MAP - Magazine Alumni Politecnico di Milano #10

La rivista degli architetti,
designer e ingegneri
del Politecnico di Milano
10

EDITORIALE 3
Dieci numeri di MAP
di Federico Colombo
Dirigente Area Ricerca, Innovazione e Rapporti con le Imprese
SIAMO ARRIVATI a una pietra miliare, il numero
10 di MAP.
Chissà perché, il numero 10 di qualcosa è sempre
importante: si parla di « top 10 », delle « 10 cose
da fare prima di… », è il massimo dei voti quando
andiamo a scuola. Pensiamo in decine. Dieci decine
sono le pagine di questa rivista.
Nel tempo, il magazine ha raccolto tanti feedback
positivi: per la community è ormai la finestra
sul mondo politecnico, un appuntamento
fisso e atteso tra gli Alumni e l’Ateneo. Il progetto
editoriale è cresciuto e oggi è diventato un vero
e proprio sito di news, aggiornate settimanalmente,
di cui queste 100 pagine rappresentano
la punta dell’iceberg, il « the best of », delle storie
che vi raccontiamo tutto l’anno giorno dopo
giorno: sulla didattica, la ricerca, le storie professionali
e l’impatto che il DNA politecnico porta
nel mondo.
Questo 10 segna un punto di svolta anche per
noi e abbiamo deciso, quindi, di festeggiarlo con
una veste grafica tutta rinnovata, che va nella direzione
di un magazine più sostenibile ma sempre
(ci auguriamo siate d’accordo) accattivante.
Fateci sapere cosa ne pensate.
Buona lettura, buone dieci decine di pagine
politecniche e arrivederci, come sempre, a tra sei
mesi, con il MAP 10+1.
P.S. Per continuare a collezionare tutti i numeri
di MAP nella vostra libreria, potete rinnovare
il vostro abbonamento scrivendo a alumni@
polimi.it.

4 COLOPHON
La rivista degli architetti,
designer e ingegneri
del Politecnico di Milano
Direttore
Federico Colombo
Direttore Esecutivo Alumni
Dirigente Area Ricerca,
Innovazione e Corporate Relations
Politecnico di Milano
COMITATO EDITORIALE
Alessio Candido
Operations Planning, Brand Identity
Alumni Politecnico di Milano
Sara Gennari
Executive Assistant & Administrative
Services Alumni Politecnico di Milano
Valentina Ottoboni
Digital Communication & Social Media
Alumni Politecnico di Milano
Luca Lorenzo Pagani
Community Development
Alumni Politecnico di Milano
Irene Zreick
Coordinamento editoriale Alumni
Politecnico di Milano
Caporedattore
Valerio Millefoglie
Correzione bozze
Michelle Martinet
Progetto grafico
Paper Paper
(Giovanni Cavalleri, Cecilia Bianchini)
Editore e Proprietario
AlumniPolimi Association
Politecnico di Milano
Presidente
Prof. Enrico Zio
Delegato del Rettore per gli Alumni
Delegato del Rettore
per il Fundraising Individuale
Piazza Leonardo da Vinci, 32
20133, Milano
T. +39.02 2399 3941
F. +39.02 2399 9207
alumni@polimi.it
www.alumni.polimi.it
PIVA 11797980155
CF 80108350150
Pubblicazione semestrale
Numero 10 – Estate 2022
Registrazione presso il Tribunale
di Milano n°89 del 21 febbraio 2017
Stampa
AGF S.p.A.
Via del Tecchione, 36-36A
20098 - Sesto Ulteriano
San Giuliano Milanese (Mi)
www.agfsolutions.it

INDICE 5
3
Dieci numeri di MAP
60
Un bilancio delle vostre donazioni
6
Care Alumnae e cari Alumni
63
Ateneo, imprese, territorio
7
Dal rettorato
64
La carica dei 190
8
Passare dall’Europa per garantire la crescita
delle future generazioni
69
Nel mondo
10
Politecnico nel 10% delle migliori università
al mondo
70
La (ex) startup spaziale punta in alto
15
Fra i primi 100 al mondo per obiettivi
di sostenibilità
72
La scuola in cui aprirsi davvero
17
Didattica
76
La Milano di domani: una galleria
di opere politecniche
18
La Formula 1 degli studenti
86
Inizia l’era delle macchine antropomorfe?
23
Ci serve una pista da Space Shuttle
89
Campus life
26
800 km con un litro di benzina
90
All’orizzonte della collina, degli studenti
29 L’epica che corre su due ruote
94
C’è un De Chirico in biblioteca
34
36
37
38
44
47
48
51
57
58
Professioni del futuro: due nuovi corsi di laurea
Lifelong learning: gli esami non sono finiti
Ricerca
Scienziati politecnici per sfide globali
Giovani ricercatori studiano soluzioni
per il bene comune
Un paio di occhiali, ma non per gli occhi:
per le narici
Scienza ed etica sono binari paralleli?
Come si diventa inventori?
Responsabilità sociale
C’è ancora da lavorare sulla parità di genere

6 EDITORIALE
Care Alumnae
e cari Alumni
Per donare
di Enrico Zio
Presidente Alumni Politecnico di Milano
BENTORNATI TRA LE PAGINE DI MAP, edizione numero
10. Un numero importante al quale sono
particolarmente affezionato (per i miei trascorsi
sui campetti di calcio dell’hinterland milanese…)
ma non mi dilungherò oltre, per vostra fortuna.
Vi anticipo, invece, quello che leggerete nelle
pagine di questa edizione di MAP e cercherò di
contestualizzarlo rispetto al ruolo della nostra
community di Alumni.
A pagina 10 si parla di ranking universitario, le
(famigerate) classifiche che cercano di catturare
quantitativamente la complessità della vita di un
Ateneo, che si intreccia a quella dei suoi studenti,
del suo personale docente e tecnico-amministrativo,
dei suoi Alumni. Per parziale che sia, la
visione e la visibilità offerte dalle classifiche forniscono
un riferimento relativo al (buonissimo)
posizionamento internazionale e ai (buonissimi)
risultati raggiunti dal nostro Ateneo, rispecchiando
l’impegno della governance, in primis, e di
tutti gli attori coinvolti, nel portare il Politecnico
a confrontarsi a livello internazionale. Tali classifiche
registrano anche l’importante sostegno
offerto al Politecnico dalla community dei suoi
Alumni, che contribuiscono alla sua visibilità e
crescita internazionale, facendosi sempre testimoni
e portavoce dei suoi valori.
Seguono le pagine sulla didattica innovativa,
con nuovi corsi di laurea ed entusiasmanti imprese
(anche sportive) dei nostri studenti, e quelle
sulla ricerca, tutte iniziative e attività progettate
e realizzate grazie alla collaborazione e partecipazione
attiva degli Alumni: quelli che accompagnano
i corsi di studio e i dipartimenti nelle
riflessioni sugli sviluppi della formazione in raccordo
con le esigenze e gli sviluppi del mondo del
lavoro; quelli che si spendono in prima persona
per fare da ponte tra il Politecnico e le aziende
e istituzioni di cui fanno parte, per creare partnership
di ricerca e trasferimento tecnologico ad
alto impatto.
Vi sono poi, a pagina 60, i dati sulle borse di
studio... che parlano da sé: i contributi elargiti
dagli Alumni sono importantissimi perché consentono
di supportare economicamente il percorso
di studio di meritevoli studentesse e studenti
al Politecnico di Milano. Ma questa è solo
una delle iniziative alla quale gli Alumni danno
(forte) supporto: ci sono anche i contributi per
la riqualificazione dei campus, il finanziamento
di progetti di ricerca ad alto impatto sociale e di
progetti didattici speciali.
Il MAP stesso esiste grazie ai vostri contributi!
E i contenuti testimoniano, ancora una volta, la
forza del legame tra Alumni e Politecnico, un legame
sulla base del quale possiamo continuare
a costruire, per il futuro.
Buona lettura.

Dalla voce del Rettore e della sua squadra, queste istantanee del Politecnico
di Milano raccontano il presente, il futuro e le strategie dell’Ateneo
7
7–16
Dal
Rettorato

8 DAL RETTORATO
Passare dall’Europa
per garantire la crescita
delle future generazioni
di Ferruccio Resta
Rettore del Politecnico di Milano

DAL RETTORATO 9
DOPO DUE ANNI DI PANDEMIA, il conflitto in Ucraina
assesta un duro colpo alla solidità dell’Europa e
alla tenuta delle economie locali: dal costo dell’energia
al blocco del grano, ai rincari delle materie
prime. Un duro colpo che attenta ai nostri valori
identitari – la pace, il rispetto, la libertà di pensiero
– e apre una crisi umanitaria nel cuore di
un’Europa fragile che, per la prima volta nella sua
storia, prova a tracciare un percorso unitario. Una
Comunità imperfetta, certamente incompiuta, ancora
lontana da come l’avevano pensata Monnet
o Adenauer, tuttavia rinsaldata nei suoi principi
cardine e nelle sue azioni, a partire dal Next Generation
EU fino ai piani di ripresa nazionali.
Siamo certi che sia proprio in questa dimensione
europea che il Politecnico trovi la sua strada:
dal rafforzamento delle alleanze internazionali
(ultima, ma non per importanza, ENHANCE), ai
riconoscimenti nella ricerca (dodicesima università
per fondi da Horizon 2020 e prima in Italia), al
posizionamento nei ranking globali, tra i migliori
atenei del vecchio continente (al 3o posto per Design,
al 5o per Architettura e al 7o per Ingegneria
secondo l’ultimo QS World University Rankings
by Subject 2022), alla risposta attiva alle misure
indicate dalla Missione 4 del PNRR.
Dopo mesi di duro lavoro il Politecnico si presenta
infatti all’appello del Ministero come soggetto
proponente del Centro Nazionale per la Mobilità
e partner dei Centri Nazionali su: Agritech; HPC
e Quantum Computing; Biodiversità. Partecipa a
due Ecosistemi di Innovazione Territoriale: uno
sul tema della manifattura e l’altro sulla transizione
sostenibile. Attiva 13 proposte sul fronte delle
Infrastrutture di Innovazione e di Ricerca e 9 per i
Partenariati Estesi. Aggiunge 500 dottorati, anche
industriali, a quelli già attivi.
Un impegno significativo da parte del nostro
Ateneo. Una risposta decisa a cogliere le opportunità
aperte da un piano di ripresa che, seppure
contestato su più fronti, attaccato da critiche e polemiche
dell’ultima ora, è un’occasione unica per
il nostro Paese. Il monito arrivato dalla Comunità
Europea in questi ultimi giorni è piuttosto chiaro:
troppo debito e poca crescita, l’Italia deve intervenire
subito, realizzare rapidamente le riforme
per rimettere in piedi un sistema caratterizzato
da profondi squilibri macroeconomici.
L’università può fare molto a partire dalle due
rivoluzioni gemelle: digitale e sostenibilità. Al Politecnico
abbiamo recentemente avviato due nuove
lauree, in Ingegneria del Supercalcolo e in Transformative
Sustainability (quest’ultima in collaborazione
con Bocconi). Ne parleremo più avanti nel
corso di questo numero. Ma non basta. Servono
azioni di sistema, come quelle indicate dal PNRR,
per apportare cambiamenti strutturali duraturi. I
riflettori della Commissione sono puntati sugli investimenti
mirati alla crescita del capitale umano
e del mercato del lavoro.
Serve a far sì che questi fondi diventino uno strumento
per cambiare il Paese, per accelerare i processi
e recuperare i divari. Per questo dobbiamo fare
rete, intensificare il rapporto tra pubblico e privato,
sviluppare tecnologie e accompagnare imprese e
cittadini verso la loro adozione, intercettare nuovi
strumenti di inclusione sociale. «Whatever it takes»
per garantire la crescita delle future generazioni.

DAL
DAL
RETTORATO
RETTORATO
11
11
In crescita la reputazione internazionale dei nostri ricercatori
e la forza delle collaborazioni con imprese e istituzioni
Politecnico
prima università
italiana per
l’ottavo anno
consecutivo,
nel 10%
delle migliori
al mondo

12
12
DAL
DAL
RETTORATO
RETTORATO
QS World University Rankings 2023
Oltre 1300 atenei analizzati
QS WORLD UNIVERSITY
RANKINGS 2023: nella
classifica generale degli atenei
di tutto il mondo il Politecnico
entra ufficialmente a far
parte del top 10% delle
università eccellenti,
posizionandosi al 139 o posto;
primo in Italia. I risultati
migliori riguardano due
indicatori molto importanti:
l’Academic Reputation, dove
raggiungiamo la 96 a posizione,
e l’Employer Reputation,
cioè l’opinione che i datori di
lavoro hanno degli Alumni,
che ci vede all’80 o posto nel
mondo.
L’analisi QS University
Rankings analizza quasi 2500
tra le migliori università al
mondo e tiene conto di vari
indicatori: il Politecnico, come
si è visto, è particolarmente
forte nell’Employer
Reputation, un sondaggio
internazionale in cui 40 mila
datori di lavoro indicano
quali sono le università dalle
quali preferiscono assumere
talenti, e nell’Academic
Reputation, l’indicatore più
importante dell’indagine per
quanto riguarda la rilevanza
internazionale dell’Ateneo
come centro di ricerca, che
misura la reputazione del
Politecnico sulla base della
valutazione di oltre 130.000
accademici da tutto il mondo.
MONDO
ITALIA
139 o
1 o
Employer Reputation 2023
Indica quali sono le università dalle quali le
aziende preferiscono assumere talenti
MONDO
ITALIA
80 o
1 o
Academic Reputation 2023
Reputazione del Politecnico sulla base della
valutazione di oltre 130.000 accademici da
tutto il mondo
MONDO
ITALIA
96 o
1 o

DAL RETTORATO 13
CRESCONO ANCHE gli
indicatori che misurano
l’attrattività del Politecnico
nei confronti di docenti e
ricercatori (+48 posizioni
guadagnate in 3 anni) e
studenti internazionali
(+25 posizioni guadagnate
in 3 anni) e la forza delle
collaborazioni con imprese e
accademie per portare avanti
progetti di ricerca di ampio
respiro. Su questi elementi
gioca un ruolo importante
il rapporto tra Ateneo,
territorio, imprese e comunità
internazionale, connessioni
fondanti del DNA politecnico.
Ancora un primo posto
tra le università italiane,
questa volta nel QS Graduate
Employability 2022, la
classifica che valuta la capacità
degli atenei di preparare gli
studenti per il mondo del
lavoro, dove occupiamo il
9 o posto in Europa e il 43 o
nel mondo. Il QS Graduate
Employability 2022 ha
analizzato 679 università,
classificandole in base a
5 parametri: il numero di
partnership aziendali, il
numero di incontri organizzati
tra aziende e studenti, il dato
occupazionale, il numero di
aziende che indicano l’ateneo
in analisi come università da
cui reclutano, la percentuale
di Alumni e Alumnae con
carriere di grande impatto.
Ottimi risultati in tutti gli
indicatori e, in particolare,
spiccano l’indicatore
occupazionale e quello delle
partnership con le imprese, in
cui il Politecnico supera i 95
punti su 100.
QS Graduate Employability 2022
679 atenei analizzati
Valuta 5 parametri: il numero di partnership
aziendali, il numero di incontri organizzati
tra aziende e studenti, il dato occupazionale,
il numero di aziende che indicano l’ateneo
in analisi come università da cui reclutano,
la percentuale di Alumni e Alumnae con
carriere di grande impatto
MONDO
EUROPA
ITALIA
43 o
9 o
1 o
RANKING: A COSA SERVONO?
RISPONDE STEFANO RONCHI
DELEGATO DEL RETTORE AGLI AFFARI INTERNAZIONALI
I ranking, sebbene abbiano
una serie di limiti, sono uno
strumento che contribuisce
al raggiungimento di alcuni
nostri obiettivi strategici e,
in particolare, sono utili a
potenziare la nostra visibilità
internazionale. Internazionalizzazione
e diversità
sono due fattori importanti
per il Politecnico, crediamo
che l’integrazione di culture
diverse arricchisca il mondo
della didattica e della ricerca.
Ci poniamo quindi l’obiettivo
di attrarre capitale umano
(studenti e ricercatori),
competenze, conoscenze
e fondi di finanziamento
da tutto il mondo, di dare a
queste risorse la possibilità
di crescere in un ambiente
di respiro internazionale, e
infine rimetterle in circolo,
accresciute, nell’ecosistema
in cui viviamo, aumentandone
la competitività. Come
rispondere a questo obiettivo
strategico? Studenti e
docenti, prima di decidere di
venire al Politecnico, guardano
anche come è posizionato
nei ranking: per attrarre
risorse internazionali, quindi,
devi posizionarti bene.
Inoltre, i ranking ci permettono
di confrontarci su alcuni
parametri a livello internazionale
in modo da perseguire
politiche di miglioramento
continuo.
Naturalmente, non contano
solo i ranking, ma anche i
nostri laboratori, i servizi che
eroghiamo, i campus, la capacità
attrattiva della città di
Milano e molti altri fattori che
contribuiscono a costruire la
reputazione internazionale
del nostro Ateneo.

14 DAL RETTORATO
DAL RETTORATO 14
ANCHE IL RANKINGS BY
SUBJECT, la classifica delle
università per ambito disciplinare,
rafforza il trend di crescita
del Politecnico di Milano.
Per Ingegneria, negli ultimi 6
anni il nostro Ateneo ha scalato
11 posizioni in classifica,
raggiungendo oggi il 13 o posto
al mondo (dal 24 o posto del
2016). In Architettura e Design
ha guadagnato 5 posizioni: rispettivamente,
dal 15 o e 10 o posto
del 2016, al 10 o e 5 o nell’ultimo
anno. In Europa siamo al
7 o posto nell’area Engineering
and Technology, al 3 o per Art &
Design e al 5 o per Architecture
& Built Environment. Nel panorama
italiano, il Politecnico
di Milano si conferma primo
assoluto in Architettura, Design
e per la quasi totalità delle
materie di Ingegneria (Computer
Science & Information
Systems; Chemical Engineering;
Civil & Structural Engineering;
Electrical & Electronic
Engineering; Mechanical,
Aeronautical & Manufacturing
Engineering). Questi risultati
rispecchiano, tra i vari parametri
presi in considerazione,
la valutazione degli Alumni
sulle competenze acquisite in
relazione al contesto lavorativo
e il consolidamento del rapporto
con le aziende, che passa
anche attraverso il sostegno
alle startup e allo sviluppo
d’impresa, con la creazione di
numerosi Joint Research Centre.
Anche nella reputazione
accademica (indicatore basato
sulle valutazioni di oltre
130.000 accademici da tutto il
mondo) si rileva un miglioramento
forte.
QS World University Rankings by Subject
Classifica delle università migliori al mondo
per ambito disciplinare
Architettura
MONDO
EUROPA
ITALIA
Design
MONDO
EUROPA
ITALIA
Ingegneria
MONDO
EUROPA
ITALIA
10 o
5 o
1 o
5 o
3 o
1 o
13 o
7 o
1 o

DAL RETTORATO 15
Politecnico di Milano fra
i primi 100 al mondo per
obiettivi di sostenibilità
di Donatella Sciuto
Prorettore Vicario del Politecnico di Milano e Delegata del Rettore alla Ricerca
MATTEO BERGAMINI

16 DAL RETTORATO
OLTRE AL POSIZIONAMENTO NEI RANKINGS QS, un
risultato di cui essere molto orgogliosi è l’ingresso
del Politecnico di Milano nella classifica THE
Impact Rankings 2022, realizzata da Times Higher
Education. «La classifica punta a quantificare il
contributo delle università allo sviluppo sostenibile,
misurato sulla base dei 17 Obiettivi dell’Agenda
2030 delle Nazioni Unite (SDGs), – commenta Donatella
Sciuto, Prorettore Vicario del Politecnico
di Milano e Delegata del Rettore alla Ricerca. –
Nonostante si tratti della nostra prima partecipazione,
i risultati raggiunti sono promettenti: terzo
posto in Italia e tra i primi 100 al mondo. Significa
che stiamo andando nella giusta direzione».
THE Impact Rankings 2022 ha analizzato complessivamente
1406 università, di cui 20 italiane. Il
Politecnico ha ottenuto la migliore performance
nell’indicatore SDG 9 – Imprese, Innovazione e
Infrastrutture, dove ha raggiunto il 18 o posto al
mondo. «Un risultato che testimonia l’altissima
qualità dei nostri laboratori, la versatilità della nostra
ricerca, da quella di base a quella applicata, e
la solidità dei legami avviati con il tessuto produttivo,
– continua Sciuto. – Oggi contiamo quasi 300
laboratori, 6 grandi infrastrutture di Ateneo e più
di 30 laboratori interdipartimentali».
Contribuiscono al successo politecnico anche
le numerose partnership strategiche per l’innovazione,
come i JRC (Joint Research Centre, di cui
parleremo più avanti in questo numero): accordi
quadro tra Ateneo e aziende per sviluppare programmi
di ricerca congiunti, condividere obiettivi
e infrastrutture, investire nella crescita di risorse
umane altamente qualificate.
Ma non solo... «Accanto a quella che è la tradizione
del Politecnico, ritengo importantissimo un
secondo risultato, quello ottenuto nella riduzione
delle disuguaglianze, – continua Sciuto, impegnata
in prima linea in molte delle iniziative che posizionano
il Politecnico al 45o posto all’interno dello
SDG 10. – Sono orgogliosa del lavoro che la nostra
università ha svolto in questi anni in progetti di
responsabilità sociale, nel riconoscimento delle
pari opportunità, nella creazione di un ambiente
di lavoro e di studio inclusivo, aperto e accogliente.
Una responsabilità alla quale non intendiamo
sottrarci e dove pensiamo di dovere e potere fare
ancora meglio».
«Collaborare con la società
e aiutarla a raggiungere
gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile
fa parte della nostra missione
come Ateneo»
Il tema della sostenibilità è declinato in chiave
politecnica secondo quattro principali ambiti di
intervento: sostenibilità ambientale, promozione
della ricerca responsabile, cooperazione internazionale
e pari opportunità. «Il nostro impegno
per lo sviluppo sostenibile non è un atto amministrativo,
né tantomeno la risposta a una tendenza
del momento, – prosegue il Prorettore. – È un
obiettivo a lungo termine. L’università è sempre
di più un attore sociale. Svolge una funzione etica.
Contribuisce a dinamiche globali. È consapevole
che perseguire gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile
comporti un costo elevato in termini di impegno e
risorse economiche, avendo come luogo di sperimentazione
iniziale la stessa università e il territorio,
come testimoniano i documenti pubblicati sul
nostro sito https://www.polimi.it/it/impatto-sociale/.
Ma è solo puntando su ricerca e formazione
che questo costo può diventare un investimento
per il futuro delle nuove generazioni. Generazioni
aperte al confronto internazionale, capaci di
affrontare le grandi sfide ambientali, sociali e tecnologiche,
sia a livello locale che globale.
La Commissione presieduta da Ursula von der
Leyen, non a caso, ha inserito l’Agenda 2030 tra le
priorità nell’azione politica dell’Unione Europea.
Sostenibilità è un termine che riecheggia in continuazione
all’interno del Piano Nazionale di Ripresa
e Resilienza. È una delle leve per risollevare
il Paese dopo il 2026 e per i decenni a venire. Un
messaggio che la prima università tecnica del Paese,
nodo di importanti reti e alleanze europee, ha
colto in pieno, impegnandosi a lavorare per una
società più inclusiva e migliore.

CAMPUS LIFE 17
17
Come si studia oggi? Docenti e studenti raccontano tutta l’innovazione
nella didattica politecnica, i nuovi corsi di laurea, i metodi di insegnamento,
le aule interattive, l’affiancamento delle aziende e le best practices
che accompagnano le solide competenze tradizionalmente trasmesse
dal Politecnico di Milano
17–36
Didattica

18 DIDATTICA
Non si studia solo in aula, ma anche in garage, con un saldatore
in una mano e un algoritmo (metaforicamente) nell’altra. Al Politecnico
ci sono squadre di studenti e ricercatori che progettano macchine
e moto da corsa, le costruiscono pezzo per pezzo e le fanno sfrecciare
sui circuiti di tutto il mondo. E, come tutte le storie sportive, anche questa
è costellata di vittorie e sconfitte

DIDATTICA 19
Ai blocchi di partenza: gli
studenti che costruiscono
veicoli da corsa
FOTO DI TOMMASO CHEMELLO, ALUMNUS INGEGNERIA MECCANICA E MEMBRO DEL TEAM DYNAMIΣ
«PRENDETE POCHI CREDITI per il
tempo che sottraete alla preparazione
degli esami, ma in compenso
è un salto di qualità incredibile,
vi costringe a metterci le
mani, a capire e a immaginare».
A parlare è l’ing. Giampaolo
Dallara, che nel 1972, a Varano
de’ Melegari, in provincia di
Parma, ha fondato l’omonima
azienda italiana costruttrice di
automobili da competizione.
Dallara è Alumnus in Ingegneria
Aeronautica, appassionato di
motorsport e uno dei principali
sostenitori della Formula SAE in
Italia. Si sta rivolgendo agli studenti
del team politecnico Dynami∑
PRC: oltre 100 ragazze e ragazzi
che, ogni anno, progettano
e costruiscono un prototipo di
auto da corsa in stile Formula.
La Formula 1 degli studenti
I veicoli di Dynami∑ PRC corrono
il campionato Formula SAE
(in Europa si chiama Formula
Student), una delle maggiori
competizioni per vetture a ruote
scoperte, che conta più di 15
eventi globali e coinvolge gli studenti
di oltre 600 atenei in tutto
il mondo. Anche i piloti sono
studenti e quindi, per ragioni di
sicurezza, le gare non sono ruota
a ruota ma a tempo (con poche
eccezioni). Si corre in 3 categorie:
motori a combustione,
motori elettrici e auto a guida
autonoma. Ogni gara si disputa
in un Paese diverso ed è divisa
in due sessioni: la prima, statica,
valuta l’aspetto tecnico della
vettura, quello economico e la
capacità di realizzare una strategia
di marketing completa.
Seguono le prove dinamiche, in
pista: Acceleration (accelerazione),
Skidpad (bilanciamento),
Autocross (miglior tempo sul
giro) ed Endurance&Efficiency
(affidabilità del prototipo).
In Italia le gare si svolgono
sul circuito di Varano de’ Melegari,
a pochi passi dalla Dallara
Automobili (principale sponsor
dell’iniziativa). L’ing. Dallara
ogni anno fa il giro dei box, il
venerdì prima della gara, quando
le squadre hanno finito i test
e stanno ultimando gli ultimi
lavori sulle macchine. «Vedere
i ragazzi quando discutono su
come fare l’attrezzatura di un
telaio o immaginare come costruire
un’ala è un ricostituente
per l’entusiasmo da portare in
azienda, – commenta l’ingegnere.
– E poi c’è la costatazione di
come i giovani siano veramen-

20 DIDATTICA
te una forza del nostro Paese,
di come abbiano voglia di impegnarsi
anche a caro prezzo:
perché, per fare questo lavoro,
spesso sono costretti a rimandare
qualche esame». Partecipare
a queste competizioni
è talmente impegnativo che
comporta per forza qualche ritardo
nella carriera accademica:
per esempio Alberto Testa,
studente di Ingegneria Spaziale
e attuale responsabile tecnico
di Dynami∑, ci racconta che lui
impegna nella squadra circa 70
o 80 ore alla settimana. «È inevitabile
che gli esami passino un
po’ in secondo piano».
Ai box
Moreno Palmieri si è laureato
nel 2018 in Ingegneria Meccanica
e oggi fa R&D in Ferrari.
Durante gli studi ha fatto parte
del team Dynami∑: un team che
ha vinto molto, ma che non è
partito esattamente con il piede
giusto.
«Nel 2014 abbiamo sperimentato
per la prima volta il telaio
in carbonio. Ma, non avendo
tanti soldi, ci siamo ingegnati
con pannelli di carbonio piani
e incollati insieme. Risultava un
po’ più pesante di un telaio in
carbonio stampato con tecniche
industriali, ma costava molto
meno. Eravamo alle prime
armi e abbiamo fatto un errore
nella progettazione: gli inserti
interni a cui saldare i componenti
interni della macchina
erano troppo piccoli. Durante
alcuni test preliminari fatti sul
circuito di Vizzola era andato
tutto bene, ma sul circuito di
Varano l’asfalto è molto più performante.
Durante il brake test
avevamo talmente tanto grip
che le forze esercitate dai braccetti
delle sospensioni sul telaio
erano molto più forti del previsto,
al punto da strappare uno
degli inserti. Disastro! Eravamo
sconfortati. Ma i giudici di gara,
il personale della Dallara, passarono
dai box per il consueto
giro di ricognizione e ci incoraggiarono
a cercare una soluzione.
Lavorammo tutta la notte
alle riparazioni, rappezzando
il telaio con lastre d’acciaio.
Una volta terminato, la macchina
pesava 10 kg in più: sarebbe
stata un po’ meno performante,
ma almeno potevamo correre.
La mattina seguente ci ripresentammo
al brake test. Stavolta,
il telaio resse, ma si ruppero
i braccetti delle sospensioni,
già danneggiati durante il primo
test. Nuova nottata in bianco
per le riparazioni, il giorno
dopo ci sarebbe stata la gara,
era l’ultima possibilità. Tro-

vammo una soluzione di fortuna,
ma la macchina non resse il
terzo brake test e dovemmo ritirarci.
Di tutta questa storia però
quello che ci portammo a casa
fu una grande opportunità. Gli
ingegneri di Dallara ci notarono
per la nostra tenacia, perché
non avevamo mollato di fronte
a una difficoltà così grossa, avevamo
tentato di tutto. Qualche
mese dopo, l’ing. Dallara venne
al Poli per incontrarci e ci offrì
la sua collaborazione per costruire
il telaio con mezzi e strumenti
adatti. Ci mise in contatto
con la Bercella, azienda del
settore, da cui anche abbiamo
imparato molto sul manufacturing
professionale».
Da quel momento Dynami∑
ha recuperato la sconfitta del
2014 molte volte, piazzandosi
sempre sul podio nelle edizioni
successive.
«Gli studenti spesso mi sorprendono
con espressioni di
grande creatività e immaginazione,
– racconta Dallara ricordando
le innumerevoli visite ai
box. – Sulle nuove tecnologie
sono proiettati in avanti, invece
a volte le parti più convenzionali,
come l’attacco di una sospensione,
sono caratterizzati
da una certa ingenuità. Ma mi
sorprende anche la velocità con
cui imparano. I team arrivano
la prima volta senza esperienza,
sono molto distanti dalle
squadre di punta. Ma nel giro
di un anno o due recuperano il
divario e raggiungono un pari
livello di competitività».
Sport significa un limite
incognito
Alberto Testa fa parte della
squadra dal 2019, anno in cui il
Poli si classifica al quarto posto
DIDATTICA 21
nella classifica mondiale e al
primo in Italia, correndo nella
categoria Combustion. «Dopo
questo successo abbiamo deciso
di accettare una nuova sfida,
anzi, due. Nel 2020 abbiamo costruito
il primo prototipo elettrico
e da quest’anno verrà aggiunto
alla macchina anche un
sistema di guida autonoma, per
poter gareggiare nel campionato
elettrico sia con pilota sia
nella categoria Driverless». Anche
Filippo Piovani è studente
di Ingegneria Aeronautica: «in
teoria ultimo anno», dice. È la
sua terza stagione in Dynami∑.
Lo incontriamo in officina,
dove, raccolti intorno al nuovo
prototipo, i membri del team
lavorano in parallelo su molte
cose contemporaneamente: chi
rifinisce dei pezzi, chi ne monta
degli altri, chi fa e rifà i conti
per controllare i risultati, chi

22 DIDATTICA
Per sostenere
economicamente
il team
Dynami∑ PRC
sta in cabina di verniciatura per
trattare lo stampo dell’inverter
container. Stasera resteranno
qui fino a mezzanotte, con un
permesso speciale dal Dipartimento
di Ingegneria Meccanica
(che rimarrà aperto apposta per
loro).
«Una delle sfide dell’inverter
container è la schermatura
dell’interferenza elettromagnetica,
causata dall’elettronica ad
alta tensione, – racconta Filippo.
– Rischia di sporcare i segnali
di quella a bassa tensione
che controlla il funzionamento
della macchina. L’anno scorso
era la prima volta in cui avevamo
la macchina elettrica e c’erano
dei momenti in cui i sensori
di controllo dei parametri
vitali restituivano informazioni
sbagliate a causa di questo problema,
trasmettendo l’errore al
computer che gestisce la macchina.
Quest’anno abbiamo
aggiunto alla fibra di carbonio
delle molecole di nichel, che
dovrebbero aumentare la schermatura
e risolvere il problema.
Almeno in teoria, ma bisogna
provare per scoprirlo».
Dopo il fire-up, i test in pista
andranno avanti fino a metà
luglio. Il campionato inizia il
12 luglio e proseguirà tutta l’estate:
il Poli sarà a Varano dal
17 al 19 luglio, in Ungheria dal
7 al 13 agosto e in Germania dal
15 al 21 agosto. Che risultato vi
aspettate?, chiediamo a Filippo.
«Vincere, sempre e comunque.
Poi si cerca di migliorare rispetto
all’anno scorso. L’obiettivo
è tornare con l’elettrico dove
eravamo nel ’19 con il modello
a combustione: quarti a livello
mondiale».
«La squadra del Poli è abituata
così, – commenta ridendo
Dallara. – Non vogliono solo
partecipare, sono abituati a
vincere. Ma non sono gli unici.
Quello della Formula Student
è un campionato che diventa
ogni anno più competitivo. Il
Poli ha vinto molto, ma anche
gli altri hanno voglia di vincere.
Non basta più migliorare un
po’: il confronto sportivo non
ha un livello definito da superare,
non è la ricerca di un record,
è essere migliori del tuo
avversario. Questo significa che
il limite è incognito finché non
ci si confronta in pista».

Andiamo così forte
che ci serve una pista
da Space Shuttle
CAMBIAMO SQUADRA, veicolo,
circuito, categoria e competizione.
Nel corso degli ultimi
anni si è affacciato al mondo un
nuovo sport, quello delle corse
automobilistiche senza pilota.
È uno sport ancora agli albori
e l’Italia gioca un ruolo fondamentale:
sia perché il leading
team è la squadra del Poli, sia
perché le automobili utilizzate
sono delle Dallara AV-21. La particolarità
di questo campionato,
l’Indy Autonomous Challenge,
è che le auto sono pilotate da
intelligenze artificiali. Visto il
campo pionieristico, non sono
studenti a sfidarsi, ma ricercatori
e dottorandi. Il team politecnico
si chiama PoliMOVE
ed è guidato dal professor Sergio
Savaresi del Dipartimento
di Elettronica, Informazione e
Bioingegneria, alla testa di uno
dei principali gruppi di ricerca
internazionali nei settori del
controllo automobilistico, dei
veicoli intelligenti e della smart
mobility. «La guida autonoma è
un campo aperto dove formazione
e ricerca di alto livello si
intrecciano e dove quello che
conta moltissimo è l’atteggiamento
racing: la capacità di
essere pronti quando serve,
l’orientamento al risultato, la
necessità di pensare e prendere
decisioni rapidamente»,
commenta.
Timeline mozzafiato
In questo campionato al confine
tra sport e fantascienza,
PoliMOVE è una squadra che
DIDATTICA 23
ha vinto tutto, o quasi. A marzo
2021 inizia l’Indy Autonomous
Challenge, che vede correre sul
famoso circuito Indianapolis
Motor Speedway oltre 30 team
di accademici da tutto il mondo.
Da mesi, PoliMOVE è al lavoro
sul software di controllo
e sull’algoritmo che servirà a
pilotare un’automobile a quasi
300 km all’ora. Durante i test e
le gare di qualificazione in ambiente
virtuale, PoliMOVE domina
sugli avversari. La finale si
corre il 23 ottobre 2021, non ruota
a ruota ma a tempo. Le auto
utilizzate per la gara sono vetture
Dallara AV-21: tutte uguali,
per tutte le squadre. Quello che
cambia è solo il «pilota» alla
guida, l’intelligenza artificiale,
– il nostro ha un nome e (nelle
intenzioni dei programmatori)
un volto: AS.CAR.I. (acronimo
di AutonomouS CAR Intelligence),
in omaggio al grande pilota
italiano – che manca l’oro per
un soffio. Al terzultimo giro
della finale un guasto ha mandato
l’auto a schiantarsi contro
il guardrail. «Si è staccata la
connessione tra la centralina
del motore e quella che controllava
sterzo e freni, – racconta
Savaresi, – non abbiamo potuto
fare nulla». Il gruppo ha esplorato
i limiti della macchina, rischiando
in velocità più di tutti
gli altri team. Una strategia che
li ha traditi a un passo dal traguardo,
tuttavia non senza gloria:
il guasto è avvenuto proprio
nell’istante in cui PoliMOVE ha
stabilito il record di velocità del
campionato: 252 km/h, col motore
che andava a 6000 giri.
Al primo posto si è quindi
posizionata la TUM Autono-

24 DIDATTICA
mous Motorsport della Technische
Universität di Monaco. Ma
la rivincita arriva presto, il 7
gennaio 2022. Alla 55a edizione
del CES – Consumer Electronics
Show di Las Vegas si corre la
prima vera gara testa a testa tra
auto senza pilota. PoliMOVE in
finale contro i tedeschi di TUM.
Due auto lanciate a 280 km
all’ora, che quasi si sfiorano,
una sfida a colpi di sorpassi, in
cui alla fine è l’Italia, col Politecnico
di Milano, ad aggiudicarsi
una «una vittoria storica»,
come la definisce la stampa internazionale.
L’ing. Dallara commenta da
tifoso: «È stato un grandissimo
successo. Una delle ragioni per
la quale il nostro Paese avrà un
futuro importante è il modo
in cui formiamo gli ingegneri.
Non è secondo a nessuno, e
non parlo solo del Poli ma del
sistema di formazione italiano.
Teniamocelo stretto, ti insegna
tante di quelle materie di base!
Sono quelle che ti permettono
di continuare a imparare tutta
la vita e a lavorare in qualsiasi
ambito».
Vincere non ci basta
PoliMOVE non si accontenta
della vittoria al CES, vuole
spingere ancora. Quanto forte
possiamo andare? Per scoprirlo,
servirà una pista speciale. Il
27 aprile AS.CAR.I. corre sulla
pista di atterraggio dello Space
Shuttle al Kennedy Space
Center della NASA, dove non
ci sono più briglie e la Dallara
sfreccia a tutta velocità: è

ecord del mondo per un’auto
completamente autonoma su
un rettilineo, 309,3 km/h. Savaresi:
«L’auto autonoma è la
chiave di volta di una rivoluzione
che nei prossimi 10-15 anni
investirà il mondo della mobilità
cambiando per sempre il
modo in cui ci spostiamo (ma
anche in cui viviamo). Questa
rivoluzione richiede un grosso
salto tecnologico: lo sviluppo
di un’auto completamente autonoma.
Quindi, serve un campo
di sperimentazione».
Un giorno potremo assistere
a uno scontro tra un AS.CAR.I.
in carne e ossa e uno artificiale.
Ma, prima di arrivare a quel
punto, secondo l’ing. Dallara la
strada è ancora lunga. «La creatività
di un grande pilota è figlia
di anni di esperienza in pista. I
sistemi di calcolo permettono
di valutare un numero incredibile
di soluzioni, ma dovranno
essere davvero molto potenti
per superare un essere umano».
Quindi lei è un umanista?, gli
chiediamo. Segue un silenzio.
DIDATTICA 25
«Quando vince la macchina autonoma
del Politecnico, non è
veramente la macchina a vincere,
ma sono tutte le persone
che ci hanno lavorato. Io mi
sento orgoglioso come italiano,
perché l’hanno fatta gli italiani.
Il confronto non sarà mai
veramente tra software e pilota
umano, sarà tra il team che ha
programmato il software e il pilota
umano. E il team di Savaresi
dovrà essere proprio straordinario
per superare negli ultimi
100 metri il miglior pilota».
Per sostenere
economicamente
il team PoliMOVE

26 DIDATTICA
Il futuro è fare 800 km
con un litro di benzina
ABBIAMO PARLATO di record di
velocità, ma c’è anche una gara
in cui non vince chi va più veloce:
vince chi va più lontano. È
la Shell Eco-Marathon, campionato
automobilistico storico
nato nel 1985, organizzato ogni
anno da Shell. I team, composti
da studenti, possono correre in
due categorie: Urban Concept –
con veicoli simili alle automobili
tradizionali, che, in teoria,
potrebbero anche essere omologate
per il trasporto urbano
– e Prototype – con prototipi di
veicoli leggeri ultra-efficienti. I
veicoli possono essere alimentati
in qualsiasi modo: combustione
interna (benzina, diesel,
etanolo), batterie elettriche o
celle a combustione di idrogeno.
L’importante non è arrivare
prima degli altri (anche se un
po’ conta anche quello), ma
percorrere la maggiore distanza
possibile con l’equivalente
di 1 kWh o 1 litro di carburante.
L’ingegno sta appunto nel costruire
il veicolo che consumi
meno di tutti gli altri.
Abbiamo intervistato Emma
Patuzzo, studentessa di Mobility
Engineering all’ultimo anno
e secondo pilota della squadra
Team Mecc-E del Politecnico
di Milano. «Mecc-E detiene il
record mondiale di efficienza
nella categoria Prototype,
ottenuto nel 2010 sul circuito
Rockingham Motor Speedway,
UK. Il prototipo Apollo, alimentato
a energia solare, percorreva
all’epoca 796 km/kWh.
Rimane a oggi imbattuto». Da
quel traguardo Mecc-E ha lasciato
il campionato Prototype
e iniziato a lavorare a veicoli
Urban Concept. La nuova macchina
del Team, Asteria, ha debuttato
nella prima tappa della
Shell Eco-Marathon 2022, che
si è corsa a inizio giugno al TT
Circuit Assen.
«Vince il veicolo che compie
un numero prestabilito di
giri alla massima velocità ottimizzando
meglio i consumi,
che vengono calcolati tramite
telemetria», spiega Patuzzo. Ci
racconta l’aspettativa che si respira
ai box: «i primi giorni c’è
un clima rilassato, si punta a
cercare la prestazione migliore
della macchina. Quando però
il gioco si fa serio e cominciamo
a vedere il podio che
FOTO DI GIACOMO AGLIARDI, STUDENTE DI INGEGNERIA MECCANICA

DIDATTICA 27

28 DIDATTICA
contenti di aver perso, è stata
un’opportunità per vedere cosa
hanno fatto in questi due anni
le altre università, per capire
come possiamo migliorarci».
Nello sport c’è un clima di
scambio reciproco, commenta
ancora l’ing. Dallara, «un’opportunità
che ai miei tempi non esisi
avvicina, c’è una certa agitazione.
Nel 2019 il Poli aveva
corso a Brookland Circuit, UK,
con il predecessore di Asteria,
Leto, che fece il quarto posto.
Il clima era molto teso». Com’è
stare dentro alla macchina?
«Caldo. Caldissimo. È molto
emozionante, è qualcosa che
abbiamo costruito noi dall’inizio
alla fine. Chiaramente
ci hanno aiutati gli sponsor: il
principale è Mako Shark, che
ci aiuta con la laminazione e la
costruzione dello chassis». L’ultimo
turno di gara purtroppo
allontana Asteria dal podio. «Il
finale è stato ancora più triste
perché abbiamo perso anche
il quarto posto. Terminiamo
la competizione con il quinto
posto finale nella categoria Battery
Electric. Ci dispiace, ma è
stato comunque molto bello
tornare in pista dopo due anni
di fermo dovuti alla pandemia.
Per tanti di noi era la prima
volta. Anche se non siamo
steva. Oggi i nostri ragazzi non
sono più solo italiani, sono almeno
europei, e forse la composizione
della squadra si allarga
a studenti di altri Paesi. E sono
abituati a confrontarsi con i
rappresentanti di università che
vengono da tutti i continenti,
con il massimo rispetto».

L’epica che corre
su due ruote
POLIMI MOTORCYCLE FACTORY è
un team sportivo del Politecnico
di Milano nato nel 2015 per
partecipare alla competizione
internazionale MotoStudent,
che si tiene ogni due anni sul
circuito internazionale MotorLand
Aragòn in Spagna.
Le squadre sono chiamate a
progettare, realizzare, gestire
e guidare una moto, endotermica
o elettrica. Anche qui, la
competizione è divisa in varie
fasi: la prima valuta il progetto
industriale e il business plan, la
seconda valuta le prestazioni
del prototipo in prove statiche
e dinamiche, che si concludono
con un weekend di gara.
Azul Amadeo frequenta
l’ultimo anno magistrale di
Design & Engineering. Nel
team Polimi Motorcycle Factory
(PMF per gli amici) è responsabile
del reparto carene.
«Pensavo di finire la triennale
al Poli e poi andare a fare un
master. Ma poi ho incontrato
PMF e la mia vita ha cambiato
direzione. Ho trovato la concretezza
che mi mancava, una
famiglia e anche tanti mal di
testa... e un contesto in cui il
Design industriale trova la sua
espressione, dove è bello ciò
che funziona e funziona ciò
che è bello. E quindi sono rimasta
per la magistrale».
FOTO DI AZUL AMADEO, STUDENTESSA DI DESIGN & ENGINEERING, RESPONSABILE DEL REPARTO CARENE NEL TEAM PMF
Intorno alla moto
nasce qualcosa di più
di una squadra
Azul è entrata nel team a gennaio
2018: «Esiste una storica
rivalità tra designer e ingegneri,
ma è antiquata. Lavorare
in PMF è una sorta di simulazione
del mondo del lavoro,
dove i team sono molto più
interdisciplinari che durante
gli studi, dove il tuo lavoro ha
effetto anche su quello degli
altri e viceversa: e le rivalità si
superano, devi imparare a fidarti.
Chi fa parte del PMF lo
fa anche perché vuole dare un
significato al proprio percorso
universitario, metterci un
DIDATTICA 29
po’ del suo e portarsi a casa
un’esperienza unica. Per me
è stato così. Diventi davvero
parte di qualcosa, non sei solo
un numero». Come tutti gli altri
team di motorsport, anche
questo può esistere e sostenersi
solo grazie alla passione
degli studenti. «Ci siamo dati
una struttura piramidale dal
punto di vista della responsabilità,
per evitare di mandare
in produzione dei pezzi che
non funzionano, ma lavorano
tutti. Il collante che cementa
l’appartenenza al team è la
moto, un prodotto di una tale
complessità... e l’abbiamo fatto
noi. Nei due anni di preparazione
alla gara, lavorando
sul prototipo, quello che era
solo un team di studenti diventa
quasi una famiglia. Il
grosso cambiamento avviene
nel momento in cui i componenti
più grossi vengono prodotti,
la moto viene montata
e il lavoro si sposta dal CAD
all’officina».

30 DIDATTICA

DIDATTICA 31
Campioni del mondo
PMF ha portato la sua prima
moto in gara nel 2016, in soli 8
mesi dall’inizio del progetto. La
chiamavano affettuosamente
«la Cinghiala», per via del suo
peso. L’obiettivo era finire la
gara (il che, come vedremo, non
sempre è così semplice). Visti i
primi successi, per i due anni
successivi il team lavora con
grande ambizione a un nuovo
prototipo: la Scighera, guidata
nella competizione 2018
dal giovane pilota e studente
di Ingegneria Meccanica Luca
Campaci, che diventa campione
del mondo nella categoria
Petrol con velocità di punta di
197,1 km/h.
«La Scighera ha fatto delle
cose pazzesche, è stato un momento
magico. Non era al 100%
affidabile, ma il giorno della
gara tutto è stato perfetto e,
inoltre, quell’anno abbiamo anche
vinto la gara di smontaggio
carene facendo una velocità tale
che gli studenti delle altre università
erano sbalorditi. Siamo
tornati dalla Spagna vittoriosi,
con due coppe e una lista di titoli,
tra cui, oltre al primo posto
in assoluto, anche Best Design,
Best Innovation, Business Plan,
Best Acceleration (6,966"/150 m)
e 2o Best Mechanical Test».
Con queste premesse, PMF
inizia a lavorare in vista dell’edizione
2020 (che diventerà 2021
a causa della pandemia) e decide
questa volta di portare due
prototipi, uno nella categoria
Petrol (con la Sciura, versione
perfezionata della Scighera) e,
per la prima volta nella storia
del team, anche nella categoria
Electric con il prototipo Nyx.

32 DIDATTICA
L’imprevisto è in agguato
Ogni team riceve dall’organizzazione
MotoStudent un motore
(un Ktm 250cc 4t), un set
di gomme slick e un impianto
frenante (pinze e pompe freno)
per ciascun prototipo. Il resto
della motocicletta, nel rispetto
del regolamento ufficiale della
manifestazione, è a carico di
ogni squadra, che può comprare
i pezzi o fabbricarli in casa.
PMF li fabbrica preferibilmente
in casa.
«È difficile progettare da zero
una moto perché il suo comportamento
dipende molto dall’interazione
dei vari pezzi tra di
loro: trovare la quadra affinché
tutto funzioni come deve funzionare
è magia nera, – commenta
Azul. – La pandemia ci è
arrivata addosso come una valanga.
A dicembre 2020 dovevamo
consegnare alcuni pezzi
della moto per il campionato
2021, ma non si poteva andare
in officina in più di 3 alla volta.
Fino all’ultimo non sapevamo
se avremmo fatto in tempo, invece
ce l’abbiamo fatta e, dandoci
il cambio 6 giorni alla settimana
con turni di più di 12 ore,
siamo riusciti a tirare su delle
moto molto valide». Ma lo spirito
del MotoStudent è artigianale,
le moto sono imprevedibili
e non sempre le cose vanno
come previsto.
«Nyx, categoria Electric, alle
prove era andata molto bene.
Luca (il nostro affezionato pilota)
era riuscito a fare tempi
da missile. Ma, durante l’ultimo
giro di gara, la moto si
è spenta a poche centinaia di
metri dal traguardo. Stava per
scadere il tempo e si stavano
avvicinando i referee per aiutare
il pilota a spostare la moto
dal circuito, ma lui se li levò di
dosso e spinse eroicamente la
moto fino al traguardo pur di
farci classificare. Con quaranta
gradi, a luglio, ad Aragòn, vestito
di tutto punto con la tuta.
Questa è l’appartenenza a PMF.
Grazie a lui abbiamo potuto cor-

DIDATTICA 33
Per sostenere
economicamente
il team PMF
rere, anche se purtroppo Nyx ha
continuato a dare problemi di
affidabilità e siamo arrivati tra
gli ultimi. Abbiamo festeggiato
comunque moltissimo: non
solo perché eravamo riusciti a
finire la gara (e, per essere la nostra
prima volta con l’elettrico,
non era andata poi male). Ma
anche perché il clima in quei
momenti è così concitato e teso
che quando finisci le emozioni
esplodono».
Sulla Sciura, nella categoria
Petrol, il team punta moltissimo,
memore della vittoria con
Scighera. «Per la Sciura prendiamo
un pilota di superbike. Lui,
professionista, si aspettava un
certo ritmo, abbiamo faticato a
stargli dietro». Quasi tutti i pezzi
della Sciura erano fabbricati dal
team e la moto funzionava con
ottime prestazioni. «Eravamo
diventati velocissimi, sembravamo
droni con l’hive mind. Sempre
pronti. Ma abbiamo avuto
parecchi problemi, a partire dal
motore, che si è rotto alla vigilia
della gara (avevamo spinto troppo
e, diciamocelo, il Ktm non è
un gran motore). Abbiamo fatto
i salti mortali per rimpiazzarlo,
perché in Europa non si trova
facilmente. L’abbiamo rimontato
in una notte, lavorando fino
alle 6 del mattino. Non è facile,
devi levare la moto dal motore,
non il contrario, perché il motore
è la parte più pesante. E,
una volta montato, hai un motore
che non conosci, a cui far
fare il rodaggio. Durante quelle
ore decidiamo per scrupolo di
cambiare la pompa di benzina,
sostituendo quella fatta da noi
con una professionale, comprata
fuori, per garantirci maggiore
affidabilità. Errore madornale:
sulle moto, finché una cosa funziona
non la devi cambiare. Insomma,
durante le qualifiche la
pompa ci abbandona, la moto si
spegne e non si accende più. In
questo caso ci hanno squalificati.
È stato molto triste, sarebbe
bastato cambiare la pompa, ma
le regole sono regole».
Tornando da Aragòn, gli studenti
di PMF si sono rimboccati
le maniche in vista della gara
del 2023. Sarà l’ultimo anno di
Azul, che, nel frattempo, si deve
laureare. «Ma fino alla gara rimarrò
di sicuro. PMF significa
mettercela tutta, costruire una
squadra che diventa una famiglia
e portarla a fare una cosa
incredibile».

34 DIDATTICA
Due nuovi corsi di laurea per formare figure emergenti
Professioni del futuro:
il Poli guarda avanti
IL MONDO CAMBIA e con esso
cambiano anche le persone che
lo fanno funzionare. Se è vero
che i corsi «storici» del Politecnico
di Milano continuano a offrire
gli strumenti per affrontare
la crescente complessità della
nostra epoca (come testimoniano
i dati occupazionali che
pongono gli Alumni tra i più
apprezzati professionisti di tutto
il mondo), è altrettanto vero
che, dal confronto con il mondo
delle aziende, della tecnologia e
dell’innovazione e con le nuove
generazioni di studenti, stanno
emergendo nuove idee e nuove
esigenze. L’Ateneo si chiede
(anche) di cosa si occuperanno
gli Alumni di domani, del prossimo
decennio, nel corso della
loro carriera, e come potranno
continuare a dare un contributo
significativo nella gestione delle
grandi sfide che ci attendono.
Questo porta sia all’aggiornamento
dei corsi tradizionali,
sia alla nascita di nuovi corsi
di laurea: due partiranno nel
prossimo semestre.
La prima laurea in italia
in Ingegneria
del Supercalcolo...
...o, più correttamente, in High
UNSPLASH / ATHENA

Performance Computing Engineering.
Sarà il primo corso
di laurea magistrale in Italia
dedicato al calcolo ad alte prestazioni
e alle sue molteplici
applicazioni, dalla sostenibilità
energetica alla climatologia,
dalla genomica alla medicina e
alla farmacologia, dalla chimica
alla finanza, dalla biomeccanica
computazionale all’aerospazio.
«La capacità di elaborare una
grande quantità di dati ci permette
infatti di definire nuovi
scenari, di eseguire simulazioni,
di sviluppare nuovi modelli,
come accade, per esempio,
in campo medico. Sono tanti
i settori in cui l’HPC può fare
la differenza. Servono quindi
nuove competenze e nuove
professionalità», commenta il
Rettore.
Caratterizzato per la forte
interdisciplinarità, il corso
formerà ingegneri dalla solida
preparazione nelle principali
tecnologie e architetture informatiche
per il supercalcolo, nel
Quantum Computing e nella
modellazione matematico-statistica
di problemi complessi.
L’insegnamento sarà in lingua
inglese.
Manager orientati
agli obiettivi di sviluppo
sostenibile
Altro caso unico nel panorama
della formazione universitaria
in Europa, il nuovo Master of
Science in Transformative Sustainability
nasce dalla collaborazione
tra Politecnico di
Milano e Università Bocconi.
L’obiettivo è formare professionisti
in grado di guidare le
UNSPLASH / KERVIN EDWARD LARA
DIDATTICA 35
imprese da una prospettiva fortemente
integrata, innovativa e
multidisciplinare sulla sostenibilità.
«La tecnologia è il fattore
abilitante delle grandi trasformazioni
in atto, come nel caso
della sostenibilità in tutte le
sue accezioni, – commenta il
Rettore. – Impatta in modo decisivo
sui processi di business
e orienta imprese ed enti pubblici
verso piani di sviluppo
complessi di cui gli obiettivi di
sviluppo sostenibile sono elementi
fondativi. Da qui la necessità
di combinare le competenze
tecniche e formative dei
nostri due atenei su tematiche
chiave per la crescita economica
e sociale».

36 DIDATTICA
Polimi Open Knowledge: un portale di corsi online gratuiti
e aperti a tutti, pensati per i professionisti che vogliono aggiornarsi
sulle nuove tecnologie
Gli esami non sono finiti
online gratuitamente e in autonomia,
in un’ottica di democratizzazione
della conoscenza».
Vai sul sito
di Pok
for Professionals
LAUREARSI NON BASTA PIÙ: la
formazione continua (o lifelong
learning) è ormai la normalità per
la maggior parte dei professionisti.
«Il Politecnico mette a disposizione
da molto tempo percorsi
di formazione continua e
post laurea, soprattutto tramite i
suoi consorzi e dipartimenti, che
offrono corsi professionalizzanti,
master e formazione aziendale, –
spiega il prof. Federico Caniato,
Delegato del Rettore alla formazione
continua. – Negli ultimi
anni però è emersa anche l’esigenza
di un nuovo tipo di formazione,
online, autogestita ma
affidabile, fruibile nei ritagli di
tempo con un ritmo personalizzato,
che si collega anche al tema
della formazione gratuita».
La risposta dell’Ateneo è Polimi
Open Knowledge, piattaforma
che raccoglie video-lezioni
modulari progettate ad hoc dai
docenti del Politecnico e corredate
da materiali di studio e test
di valutazione. Questo tipo di
formazione è sempre più diffusa
in tutto il mondo con il nome
di MOOC, Massive Open Online
Courses. La piattaforma del
Poli contiene decine di MOOC
dedicati ai professionisti; in particolare
agli Alumni interessati
ad approfondire o rispolverare
temi trasversali quali soft skills,
intelligenza artificiale, tecnologie
sostenibili, ma anche
conoscenze di base come il
project management professionale.
«Possono essere seguiti
UNSPLASH / PRISCILLA DU PREEZ
Formazione europea
Il Poli sta lanciando anche un
nuovo progetto didattico post
laurea in collaborazione con
altre 4 università tecniche d’eccellenza:
ETH, Aachen, Delft e
Chalmers. «Con questi partner
europei esiste da molti anni un’alleanza
chiamata IDEA League,
che si declina in tante iniziative
di ricerca, didattica e responsabilità
sociale. Anche il progetto
di lifelong learning va in questa
direzione. Gli Alumni potranno
accedere a percorsi formativi
online, strutturati con il supporto
di un supervisor e contenuti
tecnici forniti da tutti e 5
gli atenei». Il percorso dura circa
un anno e ha un costo di 5
mila euro. Si conclude con una
settimana in presenza (la prima
edizione si terrà tra Zurigo e Milano)
insieme a professionisti
di diversi Paesi europei, che incontreranno
i docenti e svilupperanno
un capstone project di
chiusura del corso.
Insomma: se pensavi di aver
chiuso i libri una volta per tutte,
è tempo di ripensarci.

CAMPUS LIFE 37
37
Scienziati, Laboratori, Ricerca, Innovazione: il Poli apre le porte dei suoi
laboratori per raccontare i progetti di ricerca portati avanti da alcuni degli
scienziati migliori al mondo. Ricerca di frontiera e di base come quella
applicata e industriale, con un occhio puntato ai grandi temi che guidano
le trasformazioni scientifiche e tecnologiche della nostra epoca, dalle
nanoparticelle ai viaggi spaziali
37–56
Ricerca

38 RICERCA
Scienziati politecnici
per sfide globali

RICERCA 39
Che si tratti di contrastare il cambiamento climatico, di intelligenza
artificiale, di sicurezza informatica, di materiali finora impensabili
o di lotta contro i tumori, i ricercatori del Poli sono in prima linea
UNSPLASH / ADRIEN CONVERSE
IL POLITECNICO DI MILANO ha
ottenuto dalla Commissione
Europea due importanti finanziamenti
per due progetti di ricerca:
uno per la lotta al tumore
al seno e l’altro per quella al
cambiamento climatico.
Si tratta di due ERC Advanced
Grants, cioè finanziamenti
assegnati dallo European Research
Council (ERC) a ricercatori
affermati nel loro settore,
per portare avanti progetti
innovativi e ad alto rischio. La
selezione per questo tipo di finanziamenti
è molto competitiva:
quest’anno, su 1735 progetti
presentati, solo il 14,6% ha ottenuto
i fondi.
Supercomputer
che consumano 5000 volte
meno energia
Daniele Ielmini, docente presso
il Dipartimento di Elettronica,
Informazione e Bioingegneria,
condurrà ANIMATE (ANalogue
In-Memory computing with Advanced
device TEchnology), un
progetto che mira a realizzare
un nuovo concetto di calcolo
per ridurre il consumo energetico
nel machine learning. È
un tema critico per fermare il
cambiamento climatico: quando
usiamo il computer non ci
pensiamo, ma il costo energetico
delle azioni che compiamo
su internet, a partire da quelle
quotidiane, è molto alto. I data
center, che oggi soddisfano gran
parte del fabbisogno mondiale
di intelligenza artificiale, consumano
circa l’1% della domanda
energetica globale, ma si prevede
una crescita fino al 7% entro
il 2030. Operazioni apparentemente
semplici, come la ricerca
di un prodotto o un servizio
di largo consumo (per esempio
quando prenotiamo le vacanze o
scegliamo un film in streaming)
si basano su algoritmi ad alta
intensità di dati e hanno un impatto
importante sulla produzione
di gas serra.
La ricerca preliminare di
ANIMATE del prof. Ielmini ha
dimostrato che il fabbisogno
energetico di calcolo può essere
ridotto mediante il Closed-Loop
In-Memory Computing CL-IMC
(calcolo in memoria ad anello
chiuso). Questo sistema è in
grado di risolvere problemi di
algebra lineare in un solo passaggio
computazionale. Grazie
alla riduzione del tempo di calcolo,
CL-IMC richiede 5000 volte
meno energia rispetto ai computer
digitali a pari precisione
in termini di numero di bit. Il
progetto di Ielmini svilupperà la
tecnologia del dispositivo e dei
circuiti, le architetture di sistema
e l’insieme di applicazioni

40 RICERCA
In totale, a oggi, i progetti
ERC al Politecnico sono 52.
Variano a seconda della
dimensione e della durata
del finanziamento: tra i 150
mila e i 12 milioni di euro
per validare completamente il
concetto di CL-IMC.
STARTING GRANTS,
per ricercatori emergenti,
con 2-7 anni di esperienza
maturata dopo il
conseguimento del dottorato
CONSOLIDATOR GRANTS,
per giovani che hanno
alle spalle già una decina
d’anni di ricerca
ADVANCED GRANTS,
dedicati a scienziati
eccezionali e affermati,
in grado di aprire nuove
direzioni nei rispettivi campi
di ricerca e in altri settori
SYNERGY GRANTS,
che promuovono progressi
sostanziali nella frontiera
della conoscenza
e incoraggiano nuove linee
di ricerca
PROOF OF CONCEPT,
un finanziamento di entità
minore, dedicato a ricercatori
che abbiano già un progetto
ERC in corso o l’abbiano
terminato di recente. Mira
a garantire il collegamento
tra ricerca di base e mercato
Leggi la storia
di TOMATTO,
il Synergy Grant
del Poli
Contro il tumore al seno, un
protocollo per neutralizzarne
la barriera naturale
Manuela Raimondi, docente
del Dipartimento di Chimica,
Materiali e Ingegneria Chimica
«Giulio Natta», combina meccanobiologia,
bioingegneria, oncologia,
genetica, microtecnologia,
biofisica e farmacologia al fine
di sviluppare un nuovo metodo
per la cura del tumore al seno.
In questo tipo di malattia,
infatti, l’aggressività è correlata
all’irrigidimento fibrotico
del tessuto tumorale: la fibrosi
impedisce progressivamente ai
farmaci di raggiungere le cellule
tumorali. Con BEACON-
SANDEGG-Mechanobiology of
cancer progression, Raimondi
intende sviluppare un metodo
in grado di aggirare questo problema.
A partire dalla modellizzazione
di microtumori a vari
livelli di fibrosi e da cellule di
cancro al seno umane fatte aderire
a microsupporti polimerici
3D, i microtumori verranno impiantati
in vivo nella membrana
respiratoria di uova aviarie
embrionate, al fine di suscitare
una reazione fibrotica da corpo
estraneo nei microtumori. Questo
modello di studio verrà validato
con farmaci antitumorali
il cui risultato clinico è noto dipendere
dal livello di fibrosi tumorale.
Il lavoro fornirà inoltre
una piattaforma standardizzabile
ed etica per promuovere la
traslazione clinica di nuovi prodotti
terapeutici in oncologia.
Questo è un tema chiave per Raimondi:
alcuni degli strumenti
di ricerca e modellizzazione che
ha sviluppato negli ultimi dieci
anni hanno proprio l’obiettivo
di ridurre o sostituire le fasi di
sperimentazione pre-clinica in
vivo, per esempio con l’uso di
supporti 3D per colture cellulari
e camere microfluidiche per
la cultura di tessuti e organoidi.
ERC: «Challenging Europe’s
brightest minds»
Un po’ di contesto per questa
bella notizia: il Politecnico è ai
vertici delle classifiche mondiali
delle università anche grazie
alla ricerca scientifica di frontiera
che porta avanti nei suoi
laboratori. I protagonisti di
questo primato italiano sono i
tanti scienziati e ricercatori del
Politecnico (ERC e non solo):
circa 3500.
Alcuni di questi sono «ricercatori
ERC», che sta per European
Research Council. È uno
strumento della Commissione
Europea che sostiene ricerche
UNSPLASH

RICERCA 41

42 RICERCA

RICERCA 43
pionieristiche e di frontiera.
Sono tra «le menti più brillanti
d’Europa», si dice, scienziati che
potrebbero essere sulle tracce di
scoperte scientifiche e tecnologiche
nuove e imprevedibili.
UNSPLASH
Convertire l’incertezza
in azione e rivoluzionare
la scienza dei materiali
A Sara Bagherifard, con Arc-
HIDep, e a Massimo Tavoni,
con EUNICE, vanno due ERC
Consolidator Grants. Ridurre le
incertezze per affrontare i cambiamenti
climatici è l’obiettivo
di Tavoni, docente di Climate
Change Economics presso
il Dipartimento di Ingegneria
Gestionale e Direttore di RF-
F-CMCC, European Institute
on Economics and the Environment.
La sua ricerca copre
temi di economia dell’energia
e del clima, e in particolare la
modellistica delle politiche climatiche
internazionali. Con
EUNICE, affronta il problema
delle incertezze nei percorsi di
stabilizzazione climatica e negli
attuali modelli clima-energia-economia
e converte gli scenari
delineati da questi modelli in
indicazioni che aiutino a definire
policies resilienti, solide e
affidabili per contrastare il cambiamento
climatico.
Bagherifard, ricercatrice senior
del Dipartimento di Meccanica,
si occupa di approcci
numerici e sperimentali per
progettare, fabbricare e caratterizzare
materiali multifunzionali.
Con il progetto ArcHIDep,
intende mettere a terra un rivoluzionario
sistema di deposizione
allo stato solido per ottenere
materiali eterogenei con archi-
tettura strutturata su tre livelli
di scala, micro, meso e macro.
ArcHIDep permetterà di sviluppare
un framework, attualmente
inesistente, per progettare e costruire
elementi in grado di superare
i limiti legati alla odierna
impossibilità di coniugare proprietà
tra loro in conflitto.
ERC proof of concept,
ovvero: la scienza
alla prova dei fatti
Ritroviamo Daniele Ielmini con
SHANNON, acronimo di Secure
Hardware with Advanced NONvolatile
memories. Ha l’obiettivo
di sviluppare un nuovo tipo
di circuito per la crittografia
basato sul concetto di funzione
fisica non-clonabile. Le chiavi
di crittografia vengono generate
mediante stati di memoria casuali
che sono completamente
invisibili a una ispezione esterna,
grazie a un nuovo algoritmo
e una nuova struttura di cella,
rendendo questa soluzione molto
interessante per la sicurezza
dei sistemi Internet of Things.
Paola Saccomandi, del Dipartimento
di Meccanica, lavora
allo sviluppo, alla validazione
tecnologica e all’analisi di
mercato di un dispositivo per
l’asportazione laser di tumori,
molto meno invasivo degli strumenti
di cui disponiamo oggi.
Il progetto si chiama LEILA: closed-loop
and multisensing delivery
tool for controlled laser
ablation of tumors.
Con il progetto TCOtronics,
acronimo di Transparent Conductive
Oxide nanocrystalline
films for electronics and optoelectronics
via low-cost solution
processing, Francesco Scotognella
(Dipartimento di Fisica)
vuole fabbricare strati sottili a
base di nanoparticelle di ossidi
metallici, impiegabili come filtri
ottici o elettrodi trasparenti per
celle solari e diodi emettitori di
luce. Un importante obiettivo
è anche l’impiego di elementi
non tossici e abbondanti nel
pianeta.
Francesco Topputo (Dipartimento
di Scienze e Tecnologie
Aerospaziali) punta a sviluppare
un sensore di navigazione
autonoma per i satelliti nello
spazio profondo. Grazie al progetto
SENSE: a sensor for autonomous
navigation in deep
space, i satelliti stessi saranno
in grado di stimare la propria
posizione senza la necessità di
comunicare con le stazioni di
terra; questo permetterà di tagliare
i costi di navigazione per
l’esplorazione spaziale, rendendo
lo spazio accessibile a università,
centri di ricerca e piccole
imprese.

44 RICERCA
Sono tra i migliori al mondo, lavoreranno in Italia grazie
al co-finanziamento Poli-Europa. Transizione energetica, mobilità, spazio,
salute: ecco le soluzioni della nuova generazione di scienziati
Giovani ricercatori
studiano soluzioni
per il bene comune
ATTIRARE GIOVANI RICERCATORI con un profilo internazionale
è importante per un Ateneo, spiega
Donatella Sciuto, Prorettore Vicario e Delegata
del Rettore alla Ricerca, in un’intervista ad Alumni:
«iniettano nuova linfa nel sistema della
ricerca. Hanno passione, energia, nuove idee e
tempo da dedicare verticalmente e intensamente
a problemi e temi molto specifici».
I 10 che vi presentiamo sono tra i migliori scienziati
della loro generazione. Sei di loro arrivano
al Poli grazie a un grant Marie Skłodowska-Curie
Actions (MSCA) fellowship: assegni di ricerca
dedicati a giovani ricercatori che si occupano di
temi cruciali per la società. Altri 4 sono sostenuti
direttamente dal Politecnico.
MERVE ÇAĞLAR, ricercatrice
turca, si occuperà di
sviluppare un sistema di
monitoraggio della stabilità
per i ponti che si trovano in
aree soggette a intensa attività
sismica.
VITTHAL SAPTAL ha lavorato
in India, Corea del Sud, Cina
e Polonia, sviluppando un
metodo per la conversione
della CO₂ in altre sostanze
chimiche riutilizzabili («in
qualcosa di utile», commenta).
YIFAN ZHANG, dalla Cina,
studierà una procedura innovativa
che integri la preparazione,
la funzionalizzazione e
la solidificazione delle catene
di carbonio, utilizzabili nelle
celle a combustibile.

RICERCA 45
Leggi l’intervista
a Donatella Sciuto
FEDERICA SEBASTIANI rientrerà
in Italia dalla Svezia, grazie al
finanziamento del Politecnico,
per studiare un metodo su
misura per la fluorurazione
di nanoparticelle lipidiche a
scopo terapeutico.
SUBRATA GHOSH ha 34 anni
e viene dall’India. La sua
passione è lo sviluppo di
nanomateriali («I love to cook
the nanomaterials», ci scrive)
per la transizione energetica.
Nei prossimi anni lavorerà
al NanoLab del Politecnico
sviluppando materiali di
nuova generazione per
elettrodi, progettati in
particolare per l’utilizzo nei
supercondensatori: l’idea
è quella di perfezionare la
capacità di stoccaggio di
energia rinnovabile. «Ho
deciso di sviluppare il mio
progetto al Politecnico
di Milano, – commenta,
– perché mi interessa
l’impronta di questo
Ateneo verso un proficuo
rapporto con il mondo
imprenditoriale e produttivo,
che passa attraverso la
ricerca sperimentale e il
trasferimento tecnologico».
GIULIO GORI, anche lui 34
anni, dopo la laurea in
Ingegneria Aeronautica
e il PhD (entrambi al
Politecnico), si è spostato
per diversi anni in Francia.
Si occupa di aerodinamica
di velivoli ad altissima
velocità. «L’applicazione del
mio progetto riguarda per
esempio le macchine volanti
multirotore per il trasporto
urbano aereo».

46 RICERCA
ANASTASIOS STERGIOU, dalla
Grecia, ci scrive: «I’m always
cheerful for designing and
synthesising new molecules
and materials» (sintetizzare
nuovi materiali e molecole
lo rende felice). Svilupperà
un sistema per migliorare le
performance delle celle solari.
ETHAN BURNETT si occuperà
di controllo orbitale e guida
autonoma per CubeSat e
Francesco Nappo, esperto di
questioni epistemologiche
ed etiche legate allo
sviluppo e uso di modelli
scientifici, di IAM (Integrated
Assessment Models): «Alcune
delle assunzioni di base
utilizzate nei modelli globali
di economia del clima
appartengono alla sfera dei
valori che noi, come individui
e come comunità, vogliamo
e dobbiamo perseguire. Il
mio progetto intende offrire
una prospettiva su queste
assunzioni, per preservare
l’oggettività della ricerca
scientifica sul clima».
TOMMASO NICOLINI, Alumnus
PhD in Ingegneria dei
Materiali, si occuperà di CMOF
(Conductive Metal-Organic
Frameworks) con applicazioni
in tecnologie di elettrocatalisi,
batterie e supercondensatori.

RICERCA 47
In partenza il progetto ROSE, che vede l’Ateneo coinvolto
con altri 6 partner europei, per sviluppare tecnologie a supporto
di chi ha perso l’olfatto
Un paio di occhiali,
ma non per gli occhi:
per le narici
LA PERDITA PARZIALE o totale
dell’olfatto (iposmia/anosmia)
colpisce il 20 % della popolazione
mondiale (e in questi ultimi
due anni ne abbiamo sentito
parlare molto più spesso: durante
la fase acuta e anche nelle
fasi successive dell’infezione da
Coronavirus, circa 1 contagiato
su 2 registra anosmia o iposmia
tra i suoi sintomi).
Tuttavia, oggi come oggi non
esistono protesi o impianti in
grado di ripristinare o compensare
la capacità olfattiva perduta,
a differenza di quello che accade
per altri deficit sensoriali
– pensiamo per esempio agli
occhiali e agli impianti cocleari.
Non possediamo ancora una
sufficiente conoscenza scientifica
che ci permetta di collegare
i sistemi artificiali all’olfatto
biologico.
Il progetto ROSE (Restoring
Odorant detection and recognition
in Smell dEficits), finanziato
dalla Commissione
europea, cercherà di colmare
questa lacuna teorica e portare
infine allo sviluppo di un Digital
Olfaction Module (DOM),
un dispositivo rivoluzionario
in grado di restituire agli organi
umani la capacità di percepire
l’ambiente olfattivo.
Questo ambizioso obiettivo
richiederà una ricerca interdisciplinare
che combini nanotecnologia,
microtecnologia,
biotecnologia, Design meccanico,
neurochirurgia clinica,
neuroscienze e psicologia cognitiva,
con l’obiettivo di verificare
la fattibilità di una protesi
olfattiva miniaturizzata costruita
con micro-sensori di odori e
stimolatori neurali.
Il progetto è finanziato con
oltre 3 milioni di euro dall’Unione
Europea e coinvolge 7 partner
europei: oltre al Politecnico,
sono Lyon Neuroscience Research
Center (CNRS, Francia),
Technische Universität Dresden
(Germania), École Polytechnique
Fédérale de Lausanne
(Svizzera), Aryballe (Francia),
Aristotelio Panepistimio Thessalonikis
(Grecia) e CEA LETI
(Francia). Il nostro Ateneo ha
un ruolo chiave: sotto la guida
delle professoresse Marina Carulli
e Monica Bordegoni del
Dipartimento di Meccanica, il
Politecnico svilupperà dei recettori
olfattivi miniaturizzati
su misura e dovrà progettare,
testare e produrre prototipi di
protesi olfattive con tecnologie
di stampa 3D.
Scopri tutto sulla
ricerca politecnica
di frontiera
e sui temi definiti
dalla Commissione
Europea nell’ambito
del Recovery Plan.
Visita il sito
Next Generation
EU del Politecnico
di Milano

48 RICERCA
Il «paradigma
dell’ingegnere»:
scienza ed etica sono
binari paralleli?
In breve, la risposta è: sempre meno. Ne parliamo con il prof. Paolo
Volonté, coordinatore di META, l’unità di studi del Politecnico
di Milano che indaga le implicazioni etiche e sociali della tecnologia
e della ricerca scientifica
UN ANTICO ADAGIO RECITA: se
vuoi sviluppare bene una tecnologia
o risolvere un problema
tecnologico, devi prescindere
da tutte le questioni valoriali
e culturali. Devi prescindere
dall’etica, dalla morale, dal tuo
punto di vista di essere umano.
Oggi sappiamo però che
questo distacco è impossibile
e che la decisione di sviluppare
una tecnologia, quella di condurre
una ricerca scientifica in
un certo campo, come anche
ogni processo di progettazione,
sviluppo, gestione, controllo e
produzione sono azioni implicitamente
morali: hanno cioè
delle ricadute sul piano sociale,
personale ed etico.
«Gli scienziati si sono sempre
posti domande di tipo etico
su questioni eccezionali: energia
atomica e ingegneria genetica,
per esempio, sono casi
della storia recente in cui la comunità
scientifica si è chiesta
e continua a chiedersi: è giusto
farlo? A quale scopo? E se finisce
nelle mani sbagliate?». A
parlare è il prof. Paolo Volonté,
docente di Sociologia dei Processi
Culturali e Comunicativi
nel Dipartimento di Design. È
anche coordinatore di META,
l’unità di studi del Politecnico
di Milano che ha il compito di
indagare le implicazioni etiche
e sociali della tecnologia e della
ricerca scientifica.
Dagli algoritmi bisogna
difendersi?
«Un algoritmo non è pericoloso
di per sé, ma dagli effetti,
spesso inattesi, che i nostri

RICERCA 49
UNSPLASH / CHARLES DELUVIO
bias hanno sull’intelligenza
artificiale, bisogna difendersi,
certamente. Non è più una
questione di eventi eccezionali,
come la guerra nucleare, ma
di ogni singolo istante delle
nostre giornate e delle nostre
vite». A differenza di quanto accadeva
in altri momenti della
nostra storia, spiega Volonté,
oggi ogni incremento scientifico
e tecnologico ha effetti
sulla vita di tutti. Per esempio,
sappiamo che un software può
inavvertitamente comportarsi
in modo discriminatorio:
un problema, quando questi
software sono alla base di decisioni
che hanno ripercussioni
politiche e sociali. Quello delle
tecnologie digitali è un esempio
calzante (anche se non è
l’unico). «Cosa succede se un
software deputato alla sicurezza
apprende inavvertitamente
a discriminare persone di colore?
O se un annuncio di lavoro
sponsorizzato su internet raggiunge
esclusivamente utenti
uomini, perché il software che
lo distribuisce ha imparato
che, di solito, sono gli uomini
a occupare quel tipo di posizioni?
Abbiamo ormai capito di
essere sempre più soggetti agli
algoritmi che influenzano le
nostre scelte quotidiane. È impossibile
sviluppare tecnologie
innovative senza avere effetti
su larga scala sulla vita delle
persone. Ingegneri, scienziati
e progettisti non possono più
prescindere da una riflessione
critica sulla politica, sulla cultura,
su tutte le conseguenze
umane della tecnologia».
In che direzione vogliamo
andare?
«Farsi queste domande ci aiuta
a scegliere dove impiegare risorse
e impegno, spingendo su
progetti di ricerca che possano
dare forma a un futuro equo e
sostenibile». Con questo presupposto,
sei anni fa al Politecnico
di Milano è nata META,
una rete interdipartimentale
di ricercatori con competenze
in scienze umane e sociali.
«All’epoca in Italia ancora non
esisteva niente del genere nelle
università tecniche. L’obiettivo
è introdurre al Politecnico
competenze in questioni filosofiche,
epistemologiche, etiche
e sociali legate ai processi
della scienza, della tecnologia
e dell’innovazione». Nel concreto,
META si occupa tra le al-

50 RICERCA
tre cose di individuare giovani
post-doc dalle scienze umane
e sociali da inserire all’interno
dei gruppi di ricerca scientifica
e tecnologica. «Per esempio,
in un gruppo di ricerca che
lavora sulla guida autonoma,
c’è un filosofo specializzato
sull’etica dei veicoli autonomi,
che lavora affinché, fin dal
processo di sviluppo, sia contemplata
la riflessione critica
sui prodotti e sui bias dovuti
alla personalità del tecnologo.
Ci sono anche importanti ricadute
sulla didattica: i nostri
studenti frequentano corsi di
Etica e Storia della Scienza, si
confrontano con le sfide sociali
connesse alla tecnologia avvalendosi
degli insegnamenti
di esperti del settore. La sfida,
a tendere, è progettare corsi
integrati, dove scienziato e
filosofo lavorino insieme in
aula. È importante che lo studente,
mentre impara la tecnica,
impari contemporaneamente
anche la critica. Perché
è scontato che i nostri Alumni
padroneggino benissimo gli
strumenti scientifici e tecnologici,
ma devono anche chiedersi
quale sia l’impatto sociale
di questi strumenti».
Problemi scottanti
Il gruppo META collabora diffusamente
con docenti e ricercatori
del Politecnico e conduce
altri progetti come capofila.
«Lato digital, in questo momento
storico siamo particolarmente
impegnati su guida
autonoma, intelligenza artificiale
applicata ai wearables e
UNSPLASH
sulla questione della “scatola
nera” nel deep learning. C’è un
focus importante sul tema del
rischio e della responsabilità
nella tutela di un territorio,
come quello italiano, soggetto
ad attività sismica. Stiamo
inoltre lavorando allo studio
delle dinamiche di crowd funding
della ricerca scientifica:
non è banale, perché coinvolge
la posizione dell’opinione
pubblica e la sua capacità di
influenzare le scelte politiche
alla base dei finanziamenti
alla ricerca, sia pubblici che
privati. Abbiamo poi in cantiere
uno studio sui temi della
sostenibilità ambientale».
Un gruppo di ricerca META,
finanziato da un bando di
Fondazione Cariplo, affronta
la diffusione della disinformazione
scientifica e tecnologica
online all’interno delle scuole
superiori. Due giovani ricercatori
conducono due progetti
finanziati dalla Commissione
Europea: «Writing the Sleep
CRisis: 24/7 cAPitalism and neoliberal
Subjectivity» , studia
quella che medici e psicologi
in tutto il mondo chiamano
«crisi del sonno», cioè l’impatto
dei tempi della produttività
sulla salute e la relazione tra
salute individuale e ideologie
neoliberiste. «Fair Predictions
in Health» si occuperà del problema
dei bias nell’interpretazione
dei dati in rifermento
all’assistenza clinica, dove gli
algoritmi di apprendimento
automatico vengono utilizzati
per migliorare le diagnosi, le
scelte terapeutiche e, in generale,
le azioni del sistema sanitario.

RICERCA 51
Come si diventa
inventori?
Dal laboratorio all’impresa, il passo è tutt’altro
che breve: in media ci voglio tre anni
e c’è di mezzo un mare di ostacoli. Il Politecnico
di Milano supporta i ricercatori italiani
nel primo tratto di questa difficile navigazione,
che è anche il più rischioso
LA PAROLA «INVENTORE» è un
po’ desueta: oggi nessuno (o
quasi) direbbe che, di mestiere,
fa l’inventore. I media li chiamano
startupper o imprenditori,
al Poli si chiamano ingegneri,
designer, architetti, ricercatori,
scienziati e, di solito, stanno in
laboratorio, non di fronte a un
consiglio di amministrazione.
Per uno scienziato, scoprirsi
imprenditore non è poi così
automatico.
«La ricerca scientifica è la
base che consente di guardare
lontano e di investire sul futuro,
– commenta Donatella Sciuto,
Prorettore Vicario del Politecnico
di Milano. – È essenziale
per interpretare e accelerare i
grandi processi di sviluppo tecnologico
e per ridurre i divari
sociali. Attraverso la ricerca,

52 RICERCA
l’università gioca un ruolo
chiave nell’attivare i processi di
cambiamento e di crescita dei
territori e, con essi, di nuove
attività imprenditoriali».
Ma per farlo è necessario
dotarsi di strumenti per trasformare
la ricerca in innovazione,
dato che non sono affatto
la stessa cosa. E, come non c’è
innovazione senza ricerca, per
portare le invenzioni fuori dai
laboratori l’idea non basta; ci
vuole quello che in gergo tecnico
si chiama trasferimento
tecnologico: è il processo che
serve a trasformare un’idea o
un risultato accademico in un
prodotto vendibile sul mercato.
È anche uno degli obiettivi,
sia per l’Italia che per l’Europa,
per rendersi indipendenti
ed evitare di ritrovarsi nel ruolo
di importatori di tecnologie, e
per affrontare le grandi sfide
sociali che ci attendono. E anche
in questo il Politecnico fa
la sua parte.
Dal laboratorio all’impresa
Al Poli ci sono diversi strumenti
che servono a far crescere
il Technology Readiness Level
(TRL), cioè il livello di maturità
tecnologica di un progetto, e
valorizzarlo dal punto di vista
dell’impatto socio-economico.
«Una prima fase ci impegna
nello scouting e nella selezione
delle idee», secondo Enrico Deluchi,
amministratore delegato
di PoliHub.
Per accedere a un primo
round di investimento (preseed),
gli inventori politecnici
possono partecipare a Switch2Product
(S2P), il Programma
d’Innovazione organizzato
L’impatto del
trasferimento
tecnologico
A oggi il Politecnico di
Milano conta 1088 invenzioni
tutelate con 2671 singoli
brevetti, circa la metà dei
quali ottenuti nell’ambito
dei progetti di ricerca
commissionati da imprese.
Tra il 2000 e il 2021,
l’Ateneo ha accreditato 98
società spin-off, cioè startup
high e deep tech, volte a
trasformare il know-how
scientifico e tecnologico in
innovazioni a elevato impatto
sociale e valorizzabili
commercialmente. Tra le
realtà che dal Poli si sono
mosse verso il mondo
industriale con grande
successo: Moviri, Fluidmesh,
Laserbiomed, ResTech,
TREuropa e FabTotum.
Su MAP 9 puoi scoprire
il ciclo di vita
di un’invenzione
dall’Ateneo in collaborazione
con PoliHub e con le Officine
Innovazione di Deloitte. Le
idee selezionate da S2P vengono
presentate a un panel di investitori,
che possono decidere
di sostenerle con 150-200 mila
euro per elaborare un proofof-concept.
La fase successiva,
di accompagnamento sul mercato,
è seguita da PoliHub, l’Innovation
Park & Startup Accelerator
del Politecnico di Milano,
che segue i ricercatori fino al
raggiungimento di TRL 5 (cioè
la fase in cui si dimostra che la
tecnologia funziona anche fuori
dalle condizioni controllate del
laboratorio accademico) e nel
product market fit. A quel punto,
i ricercatori sono pronti per costituire
una startup, ricevendo
dagli investitori una cifra tra i
500 mila e il milione di euro.
L’edizione S2P 2021 ha visto
21 inventori politecnici (su 267
candidature ricevute) illustrare
le proprie proposte ad alcuni
fra i principali fondi di Venture
Capital e investitori italiani.
«Al Poli nascono tante innovazioni
nelle aree tecnologiche
deep tech: per trasformare queste
idee in imprese e portarle a
un confronto con il mercato ci
vogliono mediamente 3 anni.
Nell’ultimo triennio sono cresciute
le candidature a S2P,
oltre seicento; sono aumentati
gli investimenti, quasi sette
milioni di euro di investimenti
early stage di pre-seed e seed; si
sono moltiplicate le realtà approdate
sul mercato (36 le società
costituite)». Digitale, health&med
tech, high performance
computing, fotonica, materiali
e mobility sono tra i problemi

RICERCA 53
ACHILLE MONTEFORTE
«La capacità
di fare innovazione
ha un importante
impatto economico
a livello locale,
nazionale
e internazionale»
DAVIDE MOSCATELLI
Delegato del Rettore
alla Valorizzazione della Ricerca
e al Trasferimento Tecnologico
In alto Il team di ADAPTA Studio,
spin-off del Politecnico di Milano
con cui i nostri ricercatori e
inventori si confrontano più
frequentemente, oltre a tutte le
tecnologie dirette a contrastare
il cambiamento climatico, sempre
più urgenti.
Proprio da S2P e dal percorso di
incubazione e accelerazione di
PoliHub sono passate ADAPTA
Studio e AGADE, due spin-off
del Poli: la prima arriva dal Dipartimento
di Matematica, la
seconda da quello di Ingegneria
Meccanica.
Tutto iniziò con una teiera
Non parliamo di una teiera
qualsiasi ma della «Utah teapot»,
il primo oggetto grafico
3D (era il 1975). Fast forward
di quasi 50 anni: oggi gli oggetti
grafici 3D svolgono un
ruolo centrale nella Computer
Graphic e nella modellazione
3D, con applicazioni che spaziano
in qualsiasi comparto industriale,
dal gaming alla salute,
dalle belle arti all’industria
4.0, dall’e-commerce allo sport.
Gli oggetti grafici 3D sono composti
da reticoli di poligoni: più
l’oggetto è dettagliato, maggiore
è il numero di poligoni
che lo costituisce. Problema:
tanti poligoni significa oggetti
pesanti, che occupano tanta
memoria e compromettono, di
conseguenza, le performance
del calcolatore. È qui che entrano
in gioco i tre fondatori
di ADAPTA Studio: Leonardo
Locatelli, Francesco Clerici,
entrambi Alumni in Ingegneria
Matematica, e la professoressa
Simona Perotto.

54 RICERCA
ACHILLE MONTEFORTE
Il Politecnico conta
1088 invenzioni
tutelate con 2671 singoli
brevetti (dato 2021)
Tra i partecipanti
alla S2P 2021 le donne
erano solo il 25%
ma i 2⁄3 dei team
che hanno vinto erano
composti da team con
un buon livello
di diversità di genere
In alto e nella pagina a fianco Il team
di AGADE, spin-off del Politecnico di Milano
«Abbiamo messo a punto delle
tecniche matematiche avanzate,
– spiega Perotto, – che permettono
di ridurre il numero
di tasselli per la descrizione
dell’oggetto senza comprometterne
la qualità di rendering.
Dove sta il vantaggio? Minore
è il numero di tasselli e meno
pesa l’oggetto in termini di
byte». Un oggetto fatto di pochi
poligoni porta ad avere un
file leggero, ad allocare meno
memoria e a migliorare le performance
di qualsiasi tipo di
applicazione. Racconta Locatelli:
«L’algoritmo che sta alla
base dei nostri prodotti è nato
con la mia tesi magistrale nel
2019, sotto la supervisione della
prof. Perotto, del Dipartimento
di Matematica. Partecipare
(e vincere) l’edizione S2P 2019
ci ha permesso di trasformare
quello che era solo un algoritmo
in un’idea imprenditoriale».
Il primo confronto con il
mercato concorrente è molto
positivo per il team, che,
quindi, il 21 aprile 2021 fonda
la società ADAPTA Studio con
il supporto del fondo di investimento
Poli360. L’obiettivo
è supportare la creazione di
modelli grafici 3D con grande
ricchezza di dettagli, riducendo
l’allocazione di memoria
e preservando la qualità degli
oggetti originali, e passa per
la scrittura di un software automatico,
capace di integrarsi
con i software esistenti, che
possa diventare uno standard
nella semplificazione degli oggetti
grafici tridimensionali.
«Questa esperienza, – conclu-

RICERCA 55
«Se le invenzioni
rimangono nel
cassetto non
servono a nessuno.
L’invenzione è un’idea,
l’innovazione è la sua
commercializzazione:
noi dobbiamo trovare
i giusti sbocchi
affinché le invenzioni
producano soluzioni
per cui qualcuno
è disposto a pagare»
ENRICO DELUCHI
Alumnus in Ingegneria Elettronica
e amministratore delegato di PoliHub
PoliHub
L’acceleratore di impresa
del Politecnico di Milano
sostiene la nascita e
lo sviluppo di startup deep
tech attraverso percorsi
di trasferimento tecnologico,
fornendo servizi di
accelerazione, access
to funding, mentorship
e advisory. Supporta
le relazioni tra startup,
aziende, esperti, istituzioni
e investitori
de Locatelli, – ci ha insegnato
a trasformare una semplice
idea in un qualcosa di utile,
che abbia un vero impatto sul
mondo».
I muscoli non servono
Soprattutto, non servono se
possono essere sostituiti da
una tecnologia robotica indossabile:
l’esoscheletro nato
al Poli, capace di assistere gli
operatori durante le attività di
movimentazione manuale dei
carichi, ha ottenuto un finanziamento
di 8 milioni dallo
European Innovation Council
(EIC) Accelerator.
«L’idea nasce all’interno di
un progetto di ricerca portato
avanti dal Dipartimento di
Meccanica e il NearLab (laboratorio
di bioingegneria del
DEIB), sul quale ho lavorato durante
il mio PhD, insieme a una
collega di Ingegneria Biomedica,
– racconta Lorenzo Aquilante,
Alumnus in Ingegneria
Meccanica, co-founder e CEO di
AGADE. – Avevamo l’obiettivo
di realizzare un esoscheletro
innovativo utile a ridare indipendenza
alle persone affette
da distrofia muscolare. Da lì
è nata l’esigenza di sviluppare
una tecnologia robotica indossabile
in grado di ridurre il
peso e i costi degli esoscheletri,
garantendone però un’elevata
intelligenza. Abbiamo attivato
una tesi magistrale su questo
tema, che è stata svolta da Mattia
Tabaglio e Daniele Ramirez,
anche loro ingegneri meccanici,
che sono diventati gli altri
due fondatori della spin-off. La

56 RICERCA
tecnologia che abbiamo sviluppato
durante la tesi ha preso il
nome di AGADE».
Hanno presentato il progetto
di AGADE a S2P nel 2018 e
hanno vinto. E poi... durante il
processo di incubazione e accelerazione
hanno continuato a
studiare, scoprendo che il 40%
dei lavoratori che si occupano
di carichi pesanti soffre di mal
di schiena e che i compiti di
movimentazione manuale del
materiale sono tra i principali
responsabili dei disturbi muscolari
legati al lavoro.
«Abbiamo fatto il pivoting
verso il mercato industriale
perché abbiamo visto l’opportunità
di un ingresso sul mercato
più veloce». Gli esoscheletri
industriali attualmente in circolazione
si basano su sistemi
Switch2Product
ACHILLE MONTEFORTE
A sinistra
Donatella Sciuto,
Prorettore vicario
del Politecnico
di Milano
In basso
I partecipanti a S2P
Supporta la nascita
di startup innovative,
valorizzando i frutti
dell’attività di ricerca
e promuovendo
l’imprenditorialità. Il
programma si rivolge
a studenti, ricercatori,
dottorandi di ricerca, docenti
e Alumni del Politecnico
di Milano che intendono
accelerare la validazione
tecnologica e di mercato dei
propri progetti per realizzare
la propria startup
ACHILLE MONTEFORTE
di molle che li rendono leggeri
ed economici ma non sono in
grado di fornire un’assistenza
adattativa all’utente, oppure su
motori elettrici, e sono quindi
adattivi ma pesanti e costosi.
AGADE introduce una nuova
generazione di robot indossabili
progettati per potenziare
la produttività, preservare la
salute degli operai, migliorando
la sicurezza sul lavoro e riducendo
gli infortuni, e conciliare
leggerezza e intelligenza.
Sono basati su una tecnologia
di movimento brevettata, progettata
per supportare il carico
dovuto all’effetto della gravità.
«Oggi siamo alla fase di market
fit per ottimizzare la strategia
di ingresso. Quando abbiamo
iniziato, non sapevamo che sarebbe
andata così bene, ma costruire
questa idea insieme ci
ha permesso di creare un team
molto forte».

CAMPUS LIFE 57
57
Siamo consapevoli del nostro impatto sulla società e del nostro ruolo
nella costruzione di un futuro sostenibile ed equo. Il Poli è anche al servizio
dell’intero sistema economico e sociale del Paese e della comunità
internazionale, con iniziative didattiche, progetti di ricerca e attività
culturali che spaziano dall’inclusività alla sostenibilità sociale, economica
e ambientale, dalla valorizzazione di brevetti, spin-off, incubatori,
alla gestione di beni culturali, fino alla tutela della salute
57–62
Responsabilità
sociale

58 RESPONSABILITÀ SOCIALE
Le strategie del Politecnico di Milano per portare le ragazze nella Scienza,
nella Tecnologia, nell’Ingegneria e nella Matematica
STEM: c’è ancora
da lavorare sulla parità
di genere
La popolazione femminile è sottorappresentata in molte delle attività svolte presso
le università tecniche. È anche il caso del Politecnico di Milano: le donne rappresentano
meno del 30% dei suoi 47.000 studenti e 1400 ricercatori. È un dato macro, però:
se guardiamo più da vicino, notiamo uno squilibrio maggiore sul totale degli studenti
di Ingegneria, dove solo 1 su 4 è una donna
Design
DONNE
UOMINI
Architettura
BACHELOR
MASTER
BACHELOR
MASTER
54,7% D
60,4% D
57,4% D
63,7% D
45,3% U
39,6% U
42,6% U
36,3% U
Ingegneria
BACHELOR
22,9% D
72,1% U
MASTER
27,1% D
72,9% U
Stringiamo ancora l’obiettivo e il numero
precipita al di sotto del 20% nel caso di
alcuni corsi come Ingegneria Meccanica,
Elettronica, Informatica e Aerospaziale
Leggi il Gender
Equality Plan
e il Bilancio
di genere del Poli

RESPONSABILITÀ SOCIALE 59
POP – Pari Opportunità Politecniche
è il programma strategico
con cui l’Ateneo si impegna
per garantire un ambiente di
studio e lavoro che rispetti le
identità di genere, le diverse
abilità, le culture e provenienze.
Al suo interno, esistono diverse
iniziative per promuovere
le materie STEM (acronimo di
Science, Technology, Engineering
and Mathematics) tra le
ragazze delle scuole superiori e
incentivarle a iscriversi al Politecnico
di Milano. Girls@Polimi,
per esempio, finanzia borse
di studio per future immatricolate
ai corsi di Ingegneria con
bassa percentuale femminile
(Meccanica, Elettronica e Informatica),
che mettono a disposizione
delle candidate meritevoli
8000 euro ciascuna, ripetibili
per i tre anni della laurea, oltre
all’alloggio gratuito.
«La consapevolezza del divario
di genere è un primo
passo al quale devono seguire
azioni concrete non solo all’interno
delle nostre università,
ma a livello esteso e nel contesto
internazionale. Costruire
reti e aderire a cause comuni
aumenta la nostra capacità di
influenzare i decisori», commenta
il Prorettore Donatella
Sciuto, sottolineando la dimensione
internazionale e sistemica
di questo squilibrio.
Per questo, a guida delle azioni
da perseguire, abbiamo messo
nero su bianco due strumenti
UNSPLASH
di lavoro: il primo è il Bilancio
di genere, un’analisi annuale
dell’Ateneo rispetto alla prospettiva
del genere nei percorsi
di studio e di lavoro, all’interno
del corpo docente e del
personale tecnico-amministrativo.
Indica obiettivi, strumenti
e direzioni; il piano concreto
delle azioni da intraprendere,
con un orizzonte triennale, è
descritto invece nel Gender
Scopri di più
su Girls@Polimi
Equality Plan: «abbiamo stanziato
un budget specifico», fa
sapere il rettorato, con l’obiettivo
di «riconoscere la dignità
di ogni persona nel lavoro e
nello studio, garantire la parità
di trattamento, promuovere
iniziative volte a rimuovere le
discriminazioni nella formazione,
nell’accesso al lavoro,
nell’orientamento e durante
la carriera».

60 RESPONSABILITÀ SOCIALE
Un bilancio
delle vostre donazioni
FINANZIAMENTI
ESTERNI
DONAZIONI
FINANZIAMENTO
MINISTERIALE
90 3,5
200
milioni
all’anno
milioni
all’anno
milioni
all’anno circa
• Gli enti finanziatori sono
molti: il più grosso è la
Commissione Europea,
ma ci sono anche
fondazioni e istituzioni
sul territorio italiano.
Importantissimo
il contributo delle aziende
• Finanziano ricerca di base
e ricerca industriale
• Arrivano da donazioni
di aziende e individui
(soprattutto da Alumni)
• Utilizzati soprattutto
per progetti
ad alto impatto sociale
• Borse di studio
• Progetti di ricerca
responsabile
• Riqualificazione dei
campus e aggiornamento
dei laboratori
del Politecnico
• Didattica innovativa
• Utilizzati per attività
ordinarie di didattica,
ricerca e gestione
dell’Ateneo

Un po’ più dell’1% del budget dell’Ateneo proviene dal sostegno
dei donatori, siano individui o aziende. Come vengono investiti?
RESPONSABILITÀ SOCIALE 61
7 MILIONI DI EURO
DALLE VOSTRE DONAZIONI
3.000.000 €
386 borse di studio
400.000 €
14 borse di dottorato
1.500.000 €
ammodernamento
di laboratori, infrastrutture
e campus
400.000 €
16 progetti di didattica
innovativa
1.200.000 €
10 progetti di ricerca
ad alto impatto sociale
500.000 €
altri progetti
NEL BIENNIO 2020-2021 il Politecnico
ha ricevuto oltre 7 milioni
di euro in donazione da
individui e da aziende. Sono
fondi che vanno ad aggiungersi
ai finanziamenti, provenienti da
Commissione Europea e aziende
(circa 90 milioni all’anno) e ai
finanziamenti ministeriali (circa
200 milioni annui). Questo è
il budget che sostiene finanziariamente
il sistema politecnico
in tutte le sue sfaccettature:
didattica, ricerca e impatto sociale.
Di questi 7 milioni, circa 3
sono stati utilizzati per finanziare
386 borse di studio destinate a
premiare gli studenti meritevoli
e incentivare l’immatricolazione
al Poli delle ragazze nei percorsi
di studio STEM (Science,
Technology, Engineering and
Mathematics).
Quasi 400 mila euro hanno
finanziato 14 borse di dottorato
(14 giovani ricercatori che
hanno portato avanti progetti
di ricerca) donate quasi completamente
da aziende. I temi principali
su cui si focalizzano sono
legati a tecnologie per la salute,
al mondo della transizione ecologica
e a quello dei trasporti.
Oltre 1 milione e mezzo ha
contribuito all’ammodernamento
di laboratori, degli strumenti,
delle infrastrutture e dei
campus del Politecnico.
Quasi 400 mila euro hanno
finanziato 16 progetti di didattica
innovativa: spiccano tra
questi il P92, l’aula volante dove
ingegneri aeronautici possono
fare esperienze di volo, e ACTS
che ha coinvolto gli studenti di
Architettura e Design nella progettazione
di una palestra per il
carcere di Bollate.
Oltre 1 milione e 200 mila
euro sono stati dedicati a progetti
di ricerca ad alto impatto
sociale.
Un ponte tra gli studenti
e il «mondo fuori»
Nel 2021 le donazioni hanno subito
un’impennata, superando
i 4 milioni: 234 studenti hanno
frequentato il Politecnico grazie
alle donazioni della community
(205 donatori tra individui
e aziende). Le borse di studio
possono essere assegnate sulla
base di criteri economici, e sono
tipicamente quelle di cui abbiamo
parlato sopra, accademici,
tematici o un mix dei tre.
Questo eccezionale risultato
è stato raggiunto anche grazie
al supporto degli Alumni e, in
questo caso, c’è spesso anche
il valore aggiunto dell’incontro
con i donatori, che sono affer-

62 RESPONSABILITÀ SOCIALE
mati professionisti e mettono a
disposizione, oltre al sostegno
economico, anche il loro tempo
e le loro competenze. È per
esempio il caso del Circle of Donors,
programma sostenuto dagli
Alumni del Politecnico che
offre ai migliori studenti prestigiose
borse di studio in grado
di competere con quelle delle
migliori università internazionali.
Gli studenti selezionati
per una borsa Circle ricevono
10.000 euro all’anno per i due
anni della laurea magistrale e
hanno la possibilità di avvalersi
di un percorso personale di
mentoring con i donatori. Un
club di 110 e lode, seri e focalizzati
sull’obiettivo: oltre alla media
accademica, per accedere al
Circle bisogna rispettare una tabella
di marcia molto rigida e
laurearsi col massimo dei voti
alla prima sessione. Dal 2016
sono stati adottati 18 studenti.
Cosa sognano
i nostri studenti?
Contribuire a un mondo più
sostenibile, respirare un’atmosfera
internazionale, sentirsi
parte di una community fatta di
persone che hanno la voglia e la
capacità di fare la differenza: è
quello che ci hanno raccontato,
negli anni, le ragazze e i ragazzi
del Circle, scelti ogni anno tra i
migliori laureandi della triennale
che decidono di continuare il
percorso al Politecnico anche
alla magistrale. Alessandro, 22
anni, studia Computer Science
& Engineering e «da grande»
vuole fare l’ingegnere informatico.
«Ho scelto un percorso che
mi darà accesso a un gran numero
di opportunità lavorative:
l’informatica la trovi ovunque».
Anche Paolo ha 22 anni e ha appena
iniziato la magistrale in
Computer Science & Engineering.
Dopo la laurea, ci racconta,
l’idea è quella di «lavorare su
problemi di tematica ambientale».
«È molto bello sentirsi parte
di questa community di Alumni
e ricevere consigli da chi ha accumulato
esperienza tramite le
scelte e gli errori fatti in passato»,
commenta Giulia alla vigilia
della laurea, e Alessio: «Quella
del Circle è un’opportunità unica
in Italia. Nessun’altra università
valorizza in questo modo i
propri studenti migliori».
Colmare il gender gap
La scelta del percorso universitario
è una tappa fondamentale
ed è importante favorire libertà
e consapevolezza per le giovani
donne che si avvicinano a questo
momento. «Il tema dell’occupazione
femminile, che pure
non esaurisce il dibattito sulle
pari opportunità, rappresenta
in modo inequivocabile uno
dei punti centrali della questione,
un potenziale motore
di cambiamento strutturale
e di rilancio del Paese», commenta
il Prorettore Donatella
Sciuto. Il tema, al Politecnico,
è particolarmente rilevante per
quanto riguarda Ingegneria. Alcuni
corsi registrano ancora un
netto squilibrio di genere, con
una presenza femminile che,
in alcuni casi, sfiora il 20%. In
generale, nel 2019 le studentesse
sono state il 33,4% sul totale
degli iscritti al Politecnico. In
questo quadro si inserisce il
programma Girls@Polimi, che
nell’anno accademico 2022/2023
assegnerà 15 borse di studio del
valore di 24.000 euro l’una (8000
euro all’anno) a studentesse
che sceglieranno di studiare al
Politecnico di Milano frequentando
i corsi di Ingegneria con
una bassa presenza femminile:
Ingegneria Aerospaziale, Ingegneria
dell’Automazione, Ingegneria
Elettrica, Ingegneria
Elettronica, Ingegneria Informatica,
Ingegneria Meccanica,
Ingegneria della Produzione
Industriale.
Oltre alle donazioni di singoli
individui, soprattutto Alumni,
le borse di studio Girls@Polimi
sono finanziate con il sostanziale
contributo economico di 9
Aziende: Gruppo Autostrade per
l’Italia, Bain & Company Italy,
Banco BPM, Eurofins Foundation,
Fastweb, Intesa Sanpaolo,
Leonardo, Gruppo Nestlé in
Italia, NHOA. La partecipazione
delle aziende ha per il Politecnico
l’obiettivo di coinvolgere la
società e il territorio, in un’ottica
di responsabilità sociale
verso le tematiche di diversità,
inclusione e pari opportunità.
Sostieni studenti
e ricercatori
del Politecnico
di Milano

CAMPUS LIFE 63
63
Uno stretto legame con il territorio e con il tessuto industriale è il tratto
distintivo del Politecnico di Milano fin dalle sue origini. Questa sinergia
oggi si esprime in collaborazioni con grandi e piccole aziende in Italia
e nel mondo, supporto alle startup e alle PMI, stretta collaborazione
con le istituzioni e un orecchio sempre teso a captare i bisogni e gli stimoli
del mondo produttivo
63–68
Ateneo,
imprese,
territorio

64 ATENEO, IMPRESE, TERRITORIO
La ricerca scientifica non è appannaggio esclusivo dell’accademia.
Le collaborazioni del Politecnico di Milano con le imprese alimentano
il sistema della ricerca e dell’innovazione, potenziando la competitività
dell’ecosistema Italia
La carica dei 190

SIIMON PALFRADER
CENTONOVANTA: tanti sono gli
accordi quadro con imprese, enti
e istituzioni nazionali e internazionali,
dedicati a obiettivi di
ricerca e innovazione, che il Poli
contava al suo attivo a maggio
2022. L’Ateneo ha nel suo DNA
una naturale inclinazione alla
ricerca applicata che coinvolge
il mondo industriale, e che va
ad affiancarsi in modo organico
alla ricerca di base e di frontiera.
In gergo accademico si chiama
terza missione (le prime due
sono didattica e ricerca accademica):
è la capacità di combinare
contenuti scientifici e tecnologici
con l’impatto sociale che
possono avere sul territorio.
Ne abbiamo parlato con il
prof. Daniele Rocchi, Delegato
del Rettore per i Rapporti con
le Imprese. «È un impegno che
il Politecnico ha fin dalle sue
origini, in stretta connessione
con il tessuto industriale e che
si concretizza in sinergia tra
il nostro Ateneo e le imprese,
dalle multinazionali alle PMI,
con strumenti diversi a seconda
dell’esigenza. L’obiettivo è quello
di trasformare le idee in innovazione,
in qualcosa che abbia
un’applicazione industriale,
contribuendo ad aumentare la
competitività del sistema delle
imprese in Italia».
Sono accordi di lunga durata,
tipicamente tra i 3 e i 5 anni
e, nel complesso, costituiscono
un portfolio di circa 150 milioni
di euro. Tra i vari modelli di collaborazione
con le imprese, una
particolare importanza l’hanno
i Joint Research Centre (JRC),
partnership strategiche per favorire
la ricerca interdisciplinare.
Si tratta di accordi di ampio
ATENEO, IMPRESE, TERRITORIO 65
respiro su tematiche di ricerca,
innovazione e sviluppo dall’alto
contenuto sperimentale e innovativo,
di interesse comune, con
investimenti ingenti e a lungo
termine, che viaggiano su orizzonti
temporali non immediati:
è un investimento per il futuro.
Non sono accordi che si costruiscono
dall’oggi al domani:
«Firmare un JRC con un’azienda
partner costituisce la formalizzazione
di una lunga storia, di
un rapporto di collaborazione
e fiducia che solitamente già
esiste tra l’azienda e i gruppi
di ricerca dell’Ateneo. Comporta
la condivisione di obiettivi
strategici con un comitato guida
condiviso, la costituzione di
laboratori congiunti e l’investimento
sulle risorse umane,
con l’obiettivo di affiancare alla
ricerca industriale applicata anche
l’Open Innovation e l’Alta
Formazione Universitaria».
Non si parte quindi da un
problema specifico, ma da trasformazioni
e sfide tecnologiche
da affrontare assieme con
un diretto impatto sulla vita di
tutti. «La complessità ci richiede
di fare sistema per vincere le
sfide tecnologiche che caratterizzano
l’epoca attuale mettendo
a fattore comune le competenze
di università e imprese,
utilizzando bene le risorse e
sapendo cogliere e interpretare
le esigenze del territorio. Una
delle missioni che il governo si
è imposto è quella di potenziare
il trasferimento di competenze
e tecnologia dal sistema universitario
alle imprese. Ne parla la
missione 4 del PNRR sull’insegnamento
e sulla ricerca, dedicandovi
investimenti per oltre

66 ATENEO, IMPRESE, TERRITORIO
In basso Daniele Rocchi, Delegato
del Rettore per i Rapporti con le Imprese
Leggi Polifab,
l’officina «pulita»
del Politecnico
di Milano, da MAP 7
30 miliardi di euro nel periodo
2022-2026».
Tutto questo ha delle importanti
ricadute a livello di alta
formazione: «Uno degli aspetti
fondamentali che affrontiamo
con le imprese è quello di investire
nella crescita delle risorse
umane del futuro, supportando
dottorati di ricerca e giovani
ricercatori con borse di ricerca
cofinanziate». 154 nuovi dottorandi
arriveranno così al Politecnico
il prossimo autunno:
lavoreranno a stretto contatto
con i partner per interpretare
e sviluppare le tematiche di ricerca
in laboratori e infrastrutture
condivisi, portando nella
ricerca l’esperienza industriale.
I PhD (dall’inglese Philosophiae
Doctor, in italiano sono i ricercatori
che hanno completato
un percorso di dottorato) sono
giovani ricercatori inseriti pienamente
nelle attività dei dipartimenti
e dei gruppi di ricerca
che dedicano la maggior parte
del loro tempo ad affrontare
temi di ricerca e innovazione.
La possibilità di effettuare il
percorso di dottorato in collaborazione
con imprese ed enti
esterni rappresenta una interessante
opportunità per un efficace
trasferimento di competenze
dall’università verso il contesto
sociale e l’avere sviluppato accordi
JRC rappresenta un tentativo
di rendere maggiormente
stabile ed efficace il processo.
«È una strategia che nasce da
una necessità condivisa: quella
di una maggiore efficienza e
rapidità, per poter intercettare
e governare gli attuali e futuri
cambiamenti indotti dalle transizioni
tecnologiche», continua
Rocchi, che conclude illustrandoci
alcuni degli accordi siglati
in questi mesi.
Laboratori allo stato dell’arte:
chip, MEMS, un boost
per la clean room del Poli
Quella tra StMicroelectronics
e Politecnico è una collaborazione
di lunga data. Il nuovo capitolo
di questa storia riguarda
PoliFab, il centro per le micro e
nanotecnologie del Politecnico
di Milano, istituito per fornire
gli standard tecnologici più
avanzati per un’ampia gamma
di applicazioni e processi associati
alle cinque principali

«L’obiettivo è quello di trasformare le idee in
innovazione, in qualcosa che abbia un’applicazione
industriale, contribuendo ad aumentare la competitività
del sistema delle imprese in Italia»
ATENEO, IMPRESE, TERRITORIO 67

68 ATENEO, IMPRESE, TERRITORIO
tecnologie abilitanti: fotonica,
micro e nanoelettronica, biotecnologie,
materiali avanzati
e nanotecnologie. Grazie alla
collaborazione con STM, Poli-
Fab è stato oggetto di un recente
ampiamento e dell’arrivo di
nuove attrezzature all’avanguardia.
«Stiamo creando un centro
di eccellenza per gli studi e la
ricerca sui materiali avanzati
per i MEMS (Micro Electro-Mechanical
Systems)», commenta
Rocchi. Oltre all’aggiornamento
degli strumenti, la collaborazione
prevede investimenti in personale
e programmi con borse
di studio finanziate da STM, assunzioni
di docenti e ricercatori
e il finanziamento di progetti di
ricerca congiunti.
Simulatori di guida, realtà
virtuale e nuovi materiali
Joint Labs è un’intesa tra Politecnico
di Milano, Pirelli e
Fondazione Politecnico di Milano
focalizzata su progetti di
ricerca per l’innovazione del
comparto pneumatici. Grazie
all’investimento di oltre 2 milioni
di euro in tre anni, si concentrerà
su tre aree tematiche
principali: simulazione, attraverso
l’utilizzo integrato del simulatore
statico, installato nel
centro R&D di Pirelli a Milano,
e del simulatore dinamico del
Politecnico, con l’obiettivo di
ottimizzare le fasi di sviluppo
e test dei nuovi pneumatici, riducendo
i tempi di sviluppo del
prodotto e rafforzando la collaborazione
con le case automobilistiche;
materiali, con lo sviluppo
di soluzioni innovative,
come, per esempio, materiali a
basso impatto ambientale, e la
modellizzazione dei processi di
mixing; sviluppo prodotto e cyber,
con sviluppi in settori quali
l’aerodinamica dello pneumatico,
la modellizzazione automatizzata
del battistrada e il controllo
intelligente del veicolo.
Il nuovo centro di ricerca
sulle scienze della vita
Il Politecnico di Milano e l’Istituto
Europeo di Oncologia
hanno stretto un accordo per la
costituzione del centro di ricerca
congiunto ONCO-TECH-LAB:
Modeling and Applications for
Human Health. La piattaforma
unirà il know-how del Politecnico
di Milano nell’intelligenza
artificiale, nella robotica e
nelle tecnologie d’avanguardia
di ingegneria tissutale con le
ampie conoscenze dello IEO
nelle scienze della vita. La contaminazione
delle conoscenze
nell’ambito della medicina
e della tecnologia è al centro
dell’accordo: la ricerca oncologica
ha sempre più necessità
di elaborare grandi quantità di
dati e di programmare studi che
coinvolgano strumenti sempre
più sofisticati quali le macchine
per la radioterapia. Due esempi
su tutti: le straordinarie possibilità
offerte dagli organoidi di
ultima generazione e le nuove
tecniche di imaging e chirurgiche,
nelle quali il contributo
dell’intelligenza artificiale,
della data analysis e del deep learning
potrà offrire ai pazienti
cure sempre più personalizzate
e meno invasive.
Tecnologie per l’ambiente,
per la transizione energetica
e per la mobilità sostenibile
Il Gruppo A2A Life Company e il
Politecnico di Milano hanno avviato
una nuova collaborazione
per lo sviluppo di iniziative di
innovazione, ricerca e formazione
nel settore Energy & Utility, a
supporto della transizione ecologica
del Paese. L’intesa prevede
l’istituzione di un Joint Research
Centre per implementare
progetti di sperimentazione
multidisciplinari su temi specifici
come la mobilità sostenibile,
lo sviluppo delle energie
rinnovabili e dell’idrogeno, il
riciclo delle batterie, lo studio
di nuove tecnologie per il trattamento
dei rifiuti e il recupero
di materia ed energia. Parallelamente,
la partnership darà
vita a un Centro Congiunto di
Ricerca e Innovazione all’interno
dell’Innovation District che
il Politecnico di Milano sta sviluppando
presso l’ex parco dei
Gasometri nell’area di Bovisa e
a cui A2A prenderà parte con un
investimento complessivo di 3
milioni di euro.

CAMPUS LIFE 69
69
Dalla community politecnica, iniziative, persone, prodotti e progetti
con un importante connotato internazionale, che valorizzano il Made in Italy
& Made in Polimi in tutto il mondo
69–88
Nel
mondo

70 NEL MONDO
D-Orbit si quota in borsa. Il suo fondatore, Luca Rossettini,
Alumnus, imprenditore e «visionario concreto», ci spiega perché
e come ha avviato la sua startup in Italia
La (ex) startup spaziale
punta in alto

FONDATA NEL 2011 da Luca Rossettini,
Alumnus in Ingegneria
Aeronautica e PhD, D-Orbit ha
sede a Fino Mornasco, in provincia
di Como. Lo scorso anno
l’azienda ha registrato ricavi per
3,4 milioni di dollari e prevede
una crescita a 22 milioni di dollari
nel 2022. Attualmente conta
un portafoglio ordini pari a 12,5
milioni di dollari, ma ha trattative
in corso per ulteriori 167 milioni.
In questi giorni si appresta
a quotarsi sul Nasdaq con un
accordo che valuta la società 1,3
miliardi di dollari.
Semplificando: siamo
corrieri spaziali, consegniamo
satelliti invece di pacchi
D-Orbit è un fornitore di prodotti
e servizi per il mercato New
Space. Per capirci: a bordo del
razzo Falcon 9, partito da Cape
Canaveral lo scorso 13 gennaio,
viaggiava anche il veicolo di
trasporto orbitale ION Satellite
Carrier di D-Orbit. Una volta raggiunta
l’orbita, ION si è occupato
della consegna «ultimo miglio»,
trasportando i satelliti nelle rispettive
posizioni operative. «Un
po’ come farebbe il camioncino
del corriere, – spiega Rossettini.
– Andiamo in giro per lo spazio
a consegnare i pacchetti porta
a porta, cioè a portare i satelliti
dove servono». È un servizio
che ha radicalmente cambiato il
modo di mandare i satelliti in orbita:
«fa risparmiare fino all’85%
del tempo e fino a un 40% di
costi». D-Orbit è stata la prima
azienda a offrire questo tipo di
servizio nella logistica spaziale.
NEL MONDO 71
Tecnologie abilitanti, grandi
rischi, grandi ricompense
Più dell’80% della tecnologia
che usiamo a terra è di derivazione
spaziale. Il presidio dello
spazio è quindi diventato un
requisito abilitante per le trasformazioni
tecnologiche ed
economiche terrestri. Anche il
mercato satellitare è cambiato,
e D-Orbit lo ha capito con un
anticipo che le ha fornito un
vantaggio strategico. «Un altro
obiettivo su cui stiamo lavorando
è quello di creare una rete
cloud in cui ognuno di questi
satelliti ION, una volta terminate
le consegne, resti in orbita e
rappresenti un nodo per offrire
servizi a tutti i satelliti che ne
hanno bisogno. Oggi non siamo
ancora a questo punto, ma
in un futuro prossimo i nostri
ION saranno in grado di scambiare
informazioni con gli altri
satelliti, effettuare riparazioni,
ricariche di carburante, riallocazione,
qualsiasi cosa possa
estendere la vita dei satelliti dei
nostri clienti. Quando invece saranno
proprio alla fine, invece
di distruggerli facendoli precipitare
nell’atmosfera come facciamo
oggi, potremo smantellarli e
costruire stazioni di servizio in
orbita, per immagazzinare pezzi
di ricambio e materia prima.
Una volta che avremo queste capacità,
potremo andare verso la
nostra vision: una rete di logistica
e trasporto che colleghi Marte,
fascia degli asteroidi, Luna
e Terra, che permetterebbe di
mantenere insediamenti su altri
pianeti a costi sostenibili».
Fare impresa in Italia
«A livello di tecnologia, l’Italia
non ha nulla da invidiare a
nessuno. Nel settore Space in
particolare siamo pionieri da
sempre. Abbiamo una filiera
che copre tutta la catena del valore,
abbiamo un ottimo lanciatore,
il Vega. E abbiamo anche
altri vantaggi: uno è senza dubbio
la qualità degli ingegneri e
in generale dei nostri laureati,
meno specializzati rispetto ad
altri, ma più flessibili. D-Orbit
non sarebbe riuscita a nascere
in un altro Paese. Un altro punto
di forza del modello italiano
è che non è finita finché non
è finita. Nel modello Silicon
Valley vige il detto: «fallisci in
fretta». Il principio è corretto:
se non hai un mercato non ti
devi ostinare, ma, nella maggior
parte dei casi, mollare alla
prima occasione significa che
non stai facendo il tuo dovere
di imprenditore».

72 NEL MONDO
Una scuola aperta a tutti: a persone di ogni età, ogni giorno dell’anno
e a ogni ora del giorno per ridare vita ai quartieri. Questa l’idea del
progetto di Scuola Aperta, realizzata a Tirana da Stefano Boeri Architetti
La scuola in cui
aprirsi davvero
«QUEST’ANNO passerà alla storia
come quello in cui si è fatto
di più per l’istruzione e sono
state aperte più infrastrutture
scolastiche e asili rispetto agli
ultimi cento anni a Tirana», ha
dichiarato Erion Veliaj, sindaco
di Tirana, in Albania. E fra
queste infrastrutture, tre sono
state ideate dall’Alumnus Stefano
Boeri. Ne abbiamo parlato
con lui (SB) e con l’architetto
Francesca Cesa Bianchi (FCB),
Project Director di Stefano Boeri
Architetti.
Qual è la definizione
di Scuola Aperta?
FCB Una scuola aperta vuol dire
osmosi con il territorio, scambio
di saperi e di esperienze,
con un importante riverbero
sulla vita di quartiere. Spesso
gli edifici scolastici sono il centro
della comunità, e realizzare
nuove scuole costituisce l’occasione
di costruire un nuovo
tassello della città pubblica, di
ripensare l’identità di un quartiere,
di garantire una maggiore
distribuzione, sia quantitativa
che qualitativa, dei servizi della
città. Tirana ha visto negli ultimi
quindici anni un aumento
demografico importante che ha
portato all’intensificarsi di un
fenomeno di densificazione e
saturazione dello spazio urbano.
Con il Piano Regolatore per
Tirana 2030 abbiamo visto l’opportunità
di immaginare una
nuova tipologia educativa: un
network di scuole come nuovi
centri dei quartieri della città.
Il punto di partenza è stata proprio
la scarsa distribuzione di
scuole sul territorio ed è qui che
il nostro progetto si inserisce,
ponendo grande attenzione nel
calibrare la presenza di spazi
tradizionali dedicati alla didattica
richiesti dal Ministero con
aree ibride e più adatte a sistemi
educativi sperimentali, capaci
di favorire l’introduzione
di metodi didattici innovativi
e l’interazione inter-generazionale
tra studenti di età e cicli
differenti. Scuole aperte dunque,
che si configurano come
un isolato urbano che accoglie
al suo interno diverse funzioni:

NEL MONDO 73
MANDI SELMAN / LORENZO MASOTTO
mense, sale multifunzionali,
biblioteche e impianti sportivi,
fruibili sia dagli studenti che
dalla comunità.
Come avete sviluppato
il progetto e come
si differenziano le tre scuole
realizzate a Tirana?
FCB Abbiamo sviluppato il progetto
di tre strutture, la prima
delle quali è stata inaugurata
nel dicembre 2021, che accolgono
cinque scuole dedicate
a un ciclo educativo pre-universitario,
nelle zone di Don
Bosko, Kodër-Kamëz e Shqiponja.
Il complesso del Don
Bosko, di 9812 m 2 , comprende
una scuola media, una scuola
superiore, gli spazi per l’educa-

74 NEL MONDO
zione prescolare e una nursery;
le scuole Kodër-Kamëz, per le
quali è prevista un’offerta di
servizi educativi analoga al Don
Bosko, si estendono su un’area
complessiva di 11.898 m 2 ; e le
scuole Shqiponja comprendono
le strutture per l’educazione
prescolare, una scuola media e
una nursery e occupano una superficie
di 7898 m 2 . Sono situate
nel quadrante nord-occidentale
della città, luogo perfetto per ricreare
un legame tra i cittadini,
il suolo e la società. Partendo da
un contesto tradizionale, in cui
la relazione con la città è per lo
più costituita da un muro o da
una recinzione, le nuove scuole
di Tirana costruiscono un nuovo
lotto urbano dai piani terra permeabili,
le cui funzioni rendono
attive e attraenti le piazze, le vie
e i giardini che le circondano.
In che modo il concetto di
Scuola Aperta si riverbera
sull’architettura?
FCB Nel manifesto che abbiamo
presentato con il progetto, la
scuola viene definita, tra le altre
cose, come piazza. La scuola
aperta «respira» con il sistema
urbano, aprendosi alla comunità.
La progettazione degli spazi
aperti, perciò, con la loro maggiore
flessibilità, è altrettanto
importante rispetto a quella più
tradizionale degli spazi chiusi,
di cui detta l’organizzazione e
distribuzione. Nel caso della
scuola di Don Bosko per esempio,
l’edificio ha un impianto a
corte, con il corpo di fabbrica
che funziona da filtro tra l’esterno
e lo spazio aperto del cortile,
accessibile ai bambini durante
le ore scolastiche e ai cittadini
durante le ore extrascolastiche.
Quali i materiali tecnici
utilizzati e quale l’aspetto
umano messo in campo per
progettare gli spazi?
FCB Gli edifici sono caratterizzati
da un impianto semplice e
funzionale, con facciate in piastrelle
di grès colorate in pasta,
in contrasto con un basamento
in intonaco bianco: un accostamento
di materiali e colori che
richiama la tradizione delle architetture
italiane a Tirana. Nella
progettazione degli interni,
grande attenzione è stata data
al colore, studiato per favorire
la capacità di comprensione e
di interazione sociale. Il colore,
unito a una progettazione
spaziale flessibile, è stato infatti
uno dei temi più importanti
nella prospettiva di un nuovo
approccio pedagogico, per
ospitare e fornire un’esperienza
LORENZO MASOTTO

di istruzione contemporanea a
bambini e ragazzi. Allo stesso
modo, l’ottimizzazione e valorizzazione
dell’illuminazione
naturale è stato un aspetto centrale
del progetto. Riprendendo
una ricerca – «Clever Classrooms»
dell’Università di Salford
Manchester del 2015 – è stato
dimostrato come la progettazione
e la distribuzione degli
spazi di apprendimento influenzi
le prestazioni scolastiche degli
studenti, e, considerando
che i metodi di apprendimento
sono in continua evoluzione, è
necessario che le architetture
seguano, se non anticipino, i
cambiamenti. Altre ricerche nei
Paesi nordeuropei sottolineano
l’impatto positivo che il rapporto
diretto con il verde e gli spazi
aperti ha – in termini di capacità
di apprendimento e risposta
allo stress – nei bambini durante
il loro percorso scolastico. Di
conseguenza la progettazione
delle scuole dovrà essere sempre
più influenzata non solo da
un utilizzo di nuovi dispositivi
tecnologici e interattivi, ma anche
da una crescente presenza
di aree flessibili e spazi aperti,
come corti, giardini, tetti verdi.
Come, e dove, immagina
potrebbe sorgere un primo
progetto di Scuola Aperta in
Italia?
SB Stiamo già lavorando a progetti
di questo tipo sia a Milano
– dove stiamo realizzando un
modello per «l’Aula del futuro»
– che in Liguria, dove stiamo
progettando un edificio scolastico
che segua almeno in parte
questi principi. Ma, più in generale,
qualcosa si sta già muovendo
in questa direzione: le linee
guida del PNRR prevedono un
piano di sostituzione di edifici
scolastici e di riqualificazione
energetica che interesserà 195
immobili, per un totale di oltre
410 mila m 2 . Insieme a Renzo
Piano, Cino Zucchi, Mario Cucinella,
Massimo Alvisi, Sandy
Attia, Luisa Ingaramo, con la
Fondazione Giovanni Agnelli e
Triennale Milano abbiamo seguito
la redazione delle linee
guida per la progettazione dei
nuovi edifici scolastici, proprio
a partire dal concetto di scuola
aperta. La scuola è la più grande
infrastruttura sociale di un Paese,
quindi l’abbiamo analizzata
sotto tanti punti di vista diversi.
Abbiamo pensato, per esempio,
allo scambio con gli spazi
naturali, oltre alla presenza di
energie pulite che si combinano
con le nuove tecnologie. Tutte
le linee guida che abbiamo presentato
partono dai punti cardine
dell’idea di scuola aperta:
una scuola come centro civico,
in certi casi occasione di riqualificazione,
che funzioni da stimolo
per la coesione delle comunità;
un luogo dove gli spazi
aperti possano avere valore didattico
e dove anche i corridoi,
gli atri e gli uffici del personale
si carichino di nuovi significati
e funzioni. Massima attenzione
è stata posta anche all’inclusione,
per aprire la scuola a tutti,
assecondando le diverse capacità
cognitive di ognuno, in una
nuova proposta che potrebbe
cambiare il modo di pensare e
vivere l’educazione in Italia.
Pensando al vostro progetto,
viene in mente il titolo di
NEL MONDO 75
un libro di Georges Perec:
La vita, istruzioni per l’uso.
In che modo le Scuole
Aperte possono istruire non
solo – per esempio – alla
grammatica e alla geografia,
ma alla vita?
SB L’opera di Perec, libro che
alla fine degli anni Settanta era
diventato uno dei riferimenti
per le riflessioni sull’abitare
contemporaneo e che costituiva
un esercizio di ricerca
eclettica e fertile sulla vita di
una grande città, esemplifica
in modo magistrale un argomento
ancora oggi di grande
interesse: il fenomeno della
coabitazione, quelle forme di
«abitare insieme» che, se da
un lato erano frutto di necessità
economiche, dall’altro
raccontavano della straordinaria
capacità delle famiglie di
strutturarsi o di riconfigurarsi,
incorporando porzioni di relazioni
parentali e amicali. Come
nel caseggiato immaginario di
dieci piani a Parigi nel XVII arrondissement,
anche a Tirana
tutto l’edificio brulica di attività,
tutto è vissuto e si creano
connessioni interne invisibili
ma immancabilmente incisive
sulla vita dei singoli. La scuola
non può e non deve, quindi, essere
solo un luogo dove imparare
i temi tradizionali, ma uno
spazio di condivisione, integrazione
e accoglienza, per quanto
riguarda le funzioni e le persone
che la vivono; dove le differenze
non vengono considerate
come ostacoli ma potenzialità
e dove la cura e il rispetto per
gli altri e per l’ambiente vengono
insegnati al pari della grammatica
o della geografia.

76 NEL MONDO
Il Premio Architettura e Urbanistica Urban File 2021 ha selezionato gli
interventi più significativi e virtuosi della città di Milano: 7 degli 8 progetti
vincitori portano la firma di Alumni e Alumnae. Abbiamo intervistato alcuni
di loro per farci raccontare come cambia e come cambierà la città
La Milano di domani:
una galleria di opere
politecniche
Alserio 10:
la curva
del tempo
PROGETTO: rigenerazione
edifici esistenti
a uso residenziale e ricettivo
STUDIO: Asti Architetti
ALUMNUS: Paolo Asti
ZONA: Isola
SUL FINIRE DEGLI ANNI ’80, al
numero 10 di via Alserio, a Milano,
una squadra di redattori
della prestigiosa casa editrice
Selezione dal Reader’s Digest
lavorava alacremente a redigere
l’Atlante del Mondo. Quotidianamente
maneggiavano gli
oceani e le epoche, le scienze
e le terre in un mondo, anch’esso
a tutto tondo, dell’edificio
che li ospitava: un palazzo
architettato da Melchiorre
Bega nel 1968, che conferì agli
angoli della struttura delle
curvature, così da sembrare
che quasi ruotasse attorno al
quartiere. «A differenza delle
usuali architetture cittadine,
che si pongono sempre a
cornice della strada, questa si
pone al centro del lotto ed è
visibile a 360°», esordisce l’Alumnus
Paolo Asti, fondatore
di Asti Architetti, che ha curato
il progetto di riqualificazione
dello stabile. Oggi Alserio 10
è un complesso residenziale,
composto da 70 ampi appartamenti
affacciati ognuno su
terrazza. «L’elemento curvo
presente nel progetto originale
è l’eredità che abbiamo preso
ed enfatizzato con la creazione
dei terrazzi che si rincorrono
come onde attorno a tutto l’e-
dificio, – spiega Asti. – La linea
curva ammorbidisce la corsa
dello sguardo. Dà un senso
del fluire e del divenire, della
trasformazione. Il verde poi è
parte integrante della facciata
perché le persone amano esserne
circondati; questo filtro
verde è una sorta di portale,
tra dentro e fuori. La natura ci
ha orientati anche nella scelta
dei materiali, c’è una forte presenza
di legno, o simil legno,
e nell’attacco terra è presente
l’uso di alluminio con effetto
bronzo. Il grande tema dei nostri
anni è legato proprio alla
terra: non vedo la necessità di
ulteriore consumo del suolo
ma un suo miglior utilizzo».
Sul sito di Asti Architetti
si legge che Paolo Asti «si
è ritagliato un ruolo di tutto
riguardo come riqualificatore
e trasformatore dell’esistente
nell’intento di riportare gli edifici
a nuova vita e nella convin-

A. CHERCHI
NEL MONDO 77

78 NEL MONDO
Il quartiere Isola,
dove sorge Alserio 10,
rappresenta al meglio
secondo Asti
il passaggio tra
passato e futuro
urbanistico
zione che gli immobili abbiano
una loro potenziale continuità
storica, che non debba necessariamente
passare tramite la
demolizione». Il quartiere Isola,
dove sorge Alserio 10, rappresenta
al meglio secondo
Asti il passaggio tra passato
e futuro urbanistico, «qui la
Milano storica delle antiche
botteghe, altrove scomparse,
convive con la grande industria
immobiliare. Milano è una città
policentrica, che dato il dinamismo
che la caratterizza
non vive di un unico centro ma
ha saputo crearsi tanti centri».
Questo dualismo temporale
domina le imprese di Paolo
Asti, attualmente impegnato
nella riqualificazione di Torre
Velasca. E proprio parlando di
quest’ultima opera, Asti dice:
«I cittadini hanno bisogno che
un pezzo iconico della Milano
degli anni ’60 torni a essere sul
territorio. Il restauro deve far
rifunzionalizzare un edificio
facendo sembrare che dal 1956
al 2022 non sia successo nulla.
Spesso trattengo la mano e non
mi sovrappongo a chi ha avuto
la capacità di muoversi prima
di me con edifici perfetti, anche
se devastati dal tempo. Perché
il tempo devasta tutto, uomini
ed edifici». In questo processo
di restauro attento alla memoria
viene da immaginare due architetti,
di due epoche differenti,
che si ritrovino in uno spazio
comune, a lavorare in differita
sullo stesso progetto. «A dir la
verità in me ci sono due architetti,
– confessa. – Appartengo
a una famiglia di architetti, la
bellezza negli oggetti che andiamo
a trasformare è stata
la prima eredità di mio padre
[l’Alumnus Sergio Asti, tra i
fondatori dell’Associazione
Disegno Industriale, ndr]. La
generazione a noi precedente
aveva una sensibilità maggiore
per il Genius loci, che l’attuale
internazionalismo ha mitigato.
Io mi sento molto strattonato
perché ho una formazione che
ha radici nella storia, non solo
dell’architettura. La storia è l’unico
modo per salvarci da tanti
errori che continuiamo a fare.
Questo è un insegnamento
che proviene dal Poli, nel mio
percorso di studi la ricerca del
Genius loci è stata fondamentale.
Per il mio primo esame di
composizione architettonica
lavorai a un edificio che ricalcava
molto l’impostazione tonda
di Alserio 10, cercavo già allora
qualcosa che andasse al di là
della cortina edilizia». Anche
il suo angolo preferito di Alserio
10 si trova al di là, «se devo
scegliere un punto preciso direi
che non è in Alserio, ma fuori
da Alserio: il luogo da frequentare
sono le strade limitrofe, da
cui si vede l’edificio nella sua
mobilità».

Teatro Lirico
Gaber: come
rimettere in
scena la storia
NEL MONDO 79
PROGETTO: restauro
ALUMNUS:
Pasquale Mariani Orlandi
ZONA: Centro
LA PRIMA VOLTA che il Teatro
Lirico aprì porte e sipario ai
milanesi era il 1779. Su questo
palco ha calcato le scene la storia:
Donizetti e L’elisir d’amore,
Caruso e D’Annunzio, Mussolini
che qui pronuncerà il Discorso
della riscossa, l’ultimo
che farà, e poi Claudio Abbado,
Mina e molti altri. Nel 1938 un
incendio distrugge gli interni
ma salva la facciata. Il teatro riaprirà
nel ’40 e sarà attivo fino
al 1999. Poi, il silenzio, fino al
nuovo restauro a opera dell’Alumnus
Pasquale Mariani Orlandi
e alla riapertura nel 2021.
Come si maneggia la storia per
riportarla in vita, Mariani Orlandi
lo sa bene: «Si comincia
sempre dagli archivi. In questo
caso è stato prezioso l’Archivio
Comunale, che conserva tutta
la documentazione relativa alla
ricostruzione del teatro dopo
l’incendio. E poi ci sono le fonti
dirette, l’intervista al figlio di
Cassi Ramelli, architetto della
ricostruzione post-incendio».
Un approccio quasi archeologico
prima che architettonico,
che lo porta a scoprire la presenza
di amianto, sopratutto
sulla superficie della volta della
sala teatrale, «Sotto i millimetri
di amianto c’era la doratura in
orone. La maggiore criticità è
stata proprio rimuovere questa
finitura di pregio per non
modificare l’aspetto dell’orone.
Nella seconda galleria abbiamo
deciso di rendere visibili su volta
e cornicione le spatolate di
verde rame dell’ossidazione
dell’orone, proprio per mantenere
una memoria storica».
Non potendo invece mantenere
la seconda galleria per problemi
logistici, ha trasformato
questi 400 m 2 in un ristorante
che è anche un po’ platea, «la
vetrata permette di avere un
cannocchiale prospettico sulla
sala, così da poter assistere
alla vita teatrale al di là della
rappresentazione, adocchiando
le prove e gli allestimenti.
I momenti cioè in cui il teatro
collima con la realtà: gli errori,
i rimproveri, i “bravo”». Il golfo
mistico, la buca dell’orchestra,
è dotato di tre ponti mobili che
rendono polifunzionale la scena.
A emozionarlo, più che la
prima rappresentazione dopo
l’apertura, è stata la voce del
pubblico: «è stato un piacere
risentire le voci delle persone».
Le richieste del pubblico nelle
epoche sono cambiate? «No, –
risponde, – vuole innanzitutto
vedere bene. Il teatro non
è nato con le sedie. La platea
era un salone delle feste, da
questo si è passati alle rappresentazioni
che duravano anche
mezze giornate quindi qualcuno
ha cominciato a portarsi lo
sgabello da casa, lo sgabello è
diventato una panca e la panca
una poltrona. Questa è la realtà
del tea tro». E il futuro? «Sta nei
teatri di quartiere, è importante
che rimangano tali: scena
aperta e platea a pochi metri
dall’attore. Il fine di questi teatri
è quello di essere accessibile
a tutti, vicino alle persone».

80 NEL MONDO
Casa Borio:
dimora
dell’urbano
e del verde
PROGETTO:
edilizia residenziale
di nuova costruzione
STUDIO: Calzoni Architetti
ALUMNA: Sonia Calzoni
GIANLUCA DI IOIA
ZONA: Fiera
POSTI DI FRONTE a un’area libera
da costruzioni, in un quartiere
residenziale di palazzine che
non superano i quattro piani e
di villette a due piani, come ci si
immagina un nuovo edificio in
cui troveranno casa altri abitanti?
«L’ispirazione è nel contorno,
– racconta l’Alumna Sonia Calzoni
parlando del progetto Casa
Borio. – La città intorno ti condiziona.
Direziona le tue scelte.
Dovevamo metterci in dialogo
con questa edilizia minima circostante,
immersa nel verde.
La nostra costruzione quindi
rispetta gli allineamenti con la
casa accanto, non volevamo fuoriuscire
dall’altezza del volume.
Altrettanto importante era creare
un legame anche con le case
presenti dalla parte opposta, con
via Monte Bianco o con la chiesa
di fronte, la parrocchia Mater
Amabilis».
Casa Borio ha due anime
perché è contenuta tra due strade:
Via Monte Rosa 66, dove c’è

NEL MONDO 81
«La città è il luogo di condivisione, di scambio
e di contaminazione per eccellenza: per questo
non vogliamo costruire muri invalicabili»
l’ingresso principale, e via Monte
Bianco, dove c’è un ulteriore
ingresso oltre a quello per accedere
ai garage. «Abbiamo deciso
di rendere accessibili entrambe
le parti e la conformazione planimetrica
a L ci ha permesso
di ricavare internamente anche
una zona verde». In questo
modo convivono due anime architettoniche:
una facciata più
urbana nelle vie pubbliche, fatta
di linee precise e rigorose; e
un trattamento maggiormente
aperto, con ampi serramenti in
cristallo, inserimento di balconi
continui e facciate rivestite da legno
per dialogare e appartenere
al giardino stesso. Lo scambio
sembra essere continuo, Calzoni
spiega infatti che «la parte apicale
dell’edificio ha una struttura
metallica che nella nostra concezione
ha proprio la funzione
di inquadrare la città: fa da cornice
al panorama cittadino. Le
grandi finestre e i grandi terrazzi
sono un ampliamento stesso
della casa perché è presente una
pavimentazione di legno in continuità
con l’interno degli appartamenti.
La percezione dello spazio
è quindi amplificata». Anche
il disegno delle luci contribuisce
all’amplificazione di una doppia
atmosfera, con un’illuminazione
serale dai colori più caldi verso
via Monte Rosa e più fredda verso
via Monte Bianco. Un’idea, e
un ideale, di apertura permeano
il progetto nella sua totalità: «Per
noi è importante non costruire
delle enclave chiuse da muri, –
conclude Calzoni, – ma lasciare
una connessione con la strada,
il quartiere, la città prevedendo
una recinzione trasparente. La
città è il luogo di condivisione,
di scambio e di contaminazione
per eccellenza: per questo non
vogliamo costruire muri invalicabili».

82 NEL MONDO
Vetra Building:
il palazzo
che si apre
alla piazza
PROGETTO:
rigenerazione edifici esistenti
centro direzionale
STUDIO: Il Prisma
ALUMNUS: Sebastiano Pasculli,
Team Leader & Associate
presso Il Prisma
ZONA: Porta Ticinese
PER RACCONTARE la modalità
di lavoro dello studio Il Prisma,
l’Alumnus Sebastiano Pasculli
utilizza il termine «giornalismo
sociale». «Prima della comprensione
architettonica, facciamo
un intervento di ricognizione
sulla vita delle persone in una
data zona e su come negli anni
questa sia cambiata. Nel caso di
Vetra Building abbiamo parlato
con i negozianti storici, con
gli studenti del vicino Istituto
Cattaneo. Volevamo capire se
l’edificio si fosse desintonizzato
dal quartiere, se si trovasse
con un abito che non era quello
giusto per il tempo corrente». Il
tempo originario di questo edificio
si pone tra il 1959 e il 1963,
periodo in cui viene costruito da
Ferdinando Reggiori (anche lui
Alumnus del Poli, allora Regio
Istituto Tecnico Superiore, ndr).
«Reggiori, – racconta Pasculli, –
aveva realizzato un edificio isti-
BAMSPHOTO-RODELLA

tuzionale, un po’ severo, per
trasferire un senso di sicurezza
e che, grazie al rivestimento in
ceppo dell’Adda, facesse anche
sentire il senso della milanesità.
Nato come edificio pubblico,
questo luogo aveva la funzione
di esattoria civica milanese.
Aveva anche una vocazione
sociale, tramite per esempio
l’inserimento di alcuni spazi
che dessero l’opportunità alle
persone di incontrarsi mentre
erano in attesa, ahi loro, di pagare
le tasse. Nel momento in
cui nei decenni successivi l’edificio
cambia destinazione, e da
pubblico diventa privato a uso
uffici, sembra barricarsi dentro
se stesso. Intanto, fuori, siamo
sul finire degli anni ’90, questo
parco bellissimo e storico,
con la Basilica di San Lorenzo
e costellato da una serie di reperti
archeologici, si trasforma
di sera in una zona d’ombra. I
cittadini lottano fino a quando
la municipalità decide che l’unico
modo per mettere al sicuro
il parco è recintarlo». Tornando
alla logica di giornalismo sociale,
Pasculli prosegue il racconto:
«Abbiamo osservato come le
persone, in diverse fasce orarie,
schivassero il nostro immobile
per andare da una parte all’altra
della piazza. Il nostro tentativo è
stato quello di capire come riattivare
una logica di sicurezza, e
lo abbiamo fatto immaginando
che oggi il lavoro è ubiquo, si lavora
in un bar come in un parco,
da qui l’idea di liberare l’edificio
dalle barricate del piano terra
per permettere ai lavoratori di
dialogare con ciò che accade intorno
a loro e ai cittadini di entrare
in dialogo con l’edificio».
L’ingresso principale della fu
esattoria è così stato diviso in
due parti, creando al piano terra
una piazza attorno a cui ruotano
piccoli ristoranti, botteghe
di cibo biologico e spazi dedicati
a esposizioni temporanee e installazioni
di opere che possano
mettere in dialogo cittadinanza
e giovani artisti. Parlando del lavoro
di riqualificazione dell’edificio,
Pasculli spiega: «Abbiamo
preservato l’involucro originario,
rivestendolo di un velario
metallico, una specie di garza
bugnata per cui quando si osserva
l’edificio si intuiscono subito
i nuovi moduli. Reggiori era
affascinato dal senso chiaroscurale
dell’effetto bugnato su
pietra, così lo abbiamo mantenuto
riproducendolo nei cortili
interni».
Tra i luoghi preferiti di Vetro
Building da Pasculli c’è proprio
la piazza, «questo spazio prima
non c’era e ora mi stupisco della
naturalezza con cui io e tutte le
persone che vedo in giro lo attraversiamo,
come se ci fosse sem-
NEL MONDO 83
pre stato». In occasione dell’inaugurazione,
l’artista Patrick
Tuttofuoco ha realizzato un’installazione:
due linee di neon
rosso e blu disegnavano l’incontro
di due mani, sospese sopra la
piazza interna dell’edificio. E di
punti di accordo parla anche Pasculli,
citando una delle lezioni
imparate al Politecnico: «Il Poli
non è un percorso che si può
fare come una monade. Impari
a capire i punti di vista degli altri
ed è l’approccio che mi sono
portato sul lavoro. L’idea più
bella si costruisce con la somma
delle idee migliori delle persone
che riesci a far sedere allo stesso
tavolo, con l’ambizione di poter
migliorare anche di poco la vita
della gente, cambiando un pezzettino
alla volta la nostra città».
Poi, conclude: «Siamo nel tempo
in cui non è più la persona a doversi
adattare a un edificio che
rimane immobile. In futuro immagino
sempre più edifici adattabili,
modulari, che sappiano
riconfigurarsi ai cambiamenti
delle persone».

84 NEL MONDO
The Sign:
segnali di luce
a sud-ovest
PROGETTO: edilizia direzionale
di nuova costruzione
STUDIO: Progetto CMR
ALUMNUS:
Massimo Roj, fondatore
e AD Progetto CMR
ZONA: Barona
DAL SOTTOSUOLO della metropolitana
di Romolo si viene
letteralmente alla luce. Tracce
luminose nella pavimentazione
dello spazio pubblico
guidano il percorso pedonale
e nell’effetto ottico sembrano
sollevarsi da terra e proseguire
sugli edifici di The Sign, progetto
di rigenerazione urbana
curato per Covivio da Progetto
CMR, studio di Architettura
dell’Alumnus Massimo Roj.
Negli spazi appartenuti negli
anni ’50 alla Fonderia Vedani,
oggi ci sono le sedi delle multinazionali
Aon, NTTT Data e
dal 2024 si insedierà il nuovo
headquarter di L’Oréal. «Questa
era un’area dismessa dell’industria,
un vuoto nella continuità
urbana, – spiega Roj, – una muratura
di due metri e mezzo ne
impediva la vista e noi, come
architetti, dobbiamo dare una
visibilità, far capire ai cittadini
che in questa zona qualcosa
sta accadendo. Dobbiamo dare
un segno». Il segno è dato dalla
facciata degli edifici, dove una
serie di lembi dorati si alternano
e giocano con le trasparenze
del vetro. «Considero gli
edifici come organismi viventi,
– racconta Roj, – e quando
si spengono le luci e le persone
fuoriescono, gli edifici perdono
la loro vitalità. Ecco, noi
volevamo che invece questa
vitalità fosse mantenuta, accesa,
presente sempre. Così abbiamo
pensato a una facciata
che potesse vivere in maniera
autonoma, cambiando e mutando
la sua essenza durante
la giornata. Una fenditura trasparente
percorre l’edificio da
un lato all’altro, in senso verticale
e orizzontale, in modo che
– la sera, dopo che gli uffici si
sono svuotati – le luci LED lo
illuminino nelle ore notturne,
a partire dalla sua base».
Un lume fu Fernanda Pivano,
giornalista e traduttrice
che portò in Italia la cultura
beat e che oggi dà il nome
anche alla piazza che fa parte
della rigenerazione urbana a
cura di Progetto CMR. Piazza
Fernanda Pivano è un luogo
che Roj definisce multimediale:
un’area dotata di 25 alberi,
aiuole, panchine per ricaricare
il telefono e connessione Wi-Fi
per fare di questo parco anche
un posto di lavoro. Il suo posto
preferito però è quello che definisce
il giardino segreto: «Tra
la stazione di Romolo e i primi
due edifici, il B e il C, si trova
una piccola collina che va a delimitare
e a creare una dimensione
bucolica. Abbiamo messo
un laghetto per ripopolare
la fauna che una volta viveva
in queste zone. Ci sono famiglie
di anatre, ci sono le rane,
ci sono le api. Se voglio vivere
un momento intimo faccio
solo qualche passo e mi ritrovo
qui, dove posso leggere un
libro o ascoltare musica». Dal
tetto dell’edificio Roj osserva
questo passaggio in divenire:
arriveranno infatti altro verde
e altre piste ciclabili. «Questa è
la città che sta mutando in meglio,
quella dei quartieri vissuti
a piedi, spostandosi in biciclet-

NEL MONDO 85
«Più che utilizzare
dobbiamo riutilizzare
gli spazi, aprendoli
a tutti: è la città che
si trasforma e si fa
sempre più vicina alle
esigenze di tutti noi»
ta o con i mezzi elettrici. Questa
zona si sta arricchendo di
diverse funzioni e va incontro
al pensiero della città policentrica.
The Sign potremmo dire
che non è solo un centro direzionale,
– specifica l’architetto,
– ma un luogo del vivere che fa
da cerniera fra quanto esisteva
prima e quanto esisterà». Come
si figura dunque il futuro urbanistico
di questa parte di Milano?
«Noi ci abbiamo portato i
nostri nuovi uffici, – risponde.
– Ora guardo fuori dalla finestra
e vedo giganteschi pioppi
ed edifici residenziali degli
anni ’60 e ’70. Lo studentato vicino
sta irrorando di vite giovani
le strade. Le aree industriali
che ancora sono presenti verranno
trasformate, e auspico si
libererà più territorio possibile
per permettere alle persone di
tornarne in possesso. Più che
utilizzare dobbiamo riutilizzare
gli spazi, aprendoli a tutti: è
la città che si trasforma e si fa
sempre più vicina alle esigenze
di tutti noi».

86 NEL MONDO
Robot che ci
assomigliano sempre di
più: è l’era delle macchine
antropomorfe?
ANDREA FACCO
SCENARIO FANTASCIENTIFICO a
parte, la robotica di frontiera
(insieme alla sempre maggiore
conoscenza dei meccanismi
che regolano il corpo umano) ci
offre già oggi tecnologie in ambito
sanitario di grande utilità:
protesi, esoscheletri e dispositivi
per la riabilitazione e la cura
della nostra salute, progettati
da team che mescolano sapientemente
ingegneria, medicina,
Design e dialogo con i pazienti
(con coloro, cioè, che quei dispositivi
li useranno).
Vi ricordate di Hannes, la
mano robotica? Sviluppata da
INAIL e Istituto Italiano di Tecnologia,
restituisce alle persone
con amputazione dell’arto superiore
il 90% della funzionalità
perduta. L’Industrial Design è a
cura di ddpstudio, fondato da
tre Alumni: Lorenzo De Bartolomeis,
Gabriele Diamanti e Filippo
Poli. E proprio il Design dal
DNA politecnico vale ad Hannes
il premio per l’innovazione ADI
Design Index 2018: «Per la qualità
del vostro lavoro che, a ricaduta,
rappresenta un valore per
il Design e per il nostro Paese»;

NEL MONDO 87
Per ora ci «accontentiamo» di un esoscheletro
che restituisce l’uso delle gambe
alle persone con lesioni spinali. Dal Design
politecnico e pluripremiato
e, nel 2020, l’ambito Compasso
d’Oro. «Il Design, – riporta
la motivazione del premio, – si
rivela uno strumento indispensabile
per aiutare le persone in
difficoltà a riappropriarsi del
proprio futuro. Tecnologia ed
estetica aiutano a superare un
disagio psicologico e un deficit
fisico». E, in effetti, è proprio
questo che fa Hannes, nelle parole
di Marco Zambelli, che più
di 40 anni fa, all’età di 16 anni,
perse la mano destra in un incidente
sul lavoro. È lui il «paziente
zero» su cui è stata progettata
Hannes. Ci ha raccontato della
prima volta che l’ha indossata:
«Mi sono emozionato. Mi sono
reso conto che potevo riappropriarmi
della mia mano».
Adesso Hannes avrà un fratellino,
dal Design nato in grembo
allo stesso ddpstudio.
Twin, l’esoscheletro
per tornare a camminare
Twin, l’esoscheletro robot, è un
dispositivo per la riabilitazione
neuromotoria di pazienti con
deficit di locomozione ed equilibrio
emersi a seguito di lesioni
spinali o ictus. Serve, insomma,
per permettere ai pazienti
con lesioni del midollo spinale
di camminare in modo indipendente.
È progettato, come
Hannes, da INAIL, IIT e, per
l’Industrial Design, ddpstudio.
E di nuovo al Design si deve la
sua recente celebrità: è ancora
in fase di sviluppo ma sta già
collezionando riconoscimenti
da tutto il mondo.
Da oltreoceano il prestigioso
Good Design Award nella
categoria Robotics. Il premio
è stato attribuito dal Chicago
Athenaeum, di cui fanno parte
il Museo di Architettura e Design
della città statunitense e il
Centro europeo di Architettura,
Design e Studi Urbanistici.
In «patria», Twin entra nell’A-
DI Design Index 2021, nella categoria
Design per la persona,
partecipa alla selezione finale
del Compasso d’Oro 2022 ed è in
mostra all’ADI Design Museum
dalla scorsa metà di giugno. Infine,
Twin riceve il premio IF
International Forum Design
2022, nella categoria Product
Medicine/Health, attribuito ai
designer che hanno collaborato
allo sviluppo del dispositivo.
L’IF Design Award è considerato
uno dei premi per il
Design più prestigiosi al mondo.
Twin è stato selezionato tra
11.000 candidature presentate
da 57 Paesi e valutato da una
giuria di 132 membri, composta
da esperti indipendenti
provenienti da tutto il mondo.
Una radiografia del nostro
gemello: come è fatto?
Twin è un dispositivo robotico
indossabile, autonomo, che
consente alle persone con lesioni
spinali complete e parziali di
camminare di nuovo. La sua
tecnologia è in grado di valutare
i progressi riabilitativi e di
definire il livello di assistenza in
ogni momento; utilizza il movimento
residuo del paziente per
assisterne la camminata, intervenendo,
solo se necessario, per
sostenerlo e aiutarlo a completare
correttamente il passo. Quando
il paziente inclina il busto in
avanti, Twin si muove. Per fermarsi,
si esercita un movimento
leggero nella direzione opposta,

88 NEL MONDO
riportando il busto in posizione
eretta. La velocità «di crociera» è
più o meno metà di quella di un
soggetto sano, circa 2 o 2,5 km/h.
È pensato per essere usato
in combinazione con la sedia a
rotelle, almeno per il momento.
Permette di passare facilmente
dalla posizione seduta a quella
in piedi, è smontabile e può
essere indossato facilmente,
in pochi minuti, pur restando
seduti. È regolabile in altezza e
può supportare utenti fino a 110
kg di peso.
È composto da una struttura
rigida che serve a mantenere il
paziente in posizione eretta e
ha 4 motori, due alle anche e
due alle ginocchia. Il bacino è
una scocca in fibra di carbonio
e contiene il cervello e il cuore
di Twin, cioè il sistema di controllo
e le batterie. L’autonomia
consente una camminata continua
fino a 4 ore.
Nasce da un processo di progettazione
condiviso, che ha
coinvolto un team multidisciplinare
di pazienti, clinici, ricercatori,
ingegneri e designer in tutte le
fasi dello sviluppo. «È un percorso
molto lungo, iniziato nel 2014
e non ancora terminato, – commenta
Gabriele Diamanti. – Ed
è un progetto Design-centrico,
cioè parte dalle esigenze dei pazienti:
infatti nel primo periodo
abbiamo partecipato a diversi focus
group con persone paraplegiche
e visitato le strutture di cura.
Da lì è nato il concept meccanico
e poi, piano piano, è stata implementata
la tecnologia».
Nel corso degli anni sono
stati prodotti diversi prototipi,
ogni volta testati con i pazienti,
per rilevare problemi e opportunità
di implementazione. La
strada per dare a Twin la scalpellata
finale è ancora lunga:
«Il prototipo premiato è già
stato superato, – aggiunge De
Bartolomeis. – Per noi è strano,
perché ciò che agli occhi di
tutti sembra nuovo, in realtà,
ha già nuove forme e funzionalità.
Essendo un progetto di
ricerca il team di lavoro sta lavorando
a una piattaforma che
darà vita, nei prossimi tre anni,
a soluzioni con applicazioni e
funzioni differenti (ovviamente
non sono ancora pubblicabili)».
Andresti in giro,
al supermercato, al bar,
indossando
un esoscheletro?
Una volta completato, Twin
affronterà la sperimentazione
clinica, la certificazione e poi il
mercato. E ancora una volta si
confronterà con l’essere umano:
come verrà accolto?
«Lavorando a questo progetto
da anni e parlando con tante
persone, pazienti e medici,
ci siamo accorti che la risposta
può non essere scontata, – riprende
Diamanti. – I pazienti
possono avere preconcetti, sia
esageratamente positivi che negativi,
rispetto all’idea di usare
un esoscheletro, e questo influenza
moltissimo i risultati
dei test. Ci sono i pazienti che
lo rifiutano: perché, si chiedono,
devo mettermi quella roba?
Con la mia sedia vado molto più
veloce di voi “bipedi”. Perché
la tecnologia, quando nasce, è
ancora indietro rispetto alla natura.
Altri pazienti ci credono
molto perché sblocca la possibilità
di interagire guardando le
persone negli occhi alla stessa
altezza. Un po’ fa l’abitudine,
un po’ l’atteggiamento verso
l’innovazione. Un altro grosso
tema è quello dei pregiudizi a
livello sociale: la stessa sedia a
rotelle ora è considerata normale,
però, 50 anni fa, uno che
passava per strada in sedia a rotelle
lo guardavano tutti. L’innovazione
non è solo tecnologica
ma anche culturale. Quando
tutti ti guardano a occhi sgranati
mentre vai a fare la spesa
con un esoscheletro robotico,
può esserci un certo imbarazzo.
Diverso è anche l’approccio
di chi ha riportato la lesione
molto tempo fa e di chi, invece,
l’ha appena subita. E dipende
anche dal tipo di lesione e dalla
posizione: a seconda di quale
vertebra è coinvolta, cambia il
controllo che hai del corpo».
Conclude ancora Diamanti:
«In un team di lavoro così variegato
e tecnico, la formazione
che abbiamo ricevuto al Poli ci
fa sentire a casa nostra».
Hannes sul sito
di ADI Design
Museum Compasso
d’Oro
Scopri tutta
la storia di
Hannes su Map
Twin sul sito
del Chicago
Athenaum Museum
for Architecture
and Design
Twin sull’ADI
Design
Index 2021

CAMPUS LIFE 89
89
Cosa c’è di nuovo al Politecnico di Milano? In questa passeggiata
tra le aule e i chiostri del vostro Ateneo, vi raccontiamo come sono cambiati
i luoghi in cui avete studiato, lavorato, sudato, perso notti di sonno
e (lo sappiamo!) giocato a briscola chiamata...
89–97

90 CAMPUS LIFE
Dal progetto Vivi. Polimi, che valorizza e ripensa gli spazi
dell’Ateneo, ha preso forma uno spazio naturale dedicato
agli studenti, e non solo a loro
All’orizzonte della collina,
degli studenti
Emilio Faroldi
Prorettore Delegato del Politecnico
di Milano e responsabile dei temi inerenti
all’Edilizia, gli Spazi, la Sostenibilità.
Alumnus Architettura
MARCO INTROINI
Un paesaggio,
e un passaggio, naturale
«E quasi sempre dietro la collina
è il sole», cantava Lucio Battisti
nel brano del 1973 La collina
dei ciliegi. Dietro la Collina degli
Studenti sorta nel Campus
La Masa, anzi più propriamente
sotto, c’era invece l’asfalto
dell’ex eliporto. E attorno c’erano
i container per lo stoccaggio
dei materiali provenienti dai
laboratori del Campus. Oggi c’è
una collina – non di ciliegi ma
di albizze, tigli e aceri – con sopra
un edificio che, avvistato da
lontano costituisce un’apparizione:
una scala di metallo, dalla
pianta triangolare, rimane sospesa
nel vuoto, mentre moduli
diversi e articolati s’intersecano
geometricamente, evocando
mondi paralleli e tangenti. In
effetti, ciò ricalca la realtà, la
vita all’interno dell’edificio. Il
primo piano della struttura ha
una sala studio con 70 postazioni
cablate per gli studenti, un
bar, tre work-room, prenotabili
tramite applicazione, e una terrazza.
Il secondo piano prende
il nome di Faculty e offre ai docenti
spazi per il tempo libero o
per il tempo di lavoro condiviso
in maniera informale, sono presenti
una serie di aree suddivise
e una sala meeting cablata
e dotata di dispositivi tecnologici
touch. Ai due estremi della
struttura ci sono, in alto una
terrazza polifunzionale pensata
come luogo per ospitare

MARCO INTROINI
«Non è un’oasi di
verde in un paesaggio
industriale, è l’avvio
di una trasformazione
naturale di tutto
il Campus»
eventi e, alla base dell’edificio,
proprio inserita nella geografia
interna e nascosta della collina,
il Laboratorio di prova trazione
funi del Dipartimento di Meccanica.
Qui al piano interrato ci
sono anche i magazzini di stoccaggio
dei diversi dipartimenti
del Campus, così da liberare gli
spazi in superficie in vista della
riqualifica generale.
«La Collina degli Studenti
è baricentrica, – spiega Emilio
Faroldi, Prorettore Delegato del
MARCO INTROINI
CAMPUS LIFE 91
Politecnico di Milano e responsabile
dei temi inerenti all’Edilizia,
gli Spazi, la Sostenibilità. –
Si trova nel luogo più centrale
del Campus La Masa: simbolo
di un’azione che intende partire
da tale centralità per diffondersi
radialmente verso le
zone più estreme del Campus.
Non intende perciò costituire
un’oasi di verde nell’asfalto
di questa zona di matrice industriale,
bensì l’avvio di una
trasformazione che andrà a diffondersi
nell’intero comparto
universitario, per mezzo di un
progetto di rinaturalizzazione
teso a rigenerare le aree irrisolte
del sistema, insinuando
il verde e la natura tra gli edifici.
Un insieme di boulevard,
un frammento di paesaggio,
una mediazione tra artificiale
e naturale». L’idea e lo sviluppo
nascono all’interno del progetto
Vivi.Polimi, il programma
coordinato da Emilio Faroldi,
atto a valorizzare, qualificare e
ripensare, in termini contemporanei,
gli spazi dell’Ateneo:
un progetto che vede docenti,
ricercatori e assegnisti impegnati
nell’elaborare progettualità
strategiche. Matteo Cervini,
architetto e tra i referenti del
progetto per il gruppo, ricorda:
«Durante i sopralluoghi, all’inizio
della lavorazione, ci siamo
accorti che questo spazio sarebbe
potuto diventare molto
più di ciò che al momento contemplava.
Oggi tali riflessioni
si sono tradotte in un progetto
scultoreo e permeabile, dove
l’architettura si fonde con la
sfera naturale ricreando un
nuovo paesaggio abitato all’interno
del Campus». Aggiunge

92 CAMPUS LIFE
«Portare qui
gli studenti, collocarli
letteralmente
al centro del Campus,
è un manifesto
d’intenti»
Emilio Faroldi: «l’idea è stata
quella di creare uno spazio che
non riguardasse la sfera delle
aule tradizionali, bensì divenisse
luogo di socializzazione e di
nuove espressioni di modalità
di lavoro, incontrando anche le
istanze delle nuove generazioni.
L’ufficio tradizionale, quello
in cui ci si ritrova attorno sempre
allo stesso tavolo e scrivania
non esiste più, e sempre meno
esisterà. Il lavoro è sempre più
attività trasversale e inclusiva,
delocalizzato e a-temporalizzato.
La Collina degli Studenti
tenta di interpretare al meglio
gusti e tendenze di una comunità
politecnica formata da studenti,
docenti e personale tecnico-amministrativo
che, a sua
volta, ha modificato le modalità
lavorative, adeguandosi, immaginando
e costruendo luoghi
aperti, collettivi, inclusivi».
Gli abitanti della collina
Proprio parlando delle due anime
del Politecnico che abitano
MARCO INTROINI

CAMPUS LIFE 93
la collina, quella degli studenti
e quella dei docenti, Francesco
Infussi, docente di Urbanistica e
tra i referenti del progetto, riflette:
«Le diverse popolazioni del
Politecnico qui interagiscono al
di là delle condizioni formali.
Nascono occasioni impreviste di
apprendimento e di scambio, in
questo modo le idee circolano
fuori da circuiti ordinari e istituzionalizzati,
per approdare in
quella dimensione, trasversale e
imprevedibile, dove spesso nasce
l’innovazione».
E loro, gli studenti, cosa ne
pensano? Durante l’inaugurazione
della collina Marta Ghidoli,
Presidente del Consiglio
degli studenti del Politecnico,
ha esordito dicendo: «Noi
rappresentanti chiediamo in
continuazione spazi studio al
Rettore e ai suoi collaboratori.
Tale richiesta è sicuramente positiva,
poiché è indice del fatto
che gli studenti vogliono vivere
il Campus. Per poter crescere
come persone, e non solo come
architetti, ingegneri o designer,
sentiamo l’esigenza di relazionarci
con gli altri. Senza un luogo,
le relazioni non si possono
creare. Vedere all’orizzonte un
edificio così bello e artistico,
che si presenta non come un
blocco chiuso ma che respira e
lascia passare la luce, ti fa venir
voglia di stare in Ateneo».
Costruire il mondo
Emilio Faroldi mostra una foto
scattata in occasione dell’ultima
Polimirun. Sulla collina verde
si avvista un manto blu: la distesa
di maglie indossate dagli
studenti, e non solo, che hanno
partecipato alla corsa. Sono
«Queste azioni
cambiano la storia
dei luoghi: il mondo
costruito è un mondo
che tende all’eternità»
punti sparsi, in alto, in basso e
a metà della collina. «Portare
qui gli studenti, – commenta
Faroldi, – ha significato collocarli
letteralmente al centro del
Campus, costruendo non solo
un edificio, bensì, un manifesto
di intenti. Oggi lo studente vive
il campus dalle otto del mattino
alle otto di sera, e oltre». Conclude:
«L’ecosostenibilità ci sta indirizzando
anche su un cambio
di rotta nella toponomastica dei
luoghi che stiamo ripensando,
non tanto per una prassi formale
ma anche per un intento
sostanziale: il Parco Gasometri,
il Giardino di Leonardo, la Collina
degli Studenti, e altri progetti.
Stiamo cambiando il volto
di questi spazi rendendoli più
umani e umanizzanti. Investire
sulla bellezza rappresenta, oltre
che una strategia, un dovere di
un Ateneo che promuove l’arte
e la scienza. Queste azioni
cambiano la storia dei luoghi:
il mondo costruito è un mondo
che tende all’eternità».

94 CAMPUS LIFE
Il Politecnico di Milano ha ricevuto in donazione il dipinto originale
Ettore e Andromaca di Giorgio De Chirico. Siamo andati ad ammirarlo
alla Biblioteca del Campus Leonardo
C’è un De Chirico
in biblioteca
Federico Bucci, Delegato del Rettore alle Politiche Culturali e Prorettore
del Polo di Mantova del Politecnico di Milano. Professore ordinario
di Storia dell’Architettura, Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni
e Ambiente Costruito. Alumnus Architettura
OLTREPASSATI I TORNELLI automatici
della Biblioteca del Campus
Leonardo e proseguendo
dritto, poco prima delle porte
a vetro che separano l’ingresso
dallo studio intenso, la coda
dell’occhio destro può registrare
una visione: c’è lì sulla parete un
oblò, lanciando lo sguardo oltre
questo si può avvistare un quadro.
È appeso al di là del muro,
in una piccola camera dedicata.
Custodito all’interno di una teca
di vetro c’è Ettore e Andromaca,
un olio su tela di 82 × 56 cm. Sulla
tela, in basso a destra c’è la
firma: Giorgio De Chirico, 1917.
«Ogni tanto qualche studente
ci chiede se è vero», dicono alla
reception della biblioteca. E
la risposta è affermativa, è un
De Chirico originale. Federico
Bucci, Delegato del Rettore alle
Politiche Culturali e Prorettore
del Polo di Mantova del Politecnico
di Milano, ne spiega la
provenienza: «L’opera arriva da
un donatore che ha chiesto di rimanere
anonimo. Ha voluto privarsene
a una condizione: che
il dipinto fosse espressamente

CAMPUS LIFE 95

96 CAMPUS LIFE
usufruito dagli studenti. Così
abbiamo deciso di posizionarlo
in uno dei luoghi di passaggio
del Campus, e in un luogo di
passaggio del pensiero. L’abbiamo
inserito in uno spazio particolare,
c’è l’oblò che incuriosisce,
si accede allo spazio e c’è
una panca su cui sedere per godere
appieno dell’opera. Volevamo
che davanti a questo quadro
si provasse la stessa tranquillità,
e ci si ritrovasse nella stessa situazione,
di quando si è seduti
in biblioteca davanti a un libro,
ad approfondire la materia».
Il quadro raffigura i versi
dell’Iliade in cui Andromaca
supplica Ettore di non uscire
dalle mura di Troia per affrontare
in battaglia Achille. Scrive
in quei versi Omero: «Strignendolo,
e per nome in dolce suono
Chiamandolo, proruppe: Oh
troppo ardito! Il tuo valor ti perderà:
nessuna Pietà del figlio né
di me tu senti […] Ch’altro mi
resta che perpetuo pianto?». A
pochi passi da questa immagine,
nella Sala Guernica c’è la
riproduzione del Guernica di
Picasso, realizzata nel 1973 dal
Movimento Studentesco. Bucci
rievoca quel periodo: «Erano
anni in cui l’impegno ideologico
degli studenti li portava a replicare
un’opera, ancora attuale,
contro la guerra. Riprodurre
quell’opera di Picasso aveva un
preciso significato: qui si studia,
si lavora su un dato tema ma poi
si alza lo sguardo e si riflette
sul futuro della società, su una
meta di pace. Aver posizionato
questo De Chirico oggi ha la
stessa valenza». Poi si addentra
nella descrizione della scena,
«è un quadro di ambientazione
FRANCO FORCI
architettonica, a partire dalla
prospettiva centrale del pavimento,
che presenta lo stesso
cromatismo dei due manichini.
I personaggi sono due oggetti
sartoriali, che non possono abbracciarsi,
a indicarci così che
l’uomo contemporaneo ha bisogno
di cuore, spirito, umanità. E
ci ricorda che mentre sono qui
e studio analisi matematica o
scienze delle costruzioni, mentre
progetto il futuro – perché
è questo ciò che facciamo noi
al Poli, gettiamo avanti delle
cose per il futuro – ecco, sono
richiamato all’umanità. È un
modo per riflettere che, certo,
diventerai architetto, ingegnere,
designer, magari ambisci a essere
un Nobel della chimica, ma
l’importante è rimanere se stessi.
Mettere dunque un artista
qui corrisponde all’aver affisso
un messaggio di avanguardia,
per comunicare che sì, abbiamo

la professione, ma non dimentichiamoci
che siamo persone».
Andrea, studente di Ingegneria
Elettronica, si ferma davanti
al dipinto e commenta: «Trovarsi
in un luogo di conoscenza,
circondato da icone, mi stimola
a studiare. È come sentirsi in
un museo ma in qualche modo
aperto solo per te». Gianluca,
studente di Ingegneria Meccanica
aggiunge: «Avere un’opera
d’arte come questa dà personalità
alla biblioteca. I personaggi
sembrano possibili studi di
aerodinamica applicati all’uomo».
Beatrice, studentessa di
Ingegneria Gestionale, che ha
scelto fra i corsi opzionali quello
di Storia dell’Arte Contemporanea,
dice: «In un ambiente
di menti tecniche vedo l’arte
come una forma di libertà, una
ricchezza in più, una nota che
ci suggerisce che qui possiamo
usare l’immaginazione. Il fatto
CAMPUS LIFE 97
poi che il dipinto sia quasi da
scoprire dietro questo oblò racconta
il senso del ricercare le
cose e mi fa pensare che il Poli
è un luogo legato anche all’arte».
Nel catalogo della Biblioteca
Campus Leonardo ci sono
alcuni titoli dedicati proprio a
De Chirico, come il libro dello
storico dell’arte Vincenzo Trione,
Giorgio De Chirico. Le città
del silenzio: architettura, memoria,
profezia (Skira editore). Uno
studente ha lasciato il segno sottolineando
a matita alcuni passaggi:
«ciò che lo interessa non
è la solida realtà, ma la teatralità
dello spazio. Compie riprese
e abbandoni, in un gioco tra
omaggi letterali e camuffamenti.
Si basa sempre su cifre vere,
che in seguito modifica, fino a
renderle quasi irriconoscibili,
echi di un mondo aurorale».
Pensando agli studenti, Federico
Bucci osserva che «negli
anni ’20 del ’900 uno studente
del Politecnico conosceva la pittura
metafisica, probabilmente
si era ritrovato a sua volta davanti
a questo quadro. È importante
che ci siano un recupero
e uno scambio tra le giovani
generazioni di allora e quelle
contemporanee. In biblioteca
abbiamo affisso anche dei disegni
d’archivio, realizzati dagli
studenti fra l’800 e il ’900, proprio
perché stiamo pensando
a una raccolta d’arte che sia in
grado di interagire con le nostre
memorie». Intanto una ragazza,
subito dopo essere passata dai
tornelli d’ingresso della biblioteca,
rallenta il passo. Prima di
accedere all’aula studio, per un
attimo, si affaccia incuriosita
all’oblò.

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Ferruccio Resta e il Politecnico di domani • Dossier: i numeri del Poli • La nuova piazza Leonardo • Renzo Piano: 100
alberi tra le aule • Gian Paolo Dallara e DynamiΣ: la squadra corse del Poli • PoliSocial: il 5x1000 del Politecnico di
Milano • Gioco di squadra: tutto lo sport del Politecnico • Guido Canali, l’architettura
tra luce e materia • Paola Antonelli, dal Poli al MoMA di New York • Zehus Bike+ e
Volata Cycles, le bici del futuro • Paolo Favole e la passerella sopra Galleria Vittorio Emanuele • Marco Mascetti:
ripensare la Nutella • I mondi migliori di Amalia Ercoli Finzi e Andrea Accomazzo • Nel cielo con Skyward e Airbus
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sui binari della storia - AirLite: la prima vernice che purifica l’aria ad arte - Yape: l’ultraleggero che ha fatto strada, fino al Giappone - Il
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Politecnico in numeri: ranking internazionali e indagini occupazionali - Al Politecnico si studia anche come insegnare meglio - Cosa accade
nelle molecole nell'interazione con la luce? - Chimica, e vita, circolare di Gianvito Vilé - Mettiamo alla prova il mondo: reportage dai laboratori
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pulisce gli oceani • Un campus aperto alla città • L’uomo che sente tutto dell’America • La Gazzetta del Poli • Alumni da Trofeo: Fabio Novembre,
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NUMERO SPECIALE
I «SOLITI» RANKING • IL POLI IN M2 • I LUOGHI
DELLA NOSTRA CAMPUS LIFE: PIAZZA LEONAR-
DO DA VINCI, CAMPUS BOVISA, IL NUOVO CAM-
PUS DI ARCHITETTURA E IL CENTRO SPORTIVO
GIURIATI • I LUOGHI DELLA NOSTRA RICERCA:
LA GALLERIA DEL VENTO E IL LABORATORIO
PROVE MATERIALI, STRUTTURE E COSTRUZIO-
NI; L’OFFICINA PULITA POLIFAB E IL DIM400, IL
PIÙ GRANDE SIMULATORE DI GUIDA IN ITALIA;
LABORA, IL NUOVO «LABORATORIO MODELLI»,
IL POLIFACTORY E IL LAST, IL LABORATORIO
SICUREZZA TRASPORTI • IL NOSTRO MADE IN
ITALY, DAI LUOGHI ALLE IDEE: CASA MILAN PRO-
GETTATA DA FABIO NOVEMBRE E LA SALA DELLE
COPPE DELL’INTER F.C., REALIZZATA DA STEFA-
NO BOERI; LA PASSERELLA SOPRA LA GALLERIA
VITTORIO EMANUELE FIRMATA PAOLO FAVOLE;
LE NUOVE TERME DI SAN SIRO SECONDO GIAN-
CARLO MARZORATI; IL MUSEO DEL COMPASSO
D’ORO DI ITALO LUPI; HANNES, LA PROTESI RO-
BOTICA A MISURA D’UOMO E LA CHITARRA A
MISURA DI LOU REED; MAMBO, LA PRIMA BAR-
CA AL MONDO DI STAMPO 3D E SENSORSAIL, IL
SISTEMA DI SENSORI PER LE BARCHE A VELA •
I NOSTRI ALUMNI NEL MONDO: ARIANNA MINO-
RETTI E IL PONTE CHE ATTRAVERSA LA NORVE-
GIA, SOTT’ACQUA; PAOLA ANTONELLI E I DESI-
GN DALL’ALTRA PARTE DELL’OCEANO; GIORGIA
LUPI, UN’ALUMNA AL MOMA; MAURO MARTINO
E LA SUA COPERTINA PER I 150 ANNI DI NATU-
RE; GIUSEPPE SCIONTI E NOVAMEAT, LA STAM-
PANTE 3D CHE SERVE BISTECCHE; MATTEO LAI
ED EMBRACE, IL BRACCIALETTO CHE AVVERTE
L’EPILESSIA E IL BRACCIALE CHE RICONOSCE
L’INFEZIONE DA COVID-19; ANDREA ORIOLI E LA
SUPER-CONNETTIVITÀ DI FLUIDMESH; ANTONIO
TOMARCHIO E LE MAPPE CHE CONNETTONO L’A-
MERICA DI CUEBIQ; ALBERTO DANESE, FRA I MI-
GLIORI DATA SCIENTIST AL MONDO, E IL DIARIO
DI PAOLO SACCHETTO DALLA SILICON VALLEY; I
RACCONTI IN ORBITA DI STEFANIA SOLDINI, STE-
FANIA TARQUINI, GIUSEPPE CATALDO, MANUELA
AGUZZI, ANDREA ACCOMAZZO E MARCO DOLCI
• UN ANNO DA AWARDS: PREMI, MEDAGLIE, TRO-
FEI DEI NOSTRI ALUMNI E LE BORSE DI STUDIO
Il Poli a raggi x - Lavori in corso: tour ai cantieri del nuovo Politecnico - Cinque nuovi corsi di Laurea per stare al passo con il mondo che
cambia - Qui costruiamo il futuro del mondo, parte 3 - CIRC-eV: economia circolare al Politecnico di Milano - Alla scoperta della Galleria
del Vento del Politecnico di Milano - La lezione della diversità - L'ingegnere con la testa fra gli asteroidi... - ...E l'ingegnere del meteo - La
mano robotica, umana - Circuiti elettronici 100, 1.000 volte più veloci - Fabio Cannavale serial startupper - La Milano del futuro - Bovisa a
colori - Il Poli: l'università per essere sportivi - Il nuovo centro sportivo Giuriati: Poli da record - Anno nuovo, reunion 20 - I giorni di Natta
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3 DIECI NUMERI DI MAP 6 CARE ALUMNAE E CARI ALUMNI 7 DAL RETTORATO 8 PASSARE DALL’EUROPA PER GARANTIRE LA
CRESCITA DELLE FUTURE GENERAZIONI 10 POLITECNICO NEL 10% DELLE MIGLIORI UNIVERSITÀ AL MONDO 15 FRA I PRIMI
100 AL MONDO PER OBIETTIVI DI SOSTENIBILITÀ 17 DIDATTICA 18 LA FORMULA 1 DEGLI STUDENTI 23 CI SERVE UNA PISTA
DA SPACE SHUTTLE 26 800 KM CON UN LITRO DI BENZINA 29 L’EPICA CHE CORRE SU DUE RUOTE 34 PROFESSIONI DEL FU-
TURO: DUE NUOVI CORSI DI LAUREA 36 LIFELONG LEARNING: GLI ESAMI NON SONO FINITI 37 RICERCA 38 SCIENZIATI POLI-
TECNICI PER SFIDE GLOBALI 44 GIOVANI RICERCATORI STUDIANO SOLUZIONI PER IL BENE COMUNE 47 UN PAIO DI OCCHIALI,
MA NON PER GLI OCCHI: PER LE NARICI 48 SCIENZA ED ETICA SONO BINARI PARALLELI? 51 COME SI DIVENTA INVENTORI?
57 RESPONSABILITÀ SOCIALE 58 C’È ANCORA DA LAVORARE SULLA PARITÀ DI GENERE 60 UN BILANCIO DELLE VOSTRE
DONAZIONI 63 ATENEO, IMPRESE, TERRITORIO 64 LA CARICA DEI 190 69 NEL MONDO 70 LA (EX) STARTUP SPAZIALE PUN-
TA IN ALTO 72 LA SCUOLA IN CUI APRIRSI DAVVERO 76 LA MILANO DI DOMANI: UNA GALLERIA DI OPERE POLITECNICHE 86
INIZIA L’ERA DELLE MACCHINE ANTROPOMORFE? 89 CAMPUS LIFE 90 ALL’ORIZZONTE DELLA COLLINA, DEGLI STUDENTI 94
C’È UN DE CHIRICO IN BIBLIOTECA