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TuttoBallo20 Febbraio 2022.EnjoyArt

Carissimi Amici, eccoci giunti alla pubblicazione del numero di febbraio…il mese del Carnevale, delle frappe e castagnole, della buona cucina, ma ricco anche di tanti nuovi appuntamenti d’Arte, con molte novità ed interviste a nuovi personaggi, oramai nostri amici, che vogliamo presentarvi con i loro consigli e le loro idee, e ad amici “di vecchia data” per voi tutti, che già conoscete e che ci allieteranno con le loro riflessioni. Purtroppo il mese inizia con la scomparsa di una grandissima Artista del panorama cinematografico italiano, Monica Vitti, a cui dedichiamo questo numero, poiché ci ha lasciato, insieme a tanti altri Artisti scomparsi negli ultimi tempi, un grande patrimonio che, speriamo, noi amici dell’Arte, riusciremo a custodire come un grande tesoro! Allora, siete pronti con le sorprese di febbraio? E viaaa… scaricate gratuitamente il numero della Rivista Tuttoballo, ricordando sempre il nostro motto: Tuttoballo, la Rivista che ti informa e ti tiene in forma! Buona lettura a tutti!


Carissimi Amici, eccoci giunti alla pubblicazione del numero di febbraio…il mese del Carnevale, delle frappe e castagnole, della buona cucina, ma ricco anche di tanti nuovi appuntamenti d’Arte, con molte novità ed interviste a nuovi personaggi, oramai nostri amici, che vogliamo presentarvi con i loro consigli e le loro idee, e ad amici “di vecchia data” per voi tutti, che già conoscete e che ci allieteranno con le loro riflessioni.
Purtroppo il mese inizia con la scomparsa di una grandissima Artista del panorama cinematografico italiano, Monica Vitti, a cui dedichiamo questo numero, poiché ci ha lasciato, insieme a tanti altri Artisti scomparsi negli ultimi tempi, un grande patrimonio che, speriamo, noi amici dell’Arte, riusciremo a custodire come un grande tesoro!
Allora, siete pronti con le sorprese di febbraio?
E viaaa… scaricate gratuitamente il numero della Rivista Tuttoballo, ricordando sempre il nostro motto: Tuttoballo, la Rivista che ti informa e ti tiene in forma!
Buona lettura a tutti!

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25


TuttoBallo20 - Febbraio 2022 - n. 25

Copertina: Casanova Opera Pop - foto di Jarno - Gian Marco Schiaretti

e Angelica Cinquantini.

TuttoBallo20 - Febbraio 2022 - n. 25

Editore "Stefano Francia" EnjoyArt

Direttore - Fabrizio Silvestri

Vice direttore - Eugenia Galimi

Segretaria di redazione - Pina delle Site

Redazione - Marina Fabriani Querzè

COLLABORATORI: Maria Luisa Bossone, Antonio Desiderio, Francesco

Fileccia, David Bilancia, Giovanni Fenu, Mauri Menga, Sandro Mallamaci,

Walter Garibaldi, David Iori, Giovanni Battista Gangemi Guerrera, Lara

Gatto, Lucia Martinelli, Patrizia Mior, Ivan Cribiú, Danilo Pentivolpe,

Alessia Pentivolpe, Carlo De Palma, Rita Martinelli, Assia Karaguiozova,

Federico Vassile, Elza De Paola, Giovanna Delle Site, Jupiter, Francesca

Meucci, Alberto Ventimiglia.

Fotografi: Luca Bartolo, Elena Ghini, Cosimo Mirco Magliocca

Photographe Paris, Monica Irma Ricci, Luca Valletta, Raul Duran,

DsPhopto, Raul, Alessio Buccafusca, Alessandro Canestrelli, Alessandro

Risuleo.

Le foto concesse da uffici stampa e/o scaricate dalle pagine social dei

protagonisti.

Le immagini e le fotografie qui presentate, nel rispetto del diritto d’autore,

vengono riprodotte per finalità di critica e discussione ai sensi degli artt. 65

comma 2 e 70 comma 1bis della Lg. 633/1941.

É vietata la copia e la riproduzione dei contenuti e immagini in qualsiasi forma.

É vietata la redistribuzione e la pubblicazione dei contenuti e immagini non autorizzata espressamente dal

direttore. I collaboratori cedono all'editore i loro elaborati a titolo gratuito.

Testata giornalistica non registrata di proprietà: ©ASS: Stefano Francia EnjoyArt

per contattare la redazione Tuttoballo20@gmail.com

Contro Copertina

Carissimi lettori, febbraio… il mese del carnevale,

il mese di manifestazioni artistiche e sportive di

una certa rilevanza: Il Festival di Sanremo ha

decretato vincitori Mahmood e Blanco davanti a

Elisa e Gianni Morandi; a Pechino 2022,

Francesca Lollobrigida e la staffetta mista dello

short track aprono il medagliere italiano, il 14

febbraio San Valentino e... molte le iniziative e

attività artistiche in programma (teatro, danza,

mostre)…

La copertina è dedicata proprio ad uno di questi

eventi: CASANOVA OPERA POP scritta dal grande

Red Canzian. Abbiamo scelto quest'opera perché

nasce dalla creatività di tanti artigiani dell'arte a

partire dai figli e moglie di Red. Comunione di

intenti, obiettivi comuni, nascono sempre dall'idea

maturata all'interno di un singolo e poi condivisa

con gli altri artigiani.

La contro copertina invece, d'obbligo è per i

vincitori della 72 edizione del Festival di Sanremo

Mahmood e Blanco.

Un festival di trionfi, di inclusioni, di brani originale

pronti a formare playlist adatte a tutta la famiglia.

Questa è l'edizione più seguita del festival dal

1997 quando vinsero a sorpresa i Jalisse... Infine,

il ricordo della grande attrice Monica Vitti...

© F R E E P R E S S O N L I N E r i p r o d u z i o n e r i s e r v a t a - D I R E T T A D A F A B R I Z I O S I L V E S T R I - S E G R E T E R I A D I R E D A Z I O N E P I N A D E L L E S I T E - T U T T O B A L L O 2 0 @ G M A I L . C O M - e d i z i o n e " S t e f a n o F r a n c i a E n j o y A r t "


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Massimo Polo

Direzione Artistica


TuttoBallo


TuttoBallo

GALA

CARLA FRACCI

Adieu… Au revoir

A un anno dalla scomparsa, il Teatro Carcano ospita una serata commemorativa per ricordare Carla Fracci, una delle più

celebrate ballerine del ventesimo secolo, artista di immenso talento, nonché donna piena di grazia e concretezza.

L’entourage e il marito Beppe Menegatti, che ha condiviso con lei più di cinquant’anni di vita artistica e privata, saranno

supporto e fonte di ispirazione per lo spettacolo.

Il Gala ripercorrerà la carriera di Carla Fracci, un percorso di tenacia, duro lavoro e inestinguibile passione che porterà

l’esile figlia di un tranviere milanese a calcare i palcoscenici più prestigiosi del mondo e ad essere celebrata come stella di

prima grandezza.

La serata offrirà brani scelti dai balletti di repertorio di cui Carla Fracci è stata immortale protagonista e sarà illuminata dalla

presenza di étoiles di prim’ordine, provenienti dai più blasonati teatri internazionali quali il Teatro dell’Opera di Budapest, il

Teatro alla Scala di Milano, l’American Ballet Theatre di New York, il Teatro dell’Opera di Vienna, il Teatro dell’Opera di

Stara Zagora (Bulgaria), il Teatro dell’Opera di Brno.

Sul palcoscenico anche gli allievi della Scuola Danza Accademia e del Centro Studi Corografici Teatro Carcano diretto dal

maestro Aldo Masella.

Prevista anche la presenza della Voce narrate dell'attore Walter Nudo.

Management & Direzione artistica Antonio Desiderio

Assistente Direzione artistica e MaÎtre de Ballet Sabrina Bosco. Regia e supervisione Beppe Menegatti

Acquista il tuo biglietto per il

GALA CARLA FRACCI

al Teatro Carcano il 04 Marzo 2022

Biglietti on line su:

www.teatrocarcano.com

www.happyticket.it

www.vivaticket.it


E D I T O R I A L E

Carissimi amici e lettori, eccoci arrivati a febbraio … il mese del carnevale, il mese di manifestazioni artistiche di una certa

rilevanza: Sanremo ha decretato Mahmood e Blanco vincitori davanti a Elisa e Gianni Morandi; Pechino 2022, in onda su

Rai2, Francesca Lollobrigida e la staffetta mista dello short track aprono il medagliere italiano, San Valentino e... molte le

iniziative e attività artistiche in programma (teatro, danza, mostre) …

Oltre a tutto ciò, confrontandoci, noi artigiani dell’arte abbiamo fatto una riflessione che, seppur scontata, non è poi così

banale.

É, infatti, questo, il tempo dei cambiamenti, il tempo della conclusione di un momento storico importante, che sta

destabilizzando, per alcuni versi, ma ristabilizzando per altri ancora, la vita di una generazione, della nostra società. Di

un’epoca: la pandemia, con tutto ciò che ne consegue, i cambiamenti politici, l’elezione del Presidente della Repubblica che,

seppur la stessa persona, inizierà un nuovo mandato, con nuove problematiche da affrontare ed una nuova parentesi storica

da costruire…tutto ciò che sta cambiando oggi, sarà storia da studiare, giudicare, criticare, un domani. Solo una cosa, però,

non cambia mai: la potenza dell’arte.

Essa si adegua agli stati d’animo, alla storia, alla vita, alle esigenze correnti, ma la sua essenza è sempre uguale a sé

stessa, perché non cambia, come non cambia il suo valore, la sua forza ed il suo sostegno per ciascuno di noi.

Si legge un po' ovunque che un adolescente su 4 soffre di depressione per via degli effetti sociali, oltre che sanitari,

economici etc., causati dalla pandemia; e chi o cosa può aiutarli ad uscire da questo stato di non-vita? Certamente l’arte. Sia

essa la danza, la musica, la fotografia, la scrittura… Ecco quindi anche il senso della nostra rivista: oltre ad essere

informazione, curiosità, conoscenza, vogliamo che essa diventi per noi tutti anche un momento di condivisione! E allora

rinnoviamo sempre più forte l’invito a voi tutti di interagire con noi, contattandoci e scrivendoci per darci idee, per consigliarci

miglioramenti, per esprimere anche perplessità su ciò che vi proponiamo, perché anche voi, insomma, diveniate amici della

grande famiglia degli artigiani dell’arte.

Il nostro regalo, dunque è quello di comunicarvi il nostro indirizzo e-mail tuttoballo20@gmail.com, che diventerà anche il

regalo che voi farete a noi creando un forum, uno spazio di scambio di idee, di emozioni, di gioie e di dolori inespressi.

Augurandovi una buona lettura di articoli bellissimi che la rivista vi propone anche questo mese, vi aspettiamo numerosi con

le vostre e-mail.


MONICA VITTI

IL CINEMA ITALIANO PERDE UN’ALTRA GRANDE ATTRICE


di Walter Garibaldi

Monica Vitti è “per sempre” andata via.

In realtà, il suo definitivo abbandono dalle scene pubbliche fu nel 2002 in

seguito al progredire di una lenta ma, inesorabile, malattia.

È stato confortante saperla ancora tra di noi e quando si parla di

immensi professionisti dello spettacolo è certo che continuino a rimanere

attraverso il loro operato.

Così, la “prima attrice italiana dalla divertente verve comica” come viene

erroneamente definita (il mito Anna Magnani, ad esempio, dimostrò la

sua innegabile versatilità in molteplici commedie) lascia una traccia

indelebile che, attraverso molti lavori, possiamo ancora visionare,

valutare, ed ammirare con immutato piacere.

Purtroppo, si parla troppo attraverso slogan, senza andare dritti alla

sostanza ed ecco che bisogna obbligatoriamente trovare termini di

paragone scomodi.

Non c’è alcuna classifica da fare, si nasce, chi prima e chi dopo e si

dimostra la propria arte ed il proprio essere artisti.

Monica Vitti l’ha ampiamente attestato; tra i film meno ricordati

dell’attrice, “Teresa la ladra” regia di Carlo Di Palma e “La Tosca”

per la regia di Luigi Magni, entrambi del 1973.

Nel primo la Vitti, versione mora, interpreta Teresa Numa, donna del

basso popolo, nata ad Anzio nella povertà più atroce. La storia si delinea

impiegando uno sfondo storico devastante. Senza fronzoli, si addentra

dentro molteplici tematiche sociali, presentando con grande coraggio e

verità, uno spaccato quasi orrorifico dei tempi. Su questo tessuto, Monica

Vitti alterna profonda drammaticità ad una magistrale dolcezza,

compiendo un perfetto percorso evolutivo del personaggio assegnatole.

Bistrattato ingiustamente dai critici quando uscì, è da recuperare

assolutamente.

“La Tosca” per quanto vide il Maestro Luigi Magni uscirne spazientito, in

seguito ai numerosi scontri con la prima attrice, è adorabile commedia

musicale su composizioni di Armando Trovajoli. Il brano “Mi madre è

morta tisica” eseguito dalla Vitti in coppia con Gigi Proietti è quanto di

meglio la tecnica possa raggiungere, tra virtuosismi e sottointesi, legati

ad una espressività e padronanza dei gesti superlativa.

Contemporaneamente al percorso cinematografico, la musa di Antonioni

ha continuato a calcare instancabilmente i palcoscenici, esibendosi nelle

grandi città, così come in misconosciuti comuni. Sul mestiere dell’attore

affermava: “Non ho fatto le cose per il successo. Questo bisogno che ho

di esprimermi, di rappresentare vite che non sono la mia mi fa andare

avanti. Credo che se uno ce la mette tutta, in qualunque campo, ce la fa”.

Il rispetto che le si deve è eterno.


di Giovanni Fenu

Sanremo, il Festival dei fiori, delle canzoni... e degli scandali: eh sì, perché la lunga storia della kermesse

sanremese non è condita soltanto di apprezzate o meno interpretazioni canore ma anche, e forse soprattutto, di

scandali, polemiche e, alcune volte, persino tragedie sfiorate o, come nel caso di Tenco, purtroppo concretizzatesi.

Anche perché diciamocelo, chi di noi guarderebbe il Festival se tutto andasse liscio, se tutto fosse, come si suol dire,

“rose e fiori”? Quindi confessiamolo: in fin dei conti ogni anno ci posizioniamo lì davanti allo schermo anche per poter

assistere, magari, a qualche fuori programma, ci sintonizziamo su “mamma Rai” in qualsiasi orario diurno, non

perdiamo nemmeno un programma che parli del Festival, per tenere le orecchie ben protese, pronti a captare il gossip

circolante intorno alla gara canora. Una “perversa” voglia di scandalo e quant’altro “figlia” di... Sanremo; sin dai suoi

albori, infatti, è stata proprio la competizione canora a “regalarci” avvenimenti più o meno scandalosi, rivalità e gelosie

tra gli artisti in gara e tutto ciò che fa del Festival un avvenimento che travalica il semplice ambito musicale,

coinvolgendo anche la sfera più “gossippara”. Ma procediamo con ordine e vediamo alcuni degli avvenimenti clou che

hanno interessato il Festival sin dai suoi albori.

Il primo scandalo sanremese ci viene offerto già dalla seconda edizione quando il Salone delle feste del

Casinò è, suo malgrado, teatro di un’accesa zuffa tra Gino Latilla e il maestro Cinico Angelini, frutto della

rivalità dei due, entrambi innamorati di Nilla Pizzi. Trascorrono sette anni e nel 1959 è invece Jula De Palma a

suscitare scandalo, nell’Italia moralista e bacchettona del tempo, a causa di un look e un’esibizione ritenuti troppo

“sensuali” dai dirigenti Rai e da diversi giornali; la sua Tua ottiene un ottimo quarto posto finale, ma viene ben presto

censurata per via di quel rapporto fisico tra un uomo e una donna di cui parla, non troppo velatamente, il testo. Per la

De Palma, invece, quell’esibizione è un macigno sulla propria carriera e sulla sua vita privata: l’artista, infatti, nei giorni

successivi riceve migliaia di lettere di protesta cariche di offese, subendo persino un’ aggressione per strada. Gli anni

Sessanta si aprono confermando la vena “polemica” del Festival: nel 1961 un giovanissimo Adriano Celentano, già il

“molleggiato”, si presenta in gara con 24mila baci – che giungerà seconda – lo scandalo è presto servito: l’artista

milanese, infatti, pensa bene di esibirsi dando le spalle al pubblico che ovviamente non apprezza. Sempre in

quell’edizione, una giovanissima Mina è in gara con Io amo tu ami quando, siamo nella seconda serata di gara,

prende una “stecca” clamorosa che la induce ad abbandonare il palco prima di terminare l’esibizione; per la giovane

cantante è un dramma: scossa dal fatto e dalle polemiche che la travolgono, si ripromette di non prendere più parte al

Festival... parola mantenuta.


Nel 1964 Bobby Solo si esibisce con la

sua Una lacrima sul viso con gli occhi

truccati, il gossip non si è ancora

scatenato che subito un altro scandalo lo

travolge: l’artista, infatti, pare si sia esibito

in playback per una, si dice, falsa laringite;

lo stesso Solo ha di recente confessato

che non era malato, ma che già dalla

prima serata aveva – su idea di Vincenzo

Micocci, direttore artistico della Ricordi –

cantato in playback. Lo stratagemma non

evita al cantante la squalifica che, tuttavia,

“promuove” ancor di più il brano che nelle

settimane successive vende ben 1 milione e

800mila copie. Protagonista dell’edizione del

1966, condotta da Mike Bongiorno, è Carla

Maria Puccini, che insieme a Paola Penni

affianca nella conduzione il presentatore,

la quale pensa bene di fingere uno

svenimento sul palco che tuttavia non

perturba assolutamente il “buon” Mike

che imperterrito prosegue come se nulla

fosse. Tempo dopo si verrà a sapere che a

organizzare la “gag” del finto svenimento è

stato Renzo Arbore, uno degli autori di

quell’edizione. L’anno successivo, con alla

guida ancora Bongiorno, Sanremo vive la sua

pagina più triste e fosca: la morte irrompe al

Festival; Luigi Tenco, giovane cantautore

ligure, viene infatti ritrovato morto nella sua

stanza d’albergo; una tragica fine sulla quale

si dibatte ancora oggi con molti interrogativi

circa le vere motivazioni che si celano dietro

a quel gesto estremo ed alcuni pronti a

sostenere la tesi dell’omicidio. Fatto sta che

una cappa oscura avvolge la kermesse; alla

base del gesto del cantante – si afferma in

quei giorni – pare vi sia l’eliminazione della

sua – presentata in coppia con Dalidà – Ciao amore, ciao; è la prima serata e per l’artista il colpo è troppo duro: in un bigliettino ritrovato

nella stanza, accanto al corpo, ha lasciato scritto: «Faccio questo come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le

rose – cantata da Orietta Berti, nda – in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione». La gara è appena cominciata, lo

scandalo ulteriore è che nessuno ritiene opportuno chiuderla lì: insomma, the show must go on, e così Mike Bongiorno, dopo aver dato

sommariamente la notizia al pubblico, prosegue come se nulla fosse accaduto. Gli anni Settanta si distinguono soprattutto per il

boicottaggio delle grandi case discografiche in occasione dell’edizione del 1975; gli Ottanta, invece, come vedremo, riservano nuova

“linfa” vitale al gossip sanremese. È il 1980 quando un giovane, vulcanico Roberto Benigni affianca Claudio Cecchetto nella conduzione;

con loro vi è anche l’attrice Olimpia Carlisi. L’istrionico Roberto non manca di esibirsi in una delle sue “toscanate” e così, dopo una lunga

dichiarazione d’amore si fionda sul volto della Carlisi (all’epoca sua compagna, nda) e la bacia, in un tête-à-tête destinato a durare ben

45 secondi. Nel 1982 altro violento scandalo: il “reuccio” Claudio Villa con la sua Facciamo la pace, viene eliminato alla prima

serata; un verdetto che scatena le ire del grande cantante romano il quale chiede a Ravera, “patron” del Festival, in un acceso e

“drammatico” confronto, di riammettere la sua canzone tra i “big” malgrado la rosa fosse già chiusa. Una richiesta non

esaudita; tuttavia, su suggerimento di Claudio Cecchetto, Ravera decide di far partecipare Villa alla categoria “giovani”: la sua

enorme popolarità, pensa, lo farà vincere: ma le cose non vanno come sperato, con il “reuccio” che viene eliminato e che,

furioso, chiede di conoscere l’ubicazione e la composizione delle giurie che lo avevano escluso; la vicenda si allarga,

coinvolgendo anche il comune di Sanremo – responsabile, secondo Ravera, della gestione delle giurie – alla fine Villa, che aveva

richiesto la sospensione del Festival, accetta il verdetto: Sanremo può proseguire; Michele Zarrillo, sorteggiato tra gli esclusi della gara

per potersi esibire – non competendo – durante la serata finale, come chiesto da Villa, non si presenta sul palco per volere delle case

discografiche, non intenzionate a dare ulteriore visibilità all’accaduto. Nel 1983 Vasco Rossi, in gara con Vita spericolata, pensa bene di

abbandonare il palco in anticipo svelando così al pubblico in sala e a casa la “sacrilega” verità: gli artisti in gara si esibiscono in playback.


Nel 1986 la grintosa Loredana Bertè fa scandalo cantando Re –

scritta da Mango – indossando un finto pancione; è il 13 febbraio,

serata inaugurale del Festival, e la cantante crea scandalo con quella

sua trovata che spiazza tutti, giornalisti e organizzatori. Così

successivamente avrebbe spiegato quel suo gesto: «Era

un’ammissione di verità e personalità della donna nella sua dimensione

più vera. Forse la gente crede che la donna incinta debba per forza

soffrire in un letto e aspettare il lieto evento con un medico e una

levatrice a fianco, invece che ballare, cantare, ed essere se stessa

soprattutto in quei momenti così importanti per lei». Ma è, quella,

un’Italia che seppur non più “bacchettona”, ancora non è pronta a un

gesto simile e così la polemica è servita. Nel 1987 ancora note

funeste: è la sera della finalissima, il 7 febbraio, quando un

distrutto Pippo Baudo interrompe la gara per dare al pubblico in

sala e a casa la notizia della morte di Claudio Villa; subito un lancio

straripante di fiori verso il palco per ricordare il grande cantante

romano, più volte protagonista a Sanremo e che, incredibilmente, si

congeda dalla vita e dal suo pubblico proprio il giorno della finalissima.

Arrivano gli anni Novanta e gli scandali non si placano; un sarcastico

film di Pier Francesco Pingitore del 1992, Gole ruggenti, dà una sua

personalissima interpretazione del Festival, tra raccomandazioni,

pressioni dei discografici, finti allarmi bomba e chi più ne ha più ne

metta, non andando, a pensarci bene, troppo lontano dalla realtà.

Sempre in quel 1992, ci pensa Pupo a creare scandalo; dopo essersi

visto eliminare con il suo brano La mia preghiera, l’artista fa una

rivelazione scioccante, affermando di essersi comprato il quarto posto

all’edizione del 1984 – con la sua Un amore grande – acquistando

schedine del Totip per un totale di 75 milioni di Lire. È un Sanremo,

quell’anno, che non smette di far parlare di sé: nella serata inaugurale,

infatti, il palco dell’Ariston vede l’intrusione di “cavallo pazzo” – al

secolo Mario Appignani – ultrà romanista, noto disturbatore “seriale” di

molte trasmissioni e partite di calcio, il quale riuscendo a eludere la

sorveglianza, si fionda da Pippo Baudo e grida: «Questo festival è

truccato e lo vince Fausto Leali», prima di essere braccato dalla

sicurezza. Un’azione che lo stesso Appignani avrebbe poi detto essere

stata organizzata con lo stesso Baudo (la mattina “cavallo pazzo”

aveva avvisato il conduttore che sarebbe salito sul palco, nda), ma la

cosa viene smentita. Più probabile la non “genuinità” di quanto

avvenuto nel 1995, in un Festival da record per ascolti, ancora a guida

Baudo, un Baudo che diviene “SuperPippo” “salvando” un uomo – Pino

Pagano – che, arrampicatosi oltre la balaustra della galleria, si siede

penzoloni sul bordo minacciando di gettarsi di sotto. L’intervento del

conduttore è celere: Pippo Baudo si fionda verso l’aspirante suicida,

disperato per la mancanza di lavoro, e convince il poveretto a rientrare

e desistere così dal proprio intento; tra gli applausi di un Ariston

attonito, Baudo porta a termine con successo l’operazione. Un episodio

destinato a entrare di diritto nella storia di Sanremo e che già

all’indomani accende aspre critiche tra gli addetti ai lavori, molti dei

quali non credono alla “genuinità” del tutto. E in effetti i sospetti che si

trattasse di un qualcosa di organizzato sono molti; anni dopo il diretto

interessato, Pino Pagano, svela l’arcano, affermando che si trattò

di un gesto concordato e per il quale avrebbe ottenuto ben 20

milioni di Lire e di essere riuscito a “tirare a campare” con

qualche lavoretto proprio grazie alla notorietà rimediata dopo

quell’incredibile Festival.


Negli anni Duemila a destare scalpore è, nell’edizione del

2009, Giuseppe Povia che con la sua Luca era gay che

parla di un giovane gay che diviene eterosessuale, si attira

le aspre critiche del movimento LGBT. L’anno successivo

la gara annovera tra i partecipanti persino un “reale”:

Emanuele Filiberto di Savoia, che insieme a Pupo e Luca

Canonici conquista un sorprendente secondo posto con

Italia amore mio; un piazzamento d’onore che non va giù

agli orchestrali i quali, per contestare l’esito del televoto,

stracciano gli spartiti gettandoli in aria. Arriviamo infine

all’incredibile edizione 2020 destinata a restare indelebile,

come quella dell’abbandono di Bugo. È la quarta serata

quando Bugo e Morgan si presentano sul palco per cantare

Sincero; il giorno prima i due si sono esibiti nella serata

riservata all’omaggio verso le canzoni che hanno fatto la

storia del Festival, eseguendo il brano di Sergio Endrigo

Canzone per te. Adesso ripropongono il loro pezzo ma pochi

istanti dopo l’inizio dell’esibizione, ecco Bugo abbandonare –

sotto gli occhi increduli di Amadeus – il palco; quello che

segue è un quadretto perfino comico: Morgan continua a

cantare per un po' e poi, accortosi del fatto, eccolo andare a

cercare, insieme ad Amadeus e Fiorello, il proprio partner

musicale. Bugo non torna sul palco, a questo punto

l’organizzazione non può far altro che squalificare il brano e i

due artisti; a provocare l’ira di Bugo le modifiche apportate

alla versione cantata quella sera da Morgan: parole che lo

umiliano, dandogli dell’approfittatore e del maleducato. È

l’apice di un malcontento fra i due iniziato già prima dell’inizio

del Festival e che tocca in quel 7 febbraio 2020 il punto più

profondo. L’edizione 2021, causa Covid19 rischia di saltare:

Dopo tante trattative Amadeus riesce a realizzare l’edizione

numero 71. Per la prima volta niente pubblico all’Ariston, i

posti in platea sono occupati da palloncini di varie forme, e

scoppia lo scandalo del “Palloncino”. Non passa

inosservato infatti il palloncino a forma fallica. La questione è

subito affrontata in diretta da Fiorello nella seconda parte

della serata: "Abbiamo fatto una ca***ta. Preferivo la

platea vuota, era poeticamente spettacolare". Lo

showman spiega la situazione ad Ama: "Pare che ci sia un

palloncino a forma di... cosa fischia l'arbitro? Dai dillo...

resta da capire perché sia lì in mezzo". Scherzando ha

aggiunto: "Ringraziamo per la solidarietà anche il

presidente della Regione Toti che li ha gonfiati uno a

uno". E’ l’anno dei gruppi e l’attenzione cade sui vincitori

Maleskin, un nome che Orietta Berti confonde con i

Naziskin… Questi sono naturalmente soltanto alcuni degli

scandali che hanno costellato la lunga vita del Festival di

Sanremo; avvenimenti che a volte ci fanno sorridere, altri più

drammatici, ma che, a ben vedere, costituiscono l’anima del

Festival, rendendolo tanto caro a milioni di italiani pronti a

seguire (e giudicare) gli artisti in gara ma anche, e forse

soprattutto, pronti a spettegolare o gridare allo scandalo

appena se ne presenti l’occasione. Edizione 2022 ricca di

successi oltre quelli musicali anche quelli personali di Ama

che dopo 27 anni riporta gli ascolti a livellis da record.

Mahmood e Blanco vincono davanti ad Elisa e Gianni

Morandi. Iva Zanicchi, Orietta Berti, Massimo Ranieri

hanno dato lezione di stile e canto agli altri concorrenti, i

quali si sono esibiti con outfit e canzoni originali.

Comunque vada, diceva Chiambretti negli anni 90, sarà

un successo. Nel Bene o nel male purché se ne parli

Sanremo... è Sanremo.


A 10 anni esatti dalla vittoria con il brano “Non è l’Inferno”,

EMMA, dopo aver co-condotto il Festival di Sanremo nel

2015 con Carlo Conti ed aver calcato più volte il palco del

Teatro Ariston come super ospite, è tornata in gara, al

Festival di Sanremo, con una canzone dal titolo “OGNI

VOLTA È COSÌ” (Polydor/Universal Music Italy), brano

scritto dalla stessa Emma insieme a Davide Petrella,

composto da Davide Petrella e Dario Faini e prodotto da

Dorado Inc. Il singolo sarà contenuto in un imperdibile 45

giri da collezione in uscita venerdì 18 febbraio

Sul palco accanto a Emma c’era la collega Francesca

Michielin, che oltre a dirigerla ha accompagnato Emma

nella serata delle cover:«Quando Francesca mi ha detto

che le sarebbe piaciuto dirigere l’orchestra per me a

Sanremo non ho avuto nessuna esitazione, ho detto sì.

Condividere quel palco con un’altra artista amica mi ha

dato la giusta carica, in quelle serate ho vissuto

perfettamente il mio modo di vivere l’arte a 360 gradi in

tutte le sue forme. Sono felice e onorata che Francesca sia

stata al mio fianco in questa avventura! Un modo per

festeggiare anche i suoi 10 anni di carriera e per

dimostrare ancora quanto siamo coraggiose e quanto

amiamo la musica».

Francesca Michielin sorridente ha sottolineato: «Per me

è stata una nuova prima volta a Sanremo. Sono tornata in

Riviera, ma in una veste inedita, quella di direttrice

d’orchestra. Sono orgogliosa di aver condiviso questa

esperienza con Emma, un’artista che stimo da sempre, di

cui ho seguito la carriera fin da quel suo primo provino che

vidi in tv solo pochi mesi prima di affrontare il mio, che mi

ha cambiato la vita. Ho sempre considerato Emma una

persona diretta, senza retropensieri. Adoro il suo modo di

essere e di fare. Inoltre sono onorata di essermi

confrontata con un’orchestra di grandi maestri e di aver

vissuto il festival da un’altra prospettiva, orchestrando,

imparando, vivendo con i musicisti la dinamica e

l’interpretazione di un pezzo bellissimo».

Selfie di Francesca Michielin e Emma a Sanremo 2022


GIUSY

FERRERI

"MIELE"

SAPORI RETRÒ

“MIELE”, il brano presentato alla 72 edizione del Festival di Sanremo sarà incluso nel nuovo album di inediti di

prossima uscita di Giusy Ferreri, un album scritto da Takagi & Ketra, Federica Abbate e Davide Petrella.

A proposito del brano Giusy ha commentato così «È una parentesi musicale romantica dal sapore retrò. Quando lo

canto mi sembra di vivere uno spostamento spazio-temporale, come un magico e dolce viaggio nell’attesa del

ritorno di un amore».

“MIELE” e “GLI OASIS DI UNA VOLTA”, sono i primi assaggi del nuovo percorso artistico che la Ferreri ha

intrapeso. “GLI OASIS DI UNA VOLTA”, è una ballad che evidenzia il lato più profondo e rockeggiante della voce

dell’artista, con un testo malinconico e introspettivo che avvicina il brano alle origini della sua produzione.

Dal suo clamoroso esordio del 2008 ad oggi, Giusy Ferreri ha collezionato risultati straordinari costruendo una

carriera di traguardi e record, tra hit radiofoniche, 1 disco di diamante e 18 dischi di platino.

Sono 5, ad ora, gli album in studio, e innumerevoli, invece, i brani che negli anni, hanno mostrato l’incredibile

capacità della Ferreri di interpretare generi e stili più disparati, spaziando dal rock al pop, dal blues alla world

music, tra cui, solo per citarne alcuni, “Non ti scordar mai di me”, “Novembre”, “Il Mare Immenso”, “Ti Porto A Cena

Con Me”, “Partiti Adesso”, “Volevo Te”.

Una vita segnata da grandi successi e importanti collaborazioni con alcuni dei nomi più rilevanti del panorama

italiano quali Tiziano Ferro, Nicola Piovani, Marco Masini, Michele Canova, Sergio Cammariere, Takagi & Ketra,

Corrado Rustici, Federico Zampaglione, Bungaro e molti altri, e con Linda Perry autrice internazionale.


ana


mena

la hermosa chica del pop urban

Dopo essersi fatta conoscere e

amare dal pubblico italiano

collaborando con artisti come Rocco

Hunt, Fred De Palma e Federico

Rossi, ANA MENA convince meno il

palco del FESTIVAL DI SANREMO

con il brano “DUECENTOMILA

ORE”, scritto a sei mani da Rocco

Hunt, Zef e Federica Abbate e

prodotto da Zef. Il ritmo rap

neomelodico, poco calzante con la

personalità della cantante spagnola

che prima del festival ha inciso

un’inedita versione in spagnolo del

grande successo “Musica

Leggerissima”, presentato proprio al

Festival di Sanremo da Colapesce

Dimartino e diventato uno dei brani

più ascoltati del 2021.

Nella serata dedicate alle cover,

Ana Mena ha duettato con Rocco

Hunt in un medley sulla grande

musica italiana. Anche se è arrivata

24esima siamo certi che sarà uno

dei tormentoni primaverili.

Ana Mena si sta affermando come

una delle artiste più amate nella

nuova scena pop e urban con

un’importante allure internazionale

grazie ai successi che sta ottenendo

in America Latina, Francia e Italia,

oltre che in Spagna. Ed è proprio nel

suo paese d’origine che si è

affermata come cantante attrice,

prima recitando in programmi di

successo sul piccolo schermo e poi

conquistando anche il cinema dove

ha debuttato con una parte nel film

“La pelle che abito” di Pedro

Almodóvar, insieme ad Antonio

Banderas.

A 24 anni, la popstar spagnola vanta

numeri da record con 36 dischi di

PLATINO, 2 dischi d’ORO, oltre 5

milioni e mezzo di ascoltatori mensili

su Spotify e oltre 1 miliardo e mezzo

di views totali su YouTube.

Considerazioni che il pubblico di

Sanremo non ha preso in

considerazioni posizionandola

all'ultimo posto della classifica. Una

posizione che con dati storici alla

mano porterebbe molta fortuna.

Chissà se la bionda spagnola avrà

la stessa sorte di Zucchero e Vasco

Rossi?


DITONELLAPIAGA

RETTORE

è questione di chimica!

Chimica è il brano con cui Ditonellapiaga e

Rettore hanno conquistato la 72 edizione

del Festival di Sanremo.

Il brano è stato scritto da Margherita

Carducci, in arte Ditonellapiaga, e

Donatella Rettore, le musiche sono state

composte dalla stessa Ditonellapiaga,

Benjamin Ventura, Alessandro Casagni,

Valerio Smordoni e Edoardo Castroni.

Una vera hit che richiama le atmosfere

della Disco come appare chiaro dalla

copertina ispirata a certe sonorità anni

‘70/’80. Un pezzo scatenato e irriverente

che ha rivelatola profonda sintonia nata

fra due artiste di generazioni diverse e che

hanno fatto ballare il pubblico della

kermesse. Il ritorno a Sanremo della

Rettore ha riportato molti di noi indietro

nel tempo, facendoci fischiettare successi

come "Splendido Splendente" , "Kobra"

"Lamette", "Amore Stella".

Questa è questione di Chimica...


SETTE SPOSE PER SETTE FRATELLI

Diana Del Bufalo e Baz,

nuovissima coppia del

teatro musicale italiano


Sette Spose per sette Fratelli è uno dei

titoli di musical più amati dal pubblico

italiano, tratto dall’omonimo film prodotto da

MGM e diretto da Stanley Donen, un cult

riproposto da sempre in tv con grandi

ascolti.

FDF Entertainment con la compagnia Roma

City Musical e la regia di Luciano Cannito

portano in scena una nuova e

divertentissima edizione di 7 Spose per 7

Fratelli ispirata al celebre film di Hollywood,

con uno sguardo ai personaggi ed alle

ambientazioni del mondo ironico dei

western di Quentin Tarantino. Il grande

impianto scenografico firmato da Italo

Grassi e i meravigliosi costumi di Silvia

Aymonino sono stati progettati e creati

secondo i canoni estetici e spettacolari

di Broadway e di West End.

Un cast di 22 interpreti, orchestra dal vivo

con la direzione musicale di Peppe

Vessicchio e con protagonisti Diana Del

Bufalo e Baz, nuovissima coppia del teatro

musicale italiano, esplosivi, divertenti,

vulcanici, dal talento vocale dirompente.

Siamo nell’Oregon del 1850; in una

fattoria tra le montagne vivono i sette fratelli

Pontipee: Adamo, Beniamino, Caleb,

Daniele, Efraim, Filidoro e Gedeone. Adamo

il fratello maggiore, si rende conto che è

arrivata l’ora di trovare una moglie che si

occupi della casa e della cucina.

Un giorno si reca in città per vendere pelli e

conosce Milly, la cameriera della locanda

del villaggio. Tra i due scocca il colpo di

fulmine. Adamo e Milly si sposano e partono

per la fattoria.

Arrivati a casa Pontipee, Milly ha la sgradita

sorpresa; scopre, infatti, che dovrà

prendersi cura non solo del marito, ma

anche dei suoi fratelli, sei rozzi montanari

rissosi e refrattari all’igiene personale e alle

buone maniere.

Dopo una certa fatica iniziale, Milly comincia

a mettere in riga i sei ragazzi e vedendoli

migliorare grazie alle sue cure, Milly

comincia segretamente a progettare di unire

i sei cognati con le sue amiche del paese.

L'occasione propizia si presenta nel corso di

una festa annuale in cui durante il ballo i sei

fratelli Pontipee, puliti e ben vestiti, danno

prova della loro abilità nella danza alle

amiche di Milly. La festa vedrà opposte le

squadre dei cittadini e dei montanari,

degenerando ben presto in una violenta

rissa. I cittadini, gelosi per il successo dei

fratelli Pontipee con le ragazze, provocano

costantemente i boscaioli fin quando non

cedono. I fratelli Pontipee tornano

sconsolati alla loro fattoria e Milly scopre

che i sei ragazzi si sono innamorati delle

sue amiche. Sanno però che i genitori delle

ragazze non acconsentiranno mai alle

nozze, così organizzano un rapimento,

proprio come fecero i romani con il ratto

delle sabine. Una valanga impedisce ai

parenti di raggiungere le rapite, così passa

l'inverno. Quando padri, fratelli e ex

fidanzati le raggiungono a primavera, le

ragazze ormai sono a loro volta innamorate.

Non resta così che un matrimonio generale.


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NOTRE DAME DE PARIS - dal 3 al 20 MARZO 2022

ro

È il 19 gennaio 2002 quando il sipario del Teatro Arcimboldi, nato per accogliere le stagioni

del Teatro alla Scala, si apre per la prima volta. In scena La traviata di Giuseppe Verdi, diretta

dal Maestro Riccardo Muti. Sei minuti di applausi finali accolgono con successo il temporaneo

trasferimento in Bicocca del teatro più̀ famoso del mondo. Gli applausi e le emozioni non si

fermano e sottolineano il legame profondo che unisce il teatro alla città di Milano e non solo.

Ospitando in esclusiva i concerti dei grandi protagonisti della musica, le anteprime

internazionali dei più importanti spettacoli teatrali e le popolari puntate della trasmissione

televisiva Zelig, Arcimboldi arriva al cuore di tutta Italia, diventando tempio dello spettacolo

con una programmazione di prim’ordine. Vent’anni indimenticabili, durante i quali abbiamo

potuto condividere con tutto il nostro pubblico le emozioni regalate dai grandi artisti italiani e

internazionali che, scegliendo il TAM, ne hanno consolidato il prestigio a livello mondiale.

L’Arcimboldi ha visto calcare il proprio palcoscenico da migliaia di artisti unici, da Sylvie

Guillem, Angelin Preljocaj, Michael Nyman a Uri Caine, Alvin Curran, Joan Baez, Mark

Knopfler e Roberto Bolle; celebrità della canzone e della musica tra cui Neil Young, Tom

Waits, Liza Minnelli, Bob Dylan, Tom Jones, Diana Krall, Leonard Cohen, Charles Aznavour,

B.B. King, Goran Bregovich, Elton John, Sting, Ludovico Einaudi, David Gilmor, Burt

Bacharach, Lang Lang, Ornella Vanoni, Paolo Conte, Fiorella Mannoia. Centinaia le prime

nazionali di compagnie di danza come Ballet National de Marseille, Béjart Ballet Lausanne, gli

spettacoli di Matthew Bourne , Akram Khan, Carolyn Carlson , Bob Wilson e tutti i colori dei

grandi musical come Notre Dame de Paris, The Beauty and the Beast, Ghost, Priscilla.

Oggi, grazie a tutti voi, TAM Teatro Arcimboldi Milano è il luogo di eccellenza dello spettacolo

dal vivo, ma anche un hub culturale dove Teatro Arte e Musica si rincorrono e si fondono

grazie a una programmazione aperta alla città e al mondo tra intrattenimento, formazione e

servizio: un calendario fitto di importanti spettacoli e celebri artisti musicali, lezioni di danza e

di performing arts presentate da STM Scuola del teatro musicale e da AUB Accademia

Ucraina di Balletto, due nuovi ristoranti interni per un mix di cucina italiana, offerta al TAMO

Bistrò, e dei sapori fusion preparati dallo chef Roberto Okabe nel nuovo Finger’s Arts e tante

iniziative legate all’arte e al design come la prossima riprogettazione del giardino e del

bookshop firmati da prestigiosi studi milanesi e soprattutto il progetto Vietato l’Ingresso che nei

mesi scorsi ha visto prestigiose firme del mondo della progettazione di interni ridisegnare i

diciassette camerini del teatro richiamando l’attenzione da parte del mondo dell’architettura

che lo ha definito “uno dei progetti più originali del Fuorisalone”.

LUCA ARGENTERO in è QUESTA LA VITA CHE SOGNAVO DA BAMBINO?

21 MARZO 2022

SERGEI POLUNIN - AN EVENING OF DANCE AND CONVERSATION

28 FEBBRAIO 2021


Red Canzian:


Casanova Opera Pop, 2 ore di spettacolo in due atti, con oltre 30 cambi scena costruiti con una tecnica di proiezioni ad

altissima definizione dall’effetto immersivo, 120 costumi disegnati da Desirée Costanzo e realizzati dall’Atelier Stefano

Nicolao (nomination per i costumi del film da Oscar Eyes Wide Shut), e con la regia di Emanuele Gamba, racconta

Giacomo Casanova in un’età intorno ai 35 anni, al rientro dall’esilio e strenuo difensore di Venezia dai giochi di potere

che la vorrebbero venduta allo straniero.

Red Canzian, direttore artistico e compositore, racconta: “Ho cullato a lungo l’idea di comporre un’opera musicale

dedicata alla Città di Venezia, forse l’unica al mondo di tale notorietà a non avere un ‘suo’ musical, e a Giacomo

Casanova, uno dei personaggi italiani universalmente conosciuti, ma finora raccontato in una chiave sempre un po’

monotematica, mentre io volevo rappresentarlo nelle tante sfumature che fanno di lui una delle figure storiche più

interessanti che l’Italia e Venezia in particolare possono vantare”.

Nella parte di Giacomo Casanova troviamo Gian Marco

Schiaretti, uno dei talenti più puri cresciuti in Italia e di

successo anche all’estero. Accanto a lui, nella parte

dell’incantevole e volitiva Francesca Erizzo, destinata a

conquistarne il cuore, la giovane e già affermata Angelica

Cinquantini, volto familiare della fiction televisiva. Il ruolo

dei malvagi, pronti ad approfittare di un momento di

fragilità della Serenissima e del Doge che la governa, è

affidato a Gipeto, ovvero il potente e corrotto Inquisitore

Pietro Garzoni che senza il minimo scrupolo è pronto a

spazzare via con ogni mezzo tutto ciò che gli è da

ostacolo per ottenere il potere del porporato, e a Manuela

Zanier, ovvero la perfida Contessa Von Steinberg,

nobile austriaca non insensibile al fascino di Casanova,

ma pronta a tessere trame mortali per inseguire il proprio

interesse ed esercitare il proprio fascino secondo

convenienza.


Con loro in scena, a dipingere il quadro di una Venezia la cui

storia e salvezza si giocano fra i bácari popolati da varia

umanità e i ricchi Palazzi del potere, una serie di personaggi

dalle sfaccettature diverse. Quindi un pacioso e brontolone

Frate Balbi, interpretato da Paolo Barillari; il fidanzato offeso

Alvise pronto a sfidare Casanova a duello e il nobile Mocenigo

entrambi interpretati da Jacopo Sarno; il perfido Zago al

quale Roberto Colombo presta il volto e una fisicità

trasformata dalla perfidia; il Doge Loredan e il nobile di

lignaggio e di cuore Bragadin, entrambi interpretati da

Antonio Orler; fino al vasto mondo femminile tanto

affascinato da Casanova, quanto indispensabile a sciogliere i

nodi della storia. Quindi Elena da Padova, la cortigiana

favorita di Casanova interpretata da Silvia Scartozzoni; la

bella Rosa, padrona della Cantina do Mori e capace di

interpretare i segnali che nascondono le oscure trame, nelle

cui vesti troviamo Rosita Denti; infine la malinconica e

sfortunata Gretchen, con il volto di Alice Grasso, cameriera

della Contessa e vittima predestinata della perfidia senza

scrupoli dell’Inquisitore e dell’asservito Zago.

Il cast si completa con un corpo di ballo di 10 ballerini

acrobati - Mirko Aiello, Cassandra Bianco, Alberto

Chianello, Eleonora Dominici, Federica Esaminato, Mattia

Fazioli, Filomena Fusco, Raffaele Guarino, Vittoria Markov

e Olaf Olguin - che nelle coreografie dallo stile guerriero di

Martina Nadalini e Roberto Carrozzino, nei vari momenti

interpretano le Ombre, i Veneziani al Carnevale, i nobili in

festa e i momenti corali della storia. Completano il team

creativo Chiara Canzian, alla direzione canti e resident

director di Casanova Opera Pop durante il tour, e due

professionisti provenienti dal Teatro La Fenice: il lighting

designer Fabio Barettin e il direttore degli allestimenti scenici

Massimo Checchetto. Le loro vere e proprie opere d’ingegno

sono la cornice di quello che Red ha concepito come

allestimento scenico immersivo, fatto di fotografie scattate

nella Venezia deserta durante la pandemia e trattate in modo

da restituire ambientazioni della città e dei suoi luoghi di un

iperrealismo spiazzante, capace di trasportare gli spettatori

dentro i luoghi di una Venezia settecentesca, i bacari, le calli, i

Palazzi della nobiltà, le Cattedrali, Piazza San Marco, la

laguna, la prigione dei Piombi, e quelli della fuga fra i boschi e

i Castelli del Nord Italia prima del ritorno di Casanova da

salvatore della Serenissima nella Venezia del Doge e

innamorato – finalmente – della giovane Francesca, figlia

dell’aristocrazia veneziana ma, come il suo amato, dal cuore

assetato di giustizia e libertà.


Casanova Opera Pop è prodotto da Blu Notte, ovvero dallo stesso Red

Canzian, che in questo ruolo segue la Direzione Artistica, e da sua moglie

Beatrix Niederwieser, che dello spettacolo segue tutti gli aspetti operativi,

avvalendosi della collaborazione di Retropalco alla produzione esecutiva.

Dopo il debutto a Venezia il tour si chiude il 13 marzo 2022 A Torino

passando per il Teatro Nuovo Giovanni da Udine a Udine, il TAM Teatro

Arcimboldi Milano dal 9 al 20 febbraio, al Teatro Comunale Mario del

Monaco di Treviso nella settimana dal 22 al 25 febbraio e al Teatro Alfieri

di Torino dall’8 al 13 marzo.

Casanova Opera Pop è disponibile anche in una lussuosa confezione

contenente due CD, con i 35 brani inediti dello spettacolo interpretati dal

cast e introdotti dal prologo recitato dallo stesso Red Canzian, i relativi

testi, le foto degli interpreti e l’opera originale a colori che Milo Manara

ha disegnato per l’artwork del musical.

Sito ufficiale: www.casanovaoperapop.it.


o

Equilibrio, il festival dedicato alla danza contemporanea che per 15 anni ha portato in Auditorium il meglio delle coreografie internazionali,

torna dopo due anni di stop forzato.

Il festival riprende vita con un programma sfaccettato: 7 grandi serate in Sala Petrassi, 10 titoli per altrettante compagnie, 5 coreografe e

3 coreografi, 3 leoni d’oro, una compositrice, 4 prime italiane, una performance per famiglie e una Notte all’Auditorium per bambini e

bambine, un percorso per le scuole superiori, una nuova produzione con il Parco della Musica Contemporanea Ensemble, un intervento

di danza verticale nella città e poi ancora incontri e documenti. Tra i nomi internazionali spiccano quelli dell’israeliana Sharon Eyal con

Tanzmainz, della storica esponente della nouvelle danse Maguy Marin, della compositrice e performer Pamela Z, dell’iconico Marcos

Morau e – per la prima volta a Roma – del Ballet of Difference di Richard Siegal, coreografo dal tratto distintivo, recentemente invitato a

creare un nuovo spettacolo per il Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch.

Gli italiani sono il Leone d’oro Alessandro Sciarroni, l’ironica Silvia Gribaudi, la supercinetica Francesca Pennini e Cristiana Morganti,

artista romana, già interprete di Pina Bausch, di cui Equilibrio ha seguito il percorso autoriale fin dagli esordi. Per un cammeo si inserisce

inoltre il nome straordinario di Anne Teresa de Keersmaeker in un percorso di ri-creazione condotto dall’Accademia Nazionale di Danza

attorno a un estratto dello spettacolo “Rosas danst Rosas”, che proprio Equilibrio aveva presentato in prima italiana nel 2009.

Una prestigiosa anteprima del Festival vedrà la collaborazione della Fondazione Musica per Roma con il Teatro di Roma - Teatro

Nazionale nell'ambito di Grandi Pianure, per la co-realizzazione della prima apparizione romana del coreografo greco Dimitris

Papaioannou: le tre repliche di Transverse Orientation saranno un’anteprima di Equilibrio 2022 all’interno della stagione del Teatro di

Roma. Ideatore del programma di questa edizione è il nuovo curatore della rassegna, Emanuele Masi, attuale direttore artistico di

Bolzano Danza, già direttore artistico del Teatro Comunale di Bolzano e consulente di istituzioni culturali nazionali, con progetti che

continuano a ricevere importanti riconoscimenti. “Un'edizione in perfetto equilibrio tra poli in continua attrazione – spiega il curatore - un

equilibrio tra estetica ed etica, tra idealismo e concretezza, tra progetti inediti e attesi ritorni, tra ecologia e tecnologia, tra danza italiana e

coreografia internazionale, tra dinamismo e sostenibilità, tra tradizione e ibridazione, tra cultura “alta” e folclore, tra virtuosismo e

semplicità, tra corpo e ragione”.


o

Accogliendo le richieste e i richiami giunti dai principali

protagonisti del settore, il ministro della Cultura Dario

Franceschini ha istituito presso la Direzione generale

Spettacolo del Mic un tavolo permanente del settore, con il

compito di approfondire le tematiche e le problematiche

della danza in Italia e per formulare proposte in materia. Il

tavolo opererà senza nuovi o maggiori oneri per la finanza

pubblica. Non sono previsti compensi per i componenti, né

gettoni di presenza, rimborsi spese o altri emolumenti. “La

danza è un’eccellenza della cultura italiana riconosciuta in

tutto il mondo. Insieme alle fondazioni lirico-sinfoniche,

come altri settori dello spettacolo dal vivo, ha sofferto in

questo periodo di limitazioni ed è giusto che il Governo e

le istituzioni siano vicine e lavorino al massimo per trovare

delle soluzioni”, ha dichiarato Franceschini.

Dell’organismo, presieduto da Roberto Giovanardi, fanno

parte: il direttore generale Spettacolo; il presidente

dell’Associazione Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche

(Anfols); il presidente dell’Accademia Nazionale di danza;

un rappresentante dell’Accademia di danza del Teatro alla

Scala di Milano; un rappresentante dell’Accademia di

danza dell’Opera di Roma; un rappresentante

dell’Accademia di danza del Teatro San Carlo di Napoli; il

presidente dell’Associazione italiana danza attività di

formazione (Aidaf); il presidente dell’Associazione italiana

danza attività di produzione (Aidap); il presidente

dell’Associazione danza Esercizio e Promozione (Adep); il

presidente Associazione Italiana Teatri di Tradizione (Atit);

il presidente di ItaliaFestival; il coordinatore del ‘Tavolo

danza’ di C.Re.S.Co – Coordinamento delle Realtà della

Scena Contemporanea; il direttore del ballo del Balletto

del Teatro alla Scala di Milano; il direttore del ballo del

Balletto dell’Opera di Roma; il direttore del ballo del

Balletto del Teatro San Carlo di Napoli; il direttore del ballo

del Balletto del Teatro Massimo di Palermo; il

sovrintendente del Teatro Carlo Felice di Genova; un

rappresentante di Nid-New Italian Dance Platform; un

rappresentante del Liceo Coreutico Statale di Torino; il

presidente della Federazione nazionale danza sportiva

(Fids); Amedeo Amodio; Mauro Bigonzetti; Roberto Bolle;

Vittoria Cappelli; Liliana Cosi; Donatella Ferrante.

fonte «Agenzia DiRE» «www.dire.it»


o

MAMMA MIA!

In scena al Sistina fino a San Valentino…


o

Al Sistina il pubblico è sempre più pazzo di "Mamma Mia!", il celebre

musical firmato Massimo Romeo Piparo con le canzoni degli Abba che,

dal suo ritorno in teatro lo scorso 7 dicembre, sta riscuotendo un

grandissimo consenso, tenendo fede alla sua lunga storia di record e

incredibili successi. Nelle 32 repliche andate in scena dal giovedì alla

domenica (dalla "prima" fino al 23 gennaio) sono infatti 41.560 gli

spettatori che hanno affollato il teatro: una risposta importante ed

entusiastica, che ripaga l'impegno e inorgoglisce tutti coloro che lavorano

al Sistina e che ha spinto il direttore Piparo a decidere di proseguire le

vendite fino al 14 febbraio. In piena sicurezza grazie alle misure adottate

e al restauro recente degli spazi, il grande pubblico di "Mamma Mia!" - tra

fedelissimi sostenitori e "nuovi" spettatori - avrà quindi ancora qualche

settimana per godere delle emozioni di un musical amatissimo, uno dei

"gioielli" tra le produzioni della PeepArrow Entertainment: l'ultima replica a

Roma sarà proprio lunedì 14 febbraio, nel giorno di San Valentino, per

celebrare insieme la festa degli innamorati con una commedia romantica

in cui l'amore e la passione hanno un ruolo fondamentale. Interpretato

dall’ormai mitico trio di protagonisti Luca Ward, Paolo Conticini e Sergio

Muniz, accanto a Sabrina Marciano, a un cast di oltre 30 artisti e

all'Orchestra dal vivo diretta da Emanuele Friello, "Mamma Mia!" con

la sua messa in scena ricca e spettacolare è davvero lo spettacolo giusto

per ritornare alla bellezza del teatro dopo i lunghi mesi di chiusura a causa

della pandemia. Dopo Roma, "Mamma Mia!" proseguirà il suo cammino

anche in estate, toccando i palcoscenici delle principali arene italiane: un

nuovo regalo per il pubblico di tutte età, dai ragazzi ai genitori fino ai

nonni, per divertirsi, sognare insieme e immergersi nella magia di un

musical dalle atmosfere mediterranee ballando al ritmo di 24

indimenticabili hit, come Mamma Mia!, Dancing Queen, The Winner

Takes it All, Super Trouper.


o

Il grande balletto torna a Parma

Danza, la rassegna dedicata alla

musica classica e

contemporanea, per emozionare

e incantare il pubblico grazie a 7

imperdibili appuntamenti.

Fino a maggio 2022 il Teatro

Regio ospiterà compagnie e

danzatori provenienti da tutto il

mondo: Ezralow Dance, con un

attesissimo debutto a Parma,

Compagnia del Balletto di

Roma, Almamia Dance Project,

Parsons Dance, Balletto

Yacobson di San Pietroburgo,

Compagnia del Balletto di

Parma.

A inaugurare Parma Danza è

stato "Open", lo spettacolo di

Ezralow Dance, per la regia e

coreografia di Daniel Ezralow,

scritto a quattro mani con la

moglie Arabella Holzbog. "Open"

è un patchwork di piccole storie:

numeri a effetto, multimedialità,

ironia e umorismo sono gli

ingredienti di uno spettacolo

che, sulle musiche di Bach,

Beethoven, Chopin e Rossini e

con i costumi firmati American

Apparel, intreccia fantasia ed

emozione all’insegna del puro

intrattenimento, coniugando il

linguaggio neoclassico e la

modern dance.

Il 5 febbraio è la volta di "Carmen. Passo a due di un amore contemporaneo", prodotto da Almamia Dance Project. Il

coreografo Mauro Bigonzetti interpreta le vicende di Carmen e Don José, protagonisti della novella omonima di Prosper Merimée

che ha dato vita alla celebre opera di Georges Bizet, in un pas-de-deux costruito sulla coppia di danzatori Camilla Colella e

Octavio De La Roza..

Il 15 febbraio tornano a ParmaDanza i ballerini di Parsons Dance, la compagnia statunitense fondata dal coreografo David

Parsons. Nella sua nuova tournée italiana porterà in scena, al fianco del leggendario "Caught", alcuni brani inediti per il pubblico

italiano.

Il 31 marzo va in scena "Giselle", balletto fantastico in due atti, interpretato dal Balletto Yacobson di San Pietroburgo. Un vero

caposaldo del balletto classico composto nel 1841 su musiche di Adolphe Adam, libretto Jules-Henri Vernoy De Saint-Georges,

Théophile Gautier, Jean Coralli, coreografia Jean Coralli, Jules Perrot, Marius Petipa.

Il 6 maggio l'appuntamento è con i danzatori della Compagnia del Balletto di Parma, con due titoli di due giovani coreografi:

"What They See Is Not What We See" (di Nnamdi Christopher Nwagw, sul conflitto tra le diverse percezioni della propria identità)

e "CarneViva" (di Francesco Gammino, racconto della Sicilia, attraverso i ricordi, le musiche popolari, i colori).

Il 28 maggio è la volta di "Quartetto per la fine del tempo", lo spettacolo del NuovO BallettO di ToscanA realizzato su

commissione del Teatro Regio di Parma in occasione di Parma Capitale Italiana della Cultura 2021. Gran debutto per la

coreografia di Mario Bermudez Gil che traduce in danza le tinte apocalittiche del "Quatuor pour la fin du Temps", composto da

Olivier Messiaen nel 1941, mentre era prigioniero a Görlitz, nel campo tedesco nella Polonia occupata dai nazisti.


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TAKEWAY

A distanza di 7 mesi dalla morte di Libero di

Rienzo, morto nella sua casa di Roma il 15

luglio del 2021, è uscito nelle sale

cinematografiche l’ultimo film dove l’attore

romano è coprotagonista con accanto Carlotta

Antonelli, Primo Reggiani, Paolo Calabresi,

Anna Ferruzzo, Camillo Grassi, Camillo

Ventola, Ivan Polidoro.

Tra amore, droga e doping, il film si apre con gli

speaker di una radio che commentano il

fallimento di un istituto bancario britannico.

Siamo nel 2008, agli albori della grande crisi

finanziaria globale. Maria è un’atleta (Carlotta

Antonelli), una marciatrice. L’orgoglio di papà

(Paolo Calabresi), che vorrebbe vederla

coronare un sogno di successo. La mamma

(Anna Ferruzzo), invece, è più scettica,

sebbene Johnny (Libero De Rienzo), compagno

della ragazza, che ha quasi il doppio dei suoi

anni, sappia come tenere vivo il sogno di Maria

e dei suoi genitori. Per questo motivo Johnny ha

il frigo pieno di boccette, avendo aiutato molti

giovani con sostanze illegali, nel suo passato da

preparatore atletico. Tom (Primo Reggiani) è

uno di questi e sta cercando Johnny,

ritenendolo responsabile del fatto che il doping

gli ha rovinato carriera e salute. Ma i piani di

vendetta di Tom si infrangono quando lui e

Maria iniziano una relazione e i dubbi di lei

crescono, come una febbre incontrollabile. La

resa dei conti è inevitabile in un ambiente così

ristretto, così come nel mondo esterno, scosso

da debiti e fallimenti in cui si diffonde un

bisogno urgente di nuove speranze.

Libero De Rienzo, nell'ultimo ruolo da

coprotagonista, riesce a rendere fisica la

frustrazione e il bisogno di rivalsa di un uomo

che ha smesso da tempo di vedere lo sport

come una competizione pulita. Carlotta

Antonelli, per parte sua, con un'andatura

doverosamente oscillante da marciatrice, finisce

con il rappresentare quasi simbolicamente lo

stato d'animo di Maria.

L’ULTIMO FILM DI LIBERO DI RIENZO.


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ENNIO: L'OMAGGIO

DEL PREMIO OSCAR

Dopo un ‘anteprima di due giorni presentata a fine

gennaio, esce nei cinema “Ennio” un documentario sul

grande maestro Morricone firmato dal premio Oscar

Giuseppe Tornatore.

Il documentario racconta il musicista premio Oscar alla

carriera nel 2007 e autore di oltre 500 colonne sonore.

Giuseppe Tornatore, premio Oscar con il film Nuovo

Cinema Paradiso, omaggia l’amico Ennio con questa

lunga conversazione dalla quale emergono molti aspetti

del maestro, gli incontri con i cineasti più importanti al

mondo, il rapporto con la musica, la vita privata e il

rapporto d’amicizia vissuto mentre i due premi oscar

lavoravano insieme. Ad accompagnare questo intenso

dialogo ci sono anche testimonianze di artisti e registi che

hanno avuto l’onore di lavorare con Morricone, come

Bertolucci, Montaldo, Bellocchio, Argento, i Taviani,

Verdone, Barry Levinson, Roland Joffè, Oliver Stone,

Quentin Tarantino. Non mancano scene di fiction, musiche

e immagini d’archivio. Ennio è anche un’indagine volta a

svelare ciò che di Morricone si conosce poco. Come la sua

passione per gli scacchi, che forse ha misteriosi legami

con la sua musica. Ma anche l’origine realistica di certe

sue intuizioni musicali come accade per l’urlo del coyote

che gli suggerisce il tema de Il buono il brutto, il cattivo, o il

battere ritmato delle mani su alcuni bidoni di latta da parte

degli scioperanti in testa ad un corteo di protesta per le vie

di Roma che gli ispira il bellissimo tema di Sostiene

Pereira. Un’attitudine all’invenzione che trova conferma nel

suo costante amore per la musica assoluta, e la sua

vocazione a una persistente sperimentazione.

La pellicola, presentata per la prima volta in occasione

della 78esima Mostra del Cinema di Venezia Fuori

Concorso, arriva in tutti i cinema dal 17 febbraio, distribuito

da Lucky Red in collaborazione con timvision.

Giuseppe Tornatore: “Ho lavorato venticinque anni con

Ennio Morricone. Ho fatto con lui quasi tutti i miei film, per

non contare i documentari, gli spot pubblicitari e i progetti

che abbiamo cercato di mettere in piedi senza riuscirci.

Durante tutto questo tempo il nostro rapporto di amicizia si

è consolidato sempre di più. Così, film dopo film, man

mano che la mia conoscenza del suo carattere di uomo e

di artista si faceva più profonda, mi sono sempre chiesto

che tipo di documentario avrei potuto fare su di lui. E oggi

si è avverato il mio sogno. Mi sono soffermato sul ‘mio’

Ennio Morricone, raccontando anche il metodo molto

speciale con cui abbiamo affrontato il nostro lavoro dai

tempi di Nuovo Cinema Paradiso sino all’ultimo La

corrispondenza, l’argomento preferito dai giornalisti in ogni

intervista


#InMoltiSogni

OFFICINA DELLE ARTI PIER PAOLO PASOLINI

Un nuovo mese di appuntamenti sotto il titolo

#InMoltiSogni a Officina Pasolini, il Laboratorio creativo

di alta formazione e HUB culturale della Regione Lazio. Da

martedì 8 febbraio, al Teatro Eduardo De Filippo alle

21.00, tanti nuovi ospiti e appuntamenti di musica, teatro,

lezioni concerto, proiezioni e incontri di approfondimento

sul mondo della letteratura. SI parte con la proiezione del

film Dio è donna e si chiama Petrunya, pellicola diretto

dalla regista e attivista femminista macedone Teona

Strugar Mitevska e ritenuto da critica e pubblico il film

rivelazione della Berlinale 2019: Petrunya è la storia di

una giovane donna in lotta contro il sistema patriarcale e

sociale diventa una vicenda universale capace di parlare a

un’intera generazione. Da non perdere o da rivedere una

seconda volta.

Giovedì 10 nuovo appuntamento con gli attori di

Superficie Live Show, ideata e condotta da Matteo

Santilli, è composta da monologhi teatrali, brevi video con

racconti e testimonianze di attori, registi, sceneggiatori

affermati in un mix di spettacolo che unisce le forme di

recitazione che siamo abituati a vedere: Fabio Antonelli,

Angela Ciaburri, Elisabetta Ventura, Alberto Paradossi,

Simone Corbisiero, Lucio De Francesco, Bianca

Mastromonaco, Lorenzo Terenzi. L’ospite speciale

sarà Paola Minaccioni.

Lunedì 14 Giorgio Cappozzo incontra la consolidata e

amatissima coppia composta da Massimo Lopez e

Tullio Solenghi. Attori, showman, imitatori, artisti poliedrici

e versatili, pilastri del glorioso Trio che vedeva al loro

fianco un’indimenticabile Anna Marchesini. Una serata di

racconti tra aneddoti, dietro le quinte e ricordi per

ripercorrere un lungo viaggio artistico di successi, comicità

intelligente, dialoghi esilaranti e tanti personaggi entrati

nella storia della tv.

Martedì 15 un ciclo di appuntamenti dedicato ai nuovi

artisti della canzone italiana. Condotto da Riccardo

Zianna, speaker di Radio Sonica, mc di uno dei più noti

format di concerti della nuova musica Spaghetti

Unpuggled.

Mercoledì 16 a Prospettive d’autore, Valentina

Farinaccio, parlerà insieme con l’autore di Sempre

tornare, Daniele Mencarelli, poeta e scrittore, ha composto

negli ultimi anni

Venerdì 18 il consueto incontro di Enrico Deregibus

sarà con Ron, personaggio fra i più popolari della nostra

canzone, che dopo l’esordio da enfant-prodige al Sanremo

1970 ha inanellato una lunga serie di esperienze e di

successi, da "Una città per cantare" a "Non abbiam

bisogno di parole", da "Vorrei incontrarti fra cent’anni" a

"Joe Temerario". È uscito nei mesi scorsi, in vista di un

nuovo album, un singolo intitolato "Sono un figlio", in cui

l’artista lombardo parla, per la prima volta, della grande

storia d’amore dei suoi genitori, nata durante la seconda

guerra mondiale. Nell’incontro si parlerà di questo e di

molto altro, di Lucio Dalla, dei tanti Sanremo a cui ha

partecipato, dell’amore per i cantautori americani. E non

mancherà una manciata di canzoni fatte live.


o

LA GENTILEZZA DELLA CARTA

La sostenibilità è bellezza

fino al 27 febbraio la mostra di abiti di carta di Caterina Crepax

Resterà aperta al pubblico anche a febbraio la mostra “La Gentilezza

della Carta. La sostenibilità è bellezza”, ideata e realizzata da Caterina

Crepax per la Fondazione Fashion Research Italy, che avrebbe dovuto

chiudersi oggi. Il successo di pubblico ha spinto il Cavalier Alberto

Masotti, in accordo con l’artista, a prorogare fino a domenica 27

febbraio l’esposizione che intende riflettere, attraverso la lente della

bellezza, sul tema della sostenibilità.

I 18 abiti-scultura, realizzati dalla Crepax in carta prodotta con il 100%

di fibre riciclate dalla storica cartiera Cordenons, mettono in scena più

di 60 soggetti grafici provenienti dal prezioso archivio di textile design

che la Fondazione custodisce nei suoi caveaux e che mette a

disposizione del mondo moda e interior design. Disegni tessili antichi e

moderni di cui l’artista ha stravolto i connotati accostandoli in un

equilibrio di forme e colori che dà vita al suo immaginario multiforme e

onirico, dove decorativismi del mondo orientale sono accostati alle

bellezze della natura o a grattacieli e mappe di città.

Un universo senza fine di elementi d'ispirazione che, tra le mani della

Crepax, si fondono per rinascere in forme nuove. La sua passione è

infatti da sempre la carta, che, grazie alla fantasia e alla manualità

ereditata dal padre — il celebre fumettista Guido Crepax — riesce a

trasformare in vere e proprie opere d’arte.

Una materia funzionale che, con le sue infinite vite, può diventare

sempre altro da sé, fino a trasformarsi in sostanza di una

immaginazione feconda. Esaltando il fascino dell’Italian style, “La

Gentilezza della Carta” restituisce quindi anche una riflessione contro lo

spreco. Anche i manichini su cui sono modellati gli abiti sono prodotti

dall’azienda Bonaveri, in materiale da fonte rinnovabile e

biodegradabile.

La mostra è stata realizzata in occasione dell’inaugurazione di Punto

Sostenibilità, il più completo archivio italiano, sia fisico che digitale, di

materiali tessili, accessori e soluzioni di packaging sostenibili per la

moda: l’ultimo progetto green della Fondazione ospita il meglio

dell’innovazione nell’ambito della sostenibilità nel settore moda, dai

tessuti riciclati e rigenerati ai complementi in alluminio riciclato,

provenienti da un centinaio di aziende su tutto il territorio nazionale in

grado di fornire materiali immediatamente disponibili per la produzione

in piccola o larga scala.

“Il tema della sostenibilità è da sempre centrale nel mio lavoro – dice

Caterina Crepax – e la carta di riciclo e riuso è il materiale che più di

altri diventa metafora della gentilezza che dovremmo usare nei

confronti del nostro pianeta. Per questo progetto ho cambiato il mio

usuale approccio creativo, che normalmente concepisce l’idea finale

dell’opera, per realizzare la quale poi cerco carte di ogni tipo, dagli

scarti tipografici ai vecchi libri ai pirottini per i dolci. In questa occasione

invece il punto di partenza è stato il magnifico Fondo Brandone, e la

sfida è stata quella di creare abiti che valorizzassero le splendide

grafiche dell’archivio, mixandole per arrivare a un’armonia di colori e

forme: in un certo senso per la prima volta mi sono improvvisata, per

così dire, stilista, un approccio che mi ha stimolato e divertito

moltissimo”.

“Sono passati molti anni da quando ho letto i primi report

sull’inquinamento prodotto dall'industria della moda, ma ricordo ancora

lo sconcerto che ho provato – spiega il Presidente della Fondazione

FRI Alberto Masotti. - Il settore in cui lavoravo e che tanto amavo era la

seconda attività più inquinante del mondo e ancora oggi, purtroppo, la

strada verso l’evoluzione green è lunga. Mi consola vedere che le

nuove generazioni sono più attente a questi temi e ne sentano

l’urgenza. Spero che la mostra – che parla ai cuori attraverso il

linguaggio universale dell’arte – possa far riflettere e trasmetta un

concetto in cui credo profondamente: la sostenibilità è bellezza, è un

valore e un dovere imprescindibile”.

La mostra è accessibile durante i tour guidati negli spazi della

Fondazione, di norma chiusa al pubblico, ogni sabato e domenica su

prenotazione. Tutte le informazioni e la prevendita su

www.mybologna.app/FFRI.

Particolare attenzione alle scolaresche a cui sono riservate visite

guidate anche durante la settimana.

CATERINA CREPAX

Nasce a Milano nel 1964 e cresce in un ambiente ricco di suggestioni, estro

e creatività, fondamentale per la sua preparazione. Fin da bambina ì gira

per casa munita di matite, forbici, fogli e cartoncini cercando di riprodurre la

meraviglia dei libri pop up che riceve in regalo. La formazione di architetto

influenza notevolmente il suo approccio alla tridimensionalità, all'attenzione e

alla ricerca dell'equilibrio tra insieme e dettagli, tra struttura portante ed

elementi decorativi, tra vuoti e pieni, ma si completa di una visionarietà che è

tipica dell’artista. Il suo processo creativo parte da schizzi e bozzetti delle

forme, poi arricchite di dettagli che, in relazione tra loro, riescono a evocare

tutto il mondo che alimenta la sua ispirazione. Caterina Crepax si dedica alla

carriera artistica solo a partire dagli anni ‘90, grazie all’incontro con il

designer Nicola Gallizia che, in occasione del Salone del Mobile, le permette

di creare il suo primo grande allestimento, interamente realizzato con carta

di recupero. Da allora, porta la sua arte nelle scuole, nei musei e nelle

aziende, collaborando con artisti e fotografi e realizza sfilate ed eventi in

Italia e all'estero, affinando sempre più una visione sostenibile dell’arte e

della vita.


o

Shōzō Shimamoto

Grandi Opere

in mostra a Foligno fino fino al 1° maggio 2022

Il successo di presenze in questi mesi e la grande richiesta di

poterla ancora visitare siglano la proroga della mostra al Centro

Italiano Arte Contemporanea di Foligno. L’ampia retrospettiva

“Shōzō Shimamoto. Grandi Opere" resterà visitabile fino a domenica

1° maggio 2022. L’esposizione ha registrato già oltre 2000 visitatori

ed è stata scenario anche di eventi collaterali e attività per

famiglie. Il suggestivo percorso al CIAC, curato da Italo Tomassoni,

presenta la produzione del Maestro giapponese Shōzō Shimamoto:

dalle prime opere con il gruppo Gutai alle esplosioni di colore dei

lavori realizzati in Italia.

La retrospettiva, progetto espositivo della Fondazione Morra di

Napoli, voluto e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di

Foligno, con il supporto tecnico, logistico e organizzativo

dell’Associazione Shōzō Shimamoto, intende evidenziare la

grandezza della superficie pittorica su cui l’artista ha sempre agito,

rendendo la dimensione dell’opera elemento che non ne costituisce

la totale pienezza, ma confine da superare, a favore di una sempre

più ampia visione della dirompente materialità. Da sempre nell’opera

del Maestro giapponese la dimensione è considerata un punto di

vista altro, l’opera si compone ad una distanza tale che tra cielo e

terra il suo gesto artistico trova una connessione che va oltre il

tempo e lo spazio.

Il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno,

Umberto Nazzareno Tonti: “Siamo molto soddisfatti dell’andamento di

questa mostra d’arte, un successo importante per la Fondazione

Cassa di Risparmio di Foligno, per il polo museale CIAC e frutto della

preziosa sinergia con la Fondazione Morra che ringraziamo per aver

rinnovato la disponibilità ad estendere il prestito.

Riscontriamo la presenza di un pubblico variegato di ogni età e

proveniente da tutta Italia; un interesse che abbiamo potuto

apprezzare anche a livello di comunicazione con tante riviste di

settore e i quotidiani che hanno dedicato ampie recensioni alla

mostra e al progetto culturale. La proroga ci permetterà anche di

poter presentare adeguatamente, emergenza sanitaria permettendo,

il catalogo di mostra in via di definizione. Con l’occasione, vogliamo

evidenziare che sono stati molto partecipati anche gli eventi

collaterali all’interno della mostra: i focus di approfondimento

organizzati dal gestore del polo museale Maggioli Cultura, i percorsi

didattici per bambini del progetto “Innesti Lab, connessioni tra arte

e digitale al museo”, promossi dalla Fondazione Carifol e curati dalla

Cooperativa Densa nonché il concerto "Il tempo del sogno - L’altro

Novecento tra cinema e opera lirica” con le musiche di

UmbriaEnsemble organizzato sempre dalla Fondazione Cassa di

Risparmio di Foligno.” Per informazioni sulla mostra: tel. 0742.340090

– e-mail ciacfoligno@gmail.com


Museo e Real Bosco di Capodimonte

presenta il progetto espositivo di Andrea Bolognino

Per il settimo appuntamento con il ciclo di mostre-focus Incontri Sensibili, il

Museo e Real Bosco di Capodimonte presenta il progetto espositivo di Andrea

Bolognino, i cui disegni sono posti in dialogo con uno dei capolavori più noti

della collezione, la Parabola dei ciechi (1568) di Pieter Brueghel il Vecchio. La

mostra Cecità, accecamento, oltraggio propone fin dal titolo una stretta

relazione con l’enigmatico dipinto del maestro fiammingo. Ne derivano tre temi

che Bolognino ha riunito sotto una più ampia riflessione sul rapporto tra arte e

scienza: la simulazione della rappresentazione scientifica, con l’inserimento di

schemi e grafici, la simulazione del disturbo della visione, attraverso un disegno

abbreviato e oscuro, l’ipervisione, effetto degli sviluppi tecnologici

contemporanei. In mostra sono esposti 24 disegni (tra cui un trittico composto

da tre fogli) in cui l’artista concilia disegno oggettivo e soggettivo per

evidenziare la relazione tra rappresentazione artistica e conoscenze

scientifiche. Alcune delle opere, realizzate su carta a matita, carboncino,

pastello, acquerello e acrilico diluito, sono disposte su basi inclinate, in

continuità con la logica espositiva del Gabinetto dei disegni, del quale è

presente a Capodimonte un esempio tra i più ricchi e prestigiosi in Italia. Infine,

il grande trittico che completa l’allestimento è dedicato all’accecamento inteso

come caduta fisica e simbolica, del quale l’artista coglie le diverse fasi:

abbandono, percezione della caduta, tentativo di rialzarsi.

Nel video presente in mostra, Bolognino illustra così il suo lavoro: “Tutte le volte che

sto per iniziare un nuovo progetto, parto sempre dalla creazione di un archivio di

immagini. Mi servo del computer, della ricerca di immagini, per sviluppare una sorta

di archivio digitale di riferimenti. Da questo archivio di immagini, parto poi nella

costruzione del mio immaginario. Questa costruzione non può prescindere dal

“fare”. La mano diventa a quel punto uno strumento che, andando a braccetto con

l'occhio, costruisce un panorama, un paesaggio di figure, segni e livelli che

dialogano tra di loro e costantemente si sovrappongono e si confondono. Questa

tecnica mi permette di donare quella sensazione di movimento che nelle mie

immagini è cosi presente”.

Poi relativamente a questa mostra dice: “Cecità, accecamento e oltraggio: questi

sono i temi su cui ho lavorato per lo sviluppo di questa mostra. Il tema della cecità fa

parte della mia ricerca artistica ormai da molto tempo. Intendo infatti il disegno,

come un tuffo nell'invisibilità. Un cercare di tracciare un sentiero all'interno di una

caverna buia. L'accecamento invece si riferisce ad un graduale processo di perdita

della vista. Mi sono interrogato infatti, sulle diverse e numerose problematiche della

vista umana e ho cercato di sviluppare, a partire da quelle, una nuova visione che

potesse comprenderle, traducendole nella forma del disegno. Il termine oltraggio, in

passato, indicava semplicemente un eccesso di azione, un andare oltre qualcosa, e

lo troviamo con quest'accezione anche in Dante, come eccesso di visione, come

luce che acceca. Dal mio punto di vista l'eccesso di visione proviene invece dalla

sovrabbondanza di immagini e di sguardi a cui siamo costantemente esposti e

sottoposti. Ho provato quindi a mettere insieme quest’oltraggio della visione con la

tematica della cecità”.

“Con questa mostra mettiamo a confronto un grande maestro del passato come

Brueghel e un giovane artista napoletano come Bolognino e mettiamo a confronto

due diversi linguaggi artistici: la pittura e il disegno contemporaneo. Il rapporto tra

arte e scienza rimane comune nella favola di Bruegel e nella ricerca di Andrea

Bolognino. Lo sguardo, la vista, l'occhio sono da sempre un tema centrale delle arti

visive. La mostra ‘Cecità, accecamento, oltraggio’, interpreta profondamente il

format "Incontri sensibili", ponendo in dialogo la contemporaneità e la collezione

storica di Capodimonte” afferma il direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte

Sylvain Bellenger. Il progetto di allestimento della mostra è di Lucio Turchetta, la

progettazione grafica di Francesco Giordano.


o

Indizi di Design

Dettagli che (di)segnano il percorso creativo nel e del tempo

Non si tratta sempre di evoluzione ma, piuttosto, di stili appartenenti ad un determinato (e talvolta determinante) periodo.

Certe caratteristiche andrebbero riprese e ricontestualizzate nell’epoca attuale, integrandole con i progressi svolti.

Percettibile il grande entusiasmo ogni volta che si (ri)presenta il Salone ‘Auto e Moto d’Epoca’. Solitamente alle fiere si va

per cogliere l’innovazione, qui ci si ritorna con lo sguardo (forse nostalgico) rivolto verso il passato e nella direzione degli

anni più generosi per l’aspetto progettuale, quando molto era ancora da inventare


Vizi e Virtù

La simbologia interpretata da Giotto

Alla Cappella degli Scrovegni, magnifico luogo d’incanto e di pace, di arte e storia, Giotto contrappone (come percorso di salvezza) davanti al

Giudizio Universale, verso l’Inferno - i Vizi (a sinistra) e verso il Paradiso: le Virtù (a destra) - sette di qua e sette di là:

Stoltezza - Prudenza

Incertezza - Fortezza

Ira - Temperanza

Ingiustizia - Giustizia

Infedeltà - Fede

Invidia - Carità

Disperazione - Speranza


Infinity Mirror Rooms

Yayoi Kusama at the Tate Modern Gallery

A full immersion into the Kusama’s emotional World - towards Infinity

Perdersi per ritrovarsi - Yayoi Kusama alla Tate Modern - essere uno di quei punti nell’Universo


Grande attesa per l’interessante e particolare rappresentazione teatrale di Andrea De Rosa, il 5 e 6 febbraio 2022 presso il

Teatro Tor di Nona di Roma.

“Interessante e particolare”, per vari motivi: perché è uno spettacolo che racconta una storia che potrebbe sembrare surreale,

vista l’ambientazione in cui essa si svolge, un coffeshop appunto, ad Amsterdam, lontani chilometri e chilometri dalla propria

casa, dove si incontrano un avvocato italiano che vuole sfuggire ai problemi quotidiani, a sua moglie, ed una prostituta; i due

iniziano a parlarsi ed a sfogarsi tra sostanze allucinogene che sembrano sottrarli alla realtà, ma che, invece, nella realtà li

riporteranno, certamente cambiati, depurati interiormente, grazie alla comparsa di un Jolly … Come? Beh come e cosa

succederà dovremo andare a vederlo di persona nelle serate!

E’ “interessante e particolare” anche per un altro motivo: tutto lo spettacolo è stato concepito, scritto, portato in scena, diretto dal

nostro amico Andrea De Rosa che, oltre a tutto ciò, interpreta il personaggio del Jolly, personaggio chiave, che continua a

dirigere, all’interno della storia gli altri due personaggi interpretati rispettivamente da Luis Molteni e Flavia Martino.

In tale lavoro, Andrea ha dimostrato di essere tutto: autore, regista, attore … insomma, un vero e proprio “artigiano dell’Arte” a

360°; allora abbiamo deciso di scambiare due chiacchiere con lui per saperne un po’ di più.


TuttoBallo

Ciao Andrea e grazie per aver accettato di scambiare qualche

chiacchiera con noi. Grande attesa, dunque, per il tuo debutto a

Roma, con questo spettacolo tutto tuo. Abbiamo accennato,

velocemente, alla trama di “Coffeshop”; a cosa ti sei ispirato

scrivendo una storia così particolare, importante nel suo

significato e, soprattutto, cosa ti ha ispirato il “Jolly” che tu

stesso interpreti?

Stavo leggendo un libro dal titolo “L’enigma del solitario” di Jostein

Gaarder. L’ho richiuso e sono rimasto qualche secondo a fissare la

figura sulla copertina: un Jolly. Istintivamente ho pensato a questa

carta che prende vita, si fa uomo… e appare sotto forma di

allucinazione a due persone che fumano “per dimenticare”… dentro

un Coffeeshop di Amsterdam: una prostituta triste e un avvocato in

fuga dalla moglie… Non ti dico nient’altro…

Ti ho definito un autentico “artigiano dell’Arte” perché questo

spettacolo è una “creatura “tutta tua, che hai seguito ed

accompagnato, dal punto di vista artistico, dal momento in cui è

stata concepita, sino a quando sarà rappresentata (e

sicuramente applaudita ed ammirata!). Cosa ha significato per te,

più fatica nel dover ricoprire ruoli diversi contemporaneamente

(autore, regista, attore) o più emozione?

Più o meno tutte e due le cose... Per essere precisi: da un lato si

sente il peso della responsabilità, perchè hai più situazioni da gestire,

ma allo stesso tempo senti la libertà di poterlo fare a modo tuo,

mettendoci dentro qualcosa che vuoi raccontare...e il risultato finale

sarà, nel bene e nel male, figlio tuo.

Torneresti a fare cinema? Se si, quale trama e quale ruolo

immagineresti in questo momento per te?

In questo momento non ho un ruolo specifico che sogno di

fare...l'importante per me è farne sempre uno nuovo, cercando di

evitare di riciclare quelli del passato... infatti a maggio torno al

cinema... e sarò in un thriller a episodi, un ruolo inedito...almeno per

me...

Ultima, ma fondamentale domanda: cosa significa per Andrea

recitare?

Cercare di essere utile a qualcuno facendo qualcosa che senti come

una vocazione... e farla, quindi, con spirito di servizio. noi di

Tuttoballo, come promesso, saremo in prima fila ad applaudirti e poi

… solita trattoria… Che ne dici?

Scoppiamo entrambe a ridere, acconsentendo con un occhiolino….


GIORDANO VANONE

E

CATIA ANTONIOLI


Giordano Vanone e Catia Antonioli

sono una coppia nella vita e nella danza.

Nella loro lunga carriera professionale ed

artistica sono stati insegnanti di

moltissimi campioni di danza nazionali e

mondiali. Top Dance nel corso degli anni

è stato un brand di successo e qualità.

Giordano e Catia, come vi siete

conosciuti? Tra di voi è nato prima

l’amore o il ballo?

Dopo essere ritornato dalla Germania,

nel 1985 andavo a Venezia a prepararmi

per poter diventare un maestro di ballo

con riconoscimento AMB; è stato

proprio lì che il maestro Rolando mi

propose un talento del ballo italiano che

all'epoca era campionessa CISBA. A

questa sua offerta non potevo mancare,

pertanto, presi appuntamento nel

dicembre del 1986, presso la scuola di

Rolando a Venezia con Catia. A questo

punto direi che l'amore per il ballo è nato

per primo e poi tutto il resto ha fatto il

suo percorso.

Per quanti anni avete ballato insieme?

Abbiamo trascorso un anno di intensa

preparazione con vari maestri inglesi e

tedeschi di fama internazionale e poi ci

siamo dedicati alle gare per ben 6 anni

fino che una embolia polmonare, nel

1993, a malincuore mi ha indotto

concludere la mia carriera da

competitore professionista

Qual è la gara che vi è rimasta

maggiormente nel cuore?

Catia: Senz’altro Blackpool la gara per

eccellenza per la sua maestosità e

atmosfera. Seguita subito dopo

dall’International; solo entrare al Royal

Albert Hall ti faceva sentire speciale

E quella più negativa?

Giordano: non penso che ci siano gare

negative ma bensì più sofferte.

Senz'altro i campionati italiani

professionisti dove, per la prima volta, ho

notato che la politica aveva la sua forza.

Secondo voi, nel corso di questi anni

come è cambiato il ballo?

Giordano: secondo me, come in tutte le

cose, c'è un'evoluzione sia positiva sia

negativa. L'importante è perfezionarsi

durante il tragitto, correggendo i propri

errori per poi trovare un giusto

bilanciamento.

Vanone Giordano e Paul Holmes.


Voi girate il mondo, tra lezioni e gare. Come è percepita la

cultura del ballo negli altri paesi.

Giordano: il ballo segue di pari passo la cultura del proprio

Paese, della propria Regione .

Ad esempio in America del Nord il ballo è concepito come

educazione del corpo; in America del Sud è espressione del

corpo, senza regole, ma dove domina la spntaneità;

in Russia la danza classica è punto di riferimento, dove regole

chiare, duro lavoro, disciplina sono fondamentali per una buona

riuscita. In Asia il ballo è forma artistica basata sulla flessibilità

sul rispetto e disciplina e, soprattutto confronto; in Europa si è,

invece, più legati alla tradizione.

Secondo voi, perché in Italia la danza è considerata la

cenerentola di tutte le arti e ora anche dello sport?

Giordano: non penso che la danza sia considerata la

Cenerentola di tutte le arti ma è sempre stata vista più come

divertimento che come un’attività di carriera.

Voi, siete insegnanti internazionali, molte delle vostre

coppie sono diventate campioni del mondo. Come si

individua un potenziale campione?

Giordano: individuare un campione non è certo facile,

nonostante l'esperienza che una persona possa avere, perché

sono molti i fattori che giocano un ruolo importante ma

certamente l'individualità e la naturalezza hanno un ruolo

fondamentale

Chiunque può diventare Campione?

Giordano: intanto facciamo la differenza fra campione e il

campione. Sì, penso che chiunque possa diventare campione

con grande impegno e costanza, poi diventare il campione unico

ed irripetibile non è certo facile

Quali caratteristiche deve avere un ballerino?

Penso che ognuno di noi è particolare, pertanto penso che sia

fondamentale che ognuno di noi esprima con il corpo il proprio

modo di sentire la musica dando forma alla propria espressione

Giordano, alla luce dei cambiamenti che si stanno

verificando, quale futuro avrà la danza italiana?

Spero che l'Italia abbia la forza di poter unire i propri

professionisti e atleti perché sarà questo a decidere le sorti nella

danza italiana

La politica internazionale del ballo in quale direzione sta

andando?

Spero che il mondo della politica e il mondo del ballo trovino un

modo per dialogare e arrivare a dei compromessi come marito e

moglie…


Caro Mario benvenuto! Facciamo conoscere al meglio la tua persona partendo,come sempre facciamo,dai tuoi esordi.

Raccontaci della tua infanzia e di come ti sei avvicinato alla Danza.

Sono nato a Montreal (Canada) , da genitori emigrati dall’Italia, dopo essere sopravvissuti alle persecuzioni razziali e per cercare

altre opportunità. I miei genitori hanno sempre danzato quickstep, foxtrot, valzer lento, tango , boogie woogie, e mia madre ha

interrotto una carriera di cantante a causa della situazione economica in cui si trovava. Ho studiato canto da piccolo e partecipato

a numerose esibizioni di canto, poi, ginnastica artistica ed in seguito danza. Dalla prima lezione ho capito che avrei voluto

studiare da professionista, comincando lo studio della danza classica e modernaa Torino, con Susanna Egrie Sara Acquarone,

poi alla Alvin Ailey School e Martha Graham School a New York.

I tuoi primi lavori. Quali ricordi conservi?

Da danzatore ho iniziato a Torino al Teatro Regio, poi, con Sara Acquarone, con gran parte delle compagnie di ricerca italiane,

in seguito con Momix e Lindsay Kemp Company.Come coreografo ho iniziato presentando i miei primi lavori ai concorsi Nazionali

e Internazionali di Coreografia, che mi hanno permesso di essere premiato a Londra, Parigi, ed iniziare le mie prime produzioni.

Ho iniziato ad essere invitato come coreografo dal M°Poliakov al Maggiodanza, poi al Teatro Regio di Torino, Parma, Cremona ed

ho cominciato un percorso creativo alla continua ricerca di nuovi contenuti, convinto di voler creare evento performativo tra danza,

canto, teatro, teatro-danza, tecnologia, verso un Teatro di Danza inclusivo e come evento comunicativo e linfa vitale per la

comprensione di concetti e sentimenti di interesse universale

Hai fatto tante creazioni per importanti nomi della Danza e Teatri. Tra questi la grande diva Carla Fracci…..

Sono alla continua ricerca di stimoli e mi interessa moltissimo l’esperienza professionale ed artistica degli Artisti con cui ho

collaborato e con cui lavorerò, in modo da poter scoprirla radice unica del talento, del modo unico che questi artisti sono in grado

di emanare dal proprio modo di danzare. Carla Fracci era ed è unica e con lei ho realizzato molte creazioni. Abbiamo avuto una

importante collaborazione creativa, unica ed irripetibile, come “Dio salvi la Regina “ al Teatro dell’Opera di Roma . Abbiamo avuto

una collaborazione stimolante, creativa, eccitante, unica, creando un Team creativo con il M°Beppe Menegatti e con il M°Ludovic

Party, e portando in scena numerose mie creazioni.

A Roma hai registrato sold out e primati continui con il tuo Schiaccianoci per il Balletto di Roma per oltre 10 anni. Quale

segreto?

La verità. Saper raccontare, evocare attraverso la danza tematiche di interesse universale in cui le persone possono riconoscersi

e poter ragionare, commuovendosi e ridendo. Un metodo compositivo che è caratteristico del mio modo di far Coreografia.

Oltre l'Italia anche grandi produzioni all'estero per importantissime compagnie, come il Ballet de France, il Teatro

dell'Opera di Stara Zagora, il Balletto di Sofia e anche New York...

Continuando il mio percorso artistico, sempre alla ricerca di nuovi modi espressivi , naturalmente cerco di essere sempre

stimolato da nuove avventure creative collaborando con teatri, Compagnie di Danza, Compagnie di Danza di Teatri d’Opera e,

così, ho continuato a creare nuove produzioni, spaziando dalla musica colta alla musica popolare, dalla musica classica alla

musica jazz, cercando nuove espressioni danzate, ispirandomi comunque a concetti espressi da Platone, Rudolf Von Laban,

sistemi compositivi ispirati a Cunningham, o a quelli legati alla video arte.

Oltre la tua attività di coreografo internazionale, sei da qualche anno anche docente presso l' AccademiaNazionale di

Danza di Roma. Come vivi questo ruolo nei confronti dei giovani con cui ti rapporti?

…Da quando ho iniziato il mio percorso professionale nella danza, ho cercato di sviluppare nel migliore dei modi il mio modo di

intendere l’Arte della Danza legato alla consapevolezza, alla tecnica, all’inclusione, al rispetto e alla massima libertà creativa .

Insegnare l’arte della coreografia è uno degli aspetti del mio percorso artistico in continua evoluzione e neanche io posso capire

dove potrà arrivare ed approdare perché ho sete di novità e scoperte che cerco di trasmettere agli studenti e ai danzatori

professionisti con cui lavoro. Studiate, cercate di apprendere al massimo ogni tipo di conoscenza tecnica per poi potervi

esprimere dopo aver nutrito il vostro sapere.

Progetti Futuri?

All’inizio del 2022 andrà in scena per la 150° replica il mio Ghetto in una nuova versione (Estero), visto il notevole successo che lo

accompagna e, di questo, sono grato al pubblico che riempie i Teatri in cui si rappresenta. Poi, in Maggio, ci sarà la “Prima” di

“Notre Dame de Paris”, prodotto dal Teatro dell’Opera di Stara Zagora con un cast eccezionale . In seguito due produzioni

italiane, nella seconda metà del 2022, legate alla letteratura ( di questo ne riparleremo).

Cosa rappresenta per te la Danza in una sola parola?

Il mio modo per esprimere l’Amore .


Dancer Carillodol

ph. Monica Irma Ricci

Make-up Mauri Menga


Dancer Carillodol /ph. Monica Irma Ricci /Make-up Mauri Menga


ELISA AMENDOLA

PH. Monica Irma Ricci

Makeup: Mauri Menga


Elisa Amendola è una giovane promessa

della danza. Romana, classe 2000 ha

iniziato a studiare danza all'età di 5 anni in

una scuola privata. A 14 ha preso una

decisione importante per la sua carriera e

ha deciso di continuare i suoi studi presso

l’accademia di balletto classico di Perm

(Russia).

Dopo il diploma, nel 2019 entra nel corpo

di ballo dell’Astra Roma Ballet diretta da

Diana Ferrara e partecipa a diverse

produzioni: Sulle punte e no,I tesori del

cuore, Dante sommo poeta in giro per

l’Italia.

Dalla collaborazione con i colleghi Kevin

Arduini e Fausto Paparozzi, che ricoprono

il ruolo di direttori artistici, nasce la

compagnia Danza d’Autore. La compagnia

al suo esordio ha portato in scena “Il

Poeta libero”, uno spettacolo omaggio a

Fabrizio De André interamente realizzato

con le sue musiche.

Frequenta il corso universitario di

Mediazione linguistica e in futuro il suo

sogno è portare avanti questo lavoro e la

danza, senza rinunciare e nessuno dei

due sogni.

Elisa è una persona molto dolce e

determinata e come consiglio a chi vuole

intraprendere il mestiere di ballerino è

credere in se stessi e nelle proprie

potenzialità e di affidarsi a un buon

insegnante. Il mondo della danza è molto

duro, tanti sono gli ostacoli ma è convinta

che l’arma vincente è puntare e credere

su se stessi, perchè così si è già a metà

dell’opera.


PH. Monica Irma Ricci

Dancer: Giorgia Montepaone

Alessandro Scavella

Makeup: Mauri Menga

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Giorgia Montepaone nasce a Genzano di Roma nel 1994, si

avvicino alla danza moderna all’età di 7 anni e alla danza

classica all’età di 10 e inizia a danzare ad Anzio, dove vive.. Nel

2009 tramite una borsa di studio inizia a studiare alla scuola del

Teatro Greco Dance Studio di Roma, dove approfondisce gli

studi della danza classica, contemporanea e jazz. Dal 2014

frequenta il Triennio Classico all’Accademia Nazionale di Danza

di Roma dove nel 2018 consegue la Laurea Triennale di I livello

in Discipline Coreutiche indirizzo Danza Classica. In questi anni

ha l’opportunità di studiare con importanti maestri e coreografi e

di partecipare ad eventi e spettacoli. Nell’anno 2018/2019 lavora

in quattro produzioni della compagnia Astra Roma Ballet diretta

dall’Etoile internazionale Diana Ferrara: - Serata di Gala “Sulle

punte e no” dove interpreta la bambola nel passo a due Muñecos

del coreografo Alberto Mėndez; - il personaggio di Papagena ne

Il Flauto Magico e la Gazza ne La gazza ladra entrambe

creazioni del coreografo Paolo Arcangeli; - I tesori del cuore, in

stile neoclassico, della violinista Anyla Kraja con musica dal vivo.

Molti sono gli spettacoli e i festival ai quali partecipa sia in Italia

che all’estero come all’Auditòrio Fernando Lopes – Graça ad

Almada in Portogallo; o anche al Théâtre Régional d’Oran e al

Sala Ibn Zeydoun di Algeri in Algeria. Per citarne alcuni. Nel

2020 lavora come ballerina nel corpo di ballo dello State Opera

Stara Zagora in Bulgaria dove danza nel balletto di repertorio

Chopiniana nel teatro dell’opera stessa. Nell’anno 2020/2021

inizia il Biennio specialistico per l’insegnamento all’Accademia

Nazionale di Danza di Roma per conseguire la Laurea di II livello

in Didattica delle discipline coreutiche indirizzo Danza

Classica.Lavora inoltre nella nuova tournée estiva della

compagnia Astra Roma Ballet con la nuova produzione Dante,

sommo Poeta.

Parallelamente ha partecipato come danzatrice a produzioni

cinematografiche come:

- la serie TV Medici: Masters of Florence 2 regia di Jon Cassar

con le coreografie di Gianni Santucci,

- The start up – Accendi il tuo futuro regia di Alessandro D’Alatri,

- la serie TV Rai Carosello Carosone regia di Lucio Pellegrini,

nonché la più recente produzione Walt Disney ancora in uscita,

con la Compagnia Nazionale di Danza Storica di Nino Graziano

Luca


Alessandro Scavella, ha 25 anni e vive a Roma. Sin da piccolo

ha iniziato a muovere i primi passi di danza e appena ascoltava

una musica cercava di accompagnarla attraverso dei movimenti

che spontaneamente prendevano forma e creava una piccola

coreografia. Tutto è nato che aveva solo 6 anni quando, nelle

spensierate giornate delle vacanze estive, partecipava entusiasta

ai balli di gruppo che si organizzano sulla spiaggia e così i genitori

lo iscrissero ad una scuola di danza. I primi anni di studio sono

stati caratterizzati più che altro dal gioco; considerava le lezioni

come un passatempo e come una distrazione dai compiti

scolastici, però bisogna riflettere sul fatto che tutto quel tempo

trascorso a relazionare assieme ad altri bambini e poi adolescenti

ha contribuito a farlo diventare la persona socievole, educata e

disciplinata che è oggi. Tutto questo è andato avanti sino ai 14

anni quando ha sentito che quel passatempo stava diventando

una vera e propria passione, soprattutto per quanto riguarda gli

stili classico e contemporaneo. Non resisteva più di un paio d’ore

davanti ai libri di scuola ma poteva rimanere anche mezza

giornata a scuola di danza allenandosi sia fisicamente, prendendo

parte alle lezioni, che mentalmente, osservando altri insegnanti e

assorbendo come una spugna le correzioni che indicavano agli

altri allievi per poi metterle in pratica. Sino alla maggiore età sono

stati anni molto difficili, ha sempre cercato di osservare e studiare

con gli allievi dei corsi più grandi per rincorrere e raggiungere al

più presto il loro livello, ma ciò ha richiesto molti sacrifici. Spesso

ha dovuto rinunciare alle uscite con gli amici per recuperare i

compiti e lo studio arretrato; raramente i suoi genitori potevano

comprargli ciò che desiderava perché già si occupavano della

scuola di danza. Ha frequentato il Centro Danza Kiki Urbani

diretto dal maestro Giuseppe Urbani e poi il Centro Danza Fausta

Spada a Roma, che per lui è stato e continua ad essere una

grande famiglia alla quale rimarrà sempre legato.

Successivamente è stato ammesso alla Scuola di Danza del

Teatro dell’Opera di Roma ed ha perfezionato i suoi studi

soprattutto con il maestro Denis Ganio, Etoile del Teatro

dell’Opera di Parigi. Sono poi iniziati gli anni delle audizioni e del

lavoro che gli hanno permesso di viaggiare davvero molto per

tutta l’Italia ma anche all’estero in Spagna e in Germania. Nel

2018 ha preso parte alle produzioni del Balletto di Siena diretto da

Marco Batti ballando ne “Il Lago dei Cigni” e “Notre Dame de

Parìs”.Nel 2020 è stato finalista del prestigioso concorso “Premio

Roma Danza” prendendo parte all’opera “Happy Goodnight To

You” di Giada Primiano. Nel 2021 ha collaborato con la

compagnia “Almatanz” diretta da Luigi Martelletta ed ha preso

parte alle produzioni dell’“Art Dance Theatre” diretto da Franco

Franchi e Gloria Imperi ballando in “Carmina Burana” e “Bolero”

con le coreografie di Tuccio Rigano. Ha partecipato a numerosi

Galà di danza nazionali ed internazionali come ballerino solista e

ha collaborato con numerose scuole di danza in tutta Italia sia

come insegnante che come ballerino ospite. Dal 2019 ad oggi è

un ballerino solista della compagnia “Astra Roma Ballet” diretta

dall’Etoile del Teatro dell’Opera di Roma Diana Ferrara,

prendendo parte alle produzioni “La Gazza Ladra”, “I Tesori del

Cuore”, “Dante Sommo Poeta”.


La fotografia come terapia o scopo

esistenziale

Davide Bilancia

Fotografare non è solo cogliere un'immagine.

Avvicinarsi alla fotografia e fotografare è un atto d'aiuto per se stessi.

Non per forza mi impongo di pubblicare o sovraprodurre immagini, né sono legato

alla concezione di successo.

Molti fotografi rimangono nel buio come Vivian Maier, divenuta famosa anni dopo

la sua morte.

Fotografare è la ricerca del sé più autentico, per cercare e prendere, cogliere, le

immagini che più ci cercano a loro volta. È un disegno del destino che talvolta ci

pare di vedere.

Ferdinando Scianna dice che il fotografo guarda e talvolta vede qualcosa.

La mente, l'anima, l'inconscio usano e vivono di immagini e spesso sento dentro

me che è come se fossi distaccato dal resto del mio essere.

Qualcuno ha detto che è come se io fossi un tutt'uno con la macchina fotografica

ed è vero, è un'affermazione che sento particolarmente mia.

Si ricerca affinità con il destino, con se stessi, mediante la fotografia.

Le immagini non sono tutte buone nel senso che non sono tutte utili alla

pubblicazione o a diventare opere d'arte o ad essere esposte; bensì credo,

vivendolo, che un fotografo debba prima ricercare se stesso nelle immagini che

cerca attivamente o attira a sé e, per questo, dico che è la mia vocazione, il mio

mantra, il mio credo più profondo.

Spesso mi pare che l'immagine e l'impressione percettiva di essa io l'abbia già

dentro e, nel momento in cui avvicino la macchina fotografica all'occhio, succeda

qualcosa dentro di me, e nello stesso momento premo il pulsante che aziona

l'otturatore e qualcosa di magico accade.

Quell'immagine catturata resta per sempre nella mia memoria ed alla fine, solo alla

fine, avrò il quadro completo della mia esistenza, poiché ciò che faccio è stare nel

cammino esistenziale raccogliendo delle impressioni vitali quando lo sento dentro.

Fotografare mi porta a crescere coltivando la mia essenza, nutrendola di immagini

affini.

Questo percorso comporta gioia e presenza in qualcosa che esiste ma non lo

senti.

Il rapporto tra me e la fotografia è simbiotico e, talvolta, umanamente distaccato

nel senso che mi affido agli astri alle sensazioni alle premonizioni al sapere innato

del mio inconscio che mi guida facendone strada lungo il percorso al quale sono

destinato.

È pura magia. È inspiegabile poiché vivo.

Sento l'essenza della mia anima nel momento in cui il mio essere si allinea con

l'universo. Non sento errori né fallimenti, percepisco l'esperienza vitale.

Non mi importa di diventare qualcuno o qualcosa di cui poter parlare; la fotografia

è intima, è la materia più importante che ho, tant'è che questo lato di me è

nascosto nel buio, al sicuro, come un seme nella terra che si prepara a

germogliare.

Qualunque sia la vostra arte, vivetela.

Create e distruggete ogni volta, anche gli stessi strumenti di lavoro o le vostre tele

o parole che siano esse in musica o in qualche quaderno riposto nei cassetti.

Nella vita non c'è una soluzione o una risoluzione, c'è un processo e questo è il

mio, la fotografia.


Cosa ci insegna il Tango a proposito dell’amore? Indubbiamente i testi di tango sono lo specchio di una vera e propria filosofia

popolare sulla vita e molti di essi affrontano questo sentimento imprescindibile per l’essere umano con diverse declinazioni. Se

l’amore non viene espressamente menzionato in una canzone, non si può dire che nel testo sia assente un contenuto amoroso,

quindi potremmo dire che l’80% dei brani di Tango parla d’amore.

La storia del Tango, le sue origini e le biografie delle persone che lo fecero, ci spiegano come poeti e parolieri di questo mondo

si siano concentrati su tre domande principali: “Che cosa è l’amore?”, “Perché si soffre così tanto per amore?” e “Come si

gestisce?”. Un primo risultato di tanta dedizione nel comprendere e descrivere questo tema così complesso, risiede nella

raccolta di testi scritti per il Tango in più di un secolo di vita, una sorta di compendio sull’amore sparso in decine di migliaia di

versi.

La metafora è lo strumento principale per approcciare l’amore. Questa tecnica è comune nel mondo anglosassone come in

quello ispano-americano; pertanto, questo sentimento viene spesso accostato ad un “nutrimento” che porta le persone ad

avvertirlo come una necessità (“Estaba sedienta de amor”; “Esta relación no me llena totalmente”), o come l’unione di due parti

complementari, secondo un’accezione occidentale di stampo platonico (“Estamos hechos el uno para el otro”; “Es mi media

naranja”; “Ella y yo somos uno”) che conduce l’essere umano a concepire l’amore come uno stato idilliaco e di armonia perfetta.

Ancora, le lingue europee descrivono l’amore come un fluido con la capacità di impregnare totalmente qualcuno (“Estoy lleno de

amor”; “Esta relación no me llena del todo”).

Nei testi di Tango si incontrato tutte queste metafore, ma il Tango va anche oltre, costruendo nuove e peculiari immagini che

vanno ad arricchire la visione filosofica e psicologica dell’amore.

Secondo il Tango, ad esempio, l’amore è un palazzo (“El amor es un castillo”; “El palacio de mis sueños”; “Construyamos entre

los dos un nuevo mundo”), un luogo che ci protegge dal mondo esteriore (“Volvamos a nuestro nido”) e dove possiamo

ubriacarci (“Tu boca que embriaga”; “La vida es corta y hay que vivirla, dejando a un lado la realidad”), una magia (“Me encanta

esa mujer, está encantada”) che a volte riesce a stregarci o condurci alla follia (“Tus ojos que hechizan, y que perturban mi

razón”; “La enfermedad del amor”). Ma l’amore è anche veleno (“decí, ¡por Dios!, ¿qué me has dao?”; “¡sírveme en la copa

rota!, quiero sangrar, gota a gota, el veneno de su amor”; “en sus pupilas guarda el veneno de la pasión”), una luce che ci

illumina e può essere una guida nel cammino della vita, così come un miraggio (“Mentíme al oído la fábula dulce, de un mundo

querido, soñado y mejor”). Infine, l’amore viene spesso accostato ad un essere vivente in grado di nutrirsi, crescere, svilupparsi,

maturare, ammalarsi e morire, oppure ad un paradiso fragile come una bolla di sapone (“más frágil que el cristal fue mi amor

junto a ti… cristal tu corazón, tu mirar, tu reír… Ya nunca volveré, lo sé bien, nunca más, tal vez me esperarás, junto a Dios,

más allá”).

Le cause dell’amore sono spesso ricorrenti nei testi di Tango e fanno riferimento ad elementi “feticisti” che sono presenti

all’inizio stesso di molti amori: il sorriso, gli occhi, i capelli, le labbra, la pelle (“Vi en tus ojos, un mundo de ilusiones

desconocido”). Molti tanghi attribuiscono l'amore al partner che ha gusti e modi di essere che l'amante apprezza, sebbene non

coincidano necessariamente con i propri; in altri casi si valuta che la persona amata sia complice del gioco della vita, che in

qualche modo ne esalta le capacità, coerentemente con la metafora dell'amore come lotta contro la vita. Molti altri tanghi

associano l'attrazione amorosa, non a cause esterne, ma ad una spinta interiore, di origine sconosciuta o sprannaturale (“Te

quiero, porque te quiero”; “Es insondable el modo de querernos, que se escapa a la razón de quien nos mira, es profundo y

tiene algo de eterno, como si hubiera recorrido muchas vidas”).


È evidente come le metafore del tango ci offrano una visione

enormemente ricca di cosa sia l'amore. Esse sono abbastanza lassiste

da descrivere tutti gli aspetti più importanti del fenomeno, quelli che ci

colpiscono di più, ma allo stesso tempo hanno una coerenza reciproca

relativamente alta, al punto da avere anche un interesse filosofico.

Il tango non si ferma alla descrizione di questo complesso fenomeno

che è l'amore, ma ci fornisce una serie di consigli utili per affrontare

questa complessità e sopravvivere. In particolare, raccomanda una

serie di atteggiamenti con i quali è possibile ottenere il meglio

dell'amore. Tra i tanti atteggiamenti consigliati, ce ne sono quattro che

spiccano perché coincidono con quelli che il tango suggerisce anche

per affrontare le durezze della vita: atteggiamento baudelairiano;

atteggiamento romantico; atteggiamento nietzschiano; atteggiamento

prospettico distaccato.

L'atteggiamento baudelairiano consisterebbe nel godere dell'ebbrezza

amorosa finché dura, essendo consapevoli della sua natura "artificiale"

e "volatile" e, quando per quella natura intrinsecamente volatile,

quell'ebbrezza si dissipa, si ritorna ad ubriacarsi ancora una volta con

un altro amore, con vino, con la musica, o con qualsiasi altro paradiso

artificiale. La felicità e l'euforia che derivano dall'essere intossicati dalla

passione sono ben descritte nel Tango “Cantemos corazón”.

L'atteggiamento romantico consisterebbe nel godere dell'espressione

dei sentimenti sopraffatti che l'amore e la vita mettono in gioco, e farne

un'opera d'arte. Ma, oltre a ciò, può essere anche fondamentale non

prestare attenzione agli altri e a ciò che diranno, e concentrarsi solo su

ciò che se stessi (e il partner amorevole) considerano eticamente ed

esteticamente prezioso.

L'atteggiamento nietzscheano consisterebbe nell'accettare la vita,

anche nei suoi aspetti più duri e instabili, e non solo nei suoi aspetti

positivi, perché entrambi gli aspetti non possono essere sezionati

senza che la vita scompaia. Alcuni tanghi dicono esattamente la

stessa cosa: “Yo nací para querer, aunque tenga que sufrir”, “Sufrir

por una mujer es la dicha de vivir”; in altre parole, vivere e soffrire

d'amore sono praticamente sinonimi e non possono essere separati:

“chi vuole vivere soffre”, dice un altro tango.

L'atteggiamento distaccato e prospettico consisterebbe nell'imparare a

cogliere la “doppia faccia” che hanno le cose. La realtà esterna non è

predefinita una volta per tutte, ma ha una certa ambiguità. E la

prospettiva che assume il soggetto davanti a sé è fondamentale per

dare un colore o l'altro, una tonalità finale o un'altra, a quella realtà.

Vorrei concludere con una bella frase di Silvio Rodriguez, che recita

così: “Que me tenga cuidado el amor, que le puedo cantar su canción”

(Che l’amore mi protegga, che possa cantargli la sua canzone).


TuttoBallo

Quanto manca a Carnevale? Beh, se a chiederlo e a rispondere sono due uruguaiani, in realtà il Carnevale sta per iniziare. Sì

perché a Montevideo dura quanto la Quaresima: 40 giorni, da fine gennaio a inizio marzo. E, soprattutto, 40 notti. E se credete che

quello di Rio de Janeiro sia festoso e colorato, allora vale la pena conoscere anche quello del piccolo e troppo spesso sconosciuto

paese incastonato proprio tra Brasile e Argentina.

Anche in Uruguay, come in tutto il mondo, il Carnevale è momento di rovesciamento, il giorno in cui i subalterni possono liberarsi

simbolicamente del loro giogo e sbeffeggiare i padroni, il giorno in cui è concesso tutto. A Montevideo il Carnevale è principalmente

una lunga competizione tra gruppi di murgas.

Immaginatevi una città tappezzata di tablados, piccoli palchi dagli assi di legno montati in ogni quartiere dove si avvicendano più

gruppi amatoriali nella stessa sera. Per quaranta giorni. Appunto, le murgas. Una murga è una banda amatoriale di strada

rappresentante solitamente un quartiere della città e composto da diciassette membri, rigorosamente: tredici cantanti, un

direttore/solista e tre percussionisti, con i loro tamburi di diverse dimensioni, bombo, platillo e redoblante. Tutti sono truccati e

mascherati, in uno stile che ricorda le maschere veneziane ma deformate in versione ironica e satirica.

L’origine di questo stile di festeggiare (perché se è vero che il periodo centrale è quello del Carnevale, è altrettanto vero che le

murgas fanno pratica tutto l’anno e, le più conosciute, si esibiscono in occasioni particolari, sempre festose) è spagnolo e si deve a

un gruppo musicale andaluso che a inizio ‘900 arrivò in Uruguay per esibirsi, ‘La Gaditana’. Essendo i locali delle esibizioni troppo

piccoli o particolarmente alta la richiesta da parte del pubblico o, al contrario, troppo scarsa, la banda prese a suonare girando per le

strade della città. Dall’anno successivo un primo gruppo amatoriale volle omaggiare e parodiare gli spagnoli creando ‘La murga La

Gaditana que se va’; da lì in poi nacquero tantissimi gruppi di murga, sempre con l’intento parodistico e sempre con nomi che già

rendono idea del clima: ‘Los Domadores de Suegras’ (I Domatori di Suocere), ‘Salimos por No Quedarnos a Casa’ (Usciti per Non

Starcene in Casa), ‘Tírame la Punta del Naso’ (Tira la Punta del Naso) e molti altri. Lo stile della murga è rimasto questo: parodiare,

parodiare tutto: il potere, la società, i fatti principali accaduti nell’anno… tutto. Perché a Carnevale vale tutto e tutto si può.

Alla murga si affianca il candombé, o candombe, un ballo frenetico e festoso, una danza-lotta in stile capoeira, di origine africana.

Ma l’Uruguay che cosa c’entra? Siamo abituati a conoscerlo come un paese di immigrati europei, una seconda casa per gli italiani,

al pari dell’Argentina, una sorta di avamposto della cultura europea in America meridionale… E invece la cultura africana è molto

presente in Uruguay, specialmente nel settore musicale.

Anche sulle sponde del Rio de la Plata sono arrivate navi spagnole cariche di deportati africani, ovviamente, ma è il 1852 quando

l’Uruguay abolisce la schiavitù, giusto una quarantina d’anni prima che lo stesso avvenga in Brasile (1888) e in anticipo anche

rispetto ad altre ex colonie spagnole. Questo fa sì che molti schiavi che riuscivano a fuggire o molti afro-americani che non erano

più formalmente schiavi ma non godevano ancora dei pieni diritti di cittadinanza cercassero di raggiungere l’Uruguay.


TuttoBallo

Lì sarebbero stati semplicemente dei cittadini. Ecco uno dei motivi principali della forte presenza di afroamericani in Uruguay

rispetto, ad esempio, all’Argentina. Ovviamente, come tutti gli esseri umani che si spostano, anch’essi portarono con sé il proprio

bagaglio culturale che, naturalmente, comprendeva anche la musica. E questo seme cresce in luoghi specifici, gli unici dove

potessero vivere degli ex schiavi, ovvero i conventillos. Un conventillo non è altro che un intero edificio a più piani con dei ballatoi

che si affacciano su uno o più cortili interni. Ogni piano è composto da più appartamenti, generalmente formati da una o due

stanze e sempre senza bagno, che è in comune giù in cortile. In Italia c’è stato qualcosa di simile nelle città del nord, soprattutto

Milano e Torino, con le cosiddette “case di ringhiera”, e proprio come quelle, anche i conventillos erano destinati a immigrati o,

appunto, ex schiavi. È in uno di questi conventillos, precisamente nel ‘Medio Mundo’, in calle Cuareim 1080, a Montevideo, che

viene storicamente datata la nascita del candombé uruguaiano.

A differenza della murga, il candombé ha un’intensità di satira e di rovesciamento sociale minore, per quanto comunque presente;

si concentra di più sull’aspetto festoso, essendo una rievocazione dell’incoronazione dei Re dell’antico Congo prima e dei Re Magi

poi. Come la murga, anche il candombé ha una sua struttura piuttosto rigida: ogni comparsa, ossia ogni gruppo, è composto dalle

maschere storiche della tradizione africana: La Mama Vieja, ossia la donna regina del Carnevale, che rappresenta la saggezza, il

rispetto per l’anzianità e l’importanza della linea matriarcale nelle culture africane; El Gramillero, ossia lo stregone, a

rappresentare il rispetto per l’anzianità e la vita tribale, quindi ancora una volta il legame con la tradizione africana; El Escobero,

ossia colui che, bastone o scopa alla mano, in passato apriva, guidava e chiudeva la comparsa, rappresentando l’uomo, il

guerriero della tribù: infatti si scontrava a duello con El Escobero di un’altra comparsa cercando di farlo cadere ballando e

agitando la scopa. A queste maschere si aggiungono un nutrito corpo di ballo e un minimo di cinquanta suonatori di tambores, che

sono di tre dimensioni: in ordine crescente, chico, repique e piano. Ogni tipologia di tamburo ha un suo modo di essere suonato,

un proprio ruolo all’interno della musica e, soprattutto, ogni comparsa ha il proprio stile e il proprio ritmo in rappresentanza di ogni

quartiere della città, senza distinzione di ceto; ogni quartiere ha la propria comparsa. Partendo da diversi angoli dei tradizionali

quartieri cittadini abitati da neri, iniziano le llamadas, le ‘chiamate’: le corde dei tamburi vengono “tirate” al calore del fuoco e i

tamburi cominciano a dialogare per preparare il pubblico e poi partire in sfilata insieme ai ballerini chiamando, appunto, la gente a

unirsi alla festa. Tutte le comparsas si radunano poi nello stesso punto per la sfilata congiunta, che in realtà è una gara a ritmo

tribale, tra tamburi impazziti e balli scatenati che richiamano la trance delle musiche tradizionali africane. Una

ricchezzariconosciuta anche dall’UNESCO, che ha decretato il candombé Patrimonio immateriale dell’Umanità.

Con la murga e la sua satira scherzosa e dissacrante, il candombé e la sua festosità sfrenata, il Carnevale uruguaiano è una vera

occasione di gioia, leggerezza e divertimento per tutta una comunità, una città e un intero paese.

David Iori

traduttore ispanoamericano e portoghese

www.ilcontaconti.wordpress.com


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Mi chiamo Martina Bruzzone, ho 31 anni e vivo a Genova. La mia passione? ... la fotografia! ...una passione che è entrata nella

mia vita fin da piccola e che a poco a poco ha preso mano, o meglio si è fatta spazio giorno dopo giorno, anno dopo anno. Da

bambina mi incuriosivano i particolari di tutto ciò che mi stava attorno, volevo poterli guardare e riguardare per "scoprirli" sempre

meglio ad ogni sguardo ... ero guidata dalla curiosità! È per il mio essere immensamente curiosa che ho iniziato con le vecchie

macchinette usa e getta; le portavo nelle gite scolastiche e in vacanza. Inizialmente fotografavo totalmente a caso, ma in fin dei

conti devo dire che quelle prime fotografie non erano poi così male. Crescendo la passione è cresciuta insieme a me; mi sono

comprata la prima macchina fotografica digitale compatta e dopo anni ho acquistato la mia prima Nikon reflex: per me

un’emozione unica ... la trattavo come il bene più prezioso che avessi mai avuto! Amavo fotografare ed amavo le fotografie che

realizzavo, ma osservandole provavo per ognuna una costante sensazione di insoddisfazione, sembrava mancasse qualcosa che

ne completasse il significato. Ho deciso di approfondire la tecnica fotografica, così mi sono iscritta a vari corsi di fotografia e a

gruppi fotografici; grazie a queste esperienze ho potuto imparare tutte le tecniche ed ho avuto preziosi consigli sull' inquadratura

scoprendo nuovi punti di vista che non avevo ancora considerato o messo in pratica. Sono state esperienze che mi hanno

arricchito molto soprattutto perché mi sono resa conto di quanto in realtà sia complesso il mondo della fotografia e quante cose

dovessi ancora imparare. Prima, quando mi approcciavo a fotografare, lo facevo seguendo l’istinto, ora stavo per tuffarmi a pieno

nel mondo della fotografia. Sono sempre stata attratta più dalla ritrattistica che dal paesaggio; per me la fotografia ha sempre

rappresentato il fermare un’istante, un momento, un ricordo, un’emozione; riprendere dopo anni un'istantanea doveva

rappresentare l'oggetto magico che fosse in grado di riportare alla memoria un attimo, far riaffiorare la stessa sensazione, forte ...

come un'onda che sembrava essersi allontanata per sempre, ma che tornava più irruenta e travolgente che mai. Fotografia dopo

fotografia ho voluto cogliere e portare nel tempo letture di storie, messaggi e sentimenti. Fotografo ritratti perché mi piace

immortalare le emozioni che la persona può trasmettere con il proprio corpo, con ogni suo gesto, con ogni piccolo elemento

espressivo, che sia un fascio di luce nello sguardo, una ruga più profonda o un sopracciglio più inarcato ...un sorriso celato. Tutto

nel volto umano contiene un profondo messaggio. Chi guarda le mie foto potrebbe dire che appaiono oltre un velo di tristezza: è

vero! Amo cogliere nelle persone la loro fragilità, quella parte che tendenzialmente tutti preferiamo non mostrare agli altri che però

è insita in ognuno di noi. Nel mondo di oggi è diffusa la tendenza a mostrarsi sempre felici e perfetti, ma la realtà non è così.

Tristezza, frustrazione, sofferenza e rabbia sono emozioni che ci accompagnano: non c’è niente di male nel provarle, l’importante

è conoscersi nel profondo per saperle affrontare. Vedo attorno a me le persone, le osservo oltre il primo sguardo cercando di

"leggerle" nel loro volto ed in base a ciò che percepisco penso quale tipo di foto posso far nascere, crescere e fissare. Non amo

cercare la persona adatta alla foto che vorrei scattare, sarebbe un prodotto sterile, sarebbe l'impoverimento del messaggio

fotografico. Guardo le mie foto e in alcune colgo imprecisioni nell' inquadratura o altre imperfezioni e le apprezzo perché

anch'esse rendono la mia fotografia semplicemente ciò che volevo realizzare, come fosse il racconto dell'animo umano, questo

avviene perché quando scatto, ancora oggi, non penso ad altro che a lasciarmi guidare da quell’istinto che mi accompagna da

sempre. Amo le fotografie ricche di storie e significati oltre l'apparire, un amore che sviluppo da anni, ma che non sento né

completo né certo; sento dopo ogni scatto il desiderio di scoprire altro, oltre altri volti ed altre vite: è una ricerca continua, appare

infinita... una ricerca che ormai fa parte di me, una spinta continua che ho dentro e che sarà la fedele compagna della mia vita.

bruzzo18@hotmail.t

Martina GeGe Bruzzone


FUSION&LOSA

Nuraghe ispirazione coreutica

foto di Luca di Bartolo

Testo Francesca Cara


www.lucadibartolo.it


L'intento di Luca Di Bartolo è di portare la danza in

tutte le sue forme nei luoghi di importanza storica e

paesaggistica della Sardegna, per promuoverne il

territorio e le arti coreutiche attraverso la libera

espressione artistica di danzatrici e danzatori

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Il complesso nuragico Losa si erge sull'altopiano basaltico nel territorio di Abbasanta; la sua struttura imponente è costituita da

un nuraghe trilobato risalente all'età del Bronzo medio, e da un antemurale più i resti di un villaggio di successiva costruzione.

Ha una storia millenaria, ha subito numerose trasformazioni, è testimone silenzioso del susseguirsi della storia. Nell'avvicinarsi

sembra un grande essere dormiente, si tende a centellinare le parole, ad attutire anche i suoni dei propri passi per non

svegliarlo. La scelta del luogo che ci avrebbe ospitato per una nuova tappa del Sardinia@dance di Luca Di Bartolo è ricaduta

su questa maestosa struttura.

L'intento di Luca Di Bartolo è di portare la danza in tutte le sue forme nei luoghi di importanza storica e paesaggistica della

Sardegna, per promuoverne il territorio e le arti coreutiche attraverso la libera espressione artistica di danzatrici e danzatori.

Prendere parte a questo progetto è stato per me un'esperienza preziosa; nel conoscerne i tratti distintivi mi sono rispecchiata

nei suoi propositi. Ho dato la mia disponibilità seguendo la mia curiosità, la mia voglia di sperimentare e di condividere con la

mia terra e la fotografia di Luca la forma d'arte alla quale mi dedico da tanti anni.

La fusion belly dance è uno stile nato recentemente negli Stati Uniti ma che vede i suoi sviluppi in tutto il mondo. E' frutto di

una fusione consapevole di vari stili di danza, principalmente danze orientali, flamenco e danze indiane, ed aperto a tante

altrettanto consapevoli contaminazioni guidate dall'esperienza di chi la sperimenta, con l'intento di lanciare un messaggio di

inclusione e solidarietà, è un invito all'abbattimento delle barriere culturali.

Portarla all'interno di un complesso nuragico è stata un'esperienza singolare: apparentemente distante da ciò ch'è stata la

cultura nuragica, nella mia personale visione questo stile coreutico è una commistione della storia del mondo che, un vecchio

patriarca dell'antica culla mediterranea come il nuraghe Losa, può facilmente accogliere ed accompagnare verso la sua futura

evoluzione. Con il maggior rispetto possibile abbiamo sperimentato questa unione inedita; le mie origini sarde, la sensibilità di

Luca, il suo sguardo delicato e attento, la sua preziosa accoglienza, la nostra inossidabile convinzione che anche ciò che

appare diametralmente opposto possa avere una storia in comune hanno fatto da robusto collante per quello che è stato poi il

risultato: un lavoro gratificante realizzato nella più totale serenità e armonia.

Il nuraghe Losa ha ascoltato la nostra arte, introducendoci nella sua storia e nelle sue più intime memorie, ingurgitandoci nelle

sue silenziose viscere, accogliendo per l'ennesima volta i cambiamenti del mondo, la fallibilità umana, la meraviglia e lo

stupore che accomunano gli artisti di ogni provenienza. Le sue mura basaltiche si confermano solido scrigno della nostra

storia, impenetrabile custode di tutto ciò che si nasconde tra le pieghe della nostra esistenza, sostegno solido per le nostre

fragilità.

Francesca Cara è danzatrice, coreografa e

insegnante di fusion belly dance, si forma e

lavora in Italia e in diversi paesi europei.

Si impegna in progetti che si dispiegano

abbracciando diversi ambiti, in percorsi di

contaminazione tra generi di danza e culture, e

di ricerca di nuove forme di espressione tra

danza e teatro.


NPOTY

Concorso fotografico.

Lascia parlare la natura

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Nature Photographer of the Year è un concorso di fotografia naturalistica che celebra la bellezza della fotografia naturalistica.

Al vincitore vanno € 3.000,- in contanti, oltre ad altri fantastici premi in denaro e fantastiche attrezzature fotografiche.

Partecipando al concorso di sostengono vari progetti di conservazione della natura. La cerimonia di premiazione si svolge

all'annuale Nature Talks Photo Festival. Per il 2022 il concorso è già iniziarto. Le iscrizioni termineranno domenica 29 maggio

2022 (23:59 CEST). Le immagini vincitrici vengono esposte in una mostra fotografica al festival e successivamente nei Paesi

Bassi, Belgio e Francia. Lascia parlare la natura! Tutte le infonmrazioni sono scritte nel sito del concorso:

https://naturephotographeroftheyear.com/enter-contest/npoty-2022/

Per l’anno 2021 il vincitore assoluto è stato il fotografo e guida di Levanger, Norvegia centrale Terje Kolaas con Migrazione

invernale. Lo stesso autore ha descritto così la foto: "Ho il privilegio di avere migliaia di oche dai piedi rosa letteralmente nel

mio giardino diversi mesi all'anno. Più di 80.000 fanno scalo qui nel sistema delle zone umide del fiordo di Trondheim durante il

viaggio tra i terreni di svernamento in Danimarca e Paesi Bassi e i terreni di riproduzione di Spitsbergen ogni primavera e in

autunno e l'intero scenario è semplicemente spettacolare. Li fotografo da più di 20 anni, e ad un certo punto ho esaurito le idee

e ho avuto la sensazione che «tutto» con le oche fosse già fatto. Così quello che ora?!"

NPOTY - 2021 Terje Kolaas con Migrazione invernale -


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VINCITORE RUNNER CATEGORIA BIANCO E NERO

Roie Galitz | Matrimonio in bianco

Tel Aviv, Israele.


L I B R I

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LA RAGAZZA FUGGITA DA AUSCHWITZ

Recensione di Paola Clerico

Rubrica a cura del blog

"Il COLORE DEI LIBRI"


http://ilcoloredeilibri.blogspot.com/

LA RAGAZZA FUGGITA DA AUSCHWITZ

di Ellie MIDWOOD

Prezzo: 9,90 € | Ebook: 4,99 € |

Pagine: 384 | Genere: Romanzo storico |

Editore: Newton Compton |

Data di pubblicazione: 21 0ttobre 2021

TRAMA

Mala Zimetbaum, numero 19880, e Edward

“Edek” Galiński, numero 531, sono due

prigionieri di Auschwitz-Birkenau. Mala parla sei

lingue ed è una Läuferin, una staffetta, e la sua

condizione le permette di mantenere molti

privilegi, come i suoi bei boccoli biondi e i vestiti,

ma anche di potersi muovere liberamente nel

campo e di ricevere cibo vero, privilegi che

utilizza per aiutare (e salvare) più persone

possibili, riuscendosi a procurare quasi qualsiasi

cosa all’interno del campo, tramite la fervente

attività di contrabbando.

Edek è un prigioniero di guerra, un veterano di

Auschwitz.

Si conoscono per caso nell’anus mundi, e

quell’incontro cambierà la loro vita per sempre,

colorando di speranza tutto l’orrore che li

circonda e spingendoli a cercare di scappare da

tutto quel dolore, promettendosi di fuggire

insieme oppure morire insieme.

Un altro libro sui campi di concentramento e sugli orrori della deportazione. Un’altra

storia vera. Un altro romanzo che emoziona e commuove.

Leggo sempre volentieri i romanzi ambientati in questo contesto storico e anche “La

ragazza fuggita da Auschwitz” non mi ha delusa affatto.

La narrazione incede a tratti lenta e indolente, ma non per questo la lettura procede

nello stesso modo: il romanzo si lascia divorare, mentre gli orrori e la sofferenza

investono il lettore, sedimentando, sporcandolo e lasciandolo sgomento e spossato.

Il tema e l’ambientazione sono simili ad altri romanzi del genere, i soprusi, i

crematori, le violenze sono già stati trattati in altri libri o film, ma ogni volta provo lo

stesso magone, la stessa impotenza, assorbo lo stesso dolore dei personaggi e

soffro con loro.

Lavori forzati, la fabbrica della morte, violenza, disumanizzazione, … contro

comportamento abietto, depravazione, feroce crudeltà e sadico piacere nel torturare

e uccidere, con l’odio ideologico nazista rivolto a chi ha commesso l’unica colpa di

appartenere alla razza o alla nazionalità sbagliate.

Gli internati sono considerati animali inferiori, “feccia subumana”, “feccia ebrea”, e le

SS non perdono l’occasione per insultare la “lingua da maiali” polacca o per

considerare subumani i prigionieri e aspettarsi che si comportino da tali.

Tuttavia, accanto a denutrizione, malattie, sofferenza, fame, dolore, e rassegnata

apatia, spiccano intensi e vigorosi la voglia di resistere e combattere, tanto che si

crea una Resistenza segreta che raccoglie diversi membri di nazionalità e religione

diverse, uniti dalla speranza e dalla voglia di sopravvivere. Fioriscono anche il

mercato nero, il contrabbando, e gli scambi di ogni tipo, con la corruzione lecita di

chi combatte per sfuggire alla morte, alimentati dall’odio e dall’astuzia.

Ciò che dà speranza, inoltre, in un luogo dove il mondo si è capovolto e dove gli

ultimi brandelli di speranza sono stati cancellati a colpi di bastone e le vite

precedenti interrotte e spazzate via, e dove gli animi sono spezzati e umiliati, è la

VITA, in contrasto a tutto il resto, perché c’è comunque spazio per cose belle che

permettono ancora di avere sogni per il futuro: risate, amore, amicizia, lealtà,

coraggio, musica, sorrisi, emozioni.

Inoltre, qualcuno ha conservato umanità nonostante le brutture da cui è circondato,

riuscendo ancora a mantenere un comportamento umano e dimostrare

compassione.

In questa cornice di repulsione, disgusto, odio puro e violento e umiliazione nasce la

storia d’amore tra Mala e Edek, un amore totalizzante che lotta per il suo diritto alla

vita; l’amore tra due giovani che sognano ciò che dovrebbe spettare loro di diritto: la

libertà.

Ellie Midwood è una gran narratrice, non risparmia i particolari più strazianti (pur

evitando dettagli troppo macabri) e catapulta il lettore ad Auschwitz. Anche i

personaggi sono molto ben caratterizzati e si fanno amare senza riserve.

La storia è inventata, come la stessa autrice scrive in una nota alla fine del

romanzo, ma ispirata a fatti accaduti realmente e a personaggi realmente esistiti:

vale la pena leggere anche la nota stessa, perché è molto istruttiva e contiene

anche spunti di approfondimento sull’argomento.

Un romanzo commovente e intenso, che nonostante gli orrori riesce a trasmettere lo

stesso speranza e coraggio e fa riflettere sulla storia, su quanto l’uomo possa

essere brutale e inumano, su quanto possa cadere in basso, senza rimorsi.

Fermiamoci a meditare su ciò che è davvero importante nelle nostre vite, e

ricordiamoci che tutto questo è davvero accaduto.

Lo consiglio vivamente.


DI SONIA LIPPI -

giterrandoblog.blogspot.com

Il genio della chiterra


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Vi racconto una storia tratta i da un bellissimo libro che

vi consiglio di leggere dal titolo:

“Django. Vita e musica di una leggenda zingara.”

Di Michael Dregni edito da EDT editore.

Un libro che mi ha fatto innamorare di questa

meravigliosa anima musicale chiamata Django.

Parigi 26 ottobre 1928 un carrozzone manouche va a

fuoco.

Dentro vi si trova un promettente banjoista appena

rientrato da un suo concerto, felice per aver ricevuto

una grande proposta, quella di entrare a far parte

nell’orchestra jazz di Jach Hylton.

Una banale distrazione e una candela caduta sopra dei

fiori finti, trasformano una serata perfetta in una

tragedia.

In quell’incendio Django Reinhardt perde l’uso

dell’anulare e del mignolo della mano sinistra.

Sia la sua famiglia che i suoi colleghi sono sopraffatti

dalla tristezza, sanno che la sua carriera è finita.

Ma la musica è la sua vita; non può accettare il fatto di

non poter suonare più, così con testardaggine e

impegno, non si arrende alla disabilità.

Per mesi si allena tenacemente, invece di suonare

scale e arpeggi orizzontalmente come di norma, cerca

di ricrearli correndo su e giù per il manico della chitarra

regalatagli dal padre.

Crea nuove forme di accordi, inventa la rullata di scala

cromatica con un solo dito e sorprendendo tutti, non

solo torna a suonare, ma diventa un mito che ancora

oggi continua ad affascinare generazioni di chitarristi.

Jean-Baptiste Reinhardt (1910-1953) detto Django, che

in lingua romanì significa “colui che sa,“ ha reso

possibile l’unione tra musica tradizionale Manouches e

il Jazz americano.

Nel Jazz di quel tempo la chitarra era relegata nella

sessione ritmica, ma Django con le sue improvvisazioni

geniali le dette un ruolo predominante.

Fu lui ad inventare lo Swing-Musette e fu un

originalissimo solista, realizzando una perfetta fusione

tra la musica romanò e lo swing.

Nel 1931 alla Croix du Sud, punto d’incontro per

appassionati del jazz, Django sente suonare il violino di

Stephane Grappelli. Rimane affascinato dal suo stile e

dal suo modo di improvvisare, ma solo nel 1934

riuscirono a formare un orchestra.

Il Quintette du Hot Club de France acquista subito

un'importanza internazionale e attraverso le proprie

registrazioni si impone come il primo importante gruppo

jazz non americano.

Nel 1940, fu proposto a Django di arrangiare i suoi brani

per una big band, era la realizzazione di un sogno.


Django però, non avendo mai studiato musica, non

sapeva ne leggere gli spartiti ne tantomeno scriverli,

chiese quindi al suo clarinettista Gerard Leveque di

fargli da trascrittore, passando nottate intere a

fischiettare e a cantare le parti per tutta la big band.

Poteva sentire in testa tutto il tessuto orchestrale, e

Grappelli ne rimase così colpito da affermare che

“Django sentisse più musica di quella che poteva

essere suonata da un orchestra al completo”. Con la

big band viene registrata in quel periodo una delle

composizioni più famose di Django, “Nuages,” che oggi

è considerato uno standard gipsy jazz.

Stephane diventa il suo punto di riferimento per quanto

riguarda la mondanità e non solo.

Essendo Django completamente analfabeta, chiede a

Stephane di insegnargli a scrivere il suo nome, così da

poter firmare gli autografi.

Nonostante la notorietà, Django rimane sempre uno

spirito libero, in alcune occasioni si reca ai concerti

senza portarsi il suo strumento e suonando qualsiasi

chitarra “d’emergenza” che gli viene messa a

disposizione, in maniera egregia.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Stéphane

e Django si trovano a Londra. Nonostante il clima di

persecuzione razziale nei confronti delle persone di

etnia Rom nella Francia occupata dai nazisti, Django

decide di ritornare a Parigi.

Subito dopo la seconda guerra mondiale, viene invitato

negli Stati Uniti da Duke Ellington, che lo presenta

come ospite in alcuni dei suoi concerti, l’ultimo dei

quali alla Carnegie Hall di New York.

Tornato in Europa, Django e Stéphane si troveranno

ancora a suonare, sia in Francia sia in Inghilterra, fino

al 1948, trasferendosi poi a Roma nel 1949 per un

lungo ingaggio.

In quegli anni produsse varie incisioni, ne ricordiamo

alcune come“R Vingt-Six”,una corsa mozzafiato tra

continui cambi di armonizzazione; “Del Salle” elegante

e malizioso, un piccolo capolavoro solistico fatto di

raffiche di arpeggi e intervalli esotici; “Babik” che si

può definire il suo primo pezzo bebop.

Dopo la morte del secondo figlio, Django appende la

chitarra al chiodo in segno di lutto, e si dedica alla

pittura immergendocisi con passione.

Riprende a suonare sporadicamente, e durante una

breve turnee in svizzera inizia ad avere forti mal di

testa che lo paralizzano.

Non andrà mai in ospedale a fare accertamenti, la sua

fobia per le iniezioni e il ricordo dei mesi passati in

clinica lo terranno lontano dai medici.

Morirà improvvisamente per un emorragia cerebrale il

16 maggio 1953, lasciando famiglia, amici e colleghi

immersi nello sconforto.

Alcuni anni dopo suo fratello Joseph, anche lui

musicista, sentendo suonare un giovanissimo Bireli

Lagreene, tra le lacrime affermerà che “Django è

risorto”.

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Tre nuove collane musicali per la cura del copro, dell’anima e della mente.

Prodotte dall’associazione Stefano Francia EnjoyArt, Pomodoro Studio

Edizioni Musicale - Always Record e composte dalla compositrice

americana Judie Collins e dal maestro Ciro Vinci.

Dopo il successo di "Dillo Alla Danza vol 2" pubblicato in occasione della Giornata

Mondiale della Danza, l'associazione Stefano Francia EnjoyArt, lancia una nuova

produzione discografica dedicata ai ritmi di tutti gli stili di danza. La collana

discografica, disponibile su ogni digital store (Spotify, Deezer, Amazon Music, Apple

Music… ) sarà composta da vari volumi, ognuno dei quali studierà il ritmo di una

singola danza. I primi 3 volume sono dedicati al ritmo del Cha Cha Cha e Rumba e un

volume dedicato al relax e meditazione.

"Rhythm" è studiata per agevolare l'insegnamento musicale e coreutico di ogni

singolo ballo. In ogni volume amatori e professionisti possono sviluppare la loro

tecnica seguendo il ritmo della danza selezionata…

"Relaxing" invece, è una collana che raccoglie brani composti per accompagnare il

danzatore nell’ attività di rilassamento quotidiano e meditazione composte a 432 Hz.

L’accordo a 432 Hertz (Hz) risuona con le frequenze fondamentali del vivente: battito

cardiaco, replicazione del DNA, sincronizzazione cerebrale, e con la Risonanza di

Schumann e la geometria della creazione.

“Musicoterapia” La musicoterapia è una disciplina basata sull'uso della musica come

strumento educativo, riabilitativo o terapeutico. Basandosi su questa definizione il

Pianista, musicoterapista, compositore, vocal coach, Ciro Vinci, persenta il suo primo

abum sul benssere dell’essere umano intitolandolo “Musicoterapia”, un lavoro

composto da 8 track con lo scopo di educare, riabilitare e accrescere la cultura del

benessere. Diversi studi hanno dimostrato che la musica influenza il cervello ed il

corpo, l’ascolto delle note musicali sono utile per alleviare lo stress, ridurre la

depressione e contrastare stati mentali negativi. Molte ricerche sull’argomento hanno

evidenziato che alcuni dei principali modi in cui la musica può aiutarci a sentirci

meglio, è ridurre l’ansia, migliorando l’ accettazione di sé e facilitando la

comunicazione e le relazioni con gli altri, ascoltare musica è altamente legato

all’aumento di stati di felicità. La musica a questa frequenza è stata utilizzata per

migliaia di anni come musico terapia anche se è decollato nei primi anni 2000.

Le pubblicazioni discografiche prodotte dalla Stefano Francia EnjoyArt sonos state

composte scegliendo melodie musicali, concentrate sui ritmi accompagnati da solo

armonie per sviluppare maggiore concentrazione e apprendere meglio il rimo di un

ballo. Oggi avere una conoscenza di base della musica, e in particolare del ritmo,

aiuta nei movimenti e armonia del copro. Una base ritmica è il giusto supporto per

memorizzare la coreografia, per migliorare la coordinazione con il partner o i partner

e, soprattutto, a muoverci a tempo. Ogni singola Album è utile ai principianti, agli

amatori ai professionisti, ai semplici appassionati di musica, e ai coach. L’utilizzo della

musica nell’apprendimento sviluppa maggiori endorfine rendendolo più facile. Il

progetto è stato realizzato da Fabrizio Silvestri e Bernardo Lafonte. La produzione è

affidata al Pomodoro Studio Edizioni Musicale e la distribuzione, negli store digitali,

alla Always Record. La composizione delle basi musicali ritmiche di latini, standard,

liscio e ballo da sala e caraibici è affidata all’artista Americana Julie Collins, mentre la

musico terapia al maestro Ciro Vinci, Pianista, musicoterapista, compositore, vocal

coach. La sua musica innovativa ed elegante dotata d’intensa espressività è frutto di

una ricerca profonda ed elaborata di contaminazioni sonore che si aprono al new age,

al jazz, alla musica mediterranea e la rendono pienamente compatibile come colonna

sonora d’ immagini surreali. Dal 2019 compone musiche per programmi televisivi in

onda su “La 7” e per spot pubblicitari per reti nazionali e Web. Gli album sono

disponibili su tutti i digital store.


Il mito dei Bronzi di Riace

“Uno dei grandi misteri della storia”

Conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio

Calabria, i Bronzi di Riace sono tra i capolavori scultorei più

significativi dell’arte greca, oltre che un ormai simbolo della città

calabrese. Eppure, nonostante anni di ricerche e studi, sono

ancora molti i misteri che circondano la loro origine e il loro

significato: “Per poterli comprendere immergerli nel loro mito”.

I bronzi di Riace: dal fondale del Mar Ionio al Museo

Archeologico di Reggio Calabria

Un ritrovamento avvenuto il 16 agosto 1972 da un appassionato

subacqueo romano, Stefano Mariottini, durante un’immersione a

circa duecento metri dalla costa e alla profondità di otto metri.

Due statue mantenute in uno straordinario stato di conservazione

sul fondale del Mar Ionio. I Bronzi di Riace rappresentano una

delle testimonianze più significative dell’arte greca classica.

Con un peso di 160 chili e un’altezza di quasi due metri, i Bronzi

di Riace raffigurano due corpi bronzei maschili, dalla barba e i

capelli ricci definiti in ogni forma, il braccio sinistro piegato ed il

destro disteso lungo il fianco. Entrambi indossavano un elmo e la

posizione delle mani e degli arti superiori indica la presenza

originaria di una lancia o una spada e uno scudo. Elementi che

ad oggi non sono presenti, uno dei tanti misteri che circondano il

ritrovamento delle statue. Si può affermare con certezza che i

Bronzi di Riace siano stati realizzati nel V secolo a.C. La

somiglianza fra le due statue avvalora l’ipotesi della loro

realizzazione da parte dello stesso Maestro o di maestranze

diverse ma appartenenti alla stessa bottega, artisti di cui però

ancora non è certa l’identità. È certa invece la provenienza delle

statue da Argo, nel Peloponneso; la prova è l’argilla con cui

furono creati i modelli poi utilizzati per gli stampi in cera in cui

veniva colato il bronzo. Proprio nella tecnica di fusione del

bronzo e nella perfezione della loro fattura si racchiude una delle

più impeccabili prove di abilità arrivate a noi dai tempi antichi.

Il segreto della loro intramontabile perfezione

L’eccezionale bellezza dei corpi è dovuta alla cura dei dettagli

che li caratterizzano. Oltre al bronzo, sono presenti particolari in

argento come i denti della prima statua. Per imitarne il colore

naturale, è stato usato il rame su labbra, capezzoli e ciglia di

entrambe le statue che, si pensa, in origine fossero bionde e

dorate. Ma ciò che più cattura l’attenzione dello spettatore sono

indubbiamente gli occhi dei due Bronzi. La loro sclera è infatti

composta in calcite bianca, le iridi in pasta di vetro, materiali

grazie ai quali i loro sguardi appaiono tutt’oggi vivi.

Nonostante le informazioni che sono in nostro possesso, a oggi

non esistono reali punti fermi nella conoscenza della storia di

quest’ opera. Vista la somiglianza stilistica tra le due statue, è

certo che i due Bronzi siano stati ideati per essere guardati

insieme. Destano molti dubbi le teorie susseguitesi negli anni che

affermano l’appartenenza di altre statue alla stessa opera. Per

diversi studiosi, infatti, vi sarebbero altri Bronzi.

Il fascino dei Bronzi di Riace tra storia e leggenda

Secondo una delle ipotesi più accreditate, recentemente formulata dal

professor Daniele Castrizio, originariamente le statue sarebbero state

cinque. I due Bronzi oggi conservati al Museo Archeologico di Reggio

Calabria farebbero dunque parte di un gruppo statuario che rappresenta

il momento precedente al duello fra Eteocle e Polinice, fratelli di

Antigone, dal Mito dei Sette a Tebe.

Tra mito e realtà, dunque, cercano una risposta le molte domande che

circondano queste opere. Da chi furono realizzate le statue? Chi

rappresentano? Guerrieri, dei, eroi classici. Quante sono veramente? E

perché sono finite nelle acque dello Ionio? Domande che oramai

risuonano come veri e propri misteri. Incognite che contribuiscono a

conferire fascino alla storia di cui i Bronzi di Riace sono protagonisti.


di Sandro Mallamaci

Non è certo il teatro dell'Opera di Roma, né il San Carlo di Torino, né tantomeno la Scala di Milano, ma è solo il teatro comunale Francesco

Cilea di Reggio Calabria.

È il più grande teatro della Calabria, con la classica forma a ferro di cavallo che, con un bellissimo soffitto a cupola e i quattro livelli di palchi, è

una delle più belle e funzionanti strutture teatrali d'Italia, capace di ospitare fino a 1500 spettatori che ogni anno possono assistere alle

rappresentazioni messe in scena dalle più importanti compagnie teatrali. Certo, da quando questo incubo è cominciato questo luogo è rimasto

a lungo chiuso, interdetto a qualunque tipo di manifestazione. Ma sul finire dello scorso anno, grazie alle concessioni delle autorità sanitarie, si

sono riaperte le porte dell'elegante foyer con i suoi raffinati arredi, i grandi lampadari di cristallo e le colonne di marmo scuro. L'occasione è

stata propiziata dall'amministrazione comunale che ha voluto fare un regalo a tutta la cittadinanza organizzando uno spettacolo in due serate

per cercare di alleggerire il pesante clima che si è stati costretti a respirare per quasi due anni. Niente di particolarmente impegnativo, non è

stato certo un evento di quelli che fanno la storia del teatro, ma il festival metropolitano della comicità; è stato proprio quello che ci voleva.

Ovviamente, snobbato dai cultori dell'Opera, è stato invece molto gradito da tutti coloro che avevano una gran voglia di risate. Cancellare per

un paio d'ore i brutti ricordi e i brutti pensieri che ancora oggi riempiono le nostre menti. Essere spensierati, nel vero senso letterale del

termine, è stato lo spirito che ha accomunato gli spettatori che hanno affollato, nei limiti consentiti, la platea e palchi del teatro. Risate a

perdere sulle battute e le freddure degli artisti di fama nazionale che si sono alternati sul palco. Risate liberatorie, quasi a voler scacciare le

negatività accumulate per tanto tempo, che avevano spento il cuore di molti, e ricaricarsi di speranza nell'idea, che ormai si era fatta strada,

della fine del buio, nel miraggio di una luce in fondo al tunnel. Mai immaginando che invece ancora oggi ci saremmo ritrovati in piena

emergenza, amplificata a dismisura dalla macchina impietosa dell'informazione che ci bombarda tutti i giorni con notizie e previsioni nefaste. E

allora, ricordando con piacere quelle serate leggere e spensierate, stringiamo i denti nella certezza di tornare a sorridere, non solo per qualche

ora alle battute di un comico a teatro, ma nella vita di tutti i giorni futuro


di Rita Martinelli

L'Orto Botanico di Roma è un luogo nascosto. C'è una energia, in tanti rivoli, la avverti subito e, più ti inoltri, più lo conosci, più ti regala

sorprese e storie.

Siamo alle falde del Gianicolo - ai tempi di Giulio Cesare era parte della sua immensa tenuta - gli Horti di Cesare - che comprendeva gran

parte di Trastevere e, poi, salendo, tutta l'area dove oggi si dipanano i tornanti di via Dandolo, il santuario siriaco - angolo misterioso e

impraticabile (nel senso che la Soprintendenza Archeologica non consente accesso, in quanto sito ritenuto insicuro - da anni), Villa Sciarra,

il Gianicolo.

E, sempre alle pendici del Gianicolo, c'era la Villa (e il Palatium) che comprendeva anche l'area dove sorge, attualmente, quel gioiello che

è la Farnesina (sede di rappresentanza dell'Accademia dei Lincei). Il Palatium sarà la reggia-residenza di Cleopatra, nel suo breve

soggiorno romano (dal 46 al 44 a.C.). Donna intelligente, colta, poliglotta, dalla conversazione affascinante. Una regina che arriva da

Alessandria d'Egitto... E una Regina dal profondo Nord...

Nella Roma del '600, quando l'attuale Palazzo Corsini era ancora Villa Riario, l'Orto Botanico era il giardino della Villa. E, dal 1660 fino al

1689 (a parte i periodi in cui è in viaggio), il palazzo è la residenza di Cristina di Svezia (Stoccolma 1626 - Roma 1689). Educata secondo

la ferrea disciplina nordica - esercitazioni militari, intemperie e fatiche, come un uomo - è una donna coltissima, parla oltre a latino e greco,

francese, italiano, spagnolo, inglese, tedesco e danese. Poco più che ventenne, discute di filosofia con Cartesio. La sua biblioteca (i codici,

circa 2200 sono oggi raccolti nel Fondo Reginense, uno dei più importanti della Biblioteca Vaticana) conteneva codici, libri di teologia,

filosofia, storia, letteratura e scienze, di medicina (tra cui il Canon Medicinae di Avicenna), opere di scienze naturali, botanica, matematica,

astronomia (Tolomeo, Copernico, Tycho Brahe, G. Galilei), astrologia, manoscritti ebraici, turchi e arabi, numerosi testi sull'ermetismo e di

alchimisti famosi.

Uno spirito libero - Svezia e religione luterana le andavano strette. Rinuncia al trono e cede la corona al cugino Carlo Gustavo. Sceglie

Roma - nella sua posizione, non può che convertirsi al cattolicesimo - e, nel 1655, entra trionfalmente da Porta del Popolo che, per

l'occasione, papa Alessandro VII (Fabio Chigi) fa restaurare dal Bernini (nel lato interno, sull'attico, c'è l'epigrafe in suo onore "Felici

faustoque ingressui", sotto al simbolo araldico dei Chigi, avvolto dai fasci di spighe dei Vasa). Fra i suoi molteplici interessi, c'è anche

quello per la botanica: si dedica ai giardini, fa arrivare piante esotiche - ancora oggi, sono rimasti due platani orientali, piantati da lei, a lato

della Fontana degli 11 Zampilli. E, all'entrata della Serra Corsini (realizzata nel 1800, è la prima serra calda del giardino Corsini) c'è una

vasca da bagno - elegante ed essenziale - di Cristina. Ogni volta che la guardo mi viene in mente Josif Aleksandrovič Brodskij - lui

trascorreva, ogni anno, il mese di novembre a Venezia (affittava un appartamento sempre nel sestiere di Castello) - e a chi gli chiedeva -

ma perché vai a Venezia sempre in novembre - rispondeva: "ma perché è come Greta Garbo al bagno..."

Queen Christina è il titolo del film (1933) in cui Greta Garbo interpreta Cristina di Svezia.


Gli Appennini sono per me

un pezzo meraviglioso del

creato. Alla grande pianura

della regione padana segue

una catena di monti che si

eleva dal basso, per

chiudere verso sud il

continente fra i due mari.

Johann Wolfgang von Goethe.

Con l’anno nuovo si aprono nuove strade, nascono nuovi cammini o semplicemente si decide

di percorrere quelli che qualcuno, spesso molto lontano nel tempo, ha percorso prima di noi

per respirarne l’essenza. Il viaggio a piedi, infatti, risale alle origini dell’uomo e se prima

poteva essere una necessità dovuta allo spostamento, oggi si compie per fare

un’esperienza. Ecco, dunque, una carrellata di cammini indimenticabili da fare durante

l’anno con lo zaino in spalla da soli a passo lento.


Il cammino dei Sanniti: Safinim! Seguendo le tracce rimaste, della confederazione dei

popoli italici guidata dai Sanniti contro Roma nel 91 a.C., questo viaggio di 81 chilometri

da fare in 8 giorni nella regione meno conosciuta d’Italia è riservato a chi sa

suggestionarsi: mura ciclopiche, il Santuario della Nazione, la città del Toro Sacro, la

Pietra-che-viene-avanti, l’antro di Kerres... Al grido di “Safinim!”. Passeggiata in uno dei

tratturi principali che collegavano Abruzzo, Molise e Puglia per il trasferimento stagionale

delle greggi.

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Il Sentiero del Viandante:Denominato Via Regia, o Via Ducale nei documenti

storici, il tracciato dell’attuale Sentiero del Viandante in Lombardia unisce Lecco alla

Valtellina, percorso di 44 chilometri da fare anche in 4 giorni. L’itinerario, ricco di

vestigia storiche come il Castello di Vezio e il borgo di Corenno Plinio offre anche un

panorama lacustre che infonde calma e invita alla lentezza. Il cammino classico inizia

ad Abbadia Lariana (LC) e consiste in quattro tappe che si inoltrano nell’entroterra in

ripida salita per poi tornare, con conseguenti discese, sulle rive lariane a Lierna,

Varenna, Dervio e, infine, Colico.

Lucania, dalle gravine ai calanchi: Questo cammino percorre per circa 144 chilometri gli

antichi tratturi di una terra meridiana aspra e accogliente, piena di sfumature, contraddizioni e

magia. Qui si incontrano paesi e borghi che, in lontananza appaiono minuti, ma sono il fulcro di

antichi riti collettivi popolari che ancora oggi sopravvivono: le transumanze, le maschere e le

danze che richiamano credenze del passato, i canti e gli strumenti rudimentali che alleviavano

le fatiche quotidiane dei contadini di allora e, ancora oggi, di quelli odierni. Si parte dalle

gravine di Matera, e si attraversano borghi e luoghi storici come il Castello del Malconsiglio,

teatro di congiura contro Ferdinando I e Ferrandina, uno dei principali epicentri del brigantaggio

postunitario, per poi proseguire in direzione di Craco, vero e proprio borgo fantasma.

La Via del Tratturo: 110 chilometri alla scoperta dei tratturi, le grandi strade d’erba, che

collegavano l’Appennino abruzzese e il Tavoliere delle Puglie e venivano percorse dai pastori e

dalle loro greggi per portare gli animali in terre meno fredde.Alfonso D’Aragona nel 1447

rivitalizzò quelle strade su cui si muovevano le pecore e creò una grande rete tratturale, i regi

tratturi, che avevano una larghezza ben definita, sessanta passi napoletani, corrispondenti a

111 metri. Tra questi Pescasseroli – Candela e il Castel di Sangro – Lucera. La riscoperta dei

tratturi, le lunghe vie d’erba che collegavano l’Abruzzo montano con il Tavoliere di Puglia è una

esperienza unica che si articola in un cammino di media/alta difficoltà da fare in 8 giorni. Per

orientarsi si può anche consultare il sito: www.viadeltratturo.it

La Regina Viarum: l’Appia. – Questo cammino ripercorre 119 chilometri da fare in 7 giorni sui

tratturi, le carrarecce e i sentieri tra Basilicata, Campania e Puglia fino ad arrivare a Gravina in

Puglia, ultima statio romana lungo l’Appia per il rifornimento di grano e di vino. Nel mezzo, si

incontra la Lucania, Venosa, luogo simbolo e città che diede ai natali al poeta Quinto Orazio

Flacco e Melfi con il Monte Vulture a fare da guardiano e bussola. Si cammina su sentieri e

tratti di asfalto: qui, sotto i propri piedi, si sente la memoria delle moltitudini che ci sono

passate, la Storia, perché come riporta Orazio: “ci regali la certezza di andare nella giusta

direzione

La Via Lauretana Senese -. Camminare lungo i 115 chilometri che da Siena portano a Cortona

significa percorrere con i propri passi una delle più antiche vie di collegamento e di commercio

della Toscana che, sin da epoca Etrusca, ha segnato la fortuna e lo sviluppo di questo territorio:

la Valdichiana. Si parte da Siena e si cammina per 6 giorni in un cammino di media difficoltà che

passa attraverso le Crete senesi e le sue Biancane di Leonina che conferiscono al paesaggio

l’aspetto lunare conosciuto anticamente come Deserto di Accona, per raggiungere prima Asciano

e poi Serre di Rapolano. Proseguendo, un esteso paesaggio campestre si apre al cammino per

incontraresi. Si incontrano borghi come Montepulciano e Torrita di Siena, e Valiano e le sue

Leopoldine, strutture architettoniche rurali che raccontano un pezzo di storia della Valdichiana.

La via delle vigne di confine -. C’era una volta la cortina di ferro: divideva Gorizia in due. Fu

eretta molti anni prima del muro di Berlino e ha cessato di esistere appena nel 2004. Eppure tra

tutte le zone di confine nell’estremo lembo est d’Italia, quella che va da Gorizia a Cividale è la

più amabile, la più gentile. Terra chiamata "ponka", dove regnano le viti, i ciliegi, i peschi, e le

linee morbide delle colline danno vita a un paesaggio di quiete e grazia. Il cammino sulle orme

della prima e seconda guerra mondiale si sviluppa dal Collio ai Colli Orientali del Friuli Venezia

Giulia tra le ombre di contadini, dei soldati e dei pellegrini in un percorso di media difficoltà che

si percorre in 5 giorni.


C U C I N A

Ivrea la bella che le rossi

torri specchia sognando a la

cerulea Dora nel largo seno,

fósca intorno è l’ombra di re

Arduino.

“Giosuè Carducci”


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Ed eccoci a Febbraio, il mese della purificazione, dal latino “februare” che significa appunto purificare, porre rimedio agli

errori. Ma è anche il mese del Carnevale e di San Valentino, la festa degli innamorati.

Ricorrenze allegoriche ci riportano in tour per il mondo, saltando da una città all’altra tra colori, maschere e feste. Una

delle città più caratteristiche d’Italia in questo meraviglioso mese è Ivrea, regina del Canavese.

Ricca di storia ed elegante, Ivrea è una cittadina piacevole ed animata, legata con la storia all’Olivetti. Terra di sapori e di

panorami, Ivrea e dintorni è una meta perfetta per chi vuole trascorrere una vacanza rilassante all’insegna della cultura e

della gastronomia.

Eporedia, nome antico della città, ha una storia millenaria che fonda le sue radici su un popolo di origine celtica, i Salassi

nel V sec. a.C.

Intorno all’anno 1000,Re Arduino creò il Regnum Italicum, un primo abbozzo di quello che, nei secoli seguenti, sarebbe

diventato il Regno d’Italia. Nel XIV secolo la città passò in mano ai Savoia.

Circondata da un anfiteatro morenico, fra i più noti d'Europa, formatosi durante le grandi glaciazioni che attraverso il ritiro

del ghiacciaio Balteo diede origine al cordone morenico della Serra d'Ivrea, che si estende per 25 km, ed ai numerosi

bacini idrici che circondano la città, come i cinque laghi d'Ivrea e quelli di Candia Canavese e di Viverone. La città è

bagnata dall’affluente del Po, la Dora Baltea, che attraversa la città creando romantici ed inaspettati scorci per

meravigliose fotografie e quadri naturali.

Innumerevoli sono i luoghi da visitare tra i quali ricordo: il castello d’Ivrea, il vero simbolo della città, poderosa fortezza

fatta costruire da Amedeo VI di Savoia nel 1358, chiamato dal Carducci “il castello dalle rossi torri”; il Municipio e la

piazza Nazionale con il borgo antico; il Duomo di Santa Maria Assunta del I° secolo D.C. in stile romanico/barocco e

neoclassico; la sinagoga; il ponte Vecchio ed il borghetto; l’anfiteatro romano del I° secolo D.C.; la torre di Santo Stefano,

campanile dell’omonima abbazia benedettina dell’ XI secolo in stile romanico canevesano; il teatro Giacosa; il cinema

Giuseppe Boario del 1910, uno dei primi cinema nati in Italia; il MAAM, il museo aperto di architettura moderna; il museo

Civico Pier Alessandro Garda, dove si possono trovare reperti archeologici, etnografici ed artistici di varie epoche e

culture; il laboratorio/museo “TECNOLOGICAMENTE” che rivive la storia delle tecnologie maccanico/elettriche

susseguitesi nell’arco dei secoli.

Ma, come non ci si può dimenticare dell’evento annuale che ha reso famosa la città in tutto il mondo,lo Storico Carnevale

di Ivrea, che affonda le sue radici nel Medio Evo; è un Carnevale i cui riti primari, la Zappata e l’abbruciamento degli

Scarli condotti dagli Abbà sino alla fine del ‘700, sono stati tramandati oralmente fino al 1808, anno in cui appare la prima

trascrizione di una cerimonia ne “I Libri dei Processi Verbali a futura memoria”.

Il Carnevale di Ivrea è un evento unico in cui storia e leggenda si intrecciano per dar vita ad una grande festa civica

popolare dal forte valore simbolico, durante la quale la comunità di Ivrea celebra la propria capacità di

autodeterminazione, ricordando un episodio di affrancamento dalla tirannide di medievale memoria.

Noto ai più per la spettacolare Battaglia delle arance, che si svolge per tre giorni nelle principali piazze cittadine, il

Carnevale eporediese si caratterizza per un complesso cerimoniale che attinge a diverse epoche storiche fino a culminare

nel Corteo Storico. Vera protagonista è la Vezzosa Mugnaia, simbolo di libertà ed eroina della festa sin dalla sua

apparizione nel 1858. Ad accompagnarla il Generale, di origine napoleonica, che guida il brillante Stato Maggiore e, a

seguire, il Sostituto Gran Cancelliere, cerimoniere e rigido custode della tradizione, i giovanissimi Abbà, due per ognuno

dei cinque rioni e il Podestà, rappresentante del potere cittadino. A scandire il Corteo, le note delle pifferate degli amati

Pifferi e Tamburi. Lo spirito dello Storico Carnevale d’Ivrea, perfettamente tramandato dalla canzone del carnevale “Una

volta anticamente”, vive nella rievocazione della sollevazione del popolo contro il Marchese di Monferrato che affamava la

città. Nella leggenda fu il gesto eroico di Violetta, la figlia di un mugnaio, a liberare il popolo dalla tirannia.


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Ribellatasi allo ius primae noctis imposto dal barone, Violetta

lo uccise con la sua stessa spada e la celebre Battaglia delle

arance rievoca proprio questa rivolta. In segno di

partecipazione alla festa, tutti i cittadini ed i visitatori, a partire dal

Giovedì Grasso, scendono in strada indossando il classico

Berretto Frigio, un cappello rosso a forma di calza che

rappresenta l’adesione ideale alla rivolta e, quindi, l’aspirazione

alla libertà, come fu per i protagonisti della Rivoluzione Francese.

Per gli amanti dello shopping sono numerosi i negozi, le piccole

botteghe che si sviluppano lungo le vie del centro storico e sotto il

Castello, con la possibilità di poter acquistare prodotti tipici locali

legati all’enogastronomia genuina e di qualità. A chi piace la vita

notturna la città riserva molte attrazioni scegliendo uno dei tipici

pub o locali caratteristici del centro storico.

Il Piemonte è una regione in cui si mangia e si beve egregiamente

ed Ivrea è degna della terra che rappresenta. Sfoggia una

selezione di salumi e lardo, e ci si può riempire anche solo

assaggiando antipasti a base di uova o di verdure ripiene.

Interessanti anche i piatti con salse alle acciughe o lingua bollita.

Un ingrediente molto presente è la rustica verza con cui preparare

i caponet, involtini di cavolo ripieni di carne, e la zuppa di cavolo,

la “supa mitonà”, con pane, brodo e formaggio.

Nella cucina eporediese troviamo tante minestre a base di latte,

riso e castagne, e altrettanti brodi di carne o di magro, da

insaporire con formaggio e qualche cucchiaio di vino rosso.

Tra i primi spiccano, i tajarin fatti in casa e i risorti con funghi,

verdure o con zucca gialla. I secondi sono soprattutto a base di

carne, spopolano i bolliti e gli stracotti di selvaggina

accompagnati da vini rossi della zona.

Ricette della tradizione sono la bagna caoda e la tofeja (i

fagioli con le cotiche e il piedino di maiale cotti nel tipico

forno a legna), e le fresse, delle deliziose polpettine di

frattaglie e uvetta avvolte nell’omento di maiale.

Tra i prodotti tipici della zona troviamo i biscotti eporediesi tipici

della città di Ivrea fatti con cacao, nocciole e mandorle,

caratteristici per il loro cuore morbido avvolto da una crosta

croccante. Il fricandò, tipico spezzatino con frattaglie, cipolle,

vino rosso e polenta. I baduin, classici sanguinacci da un gusto

carico e speziato. Il salame di Turgia con carne di vacca, lardo e

pancetta suina, sale, pepe, aglio, vino rosso e spezie. I tomini,

tipici formaggi a pasta filante di latte di capra o vaccino da

mangiare freschi o alla griglia. Le famosissime miasse, rettangoli

croccanti cucinati con farina di mais, uova, olio e acqua da

accompagnare rigorosamente con formaggio piccante e

leggermente speziato (Salignun).

Per gli amanti dei dolci e del cioccolato avranno il piacere di

scoprire la Torta 900, una torta a base di pan di Spagna e

delicata crema al cioccolato, la cui ricetta fu creata nel 1900 dal

pasticciere Ottavio Bertinotti, in onore del nuovo secolo e

brevettata nel 1972. Il marchio “Torta 900” è stato, in seguito,

rilevato dalla famiglia Balla, che è ancora oggi proprietaria

esclusiva del marchio.

Ivrea è nota anche per la produzione di vini come l’Erbaluce

di Caluso ed il Caluso passito, il Carema DOC e il Canavese

DOC. Il primo è un vino bianco secco nato dal vitigno erbaluce in

purezza. Il Carema DOC invece nasce da uve nebbiolo (minimo

85%) e dà origine ad un vino rosso con un affinamento

importante. Il Canavese DOC può essere un vino bianco nato da

uve Erbaluce, rosato o rosso con uve Nebbiolo, Neretto o Freisa

in percentuali differenti.

Ivrea è patrimonio dell’Umanità per l’Unesco, non vi farà

facilmente dimenticare le sue virtù, mentre vi avvierete verso il

viaggio di ritorno, portando con voi una valigia piena di

un’esperienza da favola e la pancia piena.


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INGREDIENTI PER 4 P

250 grammi di fagioli borlotti

secchi

250 grammi di pancia fresca di

maiale o cotiche

8 verzini

1 cipolla

1 costa di sedano

1 spicchio d’aglio

2 foglie d’alloro

olio evo q.b.

sale q.b.

abbondante pepe macinato

PROCEDIMENTO

Mettere i fagioli in ammollo con abbondante acqua fredda per circa 12 ore. Trascorso questo tempo, scolarli bene. In un tegame di

terracotta (o di acciaio dal fondo spesso) scaldare l’olio e far imbiondire l’aglio pestato in camicia e la cipolla tritata finemente.

Unire il sedano tagliato a dadini, i verzini, la pancia e rosolare per alcuni minuti. Versare i fagioli borlotti e fare insaporire con le

foglie di alloro (se volete potete aggiungere un cucchiaio di concentrato di pomodoro per dare più colore). Ricoprire tutti gli

ingredienti con acqua fredda e mescolare. Coprire il tegame e fare cuocere a fiamma molto bassa per circa 2 ore, avendo cura di

controllare e rimestare di tanto in tanto. Passate le 2 ore, i borlotti dovranno essere morbidi ma non sfatti, e la salsa di cottura

ristretta. Cospargere con una grattugiata di pepe e servirli ben caldi. Potete accompagnare i fagioli grassi con della polenta

fumante.

INGREDIENTI

130g Zucchero semolato

130g Burro

90g Farina 0

80g Fecola di patate

50g Farina di mais tipo Fumetto

3 uova

30g granella di nocciole

30g Uvetta

20g Canditi

1 bicchierino di liquore all’amaretto

1 limone

Marmellata liquida (a piacere)

1 stecca di vaniglia

Mezza bustina di lievito per dolci

PROCEDIMENTO

Separare i tuorli dagli albumi. Montare i tuorli con lo zucchero. Unire la scorza grattugiata di mezzo limone, la polpa di mezza

bacca di vaniglia e l’amaretto.

Incorporare le tre farine setacciate e il lievito, alternando con gli albumi montati a neve. Unire il burro fuso intiepidito, l’uvetta

ammorbidita in acqua tiepida ed i canditi. Amalgamare bene il composto e versarlo in uno stampo a cupola per zuccotto, prima

imburrato e infarinato. Infornare a 180° per 35 minuti circa.

Lasciare raffreddare la torta, sformarla e poi pareggiarla sul fondo. Spennellare la superficie e bordi con la marmellata e spolverare

di granella di nocciole (oppure miele, succo d’arancia e briciole di pan di Spagna tostate).


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Vi siete mai chiesti perché il pubblico in generale, al bar, è

sempre ed eternamente indeciso sulla scelta di un drink?

Molti si affidano alle tendenze o ai grandi classici, talvolta

rivisitati dalla maestria dei baristi.

Ma cosa spinge realmente verso il desiderio di provare un

drink prodotto da una mano diversa, nell'esecuzione del

famoso nettare D’Ambrosia, che dovrebbe rendere

piacevoli le nostre serate e talvolta, con san Valentino alle

porte, farci innamorare tanto da non saper distinguere tra

l’innamoramento o una semplice sbornia?

La verità è che ci si

spinge a voler soddisfare il nostro

palato per poi sentirci di un po’ “alticci” senza esagerare,

ma esprimendo in pieno la nostra personalità!

È chiaro che alcuni ammettono di non conoscere il mondo

dei cocktails ma, alla fine della fiera , vedere un cliente

sorridente e soddisfatto della sua interpretazione alcolica

fa sì che il professionista cresca.

Il problema del COVID ha dato la possibilità a molti di

reinventarsi e, quindi, di

sperimentare la bevanda

d’asporto; non è stato un completo fallimento, in quanto è

stata offerta la possibilità di gustare la bevanda con calma

a casa, in modo da avere, comunque, un riscontro

sull’indice di gradimento del prodotto.

A mio avviso, è stata una interruzione che ha messo

realmente alla prova le capacità e la fantasia di chi esercita

il mestiere alla barra e rendere maggiormente godibile al

palato il sapore di una nuova bevanda da parte del cliente.

Buon anno e salute!

Instagram: https://www.instagram.com/danilo_pentivolpe/

WEB SITE: www.bartendersclassheroes.com

Facebook: https://www.facebook.com/pentivolpe.danilo/

Danilo Pentivolpe


di Giovanna Delle Site

Quella dell’ hair stylist può essere definita un’arte: come fa un vero artista, immagina la sua

opera, la struttura e la realizza con le sue mani. E’ cultore dell’estetica, crea bellezza, cavalca

mode e tendenze senza mai perdere di vista l’approccio empatico e psicologico a cui è

chiamato per lo svolgimento ad hoc della sua attività.

Incontro Claudio e Giovanni, creativi ed appassionati hair stylist, per una chiacchierata tanto

leggera e piacevole quanto curiosa per le interessanti riflessioni emerse: il culto della bellezza

estetica in tempo di pandemia e l’importanza della figura del consulente di bellezza nel

contingente ed inaspettato contesto che stiamo vivendo.


TuttoBallo

Claudio, Giovanni, la vostra è stata una delle attività più coinvolte nelle

limitazioni imposte dalla pandemia; domanda apparentemente scontata

e banale ma d’ obbligo: la chiusura è stato indubbiamente il momento

peggiore, qual è stato il vostro stato d’animo prevalente?

L’incertezza, come per molti, e la frustrazione nel non poter operare e

quindi non poter svolgere il nostro lavoro in nessun modo possibile sono

stati gli stati d’animo che per tutto il periodo di chiusura ci hanno

accompagnato. Il lavoro è ciò che permette il sostentamento e il non poter

avere più un ruolo attivo è stato per noi grande fonte di frustrazione.

La riapertura, i nuovi appuntamenti, rivedere le vostre clienti: avete un

aggettivo che descriva quei momenti?

Il primo giorno di riapertura ufficiale sembrava quasi che fosse il primo

giorno di lavoro della nostra vita; non sapendo che cosa aspettarci eravamo

emozionati e agitati al tempo stesso. Ma ci è bastato rivedere lo sguardo

delle nostre clienti per ritrovare il desiderio e la voglia di riprendere in mano

i nostri strumenti del mestiere e ricominciare a vivere la nostra arte. Se

dovessimo scegliere una parola per descrivere quel momento sarebbe

"elettrizzante".

Dal 20 gennaio 2022, alla luce dell’ultimo decreto legislativo, obbligo

del green pass per accedere ai saloni di bellezza : il provvedimento

pare sia stato accolto con sollievo dalla maggior parte dei vostri

colleghi, c’è tuttavia, una piccola parte che ne trova limitante e

difficoltosa la gestione, cosa ne pensate?

Appena abbiamo saputo che anche nel nostro settore sarebbe diventato

obbligatorio richiedere il green pass c’è stato un sospiro di sollievo. Non c'è

nulla di negativo: tutt’altro! Questo servirà a rendere ancora più sicuro e

sereno il vostro ed il nostro momento dal parrucchiere.

Il culto della bellezza: in tempo di pandemia e secondo la vostra

esperienza, è cambiato qualcosa? Se sì, cosa e come?

La pandemia ci ha permesso di comprendere quanto sia importante per

ognuno di noi la cura dell'aspetto estetico; anche se spesso viene

considerato una sfaccettatura “frivola” della vita, in realtà ha dimostrato di

rappresentare una valvola di sfogo per molti di noi: riconquistare la

normalità passa anche attraverso una semplice piega o un trucco

particolare per una serata. Ma sotto altri punti di vista questa paura

costante che ormai viviamo tutti, non ha permesso a molti di tornare dal

parrucchiere con la stessa serenità e disinvoltura di prima: alle volta la

paura di uscire di casa ha preso il sopravvento sul desiderio di recarsi nel

salone di bellezza di fiducia. Siamo in ogni caso ben consapevoli, ora piú

che mai, che con il nostro lavoro e la nostra forma d’arte possiamo aiutare

le persone a stare meglio con se stesse.

L’ascolto, la creatività, il senso estetico sono da sempre e

notoriamente alcuni degli aspetti chiave su cui puntare maggiormente

nella “conquista” delle vostre clienti. Aggiungereste altro come

fondamentale in questo momento?

La sicurezza: è un fattore assolutamente indispensabile in questo momento

sentirsi sicuri all’interno di un salone in termini di osservanza da parte di

noi gestori di tutte le norme previste.

Oltre lo specchio…cosa c’è?

Questa è una domanda che molti clienti ci pongono non appena fanno il loro

ingresso nel salone per la prima volta. Semplicemente a noi piace pensare

che “oltre lo specchio” ci siate voi, i nostri clienti. Oltre lo specchio si arriva

ad una conoscenza più profonda di se stessi, noi riusciamo così a vedervi

in maniera completa e ad offrirvi il meglio della nostra arte.

Ringraziamo Claudio e Giovanni per la bellissima ed interessante

chiacchierata, invitando tutti i nostri amici a passare presso il salone di

bellezza “Oltre lo specchio” ove non mancheranno consigli di bellezza ed

una piacevole chiacchierata con due grandi professionisti...ed artisti dei

capelli.


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CURA DELLA PELLE

i consigli di Mauri Menga

La routine della cura della pelle prevede l'utilizzo di una serie di prodotti

sapientemente applicati sul viso nel giusto ordine e soprattutto specifici per il proprio

tipo di pelle. Detergente, tonico, crema, contorno occhi, ma qual è la sequenza da

seguire? Per evitare confusione, chiariamo le idee anche e soprattutto a chi si sta

cimentando le prime volte con la cura della pelle

Premesso che la cura della pelle sia assolutamente fondamentale, avere un efficace

risultato della cura della pelle è essenziale per permettere al tuo derma di ottenere un

aspetto radioso e fresco. Vediamo insieme quali sono i passaggi e i prodotti da

utilizzare sia al mattino che alla sera.


TuttoBallo

Molto spesso la confusione di chi si approccia alla alla cura

della pelle nasce dal fatto che i prodotti da utilizzare sono

davvero tanti e non si sa mai da quale cominciare. La routine

per la cura della pelle ha delle regole ben precise che

prevedono l'utilizzo di determinati prodotti in un momento e in

un ordine specifici, che spesso non si conoscono o nella

maggior parte dei casi, vengono confusi.

Il siero va applicato prima o dopo della crema viso? Il

contorno occhi è l'ultimo step? Per rispondere a tutte queste

domande abbiamo stilato un elenco con i vari passaggi.

L'ordine di applicazione delle creme, anche se può sembrare

strano, è davvero fondamentale per riuscire a fare la

differenza: una pelle pulita e idratata correttamente è anche

più luminosa e compatta, e ci fa sentire più belle.

Come regola generale devi considerare ben tre momenti

chiave: detersione, idratazione e protezione, che vanno

eseguite in un ordine preciso, applicando ad ogni step i

prodotti giusti. Ogni momento della routine per la tua

bellezza, va poi personalizzata in base al tipo di pelle, in

modo da scegliere il prodotto più adatto ad ogni esigenza.

Niente panico: per quanto l'ordine da seguire sia rigoroso,

basteranno pochi minuti al giorno per prenderti cura di te e

della tua pelle.

La sera è il momento ideale per dedicare qualche minuto

alla cura della tua pelle. Eliminare tutte le tracce di make up,

detergere a fondo la pelle, idratarla, saranno tutti step

fondamentali da compiere a fine giornata, andando a

rimuovere efficacemente tutte le particelle di sporco che si

saranno accumulate sul viso durante il giorno. Inoltre, i

trattamenti da fare la sera avranno il tempo di agire tutta la

notte per un risultato di pelle bellissima al risveglio.

La prima cosa da fare ogni sera: eliminare il trucco ! Se hai

usato molto trucco sugli occhi, ti consigliamo di utilizzare uno

struccante bifasico che sarà in grado di sciogliere anche il

mascara e l'eyeliner più tenaci. Per il resto del viso, invece,

puoi optare per un'acqua micellare insieme ad un dischetto di

cotone. Nell'ultimo periodo sono in rapida ascesa anche alcuni

struccanti oleosi in grado di rimuovere alla perfezione anche il

trucco waterproof, ed hanno la particolarità di trasformarsi in

latte a contatto con l'acqua, quindi sono ideali per tutti i tipi di

pelle.

Adesso è la volta della detersione che può essere trasformata

anche in una doppia detersione, il detergente oleoso prima e

quello schiumoso dopo , serviranno a rimuovere delicatamente

i residui di trucco oppure lo smog che sporcano la tua pelle,

rendendola soffice e vellutata al tatto

Esfoliare la pelle una o due volte a settimana è utile per

aiutare il ricambio cellulare. Scegli sempre un esfoliante

delicato che, oltre a pulirla, renderà la pelle più luminosa. Se

hai la pelle sensibile, opta per il gommage i granelli sono più

piccoli ed il potere abrasivo è utile per non arrossare la pelle;

ricordiamoci che il gommage lo faremmo anche sulle mucose

labiali.

Dopo gli step nominati in precedenza, arriva il momento di

ristorare la pelle applicando una maschera lenitiva, idratante

o nutriente. Puoi scegliere le maschere in tessuto, facili da

applicare, veloci e che non necessitano di risciacquo. Oppure

l'alternativa sono le maschere in crema: stendi sul viso una

quantità piuttosto abbondante, lascia in posa e poi risciacqua.


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Dopo gli step nominati in precedenza, arriva il momento di

ristorare la pelle applicando una maschera lenitiva,

idratante o nutriente. Puoi scegliere le maschere in

tessuto, facili da applicare, veloci e che non necessitano di

risciacquo. Oppure l'alternativa sono le maschere in crema:

stendi sul viso una quantità piuttosto abbondante, lascia in

posa e poi risciacqua.

Adesso arriva il momento di gratificare la pelle, sempre

dopo avere esfoliato il tuo derma, applicando una maschera

lenitiva, idratante o nutriente. Puoi scegliere le maschere in

tessuto, al collagene ,elastina, facili da applicare, veloci e

che non necessitano di risciacquo. Oppure l'alternativa

sono le maschere in crema: stendi sul viso una quantità

piuttosto abbondante, lascia in posa e poi risciacqua.

Il tonico è il prodotto più bistrattato: alcune lo amano e

altre lo odiano, ma spesso il suo utilizzo viene

completamente saltato durante la cura della pelle

giornaliera. In realtà, ha una funzione importante, in quanto

riequilibra la pelle restringendo i pori, illuminando il viso o

combattendo le imperfezioni.

Applicare siero è fondamentale anche e soprattutto per

massimizzare gli effetti della crema viso e il siero che

permette alla crema di entrare in profondità. È il primo

step per l'idratazione notturna e non va mai saltato.

Anche il contorno occhi ha il suo step all'interno della

cura della pelle: essendo una zona assolutamente delicata,

dove avviene la maggior mobilità del viso, la sera è il

momento perfetto per idratarla a fondo. Per capire che

quantità di contorno occhi applicare, immagina di erogare

sulla punta delle dita un chicco di riso, sarà la dose

perfetta da picchiettare sotto e al lato di entrambi gli occhi.

Questo dovrebbe essere fatto anche più volte al giorno

anche sopra al trucco. lo stesso prodotto puoi utilizzarlo

anche intorno alla mucosa della labbra.

La crema viso è l'ultimo prodotto da applicare, lo step

finale per chiudere in bellezza la tua routine. Scegli

accuratamente la crema viso in base al tuo tipo di pelle, in

modo che durante la notte possa agire alla perfezione.

Proprio perché è notte, puoi optare per una crema viso

dalla texture ricca, soprattutto se hai la pelle secca, ed

eventualmente risciacquare i residui il mattino seguente.

Ricorda che anche il giorno prima del trucco dovrai usare

una crema idratante prima di iniziare a truccarti, un pò

meno grassa per far sì che il tuo trucco tenga di più.

Anche se ti abbiamo appena detto che la crema viso è

l'ultimo step, c'è ancora qualcosa che puoi fare: idratare le

labbra! Soprattutto se è inverno o se durante il giorno hai

indossato un rossetto, assicurati che sia stato

completamente rimosso e applica una dose generosa di

balsamo labbra oppure un pò di burro di karitè, per nutrire

e idratare le labbra in profondità durante il sonno. Ovvio

dirlo, si può usare anche di giorno, per proteggere la

labbra dal caldo e dal freddo


FISIOTECNICA

E

LOMBALIGA

Silvio Liberto.

Nel corso del tempo, anche la danza classica ha subito cambiamenti, mutamenti per

meglio dire; da quasi vent’anni quest’ arte è stata approfondita in larga scala, da

esperienze e conoscenze, maturando la consapevolezza di uno studio non solamente

tecnico, ma anche estetico ed inconscio, implementando la ricerca anatomica di strumenti

teorici e critici da parte di esperti nel settore medico.

Nasce così la fisiotecnica.

L’utilizzo di attrezzi, di piccole o grandi dimensioni, allo scopo di migliorare le prestazioni

fisiche dei danzatori, una disciplina a cura del corpo, allineare tutti quei segmenti che

compongono il copro umano muscolo-scheletrico, evitando eventuali traumi nel corso

dell’attività, lavorando dalla testa ai piedi, escludendo scompensi muscolari, principale

fonte di dolori articolari e squilibrio posturale.

Nell’impostazione moderna, a differenza della scuola tradizionale, caratterizzata da

irrigidimento in uno schema fondato dall’ uso della forza e sull’ esercizio della prontezza, il

corpo lavora su fasi di rilassamento, scioltezza ed elasticità, puntando e stimolando il

movimento più profondo, lavorando su un equilibrio di propriocezione neurale, attivando il

processo di sinapsi celebrale, memorizzando in modo duraturo il movimento.

Il danzatore non si muove solamente dentro la spazio, ma interagisce con esso,

controllando le leggi fisiche che lo circondando, in primis la gravità. Qualsiasi movimento,

dal più piccolo al più grande, dal più lento al più veloce, dallo scattante al più fluido, si

irradiano energicamente dal centro del corpo all’ esterno, attraverso le linee dei canali

degli arti, con cambi di orientamento anche dei singoli segmenti corporei, liberi di spostarsi

nello spazio. È cosi che il corpo libera tensioni superflue e irrigidimenti muscolari, dalle

zone più superficiali alle più profonde, economizzando sull’ energia.

Nello specifico, oggi, affrontiamo il tema del dolore nell’area lombare.

L’impostazione del tronco nella danza classica come nella vita odierna, è di fondamentale

importanza per evitare traumi e dolori alla schiena, l’attività respiratoria e il lavoro

muscolare generale, incidono molto nella statica delle pose e nella dinamica dei passi; in

sostanza, nella rifinitura stilistica esteriore del corpo e nello stretto rapporto tra il lavoro di

schiena. L’assestamento della colonna vertebralericade sul bacino in relazione

all’equilibrio, orientando il corpo a dar spazio al movimento e non al carico maggiore sugli

arti. Solamente in questo modo otterremo un equilibrio tra muscoli, tendini e forze

contrarie.

Il tronco esige l’ allungamento del bacino nella sua naturale forma, l’inclinazione in avanti e

la riduzione delle curve vertebrali, consentendo la verticalizzazione del bacino all’ altezza

della vita, diminuendo la lordosi lombare, la classica curvatura della parte bassa della

colonna vertebrale che esteticamente è visibilmente accentuata interrompendo la naturale

fisiologia. Questa eccessiva curvatura dà vita a dolori spesso insopportabili, impossibilità

a stare seduti o in piedi per lungo tempo, formicolii e perdita di sensibilità degli arti, disturbi

dell’ equilibrio e, in alcuni casi, anche vertigini.

Trattare la lordosi con la fisiotecnica è uno dei migliori rimedi naturali, da esercitarsi con

costanza, determinazione e con stretching dolce facendosi aiutare da un esperto; in tal

modo è assolutamente risolvibile. Oggi, fortunatamente, con la presenza di attrezzature

all’avanguardia e sempre in via di aggiornamento, possiamo intervenire nello specifico, sia

per i più piccoli che per i più grandi, eliminando qualsiasi problema alla radice. La

fisiodanza è consigliabile anche per i più adulti, lo studio della danza classica assemblata

alla fisiotecnica è aperta a tutti, ma sempre in presenza di un esperto, per evitare di

aggravare stati muscolari già cronici.


TuttoBallo20

ATTACAMENTO E SOCIAL

di Giovanni Battista Gangemi

Bowlby aveva identificato quattro stili di attaccamento.In primis lo stile sicuro, che

consente di creare relazioni efficaci e durature, e poi tre stili disfunzionali: quello insicuro

–evitante, insicuro–ansioso, e quello disordinato–disorganizzato. Secondo Bowlby,

l’attaccamento non si sviluppa esclusivamente per necessità di nutrimento e per

l’allattamento, ma si stabilisce sulla base e attraverso la presenza di alcuni altri elementi

fondamentali: il contatto ed il calore fisico, le coccole, le attenzioni e le rassicurazioni di cui

il piccolo ha bisogno, e che ricerca per istinto.

Ma cosa succede se applichiamo le teorie dell’attaccamento alle nuove relazione

online?

E in effetti, se le analizziamo con attenzione, ritroviamo molte delle problematiche che si

scorgono in tante relazioni che passano attraverso i nuovi media.

Con la comunicazione che passa principalmente per il digitale, che nella maggior parte

dei casi elimina la dimensione corporea, i soggetti non sono in grado di utilizzare

efficacemente i MOI ( Modelli Operativi Interni), sviluppati in passato per dare un senso

alle relazioni. I MOI sono “Rappresentazioni mentali, costruite dall'individuo come strutture

mentali che contengono le diverse configurazioni (spaziale, temporale, causale) dei

fenomeni del mondo, e che hanno la funzione di veicolare la percezione e

l'interpretazione degli eventi, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli

accadimenti della propria vita relazionale” (Albanese, 2009).

Infatti la comunicazione digitale priva i soggetti di un importante punto di riferimento nel

processo di apprendimento e comprensione delle emozioni proprie ed altrui, favorendo il

cosiddetto “ analfabetismo emotivo” . Questa espressione indica sia la mancanza di

consapevolezza , quindi un mancato controllo delle proprie emozioni, sia la mancanza di

capire le ragioni per le quali si provano delle certe emozioni, sia l’incapacità di relazionarsi

con le emozioni altrui. Questa mancanza di corporeità va a toccare gli stili di

attaccamento identificatida Bowlby. Di conseguenza le relazioni che vediamo nascere sui

media o social nella maggior parte dei casi appartengono a :

lo stile insicuro–evitante, che porta a prevedere che la relazione avrà come unica

soluzione l’abbandono o il rifiuto;

lo stile insicuro–ambivalente, dove il soggetto tende ad interpretare i segnali dell’altro

contemporaneamente in senso sia positivo che negativo;

lo stile disorientato–disorganizzato dove il soggetto è caratterizzato da forti sbalzi

emotivi e da una relazione intermittente.


Pensiero del mese

DI FRANCESCA MEUCCI - DIRETTRICE DI SOLOMENTE

Siamo nel pieno dell'inverno, i primi giorni di febbraio

seguono quelli che tradizionalmente sono considerati i più

freddi dell'anno e vengono chiamati "i giorni della merla". Lo

sapete che esiste un fiore che sboccia a febbraio? È il

bucaneve, il cui nome, dall'etimologia greca, deriva dalle

parole: gala (latte), anthos (fiore) e nivalis (nella neve).

Viene chiamato anche stella del mattino, in quanto spesso è

il primo fiore a sbocciare anche quando la neve ricopre

ancora il sottobosco. Un tempo era ritenuto di cattivo

auspicio ma nel linguaggio dei fiori significa tutt'altro: vita e

speranza! Il fiore del bucaneve infatti viene associato al

passaggio dall'oscurità invernale alla serenità primaverile

diventando un vero e proprio simbolo di speranza per il

futuro e di purezza. Mai come quest'anno c'è bisogno di

fiducia e ottimismo, di credere davvero che domani andrà

meglio, che usciremo tutti da un periodo buio e torneremo,

citando l'immenso Dante Alighieri, "a riveder le stelle". Se un

fiore riesce a nascere sotto la neve, nulla è impossibile.

Anzi, io credo fermamente che "nulla è impossibile, finché

non lo fai". Con la speranza che ognuno di noi possa

superare questo periodo nel migliore dei modi e che le

nostre aspettative non rimangano mere illusioni, vi invio

virtualmente piantine di bucaneve, perché possiate fiorire

insieme a loro.

WWW.SOLOMENTE.IT


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MAHMOOD & Blanco

vincitori Festival di Sanremo 2022

© F R E E P R E S S O N L I N E - v i e t a t a l a r i p r o d u z i o n e D I R E T T A D A F A B R I Z I O S I L V E S T R I - S E G R E T E R I A D I

R E D A Z I O N E P I N A D E L L E S I T E - T U T T O B A L L O 2 0 @ G M A I L . C O M - e d i z i o n e " S t e f a n o F r a n c i a E n j o y A r y "

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