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Vitae 32 - Marzo 2022

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cioè 5800 ettari). Se ne contano trenta e gli

isolani li considerano tutti autoctoni, lasciando

fuori lista quelli importati, peraltro molto

limitati nella presenza.

Il vitigno più diffuso è il niellucciu, le cui

affinità con il sangiovese sono così strette che

potremmo provocatoriamente rovesciare

l’affermazione: il sangiovese ha stretta affinità

con il niellucciu. In seconda posizione si

posiziona il vermentinu, detto anche malvoisie

de Corse; poi lo sciaccarellu, l’aleatico, il biancu

gentile e il barbarossa, a bacca rosa a dispetto

del nome.

La produzione del vino è fortemente

caratterizzata dall’impiego dei vitigni a bacca

nera, con elaborazione di rossi e rosati; la

versione in bianco è limitata, ma presenta

gemme enologiche molto interessanti,

in particolar modo con il vermentino,

confrontabile con i cugini liguri, toscani e

provenzali. Particolari sono anche i vini bianchi

da vitigni locali, che oltre ad accompagnarsi

al vermentino – si pensi al biancu gentile, al

muscatu, al genovese – creano curiose cuvée

con altri autoctoni, come malvasia, brustiano,

rossola bianca o rossola brandica, riminese,

carcajolu biancu, pagadebbitu e biancone.

Il vermentino fu introdotto nell’isola verso il

1300 e si appropriò immediatamente di una

distinzione: vermentinu nella parte sud, mentre

a nord prese il nome di malvasia o malvoisie

de Corse. L’habitat còrso crea al vermentinu

le condizioni per produrre vini spiccatamente

floreali, con riconoscimenti di acacia,

biancospino, rosa canina, ginestra e mimosa; il

fruttato può caratterizzarsi nelle espressioni di

mela, melone, banana, mandorla fresca; rispetto

al vermentino della costa ligure e toscana non

ha quell’icastica presenza vegetale, di erbe

mediterranee. Il potenziale evolutivo non è più

lungo di quello del vino del continente, salvo

le annate eccezionali, ma è molto attraente la

trasformazione varietale dei profumi, perché

l’affievolimento del floreale trova sostituti nelle

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