Q25 2019 - LE TINTURE CON I COLORANTI NATURALI OGGI
Le tintura con i coloranti naturali oggi tra pregiudizi, limiti e potenzialità.
Le tintura con i coloranti naturali oggi tra pregiudizi, limiti e potenzialità.
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LE TINTURE CON I COLORANTI
NATURALI OGGI TRA PREGIUDIZI,
LIMITI E POTENZIALITÀ
a cura di Antonio Mauro
Quaderni
dell’ASSOCIAZIONE
ITALIANA di CHIMICA
TESSILE e COLORISTICA
Dicembre
2019 Q25
Codice ISBN 9788896679111
AICTC
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LE TINTURE CON I COLORANTI
NATURALI OGGI TRA PREGIUDIZI,
LIMITI E POTENZIALITÀ
a cura di Antonio Mauro
Saluto del Presidente
AICTC, nel proprio mandato, ha il compito di contribuire alla diffusione della cultura tecnico-scientifica in
ambito tessile e dei comparti collegati. Tutte le attività che l’Associazione svolge sono rese possibili grazie
all’impegno e alla dedizione di quanti prestano la propria opera volontariamente. Anche per questo nuovo
numero de i “Quaderni” si deve un ringraziamento a quanti si sono cimentati nella stesura dei vari contributi.
Il tema della tintura con i coloranti naturali è sicuramente affascinante e, allo stesso tempo, fonte di discussione
tra i fautori di un “ritorno”, seppur parziale, alle origini e chi, invece, ne sostiene l’impossibilità. Ma, a parte
queste discussioni, si osserva sempre più spesso la presenza sul mercato di manufatti tessili con etichette
che ne certificano la tintura con coloranti o metodi naturali. Il consumatore è affascinato e attratto da questi
articoli che rievocano, nell’immaginario collettivo, un mondo privo di quelle “cattive” sostanze chimiche.
Si constata anche un’immissione sul mercato di prodotti, costituiti da materiali chimici o specifici coloranti,
che derivano da fonti naturali rinnovabili, da scarti della produzione alimentare, da oli esausti. E’ questo un
segno d’attenzione alle risorse che sta diventando un tema di ricerca chimica.
Senza voler schierarsi a favore di un’idea, vale sicuramente la pena approfondire e conoscere meglio la tintura
con metodi che vorrei definire dimenticati o accantonati. Da essi potremmo imparare qualcosa, magari
migliorando tali conoscenze a sostegno del futuro del tessile.
Auguro che dalla lettura di questo Quaderno possano emergere spunti per qualche nuova idea, per qualche
novità.
Stefano Cavestro
Presidente Nazionale dell’AICTC
Presentazione del Q25
In tanti anni di vita associativa, ma anche di frequentazione di tintorie, ho spesso rilevato tra molti chimici
tintori, escluse alcune eccezioni, sempre un certo senso di stupore sul fatto che diverse persone potessero
concepire un ritorno alla tintura con coloranti naturali. Stupore spesso accompagnato da un non malcelato
senso di cosa impossibile. Per contro, conoscendo una realtà di persone dedite alla tintura con coloranti
naturali, dovevo constatare quanto l’idea della tintura naturale fosse sostenuta da validi risultati tintoriali.
Risultati non di rado degni di una cartella colori moda a livello di importanti maison. Pure, tuttavia, anche in
questo caso, non mancavo di rilevare come l’utopia di un ritorno al tutto con colori naturali fosse sostenuta, in
grande misura, da paure e avversità verso la chimica. Poi, però, emergeva anche l’idea di business alternativi
fondati “sulla naturalità”. Ho sempre immaginato questa contrapposizione come quella che sosteneva le
crociate storiche, questa volta tra ecologisti senza macchia e dannati perturbatori della natura con i colori
“chimici”. Eppure, come le crociate, che al di là delle fedi contrapposte, erano in realtà delle guerre di conquista
di mercati, anche in questo caso, abbiamo di fronte due mercati: uno consolidato e l’altro, quello delle tinture
con coloranti naturali, che cerca una propria via autonoma di affermazione nel mondo della moda tessile.
Sfrondando il dibattito dai pregiudizi, è innegabile che allo stato attuale esistono delle ragioni tecniche ed
economiche che impediscono a “questa voglia di produrre capi tinti con coloranti naturali” di crescere oltre
un modo che non sia solo hobbistico. Questo lavoro non ha la pretesa di fare un punto scientifico su questa
realtà come, invece, credo dovrebbe essere considerato attraverso un intervento delle opportune istituzioni
economiche e scientifiche e le stesse rappresentanze delle categorie interessate. Più semplicemente si tratta
dello sviluppo di una serie di considerazioni personali, accompagnate anche da testimonianze qualificate
di alcune operatrici nel campo, quale primo contributo alla comprensione di cosa si oppone ad un effettivo
emergere di un’attività imprenditoriale in grado di autosostenersi nel “settore” delle tinture con coloranti
naturali.
Antonio Mauro
Vicepresidente Nazionale AICTC
Curatore e direttore de I Quaderni dell’AICTC
Indice
1 - Coloranti naturali e pregiudizi
2 - Il caso esemplificativo del colorante blu naturale nella sua evoluzione
3 - Dalla storia prime considerazioni sui coloranti naturali
4 - Su alcune specie tintorie diffuse di interesse agricolo e tessile
5 - Stato della ricerca agronomica ed estrattiva nel campo delle piante tintorie
6 - Il mercato e la gestione delle piante tintorie quale caso particolare delle piante officinali
7 - Il valore delle tinture naturali oggi
8 - Note sintetiche sulla chimica tintoria dei coloranti naturali
9 - Introduzione alle testimonianze di esperte nel campo delle tinture naturali
9.1 - Testimonianza n. 1 di Marie Astier
9.2 - Testimonianza n. 2 di Claudia Comar
9.3 - Testimonianza n. 3 di Enrica De Falco
9.4 - Testimonianza n. 4 di Cesarina Di Domenico
9.5 - Testimonianza n. 5 di Luigia Angela Iuliano
9.6 - Testimonianza n. 6 di Diamantina Palacios
p. 6
p. 8
p. 11
p. 14
p.22
p. 25
p. 29
p. 33
p. 35
p. 36
p. 41
p.52
p. 46
p. 48
p. 66
1- Coloranti naturali e pregiudizi
Nell’ambito dei consumatori più attenti agli aspetti ecologici da diverso tempo una parte non trascurabile
acquisterebbe capi tinti con coloranti naturali. Allo stato attuale questa richiesta è minimamente soddisfatta
attraverso produzioni “fai da te” a livello casalingo oppure da persone, in genere signore, riunite in associazioni
che periodicamente realizzano una serie di capi. Non mancano isolate offerte di piccole produzioni autonome
a livello di artigianato più o meno strutturato. Su scala industriale le tintorie che propongono nel loro
repertorio tinture naturali, almeno in Italia, non raggiungono il numero delle dita di una mano. Di fatto,
assistiamo ad un proliferare di iniziative hobbistiche o appena artigianali proprio per la mancanza di tinture di
questo genere realizzate in modo industriale. Nel primo caso siamo di fronte ad una volontà che spinge verso
la tintura naturale, dall’altro ad una scarsa o nulla attenzione verso questa tendenza da parte delle tintorie
industriali. Vedremo, nel prosieguo, quali possono essere le molteplici ragioni a questo stato di cose. Qui,
invece, preme trattare una serie di falsi luoghi comuni. Chi scrive ritiene che proprio questi luoghi comuni,
fuorviando dalla realtà degli aspetti tecnici impliciti, creano un clima culturale di ostacolo rispetto ad un
effettivo approfondimento dei possibili sviluppi di tinture con coloranti naturali. Processi che dovrebbero
essere economicamente accettabili e tali da creare linee di lavoro complementari alle tinture con i coloranti
di sintesi.
Le ragioni più comuni che portano ad un interesse verso le tinture naturali sono quelle classiche derivate
dai movimenti che, giustamente, rivendicano ambienti migliori e cose sentite in equilibrio con la natura. E’
così diffusa la convinzione che le tinture con i coloranti di sintesi chimica siano all’origine di inquinamento
dell’acqua, dell’aria e del terreno. Questo attraverso gli scarichi dei processi di tintura e gli scarti residuali
degli stessi coloranti. Ma esiste anche una diffusa idea che l’inquinamento si produca già a monte nelle
stesse fabbriche produttrici di coloranti. In modo più ampio e in forma perlopiù acritica ricadono in questa
convinzione anche le attività connesse con la produzione e l’uso degli ausiliari di tintura, ossia verso tutti gli
altri prodotti chimici necessari per tingere. Si tratta di sali, acidi, basi e di molteplici sostanze coadiuvanti i
processi a loro volta quasi sempre originati dalla sintesi di sostanze derivate dal petrolio.
Accanto ai problemi dell’inquinamento sono poi da richiamare quelli legati alla salute. Esiste, infatti, un certo
timore diffuso presso i sostenitori delle tinture con estratti naturali che i coloranti di sintesi causino, ipso facto,
malattie oscillanti dalle dermatiti ai tumori. Che l’insieme di questi timori abbiano avuto e abbiano tuttora
giustificate conferme è vero, ma solo se si considerano pochi casi di sostanze note da tempo e perciò vietate
ormai in tutto il mondo. Altro sostegno a queste idee deriva, poi, dalle eclatanti campagne di Greepeace sulle
sostanze chimiche inquinanti scaricate nei processi tintoriali o di finissaggio di materiali tessili poi utilizzati
da noti brand. L’enfasi di tali campagne continua a mantenere vivi i timori di cui si diceva circa una presunta
pericolosità di tutti i coloranti di sintesi e dei processi di tintura industriali.
Si dovrebbe anche ammettere, tuttavia, che queste preoccupazioni sono anche la spia di una non conoscenza
delle effettive realtà circa la tintura industriale dei prodotti tessili.
L’industria chimica che produce coloranti di sintesi, ormai da diversi anni, immette sul mercato nuovi prodotti
che sono quasi sempre un ulteriore perfezionamento di alcuni omologhi precedenti migliorati sotto il profilo del
rispetto dell’ambiente e della salute dei lavoratori e degli utenti finali. In generale, poi, i coloranti cancerogeni
e quelli noti per produrre allergie, tra cui certe sostanze ausiliarie, sono banditi dalle normative di quasi tutti
i paesi del mondo. In realtà si tratta di non più di un centinaio di prodotti effettivamente pericolosi su oltre
diverse migliaia di altri disponibili ora tutti a norma REACH per quanto riguarda il mondo tessile.
La direttiva europea REACH ha imposto da una decina d’anni che tutti i prodotti chimici di uso industriale così
come quelli di uso comune civile, quindi anche quelli usati nelle tintorie, debbano rispettare precisi vincoli
circa il rispetto dell’ambiente e della salute in generale. Di fatto si tratta di un vero e proprio baluardo tecnico
e scientifico a difesa della natura e delle persone. Non per nulla questa complessa e severa normativa è stata
presa come riferimento da diversi paesi, tra cui la Cina, ma anche dalla stessa Greenpeace che, per diversi
prodotti, ha poi ulteriormente esasperato i limiti di sicurezza da garantire.
Oggi non esiste fornitore di coloranti ed ausiliari o tintore che non rispetti le severe regole di REACH, per
altro continuamente aggiornate. Né si deve dimenticare che al rispetto di queste normative sono obbligate
tutte le tintorie, in Italia, ma anche in tutta l’Europa UE. Come se non bastasse, devono essere rispettate in
contemporanea tutte le altre norme a tutela dell’ambiente, dei luoghi di lavoro e della salute dei lavoratori e
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dei consumatori finali previste in ogni Paese oltre la stessa direttiva REACH.
Per contro, è da sottolineare come la stessa normativa REACH, purtroppo, non prevede controlli sui coloranti
naturali in quanto prodotti chimici di origine naturale e perciò “non chimici” (?). Quindi su questi coloranti
non sono sviluppate conoscenze circa la loro eventuale intrinseca tossicità su animali o persone o l’induzione
di allergie come succede in qualche caso o effetti circa l’inquinamento quando si scaricano i reflui di tintura
nelle acque di scarico. Quindi anche in questo caso si perpetua il falso mito di naturale uguale ecologico o
sicuro per la salute in assoluto, ma solo perché non vengono condotti studi specifici simili a quelli condotti sui
coloranti di sintesi per individuare i possibili casi di pericolo secondo i criteri previsti da REACH.
Naturalmente chi ha dimestichezza con i coloranti naturali ha da tempo scoperto che la relativa tintura non
è meno complicata di quella industriale. Per ottenere tinture belle e solide occorre cimentarsi con la chimica
utilizzando sali, acidi, basi e prodotti ausiliari di cui si dovrebbe considerare il relativo grado di pericolosità
su persone ed ambiente. Senza dimenticare gli scarichi che, a rigore di logica comportamentale, dovrebbero
essere trattati secondo le norme vigenti.
Certo è vero che gli impatti sono trascurabili nella tintura una tantum di pochi chili di materiale fibroso; non
altrettanto potrebbe dirsi già per una piccola produzione giornaliera di un centinaio di kg di fibre tinte con
coloranti naturali. Come riferito in alcune testimonianze che seguiranno, chi tenta di sviluppare un’attività
di questo genere lamenta l’alto costo della materia colorante, la non costante qualità e resa della stessa,
le ore di lavoro necessarie in mancanza di apparecchiature specifiche o l’alto costo delle stesse qualora si
riesca ad adattare quelle esistenti. Così la tintura con coloranti naturali, che in termini di principio dovrebbe
garantire a tutti abiti presuntamente ecologici, si rivela essere, in buona sostanza, soltanto una lavorazione
per acquirenti d’élite in quanto a capacità di spesa.
Che, comunque, l’idea di disporre di capi tinti con coloranti naturali sia abbinabile al fascino delle cose antiche
fatte a mano è indubitabile. Siamo o meglio saremmo di fronte ad una dimensione fondamentalmente di
tipo artigianale per quantità lavorabili, organizzazione, saperi necessari, bravure da sviluppare. In proposito
potrebbe essere utile avere un’idea di cosa fosse la tintura del passato con i coloranti naturali. Si potrebbero
così comprendere, almeno in parte, anche le difficoltà oggi esistenti. Difficoltà che si riassumono nella non
esistenza, fatte salve certe esperienze con valore dimostrativo, di filiere di produzioni organizzate. Ed è nella
non esistenza di queste filiere la mancata diffusione delle tinture naturali presso un più vasto pubblico di
potenziali compratori come si dirà. Per intanto consideriamo un caso emblematico di tintura del passato:
quella con le piante che originavano il colore blu da cui prime considerazioni.
Ma con queste considerazioni siamo già ad un approccio realistico delle tinture con coloranti naturali il cui uso
non potrà mai sostituire né in totale, ma neppure per la metà e neanche per un decimo il totale dei coloranti
di sintesi oggi utilizzati. Statistiche al 2018 elaborate dal CIRFS (associazione europea dei produttori di fibre
manmade) e riportate da studi dell’Università di Roma 1 il consumo di fibre naturali e man- made ha superato,
nel 2018, i 103 milioni di tonnellate. Le fibre man made rappresentano attualmente il 75% del consumo
mondiale di fibre, mentre quelle naturali ricoprono il restante 25%. Il notevole accrescimento dei consumi
pro-capite risulta evidente dalle seguenti statistiche: nel 1950 una popolazione di 2,5 miliardi di persone
consumava in media circa 5 chilogrammi di fibre pro-capite. Le stime al 2015, con 6,7 miliardi di abitanti,
indicano un consumo di 13,5 chilogrammi di fibre per persona. E’ intuitivo che tali consumi e le produzioni
associate tenderanno a crescere con il crescere della popolazione.
Si considerino ora solo le fibre naturali come indicato dalle statistiche appena indicate. Se si tiene conto dei
pochi milligrammi di estratto ottenibili da ogni kg di pianta tintoria e considerando le quantità necessarie
solo per la tintura di un qualsiasi capo, ne discende l’aberrante conseguenza che non basterebbero i campi
coltivati di tutto il nostro pianeta per la totale sostituzione dei coloranti sintetici con quelli naturali.
Ne consegue che la tintura con coloranti naturali potrà esistere solo come un’attività complementare alle
tinture industriali, sebbene di nicchia e di alta artigianalità per un mercato di consumatori in grado di
apprezzare e di acquistare gli oggetti così prodotti.
1 https://www.lettere.uniroma1.it/sites/default/files/768/6%20%20produzione.pdf
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2- Il caso esemplificativo del colorante blu naturale nella sua evoluzione
Il colorante blu di origine naturale si ottiene fondamentalmente da due piante: la isatis tinctoria e l’indigotifera
tinctoria. Il nome comune della prima è waid in tedesco, guède in francese da cui il termine guado in italiano
e ancora pastel in francese occitano.
Per secoli il guado è stato l’unica pianta in grado di fornire le colorazioni variabili dall’azzurro al blu. La pianta
appartiene alla famiglia delle Crucifere (o Brassicacee), così come il cavolo, la rapa, la senape, la rucola e tante
altre piante commestibili. Su di essa si ritornerà trattando degli aspetti botanici di alcune piante tintorie.
Di origine asiatica, fu quasi certamente introdotta nell'area europea fin dal neolitico. Plinio il Vecchio riporta
che gli antichi Britanni usavano questa pianta per colorare di blu il proprio corpo con lo scopo di spaventare i
nemici. Per i Romani il blu ha connotazioni negative a differenza delle tinture rosse molto apprezzate.
Le ragioni di questa antica avversione sono ascrivibili ai fattori culturali predominanti in una certa epoca e
in una certa area. Nei paesi mediterranei il blu ha rivestito un ruolo simbolico marginale per tutta l’antichità
e fino all’alto medioevo. Solo a partire dal XII secolo il blu incontra una progressiva valorizzazione grazie alle
rappresentazioni delle vesti tinte di blu della Madonna il cui colore è stato poi ripreso in Francia dalla dinastia
dei Capetingi fino ad assurgere a colore simbolo della Francia. Da allora il blu è stato sempre più usato fino a
diventare bello in età moderna.
Durante il Medioevo ed il Rinascimento e fino al 1600, coltivazione e commercio del guado assumono
notevole importanza facendo la fortuna di molte città europee, tra cui diverse italiane. Addirittura diventa
uno dei prodotti più desiderati e richiesti in Europa. Il pigmento ricavato dalla pianta acquisì un valore tale
da essere considerato una sorta di “oro blu”. Fu in particolare nella Francia del sud che sul guado si sviluppò
un’industria piuttosto florida.
La coltivazione e il commercio del guado assumono tra il Quattrocento ed il Seicento una notevole rilevanza
economica nel ducato di Laraguais in Turingia e, in particolare, nei territori occitani compresi tra le città di
Tolosa, Carcassonne e Albi che costituirono il cosiddetto triangolo d’oro.
Il colore blu si otteneva dalle foglie di isatis tinctoria tagliate progressivamente in modo adeguato cinque volte
l’anno. Queste erano poi triturate con appositi mulini e lasciate macerare con aggiunta di calce e di orina.
Si otteneva così una pasta modellabile manualmente in forma di sfere, sfere che erano successivamente
essiccate. Durante la tintura queste sfere erano gettate direttamente nell’acqua bollente. Si formava un liquido
giallastro virante al blu con l’ossidazione all’aria. Si originava così il “blu pastello”, estremamente ricercato
nella pittura e nell'industria tessile.
Le sfere prendevano in occitano il nome di cocanhas, da cui Pays de Coques o Cocagnes. Il commercio delle
coques produsse nei territori interessati, inizialmente poveri, una tale ricchezza economica che la zona venne
definita il "Paese di Cuccagna". Qui trovano residenza abili commercianti tintori che, grazie alle ricchezze
acquisite, costruiscono importanti edifici pubblici e privati.
La Cuccagna, nel Medio-Evo, era considerata un mitico luogo di piacevolezze e di abbondanza tanto da
dare origine all’espressione pays de cocagne - paese della cuccagna - per indicare un luogo di straordinaria
abbondanza e prosperità. Anche in italiano tale sinonimo significa luogo di inusitata abbondanza.
La passata diffusa coltura del guado in Occitania può spiegare perché ancora oggi il blu pastello rappresenti
il colore tipico della Provenza, largamente diffuso dagli infissi delle case ai tappeti, fino alla tela blu prodotta
presso la città di Nîmes, da cui il nome denim. Con tale tessuto venivano confezionati i pantaloni indossati
dai marinai genovesi che da allora presero il nome di blue de Genes, espressione poi trasformata nell’inglese
blue jeans.
Nel XIV secolo la coltura del guado si estese anche in Normandia tanto che i tintori di Rouen realizzavano il
cosiddetto blu di Persia che poi rivendevano sui mercati del Medio Oriente da cui, molti secoli prima, il guado
proveniva come pianta.
Anche Erfurt, in Turingia, diventa un importante mercato di guado nell’Europa centrale. Intorno alla città
c’erano altri trecento paesi che lo coltivavano. Attraverso il suo commercio questa città, al centro di quella
che oggi è la Germania, acquisì un notevole potere politico ed economico tanto da fare diventare la Turingia
una delle regioni più ricche.
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Nel '400 la coltivazione di questa pianta si sviluppa anche in Inghilterra e, qualche tempo, dopo furono i paesi
del Nord a specializzarsi nella relativa tintura.
Il guado si diffonde anche in Italia tra il XIV e il XV secolo. Era coltivato in zone ben definite di diverse regioni.
Questa pianta si trova(va) in Valle d'Aosta, a Chieri in Piemonte presso Torino, dove è chiamata guald,
e in Liguria. In Toscana era coltivata nell’aretino e in Val Tiberina. In Umbria a Nocera Umbra e a Gualdo
Tadino, da cui il nome della città che è anche nota per la produzione delle caratteristiche tovaglie perugine
tinte in blu. Nelle Marche la produzione del guado ha interessato tutta la zona appenninica, dal Montefeltro
a Massa Trabaria e oltre. Importanti erano le esportazioni verso Firenze e Prato, ma anche verso la Dalmazia
e la Spagna. In tutta questa fascia appenninica si praticava non solo la coltivazione del guado e dello scotano
(altra pianta tintoria), ma tutta la filiera completa, dalla macinazione delle foglie all’estrazione del pigmento,
dalla cardatura e filatura delle fibre alla loro tintura. Per questa ragione divenne rinomata in tutta Europa. Nel
Montefeltro il guado diventa l’oro blu locale, da Urbino a Piobbico, a Cagli, a S. Angelo in Vado a Borgopace, a
Urbania, a Mercatello sul Metauro. Documenti d’archivio locali descrivono con dovizia di particolare modalità
di coltivazione, unità di misura, regole per la conduzione dei maceri o la macinatura delle foglie.
Il guado è presente anche a Rieti nel Lazio e in Abruzzo. Idem in Sicilia e in Sardegna dove la sottospecie
canescens è chiamata guadu. E’ pure presente anche in Veneto
Secondo alcune fonti, potrebbe essere stato importato in Italia dai Catari stabilitisi a Chieri.
Nella prima metà del XV secolo lo statuto della città di Teramo vietava di macerare il guado all’interno delle
mura cittadine per motivi igienici. A causa dei fetori derivanti dalla macerazione, l’attività doveva essere
svolta a non meno di due tiri di balestra dall’abitato.
Il suo pigmento blu trovava impiego, oltre che per la colorazione dei tessuti, in molti settori artistici, dalla
miniatura dei manoscritti alla decorazione della terracotta, ai quadri dei grandi artisti rinascimentali. Ha avuto
largo impiego, ad esempio, in numerosi dipinti di Piero della Francesca, il cui padre, Benedetto de’ Franceschi,
era un ricco mercante di guado di San Sepolcro.
Il lucroso commercio del guado iniziò a declinare nel XVI secolo con l’arrivo di un’altra importante materia
colorante, di maggiore qualità e resa, sempre di origine orientale. Il blu della isatis tinctoria viene soppiantato
dalla materia tintoria estratta dall’Indigofera tinctoria, una pianta proveniente dalle Indie orientali (Indigofera
tinctoria) e occidentali (Indigofera anil) da cui il nome “indaco”. A queste nuove varietà si aggiunsero presto
le altre specie di indigofera, ancora più redditizie, provenienti dalle colonie britanniche asiatiche, dall’Africa
e dall’America.
Queste varietà presentavano rese nettamente superiori, migliore uniformità cromatica e maggiore facilità di
lavorazione. Nonostante gli editti protezionistici a difesa della pianta e dell’economia locale, la coltivazione
del guado, non più economica, viene progressivamente abbandonata.
Nel Settecento il governo Sabaudo intervenne nel tentativo di salvare le coltivazioni locali di guado con cui si
effettuavano le tinture delle divise militari.
Da considerare che il blu indaco si reggeva su uno sfruttamento brutale della manodopera locale da parte dei
colonizzatori europei nelle vaste coltivazioni indiane e delle altre zone occupate.
Solo agli inizi del 1800 si assiste ad una modesta ripresa del guado, ma si tratta di una parentesi di breve durata.
Ciò avviene con l’avvio nel 1806 del blocco continentale dei rapporti commerciali con l’Inghilterra disposto
da Napoleone. Il blocco, però, interrompe anche le rotte di importazione dell’indaco da cui la necessità di un
ritorno alle tecniche, ormai desuete, di estrazione del pigmento blu da piante locali.
Con decreto imperiale sono dati premi in denaro per chi fosse riuscito a trovare migliori e più redditizi metodi
per la coltivazione e la lavorazione del guado oppure a scoprire un’altra pianta da cui estrarre colore di qualità
paragonabile a quello dell’Indigofera delle Indie e delle Americhe.
A parte le numerose memorie di agronomi e chimici francesi ed italiani non ci furono risultati degni di nota.
Il definitivo abbandono del blu naturale sopraggiunge verso la fine dell’800 con la comparsa del sostituto
sintetico prodotto industrialmente, meno costoso, dalle tinte più costanti e di maggiore solidità.
La struttura chimica molecolare dell’indaco naturale viene determinata nel 1878. Quattro anni dopo viene
realizzata la prima sintesi chimica e nel 1897 due fabbriche tedesche avviano la produzione dell’indaco di
sintesi su scala industriale. Questo indaco venne commercializzato nel 1890 ad un prezzo inferiore di due
marchi al chilo rispetto a quello naturale.
9
In questi ultimi anni l’indaco naturale è stato riproposto in varie parti sull’onda di un ritorno al naturale quale
sinonimo di ecologico. L’esperienza più significativa è quella francese realizzata da imprenditori agricoli e
tessili che hanno fatto di un’antica tradizione un settore di mercato di nicchia del lusso. Monsieur Bruno
Berthoumieux (Château des Plantes, Route de la Serre, 81580 Cambounet sur le Sor, b.berthoumieux@
sirius-bio.com) ha avuto il coraggio di risvegliare l’antichissima quasi dimenticata procedura di colorare fibre
naturali con il guado. Dispone di vasti campi per la coltivazione delle piante e di laboratori, condotti in chiave
moderna, per l’estrazione del pigmento. Anche i semi della pianta sono un prodotto prezioso: forniscono un
olio medicinale che serve per la produzione di creme per la pelle, unguenti e saponi naturali. Nel laboratorio
di Monsieur Berthoumieux la tintura si fa secondo le antiche modalità. Perciò la reazione di “dis-ossidazione”
del guado nell’acqua è molto lenta (dura più giorni), una sorta di slow tintura, inevitabilmente di costo
superiore a quella delle attuali tinture industriali.
Anche in Italia ci sono state esperienze interessanti di recupero del guado naturale, in particolare a S. Sepolcro.
Queste esperienze, sostenute economicamente dalla Regione Toscana si sono poi concluse mancando i
necessari presupposti tecnici ed economici per un upgrade su scale industriale e commerciale.
Sitografia utilizzata alla data del 15/06/2020
http://www.trafioriepiante.it/infogardening/poltrona/BluPastello.htm
https://it.wikipedia.org/wiki/Isatis_tinctoria
https://rivista.clionet.it/vol1/societa-e-cultura/mestieri/balsamini-l-estrazione-del-colore-blu-dal-guado- appunti-di-storia-e-tecnica
http://www.ortobotanico.unitus.it/index.php/it/collezioni/percorso-piante-utili/item/969-i-i-urtica-dioica- i-i-l
http://unilitacagli.blogspot.com/2016/04/scotano-e-guado-due-piante-preziose-e.html
https://www.fondazionetessilchieri.com/gualdo-e-erbe-tintorie-2/
http://pianteinviaggio.it/index.php/it/le-piante-protagoniste/item/161-guado-il-colore-dimenticato
https://www.terredeuropa.net/racconti-di-viaggio/occitania-in-cuccagna-paese-dellabbondanza.html
http://dspace- unipr.cineca.it/bitstream/1889/1847/1/tesi%20dottorato%20Alessandro%20De%20Luca%20XXIV%20ciclo.pdf
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3 - Dalla storia prime considerazioni sui coloranti naturali
Il termine piante industriali indica varie specie vegetali coltivate per scopi produttivi non direttamente legati
all’alimentazione come è, invece, il luppolo per la birra. Si tratta di una definizione introdotta in tempi moderni
per ragioni di studio.
La coltivazione di piante industriali è legata, nella storia, a un lavoro manuale intensivo nelle campagne poste
a ridosso dei centri urbani specializzati in specifiche lavorazioni artigianali.
Il lino e la canapa dipendevano dall'industria della tela, ossia della produzione di tessuti. Le diverse piante
coloranti dall'insieme dell'industria di trasformazione delle fibre tessili. Tra queste fibre anche la lana,
dipendente dall’industria armentizia e quindi dalla disponibilità dei pascoli che, a loro volta, sottraeva spazio
alle coltivazioni da cui antichi conflitti tra allevatori e agricoltori.
La coltivazione e la vendita di piante industriali permettevano ai possessori dei terreni, in genere latifondisti
o mercanti - imprenditori che investivano in terreni, cospicui guadagni a differenza di ortaggi o altre piante
di uso alimentare. Nello specifico, ad esempio, canapa e lino potevano essere sfruttati doppiamente perché
fornivano fibre e semi oleosi.
Le sostanze coloranti e quelle leganti come i tannini erano estratti dalla pianta intera o da parti di essa - radici,
steli, foglie, fiori, semi - per mezzo di procedure laboriose nell’ambito di vere e proprie filiere produttive.
Spesso si trattava di operazioni maleodoranti e poco sane, sicuramente secondo i nostri attuali criteri. Per
questa ragione le relative manifatture erano poste alla periferia delle città curando che le acque inquinate
scaricate non danneggiassero altri utilizzatori dell’acqua stessa.
Già solo considerando il caso del guado, tenuto conto della bassa resa in estratto colorante, ne conseguiva
la necessità di coltivazioni diffuse su migliaia di ettari per la realizzazione delle notevoli quantità richieste dal
mercato.
Stessa cosa si può presumere per tutte le altre principali piante tintorie come la robbia e la reseda per citare
le più conosciute. Ovvio che tali coltivazioni industriali erano tutte a discapito di quelle alimentari.
Da rilevare, a questo proposito, che la coltivazione e l'importanza economica delle piante industriali per
tintura non risultano, ad oggi, essere state oggetto di studi sistematici di carattere storico ed agronomico.
E’ però ormai consolidato da ricerche di altissimo profilo (Le Goff, Braudell) che la pratica della coltivazione di
piante industriali in Europa, tra cui quelle a destinazione tintoria, abbiano avuto profonde ripercussioni sociali
non solo per le ingenti ricchezze che procurarono ai relativi produttori.
Le coltivazioni estensive di queste piante, a discapito di quelle orticole ed alimentari, hanno contribuito allo
sviluppo di ricorrenti crisi agrarie in termini di alimenti base e quindi alle note carestie del tardo medioevo
fino a secoli più recenti. Un primo effetto negativo si ritrova nelle ricorrenti rivolte sociali per fame della
popolazione più povera, contadini e contadini inurbati diventati operai, in varie parti d’Europa. Un altro
effetto negativo si ha nella facilitazione alla diffusione di epidemie in vaste zone geografiche e per lunghi
periodi per una forte presenza di persone indebolite dalla fame. Naturalmente carestia ed epidemie erano
anche favorite da contemporanei fenomeni climatologici avversi e dalle guerre come succede ancora oggi.
La tintura dei materiali tessili ha una storia molto lunga in ogni parte del mondo.
In Italia, lo sviluppo delle tintorie si distingue fin dalle origini per una specifica abilità professionale. Anzi, la
capacità di tingere sarà un elemento che farà apprezzare i nostri tessuti in tutt’Europa nei vari periodi del
Medioevo, sebbene in tutta Europa non mancassero offerte altrettanto valide. Comunque sia, il commercio
dei panni tinti in Italia si sviluppa grazie all’intraprendenza dei numerosi mercanti imprenditori. Tra questi
si ricorda in modo particolare Marco Datini di Prato, studiato internazionalmente dagli storici per il suo
archivio, di oltre 150.000 lettere di carattere commerciale. L’Archivio Datini è, infatti, una fonte unica per la
storia del mondo mercantile europeo nella seconda metà del Trecento per conoscere le merci, i trasporti, le
rotte, gli strumenti finanziari usati dagli operatori, la mentalità, le aspettative, le preoccupazioni dei mercanti
dell’epoca. In particolare per conoscere la gestione delle tinture che lo stesso mercante affidava ai suoi tintori.
Possiamo affermare, in modo un po’ eufemistico, che il made in Italy abbia origini e tradizioni antiche e che
una parte del riconoscimento debba essere attribuito proprio alla capacità dei tintori che lavoravano per
conto dei vari mercanti imprenditori, chiamati anche impannatori perché organizzavano la produzione dei
panni avvalendosi del lavoro di terzi.
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Il famoso Plictho del veneto Giovanventura Rosetti, edito a Venezia nel 1548, rappresenta una summa delle
ricette utilizzate in Italia all’epoca e nei tempi precedenti. Ampi e numerosi i richiami ai modi di tingere a
Genova, a Venezia e a Firenze, città della quale si specifica addirittura il nome di un suo tintore, un certo
Raimondo, famoso per il colore cremisi che sapeva realizzare 2 .
Il Plictho, primo manuale a stampa nel campo delle tinture, rimarrà l’unico riferimento per oltre due secoli
non solo in Italia, ma anche fuori, nonostante i distinguo e le aggiunte apportate da successivi compilatori.
Nell’esame di diverse pubblicazioni antiche colpiscono la varietà dei colori ottenibili sulle fibre naturali
utilizzate a fronte di una certa limitatezza di materie prime coloranti. Lane, cotoni, sete, lini sono tinti in giallo,
rosso, blu, verde, nero, marrone e altre tonalità e relative sfumature.
Da considerare che per l’applicazione ottimale dei coloranti naturali sulle fibre si dovevano aggiungere, in
molti casi, dei mordenzanti, ossia dei leganti chimici tra molecola colorante e struttura polimerica delle fibre.
Si sapeva che si doveva fare così solo sulla base di esperienze pratiche. Sono stati necessari poi secoli per
capire che si trattava di reazioni chimiche e che le fibre naturali e i coloranti naturali erano niente altro
che sostanze chimiche coinvolte in un processo chimico. I primi mordenzanti erano costituiti dai tannini,
sostanze estratte dalle galle vegetali o altre parti di piante. Ad essi vennero affiancandosi, con il progredire
delle esperienze empiriche e delle conoscenze alchemiche e protochimiche, i vari sali di alluminio e di ferro
e gli ausiliari di tintura come il cremor tartaro o l’ammoniaca ottenuti, rispettivamente, raschiando le botti o
raccogliendo il bottino delle urine.
Ad un certo immaginario collettivo, pervaso di idealismo romantico circa le cose del passato e distante dalla
realtà pratica, sembrerà forte l’affermazione che le tinture naturali del passato erano semplicemente le tinture
chimiche del tempo, per di più niente affatto sostenibili secondo le nostre attuali concezioni circa l’aspetto
ambientale e sociale.
Fino alla comparsa dei coloranti sintetici, i tintori avevano solo potuto ampliare la gamma dei colori realizzabili
con l’uso di nuove e diverse piante tintorie provenienti dalla predazione di piante dei nuovi mondi e dallo
sfruttamento schiavistico delle popolazioni locali per la relativa coltivazione intensiva.
La conquista delle Americhe nel corso del ’500 e le attività coloniali sviluppate nelle lontane Indie tra il ’600 ed
il ’700 porteranno, ad esempio, all’uso in tintoria di nuove essenze come il campeggio o alla sostituzione del
guado (o pastello) estratto dall’isatis tinctoria con l’indigotifera tinctoria. Addirittura, in questo secondo caso,
ne derivarono gravi ripercussioni economiche e sociali in ambito agricolo in varie parti d’Europa e d’Italia,
ossia dove la coltivazione del guado rappresentava un’importante risorsa locale.
Nel frattempo, proprio gli sviluppi della protochimica porteranno ad una introduzione nelle tintorie di nuovi
ausiliari di tintura quali sali, acidi e basi, prima in modo più lento e poi via via più frequente.
Questo sviluppo chimico, inizialmente empirico, ma progressivamente sempre più legato al crescere delle
conoscenze, si deduce comparando i ricettari storici che evidenziano un ampliamento delle ricette idonee
ad ottenere stesse colorazioni - evidentemente con solidità e costi diversi - oltre ad un uso sempre più
ampio di prodotti chimici ausiliari. Riferimenti a sostegno di queste affermazioni derivano dalla lettura del
Vochato Besso del 1475 di Bartolomeo di Domenico da Montepulciano, del Nuovo plico d’ogni sorte di tinture
di Gallipido Tallire del 1704 da Venezia, del Carteggio del 1784 dei Fratelli Franceschi di Partina (Arezzo),
del Manuale del tintore del 1836 di Pier Giovanni Silvestri e del Manuale completo del tintore del 1844 di
A.D.Vergnaud a Firenze 3 .
Fino alla scoperta dei coloranti sintetici (dal 1856) si utilizzavano sostanze di origine vegetale estratte dalle
2 Plichto etc
3 “Q14 – 2000 Ricettari” a cura di Antonio Mauro, monografia dell’AICTC, Prato, 2000
Tuttavia, i monopoli finanziari e mercantili europei che detenevano la fornitura di fibre naturali, di coloranti naturali e dei prodotti chimici
ausiliari né potevano incrementare oggettivamente la produzione, né lo volevano. Nasce così, nell’ambito del mercato delle forniture, la
necessità di sostituti economici ai soliti coloranti naturali o, almeno, ad una parte di essi.
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piante industriali (e anche da animali come la cocciniglia o varie specie di murice), spesso quasi tutte importate
dall'estero, come la robbia e la cocciniglia (rosso), lo zafferano e il cartamo (giallo), il guado (azzurro) e le noci
di galla (nero). Dal XV sec. il commercio d'oltremare introdusse nuove sostanze (legno del Brasile, campeggio)
e ne rese altre più accessibili (indaco). Come ausiliari chimici di tintura venivano impiegati tra l'altro liscive a
base di cenere e calce, allume e urina.
Quindi è nell’intervallo di questi tre secoli che si amplia sia il numero dei coloranti naturali sia dei composti
chimici complementari necessari per tingere con i coloranti naturali disponibili.
Da notare, però, che nello stesso arco di tempo si produce anche un allargamento dei consumi. Questo sia per
la crescita numerica della popolazione in generale, che per quella, all’interno di essa, di ceti sociali abbienti
che richiedevano un vestiario più diversificato e di maggiore pregio.
La diffusa rivoluzione industriale e successivamente quella sociale francese contribuirono alla crescita dei
consumi di coloranti e dei relativi ausiliari in termini qualitativi e quantitativi per la tintura dei tessuti.
Tuttavia, i monopoli finanziari e mercantili europei che detenevano la fornitura di fibre naturali, di coloranti
naturali e dei prodotti chimici ausiliari né potevano incrementare oggettivamente la produzione, né lo
volevano. Nasce così, nell’ambito del mercato delle forniture, la necessità di sostituti economici ai soliti
coloranti naturali o, almeno, ad una parte di essi.
Perkin fornisce nel 1856 una risposta a queste nuove esigenze con la realizzazione della malvina, il primo
colorante sintetico con applicazioni industriali. Tralasciando il fatto che la scoperta di questo colorante è
in parte dovuta al caso, è da rimarcare che da quel momento in poi tanti chimici universitari e delle prime
aziende chimiche si dedicano all’imitazione dei coloranti naturali noti.
Si ha così un crescendo di risultati che portano anche alla scoperta di nuove conoscenze chimiche. Di fatto,
nell’arco di poco più di sessanta anni tutti i coloranti naturali sono sostituiti dagli analoghi sintetici. Ma non
solo. Le conoscenze di chimica generale derivanti dallo studio di queste imitazioni e da altre di carattere più
generale portano a teorizzare e a fabbricare nuove molecole coloranti non esistenti in natura, ma adatte per
tingere sia le fibre naturali che quelle man made, quale fu per prima la viscosa, che iniziano ad apparire sul
mercato verso la fine dell’800.
Gli sviluppi che portano al superamento dei coloranti naturali sono da ricercarsi nel fatto che questi e le
tecniche di tintura dell’epoca non risultavano più sufficienti a fornire alti volumi di stoffe tinte a bassi costi.
Da quel momento nasce la nuova arte tintoria con l’uso dei coloranti e delle fibre sintetiche di cui oggi ci
domandiamo in modo filosofico quale potrà essere lo sviluppo futuro.
Per radicali cambiamenti sono necessari forti rivolgimenti del mercato mondiale. I mutamenti sociali in atto
sembrano indicare primi sintomi in tal senso. I criteri di sostenibilità e di circolarità sono oggi le strade di
tendenza più appariscenti. Ad esse si può fare riferimento per comprendere lo sviluppo attuale delle diffuse
proposte di tintura dei tessili con coloranti naturali. Proposte che, allo stato attuale, presentano diversi limiti
di applicazione se si va oltre la dimensione hobbistica o delle piccole produzioni artigianali.
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4 - Su alcune specie tintorie diffuse di interesse agricolo e tessile
Le piante normalmente utilizzate per la tintura naturale sono poco più di un centinaio, anche se a livello
mondiale si stima che le piante in grado di fornire una colorazione superino le centomila. In ogni caso, le stesse
si diversificano molto tra loro per caratteristiche botaniche, per areale di origine ed esigenze climatiche, per
ciclo biologico, per organi deputati alla produzione dei pigmenti coloranti (radice, foglie, infiorescenze, semi).
Per gli scopi di questa pubblicazione considereremo, a titolo esemplificativo, solo alcune piante che, più di
altre, presentano una buona adattabilità alle condizioni climatiche italiane, elevate potenzialità produttive
ed un più facile inserimento nei tradizionali ordinamenti colturali. Il riferimento è che la tintura con coloranti
naturali presuppone un’attività agricola che sia dedicata alla coltivazione di tali piante; l’alternativa è la
raccolta delle piante spontanee da cui l’impossibilità di una qualsiasi tintura su larga scala.
Di seguito si riportano le caratteristiche delle tre principali piante tintorie mediterranee e di tre altre piante
attualmente in fase di studio per applicazioni diffuse. Abbiamo così pastello (detto anche guado), robbia e
reseda a cui si aggiungono elicriso, melograno e dafne. Si riportano, altresì, alcune note su mordenti naturali
estratti da specie vegetali che si ritiene presentino aspetti economici interessanti per la loro multifunzionalità
d’uso, proprietà questa ben rappresentata dal melograno.
Per la relativa descrizione, si useranno in ampia misura e con opportune semplificazioni di comodo gli scritti
relativi curati da Tommaso Comunian, Rita Melis, Carolina Vagnoli, Francesca Camilli, nonché le foto di Rita
Melis e Silvia Baronti, tratti dalla pubblicazione “Opportunità lavoro e sviluppo del territorio - Le piante
officinali e i loro colori”. Questa pubblicazione è stata edita nel 2011 dal CNR IBIMET e dal Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali. Essa aveva lo scopo di fornire un primo generale inquadramento sui problemi
connessi con l’approvvigionamento dei coloranti naturali visti come prodotto di un’agricoltura specializzata.
Questa pubblicazione, con tutti gli approfondimenti esaminati, è disponibile in rete digitando il titolo indicato.
Isatis tinctoria
Nomi volgari: Pastello, Guado, Glasto comune, Indaco
Pigmento principale: indigotina
Colore: blu
Isatis tinctoria
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Pianta erbacea infestante della famiglia delle Crucifere (o Brassicacee), l’isatis è nativo, pare, del Mediterraneo,
anche se alcune fonti riportano le sue origini alle steppe caucasiche e all’Ovest asiatico. La sua altezza può
variare dai 40 ai 120 cm. Ha un ciclo biennale: nel primo anno sviluppa una rosetta di foglie piccole ed ovate,
mentre nel secondo anno emette uno scapo fiorale con foglie allungate, con numerosissimi fiori gialli, dai
quali si originano dei semi rivestiti di un tegumento di colore violetto.
La coltivazione si realizza in file distanti 15-30 cm. La semina può essere effettuata in autunno o in primavera,
e la raccolta inizia già dal primo anno a carico delle sole foglie della rosetta basale, a partire dalla fine di
giugno. Se la pianta è mantenuta in ottime condizioni di disponibilità idrica, la rosetta ricaccia consentendo
un numero di tagli variabile da 2 a 4, intervallati di 5-7 settimane.
Sono le foglie fresche della pianta a contenere i precursori del pigmento indaco. Tuttavia, le proprietà
coloranti delle foglie diminuiscono con il trascorrere dell’estate: per tradizione, in Italia, l’ultimo taglio veniva
fatto il 29 settembre, giorno di San Michele. Le foglie possono essere raccolte a mano, una per una alla loro
base, oppure attraverso dei sistemi meccanici più moderni, ma mutuati da altre colture, come ad esempio le
macchine per la raccolta dei foraggi.
Un tempo, il trattamento delle foglie prevedeva il lavaggio e la macinazione delle stesse sino alla loro riduzione
in poltiglia; quindi, venivano confezionate in “pani” per essere essiccate. Durante l’essiccazione lenta, i “pani”
venivano continuamente rivoltati, stesi ad asciugare su delle reti, perché rimanessero compatti. Al termine
dell’essiccazione, i tintori sbriciolavano i pani con i martelli e poi li facevano sciogliere in acqua e solfato
di ferro (prima che questo venisse scoperto si scioglievano in acqua e urina). Infine, filtrando il liquido, si
otteneva il bagno di colore. Attualmente, i precursori dell’indaco sono estratti dai tessuti fogliari attraverso
un particolare sistema di macerazione in acqua, in condizioni riducenti. In genere, il bagno di colore viene
disidratato fino all’ottenimento del colorante in polvere.
L’indaco può essere utilizzato per la colorazione di tutte le fibre naturali.
Rubia tinctorum
Nomi volgari: Robbia, Garanza Pigmento principale: alizarina
Colore: rosso
Rubia tinctorum
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La robbia è una delle più importanti piante tintorie della tradizione europea: dalle sue radici e dai suoi fusti
sotterranei i popoli di tutto il continente hanno tratto per tremila anni il pigmento rosso, impiegato nelle
tinture delle stoffe, nella pittura e nella decorazione. Dal Neolitico fino al 1880, insieme al guado e alla reseda,
fu tra le tre fondamentali piante da cui estrarre i tre colori principali. Dalla Grecia al Marocco, dalle Highlands
alla Gallia e alla Persia, la coltura di quest’erba trovò ampia diffusione, tanto che si può dire che l’industria
tessile e tintoria fu, per secoli interi, letteralmente dipendente da questa radice per colorare cotone, lino e
lana.
Il suo impiego nella tintoria fu un enorme successo perché il colore ottenuto dalle sue radici si presenta
molto brillante nei filati, stabile (tende cioè a restare intatto anche dopo il lavaggio prolungato dei filati) ed
economico (rispetto, ad esempio, alla porpora animale). In seguito alla scoperta del processo chimico con cui
riprodurre l’alizarina, la coltivazione della Rubia tinctorum fu abbandonata e tale specie si inselvatichì nelle
zone costiere e submontane dell’Italia peninsulare e insulare, diffondendosi nel sottobosco di ambienti a
clima mediterraneo, al pari di una specie assai simile: la Rubia peregrina.
La Rubia tinctorum è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Rubiacee, alta sino ad un metro,
rizomatosa, abbondantemente ramificata, dotata di lunghi fusti rampicanti a sezione quadrangolare e
ricoperti da brevi aculei rivolti verso il basso e foglie verticillate. All’ascella delle foglie si formano piccoli fiori
bianco-giallastri riuniti in grappoli, che compaiono all’inizio dell’estate e da cui si originano bacche rosso scuro
che, a maturazione, diventano nere.
La coltivazione si effettua in file distanti 20-30 cm. La semina viene effettuata in primavera, ma si può fare
ricorso anche a talee radicate da mettere a dimora in primavera o in autunno. La raccolta avviene al terzo
anno se le piante sono ottenute da semina o già al secondo anno, in caso di avvio della coltivazione mediante
trapianto.
Le radici cilindriche e i fusti ipogei rappresentano la parte interessante dal punto di vista tintorio: sono i rizomi
dall’odore pungente che acquistano la capacità di produrre il pigmento colorante in quantità sostanziali solo
dal terzo anno dalla semina.
Il colorante alizarina, un glucoside, si deposita con il tempo nella corteccia delle radici, fissandosi. Le radici
vengono estratte dalla terra, lavate, essiccate e macinate, per ottenere una sottile polvere colorante,
praticamente inattaccabile, che può durare in conservazione per diversi anni.
Dalla polvere della radice della robbia, macinata finemente, è piuttosto semplice ottenere una buona
colorazione, soprattutto con fibre naturali come la lana e il cotone.
Reseda lutea, reseda luteola
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Reseda lutea, reseda luteola
Nomi volgari: Reseda biondella, Amorino, Biondella
Pigmento principale: luteolina
Colore: giallo limone. L’utilizzo del pigmento della reseda è tra i più antichi e diffusi metodi di tintura in
Europa. Originaria probabilmente dell’area mediterranea, questa pianta è stata utilizzata dall’uomo già dal
Neolitico, ma le prime testimonianze scritte sono riportate nella Bibbia e nei testi di autori romani (Plinio il
Vecchio, in particolare, la nominò e la descrisse per le sue proprietà fitoterapiche). Il giallo da reseda era il
colore con cui le Vergini Vestali romane tingevano i loro abiti e quelli delle giovani spose nella florida Roma
degli Imperatori. Questa specie veniva utilizzata anche ai confini dell’Impero, in particolare dai Galli, nelle
aree francesi, insieme alle altre due piante fondamentali della tintura europea, la robbia ed il guado. E’ diffusa
in tutta Italia, comprese le isole.
La reseda si diffuse rapidamente presso tutte le popolazioni europee per la sua facilità di reperimento e la
sua economicità rispetto a piante come il cartamo (o zafferanone) che dovevano essere importate. E’ stata
ampiamente coltivata fino a tempi relativamente recenti. La pianta di reseda ha un ciclo biennale e cresce
spontanea nelle zone abbandonate o sui cigli delle strade e perfino nelle crepe dei muri perché predilige i
terreni calcarei ed i luoghi soleggiati.
I suoi fiori profumati, giallo-verdi, sono riuniti in spighe dritte e grandi: cresce soprattutto nel secondo anno
d’età, fino ad un metro e mezzo circa d’altezza. Nel primo anno di vita la pianta produce soltanto una rosetta
basale, mentre è proprio nella seconda annata che sviluppa il fiore dalle particolari proprietà coloranti.
In realtà, per tingere viene utilizzata tutta la pianta, fresca o essiccata. Infatti, tutte le sue parti, radici, rami,
foglie, semi contengono un principio colorante giallo che è il più puro e solido che si possa ottenere in natura.
La molecola colorante della reseda si chiama luteolina, parola che deriva etimologicamente dal nome latino
del colore “giallo” (luteus), dato che cristallizza in questa tonalità in maniera pura e brillante e decisamente
solida. Il pigmento si utilizza per colorare lana, cotone, seta e lino. A seconda dei mordenti utilizzati, poi, è
possibile ottenere dalla stessa pianta anche bellissime tonalità di verde.
La coltivazione si effettua in file distanti 15-30 cm. La semina può essere autunnale o primaverile e il momento
ottimale per la raccolta dell’intera pianta è la fine della fioritura, al secondo anno dall’impianto.
Daphne gnidium
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Daphne gnidium
Nomi volgari: Dittinella, Gnidio, Erba corsa
Pigmento principale: insieme di flavonoidi
Colore: senape
Nei tempi antichi la dafne veniva utilizzata come medicamento con proprietà purgative, emetiche e vescicanti.
Tuttavia, la pianta è molto velenosa in tutte le sue parti. E’ nota per il forte contenuto di veleno presente nelle
sue bacche e per la sostanza urticante che si trova nelle radici. Con lo schiacciamento di queste ultime, nel
novecento, nell’estremo ponente ligure, veniva praticato un particolare tipo di pesca delle anguille nei piccoli
corsi d’acqua (pesca vàregu).
La Daphne gnidium è un arbusto sempreverde della famiglia delle Thymelaeaceae, alto dai 50 cm ai 2 m.
Cresce soprattutto nel sottobosco della macchia e dei boschi mediterranei, nelle siepi delle regioni costiere,
prediligendo suoli poveri e pietrosi. Si presenta come un singolo ramo che spunta dal terreno e si ramifica poi
leggermente. I rami sono eretti e densamente ricoperti da foglie sessili, glabre, coriacee, lineari e strettamente
lanceolate, lunghe 20-50 mm e larghe 3-10 mm. La pagina inferiore è più chiara della superiore. I fiori bianchi,
raccolti in corte pannocchie, sbocciano all’apice dei rami. I petali sono saldati a formare un tubo bianco lanoso
terminante con 4 lacinie ovate di colore bianco giallastro. Calice e peduncolo fiorale sono pelosi. Il frutto è
una drupa ovoidale carnosa, dapprima di colore verde, poi arancio, rosso e, a maturazione, nerastro.
Le piante di Daphne gnidium contengono molti componenti bioattivi e sono dotate di molteplici attività
biologiche e terapeutiche che fin dai tempi antichi sono state utilizzate nella medicina popolare. Ben poco è
conosciuto sulle loro proprietà antiossidanti mentre è noto che l’estratto fogliare di questa pianta possiede
una discreta attività antibatterica e antimicotica ed una buona tollerabilità cutanea, mentre l’estratto della
corteccia induce un danno fotochimico cutaneo.
La daphne è una delle principali piante spontanee coloranti utilizzate tradizionalmente in Sardegna per la
colorazione della lana.
Helichrysum italicum
Nome volgare: Elicriso
Pigmento principale: insieme di flavonoidi
Colore: giallo paglierino
Helichrysum italicum
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L’Helichrysum italicum è una pianta perenne suffruticosa che, con le sue numerose ramificazioni, contorte
ed ascendenti, forma un piccolo cespuglio alto 30-40 cm, di colore biancastro per il tomento di peli lisci
grigiastri che la ricoprono, almeno nello stadio giovanile. E’ uno dei principali componenti della macchia
bassa delle regioni costiere e forma, a volte, estese associazioni monofloristiche dal profumo intenso. Nelle
zone interne, la pianta diventa più rada e, in genere, si trova in zone rocciose o pietrose. Allo stato naturale
l’elicriso è una specie perenne, ma in coltivazione diventa una coltura “sarchiata” la cui massima performance
produttiva viene generalmente raggiunta al terzo e quarto anno e la cui durata economica si aggira sui sei
anni. L’allestimento della coltura può avvenire sia per semina diretta che per trapianto di piantine ottenute o
da seme o da divisione dei cespi oppure da talea radicata.
La preferenza va al trapianto che consente di realizzare un impianto più uniforme e regolare. La resa in
piantine e il tempo di radicazione sono molto variabili in funzione delle condizioni di sviluppo. II trapianto
a dimora si realizza appena non vi sia più pericolo di gelate o ritorni di freddo. L’elicriso richiede una buona
esposizione al sole, specialmente per la produzione e la valorizzazione dell’olio essenziale. Predilige terreni
leggeri, tendenzialmente calcarei, non eccessivamente fertili. I capolini sono raccolti in fioritura. I tipi di
coltivazione sono principalmente due:
1 - impianto fitto (45-50 cm x 15-20 cm) = 12-18 piante/m 2 produzione d’olio essenziale
2 - impianto rado (70 x 25-30 cm) = 3-5 piante/m 2 produzione di droga secca (rametti fioriti) e/o di fiori secchi
L’elicriso è una delle piante più note per prevenire e curare le scottature solari e altre affezioni della pelle.
Presenta, inoltre, proprietà antinfiammatorie, antieczematose, antibatteriche, stimolanti epatiche e gastriche
e, per questo, ha trovato posto nel gruppo delle piante più tipiche della tradizione erboristica nazionale ed
europea. Viene utilizzata in campo cosmetico (come componente di preparati per pelli atoniche), medicinale
(per le sue proprietà antiallergiche, antinfiammatorie, antisettiche, foto-protettive, balsamiche, cicatrizzanti)
e alimentare (aromatizzante per cibi, per cui è detta anche “curry plant”).
Punica granatum
Nome volgare: Melograno Pigmento principale: vari tannini
Colore: dal giallo-arancio al nero
Punica granatum
19
Il nome scientifico del melograno, Punica granatum, deriva dal latino “punicus” che significa cartaginese
perché Plinio il Vecchio, ritenendola erroneamente una pianta di origine dell’Africa Settentrionale, la chiamava
“melo cartaginese” ed affermava che i migliori melograni provenissero da Cartagine. Le notizie relative alla
provenienza e alle origini di questa specie, a causa della sua antichità, sono piuttosto frammentarie ed
incomplete. Oggi si ritiene che il melograno sia di probabile origine persiana. Coltivato fin dall’antichità in
molti paesi a clima caldo e asciutto, già in epoca romana si era diffuso in tutte le zone a clima mite dove col
tempo si naturalizzò con grande facilità.
In particolare, la Penisola iberica ebbe un tempo il monopolio della sua coltivazione grazie alle buone capacità
agricole del popolo arabo. Attualmente, l’area compresa tra le città di Kashan, Saveh e Yazd in Iran ospita la
più pregiata coltivazione di melograni al mondo.
Il melograno è una pianta arbustiva alta fino a 4 m, molto utilizzata in diversi settori, specialmente nella
tradizione medio orientale. Il suo succo è una bevanda molto comune, ricca di fibre, potassio, vitamina C
e niacina (vitamina PP). Il succo viene usato anche come antisettico se applicato sulle piccole ferite. I frutti
hanno proprietà astringenti e diuretiche ma, in alte dosi e bevuto a lungo nel tempo, possono risultare
eccitanti del sistema nervoso e dei battiti cardiaci. La corteccia dell’albero è un potente tenifugo, è velenosa
e da usare con molta cautela. I fiori si usano in infuso contro la dissenteria. Il succo addensato e zuccherato
è chiamato granatina, sciroppo usato in passato per la preparazione di aperitivi (oggi ottenuto per lo più con
agrumi ed essenze aromatiche).
Oltre che per uso culinario, medicinale ed ornamentale, il melograno è utilizzato per estrarre il tannino,
abbondantemente presente nei bottoni fiorali e nella buccia del frutto: quest’ultima era e, in alcuni paesi, è
ancora largamente impiegata nella tintura e, in particolare, per Ia preparazione di giallo-arancio ma anche di
colori scuri.
Il melograno è una pianta tipica della macchia mediterranea dove si sviluppa su terreni aridi. La crescita
è lenta, ma la sua coltivazione non richiede cure particolari: solo esposizione soleggiata e annaffiature
abbondanti in periodi di siccità e nella fase giovanile. Questa pianta si è adattata bene nelle zone a clima mite
con esposizione in pieno sole ad un’altitudine compresa tra 0 e 800 m sul livello del mare. Diffuso in tutto il
bacino del Mediterraneo e in Asia, dai Balcani all’Himalaya, ha una buona resistenza alle basse temperature.
Il melograno è poco esigente anche per quanto riguarda il suolo, ma preferisce generalmente terreni ben
drenati. Il fusto è sinuoso e dotato di scorza giallo rossiccia e di rami moderatamente spinosi. Le foglie sono
semplici, brevemente picciolate e caduche; alterne sui rami principali, opposte o verticillate sui rametti, di
un colore rosso rame appena emesse, verde brillante e lucide a completo sviluppo. Hanno forma obovata o
ovato-lanceolata a margine leggermente sinuoso con apice generalmente arrotondato. I fiori sono ermafroditi,
solitari, oppure in grappoli di due o tre, posti sulla sommità dei rami giovani ed hanno un diametro di 3-4 cm.
La fioritura avviene da giugno a ottobre, in base al clima del luogo dove si sviluppa la pianta. Il frutto è una
falsa bacca, detta balaustio, con epicarpo coriaceo, di colore giallo rossiccio, mesocarpo spugnoso di colore
giallo ed endocarpo sottile e membranoso che riveste e delimita le logge in cui sono racchiusi numerosi
semi angolosi, con polpa esterna gelatinosa di colore rosso rubino. Il frutto ha generalmente un diametro
compreso tra i 6 e i 12 cm, risulta più piccolo nelle piante ornamentali e matura in autunno.
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Juglans spp (spp = species plures)
Nome volgare: Noce
Pigmento principale: vari tannini
Colore: marrone scuro e nero
Juglans spp.
Le piante appartenenti al genere juglans sono alberi decidui i cui frutti sono costituiti da una drupa con un
epicarpo ricco di tannino, comunemente detto mallo. Il noce è un albero che può raggiungere l’altezza di
25-30 m; il tronco può misurare 2-3 m di circonferenza ed è rivestito di corteccia di color grigio chiaro che si
screpola nell’età avanzata. Le foglie sono composte, imparipennate, cioè costituite da foglioline in numero
dispari (da 5 a 9). Le foglioline sono lisce, ovali, munite di un brevissimo picciolo. Il seme, edule, è racchiuso
in un endocarpo legnoso ed ha un grande valore nutritivo. Oltre che come nutrimento, il seme è utilizzato per
l’estrazione dell’olio utilizzato in farmaceutica. Le foglie sono utilizzate in erboristeria per preparare un infuso
usato come astringente. Il legno della pianta è utilizzato per realizzare mobili di particolare pregio sia per la
sua durezza, sia per la bellezza che assume dopo la lucidatura.
I frutti utilizzati per tingere sono quelli di Juglans cinerea (noce bianco) e Juglans nigra (noce nero). Il mallo
dei frutti del noce bianco è utilizzato per conferire al tessuto un colore marrone-rossiccio, mentre quello del
noce nero dà una tinta marrone-scuro e nera.
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5 - Stato della ricerca agronomica ed estrattiva nel campo delle piante tintorie
Uno sviluppo di tinture naturali su larga scala, in grado di rispondere in modo sistematico alle richieste di un
mercato potenziale, presuppone l’esistenza di una filiera produttiva. A monte di questa filiera produttiva ci
deve essere la fornitura di piante, ossia un sistema di coltivazioni costanti con l’eventuale raccolta, anch’essa
sistematica, di quelle spontanee. Solo in questo modo chi vorrà tingere potrà avere la sicurezza di una fornitura
continua di pigmenti coloranti, di qualità certificata e a prezzi di acquisto concorrenziali.
Allo stato attuale, un tale genere di coltivazione diffusa e quindi di fornitura certa non esiste in Italia. Esistono,
invece, alcuni casi di coltivazione di alcune piante, praticamente quasi solo per uso proprio di chi le coltiva o
per un piccolo commercio fra hobbisti.
Poiché la pratica delle tinture con coloranti naturali avrebbe potuto costituire motivo di lavoro e di reddito,
già dal 1980 varie Università, con il concorso di enti pubblici e dello Stato, hanno avviato studi specifici.
Si riporta di seguito un’ampia panoramica degli studi e delle ricerche sviluppate in proposito fino al 2016. Di
studi più recenti non è dato di sapere. Gli studi possono ascriversi a due macrofiloni di ricerca: quello agricolo
e quello legato alla caratterizzazione chimica degli estratti e alla stessa produzione di estratti di coloranti
naturali. Un’ampia panoramica dei primi è stato redatto dalla professoressa Luciana Angelini dell’Università
di Pisa; gli altri da vari ricercatori, spesso di enti diversi, facenti capo alla professoressa Annalisa Romani
dell’Università di Firenze.
La parte di lavoro della prof.ssa Angelini riportato di seguito è inserita nella relazione “La filiera delle piante
coloranti, dalla produzione agricola al controllo di qualità. Analisi e casi studio di alcuni progetti di ricerca e
sviluppo”. La stessa relazione è inserita negli atti del convegno “Cosinterra - Colture da fibra, fibre animali,
piante tintorie, piante officinali” svoltosi nel 2016 a Bastia Umbra. Il testo completo può essere scaricato al
seguente indirizzo: http://www.cosinterra.it/images/cosinterra-atti-del-convegno-2016.pdf .
Scrive la prof.ssa Angelini:
Le ricerche sulle piante da coloranti naturali di origine vegetale sono state riprese alla fine degli anni ‘80 del
secolo scorso quando, dopo decenni di abbandono, l’Unione Europea cercò di riorientare gli interventi di
politica agricola per sviluppare colture alternative, cioè colture in grado di fornire produzioni con destinazione
diversa rispetto a quella tradizionale, principalmente indirizzata ad usi alimentari.
Assieme alla estensivazione e alla messa a riposo dei terreni, il sostegno dell’innovazione di processo e di
prodotto nel settore comunemente etichettato come non food fu visto come uno dei mezzi per ridurre i costi
delle eccedenze di produzioni alimentari, sempre più elevati e ormai insostenibili. Oltre agli studi sulle specie
da biomassa per energia, fibra, oli industriali, ecc., furono anche ripresi, da parte di alcuni centri di ricerca, gli
studi sulle piante da coloranti naturali al fine di verificare la possibilità di una loro re-introduzione nei sistemi
agricoli europei.
Il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa ha partecipato, a partire dalla fine degli anni ’80 a numerosi progetti
di ricerca sulle piante coloranti, lavorando in team multidisciplinari e in stretto collegamento con il mondo
agricolo, quello artigianale e industriale. Uno dei primi progetti realizzati nel nostro Paese è stato il Progetto
di Ricerca sulle Colture Alternative (PRisCA) finanziato e promosso dal Ministero delle Politiche Agricole
che ha operato dal 1992 al 1997 ed ha visto impegnate le Università di Bologna (nel ruolo di coordinatore)
(Venturi e Amaducci, 1998). Sono state realizzate prove di adattabilità alle diverse condizioni pedoclimatiche
di numerose specie tintorie e per ciascuna di queste sono state confrontate varietà ed ecotipi valutandone
la resa e il contenuto in principi coloranti (Angelini e Belloni, 1992; Angelini e Bonari, 1995; Marotti, 1997;
Angelini et al., 1997 a, b; Marini, 1998; Angelini, 1998; Angelini e Macchia,1998; Angelini, 1999; Ceccarini e
Angelini, 2003; Angelini et al., 2003a).
Parallelamente hanno preso l’avvio alcune iniziative progettuali su scala territoriale nell’ambito del
Regolamento Comunitario 2052/88, obiettivo 5b a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile di aree
svantaggiate situate in diverse Regioni quali Toscana, Veneto, Marche, Lazio e Sardegna.
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Un importante passo in avanti nella ricerca e nello studio delle piante da coloranti naturali è rappresentato
dal Progetto di Ricerca Europeo Air-CT94-0981 “Cultivation and Extration of Natural Dyes for Industrial Use
in Natural Textiles Production” (Hill, 1992; Vetter, 1999; Vetter et al., 1999), che ha affrontato diversi aspetti,
dallo studio delle esigenze pedoclimatiche, alla messa a punto di tecniche colturali ottimali, alla raccolta
e prima trasformazione, alla tintura, incluso l’uso di ausiliari e mordenti. E’ stato infine studiato l’impatto
ambientale della produzione dei coloranti naturali e sono state svolte alcune valutazioni economiche.
Il progetto di ricerca si è concluso nel 1997 e ha messo in evidenza come alcuni aspetti critici siano ancora da
ottimizzare dal punto di vista tecnico-scientifico ed economico.
Nel caso specifico del colorante indaco, la bassa resa e i costi di produzione ancora elevati e non competitivi
rispetto al prodotto importato dai paesi extraeuropei, sono stati indicati come ulteriori elementi di criticità
per l’avvio di una filiera produttiva sostenibile anche economicamente.
Altri progetti europei hanno cercato di focalizzare l’attenzione sul guado, considerata la più antica fonte di
colore blu da indaco in Europa, sviluppandone e ottimizzandone l’agrotecnica e le procedure di estrazione del
colorante al fine di produrre inchiostri per la stampa (Hill, 1997; Gilbert e Cooke, 2001).
Dal 2001 al 2004 ha preso l’avvio il progetto “Spindigo - Sustainable Production of Plant-derived Indigo”(http://
www.spindigo.net/), finalizzato all’introduzione di piante da indaco naturale nei sistemi agricoli europei e
all’impiego di materie prime rinnovabili nel settore tessile, in alternativa ai coloranti di sintesi (AA. VV., 2006).
Le ricerche hanno messo a fuoco le potenzialità di alcune specie da indaco naturale ed in particolare di Isatis
tinctoria L., Isatis indigotica Fortune ex Lindley e Persicaria tinctoria Mabberley.
Il consorzio di ricerca, con competenze multidisciplinari, ha coinvolto sia centri di ricerca che partner industriali
di diversi Paesi europei, consentendo così di condurre sperimentazioni in un’ampia area geografica, dalla
Finlandia alla Spagna, e di affrontare temi di ricerca che spaziavano dalla fase della produzione della materia
prima, a quella di estrazione ed utilizzazione industriale del prodotto finito (John, 2004).
Importanti risultati sono stati ottenuti sul miglioramento genetico e la caratterizzazione fitochimica di
numerose accessioni di guado, Isatis indigotica e Persicaria tinctoria (Angelini et al., 2003; Angelini et al.,
2007; Gilbert et al., 2002; Campeol et al., 2006; Salvini et al., 2008) che hanno consentito di ottenere mediante
incrocio e selezione linee caratterizzate da resa stabile e elevata (John, 2004; Tozzi, 2005).
Sono stati altresì valutati numerosi fattori agronomici ed ambientali sulla resa di biomassa e la produzione
di indaco (Angelini et al., 2004; Angelini et al., 2005; Angelini e Bertolacci, 2008; John e Angelini, 2009) sui
processi estrattivi (Becthold et al., 2002; John, 2004, 2009) sulle fasi di applicazione in tintura e sul controllo
di qualità del prodotto (Garcia-Macias e John, 2004; John, 2009).
Importanti progetti a scala regionale sono stati quelli condotti in Toscana (ACTIVA Scenari per l’agricoltura non
food in Toscana - Arsia, Regione Toscana 2005-2006; Progetto regionale “Ottimizzazione della coltivazione
del guado e valutazione delle potenzialità produttive di nuove piante da coloranti naturali nella Valtiberina
Toscana”, Comunità Montana Valtiberina Toscana, Arsia Regione Toscana, 2006-2007; Progetto Lamma-Test,
CNR-Ibimet; progetto Agri-colori, Cia Cipaat, Donne in Campo Regione Toscana) e nelle Marche (Progetto
“Introduzione Dei Coloranti Naturali Nel Settore Industriale Marchigiano dell’abbigliamento”, POR-Regione
Marche, 2008-2010; Progetto “Montefeltro tintoria” Comunità Montana Alto e Medio Metauro, 2008-2009)
con cui si è cercato di trasferire su scala territoriale gli aspetti innovativi della ricerca mediante il coinvolgimento
di aziende agricole, piccole e medie imprese del settore tessile e amministrazioni locali. Questi progetti hanno
consentito di definire tecniche di coltivazione su scala aziendale e di mettere a punto tecnologie estrattive
innovative. L’applicazione del colorante ottenuto a livello di tintoria industriale ha consentito di verificare la
fattibilità dei processi e la qualità delle produzioni.
In collaborazione con alcune aziende tessili e tintorie industriali sono stati infine realizzati progetti innovativi
finalizzati all’applicazione dei coloranti vegetali ai prodotti tessili del comparto moda (“KOS Project: una
innovazione nella tecnologia di colorazione con l’utilizzo di pigmenti naturali”, Regione Toscana -2004- 2005;
Progetto Essentia, 2008-2010).
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Le conoscenze così acquisite sono state diffuse, attraverso pubblicazioni e incontri, ai potenziali interessati.
Diversi piccoli agricoltori e sostenitori delle tinture con coloranti naturali ne hanno usufruito. Tuttavia allo stato
attuale non risultano coltivazioni sistematiche in grado di fornire un reddito ai relativi coltivatori risultando
ancora troppo forte le criticità, soprattutto economiche, da superare in termini di gestione dei coltivi e della
commercializzazione dei pigmenti derivati.
Come si diceva, sono state sviluppate ricerche anche per la caratterizzazione chimico-fisica dei pigmenti
coloranti e relativo ottenimento sotto forma di estratti, cioè di più facile uso nel corso delle operazioni di
tintura. Referente principale di questi studi è la prof.ssa Annalisa Romani del Dipartimento Phitolab-Disia
dell’Università di Firenze sede di Farmacia nel Campus Universitario di Sesto Fiorentino. Le ultime ricerche
note nel campo sono state svolte nell’ambito del progetto PIF Liberty – PAN –PSR 2014-2010 della Regione
Toscana, annualità 2015. Una parte dei risultati ottenuti è riportata nella relazione “Estratti vegetali e pigmenti
naturali con proprietà antimicrobiche e repellenti per il settore tessile ed arredo lanieri” pubblicata in “La lana
nei convegni AICTC del 2017 a Prato e a Biella” nel Quaderno Q23 dell’AICTC del dicembre 2017.
Le piante prese in considerazione in questi studi sono quelle descritte nel capitolo “4 - Su alcune specie tintorie
diffuse di interesse agricolo e tessile” di naturale sviluppo in Italia. Questi studi sono stati avviati intorno al
2010 nell’ambito del progetto MED Laine4, con la gestione da parte del CNR Ibimet, per l’ottenimento di
estratti tintorii da metodo di lavorazione semi-industriale e, per quanto noto, ora conclusi con la realizzazione
di specifici impianti prototipi per la produzione di estratti coloranti a titolo noto. Anche in questo caso i
risultati sono stati messi a disposizione delle aziende interessate alla produzione dei relativi principi coloranti.
Tuttavia, al momento, non risultano ancora produzioni su scala commerciale.
Un progetto con finalità intermedie a quelli esposti sopra è stato quello della “Linea Parco” che si è sviluppato
nell’ambito di progetti di cooperazione interregionale quali Materra (Ecos-Ouverture 2000-2002) e Tools
(Interreg IIIC 2005-2007). Esso aveva come obiettivo la promozione del Parco Nazionale del Cilento e Vallo
di Diano attraverso la valorizzazione del patrimonio umano, artigianale, oltre a quello floristico officinale del
parco per mezzo di prodotti tessili tinti con coloranti naturali e prodotti erboristici e fitocosmetici ottenuti
da piante del Parco Nazionale stesso. Tra gli obiettivi era stata prevista anche la creazione di una “officina
artigianale di tintura” con i coloranti del Parco. A tale scopo furono sviluppati specifici seminari e lezioni di
chimica e tecnologia tintoria presso la R.S. – Ricerche e Servizi di Prato con il coinvolgimento di diverse aziende
di tintura sempre di Prato destinati ai neolaureati interessati all’iniziativa. L’esperienza si è poi arenata per il
mancato sostegno finanziario alla start-up nata in seno al Dipartimento di Farmacia dell’Università di Salerno
che collaborava con il parco del Cilento.
Di interesse anche il progetto europeo “Cilestre” (1997-1999), portato avanti dalla Regione Marche che si è
impegnata nello studio per il recupero dell’intera filiera delle piante officinali tintorie.
In Sardegna, da marzo 2005 a ottobre 2006, l’Ente di Ricerca e Sviluppo Tecnologico, Sardegna Ricerche, si è
svolto il progetto pilota “Erbe officinali” sull’impiego di tecniche di estrazione convenzionali ed innovative per
la valorizzazione di specie vegetali presenti nell’isola. Tale progetto ha avuto come obiettivo la messa a punto
delle condizioni di estrazione di oli essenziali sia in corrente di vapore che mediante l’impiego di anidride
carbonica supercritica, il confronto fra le due tecniche di estrazione, la verifica della possibilità di estrazione
di principi attivi da piante coltivate e spontanee e da scarti di produzione industriale.
4
Progetto transfrontaliero Italia-Francia Marittimo, “MED-Laine. A la recherche des couleurs et des tissus de la Méditerranée” che coinvolge
i territori di Toscana (Provincia di Grosseto), Sardegna (Province di Sassari e del Medio Campidano, AGRIS Sardegna) e Corsica (Camera dei
Mestieri e dell’Artigianato dell’Alta Corsica) che aveva l’obiettivo di sviluppare capacità di innovazione, creazione e applicazione di processi e
prodotti nelle piccole e medie imprese dell’agricoltura, dell’artigianato (settore tessile-tintorio e fitoterapico) e del turismo.
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6- Il mercato e la gestione delle piante tintorie quale caso particolare delle piante officinali
Le piante tintorie possono essere considerate come un caso particolare, con riferimento alla loro capacità di
tingere, di piante officinali. Tale inquadramento è giustificato da almeno tre ragioni: oggi è difficile definire
tali piante come piante di interesse industriale attuale (almeno in Italia), anche se nel passato lo hanno avuto;
spesso presentano in senso lato anche proprietà di interesse medico; dati e statistiche di riferimento, quando
disponibili, rientrano tra quelli delle piante officinali propriamente dette.
Vediamo di seguito lo stato attuale del mercato delle piante tintorie valutandone struttura, opportunità e
criticità. Allo scopo si utilizzerà l’ottima analisi riportata nel volume già citato “Opportunità lavoro e sviluppo
del territorio - Le piante officinali e i loro colori” con opportuni adattamenti ed integrazioni.
Il mercato delle piante officinali-tintorie è caratterizzato da scambi commerciali tra paesi che si trovano in
diversi continenti ed ha in genere caratteristiche di scarsa trasparenza e ampia oscillazione di anno in anno,
sia per quanto riguarda le quantità scambiate ed il prezzo, sia per quanto riguarda la specie e la tipologia di
essenza commercializzata. Dalla parte della domanda operano poche grandi aziende, in genere multinazionali,
soprattutto tedesche e francesi, che commercializzano e trasformano la materia prima sia in semi-trasformati
che in prodotti finiti e una fitta rete di intermediari (broker, agente di intermediazione) che si occupa della
compravendita. L’offerta è, invece, estremamente frammentata e proviene da una moltitudine di raccoglitoricoltivatori
di regioni molto povere ed arretrate del mondo, oppure, per quanto riguarda l’Europa, dai Paesi
dell’Est che non sono in grado di immettere sul mercato prodotti ad alto valore aggiunto né di elevata qualità,
a causa delle operazioni di pre-essiccazione che si svolgono spesso in condizioni precarie.
Nonostante ciò, la vendita delle piante officinali coltivate è in competizione con quella delle specie raccolte
allo stato spontaneo che sul mercato spuntano un prezzo inferiore, adottato come riferimento dai broker per
l’acquisto di quelle coltivate.
È in crescita, comunque, la richiesta di prodotti di elevata qualità derivanti da agricoltura biologica che vengono
sempre più preferiti dall’industria e da questa pagati meglio. In Europa, i prodotti da raccolta spontanea
arrivano soprattutto dall’Albania e da altri Paesi dell’Est, ma anche dalla Turchia e dalla Spagna.
In ogni caso, data la struttura oligopolistica, l’ingresso nel mercato delle officinali-tintorie è molto difficile per
il singolo coltivatore, a meno questo che non sia in grado di inserirsi nelle sedi commerciali opportune e di
superare i problemi di coltivazione legati alla carenza di informazioni tecniche e ai mezzi tecnici disponibili che
si traducono in costi di produzione elevati e, a parità di prezzo, in una minore remunerazione per il produttore.
Lavandula stoechas
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Da segnalare, a questo proposito, le attività della Federazione Italiana Produttori Piante Officinali (FIPPO),
l’associazione nazionale dei produttori e trasformatori di officinali che nel suo statuto si propone, tra le altre
cose, di tutelare gli interessi generali dei produttori, promuovere reti di informazione, assistenza tecnica e
partecipazione a programmi di ricerca applicata e la creazione di un marchio unico per la promozione e la
tutela delle erbe officinali prodotte sul territorio italiano.
Se si vuole entrare in questo settore, dunque, è bene intraprendere l’attività di coltivazione con un approccio
di filiera, puntando ad ottenere prodotti di qualità, meccanizzando, per quanto è possibile, le varie fasi
colturali per ridurre i costi di produzione e stipulando accordi con i settori industriali per avere la garanzia del
ritiro del prodotto ed il pagamento di un prezzo minimo (contratti di coltivazione).
La coltivazione delle piante officinali, quindi, se deve essere redditizia, non deve essere vista come coltura
marginale o da attuare in ambienti marginali a meno che, come riportato da G. Voltolina nel suo intervento al
convegno internazionale del 2009 realizzato nell’ambito del progetto AGRIMONT, “quelli che si considerano
ambienti marginali possano essere visti in un’altra ottica, e cioè come territori con aspetti culturali, di
tradizione, di ambiente e di vegetazione molto caratterizzanti e che, in quanto tali, possono dare al prodotto
elementi di univocità, di esclusività e quindi di valore aggiunto importanti e non soggetti a concorrenza, anche
se a volte si tratta di mercati molto orientati o di nicchia”.
Dato che in Italia la coltivazione di specie per applicazioni nel settore tintorio non è più praticata da tempo, è
improbabile trovare la disponibilità di semi o piantine presso i vivai locali: infatti, allo stato attuale, coloro che
effettuano la colorazione naturale acquistano sul mercato d’importazione i prodotti tintorii in taglio tisana o
come estratti in polvere o usano piante spontanee, come nel caso, ad esempio, degli artigiani della Sardegna
o i promotori del progetto di valorizzazione delle piante locali avviato in Campania dall’Ente Parco del Cilento
e Vallo di Diano.
Coltivare le piante officinali-tintorie non è molto diverso dal coltivare qualsiasi altro tipo di specie vegetale.
Anche le informazioni di base per poter stabilire se tale coltivazione è possibile sono le medesime: occorre,
infatti, conoscere la composizione chimica e la tessitura del terreno su cui si vuole impiantare la coltura e le
necessità edafiche e climatiche della specie da coltivare. Solo se corrispondono, la coltivazione avrà buone
probabilità di successo.
Per quanto riguarda la tecnica colturale, un aspetto non sufficientemente definito è la strategia di controllo
delle piante infestanti, la cui presenza può incidere negativamente sulla qualità del prodotto finale. La
mancanza di erbicidi registrati può rendere difficile un adeguato controllo delle piante infestanti soprattutto
nelle primissime fasi dopo l’emergenza, quando le piante coltivate sono poco competitive.
Difficoltà, seppur di minor rilevanza perché ormai quasi completamente risolte, esistono in relazione alla
meccanizzazione di queste colture. Gli aspetti legati all’organizzazione aziendale, alla logistica della raccolta,
allo stoccaggio e all’estrazione sono importanti, in particolare, per la coltura del guado, le cui foglie fresche
devono essere “processate” immediatamente dopo la raccolta poiché i precursori dell’indaco sono molto
instabili e vanno incontro a rapida degradazione. Questo comporta la necessità di organizzare le coltivazioni
in diversi lotti di produzione, di raccolta ed estrazione in modo commisurato alla capacità di lavoro degli
impianti. Inoltre, la stagionalità delle produzioni, che comporta una gestione discontinua degli impianti, può
essere superata organizzando delle semine scalari con diversi turni di taglio.
Meno problematica risulta, invece, la gestione post-raccolta di reseda e robbia dal momento che possono
essere essiccate e successivamente trinciate per l’ottenimento di un preparato pronto per l’estrazione del
colorante.
La stagione di raccolta dipende dalla specie, dalla data di semina, dalla durata del ciclo di coltivazione e dalla
parte della pianta da raccogliere. Per le colture adatte al territorio italiano, il periodo più indicato va dall’inizio
dell’estate fino all’inizio dell’autunno. Queste informazioni generali possono riguardare anche la raccolta e
l’utilizzo delle piante spontanee.
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Le radici, i rizomi e i bulbi si raccolgono in autunno e in inverno, durante il periodo di riposo, prelevandoli
da piante che abbiano 2-3 anni. Per quanto riguarda le cortecce, il periodo migliore per la raccolta è l’inizio
della primavera, quando la pianta è in succhio ed esse si staccano con maggiore facilità; dovrebbero essere
prelevate preferibilmente da rami di 2-3 anni che andrebbero quindi potati, in modo da arrecare il minore
danno possibile alla pianta. Le foglie vanno raccolte quando sono completamente sviluppate, cioè dalla fine
della primavera all’inizio dell’autunno. I fiori vanno raccolti quando sono in piena fioritura, mentre la raccolta
dei frutti è opportuno farla quando sono completamente maturi. Per la raccolta dei licheni non esiste, invece,
un momento migliore, poiché si possono cogliere tutto l’anno, preferibilmente dopo una pioggia.
Inoltre, come regola generale, il momento migliore per raccogliere le piante tintorie o parti di esse è la
mattina presto, allorquando nei tessuti si accumulano le maggiori quantità di pigmento, dopo che la rugiada
è evaporata e le piante sono asciutte, ma la temperatura non è ancora alta.
Per essiccare le piante in modo naturale e con i migliori risultati, per disperdere rapidamente l’acqua che
evapora dai tessuti vegetali, per impedire la foto-ossidazione delle sostanze di interesse occorre sistemare
le piante in un ambiente ben aerato e buio. Il materiale vegetale deve essere disposto in un unico strato su
vassoi o rastrelliere di legno, coperti con teli velati. Particolarmente adatte sono le cassette da frutta di legno
che possono essere impilate una sull’altra e che consentono un buon arieggiamento. Un altro metodo di
essiccazione consiste nel legare steli, radici o fiori in mazzetti e appenderli a testa in giù. In queste condizioni,
l’essiccazione dura da 2-3 giorni a una settimana e oltre, a seconda della specie e della parte sottoposta a
disidratazione.
In alternativa, esistono in commercio degli essiccatori a cassetti che consentono il controllo totale delle
condizioni ambientali. Per evitare che le piante si secchino troppo in fretta, l’operazione - che dura qualche
ora - va condotta con gradualità. La temperatura ideale di essiccazione varia tra i 21°C ed i 33°C e non si
dovranno mai superare i 36°C-40°C per non danneggiare i pigmenti tintorii.
Al termine del processo, le foglie ben essiccate si sbricioleranno facilmente, mentre gli steli si spezzeranno
di netto e le radici saranno secche e friabili in tutte le loro parti. Se l’operazione è stata ben condotta, sarà
possibile riconoscere il colore originale delle varie parti.
La raccolta dei semi è più complicata in quanto, dopo la loro maturazione, questi cadono rapidamente: se,
scuotendo leggermente la pianta, se ne vede cadere qualcuno, è il momento di raccoglierli. I semi devono
essere messi ad essiccare in un luogo ventilato, senza calore artificiale. Le capsule seminifere prossime
a maturazione possono essere avvolte in sacchetti di carta così che, quando sono maturi, i semi cadano
all’interno della busta. Prima di poter riporre i semi, questi dovranno essere completamente essiccati per
evitare l’insorgenza di muffe; questo processo può richiedere fino a due settimane.
I frutti e le bacche con capacità tintorie, in genere, non vengono essiccati perché i colori che si ottengono
sono molto diversi da quelli dei frutti freschi; pertanto, si usano appena raccolti oppure si congelano o,
preferenzialmente, si surgelano. Tutte le parti vegetali essiccate si possono conservare, purché siano poste
in un luogo buio, fresco e asciutto, accuratamente riposte all’interno di sacchi di carta o di tela o in scatole
di cartone che, opportunamente etichettate, andranno controllate di tanto in tanto per verificare lo stato di
conservazione dell’essiccato e la presenza di eventuali attacchi di insetti o muffe.
Relativamente al territorio italiano, mancano dati aggiornati riguardanti le superfici investite e le principali
colture presenti: per questo motivo, si possono fornire solo stime approssimative. In Italia, la superficie
attualmente investita ad officinali sarebbe di circa 4.500 ettari e, di questi, 2.238 sono in coltivazione biologica.
Le specie maggiormente coltivate sono frassino da manna, iperico, lavanda e lavandino, liquirizia e menta
piperita.
Assente in bibliografia anche un riferimento specifico alle piante tintorie a proposito delle quali si sa, per
ricerca diretta su Internet, che qualche coltivazione di guado esiste in Francia, nella regione di Poitou-
Charentes e nei Midi-Pyrénées, nel Regno Unito (Norfolk) e 4 ettari in Italia (nelle Marche).
27
A parte la disponibilità a volere raccogliere in proprio un certo quantitativo di piante spontanee da trattare
come sopra indicato, può essere senz’altro più comodo acquistare sul mercato le polveri coloranti già
predisposte da grossisti e rivenditori.
Dato il grande lavoro di raccolta e di preparazione e tenuto conto della bassa resa in estratto di ogni pianta si
può desumere facilmente che il relativo costo sarà sempre molto alto.
Nella tabella che segue si riportano i prezzi commerciali correnti per una serie di estratti in polvere ad inizio
2020. I prezzi tengono conto delle offerte di vari fornitori. E’ da considerare che il prezzo minore è praticato
per ordini superiori ai 10 kg e quelli maggiori per ordini fino ad un kg. Per quantitativi compresi fra un kg e 10
i prezzi di acquisto si collocheranno in un range intermedio fra i due valori indicati. Bisogna poi tenere sempre
presente l’andamento delle richieste nel corso dell’anno e di quello delle raccolta agricola, variabili queste che
portano ad oscillazioni spesso anche di rilievo.
Leggendo i valori riportati, forse non sarà superfluo sottolineare che gli stessi colori, a parità di tono e di
intensità, possono essere ottenuti con i coloranti di sintesi acquistabili ad un prezzo tra 10 e 100 volte inferiori.
Questa è un’ulteriore ragione che dimostra come il mercato delle tinture naturali non potrà che riferirsi ad un
mercato della nicchia del lusso.
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7 - Il valore delle tinture naturali oggi
Per l’esame di questo argomento si riprende ancora una volta, con le opportune semplificazioni del caso, dal
testo “Opportunità lavoro e sviluppo del territorio - Le piante officinali e i loro colori” per l’ottimo lavoro di
illustrazione delle motivazioni e di sintesi della narrazione.
Oggi il ruolo dei coloranti naturali (e delle fibre naturali prodotte in Italia) ed il contributo che possono dare in
futuro alla nostra cultura ed economia costituiscono argomenti di grande attualità tra le molte persone che si
interessano del rilancio in Italia delle fibre naturali e delle connesse tinture naturali.
Sembrerebbero offrire nuove possibilità di sviluppo per l’impresa agricola e per quella manifatturiera
dell’artigianato tessile, con la possibilità di produrre, in loco, materia prima e di avere ricadute positive in
termini economici ed occupazionali.
Quale strumento di sviluppo del territorio e salvaguardia dei saperi legati alle attività agricole e artigianali - in
particolare, quelle relative al tessile - le imprese agricole, artigiane e i loro territori di appartenenza possono
trovare nella coltivazione e nella trasformazione delle piante officinali-tintorie, una risorsa del mondo
vegetale che ben si adatta a politiche aziendali di diversificazione e multifunzionalità (si pensi, solo per citare
un esempio, allo sfruttamento di queste coltivazioni nelle attività multifunzionali delle fattorie didattiche,
ma anche ad applicazioni nei settori fitoterapico, erboristico, cosmetico e, appunto, tessile) e a politiche
territoriali votate alla valorizzazione della polifunzionalità delle aree rurali.
La coltivazione di piante officinali-tintorie può costituire una importante risorsa per lo sviluppo economico
del territorio laddove possa avviare filiere di trasformazione in grado di incidere a livello economico con uno
sviluppo sostenibile delle aziende di estrazione e di applicazione tessile-tintoria sia a livello artigianale che
industriale.
Lana sarda tinta con colori naturali (cocciniglia, robbia, mallo di noce, legno di campeggio)
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Attualmente, i coloranti naturali sono applicati in attività produttive di limitato impatto economico e in attività
dimostrative ed educativo-didattiche come nel caso della realizzazione di corsi a livello semi-professionale e
amatoriale. Le applicazioni rivolte all’attività produttiva vera e propria sono poche. Alcune aziende che, fino a
qualche anno fa, fornivano unicamente servizi di tintura con prodotti sintetici, hanno preso in considerazione
la possibilità di tingere con colori naturali dedicando una parte della loro produzione a questo aspetto. A
livello industriale, il passaggio da un sistema di tintura con molecole di sintesi a quello con estratti molecolari
di origine naturale, è favorito dal fatto che il metodo di applicazione dei due sistemi è identico e non sono
necessari adattamenti costosi. Allo stato attuale, un cambiamento drastico da una produzione costituita
unicamente da tinture sintetiche ad una di sole tinture naturali non è, (come già riferito) comunque, possibile
e nemmeno auspicabile, date le grandi quantità di materia prima che si dovrebbero produrre a livello agricolo,
per ottenere materiale tintorio sufficiente a raggiungere risultati paragonabili a quelli che si hanno con i
coloranti di sintesi.
La predominanza dell’uso di coloranti di sintesi ha fatto sì che nel tempo sia stata prestata pochissima
attenzione alle fasi agronomiche, produttive e di estrazione dei pigmenti. Il materiale tintorio che si ricava,
inoltre, è caratterizzato da una purezza più bassa rispetto al prodotto ottenuto per sintesi chimica. Tuttavia, i
vantaggi di un ritorno, anche parziale, alle tinture naturali potrebbero essere diversi:
- nuove possibilità di mercato per le aziende del settore tessile
- la possibilità di coltivare con piante tintorie terreni marginali garantendo così un maggior controllo del
territorio
- il possibile sviluppo di un indotto che va dalla coltivazione delle piante all’estrazione delle sostanze tintorie
La tintura con colori vegetali permette la realizzazione di prodotti di ottima qualità sia con fibre animali che
vegetali. L’uso di mordenti, nonché di agenti di finissaggio più eco-compatibili, consente un legame stabile
tra colorante e fibra conferendo alla colorazione naturale una solidità alla luce e al lavaggio comparabile con
quella ottenuta dalla colorazione con prodotti di sintesi.
Per la tintura naturale, le principali difficoltà sono rappresentate dalla dimensione produttiva: finché si
considera in termini di impresa artigianale, la tintura naturale si avvale di procedimenti nei quali le conoscenze
e l’esperienza del tintore giocano un ruolo cruciale permettendo la realizzazione di prodotti di alta qualità.
Più difficile appare il trasferimento su scala industriale della tintura naturale che pone ancora molte
problematiche di tipo tecnico quali la difficoltà di standardizzare le procedure attraverso, per esempio,
il controllo automatico dei tempi e delle condizioni delle diverse fasi del processo di tintura. Anche la
formulazione del colorante, sotto forma di polvere o di estratto, può influire sulla qualità del risultato, essendo
in molti impianti difficile effettuare la tintura con le polveri ricavate dalle piante.
A questo scopo, risulta necessario investire in ricerca per l’ottenimento di estratti tintorii da lavorazione semiindustriale
in modo da poter mettere a punto tecniche di tintura che si adattino agli impianti industriali e
garantiscano un livello di standardizzazione del colore.
A questo proposito, un estratto tintorio ottenuto da lavorazione semi-industriale può, comunque, favorire
anche il lavoro di tintura artigianale, nel caso in cui questo richieda l’ottenimento di standard di colorazione
riproducibili per creazioni microseriali.
La fase di estrazione, in particolare per l’indaco, richiede ulteriori studi sia di base che applicativi, al fine
di definire meglio le condizioni di estrazione ed ottimizzare così la resa (ancora troppo lontana dalla resa
potenzialmente ottenibile) nonché la qualità del prodotto ottenuto (in termini di purezza). In questa fase, un
altro problema è rappresentato dall’elevato costo di produzione dovuto principalmente alla bassa resa e alla
disponibilità di impianti di estrazione che comportano elevati costi di allestimento e di gestione.
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Nella fase di tintura, un aspetto importante da considerare è la richiesta da parte del mercato di ottenere
tinture uniformi, nonché quella di avere a disposizione una vasta gamma di colori per poter rispondere alle
continue e diverse esigenze di mercato.
Come anche precedentemente rilevato, è dunque necessario investire di più nella ricerca in questo settore e
acquisire maggiori conoscenze sulle potenzialità delle specie vegetali e quelle degli estratti da esse ottenibili.
Le questioni ancora in sospeso sono legate, da un lato, al fatto che si tratta di una filiera ancora “giovane”
e, dall’altro, alla complessità della filiera stessa - attualmente non del tutto articolata - che, in ogni sua
fase, presenta implicazioni non solo di tipo tecnico, ma anche di carattere economico, politico-normativo,
ambientale e territoriale.
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Non considerato nel testo riportato, ma fondamentale per lo sviluppo di una filiera per la tintura con i coloranti
naturali, è l’indisponibilità di piccoli macchinari, nuovi o di adattamento di quelli usati a livello industriale,
per la tintura in serie di piccole partite di fibre filati, tessuti o capi. Come più volte rilevato dall’estensore di
questa pubblicazione, spesso gli artigiani o le artigiane che intendono approcciarsi a questo genere di tinture
si scontrano con due generi di difficoltà. La prima riguarda la non conoscenza della tecnologia di tintura con
le macchine del caso, per altro facilmente superabile con specifici training. La seconda attiene al costo di
acquisto o di adattamento che risulta subito sproporzionato in mancanza di un piano di tintura continuo di
almeno due anni di lavoro.
Circa la valorizzazione dell’uso dei coloranti naturali si devono ricordare i musei e le associazioni che vi si
dedicano, nonché alcune aziende e centri di promozione agro turistica.
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Museo dei colori naturali Delio Bischi
Voluto e realizzato dall’Oasi San Benedetto a Lamoli (PU) è un percorso sulla storia dei colori naturali
dall’antichità fino ai primi anni del ‘900, periodo in cui entrarono sul mercato i colori sintetici.
Il museo propone documenti d’archivio e bibliografici, offrendo un percorso pratico di esperienze per
conoscere e approfondire la conoscenza dei colori vegetali, la coltivazione della piante tintorie e l’estrazione
del colore. Il museo dispone inoltre di un laboratorio per la realizzazione dei colori e per la loro applicazione
su diversi supporti. https://www.oasisanbenedetto.it/museo-dei-colori-2/
Museo delle erbe a Collepardo
Nato negli anni ’70, il Museo delle Erbe di Collepardo (FR) raccoglie molte piante officinali essiccate e non,
una collezione di strumenti, una serie di scritti che documentano i metodi di lavorazione e trasformazione,
quali l’estrazione, con esempi dei prodotti ottenibili che comprendono anche prodotti tintorii per fibre tessili.
http://www.collepardo.it/erboristeria.htm
Associazione tintura naturale Maria Elda Salice
E’ un’associazione senza fini di lucro nata nel 1986 allo scopo di promuovere la ricerca, la sperimentazione e
la diffusione delle tecniche di utilizzo dei coloranti naturali.
http://www.tinturanaturale.it/
Associazione “I colori del mediterraneo - tingere con le piante” a Magliano Veterase (Sa)
E’ un’associazione culturale nata nell’ottobre 2009 incentrata sulla ricerca, la sperimentazione di colori estratti
da piante tintorie, individuate sia tra la flora spontanea che tra le piante coltivate. L’associazione è nata con
lo scopo di continuare l’idea del progetto “Linea Parco” del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano in
collaborazione con il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Salerno. Una fase del progetto
ha previsto l’individuazione di piante coloranti tra la vegetazione del Parco del Cilento e Vallo di Diano, idonee
ad essere utilizzate nella filiera del tessile. Tale fase ha visto impegnato direttamente il Dipartimento di Scienze
Farmaceutiche ed i risultati ottenuti hanno permesso di evidenziare la specificità di resa di numerose piante
spontanee della flora mediterranea e dei residui di coltivazione dotati di elevato potere tintorio e buona
solidità su filati e tessuti.
http://it-it.facebook.com/pages/I-COLORI-DEL-MEDITERRANEO-tingere-con-le-piante/115649751792174
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Pur essendo ancora poche le aziende che hanno deciso di investire nelle tinture naturali, il loro numero negli
ultimi anni è cresciuto. Queste imprese si trovano principalmente nel centro-nord Italia ed in Sardegna, a
testimonianza della vocazione storica di questa regione per l’utilizzo delle piante, non solo per uso tintorio.
A Usella-Cantagallo (PO) è presente un’azienda che tinge a livello industriale con tinture di sintesi ma che ha
deciso di inserire nella propria produzione anche la tintura con colori naturali. A Busto Arsizio (VA), opera
un’azienda che effettua trattamenti e tinture anche naturali su tessuti a maglia, ortogonali, stampati, ricamati,
sia in pezza che in capo. A Modena e a Carpi (MO) ci sono due aziende che tingono con tinture sia di sintesi
che naturali. Un’azienda che opera nella tintura di sintesi e naturale si trova anche a Quaregna (BI).
Presso Montefiore dell’Aso (AP) c’è un’azienda agrituristica che unisce alla normale attività di ospitalità di un
agriturismo quella di sperimentazione, produzione e tintura con colori naturali.
In Sardegna, diverse sono le aziende, gli agriturismi, i professionisti che si occupano di tinture naturali. A Nule
(SS) un’azienda agricola e fattoria didattica propone il percorso didattico “Dalla lana al tappeto” utilizzando
la lana prodotta in azienda e realizzando tutto il processo (lavaggio, filatura, colorazione con piante,
tessitura). A Oliena (NU) e Orgosolo (NU) sono presenti un agriturismo e un’azienda agricola, ambedue in
via di accreditamento come fattorie didattiche, che attiveranno un percorso relativo alle piante tintorie e alla
tintura naturale. A Riola Sardo (OR), un agriturismo organizza laboratori didattici, tra cui alcuni relativi alle
piante tintorie e alla colorazione naturale. A Villacidro (SU), una tessitrice professionale si occupa anche di
tinture naturali. Ad Atzara (NU) opera un laboratorio artigianale che produce filati e oggetti di arredamento
tinti con colori naturali e organizza corsi e seminari sulle tinture naturali.
In Campania, a Futani (SA), è presente una cooperativa che intende promuovere, fra le altre cose, la tintura
naturale attraverso corsi e seminari.
Numerosi sono ormai i corsi sulla preparazione e sull’utilizzo delle tinture naturali, tenuti sia da associazioni
museali e/o culturali, da Orti Botanici e da privati a dimostrazione del crescente interesse per questo settore.
Tra le strutture che svolgono in modo sistematico attività di formazione anche attraverso stage e seminari di
studi è da segnalare Casa Clementina. Si tratta di un’associazione che si prefigge la riscoperta e la salvaguardia
di tecniche tessili considerate ormai obsolete o diseconomiche e di condividerle attraverso l’insegnamento
in uno spazio dedicato. Essa nasce dalla passione per la tessitura a mano e per la tintura naturale di Sissi
Castellano e Stefano Panconesi conosciutisi in India in occasione di un convegno mondiale sui coloranti
naturali. La sede dell’associazione è in provincia di Biella, a Pettinengo (chiamato anche "balcone del biellese"
per la sua posizione panoramica a quasi settecento metri di altezza sul mare), in un’antica casa appartenuta
a Clementina Corte, fotografa e regista eccentrica dei primi decenni del Novecento. La casa, per molti anni
abbandonata, è stata oggetto di restauro conservativo nei minimi dettagli (compresi i soffitti dipinti e le
antiche tappezzerie) per diventare un centro di studi tessili legato al territorio. L’attività svolta è sostenuta
da due riferimenti principali: a) consapevolezza che le identità culturali si rafforzano nel confronto con le
culture differenti; b) se anche poche persone apprenderanno vecchie tecniche, queste ultime non solo non
scompariranno, ma potranno portare a qualcosa di nuovo attraverso rielaborazioni e contaminazioni.
La sede è stata aperta nel 2011 e da allora ospita maestri di tessitura, tintura naturale, studiosi del tessuto,
artisti tessili e tutti coloro che vogliono conoscere le tradizioni e scambiarsi esperienze. Nella biblioteca sono
consultabili testi italiani e stranieri di tessitura e tintura naturale. La struttura si avvale anche di una vasta rete
di conoscenze internazionali. Le stanze di Casa Clementina costituiscono una sorta di museo etnografico di
intrecci a carattere non locale, di attrezzi non più convenzionali, di piante da fibre e di molteplici tipi di tinture.
Fra le tecniche di forte tradizione italiana sempre presentata la tintura vegetale di filati e stoffe e la stampa a
ruggine. www.casaclementina.eu
A conclusione di questo capitolo, da sottolineare poi, come mancanza rilevante rispetto agli interessi esistenti,
l’assenza di corsi a livello di studi secondari o universitari dedicati alla coltura delle piante officinali-tintorie
sia presso le scuole superiori ad indirizzo agrario sia presso le Facoltà di Agraria o nei corsi di laurea in Scienze
Naturali e Biologia.
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8 - Note sintetiche sulla chimica tintoria dei coloranti naturali
Ad oggi esistono in italiano solo un paio di testi, per altro di difficile reperibilità e non più editi, che trattano
con approccio scientifico la tintura con i coloranti naturali. In entrambi i casi si tratta di testi destinati in via
prioritaria ai restauratori di manufatti tessili.
Il primo è intitolato “Caratterizzazione, tecnologia e conservazione dei manufatti tessili” ed è stato scritto a
quattro mani dai docenti Salvatore Lorusso e Luciano Gallotti 5 per conto della Società Italiana per il progresso
delle scienze. Il volume è stato edito a Roma nel 2000 grazie a vari contributi tra cui, significativo, quello
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Unitamente ad un’ampia trattazione delle lavorazioni tessili e
dei sistemi tintoriali moderni con coloranti sintesi, una parte interessante è dedicata alla storia dell’uso dei
coloranti naturali con particolare attenzione a quelli utilizzati in Italia.
Di approccio storico e maggiormente chimico è, invece, il secondo volume che ha però il limite di considerare
solo la tintura della lana. Il testo è intitolato “I coloranti naturali nella tintura della lana - Arte, storia, tecnologia
e “archeo-materials chemistry” ed è stato scritto dal professore e ricercatore del CNR Ezio Martuscelli. Questo
volume è il secondo di una Collana di trasferimento e diffusione del Programma nazionale di “ricerca beni
culturali” predisposto dal MIUR per la conservazione dei tessuti antichi. Operativamente il volume è stato poi
prodotto dalle Edizione del Consorzio CAMPEC di Portici (NA) nel 2003.
Fatta questa doverosa premessa bibliografica, manca una pubblicazione che descriva in modo sistematico la
struttura chimica dei coloranti naturali (o almeno di quelli principalmente usati in Italia) e i loro meccanismi
di reazione chimico-fisici con le fibre naturali. Né che tratti con una visione teorica e con un taglio pratico i
processi tintoriali con riguardo anche alle possibili macchine che non siano le semplici pentole usate da molti
hobbisti. Né esiste una raccolta di riferimenti a dati di sicurezza per chi tinge e per l’ambiente, in questo caso
tenuto conto degli scarichi tintoriali e delle sostanze mordenzanti usate e dei vari ausiliari tipo sali, acidi o
basi.
Anche se non è lo scopo di questa pubblicazione, pure si riportano di seguito una serie di riferimenti base
quale traccia di questo futuro testo.
Dal punto di vista chimico, una prima classificazione dovrà tenere conto della classe chimica di appartenenza
delle varie molecole coloranti: antrachinoni, flavonoidi, indigoidi, da caroteni, da tannini e così via.
Questa dovrà essere messa in relazione con il nome delle piante e con il colore base prodotto. Si avranno
così le piante che forniscono una colorazione blu, gialla, rossa, viola, arancio, bruno, marrone, grigia e nera.
Naturalmente si dovrà tenere conto della fibra da tingere e del metodo tintoriale applicato.
Una ulteriore suddivisione potrebbe essere quella relativa agli effetti di colore ottenuti utilizzando insieme o
in sequenza essenze diverse.
Trattando dei procedimenti di tintura e quindi, di conseguenza, delle successive attrezzature necessarie
bisognerà distinguere fra i procedimenti di tintura adottati.
Questi storicamente e ad oggi sono essenzialmente due a cui, poi, si deve aggiungere un terzo costituito dalla
tintura diretta, cioè senza l’uso di mordenti.
Si esclude poi il caso dell’ecoprinting che ha una sua specifica autonomia (di cui si darà qualche riferimento
nel capitolo dedicato alle testimonianze).
Abbiamo, così, fondamentalmente la tintura con coloranti al tino e quella con coloranti a mordente.
La tintura con l’indaco è del tipo “al tino” dal nome dei recipienti di legno in cui avveniva la tintura. Tale
terminologia indica tuttora l’analogo procedimento effettuato con l’indaco sintetico. Essa comporta una
preparazione più complessa, senza mordenzatura dei filati e con l’utilizzo di sostanze riducenti in grado di
trasformare la molecola dell’indaco nella sua forma “leuco” che meglio impregna le fibre.
Poiché l’indaco è insolubile in acqua, occorre prima trasformarlo chimicamente in una forma chiamata leucoderivato,
che è solubile e capace, appunto, di impregnare le fibre. Ciò viene realizzato in ambiente alcalino
aggiungendo della soda all’acqua nella quale si deve fare avvenire la reazione. Con aggiunta di idrosolfito di
sodio si ha la trasformazione della polvere di indaco in leucoderivato. Portando all’aria (ossidazione) il filato
5 Che si ricorda per la sua preparazione e giovalità sia come docente presso l’ITIS di Biella sia come consigliere nazionale dell’AICTC
33
La maggior parte dei coloranti appartiene al tipo detto “a mordente”. L’uso dei mordenti consente un legame
stabile tra colorante e fibra e conferisce alla colorazione naturale una buona solidità alla luce e al lavaggio. I
filati possono essere trattati prima della tintura con sali metallici, in prevalenza allume di rocca (solfato idrato
di alluminio e potassio), cremortartaro (tartrato acido di potassio), con sali di ferro o di rame.
Tra i mordenti naturali rientrano i tannini che designano un vasto gruppo di molecole di origine vegetale
caratterizzate dalla presenza di vari gruppi fenolici. In genere si tratta di estratti da cortecce e da galle oppure
di alcune specie vegetali come lo scotano. Gli stessi tannini possono poi essere usati come coloranti veri e
propri per la realizzazione di tinte più scure o per ottenere delle sfumature particolari.
Questo trattamento permette, in sede di tintura, di legare i principi coloranti delle piante alla fibra dando
luogo a dei composti insolubili. Naturalmente il tipo di mordente influenza, a parità di materia colorante
impiegata, sia l’intensità che la sfumatura del colore ottenibile.
Dal punto di vista operativo, la mordenzatura si realizza mediante una bollitura del materiale tessile in acqua in
cui sono stati sciolti i mordenti. Può essere fatta prima o durante il processo di tintura (si parla in quest’ultimo
caso di tintura a bagno unico), in modo diverso a seconda del tipo di fibra, animale o vegetale. Le fibre
vegetali, infatti, necessitano di un trattamento mordenzante più laborioso e intenso rispetto alle fibre animali.
Naturalmente il materiale da tingere, sia esso allo stato di fibra, filato, tessuto o capo, dovrà essere
preventivamente mordenzato in modo adeguato da cui ancora una volta la necessità di definire e controllare
la concentrazione, il pH della soluzione, la temperatura e i tempi di trattamento.
In rari casi, la fase di mordenzatura non viene eseguita e le fibre sono colorate direttamente. Si parla in questi
casi di tintura diretta. Con questa modalità di tintura si producono colorazioni deboli e poco resistenti tranne
che con alcuni coloranti come nel caso della tintura con lo zafferano.
La tintura con i coloranti al mordente deve essere preceduta dalla fase di estrazione del colorante dalla pianta,
generalmente effettuata in acqua a condizioni ben definite (concentrazione dell’essenza voluta, temperatura,
pH e così via in base alle caratteristiche della molecola colorante).
Detti parametri variano in funzione del tipo di pianta che si utilizza e del suo stato, fresco o essiccato. In
genere, le ricette standard di tintura prevedono l’utilizzo di una quantità di pianta fresca pari al doppio del
peso delle fibre da colorare; dimezzata nel caso in cui si utilizzino le piante essiccate. Il materiale vegetale,
opportunamente triturato generalmente deve essere fatto macerare per 12 ore o più in acqua a temperatura
ambiente. Poi deve essere portato ad una temperatura di 90°C per circa un’ora. Il macerato, quindi, deve
essere fatto riposare sino ad intiepidimento ed, infine, filtrato. Il bagno di colore ottenuto è così pronto all’uso
oppure può essere concentrato, congelato e reso disponibile per successive utilizzazioni (Camilli e altri, opera
citata).
Se si utilizzano gli estratti vegetali già pronti, reperibili in commercio, la preparazione del bagno di colore è
molto semplice in quanto consiste nello scioglimento del colorante nell’acqua portata alla temperatura di
lavoro, spesso prossima all'ebollizione.
Anche la fase di lavaggio deve precedere quella di tintura. Il lavaggio serve per eliminare residui, scorie ed
eventuali sostanze grasse che ostacolerebbero la colorazione. Le fibre animali (con l’eccezione della seta, che
non può essere trattata a temperature superiori ai 75-80°C) devono essere immerse per mezz’ora in acqua
saponata sui 90° senza agitazione del materiale. Dovranno poi essere raffreddate lentamente sui 40 - 50°C e
quindi risciacquate molto bene alla stessa temperatura.
Se non vengono poste nel bagno di mordenzatura, dovranno essere strizzate delicatamente o centrifugate ed
infine fatte asciugare.
Le fibre vegetali devono essere immerse in acqua saponata e fatte bollire lentamente per un’ora. Poi devono
essere fatte raffreddare prima di risciacquarle con acqua fredda. Quindi si può procedere anche per queste
alla fase di mordenzatura.
Anche la tintura vera e propria dovrà tenere conto di specifici parametri di processo come il pH, la temperatura, i
tempi, di tintura, l’intensità di colore voluta, la quantità di ausiliari necessari per regolare il processo tintoriale
in quanto tale.
Si consideri, non ultimo, che lo stesso bagno di tintura potrà essere utilizzato più volte per ottenere delle
colorazioni di intensità decrescente.
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9 - Introduzione alle testimonianze di esperte nel campo delle tinture naturali
Quante sono le persone dedite alla tintura con coloranti naturali in Italia con una qualche costanza di
impegno? Un centinaio, alcune centinaia, un migliaio, di più? Statistiche pubblicate relative a queste attività
non sembrano esistere.
Invece, i relativi dati sarebbero importanti perché aiuterebbero a quantificare l’attività svolta in termini di
addetti, di ore di lavoro, di genere di articoli prodotti, di consumi di materiali, di coloranti e prodotti ausiliari.
A quantificare i ritorni economici o anche i possibili indicatori circa la gratificazione ricevuta da quanti operano
con questi coloranti. Aiuterebbe a sostenere una sorta di maggiore visibilità di tali pratiche e dei relativi effetti
benefici a livello locale, didattico e formativo, di lavoro artigiano.
Chi scrive ha avuto o ha contatti con un centinaio di queste persone; in genere si tratta di signore, anche se
non mancano uomini. Ad una ventina delle stesse è stato chiesto di scrivere un qualcosa sulla loro esperienza
nell’uso dei coloranti naturali. Sono state ricevute sei risposte che sono riportate di seguito sotto il titolo
generale di testimonianze e in ordine alfabetico per cognome delle autrici.
La lettura di queste testimonianze colpisce per una serie di elementi più o meno comuni. Intanto un alto
livello professionale che si accompagna, in genere, anche ad una elevata formazione in termini di studi di
base. Forse le foto dei vari lavori non rendono il giusto onore ai tanti campioni presentati. E’ però certo che la
qualità di quanto realizzato, unita alla serie di prove e ricerche applicative svolte, è un indiscutibile segno di
capacità tecnica e di estro creativo. Nonché dimostrazione di metodo e tenacia.
Le varie riflessioni sviluppate si allineano poi con i problemi evidenziati nello sviluppo di questa pubblicazione.
Colpisce la consapevolezza riferita da alcune che la tintura con i coloranti naturali è chimica e che, anzi,
bisognerebbe approfondire gli aspetti teorici. Non manca il riconoscimento delle difficoltà e dei limiti connessi
con lo sviluppo di questa pratica.
Le testimonianze riportate si possono considerare, tutto sommato, come l’espressione di una realtà in
fermento, meritevole di attenzione e di sostegno intelligente.
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Testimonianza n. 1
Marie Astier
Ingegnere tessile (laurea in Francia), docente di merceologia tessile presso scuole di moda e consulente tessile
Firenze e Prato
marie.astier@gmail.com
Esperienze in tinture naturali
L’inizio
Mi sono interessata per la prima volta alle tinture naturali nel 2006 quando ho lavorato in un’azienda
specializzata in tinture e trattamenti fantasia su filati e tessuti. Su richiesta di alcuni clienti abbiamo iniziato
una serie di prove di tintura con piante usando le tecniche e macchinari esistenti internamente. Dopo varie
prove su filati e tessuti, abbiamo in qualche modo riscoperto la tecnica dell’ecoprint: la stampa diretta
dalla pianta al tessuto, lavorazione oggi diffusa al livello artigianale. Abbiamo quindi sviluppato un metodo
industriale per la produzione di tessuti stampati al metraggio con piante essiccate in taglio tisana. In questa
tecnica, l’impronta e il colore specifico della pianta sono trasferiti sul tessuto creando un motivo unico a forte
carattere naturale. Altre tecniche di tintura con effetto “maltinto” su filato, tessuto e capo confezionato sono
state sviluppate nell’azienda in questione.
Il seguito
Dopo la fine del rapporto lavorativo con l’azienda, ho continuato le ricerche e sperimentazioni sulle tinture
naturali al livello personale con un doppio scopo. Quello divulgativo come strumento didattico nell’ambito di
laboratori in scuole elementari e medie sulla tematica del tessile sostenibile (Progetto “Dalla Fibra al Tessuto”
di PortaleRagazzi.it, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze) e quello artigianale con uno studio per la
messa a punto di una linea di foulard tinti e stampati a mano con piante.
Cartellone “girasole arcobaleno” realizzato nell’ambito del progetto didattico “Dalla Fibra al Tessuto”
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Le fasi di ricerca
L’approccio alle tinture naturali si è svolto secondo il metodo seguente:
• Raccolta di informazioni sulle piante e sui colori ottenibili, sui mordenti, sul loro uso e sulla loro tossicità
• Verifica dell’idoneità delle piante e dei mordenti in termine di facile e costante reperibilità, di tossicità e di
solidità alla luce e al lavaggio. In più, per le piante, occorre assicurarsi che non siano specie protette
• Studio bibliografico per la ricerca di ricette basi di mordenzatura, di estrazione del colore e di tintura del
materiale tessile
• Sulla base di questo studio preliminare sono state sperimentate e ottimizzate le tecniche di applicazione
del mordente e di tintura per ottenere il miglior risultato stilistico, in termine di solidità senza trascurare
l’analisi dei costi
• Sono state esclusi dallo studio i coloranti naturali provenienti da animali (porpora dai murici e rosso dalla
cocciniglia) e l’indaco che richiede un procedimento diverso e l’uso di sostanze chimiche da manipolare con
importanti precauzioni
Al livello personale ho voluto anche sperimentare piante autoctone raccolte in natura per la realizzazione di
pezzi unici in ecoprint.
Alcuni risultati
I mordenti selezionati
I mordenti sono delle sostanze (sali metallici) che aiutano il colorante naturale a fissarsi sulle fibre. Il mordente
aumenta la solidità del colore alla luce e al lavaggio, ma ha anche un effetto sulla resa del colore: alcuni
scuriscono le tinture (solfato di ferro), altri le rendono più brillanti (allume di rocca).
Alcuni mordenti usati in passato sono tossici, nocivi per l'uomo e/o per l'ambiente quindi non devono più
essere utilizzati. Si tratta di mordenti a base di cromo (bicromato di potassio K 2
Cr 2
O 7
), stagno (cloruro di
stagno SnCl 2
) e rame (solfato di rame CuSO 4·5H 2
O).
Questo comporta una palette colore ridotta in particolare nei verdi ed alcuni gialli solidi che erano ottenuti
con questi mordenti.
I due mordenti metallici ancora utilizzati in tintura naturale sono l'allume di rocca (KAl(SO 4
) 2
.12H 2
O) e il solfato
di ferro (FeSO 4
.7H 2
O) anche se quest’ultimo provoca irritazione cutanea e oculare e risulta nocivo se ingerito.
Altre sostanze a carattere più naturale sono utilizzare, ma hanno un impiego principalmente in tintura unita.
Si tratta del tannino, sostanza naturalmente presente nell'uva (vino) e nel rovere; del cremortartaro (C 4
H 5
KO 6
,
pH acido) è usato insieme al mordente per acidificare l'acqua e per favorire l'uniformità del colore.
Le piante usate in ecoprint
Come specificato in precedenza, la stampa ecoprint consiste nel trasferire i colori dalla pianta al tessuto
lasciando la forma del vegetale. Alcune piante come il legno di sandalo (Pterocarpus santalinus) o il malvone
sono state eliminate dalla selezione di piante per motivi di solidità colore bassa o perché erano specie protette,
anche se davano ottimi risultati stilistici.
Di seguito alcuni degli effetti ottenuti su lana, seta e lino in ecoprint con l’uso dei mordenti allume di rocca e
solfato di ferro. Nell’ottica di realizzare un prodotto sostenibile anche la scelta dei materiali da tingere deve
essere accurata. Fino a qualche anno fa il sourcing di piccole quantità di tessuto in fibre naturali sostenibili
era un compito piuttosto difficile.
37
Tutti i campioni mostrati di seguito sono stati realizzati da Marie Astier così come le relative foto
Ecoprint di foglie di castagno e tè nero su seta con uso del solfato di ferro
Ecoprint di buccia di cipolla dorata e rossa su lana
Ecoprint di radici di robbia in taglio tisana su lana con uso di allume di rocca
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Ecoprint di foglie ambra liquida su lino
Ecoprint su lana di verga d’oro del canada pianta intera
(raccolta in natura, Francia)
ecoprint su seta di verga d’oro taglio tisana
Ecoprint di foglie di melograno e tè nero su lino con uso
del solfato di ferro
39
Le problematiche riscontrate, le interrogazioni e le linee di sviluppo
Nell’ecoprint, il segno lasciato sul tessuto è legato alla forma e alla natura e quantità di coloranti presenti
nel vegetale (alcune piante contengono più di una molecola colorante). Perciò secondo l’anno di raccolta o
la provenienza della pianta potrebbero esserci delle piccole differenze. Per esempio, nel caso della radice di
robbia, alcuni lotti risultano con radici più sottili altre con diametro più grosso e il segno sarà di conseguenza
diverso. Questo fatto è facilmente spiegabile al cliente di una piccola attività artigianale, ma può essere
problematico quando si tratta di produzioni al livello industriale. In più, come già menzionato, dovendo
limitare l’uso dei mordenti al solfato di ferro e allume di rocca, la palette colore risulta relativamente ridotta.
Per quanto riguarda la tintura unita del fiocco, del filato o del tessuto, nella maggior parte dei casi il colore
viene estratto dalla pianta con bollitura (o estrazione a temperatura comunque alta) per un tempo minimo
di un’ora. Seguendo le indicazioni della letteratura, la successiva tintura del materiale tessile avviene con un
rapporto di bagno di 4 l di decotto per 100 g di materiale da tingere e viene eseguita a temperatura alta o
ebollizione. Ciò comporta un consumo energetico importante se, come nel caso della tintura artigianale, non
si utilizzano macchinari a risparmio idrico ed energetico.
Non sono stata in grado di valutare questi aspetti in modo accurato e scientifico, ma la tintura naturale con
uso di mordenti richiede comunque delle procedure e degli impianti adatti allo smaltimento delle piante usate
per la tintura (si parla di diversi kg di pianta esaurita dopo la preparazione del decotto) e per il trattamento
delle acque reflue contenenti residui di mordenti.
Un’ulteriore selezione di piante potrebbe essere fatta per focalizzarsi su specie locali. Infatti numerosi legni
provengono dal Sud America o dall’Africa e in un contesto di sostenibilità, il costo e l’impatto ambientale
legato all’importazione è da tenere in considerazione.
È il dovere di ogni azienda assicurarsi che nei prodotti tessili emessi sul mercato non siano presenti sostanze
chimiche tossiche e nocive. In quanto piccola attività artigianale, far testare i tessuti avrebbe fatto aumentare
ulteriormente il costo, già elevato, del prodotto e quindi ho preferito non intraprendere questa attività e
limitare le ricerche a uno scopo educativo e artistico dilettantistico. Perché, oltre alla bellezza dei colori,
le tinture naturali hanno comunque un interesse scientifico, storico, artistico e didattico che ne giustifica
ampiamente lo studio.
Bibliografia
Cardon, D. (2014). Le monde des teintures naturelles. Paris: Belin.
Garcia, M., & Bernard, A.-F. (2006). Plantes colorantes, teintures végétales: Le nuancier des couleurs. Aix- en-Provence: Edisud.
Dean, J. (2010). Wild color: The complete guide to making and using natural dyes. New York: Watson-Guptill Publications.
Lonardoni, A. R. (1995). Tingere al naturale: Piante tintorie per tessuti. Verona: L'informatore agrario. Flint, I. (2014). Eco colour: Botanical dyes for
beautiful textiles. London: Crows Nest.
Schede di sicurezza dei mordenti
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Testimonianza n. 2
Claudia Comar
Studi universitari. Artigiana, realizza e vende maglieria di pregio autoprodotta
Torino
claudia@claudiacomar.it
Considerazioni sulla tintura naturale
Criticità
La tintura naturale è chimica, non magia:
- pH, temperatura, caratteristiche dell’acqua, tempo….sono variabili che modificano il colore ottenuto e di cui
si deve tenere conto sia nel bagno di tintura sia nella tintura del filato o delle stoffe
- molte molecole sono fotosensibili e si degradano facilmente alla luce
- non è chiaro quanto le varie sostanze di mordenzatura e di post tintura rimangono nell’acqua e sui prodotti
tinti
- capire se ci sono molecole presenti nelle sostanze tintorie che possono essere dannose alla salute
- apparentemente tingere è facile
Sarebbe opportuno che ci fosse una specialistica che legasse le competenze in chimica e in botanica con un
approfondimento serio legato alla storia delle tinture e al loro uso nel passato per lo sviluppo di competenze
approfondite in materia. Per quanto la tintura naturale sia soggetta a poca standardizzazione, conoscenze
teoriche solide garantirebbero ottimi risultati duraturi.
Maurizio Savoldo (La Robbia), Alessandro Butta (La Campana), Valentina Ferrarini sono tra i pochi con
competenze anche legate ai loro studi universitari
Bibliografia
Ci sono libri “seri”, con la descrizione chimica, in inglese e francese; mi sembra che in italiano i “manuali”
siano in genere poco approfonditi e con alcune imprecisioni:
- molti autori sicuramente tingono e insegnano a tingere avendo soprattutto competenze legate all’esperienza,
altri sono un po’ più improvvisati
- si tende a non voler raccontare in modo esaustivo quello che si sa, anche quando si è preparati, per non
favorire i “concorrenti”
Di seguito un elenco di pubblicazioni (comunque in continuo aggiornamento e non esaustivo)
D.Cardon, Natural Dyes: Sources, Tradition, Technology and Science, 2007 (ottenibile attraverso Amazon)
L. Cretti, Bacche e frutti selvatici, Ivrea 1985
J. Dean, Wild Color, The Complete Guide to Making and Using Natural Dyes, Paperback 2010
M. T. Della Beffa, Fiori di campo, Novara 2010
P. Della Pergola, Colori secondo natura - Manuale di tintura naturale, Altra Economia 2018
N. Fletcher, I fiori selvatici, Santarcangelo di Romagna 2011
I. Flint, Eco colour. Botanical dyes for beautiful textiles, Interweave Pr 2008
I. Flint, Second skin, Murdoch Books 2012
I. Fiorentini Roncuzzi, Arte tintoria a Ravenna. Dalla flora tintoria ai minerali coloranti, Longo Editore 2007
M. Garcia, A.-F. Bernard, Plantes colorantes Teintures végétales, Aix-en-Provence 2006.
M. Garcia, M.-F. Delaroziére, De la garance au pastel, Aix-en-Provence 2007
A. Lelli, Il guado, Rieti 2012
J. N. Liles. The Art and Craft of Natural Dyeing:Traditional Recipes for Modern Use, Univ. of Tennessee Press 1990
A. R. Lonardoni, Tingere al naturale. Piante tintorie per tessuti, Edizioni L’Informatore Agrario 1995
G. Lundborg, Come tingere al naturale il cotone, la lana, il lino, la seta, Edagricole 1983
E. Martuscelli, I coloranti naturali nella tintura della lana - Arte, storia, tecnologia e “archeo-materials chemistry”, Vol. II, in Collana di trasferimento e
diffusione del Programma nazionale di ricerca beni culturali (MIUR) La conservazione dei tessuti antichi, Edizione del Consorzio CAMPEC, Portici (NA) 2003
F. Marzotto Caotorta, I segreti dei colori naturali, Rizzoli Editore 1982
Le piante officinali e i loro colori, CNR Ibimet 2011
A. Mattoni, G. Molari, Le meraviglie della flora spontanea: fra sentieri e boschi della Valmarecchia nella provincia di Rimini, Lithos 2006
Le piante tintorie, Comune di Trieste, Civico Orto Botanico 2003
M. E. Salice, La tintura naturale, Sonzogno Manuali 1979
G. Schneider, Tingere con la natura. Storia e tecniche dell’arte tintoria, Ottaviano 1981
G. Simonetti, M. Watschinger, Erbe di campi e prati, Milano 1986
A. Vigo, F. Sibelli, Guida alla tintura naturale, Nordpress Edizioni 2007
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Testimonianza n. 3
Enrica De Falco
Laurea in agraria, professore associato al Dipartimento di Farmacia/DIFARMA - Università di Salerno
Salerno
edefalco@unisa.it
Il tessile e le piante coloranti sul territorio salernitano: dal recupero della tradizione alle potenzialità
per filiere innovative sostenibili
Le piante coloranti nella tradizione
La ricerca sull’utilizzazione delle piante coloranti nel Principato Citeriore, corrispondente all’incirca all’attuale
provincia di Salerno, porta necessariamente a prendere in considerazione le attività connesse con il settore
tessile: dalla produzione della materia prima attraverso l’allevamento della pecora e del baco da seta o la
coltivazione di lino e canapa alla lavorazione dei tessuti ed ai relativi scambi commerciali. La lavorazione
della lana, ed in particolare quella per la preparazione del panno in tutte le sue fasi, compresa la follatura
nella gualchiera per l’infeltrimento, o la tintura, è stato un elemento dominante nell’economia del Principato
fino all’inizio del 1900. Seguendo questo filo conduttore è possibile recuperare le tracce, apparentemente
scomparse, della conoscenza ed uso delle piante coloranti sul territorio.
Dal 1300 al XVIII secolo l’industria della lana è stata particolarmente fiorente in tutto il Principato Citeriore,
con la produzione di pezze di lana e berretti che venivano tinti in tintorie del posto. L’allevamento di grandi
mandrie di bestiame costituiva la principale risorsa della regione: le pelli degli animali fornivano suole e
tomaie e la lana veniva utilizzata dalle tessitrici locali per confezionare i propri abiti.
Le fiere erano numerose ed assumevano un ruolo importante ed una occasione di affari per i consumatori e
produttori. Un avvenimento importante fu l’istituzione nel 1259 della “Fiera di Salerno”, con decreto regio di
Manfredi di Svevia, che stabilì la nascita della fiera che si doveva svolgere nel mese di settembre, in onore del
patrono della città, durava otto giorni e richiamava numerosi venditori.
Durante l’età preindustriale (1806-1860) nel settore tessile troviamo le cosiddette “fabbriche disseminate”,
ma collegate tra loro. I lavori di filatura, tessitura, gualcatura, tintura e cimatura della fibra grezza delimitavano
zone precise. Il mercante, o imprenditore, passava di zona in zona seguendo le operazioni di trasformazione
del tessuto grezzo. In tale contesto artigianato e agricoltura convivevano tranquillamente e gli operai erano
ancora legati alla terra ed al lavoro contadino. In inverno la stasi agricola lasciava spazio ad una diffusa attività
artigianale. Non vi era donna che non sapesse manipolare il fuso e non vi era casale che non avesse il suo telaio.
I panni personali si fabbricavano nelle proprie case e venivano tinti “o
a color blè, o a quel rosso che dà la rubia” o con la ginestra dei tintori
(Genista tinctoria L.), presente in abbondanza su tutto il territorio,
con la quale venivano tinte le pezze di canapetta, utilizzate per gli
abiti da festa dei costumi tradizionali delle ragazze.
Costume tradizionale di Polla (SA)
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Un’altra fonte colorante importante era rappresentata dalle galle
(escrescenze che si formano sui rami delle querce a seguito della
puntura di insetti). Briganti nel trattato su le “Piante tintorie del Regno
di Napoli” (1842) riporta che “in Basilicata e nel Principato Citeriore vi è
una specie comunissima chiamata cocola o coccola per la sua rotondità
e bella forma, la cui decozione assai carica si usa per tingere i pannilana.
Le galluzze, utilizzate spesso dai pastori, pare che corrispondano alle
gallae crispae o turcicae degli antichi e sono ancora migliori delle
precedenti”. E lo stesso autore cita ancora la guadarella (Reseda luteola
L.) che “si incontra spontanea nelle regioni meridionali, ma si coltiva
anche in gran copia in Oliveto ed in altri paesi della Provincia di Salerno”
e la tapsia, della quale “i villani di Basilicata e Principato Citeriore per la
tinta gialla con maggior successo adoperano le sole ombrelle fiorite”.
A Vietri, presso Salerno, piccoli battelli calabresi scaricavano indaco, sommacco ed erba rubia. Successivamente
la robbia, introdotta nel 1812 in un piccolo terreno di Scafati, verrà coltivata in tutta la provincia: nel 1853
occuperà più di 4.000 moggia di terreno e nel 1866 nell’intera provincia se ne producevano circa 40.000
quintali.
Questi colori dominano nei diversi abiti femminili tradizionali (abiti di gala e per festività; abiti di uso
quotidiano; abiti rituali utilizzati durante le processioni, etc.) pur con le varianti tipiche di ogni paese per cui
troviamo il rosso ed il blu nelle differenti tonalità, oltre al panno di lana scura. Generalmente lo scialle ed il
corsetto possono essere confezionati in vari colori mentre la camicia di mussola di cotone o di lino è bianca.
Le piante coloranti oggi
La riscoperta del “naturale” e l’esigenza di prodotti e processi di produzione a minore impatto ambientale
sono tra le prime motivazioni che hanno rinnovato l’interesse per i coloranti vegetali. Oggi si sono
progressivamente affermati una maggiore sensibilità sociale e nuovi stili di vita che stanno orientando le
preferenze dei consumatori verso l’uso dei prodotti ecocompatibili e rispettosi dell’ambiente. I consumatori
di oggi sono molto più attenti sia alla qualità dei prodotti sia alla eco-sostenibilità dei processi produttivi nei
quali, spesso, lo smaltimento dei residui di lavorazione rappresenta uno dei principali problemi.
Inoltre si registra in molti settori un crescente interesse per produzioni non standardizzate in cui assumono un
carattere dominante la qualità del prodotto, il recupero di lavorazioni artigianali e della tradizione, il legame
con il territorio. In tale contesto i settori potenzialmente interessati alla utilizzazione dei coloranti naturali in
sostituzione di quelli di sintesi, almeno per alcuni prodotti di nicchia, sono molti.
Nella filiera tessile, sia dell’abbigliamento che dell’arredo, le potenzialità di recupero delle tinture naturali
sono strettamente legate all’uso delle fibre naturali, dalla lana alla seta al lino, canapa e cotone fino a fibre
meno usuali per la creazione di capi caratterizzati da elevata naturalità. L’utilizzazione dei colori naturali per
l’abbigliamento, inoltre, va incontro alle esigenze di una quota crescente di popolazione che avverte problemi
di dermatiti allergiche da contatto dovute all’uso di coloranti di sintesi, come è stato ormai messo in evidenza
da numerose pubblicazioni scientifiche. In questa ottica di particolare interesse è il settore dell’abbigliamento
per neonati dove le esigenze di prodotti di elevata qualità e privi di rischi assumono maggiore importanza.
Altri settori di interesse sono quello delle pelli dove vi è una forte richiesta di prodotti meno inquinanti sia
nella fase della concia che di tintura, quello alimentare, cosmetico o anche della bioarchitettura e il settore
artistico.
Il recupero delle piante coloranti impone l’approfondimento della ricerca per rispondere ad alcune
problematiche importanti relative al recupero della materia prima, alla efficienza dei processi da adottare,
alla qualità dei prodotti ottenuti. Tra gli obiettivi della ricerca, pertanto, vi è non solo la individuazione di
piante tintorie di facile reperibilità ed utili a rispondere alle esigenze moderne ma la messa a punto di processi
di estrazione, conservazione ed utilizzazione del colore altamente efficienti in relazione ai diversi settori e,
soprattutto, eco-compatibili, particolarmente in relazione ai solventi e mordenti utilizzati ed allo smaltimento
dei residui.
In questo contesto lo studio della flora spontanea per la individuazione di piante da destinare ad uso tintorio
appare di notevole interesse e ricco di prospettive di sviluppo, soprattutto in aree come quella mediterranea
caratterizzata dalla ricchezza di essenze dotate di numerosi principi attivi tra cui, appunto, i pigmenti utilizzabili
come coloranti. Tra i vantaggi del recupero di piante della flora spontanea e/o residui di coltivazione ad uso
tintorio va annoverata anche la possibilità di utilizzare tali specie per la riqualificazione di aree dismesse o
degradate o per il consolidamento di versanti, grazie all’elevato adattamento pedo- climatico di tali specie, con
il vantaggio di contribuire alla conservazione della biodiversità, alla difesa del paesaggio, all’uso sostenibile e
multifunzionale delle risorse.
Altra fonte interessante di materiale vegetale da sfruttare a fini tintori è rappresentato da scarti di coltivazione
e/o lavorazione di prodotti agricoli. Anche in questo caso alcune coltivazioni tipiche dell’area mediterranea
si dimostrano una fonte molto interessante di materia prima per estrarre coloranti in un’ottica di economia
circolare e recupero delle risorse. Come esempi basta pensare alle foglie di olivo derivanti dal processo di
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molitura, ai residui di potatura degli stessi olivi o del ciliegio, alla scortecciatura di pali di castagno, ai malli di
noce, alle scorze di melograno, alle foglie del carciofo o ai ricci del castagno.
Il recupero degli scarti agricoli Il carciofo bianco di Pertosa
Il carciofo bianco di Pertosa, presidio Slow Food, era una varietà a rischio di estinzione ed è stato recuperato a
partire dagli anni ’90. E’ un carciofo con particolari caratteristiche morfologiche, genetiche e di qualità, adatto
a coltivazioni eco-compatibili. Il progetto di ricerca è stato condotto in collaborazione con la Fondazione
MIdA – Musei Integrati dell’Ambiente, il Dipartimento di Farmacia dell’Università di Salerno, il Consorzio dei
Produttori, l’Associazione “I colori del Mediterraneo – Tingere con le piante”, con finanziamento della Regione
Campania. Sono stati recuperati i residui di coltivazione (foglie a fine ciclo produttivo) e le brattee esterne
derivanti dalla lavorazione del carciofo per la preparazione di prodotti sott’olio. A partire dagli scarti sono
stati ottenuti tre colori naturali “Oro Mida”, “Verde Pertosa” e “Bruno Terre di Auletta” che sono stati utilizzati
per la tintura di materiali tessili diversi (lana, seta, lino, canapa) con i quali sono stati messi a punto prototipi
artigianali. I residui del carciofo sono stati utilizzati anche per la preparazione di pitture naturali che sono
state utilizzate all’interno del Museo MIdA 2.
Recupero dei residui di coltivazione
e lavorazione del carciofo bianco di
Pertosa
Fibre e tessuti tinti con i colori ricavati
dai residui del carciofo bianco di
Pertosa
Colori naturali per pareti ottenuti dai
residui di lavorazione del carciofo
bianco di Pertosa
La cipolla ramata di Montoro
La cipolla ramata di Montoro, presidio Slow Food, rappresenta una eccellenza del territorio campano. Nella
fase di preparazione del prodotto che viene commercializzato direttamente o trasformato, vengono eliminate
le tuniche esterne che, quindi, rappresentano uno scarto per l’azienda.
Proprio le tuniche della cipolla, grazie alla collaborazione tra il Dipartimento di Farmacia dell’Università di
Salerno e l’azienda Gaia GB Agricola (Montoro, Avellino), sono state recuperate per la tintura di fibre naturali
(lana, seta, cotone, canapa) che sono state utilizzate per la creazione di prodotti artigianali nel settore
dell’abbigliamento anche da parte degli studenti del Corso di Design e Moda dell’Università Vanvitelli.
In primo piano tuniche di cipolla di
Montoro oggetto di scarto
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Recupero residui di cipolla nel settore
tessile
Recupero per il settore della bioedilizia.
Pitturazione locali della “GB
agricola, la casa della cipolla ramata di
Montoro”, Montoro (AV)
Inoltre, in collaborazione con “Naturalmente colore srl” Start up innovativa, Spin off Accademico, i residui di
lavorazione della cipolla ramata di Montoro sono stati utilizzati per la preparazione di rivestimenti colorati da
utilizzare nella bioedilizia sostenibile.
L’obiettivo che il progetto ha raggiunto è stato quello di ottenere prodotti ad elevata naturalità, fortemente
legati al territorio ed alle sue produzioni, e soprattutto eco-compatibili grazie al recupero di materiale che
altrimenti sarebbe stato eliminato, rappresentando anche un costo di smaltimento per l’azienda. In questo
modo ciò che rappresentava il rifiuto di un processo è diventato la materia prima di un altro rafforzando una
filiera a basso impatto ambientale, basata sulla riduzione dello spreco e valorizzazione del legame stretto tra
un territorio e le sue risorse.
Bibliografia
- Briganti F., 1842. Piante tintorie del Regno di Napoli.
- De Falco E., Di Novella N., 2011. Le piante tintorie del Cilento e Vallo di Diano, Fondazione MiDA. ISBN 978-88-905148-5-2
- De Falco E. , 2012. Tingere con il carciofo bianco di Pertosa, Collana MIdA Agricoltura
45
Testimonianza n. 4
Cesarina Di Domenico
Titolare azienda agricola Verdefilolab con produzione di filati per maglieria Civitella del Tronto (Te)
verdefilolab@gmail.com
VerdefiloLab è un’azienda artigiana abruzzese con produzione di filati di lana da razze tipiche a filiera corta.
Effettua in esclusiva già dal 2015 tintura naturale su lana con canapa industriale.
Canapa
La canapa (Cannabis Sativa L.) è coltivata su terreni di proprietà; è raccolta e preparata per la tintura naturale
effettuata nel proprio laboratorio sito in un edificio rurale riqualificato in autofinanziamento ed alimentato
ad energia solare.
Nella fase di sperimentazione, questa varietà ha mostrato subito le sue ottime proprietà tintorie in un brillante
ed acceso giallo da cui possono derivare i colori ocra, sabbia e gradazioni di verde marcio. Sappiamo quali
sono le varietà che danno migliori risultati in questo senso.
Nelle foto che seguono immagini relative alla tintura di filati di lana con il colorante estratto dalla canapa.
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Lana
Produciamo filati di lana naturale da razze Sopravissana e Merinizzata Italiana, allevate su pascoli di
transumanza verticale in quota sui Monti Sibillini nelle zone di Castelluccio di Norcia e Colfiorito. Queste
pecore sono iscritte al Libro Genealogico. La selezione dei velli è fatta da noi durante la tosatura alla Fiera
dell’agricoltura R.A.C.I. di Macerata. Tutto il processo di cardatura, filatura e torcitura è eseguito in Abruzzo
in uno storico lanificio.
Il processo di tintura naturale avviene anche con i prodotti tintori tradizionali acquisiti da aziende produttrici
di piante officinali italiane o da specie selvatiche reperite in loco.
Di seguito altre immagini relative a filati di lana tinti presso il laboratorio Verdefilolab.
47
Testimonianza n. 5
Luigia Angela Iuliano
Laurea in scienze agrarie, dirigente dell’ARSAC Lamezia Terme (CZ)
laiuliano@gmail.com
Il lavoro del centro sperimentale e dimostrativo di Lamezia Terme
Introduzione
Dal 2004 il centro sperimentale e dimostrativo dell'ARSAC (Azienda Regionale per lo Sviluppo dell'Agricoltura
Calabrese), di Lamezia Terme - San Pietro Lametino (CZ) - ha dedicato una parcella sperimentale alla
coltivazione delle piante tintorie. La conseguenza della disponibilità del materiale vegetale prodotto ha fatto
sì che si potessero realizzare le prime prove di tintura delle fibre vegetali. Successivamente è stato dedicato
un laboratorio ai colori vegetali per l'attività didattica con le scuole di ogni ordine e grado.
Negli anni, questo laboratorio dei “colori vegetali” è stato frequentato anche da persone appassionate all’uso
di prodotti naturali, nonché interessate all’approfondimento della tematica della tintura naturale.
La sempre maggiore richiesta di tintura di filati ha istituzionalizzato il servizio di tintura delle fibre vegetali.
L'avvicinamento delle artigiane tessitrici della nostra regione al centro sperimentale ha fatto nascere poi le
iniziative dedicate alla tessitura, due corsi, uno nel 2008 e uno nel 2009, la mostra dei tessuti tradizionali "Fili,
trame e tinte, Calabria Mediterranea".
L'artigianato tessile in Calabria è ancora una realtà economica che in qualche modo, malgrado le crisi, le
congetture storiche e sociali che si sono verificate, è sopravvissuta. Oggi siamo di fronte ad un nuovo scenario
di mercato che richiede sempre di più prodotti che abbiano storia, che siano legati al territorio, che
comunichino cultura, tradizione.
La tessitura è tutto questo. Un processo di professionalizzazione del settore passa attraverso le conoscenze
del disegno tecnico per innovare e l'uso di fibre naturali, tinte con colori vegetali, animali e minerali.
Piccole produzioni fortemente caratterizzate portano un messaggio, sono immagine dei laboratori e dei
territori. In questo scenario l'impiego di materie prime naturali interamente prodotte nel territorio, dal filato
alla tintura, alla tessitura può rappresentare l'apertura di un segmento di mercato: quello delle produzioni
biologiche.
L'uso dei coloranti naturali viene incoraggiato da un sempre maggiore interesse verso i prodotti di origine
naturale da parte del consumatore che è diventato più attento alla qualità della vita ed alla tutela ambientale.
A tal fine sono state effettuate alcune prove di tintura di filati (lino, seta, lana, ginestra, cotone) utilizzando
cartamo, robbia, fiori di ginestra, mallo di noce, cocciniglia, altea a fiori blu o malvone, iperico, carbone
vegetale, bucce di melagrana, foglie di ortica, foglie di spinacio, foglie di menta, bacche di sambuco, sandalo
rosso legno, henné.
Materiali e metodi
I filati (di origine vegetale e animale), acqua, materiale colorante (vegetale e animale), mordenti, le attrezzature
(bastoni di legno per agitare i mordenti e i bagnocolore, una bilancia sensibile per pesare i grammi di prodotto,
contenitori graduati, pentole da 10 litri in acciaio.
48
I colori
per il Rosso
Robbia (Rubia tinctorum L. fam. Rubiaceae)
L'alizarina, acido alizarico o desossiantrachinone, si trova nella radice fresca della robbia in
forma di glicoside come acido ruberitrico, il quale per fermentazione o ebollizione con gli acidi
e con gli alcali si scinde in un disaccaride (primaverosio) e alizarina. La biografia consultata
mette in evidenza che la quantità di alizarina totale presente nelle radici giovani è maggiore
rispetto a quella presente nelle radici raccolte dopo 15-30 mesi dall'impianto. Man mano che
la radice si accresce l'alizarina sembra accumularsi più in forma di glicoside, come acido ruberitrico, che come
aglicone; passando infatti da radici di 5-40 mesi di età, il 31,5% e il 50,2% dell'alizarina totale rispettivamente è
sotto forma di glicoside. Esistono differenze nel contenuto di alizarina tra diversi genotipi analizzati al secondo
anno di età. L'alizarina tende ad accumularsi preferenzialmente nella corteccia della radice.Oltre all'alizarina,
nella radice di robbia, sono contenuti altri antrachinoni: rubiadina, purpurina, purpuroxantina.
Iperico o erba di San Giovanni (Hypericum perforatum L. fam. Guttiferae)
Le sommità fiorite contengono il 0,5-1,0% di flavonoidi. Tra questi, in ordine di importanza vi
sono: l'iperina che è un galattoside della quercetina, la rutina e la quercetina. Nelle ghiandole
nere dei fiori e delle foglie vi sono, in proporzione dello 0,10%, i pigmenti coloranti rossi: l'ipericina
e pseudo-ipericina. L'ipericina è un 4,5,74’,5’,7’-esaidrossi-2-2’-dimetil-mesonafto- diantrone.
Altri pigmenti contenuti nell'iperico sono i carotenoidi: luteina, viola xantina e trollixantina.
Cocciniglia (Dactylopius coccus)
La cocciniglia è un colorante rosso utilizzato fin dall'antichità sia per tingere tessuti che
come lacche per dipingere. Si ottiene da un insetto: l'insetto femmina della Dactylopius
coccus. Il principio chimico che conferisce il colore è l'acido carminico. La formula dell'acido
carminico (acido 7-?-D-glucopiranos-il-9,10-diidro-3,5,6,8-tetraidrossi-1-metil-9,10-diossi-2-
antracenoico). Altamente solubile in acqua con aggiunta di ammoniaca.
Sandalo (Pterocarpus Santalinus L. fam. Leguminosae)
Il sandalo contiene biflavonoidi condensati, santaline e santarubine, glicosidi, di colore
rossastro. Sono insolubili.
Henné (Lawsonia alba Lam. E Lawsonia inermis L. fam. Lythraceae)
Contiene dallo 0,5 all'1,5% di un principio attivo colorante, isolato dal Tommasi nel 1920 e
denominato lawsone. Il lawsone (2-ossi-1,4-naftochinone,C??H6O3), estraibile con alcool,
glicerolo o soluzioni alcaline, appartiene alla classe chimica dei naftochinoni ed è un
isomero dello juglone, sostanza colorante presente nel mallo di noce. La sua colorazione va
dall'arancione al rosso rame e presenta, come tutti i naftochinoni, la capacità di reagire in
ambiente acido (pH5) con le proteine dei capelli e dell'epidermide formando un complesso (sclerolawsone)
colorato in rosso. La reazione è favorita dalla presenza di ossigeno ed il complesso colorante che si ottiene
presenta buone caratteristiche di stabilità.
per il Marrone
Mallo di noce (Juglans regia L. fam. Juglandaceae)
Contiene un principio attivo che si chiama juglone, è un isomero del lawsone, crea colorazioni
arancio– marroni. Appartiene alla classe chimica dei naftochinoni estraibile con alcool,
glicerolo o soluzioni alcaline.
49
per il nero
Carbone vegetale
Il carbone vegetale deriva dal processo di carbonizzazione della legna di differenti specie
vegetali. E’ la trasformazione di un composto organico in carbone che, successivamente, viene
polverizzato.
per il Verde
Ortica
(Urtica dioica L.
e Urtica urens L.
fam.Urticaceae)
Spinacio
(Spinacia
oleracea L.fam.
Chenopodiaceae)
Menta
(Mentha oleracea
sspp. Fam.
Lamiace ae)
Tutte e tre le specie hanno lo stesso pigmento: la clorofilla. La struttura chimica di questa molecola è stata
chiarita grazie alle ricerche di M. Fischer, R. Willstatter e J.B. Conant. Essa è costituita da un complesso di
quatto anelli pirrolici collegati ad un anello mediante quattro punti ed uniti, mediante il loro azoto, ad un
atomo di magnesio centrale.
Il legame con il magnesio è effettuato mediante valenze ordinarie e coordinate, mostrando un'analogia chimica
con il gruppo dell'emoglobina, in cui l'atomo coordinatore centrale è invece costituito dal ferro bivalente. Il
colore verde della clorofilla e, di conseguenza, la sua capacità di assorbire le radiazioni luminose
che cadono nelle regione del violetto, del blu e del rosso, è dovuto alla presenza del suo esteso sistema di
legami coniugati. La clorofilla a è blu-verde, mentre la clorofilla b è giallo-verde. Entrambi questi composti
hanno colore poco brillante e scarsa stabilità alla luce; dopo un lavaggio con soluzione rameica si ottiene una
clorofilla con un colore verde-blu molto vivido e più stabile alla luce e al calore.
per il Giallo
Cartamo (Chartamus tinctorius L. fam.Asteraceae)
Nei fiori del cartamo si accumulano quattro pigmenti, tre gialli (precartamina,
giallo cartamo A, giallo cartamo B) ed uno rosso, la cartamina. I pigmenti gialli
(C 2
4H 30
O 15
), rappresentano circa il 24-30% del fiore. Si sciolgono facilmente
in alcool ed acqua, specialmente se questa è leggermente acidulata. La
cartamina, o rosso cartamo (C 21
H 24
O 11
), si accumula in quantità inferiore (0,3-
0,6); è insolubile in acqua ed alcool, ma si scioglie nei grassi.
Ginestra odorosa fiori (Spartium junceum L. fam. Papilionatae)
Nei fiori di ginestra vi è un gruppo di pigmenti detti isoflavoni, la genisteina e la luteolina. I
pigmenti si sciolgono facilmente nell'alcool ed acqua calda. Dà un colore detto giallo pulcino.
Melagrana bucce (Punica granatum L. fam. Punicaceae)
La melagrana contiene tannini, gruppo dei polifenoli. Le bucce possono essere utilizzate come
mordenti. Forniscono colorazione giallo intenso tendente al verde giallo bruno.
50
per il Blu
Bacche di sambuco (Sambucus nigra L. Caprifogliaceae)
Le bacche di sambuco contengono come pigmenti gli antociani, che danno colorazione rossoviolacea.
Malvone fiori blu (Althea rosea L. fam. Malvaceae)
I fiori del malvone contengono antocianidine, delfidina; danno colorazione violaceo-blu.
I mordenti
Sono sostanze capaci di fissarsi da un lato con la fibra e dall'altro con il colorante, cioè fissano tenacemente a
una fibra tessile una sostanza colorante rendendola così da solubile a insolubile nell'acqua.
Allume di Rocca
Con il termine allume ci si può riferire nello specifico al solfato di alluminio e potassio dodecaidrato
KAl(SO 4
) 2
.12H 2
O, noto come allume potassico. A temperatura ambiente si presenta come un solido incolore
ed inodore; attualmente viene usato come deodorante particolarmente economico ed efficace per il corpo e
come rimedio contro il cattivo odore dei piedi. Per quanto riguarda le indicazioni di sicurezza non ci sono frasi
R e nemmeno frasi S.
Bicromato di Potassio
È il sale di potassio dell'acido dicromico. A temperatura ambiente si presenta come un solido aranciorossastro,
inodore; è un composto dalle spiccate capacità ossidanti. In acqua si dissocia in ioni dicromato e
in ioni potassio. La formula è: K 2
Cr 2
O 7
2-
. Lo ione dicromato (Cr 2
O 7
2-
) è un forte agente ossidante. Per quanto
riguarda le indicazioni di sicurezza: è un prodotto che ha frasi R e frasi S. È altamente tossico e nocivo per
l'ambiente. Da usare con molta prudenza, pone inoltre problemi per lo scarico delle acque utilizzate.
Cremor tartaro
Il bitartrato di potassio (o idrogeno tartrato di potassio) è un sale di potassio dell'acido tartarico. Noto come
cremor tartaro: C 4
H 5
KO 6
.
A temperatura ambiente si presenta come un solido da incolore a bianco, inodore. È un sale acido dell'acido
tartarico, insolubile.
Per quanto riguarda le indicazioni di sicurezza non ci sono frasi R e nemmeno frasi S.
Aceto
L'aceto è un liquido acido ottenuto grazie all'azione dei batteri del genere Acetobacter che, in presenza di
aria. ossidano l'etanolo contenuto nel vino, nel sidro, nella birra e altre bevande alcoliche fermentate, oppure
in altre materie prime quali cereali, frutta o miele, trasformandolo in acido acetico. La sua formula chimica è
la seguente: CH 3
COOH+H 2
O: per quanto riguarda le indicazioni di sicurezza non ci sono frasi R e frasi S.
Le fibre di origine animale
Lana
Deriva dai velli delle pecore. La base chimica di questa fibra naturale di origine animale è la
cheratina. Il colore naturale può essere bianco, giallastro, marrone-rossiccio e nero. Le fibre al
microscopio sono sottili, cilindriche ricoperte di squamette seghettate e disposte in maniera
embriciata. Le sezioni sono quasi sempre rotonde. La lunghezza varia secondo la qualità.
Proprietà della feltratura: un'azione meccanica di sfregamento prolungato, in ambiente
umido, a causa delle squamette che si compenetrano fra fibra e fibra, produce il caratteristico fenomeno
della feltratura. Azione della fiamma: sottoposte le fibre alla fiamma, la combustione che segue avviene
lentamente con odore di corno bruciato e con residui spugnosi neri.
51
Seta
Deriva dal bozzolo del baco da seta (Bombix mori). La base chimica di questa fibra è la fibroina,
che allo stato naturale è fasciata da sericina, sostanza gommosa in ragione del 25% del suo
peso totale. Il colore naturale può essere bianco o giallo in varie gradazioni.
La fibra al microscopio appare riunita a coppie riunite in gruppi. Ogni coppia risulta formata
da due bave incollate e ricoperta da una guaina trasparente. Le sezioni, quasi triangolari con
angoli arrotondati, si presentano a coppie saldate dalla sericina. Alla fiamma la combustione della fibra è
lenta con odore di corno bruciato e con residui spugnosi neri.
fibre di origine vegetale
Cotone
Deriva dal frutto del Gossypium della famiglia delle Malvacee. La base chimica è la cellulosa,
Il suo colore naturale è bianco, giallastro e giallastro-bruno. La fibra al microscopio si presenta
simile al nastro con bordi leggermente rialzati; i filamenti sono attorcigliati a spirali, a volte
larghe e a volte strette anche sulla stessa fibra. Nell'interno vi è sempre un canale. Le sezioni
trasversali sono sempre isolate con contorno ovale ellittico o allungato a forma di fagiolo, il
canale è visibile e segue l'andamento della forma esterna. Alla fiamma, nella combustione che segue, si ha
odore di carta bruciata e residui di cenere grigia.
Lino
Ginestra
Le fibre sono ottenute, con la macerazione e altre operazioni, dal libro della pianta Linum
usitatissimum. Sono composte principalmente da cellulosa, il colore può essere bianco, giallo,
rossastro, grigio argento. Al microscopio la fibra si presenta come un cilindro con pareti spesse
in modo che il canale, sottile, non è sempre visibile, sezioni in gruppi di forma poligonale con
canali puntiformi. La combustione avviene con odore di carta bruciata e con residui di cenere
grigia.
Le fibre sono ottenute, con la macerazione e altre operazioni, dal libro delle vermene della
pianta Spartium junceum. Sono composte principalmente da cellulosa. Il colore può essere
bianco-giallastro. Al microscopio le fibre di ginestra si presentano tendenzialmente a fasci,
hanno una lunghezza media di 29,5 mm, sono irregolari come diametro, ed hanno presenza
di “nodi o dislocazioni”. La combustione avviene con odore di carta bruciata e con residui di
cenere grigia.
La mordenzatura
Consiste in una sbollitura dei filati o dei tessuti in acqua dove sono sciolti appositi sali. Si effettua in tre fasi:
prima fase: sciogliere i sali in poca acqua aggiungere acqua fino ad arrivare a 4 litri, immergere il filato bagnato
in acqua fredda per 20 minuti
seconda fase: portare in ebollizione e far sobbollire per 1 ora; per le fibre di lana e di seta la temperatura deve
restare sotto i 90° C
terza fase: risciacquare e immergere nel bagno colore.
In alcuni casi il filato, dopo la bollitura di un'ora, si lascia a bagno per 24 ore e si lascia poi asciugare. Il filato
è pronto per il bagnocolore.
Pochi filati sono stati trattati con il bicromato di potassio, in quanto questo mordente ha dei problemi di
sicurezza nell'utilizzo. Sono stati scelti, tra quelli disponibili sul mercato, solo i mordenti che non hanno frasi
R e frasi S, quindi utilizzabili in totale sicurezza e senza implicazioni di inquinamento ambientale o di
problematiche di smaltimento.
52
Il Bagnocolore
È la soluzione contente la sostanza colorante di natura vegetale o animale estratta mediante decozione dalla
pianta o dall'animale tintorio. Il bagnocolore si prepara facendo macerare per 12 ore dentro un recipiente
coperto il materiale vegetale, fresco o secco, finemente tritato, in 4 litri di acqua insieme ad un cucchiaio di
ammoniaca, alcool o acidificanti, in base alla pianta che ci deve dare il pigmento. Passato questo tempo si
pone il tutto sul fuoco, si fa bollire per un'ora, si spegne il fuoco. Si lascia raffreddare e poi si filtra. Si riporta
l'acqua a 4 litri e la si fa intiepidire e poi si immerge il filato. In alcuni casi si fa bollire il filato per un'ora e si
lascia nell'acqua per 24 ore.
Nelle prove sotto indicate, effettuate presso il Centro Sperimentale Dimostrativo, nel bagno colore non
sono stati utilizzati né ammoniaca, né alcool, né acidificanti, né altre sostanze necessarie all'estrazione del
pigmento. Abbiamo usato la macerazione in acqua per 24 ore della sostanza vegetale, il calore attraverso la
bollitura.
Un bagno colore durante le prove di tintura con coloranti naturali
53
Prova n. 1 Malvone a fiori blu
• filato di seta non sgommata
• filato di cotone
• filato di ginestra
• filato di lino
• fiocco di lana di pecora
• filato di lana di pecora
Mordente: allume di rocca al 25% del peso del filato
Colorante: fiori blu malvone (Althea rosea) al 50% del peso del filato. Durata del bagno-colore: 24h Fissaggio:
acqua (circa 5 litri) e aceto al 2%
Lavaggio finale con ammorbidente
lana in fiocco
filato di lana
filato di ginestra
filato di lino
filato di cotone
filato di seta
I campioni di tessuti sono stati realizzati con la trama: fibra di seta, cotone, lino, ginestra, tinte dal Centro
Sperimentale Dimostrativo; ordito: cotone mercerizzato.
Risultati e discussioni:
Come si evince dalle immagini, i risultati della colorazione sono diversi in base alle fibre utilizzate, tutti i filati
sono stati mordenzati con l'allume di rocca e tinti con l'Althea Rosea. Il risultato del colore su ginestra è verde,
su lana è grigio, mentre per le altre fibre abbiamo gradazioni diverse di blu: dal celeste al blu-viola.
seta cotone lino
54
ginestra
Prova n. 2 Cartamo
• filato di seta
• lana in fiocco
• filato di lana
• filato di lino
Mordenti: allume di rocca al 25% del peso del filato o del fiocco di lana, cremor tartaro al 10% del peso dei
filato.
Colorante: Carthamus tinctorium 50% del peso della fibra da tingere Durata bagno-colore: 24 h
lana in fiocco
filato di lana tinto in fiocco
filato di lana tinto
Filato di seta
Filato di lino mordenzato con allume
di rocca e cremor tartaro
Filato di lino mordenzato con allume di
rocca
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
I campioni di tessuti sono stati realizzati con ordito in cotone mercerizzato e trama filati tinti dal CSD. Per il
filato di lana è stato prodotto un campione lavorato ai ferri.
Risultati e discussione
I risultati della colorazione sono diversi. Sulla fibra di seta, mordenzata con allume di rocca al 25%, il risultato
è stato un colore aranciato; su lana mordenzata con allume di rocca al 25%: giallo. Anche su lino mordenzato
al 25% del peso con allume di rocca il colore ottenuto è un giallo meno intenso rispetto alla lana.
Confrontando il campione di filato di lana tinto in filo e quello tinto in fiocco, si riscontra una maggiore
uniformità e una maggiore intensità del colore con il procedimento della tintura in fiocco. Un altro campione
di filato di lino è stato mordenzato con allume di rocca al 20% + cremor tartaro al 10%: il colore ottenuto è
arancio
Campione di tessuto in lana
Campione di tessuto in seta
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Prova n. 3 Noce
• filato di lana
• filato di cotone
• filato di lino
Mordenti: allume di rocca al 25% del peso del filato per cotone e lino, potassio bicromato al 7% per la lana
Colorante: Juglans regia, mallo di noce in polvere 50% del peso del filato Durata bagno colore: 24 ore h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
filato di lana
Filato di cotone
Filato di lino
Tessuto tradizionale in lana tinto con mallo di noce
Risultati e discussione
Le gradazioni di marrone ottenute con mallo di noce sono diverse in base alla fibra utilizzata, cotone e lino
mordenzati con allume di rocca, al 25% del peso, danno gradazioni di marrone differenti.
Il risultato della tintura di lana è completamente diverso perché il mordente utilizzato è il potassio bicromato
al 7% del peso del filato.
Ho potuto confrontare il risultato ottenuto con un scialle di donna, in lana, della prima metà del XIX sec.
proveniente da San Pietro Apostolo, di colore marrone chiaro e scuro tinto con mallo di noce e corteccia di
ontano. La gradazione di marrone chiaro che abbiamo ottenuto presso il Centro Sperimentale Dimostrativo
con le prove di tintura del filato di lana è simile.
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Campione di tessuto cotone
Campione di tessuto lino
Prova n. 4 Melagrana
• filato lana
• filato di ginestra
• filato di lino
• lana in fiocco
Mordente: allume di rocca al 25% del peso del filato
Colorante: Punica granatum bucce del frutto in polvere 50% del peso del filato Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
Lana tinta in fiocco Filato di lana Filato di lino
Filato di ginestra
Risultati e discussione
Le prove di tintura con bucce di melagrana hanno riguardato la fibra di lana, che è stata tinta in fiocco e in
filato, quella in fiocco senza mordenzatura. Il filato di lana è stato mordenzato con allume di rocca al 25%.
Il fiocco è stato tinto senza la mordenzatura poiché le bucce di melagrana sono ricche di tannino e l'acido
tannico è anche un mordente. Il risultato ottenuto non è soddisfacente: la lana ha acquisito una colorazione
leggermente bruna. Il filato di lino, di ginestra prodotto nel modo tradizionale e il filato di lana sono stati
mordenzati con allume di rocca al 25%; il risultato del bagno colore è stato un giallo-bruno.
Prova n. 5 Robbia
• filato di lino
• filato di seta
• filato di lana
Mordenti: allume di rocca al 25% del peso del filato - potassio bicromato al 5% + cremor tartaro al 10%
Colorante: Rubia tinctorium al 50% del peso del filato Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente I campioni di tessuti sono stati
realizzati con la trama: fibra di seta, lino,
Tinture presso Centro Sperimentale Dimostrativo: ordito: cotone mercerizzato. Per la lana è stato prodotto
un campione lavorato ai ferri.
Filato di lana
mordenzato con
allume di rocca
Filato di lana
mordenzato con
potassio bicromato
e cremor tartaro
filato di lino
Filato di seta
Altro Filato di lino
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Campione di tessuto tradizionale in lana tinto con la robbia
Campione di tessuto tradizionale in lana tinto con la robbia
Risultati e discussione
Il filato di lino utilizzato è un filato prodotto nella prima metà del XIX secolo (è un sottoprodotto della
lavorazione del lino, molto grezzo). Anche il tessuto tradizionale è realizzato con lino grezzo (ottenuto dai
residui della lavorazione) ed è tinto con la robbia. Per ottenere questa gradazione di rosso si ripete il bagno
colore ed si aumenta la quantità di sostanza vegetale. In base alla fibra utilizzata abbiamo gradazioni diverse
di colore rosso, a parità di mordente. Lino e seta mordenzati con allume di rocca al 25% hanno la stessa
gradazione di rosa. Invece la lana mordenzata con allume di rocca al 25% dà un rosso molto intenso. La lana
mordenzata con potassio bicromato al 5% e cremor tartaro al 10% fornisce un rosso scuro.
Campione di tessuto lino
Prova n. 6 Iperico
• Filato lino
• Filato di lana
Campione di tessuto in lana
lavorato ai ferri
Campione di tessuto in seta
Mordente: allume di rocca al 25% del peso del filato
Colorante: Iperico perforatum sommità fiorite al 50% del peso del filato Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
Filato di lino
filato di lana
Campione di tessuto lino
Il campione di tessuto è stato realizzato con la trama: fibra di lino, tinte dal CSD; ordito: cotone mercerizzato.
Risultati e discussione
I risultati ottenuti sia su filato di lana che di lino sono molto simili; su lana il colore vira leggermente sul rosso,
mentre su lino è più netto il marrone.
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Prova n. 7 Sandalo
• Filato di ginestra
• Fiocco di lana
• Filato di lino
Mordente: allume di rocca al 25%
Colorante: Pterocarpus santalinus sandalo rosso legno in polvere al 50% del peso del filato Durata bagno
colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
Il campione di tessuto è stato realizzato con la trama: fibra di ginestra, tinta dal CSD; ordito: cotone mercerizzato
Lana in fiocco Filato di lana tinto in fiocco Filato di lino
Particolare del filato di lino
Risultati e discussione
L'effetto di tintura più intenso l'abbiamo ottenuto su filato di ginestra, non prodotto tradizionalmente, ma
industrialmente, quindi le caratteristiche di questo filato sono completamente diverse rispetto a quello
tradizionale, minore presenza di residui di corteccia della vermena, maggiore morbidezza, uniformità del
filato e dimensione ridotta dello stesso.
Si è ottenuta una colorazione molto intensa, completamente diversa rispetto al colore ottenuto su lino, che
invece è molto blando e su lana che è di gradazione intermedia tra i due.
Filato di ginestra
Campione di tessuto ginestra
Prova n. 8 Ginestra
• Filato di ginestra prodotto tradizionalmente
• Filato di ginestra prodotto semindustrialmente progetto gantt
Mordente: allume di rocca al 25%
Colorante: Spartium junceum fiori seccati in polvere 50% del peso del filato. Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
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Filato di ginestra prodotto in
modo semi-industriale
Prova n. 9 Sambuco
• Filato ginestra
Filato di ginestra del essuto
prodotto in modo tradizionale
Campione di tessuto ginestra
Il campione di tessuto è stato realizzato con la trama: fibra di ginestra, tinta presso il Centro Sperimentale
Dimostrativo; ordito: cotone mercerizzato.
Risultati e discussioni
Il filato di ginestra utilizzato per il bagno di tintura è di due tipi, uno ottenuto con un metodo semi industriale,
l'altro prodotto tradizionalmente. Per processo semi-industriale si intende macerazione delle vermene con
enzimi in apposite vasche, digestione e ottenimento della fibra attraverso processo enzimatico. La fibra
è stata poi sottoposta a filatura e torsione con processo industriale. Per processo tradizionale si intende
bollitura delle vermene, successiva macerazione presso un corso d'acqua, digestione e ottenimento della
fibra attraverso strofinamento su sabbia, filatura e torsione con rocca e fuso. Le caratteristiche del filato sono
totalmente diverse, soprattutto per uniformità e morbidezza. Il colore dato dalla polvere dei fiori è un giallo
pulcino, ha la stessa gradazione di colore sia su filato semi industriale che tradizionale.
Mordente: allume di rocca al 25% Colorante: Sambucus nigra bacche, succo Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2%
Lavaggio finale con ammorbidente
Campione di tessuto ginestra
Il campione di tessuto è stato realizzato con la trama: fibra di ginestra tinta presso il Centro Sperimentale
Dimostrativo; ordito: cotone mercerizzato.
Risultati e discussione
Sono stati utilizzati 500 grammi di bacche fresche per 20 grammi di filato di ginestra mordenzato con allume di
rocca al 25%. Il risultato del bagno colore è stato inaspettato anche in mancanza di un riscontro in bibliografia
circa l'uso di queste bacche. Successivamente il filato è stato utilizzato per la realizzazione di un campione
di tessuto. Nel periodo successivo alla prova è stato portato presso il CSD un campionario di tessuti di una
tessitrice del comune di Dasà (VV); nell'esaminare il campionario si è riscontrato l'uso del sambuco come
pianta tintoria. I campioni sono stati realizzati nella prima metà del XX secolo, l'ordito è in lino tinto con le
bacche di sambuco, la trama è in lino naturale e in lino tinto col sambuco. Il risultato della tintura su filato di
ginestra è molto simile a quella del campione di tessuto esaminato.
60
Tessuto tradizionale di lino
Tessuto tradizionale di lino
Prova n. 10 Ortica
• Filato lino
Mordente: allume di rocca al 25%
Colorante: Ortica dioica foglie in polvere al 50% del peso del filato Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
Filato di lino
Campione di tessuto lino
Il campione di tessuto è stato realizzato con la trama: fibra di lino, tinta presso il Centro Sperimentale
Dimostrativo; ordito: cotone mercerizzato.
Risultati e discussione
Come si vede dalle immagini, il risultato della tintura con ortica è molto blando, il colore verde ottenuto è
molto chiaro, la colorazione è molto scarsa e poco intensa.
Prova n. 11 Spinacio
• Lana in fiocco
• Filato di lino
Mordente: allume di rocca al 25%
Colorante: Spinacio oleracea foglie in polvere di spinacio al 50% del peso del filato Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
Lana in fiocco
Filato di lana tinto in fiocco
Filato di lino
Risultati e discussione
Come si vede dalle immagini, il risultato della tintura con spinacio è molto blando, il colore verde ottenuto è
tenue, colorazione scarsa e poco intensa.
61
Prova n. 12
Menta
• Filato lino
Filato di lino
Mordente: allume di rocca al 25%
Colorante: Mentha spp. foglie in polvere al 50% del peso del filato Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
Risultati e discussione
Come si vede dall'immagine, il risultato della tintura con menta è molto blando, il colore verde ottenuto è
quasi inesistente, il filato si presenta con una lieve colorazione tendente leggermente al bruno.
Prova n. 13 Cocciniglia
• Filato lana
Mordente: allume di rocca al 20% + cremor tartaro al 10%
Colorante: Dactylopius coccus cocciniglia in polvere al 10 % del peso del filato Durata bagno colore: 24h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
È stato prodotto un campione di tessuto lavorato ai ferri.
Filato di lana
Campione di tessuto lavorato ai ferri
Risultati e discussione
Il colore ottenuto è il porpora: la cocciniglia ha una resa elevata, il pigmento è molto intenso e può essere
riutilizzato per più bagni colore.
62
Prova n. 14 Carbone vegetale
• filato di seta
• lana in fiocco
• filato di lino
Mordenti: allume di rocca al 25% del peso del filato o del fiocco di lana Colorante: carbone vegetale
Durata bagno-colore: 24 h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
Filato di lana tinto in fiocco
Filato di seta
Filato di lino
Risultati e discussione
I risultati della colorazione sono diversi. Sulla fibra di seta, mordenzata con allume di rocca al 25%, il risultato
è stato un colore grigio brillante, mentre su lana mordenzata con allume di rocca al 25% abbiamo ottenuto un
grigio più scuro, tendente al nero. Su lino mordenzato al 25% del peso con allume di rocca il colore ottenuto
è un grigio molto chiaro.
Prova n. 15 Hennè
• filato di ginestra
• filato di lino grossolano, sottoprodotto del processo di ottenimento della fibra
Mordenti: allume di rocca al 25% del peso del filato Colorante: Lawsonia alba Lam. E Lawsonia inermis L.
Durata bagno-colore: 24 h
Fissaggio: acqua (circa 5 litri) e aceto al 2% Lavaggio finale con ammorbidente
Filato di lino grossolano
Filato di ginestra
Campione tessuto lino
Il campiono è stato realizzato con ordito in cotone mercerizzato e trama in filato di ginestra tinto presso il
Centro Sperimentale e Dimostrativo.
Risultati e discussione
I risultati della colorazione sono molto simili: sulla fibra di lino grezzo il colore è leggermente più scuro di
quello ottenuto su fibra di ginestra; la mordenzatura è stata effettuata con allume di rocca al 25% del peso del
filato sia per la ginestra che per il lino.
63
Prova n. 16
Altre applicazioni in settori diversi rispetto a quello tessile: edilizia, tintura legno, pittura.
Le polveri vegetali possono essere utilizzate anche per dare colore alla pittura delle pareti, possono essere
mescolate con il ducotone o con la calce idrata. Il risultato ottenuto è un colore che tende a sbiadirsi
dopo qualche giorno. E’ interessante, invece, l'uso delle polveri vegetali mescolate con colla vinilica per le
decorazioni delle pareti tipo stencil. In questo caso la durata e la stabilità del colore è molto elevata.
La colla vinilica diventa come una pellicola che protegge il pigmento. Lo stesso risultato di stabilità e durata
del colore è stato ottenuto miscelando le polveri vegetali con vernici ad acqua trasparenti. In questi anni
il centro sperimentale e dimostrativo ha utilizzato le polveri vegetali derivate da piante per un laboratorio
didattico, chiamato il laboratorio dei colori.
Le piante sono utilizzate per dipingere il supporto su cui sono stati realizzati i disegni è la carta o la stoffa. Con
il supporto cartaceo le polveri sono state disperse con acqua e colla vinilica; nel caso della stoffa, i colori sono
stati diluiti con acqua e la tecnica del disegno è stata lo stampo. Nel caso specifico è stata utilizzata la polvere
di fiori di cartamo: buona la tenuta del colore, buono l'effetto e la durata.
Calce idrata miscelata con polveri vegetali
Effetto della tintura su parete, fresca (spinacio, ortica, cartamo, sandalo e althea rosea)
64
Effetto della tintura su parete, dopo una settimana
Stoffa stampata con cartamo
Stancil stampato con spinacio
Disegni realizzati su carta
Conclusioni
La tintura è un'arte. Come ogni arte è legata alla bravura e alla genialità delle persone che la praticano;
bastano piccoli accorgimenti o piccole variazioni d'ingredienti per ottenere risultati completamente diversi.
Oggi il ritorno al colore naturale nasce dall'esigenza di ottenere capi di abbigliamento e prodotti unici e
personalizzati, più sicuri per la salute e più rispettosi nei confronti dell'ambiente.
In sintesi si può affermare che le ragioni per la reintroduzione delle piante coloranti sono:
• diversificazione delle produzioni agricole con l’inserimento di colture a destinazione non alimentare
• attivazione di filiere produttive agro-industriali con valorizzazione della materia prima
• sviluppo di tecnologie innovative
• opportunità di sviluppo rurale attraverso l'integrazione verticale di una filiera di fibre e colori naturali
• perfetta compatibilità ambientale delle coltivazioni di piante officinali tintorie, anche in aree protette e
parchi
• scenario di mercato particolarmente favorevole ad accogliere prodotti di origine naturale
• sviluppo di nuove opportunità di mercato per il tessile biologico e la moda-bio, made-nel territorio, made
in Italy
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Testimonianza n. 6
Diamantina Palacios
Laurea in Disegno Tessile presso la Facoltà d’Arte dell’Università de los Andes di Bogotà, restauratrice e
docente tessile, attualmente imprenditrice artigiana nel campo della moda con un proprio marchio
Firenze diamantinapalacios@gmail.com
Annotazioni sulle tinture naturali su lana
La natura continua ad offrire le stesse possibilità di mille anni fa e il colore, con tutta la sua potente bellezza
e simbologia, è sempre a portata di mano. La disciplina della tintura ha un ritmo proprio cui è necessario
adattarsi. In primavera si raccolgono per lo più i nuovi germogli, le foglie e i fiori; le bacche e i frutti invece si
colgono in autunno e, in molti casi, bisogna avere la pazienza di lasciare a macerare un prodotto per diversi
mesi. Le condizioni di sviluppo di ogni pianta interferiscono con il terreno, l’altitudine, il clima modificando la
qualità dei colori. Si hanno così sempre elementi di sorpresa e novità sul risultato finale, anche se le variazioni
sono solo sulle tonalità dato che quasi tutte le tinture naturali sono durevoli e solide e rimangono nel
tempo. Le possibilità di creare nuovi colori sono quasi infinite grazie alla ricerca continua e alle innumerevoli
combinazioni e caratteristiche che ci offrono le piante non solo per le qualità organolettiche, ma anche per
la loro area di origine. Le tinture sono processi chimici che trasferiscono colore alle fibre e svolgono ruoli
molto diversi sulle piante o sugli animali da cui provengono e non esiste necessariamente una corrispondenza
tra i colori delle piante e quelli che ne derivano. Alcuni coloranti possono essere estratti in modo molto
semplice, sono solubili in acqua ed è sufficiente far bollire la parte della pianta che li contiene. Altri non sono
direttamente solubili in acqua e necessitano prima di una fermentazione.
I coloranti sulla base del loro metodo di applicazione possono essere raggruppati in tre gruppi: 1-coloranti
diretti 2-coloranti a mordente e 3-coloranti al tino.
1) Alcuni sostanze colorano da sole senza bisogno di sostanze intermedie. Queste si chiamano coloranti
diretti. Hanno una naturale affinità verso la fibra di lana cui si legano chimicamente. Questi includono, ma
non in modo esaustivo, coloranti a base di tannino, noce di galla, mallo di noce, legno di castagno, i raspi e le
bucce dell’uva, le cortecce di china e di quercia.
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2) Altre sostanze hanno bisogno di un veicolo intermedio per dare colore; questo veicolo si chiama mordente.
I mordenti sono sostanze chimiche naturali o sintetiche. In passato venivano utilizzati prodotti naturali come
ceneri o galle di quercia. Queste ultime sono delle escrescenze che si sviluppano sulle foglie e sui rami delle
querce per effetto della puntura di una vespa (vespa delle galle) che stimola le cellule delle piante a una
crescita abnorme. La struttura risultante, chiamata anche mela della quercia, diventa il nido dell’insetto
aggressore. L’attività nutrizionale della larva, che cresce all’interno della galla, comporta il rilascio di sostanze
chimiche che provocano un elevato contenuto di tannino nelle cellule dell’escrescenza. In passato, l’acido
tannico che si creava veniva usato come sostanza mordente nella tintura dei marroni e dei bruni. Per 500 g di
lana sono sufficienti 35 g di tannino.
Si osservava spesso che la lana mordenzata con acido tannico diventava più scura.
Un mordente è pertanto una sostanza che facilita il fissaggio di un colorante a una fibra permettendo la
produzione di una tintura più solida e permanente. Alcuni mordenti agiscono maggiormente sulla fibra
rendendola più sensibile al colorante. In questi casi i tessuti sono mordenzati prima del processo di tintura.
In passato venivano utilizzate molto spesso cortecce di quercia, cenere, urina. Oggi sono utilizzati per la loro
azione più energica principalmente sali metallici di alluminio, rame, stagno. Introducendo la fibra mordenzata
nella soluzione tintoria si forma un complesso insolubile.
Altri mordenti agiscono attraverso la formazione di un complesso con il colorante che poi agisce da agente
colorante. In questo caso, il processo di tintura prevede che le fibre siano esposte allo stesso tempo all’azione
di mordenzatura e di tintura.
La natura chimica della soluzione mordente e tintura può essere acida o alcalina. Per verificarlo, verrà
utilizzato un indicatore come la cartina di tornasole. E’ un fatto importante poiché è possibile variare una
tintura acidificando un bagno alcalino o viceversa. Quasi tutti i mordenti (sali di metallo) conferiscono alle loro
soluzioni un carattere alcalino ad eccezione dei sali di cromo che forniscono una soluzione acida.
L’uso di mordenti diversi con lo stesso bagno di colore darà come risultato una serie di colori diversi.
Per ottenere una buona e corretta mordenzatura della lana devono essere eseguite prima le seguenti
operazioni:
A. Lavaggio accurato della lana con sapone a scaglie per purgarla ed sgrassarla con acqua poco dura onde
evitare che i minerali presenti in essa interferiscano in modo negativo al momento di introdurre la lana
nel bagno di mordenzatura
B. Le fibre devono essere immerse in acqua appena calda prima dell’immersione nel bagno di mordenzatura
per permettere al mordente di legarsi alla fibra uniformemente.
C. Sciogliere il mordente in acqua calda prima di aggiungerlo al liquido per la mordenzatura. Aggiungere la
fibra totalmente bagnata in acqua di temperatura simile alla temperatura del liquido di mordenzatura per
portare lentamente la temperatura al massimo a 90° per due ore.
D. La lana mordenzata deve essere lasciata raffreddare nel bagno di mordenzatura. La mordenzatura è
permanente e la lana può essere tinta immediatamente o conservata.
Bisogna annotare che la lana non “gradisce” cambiamenti bruschi di temperatura.
3) I coloranti al tino, prendono il nome dai tini di legno che si utilizzavano per effettuare questo tipo di tintura.
Fa parte di questo tipo di coloranti la l’indigofera tintoria o indaco, pianta proveniente dall’India, Cina, Giava
con azzurri e blu freddi. Invece, l’indaco proveniente dal Guatemala gira verso il turchese quindi si percepisce
di più il giallo nelle diverse tonalità di azzurri che si ottengono. Altri coloranti al tino sono il guado e la porpora.
Noi dedicheremo questa terza breve parte all’indaco.
I coloranti al tino sono insolubili in acqua. In ambiente alcalino e in presenza di idrosolfito di sodio come
agente riducente, l’indaco reagisce con una parte dell’alcali trasformandosi in “leuco derivato” solubile e,
perciò, capace di impregnare le fibre.
Un processo tintorio basato sull’utilizzo di coloranti al tino prevede, perciò, l’impregnazione delle fibre con la
soluzione acquosa del leuco derivato e la successiva loro esposizione all’aria per permettere l’ossidazione del
leuco-derivato a colorante. Non può essere trascurata la presenza nel tino di tintura di colloidi proteici, quali
la gelatina o la colla animale, che hanno lo scopo di conservare l’indaco ridotto nell’ambiente alcalino per
ammoniaca. La presenza della sostanza proteica in soluzione esercita anche una seconda importante azione
nei confronti dell’alcali presente nel bagno. Le colle animali, essendo costituite come la lana da aminoacidi,
cioè da composti anfoteri ossia sostanze che possono manifestare sia comportamenti acidi o basici, possono
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eagire come tamponi dell’alcalinità. Essendo presenti nel bagno come sospensioni colloidali, la loro reattività
verso l’alcali sarà maggiore di quella della lana contribuendo così alla protezione di quest’ultima dalla nociva
azione dei bagni alcalini.
Nel caso della tintura della lana, normalmente, venivano impiegati coloranti al tino che non richiedevano un
bagno troppo alcalino. Nella tintura della lana i coloranti al tino in confronto ad altri coloranti naturali hanno
il vantaggio di produrre tinte caratterizzate da un’alta solidità, quindi resistenza alla luce solare e resistenza
alle forti sollecitazioni fisiche e chimiche nella fase finale della tintura. Durante alcune prove di tintura al tino
con manufatti di lana si osserva una buona resistenza all’abrasione.
Sequenza delle operazione per la tintura della lana in tino con l’indaco:
1. In un tino contenente acqua (30 volte il peso della lana asciutta) si aggiunge idrosolfito e ammoniaca
2. La temperatura del bagno si porta a 50°C; trascorsi 15minuti si aggiungono la colla e l’indaco e si mescola
adagio adagio per favorire la riduzione a leucoderivato. Non si devono superare mai i 70°C. A questo
punto il tino è pronto per la tintura. Il liquido diventa giallo verde, se invece gira verso il blu vuol dire che
la quantità di idrosolfito aggiunta è bassa
3. La lana va bagnata prima per almeno mezz’ora in acqua a 40°C; la lana va ben immersa nel tino e lasciata
un po’ di minuti senza agitare il bagno
4. Togliere la lana dal bagno strizzando delicatamente l’eccesso di liquido. Esponendo all’ossigeno atmosferico
la lana in 15- 20 minuti diventa completamente blu per l’azione di ossidazione.
Diamantina Palacios.
Disegnatrice tessile e tessitrice. Laureata in Disegno tessile all’Università de Los Andes di Bogotà nella Facoltà
di Arte. Dopo una pluridecennale esperienza nel settore del restauro tessile museale a Firenze, della ricerca
e didattica e della produzione tessile in più campi, collabora con il polo scientifico dell’Università di Firenze
e il PRIN di Prato per la realizzazione di protocolli di tinture naturali e creazione di prototipi tessili. Nel 2008
ha creato il proprio marchio Diamantina Palacios producendo solo pezzi unici nel laboratorio tessile di ricerca
continua a Firenze combinando materiali naturali, tinture naturali e applicando tecniche tessili innovative.
Di seguito alcune fotografie che riportano capi realizzati con coloranti naturali.
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Quaderni Pubblicati
collana diretta e a cura di Antonio Mauro
1 - 1987 L’uso dei tensioattivi nelle lavorazioni tessili in rapporto alla legislazione vigente sulle acque di scarico. Atti
della conferenza organizzata dalla Sezione Centro Italia a Prato il 9 ottobre 1987
Autori Vari
2 - 1988 L’acqua in tintoria: lezioni di aggiornamento industriale per chimici e tintori.
Prof. Valerio Parrini, ordinario di chimica organica, cattedra delle sostanze coloranti, Università di Firenze
3 - 1989 Atti delle conferenze organizzate negli anni 1988 - 1989 dalla Sezione Centro Italia
Autori Vari
4 - 1990 Lezioni del corso di aggiornamento professionale CHEMIATEX 1989
Autori Vari
5 - 1991 Le iniziative a carattere tecnico promosse dalla Sezione Centro Italia nel biennio 1990-91
Segreteria Sezione Centro Italia dell’AICTC
6 - 1992 Compendio dei temi tecnici ed economici trattati nel 1992
Segreteria Sezione Centro Italia dell’AICTC
7 - 1993 Relazione scientifiche presentate dagli autori italiani al 16° congresso IFATCC (Maastricht, 9-11 giugno 1993)
“Storia della luce, del colore e dei tessuti attraverso l’arte di tutti i tempi”
Prof. Luciano Gallotti, ordinario di chimica analitica, ITIS Q. Sella, Biella
8 - 1994 Atti del Convegno “Eco-audit, eco-label: aspetti tecnici e di ecogestione” organizzato dall’Associazione
Italiana di Chimica Tessile e Coloristica - Prato, 27-28 Maggio 1994
9 - 1995 Introduzione alla colorimetria.
Prof. Claudio Oleari. Dipartimento di Fisica dell’Università di Parma
10 - 1996 Qualità e colorimetria in tintoria. Lezioni di aggiornamento professionale svolte durante i corsi 1996 FIL/
AICTC
11 - 1997 Elementi di biologia ambientale.
A cura dei biologi Gianni Bettini, Leonardo Lapi, Paola Lucchesi, Tommaso Ciappi - Associazione Biosfera
Prato
12/13 - 98/99 Atti delle conferenze organizzate negli anni 1998 - 1999 dalla Sezione Centro Italia
14 - 2000 Ricettari
A cura di Antonio Mauro
15 - 2003 Nozioni Fondamentali di Chimica - 1ª parte: Struttura della materia
Prof. Roberto Spinicci, Docente di Chimica, Facoltà di Ingegneria, Università di Firenze
16 - 2004/05 Nozioni Fondamentali di Chimica - 2ª parte: Reattività della materia (con cenni di chimica organica)
Prof. Roberto Spinicci, Docente di Chimica, Facoltà di Ingegneria, Università di Firenze
17 - 2010 Norme obbligatorie e volontarie per il nuovo tessile
Dott. Riccardo Cecconi
18 - 2011 1989 - 2010: Antologia di scritti sulla valutazione tattile dei tessuti
A cura di Antonio Mauro
19 - 2012 Materiali Tessili Antifiamma: stato dell’arte, innovazione, sostenibilità
Autori Vari
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20 - 2013 Sviluppi recenti della stampa digitale
Autori Vari
21 - 2014 Il Tessile da realizzare e il Tessile da sostenere
Testi della conferenza AICTC
22 - 2015/16 Economia circolare e prospettive di business nel riciclo delle fibre tessili
Dott.ssa Irene Pasqualotto
23 - 2017 La lana nei convegni AICTC del 2017 a Prato e a Biella
a cura di Antonio Mauro
24 - 2018 GLI OGM: storia e sviluppi Applicazioni attuali nel mondo tessile La bioingegneria degli enzimi
Dott.ssa Martina Ruffo
25 - 2019 Le tinture con i coloranti naturali oggi tra pregiudizi, limiti e potenzialità
a cura di Antonio Mauro
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