbà, due per ognuno
dei cinque rioni e il Podestà, rappresentante del potere cittadino. A scandire il Corteo, le note delle pifferate degli amati
Pifferi e Tamburi. Lo spirito dello Storico Carnevale d’Ivrea, perfettamente tramandato dalla canzone del carnevale “Una
volta anticamente”, vive nella rievocazione della sollevazione del popolo contro il Marchese di Monferrato che affamava la
città. Nella leggenda fu il gesto eroico di Violetta, la figlia di un mugnaio, a liberare il popolo dalla tirannia.
TuttoBallo
Ribellatasi allo ius primae noctis imposto dal barone, Violetta
lo uccise con la sua stessa spada e la celebre Battaglia delle
arance rievoca proprio questa rivolta. In segno di
partecipazione alla festa, tutti i cittadini ed i visitatori, a partire dal
Giovedì Grasso, scendono in strada indossando il classico
Berretto Frigio, un cappello rosso a forma di calza che
rappresenta l’adesione ideale alla rivolta e, quindi, l’aspirazione
alla libertà, come fu per i protagonisti della Rivoluzione Francese.
Per gli amanti dello shopping sono numerosi i negozi, le piccole
botteghe che si sviluppano lungo le vie del centro storico e sotto il
Castello, con la possibilità di poter acquistare prodotti tipici locali
legati all’enogastronomia genuina e di qualità. A chi piace la vita
notturna la città riserva molte attrazioni scegliendo uno dei tipici
pub o locali caratteristici del centro storico.
Il Piemonte è una regione in cui si mangia e si beve egregiamente
ed Ivrea è degna della terra che rappresenta. Sfoggia una
selezione di salumi e lardo, e ci si può riempire anche solo
assaggiando antipasti a base di uova o di verdure ripiene.
Interessanti anche i piatti con salse alle acciughe o lingua bollita.
Un ingrediente molto presente è la rustica verza con cui preparare
i caponet, involtini di cavolo ripieni di carne, e la zuppa di cavolo,
la “supa mitonà”, con pane, brodo e formaggio.
Nella cucina eporediese troviamo tante minestre a base di latte,
riso e castagne, e altrettanti brodi di carne o di magro, da
insaporire con formaggio e qualche cucchiaio di vino rosso.
Tra i primi spiccano, i tajarin fatti in casa e i risorti con funghi,
verdure o con zucca gialla. I secondi sono soprattutto a base di
carne, spopolano i bolliti e gli stracotti di selvaggina
accompagnati da vini rossi della zona.
Ricette della tradizione sono la bagna caoda e la tofeja (i
fagioli con le cotiche e il piedino di maiale cotti nel tipico
forno a legna), e le fresse, delle deliziose polpettine di
frattaglie e uvetta avvolte nell’omento di maiale.
Tra i prodotti tipici della zona troviamo i biscotti eporediesi tipici
della città di Ivrea fatti con cacao, nocciole e mandorle,
caratteristici per il loro cuore morbido avvolto da una crosta
croccante. Il fricandò, tipico spezzatino con frattaglie, cipolle,
vino rosso e polenta. I baduin, classici sanguinacci da un gusto
carico e speziato. Il salame di Turgia con carne di vacca, lardo e
pancetta suina, sale, pepe, aglio, vino rosso e spezie. I tomini,
tipici formaggi a pasta filante di latte di capra o vaccino da
mangiare freschi o alla griglia. Le famosissime miasse, rettangoli
croccanti cucinati con farina di mais, uova, olio e acqua da
accompagnare rigorosamente con formaggio piccante e
leggermente speziato (Salignun).
Per gli amanti dei dolci e del cioccolato avranno il piacere di
scoprire la Torta 900, una torta a base di pan di Spagna e
delicata crema al cioccolato, la cui ricetta fu creata nel 1900 dal
pasticciere Ottavio Bertinotti, in onore del nuovo secolo e
brevettata nel 1972. Il marchio “Torta 900” è stato, in seguito,
rilevato dalla famiglia Balla, che è ancora oggi proprietaria
esclusiva del marchio.
Ivrea è nota anche per la produzione di vini come l’Erbaluce
di Caluso ed il Caluso passito, il Carema DOC e il Canavese
DOC. Il primo è un vino bianco secco nato dal vitigno erbaluce in
purezza. Il Carema DOC invece nasce da uve nebbiolo (minimo
85%) e dà origine ad un vino rosso con un affinamento
importante. Il Canavese DOC può essere un vino bianco nato da
uve Erbaluce, rosato o rosso con uve Nebbiolo, Neretto o Freisa
in percentuali differenti.
Ivrea è patrimonio dell’Umanità per l’Unesco, non vi farà
facilmente dimenticare le sue virtù, mentre vi avvierete verso il
viaggio di ritorno, portando con voi una valigia piena di
un’esperienza da favola e la pancia piena.
TuttoBallo
INGREDIENTI PER 4 P
250 grammi di fagioli borlotti
secchi
250 grammi di pancia fresca di
maiale o cotiche
8 verzini
1 cipolla
1 costa di sedano
1 spicchio d’aglio
2 foglie d’alloro
olio evo q.b.
sale q.b.
abbondante pepe macinato
PROCEDIMENTO
Mettere i fagioli in ammollo con abbondante acqua fredda per circa 12 ore. Trascorso questo tempo, scolarli bene. In un tegame di
terracotta (o di acciaio dal fondo spesso) scaldare l’olio e far imbiondire l’aglio pestato in camicia e la cipolla tritata finemente.
Unire il sedano tagliato a dadini, i verzini, la pancia e rosolare per alcuni minuti. Versare i fagioli borlotti e fare insaporire con le
foglie di alloro (se volete potete aggiungere un cucchiaio di concentrato di pomodoro per dare più colore). Ricoprire tutti gli
ingredienti con acqua fredda e mescolare. Coprire il tegame e fare cuocere a fiamma molto bassa per circa 2 ore, avendo cura di
controllare e rimestare di tanto in tanto. Passate le 2 ore, i borlotti dovranno essere morbidi ma non sfatti, e la salsa di cottura
ristretta. Cospargere con una grattugiata di pepe e servirli ben caldi. Potete accompagnare i fagioli grassi con della polenta
fumante.
INGREDIENTI
130g Zucchero semolato
130g Burro
90g Farina 0
80g Fecola di patate
50g Farina di mais tipo Fumetto
3 uova
30g granella di nocciole
30g Uvetta
20g Canditi
1 bicchierino di liquore all’amaretto
1 limone
Marmellata liquida (a piacere)
1 stecca di vaniglia
Mezza bustina di lievito per dolci
PROCEDIMENTO
Separare i tuorli dagli albumi. Montare i tuorli con lo zucchero. Unire la scorza grattugiata di mezzo limone, la polpa di mezza
bacca di vaniglia e l’amaretto.
Incorporare le tre farine setacciate e il lievito, alternando con gli albumi montati a neve. Unire il burro fuso intiepidito, l’uvetta
ammorbidita in acqua tiepida ed i canditi. Amalgamare bene il composto e versarlo in uno stampo a cupola per zuccotto, prima
imburrato e infarinato. Infornare a 180° per 35 minuti circa.
Lasciare raffreddare la torta, sformarla e poi pareggiarla sul fondo. Spennellare la superficie e bordi con la marmellata e spolverare
di granella di nocciole (oppure miele, succo d’arancia e briciole di pan di Spagna tostate).
TuttoBallo
Vi siete mai chiesti perché il pubblico in generale, al bar, è
sempre ed eternamente indeciso sulla scelta di un drink?
Molti si affidano alle tendenze o ai grandi classici, talvolta
rivisitati dalla maestria dei baristi.
Ma cosa spinge realmente verso il desiderio di provare un
drink prodotto da una mano diversa, nell'esecuzione del
famoso nettare D’Ambrosia, che dovrebbe rendere
piacevoli le nostre serate e talvolta, con san Valentino alle
porte, farci innamorare tanto da non saper distinguere tra
l’innamoramento o una semplice sbornia?
La verità è che ci si
spinge a voler soddisfare il nostro
palato per poi sentirci di un po’ “alticci” senza esagerare,
ma esprimendo in pieno la nostra personalità!
È chiaro che alcuni ammettono di non conoscere il mondo
dei cocktails ma, alla fine della fiera , vedere un cliente
sorridente e soddisfatto della sua interpretazione alcolica
fa sì che il professionista cresca.
Il problema del COVID ha dato la possibilità a molti di
reinventarsi e, quindi, di
sperimentare la bevanda
d’asporto; non è stato un completo fallimento, in quanto è
stata offerta la possibilità di gustare la bevanda con calma
a casa, in modo da avere, comunque, un riscontro
sull’indice di gradimento del prodotto.
A mio avviso, è stata una interruzione che ha messo
realmente alla prova le capacità e la fantasia di chi esercita
il mestiere alla barra e rendere maggiormente godibile al
palato il sapore di una nuova bevanda da parte del cliente.
Buon anno e salute!
Instagram: https://www.instagram.com/danilo_pentivolpe/
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Facebook: https://www.facebook.com/pentivolpe.danilo/
Danilo Pentivolpe
di Giovanna Delle Site
Quella dell’ hair stylist può essere definita un’arte: come fa un vero artista, immagina la sua
opera, la struttura e la realizza con le sue mani. E’ cultore dell’estetica, crea bellezza, cavalca
mode e tendenze senza mai perdere di vista l’approccio empatico e psicologico a cui è
chiamato per lo svolgimento ad hoc della sua attività.
Incontro Claudio e Giovanni, creativi ed appassionati hair stylist, per una chiacchierata tanto
leggera e piacevole quanto curiosa per le interessanti riflessioni emerse: il culto della bellezza
estetica in tempo di pandemia e l’importanza della figura del consulente di bellezza nel
contingente ed inaspettato contesto che stiamo vivendo.
TuttoBallo
Claudio, Giovanni, la vostra è stata una delle attività più coinvolte nelle
limitazioni imposte dalla pandemia; domanda apparentemente scontata
e banale ma d’ obbligo: la chiusura è stato indubbiamente il momento
peggiore, qual è stato il vostro stato d’animo prevalente?
L’incertezza, come per molti, e la frustrazione nel non poter operare e
quindi non poter svolgere il nostro lavoro in nessun modo possibile sono
stati gli stati d’animo che per tutto il periodo di chiusura ci hanno
accompagnato. Il lavoro è ciò che permette il sostentamento e il non poter
avere più un ruolo attivo è stato per noi grande fonte di frustrazione.
La riapertura, i nuovi appuntamenti, rivedere le vostre clienti: avete un
aggettivo che descriva quei momenti?
Il primo giorno di riapertura ufficiale sembrava quasi che fosse il primo
giorno di lavoro della nostra vita; non sapendo che cosa aspettarci eravamo
emozionati e agitati al tempo stesso. Ma ci è bastato rivedere lo sguardo
delle nostre clienti per ritrovare il desiderio e la voglia di riprendere in mano
i nostri strumenti del mestiere e ricominciare a vivere la nostra arte. Se
dovessimo scegliere una parola per descrivere quel momento sarebbe
"elettrizzante".
Dal 20 gennaio 2022, alla luce dell’ultimo decreto legislativo, obbligo
del green pass per accedere ai saloni di bellezza : il provvedimento
pare sia stato accolto con sollievo dalla maggior parte dei vostri
colleghi, c’è tuttavia, una piccola parte che ne trova limitante e
difficoltosa la gestione, cosa ne pensate?
Appena abbiamo saputo che anche nel nostro settore sarebbe diventato
obbligatorio richiedere il green pass c’è stato un sospiro di sollievo. Non c'è
nulla di negativo: tutt’altro! Questo servirà a rendere ancora più sicuro e
sereno il vostro ed il nostro momento dal parrucchiere.
Il culto della bellezza: in tempo di pandemia e secondo la vostra
esperienza, è cambiato qualcosa? Se sì, cosa e come?
La pandemia ci ha permesso di comprendere quanto sia importante per
ognuno di noi la cura dell'aspetto estetico; anche se spesso viene
considerato una sfaccettatura “frivola” della vita, in realtà ha dimostrato di
rappresentare una valvola di sfogo per molti di noi: riconquistare la
normalità passa anche attraverso una semplice piega o un trucco
particolare per una serata. Ma sotto altri punti di vista questa paura
costante che ormai viviamo tutti, non ha permesso a molti di tornare dal
parrucchiere con la stessa serenità e disinvoltura di prima: alle volta la
paura di uscire di casa ha preso il sopravvento sul desiderio di recarsi nel
salone di bellezza di fiducia. Siamo in ogni caso ben consapevoli, ora piú
che mai, che con il nostro lavoro e la nostra forma d’arte possiamo aiutare
le persone a stare meglio con se stesse.
L’ascolto, la creatività, il senso estetico sono da sempre e
notoriamente alcuni degli aspetti chiave su cui puntare maggiormente
nella “conquista” delle vostre clienti. Aggiungereste altro come
fondamentale in questo momento?
La sicurezza: è un fattore assolutamente indispensabile in questo momento
sentirsi sicuri all’interno di un salone in termini di osservanza da parte di
noi gestori di tutte le norme previste.
Oltre lo specchio…cosa c’è?
Questa è una domanda che molti clienti ci pongono non appena fanno il loro
ingresso nel salone per la prima volta. Semplicemente a noi piace pensare
che “oltre lo specchio” ci siate voi, i nostri clienti. Oltre lo specchio si arriva
ad una conoscenza più profonda di se stessi, noi riusciamo così a vedervi
in maniera completa e ad offrirvi il meglio della nostra arte.
Ringraziamo Claudio e Giovanni per la bellissima ed interessante
chiacchierata, invitando tutti i nostri amici a passare presso il salone di
bellezza “Oltre lo specchio” ove non mancheranno consigli di bellezza ed
una piacevole chiacchierata con due grandi professionisti...ed artisti dei
capelli.
TuttoBallo
CURA DELLA PELLE
i consigli di Mauri Menga
La routine della cura della pelle prevede l'utilizzo di una serie di prodotti
sapientemente applicati sul viso nel giusto ordine e soprattutto specifici per il proprio
tipo di pelle. Detergente, tonico, crema, contorno occhi, ma qual è la sequenza da
seguire? Per evitare confusione, chiariamo le idee anche e soprattutto a chi si sta
cimentando le prime volte con la cura della pelle
Premesso che la cura della pelle sia assolutamente fondamentale, avere un efficace
risultato della cura della pelle è essenziale per permettere al tuo derma di ottenere un
aspetto radioso e fresco. Vediamo insieme quali sono i passaggi e i prodotti da
utilizzare sia al mattino che alla sera.
TuttoBallo
Molto spesso la confusione di chi si approccia alla alla cura
della pelle nasce dal fatto che i prodotti da utilizzare sono
davvero tanti e non si sa mai da quale cominciare. La routine
per la cura della pelle ha delle regole ben precise che
prevedono l'utilizzo di determinati prodotti in un momento e in
un ordine specifici, che spesso non si conoscono o nella
maggior parte dei casi, vengono confusi.
Il siero va applicato prima o dopo della crema viso? Il
contorno occhi è l'ultimo step? Per rispondere a tutte queste
domande abbiamo stilato un elenco con i vari passaggi.
L'ordine di applicazione delle creme, anche se può sembrare
strano, è davvero fondamentale per riuscire a fare la
differenza: una pelle pulita e idratata correttamente è anche
più luminosa e compatta, e ci fa sentire più belle.
Come regola generale devi considerare ben tre momenti
chiave: detersione, idratazione e protezione, che vanno
eseguite in un ordine preciso, applicando ad ogni step i
prodotti giusti. Ogni momento della routine per la tua
bellezza, va poi personalizzata in base al tipo di pelle, in
modo da scegliere il prodotto più adatto ad ogni esigenza.
Niente panico: per quanto l'ordine da seguire sia rigoroso,
basteranno pochi minuti al giorno per prenderti cura di te e
della tua pelle.
La sera è il momento ideale per dedicare qualche minuto
alla cura della tua pelle. Eliminare tutte le tracce di make up,
detergere a fondo la pelle, idratarla, saranno tutti step
fondamentali da compiere a fine giornata, andando a
rimuovere efficacemente tutte le particelle di sporco che si
saranno accumulate sul viso durante il giorno. Inoltre, i
trattamenti da fare la sera avranno il tempo di agire tutta la
notte per un risultato di pelle bellissima al risveglio.
La prima cosa da fare ogni sera: eliminare il trucco ! Se hai
usato molto trucco sugli occhi, ti consigliamo di utilizzare uno
struccante bifasico che sarà in grado di sciogliere anche il
mascara e l'eyeliner più tenaci. Per il resto del viso, invece,
puoi optare per un'acqua micellare insieme ad un dischetto di
cotone. Nell'ultimo periodo sono in rapida ascesa anche alcuni
struccanti oleosi in grado di rimuovere alla perfezione anche il
trucco waterproof, ed hanno la particolarità di trasformarsi in
latte a contatto con l'acqua, quindi sono ideali per tutti i tipi di
pelle.
Adesso è la volta della detersione che può essere trasformata
anche in una doppia detersione, il detergente oleoso prima e
quello schiumoso dopo , serviranno a rimuovere delicatamente
i residui di trucco oppure lo smog che sporcano la tua pelle,
rendendola soffice e vellutata al tatto
Esfoliare la pelle una o due volte a settimana è utile per
aiutare il ricambio cellulare. Scegli sempre un esfoliante
delicato che, oltre a pulirla, renderà la pelle più luminosa. Se
hai la pelle sensibile, opta per il gommage i granelli sono più
piccoli ed il potere abrasivo è utile per non arrossare la pelle;
ricordiamoci che il gommage lo faremmo anche sulle mucose
labiali.
Dopo gli step nominati in precedenza, arriva il momento di
ristorare la pelle applicando una maschera lenitiva, idratante
o nutriente. Puoi scegliere le maschere in tessuto, facili da
applicare, veloci e che non necessitano di risciacquo. Oppure
l'alternativa sono le maschere in crema: stendi sul viso una
quantità piuttosto abbondante, lascia in posa e poi risciacqua.
TuttoBallo
Dopo gli step nominati in precedenza, arriva il momento di
ristorare la pelle applicando una maschera lenitiva,
idratante o nutriente. Puoi scegliere le maschere in
tessuto, facili da applicare, veloci e che non necessitano di
risciacquo. Oppure l'alternativa sono le maschere in crema:
stendi sul viso una quantità piuttosto abbondante, lascia in
posa e poi risciacqua.
Adesso arriva il momento di gratificare la pelle, sempre
dopo avere esfoliato il tuo derma, applicando una maschera
lenitiva, idratante o nutriente. Puoi scegliere le maschere in
tessuto, al collagene ,elastina, facili da applicare, veloci e
che non necessitano di risciacquo. Oppure l'alternativa
sono le maschere in crema: stendi sul viso una quantità
piuttosto abbondante, lascia in posa e poi risciacqua.
Il tonico è il prodotto più bistrattato: alcune lo amano e
altre lo odiano, ma spesso il suo utilizzo viene
completamente saltato durante la cura della pelle
giornaliera. In realtà, ha una funzione importante, in quanto
riequilibra la pelle restringendo i pori, illuminando il viso o
combattendo le imperfezioni.
Applicare siero è fondamentale anche e soprattutto per
massimizzare gli effetti della crema viso e il siero che
permette alla crema di entrare in profondità. È il primo
step per l'idratazione notturna e non va mai saltato.
Anche il contorno occhi ha il suo step all'interno della
cura della pelle: essendo una zona assolutamente delicata,
dove avviene la maggior mobilità del viso, la sera è il
momento perfetto per idratarla a fondo. Per capire che
quantità di contorno occhi applicare, immagina di erogare
sulla punta delle dita un chicco di riso, sarà la dose
perfetta da picchiettare sotto e al lato di entrambi gli occhi.
Questo dovrebbe essere fatto anche più volte al giorno
anche sopra al trucco. lo stesso prodotto puoi utilizzarlo
anche intorno alla mucosa della labbra.
La crema viso è l'ultimo prodotto da applicare, lo step
finale per chiudere in bellezza la tua routine. Scegli
accuratamente la crema viso in base al tuo tipo di pelle, in
modo che durante la notte possa agire alla perfezione.
Proprio perché è notte, puoi optare per una crema viso
dalla texture ricca, soprattutto se hai la pelle secca, ed
eventualmente risciacquare i residui il mattino seguente.
Ricorda che anche il giorno prima del trucco dovrai usare
una crema idratante prima di iniziare a truccarti, un pò
meno grassa per far sì che il tuo trucco tenga di più.
Anche se ti abbiamo appena detto che la crema viso è
l'ultimo step, c'è ancora qualcosa che puoi fare: idratare le
labbra! Soprattutto se è inverno o se durante il giorno hai
indossato un rossetto, assicurati che sia stato
completamente rimosso e applica una dose generosa di
balsamo labbra oppure un pò di burro di karitè, per nutrire
e idratare le labbra in profondità durante il sonno. Ovvio
dirlo, si può usare anche di giorno, per proteggere la
labbra dal caldo e dal freddo
FISIOTECNICA
E
LOMBALIGA
Silvio Liberto.
Nel corso del tempo, anche la danza classica ha subito cambiamenti, mutamenti per
meglio dire; da quasi vent’anni quest’ arte è stata approfondita in larga scala, da
esperienze e conoscenze, maturando la consapevolezza di uno studio non solamente
tecnico, ma anche estetico ed inconscio, implementando la ricerca anatomica di strumenti
teorici e critici da parte di esperti nel settore medico.
Nasce così la fisiotecnica.
L’utilizzo di attrezzi, di piccole o grandi dimensioni, allo scopo di migliorare le prestazioni
fisiche dei danzatori, una disciplina a cura del corpo, allineare tutti quei segmenti che
compongono il copro umano muscolo-scheletrico, evitando eventuali traumi nel corso
dell’attività, lavorando dalla testa ai piedi, escludendo scompensi muscolari, principale
fonte di dolori articolari e squilibrio posturale.
Nell’impostazione moderna, a differenza della scuola tradizionale, caratterizzata da
irrigidimento in uno schema fondato dall’ uso della forza e sull’ esercizio della prontezza, il
corpo lavora su fasi di rilassamento, scioltezza ed elasticità, puntando e stimolando il
movimento più profondo, lavorando su un equilibrio di propriocezione neurale, attivando il
processo di sinapsi celebrale, memorizzando in modo duraturo il movimento.
Il danzatore non si muove solamente dentro la spazio, ma interagisce con esso,
controllando le leggi fisiche che lo circondando, in primis la gravità. Qualsiasi movimento,
dal più piccolo al più grande, dal più lento al più veloce, dallo scattante al più fluido, si
irradiano energicamente dal centro del corpo all’ esterno, attraverso le linee dei canali
degli arti, con cambi di orientamento anche dei singoli segmenti corporei, liberi di spostarsi
nello spazio. È cosi che il corpo libera tensioni superflue e irrigidimenti muscolari, dalle
zone più superficiali alle più profonde, economizzando sull’ energia.
Nello specifico, oggi, affrontiamo il tema del dolore nell’area lombare.
L’impostazione del tronco nella danza classica come nella vita odierna, è di fondamentale
importanza per evitare traumi e dolori alla schiena, l’attività respiratoria e il lavoro
muscolare generale, incidono molto nella statica delle pose e nella dinamica dei passi; in
sostanza, nella rifinitura stilistica esteriore del corpo e nello stretto rapporto tra il lavoro di
schiena. L’assestamento della colonna vertebralericade sul bacino in relazione
all’equilibrio, orientando il corpo a dar spazio al movimento e non al carico maggiore sugli
arti. Solamente in questo modo otterremo un equilibrio tra muscoli, tendini e forze
contrarie.
Il tronco esige l’ allungamento del bacino nella sua naturale forma, l’inclinazione in avanti e
la riduzione delle curve vertebrali, consentendo la verticalizzazione del bacino all’ altezza
della vita, diminuendo la lordosi lombare, la classica curvatura della parte bassa della
colonna vertebrale che esteticamente è visibilmente accentuata interrompendo la naturale
fisiologia. Questa eccessiva curvatura dà vita a dolori spesso insopportabili, impossibilità
a stare seduti o in piedi per lungo tempo, formicolii e perdita di sensibilità degli arti, disturbi
dell’ equilibrio e, in alcuni casi, anche vertigini.
Trattare la lordosi con la fisiotecnica è uno dei migliori rimedi naturali, da esercitarsi con
costanza, determinazione e con stretching dolce facendosi aiutare da un esperto; in tal
modo è assolutamente risolvibile. Oggi, fortunatamente, con la presenza di attrezzature
all’avanguardia e sempre in via di aggiornamento, possiamo intervenire nello specifico, sia
per i più piccoli che per i più grandi, eliminando qualsiasi problema alla radice. La
fisiodanza è consigliabile anche per i più adulti, lo studio della danza classica assemblata
alla fisiotecnica è aperta a tutti, ma sempre in presenza di un esperto, per evitare di
aggravare stati muscolari già cronici.
TuttoBallo20
ATTACAMENTO E SOCIAL
di Giovanni Battista Gangemi
Bowlby aveva identificato quattro stili di attaccamento.In primis lo stile sicuro, che
consente di creare relazioni efficaci e durature, e poi tre stili disfunzionali: quello insicuro
–evitante, insicuro–ansioso, e quello disordinato–disorganizzato. Secondo Bowlby,
l’attaccamento non si sviluppa esclusivamente per necessità di nutrimento e per
l’allattamento, ma si stabilisce sulla base e attraverso la presenza di alcuni altri elementi
fondamentali: il contatto ed il calore fisico, le coccole, le attenzioni e le rassicurazioni di cui
il piccolo ha bisogno, e che ricerca per istinto.
Ma cosa succede se applichiamo le teorie dell’attaccamento alle nuove relazione
online?
E in effetti, se le analizziamo con attenzione, ritroviamo molte delle problematiche che si
scorgono in tante relazioni che passano attraverso i nuovi media.
Con la comunicazione che passa principalmente per il digitale, che nella maggior parte
dei casi elimina la dimensione corporea, i soggetti non sono in grado di utilizzare
efficacemente i MOI ( Modelli Operativi Interni), sviluppati in passato per dare un senso
alle relazioni. I MOI sono “Rappresentazioni mentali, costruite dall'individuo come strutture
mentali che contengono le diverse configurazioni (spaziale, temporale, causale) dei
fenomeni del mondo, e che hanno la funzione di veicolare la percezione e
l'interpretazione degli eventi, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli
accadimenti della propria vita relazionale” (Albanese, 2009).
Infatti la comunicazione digitale priva i soggetti di un importante punto di riferimento nel
processo di apprendimento e comprensione delle emozioni proprie ed altrui, favorendo il
cosiddetto “ analfabetismo emotivo” . Questa espressione indica sia la mancanza di
consapevolezza , quindi un mancato controllo delle proprie emozioni, sia la mancanza di
capire le ragioni per le quali si provano delle certe emozioni, sia l’incapacità di relazionarsi
con le emozioni altrui. Questa mancanza di corporeità va a toccare gli stili di
attaccamento identificatida Bowlby. Di conseguenza le relazioni che vediamo nascere sui
media o social nella maggior parte dei casi appartengono a :
lo stile insicuro–evitante, che porta a prevedere che la relazione avrà come unica
soluzione l’abbandono o il rifiuto;
lo stile insicuro–ambivalente, dove il soggetto tende ad interpretare i segnali dell’altro
contemporaneamente in senso sia positivo che negativo;
lo stile disorientato–disorganizzato dove il soggetto è caratterizzato da forti sbalzi
emotivi e da una relazione intermittente.
Pensiero del mese
DI FRANCESCA MEUCCI - DIRETTRICE DI SOLOMENTE
Siamo nel pieno dell'inverno, i primi giorni di febbraio
seguono quelli che tradizionalmente sono considerati i più
freddi dell'anno e vengono chiamati "i giorni della merla". Lo
sapete che esiste un fiore che sboccia a febbraio? È il
bucaneve, il cui nome, dall'etimologia greca, deriva dalle
parole: gala (latte), anthos (fiore) e nivalis (nella neve).
Viene chiamato anche stella del mattino, in quanto spesso è
il primo fiore a sbocciare anche quando la neve ricopre
ancora il sottobosco. Un tempo era ritenuto di cattivo
auspicio ma nel linguaggio dei fiori significa tutt'altro: vita e
speranza! Il fiore del bucaneve infatti viene associato al
passaggio dall'oscurità invernale alla serenità primaverile
diventando un vero e proprio simbolo di speranza per il
futuro e di purezza. Mai come quest'anno c'è bisogno di
fiducia e ottimismo, di credere davvero che domani andrà
meglio, che usciremo tutti da un periodo buio e torneremo,
citando l'immenso Dante Alighieri, "a riveder le stelle". Se un
fiore riesce a nascere sotto la neve, nulla è impossibile.
Anzi, io credo fermamente che "nulla è impossibile, finché
non lo fai". Con la speranza che ognuno di noi possa
superare questo periodo nel migliore dei modi e che le
nostre aspettative non rimangano mere illusioni, vi invio
virtualmente piantine di bucaneve, perché possiate fiorire
insieme a loro.
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MAHMOOD & Blanco
vincitori Festival di Sanremo 2022
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