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TuttoBallo20 MARZO EnjoyArt 2022

Marzo pazzerello è arrivato, purtroppo questo anno con una brutta notizia. Ogni artista attraverso la propria arte, esprime solidarietà alle due popolazioni coinvolte in questa assurda guerra. Questo numero lo vogliamo dedicare alle due popolazioni, gli ucraini che stanno vivendo un attacco violento. e la maggioranza della popolazione russi che protestano contro questa assurda guerra. Ci auguriamo che, quando leggerete questa rivista, gli avvenimenti siano entrati definitivamente nella storia con un accordo di PACE definitivo Sfogliando questo numero 26 troverete notizie, interviste, viaggi, cucina, libri, bellezza e molto altro. La nostra leggerezza, speriamo, sia una sana evasione per ognuno di voi. In queeto numero ci siamo concentrati sulle good news che il mondo dell’arte quotidianamente regala, a partire dall’Accademia Ucraina di Balletto che danza oltre la guerra, le riflessioni suggerite dal nostro Sandra Mallamaci sull’etimologia della parola Arte, le presentazioni di artisti emergenti della danza, della musica e di tutte le arti visive. Marzo ci regala anche la notizia dell’arrivo dei due figli di Tiziano Ferro al quale vanno le nostre congratulazioni con il piccolo omaggio in controcopertina. Il 21 marzo torna la Primavera, la rinascita! Il periodo in cui tutta la natura si risveglia, tutto rifiorisce, tutto si riempie di colori nuovi e brillanti, tutto dall’interno della terra esce in superficie, dopo il freddo inverno iniziamo a sentire il tepore del clima che sta cambiando, divenendo più dolce, le giornate si allungano di luce, anche le persone rifioriscono, diventando tutti più positivi...

Marzo pazzerello è arrivato, purtroppo questo anno con una brutta notizia.
Ogni artista attraverso la propria arte, esprime solidarietà alle due popolazioni coinvolte in questa assurda guerra. Questo numero lo vogliamo dedicare alle due popolazioni, gli ucraini che stanno vivendo un attacco violento. e la maggioranza della popolazione russi che protestano contro questa assurda guerra.
Ci auguriamo che, quando leggerete questa rivista, gli avvenimenti siano entrati definitivamente nella storia con un accordo di PACE definitivo
Sfogliando questo numero 26 troverete notizie, interviste, viaggi, cucina, libri, bellezza e molto altro.
La nostra leggerezza, speriamo, sia una sana evasione per ognuno di voi.
In queeto numero ci siamo concentrati sulle good news che il mondo dell’arte quotidianamente regala, a partire dall’Accademia Ucraina di Balletto che danza oltre la guerra, le riflessioni suggerite dal nostro Sandra Mallamaci sull’etimologia della parola Arte, le presentazioni di artisti emergenti della danza, della musica e di tutte le arti visive. Marzo ci regala anche la notizia dell’arrivo dei due figli di Tiziano Ferro al quale vanno le nostre congratulazioni con il piccolo omaggio in controcopertina.
Il 21 marzo torna la Primavera, la rinascita! Il periodo in cui tutta la natura si risveglia, tutto rifiorisce, tutto si riempie di colori nuovi e brillanti, tutto dall’interno della terra esce in superficie, dopo il freddo inverno iniziamo a sentire il tepore del clima che sta cambiando, divenendo più dolce, le giornate si allungano di luce, anche le persone rifioriscono, diventando tutti più positivi...

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26

€ 258,04

Giulia Settimo

Ph. Monica Irma Ricci


TuttoBallo - MARZO 2022 - n. 26

Copertina: Giulia Settimo

Ph. Monica Irma Ricci

MakeUp- Mauri Menga

Editore "Stefano Francia" EnjoyArt

Direttore - Fabrizio Silvestri

Vice direttore - Eugenia Galimi

Segretaria di redazione - Pina delle Site

Redazione - Marina Fabriani Querzè

COLLABORATORI: Maria Luisa Bossone, Antonio Desiderio, Francesco

Fileccia, David Bilancia, Giovanni Fenu, Mauri Menga, Sandro Mallamaci,

Walter Garibaldi, David Iori, Giovanni Battista Gangemi Guerrera, Lara

Gatto, Lucia Martinelli, Patrizia Mior, Ivan Cribiú, Danilo Pentivolpe,

Alessia Pentivolpe, Carlo De Palma, Rita Martinelli, Assia Karaguiozova,

Federico Vassile, Elza De Paola, Giovanna Delle Site, Jupiter, Francesca

Meucci, Alberto Ventimiglia.

Fotografi: Luca Bartolo, Elena Ghini, Cosimo Mirco Magliocca

Photographe Paris, Monica Irma Ricci, Luca Valletta, Raul Duran, Marina

Irma Ricci, DsPhopto, Raul, Alessio Buccafusca, Alessandro Canestrelli,

Alessandro Risuleo.

Altre foto pubblicate sono state concesse da uffici stampa e/o scaricate

dalle pagine social dei protagonisti.

Le immagini e le fotografie qui presentate, nel rispetto del diritto d’autore,

vengono riprodotte per finalità di critica e discussione ai sensi degli artt. 65

comma 2 e 70 comma 1bis della Lg. 633/1941.

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direttore. I collaboratori cedono all'editore i loro elaborati a titolo gratuito.

Testata giornalistica non registrata di proprietà: ©ASS: Stefano Francia EnjoyArt

per contattare la redazione Tuttoballo20@gmail.com

Contro Copertina

Marzo pazzerello è arrivato, purtroppo questo anno con

una brutta notizia.

Ogni artista attraverso la propria arte, esprime solidarietà

alle due popolazioni coinvolte in questa assurda guerra.

Questo numero è dedicato agli ucraini che stanno vivendo

un attacco violento e alla popolazione russa che protesta

contro questa assurda guerra.

Sfogliando questo numero 26 troverete notizie, interviste,

viaggi, cucina, libri, bellezza e molto altro.

La nostra leggerezza, speriamo, sia una sana evasione

per ognuno di voi. Noi ci siamo concentrati sulle good

news che il mondo dell’arte quotidianamente regala, a

partire dall’Accademia Ucraina di Balletto che danza oltre

la guerra, le riflessioni suggerite dal nostro Sandro

Mallamaci sull’etimologia della parola Arte, le

presentazioni di artisti emergenti della danza, della

musica e di tutte le arti visive. Marzo ci regala anche la

notizia dell’arrivo dei due figli di Tiziano Ferro al quale

vanno le nostre congratulazioni con un piccolo omaggio in

controcopertina.

© F R E E P R E S S O N L I N E r i p r o d u z i o n e r i s e r v a t a - D I R E T T A D A F A B R I Z I O S I L V E S T R I - S E G R E T E R I A D I R E D A Z I O N E P I N A D E L L E S I T E - T U T T O B A L L O 2 0 @ G M A I L . C O M - e d i z i o n e " S t e f a n o F r a n c i a E n j o y A r t "


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Massimo Polo

Direzione Artistica


Accademia Ucraina di Balletto:

la danza oltre la guerra

Ritornano gli spettacoli degli allievi dell’Accademia Ucraina di Balletto di

Milano al TAM Teatro Arcimboldi Milano.

In questo periodo di crisi internazionale, AUB è l’emblema della amicizia tra

popoli veicolata dall’arte: la danza, nella nostra Accademia, diventa simbolo

di pace, grazie alla presenza di insegnanti di diverse nazionalità: due sono

gli insegnanti russi, due gli ucraini, ma anche 2 moldavi, una bielorussa e

un italiano.

“In quanto russa – dice l’insegnante Oskana Belyaeva – sono vicina con il

cuore al popolo ucraino e stringo le mani a preghiera per fare sentire loro

che noi ci siamo”. L’accademia Ucraina di Balletto di Milano, nata 17 anni

per volontà di Caterina Calvino Prina, è sempre in contatto con la Direttrice

dell’Accademia omonima di Kiev, Alvina Kalchenko, in questi momenti così

drammatici.

Per essere messaggeri di pace e del valore dell’arte che va al di là di ogni

cosa, l’Accademia non si è fermata e continua a preparare gli allievi per il

prossimo debutto. Anche quest’anno l’appuntamento sarà con due titoli del

repertorio classico tra i più famosi ed amati: sabato 30 aprile alle ore 21.00

e domenica 1° maggio alle ore 16.00 il sipario si alzerà sulle celebri note de

La Bella Addormentata. Negli stessi giorni e precisamente sabato 30 aprile

alle ore 16.00 e domenica 1° maggio alle ore 11.00, i giovani danzatori

dell’Accademia proporranno invece un balletto molto conosciuto, ma poco

rappresentato in Italia, Coppelia.

La Bella Addormentata sarà presentata nella sua versione più famosa, nel

rispetto della tradizione del repertorio classico. I tre atti, complessi per i

virtuosismi dei solisti e per l’insieme a cui sarà chiamato il corpo di ballo,

porteranno il pubblico nel mondo incantato di una favola con la quale siamo

tutti cresciuti. Scenografie di alto livello, ricchi costumi e qualità tecnica

saranno al centro di un grande lavoro di precisione, sia a livello esecutivo

che a livello espressivo. Al fianco degli allievi dell’Accademia due nomi

della danza classica che il pubblico milanese ha conosciuto, ammirato ed

applaudito nelle sette repliche del Lago dei Cigni andate in scena lo scorso

anno: Michal Krcmar, primo ballerino del Teatro dell’Opera di Helsinki e già

protagonista di altri titoli proposti dall’Accademia (da Don Quixote a

Schiaccianoci) e Violetta Keller, stella nascente dello stesso teatro tanto da

ricoprire tutti i ruoli più complessi del repertorio classico nonostante la sua

giovane età.


Arte

movimento di un pensiero

Sandro Mallamaci

Scrivo questo articolo prendendo spunto proprio dalla parola articolo, immaginando che questa abbia a che fare in qualche

maniera con qualcosa di molto più bello, come se scrivere un articolo fosse quasi creare un’opera d’arte, come una poesia o

un romanzo. Forse un po' troppo presuntuoso?

Mi ha incuriosito il fatto che la parola arte abbia in comune la radice ar- con altre parole come artificio, artiglieria, artigiano,

artefatto, oltre che con artista. Deriva tutto da ars, che significava andare, muoversi, e quindi anche legato ad un’altra parola

come arto con un’accezione nel senso di fare, creare, appunto con le mani, con gli arti.

Parole che richiamano quindi l’uso delle mani, degli arti, oltre che della mente, non solo per creare ma paradossalmente

anche per distruggere.

L’importante è che comunque tutto venga fatto a regola d’arte, perché è necessario rispettare i canoni richiesti da chi ha

commissionato quell’opera.

La regola d’arte quindi va rispettata nella creazione, anche di cose che con la bellezza non hanno molto a che fare.

Per le opere d’arte invece è necessario avere inclinazioni naturali verso il bello, ed eventualmente affinarle in luoghi

appositamente deputati come ad esempio le accademie delle belle arti. Fino al rinascimento non vi era distinzione tra

l’artigiano e l’artista. In realtà un artista è qualcuno dedito ad una qualsiasi arte creative, come la pittura o la musica, mentre

l’artigiano è un creatore di cose fatte a mano. Come si vede quindi entrambi hanno a che fare con la creazione di qualcosa.

La vera differenza sta nel fatto che il prodotto di un artigiano è qualcosa che deve avere una precisa funzione pratica, cosa

che la creazione di un artista non deve avere necessariamente.

Entrambi creano quindi qualcosa di artificiale, cioè ottenuto con arte, che non si può ritrovare in natura.

È l’uomo al centro di questa creazione, quasi a volersi elevare al ruolo di un dio. Chi crea ha la capacità di vedere le cose

prima che queste diventino realtà. E il fascino dell’artista, in qualsiasi forma, sta proprio nell’essere visto come qualcuno

capace di suscitare negli altri sentimenti positivi, che fanno star bene, toccando particolari corde dell’animo umano, creando

arte per puro amore dell'arte stessa, spesso per il solo piacere di creare.

In realtà le opere d’arte hanno avuto da sempre la involontaria capacità di creare profondi cambiamenti nella società

stimolando spesso riflessioni e dibattiti anche su argomenti molto importanti.

In questo senso l’arte è un vero e proprio linguaggio universale, che tutti sono in grado di comprendere, attraverso il quale

l’artista comunica. Il ballo è una delle arti più antiche che, insieme alla musica, riesce da sempre a suscitare ammirazione e a

far vivere profonde emozioni. Potremmo chiederci se in quest’arte l’artista è il creatore della coreografia o chi la esegue. A

ben vedere il primo è il vero creatore visionario che con la sua sensibilità riesce a immaginare, ma anche chi esegue un ballo

può essere un artista, nel momento in cui interpreta riuscendo a trasmettere sensazioni ed emozioni, così come il poeta è il

creatore dell’ode e l’attore è chi la recita.

Basta non confondere la vera arte con altre forme di espressione che con l’arte non hanno molto a che fare.

L’artista vero è qualcuno a cui la natura ha regalato particolari doti che non tutti posseggono, ma che molti sono capaci di

cogliere, riconoscendo nella sua opera un preciso valore e una utilità al pari di qualsiasi altra creazione materiale. Cosa

sarebbe il mondo senza artisti?

Model, dancer: Stella di Plastica

Ph. Monica Irma Ricci


I fatturati di cinema e teatri di Roma

in caduta tra il 50 e il 74 per cento

Un crollo dei fatturati del 74 per cento nelle sale cinematografiche e del 50 per cento in quelle teatrali rischia di

causare entro giugno la chiusura del 50 per cento delle imprese del settore di cinema e teatri privati. È il quadro

allarmante tracciato dalle associazioni di categoria nel corso di una seduta della commissione capitolina

Cultura, presieduta da Erica Battaglia del Pd. “Abbiamo registrato un crollo dei fatturati del 74 per cento,

mentre in Francia il settore ha recuperato il 70 cento dei fatturati del 2019 qui continuiamo a leccarci le

ferite che non guariscono”, ha sottolineato Leandro Pesci di Agis Anec Lazio, che rappresenta le sale

cinematografiche.

È il quadro allarmante tracciato dalle associazioni di categoria

nel corso di una seduta della commissione capitolina Cultura

“Il mercato italiano rispetto ad altri europei è quello che sta soffrendo più di tutti, soprattutto a causa di

un vuoto normativo sulla diffusione: i film anzichè nelle sale vanno sulle piattaforme televisive e online.

In Francia i film prima di andare in tv devono attendere 15 anni. Chiediamo che il sindaco si faccia

portavoce di questa richiesta presso il governo e il ministero della Cultura”, ha raccontato Manuele Ilari di

Cna Unione esercenti cinematografici. Sul settore, secondo Pesci, sta pesando anche l’aspetto psicologico:

“C’è una Percezione di pericolosità delle nostre sale che non è veritiera. Il nostro personale è tutto

vaccinato, non c’è mai stata segnalazione di contagi nelle sale, controlliamo il green pass a tutti”, ha

chiarito. “Nel nostro teatro abbiamo registrato 34mila presenze tra dicembre e gennaio, ho assunto 15

persone per controllare i green pass”, ha testimoniato Piparo. Tuttavia persiste un problema di liquidità

nelle casse di cinema e teatri. “Abbiamo bisogno di risorse immediate”, ha detto Pesci di Agis Anec Lazio.

Per il consigliere di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo la massima attenzione “va posta alle arene estive

collegate al programma dell’Estate romana che rischiano di penalizzare ulteriormente il settore”. Secondo

Valerio Casini, consigliere della lista Civica Calenda, “andrebbe investito parte del budget comunale sui

ristori, non soltanto sull’ampliamento delle attività dell’Estate romana”. Per la consigliera del M5s, Virginia

Raggi, invece “si tratta di far ripartire l’economia, superare l’aspetto psicologico della paura: tutta

Europa sta riaprendo perchè c’è desiderio delle persone di riunirsi, forse i provvedimenti non

rispondono più alle esigenze reali”. La presidente della commissione ha quindi proposto una mozione, da

condividere con tutte le forze politiche, e che impegni il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e la giunta a

istituire un tavolo interassessorile per abbassare le tasse locali.


Uno spiraglio di ripresa potrebbe arrivare dopo il 10 marzo, quando sarà nuovamente possibile consumare cibi e

bevande anche in sale teatrali, da concerto, al cinema cinematografiche, nei locali di intrattenimento e musica

dal vivo, in altri locali assimilati e in tutti i luoghi in cui svolgono eventi e competizioni sportive. La

comunicazione arriva dal sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, sottolineando che lo prevede

l'emendamento al Decreto-legge appena approvato all'unanimità dalla Commissione Affari Sociali della Camera

e su cui, in rappresentanza del Governo, ha espresso parere favorevole. Si tratta, ha detto, di una “risposta

importante per alcuni dei settori tra i più colpiti, un nuovo segnale di ripartenza”.

Da fine marzo, esattamente il 31, uno dei provvedimenti che potrebbero essere confermati, sempre in

riferimento alla gestione della pandemia di coronavirus nel nostro Paese, è quello relativo alla fine dello

stato di emergenza. Lo ha confermato, Sergio Abrignani, attuale membro del Comitato Tecnico

Scientifico. “Non credo verrà prorogato lo stato di emergenza e, quindi, si scioglierà anche il Cts”, ha

detto l’esperto. Perché ciò avvenga effettivamente, comunque, si dovranno attendere e valutare i dati

sanitari. Se la curva epidemiologica derivante dalla variante Omicron dovesse appiattirsi fino a essere

gestibile dal sistema ospedaliero, lo stato d’emergenza non avrebbe più necessità di essere confermato.

Sempre Abrignani, fotografando un probabile scenario futuro, ha ipotizzato poi quello che potrebbe succedere

da qui ai prossimi mesi. “Non credo che dovremmo più vivere la situazione emergenziale che abbiamo

vissuto in passato, almeno se rimane la variante Omicron. E non penso che possa arrivare a breve una

variante più diffusiva di Omicron, è difficile ed è improbabile immaginarsela” ha spiegato. fonte ANSA


“ u n ' a r t i s t a p o l i e d r i c a “

Model, dancer: Stella di Plastica

Ph. Monica Irma Ricci


Francesca in arte StelladiPlastica, è una performer,

ballerina, attrice, artista di strada.

Pugliese di origine, formatasi all’ IDA Ballet Academy di

Steve LaChance. Nel 2010 vince il concorso internazionale

di danza “Danzaeuropa” nella categoria solisti

contemporaneo. Si esibisce a New York con l’Ajkun dopo

aver ricevuto una borsa dì studio per studiare in compagnia

dì Leonard Ajkun. È artista di strada nello spettacolo

“Carillon” della compagnia “Italento”. Stella di Plastica è

un'artista poliedrica e si è esibita in tutto il mondo.

Ph. Monica Irma Ricci


"DILLO ALLA DANZA"

Terza edizione del "Concorso MultiArte"

Festeggia con noi la XL Giornata Internazionale della danza, il 29 aprile 2022 con il convegno e Concorso Multi

Arte "DILLO ALLA DANZA"

Curt Sachs diceva "La danza è la madre di tutte le arti" e su questa frase nasce il progetto "DILLO ALLA DANZA".

Attraverso l'espressione delle arti consorelle raccontiamo la passione per la danza.

"DILLO ALLA DANZA" giunta alla terza edizione, mette sul palcoscenico gli artisti o aspiranti tali suddivisi in 4

sezioni. Con i loro elaborati raccontano la danza. La fotografia, la pittura, la scultura la musica e la danza stessa.

Durante i festeggiamenti della Giornata Internazionale della Danza, le migliori composizioni musicali (inedite e cover)

presentate nelle scorse edizioni sono entrate a far parte dei primi due volumi della Compilation

“DILLOALLADANZA”, prodotta dalla Stefano Francia EnjoyArt e dall’etichetta discografica Pomodoro Studio Always

e distribuita in tutti i digital store. Le copertina delle due edizioni precedenti sono state firmate da artisti di fama

internazionale come Rosalinda Celentano. Il Concorso Multi Arte "DILLO ALLA DANZA" è promosso dal CID

UNESCO-DANZA e vuole essere un progetto divulgativo della danza e di tutte le arti. Importante è diffondere il virus

dell’arte nelle scuole tra gli allievi, gli amici, affinché tutti diventino positivi e sensibili alla storia dell'arte, diventando

"artigiani” dell’arte innamorati della bellezza. “DILLO ALLA DANZA" scrivere un racconto, una poesia, scattare una

foto, dipingere una tela, cantare o suonare una canzone per la dea Tersicore. 4 sezioni del concorso:

Arti letterarie (poesia e racconto breve/narrativa)

Arti visive (scultura, fotografia, disegno)

Musica e Canto (opere originali)

Coreutica

Ciascuna sezione è divisa in due categorie: Partecipanti di età under 18 anni e over 18 anni.

In questa edizione 2022 prestigiosi premi per i vincitori:

Sezioni Letteratura e Arti visive, le opere finaliste saranno raccolte in un catalogo digitale distribuito sulla webkiosk

di Yumpu, come allegato alla rivista TuttoBallo. Premio Speciale opera dell'artista Giovannino Montanari

Sezione Musica e Canto, le migliori 10 composizioni entreranno a far parte del 3 volume di “DilloAllaDanza 2022”,

distribuito in tutti i digital store. Contratto per 1 anno con l’ etichetta indipendente. Direzione Artistica Ciro Vinci.

Per il vincitore over 18 contratto per un anno con l'etichetta indipendente Tilt Music Production

Sezione Coreutica. Borsa di studio di un mese presso Barcelona Ballet Project - Centro Internazionale Danza

Contemporanea Catalunya diretta dal maestro Gino Labate. Borsa di Studio di una settimana presso International

Creative Hub Roma. Direzione Artistica Maria Luisa Bossone.

Il Concorso “DILLOALLADANZA” è rivolto ad artisti, alunni e persone comuni maggiorenni e minorenni che amano

esprimere l'amore per la danza attraverso tutte le arti Letteratura, poesia, pittura, fotografia, musica e danza. La

presentazione delle opere scade il 10/04/2022 alle ore 12 iscrivendosi sul sito dancematick.it e inoltrando l’elaborato

anche a: dilloalladanza@gmail.com

Le premiazioni di "DILLO ALLA DANZA" si terranno il 29 Aprile 2022, in occasione delle celebrazioni della "XL

Giornata Mondiale della Danza”, in un teatro e località da stabilire rispettando le normative Covid-19. In base alla

normativa Covid-19, la manifestazione in presenza potrebbe anche essere annullata qualche giorno prima…

In ogni caso le iscrizioni non verranno restituite, in quanto il concorso procede in base con la procedura remoto,

comunicando on line i vincitori.

L’artista partecipa al concorso iscrivendosi sul sito www.dancematick.it inviando in allegato le proprie opere nel

formato richiesto da regolamento.Inoltre, la documentazione dovrà essere inoltrata in copia a

dilloalladanza@gmail.com


Seconda edizione di Biennale College Danza sotto la guida di Wayne McGregor, alla ricerca dei “visionari di domani”. Da

oggi lunedì 21 febbraio sul sito web della Biennale di Venezia – www.labiennale.org – sono aperti fino a lunedì 21 marzo

due nuovi bandi destinati a selezionare rispettivamente 16 danzatori/trici, tra i 18 e i 30 anni, e 2 coreografi/e, a partire dai 18

anni, provenienti da tutto il mondo. Biennale College Danza si concluderà, dopo un percorso lungo tre mesi, presentando sul

palcoscenico del 16 danzatori/trici, tra i 18 e i 30 anni, e 2 coreografi/e, a partire dai 18 anni, provenienti da tutto il mondo.

Biennale College Danza si concluderà, dopo un percorso lungo tre mesi, presentando sul palcoscenico del Festival

Internazionale di Danza Contemporanea (22 > 31 luglio): la nuova creazione realizzata in esclusiva da Saburo Teshigawara,

Leone d’Oro alla carriera 2022, per il gruppo di danzatori e coreografi e commissionata dalla Biennale di Venezia.

l’allestimento di uno dei famosi Event di Merce Cunningham, mentori Daniel Squire, che ha riallestito molti dei suoi lavori, e

Jeannie Steele, per sedici anni con la compagnia come danzatrice e assistente alle prove. due brevi composizioni originali

ideate dai 2 coreografi in collaborazione con i 16 danzatori, mentore lo stesso direttore Wayne McGregor. Strutturato come

un programma intensivo teorico-pratico della durata di tre mesi (9 maggio > 31 luglio), Biennale College Danza,

nell’ideazione di Wayne McGregor, mira ad ampliare competenze, abilità, conoscenze e consapevolezza dei 18 giovani

artisti che saranno selezionati fornendo loro quegli strumenti necessari ad affrontare a tutto campo la professione. Al fianco

dei giovani artisti ci saranno maestri, coreografi, insegnanti e istruttori di primo piano, ma anche importanti professionisti del

mercato in una visione globale e integrata del danzatore/coreografo oggi.

Alla sessione propedeutica con Wayne McGregor sul Physical Thinking, oggetto privilegiato della sua ricerca, volta a creare

materiale di danza e composizione, si aggiunge, vera novità di quest’anno, una sessione dedicata all’interazione tra danza e

nuove tecnologie, fornendo a danzatori e coreografi la possibilità di saggiare le applicazioni generative dell’intelligenza

artificiale attraverso l’utilizzo del Living Archive, lo strumento di composizione coreografica nato dalla collaborazione tra

Google e McGregor. Partendo dai danzatori stessi e attingendo al repertorio di McGregor, il Living Archive sfrutta

l’apprendimento automatico per generare nuovi movimenti nello stile del danzatore-trice moltiplicando le possibilità del

processo coreografico.

Il programma di Biennale College prevede, inoltre, lezioni quotidiane di tecnica di danza classica e contemporanea,

workshop incentrati sul repertorio Cunningham, pratiche di improvvisazione, esplorazione della propria creatività, tutoraggi

individuali, ma anche conferenze e seminari focalizzati sugli aspetti più pratici della realtà professionale. Un programma

largamente condiviso da danzatori e coreografi con momenti specifici studiati per ognuno delle due categorie.

Durante il Festival, infine, i 18 partecipanti al College potranno assistere a tutte le attività programmate: spettacoli, incontri,

installazioni, conferenze.

Il testo ufficiale dei bandi di Biennale College Danza 2022 completo di benefits e facilitazioni (viaggi, alloggi, trasporti,

compensi) è consultabile all’indirizzo: www.labiennale.org/it/biennale-college.

Da quest’anno Biennale College è parte del progetto di sviluppo e potenziamento delle attività della Biennale di Venezia, in

funzione della realizzazione di un polo permanente di eccellenza nazionale e internazionale a Venezia. Come tale Biennale

College rientra nel “Piano di investimenti strategici su siti del patrimonio culturale, edifici e aree naturali” del Piano nazionale

per gli investimenti complementari al piano nazionale di ripresa e resilienza.

fonte: https://www.labiennale.org/it


@ Andrew Kent


o

Dal 2 Aprile a Milano è tempo di DAVID BOWIE, una

retrospettiva fotografica carica di dettagli e ricostruzioni che

raccontano la straordinaria avventura del Duca Bianco, dopo il

suo ritorno in Europa a metà degli anni 70. DAVID BOWIE the

PASSENGER. By Andrew Kent, acclamato fotografo che ha

creato molte delle immagini più iconiche delle superstar del rock

degli anni '70 è in cartellone del TAM Teatro Arcimboldi Milano,

prodotta da Navigare Srl e Show Bees Srl, a cura di Vittoria

Mainoldi e Maurizio Guidoni per ONO ARTE. L’allestimento

scenografico in uno dei foyer del teatro racconta, attraverso le

immagini e le memorie del fotografo americano Andrew Kent, un

periodo ben preciso nella vita di David Bowie. Tra il 1975 e il

1976, infatti, Bowie decide di lasciarsi alle spalle l’esperienza

americana, culminata con il successo di un LP come Young Americans e le riprese del film L’uomo che cadde sulla terra, per tornare

nella nativa Europa e rifondare la sua carriera. Qualche tempo prima di morire Bowie disse che, nonostante vivesse a NY da anni, si

sentiva profondamente europeo. Deve aver provato lo stesso sentimento a metà degli anni Settanta quando tentava di sopravvivere

a Los Angeles tra esoterismo, magia nera e cocaina. Quest’ultima lo stava facendo implodere proprio all’apice del successo

americano e Bowie cercava conforto in Addio a Berlino, il romanzo di Christopher Isherwood ambientato durante la Repubblica di

Weimar, nel suo lavoro e nella musica dei Kraftwerk. Sono questi fattori importanti che spingono Bowie ad immaginare il proprio

ritorno in Europa. Berlino era la città prescelta, nonostante a Londra – la sua città natale - ci fossero i segnali di un’altra rivoluzione

imminente: il Punk. L’ex-capitale del Terzo Reich non poteva non esercitare un fascino discreto su Bowie anche per via del muro che

divideva due mondi: Est e Ovest, Capitalismo e Comunismo. Una frontiera costruita nel cuore della città a creare una frizione

costante, nella quale artisti come lui trovavano ispirazione. Durante il tour promozionale del suo ultimo album, Station to Station,

Bowie era diventato “The Thin White Duke” ovvero “Il Sottile Duca Bianco”: un elegante, sofisticato, pallido - ed eccessivamente

scavato in viso - crooner con camicia bianca, panciotto e pantaloni neri.


NOTRE DAME DE PARIS - dal 3 al 20 MARZO 2022

ro

Un antistyle per eccellenza che nasceva dalla mente non convenzionale di un artista che aveva espanso i confini del pop,

introducendo nuovi elementi come la performance, costumi di scena che avrebbero influenzato la moda, la letteratura, la

politica e una teatralità prima sconosciuta in quel contesto. Le fotografie e le testimonianze di Andrew Kent che

compongono questa mostra raccontano quel periodo concitato nel quale tutto stava di nuovo cambiando sia per Bowie che

per il mondo attorno a lui. Non solo foto da palco, quindi, ma anche testimonianze di quel frenetico viaggiare, soprattutto in

treno e nave (Bowie infatti detestava volare in quegli anni) per raggiungere quei luoghi dove la maggior parte delle persone

comuni non poteva andare, come ad esempio il Blocco Sovietico. Bowie aveva già visitato Mosca nel 1973, ma durante una

pausa del segmento europeo dell’Isolar Tour, il tour promozionale di Station to Station, annuncia al suo entourage che vuole

raggiungere di nuovo la capitale russa. Sarà Andrew Kent à occuparsi dei visti per accedere all’Unione Sovietica. Di quel

breve soggiorno rimangono le fotografie incluse nel percorso della mostra a restituirci un istante unico. Si tratta di snapshot

e qualche foto in posa – davanti al Cremlino o al Mausoleo di Lenin – di un istante unico nel quale la fame di onniscienza

che alimentava la mente di Bowie, lo stava preparando per Low, Heroes e Lodger: La Trilogia di Berlino. Nella ex-capitale

del Terzo Reich Bowie, assieme ad Iggy Pop, avrebbe scritto e registrato alcuni dei sui album piiù importanti e influenti.

Musica europea: decadente, morbosa, malinconica e rarefatta in alcuni casi. La Cortina di Ferro e il Muro di Berlino

attrassero Bowie e lo stimolarono a produrre la sua ennesima rivoluzione, nel tentativo appunto di cambiare il mondo e il

suo mondo. Due anni dopo, se ne sarebbe di nuovo andato, non senza aver prima dato tutto, come ricorda lo stesso Kent.

Alla fine dei conti, come canta in Be my Wife (Low, 1976) “I’ve lived all over the world... I’ve left every place”. La mostra

“DAVID BOWIE the PASSENGER. By Andrew Kent”, è un’anteprima italiana, e si compone di 60 scatti, diversi cimeli e

documenti originali provenienti dall’archivio di Kent. Accanto al percorso fotografico verranno fedelmente e filologicamente

ricostruiti gli ambienti protagonisti della avventura Europea di Bowie a metà degli anni ’70: dal vagone del treno che lo portò

fino a Mosca, alla sua stanza di albergo a Parigi. E ancora abiti, microfoni, macchine fotografiche, dischi, modellini,

manifesti, memorabilia varia e proiezioni completano la mostra accompagnando il visitatore in un viaggio spettacolare ed

immersivo all’interno di una delle parentesi più affascinanti della carriera dell’icona della cultura popolare. Oltre altre

all’aspetto emozionale, la mostra è anche occasione di approfondimento, sia per il grande pubblico che per i fan più

appassionati: con un’analisi scientifica condotta attraverso le memorie di Andrew Kent, infatti, è stato possibile ricostruire

fatti fino ad ora poco conosciuti e svelare dettagli inediti della carriera di Bowie.

mostradavidbowie.it - WWW.TEATROARCIMBOLDI.IT - WWW.TICKETONE.IT


È tutta dedicata all’Italia la nuova stagione di SOLO

the Legend of quick change, il grande one man show

del più̀ grande trasformista al mondo Arturo Brachetti

che ha scelto di festeggiare il ritorno nei teatri con un

grande tour italiano. Un’occasione per incontrare il

pubblico dopo lo stop imposto dalla pandemia.

Dopo 450.000 spettatori in quattro stagioni in quasi 400

repliche, innumerevoli sold out e standing ovation,

SOLO riprenderà̀ dunque il suo percorso per la quinta

stagione. Protagonista è il trasformismo, quell’arte che

lo ha reso celebre in tutto il mondo e che qui la fa da

padrone con oltre 60 nuovi personaggi, molti ideati

appositamente per questo show, che appariranno

davanti agli spettatori in un ritmo incalzante e

coinvolgente. Ma in SOLO, Brachetti propone anche un

viaggio nella sua storia artistica, attraverso le altre

affascinanti discipline in cui eccelle: grandi classici

come le ombre cinesi, il mimo e la chapeaugraphie, e

sorprendenti novità̀ come la poetica sand painting e il

magnetico raggio laser.

l mix tra scenografia tradizionale e videomapping,

permette di enfatizzare i particolari e coinvolgere gli

spettatori.

Brachetti in SOLO apre le porte della sua casa fatta

di ricordi e di fantasie; una casa senza luogo e senza

tempo, in cui il sopra diventa il sotto e le scale si

scendono per salire. Dentro ciascuno di noi esiste una

casa come questa, dove ognuna delle stanze racconta

un aspetto diverso del nostro essere e gli oggetti della

vita quotidiana prendono vita, conducendoci in mondi

straordinari dove il solo limite è la fantasia. È una casa

segreta, senza presente, passato e futuro, in cui

conserviamo i sogni e i desideri... Brachetti schiuderà̀

la porta di ogni camera, per scoprire la storia che è

contenuta e che prenderà̀ vita sul palcoscenico.

Reale e surreale, verità̀ e finzione, magia e realtà̀ : tutto

è possibile insieme ad Arturo Brachetti, il grande

maestro internazionale di quick change che ha creato

un varietà̀ surrealista e funambolico, in cui immergersi

lasciando a casa la razionalità̀ .

Dai personaggi dei telefilm celebri a Magritte e alle

grandi icone della musica pop, passando per le favole

e la lotta con i raggi laser in stile Matrix, Brachetti batte

il ritmo sul palco: 90 minuti di vero spettacolo pensato

per tutti, a partire dalle famiglie. Lo spettacolo è un

vero e proprio as-SOLO per uno degli artisti italiani più

amati nel mondo, che torna in scena con entusiasmo

per regalare al pubblico il suo lavoro più̀ completo:

SOLO.


ARTURO BRACHETTI

Famoso e acclamato in tutto il mondo, Brachetti è il

grande maestro internazionale del quick-change, quel

trasformismo che lui stesso ha riportato in auge,

reinventandolo in chiave contemporanea. La sua

carriera comincia a Parigi negli anni 80: da qui in poi la

sua carriera è inarrestabile, in un crescendo continuo

che lo ha affermato come uno dei pochi artisti italiani di

livello internazionale, con una solida notorietà al di fuori

del nostro paese. Si è esibito ai quattro angoli del

pianeta, in diverse lingue e in centinaia di teatri. Il suo

precedente one man show L’uomo dai mille volti è stato

visto da oltre 2.000.000 di spettatori. I suoi numeri di

quick- change sono così veloci da essere imbattuti nel

Guinness dei primati.

Regista, showteller, direttore artistico... Brachetti è un

artista a 360° noto in tutto il mondo per la sua capacità

di portare in scena gli elementi tipici del DNA italiano:

qualità, amore per “il bello”, gusto e, soprattutto,

fantasia.


Assia Karaguiozova

G l i S G U A R D I i n c i s i v i d i B r u n o P e l l e g r i n o e n t r a n o i n s c e n a

a l T e a t r o F r a n c o P a r e n t i d i M i l a n o , d i A n d r é e R u t h

S h a m m a h V o l t i c h e a p p a i o n o e s c o m p a i o n o ( u n c e n t i n a i o ) ,

c o m e s e f o s s e r o i m m a g i n a r i . D a l 1 0 a l 2 7 M a r z o 2 0 2 2 , a

c u r a d i J e a n B l a n c h a e r t : " L a f a n t a s i a d e l l a p i t t u r a d i v e n t a

t e a t r o d e l l ’ a n i m a " . A l l e s t i m e n t o d e l r e g i s t a F a b i o C h e r s t i c h


Dal 4 al 6 marzo, al Teatro Manzoni di Pistoia, va in scena in debutto

nazionale “Zio Vanja” di Anton Čechov diretto da Roberto Valerio,

con Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina e Alberto Mancioppi,

Mimosa Campironi, Elisabetta Piccolomini, Pietro Bontempo,

Massimo Grigò. Lo spettacolo, prodotto da Associazione Teatrale

Pistoiese sarà poi in programma in varie città del nord Italia, in

questa stagione. Una messinscena che oscilla tra realismo e onirico,

tra dramma e commedia, tra risate e pianti, tra malinconie cecoviane

ed energia pura. Uno spettacolo dove le immagini, i suoni e la

recitazione si compenetrano per rappresentare la tragicommedia

della vita. A tre anni dal fortunato debutto di Tartufo, che è stato in

seguito presentato con successo in numerosi teatri, il regista

Roberto Valerio firma Zio Vanja, di Anton Čechov, in scena in prima

nazionale venerdì 4 marzo, al Teatro Manzoni di Pistoia. Giuseppe

Cederna e Vanessa Gravina, già protagonisti di Tartufo saranno

rispettivamente Zio Vanja e Elena, con loro Alberto Mancioppi, il

professore, Mimosa Campironi, Sonja, Elisabetta Piccolomini, Marjia,

Pietro Bontempo, Astrov e Massimo Grigò, Telegin. Dramma russo

che Čechov considerava però una commedia, quasi un vaudeville,

che vide il debutto ufficiale il 26 ottobre 1899, al Teatro d'arte di

Mosca, con la regia di Vladimir Ivanovič Nemirovič-Dančenko e

Konstantin Sergeevič Stanislavskij, Zio Vanja è la rappresentazione

delle grandi illusioni, di percorsi che iniziano per poi tornare al punto

di partenza, della noia, che non è spazio per la creatività ma al

contrario anticamera della depressione, maschera della paura che

paralizza impedendo di realizzare i proprio progetti e che Roberto

Valerio ha deciso di restituire però con una messa in scena a

contrasto, energica, movimentata. Il regista commenta ironicamente

dicendo: “La noia, di solito si racconta meglio tentando di non

annoiare”.


Uno spazio vuoto. In primo piano una vecchia credenza ed un tavolo, elementi che rimandano alla quotidianità

della vita in campagna. Sullo sfondo appaiono e scompaiono elementi onirici o iperrealistici: un’altalena che scende

dal cielo, una botte di vino gigante per l’ubriacatura notturna, un pianoforte che ricorda l’infanzia, un albero di

beckettiana memoria. È la scena che Valerio ha scelto per raccontare la vita che Vanja, sua nipote Sonja, l’anziana

maman Marija, Telegin e il dottor Astrov, conducono in una casa rurale all’arrivo del proprietario, l’illustre professor

Serebrjakov e dalla sua bellissima seconda moglie Elena. I personaggi che si muovono davanti al pubblico non

sono eroi e eroine, sono persone comuni, immerse nel flusso della vita, con i quali è facile immedesimarsi, che chi

guarda può sentire immediatamente vicino. Sono anime smarrite con passioni, slanci, delusioni, le stesse emozioni

che accompagnano la vita di tanti. Ogni personaggio insegue i propri pensieri, le proprie aspirazioni, sogni,

sofferenze senza davvero comunicarli agli altri, sordo a quelli dell’altro. Tutti desiderano il riscatto, tutti sono

incapaci di agire per ottenerlo, vogliono amare e essere amati ma il desiderio non si tramuta mai in realizzazione.

Nella commedia si bevono molta vodka e molto vino, per diciassette volte Čechov invita a bere i personaggi: si

evade la realtà, si cerca l’illusione che apre varchi di finta soddisfazione “Quando non c’è vita vera, si vive di

miraggi”, dice, ad un certo punto zio Vanja. Una messinscena che oscilla tra realismo e onirico, tra dramma e

commedia, tra risate e pianti, tra malinconie cecoviane ed energia pura. Uno spettacolo dove le immagini, i suoni e

la recitazione si compenetrano per rappresentare la tragicommedia della vita. Lo spettacolo è presentato ancora

una volta da Associazione Teatrale Pistoiese che, negli anni, ha prodotto oltre a Tartufo molti spettacoli di

successo firmati da Roberto Valerio, tra i quali Il Vantone, di Pasolini, L’Impresario delle Smirne, di Goldoni, Casa

di Bambola, di Ibsen, ospitando anche Un marito ideale, di Wilde (del Teatro dell’Elfo), Il giuoco delle parti, di

Pirandello (della Compagnia Orsini).


JACKASS

FOREVER

La spassosa cricca di autolesionisti di Jackass è tornata insieme ancora una volta per un ultimo film in cui la posta si alza e la

sfida si fa più rischiosa. Jackass Forever aka Jackass 4 arriverà nei cinema italiani il 10 marzo diretto da Jeff Tremaine, che è

anche produtture del sequel insieme a Johnny Knoxville e Spike Jonze.

La trama ufficiale: celebrando la gioia di essere di nuovo insieme ai tuoi migliori amici la troupe originale di Jackass è tornata

dopo dieci anni per un ultima follia. Johnny Knoxville torna per un altro giro di spettacoli comici esilaranti, selvaggiamente

assurdi e spesso pericolosi con un piccolo aiuto da un nuovo eccitante cast. L’intero cast dei film precedenti ritorna per il quarto

film, ad eccezione di Ryan Dunn, scomparso nel 2011, e Bam Margera che apparirà solo parzialmente poiché è stato licenziato

dalla produzione nel febbraio 2021. “Lo volevamo per tutto il film, ma sfortunatamente non è andata così. È davvero straziante.

Amo Bam. Tutti noi amiamo Bam. È nostro fratello, sai? Speri solo che si prenda la responsabilità di ottenere l’aiuto di cui ha

bisogno, perché tutti noi ci preoccupiamo molto per lui” ha dichiarato Knoxville. Il film oltre a Johnny Knoxville riporta Steve-O,

Chris Pontius, Dave England, Wee Man, Danger Ehren e Preston Lacy a cui si aggiungono i nuovi arrivati Jasper, Rachel

Wolfson, Sean “Poopies” McInerney, Zach Holmes ed Eric Manaka.


‘LAMB’, IL NUOVO FILM HORROR-FANTASY DI

VALDIMAR JÓHANNSSON

Dal 31 marzo al cinema il nuovo film horror-fantasy di Valdimar Jóhannsson con Noomi Rapace e Hilmir Snær

Guðnason. Premiato alla 74a edizione del Festival di Cannes per la sua originalità e divenuto un cult negli Stati

Uniti. “LAMB” è ambientato in una fattoria in Islanda, ha come protagonisti María e Ingvar, una coppia senza figli

che un giorno trova un misterioso neonato ibrido. La gioia iniziale lascerà ben presto spazio all’incubo. Ispirato ai

racconti popolari e al folklore del suo paese, l’angosciante film di debutto del regista islandese (presentato in

anteprima al festival Alice nella Città e alla 74ª edizione del Festival di Cannes, dove ha vinto il Premio per

l'originalità assegnato dalla giuria di Un Certain Regard) affronta temi sociali concreti, come l’essere genitori,

facendo convergere il mondo umano e animale in un susseguirsi di simbolismi, allegorie e metafore.

Negli Stati Uniti, “LAMB” ha raccolto centinaia di recensioni, diventando un cult grazie al complicato equilibrio tra

horror soprannaturale e angosciante racconto popolare, si preannuncia come uno dei film più attesi dell’anno, da

guardare tutto d’un fiato e che accenderà numerosi dibattiti sulle scelte estreme e non convenzionali del regista.

Guarda il trailer al seguente link: https://youtu.be/hnEwJKVWjFM


Vi ricordate del giovane trentenne Mike Lane nei film “Magic Mike” e “Magic Mike XXL”?

Credo proprio di si… Channing Tatum, attore, ballerino e modello statunitense. Dopo l’uscita del primo “Magic Mike”, Tatum

fu eletto l’uomo più sexy del mondo dalla rivista People e ora a distanza di sette anni dall’uscita dell’ultimo capitolo della

saga, Michael Lane tornerà sul grande schermo. Ad anticipare che nel 2023 arriverà al cinema “ Magic Mike’s Last

Dance” è stato proprio lui, Channing Tatum.

Il film vedrà il ritorno alla regia di Steven Soderbergh, già autore del primo e produttore del secondo, mentre la

sceneggiatura è stata ultimata recentemente da Reid Carolin.

Tatum, per la gioia di molte donne torna a Spogliarsi. Ma gli anni passano per tutti, e Channing ha dichiarato che per tornare

a togliersi gli abiti di Mike ha faticato moltissimo… In una recente intervista concessa al The Kelly Clarkson Show, l’attore ha

raccontato il processo fisico che ha dovuto affrontare per tornare in forma per il ruolo e della possibilità di veder realizzato in

futuro anche un quarto capitolo della saga. Tatum infatti ha dichiarato: "E' difficile da sostenere, anche se ti alleni

costantemente, essere in quella particolare forma fisica non è normale. A volte devi morire di fame". Tatum ha poi

parlato della scelta di tornare a interpretare il personaggio e di come inizialmente stava pensando a una versione del film

con i personaggi ormai più anziani: "Prima di decidere di andare avanti con questa versione, l'unica alla quale avrei

detto di sì era la versione Grumpy Old Men dove avremmo avuto 70 anni. E quando avremo 70 anni voglio riunire il

team, di sicuro".

Il chiacchierato terzo film nella fortunata saga cinematografica di cui Channing Tatum è anche produttore è in fase di

realizzazione e a darne la conferma è stato proprio lui su Twitter, condividendo la prima pagina della sceneggiatura scritta

da Carolin. Al momento Magic Mike's Last Dance non ha ancora una data d'uscita ufficiale ma è probabile l'arrivo

entro il 2023.


CINESOFIA

I GRANDI TEMI DELLA FILOSOFIA

ATTRAVERSO IL CINEMA

Desacralizzare l’aula per aprire la scuola al territorio, (ri)portare i giovani al grande schermo attraverso la filosofia;

sperimentare processi di inclusione sociale attraverso il dibattito regolamentato: questi i tre concetti da cui è partito

con grande successo il progetto Cinesofia. I grandi temi della filosofia nel cinema, un’iniziativa concepita da due

scuole omonime, il liceo classico e l’Istituto comprensivo Ennio Quirino Visconti di Roma in collaborazione con il

Farnese ArtHouse, storica sala cinematografica d’autore nel cuore della capitale. Con la curatela scientifica di Sergio

Petrella e la direzione artistica di Fabio Amadei, l’iniziativa si propone di educare studentesse e studenti alla filosofia

attraverso il linguaggio cinematografico (e viceversa) consentendo agli stessi studenti di esprimere il proprio giudizio

critico in un gioco assoluto di squadra, diventando oratori e argomentatori. È questa la formula del “Debate”: una

gara aperta in cui la competizione del pro e contro lascia il posto all’integrazione del pensiero. Obiettivo primario del

progetto è infatti, il rispetto reciproco e l’interazione dialettica con il prossimo, senza lasciare indietro nessuno.

Iniziata con successo lo scorso novembre, la sfida cine-filosofica – che conta una cinquantina di ragazze e ragazzi

dai 13 ai 17 anni - continua nei mesi di marzo e aprile, sempre alle ore 14,30 al Farnese, con i film “La migliore

offerta” di Giuseppe Tornatore (2012), in programma il 22 febbraio, “Agora” di Alejandro Amenàbar (2009) il 22

marzo e “Her” di Spike Jonze (2013) il 26 aprile, opere rispettivamente associate ai nuclei tematici Libertà, Tempo,

Amore. Il giorno successivo alla proiezione il cinema ospiterà invece, per gli studenti che hanno visto il film, dei

seminari di approfondimento a cura di professori ed esperti, in forma dialogante con gli stessi giovani; ad

argomentare con la scolaresca ci saranno, nell’ordine, Giuseppe Di Giacomo, Andrea Colamedici e Maura

Gancitano, Alessandro Alfieri. Il critico cinematografico preposto alla spiegazione di argomenti tecnici ed estetici

relativi al linguaggio filmico sarà invece Alessandro Aniballi. Al termine del seminario verrà lanciata una mozione

relativa al film che sarà l’argomento sul quale dovranno confrontarsi successivamente le due squadre create per

ogni scuola (medie e licei) nella competizione del “Debate”. Si avrà una settimana di tempo per prepararsi su ogni

mozione da affrontare in questa sfida, tenendo presente sia i metodi retorici assorbiti nella preparazione (il

regolamento è quello della Società Nazionale Debate Italia) sia le tecniche di presenza scenica edotte nelle

esercitazioni in classe, tenute in precedenza, sulla consapevolezza espressiva di corpo, voce, movimento. E per

prepararsi saranno efficaci e risolutivi gli stessi strumenti che la pandemia ci ha costretto ad utilizzare

quotidianamente, i collegamenti in remoto dal computer: una simulazione virtuale che diventa in questo caso

elemento di stimolo, gioco e allenamento mentale.

Seminari e Debate (questi ultimi si terranno nell’Aula Magna del Liceo Visconti) verranno filmati e andranno poi a

costituire un docufilm a disposizione del pubblico. Allo stesso modo verrà realizzata una pubblicazione editoriale

nella quale verranno raccontate, da docenti e studenti, le varie tappe del progetto.

“Il cinema – dichiara Petrella - attraverso la sua alta forza comunicativa, costituisce uno strumento educativo

fondamentale per potenziare le conoscenze e le competenze sulle questioni sopra esposte. Abbiamo pensato di

rendere maggiormente fruibile il percorso formativo di studio e interpretazione di certi argomenti con lezioni teoriche

e pratiche all’interno di un luogo extrascolastico, e quindi decontestualizzato, per valorizzare le capacità dello

studente di lavorare in cooperative learning, problem solving, peer to peer, utilizzando le tecniche del Dibattito

regolamentato. Il tutto al fine di migliorarne le capacità espositive nel rispetto dell’interlocutore e di gestire al meglio

le proprie attività con autonomia operativa ed organizzativa, proprio attraverso un gioco di squadra: la costruzione

dell’identità personale è infatti sempre frutto di una relazione etica che si costruisce attraverso precise regole di

confronto”.

Il Farnese ArtHouse continua con soddisfazione il processo di integrazione della scuola con la cultura

cinematografica – asserisce Amadei, gestore della sala – e Cinesofia rappresenta non solo l’opportunità di far vivere

e pensare il cinema alle nuove generazioni in forma attiva, ma anche quella di creare un modus operandi atto a

favorire l’inclusione e la solidarietà attraverso un percorso didattico di curricolo verticale e interdisciplinare.

Gli incontri sono aperti alla stampa interessata, previa presentazione di Super green pass e mascherina FFP2.


Straniere Ovunque, a casa in tutto il Mondo

La mia copertina ‘Marte’ per l’amica cara Clara Piacentini,

che mi ha insegnato la Lingua Italiana a Sofia


Assia Karaguiozova


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Eleonora Mora

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Lettera al me di cinque anni fa

Messaggio rivolto a chi si sta avvicinando al mondo della fotografia

Davide Bilancia

Nel metodo fotografico c'è una vita intera ed è bene mettere a frutto tutto il proprio vissuto, tutte le lezioni di vita imparate

nel corso del tempo traendone ispirazione. Non vi è né un giusto né uno sbagliato poiché ogni elemento che ci caratterizza

fa parte di noi e tutti questi elementi saranno i componenti del nostro stile personale che via via verrà rifinito e modellato,

ed arricchito di ogni nuova esperienza. Man mano che si cresce, si acquisiscono elementi strutturali che ci guideranno ed

accompagneranno nel nostro percorso di crescita fotografica.

Studiare la tecnica e padroneggiarla, applicarla e sperimentarla è esattamente come imparare a parlare; si sente e si

ripete più volte, poi si associa un significato alle parole ed infine ci si esprime come meglio crediamo utilizzando quel

linguaggio affinché chi parla la nostra lingua (fotografica) possa capire e noi potremo interfacciarci meglio con le persone

ed il mondo circostante. Ricordiamo che l'autoapprendimento fa parte di noi e se ci circondano di persone competenti

apprenderemo prima e meglio questo linguaggio e sappi, sappiate, che non c'è mai fine all'apprendimento.

Studia, applicati, e comunica utilizzando la tua esperienza di vita, attraverso la fotografia.

1ª regola: tutto fa brodo:

Ricordo un discorso di Galimberti (il fotografo) in cui raccontava di come il suo lavoro in cantiere con suo padre l'abbia

messo in rotta verso la sua personale visione.

Pertanto un vissuto emotivo, una circostanza vissuta ed assorbita attraverso i sensi ed interiorizzata, parte di una vicenda

che ti ha interessato, raccontare chi sei, esprimere un disagio e narrare una storia di qualsivoglia natura sono elementi

fondamentali per una buona fotografia, autentica, originale e peculiare.

Se ti stai avvicinando alla fotografia non è un caso, significa che hai qualcosa dentro che ha bisogno di parlare, ha bisogno

di attenzione di essere messo in luce.

Personalmente fotografo per far parlare la mia anima che è stracolma di vissuti costruttivi, come la schizofrenia e quando

fotografo mi sento connesso all'universo, rappresentando l'immateriale che mi abita, cogliendo stati emotivi caratteristici e

non fondanti della mia persona.

Fotografo, attraverso il ritrattismo, attimi di passaggio con emozioni uniche, personali, intense e rigogliose.

Non si può parlare, secondo me, di ricerca dello stile poiché lo stile è già dentro di te e vivendo, partecipando a mostre,

parlando con altri Fotografi, sfogliando un libro, un catalogo, parlando con persone affini alla tua anima, il tuo sé coglierà

gli elementi di rimando opportunamente scelti per metterti in condizione di parlare fotograficamente, sfoggiando la tua

capacità comunicativa che diventerà o ritroverai come tuo stile personale, unico ed irripetibile.


“INFERNO – OPERA ROCK”

Lo spettacolo quadridimensionale

ispirato alla celebre cantica della Divina Commedia

Lo spettacolo quadridimensionale “INFERNO – OPERA ROCK”

con brani tratti da “INFERNO”, l’opera rock electro sinfonica di

Francesco Maria Gallo ispirata alla celebre cantica della Divina

Commedia disponibile in formato cd, vinile e in digitale.

“INFERNO – OPERA ROCK” unisce musica, teatro, danza

contemporanea e arti visive: quattro differenti linguaggi attraverso i

quali Francesco Maria Gallo (voce), accompagnato da Ricky

Portera (chitarra in “Caronte” e “Ulisse”) Simona Rae (voce),

Pietro Posani (chitarra), Stefano Peretto (batteria), Daniele Nieri

(basso), Renato Droghetti (piano) e Laura Simpolo (voce

narrante), riproporrà dal vivo la sua personale visione del girone

dell’Inferno dantesco contenuta nell’album “Inferno”.

I visual e le luci sono a cura di Federica Lecce, il sound design

dello show di Rodolfo Rod Mannara.

È online il cortometraggio “CARONTE” (visibile al seguente link

https://youtu.be/p48KG6svePc) candidato all’International Short

Film Festival di Berlino nella sezione film musicali, al Sedicicorto

Forlì International Film Festival e al Belo Horizionte International

Short Film Festival nella sezione shorhfilm international competition.

«Sono molto felice che il mio ultimo lavoro discografico diventi uno

spettacolo – dichiara Francesco Maria Gallo – Il pubblico in sala

sarà accompagnato in un incredibile viaggio all'Inferno attraverso

un'interazione senza soluzione di continuità con le suggestioni di

visual video, voce narrante e un live dei brani contenuti nell’album.

Sarà una vera e propria quaterna di espressioni artistiche differenti

tra di loro, quattro coordinate che renderanno quadridimensionale

questo incredibile viaggio, come fosse un’ipersfera che ci

trasporterà tra un girone e l’altro nella nostra discesa all’Inferno».

Con “INFERNO”, prodotto da Renato Droghetti, il cantautore

Francesco Maria Gallo sovrascrive la propria libera interpretazione

dei canti e dei personaggi scelti, che qui raccontano la loro propria

verità. Il tutto rielaborato in chiave rock, con l’apporto di grandi artisti

quali Ricky Portera, Pier Mingotti, Stefano “Perez” Peretto, Pietro

Posani, Simona Rae e Enrico Evangelisti. Questa la tracklist di

“INFERNO”: “Selva Oscura”, “Caronte”, “Francesca” (interpretata da

Simona Rae), “Bacio Sospeso”, “Medusa”, “Il Silenzio di Pier”, “Il

Gigante”, “Ugolino”, “L’imperatore del dolore” feat. Simona Rea,

“Inferno” feat Enrico Evangelisti e la ghost track “Desolazione”.


D o p o e s s e r s i s m a r r i t o c o m e i l s o m m o p o e t a n e l l a

S e l v a O s c u r a , p u r m a n t e n e n d o l o s g u a r d o r i v o l t o a l

1 2 0 0 , c o n i l b r a n o “ C a r o n t e ” , a t t u a l e s i n g o l o i n

r a d i o , F r a n c e s c o M a r i a G a l l o t r a g h e t t a i l p u b b l i c o

a n c h e n e l l ’ i n f e r n o d e l l a n o s t r a c o n t e m p o r a n e i t à . U n

r i c h i a m o e s p l i c i t o a l p r e s e n t e è c e l a t o n e l l a g h o s t

t r a c k “ D e s o l a z i o n e ” , q u e l P a d r e N o s t r o c h e

r a p p r e s e n t a u n ’ a n t i t e s i d e l l a p r e g h i e r a , u n u r l o

a s p r o e d i s i l l u s o , m a a n c h e l a s p e r a n z a d i p o t e r

r i s v e g l i a r e l ’ a n i m o u m a n o c o r r o t t o d a l t o r p o r e

d e l l ’ e g o i s m o .

È a n c h e d i s p o n i b i l e n e l l e l i b r e r i e e n e g l i s t o r e

d i g i t a l i “ R O C K & R O L L A L L ’ I N F E R N O ” ( G E C

E d i z i o n i ) , l i b r e t t o d i 9 0 p a g i n e c o n i l l u s t r a z i o n i e

c o p e r t i n a a c o l o r i , i n c u i F r a n c e s c o M a r i a G a l l o

o f f r e u n a g u i d a r a g i o n a t a a l l ’ a s c o l t o d e l s u o

“ I N F E R N O ” .

L ' o p e r a R o c k h a a v u t o i l p a t r o c i n i o e i l

r i c o n o s c i m e n t o c o m e o p e r a c u l t u r a l e d i q u a l i t à d a

p a r t e d e l l a f o n d a z i o n e S y m b o l a , c h e p r o m u o v e e

a g g r e g a l e Q u a l i t à I t a l i a n e ( w w w . s y m b o l a . n e t ) .

FRANCESCO MARIA GALLO, cantautore, autore televisivo, storyteller, comunicatore, laureato in

Musicologia e Comunicazione di massa al DAMS di Bologna. Ha scritto diversi format televisivi per

Rai1 e Rai2 tra i quali Suicidi Letterari: Morire di penna nel ‘900 (RAI2), Il Premio per il Lavoro

(due edizioni per RAI2 e una edizione per RAI1), The voice of ethics (TED televisivo sull’etica

dell’innovazione trasmesso in diretta su piattaforma Sky). Ha collaborato con Silvia Ronchey e

Beppe Scaraffia come consulente autorale al Festival della poesia di Sanremo (RAI2). È stato

fondatore, frontman e autore dei Calabrolesi Rock Band e successivamente di Legality Band

Project, entrambe rock band che promuovono etica e legalità. Autore e interprete di diverse

canzoni a sfondo sociale, tra le quali “Ventu” - testo che racconta vicende di ‘Ndrangheta in

Calabria -, nel 2010 ha ricevuto il Leone d’oro di Class CNBC per la comunicazione sociale.


o


o

Cara Sabrina grazie di aver accettato il nostro invito. Parliamo un po di te e

di come nasce il tuo grande amore per la danza...

Innanzitutto grazie a voi per l’interesse alla mia persona ed al mio operato

artistico. Come per tutte le bimbe, i genitori cercano un’attività motoria o sportiva

da unire al percorso scolastico; io non trovavo entusiasmo per nulla, finché non

sono andata a vedere il saggio di danza della mia amichetta, dove da li è

scattato qualcosa ... forse l’ambiente, forse le luci, forse l’atmosfera o forse una

sensazione ... li ho capito che quello era ciò che volevo per me! Da quel

momento ho iniziato, ignara di tutto, a crescere piano piano con questa “seconda

vita”, e l’ho resa mia, tra soddisfazioni, delusioni, felicità e tristezza. Piano piano

mi sono innamorata di quest’arte dedicandole tutta me stessa.

Sei una delle tante ballerine italiane che hanno svolto principalmente la

loro carriera all'estero. Raccontaci i tuoi esordi.....

Finita l’accademia di danza arriva per tutti il momento per cui si cerca e si vuole

realizzare e concretizzare il proprio sogno: entrare a far parte della compagnia di

un teatro. Ho avuto la grande fortuna di lavorare a Torino, mia città natale, con il

grande Paolo Bortoluzzi che in qualità di direttore della Deutsche Oper am Rhein

(Düsseldorf, Germania), mi ha offerto un contratto; senza troppo pensare ho

accettato e sono partita. Si è all’estero, si lavora, si conoscono persone, direttori

e coreografi, e ci si ritrova a cambiare città, compagnia di danza, teatro e

nazione, senza rendersene conto, ma sempre mossi dal desiderio di danzare,

vivere il palcoscenico, e crescere come artisti.

E anche dopo il tuo lavoro è continuato all'estero. Sei stata infatti Maitre du

Ballet al Teatro Dell'Opera di Vienna per tanti anni...Cosa ricordi di

quell'esperienza?

Infatti. Vienna, sicuramente un bel traguardo... entri in teatro e sei affascinato da

tutta la sua imponenza, la sua tradizione, la sua ricchezza e il suo stile unico.

Un’esperienza bellissima, danzare su quel palco è semplicemente mozzafiato, il

lavoro è duro, la concorrenza è altissima ma si è orgogliosi di far parte di tutto

ciò. A Vienna ho avuto anche la grande chance di iniziare il mio passaggio a

maître de Ballet (per le lezioni femminili, le prove dei primi ballerini e assistente

alla coreografia), cosa che mi ha fatto crescere ulteriormente, mi ha dato qualità,

esperienza, garanzia ed “etichetta” per il mio futuro.

Poi il ritorno in Italia accanto alla grande Carla Fracci e suo marito Beppe

Menegatti...

Eh si... sono tornata in Italia proprio grazie alla chiamata di Carla all’opera di

Roma; è nata un’esperienza artistica indimenticabile, un connubio di danza, arte

e sentimento che tutt’ora racchiudo nel cuore. Carla e Beppe mi hanno sempre

tenuta per “mano”, cresciuta, portata avanti, ma soprattutto mi hanno sempre

stimata.


Sempre sulla grande Carla Fracci, sarai

assistente alla direzione del Gala Carla

ro

Fracci che si svolgerà a Milano il 04

Marzo. Sei emozionata per questo

impegno?

Certo, forse emozionata non è il termine

giusto... posso solo dire che preparare

questo spettacolo con il maestro

Menegatti, al suo fianco e a volte mano

nella mano, mi scalda il cuore, perché

entrambi sappiamo quale ferita e quale

vuoto tutt’ora proviamo per aver dovuto

salutare la grande Carla...

Ora oltre la tua attività di maitre, firmi da

alcuni anni anche importanti

coreografie...

È vero, credo semplicemente che il mio

essere ballerina si sviluppi e si trasformi

con le tappe della mia età. È molto bello

continuare a condividere il palcoscenico

attraverso nuove emozioni, lavoro, stili ed

arte, insieme a giovani danzatori ed etoile.

Sei stata appena reduce del grande

successo al Teatro di Stara Zagora, in

Bulgaria, con la tua nuova creazione de

"Le Quattro Stagioni/Omaggio a Franck

Sinatra". Da cosa hai tratto ispirazione

per queste due creazioni?

L’ispirazione è nata chiaramente dalla

musica e dal mio modo di interpretarla e

sentirla tramite la danza. La mia volontà è

quella di voler offrire al pubblico leggerezza

d’animo e qualità ballettistica, ma anche

soprattutto mettere in luce la versatilità

della compagnia del teatro dell’opera di

Stara Zagora.

E continuerai poi in Maggio ancora,

sempre in Bulgaria, per un altro grande

progetto. Vuoi parlarcene?

La Bulgaria sembra diventata un punto di

riferimento del mio lavoro, ci sono

compagnie con buon potenziale e tanta

voglia di fare, quindi, ben venga. Sarà un

balletto diverso nella musicalità e nello stile

da quello proposto all’opera di Stara

Zagora, ma lasciamo un po’ di suspance...

non nascondo che l’emozione del

famosissimo palco di Varna, calcato dalle

più grandi stelle di tutti i tempi, sarà

mozzafiato.

Progetti futuri?

I progetti futuri e le firme a breve su nuovi

contratti non mancano, ma il motto è di fare

un passo alla volta e cercare di portare a

termine, nel miglior modo possibile, il

presente.

Cos'e per lei la Danza?

La danza sono io, il mio tutto e il mio cuore

“parlante”.

ph @diego dattilo


"DA DISNEY A DUBAI:

VI RACCONTO LA MIA FIABA"

Ph. Monica Irma Ricci


Raccontaci qualcosa di te e di come hai iniziato a

ballare.

Sono nato a Roma nel ‘97 e la mia passione per la

danza è nata praticamente subito, fin dalla tenera

età. Ricordo che mia mamma metteva in televisione

il programma di ballo di Natalia Estrada e rimanevo

catturato dalle danze e dai ballerini, cercando di

copiarli io stesso. Mi racconta anche che a due anni

alle feste mi mettevo al centro della pista e ballavo

come se nessuno stesse guardando.

Ma è stato solo all’età di nove anni che mi sono

avvicinato per la prima volta ad una sala di danza.

Iniziai con la danza moderna, per poi approdare due

anni dopo al classico.

A 12 anni sono stato ammesso alla Scuola del Teatro

dell’Opera di Roma e la mia permanenza all’interno

dell’istituzione è durata circa 4 anni, di seguito ho

terminato alla Scuola del Balletto di Roma.

Una volta terminati gli studi fortunatamente ho

trovato subito lavoro, prima come ballerino per

Disneyland Paris, di seguito nella compagnia Astra

Roma Ballet di Diana Ferrara e ultimamente sempre

come ballerino all’Expo di Dubai.

Quali sono gli ostacoli affrontati e le

soddisfazioni?

Sicuramente il periodo più duro è stato quello della

scuola, durante la fascia d’età che va dai 12 ai 16

anni. All’interno della scuola di danza dell’Opera non

ero considerato uno dei migliori elementi tra gli

allievi maschi per via della mia struttura corporea

che non rispecchiava a pieno i canoni che la danza

classica richiede, ma nonostante tutto, ho sempre

lottato con le unghie e con i denti pur di migliorare e

far cambiare idea agli insegnanti. È stato un periodo

della mia vita molto duro a livello di stress

psicologico. Tuttavia durante il primo anno ebbi

comunque l’occasione di partecipare a “Lo

Schiaccianoci” al Teatro Nazionale, ed è

un’esperienza di cui sarò sempre grato e che porterò

sempre nel cuore.

Le soddisfazioni sono arrivate tutte

successivamente, inizialmente vincendo un primo

premio ad un concorso coreografico al Teatro

Tendastrisce di Roma e una borsa di studio al

Festival Renato Fiumicelli a Gubbio, in seguito con i

primi lavori da ballerino professionista. Il ricordo più

lieto e soddisfacente è stato aver ottenuto il ruolo di

Papageno nel balletto de “Il Flauto Magico” dove

Ph. Monica Irma Ricci


finalmente mi esibivo in tour come solista,

nonostante avessi solo 19 anni. Da lì è sempre stato

un crescendo, con alti e bassi, ma sono stati anni in

cui sono riuscito piano piano ad autoaffermarmi.

Oltre la danza ci sono altre attività che ti

appassionano? Che progetti hai per il futuro?

Ho sempre amato l’arte e la pittura, ma non l’ho mai

presa davvero in considerazione perché ho messo

sempre in primo piano la danza. Grazie alla

pandemia, che ci ha costretti a fermarci, ho deciso

finalmente di approfondire questa mia altra passione

e così mi sono iscritto all’indirizzo di Scenografia

dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Adesso sono al

secondo anno e mi sta appassionando moltissimo,

soprattutto la parte relativa alla progettazione dei

costumi.

Per quanto riguarda il futuro non voglio fare progetti;

ci sarebbero tantissime cose che mi piacerebbe fare

tra cui il ballerino sulle navi da crociera, il

costumista, il coreografo, il dance captain, il concept

artist, lavorare nel backstage cinematografico... ma

non voglio fossilizzarmi su queste idee, ho imparato

nel mio breve tratto di vita che le cose belle arrivano

per caso e sono quelle che non ti saresti mai

immaginato e che sono persino migliori di quelle che

avresti desiderato. Quindi mi affido al destino, senza

mai smettere di impegnarmi per quello che amo fare.

Ph. Monica Irma Ricci

Ph. Monica Irma Ricci

Ph. Monica Irma Ricci

Ph. Monica Irma Ricci


Senza la

danza

non sarei

nulla!

Ph. Monica Irma Ricci


Ph. Monica Irma Ricci

ro

Ph. Monica Irma Ricci

Vittoria Tagliapietra è nata vent’anni fa

a Venezia. Sin da piccolina ha sempre

fatto danza, prima spinta un pò dai

genitori. Dopo una breve interruzione a

9 anni ha ripreso lo studio della danza

per curiosità, interesse che l’ha portata

ad essere una ballerina professionista.

Vittoria ha sempre studiato nella sua

città natale fino a quando, nel 2017, il

coreografo Damiano Bisozzi le ha

assegnato una borsa di studio per il

corso di perfezionamento professionale

al Molinari Art Center, con la direzione

artistica del Maestro Giacomo Molinari.

Terminati gli studi, si è trasferita a

Roma per frequentare il corso di

perfezionamento conclusosi a dicembre

del 2021, un corso che le ha permesso

di entrare a pieni voti al corso di

avviamento professionale.

Durante il corso viene notata dal

direttore Giacomo Molinari che la

scrittura come ballerina dell’ensemble

della Compagnia Nazionale del Balletto.

Il ruolo assegnatole le permette di

ballare in vari balletti:

Anime allo specchio di Donatella

Pandiglio e Rita Calmarano

Next to you di Manuel Bartolotto

The Black Sun di Cristina Pitrelli

Chiude l’anno entrando nel Corpo di

ballo al Christmas World a Roma.

Vittoria ripete a tutti: “La danza da

sempre fa parte della mia vita e ho

sempre sognato potesse diventare un

giorno il mio lavoro”.

La voglia di diventare una ballerina

completa e versatile la spinge a

studiare tutti i giorni più stili nella

speranza che presto il sogno diventi

realtà.

“Senza la danza non sarei nulla –

continua Vittoria - è l’unica cosa che mi

permette di essere me stessa e di

sfogare qualsiasi cosa accada. Con la

danza è come se avessi una relazione,

la amo e la odio. Ma senza di lei so che

non sarei mai felice al cento per cento”.

Ph. Monica Irma Ricci

Ph. Monica Irma Ricci

Model and dancer: Vittoria Tagliapietra, Kamil Pawel

Jasinski and Mirko Luigi Giannini

Ph. Monica Irma Ricci

Studio: Hangar63 @LineaB.net

www.instagram.com/_vittoriatagliapietra_/

www.istagram.com/i.r.m.a19/

www.istagram.com/maurimenga

www.monicairmaricci.it


Model and dancer: Vittoria Tagliapietra, Kamil Pawel

Jasinski and Mirko Luigi Giannini

Ph. Monica Irma Ricci

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Atlantide

un libro da leggere e da ascoltare


o

NOPE – HOPE L’ALBUM DEBUTTO

DI ELECTRIC SHEEP COLLECTIVE.

A BRAND-NEW PROJECT!

Electric Sheep Collective Un esperimento collettivo per un suono complesso e allo stesso tempo diretto. Il nuovo

progetto guidato da Angelo Olivieri, musicista apprezzato da pubblico e critica, considerato tra i migliori trombettisti

italiani (con numerose menzioni al Top jazz e ai JazzIt Awards), che vanta un gran numero di collaborazioni sia in studio

che dal vivo con artisti del calibro di William Parker, Hamid Drake, Butch Morris, Vincent Courtois, John Sinclair, John

Tchicai, Andrew Cyrille, Maria Pia De Vito, Bruce Ditmas, solo per citarne alcuni.

Il sound del collettivo mette insieme groove tipici del funk e dell’hip-hop con composizioni di matrice jazzistica e

improvvisativa fortemente influenzate dalla scena free contemporanea di New York e di Chicago, un impianto

consolidato su cui si innesta il rap-spoken word di Joe Nize, performer nigeriano già attivo in patria nella scena

Afro-Pop. A completare l’organico alcuni dei migliori nuovi talenti in circolazione. Il giovane sassofonista Vincenzo

Vicaro, musicista poliedrico e con uno stile originale derivante dalla sua formazione classica, il bassista Riccardo

Di Fiandra, che si sta mettendo in luce come uno dei compositori più brillanti di musica contemporanea (sue le

musiche del concept work Circle), il batterista Daniele Di Pentima, tablista e fondatore del progetto italo-indiano

Anatma e il pianista Lewis Saccocci (New Talents Jazz Orchestra, Cubist Dream di Bruce Ditmas) tra i musicisti in

forte ascesa nel panorama nazionale. A loro si uniscono al trombone Andrea Angeloni (Perugia Jazz Orchestra) e

la performer Ashai Lombardo Arop, artista poliedrica che contribuisce al sound del gruppo con spoken word,

backing vocals e movimenti di danza. L’approccio è radicale, sia nei suoni che nei contenuti, a volte fortemente legati a

dinamiche sociali come la questione migratoria e segue il solco tracciato da pionieri come Langston Hughes, Umar Bin

Hassan, The Roots. L’elaborazione di “metriche imprecise” è un altro dei cardini dello sviluppo della musica di Electric

Sheep Collective e da qui viene il nome, legato al capolavoro di Philip K. Dick Do Androids Dream of Electric Sheep? (da

cui Ridley Scott ne ha tratto il celebre film Blade Runner) e alla possibilità di imparare l’imperfezione dalle macchine.

La reinvenzione di pattern alla J Dilla, alla Hood e la riproduzione di quell’incertezza, quella meravigliosa imperfezione,

modalità prettamente umana, si afferma da subito come tratto distintivo del nascente sound Electric Sheep Collective,

unico nella scena italiana, con cui la band dimostra di avere tutte le carte in regola per confrontarsi al meglio con l’attuale

panorama internazionale.

NOPE – HOPE è l’album di debutto di ELECTRIC SHEEP COLLECTIVE. Negli 8 brani inediti si va dal più immediato

Same Boat fino alla complessità di Twelve. Tutte composizioni originali eccetto la rivisitazione di Circle in the round di

Davis. L’intendimento generale è di sviluppare una relazione tra modernità, radici e sperimentazione senza astenersi dal

confronto su temi pressanti del nostro tempo. Il titolo si compone dei nomi del primo brano, NOPE, e dell'ultimo,

HOPE. Un percorso Fuori dal centro per Restare umani.

Electric Sheep Collective è formato da:

Ashai Lombardo Arop - voce

Joe Nize – voce

Angelo Olivieri – tromba, efx

Vincenzo Vicaro – sassofoni

Andrea Angeloni - trombone

Lewis Saccocci – tastiere, synth

Manlio Maresca - chitarra, efx

Joe Serafini - turntable, efx

Riccardo Di Fiandra – basso

Daniele Di Pentima – batteria


Blackpink: The Movie è il doc uscito nelle sale con la distribuzione di Nexo Digital e arrivato tra i film Disney+ di

febbraio 2022. Una versione ibrida a metà tra sequenze live e dirette che va segnando il periodo di ristrettezze

dovute alla pandemia da Covid-19, che ha unito spezzoni di concerti avvenuti dal vivo del gruppo coreano e il loro

The Show trasmesso in streaming il 31 gennaio 2021.

L’ evento, ospitato sulla piattaforma ufficiale delle Blackpink, ha raccolto 280.000 spettatori, tutti collegati per

festeggiare il quinto anniversario dal debutto del gruppo K-pop, che non potendo celebrare l'importante tappa

raggiunta in quella che inizialmente doveva essere una tournée internazionale, ha deciso di restringere comunque la

lontananza con i fan intrattenendoli online - trovate su YouTube il record di visualizzazioni delle Blackpink.

Il documentario, diretto da Oh Yoon-dong e Jung Su-yee, racchiudono momenti diversi, dal tour mondiale svoltosi

pre-Covid a quello organizzato in livestream da YG Entertainment.

Sia che si tratti delle riprese per The Show, che delle coreografie e esibizioni in giro per i palcoscenici di tutto il

mondo, o della condivisione di pensieri e momenti che le componenti delle Blackpink rilasciano insieme o in solitaria,

il documentario non riesce ad aggiungere nulla alla creazione e allo sviluppo del team o a lasciare alcunché allo

spettatore. Blackpink: The Movie è un titolo consigliato a chi vuole studiare e o conoscere il fenomeno K-pop in

generale con un fucus sulle Blackpink.

Fonte- https://cinema.everyeye.it/


“BTS Permission To Dance On Stage – Seoul”, i BTS annunciano tre live a marzo in presenza e in streaming.

Dopo BTS Permission To Dance On Stage a ottobre, e il successo della campagna UNICEF LOVE MYSELF,

un’iniziativa che ha raggiunto quasi tutti i paesi del mondo con messaggi positivi sull’amore e la cura di se stessi,

la boyband più amata della Corea annuncia un nuovo concerto in streaming. La Big Hit Music ha infatti comunicato

su WeVerse l’arrivo di BTS Permission To Dance On Stage – Seoul, una serie di concerti che si terranno il 10, 12 e

13 marzo sia in presenza che in streaming. La location dei live – come si evince dal nome dell’evento – sarà

l’Olympic Stadium di Seoul e ha una portata enorme, perché è da ben due anni e mezzo che i BTS non si

esibiscono nella Capitale coreana. L’ultimo live a Seoul era stato infatti nella data del BTS World Tour Love

Yourself: Speak Yourself The Final a ottobre 2019. Un’eternità! Quali live potranno essere visti online? I concerti

del 10 e del 13 marzo saranno trasmessi anche in live streaming, mentre il concerto del 12 marzo sarà trasmesso

in live viewing nei cinema di tutto il mondo.

Chi Sono I Bangtan Boy?

Boy band sudcoreana formatasi a Seul nel 2013 è composta da RM, Jin, Suga, J-Hope, Jimin, V e Jungkook.

Originariamente concentrati sull’ hip hop, hanno poi introdotto nel mercato del mainstream statunitense il K-Pop,

(ndr Korean Pop). Il gruppo nel giro di pochi anni ha abbracciato una gamma più ampia di generi, con canzoni

prevalentemente scritte e composte dal settetto stesso. I testi esplorano temi differenti, dalle ansie scolastiche alla

situazione sociale, dalla salute mentale all'amor proprio, includendo riferimenti alla letteratura e alla psicologia ed

esplorando un universo alternativo. Per questo motivo ad ottobre scorso sono stati scelti dall’ UNICEF per lanciare

la campagna mondiale LOVE MYSELF, iniziativa sul disagio giovanile. La Boy Band coreana e l’UNICEF hanno

portato in giro per mondo messaggi positivi sull’amore e la cura di se stessi. I BTS hanno raccolto 3,6 milioni di

dollari per sostenere l’impegno dell’UNICEF. «Abbiamo lanciato LOVE MYSELF come un modo per raggiungere i

giovani e aiutarli a migliorare le proprie vite e i loro diritti. – hanno dichiarato i BTS – Durante il percorso, ci siamo

sforzati anche noi di Amare noi stessi e, come gruppo e singoli individui, siamo cresciuti. Speriamo che molte

persone abbiano sentito come l’amore ricevuto dagli altri possa diventare il potere che permette loro di amare se

stessi». Attualmente sono gli artisti più venduti in Corea del Sud, con oltre 32,7 milioni di dischi fisici dall'esordio al

novembre 2021. Nel 2020 sono stati i primi coreani ad arrivare al vertice della Billboard Hot 100, grazie al singolo

Dynamite.


FRANCO MICALIZZI

“L’UOMO TRINITÁ”


Conosciuto come compositore, arrangiatore e direttore d'orchestra,

Franco Micalizzi cavalca una nuova vita.

Classe 1939, arriva al successo a 31 anni grazie ad una colonna sonora

di uno dei film considerato un Cult Movie anche se, quando uscì, fu

definito film di serie B.

Era il 1970 e Franco riceve l'incarico di comporre la sua prima colonna

sonora, per un film diretto da E.B. Clucher: "LO CHIAMAVANO

TRINITÀ”, con Terence Hill e Bud Spencer.

Il successo strepitoso sia in Italia che all'estero inaugura l'inizio del

genere Spaghetti Western e Micalizzi entra a pieno titolo nel novero dei

compositori di Colonne Sonore più richiesto. A 52 anni di distanza da

quella uscita non servono più lande desolate o infinite scazzottate per

ascoltare la sua musica. Di tanto in tanto il maestro ci regala musiche

memorabili come il suo ultimo lavoro di prossima pubblicazione dal titolo

wertmulleriano: “Travolto dall’irresistibile richiamo degli intrepidi

anni ’60 in una notte d’estate”. E proprio sul titolo il Maestro precisa: “Il

lungo titolo di questo album è già la spiegazione del suo perché. Sì è

vero, una forte nostalgia degli anni ‘60 mi ha portato a progettarlo e

spero che vi porterà l’aria ed il profumo di quel periodo - racconta Franco

Micalizzi - melodie belle ed ispirate, tante novità nel campo dei balli dal

Twist all’Hully Gully, al Cha Cha Cha, al Mambo e poi altri. Chi c’era

ricorderà con piacere i balli della mattonella e la piacevolezza di stringere

tra le braccia una bella ragazza illudendosi magari di piacerle, almeno

per quei 3 minuti in pista. E poi le fumose atmosfere del ‘Night’, le feste

all’aperto d’estate, sempre accompagnate da musiche molto accattivanti.

Non a caso tanti successi di quegli anni sono molto conosciuti ancora

oggi. Insomma, ripenso a quella certa musica, quel certo brivido, quel

dolce lasciarsi andare senza le ossessioni dei cellulari e della

comunicazione globale, il poter essere felici e riparati nel proprio privato”

L’amore per la musica che Micalizzi ha sin da giovane esce fuori

dalle canzoni contenute in questo album, alcune presentate in

anteprima per far assaporare i favolosi anni 60 anche a chi non li ha

vissuti direttamente. E allora ecco i ritmi da spiaggia di “Sapore di

Sale” di Gino Paoli cantata da Edoardo Vianello, oppure la

malinconica “Estate” del grande Bruno Martino interpretata da

Mario Biondi, o i ritmi sud americani tipici del tempo con “? Oye

Como Va”… feat Ramon Caraballo.

Franco Micalizzi ci ha raccontato come è stata scelta questa canzone:

“Quando pensavo di aver finito la ricerca delle cose belle da ricordare

degli anni sessanta - mentre ero alla cassa del supermercato, con le

mani impicciate tra carta di credito, busta in più e con la fila dietro che

spingeva metaforicamente per sbrigarsi, mi chiama al cellulare mio

fratello Mario e mi dice: ma tu nella tua ricerca dei successi anni ’60 ti sei

dimenticato di una perla, di un brano pieno di ottimismo che non puoi

fare a meno di ballare, che ti fa pensare subito all’estate sul mare, alle

serate in bella compagnia e io gli ho detto, un po’ contrariato, data la

situazione precaria, ok ma mi vuoi dire il titolo? “?OYE COMO VA” è

stata la risposta e ha aggiunto: non ti ricordi che lo suonavi anche con la

tua orchestra? L’ho salutato in modo sbrigativo ma quel brano è riemerso

nei miei pensieri e non me ne sono più liberato. Troppo bello,

musicalmente così apparentemente semplice e così efficace… io ve lo

consiglio vi farà solo bene.”

Con Franco Micalizzi si torna dunque a parlare della musica degli anni

60 del secolo scorso, anni nei quali le melodie del Belpaese sono

diventate famose in tutte il mondo costituendo la colonna sonora di

diverse generazioni. Micalizzi con “Travolto dall’irresistibile richiamo degli

intrepidi anni ’60 in una notte d’estate” conferma che le canzoni di quel

periodo continuano ad essere evergreen e non passano mai di moda…

Edoardo Vianello insieme a Franco Micalizzi

Ramon Caraballo

Mario Biondi


I’M NOT A BLONDE

Talk of Love

Un’aquila pronta a spiccare il volo, a lasciarsi guidare dalla brezza primaverile per

scoprire il mondo e soprattutto sé stessa. "Talk of Love", il nuovo singolo del duo

electro-pop I’m not a Blonde. A due mesi di distanza dall’ultima release, Talk of Love

è il singolo che anticipa il nuovo EP This is Light in uscita l’8 aprile, secondo capitolo

che segue Welcome Shadows.

Insieme, i due EP costituiscono l’album Welcome Shadows, This is Light, il quarto nella

discografia della formazione composta dalla milanese Camilla Benedini e

l’italoamericana Chiara Castello.

Un raffinato progetto articolato sul dualismo fra ombra e luce, distopia e utopia, senso

della fine e urgenza di rinascita, in cui Talk of Love rappresenta proprio il punto di

passaggio, come in un rito iniziatico: è il momento di abbandonare le ombre e lasciarsi

travolgere da una visione più luminosa e carica di speranza in un mondo nuovo.

Fra arpeggiatori, synth, chitarre melodiche e cassa in quattro, Talk of Love è il

risveglio della natura alla fine dell’inverno, il lasciarsi alle spalle le proprie paure

per imparare a credere in sé stessi e negli altri, la gioia di uno sguardo nuovo,

più ampio e capace di accogliere tutta la bellezza e la potenza di questo pianeta.

Il brano è così l’altra faccia della medaglia della traccia oscura, distopica e

cibernetica Winter is not coming che in Welcome Shadows denunciava, in

sintonia con il movimento Fridays for Future, la distruttività dell’azione umana

sull’ambiente. Adesso, invece, è il momento di delineare un futuro diverso.

Questo senso di rinascita e rigenerazione si traduce in un lyric video che trova

nell’elemento acquatico il proprio baricentro. L’acqua, le bolle, il movimento e le linee

del corpo che progressivamente si abbandonano all’immersione, concorrono a una

danza sospesa tra sogno e realtà, sopra e sotto, riflessi e galleggiamenti.

Intanto, le I’m Not a Blonde si esibiranno live il 26 febbraio al Circolo Dev di Bologna e

l’11 marzo ai Giardini Luzzati di Genova.

I’m Not a Blonde è un duo italo-americano di base a Milano composto da

Chiara Castello e Camilla Matley. Il loro elegante electro-pop – fatto di ritmi e

synth anni ’80 e chitarre e melodie dal sapore punk/rock anni ’90 – si muove

in perfetto equilibrio fra gli aspetti delle due personalità: ironia e follia,

divertimento e serietà, minimalismo e art-pop, digitale e analogico. Tutto

avvolto da un velo di malinconia di derivazione new wave che dona alla loro

musica una precisa identità e uno stile inconfondibile.

Esordiscono nel 2016 con l’album Introducing I’m Not a Blonde e dallo stesso

anno entrano stabilmente nel roster di INRI. Il 2018 è l’anno del secondo LP

dal titolo The Blonde Album, cui segue nel 2019 la pubblicazione del terzo

disco Under the Rug, presentato al Reeperbahn Festival in Germania.

Particolarmente apprezzate dalla stampa e dal pubblico dell’Europa centronord,

sul piano internazionale collaborano con la label Backseat e con il

booking All Rooms di Berlino.

Prima che la pandemia bloccasse il mondo, sono state protagoniste in diversi

festival italiani e internazionali, condividendo il palco con artisti del calibro di

Duran Duran, Moderat, Soulwax, Peaches, Ghostpoet, Hurts e molti altri. Dal

vivo, le loro architetture sonore fatte di sovrapposizioni di loop di voci,

chitarre, synth e beat elettronici riempiono lo spazio del palco con la forza e

l’impatto di una full band. Il loro stile ha sedotto artisti di fama mondiale che

hanno scelto I’m Not a Blonde per l’apertura dei live in Italia: i Franz

Ferdinand nel 2018 all’Unipol Arena di Bologna, The Killers a Rock in Roma

(2018), i Wolf Alice per la loro data unica in Italia del 2018 e Miki Shinoda dei

Linkin’ Park nel 2019 a Milano e Padova.

Orfane della dimensione live a causa del lockdown, pubblicano nel 2020 l’EP

Songs from Home. Nel 2021 vincono la call indetta da Italia Music Export, a

supporto della loro attività promozionale all’estero.

Anticipato dai singoli Circles e 1984, il 10 dicembre 2021 è uscito l’EP

Welcome Shadows, primo capitolo di un progetto articolato in due tappe. Nel

2022 uscirà il secondo capitolo This is Light, di cui il singolo Talk of Love,

fuori il 18 febbraio 2022 è il primo assaggio.

Ph Alessia Cuoghi


Nina Simone ha una voce che ti entra nell’anima. Lei ti ipnotizza, ti sconvolge,

in un attimo può farti provare l’estasi più vera e un secondo dopo può gettarti

in un baratro profondo, e quando credi di essere spacciato ti riprende fra le

sue braccia e ti trasporta in mondi sovrannaturali. Lei che non voleva cantare il

jazz poiché ritenuta da tutta la sua famiglia la musica del demonio, si ritrova

ad esserne una delle interpreti più sconvolgenti del novecento. Nina Simone

nasce nel Luglio del 1954 in un bar umido di Atlantic City, con il pavimento

ricoperto di segatura e l’aria satura di fumo di sigaretta.

Era stata ingaggiata per tenere alcuni concerti al Midtown Bar & Grill uno

squallido night club a pochi metri dal lungomare di Atlanta. La prima sera,

vestita come se dovesse tenere un concerto di musica classica, Eunice

Waymon si mise seduta al piano e si abbandonò alla musica. Suonò Bach,

alcune arie gospel e altre canzoni di moda in quel periodo, ma non cantò, non

era una cantante pensava, lei era una pianista. A fine serata il proprietario le

riferì che alcuni clienti si erano lamentati, troppa musica. Se voleva continuare

ad avere un posto di lavoro doveva cantare. Fu in quel momento che Eunice

Waymont, la bambina prodigio che tutti pensavano destinata ad essere la

prima concertista di colore d’America,

si trasforma in Nina Simone. Eunice

non voleva assolutamente che la sua

famiglia sapesse che buttava via il

suo dono e anni di studio del

pianoforte per intrattenere ubriaconi in

un luogo indegno suonando la musica

del diavolo, così scelse un nome

d’arte. Da quel momento in poi Nina

piano piano prende il sopravvento su

Eunice, la sua voce ammalia, la sua

musica è perfetta e ad ogni concerto

si sprigiona nell’aria un magnetismo

particolare che ipnotizza. Nel 1956 a

New York fu programmata la prima

sessione in studio, qualcuno della

Bethlehem records voleva imporle la

scaletta per la registrazione.Ma Nina

che se ne infischiava di registrazioni e

classifiche, rispose che non incideva

canzoni a comando, o sceglieva lei o

non se ne faceva nulla. Incise così

per la prima volta I loves You Porgy,

Love Me or Leave Me, Little Girl blue,

Good Bait e altre cover ad eccezione

dei due brani strumentali African

Mailman e Central Park Blues scritti

durante la sessione di registrazione, e

la canzone che le fece scalare le

classifiche del tempo, ovvero My Baby

Just Cares for Me. Dopo tredici ore

filate in studio di registrazione, Nina

Simone prese il suo assegno, tornò a

Philadelphia e dormì per dodici ore

filate, al suo risveglio Eunice

Waymont suonò per tre giorni

consecutivi Beethoven, per purificarsi

da quella giornata dove Nina Simone

aveva inciso musica leggera. Nina

Simon prese il suo assegno , tornò a

Philadelphia per dodici ore filate, al

suo risveglio Eunice Waymont suonò

per tre giorni consecutivi Beethoven, per purificarsi da quella giornata dove

Nina Simone aveva inciso musica leggera. Questa alternanza di personalità,

la porterà sempre di più all’isolamento. Poche persone riusciranno a

comprendere che dentro di lei convivevano tante donne, ognuna con i propri

sogni. Era nello stesso momento una timida bambina prodigio, un artista

sfavillante, un innamorata pronta ad annullarsi per gli uomini, una pazza

furiosa, una guerriera instancabile, una diva assoluta, una visionaria, una

strega. Quando credi di aver imparato a conoscere Eunice Waymon, la

ragazzina prodigio che voleva diventare la prima concertista classica nera, ti

ritrovi d’un tratto a guardare negli occhi Nina, la guerriera che a colpi di

musica combatte per i diritti dei neri cantando Flo Me La come grido di guerra

rivendicando un identità e una libertà fino ad allora negate. Eunice Waymont

sogna una famiglia e il sostegno di un uomo profondamente innamorato, Nina

Simone vive questo sogno come una limitazione alla sua voglia di scendere

nel sud a combattereper i diritti e la libertà al fianco di personaggi come

Martin Luther King o Malcom X. Nina Simone vive un esperienza di violenza

cieca da parte del suo fidanzato Andrew Stroud dal quale fugge, Eunice

Waymont lo sposa il 4 dicembre del 1961.


TuttoBallo

stress, la fatica e le avversità della vita che lei interpretò

come tradimenti, crollò. Da quel momento in poi non

riuscirà più a trovare una vera stabilità emotiva e anche

la sua carriera ne risentirà pesantemente.

Viaggiò in Africa alla ricerca delle sue radici, per poi

tornare negli Stati Uniti e in Europa a ricercare

nuovamente quel successo e quella vita che aveva

abbandonato.Nei suoi concerti ipnotizzava gli spettatori

sia con la sua musica che con la sua spettacolarità,

come quando a metà concerto si alzò dal piano

allargando le braccia e urlando “lo spirito è qui!”, oppure

in altre occasioni inveiva contro di loro. Nonostante la

sua instabilità mentale e la malattia e i forti dolori che la

paralizzavano, continuò fino quasi da ultimo a salire sul

palco e a cantare. Nina Simone muore il 21 aprile del

2003 nella sua casa di Carry Le Rouet, nel sud della

Francia, all’età di settanta anni, ma il suo mito, vive

ancora. Entrare in contatto con la sua musica, la sua

voce e la sua vita è un esperienza sovrannaturale che ti

cambia dentro, Vederla nei video del tempo con gli occhi

fissi in un mondo parallelo ti da la certezza che il suo

spirito è sempre tra noi, beffardo, pronto a cambiare

l’anima di chiunque lo ascolti....Grazie di tutto Nina.

SONIA LIPPI

giterrandoblog.blogspot.com

In alcune sue composizioni si coglie la volontà di voler

esprimere contemporaneamente tutte le sfaccettature

della sua anima, come nella bellissima Four Women, dove

oltre a riscontrare alcuni tratti biografici di Eunice, si

coglie il pathos e la rabbia trattenuta di Nina, oppure

come in I Put Spell on You , dove esce tutta l’africanità di

Nina, come se fosse una stregona che non si arrende alla

perdita del suo uomo e gli lancia un incantesimo.

Il 21 febbraio del 1965 fù sconvolta dall’uccisione di

Malcom X. Venne presa da una crisi di rabbia, voleva

lasciare tutto imbracciare le armi e diventare una vera

rivoluzionaria, ma Andy Stroud suo marito e manager

convinse Nina a restare, lei come una belva in gabbia usò

la sua voce e la sua musica come arma contro

l’oppressione dell’uomo bianco. Così nella primavera del

1965 Nina registrò l’album “Pastel Blues” inserendo in

esso due capolavori rivoluzionari, Sinnerman canzone

della disperazione e del disincanto e la bellissima

commovente e tragica Strange Fruit considerata una delle

canzoni di denuncia che hanno cambiato il modo di

pensare del tempo. Ma la fragilità di Eunice iniziò a farsi

sentire, Nina era sottoposta a continui concerti e

registrazioni in giro per l’America e non solo, pregava suo

marito di farla riposare ma annullare gli impegni sarebbe

stato deleterio per la sua immagine, fino a quando per lo


Malakay

MILLENNIUM GHETTO

Millennium ghetto è il nuovo singolo del rapper e produttore sardo Malakay, vero nome Andrea Camboni. Primo capitolo di

una narrazione più ampia e complessa scritta da Malakay, una fotografia del nostro momento storico, delle paure e delle ansie

che viviamo a causa della pandemia a cui fanno da contraltare i riferimenti culturali e le angosce che hanno dominato la fine del

vecchio millennio e l’inizio del nuovo. Nel video, scritto dallo stesso Malakay e prodotto da Nubifilm Studio con la regia di

Claudio Spanu, la fuga del rapper dai suoi rapitori non è niente di diverso da quello che cerchiamo di fare tutti ogni giorno:

scappare dai nostri errori passati, dalle nostre paure, da ciò che non vogliamo vedere. Ma non importa quanto corriamo, quale

remoto nascondiglio riusciamo a raggiungere, quei demoni saranno lì ad aspettarci (Baby, la senti l’ansia da lockdown?).

Attraversato da una “nostalgia” verso i primi anni del nuovo millennio, con un’idea di suono a metà strada tra Kanye West,

Pharrell e Ty Dolla Sign, il brano si apre con il discorso che Bill Clinton fece alla fine del 1999, quando si temeva che il

“millennium bug” potesse mandare in crash tutti i computer del pianeta scatenando una guerra informatica e un blocco mondiale

delle infrastrutture. Rappresentante della scena rap da più di 10 anni, con Millennium ghetto Malakay ha sviluppato un sound e

un immaginario in cui le sonorità elettroniche si fondono con quelle hip hop, “ho iniziato a lavorare sul beat partendo dal sample

di un coro africano, volevo qualcosa di etereo che sembrasse quasi sacro, per lavorare sul contrasto con gli altri elementi”.

Le influenze elettroniche e ambient, testimoniante dalle sonorità distorte del ritornello e dall’utilizzo del Talkbox, fanno da

tappeto a un flow e a un’interpretazione vicina alla trap, “avevo l’intenzione di creare un sound nuovo” - afferma Malakay -

“diverso il più possibile da quello che stavano facendo tutti gli altri”. A fare da protagonisti nel brano i riferimenti alla cultura pop

dei primi anni 2000 che hanno segnato l’immaginario culturale di Malakay come l’uscita di College Dropout, l’album d’esordio di

Kanye West o Austin Powers la serie di film parodia delle storie di spionaggio degli anni Sessanta o ancora il riferimento al film

del 2007 di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez Grindhouse (“è appena uscito College Dropout/ fa ancora ridere Austin

Powers/ mi sento Rodriguez in Grindhouse/ Darth Maul sembra il nuovo Darth Vader / We were born in the millenium

ghetto”).L’uscita del singolo è stata anticipata da un video monologo pubblicato sul profilo Instagram di Malakay, scritto con il

regista del video Claudio Spanu e l’autore Luca Darden, una riflessione sulla potenza creativa del fallimento. “Quando è arrivato

il primo lockdown io avevo un album in uscita che è ovviamente stato stoppato e poi cancellato, tutto quello che avevo fatto fino

a quel momento era stato inutile e sentivo che quella sensazione fosse condivisa praticamente da tutti” afferma Malakay. Il

fallimento si trasforma, così, in un’occasione per scegliere cosa fare della propria vita e capire come fallire il meno possibile.

Guardal qui il video://www.youtube.com/watch?v=tG7uu3t6S4M

Ascolta qui Millennium ghetto: https://lnk.fu.ga/millenniumghetto


MARCO VEZZOSO

ALESSANDRO COLLINA

Il duo jazz torna con "“Kind Of Vasco”

Il duo jazz MARCO VEZZOSO e ALESSANDRO COLLINA torna per

un nuovo speciale progetto discografico strumentale realizzato per

l’occasione insieme al percussionista ANDREA MARCHESINI. Il 18

marzo esce in formato fisico e digitale “KIND OF VASCO”, un doppio

album contenente alcuni dei brani più famosi di Vasco Rossi rivisitati in

chiave jazz per omaggiare il rocker che ha da poco compiuto 70 anni.

“Kind Of Vasco” si compone di 15 brani in cui la tromba prende il

posto della voce per dare vita ad una metamorfosi che unisce il rock al

jazz, passando per sonorità proprie della musica classica e della world

music. Il progetto vede anche la partecipazione di un’orchestra d’archi

diretta dal maestro Corrado Trabuio e l’intervento del famoso violinista

indiano Neyveli S. Radhakrishna.

L’idea del progetto nasce dopo il successo della versione strumentale

di “Sally”, dall’album “Italian Spirit” (Egea Music/Art in Live, 2020), che

ha ricevuto l’apprezzamento dello stesso artista. Dal loro primo incontro

musicale nel 2014, il duo formato dal trombettista piemontese Marco

Vezzoso (che dal 2012 vive e insegna oltralpe presso il Conservatorio

Nazionale di Nizza) e il pianista jazz ligure Alessandro Collina ha

percorso molta strada conquistando fin da subito il Sol Levante.

Marco Vezzoso e Alessandro Collina hanno all’attivo 5 album,

numerosi concerti tra Francia e Italia e diversi tour internazionali. Nel

2015 il primo tour in Giappone, il cui live ad Osaka è stato registrato e

pubblicato dall’etichetta giapponese DaVinci. Nel 2017, un lungo tour

estivo li porta ad esibirsi in Cambogia, Indonesia e nuovamente in

Giappone, con un concerto di chiusura a Tokyo. Negli anni a seguire

girano live Indonesia, Malesia, Repubblica Ceca (2018), Norvegia e

Cina, dove hanno rappresentato l’Italia al primo Festival Europeo del

Jazz a Canton (2019) e Turchia (2020). Nel 2020 pubblicano “Italian

Spirit”, un disco che celebra il loro sodalizio artistico cominciato in

Giappone e arrivato fino in Cina passando per Cambogia, Indonesia e

Malesia. L’album racchiude 11 tra le più belle canzoni degli ultimi 30

anni del secolo scorso, rivisitate in chiave acustica. Il duo, insieme al

percussionista Andrea Marchesini, ha presentato il disco dal vivo in

collegamento streaming per il pubblico di Tokyo. Sulla scia del

successo ottenuto dal live, il 9 luglio la ITI Records (casa discografica

di Tampa – USA) ha pubblicato per il mercato degli Stati Uniti e

Giappone “Italian Spirit Live in Japan”, attualmente in rotazione su oltre

50 radio statunitensi. A ottobre 2021 è uscito “Travel”, un album

simbolo di una commistione di tradizioni, generi ed esperienze musicali

e artistiche, realizzato in collaborazione con il celebre percussionista

Trilok Gurtu, padre della world music, e Dominique Di Piazza, uno dei

migliori bassisti al mondo.

www.instagram.com/p/CaZOmnjg2pD/?utm_medium=copy_link.


PAT METHENY

SIDE EYE, nuovo tour

Con questo nuovo tour Pat Metheny prosegue nel suo

percorso di ricerca di straordinari talenti emergenti

che hanno attirato il suo interesse in questi ultimi

anni: “Sin dai miei primi giorni a Kansas City, ho

avuto il privilegio di conoscere tanti musicisti più

grandi di me e tali incontri mi hanno permesso di

scrivere la mia musica attraverso il prisma della loro

esperienza. Ora sento l’esigenza di creare una

piattaforma per concentrarmi su alcuni dei molti

musicisti più giovani che mi sono piaciuti di recente e

con cui ho sentito una sorta di parentela. Ascolto

regolarmente i nuovi artisti e spesso li invito a

suonare a casa mia. Trovo ispirazione dal modo in cui

affrontano le sfide musicali sulle vecchie e le nuove

melodie e sono affascinato dalla possibilità di scrivere

nuova musica solo per loro”. Questa edizione di Side

Eye sarà caratterizzata dalla presenza di James

Francies, al piano e alle tastiere, del batterista Marcus

Gilmore e di parte dell’Orchestrion, la band

elettromeccanica vista in Italia nel 2010.


tre appuntamenti

speciali a Milano

Cantautore e autore tra i più stimati del panorama

italiano, PACIFICO (all’anagrafe Gino De

Crescenzo) ha all’attivo sei dischi (“Pacifico”,

“Musica Leggera”, “Dal giardino tropicale”, “Dentro

ogni casa”, “Una voce non basta” e “Bastasse il

cielo”) e negli anni si è aggiudicato numerosi premi e

riconoscimenti, tra cui il Premio Tenco per la

Migliore Opera Prima e la Targa Tenco 2015 come

Migliore canzone dell’anno con il brano Le storie che

non conosci”, scritto e interpretato con Samuele

Bersani. Vanta due partecipazioni a al Festival di

Sanremo: la prima nel 2004 con il brano “Solo un

sogno” (premio per la miglior musica) e la seconda

nel 2018 con Ornella Vanoni e Tony Bungaro con il

brano “Imparare ad amarsi”. Ha pubblicato per

Baldini e Castoldi, il romanzo “Ti ho dato un bacio

mentre dormivi”, poi ripubblicato da La Nave di

Teseo. Oltre al decennale sodalizio con Gianna

Nannini, nel corso della sua carriera ha scritto per

Andrea Bocelli, Gianni Morandi, Adriano Celentano,

Malika Ayane, Eros Ramazzotti, Zucchero, Giorgia,

Antonello Venditti, Extraliscio, Claudio Capeo e molti

altri. A marzo 2019 esce il suo sesto album

“Bastasse il cielo”, da cui sono stati estratti cinque

singoli accompagnati dai videoclip disegnati dal

celebre illustratore Franco Matticchio: il frutto di

questa collaborazione è stato ospitato nella prima

mostra virtuale della Milanesiana. A dicembre dello

stesso anno, ha ideato e messo in scena al teatro

Filodrammatici di Milano “La Settimana Pacifica”,

una serie di sette concerti che hanno visto la

presenza, ogni sera, di grandi ospiti: Malika Ayane,

Samuele Bersani, Gianna Nannini, Francesco De

Gregori, Giuliano Sangiorgi, Francesco Bianconi e

Neri Marcorè. Nel 2021 firma la colonna sonora del

film di Michela Andreozzi “Genitori Vs. Influencer”,

contenente la canzone originale “Gli Anni Davanti”,

candidata come migliore canzone ai Nastri

D’Argento 2021.

Il cantautore e autore nel 2022 torna sul palco con

“PACIFICO in STUDIO – Dove aspettano le

canzoni”, tre speciali appuntamenti ( 10 marzo, 7

aprile e 5 maggio) al Volvo Studio Milano (Viale

della Liberazione angolo Via Melchiorre Gioia,

Milano). Concerti-conversazioni in cui Pacifico,

accompagnato sul palco da Antonio Leofreddi (viola)

e affiancato dai suoi ospiti, indagherà sul perché si

scrivono, si cantano e si ricordano per sempre le

canzoni: un dialogo ambientato in una stanza

immaginaria, piena di ricordi, strumenti, lampade,

tappeti e scatole di libri in cui mettere ordine

seguendo le note di una canzone. La regia audio è a

firma di Max Faggioni e la regia video è a firma di

Matteo Milanino.

“Canzoni di rabbia e divertimento” il 10 marzo

(ospite il giornalista Enzo Gentile), “Canzoni che

diventano grandi” il 7 aprile (ospite il musicista e

produttore Vittorio Cosma) e “Canzoni ancora da

scrivere” il 5 maggio (ospite il cantautore Giovanni

Truppi, con il quale Pacifico ha recentemente coscritto

il brano “Tuo padre, mia madre, Lucia”

presentato al 72° Festival di Sanremo).Tutti gli

appuntamenti avranno inizio alle ore 21.00. Ingresso

su prenotazione con consumazione obbligatoria fino

ad esaurimento posti. L’entrata è consentita solo

con green pass rafforzato e mascherina FFP2. Tutte

le informazioni sui prossimi appuntamenti


Riccardo Cocchi & Yulia Zagoruychenko

10 volte Campioni del Mondo Latin


TuttoBallo

Guinardi Fabbri - 3 posto danza ritmica - Pechino 2022

Manoel Francisco dos Santos, meglio noto come Garrincha

Ronaldo de Assis Moreira, in arte Ronaldinho

Approfittando del periodo olimpico (che non sembra porterà a una tregua, anzi

tutt’altro) possiamo provare a renderci conto di quanto la danza sia presente negli

sport delle Olimpiadi estive e invernali: pattinaggio artistico, nuoto sincronizzato e

ginnastica artistica, tra gli altri, sembrano avere un legame più che diretto con la

danza, ma che cosa possiamo dire di altri sport?

Se è vero che gli sport di squadra sembrano più richiamare le modalità della battaglia,

è altrettanto vero che spesso è l’individualità artistica che fuoriesce dal gruppo a

richiamare inevitabilmente la bellezza e la competenza dei movimenti che possono a

buon diritto essere chiamati danza.

Consideriamo banalmente il calcio, sport di squadra che, a differenza di altri, ha ormai

quasi completamente eliminato la figura dell’artista, che sopravvive nella riserva

indiana delle fasce laterali, dove all’esterno viene chiesto espressamente di apportare

quel guizzo imprevisto che, dopo una manovra organizzata nei dettagli, facilita il

raggiungimento dell’obiettivo, il gol. Le fasce laterali sono da sempre la culla dei grandi

artisti, anarchici che avevano la capacità di regolare i propri movimenti con o senza

palla in modo esteticamente entusiasmante; un nome su tutti: il brasiliano Garrincha,

il numero 7 per antonomasia. O mestre, maestro delle finte e dei dribbling, che con le

sue gambe impari da poliomielitico riusciva a depistare i difensori e a trasformare i

tifosi di una partita in spettatori di uno spettacolo. Restando al Brasile, patria del Joga

Bonito, ossia del Bel Gioco, sono tantissimi i nomi vecchi e nuovi che possono entrare

nel discorso: Pelè, Zico, Socrates, Didì, Vavà, Ronaldo… ma dopo gli anni ‘50 di

Garrincha avviciniamoci ai giorni nostri: Ronaldinho è forse il giocatore che per ultimo

ha portato avanti la gloriosa scuola dei fantasisti nel mondo. Veder giocare Ronaldinho

significava provare emozione già dal sapere che sarebbe sceso in campo, perché

pregustavi già che qualcosa ti avrebbe toccato le corde giuste, ti avrebbe fatto godere

ed esultare anche se il tuo cuore stava con l’altra squadra; l’effetto che fanno gli artisti

quando riescono a portare un barlume di bellezza agli altri. E Ronaldinho lo faceva col

ballo, con la danza, oltre che col pallone: che fosse con un sombrero (la maestria del

giocatore-ballerino fa sì che il pallone scavalchi l’avversario per poi riprenderlo tra i

piedi), con un elastico (il giocatore-ballerino sposta istantaneamente il pallone da una

parte all’altra depistando l’avversario), con un doppio passo (il giocatore ballerino

muove i piedi sul pallone senza toccarlo, sfruttando completamente la potenzialità del

movimento del corpo), o con quella che è il massimo delle figure prestate dalla danza

allo sport, ovvero la rabona, che potrebbe tranquillamente venir utilizzata durante una

milonga (il giocatore-ballerino calcia il pallone incrociando i piedi, quindi col sinistro

che calcia passando dietro al piede destro e viceversa, proprio come in un passo

d’incrocio) ha portato il suo futbol bailado in giro per il mondo.

Come ci suggerisce l’ultima frase, c’è tutta una terminologia che il mondo del calcio

prende dalla danza per evocare una bellezza e una grazia che gli appartengono

soltanto in parte: oltre al futbol bailado, secondo i vari giornalisti i calciatori “calcano” i

“teatri” più importanti, tra i quali spicca l’iconico stadio Meazza di Milano, “la Scala del

calcio”. Gianni Brera così scriveva di Sivori: “Impadronitosi del pallone, Sivori non è

più propriamente un calciatore, bensì un ballerino classico o, se preferite, un espada.

[...]Danza i suoi dribbling […]. Ripetuti come mosse sempre nuove, i pases de

dribbling assurgono a numero di danza”.

Sono tantissimi i calciatori che hanno ballato sul pallone: Matthews, Di Stefano,

Meazza, Schiaffino, Maradona, Baggio, Totti, hanno portato il gesto armonioso tra i

calci e le spinte, lo stile e l’eleganza nella brutalità della battaglia, la poesia nella

prosaccia di uno sport giocato con i piedi. Ma oltre al calcio c’è di più, come ci si

dimentica troppo spesso: ad esempio c’è il basket, altro sport di squadra nel quale il

corpo e i suoi movimenti assurgono a importanza principale, a volte più della palla

stessa. I cinque giocatori di una squadra, e per risposta anche i cinque della squadra

avversaria, si muovono sul parquet rispettando degli schemi definiti all’interno dei quali

il singolo si può di volta in volta esaltare.


Nancy Berti & Alessandro Camerotto

Campioni Italiani Professionisti 2012

TuttoBallo

Mettono in scena una coreografia, ciascuno ha non soltanto il proprio ruolo, come nel

calcio, ma una posizione precisa che di volta in volta cambia in seguito allo

svolgimento dell’azione disegnata da un coreografo chiamato allenatore: un

giocatore-ballerino porta un blocco (usa il corpo immobile per impedire un movimento

a un avversario e agevolare il movimento di un compagno), esegue uno spin-move

(diretto a canestro, aggira l’avversario ruotando un piede quando gli è a ridosso, per

poi ritrovarsi nuovamente diretto verso il canestro), effettua un terzo tempo (nel

basket non si possono fare più di due passi con la palla in mano senza palleggiare

quindi occorre coordinarsi per saltare verso il canestro tirare), usa il piede perno (il

giocatore che ha bloccato il palleggio o appena ricevuto un passaggio ‘si muove da

fermo’ facendo perno su un piede che non si stacca da terra), attua una finta di corpo

(è tale il controllo del proprio corpo da parte del giocatore-ballerino che basta una

scrollata di spalle o un movimento della testa per destabilizzare l’avversario, dando

l’effetto visivo di un breve passo a due) tutte azioni che esaltano le capacità di

coordinazione dei giocatori-ballerini. È proprio il piede perno uno dei movimenti

che più richiamano la danza, spesso usato dal giocatore centro-pivot che

supera abbondantemente i 2 metri di altezza e i 100 chili di peso e che eppure si

muove con la grazia, la scioltezza e la plasticità di una étoile. In questo breve

elenco di movimenti ballerini, il basket ne ha uno che sublima il senso estetico,

la coordinazione, il movimento plastico e armonioso: la schiacciata, esaltata da

figure come Julius Erving, il primo a creare figure artistiche in volo durante il

salto, Michael Jordan, che ha prolungato il tempo del volo e aumentato il livello

artistico, ad esempio spostando il pallone da una mano all’altra durante il volo

per poi concludere a canestro, o Vince Carter, meno conosciuto ma che negli

anni 2000 ha portato quest’arte a un livello di perfezione forse mai più

raggiungibile, ad esempio con rotazioni in volo di 360° per poi concludere con

una schiacciata fragorosa.

Per finire, uscendo dagli sport di squadra si può trovare il trait d’union tra sport e

danza, rappresentato dalla boxe. Senza considerarli avversari, i due pugili potrebbero

tranquillamente essere una coppia di ballo che esegue un passo lento e cadenzato,

in cui ai movimenti dell’uno rispondono specularmente quelli dell’altro. E se è vero

che finora abbiamo provato a unire allo scopo dello sport in questione il gesto, il

movimento e l’armonia che sono propri della danza, questo breve intervento non può

che chiudersi con la figura di Cassius Clay-Mohammed Alì. Danzando come una

farfalla e pungendo come un’ape, muovendosi sul ring come se davvero fosse un

palcoscenico, Alì ha rappresentato il perfetto esempio di sportivo-ballerino, talmente

perfetto da poter essere quasi considerato un ballerino-sportivo; nel movimento

armonioso dei suoi piedi, elegante e ipnotico, la poesia del gesto che sottende un

significato, che rimanda ad altro, tribale e raffinato, rabbioso e gioioso, vale a dire il

gesto, tutti i gesti, di ogni tipo di ballo.

David Iori

traduttore ispanoamericano e portoghese

www.ilcontaconti.wordpress.com

Luana e Luka Fanni

Campioni Italiani Professionisti Latin Showdance 20001

5 volte finalisti ai Campionati mondiali Latino Americani

Vincitori prima edizione di Campioni di Ballo (Rete 4)

Cassius-Clay-Muhammad-Ali-Joe-Frazier


L’accessibilità della musica passa attraverso il supporto sul quale viene incisa. Questo vale per tutti i generi, ma per il Tango

ha una valenza particolare grazie alla sua storia secolare. Ripercorrendo la nascita e l’evoluzione del Tango si può fare un

viaggio lungo le invenzioni che hanno consentito di diffondere la cultura musicale nel mondo.

Il primo strumento in grado di riprodurre il suono fu il fonografo inventato da Thomas Edison nel 1878, un oggetto costituito

da un rullo di ottone di circa 10 cm sostenuto da un asse filettato. Sul cilindro era tracciato un solco a spirale di 2,5 mm di

larghezza e la superficie del cilindro era ricoperta da un foglio di stagnola. Durante la registrazione, il cilindro ruotava e la

stagnola veniva sfiorata dalla puntina collegata alla membrana vibrante. La puntina, seguendo le oscillazioni della

membrana, incideva una traccia profonda nella stagnola che, tesa sopra al solco, poteva cedere sotto la pressione. Poiché

era ancora sconosciuto il sistema di copia da una matrice iniziale, con questo apparecchio l’artista doveva incidere tante

volte quante erano le copie di cilindri da produrre. La realizzazione di cilindri con temi di Tango interessò artisti come Angel

Villoldo, Linda Thelma ed i coniugi Gobbi, in un periodo compreso tra il 1898 ed il 1914.

Successivamente alla comparsa del fonografo, Chichester Bell e Summer Tainter brevettarono il grafonono, ossia una

evoluzione del fonografo che utilizzava un cilindro con uno strato di cera al posto della stagnola. Grazie all'utilizzo di un

braccio snodabile che riduceva la pressione della puntina sulla cera il solco aveva una larghezza di 0,7 millesimi di

millimetro, quindi, il passo dell'incisione si riduceva a 0,16 mm, aumentando la durata della registrazione fino ad oltre i 2

minuti. A metà degli anni ’80 Emile Berliner pensò di utilizzare un disco al posto del cilindro in cui la puntina invece di

oscillare verso l'alto e il basso, oscilla a destra e a sinistra. Tale invenzione venne chiamata grammofono e il brevetto venne

ottenuto da Berliner nel novembre 1887. L’enorme vantaggio di questa invenzione fu che il disco fonografico poteva essere

riprodotto in più copie molto più semplicemente che i cilindri di Edison. Il Tango dei primordi poté essere diffuso su vasta

scala attraverso le incisioni acustiche, che perdurarono fino al 1926, in dischi incisi su un solo lato. In Argentina, le matrici,

ossia l’incisione iniziale del brano, veniva spedita in Germania, Francia, Brasile o negli Stati Uniti per essere replicata con


tiratura commerciale. Su tali supporti venne registrata gran parte delle prime

produzioni del tango della Guardia Vieja, ma anche le versioni eseguite dalle

bande municipali di Buenos Aires e della banda Repubblicana di Parigi. A

partire dal 1910 si affaccia anche la versione del disco fonografico inciso su

due facce, mentre viene standardizzata una velocità di 80 giri per minuto.

Durante questo decennio sorgono un’infinità di case discografiche per la

diffusione commerciale della musica in tutti gli ambienti (Polyphon, Telephone,

Columbia, Nacional Odeón, Pathé e Victor, tanto per citare alcuni tra gli esempi

più importanti). Tutte queste imprese avviarono un vero e proprio reclutamento

di artisti, orchestre, bande musicali per creare un repertorio su vasta scala. Nel

caso del Tango le case discografiche si attrezzarono per costituire delle

orchestre ad hoc alle quali far incidere le hit del momento, così il Tango trovò il

proprio riscatto sociale ed una grande diffusione oltre il perimetro rioplatense

dove era nato. Artisti come Vicente Greco e la sua Orquesta Tipica Criolla

lasciarono in eredità le prime registrazioni di tanghi popolari come Rosendo e

Don Juan; Juan Maglio Pacho incise il primo brano con assolo di bandoneon

(La sonambula); infine Carlos Gardel fece conoscere al mondo lo stile creolo

del Tango canción.

Non c’è dubbio che alla metà degli anni ’20 il Tango era diventato un fenomeno

commerciale dalle ampie possibilità di guadagno. Il business venne percepito

da due colossi della musica dell’epoca, la Odeon e la Victor, mentre nel mondo

delle tecniche di registrazione quella acustica veniva sostituita da quella

elettrica. Siamo nel 1926 e la Odeon sperimenta la registrazione elettrica con

Carlos Gardel incidendo i tanghi Corrientes e El pibe. L’anno successivo, la

velocità di incisione passa da 80 a 78 giri per minuto, dando vita al famoso

disco a 78 giri (78 rpm) che fece la storia della musica fino all’avvento dell’LP.

Su tale supporto a 78 giri si affermò l’intera produzione tanguera della Epoca

de Oro. Le case discografiche Victor e Odeon continuarono ad arricchirsi

contrattando i migliori artisti e le orchestre più famose, ma il mercato permise

anche ad altre realtà di inserirsi nel mercato musicale del Tango. Per questo

motivo vi furono diversi tentativi di far crollare il duopolio Victor-Odeon da parte

di altre etichette come Electra, Brunswick, Columbia, ecc.

Nel 1948, le basse velocità di riproduzione a 33 giri per minuto, applicate alle

lastre infrangibili, create dall'ingegnere Peter nel 1945, conquistarono il

mercato nordamericano introdotto dalla Columbia Records. Il disco a 33 giri, o

long playing, soppiantò progressivamente il disco in gommalacca che veniva

riprodotto a 78 giri, grazie alla migliore qualità e durata del vinile. Su un singolo

vinile potevano essere incisi fino a 12 brani, 6 per lato. La musica entra

definitivamente nell’era moderna nello stesso momento in cui la RCA Victor

lanciò il disco a 45 giri, di dimensioni ridotte rispetto al 33 giri e dalla capacità di

2-4 brani per disco. Nel 1950 quando un gruppo finanziario argentino,

composto da investitori della Sicamericana e dell'Argentina Sono Film, regalò a

Buenos Aires i primi dischi stampati a 33 giri, prodotti da tempo in Perù, il primo

interprete di Tango legato alla nuova tecnica di incisione fu Carlos Di Sarli, che

iniziò la serie di dischi di 17 cm di diametro con quattro classici del suo

repertorio: El opio, La gran muñeca, El incendio e Germaine. Solo più tardi

arrivò Odeon con Fresedo, Pugliese, De Caro, Canaro, Gardel e altri. La

versione di vinile a 45 giri con vari diametri, detto anche EP (extended play), si

afferma contestualmente alla commercializzazione dei juke-box e convive con

la versione a 33 giri, quando, il 18 agosto 1990, in seguito a un accordo tra

tutte le multinazionali del disco viene cessata la grande produzione del

supporto (fino al 1991), tuttavia venne prodotto ancora fino al 1993, quando

anche il 33 giri cedette definitivamente il posto a musicassette e CD.


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Marino Cassandro nasce a Firenze il 7 febbraio 1969, in una

famiglia che ha sempre manifestato particolare attenzione per l’arte

in generale, e per le capacità creative in qualsiasi forma si

esprimessero. La sua indole sognatrice e “ribelle” non gli ha

permesso di seguire gli studi accademici, pertanto, ha coltivato

la sua passione e affinato la tecnica da autodidatta. Marino ama

la pittura, vive per trovare il punto d’incontro con l’universo, che

rappresenta il senso della sua ricerca pittorica e della sua esistenza

stessa. La sua pittura è informale, esclude ogni forma

tradizionale e l’astrattismo di ordine geometrico, cerca di

esprimere la forza e le suggestioni della materia presentandole

in libere associazioni. L'artista cerca la sinergia tra colore, linee e

forme al fine di ottenere equilibrio e consapevolezza del proprio sé.

Dopo anni di ricerca, tramite la sua anima, usata come strumento di

analisi di sé stesso, ha acquisito la consapevolezza del tutto che ha

origine dal punto. L'essere umano non può vivere di vita propria,

ha la necessità di nutrirsi, dissetarsi, ricevere energia solare,

aria, componenti fondamentali per la sopravvivenza. Lo stesso

principio lo ritroviamo anche nel mondo animale e vegetale, tutti uniti

in questa legge universale. Senza questa verità tutto decadrebbe.

Da questa analisi introspettiva Marino vede il tutto: Il punto la

sfera o il cerchio viene identificato, come un essere umano, con

un suo microcosmo interiore e con esso descrive il personale il

sociale il cosmico e lo spirituale. Il colore rappresenta l'energia

che ognuno riveste in base alla propria conoscenza. Colori scuri

energia bassa, colorati alta e rappresenta l’universo essenza di una

singolarità di amore.

https://www.youtube.com/channel/UCfOQcsZ4IXGZcLWoF82KGlg/videos

http://www.marinocassandropittore.it/opere/


Un pomeriggio di attività per famiglie dedicate

al "carnevale degli animali e delle piante": il

MUSE - Museo delle Scienze si anima con

laboratori creativi, giochi e attività scientifiche

sui temi del mimetismo, delle illusioni e del

mascheramento nel mondo naturale.

Piante che “si travestono” da sassi per non

essere mangiate, rapaci notturni che si

confondono con le tinte della corteccia fino a

“scomparire” e pesci che, per intimidire i

predatori, sfoderano un grande “occhio” finto

sul loro corpo. Sono solo alcune delle strategie

che molte piante e animali mettono in campo

per difendersi da potenziali pericoli, trarre

vantaggi o riuscire a comunicare. Martedì 1

marzo 2022, in pieno spirito di Carnevale, il

MUSE propone “Scherzi in Natura”, un

pomeriggio di attività, laboratori e corner

informativi che, declinati in chiave scientifica,

giocheranno proprio sui temi del

mascheramento e dello scherzo.

Come immagine promozionale dell’evento è

stato scelto un allocco di Lapponia, animale

campione di mimetismo grazie al suo

piumaggio che richiama perfettamente i colori

della corteccia degli alberi.


L I B R I

TuttoBallo

LO SCRIGNO DELLA MEMORIA

Recensione di Roberta Vogna

Pur non avendo mai letto nulla di Kathryn Hughes è comunque un'autrice che

conosco bene, so che ha uno stile unico e particolare e che i suoi libri sanno

toccare nel profondo il cuore del lettore... Non è un caso che proprio oggi nel Giorno

della Memoria esca il suo nuovo libro, in cui conduce il lettore in un viaggio nel

tempo proprio ai terribili giorni della seconda guerra mondiale... In Lo scrigno della

memoria Kathryn Hughes ci racconta di due donne che apparentemente non hanno

molto in comune: una è una centenaria che sta passando gli ultimi giorni in una

casa di riposo, l'altra è una giovane donna di poco più di 20 anni che lavora e fa

mille sacrifici per realizzare il suo sogno eppure il caso vuole che si incontrino e che

tra loro si instauri un'amicizia sincera e insieme riescono a curare le ferite l'una

dell'altra, soprattutto Candice grazie all'anziana Jennifer riesce a trovare la forza di

emergere e di ritrovare la strada verso la felicità.

Rubrica a cura del blog

"Il COLORE DEI LIBRI"


http://ilcoloredeilibri.blogspot.com/

LO SCRIGNO DELLA MEMORIA

di KATHRYN HUGHES

Prezzo: € 19,00 | Ebook: € 9,99 |

Pagine: 432| Genere: Narrativa Contemporanea|

Editore: Casa Editrice Nord|

Data di Pubblicazione: 27 Gennaio |

TRAMA

Due donne distanti nel tempo, eppure

vicinissime Un ricordo perduto Un legame che

nemmeno la guerra è riuscita a spezzare

Esistono vite senza rimpianti? Forse sì, pensa

Candice, durante i festeggiamenti per il

centesimo compleanno di Jenny. Di tutti gli ospiti

della casa di riposo, Jenny è quella cui lei si è

affezionata di più, sempre serena, soddisfatta,

appagata. Eppure, quella sera, di ritorno nella

sua stanza, l'anziana mostra a Candice uno

scrigno con dentro un fascio di vecchie lettere e

un ciottolo raccolto su una spiaggia lontana. Ciò

che è accaduto su quella spiaggia è un peso che

da troppo grava sulla sua coscienza e, ora che la

fine è vicina, Jenny ha bisogno di chiudere

finalmente i conti col passato. Quindi chiede a

Candice di accompagnarla in Italia, là dove tutto

è iniziato, e lei accetta di buon grado: quel

viaggio potrebbe essere l'occasione giusta per

prendere le distanze da un'esistenza monotona,

dalle difficoltà economiche e da un fidanzato fin

troppo possessivo. E così, passo dopo passo,

Candice si ritrova a raccogliere i frammenti di

una storia scritta nella polvere della guerra, la

storia di una ragazza accecata dall'amore, di un

uomo idealista e irascibile, e dell'istante che ha

cambiato tutto. Perché quando un legame

diventa tanto stretto da risultare soffocante, è il

momento di scegliere se sacrificarsi o ribellarsi,

subire o reagire. E presto, seguendo le orme di

Jenny, anche Candice sarà costretta a fare una

scelta definitiva...

Tra presente e passato il lettore viaggia insieme a Jennifer e Candice, con loro fa

sia un viaggio nei ricordi sia il lungo viaggio in Italia, luogo dove Jennifer ha vissuto

per anni e dove ha visto fino a che punto era crudele la follia dei nazisti... Sono

genovese di nascita e mi ha colpito particolarmente il racconto di Jennifer, il mio

cuore si è spezzato insieme al suo e nello stesso tempo ho ringraziato l'autrice per

come con le sue parole ha reso giustizia alle tante vittime di una guerra senza

senso. All'inizio ho trovato il ritmo narrativo un po' lento, ma considerando i temi

trattati è perfetto, perché scandisce il lento ed inesorabile scorrere del tempo, inoltre

da maggiore incisività alla storia, che viene raccontata attraverso due punti di vista:

quello di Jennifer tra presente e passato e quello di Candice nel suo presente

insieme ad un uomo che dice di amarla e invece non fa che manipolarla in maniera

totalmente egoistica e violenta. Lo scrigno della memoria ci parla di amore, di

rinunce, di sacrifici e di dolore e l'amore che ci racconta in queste pagine Kathryn

Hughes è qualcosa di più grande del sentimento tra un uomo e una donna, è

l'amore che si instaura tra due amiche, tra due fratelli o con le persone che hanno

accolto Jennifer nel corso della sua vita e che le hanno lasciato grandi

insegnamenti... Ma anche l'amore quello malato, che diventa veleno che uccide

piano piano, proprio come quello tra Candice e Beau, un amore che spezza e

qualche volta finisce per uccidere.

Kathryn Hughes pagina dopo pagina mi ha conquistata con il suo stile accurato, in

cui nulla è lasciato al caso, uno stile scorrevole e coinvolgente, in cui si nota il lungo

lavoro di ricerca fatto dall'autrice stessa, che cita fatti storici realmente accaduti con

incredibile precisione, tanto che il lettore ha l'impressione di viverli insieme alla

protagonista. Inizialmente le 432 che costituiscono Lo scrigno della memoria mi

avevano spaventata, poi man mano che procedevo con la lettura mi son resa conto

che non solo ero incapace di staccarmi dal libro, ma che ogni capitolo volava via

veloce, totalmente coinvolta dalla storia delle due protagoniste non mi sono resa

conto del passare delle ore, non mi sono mai distratta o annoiata e ho letteralmente

divorato il libro. Una lettura questa che consiglio a tutti, un libro che sono sicura vi

resterà nel cuore, con la sua storia così vera e terribilmente attuale...


TuttoBallo

Milanesi di tutto il Mondo,

unitevi Qui:

Assia Karaguiozova

D u e v o l u m i f r i z z a n t i e s p e n s i e r a t i ,

l ’ a u t r i c e , M i c h e l a P r o i e t t i , g i o r n a l i s t a

d e l C o r r i e r e d e l l a S e r a , s i d i m o s t r a

e s s e r e v a l i d o e s e m p i o p e r u n a

c o m u n i c a z i o n e r i u s c i t a : i m p e g n o

c o s t a n t e , c o l s o r r i s o . S e m p r e !

L a M i l a n e s e e L a M i l a n e s e 2

P r e f a z i o n e d i I n è s d e l a F r e s s a n g e


Tre nuove collane musicali per la cura del copro, dell’anima e della mente.

Prodotte dall’associazione Stefano Francia EnjoyArt, Pomodoro Studio

Edizioni Musicale - Always Record e composte dalla compositrice

americana Judie Collins e dal maestro Ciro Vinci.

Dopo il successo di "Dillo Alla Danza vol 2" pubblicato in occasione della Giornata

Mondiale della Danza, l'associazione Stefano Francia EnjoyArt, lancia una nuova

produzione discografica dedicata ai ritmi di tutti gli stili di danza. La collana

discografica, disponibile su ogni digital store (Spotify, Deezer, Amazon Music, Apple

Music… ) sarà composta da vari volumi, ognuno dei quali studierà il ritmo di una

singola danza. I primi 3 volume sono dedicati al ritmo del Cha Cha Cha e Rumba e un

volume dedicato al relax e meditazione.

"Rhythm" è studiata per agevolare l'insegnamento musicale e coreutico di ogni

singolo ballo. In ogni volume amatori e professionisti possono sviluppare la loro

tecnica seguendo il ritmo della danza selezionata…

"Relaxing" invece, è una collana che raccoglie brani composti per accompagnare il

danzatore nell’ attività di rilassamento quotidiano e meditazione composte a 432 Hz.

L’accordo a 432 Hertz (Hz) risuona con le frequenze fondamentali del vivente: battito

cardiaco, replicazione del DNA, sincronizzazione cerebrale, e con la Risonanza di

Schumann e la geometria della creazione.

“Musicoterapia” La musicoterapia è una disciplina basata sull'uso della musica come

strumento educativo, riabilitativo o terapeutico. Basandosi su questa definizione il

Pianista, musicoterapista, compositore, vocal coach, Ciro Vinci, persenta il suo primo

abum sul benssere dell’essere umano intitolandolo “Musicoterapia”, un lavoro

composto da 8 track con lo scopo di educare, riabilitare e accrescere la cultura del

benessere. Diversi studi hanno dimostrato che la musica influenza il cervello ed il

corpo, l’ascolto delle note musicali sono utile per alleviare lo stress, ridurre la

depressione e contrastare stati mentali negativi. Molte ricerche sull’argomento hanno

evidenziato che alcuni dei principali modi in cui la musica può aiutarci a sentirci

meglio, è ridurre l’ansia, migliorando l’ accettazione di sé e facilitando la

comunicazione e le relazioni con gli altri, ascoltare musica è altamente legato

all’aumento di stati di felicità. La musica a questa frequenza è stata utilizzata per

migliaia di anni come musico terapia anche se è decollato nei primi anni 2000.

Le pubblicazioni discografiche prodotte dalla Stefano Francia EnjoyArt sonos state

composte scegliendo melodie musicali, concentrate sui ritmi accompagnati da solo

armonie per sviluppare maggiore concentrazione e apprendere meglio il rimo di un

ballo. Oggi avere una conoscenza di base della musica, e in particolare del ritmo,

aiuta nei movimenti e armonia del copro. Una base ritmica è il giusto supporto per

memorizzare la coreografia, per migliorare la coordinazione con il partner o i partner

e, soprattutto, a muoverci a tempo. Ogni singola Album è utile ai principianti, agli

amatori ai professionisti, ai semplici appassionati di musica, e ai coach. L’utilizzo della

musica nell’apprendimento sviluppa maggiori endorfine rendendolo più facile. Il

progetto è stato realizzato da Fabrizio Silvestri e Bernardo Lafonte. La produzione è

affidata al Pomodoro Studio Edizioni Musicale e la distribuzione, negli store digitali,

alla Always Record. La composizione delle basi musicali ritmiche di latini, standard,

liscio e ballo da sala e caraibici è affidata all’artista Americana Julie Collins, mentre la

musico terapia al maestro Ciro Vinci, Pianista, musicoterapista, compositore, vocal

coach. La sua musica innovativa ed elegante dotata d’intensa espressività è frutto di

una ricerca profonda ed elaborata di contaminazioni sonore che si aprono al new age,

al jazz, alla musica mediterranea e la rendono pienamente compatibile come colonna

sonora d’ immagini surreali. Dal 2019 compone musiche per programmi televisivi in

onda su “La 7” e per spot pubblicitari per reti nazionali e Web. Gli album sono

disponibili su tutti i digital store.


di Sandro Mallamaci


Esce in libreria, per Effigi Editore, una nuova collana di studi per la valorizzazione dei patrimoni fotografici, custoditi presso la fondazione

AAMOD e non solo. Accanto alla storica e periodica pubblicazione degli Annali dell'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e

Democratico, si aggiunge dunque "Storia Sguardi Icone", una serie di volumi che ha tra gli obiettivi quello di approfondire la ricerca nel campo

degli studi storici, sociali, antropologici anche attraverso l'uso delle fonti fotografiche, oltreché filmiche.

L'intento è infatti quello di realizzare cataloghi ragionati di fondi di immagini fisse, conservate in un istituto, pubblico o privato che sia,

contestualizzando le occasioni di realizzazione, di aggregazione e uso, la provenienza, le finalità di autori e committenti, proponendo al

tempo stesso connessioni con altra documentazione, con fonti correlate di altre tipologie, nonché attraverso percorsi utili ai fini della

formazione e della didattica. Ogni catalogo propone infatti "percorsi espositivi" veri e propri, con preziosi contributi critici, che precedono le

fotografie, offrendo vari spunti di ricerca anche inediti, ai fini di un utilizzo laboratoriale da parte di insegnanti e studenti.

Un apparato iniziale di contributi critici, con preziosi interventi da parte di studiosi di aree disciplinari differenti, consentirà di inquadrare al

meglio le sezioni di immagini organizzate per temi, sorta di percorsi espositivi, precedute da una breve presentazione. I volumi avranno la

veste di veri e propri cataloghi, utili per guidare idealmente i "visitatori" all'interno di una possibile mostra, con una cura e passione particolare

dal punto di vista grafico e della restituzione delle fotografie riprodotte, qualità che la casa editrice Effigi persegue da sempre.

Il primo volume della collana, a cura di Letizia Cortini, Elisabetta Frascaroli e Anna Storchi, è dedicato al Fondo Roberto Matarazzo. Frutto di

un lungo e accurato lavoro, svolto grazie a una proficua sinergia tra istituzioni (Fondazione AAMOD, l'Associazione Modena per gli altri e il

Centro di documentazione memorie coloniali) e singole persone, la realizzazione di questo catalogo ha visto un impegno specifico nel

recupero delle fotografie realizzate dal fotografo amatoriale Roberto Matarazzo, radiotelegrafista in Africa, durante la conquista fascista

dell'Etiopia, negli anni 1936-1937. L'ampia selezione e pubblicazione, per argomenti, di queste fonti potrà contribuire ad approfondire

l'indagine storica su un periodo e su memorie ancora in gran parte rimosse, nascoste soprattutto nei cassetti delle famiglie italiane.

L'intero fondo fotografico "Roberto Matarazzo", costituito da oltre 600 immagini, soprattutto negativi, è stato depositato dal figlio Elio

Matarazzo presso la fondazione AAMOD ed è consultabile al sito www.aamod.it e sul sito del progetto Returning and Sharing Memories,

www.memoriecoloniali.org (sezione Fondi documentali).


di Rita Martinelli

Il Tempo. In natura, il tempo della vita che trascorre rimanda ad un cerchio: i cerchi

concentrici del tronco di un albero, la struttura delle conchiglie (e viene in mente la

doppia elica del DNA). Non casualmente, le lancette di un orologio, nel loro andare,

descrivono un cerchio. Ogni cultura ha il proprio computo del tempo e non penso solo

al calendario - che è una convenzione - ma alla cultura, nel quotidiano, di una società,

di una etnìa: che cosa hanno in comune la percezione e la concezione del tempo di un

pastore berbero con quelle di un manager trolleycellularmunito (sì - tutto attaccato) che

si sposta - senza, in realtà, muoversi - esattamente come un pacco, per terminal e

aziende?

Piccola riflessione davanti ad una autentica, geniale delizia: l'orologio ad acqua nel

cortile di Palazzo Berardi, in via del Gesù 62. Nella vasca antistante, dove in genere

nuotano dei pesci rossi, c'è anche la sculturina di una piccola foca. L'ha ideato, nel

1870, Giambattista Embriaco (ligure di Ceriana), frate domenicano, superiore del vicino

Convento della Minerva. E anche l'orologio ad acqua del Pincio (a Villa Borghese),

sicuramente più noto, si deve a lui - lo progetta nel 1867, poi costruito dai fratelli

Granaglia e installato nel 1873, sullo scoglio della minuscola isola con laghetto intorno.

Li guardi, ti ci incanti davanti e vedi, fisicamente, lo scorrere del tempo, nell'acqua...

E, adesso, verso il Tempo del Drago.

L'orologio della chiesa di Sant'Atanasio dei Greci (rito bizantino), in via del Babuino

149, angolo via dei Greci. La lancetta dell'orologio ha la forma di un drago che si

addenta la coda: è il mitico Ouroboros, simbolo della circolarità del tempo, dell'unione

degli opposti. E un drago è anche l'emblema presente nello stemma della famiglia

Boncompagni, cui appartiene papa Gregorio XIII, riformatore del calendario e

committente dell'edificio (la sua costruzione inizia nel 1580 e, curiosa coincidenza,

secondo il calendario cinese, cadeva l'anno del drago). Quella lancetta racconta una

storia di antiche suggestioni, di scambi di doni e di manufatti giunti dal lontano Oriente

nella Roma del Cinquecento - dal 1576, Macao, colonia portoghese, fu base delle

missioni dei gesuiti in Cina e Giappone. È ritagliata e sbalzata e incisa con rilievo

leggero in una lamina di rame e l'ultimo lembo della coda esce serpeggiando con sopra

una stella che indica le ore.

Finale col botto: la metà di un giorno se n'è andata. Ed è una cannonata a scandire il

fatto: a mezzogiorno in punto, al Gianicolo, proprio sotto al piazzale dove c'è la

statua di Giuseppe Garibaldi, un cannone caricato a salve spara l'ora. L'uso fu

introdotto da Papa Pio IX, il 1° dicembre 1847, per avere un segnale unico dell'ora

ufficiale, anziché il suono scoordinato delle campane delle chiese cittadine.

Attualmente è in uso un obice, risultato di un assemblaggio - bocca da fuoco e affusto,

impiegati durante la seconda guerra mondiale. La squadra pezzo che opera ogni

giorno è fornita dal reggimento addestrativo del Comando Artiglieria. Davanti, una vista

formidabile sulla città. Come una calamita, mi attira, sempre, la cupola-astronave del

Pantheon - al sommo, l'oculo: un cerchio, nel vuoto.


TuttoBallo

Partendo da una città affollata e sempre in movimento ho scoperto

nella contea di Maramures, in Romania, la tranquillità e

l’autenticità di vivere un altro tipo di quotidianità. La persone

vivono in modo semplice senza l’uso di internet e delle tecnolgie,

ma felici di lavorare la loro terra, di stare davanti ai loro cancelli in

legno per socializzare con i vicini, assaporando il silenzio del

luogo e respirando un’aria pura e incontaminata. La contea

Maramures, situata nel nord della Romania, è un luogo

affascinante, selvaggio, racchiuso tra colline verdeggianti in

primavera e d’estate, con delle bellissime vallate disseminate di

case tradizionali, costruite in legno, e di monasteri sempre in

legno, con delle “capite” di fieno raccolto in un modo speciale, con

dei cancelli altissimi in legno meravigliosamente scolpiti. La gente

è gentile, accogliente, orgogliosa di conservare e tramandare le

vecchie tradizioni e gli antichi costumi alle nuove generazioni. Il

pittoresco del luogo è rappresentato dalla presenza di numerosi

monasteri in legno, capolavori unici al mondo la cui bellezza

architettonica ha fatto sì che venissero inseriti nel Patrimonio

Unesco dell’Umanità. Come il monastero Barsana, un angolo di

paradiso terrestre situato sulla sommità di una collina, composto

da un insieme di magnifici edifici costruiti in legno, somiglianti alle

pagode giapponesi, edifici in stile tradizionale del Maramures, uno

più bello dell’altro, contornati da bellissimi fiori. Accanto al

monastero si può visitare e ammirare l’altare d’estate, le case

delle monache, la torre e il campanile, ma anche il museo con le

vecchie icone e gli elementi di tradizione popolare di Maramures.

Qui vivono le monache e alcuni bellissimi pavoni, il luogo è

visitato da numerosi turisti provenienti da tutto il mondo. Il

monastero Peri Sapanta è un altro luogo importante del

Maramures, ed è considerato il più alto monastero in legno del

mondo. È inserito nel Patrimonio Unesco per la sua unica e

magica bellezza. Con il suo grande giardino pieno di fiori e alberi,

con un aria carica di pura spiritualità, il monastero è un gioiello

della contea Maramures, luogo giusto per fermarsi e raccogliersi

in preghiera. Ma per chi sceglie di visitare Maramures è d’obbligo

visitare alcuni suoi borghi, come ad esempio il borgo di Breb, dove

si può passeggiare nelle viuzze sterrate, ammirare le antiche case

in legno ancora abitate, i bellissimi cancelli alti scolpiti in legno,

interagire con la gente del posto. Qui va ancora di moda indossare

gli abiti tradizionali che i locali mettono di domenica e nei giorni

festivi. Poi ci sono altre attrazioni, come il Cimitero dell’allegria,

un posto davvero unico e originale, la Cascata dei cavalli, il

Museo etnografico di case tradizionali. Per chi sceglie di

soggiornare da questi parti ci sono numerose pensioni a

conduzione familiare dove il turista viene accolto con gentilezza e

amicizia, il servizio è ottimo, il mangiare e il bere sono buoni e

sani. La bellezza e il pittoresco mi hanno davvero incantata. Al di

là delle bellezze architettoniche e dei paessaggi straordinari che

ho visto e ammirato, ho portato con me a casa un po’ della pura

spiritualità del luogo, ho imparato ad ascoltare di più il silenzio, la

pace e la tranquillità che regnano da queste parti.Sicuramente

intendo tornare un giorno in questo luogo meraviglioso che ha

tanto da offrire.


TuttoBallo

Ci sono luoghi senza tempo, in

Italia, che non sono stati ancora

scoperti dal turismo di massa e, chi

ha la fortuna di visitarli, riscopre il

fascino di una vita antica, scandita

dal ciclo delle stagioni e dal respiro

delle onde del mare. Per questo,

vale assolutamente la pena di fare

una visita a Chianalea di Scilla,

all’estremo sud della penisola

italiana, in Calabria: un villaggio di

mare dove il tempo sembra essersi

fermato.Chianalea è un piccolo

borgo da cui ha avuto origine, tutto

intorno, il paese di Scilla. È inserito

nella lista dei Borghi più Belli d’Italia

e non è difficile capire il perché: le

sue case sono costruite direttamente

sul mare, bagnate dal flusso

incessante delle onde ed è per

questo che è stata chiamata “la

Venezia del sud”.

Barche colorate, reti da pesca, stretti

vicoli e viuzze, case battute dalle

onde e. ovviamente, lo splendore del

mare: questo è il primo colpo

d’occhio che troverai arrivando in

paese.

Scaro Alaggio è il porticciolo riparato

dove vengono ancorate le barche:

qui sin dalla mattina presto si anima

la vita dei pescatori del luogo.

Edifici da non perdere sono poi il

Palazzo Scategna con il suo doppio

ordine di balconi in pietra squadrata,

Villa Zagari costruita nel 1933 in

stile eclettico e la Chiesa di San

Giuseppe Chianalea.

Il Castello Ruffo, infine, costruito

sulla rocca famosa per la leggenda

omerica di Scilla, regala una vista

mozzafiato, che si estende fino alle

isole Eolie e alle coste siciliane.

Il nome Chianalea significa "piana

delle galle": le galee era

imbarcazioni agilii e sottili del

medioevo e ,ancora prima, era la

parola con cui veniva chiamato il

pesce spada. La sagra del pesce

spada è una tradizione che nel paese

resiste ancora oggi, ogni estate,

insieme alla festa del Patrono San

Rocco.

A Chianalea si può arrivare in

autostrada, uscendo a Scilla (20 km

prima del capoluogo Reggio Calabria)

e parcheggiando sul lungomare di

Marina Grande (il borgo di Chianalea

è zona pedonale) oppure in treno

(stazione di Scilla) più comodo

soprattutto nei weekend e in alta

stagione, quando trovare parcheggio è

più difficile. In pochi minuti a piedi si

arriva sulla costa.

In alternativa, la zona è anche servita

da autobus di autolinee private. A

Chianalea c’è una piccola spiaggetta

di ciottoli e ghiaia, che si affaccia su

un mare limpido e cristallino.

Nella zona di Scilla invece, la spiaggia

più ampia e velocemente raggiungibile

è quella di Marina Grande, di pietra e

ghiaia. Ma ci sono anche calette più

appartate, per chi ama fare il bagno in

luoghi meno frequentati.

Punta Pacì offre fondali molto

profondi: ideale per gli appassionati di

immersioni subacquee. Cala delle

Rondini è un luogo intimo e

incontaminato, più difficile da

raggiungere, ma che agli “esploratori”

regala uno stupendo scenario

naturale. Un’altra bella caletta,

perfetta per le famiglie, è la Spiaggia

delle Sirene, poco sotto il Castello

Ruffo.

Chi preferisce la sabbia fine può

invece, spostarsi a Favazzina, a soli 5

km da Scilla. Anche qui troverà un

mare stupendo!

Eugenia Galimi

Vice direttore


TuttoBallo

La primavera è alle porte ed io, da buon trapper, inizio a vagare come un nomade giramondo. Mi ha sempre

affascinato la vita dell’escursionista amante del contatto con la natura selvaggia. Le regole dei popoli tuareg del

Sahara e le tradizioni berbere di tutto il nord Africa mi portano a raccontarvi di queste usanze e costumi in un

viaggio sotto il sole cocente del continente africano, tra colori ed ingredienti semplici di sapori molto particolari.

A differenza di ciò che generalmente si pensa, i Paesi del Nord Africa e in particolare quelli del Maghreb hanno una

popolazione tutt’altro che omogenea. Infatti, presentano tradizioni culturali derivanti da un vivace mosaico etnico che vede una

chiara maggioranza araba (fatta eccezione per il Marocco) mescolarsi a quelle popolazioni che, prima ancora dei Fenici e dei

Romani, abitavano i deserti di roccia del Marocco e quelli di sabbia dell’Algeria: i Berberi. Gli Imazighen, letteralmente “Uomini

liberi”, sono quell’insieme di popoli di lingua tamazight che abitano buona parte del deserto del Sahara e del Nord Africa. Da

qui si sviluppa un mosaico gastronomico fatto da gusti, costumi ed ingredienti semplicemente fantastici. La cucina berbera,

amazigh, è un’evoluzione di quella che un tempo era l’alimentazione dei pastori erranti del passato. Questa cucina si

differenzia da paese a paese, ma esistono dei tratti comuni che la rendono peculiare. La varietà è dovuta all’insieme di

ingredienti che, nel corso dei secoli, hanno influenzato questa cultura. Nel settimo secolo gli arabi dalla Persia introdussero le

spezie, i Mori olive e piante di agrumi, quando tornarono dall’Andalusia, cacciati dai Cristiani. Infine, più recentemente, la

dominazione francese sulla zona ha lasciato una sua propria influenza. La cucina berbera è caratterizzata da semplicità e si

basa essenzialmente su formaggio di capra, miele, carne, mais, latte di pecora, fagiano di monte, orzo e burro, olive, agrumi,

mandorle, uva, verdure, barbabietole da zucchero e olio di semi. La carne predominante è quella di agnello e di pollo, ma nelle

zone costiere del Mediterraneo e dell’Atlantico viene consumata una grande quantità di pesce.

Nonostante le verdure siano molto diffuse, è difficile trovare piatti totalmente vegetariani, ad eccezion fatta per le zone

turistiche. Tra i piatti più noti della tradizione berbera ci sono il cous cous, realizzato con il semolino e condito con carne di

agnello, verdure e a volta anche con arachidi e frutta; il tajine, cioè carne di pollo o agnello cotta molto lentamente, insieme

alle verdure, in una pentola bassa di terracotta (che porta lo stesso nome del piatto) con un coperchio conico, le spezie

utilizzate sono lo zafferano, il cumino e il coriandolo, vi sono varianti con pesce, verdure e legumi; la pastilla, tortino di pasta

sfoglia ripieno di carne di pollo o piccione, mandorle a lamelle, zucchero e cannella cucinati in una salsa di limone; il tanjia,

che prende il nome dal recipiente di cottura, una giara di terracotta in cui vengono inseriti tutti gli ingredienti tra cui pezzi di

manzo o agnello interi, aglio, cipolla, prezzemolo, spezie varie, sale, limone, olio e burro che vengono sigillati ermeticamente

nel vaso e cotti sotto le ceneri del forno Hammam per 6 ore. La tradizione vuole che questo piatto venga cucinato

esclusivamente dai soli uomini. I pani e le frittelle sono uno dei prodotti che non mancano mai sulle tavole berbere: l’Aghroum

è un pane di farina di grano duro o mais fermentato cotto nel tipico forno di terracotta; L'aaghroum akouran è una frittella

tradizionale algerina originaria della Cabilia che può essere cotta su una pentola di terracotta o di ghisa. Un po' duro e

croccante, si può preparare senza impastare e riposare con semola, sale, acqua e abbondante olio d’oliva; l’Aghroum

boutgouri: pane ripieno, senza lievito, servito inzuppato nel burro o farcito con carne macinata.

Il Tamtunt, una frittella di cavolo lievitata, farina, acqua e sale. Il Gofio, impasto di farina di grani abbrustoliti. Molti sono i piatti

che si possono degustare nella cultura berbera tra questi ricordo: il Tahricht contenente frattaglie quali il cervello, la trippa, i

polmoni e il cuore che vengono arrotolati nell’intestino e infilzati in un ramo di quercia e cucinati sulla brace; il Mechoui o

barbecue di agnello: un'intera pecora cotta in un forno creato appositamente per questo uso. L'animale è cucinato con burro

naturale, che lo rende più saporito. Questo piatto è servito soprattutto in occasione di festività; l’insalata mechouia con

pomodori, peperoni, melanzane grigliati, conditi con sale, pepe, aglio, polvere di coriandolo e olio d'oliva. Il Tikurbabine: palline

di semola, cipolle, pepe, peperoncino e prezzemolo, impastate con acqua e cotte dentro una salsa a base di carne,

concentrato di pomodoro, cipolle, paprika, pepe e olio. Un dolce molto diffuso è il kaab el ghzal: sono dei biscotti a forma di

mezzaluna realizzati con un impasto a base di farina ripieni di pasta di mandorle aromatizzata con acqua di fiori d'arancio.

La cultura del tè alla menta fonda le sue radici nei secoli. Il suo tepore rinfrescate ha molteplici qualità: dissetante,

calmante in caso di raffreddore, antinfiammatorio del tratto gastrointestinale, utile contro le cefalee, qualità

antitumorali e regolatore del colesterolo nel sangue. Servito a fine pasto, viene preparato in teiere d’argento con

beccuccio lungo, versato direttamente in bicchieri di vetro lavorato da notevole altezza per fare raffreddare l’infuso.

Una cucina semplice, saporita, “rurale”, che ha dato le basi per moltissimi piatti della tradizione maghrebina.

Vi consiglio un viaggio nella cultura berbera carica di storia e semplicità. Fatevi assorbire dai paesaggi sahariani,

seguendo l’orizzonte verso paesaggi desertici tra grandi dune, sole e racconti millenari. Completando la vostra

serata in una tenda berbera sotto il cielo stellato, facendovi ammaliare dall’ospitalità di questo popolo.

Anda nwiγ tafat, ay ufiγ lehwa tekkat.

Aspettavo la luce, ho trovato la pioggia battente (proverbio berbero)

Ljerh yeqqaz ihellu | yir awal yeqqaz irennu.

Una ferita fa male ma guarisce. Una parola cattiva fa male per sempre.


TuttoBallo

INGREDIENTI PER 4 P

2 cipolle

8 cosce di pollo

4 carote

4 zucchine genovesi

1 peperone rosso

1 pezzo di zucca

1 melanzana

2 pomodori

4 patate grosse

spezie: curcuma in polvere, peperoncino in polvere, curry,

zafferano

frutta secca: uva sultanina, mandorle, albicocche secche,

prugne secche, datteri

miele di acacia 1 cucchiaio

sale e pepe nero

olio evo

PROCEDIMENTO

Lavare, mondare, pelare e tagliare tutte le verdure a pezzi grossi. Le carote vanno tagliate a rondelle, le zucchine a mezzelune non

troppo sottili, il peperone e la melanzana vanno tagliati a tocchetti, le patate a spicchi ed i pomodori a fette. Fatto questo mettete il

tajine sul fuoco a fiamma bassa. Tagliate la cipolla a mezzelune e disponetele sul fondo del tajine. Aggiungete i pezzi di carne, del

pepe nero, la frutta secca e le spezie. Fatto questo dovete procedere aggiungendo le verdure nel seguente ordine: carote, peperoni,

zucca, zucchine, pomodori, melanzane e patate. Ogni volta che aggiungete una verdura non dimenticate di aggiungere un pizzico

di sale, la frutta secca e le spezie. Quando avrete finito di aggiungere le verdure alternate di frutta secca e spezie, irrorate il tutto

con abbondante olio e concludete con un cucchiaio di miele di acacia. Coprite con il coperchio e lasciate cucinare a fuoco basso per 1

ora e mezza circa. Se notate che verso la fine c’è un po’ troppo liquido sul fondo, togliete il coperchio in maniera tale che possa

evaporare durante la fase finale della cottura.

INGREDIENTI

800 grammi di spalla di agnello

250 grammi di prugne secche

70 grammi di mandorle

2 cipolle

2 spicchi di aglio

olio evo un cucchiaio

1 bustina di zafferano

due cucchiai di miele

1 cucchiaio raso di zenzero

sale e cannella q.b.

PROCEDIMENTO

Mentre lasciate in ammollo le prugne secche (per circa

un’ora) in acqua tiepida, pulite e fate a tocchetti

l’agnello e cuocetelo nel tajine con l’olio, insieme alla

cipolla e all’aglio. Aggiungete la cannella, lo zenzero, lo

zafferano, il sale, il pepe, un bicchiere di acqua calda,

coprite e fate cuocere per un’ora a fuoco lento.

Aggiungete le prugne e il miele, coprite nuovamente e

lasciate che la cottura duri altri 20 minuti. Prima di

servire il tajine, soffriggete le mandorle tagliate a

filetti in un pentolino a unitele all’agnello.

Accompagnate il piatto con del cous cous.


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INGREDIENTI PER 4 P

800 gr di miele

300 gr di di farina 0

100 gr di semi di sesamo

olio di semi di girasole per friggere q.b.

50 gr di mandorle

1 uovo

1 cucchiaino di aceto bianco

1 bustina di lievito per dolci

1 cucchiaino di semi di anice

1 pizzico di sale

burro morbido 30 gr

1 cucchiaino di cannella in polvere

acqua di fiori d’arancio q.b.

½ cucchiaino di gomma arabica

PROCEDIMENTO

Tostate per pochi secondi il sesamo e le mandorle in una padella. Versate il sesamo, le mandorle, la gomma arabica e l'anice in un

frullatore e riducete il tutto in polvere. Se non trovate la gomma arabica, potete sostituirla con la gomma di xantano o quella di

guar. In una bacinella capiente impastate la farina con gli ingredienti macinati, il sale, il lievito per dolci, l'olio, il tuorlo, la

cannella, il burro e l'aceto. Mentre impastate aggiungete poca acqua di fiori di arancio. Lavorate l'impasto per circa 5 minuti in

modo che risulti morbido e elastico. Avvolgetelo nella pellicola e fatelo riposare per 30 minuti in frigorifero. Passato questo tempo

tagliate la pasta in 6 porzioni uguali, stendete ogni parte in modo sottile con un mattarello sul piano di lavoro infarinato (1-1,5 mm

di spessore). Tagliate la pasta in quadrati, in ogni quadrato fate 4 tagli longitudinali in modo uniforme al loro interno. Le misure

corrispondono circa alle dimensioni del palmo della mano. Prendete le colonne 1, 3 e 5 con il medio della mano destra. Quindi,

utilizzando la mano sinistra, prendete le colonne 2 e 4 e le inserite all'interno delle altre colonne, dentro e fuori, in modo da

ottenere una specie di forma di fiore. Mettete il fiore sul piano di lavoro e pizzicate un poco i suoi angoli esterni, per sigillare.

Riscaldate olio in un tegame dai bordi alti. Fate friggere i chebakia muovendoli e rigirandoli spesso. Tirateli fuori con una

schiumarola e fateli sgocciolare su carta assorbente. Riscaldate il miele in un tegame capiente con un poco di acqua di fiori di

arancio. Appena è schiumoso, ma non bolle, passate i chebakia subito nel miele e lasciate che lo assorbano per circa 2-3 minuti.

Scolateli con una schiumarola, fateli sgocciolare, adagiateli delicatamente su un vassoio e cospargete di sesamo. Fate raffreddare e

servite.

INGREDIENTI

5 o 6 foglie di tè verde (oppure mezzo

cucchiaio di tè verde o nero)

qualche rametto di foglie di menta

zucchero di canna a piacere (meglio quello

in cristalli)

PROCEDIMENTO

Scaldare la teiera e versare le foglie di tè.

Versarci sopra poca acqua bollente e ruotare

velocemente, poi buttare via l’acqua facendo

attenzione a non perdere le foglie del tè.

Aggiungere menta e zucchero e irrorare con un

litro di acqua bollente. Lasciare in infusione

per circa 5/8 minuti. Eliminare le foglie di

menta che galleggiano in superficie. Servire in

bicchieri di vetro.

La versione originale prevede circa 150 gr di

zucchero di canna.


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TuttoBallo

Ho fatto un sogno. Sono dentro a un teatro immersivo, ci siete mai stati? Quegli spettacoli dove sei dentro e non davanti. Ambiente

scandinavo, ma tovagliolo di lino con le cifre ricamate sopra. La cifra del mix contemporaneo e classico di Bros, il ristorante che non

c’è, grazie a Dio, fin quando non ci vai.

Come dovrebbe essere sempre. Il ristorante più chiacchierato per il semplice fatto di essere così geniale e centrato.

Pensavate che il titolo fosse negativo? Siete pieni di pregiudizi. Ma c’è dell’altro.

Ambiente scandinavo dicevo, tavoli di legno, perfettamente tondi perché non c’è alternativa al cerchio, la vita è una ruota. Tavoli lisci,

livellati a far da campo da gioco. Poca luce e tende nere e lampade di design senza scrivanie. Tra gli avventori ci saranno

sicuramente degli attori nascosti come se niente fosse, perché sono tutte persone strane qui oggi, tutte come me. Rinuncio a

indovinare tra vero e falso, mi va bene così, mi va bene non conoscere gli altri, mi va bene stare qui con me adesso.

Ma di cosa sono fatta io? Di cosa sei fatto tu? Questo è il tema di questo viaggio. Il tema del menu. C’è scritto dappertutto, persino

nel bagno sullo specchio.

I vetri della sala sono oscurati, guardo il mio cappotto color latte e menta appeso sulla parete vuota. Ci sta benissimo, per fortuna non

c’è nemmeno un quadro. L’espressione (artistica) è tutta nel piatto, ma ancora non lo so se la cucina è arte.

Tra una portata e l’altra si può ballare. Non è vero, ma lo avrei fatto e anche Vera, seduta al tavolo di fronte al mio, si muove sulla

sedia. Ho tutto lo spazio che voglio, intorno e sul tavolo, ho tutto il tempo che voglio m’illudo. La playlist di Bros è trap e techno,

azzeccatissima e poi brani elettronici e ritmi cardiaci. Ho la cassa in testa ma il volume è giusto, il cameriere è giusto, mi sposta le

posate dal lato sbagliato per lasciarmi mettere il telefono dove mi pare. Non è rigido, non è ingessato. Sono libera. Però non

dimenticatevi che lui conosce la parte, che il posto è stellato e che il copione è severo.

Come si chiamano gli agenti di Matrix? Non ricordo. I camerieri di Bros comunque sono gli agenti di Matrix. Camminano insieme a

ritmo e sono intercambiabili, hanno divise stirate eleganti un po’ orientali, blu il colore che non esiste. (Lo sapete che in natura

davvero non esiste?!). Ogni tanto però un sacro cuore di Gesù, grondante di sangue piange nelle loro camicie e si sussurrano

qualcosa tra loro e poi svaniscono dietro la tenda... Sipario.

Secondo tempo.

Tra una portata e l’altra appaiono nella sala degli ologrammi a grandezza naturale (come quelli che si vedono nella trasmissione

“Porta Porta” di Bruno Vespa). Sembrano veri. Appare David Muñoz a braccia conserte in un’immagine di 7 anni fa (io allora pesavo

40kg), poi c’è Martin Berasategui che ammonisce Floriano: “tu sei la somma delle tue esperienze” e “ricorda la pratica fa il maestro”.

Sono sempre nel sogno. Credo. Gli ologrammi si allontanano e si ricompongono. Ovviamente non esistono. Un cameriere che ha

l’età di mio figlio, mi chiede di seguirlo. Fuori c’è il sole, una primavera inaudita a febbraio, qui nel ristorante invece il tono di voce

della luce, è basso e ovattato.

La Puglia dove è? Dentro. Dentro a ogni piatto, ogni respiro, ogni vibrazione che arriva dalla cucina. Ecco dove è la Puglia.

Noi clienti, attori, comprimari siamo distribuiti in isolotti di solitudine, tutti tavoli da 1, ma uno è il numero magico dei tarocchi. E una

coppia che fa invidia, sta esattamente al centro. Al centro delle nostre perplessità sull’amore, sul fare l’amore con il cibo.

Siamo tutti qui ad assistere allo stesso spettacolo, probabilmente senza capirci un cazzo. Questa solitudine ci unisce tremendamente

invece, siamo siamesi, siamo Bros anche noi, facciamo ormai parte della gang. Segretamente ognuno ama qualcuno. Una catena di

baci rubati a persone sbagliate si srotola. Devi infilare la lingua nel piatto se vuoi assaporare, non puoi allontanarti con un cucchiaio o

farti aiutare in qualche modo da uno strumento. Le labbra sono le loro. In cucina c’è il fuoco. Sarà lì l’assassino, finisce lì l’opera

teatrale o invece inizia? Potere di attrazione, energia. Li ho intravisti mentre andavo in bagno, vestiti di nero, nel chiaro scuro della

finestra: Floriano e Isabella gli chef.


TuttoBallo

E intanto gli agenti di Matrix vanno e vengono, lei è scesa in campo, il loro

camminare è più frenetico adesso perché la presenza della chef in sala li

mette in agitazione. Allo stesso tempo si controllano come si controlla un

pilota di formula uno che va a tutta velocità in curva. Sono bravissimi. E’

come se si guardassero da fuori, dall’alto. E’ come se tutto il successo non

fosse il loro. Lui non si affaccia invece, resta con i suoi tatuaggi dietro ai

fornelli, si guarda le mani, ha una fortuna nelle dita, gli guardo il collo.

Sento le voci di chi lo invidia. Difficile per chi non conosce la fatica

riconoscere il dono di natura, del cavallo di razza, colpevole solo di essere

nato per strada.

Sexy, intelligenti, lei come lui. Loro. Loro 2.

E se i veri Bros fossero loro?! Fratelli

non nati sotto lo stesso tetto, diversi,

amanti, sposi incestuosi, duo di

TipTap? Avete presente quella

leggerezza dei film in bianco e nero,

dove l’attore vola come una libellula

e la sua forza è tenera e potente allo

stesso tempo?

Guardo fuori verso la strada, vedo

una ragazza su una sedia a rotelle,

ha una pelliccia rosa e la testa

ciondoloni. Lo sguardo però è vigile,

curioso e cerca un pertugio per

vedere cosa succede dentro questa

grotta da Luna Park. Ma lei non mi

può vedere e d’altronde questo è il

mio sogno. Non il suo. La mia vita,

non la sua. Di cosa sono fatta io?

Che posso camminare, assaporare,

raccontare. Cosa posso dire? La

domanda dovrebbe essere

riformulata caro Floriano.

La vera domanda è: di cosa siamo

fatti noi?Se noi non ci fossimo, voi

non sareste qui ragazzi d’oro e

viceversa. La relazione è la

risposta è di questo che siamo

fatti!

Con le mie gambe, io che posso,

mi alzo e finalmente seguo il

cameriere fuori dal ristorante. Ho

fiducia in lui. Sono sicura che mi

porterà dall’oracolo di Matrix. Mi

poggia una coperta sulle spalle,

c’è un po’ di vento a Lecce oggi.

Pillola blu? Un assaggio di

formaggi senza lattosio

completamente vegani? Una

sbirciatina nel laboratorio creativo

Meta mi sorprende, sul muro ci

sono scritti i progetti e i sogni, mix

di concretezza e fantasia. La

stessa tecnica che usiamo noi in

agenzia.


TuttoBallo

Volete la verità voi che leggete? O volete continuare ad omologarvi, a criticare la

pizza di Cracco, a scegliere la “splendida cornice”, la falsa umiltà, l’ignoranza?

Volete ancora conversare con me per mezz’ora, parlando male di qualcuno per

confessare poi di non averlo mai incontrato e di non aver mai assaggiato

nemmeno un suo piatto? E’ per questo che sono qui oggi. Grazie dunque. 13

portate per il mio menu degustazione, 3 ore, 3 camerieri che si sono

avvicendati, 2 chef, 1 magia. 13 passi, salti, balzi; 13 carezze, sorprese,

conferme. Uno straordinario gioco di consistenze, la sincerità assoluta dei

sapori, la sfrontatezza delle presentazioni. La tecnica all’apice. A volte ti chiedi

cosa devi mangiare, quello che c’è dentro o quello che c’è fuori?

È tutto così bello e attraente.

Non ho bevuto vino però, questa volta volevo concentrarmi sul cibo, una cosa

alla volta. E da adesso in poi, voglio fare così. E il bis di pane si paga a parte.

Perché il pane è una cosa seria. Il pane è il frutto del lavoro dell’uomo. Amen.

Credere fermamente che fin quando resterai fedele a te stesso tutto andrà per il

verso giusto, è il vero segreto di Floriano e Isabella. Scoprire talenti. La sala e la

brigata sono un esercito scelto, come le guardie svizzere del papa. “Alcuni, mi

dice Floriano sono entrati storti da quella porta e sono usciti dritti. È qui che

insieme abbiamo capito cosa era meglio per ciascuno di loro e per noi. Io sto

chiuso dentro Meta a studiare e testare, Isabella viaggia, assaggia e torna da

me per un confronto, gli altri cercano di arginare il mio fiume. Ognuno fa il suo.

Non cederemo di un millimetro.” Per fortuna ho pensato.

Bros è nato nel 2015, la gang è ancora unita, le critiche sono arrivate e hanno

portato una nuova ondata di curiosità. La prova provata sono i mega progetti

in arrivo. Non vi dico niente, non so niente, non ho visto niente. Floriano ha

lavorato nei migliori ristoranti del mondo e ha aperto il suo insieme a Isabella

quando avevano 25 anni lui e 20 lei. Iniziare, sviluppare e concludere è il suo

mantra. Diversificare poi è la chiave di tutto. Oltre a Bros c’è la trattoria

autarchica Roots, il laboratorio Meta, il concept Sista – versione dolce di Bros

a cura di Isabella, dove si ordina tutto on line. Gli eventi, le esperienze e il

catering chiudono il cerchio. In caso di panico picchia, vai avanti e picchia. Ma

la mischia è cosa sacra e rispettosa, si fa tutto trasformando la paura in

benzina. Sapete chi è Paco Torreblanca?

Se non lo sapete chiedetelo a Isabella. Vi siete mai seduti da Geranium a

Copenhagen? A posto così. Adesso potete assaggiare una delle sue crostate.

In questa sorprendente Bros Land, siamo di fronte a due persone che hanno

studiato e sudato e che hanno fatto della disciplina la prima regola di vita. In

sale e in cucina i ragazzi arrivano dai quattro angoli del mondo ( che è sferico

e che angoli non ha), mentre ero seduta lì avrò sentito termini almeno in tre

lingue. Ero a Lecce raga, L-e-c-c-e.

Bros a Lecce non è una messa in scena, ma un vero spettacolo della natura,

la natura umana e divina dei ragazzi di oggi. La cucina italiana è viva e farà

ripartire il paese e il turismo.


TuttoBallo

Dal chicco all’impasto: durante la lezione

sono state illustrate tecniche del

disciplinare STG, curiosità e metodi

riguardanti la vera pizza napoletana e

l’alternativa gluten free, entrambe a ”impatto

zero”. Si è parlato di farine ottenute

esclusivamente da grani italiani, della loro

forza, degli impasti da esse ottenuti ad alta

digeribilità, e delle farciture ricavate con

pomodoro bio proveniente da agricoltura

biologica, olio evo bio e latticini artigianali

ricavati da latte 100% campano. Infine, una

riflessione sugli impasti a mano, su quelli

ottenuti con le impastatrici, sulle cotture in

forni elettrici ecosostenibili o in forni a legna

con tronchetti ecologici pressati.

L’Università dei Gusti e dei Saperi

(UNIGUS), academy di alta formazione

gastronomica ubicata a S. Anastasia (in

provincia di Napoli), ha organizzato per il 23

febbraio un incontro gratuito sul tema “eco –

pizza” con il Maestro Diego Viola.

"E’ opportuno che le nuove generazioni di

pizzaioli siano educate al rispetto del

biologico e dell’ambiente – ha spiegato il

Maestro - In pizzeria, ed in generale in

cucina, è possibile annientare gli sprechi e

ridurre l’impatto ambientale. Ciò provoca

benefici all’ambiente e ai clienti grazie

all’utilizzo di prodotti sempre freschi a

chilometro zero, contraddistinti da maggiore

qualità e sapore perché creati con metodi

biologici, e in sintonia con le stagioni".

"L’eco-pizza risponde alla crescente

sensibilità e consapevolezza dei consumatori

verso le problematiche ambientali e la qualità

del cibo – ha continuato l’insegnate di

UNIGUS - Oggi si ricercano prodotti genuini

e di sapore di cui si conosce la provenienza “

.

Unigus

L’Università dei Gusti e dei Saperi è nata

nel 2019 per volontà di imprenditori già attivi

nel campo della formazione e

dell'enogastronomia, che hanno voluto

creare un polo didattico rivolto (senza

discriminazioni di razza, età, condizione

sociale) a coloro che intendono lavorare

nell’affascinante, ma complesso, mondo del

food. Tutti i corsi proposti da UNIGUS

prevedono un modulo dedicato ai modelli

virtuosi e alle best practices per ripensare il

consumo alimentare in chiave

ecosostenibile.

Diego Viola

Degno erede del nonno, noto panificatore

partenopeo, è specializzato in impasti

innovativi. Pluricampione del mondo 2013

nelle categorie pizza di stagione e pizza a

metro, Terzo classificato ai Mondiali di Las

Vegas, categoria Pizza Napoletana. E’ uno

dei maestri fondatori del codice del

Pizzaiuolo ed è stato pizzaiolo del gala di

Dolce & Gabbana durante il quale ha fatto

degustare pizze napoletane e impasti

innovativi ai più grandi divi di Hollywood

raccogliendo un’infinità di consensi.


TuttoBallo

Giovanni Battista Gangemi

Il pianto è l’espressione umana presente in ogni cultura

e tempo abitato dall’uomo e riveste significati importanti

sin dall’infanzia. Perché non sempre bastano le parole

per esprimere le emozioni. A volte, di fronte al dolore, ci

si può riconoscere uomini e donne fragili.

Le lacrime sono il seguo della umanità che ci accomuna

e, forse, sono anche una risposta. Nel mondo antico

piangere non significava dimostrarsi deboli. Il pianto era

considerato invece una manifestazione profonda del

dolore. Le lacrime sgorgano dal cuore si pensava e, per

gli antichi, il cuore era la sede dell’intelligenza, dei

sentimenti, dei pensieri e delle emozioni.

Anche nell’Iliade e nell’Odissea, le lacrime di Achille, di

Ettore, Agamennone, di Ulisse esprimono molteplici

sentimenti che non sono dominati dalla debolezza, se

mai il contrario: esprimono piena accettazione della

propria umanità e quindi irrompono in quella sfera che

rende eroico l’uomo. D’altra parte anche Gesù ha pianto,

così come diversi personaggi presenti del Vangelo;

anche i Santi piangono. Ed ecco allora il paradosso:

mentre Dio sa piangere, l’uomo diventa sempre più

cinico e incapace al pianto. Del resto è comunque il

linguaggio non verbale di un cuore traboccante non solo

di preoccupazione e dolore ma anche di amore, di

fiducia e tenerezza e talvolta di gioia. Anche la

psicologia odierna riconosce che piangere produce una

sana pulizia dell’anima, una valvola di scarico per

l’accumulo di emozioni negative che derivano dallo

stress. Le persone che piangono e che esprimono la

propria tristezza hanno maggiore equilibrio emotivo di

quelle che reprimono le lacrime e nascondono i propri

sentimenti. Quasi a non voler manifestare una

consapevolezza e prendere coscienza di ciò che è

accaduto e che provoca una reazione emotiva.

Il problema dell’uomo di oggi è il considerevole “deficit”

di senso di rispetto per la morte. Non sappiamo più dare

al morire un senso oltre quello biologico. Ciò che

dobbiamo accettare è che non solo abbiamo un corpo e

dunque “siamo” un corpo. In verità siamo “più” di un

corpo e ci muoviamo dentro una rete di relazioni e di

appartenenze decisive per la nostra identità.


TuttoBallo

Silvio Liberto

L’argomento oggi trattato è il piano di orientamento spaziale,

tutto è in movimento, l’universo per esempio è in continua

espansione e questo determina un movimento, in esso vi

troviamo i pianeti che girano attorno a se stessi e attorno al

sole, il tempo scorre, come l’alternarsi delle stagioni, si nasce,

si matura, si invecchia, si muore, la danza è in movimento,

influenzata dalla forza di gravità che da modo al corpo umano

di svolgere attività motorie. Nello spazio il nostro corpo può

compiere infinite azioni, camminare, correre, saltare, rotolare,

strisciare, rallentare, velocizzare, muoversi in ogni direzione,

fermarsi, e i movimenti possono essere eseguiti in modo

leggero, pesante, scattante, morbidi, contratti, sia larghi che

brevi. Consideriamo il corpo in piedi, eretto, in una posizione

neutrale e naturale, i piedi rivolti in avanti, leggermente

separati, la testa come il tronco eretti, le braccia rilassate

lungo i fianchi, con i palmi delle mani rivolti in avanti, tutto in

un allineamento armonioso, così da immaginare il corpo,

classificandolo ed identificandolo in tre piani di spazio

temporale con linee invisibili che lo attraversano, definiti piani

di orientamento.

Tali piani sono: il piano sagittale, il piano laterale o frontale ed

il piano orizzontale. Il piano sagittale è il piano verticale che

attraversa il corpo anteroposteriormente e lo divide nella metà

sinistra e nella metà destra.

Il piano laterale o frontale è il piano verticale che attraversa il

corpo lateralmente e lo divide nella metà anteriore e nella

metà posteriore. l piano orizzontale attraversa il corpo a metà

della sua altezza e lo divide nella metà superiore e nella metà

inferiore.

L’intersezione di questi tre piani determina tre rette;

l’intersezione fra il piano orizzontale e il piano sagittale da

luogo ad una retta orizzontale anteroposteriore

denominata“asse sagittale”, posizionata all’altezza

dell’ombelico; l’intersezione fra il piano orizzontale e il piano

laterale da luogo ad una retta laterale in posizione orizzontale,

denominata asse trasversale, all’altezza dei fianchi; infine

l’intersezione fra il piano laterale ed il piano sagittale, da luogo

a una retta verticale passante per il centro del corpo, dalla

testa a metà base d’appoggio dei piedi, e corrisponde all’asse

verticale. Adesso immaginiamo questo sistema come punto di

riferimento, applicandolo ad ogni singola articolazione del

corpo, e vedremo che sui piani verticali (sagittale e frontale)

avranno luogo i movimenti di flessione, estensione,

abduzione, adduzione e inclinazione intorno ai due assi

orizzontali.Sul piano orizzontale, invece, hanno luogo i

movimenti rotatori articolari intorno all’ asse verticale.

Più precisamente, sul piano sagittale, intorno all’ asse

trasversale, hanno luogo i movimenti di flessione ed

estensione, nei quali il segmento si muove rispettivamente

nella direzione anteriore e posteriore.

Sul piano laterale, intorno all’asse sagittale, hanno luogo i

movimenti di inclinazione, abduzione, adduzione, e flessione

laterale.

Per ultimo, il piano orizzontale, intorno all’asse verticale hanno

luogo i movimenti di rotazione, chiamati anche circolari o di

circonduzione.


TuttoBallo

Le movenze, le camicie e gilet vistosi, a volte bretelle e barba lunga. Il Barman e

la sua arte del saper miscelare, il suo savoir-faire, il suo resoconto. Tutti dietro

una parola, una evoluzione, presa in prestito:

MIXOLOGY. L’arte della miscelazione o “mixology” è un’arte racchiusa in se

stessa che ha mistero, passione, consapevolezza e tanta chimica.

Il profilo sensoriale delle materie prime diventa intrigante e curioso allo stesso

tempo.

Il segreto è che tutto inizia come un gioco; non di parole ma di gusto, i bouquet

aromatici entrano in contatto con noi fin da subito ed è lì che incomincia

l’identificazione del “profilo aromatico”.

Niente e nessuno meglio del bartender riesce a portare in vita tramite bottiglie e

bicchieri ciò che porta con sé segreti viaggiatori nei bar.

Si pensi anche che la Mixologia nasce dopo la rivoluzione industriale e quindi

con l’invenzione (con tanta maestria) di liquori e distillati, nasce così il concetto di

cocktail, in questo caso in Gran Bretagna, che noi oggi conosciamo con il nome

di PUNCH. Quindi il Mixologist è l’artista dei drink che crea equilibrio ed armonia

tra tutti gli ingredienti.

Diverso il Bartender, che non richiede un vero e proprio background culturale e

nozionistico ma ammalia i propri i clienti con tecniche affascinanti e fa sì che

venga definito come un vero showman.

Con ordine, mi sento di concludere asserendo che sicuramente adesso si beve

meglio di 20-30 anni fa e in un futuro non troppo lontano il mestiere del

Bartender- Mixologo sarà definito come una vera e propria arte culturale di ogni

luogo del pianeta.

Instagram: https://www.instagram.com/danilo_pentivolpe/

WEB SITE: www.bartendersclassheroes.com

Facebook: https://www.facebook.com/pentivolpe.danilo/

Danilo Pentivolpe


BLUSH

i consigli di

Mauri Menga

TuttoBallo

Chiamato in origine “fard”, è un cosmetico che viene utilizzato per donare alle guance

un aspetto più colorato e vivace e per dare risalto e importanza agli zigomi. Proprio

per questa sua caratteristica non dovrebbe mai mancare nel beauty case di una

donna. Chi di noi non ha mai utilizzato il blush per rendere il proprio viso più bello e

luminoso? Senza dubbio si tratta di uno dei cosmetici più amati di sempre dalle

donne. Spolverare le gote di rosa è un gesto femminile che racchiude ben 4000 anni

di storia. Ecco le curiosità che non sapevi sul blush.

L’origine del blush

C’era una volta il fard nell’Antico Egitto. A quell’epoca era abitudine degli uomini così

come delle donne di alto rango sociale usare questo prodotto per donare colore e

luminosità alle gote, ma anche per proteggere la pelle dal sole e dalla sabbia. Veniva

usato come fard l’ocra rossa a secco mescolata ad oli pregiati profumati. Nell’Antica

Grecia anche c’era la consuetudine di colorare di rosa le guance usando però fragole,

gelsi schiacciati e succo di barbabietole rosse. Nell’Inghilterra di epoca vittoriana il

fard subì, dopo secoli di amabile uso, una brusca battuta d’arresto: era considerato

immorale e sconveniente colorare le gote. La pelle del viso doveva essere candida,

anzi bianca. Il fard nel ‘900 era ampiamente utilizzato. Negli anni ‘20 era usato solo

nelle colorazioni rosa e lampone in polvere. Negli anni ‘30 la palette dei colori si

arricchì del fucsia e dei toni del malva. Negli anni ‘40 il fard non era più in polvere, ma

venivano usano i petali di rosa lasciati macerare nell’alcol e poi applicati direttamente

sulle gote in soluzione liquida. Negli anni ‘50 fu inventato il piumino per applicare il

colore in polvere sulle guance più facilmente. Negli anni ‘60 fu la volta dei toni del

marrone, poiché le donne desideravano non apparire “effetto Minnie che arrossisce”

comunemente detto “Bonnie mine”, ma effetto abbronzatura. Negli anni ‘80 fu creato

un pennello specifico per applicare il fard che era disponibile sia liquido che in polvere

in oltre 10 colorazioni. Esistono numerose tipologie di blush tra cui:

blush in crema;

blush in stick

blusher liquido

blusher matitone

Queste tipologie di blush possono essere applicate in tre diversi modi.

con le dita: avendo cura di lavarle bene prima di procedere con l’applicazione,

sfumando verso le tempie;

con pennello a testa larga piatto;

con il pennello piccolo per fondotinta: questo metodo è da preferire se si decide di

utilizzare una colorazione intensa.

blush polvere

usa il pennello per prelevare il blush con movimenti leggeri;

togli l’eccesso sbattendolo delicatamente;

a questo punto metti la bocca come se volessi dare un bacio, in questo modo si

troverà l’ombra naturale dello zigomo;

per un viso tondo: è bene applicare il blush partendo dalle tempie e sfumarlo fino alle

guance con l’aiuto di un pennello piatto;

per un viso allungato: si potrà accorciare con delle linee orizzontali, per renderlo più

armonioso con l’aiuto di un pennello arrotondato;

per un viso quadrato: è ideale applicarlo dal centro del viso alle tempie, sfumando il

colore con movimenti circolari. ora applica il blush sulla parte sporgente dello zigomo

con movimenti circolari verso l’esterno.


TuttoBallo

Blush in polvere libera o compatto

Questo tipo di formulazione deve essere

applicata con il pennello per evitare che

si formino macchie e per la correzione

delle ombre. Il pennello ideale è quello

angolato perché segue la direzione delle

guance

Ogni volto ha bisogno di un diverso

modo di applicazione per enfatizzare lo

sguardo. Ad esempio:

per un viso tondo: è bene applicare il

blush partendo dalle tempie e sfumarlo

fino alle guance con l’aiuto di un

pennello piatto;

per un viso allungato: si potrà accorciare

con delle linee orizzontali, per renderlo

più armonioso con l’aiuto di un pennello

arrotondato;

per un viso quadrato: è ideale applicarlo

dal centro del viso alle tempie, sfumando

il colore con movimenti circolari

Innanzitutto è giusto sapere che non

dobbiamo tenere in considerazione solo

il colore del prodotto ma anche, e

soprattutto, la texture e il finish.

Per decidere se è meglio applicare un

fard in polvere oppure in crema dovete

considerare che tipo di pelle avete sulle

guance. Abbiamo due possibilità:

se la vostra è una pelle normale o secca

potete scegliere tranquillamente un

blush sia in polvere che in crema;

se la vostra pelle è grassa è meglio

scegliere solo il blush in polvere,

rinunciando a quello in crema che, con

l’eccesso di sebo, potrebbe sciogliersi e

formare macchie.

La scelta del finish invece dipende tutto

dalla grana della vostra pelle:

se la grana è liscia e omogenea potete

scegliere il finish che volete;

se la grana ha qualche imperfezione,

come brufoletti, pori dilatati o rughette,

meglio evitare i brillanti che, riflettendo la

luce sulle vostre guance,

evidenzierebbero le irregolarità. Lo

stesso discorso vale anche se avete un

viso piuttosto paffutello.

La nuova tendenza che sta spopolando

è quella del blush contouring,

un’evoluzione della classica tecnica del

contouring che prevede di scolpire ma

anche correggere il volto con l’utilizzo

dei colori che siamo solite utilizzare

come blush.


TuttoBallo

Con la tecnica del blush contouring è possibile ottenere diversi risultati, come

l’effetto lifting, l’effetto sculp, ma anche donare al viso un effetto volumizzante

donando al volto le giuste simmetrie con il solo utilizzo della polvere di blush. In

cosa consiste questa nuova tendenza? Il concetto è lo stesso del contouring

tradizionale, quindi quella di donare tridimensionalità al volto ma con un risultato

molto più naturale e per nulla artefatto. Scopriamo insieme come realizzare al

meglio la nuova tecnica del blush contouring o draping:

Per ottenere un effetto lifting si andranno ad utilizzare una tonalità scura subito

sotto lo zigomo sfumando verso le tempie mentre con il blush chiaro si andrà a

sottolineare i contorni del volto, partendo dagli occhi fino alle tempie.

Per la realizzazione dell’effetto sculp utilizzeremo un blush scuro per tirare fuori

gli zigomi ed il blush più chiaro verrà utilizzato sulle guance sfumandolo alla

perfezione verso l’alto; questa tecnica è perfetta per bilanciare la tridimensionalità

del viso. Se invece volete ottenere un effetto volume, bisognerà stendere la

tonalità di blush più scura dal centro delle guance verso l’esterno e con il blush

più chiaro si andranno a ripetere gli stessi passaggi per donare al volto un aspetto

super naturale.

Con questa tecnica doneremo al volto un aspetto molto naturale, l’aspetto delle

guance della buona salute che si era solite avere da bambine, come potete

vedere abbiamo una piccola inversione di rotta verso il passato ma ovviamente

rielaborando le tendenze che erano in voga negli anni passati, catturando i lati

positivi e riadattandoli ai tempi moderni.

Altra questione importantissima, forse la prima ad esser considerata quando si

sceglie di utilizzare il blush, è il colore.

Scegliere il colore giusto non è facile, potrebbero occorrere diverse prove, ma

esiste una linea generale da seguire. Eccola.

Per scegliere il colore giusto sono diversi i fattori da considerare, primo fra tutti

“l’ensemble” del make up (occhi e labbra). Se avete optato per colori caldi (oro,

borgogna, arancio, pesca) tenetevi all’incirca sulle stesse tonalità calde anche

con il blush. Stesso discorso vale se per le tonalità fredde (rosa, viola, azzurro,

verde).

Con i toni neutri invece (marrone, grigio, nero) potete scegliere il colore che più

preferite. La prima regola da rispettare resta comunque quella di scegliere una

nuance che vada in perfetta armonia con il tono della propria pelle.

Vediamo nel dettaglio come scegliere il blush perfetto in base al colorito della

nostra pelle.

Per le pelli chiare uno dei must è il rosa tenue, delicato alla e con sfumature molto

simili a quelle dell’interno delle labbra. Chi ha invece una pelle chiara ma con un

sottotono giallo troverà nel color pesca la sfumatura ideale, una sorta di

passepartout che sta bene su tutto.

Le pelli medie necessitano invece solo di un’enfatizzazione della propria

sfumatura calda, dunque scatenatevi con il color albicocca per un risultato

naturale e deciso. Se il colore della pelle è olivastro allora le tonalità calde vanno

bene, servono a smorzare il colore freddo della pelle. La pelle olivastra richiede,

dunque, colori dalle sfumature del lampone oppure ancora meglio sfumature

bronzee per gli zigomi.

Infine per le pelli mature la scelta migliore è sempre quella di preferire un blush

adatto al proprio incarnato, ma facendo attenzione a sceglierne uno dall’effetto

satinato che ha il miracoloso effetto di coprire i segni dell’età.


Premio giornalistico Rossella Minotti

Assia Karaguiozova

Il Premio Minotti, giunto alla seconda edizione, è dedicato a Rossella Minotti, caporedattrice e inviata de Il Giorno,

scomparsa prematuramente nel 2019. Iniziativa promossa dalla famiglia di Rossella con la Federazione nazionale

della Stampa Italiana e l’Associazione Lombarda dei Giornalisti. È dedicata ai giornalisti che hanno meno 35 anni,

iscritti al sindacato.

La giuria è composta da Edmondo Rho (marito di Rossella e già inviato di Panorama), Venanzio Postiglione

(vicedirettore del Corriere della Sera), Sandro Neri (direttore de Il Giorno), Anna del Freo (giornalista de Il Sole 24 Ore

e segretaria generale aggiunta Fnsi) e Domenico Affinito (giornalista del Corriere della Sera, in qualità di

vicepresidente della Alg).

La premiazione, per entrambe le edizioni 2020 e 2021, si terrà martedì 1° marzo 2022 nella sede dell'Alg a Milano

@fnsisocial - Onorata di averne disegnato il logo!

di Assia Karaguiozova

Foto di Assia Karaguiozova

Честита Баба Марта!

Buona Baba Marta!

Tradizione Bulgara che porta Salute

Viene celebrata il 1 Marzo

(quando Baba Marta si infuria, arriva con la neve)


LA STORIA

DI

MARINELLA

Lucia Martinelli

Purtroppo io non sono Fabrizio De André e non scrivo canzoni, a volte canto sotto la doccia, ma non per questo

posso arrogarmi il diritto di essere una musicista, perciò non mi sarà possibile raccontare la storia della mia

Marinella in musica.

Peccato… perché la musica è in grado di portarci verso la levitas e il Sig. De André lo sapeva molto bene quando

nel 1962 scrisse il brano cercando di “reinventare una vita e addolcire la morte” della giovane Maria, uccisa nel

1953.

La Marinella di De André era un nome d’arte, perché Maria – per campare – faceva la prostituta.

La Marinella cui mi riferisco io, non so chi sia e non conosco il suo passato.

In compenso, so che aveva una settantina d’anni e come è morta, cioè da sola in una villetta del Comasco, seduta

su una sedia della cucina.

L’hanno trovata fortuitamente quasi due anni dopo il decesso, avvenuto per cause naturali.

Eppure, nessuno se n’è accorto, nessuno in due anni l’ha cercata e a nessuno è venuto il dubbio di dove fosse

finita, neanche ai vicini convinti che si fosse trasferita.

Nel momento in cui c’è stato un problema con il giardino intorno alla casa, allora i vicini si sono messi in contatto

con il proprietario (uno svizzero che aveva acquistato l’immobile lasciandole l’usufrutto) per sistemarlo. Al suo arrivo

a Prestino, però, l’uomo non ha ricevuto alcuna risposta dall’interno dell’abitazione e ha dovuto attivare le forze

dell’ordine: un corpo in via di mummificazione li aspettava, silente e paziente quanto la morte, in una bara di

parecchi metri quadrati.

In fondo, Marinella è stata fortunata, almeno se n’è andata nel suo ambiente, impregnato dalla sua essenza e dalla

sua storia, piuttosto che in un freddo ricovero per anziani.

E si può dedurre che Marinella fosse una donna organizzata e ben presente a sé stessa, perché con quella vendita

in usufrutto – e la rendita che l’elvetico le versava sul conto ogni mese con implacabile regolarità – aveva gettato le

basi per il futuro e la sua autosufficienza.

La mia Marinella non era un’âgée rincoglionita, era cosciente della sua condizione di donna sola e, quindi, scelto la

migliore soluzione per lei.

Beh… a me questo già basta per provare un’istintiva simpatia verso la Sciura Beretta.

Prendendo una minima distanza, tuttavia, il quadro che emerge è il trionfo dell’indifferenza e della solitudine. Un

dipinto dalle tinte fosche, d’altronde non me la sentirei di riportare su tela l’indifferenza e la solitudine utilizzando i

colori dell’alba, piuttosto sceglierei sfumature tra il grigio, il nero e – forse – il rosso.

Insomma, questa è solo la storia di Marinella? Oppure è il racconto di ognuno di noi?

Con gli anni che avanzano, si diventa selettivi e più cresce questa speciale capacità di guardare oltre e, più si

potano i rami secchi, utili giusto per accendere un camino.

Ecco… magari, neppure Marinella aveva un caminetto nella sua bella casa.

In compenso, aveva sé stessa, i suoi ricordi, anche lei custodiva dentro la giovane donna di un tempo, pronta a

mordere il destino e a viaggiare con le nuvole a farle da cappello.

Poi c’era il mondo fuori che non “sente” e striscia per arrivare chissà dove, quello che negli ultimi due anni ha giusto

agognato il ritorno alla normalità… e, invece, non è mai riuscito nemmeno a scorgere la punta delle proprie scarpe,

dato che corre dentro una fitta e perenne nebbia.

Non è un argomento frivolo e pieno di grazia, me ne rendo conto, motivo per cui avrei preferito avere la stessa

“arma” di De André, giacché la levitas non è superficialità.

Anzi… chiunque dovrebbe renderla sua compagna di cammino, pena il ritrovarsi nella villetta di Marinella, in un

modo o nell’altro.

Ciao Marinè!


Pensiero del mese

DI FRANCESCA MEUCCI - DIRETTRICE DI SOLOMENTE

Carnevale 2022 termina proprio il primo marzo.

E martedì grasso significa anche maschere. Il che mi porta

ad una riflessione seria. I bambini si divertono, capita che

anche in periodi lontani dal carnevale alcuni si travestono

scambiandosi ruoli e costumi che la 'società' ha da sempre

destinato a uno o all'altro sesso. Perché la catalogazione e

la definizione funziona (va) così. Personalmente non ho mai

avuto alcun pregiudizio. Le persone, e soprattutto i piccoli,

devono essere sempre liberi di essere, di esprimersi e di

indossare ciò che preferiscono. Ovviamente è pieno il

mondo di gente che non la pensa come me. Ma davvero non

riesco a comprendere come si possa giudicare qualcuno da

come si veste. È come limitarsi a vedere solo la copertina di

un libro senza aver letto il contenuto. Sono altre le maschere

di cui preoccuparsi. Quelle che ogni giorno incontriamo sulla

nostra strada. Quelle che non si vedono e nascondono la

vera essenza degli esseri umani. Quelle che a volte

dobbiamo indossare tutti, chi più chi meno. Nel bene e nel

male. Speriamo di poterle togliere più spesso, magari

insieme alle altre, le mascherine, per mostrarci come

veramente siamo e far brillare i nostri sorrisi.

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