TuttoBallo20 MARZO EnjoyArt 2022
Marzo pazzerello è arrivato, purtroppo questo anno con una brutta notizia. Ogni artista attraverso la propria arte, esprime solidarietà alle due popolazioni coinvolte in questa assurda guerra. Questo numero lo vogliamo dedicare alle due popolazioni, gli ucraini che stanno vivendo un attacco violento. e la maggioranza della popolazione russi che protestano contro questa assurda guerra. Ci auguriamo che, quando leggerete questa rivista, gli avvenimenti siano entrati definitivamente nella storia con un accordo di PACE definitivo Sfogliando questo numero 26 troverete notizie, interviste, viaggi, cucina, libri, bellezza e molto altro. La nostra leggerezza, speriamo, sia una sana evasione per ognuno di voi. In queeto numero ci siamo concentrati sulle good news che il mondo dell’arte quotidianamente regala, a partire dall’Accademia Ucraina di Balletto che danza oltre la guerra, le riflessioni suggerite dal nostro Sandra Mallamaci sull’etimologia della parola Arte, le presentazioni di artisti emergenti della danza, della musica e di tutte le arti visive. Marzo ci regala anche la notizia dell’arrivo dei due figli di Tiziano Ferro al quale vanno le nostre congratulazioni con il piccolo omaggio in controcopertina. Il 21 marzo torna la Primavera, la rinascita! Il periodo in cui tutta la natura si risveglia, tutto rifiorisce, tutto si riempie di colori nuovi e brillanti, tutto dall’interno della terra esce in superficie, dopo il freddo inverno iniziamo a sentire il tepore del clima che sta cambiando, divenendo più dolce, le giornate si allungano di luce, anche le persone rifioriscono, diventando tutti più positivi...
Marzo pazzerello è arrivato, purtroppo questo anno con una brutta notizia.
Ogni artista attraverso la propria arte, esprime solidarietà alle due popolazioni coinvolte in questa assurda guerra. Questo numero lo vogliamo dedicare alle due popolazioni, gli ucraini che stanno vivendo un attacco violento. e la maggioranza della popolazione russi che protestano contro questa assurda guerra.
Ci auguriamo che, quando leggerete questa rivista, gli avvenimenti siano entrati definitivamente nella storia con un accordo di PACE definitivo
Sfogliando questo numero 26 troverete notizie, interviste, viaggi, cucina, libri, bellezza e molto altro.
La nostra leggerezza, speriamo, sia una sana evasione per ognuno di voi.
In queeto numero ci siamo concentrati sulle good news che il mondo dell’arte quotidianamente regala, a partire dall’Accademia Ucraina di Balletto che danza oltre la guerra, le riflessioni suggerite dal nostro Sandra Mallamaci sull’etimologia della parola Arte, le presentazioni di artisti emergenti della danza, della musica e di tutte le arti visive. Marzo ci regala anche la notizia dell’arrivo dei due figli di Tiziano Ferro al quale vanno le nostre congratulazioni con il piccolo omaggio in controcopertina.
Il 21 marzo torna la Primavera, la rinascita! Il periodo in cui tutta la natura si risveglia, tutto rifiorisce, tutto si riempie di colori nuovi e brillanti, tutto dall’interno della terra esce in superficie, dopo il freddo inverno iniziamo a sentire il tepore del clima che sta cambiando, divenendo più dolce, le giornate si allungano di luce, anche le persone rifioriscono, diventando tutti più positivi...
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26
€ 258,04
Giulia Settimo
Ph. Monica Irma Ricci
TuttoBallo - MARZO 2022 - n. 26
Copertina: Giulia Settimo
Ph. Monica Irma Ricci
MakeUp- Mauri Menga
Editore "Stefano Francia" EnjoyArt
Direttore - Fabrizio Silvestri
Vice direttore - Eugenia Galimi
Segretaria di redazione - Pina delle Site
Redazione - Marina Fabriani Querzè
COLLABORATORI: Maria Luisa Bossone, Antonio Desiderio, Francesco
Fileccia, David Bilancia, Giovanni Fenu, Mauri Menga, Sandro Mallamaci,
Walter Garibaldi, David Iori, Giovanni Battista Gangemi Guerrera, Lara
Gatto, Lucia Martinelli, Patrizia Mior, Ivan Cribiú, Danilo Pentivolpe,
Alessia Pentivolpe, Carlo De Palma, Rita Martinelli, Assia Karaguiozova,
Federico Vassile, Elza De Paola, Giovanna Delle Site, Jupiter, Francesca
Meucci, Alberto Ventimiglia.
Fotografi: Luca Bartolo, Elena Ghini, Cosimo Mirco Magliocca
Photographe Paris, Monica Irma Ricci, Luca Valletta, Raul Duran, Marina
Irma Ricci, DsPhopto, Raul, Alessio Buccafusca, Alessandro Canestrelli,
Alessandro Risuleo.
Altre foto pubblicate sono state concesse da uffici stampa e/o scaricate
dalle pagine social dei protagonisti.
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Testata giornalistica non registrata di proprietà: ©ASS: Stefano Francia EnjoyArt
per contattare la redazione Tuttoballo20@gmail.com
Contro Copertina
Marzo pazzerello è arrivato, purtroppo questo anno con
una brutta notizia.
Ogni artista attraverso la propria arte, esprime solidarietà
alle due popolazioni coinvolte in questa assurda guerra.
Questo numero è dedicato agli ucraini che stanno vivendo
un attacco violento e alla popolazione russa che protesta
contro questa assurda guerra.
Sfogliando questo numero 26 troverete notizie, interviste,
viaggi, cucina, libri, bellezza e molto altro.
La nostra leggerezza, speriamo, sia una sana evasione
per ognuno di voi. Noi ci siamo concentrati sulle good
news che il mondo dell’arte quotidianamente regala, a
partire dall’Accademia Ucraina di Balletto che danza oltre
la guerra, le riflessioni suggerite dal nostro Sandro
Mallamaci sull’etimologia della parola Arte, le
presentazioni di artisti emergenti della danza, della
musica e di tutte le arti visive. Marzo ci regala anche la
notizia dell’arrivo dei due figli di Tiziano Ferro al quale
vanno le nostre congratulazioni con un piccolo omaggio in
controcopertina.
© F R E E P R E S S O N L I N E r i p r o d u z i o n e r i s e r v a t a - D I R E T T A D A F A B R I Z I O S I L V E S T R I - S E G R E T E R I A D I R E D A Z I O N E P I N A D E L L E S I T E - T U T T O B A L L O 2 0 @ G M A I L . C O M - e d i z i o n e " S t e f a n o F r a n c i a E n j o y A r t "
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Massimo Polo
Direzione Artistica
Accademia Ucraina di Balletto:
la danza oltre la guerra
Ritornano gli spettacoli degli allievi dell’Accademia Ucraina di Balletto di
Milano al TAM Teatro Arcimboldi Milano.
In questo periodo di crisi internazionale, AUB è l’emblema della amicizia tra
popoli veicolata dall’arte: la danza, nella nostra Accademia, diventa simbolo
di pace, grazie alla presenza di insegnanti di diverse nazionalità: due sono
gli insegnanti russi, due gli ucraini, ma anche 2 moldavi, una bielorussa e
un italiano.
“In quanto russa – dice l’insegnante Oskana Belyaeva – sono vicina con il
cuore al popolo ucraino e stringo le mani a preghiera per fare sentire loro
che noi ci siamo”. L’accademia Ucraina di Balletto di Milano, nata 17 anni
per volontà di Caterina Calvino Prina, è sempre in contatto con la Direttrice
dell’Accademia omonima di Kiev, Alvina Kalchenko, in questi momenti così
drammatici.
Per essere messaggeri di pace e del valore dell’arte che va al di là di ogni
cosa, l’Accademia non si è fermata e continua a preparare gli allievi per il
prossimo debutto. Anche quest’anno l’appuntamento sarà con due titoli del
repertorio classico tra i più famosi ed amati: sabato 30 aprile alle ore 21.00
e domenica 1° maggio alle ore 16.00 il sipario si alzerà sulle celebri note de
La Bella Addormentata. Negli stessi giorni e precisamente sabato 30 aprile
alle ore 16.00 e domenica 1° maggio alle ore 11.00, i giovani danzatori
dell’Accademia proporranno invece un balletto molto conosciuto, ma poco
rappresentato in Italia, Coppelia.
La Bella Addormentata sarà presentata nella sua versione più famosa, nel
rispetto della tradizione del repertorio classico. I tre atti, complessi per i
virtuosismi dei solisti e per l’insieme a cui sarà chiamato il corpo di ballo,
porteranno il pubblico nel mondo incantato di una favola con la quale siamo
tutti cresciuti. Scenografie di alto livello, ricchi costumi e qualità tecnica
saranno al centro di un grande lavoro di precisione, sia a livello esecutivo
che a livello espressivo. Al fianco degli allievi dell’Accademia due nomi
della danza classica che il pubblico milanese ha conosciuto, ammirato ed
applaudito nelle sette repliche del Lago dei Cigni andate in scena lo scorso
anno: Michal Krcmar, primo ballerino del Teatro dell’Opera di Helsinki e già
protagonista di altri titoli proposti dall’Accademia (da Don Quixote a
Schiaccianoci) e Violetta Keller, stella nascente dello stesso teatro tanto da
ricoprire tutti i ruoli più complessi del repertorio classico nonostante la sua
giovane età.
Arte
movimento di un pensiero
Sandro Mallamaci
Scrivo questo articolo prendendo spunto proprio dalla parola articolo, immaginando che questa abbia a che fare in qualche
maniera con qualcosa di molto più bello, come se scrivere un articolo fosse quasi creare un’opera d’arte, come una poesia o
un romanzo. Forse un po' troppo presuntuoso?
Mi ha incuriosito il fatto che la parola arte abbia in comune la radice ar- con altre parole come artificio, artiglieria, artigiano,
artefatto, oltre che con artista. Deriva tutto da ars, che significava andare, muoversi, e quindi anche legato ad un’altra parola
come arto con un’accezione nel senso di fare, creare, appunto con le mani, con gli arti.
Parole che richiamano quindi l’uso delle mani, degli arti, oltre che della mente, non solo per creare ma paradossalmente
anche per distruggere.
L’importante è che comunque tutto venga fatto a regola d’arte, perché è necessario rispettare i canoni richiesti da chi ha
commissionato quell’opera.
La regola d’arte quindi va rispettata nella creazione, anche di cose che con la bellezza non hanno molto a che fare.
Per le opere d’arte invece è necessario avere inclinazioni naturali verso il bello, ed eventualmente affinarle in luoghi
appositamente deputati come ad esempio le accademie delle belle arti. Fino al rinascimento non vi era distinzione tra
l’artigiano e l’artista. In realtà un artista è qualcuno dedito ad una qualsiasi arte creative, come la pittura o la musica, mentre
l’artigiano è un creatore di cose fatte a mano. Come si vede quindi entrambi hanno a che fare con la creazione di qualcosa.
La vera differenza sta nel fatto che il prodotto di un artigiano è qualcosa che deve avere una precisa funzione pratica, cosa
che la creazione di un artista non deve avere necessariamente.
Entrambi creano quindi qualcosa di artificiale, cioè ottenuto con arte, che non si può ritrovare in natura.
È l’uomo al centro di questa creazione, quasi a volersi elevare al ruolo di un dio. Chi crea ha la capacità di vedere le cose
prima che queste diventino realtà. E il fascino dell’artista, in qualsiasi forma, sta proprio nell’essere visto come qualcuno
capace di suscitare negli altri sentimenti positivi, che fanno star bene, toccando particolari corde dell’animo umano, creando
arte per puro amore dell'arte stessa, spesso per il solo piacere di creare.
In realtà le opere d’arte hanno avuto da sempre la involontaria capacità di creare profondi cambiamenti nella società
stimolando spesso riflessioni e dibattiti anche su argomenti molto importanti.
In questo senso l’arte è un vero e proprio linguaggio universale, che tutti sono in grado di comprendere, attraverso il quale
l’artista comunica. Il ballo è una delle arti più antiche che, insieme alla musica, riesce da sempre a suscitare ammirazione e a
far vivere profonde emozioni. Potremmo chiederci se in quest’arte l’artista è il creatore della coreografia o chi la esegue. A
ben vedere il primo è il vero creatore visionario che con la sua sensibilità riesce a immaginare, ma anche chi esegue un ballo
può essere un artista, nel momento in cui interpreta riuscendo a trasmettere sensazioni ed emozioni, così come il poeta è il
creatore dell’ode e l’attore è chi la recita.
Basta non confondere la vera arte con altre forme di espressione che con l’arte non hanno molto a che fare.
L’artista vero è qualcuno a cui la natura ha regalato particolari doti che non tutti posseggono, ma che molti sono capaci di
cogliere, riconoscendo nella sua opera un preciso valore e una utilità al pari di qualsiasi altra creazione materiale. Cosa
sarebbe il mondo senza artisti?
Model, dancer: Stella di Plastica
Ph. Monica Irma Ricci
I fatturati di cinema e teatri di Roma
in caduta tra il 50 e il 74 per cento
Un crollo dei fatturati del 74 per cento nelle sale cinematografiche e del 50 per cento in quelle teatrali rischia di
causare entro giugno la chiusura del 50 per cento delle imprese del settore di cinema e teatri privati. È il quadro
allarmante tracciato dalle associazioni di categoria nel corso di una seduta della commissione capitolina
Cultura, presieduta da Erica Battaglia del Pd. “Abbiamo registrato un crollo dei fatturati del 74 per cento,
mentre in Francia il settore ha recuperato il 70 cento dei fatturati del 2019 qui continuiamo a leccarci le
ferite che non guariscono”, ha sottolineato Leandro Pesci di Agis Anec Lazio, che rappresenta le sale
cinematografiche.
È il quadro allarmante tracciato dalle associazioni di categoria
nel corso di una seduta della commissione capitolina Cultura
“Il mercato italiano rispetto ad altri europei è quello che sta soffrendo più di tutti, soprattutto a causa di
un vuoto normativo sulla diffusione: i film anzichè nelle sale vanno sulle piattaforme televisive e online.
In Francia i film prima di andare in tv devono attendere 15 anni. Chiediamo che il sindaco si faccia
portavoce di questa richiesta presso il governo e il ministero della Cultura”, ha raccontato Manuele Ilari di
Cna Unione esercenti cinematografici. Sul settore, secondo Pesci, sta pesando anche l’aspetto psicologico:
“C’è una Percezione di pericolosità delle nostre sale che non è veritiera. Il nostro personale è tutto
vaccinato, non c’è mai stata segnalazione di contagi nelle sale, controlliamo il green pass a tutti”, ha
chiarito. “Nel nostro teatro abbiamo registrato 34mila presenze tra dicembre e gennaio, ho assunto 15
persone per controllare i green pass”, ha testimoniato Piparo. Tuttavia persiste un problema di liquidità
nelle casse di cinema e teatri. “Abbiamo bisogno di risorse immediate”, ha detto Pesci di Agis Anec Lazio.
Per il consigliere di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo la massima attenzione “va posta alle arene estive
collegate al programma dell’Estate romana che rischiano di penalizzare ulteriormente il settore”. Secondo
Valerio Casini, consigliere della lista Civica Calenda, “andrebbe investito parte del budget comunale sui
ristori, non soltanto sull’ampliamento delle attività dell’Estate romana”. Per la consigliera del M5s, Virginia
Raggi, invece “si tratta di far ripartire l’economia, superare l’aspetto psicologico della paura: tutta
Europa sta riaprendo perchè c’è desiderio delle persone di riunirsi, forse i provvedimenti non
rispondono più alle esigenze reali”. La presidente della commissione ha quindi proposto una mozione, da
condividere con tutte le forze politiche, e che impegni il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e la giunta a
istituire un tavolo interassessorile per abbassare le tasse locali.
Uno spiraglio di ripresa potrebbe arrivare dopo il 10 marzo, quando sarà nuovamente possibile consumare cibi e
bevande anche in sale teatrali, da concerto, al cinema cinematografiche, nei locali di intrattenimento e musica
dal vivo, in altri locali assimilati e in tutti i luoghi in cui svolgono eventi e competizioni sportive. La
comunicazione arriva dal sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, sottolineando che lo prevede
l'emendamento al Decreto-legge appena approvato all'unanimità dalla Commissione Affari Sociali della Camera
e su cui, in rappresentanza del Governo, ha espresso parere favorevole. Si tratta, ha detto, di una “risposta
importante per alcuni dei settori tra i più colpiti, un nuovo segnale di ripartenza”.
Da fine marzo, esattamente il 31, uno dei provvedimenti che potrebbero essere confermati, sempre in
riferimento alla gestione della pandemia di coronavirus nel nostro Paese, è quello relativo alla fine dello
stato di emergenza. Lo ha confermato, Sergio Abrignani, attuale membro del Comitato Tecnico
Scientifico. “Non credo verrà prorogato lo stato di emergenza e, quindi, si scioglierà anche il Cts”, ha
detto l’esperto. Perché ciò avvenga effettivamente, comunque, si dovranno attendere e valutare i dati
sanitari. Se la curva epidemiologica derivante dalla variante Omicron dovesse appiattirsi fino a essere
gestibile dal sistema ospedaliero, lo stato d’emergenza non avrebbe più necessità di essere confermato.
Sempre Abrignani, fotografando un probabile scenario futuro, ha ipotizzato poi quello che potrebbe succedere
da qui ai prossimi mesi. “Non credo che dovremmo più vivere la situazione emergenziale che abbiamo
vissuto in passato, almeno se rimane la variante Omicron. E non penso che possa arrivare a breve una
variante più diffusiva di Omicron, è difficile ed è improbabile immaginarsela” ha spiegato. fonte ANSA
“ u n ' a r t i s t a p o l i e d r i c a “
Model, dancer: Stella di Plastica
Ph. Monica Irma Ricci
Francesca in arte StelladiPlastica, è una performer,
ballerina, attrice, artista di strada.
Pugliese di origine, formatasi all’ IDA Ballet Academy di
Steve LaChance. Nel 2010 vince il concorso internazionale
di danza “Danzaeuropa” nella categoria solisti
contemporaneo. Si esibisce a New York con l’Ajkun dopo
aver ricevuto una borsa dì studio per studiare in compagnia
dì Leonard Ajkun. È artista di strada nello spettacolo
“Carillon” della compagnia “Italento”. Stella di Plastica è
un'artista poliedrica e si è esibita in tutto il mondo.
Ph. Monica Irma Ricci
"DILLO ALLA DANZA"
Terza edizione del "Concorso MultiArte"
Festeggia con noi la XL Giornata Internazionale della danza, il 29 aprile 2022 con il convegno e Concorso Multi
Arte "DILLO ALLA DANZA"
Curt Sachs diceva "La danza è la madre di tutte le arti" e su questa frase nasce il progetto "DILLO ALLA DANZA".
Attraverso l'espressione delle arti consorelle raccontiamo la passione per la danza.
"DILLO ALLA DANZA" giunta alla terza edizione, mette sul palcoscenico gli artisti o aspiranti tali suddivisi in 4
sezioni. Con i loro elaborati raccontano la danza. La fotografia, la pittura, la scultura la musica e la danza stessa.
Durante i festeggiamenti della Giornata Internazionale della Danza, le migliori composizioni musicali (inedite e cover)
presentate nelle scorse edizioni sono entrate a far parte dei primi due volumi della Compilation
“DILLOALLADANZA”, prodotta dalla Stefano Francia EnjoyArt e dall’etichetta discografica Pomodoro Studio Always
e distribuita in tutti i digital store. Le copertina delle due edizioni precedenti sono state firmate da artisti di fama
internazionale come Rosalinda Celentano. Il Concorso Multi Arte "DILLO ALLA DANZA" è promosso dal CID
UNESCO-DANZA e vuole essere un progetto divulgativo della danza e di tutte le arti. Importante è diffondere il virus
dell’arte nelle scuole tra gli allievi, gli amici, affinché tutti diventino positivi e sensibili alla storia dell'arte, diventando
"artigiani” dell’arte innamorati della bellezza. “DILLO ALLA DANZA" scrivere un racconto, una poesia, scattare una
foto, dipingere una tela, cantare o suonare una canzone per la dea Tersicore. 4 sezioni del concorso:
Arti letterarie (poesia e racconto breve/narrativa)
Arti visive (scultura, fotografia, disegno)
Musica e Canto (opere originali)
Coreutica
Ciascuna sezione è divisa in due categorie: Partecipanti di età under 18 anni e over 18 anni.
In questa edizione 2022 prestigiosi premi per i vincitori:
Sezioni Letteratura e Arti visive, le opere finaliste saranno raccolte in un catalogo digitale distribuito sulla webkiosk
di Yumpu, come allegato alla rivista TuttoBallo. Premio Speciale opera dell'artista Giovannino Montanari
Sezione Musica e Canto, le migliori 10 composizioni entreranno a far parte del 3 volume di “DilloAllaDanza 2022”,
distribuito in tutti i digital store. Contratto per 1 anno con l’ etichetta indipendente. Direzione Artistica Ciro Vinci.
Per il vincitore over 18 contratto per un anno con l'etichetta indipendente Tilt Music Production
Sezione Coreutica. Borsa di studio di un mese presso Barcelona Ballet Project - Centro Internazionale Danza
Contemporanea Catalunya diretta dal maestro Gino Labate. Borsa di Studio di una settimana presso International
Creative Hub Roma. Direzione Artistica Maria Luisa Bossone.
Il Concorso “DILLOALLADANZA” è rivolto ad artisti, alunni e persone comuni maggiorenni e minorenni che amano
esprimere l'amore per la danza attraverso tutte le arti Letteratura, poesia, pittura, fotografia, musica e danza. La
presentazione delle opere scade il 10/04/2022 alle ore 12 iscrivendosi sul sito dancematick.it e inoltrando l’elaborato
anche a: dilloalladanza@gmail.com
Le premiazioni di "DILLO ALLA DANZA" si terranno il 29 Aprile 2022, in occasione delle celebrazioni della "XL
Giornata Mondiale della Danza”, in un teatro e località da stabilire rispettando le normative Covid-19. In base alla
normativa Covid-19, la manifestazione in presenza potrebbe anche essere annullata qualche giorno prima…
In ogni caso le iscrizioni non verranno restituite, in quanto il concorso procede in base con la procedura remoto,
comunicando on line i vincitori.
L’artista partecipa al concorso iscrivendosi sul sito www.dancematick.it inviando in allegato le proprie opere nel
formato richiesto da regolamento.Inoltre, la documentazione dovrà essere inoltrata in copia a
dilloalladanza@gmail.com
Seconda edizione di Biennale College Danza sotto la guida di Wayne McGregor, alla ricerca dei “visionari di domani”. Da
oggi lunedì 21 febbraio sul sito web della Biennale di Venezia – www.labiennale.org – sono aperti fino a lunedì 21 marzo
due nuovi bandi destinati a selezionare rispettivamente 16 danzatori/trici, tra i 18 e i 30 anni, e 2 coreografi/e, a partire dai 18
anni, provenienti da tutto il mondo. Biennale College Danza si concluderà, dopo un percorso lungo tre mesi, presentando sul
palcoscenico del 16 danzatori/trici, tra i 18 e i 30 anni, e 2 coreografi/e, a partire dai 18 anni, provenienti da tutto il mondo.
Biennale College Danza si concluderà, dopo un percorso lungo tre mesi, presentando sul palcoscenico del Festival
Internazionale di Danza Contemporanea (22 > 31 luglio): la nuova creazione realizzata in esclusiva da Saburo Teshigawara,
Leone d’Oro alla carriera 2022, per il gruppo di danzatori e coreografi e commissionata dalla Biennale di Venezia.
l’allestimento di uno dei famosi Event di Merce Cunningham, mentori Daniel Squire, che ha riallestito molti dei suoi lavori, e
Jeannie Steele, per sedici anni con la compagnia come danzatrice e assistente alle prove. due brevi composizioni originali
ideate dai 2 coreografi in collaborazione con i 16 danzatori, mentore lo stesso direttore Wayne McGregor. Strutturato come
un programma intensivo teorico-pratico della durata di tre mesi (9 maggio > 31 luglio), Biennale College Danza,
nell’ideazione di Wayne McGregor, mira ad ampliare competenze, abilità, conoscenze e consapevolezza dei 18 giovani
artisti che saranno selezionati fornendo loro quegli strumenti necessari ad affrontare a tutto campo la professione. Al fianco
dei giovani artisti ci saranno maestri, coreografi, insegnanti e istruttori di primo piano, ma anche importanti professionisti del
mercato in una visione globale e integrata del danzatore/coreografo oggi.
Alla sessione propedeutica con Wayne McGregor sul Physical Thinking, oggetto privilegiato della sua ricerca, volta a creare
materiale di danza e composizione, si aggiunge, vera novità di quest’anno, una sessione dedicata all’interazione tra danza e
nuove tecnologie, fornendo a danzatori e coreografi la possibilità di saggiare le applicazioni generative dell’intelligenza
artificiale attraverso l’utilizzo del Living Archive, lo strumento di composizione coreografica nato dalla collaborazione tra
Google e McGregor. Partendo dai danzatori stessi e attingendo al repertorio di McGregor, il Living Archive sfrutta
l’apprendimento automatico per generare nuovi movimenti nello stile del danzatore-trice moltiplicando le possibilità del
processo coreografico.
Il programma di Biennale College prevede, inoltre, lezioni quotidiane di tecnica di danza classica e contemporanea,
workshop incentrati sul repertorio Cunningham, pratiche di improvvisazione, esplorazione della propria creatività, tutoraggi
individuali, ma anche conferenze e seminari focalizzati sugli aspetti più pratici della realtà professionale. Un programma
largamente condiviso da danzatori e coreografi con momenti specifici studiati per ognuno delle due categorie.
Durante il Festival, infine, i 18 partecipanti al College potranno assistere a tutte le attività programmate: spettacoli, incontri,
installazioni, conferenze.
Il testo ufficiale dei bandi di Biennale College Danza 2022 completo di benefits e facilitazioni (viaggi, alloggi, trasporti,
compensi) è consultabile all’indirizzo: www.labiennale.org/it/biennale-college.
Da quest’anno Biennale College è parte del progetto di sviluppo e potenziamento delle attività della Biennale di Venezia, in
funzione della realizzazione di un polo permanente di eccellenza nazionale e internazionale a Venezia. Come tale Biennale
College rientra nel “Piano di investimenti strategici su siti del patrimonio culturale, edifici e aree naturali” del Piano nazionale
per gli investimenti complementari al piano nazionale di ripresa e resilienza.
fonte: https://www.labiennale.org/it
@ Andrew Kent
o
Dal 2 Aprile a Milano è tempo di DAVID BOWIE, una
retrospettiva fotografica carica di dettagli e ricostruzioni che
raccontano la straordinaria avventura del Duca Bianco, dopo il
suo ritorno in Europa a metà degli anni 70. DAVID BOWIE the
PASSENGER. By Andrew Kent, acclamato fotografo che ha
creato molte delle immagini più iconiche delle superstar del rock
degli anni '70 è in cartellone del TAM Teatro Arcimboldi Milano,
prodotta da Navigare Srl e Show Bees Srl, a cura di Vittoria
Mainoldi e Maurizio Guidoni per ONO ARTE. L’allestimento
scenografico in uno dei foyer del teatro racconta, attraverso le
immagini e le memorie del fotografo americano Andrew Kent, un
periodo ben preciso nella vita di David Bowie. Tra il 1975 e il
1976, infatti, Bowie decide di lasciarsi alle spalle l’esperienza
americana, culminata con il successo di un LP come Young Americans e le riprese del film L’uomo che cadde sulla terra, per tornare
nella nativa Europa e rifondare la sua carriera. Qualche tempo prima di morire Bowie disse che, nonostante vivesse a NY da anni, si
sentiva profondamente europeo. Deve aver provato lo stesso sentimento a metà degli anni Settanta quando tentava di sopravvivere
a Los Angeles tra esoterismo, magia nera e cocaina. Quest’ultima lo stava facendo implodere proprio all’apice del successo
americano e Bowie cercava conforto in Addio a Berlino, il romanzo di Christopher Isherwood ambientato durante la Repubblica di
Weimar, nel suo lavoro e nella musica dei Kraftwerk. Sono questi fattori importanti che spingono Bowie ad immaginare il proprio
ritorno in Europa. Berlino era la città prescelta, nonostante a Londra – la sua città natale - ci fossero i segnali di un’altra rivoluzione
imminente: il Punk. L’ex-capitale del Terzo Reich non poteva non esercitare un fascino discreto su Bowie anche per via del muro che
divideva due mondi: Est e Ovest, Capitalismo e Comunismo. Una frontiera costruita nel cuore della città a creare una frizione
costante, nella quale artisti come lui trovavano ispirazione. Durante il tour promozionale del suo ultimo album, Station to Station,
Bowie era diventato “The Thin White Duke” ovvero “Il Sottile Duca Bianco”: un elegante, sofisticato, pallido - ed eccessivamente
scavato in viso - crooner con camicia bianca, panciotto e pantaloni neri.
NOTRE DAME DE PARIS - dal 3 al 20 MARZO 2022
ro
Un antistyle per eccellenza che nasceva dalla mente non convenzionale di un artista che aveva espanso i confini del pop,
introducendo nuovi elementi come la performance, costumi di scena che avrebbero influenzato la moda, la letteratura, la
politica e una teatralità prima sconosciuta in quel contesto. Le fotografie e le testimonianze di Andrew Kent che
compongono questa mostra raccontano quel periodo concitato nel quale tutto stava di nuovo cambiando sia per Bowie che
per il mondo attorno a lui. Non solo foto da palco, quindi, ma anche testimonianze di quel frenetico viaggiare, soprattutto in
treno e nave (Bowie infatti detestava volare in quegli anni) per raggiungere quei luoghi dove la maggior parte delle persone
comuni non poteva andare, come ad esempio il Blocco Sovietico. Bowie aveva già visitato Mosca nel 1973, ma durante una
pausa del segmento europeo dell’Isolar Tour, il tour promozionale di Station to Station, annuncia al suo entourage che vuole
raggiungere di nuovo la capitale russa. Sarà Andrew Kent à occuparsi dei visti per accedere all’Unione Sovietica. Di quel
breve soggiorno rimangono le fotografie incluse nel percorso della mostra a restituirci un istante unico. Si tratta di snapshot
e qualche foto in posa – davanti al Cremlino o al Mausoleo di Lenin – di un istante unico nel quale la fame di onniscienza
che alimentava la mente di Bowie, lo stava preparando per Low, Heroes e Lodger: La Trilogia di Berlino. Nella ex-capitale
del Terzo Reich Bowie, assieme ad Iggy Pop, avrebbe scritto e registrato alcuni dei sui album piiù importanti e influenti.
Musica europea: decadente, morbosa, malinconica e rarefatta in alcuni casi. La Cortina di Ferro e il Muro di Berlino
attrassero Bowie e lo stimolarono a produrre la sua ennesima rivoluzione, nel tentativo appunto di cambiare il mondo e il
suo mondo. Due anni dopo, se ne sarebbe di nuovo andato, non senza aver prima dato tutto, come ricorda lo stesso Kent.
Alla fine dei conti, come canta in Be my Wife (Low, 1976) “I’ve lived all over the world... I’ve left every place”. La mostra
“DAVID BOWIE the PASSENGER. By Andrew Kent”, è un’anteprima italiana, e si compone di 60 scatti, diversi cimeli e
documenti originali provenienti dall’archivio di Kent. Accanto al percorso fotografico verranno fedelmente e filologicamente
ricostruiti gli ambienti protagonisti della avventura Europea di Bowie a metà degli anni ’70: dal vagone del treno che lo portò
fino a Mosca, alla sua stanza di albergo a Parigi. E ancora abiti, microfoni, macchine fotografiche, dischi, modellini,
manifesti, memorabilia varia e proiezioni completano la mostra accompagnando il visitatore in un viaggio spettacolare ed
immersivo all’interno di una delle parentesi più affascinanti della carriera dell’icona della cultura popolare. Oltre altre
all’aspetto emozionale, la mostra è anche occasione di approfondimento, sia per il grande pubblico che per i fan più
appassionati: con un’analisi scientifica condotta attraverso le memorie di Andrew Kent, infatti, è stato possibile ricostruire
fatti fino ad ora poco conosciuti e svelare dettagli inediti della carriera di Bowie.
mostradavidbowie.it - WWW.TEATROARCIMBOLDI.IT - WWW.TICKETONE.IT
È tutta dedicata all’Italia la nuova stagione di SOLO
the Legend of quick change, il grande one man show
del più̀ grande trasformista al mondo Arturo Brachetti
che ha scelto di festeggiare il ritorno nei teatri con un
grande tour italiano. Un’occasione per incontrare il
pubblico dopo lo stop imposto dalla pandemia.
Dopo 450.000 spettatori in quattro stagioni in quasi 400
repliche, innumerevoli sold out e standing ovation,
SOLO riprenderà̀ dunque il suo percorso per la quinta
stagione. Protagonista è il trasformismo, quell’arte che
lo ha reso celebre in tutto il mondo e che qui la fa da
padrone con oltre 60 nuovi personaggi, molti ideati
appositamente per questo show, che appariranno
davanti agli spettatori in un ritmo incalzante e
coinvolgente. Ma in SOLO, Brachetti propone anche un
viaggio nella sua storia artistica, attraverso le altre
affascinanti discipline in cui eccelle: grandi classici
come le ombre cinesi, il mimo e la chapeaugraphie, e
sorprendenti novità̀ come la poetica sand painting e il
magnetico raggio laser.
l mix tra scenografia tradizionale e videomapping,
permette di enfatizzare i particolari e coinvolgere gli
spettatori.
Brachetti in SOLO apre le porte della sua casa fatta
di ricordi e di fantasie; una casa senza luogo e senza
tempo, in cui il sopra diventa il sotto e le scale si
scendono per salire. Dentro ciascuno di noi esiste una
casa come questa, dove ognuna delle stanze racconta
un aspetto diverso del nostro essere e gli oggetti della
vita quotidiana prendono vita, conducendoci in mondi
straordinari dove il solo limite è la fantasia. È una casa
segreta, senza presente, passato e futuro, in cui
conserviamo i sogni e i desideri... Brachetti schiuderà̀
la porta di ogni camera, per scoprire la storia che è
contenuta e che prenderà̀ vita sul palcoscenico.
Reale e surreale, verità̀ e finzione, magia e realtà̀ : tutto
è possibile insieme ad Arturo Brachetti, il grande
maestro internazionale di quick change che ha creato
un varietà̀ surrealista e funambolico, in cui immergersi
lasciando a casa la razionalità̀ .
Dai personaggi dei telefilm celebri a Magritte e alle
grandi icone della musica pop, passando per le favole
e la lotta con i raggi laser in stile Matrix, Brachetti batte
il ritmo sul palco: 90 minuti di vero spettacolo pensato
per tutti, a partire dalle famiglie. Lo spettacolo è un
vero e proprio as-SOLO per uno degli artisti italiani più
amati nel mondo, che torna in scena con entusiasmo
per regalare al pubblico il suo lavoro più̀ completo:
SOLO.
ARTURO BRACHETTI
Famoso e acclamato in tutto il mondo, Brachetti è il
grande maestro internazionale del quick-change, quel
trasformismo che lui stesso ha riportato in auge,
reinventandolo in chiave contemporanea. La sua
carriera comincia a Parigi negli anni 80: da qui in poi la
sua carriera è inarrestabile, in un crescendo continuo
che lo ha affermato come uno dei pochi artisti italiani di
livello internazionale, con una solida notorietà al di fuori
del nostro paese. Si è esibito ai quattro angoli del
pianeta, in diverse lingue e in centinaia di teatri. Il suo
precedente one man show L’uomo dai mille volti è stato
visto da oltre 2.000.000 di spettatori. I suoi numeri di
quick- change sono così veloci da essere imbattuti nel
Guinness dei primati.
Regista, showteller, direttore artistico... Brachetti è un
artista a 360° noto in tutto il mondo per la sua capacità
di portare in scena gli elementi tipici del DNA italiano:
qualità, amore per “il bello”, gusto e, soprattutto,
fantasia.
Assia Karaguiozova
G l i S G U A R D I i n c i s i v i d i B r u n o P e l l e g r i n o e n t r a n o i n s c e n a
a l T e a t r o F r a n c o P a r e n t i d i M i l a n o , d i A n d r é e R u t h
S h a m m a h V o l t i c h e a p p a i o n o e s c o m p a i o n o ( u n c e n t i n a i o ) ,
c o m e s e f o s s e r o i m m a g i n a r i . D a l 1 0 a l 2 7 M a r z o 2 0 2 2 , a
c u r a d i J e a n B l a n c h a e r t : " L a f a n t a s i a d e l l a p i t t u r a d i v e n t a
t e a t r o d e l l ’ a n i m a " . A l l e s t i m e n t o d e l r e g i s t a F a b i o C h e r s t i c h
Dal 4 al 6 marzo, al Teatro Manzoni di Pistoia, va in scena in debutto
nazionale “Zio Vanja” di Anton Čechov diretto da Roberto Valerio,
con Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina e Alberto Mancioppi,
Mimosa Campironi, Elisabetta Piccolomini, Pietro Bontempo,
Massimo Grigò. Lo spettacolo, prodotto da Associazione Teatrale
Pistoiese sarà poi in programma in varie città del nord Italia, in
questa stagione. Una messinscena che oscilla tra realismo e onirico,
tra dramma e commedia, tra risate e pianti, tra malinconie cecoviane
ed energia pura. Uno spettacolo dove le immagini, i suoni e la
recitazione si compenetrano per rappresentare la tragicommedia
della vita. A tre anni dal fortunato debutto di Tartufo, che è stato in
seguito presentato con successo in numerosi teatri, il regista
Roberto Valerio firma Zio Vanja, di Anton Čechov, in scena in prima
nazionale venerdì 4 marzo, al Teatro Manzoni di Pistoia. Giuseppe
Cederna e Vanessa Gravina, già protagonisti di Tartufo saranno
rispettivamente Zio Vanja e Elena, con loro Alberto Mancioppi, il
professore, Mimosa Campironi, Sonja, Elisabetta Piccolomini, Marjia,
Pietro Bontempo, Astrov e Massimo Grigò, Telegin. Dramma russo
che Čechov considerava però una commedia, quasi un vaudeville,
che vide il debutto ufficiale il 26 ottobre 1899, al Teatro d'arte di
Mosca, con la regia di Vladimir Ivanovič Nemirovič-Dančenko e
Konstantin Sergeevič Stanislavskij, Zio Vanja è la rappresentazione
delle grandi illusioni, di percorsi che iniziano per poi tornare al punto
di partenza, della noia, che non è spazio per la creatività ma al
contrario anticamera della depressione, maschera della paura che
paralizza impedendo di realizzare i proprio progetti e che Roberto
Valerio ha deciso di restituire però con una messa in scena a
contrasto, energica, movimentata. Il regista commenta ironicamente
dicendo: “La noia, di solito si racconta meglio tentando di non
annoiare”.
Uno spazio vuoto. In primo piano una vecchia credenza ed un tavolo, elementi che rimandano alla quotidianità
della vita in campagna. Sullo sfondo appaiono e scompaiono elementi onirici o iperrealistici: un’altalena che scende
dal cielo, una botte di vino gigante per l’ubriacatura notturna, un pianoforte che ricorda l’infanzia, un albero di
beckettiana memoria. È la scena che Valerio ha scelto per raccontare la vita che Vanja, sua nipote Sonja, l’anziana
maman Marija, Telegin e il dottor Astrov, conducono in una casa rurale all’arrivo del proprietario, l’illustre professor
Serebrjakov e dalla sua bellissima seconda moglie Elena. I personaggi che si muovono davanti al pubblico non
sono eroi e eroine, sono persone comuni, immerse nel flusso della vita, con i quali è facile immedesimarsi, che chi
guarda può sentire immediatamente vicino. Sono anime smarrite con passioni, slanci, delusioni, le stesse emozioni
che accompagnano la vita di tanti. Ogni personaggio insegue i propri pensieri, le proprie aspirazioni, sogni,
sofferenze senza davvero comunicarli agli altri, sordo a quelli dell’altro. Tutti desiderano il riscatto, tutti sono
incapaci di agire per ottenerlo, vogliono amare e essere amati ma il desiderio non si tramuta mai in realizzazione.
Nella commedia si bevono molta vodka e molto vino, per diciassette volte Čechov invita a bere i personaggi: si
evade la realtà, si cerca l’illusione che apre varchi di finta soddisfazione “Quando non c’è vita vera, si vive di
miraggi”, dice, ad un certo punto zio Vanja. Una messinscena che oscilla tra realismo e onirico, tra dramma e
commedia, tra risate e pianti, tra malinconie cecoviane ed energia pura. Uno spettacolo dove le immagini, i suoni e
la recitazione si compenetrano per rappresentare la tragicommedia della vita. Lo spettacolo è presentato ancora
una volta da Associazione Teatrale Pistoiese che, negli anni, ha prodotto oltre a Tartufo molti spettacoli di
successo firmati da Roberto Valerio, tra i quali Il Vantone, di Pasolini, L’Impresario delle Smirne, di Goldoni, Casa
di Bambola, di Ibsen, ospitando anche Un marito ideale, di Wilde (del Teatro dell’Elfo), Il giuoco delle parti, di
Pirandello (della Compagnia Orsini).
JACKASS
FOREVER
La spassosa cricca di autolesionisti di Jackass è tornata insieme ancora una volta per un ultimo film in cui la posta si alza e la
sfida si fa più rischiosa. Jackass Forever aka Jackass 4 arriverà nei cinema italiani il 10 marzo diretto da Jeff Tremaine, che è
anche produtture del sequel insieme a Johnny Knoxville e Spike Jonze.
La trama ufficiale: celebrando la gioia di essere di nuovo insieme ai tuoi migliori amici la troupe originale di Jackass è tornata
dopo dieci anni per un ultima follia. Johnny Knoxville torna per un altro giro di spettacoli comici esilaranti, selvaggiamente
assurdi e spesso pericolosi con un piccolo aiuto da un nuovo eccitante cast. L’intero cast dei film precedenti ritorna per il quarto
film, ad eccezione di Ryan Dunn, scomparso nel 2011, e Bam Margera che apparirà solo parzialmente poiché è stato licenziato
dalla produzione nel febbraio 2021. “Lo volevamo per tutto il film, ma sfortunatamente non è andata così. È davvero straziante.
Amo Bam. Tutti noi amiamo Bam. È nostro fratello, sai? Speri solo che si prenda la responsabilità di ottenere l’aiuto di cui ha
bisogno, perché tutti noi ci preoccupiamo molto per lui” ha dichiarato Knoxville. Il film oltre a Johnny Knoxville riporta Steve-O,
Chris Pontius, Dave England, Wee Man, Danger Ehren e Preston Lacy a cui si aggiungono i nuovi arrivati Jasper, Rachel
Wolfson, Sean “Poopies” McInerney, Zach Holmes ed Eric Manaka.
‘LAMB’, IL NUOVO FILM HORROR-FANTASY DI
VALDIMAR JÓHANNSSON
Dal 31 marzo al cinema il nuovo film horror-fantasy di Valdimar Jóhannsson con Noomi Rapace e Hilmir Snær
Guðnason. Premiato alla 74a edizione del Festival di Cannes per la sua originalità e divenuto un cult negli Stati
Uniti. “LAMB” è ambientato in una fattoria in Islanda, ha come protagonisti María e Ingvar, una coppia senza figli
che un giorno trova un misterioso neonato ibrido. La gioia iniziale lascerà ben presto spazio all’incubo. Ispirato ai
racconti popolari e al folklore del suo paese, l’angosciante film di debutto del regista islandese (presentato in
anteprima al festival Alice nella Città e alla 74ª edizione del Festival di Cannes, dove ha vinto il Premio per
l'originalità assegnato dalla giuria di Un Certain Regard) affronta temi sociali concreti, come l’essere genitori,
facendo convergere il mondo umano e animale in un susseguirsi di simbolismi, allegorie e metafore.
Negli Stati Uniti, “LAMB” ha raccolto centinaia di recensioni, diventando un cult grazie al complicato equilibrio tra
horror soprannaturale e angosciante racconto popolare, si preannuncia come uno dei film più attesi dell’anno, da
guardare tutto d’un fiato e che accenderà numerosi dibattiti sulle scelte estreme e non convenzionali del regista.
Guarda il trailer al seguente link: https://youtu.be/hnEwJKVWjFM
Vi ricordate del giovane trentenne Mike Lane nei film “Magic Mike” e “Magic Mike XXL”?
Credo proprio di si… Channing Tatum, attore, ballerino e modello statunitense. Dopo l’uscita del primo “Magic Mike”, Tatum
fu eletto l’uomo più sexy del mondo dalla rivista People e ora a distanza di sette anni dall’uscita dell’ultimo capitolo della
saga, Michael Lane tornerà sul grande schermo. Ad anticipare che nel 2023 arriverà al cinema “ Magic Mike’s Last
Dance” è stato proprio lui, Channing Tatum.
Il film vedrà il ritorno alla regia di Steven Soderbergh, già autore del primo e produttore del secondo, mentre la
sceneggiatura è stata ultimata recentemente da Reid Carolin.
Tatum, per la gioia di molte donne torna a Spogliarsi. Ma gli anni passano per tutti, e Channing ha dichiarato che per tornare
a togliersi gli abiti di Mike ha faticato moltissimo… In una recente intervista concessa al The Kelly Clarkson Show, l’attore ha
raccontato il processo fisico che ha dovuto affrontare per tornare in forma per il ruolo e della possibilità di veder realizzato in
futuro anche un quarto capitolo della saga. Tatum infatti ha dichiarato: "E' difficile da sostenere, anche se ti alleni
costantemente, essere in quella particolare forma fisica non è normale. A volte devi morire di fame". Tatum ha poi
parlato della scelta di tornare a interpretare il personaggio e di come inizialmente stava pensando a una versione del film
con i personaggi ormai più anziani: "Prima di decidere di andare avanti con questa versione, l'unica alla quale avrei
detto di sì era la versione Grumpy Old Men dove avremmo avuto 70 anni. E quando avremo 70 anni voglio riunire il
team, di sicuro".
Il chiacchierato terzo film nella fortunata saga cinematografica di cui Channing Tatum è anche produttore è in fase di
realizzazione e a darne la conferma è stato proprio lui su Twitter, condividendo la prima pagina della sceneggiatura scritta
da Carolin. Al momento Magic Mike's Last Dance non ha ancora una data d'uscita ufficiale ma è probabile l'arrivo
entro il 2023.
CINESOFIA
I GRANDI TEMI DELLA FILOSOFIA
ATTRAVERSO IL CINEMA
Desacralizzare l’aula per aprire la scuola al territorio, (ri)portare i giovani al grande schermo attraverso la filosofia;
sperimentare processi di inclusione sociale attraverso il dibattito regolamentato: questi i tre concetti da cui è partito
con grande successo il progetto Cinesofia. I grandi temi della filosofia nel cinema, un’iniziativa concepita da due
scuole omonime, il liceo classico e l’Istituto comprensivo Ennio Quirino Visconti di Roma in collaborazione con il
Farnese ArtHouse, storica sala cinematografica d’autore nel cuore della capitale. Con la curatela scientifica di Sergio
Petrella e la direzione artistica di Fabio Amadei, l’iniziativa si propone di educare studentesse e studenti alla filosofia
attraverso il linguaggio cinematografico (e viceversa) consentendo agli stessi studenti di esprimere il proprio giudizio
critico in un gioco assoluto di squadra, diventando oratori e argomentatori. È questa la formula del “Debate”: una
gara aperta in cui la competizione del pro e contro lascia il posto all’integrazione del pensiero. Obiettivo primario del
progetto è infatti, il rispetto reciproco e l’interazione dialettica con il prossimo, senza lasciare indietro nessuno.
Iniziata con successo lo scorso novembre, la sfida cine-filosofica – che conta una cinquantina di ragazze e ragazzi
dai 13 ai 17 anni - continua nei mesi di marzo e aprile, sempre alle ore 14,30 al Farnese, con i film “La migliore
offerta” di Giuseppe Tornatore (2012), in programma il 22 febbraio, “Agora” di Alejandro Amenàbar (2009) il 22
marzo e “Her” di Spike Jonze (2013) il 26 aprile, opere rispettivamente associate ai nuclei tematici Libertà, Tempo,
Amore. Il giorno successivo alla proiezione il cinema ospiterà invece, per gli studenti che hanno visto il film, dei
seminari di approfondimento a cura di professori ed esperti, in forma dialogante con gli stessi giovani; ad
argomentare con la scolaresca ci saranno, nell’ordine, Giuseppe Di Giacomo, Andrea Colamedici e Maura
Gancitano, Alessandro Alfieri. Il critico cinematografico preposto alla spiegazione di argomenti tecnici ed estetici
relativi al linguaggio filmico sarà invece Alessandro Aniballi. Al termine del seminario verrà lanciata una mozione
relativa al film che sarà l’argomento sul quale dovranno confrontarsi successivamente le due squadre create per
ogni scuola (medie e licei) nella competizione del “Debate”. Si avrà una settimana di tempo per prepararsi su ogni
mozione da affrontare in questa sfida, tenendo presente sia i metodi retorici assorbiti nella preparazione (il
regolamento è quello della Società Nazionale Debate Italia) sia le tecniche di presenza scenica edotte nelle
esercitazioni in classe, tenute in precedenza, sulla consapevolezza espressiva di corpo, voce, movimento. E per
prepararsi saranno efficaci e risolutivi gli stessi strumenti che la pandemia ci ha costretto ad utilizzare
quotidianamente, i collegamenti in remoto dal computer: una simulazione virtuale che diventa in questo caso
elemento di stimolo, gioco e allenamento mentale.
Seminari e Debate (questi ultimi si terranno nell’Aula Magna del Liceo Visconti) verranno filmati e andranno poi a
costituire un docufilm a disposizione del pubblico. Allo stesso modo verrà realizzata una pubblicazione editoriale
nella quale verranno raccontate, da docenti e studenti, le varie tappe del progetto.
“Il cinema – dichiara Petrella - attraverso la sua alta forza comunicativa, costituisce uno strumento educativo
fondamentale per potenziare le conoscenze e le competenze sulle questioni sopra esposte. Abbiamo pensato di
rendere maggiormente fruibile il percorso formativo di studio e interpretazione di certi argomenti con lezioni teoriche
e pratiche all’interno di un luogo extrascolastico, e quindi decontestualizzato, per valorizzare le capacità dello
studente di lavorare in cooperative learning, problem solving, peer to peer, utilizzando le tecniche del Dibattito
regolamentato. Il tutto al fine di migliorarne le capacità espositive nel rispetto dell’interlocutore e di gestire al meglio
le proprie attività con autonomia operativa ed organizzativa, proprio attraverso un gioco di squadra: la costruzione
dell’identità personale è infatti sempre frutto di una relazione etica che si costruisce attraverso precise regole di
confronto”.
Il Farnese ArtHouse continua con soddisfazione il processo di integrazione della scuola con la cultura
cinematografica – asserisce Amadei, gestore della sala – e Cinesofia rappresenta non solo l’opportunità di far vivere
e pensare il cinema alle nuove generazioni in forma attiva, ma anche quella di creare un modus operandi atto a
favorire l’inclusione e la solidarietà attraverso un percorso didattico di curricolo verticale e interdisciplinare.
Gli incontri sono aperti alla stampa interessata, previa presentazione di Super green pass e mascherina FFP2.
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che mi ha insegnato la Lingua Italiana a Sofia
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Lettera al me di cinque anni fa
Messaggio rivolto a chi si sta avvicinando al mondo della fotografia
Davide Bilancia
Nel metodo fotografico c'è una vita intera ed è bene mettere a frutto tutto il proprio vissuto, tutte le lezioni di vita imparate
nel corso del tempo traendone ispirazione. Non vi è né un giusto né uno sbagliato poiché ogni elemento che ci caratterizza
fa parte di noi e tutti questi elementi saranno i componenti del nostro stile personale che via via verrà rifinito e modellato,
ed arricchito di ogni nuova esperienza. Man mano che si cresce, si acquisiscono elementi strutturali che ci guideranno ed
accompagneranno nel nostro percorso di crescita fotografica.
Studiare la tecnica e padroneggiarla, applicarla e sperimentarla è esattamente come imparare a parlare; si sente e si
ripete più volte, poi si associa un significato alle parole ed infine ci si esprime come meglio crediamo utilizzando quel
linguaggio affinché chi parla la nostra lingua (fotografica) possa capire e noi potremo interfacciarci meglio con le persone
ed il mondo circostante. Ricordiamo che l'autoapprendimento fa parte di noi e se ci circondano di persone competenti
apprenderemo prima e meglio questo linguaggio e sappi, sappiate, che non c'è mai fine all'apprendimento.
Studia, applicati, e comunica utilizzando la tua esperienza di vita, attraverso la fotografia.
1ª regola: tutto fa brodo:
Ricordo un discorso di Galimberti (il fotografo) in cui raccontava di come il suo lavoro in cantiere con suo padre l'abbia
messo in rotta verso la sua personale visione.
Pertanto un vissuto emotivo, una circostanza vissuta ed assorbita attraverso i sensi ed interiorizzata, parte di una vicenda
che ti ha interessato, raccontare chi sei, esprimere un disagio e narrare una storia di qualsivoglia natura sono elementi
fondamentali per una buona fotografia, autentica, originale e peculiare.
Se ti stai avvicinando alla fotografia non è un caso, significa che hai qualcosa dentro che ha bisogno di parlare, ha bisogno
di attenzione di essere messo in luce.
Personalmente fotografo per far parlare la mia anima che è stracolma di vissuti costruttivi, come la schizofrenia e quando
fotografo mi sento connesso all'universo, rappresentando l'immateriale che mi abita, cogliendo stati emotivi caratteristici e
non fondanti della mia persona.
Fotografo, attraverso il ritrattismo, attimi di passaggio con emozioni uniche, personali, intense e rigogliose.
Non si può parlare, secondo me, di ricerca dello stile poiché lo stile è già dentro di te e vivendo, partecipando a mostre,
parlando con altri Fotografi, sfogliando un libro, un catalogo, parlando con persone affini alla tua anima, il tuo sé coglierà
gli elementi di rimando opportunamente scelti per metterti in condizione di parlare fotograficamente, sfoggiando la tua
capacità comunicativa che diventerà o ritroverai come tuo stile personale, unico ed irripetibile.
“INFERNO – OPERA ROCK”
Lo spettacolo quadridimensionale
ispirato alla celebre cantica della Divina Commedia
Lo spettacolo quadridimensionale “INFERNO – OPERA ROCK”
con brani tratti da “INFERNO”, l’opera rock electro sinfonica di
Francesco Maria Gallo ispirata alla celebre cantica della Divina
Commedia disponibile in formato cd, vinile e in digitale.
“INFERNO – OPERA ROCK” unisce musica, teatro, danza
contemporanea e arti visive: quattro differenti linguaggi attraverso i
quali Francesco Maria Gallo (voce), accompagnato da Ricky
Portera (chitarra in “Caronte” e “Ulisse”) Simona Rae (voce),
Pietro Posani (chitarra), Stefano Peretto (batteria), Daniele Nieri
(basso), Renato Droghetti (piano) e Laura Simpolo (voce
narrante), riproporrà dal vivo la sua personale visione del girone
dell’Inferno dantesco contenuta nell’album “Inferno”.
I visual e le luci sono a cura di Federica Lecce, il sound design
dello show di Rodolfo Rod Mannara.
È online il cortometraggio “CARONTE” (visibile al seguente link
https://youtu.be/p48KG6svePc) candidato all’International Short
Film Festival di Berlino nella sezione film musicali, al Sedicicorto
Forlì International Film Festival e al Belo Horizionte International
Short Film Festival nella sezione shorhfilm international competition.
«Sono molto felice che il mio ultimo lavoro discografico diventi uno
spettacolo – dichiara Francesco Maria Gallo – Il pubblico in sala
sarà accompagnato in un incredibile viaggio all'Inferno attraverso
un'interazione senza soluzione di continuità con le suggestioni di
visual video, voce narrante e un live dei brani contenuti nell’album.
Sarà una vera e propria quaterna di espressioni artistiche differenti
tra di loro, quattro coordinate che renderanno quadridimensionale
questo incredibile viaggio, come fosse un’ipersfera che ci
trasporterà tra un girone e l’altro nella nostra discesa all’Inferno».
Con “INFERNO”, prodotto da Renato Droghetti, il cantautore
Francesco Maria Gallo sovrascrive la propria libera interpretazione
dei canti e dei personaggi scelti, che qui raccontano la loro propria
verità. Il tutto rielaborato in chiave rock, con l’apporto di grandi artisti
quali Ricky Portera, Pier Mingotti, Stefano “Perez” Peretto, Pietro
Posani, Simona Rae e Enrico Evangelisti. Questa la tracklist di
“INFERNO”: “Selva Oscura”, “Caronte”, “Francesca” (interpretata da
Simona Rae), “Bacio Sospeso”, “Medusa”, “Il Silenzio di Pier”, “Il
Gigante”, “Ugolino”, “L’imperatore del dolore” feat. Simona Rea,
“Inferno” feat Enrico Evangelisti e la ghost track “Desolazione”.
D o p o e s s e r s i s m a r r i t o c o m e i l s o m m o p o e t a n e l l a
S e l v a O s c u r a , p u r m a n t e n e n d o l o s g u a r d o r i v o l t o a l
1 2 0 0 , c o n i l b r a n o “ C a r o n t e ” , a t t u a l e s i n g o l o i n
r a d i o , F r a n c e s c o M a r i a G a l l o t r a g h e t t a i l p u b b l i c o
a n c h e n e l l ’ i n f e r n o d e l l a n o s t r a c o n t e m p o r a n e i t à . U n
r i c h i a m o e s p l i c i t o a l p r e s e n t e è c e l a t o n e l l a g h o s t
t r a c k “ D e s o l a z i o n e ” , q u e l P a d r e N o s t r o c h e
r a p p r e s e n t a u n ’ a n t i t e s i d e l l a p r e g h i e r a , u n u r l o
a s p r o e d i s i l l u s o , m a a n c h e l a s p e r a n z a d i p o t e r
r i s v e g l i a r e l ’ a n i m o u m a n o c o r r o t t o d a l t o r p o r e
d e l l ’ e g o i s m o .
È a n c h e d i s p o n i b i l e n e l l e l i b r e r i e e n e g l i s t o r e
d i g i t a l i “ R O C K & R O L L A L L ’ I N F E R N O ” ( G E C
E d i z i o n i ) , l i b r e t t o d i 9 0 p a g i n e c o n i l l u s t r a z i o n i e
c o p e r t i n a a c o l o r i , i n c u i F r a n c e s c o M a r i a G a l l o
o f f r e u n a g u i d a r a g i o n a t a a l l ’ a s c o l t o d e l s u o
“ I N F E R N O ” .
L ' o p e r a R o c k h a a v u t o i l p a t r o c i n i o e i l
r i c o n o s c i m e n t o c o m e o p e r a c u l t u r a l e d i q u a l i t à d a
p a r t e d e l l a f o n d a z i o n e S y m b o l a , c h e p r o m u o v e e
a g g r e g a l e Q u a l i t à I t a l i a n e ( w w w . s y m b o l a . n e t ) .
FRANCESCO MARIA GALLO, cantautore, autore televisivo, storyteller, comunicatore, laureato in
Musicologia e Comunicazione di massa al DAMS di Bologna. Ha scritto diversi format televisivi per
Rai1 e Rai2 tra i quali Suicidi Letterari: Morire di penna nel ‘900 (RAI2), Il Premio per il Lavoro
(due edizioni per RAI2 e una edizione per RAI1), The voice of ethics (TED televisivo sull’etica
dell’innovazione trasmesso in diretta su piattaforma Sky). Ha collaborato con Silvia Ronchey e
Beppe Scaraffia come consulente autorale al Festival della poesia di Sanremo (RAI2). È stato
fondatore, frontman e autore dei Calabrolesi Rock Band e successivamente di Legality Band
Project, entrambe rock band che promuovono etica e legalità. Autore e interprete di diverse
canzoni a sfondo sociale, tra le quali “Ventu” - testo che racconta vicende di ‘Ndrangheta in
Calabria -, nel 2010 ha ricevuto il Leone d’oro di Class CNBC per la comunicazione sociale.
o
o
Cara Sabrina grazie di aver accettato il nostro invito. Parliamo un po di te e
di come nasce il tuo grande amore per la danza...
Innanzitutto grazie a voi per l’interesse alla mia persona ed al mio operato
artistico. Come per tutte le bimbe, i genitori cercano un’attività motoria o sportiva
da unire al percorso scolastico; io non trovavo entusiasmo per nulla, finché non
sono andata a vedere il saggio di danza della mia amichetta, dove da li è
scattato qualcosa ... forse l’ambiente, forse le luci, forse l’atmosfera o forse una
sensazione ... li ho capito che quello era ciò che volevo per me! Da quel
momento ho iniziato, ignara di tutto, a crescere piano piano con questa “seconda
vita”, e l’ho resa mia, tra soddisfazioni, delusioni, felicità e tristezza. Piano piano
mi sono innamorata di quest’arte dedicandole tutta me stessa.
Sei una delle tante ballerine italiane che hanno svolto principalmente la
loro carriera all'estero. Raccontaci i tuoi esordi.....
Finita l’accademia di danza arriva per tutti il momento per cui si cerca e si vuole
realizzare e concretizzare il proprio sogno: entrare a far parte della compagnia di
un teatro. Ho avuto la grande fortuna di lavorare a Torino, mia città natale, con il
grande Paolo Bortoluzzi che in qualità di direttore della Deutsche Oper am Rhein
(Düsseldorf, Germania), mi ha offerto un contratto; senza troppo pensare ho
accettato e sono partita. Si è all’estero, si lavora, si conoscono persone, direttori
e coreografi, e ci si ritrova a cambiare città, compagnia di danza, teatro e
nazione, senza rendersene conto, ma sempre mossi dal desiderio di danzare,
vivere il palcoscenico, e crescere come artisti.
E anche dopo il tuo lavoro è continuato all'estero. Sei stata infatti Maitre du
Ballet al Teatro Dell'Opera di Vienna per tanti anni...Cosa ricordi di
quell'esperienza?
Infatti. Vienna, sicuramente un bel traguardo... entri in teatro e sei affascinato da
tutta la sua imponenza, la sua tradizione, la sua ricchezza e il suo stile unico.
Un’esperienza bellissima, danzare su quel palco è semplicemente mozzafiato, il
lavoro è duro, la concorrenza è altissima ma si è orgogliosi di far parte di tutto
ciò. A Vienna ho avuto anche la grande chance di iniziare il mio passaggio a
maître de Ballet (per le lezioni femminili, le prove dei primi ballerini e assistente
alla coreografia), cosa che mi ha fatto crescere ulteriormente, mi ha dato qualità,
esperienza, garanzia ed “etichetta” per il mio futuro.
Poi il ritorno in Italia accanto alla grande Carla Fracci e suo marito Beppe
Menegatti...
Eh si... sono tornata in Italia proprio grazie alla chiamata di Carla all’opera di
Roma; è nata un’esperienza artistica indimenticabile, un connubio di danza, arte
e sentimento che tutt’ora racchiudo nel cuore. Carla e Beppe mi hanno sempre
tenuta per “mano”, cresciuta, portata avanti, ma soprattutto mi hanno sempre
stimata.
Sempre sulla grande Carla Fracci, sarai
assistente alla direzione del Gala Carla
ro
Fracci che si svolgerà a Milano il 04
Marzo. Sei emozionata per questo
impegno?
Certo, forse emozionata non è il termine
giusto... posso solo dire che preparare
questo spettacolo con il maestro
Menegatti, al suo fianco e a volte mano
nella mano, mi scalda il cuore, perché
entrambi sappiamo quale ferita e quale
vuoto tutt’ora proviamo per aver dovuto
salutare la grande Carla...
Ora oltre la tua attività di maitre, firmi da
alcuni anni anche importanti
coreografie...
È vero, credo semplicemente che il mio
essere ballerina si sviluppi e si trasformi
con le tappe della mia età. È molto bello
continuare a condividere il palcoscenico
attraverso nuove emozioni, lavoro, stili ed
arte, insieme a giovani danzatori ed etoile.
Sei stata appena reduce del grande
successo al Teatro di Stara Zagora, in
Bulgaria, con la tua nuova creazione de
"Le Quattro Stagioni/Omaggio a Franck
Sinatra". Da cosa hai tratto ispirazione
per queste due creazioni?
L’ispirazione è nata chiaramente dalla
musica e dal mio modo di interpretarla e
sentirla tramite la danza. La mia volontà è
quella di voler offrire al pubblico leggerezza
d’animo e qualità ballettistica, ma anche
soprattutto mettere in luce la versatilità
della compagnia del teatro dell’opera di
Stara Zagora.
E continuerai poi in Maggio ancora,
sempre in Bulgaria, per un altro grande
progetto. Vuoi parlarcene?
La Bulgaria sembra diventata un punto di
riferimento del mio lavoro, ci sono
compagnie con buon potenziale e tanta
voglia di fare, quindi, ben venga. Sarà un
balletto diverso nella musicalità e nello stile
da quello proposto all’opera di Stara
Zagora, ma lasciamo un po’ di suspance...
non nascondo che l’emozione del
famosissimo palco di Varna, calcato dalle
più grandi stelle di tutti i tempi, sarà
mozzafiato.
Progetti futuri?
I progetti futuri e le firme a breve su nuovi
contratti non mancano, ma il motto è di fare
un passo alla volta e cercare di portare a
termine, nel miglior modo possibile, il
presente.
Cos'e per lei la Danza?
La danza sono io, il mio tutto e il mio cuore
“parlante”.
ph @diego dattilo
"DA DISNEY A DUBAI:
VI RACCONTO LA MIA FIABA"
Ph. Monica Irma Ricci
Raccontaci qualcosa di te e di come hai iniziato a
ballare.
Sono nato a Roma nel ‘97 e la mia passione per la
danza è nata praticamente subito, fin dalla tenera
età. Ricordo che mia mamma metteva in televisione
il programma di ballo di Natalia Estrada e rimanevo
catturato dalle danze e dai ballerini, cercando di
copiarli io stesso. Mi racconta anche che a due anni
alle feste mi mettevo al centro della pista e ballavo
come se nessuno stesse guardando.
Ma è stato solo all’età di nove anni che mi sono
avvicinato per la prima volta ad una sala di danza.
Iniziai con la danza moderna, per poi approdare due
anni dopo al classico.
A 12 anni sono stato ammesso alla Scuola del Teatro
dell’Opera di Roma e la mia permanenza all’interno
dell’istituzione è durata circa 4 anni, di seguito ho
terminato alla Scuola del Balletto di Roma.
Una volta terminati gli studi fortunatamente ho
trovato subito lavoro, prima come ballerino per
Disneyland Paris, di seguito nella compagnia Astra
Roma Ballet di Diana Ferrara e ultimamente sempre
come ballerino all’Expo di Dubai.
Quali sono gli ostacoli affrontati e le
soddisfazioni?
Sicuramente il periodo più duro è stato quello della
scuola, durante la fascia d’età che va dai 12 ai 16
anni. All’interno della scuola di danza dell’Opera non
ero considerato uno dei migliori elementi tra gli
allievi maschi per via della mia struttura corporea
che non rispecchiava a pieno i canoni che la danza
classica richiede, ma nonostante tutto, ho sempre
lottato con le unghie e con i denti pur di migliorare e
far cambiare idea agli insegnanti. È stato un periodo
della mia vita molto duro a livello di stress
psicologico. Tuttavia durante il primo anno ebbi
comunque l’occasione di partecipare a “Lo
Schiaccianoci” al Teatro Nazionale, ed è
un’esperienza di cui sarò sempre grato e che porterò
sempre nel cuore.
Le soddisfazioni sono arrivate tutte
successivamente, inizialmente vincendo un primo
premio ad un concorso coreografico al Teatro
Tendastrisce di Roma e una borsa di studio al
Festival Renato Fiumicelli a Gubbio, in seguito con i
primi lavori da ballerino professionista. Il ricordo più
lieto e soddisfacente è stato aver ottenuto il ruolo di
Papageno nel balletto de “Il Flauto Magico” dove
Ph. Monica Irma Ricci
finalmente mi esibivo in tour come solista,
nonostante avessi solo 19 anni. Da lì è sempre stato
un crescendo, con alti e bassi, ma sono stati anni in
cui sono riuscito piano piano ad autoaffermarmi.
Oltre la danza ci sono altre attività che ti
appassionano? Che progetti hai per il futuro?
Ho sempre amato l’arte e la pittura, ma non l’ho mai
presa davvero in considerazione perché ho messo
sempre in primo piano la danza. Grazie alla
pandemia, che ci ha costretti a fermarci, ho deciso
finalmente di approfondire questa mia altra passione
e così mi sono iscritto all’indirizzo di Scenografia
dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Adesso sono al
secondo anno e mi sta appassionando moltissimo,
soprattutto la parte relativa alla progettazione dei
costumi.
Per quanto riguarda il futuro non voglio fare progetti;
ci sarebbero tantissime cose che mi piacerebbe fare
tra cui il ballerino sulle navi da crociera, il
costumista, il coreografo, il dance captain, il concept
artist, lavorare nel backstage cinematografico... ma
non voglio fossilizzarmi su queste idee, ho imparato
nel mio breve tratto di vita che le cose belle arrivano
per caso e sono quelle che non ti saresti mai
immaginato e che sono persino migliori di quelle che
avresti desiderato. Quindi mi affido al destino, senza
mai smettere di impegnarmi per quello che amo fare.
Ph. Monica Irma Ricci
Ph. Monica Irma Ricci
Ph. Monica Irma Ricci
Ph. Monica Irma Ricci
Senza la
danza
non sarei
nulla!
Ph. Monica Irma Ricci
Ph. Monica Irma Ricci
ro
Ph. Monica Irma Ricci
Vittoria Tagliapietra è nata vent’anni fa
a Venezia. Sin da piccolina ha sempre
fatto danza, prima spinta un pò dai
genitori. Dopo una breve interruzione a
9 anni ha ripreso lo studio della danza
per curiosità, interesse che l’ha portata
ad essere una ballerina professionista.
Vittoria ha sempre studiato nella sua
città natale fino a quando, nel 2017, il
coreografo Damiano Bisozzi le ha
assegnato una borsa di studio per il
corso di perfezionamento professionale
al Molinari Art Center, con la direzione
artistica del Maestro Giacomo Molinari.
Terminati gli studi, si è trasferita a
Roma per frequentare il corso di
perfezionamento conclusosi a dicembre
del 2021, un corso che le ha permesso
di entrare a pieni voti al corso di
avviamento professionale.
Durante il corso viene notata dal
direttore Giacomo Molinari che la
scrittura come ballerina dell’ensemble
della Compagnia Nazionale del Balletto.
Il ruolo assegnatole le permette di
ballare in vari balletti:
Anime allo specchio di Donatella
Pandiglio e Rita Calmarano
Next to you di Manuel Bartolotto
The Black Sun di Cristina Pitrelli
Chiude l’anno entrando nel Corpo di
ballo al Christmas World a Roma.
Vittoria ripete a tutti: “La danza da
sempre fa parte della mia vita e ho
sempre sognato potesse diventare un
giorno il mio lavoro”.
La voglia di diventare una ballerina
completa e versatile la spinge a
studiare tutti i giorni più stili nella
speranza che presto il sogno diventi
realtà.
“Senza la danza non sarei nulla –
continua Vittoria - è l’unica cosa che mi
permette di essere me stessa e di
sfogare qualsiasi cosa accada. Con la
danza è come se avessi una relazione,
la amo e la odio. Ma senza di lei so che
non sarei mai felice al cento per cento”.
Ph. Monica Irma Ricci
Ph. Monica Irma Ricci
Model and dancer: Vittoria Tagliapietra, Kamil Pawel
Jasinski and Mirko Luigi Giannini
Ph. Monica Irma Ricci
Studio: Hangar63 @LineaB.net
www.instagram.com/_vittoriatagliapietra_/
www.istagram.com/i.r.m.a19/
www.istagram.com/maurimenga
www.monicairmaricci.it
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Atlantide
un libro da leggere e da ascoltare
o
NOPE – HOPE L’ALBUM DEBUTTO
DI ELECTRIC SHEEP COLLECTIVE.
A BRAND-NEW PROJECT!
Electric Sheep Collective Un esperimento collettivo per un suono complesso e allo stesso tempo diretto. Il nuovo
progetto guidato da Angelo Olivieri, musicista apprezzato da pubblico e critica, considerato tra i migliori trombettisti
italiani (con numerose menzioni al Top jazz e ai JazzIt Awards), che vanta un gran numero di collaborazioni sia in studio
che dal vivo con artisti del calibro di William Parker, Hamid Drake, Butch Morris, Vincent Courtois, John Sinclair, John
Tchicai, Andrew Cyrille, Maria Pia De Vito, Bruce Ditmas, solo per citarne alcuni.
Il sound del collettivo mette insieme groove tipici del funk e dell’hip-hop con composizioni di matrice jazzistica e
improvvisativa fortemente influenzate dalla scena free contemporanea di New York e di Chicago, un impianto
consolidato su cui si innesta il rap-spoken word di Joe Nize, performer nigeriano già attivo in patria nella scena
Afro-Pop. A completare l’organico alcuni dei migliori nuovi talenti in circolazione. Il giovane sassofonista Vincenzo
Vicaro, musicista poliedrico e con uno stile originale derivante dalla sua formazione classica, il bassista Riccardo
Di Fiandra, che si sta mettendo in luce come uno dei compositori più brillanti di musica contemporanea (sue le
musiche del concept work Circle), il batterista Daniele Di Pentima, tablista e fondatore del progetto italo-indiano
Anatma e il pianista Lewis Saccocci (New Talents Jazz Orchestra, Cubist Dream di Bruce Ditmas) tra i musicisti in
forte ascesa nel panorama nazionale. A loro si uniscono al trombone Andrea Angeloni (Perugia Jazz Orchestra) e
la performer Ashai Lombardo Arop, artista poliedrica che contribuisce al sound del gruppo con spoken word,
backing vocals e movimenti di danza. L’approccio è radicale, sia nei suoni che nei contenuti, a volte fortemente legati a
dinamiche sociali come la questione migratoria e segue il solco tracciato da pionieri come Langston Hughes, Umar Bin
Hassan, The Roots. L’elaborazione di “metriche imprecise” è un altro dei cardini dello sviluppo della musica di Electric
Sheep Collective e da qui viene il nome, legato al capolavoro di Philip K. Dick Do Androids Dream of Electric Sheep? (da
cui Ridley Scott ne ha tratto il celebre film Blade Runner) e alla possibilità di imparare l’imperfezione dalle macchine.
La reinvenzione di pattern alla J Dilla, alla Hood e la riproduzione di quell’incertezza, quella meravigliosa imperfezione,
modalità prettamente umana, si afferma da subito come tratto distintivo del nascente sound Electric Sheep Collective,
unico nella scena italiana, con cui la band dimostra di avere tutte le carte in regola per confrontarsi al meglio con l’attuale
panorama internazionale.
NOPE – HOPE è l’album di debutto di ELECTRIC SHEEP COLLECTIVE. Negli 8 brani inediti si va dal più immediato
Same Boat fino alla complessità di Twelve. Tutte composizioni originali eccetto la rivisitazione di Circle in the round di
Davis. L’intendimento generale è di sviluppare una relazione tra modernità, radici e sperimentazione senza astenersi dal
confronto su temi pressanti del nostro tempo. Il titolo si compone dei nomi del primo brano, NOPE, e dell'ultimo,
HOPE. Un percorso Fuori dal centro per Restare umani.
Electric Sheep Collective è formato da:
Ashai Lombardo Arop - voce
Joe Nize – voce
Angelo Olivieri – tromba, efx
Vincenzo Vicaro – sassofoni
Andrea Angeloni - trombone
Lewis Saccocci – tastiere, synth
Manlio Maresca - chitarra, efx
Joe Serafini - turntable, efx
Riccardo Di Fiandra – basso
Daniele Di Pentima – batteria
Blackpink: The Movie è il doc uscito nelle sale con la distribuzione di Nexo Digital e arrivato tra i film Disney+ di
febbraio 2022. Una versione ibrida a metà tra sequenze live e dirette che va segnando il periodo di ristrettezze
dovute alla pandemia da Covid-19, che ha unito spezzoni di concerti avvenuti dal vivo del gruppo coreano e il loro
The Show trasmesso in streaming il 31 gennaio 2021.
L’ evento, ospitato sulla piattaforma ufficiale delle Blackpink, ha raccolto 280.000 spettatori, tutti collegati per
festeggiare il quinto anniversario dal debutto del gruppo K-pop, che non potendo celebrare l'importante tappa
raggiunta in quella che inizialmente doveva essere una tournée internazionale, ha deciso di restringere comunque la
lontananza con i fan intrattenendoli online - trovate su YouTube il record di visualizzazioni delle Blackpink.
Il documentario, diretto da Oh Yoon-dong e Jung Su-yee, racchiudono momenti diversi, dal tour mondiale svoltosi
pre-Covid a quello organizzato in livestream da YG Entertainment.
Sia che si tratti delle riprese per The Show, che delle coreografie e esibizioni in giro per i palcoscenici di tutto il
mondo, o della condivisione di pensieri e momenti che le componenti delle Blackpink rilasciano insieme o in solitaria,
il documentario non riesce ad aggiungere nulla alla creazione e allo sviluppo del team o a lasciare alcunché allo
spettatore. Blackpink: The Movie è un titolo consigliato a chi vuole studiare e o conoscere il fenomeno K-pop in
generale con un fucus sulle Blackpink.
Fonte- https://cinema.everyeye.it/
“BTS Permission To Dance On Stage – Seoul”, i BTS annunciano tre live a marzo in presenza e in streaming.
Dopo BTS Permission To Dance On Stage a ottobre, e il successo della campagna UNICEF LOVE MYSELF,
un’iniziativa che ha raggiunto quasi tutti i paesi del mondo con messaggi positivi sull’amore e la cura di se stessi,
la boyband più amata della Corea annuncia un nuovo concerto in streaming. La Big Hit Music ha infatti comunicato
su WeVerse l’arrivo di BTS Permission To Dance On Stage – Seoul, una serie di concerti che si terranno il 10, 12 e
13 marzo sia in presenza che in streaming. La location dei live – come si evince dal nome dell’evento – sarà
l’Olympic Stadium di Seoul e ha una portata enorme, perché è da ben due anni e mezzo che i BTS non si
esibiscono nella Capitale coreana. L’ultimo live a Seoul era stato infatti nella data del BTS World Tour Love
Yourself: Speak Yourself The Final a ottobre 2019. Un’eternità! Quali live potranno essere visti online? I concerti
del 10 e del 13 marzo saranno trasmessi anche in live streaming, mentre il concerto del 12 marzo sarà trasmesso
in live viewing nei cinema di tutto il mondo.
Chi Sono I Bangtan Boy?
Boy band sudcoreana formatasi a Seul nel 2013 è composta da RM, Jin, Suga, J-Hope, Jimin, V e Jungkook.
Originariamente concentrati sull’ hip hop, hanno poi introdotto nel mercato del mainstream statunitense il K-Pop,
(ndr Korean Pop). Il gruppo nel giro di pochi anni ha abbracciato una gamma più ampia di generi, con canzoni
prevalentemente scritte e composte dal settetto stesso. I testi esplorano temi differenti, dalle ansie scolastiche alla
situazione sociale, dalla salute mentale all'amor proprio, includendo riferimenti alla letteratura e alla psicologia ed
esplorando un universo alternativo. Per questo motivo ad ottobre scorso sono stati scelti dall’ UNICEF per lanciare
la campagna mondiale LOVE MYSELF, iniziativa sul disagio giovanile. La Boy Band coreana e l’UNICEF hanno
portato in giro per mondo messaggi positivi sull’amore e la cura di se stessi. I BTS hanno raccolto 3,6 milioni di
dollari per sostenere l’impegno dell’UNICEF. «Abbiamo lanciato LOVE MYSELF come un modo per raggiungere i
giovani e aiutarli a migliorare le proprie vite e i loro diritti. – hanno dichiarato i BTS – Durante il percorso, ci siamo
sforzati anche noi di Amare noi stessi e, come gruppo e singoli individui, siamo cresciuti. Speriamo che molte
persone abbiano sentito come l’amore ricevuto dagli altri possa diventare il potere che permette loro di amare se
stessi». Attualmente sono gli artisti più venduti in Corea del Sud, con oltre 32,7 milioni di dischi fisici dall'esordio al
novembre 2021. Nel 2020 sono stati i primi coreani ad arrivare al vertice della Billboard Hot 100, grazie al singolo
Dynamite.
FRANCO MICALIZZI
“L’UOMO TRINITÁ”
Conosciuto come compositore, arrangiatore e direttore d'orchestra,
Franco Micalizzi cavalca una nuova vita.
Classe 1939, arriva al successo a 31 anni grazie ad una colonna sonora
di uno dei film considerato un Cult Movie anche se, quando uscì, fu
definito film di serie B.
Era il 1970 e Franco riceve l'incarico di comporre la sua prima colonna
sonora, per un film diretto da E.B. Clucher: "LO CHIAMAVANO
TRINITÀ”, con Terence Hill e Bud Spencer.
Il successo strepitoso sia in Italia che all'estero inaugura l'inizio del
genere Spaghetti Western e Micalizzi entra a pieno titolo nel novero dei
compositori di Colonne Sonore più richiesto. A 52 anni di distanza da
quella uscita non servono più lande desolate o infinite scazzottate per
ascoltare la sua musica. Di tanto in tanto il maestro ci regala musiche
memorabili come il suo ultimo lavoro di prossima pubblicazione dal titolo
wertmulleriano: “Travolto dall’irresistibile richiamo degli intrepidi
anni ’60 in una notte d’estate”. E proprio sul titolo il Maestro precisa: “Il
lungo titolo di questo album è già la spiegazione del suo perché. Sì è
vero, una forte nostalgia degli anni ‘60 mi ha portato a progettarlo e
spero che vi porterà l’aria ed il profumo di quel periodo - racconta Franco
Micalizzi - melodie belle ed ispirate, tante novità nel campo dei balli dal
Twist all’Hully Gully, al Cha Cha Cha, al Mambo e poi altri. Chi c’era
ricorderà con piacere i balli della mattonella e la piacevolezza di stringere
tra le braccia una bella ragazza illudendosi magari di piacerle, almeno
per quei 3 minuti in pista. E poi le fumose atmosfere del ‘Night’, le feste
all’aperto d’estate, sempre accompagnate da musiche molto accattivanti.
Non a caso tanti successi di quegli anni sono molto conosciuti ancora
oggi. Insomma, ripenso a quella certa musica, quel certo brivido, quel
dolce lasciarsi andare senza le ossessioni dei cellulari e della
comunicazione globale, il poter essere felici e riparati nel proprio privato”
L’amore per la musica che Micalizzi ha sin da giovane esce fuori
dalle canzoni contenute in questo album, alcune presentate in
anteprima per far assaporare i favolosi anni 60 anche a chi non li ha
vissuti direttamente. E allora ecco i ritmi da spiaggia di “Sapore di
Sale” di Gino Paoli cantata da Edoardo Vianello, oppure la
malinconica “Estate” del grande Bruno Martino interpretata da
Mario Biondi, o i ritmi sud americani tipici del tempo con “? Oye
Como Va”… feat Ramon Caraballo.
Franco Micalizzi ci ha raccontato come è stata scelta questa canzone:
“Quando pensavo di aver finito la ricerca delle cose belle da ricordare
degli anni sessanta - mentre ero alla cassa del supermercato, con le
mani impicciate tra carta di credito, busta in più e con la fila dietro che
spingeva metaforicamente per sbrigarsi, mi chiama al cellulare mio
fratello Mario e mi dice: ma tu nella tua ricerca dei successi anni ’60 ti sei
dimenticato di una perla, di un brano pieno di ottimismo che non puoi
fare a meno di ballare, che ti fa pensare subito all’estate sul mare, alle
serate in bella compagnia e io gli ho detto, un po’ contrariato, data la
situazione precaria, ok ma mi vuoi dire il titolo? “?OYE COMO VA” è
stata la risposta e ha aggiunto: non ti ricordi che lo suonavi anche con la
tua orchestra? L’ho salutato in modo sbrigativo ma quel brano è riemerso
nei miei pensieri e non me ne sono più liberato. Troppo bello,
musicalmente così apparentemente semplice e così efficace… io ve lo
consiglio vi farà solo bene.”
Con Franco Micalizzi si torna dunque a parlare della musica degli anni
60 del secolo scorso, anni nei quali le melodie del Belpaese sono
diventate famose in tutte il mondo costituendo la colonna sonora di
diverse generazioni. Micalizzi con “Travolto dall’irresistibile richiamo degli
intrepidi anni ’60 in una notte d’estate” conferma che le canzoni di quel
periodo continuano ad essere evergreen e non passano mai di moda…
Edoardo Vianello insieme a Franco Micalizzi
Ramon Caraballo
Mario Biondi
I’M NOT A BLONDE
Talk of Love
Un’aquila pronta a spiccare il volo, a lasciarsi guidare dalla brezza primaverile per
scoprire il mondo e soprattutto sé stessa. "Talk of Love", il nuovo singolo del duo
electro-pop I’m not a Blonde. A due mesi di distanza dall’ultima release, Talk of Love
è il singolo che anticipa il nuovo EP This is Light in uscita l’8 aprile, secondo capitolo
che segue Welcome Shadows.
Insieme, i due EP costituiscono l’album Welcome Shadows, This is Light, il quarto nella
discografia della formazione composta dalla milanese Camilla Benedini e
l’italoamericana Chiara Castello.
Un raffinato progetto articolato sul dualismo fra ombra e luce, distopia e utopia, senso
della fine e urgenza di rinascita, in cui Talk of Love rappresenta proprio il punto di
passaggio, come in un rito iniziatico: è il momento di abbandonare le ombre e lasciarsi
travolgere da una visione più luminosa e carica di speranza in un mondo nuovo.
Fra arpeggiatori, synth, chitarre melodiche e cassa in quattro, Talk of Love è il
risveglio della natura alla fine dell’inverno, il lasciarsi alle spalle le proprie paure
per imparare a credere in sé stessi e negli altri, la gioia di uno sguardo nuovo,
più ampio e capace di accogliere tutta la bellezza e la potenza di questo pianeta.
Il brano è così l’altra faccia della medaglia della traccia oscura, distopica e
cibernetica Winter is not coming che in Welcome Shadows denunciava, in
sintonia con il movimento Fridays for Future, la distruttività dell’azione umana
sull’ambiente. Adesso, invece, è il momento di delineare un futuro diverso.
Questo senso di rinascita e rigenerazione si traduce in un lyric video che trova
nell’elemento acquatico il proprio baricentro. L’acqua, le bolle, il movimento e le linee
del corpo che progressivamente si abbandonano all’immersione, concorrono a una
danza sospesa tra sogno e realtà, sopra e sotto, riflessi e galleggiamenti.
Intanto, le I’m Not a Blonde si esibiranno live il 26 febbraio al Circolo Dev di Bologna e
l’11 marzo ai Giardini Luzzati di Genova.
I’m Not a Blonde è un duo italo-americano di base a Milano composto da
Chiara Castello e Camilla Matley. Il loro elegante electro-pop – fatto di ritmi e
synth anni ’80 e chitarre e melodie dal sapore punk/rock anni ’90 – si muove
in perfetto equilibrio fra gli aspetti delle due personalità: ironia e follia,
divertimento e serietà, minimalismo e art-pop, digitale e analogico. Tutto
avvolto da un velo di malinconia di derivazione new wave che dona alla loro
musica una precisa identità e uno stile inconfondibile.
Esordiscono nel 2016 con l’album Introducing I’m Not a Blonde e dallo stesso
anno entrano stabilmente nel roster di INRI. Il 2018 è l’anno del secondo LP
dal titolo The Blonde Album, cui segue nel 2019 la pubblicazione del terzo
disco Under the Rug, presentato al Reeperbahn Festival in Germania.
Particolarmente apprezzate dalla stampa e dal pubblico dell’Europa centronord,
sul piano internazionale collaborano con la label Backseat e con il
booking All Rooms di Berlino.
Prima che la pandemia bloccasse il mondo, sono state protagoniste in diversi
festival italiani e internazionali, condividendo il palco con artisti del calibro di
Duran Duran, Moderat, Soulwax, Peaches, Ghostpoet, Hurts e molti altri. Dal
vivo, le loro architetture sonore fatte di sovrapposizioni di loop di voci,
chitarre, synth e beat elettronici riempiono lo spazio del palco con la forza e
l’impatto di una full band. Il loro stile ha sedotto artisti di fama mondiale che
hanno scelto I’m Not a Blonde per l’apertura dei live in Italia: i Franz
Ferdinand nel 2018 all’Unipol Arena di Bologna, The Killers a Rock in Roma
(2018), i Wolf Alice per la loro data unica in Italia del 2018 e Miki Shinoda dei
Linkin’ Park nel 2019 a Milano e Padova.
Orfane della dimensione live a causa del lockdown, pubblicano nel 2020 l’EP
Songs from Home. Nel 2021 vincono la call indetta da Italia Music Export, a
supporto della loro attività promozionale all’estero.
Anticipato dai singoli Circles e 1984, il 10 dicembre 2021 è uscito l’EP
Welcome Shadows, primo capitolo di un progetto articolato in due tappe. Nel
2022 uscirà il secondo capitolo This is Light, di cui il singolo Talk of Love,
fuori il 18 febbraio 2022 è il primo assaggio.
Ph Alessia Cuoghi
Nina Simone ha una voce che ti entra nell’anima. Lei ti ipnotizza, ti sconvolge,
in un attimo può farti provare l’estasi più vera e un secondo dopo può gettarti
in un baratro profondo, e quando credi di essere spacciato ti riprende fra le
sue braccia e ti trasporta in mondi sovrannaturali. Lei che non voleva cantare il
jazz poiché ritenuta da tutta la sua famiglia la musica del demonio, si ritrova
ad esserne una delle interpreti più sconvolgenti del novecento. Nina Simone
nasce nel Luglio del 1954 in un bar umido di Atlantic City, con il pavimento
ricoperto di segatura e l’aria satura di fumo di sigaretta.
Era stata ingaggiata per tenere alcuni concerti al Midtown Bar & Grill uno
squallido night club a pochi metri dal lungomare di Atlanta. La prima sera,
vestita come se dovesse tenere un concerto di musica classica, Eunice
Waymon si mise seduta al piano e si abbandonò alla musica. Suonò Bach,
alcune arie gospel e altre canzoni di moda in quel periodo, ma non cantò, non
era una cantante pensava, lei era una pianista. A fine serata il proprietario le
riferì che alcuni clienti si erano lamentati, troppa musica. Se voleva continuare
ad avere un posto di lavoro doveva cantare. Fu in quel momento che Eunice
Waymont, la bambina prodigio che tutti pensavano destinata ad essere la
prima concertista di colore d’America,
si trasforma in Nina Simone. Eunice
non voleva assolutamente che la sua
famiglia sapesse che buttava via il
suo dono e anni di studio del
pianoforte per intrattenere ubriaconi in
un luogo indegno suonando la musica
del diavolo, così scelse un nome
d’arte. Da quel momento in poi Nina
piano piano prende il sopravvento su
Eunice, la sua voce ammalia, la sua
musica è perfetta e ad ogni concerto
si sprigiona nell’aria un magnetismo
particolare che ipnotizza. Nel 1956 a
New York fu programmata la prima
sessione in studio, qualcuno della
Bethlehem records voleva imporle la
scaletta per la registrazione.Ma Nina
che se ne infischiava di registrazioni e
classifiche, rispose che non incideva
canzoni a comando, o sceglieva lei o
non se ne faceva nulla. Incise così
per la prima volta I loves You Porgy,
Love Me or Leave Me, Little Girl blue,
Good Bait e altre cover ad eccezione
dei due brani strumentali African
Mailman e Central Park Blues scritti
durante la sessione di registrazione, e
la canzone che le fece scalare le
classifiche del tempo, ovvero My Baby
Just Cares for Me. Dopo tredici ore
filate in studio di registrazione, Nina
Simone prese il suo assegno, tornò a
Philadelphia e dormì per dodici ore
filate, al suo risveglio Eunice
Waymont suonò per tre giorni
consecutivi Beethoven, per purificarsi
da quella giornata dove Nina Simone
aveva inciso musica leggera. Nina
Simon prese il suo assegno , tornò a
Philadelphia per dodici ore filate, al
suo risveglio Eunice Waymont suonò
per tre giorni consecutivi Beethoven, per purificarsi da quella giornata dove
Nina Simone aveva inciso musica leggera. Questa alternanza di personalità,
la porterà sempre di più all’isolamento. Poche persone riusciranno a
comprendere che dentro di lei convivevano tante donne, ognuna con i propri
sogni. Era nello stesso momento una timida bambina prodigio, un artista
sfavillante, un innamorata pronta ad annullarsi per gli uomini, una pazza
furiosa, una guerriera instancabile, una diva assoluta, una visionaria, una
strega. Quando credi di aver imparato a conoscere Eunice Waymon, la
ragazzina prodigio che voleva diventare la prima concertista classica nera, ti
ritrovi d’un tratto a guardare negli occhi Nina, la guerriera che a colpi di
musica combatte per i diritti dei neri cantando Flo Me La come grido di guerra
rivendicando un identità e una libertà fino ad allora negate. Eunice Waymont
sogna una famiglia e il sostegno di un uomo profondamente innamorato, Nina
Simone vive questo sogno come una limitazione alla sua voglia di scendere
nel sud a combattereper i diritti e la libertà al fianco di personaggi come
Martin Luther King o Malcom X. Nina Simone vive un esperienza di violenza
cieca da parte del suo fidanzato Andrew Stroud dal quale fugge, Eunice
Waymont lo sposa il 4 dicembre del 1961.
TuttoBallo
stress, la fatica e le avversità della vita che lei interpretò
come tradimenti, crollò. Da quel momento in poi non
riuscirà più a trovare una vera stabilità emotiva e anche
la sua carriera ne risentirà pesantemente.
Viaggiò in Africa alla ricerca delle sue radici, per poi
tornare negli Stati Uniti e in Europa a ricercare
nuovamente quel successo e quella vita che aveva
abbandonato.Nei suoi concerti ipnotizzava gli spettatori
sia con la sua musica che con la sua spettacolarità,
come quando a metà concerto si alzò dal piano
allargando le braccia e urlando “lo spirito è qui!”, oppure
in altre occasioni inveiva contro di loro. Nonostante la
sua instabilità mentale e la malattia e i forti dolori che la
paralizzavano, continuò fino quasi da ultimo a salire sul
palco e a cantare. Nina Simone muore il 21 aprile del
2003 nella sua casa di Carry Le Rouet, nel sud della
Francia, all’età di settanta anni, ma il suo mito, vive
ancora. Entrare in contatto con la sua musica, la sua
voce e la sua vita è un esperienza sovrannaturale che ti
cambia dentro, Vederla nei video del tempo con gli occhi
fissi in un mondo parallelo ti da la certezza che il suo
spirito è sempre tra noi, beffardo, pronto a cambiare
l’anima di chiunque lo ascolti....Grazie di tutto Nina.
SONIA LIPPI
giterrandoblog.blogspot.com
In alcune sue composizioni si coglie la volontà di voler
esprimere contemporaneamente tutte le sfaccettature
della sua anima, come nella bellissima Four Women, dove
oltre a riscontrare alcuni tratti biografici di Eunice, si
coglie il pathos e la rabbia trattenuta di Nina, oppure
come in I Put Spell on You , dove esce tutta l’africanità di
Nina, come se fosse una stregona che non si arrende alla
perdita del suo uomo e gli lancia un incantesimo.
Il 21 febbraio del 1965 fù sconvolta dall’uccisione di
Malcom X. Venne presa da una crisi di rabbia, voleva
lasciare tutto imbracciare le armi e diventare una vera
rivoluzionaria, ma Andy Stroud suo marito e manager
convinse Nina a restare, lei come una belva in gabbia usò
la sua voce e la sua musica come arma contro
l’oppressione dell’uomo bianco. Così nella primavera del
1965 Nina registrò l’album “Pastel Blues” inserendo in
esso due capolavori rivoluzionari, Sinnerman canzone
della disperazione e del disincanto e la bellissima
commovente e tragica Strange Fruit considerata una delle
canzoni di denuncia che hanno cambiato il modo di
pensare del tempo. Ma la fragilità di Eunice iniziò a farsi
sentire, Nina era sottoposta a continui concerti e
registrazioni in giro per l’America e non solo, pregava suo
marito di farla riposare ma annullare gli impegni sarebbe
stato deleterio per la sua immagine, fino a quando per lo
Malakay
MILLENNIUM GHETTO
Millennium ghetto è il nuovo singolo del rapper e produttore sardo Malakay, vero nome Andrea Camboni. Primo capitolo di
una narrazione più ampia e complessa scritta da Malakay, una fotografia del nostro momento storico, delle paure e delle ansie
che viviamo a causa della pandemia a cui fanno da contraltare i riferimenti culturali e le angosce che hanno dominato la fine del
vecchio millennio e l’inizio del nuovo. Nel video, scritto dallo stesso Malakay e prodotto da Nubifilm Studio con la regia di
Claudio Spanu, la fuga del rapper dai suoi rapitori non è niente di diverso da quello che cerchiamo di fare tutti ogni giorno:
scappare dai nostri errori passati, dalle nostre paure, da ciò che non vogliamo vedere. Ma non importa quanto corriamo, quale
remoto nascondiglio riusciamo a raggiungere, quei demoni saranno lì ad aspettarci (Baby, la senti l’ansia da lockdown?).
Attraversato da una “nostalgia” verso i primi anni del nuovo millennio, con un’idea di suono a metà strada tra Kanye West,
Pharrell e Ty Dolla Sign, il brano si apre con il discorso che Bill Clinton fece alla fine del 1999, quando si temeva che il
“millennium bug” potesse mandare in crash tutti i computer del pianeta scatenando una guerra informatica e un blocco mondiale
delle infrastrutture. Rappresentante della scena rap da più di 10 anni, con Millennium ghetto Malakay ha sviluppato un sound e
un immaginario in cui le sonorità elettroniche si fondono con quelle hip hop, “ho iniziato a lavorare sul beat partendo dal sample
di un coro africano, volevo qualcosa di etereo che sembrasse quasi sacro, per lavorare sul contrasto con gli altri elementi”.
Le influenze elettroniche e ambient, testimoniante dalle sonorità distorte del ritornello e dall’utilizzo del Talkbox, fanno da
tappeto a un flow e a un’interpretazione vicina alla trap, “avevo l’intenzione di creare un sound nuovo” - afferma Malakay -
“diverso il più possibile da quello che stavano facendo tutti gli altri”. A fare da protagonisti nel brano i riferimenti alla cultura pop
dei primi anni 2000 che hanno segnato l’immaginario culturale di Malakay come l’uscita di College Dropout, l’album d’esordio di
Kanye West o Austin Powers la serie di film parodia delle storie di spionaggio degli anni Sessanta o ancora il riferimento al film
del 2007 di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez Grindhouse (“è appena uscito College Dropout/ fa ancora ridere Austin
Powers/ mi sento Rodriguez in Grindhouse/ Darth Maul sembra il nuovo Darth Vader / We were born in the millenium
ghetto”).L’uscita del singolo è stata anticipata da un video monologo pubblicato sul profilo Instagram di Malakay, scritto con il
regista del video Claudio Spanu e l’autore Luca Darden, una riflessione sulla potenza creativa del fallimento. “Quando è arrivato
il primo lockdown io avevo un album in uscita che è ovviamente stato stoppato e poi cancellato, tutto quello che avevo fatto fino
a quel momento era stato inutile e sentivo che quella sensazione fosse condivisa praticamente da tutti” afferma Malakay. Il
fallimento si trasforma, così, in un’occasione per scegliere cosa fare della propria vita e capire come fallire il meno possibile.
Guardal qui il video://www.youtube.com/watch?v=tG7uu3t6S4M
Ascolta qui Millennium ghetto: https://lnk.fu.ga/millenniumghetto
MARCO VEZZOSO
ALESSANDRO COLLINA
Il duo jazz torna con "“Kind Of Vasco”
Il duo jazz MARCO VEZZOSO e ALESSANDRO COLLINA torna per
un nuovo speciale progetto discografico strumentale realizzato per
l’occasione insieme al percussionista ANDREA MARCHESINI. Il 18
marzo esce in formato fisico e digitale “KIND OF VASCO”, un doppio
album contenente alcuni dei brani più famosi di Vasco Rossi rivisitati in
chiave jazz per omaggiare il rocker che ha da poco compiuto 70 anni.
“Kind Of Vasco” si compone di 15 brani in cui la tromba prende il
posto della voce per dare vita ad una metamorfosi che unisce il rock al
jazz, passando per sonorità proprie della musica classica e della world
music. Il progetto vede anche la partecipazione di un’orchestra d’archi
diretta dal maestro Corrado Trabuio e l’intervento del famoso violinista
indiano Neyveli S. Radhakrishna.
L’idea del progetto nasce dopo il successo della versione strumentale
di “Sally”, dall’album “Italian Spirit” (Egea Music/Art in Live, 2020), che
ha ricevuto l’apprezzamento dello stesso artista. Dal loro primo incontro
musicale nel 2014, il duo formato dal trombettista piemontese Marco
Vezzoso (che dal 2012 vive e insegna oltralpe presso il Conservatorio
Nazionale di Nizza) e il pianista jazz ligure Alessandro Collina ha
percorso molta strada conquistando fin da subito il Sol Levante.
Marco Vezzoso e Alessandro Collina hanno all’attivo 5 album,
numerosi concerti tra Francia e Italia e diversi tour internazionali. Nel
2015 il primo tour in Giappone, il cui live ad Osaka è stato registrato e
pubblicato dall’etichetta giapponese DaVinci. Nel 2017, un lungo tour
estivo li porta ad esibirsi in Cambogia, Indonesia e nuovamente in
Giappone, con un concerto di chiusura a Tokyo. Negli anni a seguire
girano live Indonesia, Malesia, Repubblica Ceca (2018), Norvegia e
Cina, dove hanno rappresentato l’Italia al primo Festival Europeo del
Jazz a Canton (2019) e Turchia (2020). Nel 2020 pubblicano “Italian
Spirit”, un disco che celebra il loro sodalizio artistico cominciato in
Giappone e arrivato fino in Cina passando per Cambogia, Indonesia e
Malesia. L’album racchiude 11 tra le più belle canzoni degli ultimi 30
anni del secolo scorso, rivisitate in chiave acustica. Il duo, insieme al
percussionista Andrea Marchesini, ha presentato il disco dal vivo in
collegamento streaming per il pubblico di Tokyo. Sulla scia del
successo ottenuto dal live, il 9 luglio la ITI Records (casa discografica
di Tampa – USA) ha pubblicato per il mercato degli Stati Uniti e
Giappone “Italian Spirit Live in Japan”, attualmente in rotazione su oltre
50 radio statunitensi. A ottobre 2021 è uscito “Travel”, un album
simbolo di una commistione di tradizioni, generi ed esperienze musicali
e artistiche, realizzato in collaborazione con il celebre percussionista
Trilok Gurtu, padre della world music, e Dominique Di Piazza, uno dei
migliori bassisti al mondo.
www.instagram.com/p/CaZOmnjg2pD/?utm_medium=copy_link.
PAT METHENY
SIDE EYE, nuovo tour
Con questo nuovo tour Pat Metheny prosegue nel suo
percorso di ricerca di straordinari talenti emergenti
che hanno attirato il suo interesse in questi ultimi
anni: “Sin dai miei primi giorni a Kansas City, ho
avuto il privilegio di conoscere tanti musicisti più
grandi di me e tali incontri mi hanno permesso di
scrivere la mia musica attraverso il prisma della loro
esperienza. Ora sento l’esigenza di creare una
piattaforma per concentrarmi su alcuni dei molti
musicisti più giovani che mi sono piaciuti di recente e
con cui ho sentito una sorta di parentela. Ascolto
regolarmente i nuovi artisti e spesso li invito a
suonare a casa mia. Trovo ispirazione dal modo in cui
affrontano le sfide musicali sulle vecchie e le nuove
melodie e sono affascinato dalla possibilità di scrivere
nuova musica solo per loro”. Questa edizione di Side
Eye sarà caratterizzata dalla presenza di James
Francies, al piano e alle tastiere, del batterista Marcus
Gilmore e di parte dell’Orchestrion, la band
elettromeccanica vista in Italia nel 2010.
tre appuntamenti
speciali a Milano
Cantautore e autore tra i più stimati del panorama
italiano, PACIFICO (all’anagrafe Gino De
Crescenzo) ha all’attivo sei dischi (“Pacifico”,
“Musica Leggera”, “Dal giardino tropicale”, “Dentro
ogni casa”, “Una voce non basta” e “Bastasse il
cielo”) e negli anni si è aggiudicato numerosi premi e
riconoscimenti, tra cui il Premio Tenco per la
Migliore Opera Prima e la Targa Tenco 2015 come
Migliore canzone dell’anno con il brano Le storie che
non conosci”, scritto e interpretato con Samuele
Bersani. Vanta due partecipazioni a al Festival di
Sanremo: la prima nel 2004 con il brano “Solo un
sogno” (premio per la miglior musica) e la seconda
nel 2018 con Ornella Vanoni e Tony Bungaro con il
brano “Imparare ad amarsi”. Ha pubblicato per
Baldini e Castoldi, il romanzo “Ti ho dato un bacio
mentre dormivi”, poi ripubblicato da La Nave di
Teseo. Oltre al decennale sodalizio con Gianna
Nannini, nel corso della sua carriera ha scritto per
Andrea Bocelli, Gianni Morandi, Adriano Celentano,
Malika Ayane, Eros Ramazzotti, Zucchero, Giorgia,
Antonello Venditti, Extraliscio, Claudio Capeo e molti
altri. A marzo 2019 esce il suo sesto album
“Bastasse il cielo”, da cui sono stati estratti cinque
singoli accompagnati dai videoclip disegnati dal
celebre illustratore Franco Matticchio: il frutto di
questa collaborazione è stato ospitato nella prima
mostra virtuale della Milanesiana. A dicembre dello
stesso anno, ha ideato e messo in scena al teatro
Filodrammatici di Milano “La Settimana Pacifica”,
una serie di sette concerti che hanno visto la
presenza, ogni sera, di grandi ospiti: Malika Ayane,
Samuele Bersani, Gianna Nannini, Francesco De
Gregori, Giuliano Sangiorgi, Francesco Bianconi e
Neri Marcorè. Nel 2021 firma la colonna sonora del
film di Michela Andreozzi “Genitori Vs. Influencer”,
contenente la canzone originale “Gli Anni Davanti”,
candidata come migliore canzone ai Nastri
D’Argento 2021.
Il cantautore e autore nel 2022 torna sul palco con
“PACIFICO in STUDIO – Dove aspettano le
canzoni”, tre speciali appuntamenti ( 10 marzo, 7
aprile e 5 maggio) al Volvo Studio Milano (Viale
della Liberazione angolo Via Melchiorre Gioia,
Milano). Concerti-conversazioni in cui Pacifico,
accompagnato sul palco da Antonio Leofreddi (viola)
e affiancato dai suoi ospiti, indagherà sul perché si
scrivono, si cantano e si ricordano per sempre le
canzoni: un dialogo ambientato in una stanza
immaginaria, piena di ricordi, strumenti, lampade,
tappeti e scatole di libri in cui mettere ordine
seguendo le note di una canzone. La regia audio è a
firma di Max Faggioni e la regia video è a firma di
Matteo Milanino.
“Canzoni di rabbia e divertimento” il 10 marzo
(ospite il giornalista Enzo Gentile), “Canzoni che
diventano grandi” il 7 aprile (ospite il musicista e
produttore Vittorio Cosma) e “Canzoni ancora da
scrivere” il 5 maggio (ospite il cantautore Giovanni
Truppi, con il quale Pacifico ha recentemente coscritto
il brano “Tuo padre, mia madre, Lucia”
presentato al 72° Festival di Sanremo).Tutti gli
appuntamenti avranno inizio alle ore 21.00. Ingresso
su prenotazione con consumazione obbligatoria fino
ad esaurimento posti. L’entrata è consentita solo
con green pass rafforzato e mascherina FFP2. Tutte
le informazioni sui prossimi appuntamenti
Riccardo Cocchi & Yulia Zagoruychenko
10 volte Campioni del Mondo Latin
TuttoBallo
Guinardi Fabbri - 3 posto danza ritmica - Pechino 2022
Manoel Francisco dos Santos, meglio noto come Garrincha
Ronaldo de Assis Moreira, in arte Ronaldinho
Approfittando del periodo olimpico (che non sembra porterà a una tregua, anzi
tutt’altro) possiamo provare a renderci conto di quanto la danza sia presente negli
sport delle Olimpiadi estive e invernali: pattinaggio artistico, nuoto sincronizzato e
ginnastica artistica, tra gli altri, sembrano avere un legame più che diretto con la
danza, ma che cosa possiamo dire di altri sport?
Se è vero che gli sport di squadra sembrano più richiamare le modalità della battaglia,
è altrettanto vero che spesso è l’individualità artistica che fuoriesce dal gruppo a
richiamare inevitabilmente la bellezza e la competenza dei movimenti che possono a
buon diritto essere chiamati danza.
Consideriamo banalmente il calcio, sport di squadra che, a differenza di altri, ha ormai
quasi completamente eliminato la figura dell’artista, che sopravvive nella riserva
indiana delle fasce laterali, dove all’esterno viene chiesto espressamente di apportare
quel guizzo imprevisto che, dopo una manovra organizzata nei dettagli, facilita il
raggiungimento dell’obiettivo, il gol. Le fasce laterali sono da sempre la culla dei grandi
artisti, anarchici che avevano la capacità di regolare i propri movimenti con o senza
palla in modo esteticamente entusiasmante; un nome su tutti: il brasiliano Garrincha,
il numero 7 per antonomasia. O mestre, maestro delle finte e dei dribbling, che con le
sue gambe impari da poliomielitico riusciva a depistare i difensori e a trasformare i
tifosi di una partita in spettatori di uno spettacolo. Restando al Brasile, patria del Joga
Bonito, ossia del Bel Gioco, sono tantissimi i nomi vecchi e nuovi che possono entrare
nel discorso: Pelè, Zico, Socrates, Didì, Vavà, Ronaldo… ma dopo gli anni ‘50 di
Garrincha avviciniamoci ai giorni nostri: Ronaldinho è forse il giocatore che per ultimo
ha portato avanti la gloriosa scuola dei fantasisti nel mondo. Veder giocare Ronaldinho
significava provare emozione già dal sapere che sarebbe sceso in campo, perché
pregustavi già che qualcosa ti avrebbe toccato le corde giuste, ti avrebbe fatto godere
ed esultare anche se il tuo cuore stava con l’altra squadra; l’effetto che fanno gli artisti
quando riescono a portare un barlume di bellezza agli altri. E Ronaldinho lo faceva col
ballo, con la danza, oltre che col pallone: che fosse con un sombrero (la maestria del
giocatore-ballerino fa sì che il pallone scavalchi l’avversario per poi riprenderlo tra i
piedi), con un elastico (il giocatore-ballerino sposta istantaneamente il pallone da una
parte all’altra depistando l’avversario), con un doppio passo (il giocatore ballerino
muove i piedi sul pallone senza toccarlo, sfruttando completamente la potenzialità del
movimento del corpo), o con quella che è il massimo delle figure prestate dalla danza
allo sport, ovvero la rabona, che potrebbe tranquillamente venir utilizzata durante una
milonga (il giocatore-ballerino calcia il pallone incrociando i piedi, quindi col sinistro
che calcia passando dietro al piede destro e viceversa, proprio come in un passo
d’incrocio) ha portato il suo futbol bailado in giro per il mondo.
Come ci suggerisce l’ultima frase, c’è tutta una terminologia che il mondo del calcio
prende dalla danza per evocare una bellezza e una grazia che gli appartengono
soltanto in parte: oltre al futbol bailado, secondo i vari giornalisti i calciatori “calcano” i
“teatri” più importanti, tra i quali spicca l’iconico stadio Meazza di Milano, “la Scala del
calcio”. Gianni Brera così scriveva di Sivori: “Impadronitosi del pallone, Sivori non è
più propriamente un calciatore, bensì un ballerino classico o, se preferite, un espada.
[...]Danza i suoi dribbling […]. Ripetuti come mosse sempre nuove, i pases de
dribbling assurgono a numero di danza”.
Sono tantissimi i calciatori che hanno ballato sul pallone: Matthews, Di Stefano,
Meazza, Schiaffino, Maradona, Baggio, Totti, hanno portato il gesto armonioso tra i
calci e le spinte, lo stile e l’eleganza nella brutalità della battaglia, la poesia nella
prosaccia di uno sport giocato con i piedi. Ma oltre al calcio c’è di più, come ci si
dimentica troppo spesso: ad esempio c’è il basket, altro sport di squadra nel quale il
corpo e i suoi movimenti assurgono a importanza principale, a volte più della palla
stessa. I cinque giocatori di una squadra, e per risposta anche i cinque della squadra
avversaria, si muovono sul parquet rispettando degli schemi definiti all’interno dei quali
il singolo si può di volta in volta esaltare.
Nancy Berti & Alessandro Camerotto
Campioni Italiani Professionisti 2012
TuttoBallo
Mettono in scena una coreografia, ciascuno ha non soltanto il proprio ruolo, come nel
calcio, ma una posizione precisa che di volta in volta cambia in seguito allo
svolgimento dell’azione disegnata da un coreografo chiamato allenatore: un
giocatore-ballerino porta un blocco (usa il corpo immobile per impedire un movimento
a un avversario e agevolare il movimento di un compagno), esegue uno spin-move
(diretto a canestro, aggira l’avversario ruotando un piede quando gli è a ridosso, per
poi ritrovarsi nuovamente diretto verso il canestro), effettua un terzo tempo (nel
basket non si possono fare più di due passi con la palla in mano senza palleggiare
quindi occorre coordinarsi per saltare verso il canestro tirare), usa il piede perno (il
giocatore che ha bloccato il palleggio o appena ricevuto un passaggio ‘si muove da
fermo’ facendo perno su un piede che non si stacca da terra), attua una finta di corpo
(è tale il controllo del proprio corpo da parte del giocatore-ballerino che basta una
scrollata di spalle o un movimento della testa per destabilizzare l’avversario, dando
l’effetto visivo di un breve passo a due) tutte azioni che esaltano le capacità di
coordinazione dei giocatori-ballerini. È proprio il piede perno uno dei movimenti
che più richiamano la danza, spesso usato dal giocatore centro-pivot che
supera abbondantemente i 2 metri di altezza e i 100 chili di peso e che eppure si
muove con la grazia, la scioltezza e la plasticità di una étoile. In questo breve
elenco di movimenti ballerini, il basket ne ha uno che sublima il senso estetico,
la coordinazione, il movimento plastico e armonioso: la schiacciata, esaltata da
figure come Julius Erving, il primo a creare figure artistiche in volo durante il
salto, Michael Jordan, che ha prolungato il tempo del volo e aumentato il livello
artistico, ad esempio spostando il pallone da una mano all’altra durante il volo
per poi concludere a canestro, o Vince Carter, meno conosciuto ma che negli
anni 2000 ha portato quest’arte a un livello di perfezione forse mai più
raggiungibile, ad esempio con rotazioni in volo di 360° per poi concludere con
una schiacciata fragorosa.
Per finire, uscendo dagli sport di squadra si può trovare il trait d’union tra sport e
danza, rappresentato dalla boxe. Senza considerarli avversari, i due pugili potrebbero
tranquillamente essere una coppia di ballo che esegue un passo lento e cadenzato,
in cui ai movimenti dell’uno rispondono specularmente quelli dell’altro. E se è vero
che finora abbiamo provato a unire allo scopo dello sport in questione il gesto, il
movimento e l’armonia che sono propri della danza, questo breve intervento non può
che chiudersi con la figura di Cassius Clay-Mohammed Alì. Danzando come una
farfalla e pungendo come un’ape, muovendosi sul ring come se davvero fosse un
palcoscenico, Alì ha rappresentato il perfetto esempio di sportivo-ballerino, talmente
perfetto da poter essere quasi considerato un ballerino-sportivo; nel movimento
armonioso dei suoi piedi, elegante e ipnotico, la poesia del gesto che sottende un
significato, che rimanda ad altro, tribale e raffinato, rabbioso e gioioso, vale a dire il
gesto, tutti i gesti, di ogni tipo di ballo.
David Iori
traduttore ispanoamericano e portoghese
www.ilcontaconti.wordpress.com
Luana e Luka Fanni
Campioni Italiani Professionisti Latin Showdance 20001
5 volte finalisti ai Campionati mondiali Latino Americani
Vincitori prima edizione di Campioni di Ballo (Rete 4)
Cassius-Clay-Muhammad-Ali-Joe-Frazier
L’accessibilità della musica passa attraverso il supporto sul quale viene incisa. Questo vale per tutti i generi, ma per il Tango
ha una valenza particolare grazie alla sua storia secolare. Ripercorrendo la nascita e l’evoluzione del Tango si può fare un
viaggio lungo le invenzioni che hanno consentito di diffondere la cultura musicale nel mondo.
Il primo strumento in grado di riprodurre il suono fu il fonografo inventato da Thomas Edison nel 1878, un oggetto costituito
da un rullo di ottone di circa 10 cm sostenuto da un asse filettato. Sul cilindro era tracciato un solco a spirale di 2,5 mm di
larghezza e la superficie del cilindro era ricoperta da un foglio di stagnola. Durante la registrazione, il cilindro ruotava e la
stagnola veniva sfiorata dalla puntina collegata alla membrana vibrante. La puntina, seguendo le oscillazioni della
membrana, incideva una traccia profonda nella stagnola che, tesa sopra al solco, poteva cedere sotto la pressione. Poiché
era ancora sconosciuto il sistema di copia da una matrice iniziale, con questo apparecchio l’artista doveva incidere tante
volte quante erano le copie di cilindri da produrre. La realizzazione di cilindri con temi di Tango interessò artisti come Angel
Villoldo, Linda Thelma ed i coniugi Gobbi, in un periodo compreso tra il 1898 ed il 1914.
Successivamente alla comparsa del fonografo, Chichester Bell e Summer Tainter brevettarono il grafonono, ossia una
evoluzione del fonografo che utilizzava un cilindro con uno strato di cera al posto della stagnola. Grazie all'utilizzo di un
braccio snodabile che riduceva la pressione della puntina sulla cera il solco aveva una larghezza di 0,7 millesimi di
millimetro, quindi, il passo dell'incisione si riduceva a 0,16 mm, aumentando la durata della registrazione fino ad oltre i 2
minuti. A metà degli anni ’80 Emile Berliner pensò di utilizzare un disco al posto del cilindro in cui la puntina invece di
oscillare verso l'alto e il basso, oscilla a destra e a sinistra. Tale invenzione venne chiamata grammofono e il brevetto venne
ottenuto da Berliner nel novembre 1887. L’enorme vantaggio di questa invenzione fu che il disco fonografico poteva essere
riprodotto in più copie molto più semplicemente che i cilindri di Edison. Il Tango dei primordi poté essere diffuso su vasta
scala attraverso le incisioni acustiche, che perdurarono fino al 1926, in dischi incisi su un solo lato. In Argentina, le matrici,
ossia l’incisione iniziale del brano, veniva spedita in Germania, Francia, Brasile o negli Stati Uniti per essere replicata con
tiratura commerciale. Su tali supporti venne registrata gran parte delle prime
produzioni del tango della Guardia Vieja, ma anche le versioni eseguite dalle
bande municipali di Buenos Aires e della banda Repubblicana di Parigi. A
partire dal 1910 si affaccia anche la versione del disco fonografico inciso su
due facce, mentre viene standardizzata una velocità di 80 giri per minuto.
Durante questo decennio sorgono un’infinità di case discografiche per la
diffusione commerciale della musica in tutti gli ambienti (Polyphon, Telephone,
Columbia, Nacional Odeón, Pathé e Victor, tanto per citare alcuni tra gli esempi
più importanti). Tutte queste imprese avviarono un vero e proprio reclutamento
di artisti, orchestre, bande musicali per creare un repertorio su vasta scala. Nel
caso del Tango le case discografiche si attrezzarono per costituire delle
orchestre ad hoc alle quali far incidere le hit del momento, così il Tango trovò il
proprio riscatto sociale ed una grande diffusione oltre il perimetro rioplatense
dove era nato. Artisti come Vicente Greco e la sua Orquesta Tipica Criolla
lasciarono in eredità le prime registrazioni di tanghi popolari come Rosendo e
Don Juan; Juan Maglio Pacho incise il primo brano con assolo di bandoneon
(La sonambula); infine Carlos Gardel fece conoscere al mondo lo stile creolo
del Tango canción.
Non c’è dubbio che alla metà degli anni ’20 il Tango era diventato un fenomeno
commerciale dalle ampie possibilità di guadagno. Il business venne percepito
da due colossi della musica dell’epoca, la Odeon e la Victor, mentre nel mondo
delle tecniche di registrazione quella acustica veniva sostituita da quella
elettrica. Siamo nel 1926 e la Odeon sperimenta la registrazione elettrica con
Carlos Gardel incidendo i tanghi Corrientes e El pibe. L’anno successivo, la
velocità di incisione passa da 80 a 78 giri per minuto, dando vita al famoso
disco a 78 giri (78 rpm) che fece la storia della musica fino all’avvento dell’LP.
Su tale supporto a 78 giri si affermò l’intera produzione tanguera della Epoca
de Oro. Le case discografiche Victor e Odeon continuarono ad arricchirsi
contrattando i migliori artisti e le orchestre più famose, ma il mercato permise
anche ad altre realtà di inserirsi nel mercato musicale del Tango. Per questo
motivo vi furono diversi tentativi di far crollare il duopolio Victor-Odeon da parte
di altre etichette come Electra, Brunswick, Columbia, ecc.
Nel 1948, le basse velocità di riproduzione a 33 giri per minuto, applicate alle
lastre infrangibili, create dall'ingegnere Peter nel 1945, conquistarono il
mercato nordamericano introdotto dalla Columbia Records. Il disco a 33 giri, o
long playing, soppiantò progressivamente il disco in gommalacca che veniva
riprodotto a 78 giri, grazie alla migliore qualità e durata del vinile. Su un singolo
vinile potevano essere incisi fino a 12 brani, 6 per lato. La musica entra
definitivamente nell’era moderna nello stesso momento in cui la RCA Victor
lanciò il disco a 45 giri, di dimensioni ridotte rispetto al 33 giri e dalla capacità di
2-4 brani per disco. Nel 1950 quando un gruppo finanziario argentino,
composto da investitori della Sicamericana e dell'Argentina Sono Film, regalò a
Buenos Aires i primi dischi stampati a 33 giri, prodotti da tempo in Perù, il primo
interprete di Tango legato alla nuova tecnica di incisione fu Carlos Di Sarli, che
iniziò la serie di dischi di 17 cm di diametro con quattro classici del suo
repertorio: El opio, La gran muñeca, El incendio e Germaine. Solo più tardi
arrivò Odeon con Fresedo, Pugliese, De Caro, Canaro, Gardel e altri. La
versione di vinile a 45 giri con vari diametri, detto anche EP (extended play), si
afferma contestualmente alla commercializzazione dei juke-box e convive con
la versione a 33 giri, quando, il 18 agosto 1990, in seguito a un accordo tra
tutte le multinazionali del disco viene cessata la grande produzione del
supporto (fino al 1991), tuttavia venne prodotto ancora fino al 1993, quando
anche il 33 giri cedette definitivamente il posto a musicassette e CD.
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Marino Cassandro nasce a Firenze il 7 febbraio 1969, in una
famiglia che ha sempre manifestato particolare attenzione per l’arte
in generale, e per le capacità creative in qualsiasi forma si
esprimessero. La sua indole sognatrice e “ribelle” non gli ha
permesso di seguire gli studi accademici, pertanto, ha coltivato
la sua passione e affinato la tecnica da autodidatta. Marino ama
la pittura, vive per trovare il punto d’incontro con l’universo, che
rappresenta il senso della sua ricerca pittorica e della sua esistenza
stessa. La sua pittura è informale, esclude ogni forma
tradizionale e l’astrattismo di ordine geometrico, cerca di
esprimere la forza e le suggestioni della materia presentandole
in libere associazioni. L'artista cerca la sinergia tra colore, linee e
forme al fine di ottenere equilibrio e consapevolezza del proprio sé.
Dopo anni di ricerca, tramite la sua anima, usata come strumento di
analisi di sé stesso, ha acquisito la consapevolezza del tutto che ha
origine dal punto. L'essere umano non può vivere di vita propria,
ha la necessità di nutrirsi, dissetarsi, ricevere energia solare,
aria, componenti fondamentali per la sopravvivenza. Lo stesso
principio lo ritroviamo anche nel mondo animale e vegetale, tutti uniti
in questa legge universale. Senza questa verità tutto decadrebbe.
Da questa analisi introspettiva Marino vede il tutto: Il punto la
sfera o il cerchio viene identificato, come un essere umano, con
un suo microcosmo interiore e con esso descrive il personale il
sociale il cosmico e lo spirituale. Il colore rappresenta l'energia
che ognuno riveste in base alla propria conoscenza. Colori scuri
energia bassa, colorati alta e rappresenta l’universo essenza di una
singolarità di amore.
https://www.youtube.com/channel/UCfOQcsZ4IXGZcLWoF82KGlg/videos
http://www.marinocassandropittore.it/opere/
Un pomeriggio di attività per famiglie dedicate
al "carnevale degli animali e delle piante": il
MUSE - Museo delle Scienze si anima con
laboratori creativi, giochi e attività scientifiche
sui temi del mimetismo, delle illusioni e del
mascheramento nel mondo naturale.
Piante che “si travestono” da sassi per non
essere mangiate, rapaci notturni che si
confondono con le tinte della corteccia fino a
“scomparire” e pesci che, per intimidire i
predatori, sfoderano un grande “occhio” finto
sul loro corpo. Sono solo alcune delle strategie
che molte piante e animali mettono in campo
per difendersi da potenziali pericoli, trarre
vantaggi o riuscire a comunicare. Martedì 1
marzo 2022, in pieno spirito di Carnevale, il
MUSE propone “Scherzi in Natura”, un
pomeriggio di attività, laboratori e corner
informativi che, declinati in chiave scientifica,
giocheranno proprio sui temi del
mascheramento e dello scherzo.
Come immagine promozionale dell’evento è
stato scelto un allocco di Lapponia, animale
campione di mimetismo grazie al suo
piumaggio che richiama perfettamente i colori
della corteccia degli alberi.
L I B R I
TuttoBallo
LO SCRIGNO DELLA MEMORIA
Recensione di Roberta Vogna
Pur non avendo mai letto nulla di Kathryn Hughes è comunque un'autrice che
conosco bene, so che ha uno stile unico e particolare e che i suoi libri sanno
toccare nel profondo il cuore del lettore... Non è un caso che proprio oggi nel Giorno
della Memoria esca il suo nuovo libro, in cui conduce il lettore in un viaggio nel
tempo proprio ai terribili giorni della seconda guerra mondiale... In Lo scrigno della
memoria Kathryn Hughes ci racconta di due donne che apparentemente non hanno
molto in comune: una è una centenaria che sta passando gli ultimi giorni in una
casa di riposo, l'altra è una giovane donna di poco più di 20 anni che lavora e fa
mille sacrifici per realizzare il suo sogno eppure il caso vuole che si incontrino e che
tra loro si instauri un'amicizia sincera e insieme riescono a curare le ferite l'una
dell'altra, soprattutto Candice grazie all'anziana Jennifer riesce a trovare la forza di
emergere e di ritrovare la strada verso la felicità.
Rubrica a cura del blog
"Il COLORE DEI LIBRI"
http://ilcoloredeilibri.blogspot.com/
LO SCRIGNO DELLA MEMORIA
di KATHRYN HUGHES
Prezzo: € 19,00 | Ebook: € 9,99 |
Pagine: 432| Genere: Narrativa Contemporanea|
Editore: Casa Editrice Nord|
Data di Pubblicazione: 27 Gennaio |
TRAMA
Due donne distanti nel tempo, eppure
vicinissime Un ricordo perduto Un legame che
nemmeno la guerra è riuscita a spezzare
Esistono vite senza rimpianti? Forse sì, pensa
Candice, durante i festeggiamenti per il
centesimo compleanno di Jenny. Di tutti gli ospiti
della casa di riposo, Jenny è quella cui lei si è
affezionata di più, sempre serena, soddisfatta,
appagata. Eppure, quella sera, di ritorno nella
sua stanza, l'anziana mostra a Candice uno
scrigno con dentro un fascio di vecchie lettere e
un ciottolo raccolto su una spiaggia lontana. Ciò
che è accaduto su quella spiaggia è un peso che
da troppo grava sulla sua coscienza e, ora che la
fine è vicina, Jenny ha bisogno di chiudere
finalmente i conti col passato. Quindi chiede a
Candice di accompagnarla in Italia, là dove tutto
è iniziato, e lei accetta di buon grado: quel
viaggio potrebbe essere l'occasione giusta per
prendere le distanze da un'esistenza monotona,
dalle difficoltà economiche e da un fidanzato fin
troppo possessivo. E così, passo dopo passo,
Candice si ritrova a raccogliere i frammenti di
una storia scritta nella polvere della guerra, la
storia di una ragazza accecata dall'amore, di un
uomo idealista e irascibile, e dell'istante che ha
cambiato tutto. Perché quando un legame
diventa tanto stretto da risultare soffocante, è il
momento di scegliere se sacrificarsi o ribellarsi,
subire o reagire. E presto, seguendo le orme di
Jenny, anche Candice sarà costretta a fare una
scelta definitiva...
Tra presente e passato il lettore viaggia insieme a Jennifer e Candice, con loro fa
sia un viaggio nei ricordi sia il lungo viaggio in Italia, luogo dove Jennifer ha vissuto
per anni e dove ha visto fino a che punto era crudele la follia dei nazisti... Sono
genovese di nascita e mi ha colpito particolarmente il racconto di Jennifer, il mio
cuore si è spezzato insieme al suo e nello stesso tempo ho ringraziato l'autrice per
come con le sue parole ha reso giustizia alle tante vittime di una guerra senza
senso. All'inizio ho trovato il ritmo narrativo un po' lento, ma considerando i temi
trattati è perfetto, perché scandisce il lento ed inesorabile scorrere del tempo, inoltre
da maggiore incisività alla storia, che viene raccontata attraverso due punti di vista:
quello di Jennifer tra presente e passato e quello di Candice nel suo presente
insieme ad un uomo che dice di amarla e invece non fa che manipolarla in maniera
totalmente egoistica e violenta. Lo scrigno della memoria ci parla di amore, di
rinunce, di sacrifici e di dolore e l'amore che ci racconta in queste pagine Kathryn
Hughes è qualcosa di più grande del sentimento tra un uomo e una donna, è
l'amore che si instaura tra due amiche, tra due fratelli o con le persone che hanno
accolto Jennifer nel corso della sua vita e che le hanno lasciato grandi
insegnamenti... Ma anche l'amore quello malato, che diventa veleno che uccide
piano piano, proprio come quello tra Candice e Beau, un amore che spezza e
qualche volta finisce per uccidere.
Kathryn Hughes pagina dopo pagina mi ha conquistata con il suo stile accurato, in
cui nulla è lasciato al caso, uno stile scorrevole e coinvolgente, in cui si nota il lungo
lavoro di ricerca fatto dall'autrice stessa, che cita fatti storici realmente accaduti con
incredibile precisione, tanto che il lettore ha l'impressione di viverli insieme alla
protagonista. Inizialmente le 432 che costituiscono Lo scrigno della memoria mi
avevano spaventata, poi man mano che procedevo con la lettura mi son resa conto
che non solo ero incapace di staccarmi dal libro, ma che ogni capitolo volava via
veloce, totalmente coinvolta dalla storia delle due protagoniste non mi sono resa
conto del passare delle ore, non mi sono mai distratta o annoiata e ho letteralmente
divorato il libro. Una lettura questa che consiglio a tutti, un libro che sono sicura vi
resterà nel cuore, con la sua storia così vera e terribilmente attuale...
TuttoBallo
Milanesi di tutto il Mondo,
unitevi Qui:
Assia Karaguiozova
D u e v o l u m i f r i z z a n t i e s p e n s i e r a t i ,
l ’ a u t r i c e , M i c h e l a P r o i e t t i , g i o r n a l i s t a
d e l C o r r i e r e d e l l a S e r a , s i d i m o s t r a
e s s e r e v a l i d o e s e m p i o p e r u n a
c o m u n i c a z i o n e r i u s c i t a : i m p e g n o
c o s t a n t e , c o l s o r r i s o . S e m p r e !
L a M i l a n e s e e L a M i l a n e s e 2
P r e f a z i o n e d i I n è s d e l a F r e s s a n g e
Tre nuove collane musicali per la cura del copro, dell’anima e della mente.
Prodotte dall’associazione Stefano Francia EnjoyArt, Pomodoro Studio
Edizioni Musicale - Always Record e composte dalla compositrice
americana Judie Collins e dal maestro Ciro Vinci.
Dopo il successo di "Dillo Alla Danza vol 2" pubblicato in occasione della Giornata
Mondiale della Danza, l'associazione Stefano Francia EnjoyArt, lancia una nuova
produzione discografica dedicata ai ritmi di tutti gli stili di danza. La collana
discografica, disponibile su ogni digital store (Spotify, Deezer, Amazon Music, Apple
Music… ) sarà composta da vari volumi, ognuno dei quali studierà il ritmo di una
singola danza. I primi 3 volume sono dedicati al ritmo del Cha Cha Cha e Rumba e un
volume dedicato al relax e meditazione.
"Rhythm" è studiata per agevolare l'insegnamento musicale e coreutico di ogni
singolo ballo. In ogni volume amatori e professionisti possono sviluppare la loro
tecnica seguendo il ritmo della danza selezionata…
"Relaxing" invece, è una collana che raccoglie brani composti per accompagnare il
danzatore nell’ attività di rilassamento quotidiano e meditazione composte a 432 Hz.
L’accordo a 432 Hertz (Hz) risuona con le frequenze fondamentali del vivente: battito
cardiaco, replicazione del DNA, sincronizzazione cerebrale, e con la Risonanza di
Schumann e la geometria della creazione.
“Musicoterapia” La musicoterapia è una disciplina basata sull'uso della musica come
strumento educativo, riabilitativo o terapeutico. Basandosi su questa definizione il
Pianista, musicoterapista, compositore, vocal coach, Ciro Vinci, persenta il suo primo
abum sul benssere dell’essere umano intitolandolo “Musicoterapia”, un lavoro
composto da 8 track con lo scopo di educare, riabilitare e accrescere la cultura del
benessere. Diversi studi hanno dimostrato che la musica influenza il cervello ed il
corpo, l’ascolto delle note musicali sono utile per alleviare lo stress, ridurre la
depressione e contrastare stati mentali negativi. Molte ricerche sull’argomento hanno
evidenziato che alcuni dei principali modi in cui la musica può aiutarci a sentirci
meglio, è ridurre l’ansia, migliorando l’ accettazione di sé e facilitando la
comunicazione e le relazioni con gli altri, ascoltare musica è altamente legato
all’aumento di stati di felicità. La musica a questa frequenza è stata utilizzata per
migliaia di anni come musico terapia anche se è decollato nei primi anni 2000.
Le pubblicazioni discografiche prodotte dalla Stefano Francia EnjoyArt sonos state
composte scegliendo melodie musicali, concentrate sui ritmi accompagnati da solo
armonie per sviluppare maggiore concentrazione e apprendere meglio il rimo di un
ballo. Oggi avere una conoscenza di base della musica, e in particolare del ritmo,
aiuta nei movimenti e armonia del copro. Una base ritmica è il giusto supporto per
memorizzare la coreografia, per migliorare la coordinazione con il partner o i partner
e, soprattutto, a muoverci a tempo. Ogni singola Album è utile ai principianti, agli
amatori ai professionisti, ai semplici appassionati di musica, e ai coach. L’utilizzo della
musica nell’apprendimento sviluppa maggiori endorfine rendendolo più facile. Il
progetto è stato realizzato da Fabrizio Silvestri e Bernardo Lafonte. La produzione è
affidata al Pomodoro Studio Edizioni Musicale e la distribuzione, negli store digitali,
alla Always Record. La composizione delle basi musicali ritmiche di latini, standard,
liscio e ballo da sala e caraibici è affidata all’artista Americana Julie Collins, mentre la
musico terapia al maestro Ciro Vinci, Pianista, musicoterapista, compositore, vocal
coach. La sua musica innovativa ed elegante dotata d’intensa espressività è frutto di
una ricerca profonda ed elaborata di contaminazioni sonore che si aprono al new age,
al jazz, alla musica mediterranea e la rendono pienamente compatibile come colonna
sonora d’ immagini surreali. Dal 2019 compone musiche per programmi televisivi in
onda su “La 7” e per spot pubblicitari per reti nazionali e Web. Gli album sono
disponibili su tutti i digital store.
di Sandro Mallamaci
Esce in libreria, per Effigi Editore, una nuova collana di studi per la valorizzazione dei patrimoni fotografici, custoditi presso la fondazione
AAMOD e non solo. Accanto alla storica e periodica pubblicazione degli Annali dell'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e
Democratico, si aggiunge dunque "Storia Sguardi Icone", una serie di volumi che ha tra gli obiettivi quello di approfondire la ricerca nel campo
degli studi storici, sociali, antropologici anche attraverso l'uso delle fonti fotografiche, oltreché filmiche.
L'intento è infatti quello di realizzare cataloghi ragionati di fondi di immagini fisse, conservate in un istituto, pubblico o privato che sia,
contestualizzando le occasioni di realizzazione, di aggregazione e uso, la provenienza, le finalità di autori e committenti, proponendo al
tempo stesso connessioni con altra documentazione, con fonti correlate di altre tipologie, nonché attraverso percorsi utili ai fini della
formazione e della didattica. Ogni catalogo propone infatti "percorsi espositivi" veri e propri, con preziosi contributi critici, che precedono le
fotografie, offrendo vari spunti di ricerca anche inediti, ai fini di un utilizzo laboratoriale da parte di insegnanti e studenti.
Un apparato iniziale di contributi critici, con preziosi interventi da parte di studiosi di aree disciplinari differenti, consentirà di inquadrare al
meglio le sezioni di immagini organizzate per temi, sorta di percorsi espositivi, precedute da una breve presentazione. I volumi avranno la
veste di veri e propri cataloghi, utili per guidare idealmente i "visitatori" all'interno di una possibile mostra, con una cura e passione particolare
dal punto di vista grafico e della restituzione delle fotografie riprodotte, qualità che la casa editrice Effigi persegue da sempre.
Il primo volume della collana, a cura di Letizia Cortini, Elisabetta Frascaroli e Anna Storchi, è dedicato al Fondo Roberto Matarazzo. Frutto di
un lungo e accurato lavoro, svolto grazie a una proficua sinergia tra istituzioni (Fondazione AAMOD, l'Associazione Modena per gli altri e il
Centro di documentazione memorie coloniali) e singole persone, la realizzazione di questo catalogo ha visto un impegno specifico nel
recupero delle fotografie realizzate dal fotografo amatoriale Roberto Matarazzo, radiotelegrafista in Africa, durante la conquista fascista
dell'Etiopia, negli anni 1936-1937. L'ampia selezione e pubblicazione, per argomenti, di queste fonti potrà contribuire ad approfondire
l'indagine storica su un periodo e su memorie ancora in gran parte rimosse, nascoste soprattutto nei cassetti delle famiglie italiane.
L'intero fondo fotografico "Roberto Matarazzo", costituito da oltre 600 immagini, soprattutto negativi, è stato depositato dal figlio Elio
Matarazzo presso la fondazione AAMOD ed è consultabile al sito www.aamod.it e sul sito del progetto Returning and Sharing Memories,
www.memoriecoloniali.org (sezione Fondi documentali).
di Rita Martinelli
Il Tempo. In natura, il tempo della vita che trascorre rimanda ad un cerchio: i cerchi
concentrici del tronco di un albero, la struttura delle conchiglie (e viene in mente la
doppia elica del DNA). Non casualmente, le lancette di un orologio, nel loro andare,
descrivono un cerchio. Ogni cultura ha il proprio computo del tempo e non penso solo
al calendario - che è una convenzione - ma alla cultura, nel quotidiano, di una società,
di una etnìa: che cosa hanno in comune la percezione e la concezione del tempo di un
pastore berbero con quelle di un manager trolleycellularmunito (sì - tutto attaccato) che
si sposta - senza, in realtà, muoversi - esattamente come un pacco, per terminal e
aziende?
Piccola riflessione davanti ad una autentica, geniale delizia: l'orologio ad acqua nel
cortile di Palazzo Berardi, in via del Gesù 62. Nella vasca antistante, dove in genere
nuotano dei pesci rossi, c'è anche la sculturina di una piccola foca. L'ha ideato, nel
1870, Giambattista Embriaco (ligure di Ceriana), frate domenicano, superiore del vicino
Convento della Minerva. E anche l'orologio ad acqua del Pincio (a Villa Borghese),
sicuramente più noto, si deve a lui - lo progetta nel 1867, poi costruito dai fratelli
Granaglia e installato nel 1873, sullo scoglio della minuscola isola con laghetto intorno.
Li guardi, ti ci incanti davanti e vedi, fisicamente, lo scorrere del tempo, nell'acqua...
E, adesso, verso il Tempo del Drago.
L'orologio della chiesa di Sant'Atanasio dei Greci (rito bizantino), in via del Babuino
149, angolo via dei Greci. La lancetta dell'orologio ha la forma di un drago che si
addenta la coda: è il mitico Ouroboros, simbolo della circolarità del tempo, dell'unione
degli opposti. E un drago è anche l'emblema presente nello stemma della famiglia
Boncompagni, cui appartiene papa Gregorio XIII, riformatore del calendario e
committente dell'edificio (la sua costruzione inizia nel 1580 e, curiosa coincidenza,
secondo il calendario cinese, cadeva l'anno del drago). Quella lancetta racconta una
storia di antiche suggestioni, di scambi di doni e di manufatti giunti dal lontano Oriente
nella Roma del Cinquecento - dal 1576, Macao, colonia portoghese, fu base delle
missioni dei gesuiti in Cina e Giappone. È ritagliata e sbalzata e incisa con rilievo
leggero in una lamina di rame e l'ultimo lembo della coda esce serpeggiando con sopra
una stella che indica le ore.
Finale col botto: la metà di un giorno se n'è andata. Ed è una cannonata a scandire il
fatto: a mezzogiorno in punto, al Gianicolo, proprio sotto al piazzale dove c'è la
statua di Giuseppe Garibaldi, un cannone caricato a salve spara l'ora. L'uso fu
introdotto da Papa Pio IX, il 1° dicembre 1847, per avere un segnale unico dell'ora
ufficiale, anziché il suono scoordinato delle campane delle chiese cittadine.
Attualmente è in uso un obice, risultato di un assemblaggio - bocca da fuoco e affusto,
impiegati durante la seconda guerra mondiale. La squadra pezzo che opera ogni
giorno è fornita dal reggimento addestrativo del Comando Artiglieria. Davanti, una vista
formidabile sulla città. Come una calamita, mi attira, sempre, la cupola-astronave del
Pantheon - al sommo, l'oculo: un cerchio, nel vuoto.
TuttoBallo
Partendo da una città affollata e sempre in movimento ho scoperto
nella contea di Maramures, in Romania, la tranquillità e
l’autenticità di vivere un altro tipo di quotidianità. La persone
vivono in modo semplice senza l’uso di internet e delle tecnolgie,
ma felici di lavorare la loro terra, di stare davanti ai loro cancelli in
legno per socializzare con i vicini, assaporando il silenzio del
luogo e respirando un’aria pura e incontaminata. La contea
Maramures, situata nel nord della Romania, è un luogo
affascinante, selvaggio, racchiuso tra colline verdeggianti in
primavera e d’estate, con delle bellissime vallate disseminate di
case tradizionali, costruite in legno, e di monasteri sempre in
legno, con delle “capite” di fieno raccolto in un modo speciale, con
dei cancelli altissimi in legno meravigliosamente scolpiti. La gente
è gentile, accogliente, orgogliosa di conservare e tramandare le
vecchie tradizioni e gli antichi costumi alle nuove generazioni. Il
pittoresco del luogo è rappresentato dalla presenza di numerosi
monasteri in legno, capolavori unici al mondo la cui bellezza
architettonica ha fatto sì che venissero inseriti nel Patrimonio
Unesco dell’Umanità. Come il monastero Barsana, un angolo di
paradiso terrestre situato sulla sommità di una collina, composto
da un insieme di magnifici edifici costruiti in legno, somiglianti alle
pagode giapponesi, edifici in stile tradizionale del Maramures, uno
più bello dell’altro, contornati da bellissimi fiori. Accanto al
monastero si può visitare e ammirare l’altare d’estate, le case
delle monache, la torre e il campanile, ma anche il museo con le
vecchie icone e gli elementi di tradizione popolare di Maramures.
Qui vivono le monache e alcuni bellissimi pavoni, il luogo è
visitato da numerosi turisti provenienti da tutto il mondo. Il
monastero Peri Sapanta è un altro luogo importante del
Maramures, ed è considerato il più alto monastero in legno del
mondo. È inserito nel Patrimonio Unesco per la sua unica e
magica bellezza. Con il suo grande giardino pieno di fiori e alberi,
con un aria carica di pura spiritualità, il monastero è un gioiello
della contea Maramures, luogo giusto per fermarsi e raccogliersi
in preghiera. Ma per chi sceglie di visitare Maramures è d’obbligo
visitare alcuni suoi borghi, come ad esempio il borgo di Breb, dove
si può passeggiare nelle viuzze sterrate, ammirare le antiche case
in legno ancora abitate, i bellissimi cancelli alti scolpiti in legno,
interagire con la gente del posto. Qui va ancora di moda indossare
gli abiti tradizionali che i locali mettono di domenica e nei giorni
festivi. Poi ci sono altre attrazioni, come il Cimitero dell’allegria,
un posto davvero unico e originale, la Cascata dei cavalli, il
Museo etnografico di case tradizionali. Per chi sceglie di
soggiornare da questi parti ci sono numerose pensioni a
conduzione familiare dove il turista viene accolto con gentilezza e
amicizia, il servizio è ottimo, il mangiare e il bere sono buoni e
sani. La bellezza e il pittoresco mi hanno davvero incantata. Al di
là delle bellezze architettoniche e dei paessaggi straordinari che
ho visto e ammirato, ho portato con me a casa un po’ della pura
spiritualità del luogo, ho imparato ad ascoltare di più il silenzio, la
pace e la tranquillità che regnano da queste parti.Sicuramente
intendo tornare un giorno in questo luogo meraviglioso che ha
tanto da offrire.
TuttoBallo
Ci sono luoghi senza tempo, in
Italia, che non sono stati ancora
scoperti dal turismo di massa e, chi
ha la fortuna di visitarli, riscopre il
fascino di una vita antica, scandita
dal ciclo delle stagioni e dal respiro
delle onde del mare. Per questo,
vale assolutamente la pena di fare
una visita a Chianalea di Scilla,
all’estremo sud della penisola
italiana, in Calabria: un villaggio di
mare dove il tempo sembra essersi
fermato.Chianalea è un piccolo
borgo da cui ha avuto origine, tutto
intorno, il paese di Scilla. È inserito
nella lista dei Borghi più Belli d’Italia
e non è difficile capire il perché: le
sue case sono costruite direttamente
sul mare, bagnate dal flusso
incessante delle onde ed è per
questo che è stata chiamata “la
Venezia del sud”.
Barche colorate, reti da pesca, stretti
vicoli e viuzze, case battute dalle
onde e. ovviamente, lo splendore del
mare: questo è il primo colpo
d’occhio che troverai arrivando in
paese.
Scaro Alaggio è il porticciolo riparato
dove vengono ancorate le barche:
qui sin dalla mattina presto si anima
la vita dei pescatori del luogo.
Edifici da non perdere sono poi il
Palazzo Scategna con il suo doppio
ordine di balconi in pietra squadrata,
Villa Zagari costruita nel 1933 in
stile eclettico e la Chiesa di San
Giuseppe Chianalea.
Il Castello Ruffo, infine, costruito
sulla rocca famosa per la leggenda
omerica di Scilla, regala una vista
mozzafiato, che si estende fino alle
isole Eolie e alle coste siciliane.
Il nome Chianalea significa "piana
delle galle": le galee era
imbarcazioni agilii e sottili del
medioevo e ,ancora prima, era la
parola con cui veniva chiamato il
pesce spada. La sagra del pesce
spada è una tradizione che nel paese
resiste ancora oggi, ogni estate,
insieme alla festa del Patrono San
Rocco.
A Chianalea si può arrivare in
autostrada, uscendo a Scilla (20 km
prima del capoluogo Reggio Calabria)
e parcheggiando sul lungomare di
Marina Grande (il borgo di Chianalea
è zona pedonale) oppure in treno
(stazione di Scilla) più comodo
soprattutto nei weekend e in alta
stagione, quando trovare parcheggio è
più difficile. In pochi minuti a piedi si
arriva sulla costa.
In alternativa, la zona è anche servita
da autobus di autolinee private. A
Chianalea c’è una piccola spiaggetta
di ciottoli e ghiaia, che si affaccia su
un mare limpido e cristallino.
Nella zona di Scilla invece, la spiaggia
più ampia e velocemente raggiungibile
è quella di Marina Grande, di pietra e
ghiaia. Ma ci sono anche calette più
appartate, per chi ama fare il bagno in
luoghi meno frequentati.
Punta Pacì offre fondali molto
profondi: ideale per gli appassionati di
immersioni subacquee. Cala delle
Rondini è un luogo intimo e
incontaminato, più difficile da
raggiungere, ma che agli “esploratori”
regala uno stupendo scenario
naturale. Un’altra bella caletta,
perfetta per le famiglie, è la Spiaggia
delle Sirene, poco sotto il Castello
Ruffo.
Chi preferisce la sabbia fine può
invece, spostarsi a Favazzina, a soli 5
km da Scilla. Anche qui troverà un
mare stupendo!
Eugenia Galimi
Vice direttore
TuttoBallo
La primavera è alle porte ed io, da buon trapper, inizio a vagare come un nomade giramondo. Mi ha sempre
affascinato la vita dell’escursionista amante del contatto con la natura selvaggia. Le regole dei popoli tuareg del
Sahara e le tradizioni berbere di tutto il nord Africa mi portano a raccontarvi di queste usanze e costumi in un
viaggio sotto il sole cocente del continente africano, tra colori ed ingredienti semplici di sapori molto particolari.
A differenza di ciò che generalmente si pensa, i Paesi del Nord Africa e in particolare quelli del Maghreb hanno una
popolazione tutt’altro che omogenea. Infatti, presentano tradizioni culturali derivanti da un vivace mosaico etnico che vede una
chiara maggioranza araba (fatta eccezione per il Marocco) mescolarsi a quelle popolazioni che, prima ancora dei Fenici e dei
Romani, abitavano i deserti di roccia del Marocco e quelli di sabbia dell’Algeria: i Berberi. Gli Imazighen, letteralmente “Uomini
liberi”, sono quell’insieme di popoli di lingua tamazight che abitano buona parte del deserto del Sahara e del Nord Africa. Da
qui si sviluppa un mosaico gastronomico fatto da gusti, costumi ed ingredienti semplicemente fantastici. La cucina berbera,
amazigh, è un’evoluzione di quella che un tempo era l’alimentazione dei pastori erranti del passato. Questa cucina si
differenzia da paese a paese, ma esistono dei tratti comuni che la rendono peculiare. La varietà è dovuta all’insieme di
ingredienti che, nel corso dei secoli, hanno influenzato questa cultura. Nel settimo secolo gli arabi dalla Persia introdussero le
spezie, i Mori olive e piante di agrumi, quando tornarono dall’Andalusia, cacciati dai Cristiani. Infine, più recentemente, la
dominazione francese sulla zona ha lasciato una sua propria influenza. La cucina berbera è caratterizzata da semplicità e si
basa essenzialmente su formaggio di capra, miele, carne, mais, latte di pecora, fagiano di monte, orzo e burro, olive, agrumi,
mandorle, uva, verdure, barbabietole da zucchero e olio di semi. La carne predominante è quella di agnello e di pollo, ma nelle
zone costiere del Mediterraneo e dell’Atlantico viene consumata una grande quantità di pesce.
Nonostante le verdure siano molto diffuse, è difficile trovare piatti totalmente vegetariani, ad eccezion fatta per le zone
turistiche. Tra i piatti più noti della tradizione berbera ci sono il cous cous, realizzato con il semolino e condito con carne di
agnello, verdure e a volta anche con arachidi e frutta; il tajine, cioè carne di pollo o agnello cotta molto lentamente, insieme
alle verdure, in una pentola bassa di terracotta (che porta lo stesso nome del piatto) con un coperchio conico, le spezie
utilizzate sono lo zafferano, il cumino e il coriandolo, vi sono varianti con pesce, verdure e legumi; la pastilla, tortino di pasta
sfoglia ripieno di carne di pollo o piccione, mandorle a lamelle, zucchero e cannella cucinati in una salsa di limone; il tanjia,
che prende il nome dal recipiente di cottura, una giara di terracotta in cui vengono inseriti tutti gli ingredienti tra cui pezzi di
manzo o agnello interi, aglio, cipolla, prezzemolo, spezie varie, sale, limone, olio e burro che vengono sigillati ermeticamente
nel vaso e cotti sotto le ceneri del forno Hammam per 6 ore. La tradizione vuole che questo piatto venga cucinato
esclusivamente dai soli uomini. I pani e le frittelle sono uno dei prodotti che non mancano mai sulle tavole berbere: l’Aghroum
è un pane di farina di grano duro o mais fermentato cotto nel tipico forno di terracotta; L'aaghroum akouran è una frittella
tradizionale algerina originaria della Cabilia che può essere cotta su una pentola di terracotta o di ghisa. Un po' duro e
croccante, si può preparare senza impastare e riposare con semola, sale, acqua e abbondante olio d’oliva; l’Aghroum
boutgouri: pane ripieno, senza lievito, servito inzuppato nel burro o farcito con carne macinata.
Il Tamtunt, una frittella di cavolo lievitata, farina, acqua e sale. Il Gofio, impasto di farina di grani abbrustoliti. Molti sono i piatti
che si possono degustare nella cultura berbera tra questi ricordo: il Tahricht contenente frattaglie quali il cervello, la trippa, i
polmoni e il cuore che vengono arrotolati nell’intestino e infilzati in un ramo di quercia e cucinati sulla brace; il Mechoui o
barbecue di agnello: un'intera pecora cotta in un forno creato appositamente per questo uso. L'animale è cucinato con burro
naturale, che lo rende più saporito. Questo piatto è servito soprattutto in occasione di festività; l’insalata mechouia con
pomodori, peperoni, melanzane grigliati, conditi con sale, pepe, aglio, polvere di coriandolo e olio d'oliva. Il Tikurbabine: palline
di semola, cipolle, pepe, peperoncino e prezzemolo, impastate con acqua e cotte dentro una salsa a base di carne,
concentrato di pomodoro, cipolle, paprika, pepe e olio. Un dolce molto diffuso è il kaab el ghzal: sono dei biscotti a forma di
mezzaluna realizzati con un impasto a base di farina ripieni di pasta di mandorle aromatizzata con acqua di fiori d'arancio.
La cultura del tè alla menta fonda le sue radici nei secoli. Il suo tepore rinfrescate ha molteplici qualità: dissetante,
calmante in caso di raffreddore, antinfiammatorio del tratto gastrointestinale, utile contro le cefalee, qualità
antitumorali e regolatore del colesterolo nel sangue. Servito a fine pasto, viene preparato in teiere d’argento con
beccuccio lungo, versato direttamente in bicchieri di vetro lavorato da notevole altezza per fare raffreddare l’infuso.
Una cucina semplice, saporita, “rurale”, che ha dato le basi per moltissimi piatti della tradizione maghrebina.
Vi consiglio un viaggio nella cultura berbera carica di storia e semplicità. Fatevi assorbire dai paesaggi sahariani,
seguendo l’orizzonte verso paesaggi desertici tra grandi dune, sole e racconti millenari. Completando la vostra
serata in una tenda berbera sotto il cielo stellato, facendovi ammaliare dall’ospitalità di questo popolo.
Anda nwiγ tafat, ay ufiγ lehwa tekkat.
Aspettavo la luce, ho trovato la pioggia battente (proverbio berbero)
Ljerh yeqqaz ihellu | yir awal yeqqaz irennu.
Una ferita fa male ma guarisce. Una parola cattiva fa male per sempre.
TuttoBallo
INGREDIENTI PER 4 P
2 cipolle
8 cosce di pollo
4 carote
4 zucchine genovesi
1 peperone rosso
1 pezzo di zucca
1 melanzana
2 pomodori
4 patate grosse
spezie: curcuma in polvere, peperoncino in polvere, curry,
zafferano
frutta secca: uva sultanina, mandorle, albicocche secche,
prugne secche, datteri
miele di acacia 1 cucchiaio
sale e pepe nero
olio evo
PROCEDIMENTO
Lavare, mondare, pelare e tagliare tutte le verdure a pezzi grossi. Le carote vanno tagliate a rondelle, le zucchine a mezzelune non
troppo sottili, il peperone e la melanzana vanno tagliati a tocchetti, le patate a spicchi ed i pomodori a fette. Fatto questo mettete il
tajine sul fuoco a fiamma bassa. Tagliate la cipolla a mezzelune e disponetele sul fondo del tajine. Aggiungete i pezzi di carne, del
pepe nero, la frutta secca e le spezie. Fatto questo dovete procedere aggiungendo le verdure nel seguente ordine: carote, peperoni,
zucca, zucchine, pomodori, melanzane e patate. Ogni volta che aggiungete una verdura non dimenticate di aggiungere un pizzico
di sale, la frutta secca e le spezie. Quando avrete finito di aggiungere le verdure alternate di frutta secca e spezie, irrorate il tutto
con abbondante olio e concludete con un cucchiaio di miele di acacia. Coprite con il coperchio e lasciate cucinare a fuoco basso per 1
ora e mezza circa. Se notate che verso la fine c’è un po’ troppo liquido sul fondo, togliete il coperchio in maniera tale che possa
evaporare durante la fase finale della cottura.
INGREDIENTI
800 grammi di spalla di agnello
250 grammi di prugne secche
70 grammi di mandorle
2 cipolle
2 spicchi di aglio
olio evo un cucchiaio
1 bustina di zafferano
due cucchiai di miele
1 cucchiaio raso di zenzero
sale e cannella q.b.
PROCEDIMENTO
Mentre lasciate in ammollo le prugne secche (per circa
un’ora) in acqua tiepida, pulite e fate a tocchetti
l’agnello e cuocetelo nel tajine con l’olio, insieme alla
cipolla e all’aglio. Aggiungete la cannella, lo zenzero, lo
zafferano, il sale, il pepe, un bicchiere di acqua calda,
coprite e fate cuocere per un’ora a fuoco lento.
Aggiungete le prugne e il miele, coprite nuovamente e
lasciate che la cottura duri altri 20 minuti. Prima di
servire il tajine, soffriggete le mandorle tagliate a
filetti in un pentolino a unitele all’agnello.
Accompagnate il piatto con del cous cous.
TuttoBallo
INGREDIENTI PER 4 P
800 gr di miele
300 gr di di farina 0
100 gr di semi di sesamo
olio di semi di girasole per friggere q.b.
50 gr di mandorle
1 uovo
1 cucchiaino di aceto bianco
1 bustina di lievito per dolci
1 cucchiaino di semi di anice
1 pizzico di sale
burro morbido 30 gr
1 cucchiaino di cannella in polvere
acqua di fiori d’arancio q.b.
½ cucchiaino di gomma arabica
PROCEDIMENTO
Tostate per pochi secondi il sesamo e le mandorle in una padella. Versate il sesamo, le mandorle, la gomma arabica e l'anice in un
frullatore e riducete il tutto in polvere. Se non trovate la gomma arabica, potete sostituirla con la gomma di xantano o quella di
guar. In una bacinella capiente impastate la farina con gli ingredienti macinati, il sale, il lievito per dolci, l'olio, il tuorlo, la
cannella, il burro e l'aceto. Mentre impastate aggiungete poca acqua di fiori di arancio. Lavorate l'impasto per circa 5 minuti in
modo che risulti morbido e elastico. Avvolgetelo nella pellicola e fatelo riposare per 30 minuti in frigorifero. Passato questo tempo
tagliate la pasta in 6 porzioni uguali, stendete ogni parte in modo sottile con un mattarello sul piano di lavoro infarinato (1-1,5 mm
di spessore). Tagliate la pasta in quadrati, in ogni quadrato fate 4 tagli longitudinali in modo uniforme al loro interno. Le misure
corrispondono circa alle dimensioni del palmo della mano. Prendete le colonne 1, 3 e 5 con il medio della mano destra. Quindi,
utilizzando la mano sinistra, prendete le colonne 2 e 4 e le inserite all'interno delle altre colonne, dentro e fuori, in modo da
ottenere una specie di forma di fiore. Mettete il fiore sul piano di lavoro e pizzicate un poco i suoi angoli esterni, per sigillare.
Riscaldate olio in un tegame dai bordi alti. Fate friggere i chebakia muovendoli e rigirandoli spesso. Tirateli fuori con una
schiumarola e fateli sgocciolare su carta assorbente. Riscaldate il miele in un tegame capiente con un poco di acqua di fiori di
arancio. Appena è schiumoso, ma non bolle, passate i chebakia subito nel miele e lasciate che lo assorbano per circa 2-3 minuti.
Scolateli con una schiumarola, fateli sgocciolare, adagiateli delicatamente su un vassoio e cospargete di sesamo. Fate raffreddare e
servite.
INGREDIENTI
5 o 6 foglie di tè verde (oppure mezzo
cucchiaio di tè verde o nero)
qualche rametto di foglie di menta
zucchero di canna a piacere (meglio quello
in cristalli)
PROCEDIMENTO
Scaldare la teiera e versare le foglie di tè.
Versarci sopra poca acqua bollente e ruotare
velocemente, poi buttare via l’acqua facendo
attenzione a non perdere le foglie del tè.
Aggiungere menta e zucchero e irrorare con un
litro di acqua bollente. Lasciare in infusione
per circa 5/8 minuti. Eliminare le foglie di
menta che galleggiano in superficie. Servire in
bicchieri di vetro.
La versione originale prevede circa 150 gr di
zucchero di canna.
TuttoBallo
TuttoBallo
Ho fatto un sogno. Sono dentro a un teatro immersivo, ci siete mai stati? Quegli spettacoli dove sei dentro e non davanti. Ambiente
scandinavo, ma tovagliolo di lino con le cifre ricamate sopra. La cifra del mix contemporaneo e classico di Bros, il ristorante che non
c’è, grazie a Dio, fin quando non ci vai.
Come dovrebbe essere sempre. Il ristorante più chiacchierato per il semplice fatto di essere così geniale e centrato.
Pensavate che il titolo fosse negativo? Siete pieni di pregiudizi. Ma c’è dell’altro.
Ambiente scandinavo dicevo, tavoli di legno, perfettamente tondi perché non c’è alternativa al cerchio, la vita è una ruota. Tavoli lisci,
livellati a far da campo da gioco. Poca luce e tende nere e lampade di design senza scrivanie. Tra gli avventori ci saranno
sicuramente degli attori nascosti come se niente fosse, perché sono tutte persone strane qui oggi, tutte come me. Rinuncio a
indovinare tra vero e falso, mi va bene così, mi va bene non conoscere gli altri, mi va bene stare qui con me adesso.
Ma di cosa sono fatta io? Di cosa sei fatto tu? Questo è il tema di questo viaggio. Il tema del menu. C’è scritto dappertutto, persino
nel bagno sullo specchio.
I vetri della sala sono oscurati, guardo il mio cappotto color latte e menta appeso sulla parete vuota. Ci sta benissimo, per fortuna non
c’è nemmeno un quadro. L’espressione (artistica) è tutta nel piatto, ma ancora non lo so se la cucina è arte.
Tra una portata e l’altra si può ballare. Non è vero, ma lo avrei fatto e anche Vera, seduta al tavolo di fronte al mio, si muove sulla
sedia. Ho tutto lo spazio che voglio, intorno e sul tavolo, ho tutto il tempo che voglio m’illudo. La playlist di Bros è trap e techno,
azzeccatissima e poi brani elettronici e ritmi cardiaci. Ho la cassa in testa ma il volume è giusto, il cameriere è giusto, mi sposta le
posate dal lato sbagliato per lasciarmi mettere il telefono dove mi pare. Non è rigido, non è ingessato. Sono libera. Però non
dimenticatevi che lui conosce la parte, che il posto è stellato e che il copione è severo.
Come si chiamano gli agenti di Matrix? Non ricordo. I camerieri di Bros comunque sono gli agenti di Matrix. Camminano insieme a
ritmo e sono intercambiabili, hanno divise stirate eleganti un po’ orientali, blu il colore che non esiste. (Lo sapete che in natura
davvero non esiste?!). Ogni tanto però un sacro cuore di Gesù, grondante di sangue piange nelle loro camicie e si sussurrano
qualcosa tra loro e poi svaniscono dietro la tenda... Sipario.
Secondo tempo.
Tra una portata e l’altra appaiono nella sala degli ologrammi a grandezza naturale (come quelli che si vedono nella trasmissione
“Porta Porta” di Bruno Vespa). Sembrano veri. Appare David Muñoz a braccia conserte in un’immagine di 7 anni fa (io allora pesavo
40kg), poi c’è Martin Berasategui che ammonisce Floriano: “tu sei la somma delle tue esperienze” e “ricorda la pratica fa il maestro”.
Sono sempre nel sogno. Credo. Gli ologrammi si allontanano e si ricompongono. Ovviamente non esistono. Un cameriere che ha
l’età di mio figlio, mi chiede di seguirlo. Fuori c’è il sole, una primavera inaudita a febbraio, qui nel ristorante invece il tono di voce
della luce, è basso e ovattato.
La Puglia dove è? Dentro. Dentro a ogni piatto, ogni respiro, ogni vibrazione che arriva dalla cucina. Ecco dove è la Puglia.
Noi clienti, attori, comprimari siamo distribuiti in isolotti di solitudine, tutti tavoli da 1, ma uno è il numero magico dei tarocchi. E una
coppia che fa invidia, sta esattamente al centro. Al centro delle nostre perplessità sull’amore, sul fare l’amore con il cibo.
Siamo tutti qui ad assistere allo stesso spettacolo, probabilmente senza capirci un cazzo. Questa solitudine ci unisce tremendamente
invece, siamo siamesi, siamo Bros anche noi, facciamo ormai parte della gang. Segretamente ognuno ama qualcuno. Una catena di
baci rubati a persone sbagliate si srotola. Devi infilare la lingua nel piatto se vuoi assaporare, non puoi allontanarti con un cucchiaio o
farti aiutare in qualche modo da uno strumento. Le labbra sono le loro. In cucina c’è il fuoco. Sarà lì l’assassino, finisce lì l’opera
teatrale o invece inizia? Potere di attrazione, energia. Li ho intravisti mentre andavo in bagno, vestiti di nero, nel chiaro scuro della
finestra: Floriano e Isabella gli chef.
TuttoBallo
E intanto gli agenti di Matrix vanno e vengono, lei è scesa in campo, il loro
camminare è più frenetico adesso perché la presenza della chef in sala li
mette in agitazione. Allo stesso tempo si controllano come si controlla un
pilota di formula uno che va a tutta velocità in curva. Sono bravissimi. E’
come se si guardassero da fuori, dall’alto. E’ come se tutto il successo non
fosse il loro. Lui non si affaccia invece, resta con i suoi tatuaggi dietro ai
fornelli, si guarda le mani, ha una fortuna nelle dita, gli guardo il collo.
Sento le voci di chi lo invidia. Difficile per chi non conosce la fatica
riconoscere il dono di natura, del cavallo di razza, colpevole solo di essere
nato per strada.
Sexy, intelligenti, lei come lui. Loro. Loro 2.
E se i veri Bros fossero loro?! Fratelli
non nati sotto lo stesso tetto, diversi,
amanti, sposi incestuosi, duo di
TipTap? Avete presente quella
leggerezza dei film in bianco e nero,
dove l’attore vola come una libellula
e la sua forza è tenera e potente allo
stesso tempo?
Guardo fuori verso la strada, vedo
una ragazza su una sedia a rotelle,
ha una pelliccia rosa e la testa
ciondoloni. Lo sguardo però è vigile,
curioso e cerca un pertugio per
vedere cosa succede dentro questa
grotta da Luna Park. Ma lei non mi
può vedere e d’altronde questo è il
mio sogno. Non il suo. La mia vita,
non la sua. Di cosa sono fatta io?
Che posso camminare, assaporare,
raccontare. Cosa posso dire? La
domanda dovrebbe essere
riformulata caro Floriano.
La vera domanda è: di cosa siamo
fatti noi?Se noi non ci fossimo, voi
non sareste qui ragazzi d’oro e
viceversa. La relazione è la
risposta è di questo che siamo
fatti!
Con le mie gambe, io che posso,
mi alzo e finalmente seguo il
cameriere fuori dal ristorante. Ho
fiducia in lui. Sono sicura che mi
porterà dall’oracolo di Matrix. Mi
poggia una coperta sulle spalle,
c’è un po’ di vento a Lecce oggi.
Pillola blu? Un assaggio di
formaggi senza lattosio
completamente vegani? Una
sbirciatina nel laboratorio creativo
Meta mi sorprende, sul muro ci
sono scritti i progetti e i sogni, mix
di concretezza e fantasia. La
stessa tecnica che usiamo noi in
agenzia.
TuttoBallo
Volete la verità voi che leggete? O volete continuare ad omologarvi, a criticare la
pizza di Cracco, a scegliere la “splendida cornice”, la falsa umiltà, l’ignoranza?
Volete ancora conversare con me per mezz’ora, parlando male di qualcuno per
confessare poi di non averlo mai incontrato e di non aver mai assaggiato
nemmeno un suo piatto? E’ per questo che sono qui oggi. Grazie dunque. 13
portate per il mio menu degustazione, 3 ore, 3 camerieri che si sono
avvicendati, 2 chef, 1 magia. 13 passi, salti, balzi; 13 carezze, sorprese,
conferme. Uno straordinario gioco di consistenze, la sincerità assoluta dei
sapori, la sfrontatezza delle presentazioni. La tecnica all’apice. A volte ti chiedi
cosa devi mangiare, quello che c’è dentro o quello che c’è fuori?
È tutto così bello e attraente.
Non ho bevuto vino però, questa volta volevo concentrarmi sul cibo, una cosa
alla volta. E da adesso in poi, voglio fare così. E il bis di pane si paga a parte.
Perché il pane è una cosa seria. Il pane è il frutto del lavoro dell’uomo. Amen.
Credere fermamente che fin quando resterai fedele a te stesso tutto andrà per il
verso giusto, è il vero segreto di Floriano e Isabella. Scoprire talenti. La sala e la
brigata sono un esercito scelto, come le guardie svizzere del papa. “Alcuni, mi
dice Floriano sono entrati storti da quella porta e sono usciti dritti. È qui che
insieme abbiamo capito cosa era meglio per ciascuno di loro e per noi. Io sto
chiuso dentro Meta a studiare e testare, Isabella viaggia, assaggia e torna da
me per un confronto, gli altri cercano di arginare il mio fiume. Ognuno fa il suo.
Non cederemo di un millimetro.” Per fortuna ho pensato.
Bros è nato nel 2015, la gang è ancora unita, le critiche sono arrivate e hanno
portato una nuova ondata di curiosità. La prova provata sono i mega progetti
in arrivo. Non vi dico niente, non so niente, non ho visto niente. Floriano ha
lavorato nei migliori ristoranti del mondo e ha aperto il suo insieme a Isabella
quando avevano 25 anni lui e 20 lei. Iniziare, sviluppare e concludere è il suo
mantra. Diversificare poi è la chiave di tutto. Oltre a Bros c’è la trattoria
autarchica Roots, il laboratorio Meta, il concept Sista – versione dolce di Bros
a cura di Isabella, dove si ordina tutto on line. Gli eventi, le esperienze e il
catering chiudono il cerchio. In caso di panico picchia, vai avanti e picchia. Ma
la mischia è cosa sacra e rispettosa, si fa tutto trasformando la paura in
benzina. Sapete chi è Paco Torreblanca?
Se non lo sapete chiedetelo a Isabella. Vi siete mai seduti da Geranium a
Copenhagen? A posto così. Adesso potete assaggiare una delle sue crostate.
In questa sorprendente Bros Land, siamo di fronte a due persone che hanno
studiato e sudato e che hanno fatto della disciplina la prima regola di vita. In
sale e in cucina i ragazzi arrivano dai quattro angoli del mondo ( che è sferico
e che angoli non ha), mentre ero seduta lì avrò sentito termini almeno in tre
lingue. Ero a Lecce raga, L-e-c-c-e.
Bros a Lecce non è una messa in scena, ma un vero spettacolo della natura,
la natura umana e divina dei ragazzi di oggi. La cucina italiana è viva e farà
ripartire il paese e il turismo.
TuttoBallo
Dal chicco all’impasto: durante la lezione
sono state illustrate tecniche del
disciplinare STG, curiosità e metodi
riguardanti la vera pizza napoletana e
l’alternativa gluten free, entrambe a ”impatto
zero”. Si è parlato di farine ottenute
esclusivamente da grani italiani, della loro
forza, degli impasti da esse ottenuti ad alta
digeribilità, e delle farciture ricavate con
pomodoro bio proveniente da agricoltura
biologica, olio evo bio e latticini artigianali
ricavati da latte 100% campano. Infine, una
riflessione sugli impasti a mano, su quelli
ottenuti con le impastatrici, sulle cotture in
forni elettrici ecosostenibili o in forni a legna
con tronchetti ecologici pressati.
L’Università dei Gusti e dei Saperi
(UNIGUS), academy di alta formazione
gastronomica ubicata a S. Anastasia (in
provincia di Napoli), ha organizzato per il 23
febbraio un incontro gratuito sul tema “eco –
pizza” con il Maestro Diego Viola.
"E’ opportuno che le nuove generazioni di
pizzaioli siano educate al rispetto del
biologico e dell’ambiente – ha spiegato il
Maestro - In pizzeria, ed in generale in
cucina, è possibile annientare gli sprechi e
ridurre l’impatto ambientale. Ciò provoca
benefici all’ambiente e ai clienti grazie
all’utilizzo di prodotti sempre freschi a
chilometro zero, contraddistinti da maggiore
qualità e sapore perché creati con metodi
biologici, e in sintonia con le stagioni".
"L’eco-pizza risponde alla crescente
sensibilità e consapevolezza dei consumatori
verso le problematiche ambientali e la qualità
del cibo – ha continuato l’insegnate di
UNIGUS - Oggi si ricercano prodotti genuini
e di sapore di cui si conosce la provenienza “
.
Unigus
L’Università dei Gusti e dei Saperi è nata
nel 2019 per volontà di imprenditori già attivi
nel campo della formazione e
dell'enogastronomia, che hanno voluto
creare un polo didattico rivolto (senza
discriminazioni di razza, età, condizione
sociale) a coloro che intendono lavorare
nell’affascinante, ma complesso, mondo del
food. Tutti i corsi proposti da UNIGUS
prevedono un modulo dedicato ai modelli
virtuosi e alle best practices per ripensare il
consumo alimentare in chiave
ecosostenibile.
Diego Viola
Degno erede del nonno, noto panificatore
partenopeo, è specializzato in impasti
innovativi. Pluricampione del mondo 2013
nelle categorie pizza di stagione e pizza a
metro, Terzo classificato ai Mondiali di Las
Vegas, categoria Pizza Napoletana. E’ uno
dei maestri fondatori del codice del
Pizzaiuolo ed è stato pizzaiolo del gala di
Dolce & Gabbana durante il quale ha fatto
degustare pizze napoletane e impasti
innovativi ai più grandi divi di Hollywood
raccogliendo un’infinità di consensi.
TuttoBallo
Giovanni Battista Gangemi
Il pianto è l’espressione umana presente in ogni cultura
e tempo abitato dall’uomo e riveste significati importanti
sin dall’infanzia. Perché non sempre bastano le parole
per esprimere le emozioni. A volte, di fronte al dolore, ci
si può riconoscere uomini e donne fragili.
Le lacrime sono il seguo della umanità che ci accomuna
e, forse, sono anche una risposta. Nel mondo antico
piangere non significava dimostrarsi deboli. Il pianto era
considerato invece una manifestazione profonda del
dolore. Le lacrime sgorgano dal cuore si pensava e, per
gli antichi, il cuore era la sede dell’intelligenza, dei
sentimenti, dei pensieri e delle emozioni.
Anche nell’Iliade e nell’Odissea, le lacrime di Achille, di
Ettore, Agamennone, di Ulisse esprimono molteplici
sentimenti che non sono dominati dalla debolezza, se
mai il contrario: esprimono piena accettazione della
propria umanità e quindi irrompono in quella sfera che
rende eroico l’uomo. D’altra parte anche Gesù ha pianto,
così come diversi personaggi presenti del Vangelo;
anche i Santi piangono. Ed ecco allora il paradosso:
mentre Dio sa piangere, l’uomo diventa sempre più
cinico e incapace al pianto. Del resto è comunque il
linguaggio non verbale di un cuore traboccante non solo
di preoccupazione e dolore ma anche di amore, di
fiducia e tenerezza e talvolta di gioia. Anche la
psicologia odierna riconosce che piangere produce una
sana pulizia dell’anima, una valvola di scarico per
l’accumulo di emozioni negative che derivano dallo
stress. Le persone che piangono e che esprimono la
propria tristezza hanno maggiore equilibrio emotivo di
quelle che reprimono le lacrime e nascondono i propri
sentimenti. Quasi a non voler manifestare una
consapevolezza e prendere coscienza di ciò che è
accaduto e che provoca una reazione emotiva.
Il problema dell’uomo di oggi è il considerevole “deficit”
di senso di rispetto per la morte. Non sappiamo più dare
al morire un senso oltre quello biologico. Ciò che
dobbiamo accettare è che non solo abbiamo un corpo e
dunque “siamo” un corpo. In verità siamo “più” di un
corpo e ci muoviamo dentro una rete di relazioni e di
appartenenze decisive per la nostra identità.
TuttoBallo
Silvio Liberto
L’argomento oggi trattato è il piano di orientamento spaziale,
tutto è in movimento, l’universo per esempio è in continua
espansione e questo determina un movimento, in esso vi
troviamo i pianeti che girano attorno a se stessi e attorno al
sole, il tempo scorre, come l’alternarsi delle stagioni, si nasce,
si matura, si invecchia, si muore, la danza è in movimento,
influenzata dalla forza di gravità che da modo al corpo umano
di svolgere attività motorie. Nello spazio il nostro corpo può
compiere infinite azioni, camminare, correre, saltare, rotolare,
strisciare, rallentare, velocizzare, muoversi in ogni direzione,
fermarsi, e i movimenti possono essere eseguiti in modo
leggero, pesante, scattante, morbidi, contratti, sia larghi che
brevi. Consideriamo il corpo in piedi, eretto, in una posizione
neutrale e naturale, i piedi rivolti in avanti, leggermente
separati, la testa come il tronco eretti, le braccia rilassate
lungo i fianchi, con i palmi delle mani rivolti in avanti, tutto in
un allineamento armonioso, così da immaginare il corpo,
classificandolo ed identificandolo in tre piani di spazio
temporale con linee invisibili che lo attraversano, definiti piani
di orientamento.
Tali piani sono: il piano sagittale, il piano laterale o frontale ed
il piano orizzontale. Il piano sagittale è il piano verticale che
attraversa il corpo anteroposteriormente e lo divide nella metà
sinistra e nella metà destra.
Il piano laterale o frontale è il piano verticale che attraversa il
corpo lateralmente e lo divide nella metà anteriore e nella
metà posteriore. l piano orizzontale attraversa il corpo a metà
della sua altezza e lo divide nella metà superiore e nella metà
inferiore.
L’intersezione di questi tre piani determina tre rette;
l’intersezione fra il piano orizzontale e il piano sagittale da
luogo ad una retta orizzontale anteroposteriore
denominata“asse sagittale”, posizionata all’altezza
dell’ombelico; l’intersezione fra il piano orizzontale e il piano
laterale da luogo ad una retta laterale in posizione orizzontale,
denominata asse trasversale, all’altezza dei fianchi; infine
l’intersezione fra il piano laterale ed il piano sagittale, da luogo
a una retta verticale passante per il centro del corpo, dalla
testa a metà base d’appoggio dei piedi, e corrisponde all’asse
verticale. Adesso immaginiamo questo sistema come punto di
riferimento, applicandolo ad ogni singola articolazione del
corpo, e vedremo che sui piani verticali (sagittale e frontale)
avranno luogo i movimenti di flessione, estensione,
abduzione, adduzione e inclinazione intorno ai due assi
orizzontali.Sul piano orizzontale, invece, hanno luogo i
movimenti rotatori articolari intorno all’ asse verticale.
Più precisamente, sul piano sagittale, intorno all’ asse
trasversale, hanno luogo i movimenti di flessione ed
estensione, nei quali il segmento si muove rispettivamente
nella direzione anteriore e posteriore.
Sul piano laterale, intorno all’asse sagittale, hanno luogo i
movimenti di inclinazione, abduzione, adduzione, e flessione
laterale.
Per ultimo, il piano orizzontale, intorno all’asse verticale hanno
luogo i movimenti di rotazione, chiamati anche circolari o di
circonduzione.
TuttoBallo
Le movenze, le camicie e gilet vistosi, a volte bretelle e barba lunga. Il Barman e
la sua arte del saper miscelare, il suo savoir-faire, il suo resoconto. Tutti dietro
una parola, una evoluzione, presa in prestito:
MIXOLOGY. L’arte della miscelazione o “mixology” è un’arte racchiusa in se
stessa che ha mistero, passione, consapevolezza e tanta chimica.
Il profilo sensoriale delle materie prime diventa intrigante e curioso allo stesso
tempo.
Il segreto è che tutto inizia come un gioco; non di parole ma di gusto, i bouquet
aromatici entrano in contatto con noi fin da subito ed è lì che incomincia
l’identificazione del “profilo aromatico”.
Niente e nessuno meglio del bartender riesce a portare in vita tramite bottiglie e
bicchieri ciò che porta con sé segreti viaggiatori nei bar.
Si pensi anche che la Mixologia nasce dopo la rivoluzione industriale e quindi
con l’invenzione (con tanta maestria) di liquori e distillati, nasce così il concetto di
cocktail, in questo caso in Gran Bretagna, che noi oggi conosciamo con il nome
di PUNCH. Quindi il Mixologist è l’artista dei drink che crea equilibrio ed armonia
tra tutti gli ingredienti.
Diverso il Bartender, che non richiede un vero e proprio background culturale e
nozionistico ma ammalia i propri i clienti con tecniche affascinanti e fa sì che
venga definito come un vero showman.
Con ordine, mi sento di concludere asserendo che sicuramente adesso si beve
meglio di 20-30 anni fa e in un futuro non troppo lontano il mestiere del
Bartender- Mixologo sarà definito come una vera e propria arte culturale di ogni
luogo del pianeta.
Instagram: https://www.instagram.com/danilo_pentivolpe/
WEB SITE: www.bartendersclassheroes.com
Facebook: https://www.facebook.com/pentivolpe.danilo/
Danilo Pentivolpe
BLUSH
i consigli di
Mauri Menga
TuttoBallo
Chiamato in origine “fard”, è un cosmetico che viene utilizzato per donare alle guance
un aspetto più colorato e vivace e per dare risalto e importanza agli zigomi. Proprio
per questa sua caratteristica non dovrebbe mai mancare nel beauty case di una
donna. Chi di noi non ha mai utilizzato il blush per rendere il proprio viso più bello e
luminoso? Senza dubbio si tratta di uno dei cosmetici più amati di sempre dalle
donne. Spolverare le gote di rosa è un gesto femminile che racchiude ben 4000 anni
di storia. Ecco le curiosità che non sapevi sul blush.
L’origine del blush
C’era una volta il fard nell’Antico Egitto. A quell’epoca era abitudine degli uomini così
come delle donne di alto rango sociale usare questo prodotto per donare colore e
luminosità alle gote, ma anche per proteggere la pelle dal sole e dalla sabbia. Veniva
usato come fard l’ocra rossa a secco mescolata ad oli pregiati profumati. Nell’Antica
Grecia anche c’era la consuetudine di colorare di rosa le guance usando però fragole,
gelsi schiacciati e succo di barbabietole rosse. Nell’Inghilterra di epoca vittoriana il
fard subì, dopo secoli di amabile uso, una brusca battuta d’arresto: era considerato
immorale e sconveniente colorare le gote. La pelle del viso doveva essere candida,
anzi bianca. Il fard nel ‘900 era ampiamente utilizzato. Negli anni ‘20 era usato solo
nelle colorazioni rosa e lampone in polvere. Negli anni ‘30 la palette dei colori si
arricchì del fucsia e dei toni del malva. Negli anni ‘40 il fard non era più in polvere, ma
venivano usano i petali di rosa lasciati macerare nell’alcol e poi applicati direttamente
sulle gote in soluzione liquida. Negli anni ‘50 fu inventato il piumino per applicare il
colore in polvere sulle guance più facilmente. Negli anni ‘60 fu la volta dei toni del
marrone, poiché le donne desideravano non apparire “effetto Minnie che arrossisce”
comunemente detto “Bonnie mine”, ma effetto abbronzatura. Negli anni ‘80 fu creato
un pennello specifico per applicare il fard che era disponibile sia liquido che in polvere
in oltre 10 colorazioni. Esistono numerose tipologie di blush tra cui:
blush in crema;
blush in stick
blusher liquido
blusher matitone
Queste tipologie di blush possono essere applicate in tre diversi modi.
con le dita: avendo cura di lavarle bene prima di procedere con l’applicazione,
sfumando verso le tempie;
con pennello a testa larga piatto;
con il pennello piccolo per fondotinta: questo metodo è da preferire se si decide di
utilizzare una colorazione intensa.
blush polvere
usa il pennello per prelevare il blush con movimenti leggeri;
togli l’eccesso sbattendolo delicatamente;
a questo punto metti la bocca come se volessi dare un bacio, in questo modo si
troverà l’ombra naturale dello zigomo;
per un viso tondo: è bene applicare il blush partendo dalle tempie e sfumarlo fino alle
guance con l’aiuto di un pennello piatto;
per un viso allungato: si potrà accorciare con delle linee orizzontali, per renderlo più
armonioso con l’aiuto di un pennello arrotondato;
per un viso quadrato: è ideale applicarlo dal centro del viso alle tempie, sfumando il
colore con movimenti circolari. ora applica il blush sulla parte sporgente dello zigomo
con movimenti circolari verso l’esterno.
TuttoBallo
Blush in polvere libera o compatto
Questo tipo di formulazione deve essere
applicata con il pennello per evitare che
si formino macchie e per la correzione
delle ombre. Il pennello ideale è quello
angolato perché segue la direzione delle
guance
Ogni volto ha bisogno di un diverso
modo di applicazione per enfatizzare lo
sguardo. Ad esempio:
per un viso tondo: è bene applicare il
blush partendo dalle tempie e sfumarlo
fino alle guance con l’aiuto di un
pennello piatto;
per un viso allungato: si potrà accorciare
con delle linee orizzontali, per renderlo
più armonioso con l’aiuto di un pennello
arrotondato;
per un viso quadrato: è ideale applicarlo
dal centro del viso alle tempie, sfumando
il colore con movimenti circolari
Innanzitutto è giusto sapere che non
dobbiamo tenere in considerazione solo
il colore del prodotto ma anche, e
soprattutto, la texture e il finish.
Per decidere se è meglio applicare un
fard in polvere oppure in crema dovete
considerare che tipo di pelle avete sulle
guance. Abbiamo due possibilità:
se la vostra è una pelle normale o secca
potete scegliere tranquillamente un
blush sia in polvere che in crema;
se la vostra pelle è grassa è meglio
scegliere solo il blush in polvere,
rinunciando a quello in crema che, con
l’eccesso di sebo, potrebbe sciogliersi e
formare macchie.
La scelta del finish invece dipende tutto
dalla grana della vostra pelle:
se la grana è liscia e omogenea potete
scegliere il finish che volete;
se la grana ha qualche imperfezione,
come brufoletti, pori dilatati o rughette,
meglio evitare i brillanti che, riflettendo la
luce sulle vostre guance,
evidenzierebbero le irregolarità. Lo
stesso discorso vale anche se avete un
viso piuttosto paffutello.
La nuova tendenza che sta spopolando
è quella del blush contouring,
un’evoluzione della classica tecnica del
contouring che prevede di scolpire ma
anche correggere il volto con l’utilizzo
dei colori che siamo solite utilizzare
come blush.
TuttoBallo
Con la tecnica del blush contouring è possibile ottenere diversi risultati, come
l’effetto lifting, l’effetto sculp, ma anche donare al viso un effetto volumizzante
donando al volto le giuste simmetrie con il solo utilizzo della polvere di blush. In
cosa consiste questa nuova tendenza? Il concetto è lo stesso del contouring
tradizionale, quindi quella di donare tridimensionalità al volto ma con un risultato
molto più naturale e per nulla artefatto. Scopriamo insieme come realizzare al
meglio la nuova tecnica del blush contouring o draping:
Per ottenere un effetto lifting si andranno ad utilizzare una tonalità scura subito
sotto lo zigomo sfumando verso le tempie mentre con il blush chiaro si andrà a
sottolineare i contorni del volto, partendo dagli occhi fino alle tempie.
Per la realizzazione dell’effetto sculp utilizzeremo un blush scuro per tirare fuori
gli zigomi ed il blush più chiaro verrà utilizzato sulle guance sfumandolo alla
perfezione verso l’alto; questa tecnica è perfetta per bilanciare la tridimensionalità
del viso. Se invece volete ottenere un effetto volume, bisognerà stendere la
tonalità di blush più scura dal centro delle guance verso l’esterno e con il blush
più chiaro si andranno a ripetere gli stessi passaggi per donare al volto un aspetto
super naturale.
Con questa tecnica doneremo al volto un aspetto molto naturale, l’aspetto delle
guance della buona salute che si era solite avere da bambine, come potete
vedere abbiamo una piccola inversione di rotta verso il passato ma ovviamente
rielaborando le tendenze che erano in voga negli anni passati, catturando i lati
positivi e riadattandoli ai tempi moderni.
Altra questione importantissima, forse la prima ad esser considerata quando si
sceglie di utilizzare il blush, è il colore.
Scegliere il colore giusto non è facile, potrebbero occorrere diverse prove, ma
esiste una linea generale da seguire. Eccola.
Per scegliere il colore giusto sono diversi i fattori da considerare, primo fra tutti
“l’ensemble” del make up (occhi e labbra). Se avete optato per colori caldi (oro,
borgogna, arancio, pesca) tenetevi all’incirca sulle stesse tonalità calde anche
con il blush. Stesso discorso vale se per le tonalità fredde (rosa, viola, azzurro,
verde).
Con i toni neutri invece (marrone, grigio, nero) potete scegliere il colore che più
preferite. La prima regola da rispettare resta comunque quella di scegliere una
nuance che vada in perfetta armonia con il tono della propria pelle.
Vediamo nel dettaglio come scegliere il blush perfetto in base al colorito della
nostra pelle.
Per le pelli chiare uno dei must è il rosa tenue, delicato alla e con sfumature molto
simili a quelle dell’interno delle labbra. Chi ha invece una pelle chiara ma con un
sottotono giallo troverà nel color pesca la sfumatura ideale, una sorta di
passepartout che sta bene su tutto.
Le pelli medie necessitano invece solo di un’enfatizzazione della propria
sfumatura calda, dunque scatenatevi con il color albicocca per un risultato
naturale e deciso. Se il colore della pelle è olivastro allora le tonalità calde vanno
bene, servono a smorzare il colore freddo della pelle. La pelle olivastra richiede,
dunque, colori dalle sfumature del lampone oppure ancora meglio sfumature
bronzee per gli zigomi.
Infine per le pelli mature la scelta migliore è sempre quella di preferire un blush
adatto al proprio incarnato, ma facendo attenzione a sceglierne uno dall’effetto
satinato che ha il miracoloso effetto di coprire i segni dell’età.
Premio giornalistico Rossella Minotti
Assia Karaguiozova
Il Premio Minotti, giunto alla seconda edizione, è dedicato a Rossella Minotti, caporedattrice e inviata de Il Giorno,
scomparsa prematuramente nel 2019. Iniziativa promossa dalla famiglia di Rossella con la Federazione nazionale
della Stampa Italiana e l’Associazione Lombarda dei Giornalisti. È dedicata ai giornalisti che hanno meno 35 anni,
iscritti al sindacato.
La giuria è composta da Edmondo Rho (marito di Rossella e già inviato di Panorama), Venanzio Postiglione
(vicedirettore del Corriere della Sera), Sandro Neri (direttore de Il Giorno), Anna del Freo (giornalista de Il Sole 24 Ore
e segretaria generale aggiunta Fnsi) e Domenico Affinito (giornalista del Corriere della Sera, in qualità di
vicepresidente della Alg).
La premiazione, per entrambe le edizioni 2020 e 2021, si terrà martedì 1° marzo 2022 nella sede dell'Alg a Milano
@fnsisocial - Onorata di averne disegnato il logo!
di Assia Karaguiozova
Foto di Assia Karaguiozova
Честита Баба Марта!
Buona Baba Marta!
Tradizione Bulgara che porta Salute
Viene celebrata il 1 Marzo
(quando Baba Marta si infuria, arriva con la neve)
LA STORIA
DI
MARINELLA
Lucia Martinelli
Purtroppo io non sono Fabrizio De André e non scrivo canzoni, a volte canto sotto la doccia, ma non per questo
posso arrogarmi il diritto di essere una musicista, perciò non mi sarà possibile raccontare la storia della mia
Marinella in musica.
Peccato… perché la musica è in grado di portarci verso la levitas e il Sig. De André lo sapeva molto bene quando
nel 1962 scrisse il brano cercando di “reinventare una vita e addolcire la morte” della giovane Maria, uccisa nel
1953.
La Marinella di De André era un nome d’arte, perché Maria – per campare – faceva la prostituta.
La Marinella cui mi riferisco io, non so chi sia e non conosco il suo passato.
In compenso, so che aveva una settantina d’anni e come è morta, cioè da sola in una villetta del Comasco, seduta
su una sedia della cucina.
L’hanno trovata fortuitamente quasi due anni dopo il decesso, avvenuto per cause naturali.
Eppure, nessuno se n’è accorto, nessuno in due anni l’ha cercata e a nessuno è venuto il dubbio di dove fosse
finita, neanche ai vicini convinti che si fosse trasferita.
Nel momento in cui c’è stato un problema con il giardino intorno alla casa, allora i vicini si sono messi in contatto
con il proprietario (uno svizzero che aveva acquistato l’immobile lasciandole l’usufrutto) per sistemarlo. Al suo arrivo
a Prestino, però, l’uomo non ha ricevuto alcuna risposta dall’interno dell’abitazione e ha dovuto attivare le forze
dell’ordine: un corpo in via di mummificazione li aspettava, silente e paziente quanto la morte, in una bara di
parecchi metri quadrati.
In fondo, Marinella è stata fortunata, almeno se n’è andata nel suo ambiente, impregnato dalla sua essenza e dalla
sua storia, piuttosto che in un freddo ricovero per anziani.
E si può dedurre che Marinella fosse una donna organizzata e ben presente a sé stessa, perché con quella vendita
in usufrutto – e la rendita che l’elvetico le versava sul conto ogni mese con implacabile regolarità – aveva gettato le
basi per il futuro e la sua autosufficienza.
La mia Marinella non era un’âgée rincoglionita, era cosciente della sua condizione di donna sola e, quindi, scelto la
migliore soluzione per lei.
Beh… a me questo già basta per provare un’istintiva simpatia verso la Sciura Beretta.
Prendendo una minima distanza, tuttavia, il quadro che emerge è il trionfo dell’indifferenza e della solitudine. Un
dipinto dalle tinte fosche, d’altronde non me la sentirei di riportare su tela l’indifferenza e la solitudine utilizzando i
colori dell’alba, piuttosto sceglierei sfumature tra il grigio, il nero e – forse – il rosso.
Insomma, questa è solo la storia di Marinella? Oppure è il racconto di ognuno di noi?
Con gli anni che avanzano, si diventa selettivi e più cresce questa speciale capacità di guardare oltre e, più si
potano i rami secchi, utili giusto per accendere un camino.
Ecco… magari, neppure Marinella aveva un caminetto nella sua bella casa.
In compenso, aveva sé stessa, i suoi ricordi, anche lei custodiva dentro la giovane donna di un tempo, pronta a
mordere il destino e a viaggiare con le nuvole a farle da cappello.
Poi c’era il mondo fuori che non “sente” e striscia per arrivare chissà dove, quello che negli ultimi due anni ha giusto
agognato il ritorno alla normalità… e, invece, non è mai riuscito nemmeno a scorgere la punta delle proprie scarpe,
dato che corre dentro una fitta e perenne nebbia.
Non è un argomento frivolo e pieno di grazia, me ne rendo conto, motivo per cui avrei preferito avere la stessa
“arma” di De André, giacché la levitas non è superficialità.
Anzi… chiunque dovrebbe renderla sua compagna di cammino, pena il ritrovarsi nella villetta di Marinella, in un
modo o nell’altro.
Ciao Marinè!
Pensiero del mese
DI FRANCESCA MEUCCI - DIRETTRICE DI SOLOMENTE
Carnevale 2022 termina proprio il primo marzo.
E martedì grasso significa anche maschere. Il che mi porta
ad una riflessione seria. I bambini si divertono, capita che
anche in periodi lontani dal carnevale alcuni si travestono
scambiandosi ruoli e costumi che la 'società' ha da sempre
destinato a uno o all'altro sesso. Perché la catalogazione e
la definizione funziona (va) così. Personalmente non ho mai
avuto alcun pregiudizio. Le persone, e soprattutto i piccoli,
devono essere sempre liberi di essere, di esprimersi e di
indossare ciò che preferiscono. Ovviamente è pieno il
mondo di gente che non la pensa come me. Ma davvero non
riesco a comprendere come si possa giudicare qualcuno da
come si veste. È come limitarsi a vedere solo la copertina di
un libro senza aver letto il contenuto. Sono altre le maschere
di cui preoccuparsi. Quelle che ogni giorno incontriamo sulla
nostra strada. Quelle che non si vedono e nascondono la
vera essenza degli esseri umani. Quelle che a volte
dobbiamo indossare tutti, chi più chi meno. Nel bene e nel
male. Speriamo di poterle togliere più spesso, magari
insieme alle altre, le mascherine, per mostrarci come
veramente siamo e far brillare i nostri sorrisi.
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